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BREVE STORIA DELLA LINGUA ITALIANA

Introduzione
La storia linguistica italiana è stata in costante rapporto tra il centro della Toscana e
la sua periferia. Il toscano nella sua espansione ha incontrato le parlate locali, ma non
si può ancora parlare di dialetto, questo si affermerà dopo la nascita di una lingua.
L’Italia era l’unica nazione in cui la capitale politica, Roma, non corrisponde alla
capitale linguistica che era Firenze.
I forestierismi
La lingua non vive isolata, si trasmette attraverso i libri, i viaggi, i commerci. Le
lingue più prestigiose tendono ad influenzare le altre. Il rapporto tra due lingue può
produrre “calchi”, i quali possono essere di due tipi:
- Calco di traduzione: avviene quando si traduce alla lettera una parola straniera.
- Calco semantico: avviene quando una parola italiana assume nuovo significato
traendolo da una parola straniera.
Esistono anche diversi tipi di prestiti:
- Prestiti di necessità: nuova parola che è necessaria ad una lingua in quanto ha
un significato nuovo.
- Prestiti di lusso: sostituiscono parole già esistenti.
- Prestiti semantici: nuovo significato attribuito a parole già esistenti. Questi
possono essere di due tipi: omonimici ovvero basati su somiglianza del
significante e sinonimici basati su somiglianza del significato.
L’italiano è stato maggiormente in relazione con le lingue europee come ad esempio
il francese, infatti ricordiamo la lingua d’oc e d’oil le quali si sviluppano prima della
nostra e ci influenzano soprattutto tra Settecento e Ottocento. Ma anche l’inglese, la
cui influenza dura dall’Ottocento fino ad oggi. Altre lingue con cui l’italiano è stato
in relazione sono lo spagnolo, il latino e il greco. È importante ricordare anche il
rapporto della nostra lingua con quella araba nel Medioevo grazie ai commerci. Il
mistilinguismo è la mescolanza tra elementi linguistici diversi, nello scritto e nel
parlato, questo può manifestarsi in maniera involontaria o volontaria per una scelta
stilistica.
Notai e mercanti del medioevo
I notai sono figure molto importanti in quanto molti dei primi documenti del volgare
sono stati scritti da notai fruitori della lingua volgare. Anche quella del mercante è
una figura importante. Il mercante era meno istruito del notaio, ma conosceva le
lingue straniere perché abituato a viaggiare per lavoro, non conosceva il latino ma
sapeva leggere, scrivere e far di conto. I libri di famiglia sono quaderni in cui i
membri della famiglia annotavano avvenimenti importanti, memorie, considerazioni
personali, dati di interesse patrimoniale ecc.
Scienziati e tecnici
Fino al rinascimento la lingua scientifica e della medicina fu solo il latino, ci volle
parecchio tempo prima che il volgare potesse competere con questo. Dante vide le
grandi potenzialità del volgare e vi scrisse il Convivio, ma per le altre opere
scientifiche utilizzò il latino. Fu Galileo Galilei il protagonista che promosse l’uso del
volgare in campo scientifico.
I grammatici
L’italiano aveva una grande tradizione letteraria quando, fra Quattrocento e
Cinquecento, si cominciò a stabilizzare la norma. La prima breve grammatica italiana
è la “Grammatichetta vaticana” di Leon Battista Alberti del 400. Successivamente
abbiamo “regole grammaticali” la prima grammatica a stampa del 500. Anche in
“prose della volgar lingua” di Pietro Bembo si trova una parte dedicata alla
grammatica. Le norme di grammatica erano ricavate da Dante, Boccaccio e Petrarca e
resero più omogenea la scrittura, prima di questo gli scrittori dovevano ricavare da
soli le regole grammaticali. I primi vocabolari a stampa, verso i primi anni del 500,
avevano lo stesso intento delle grammatiche, l’accademia della Crusca, fondata alla
fine del 500, pubblica nel 1612 un vocabolario più ampio di quelli realizzati fino ad
allora. Il modello fu molto forte ed ebbe diverse edizioni.
La politica linguistica
Letteratura e cultura sono i canali principali di diffusione dell’italiano. In Toscana la
lingua parlata era vicina a quella scritta e letteraria. Il toscano era usato alla corte
medicea tra 400 e 500. Il volgare compare in alcune cancellerie signorili, è qui che
nel 400 si forma la lingua comune. Fino al 700 però il volgare non veniva insegnato.
Solo in Toscana nel 500 furono istituite cattedre di lingua toscana.
Editori e tipografia I primi tipografi erano tedeschi, ma in breve tempo si diffuse
l’arte tipografica il cui centro si verificò a Venezia. La stampa influenzò l’evoluzione
della lingua e regolarizzò la scrittura. L’Incunabolo è un libro quattrocentesco
appartenente al primo periodo dell’arte tipografica. Nel primo secolo della stampa la
produzione fu prevalentemente in latino. Il primo libro in volgare oggi conosciuto è
un testo popolare devoto: “fioretti di San Francesco” del 1469. Viene anche preso in
considerazione il frammento di un libro di preghiere detto “parsons fragment” che
potrebbe risalire al 1462.
Tra il 1470 e il 1472 ci furono gli autori massimi della letteratura volgare, Petrarca
con il Decameron e il Canzoniere e Dante con la Commedia. Nel corso del 500 grafia
e punteggiatura divennero più uniformi. L’apostrofo fu introdotto da Bembo nel 500.
Dalla stampa ai mass media
Nel 700/800 accanto al libro abbiamo anche il giornale e riviste come “il Caffè” o
“La biblioteca italiana” che si collocano a livello più alto e sono rivolte ad un
pubblico più colto. Nell’Ottocento si diffondono i giornali popolari rivolti ad un
pubblico più vasto. I giornali in questo periodo sono favoriti dalla crescita della
scolarizzazione e dell’alfabetizzazione. Successivamente la diffusione dell’italiano si
è avuta grazie ai mezzi di comunicazione di massa come la radio, la televisione o il
cinema.
Lingua scritta e parlata
C’è una differenza tra lingua scritta e parlata, anche oggi. La scrittura ha una
maggiore durata e permette la correzione e il ripensamento. Nella storia della lingua
troviamo l’influenza delle classi subalterne, il passaggio dal latino alle lingue
romanze è avvenuto a livello popolare. Gli studiosi si sono occupati dell’italiano del
popolo, facendo uso della categoria “italiano popolare” utilizzata dall’inizio degli
anni Sessanta per indicare la parlata dialettale degli incolti, o l’italiano
imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto. Le classi subalterne
sono prese in considerazione proprio per la loro cultura dialettale. I dialetti si sono via
via avvicinati alla lingua, mentre l’italiano ha acquisito elementi dei dialetti.
L’italiano popolare è l’italiano di chi non riesce a staccarsi dal dialetto e contamina i
codici dando luogo ad errori. L’italiano parlato nel nostro paese è uniforme ma varia
da regione a regione, soprattutto a livello fonetico e fonologico.

1.I primi documenti dell’italiano


L’italiano non deriva dal latino classico, ma dal volgare. Il volgare indica diversi
livelli linguistici del latino. Il concetto di latino volgare fa riferimento ad uno
sviluppo diacronico che vede emergere usi linguistici e si mescola con la componente
sociolinguistica (sincronica). Il latino volgare conteneva parole presenti nel latino
scritto, innovazioni del parlato; esistono dei testi che mostrano le caratteristiche del
latino parlato di livello popolare o del latino tardo. Alcuni libri si sottraggono all’uso
del classico, soprattutto quelli dedicati a materie pratiche come i trattati di
agricoltura, cucina, veterinaria o testi latini teatrali i quali contengono elementi del
parlato. Tra i documenti del latino volgare troviamo “L’appendix probi”, una lista di
227 parole tramandate da un codice scritto a Bobbio nel 700 d.C., la lista di parole è
più antica del codice stesso. L’appendix probi ci fa riflettere su forme considerate
errori, cioè deviazioni rispetto alla norma. Può essere considerata una tendenza nuova
se diventa norma per tutti. Il latino si è imposto su lingue preesistenti e alcuni
fenomeni linguistici hanno subìto l’influenza del sostrato cioè l’azione della lingua
vinta su quella dei vincitori, un altro problema è stato quello del ruolo del superstrato
cioè l’influenza delle lingue che si sovrapposero al latino e quello dell’adstrato cioè
l’azione esercitata da una lingua confinante sull’altra. Nell’italiano di oggi possiamo
trovare poche parole di origine germanica e gotica, ma molte di origine longobarda,
alcune derivano dall’insediamento dei franchi.
Fonetica e grammatica storica
Le leggi della grammatica sono differenti da lingua a lingua. Nell’italiano le vocali
possono essere classificate in base al loro punto di articolazione:
- Centrale: A
- Anteriore: I, È, É
- Posteriore: U, Ò, O
Possono essere distinte a seconda della loro durata che può essere breve o lunga. Le
vocali possono avere accento tonico oppure possono essere atone. Le combinazioni di
vocali sono dette dittonghi, questi possono essere ascendenti o discendenti; nei primi
l’accento cade sulla seconda vocale della parola, nei secondi sulla prima vocale. La I
e la U vengono pronunciate nei dittonghi in maniera intermedia e prendono il nome
di semiconsonanti. Le vocali sono considerate sette perché la è e la è, la o e la ò
costituiscono opposizione fonetica. I gruppi consonantici latini come CT e PT hanno
dato luogo a consonanti doppie. Nel passaggio dal latino alle lingue romanze si ebbe
la perdita delle consonanti finali. Gli articoli determinativi (il, lo, la) derivano dai
dimostrativi latini (illum, illam). Il latino aveva tre generi di nomi: maschili,
femminili e neutri; il neutro è sparito nelle lingue romanze.
Quando nasce una lingua
Nel passaggio dal latino alle lingue romanze la trasformazione durò secoli. Vi fu un
lungo lasso di tempo in cui la lingua volgare esistette nell’uso ma non venne
utilizzata per scrivere. Il cosiddetto atto di nascita della lingua italiana è il Placito
capuano cioè una formula connessa ad un giuramento. Chi lo scrisse sapeva della
separazione tra latino e volgare. È un verbale notarile relativo ad una causa discussa
di fronte ad un giudice Capuano: l’abate del monastero di Montecassino viene
accusato di occupare delle terre appartenenti ad un uomo di nome Rodelgrimo.
L’abate afferma che quelle terre erano occupate dal monastero da più di trent’anni e
ciò per la legge longobarda costituisce titolo di possesso. Tre testimoni davano
ragione all’abate e il dibattito si svolse in volgare, la verbalizzazione fatta in latino
include formule testimoniali in volgare in modo da potersi rivolgere ad un pubblico
più vasto, per divulgare il risultato del processo ed evitare nuove contestazioni dello
stesso genere. L’indovinello veronese è un codice scritto in Spagna nell’ottavo secolo
e approdato poi a Verona. Riporta due note, una in latino, l’altra in forma diversa.
Vincenzo Di Bartholomaeis risolse il problema interpretativo e capì che l’indovinello
alludeva all’atto dello scrivere. Le più antiche testimonianze italiane di scritture
volgari per la maggior parte sono carte notarili tranne:
- La catacomba romana di Commodilla: un anonimo graffito tracciato sul muro
dove si trova una registrazione del parlato tra VI-VII secolo. “non dicere ille
secrita abboce”. Nell’ultima parola la seconda “b” fu aggiunta dopo. Il graffito
in questa tomba è casuale.
- L’iscrizione della basilica di San Clemente: un affresco in cui parole in latino e
in volgare sono state dipinte accanto ai personaggi rappresentati per
identificarli e per mostrare il loro ruolo nella storia narrata. Questa iscrizione
narra una storia miracolosa: il patrizio Sisinnio ha ordinato ai suoi servi di
catturare Clemente. I servi obbediscono ma si illudono soltanto di aver
catturato l’uomo, in realtà trascinano con
gran fatica una colonna. Il latino è adottato nelle parti più elevate del testo, il volgare
nelle didascalie che registrano espressioni plebee e azioni dei personaggi. Un buon
numero di documenti è dovuto alla penna dei notai, il volgare può affiorare in forma
di testo aggiunto, il notaio certe volte aggiungeva commenti o osservazioni personali
come ad esempio nella Postilla Amiatina; nella carta ossimana (1151) il volgare
appare all’interno del vero e proprio testo latino.
Filone religioso
Potrebbero essere ricondotti a questo filone la catacomba di Commodilla e
l’iscrizione della basilica di San Clemente. Documenti religiosi che non sono graffiti
o dipinti sono la “formula di confessione umbra” che è una vera e propria formula di
confessione. Tra i testi religiosi di interesse linguistico si collocano i sermoni
subalpini ovvero le prime raccolte di prediche in lingua neolatina, con vari testi che
alternano parti in latino come ad esempio l’incipit e il volgare locale che si ritrova nel
corpo del discorso. Baldelli ha scoperto una carta pisana collocabile tra XI e il XII
secolo, il documento fu parzialmente cancellato e riscritto e poi utilizzato per la
rilegatura di un nuovo codice.
Il testo è un elenco di spese navali
Lo sviluppo della letteratura italiana si ebbe nel XIII secolo a partire dalla scuola
poetica all’interno della corte di Federico II, detta scuola siciliana. La chanson de
Roland è il primo capolavoro della letteratura francese, in Italia si trovano
componimenti poetici dal XII secolo. Si trovano quattro versi volgari che esaltano le
vittorie delle milizie di Belluno e Feltre su Treviso nel ritmo bellunese. Nelle corti
italiane si usava ascoltare poesia provenzale non italiana, per trovare poesia italiana si
dovrà aspettare il XIII secolo.
2. Il Duecento
La prima scuola poetica italiana di cui si hanno notizie certe fiorì nel XIII secolo alla
corte di Federico II di Svevia ed era detta scuola siciliana. Altre due letterature
romanze si erano già affermate, ovvero la letteratura francese in lingua d’oil e la
letteratura provenzale in lingua d’oc; quest’ultima esercitava grande fascino infatti
era la lingua della poesia d’amore. Alcuni poeti provenzali erano ospitati presso
famiglie italiane nobili. I poeti italiani scrivevano versi provenzali imitando i
trovatori. I poeti siciliani imitarono la poesia provenzale ma sostituirono alla lingua
forestiera un volgare italiano, ovvero il volgare di Sicilia, ciò fu decisivo per la nostra
tradizione poetica. Anche l’imperatore poetò in quella lingua pur non essendo
siciliano di nascita. Il corpus della poesia venne trasmesso
da codici medievali scritti da copisti toscani, questi intervennero sulla forma della
poesia attraverso un’opera di traduzione, nel corso dei secoli questa forma fu presa
per buona.
Giovanni Maria Barbieri aveva testi poetici siciliani in forma diversa da quella nota,
tra cui la canzone di Stefano Protonotaro “pir meu cori alligrari”. Con la morte di
Federico II venne meno la poesia siciliana, la sua eredità passò in Toscana e a
Bologna con i poeti siculo-toscani e gli stilnovisti. Prima della scuola siciliana
troviamo il cantico di frate sole di San Francesco databile intorno al 12231224, scritto
in volgare in cui si trovano elementi umbri. Le laudi religiose si svilupparono nel
Duecento ma anche nel Trecento e Quattrocento quando i testi laudistici furono
utilizzati come preghiere cantate. Le laudi diventarono uno dei canali di diffusione
dei moduli linguistici in area settentrionale, qui fiorì nel 200 una letteratura diversa
da quella della corte di Federico II soprattutto in Lombardia. In Toscana si sviluppò
la poesia siculo-toscana, il loro stile riflette quello dei poeti siciliani.
Dante, il primo teorico del volgare
Le idee di Dante sul volgare si leggono nel Convivio ma anche nel De vulgari
eloquentia. Nel Convivio il volgare viene celebrato come sole nuovo destinato a
splendere e prendere il posto del latino poiché grazie al volgare la comunicazione è
più larga ed efficace. Nel De vulgari eloquentia Dante illustra la superiorità del
volgare in quanto lingua naturale. È un trattato sulla lingua e sulla poesia volgare, finì
per essere uno dei testi fondamentali nel dibattito linguistico del Rinascimento. Il
volgare per dante deve avere delle caratteristiche, infatti deve essere:
- Illustre: in quanto deve diffondere luce.
- Curiale: deve essere adatto alla trattazione giuridica.
- Aulico: reale.
- Cardinale: cardine per gli altri volgari.
L’origine del linguaggio e delle lingue viene racconto attraverso il racconto biblico
della torre di Babele. La grammatica secondo Dante è una creazione dei dotti per
frenare la mutevolezza degli idiomi, anche il volgare per farsi “letterario” deve
acquistare stabilità. Per definire i caratteri del volgare letterario Dante segue la
diversificazione geografico-spaziale della lingua, concentrandosi sull’Europa, dove
nei paesi del Nord e del Nord-Est si parlano le lingue in cui “sì” si dice “iò”,
CentroSud lingua d’oil, d’oc e volgare del si ovvero l’italiano; in Grecia e zone
orientali il greco. L’area italiana è diversificata al suo interno in parlate locali che
Dante esamina cercando di trovare il volgare più illustre. Le lingue più severamente
condannate da Dante sono il toscano e il fiorentino, mentre le migliori secondo lui
sono il siciliano e il bolognese. La nobilitazione deve avvenire attraverso la
letteratura. La condanna colpisce poeti come Guittone D’Arezzo perché aveva uno
stile rozzo e plebeo.
Formazione della prosa volgare
Nel Duecento il latino è il più usato per la prosa: documenti giuridici, giudiziari,
medici, religiosi. Il volgare è influenzato dal latino, nel volgarizzare cioè nel trasporre
in volgare partendo da un testo latino si realizza una scrittura sperimentale e si
stabilirono le strutture della prosa italiana. Alcuni italiani usavano il francese per
scrivere le loro opere riconoscendola come la più piacevole tra le lingue, infatti
l’influenza del francese nel volgare si può verificare in vari testi. Nel Duecento non
esiste una prosa modello che si impone sulle altre, ma il ruolo della Toscana si stava
delineando. Le scritture mercantili sono importanti per la documentazione dell’antico
fiorentino.

3. Il Trecento
Dante e il successo del toscano
La commedia è scritta in una lingua diversa da quella teorizzata nel De vulgari
eloquentia, con la sua ricchezza di temi la commedia favorisce la promozione del
volgare. Il successo della Commedia fu determinante per il successo della lingua
toscana. Il processo fu favorito dal fatto che nel 300 altri due autori toscano
produssero opere in fiorentino, ovvero Petrarca con il Canzoniere e Boccaccio con il
Decameron. Questi due autori insieme a Dante sono detti le tre corone. Inoltre la
società fiorentina aveva rapporti mercantili con il resto d’Italia; il fiorentino aveva
elementi per penetrare sia parlate del Nord che del Sud, inoltre era simile al latino. La
Commedia fu scritta durante l’esilio di Dante quindi ha influenze linguistiche
dell’Italia settentrionale; nella composizione si ispirò a Virgilio e usò il volgare per
rimanere un livello sotto a lui e non gli dette il termine “divina” per lo stesso motivo.
Dante nella Commedia usa il plurilinguismo ovvero latinismi, termini forestieri,
plebei, parole toscane e non. Toni diversi dall’inferno al paradiso. Usa anche il
polimorfismo ovvero l’alternanza di forme dittongate e non. Petrarca invece usa un
linguaggio selettivo, il volgare è molto ridotto rispetto al latino, il titolo stesso della
raccolta di poesia è in latino: Rerum volgarium fragmenta ovvero il Canzoniere.
Secondo lui il volgare non è la lingua naturale dell’uomo. Usa una disposizione
irregolare delle parole e molti chiasmi, antitesi, allitterazioni ecc Boccaccio con il
Decameron ci porta a un salto di qualità nella prosa. Nelle sue novelle ci sono varie
situazioni narrative, troviamo tutte le classi sociali, compaiono voci veneziane,
senesi, scambi di battute con elementi popolari, ma possiamo trovare anche latinismi.

4. Il Quattrocento
Petrarca fu l’iniziatore dell’Umanesimo, lui usava principalmente la lingua latina.
Con la svolta umanistica ci fu una crisi del volgare che lo screditò agli occhi dei dotti.
Il latino era preferito in quanto lingua più nobile, infatti il volgare veniva usato nelle
scritture pratiche e d’affari. Durante l’Umanesimo nacquero alcuni tipi di scrittura in
cui il latino e volgare si mescolano, qui la contaminazione è volontaria. Ci sono due
forme di contaminazione colta:
- Il macaronico: formazione di parole miste, a una parola volgare può essere
applicata una desinenza latina. Il risultato è un latino che sembra pieno di
errori, ma è una scelta volontaria a scopo comico. Nasce a Padova.
- Il polifilesco: mescolanza tra latino e volgare che ricorda il macaronico.
Leon Battista Alberti iniziò l’Umanesimo volgare. Era convinto che bisognasse
imitare i latini poiché avevano scritto una lingua di uso generale e il volgare era la
lingua di tutti; a lui è attribuita la realizzazione della prima grammatica italiana in
lingua volgare moderna, fu tramandata da un codice conservato nella biblioteca
Vaticana. La grammatichetta vaticana vuole dimostrare che anche il volgare ha una
sua struttura grammaticale infatti utilizza il toscano. Per promuovere il toscano
organizzò il Certame coronario cioè una gara poetica in cui i concorrenti si affrontano
con componimenti in volgare. La giuria però fece fallire il certame. Lorenzo il
Magnifico rilancia il toscano attraverso l’opera di Poliziano e Landino, quest’ultimo
era cultore della poesia di Dante e Petrarca. Nell’ambiente mediceo vediamo la
trasposizione su un piano colto di un genere popolare: il cantare cavalleresco portato
su piazza da cantastorie per intrattenere un pubblico medio-basso. Nel Quattrocento
troviamo raccolte di laude in cui il toscano non compariva. I predicatri si muovevano
da luogo a luogo e possedevano un volgare in grado di comunicare al di là dei confini
di una singola regione.
La lingua coinè e le cancellerie
La poesia volgare ebbe maggior uniformità rispetto alla prosa che aveva bisogno di
settori extraletterari. Si può parlare di varie scriptae, lingue scritte collocate in precisi
spazi sociali e geografici. Nel 400 queste lingue si evolvono verso forme di coinè
cioè una lingua scritta che mira all’eliminazione dei tratti locali accogliendo latinismi
e appoggiandosi al toscano.

Fortuna del toscano letterario


A Milano l’apertura verso il toscano era stata guidata da Filippo Maria Visconti. La
letteratura e il volgare trovano spazio nelle corti dell’Italia padana. Nell’emiliano
operava Boiardo. A Napoli con la corte Aragonese fiorì una poesia cortigiana.
FONDATORI dell’Accademia: Bernardo Canigiani, Anton Francesco Grazzini,
Bastiano De Rossi, Giovan Battista Deti, Bernardo Zanchini.

5. Il Cinquecento
Nel 500 il volgare aumenta il suo prestigio grazie ad autori come Machiavelli,
Ariosto, Tasso ecc ma la maggior parte dei libri pubblicati era ancora in latino. La
fiducia nel volgare aumentava anche grazie alla regolamentazione grammaticale. Si
ebbe il tramonto della scrittura coinè, ma il latino mantenne ancora una posizione
rilevante in moltissimi settori come quello pubblico-amministrativo, giuridico,
filosofico, medico. Il volgare veniva usato nella scienza per opere di divulgazione.
Bembo e la questione della lingua
In questo periodo vennero pubblicate le stampe tascabili di due classici: Virgilio e
Orazio e anche il Petrarca con un volgare curato da Bembo nel 1501. Sul testo di
Petrarca si sono fondate le teorie esposte nelle “prose della volgar lingua” che fu un
testo al centro del dibattito sulla natura del volgare. Le prose della volgar lingua si
divide in tre libri, il terzo dei quali contiene una vera e propria grammatica esposta
attraverso il dialogo tra quattro personaggi. Nelle “prose” abbiamo un’analisi storico-
linguistica secondo la quale il volgare nasce dalla contaminazione del latino ad opera
degli invasori barbari. Quando Bembo parla di volgare intende il toscano trecentesco.
Boccaccio nelle sue opere utilizza una sintassi latineggiante, inversioni e frasi
gerundive, questo modello fu assunto anche nelle prose. Secondo altre tesi la lingua
cortigiana era il volgare migliore, ma per Bembo non è così. Nel 1529 Trissino da
alla stampa il DeVulgari in traduzione italiana. Nello stesso anno pubblica il
“castellano” dialogo in cui sosteneva che la lingua poetica di Petrarca era composta
da vocaboli di tutta Italia. Negava la fiorentinità della lingua letteraria e propone una
riforma dell’alfabeto con l’introduzione di due segni: epsilon e omega. Machiavelli
non accetta la tesi di Trissino e nel “dialogo intorno alla nostra lingua” parla con
Dante, il quale fa ammenda sugli errori commessi nel De Vulgari. Nasce una
polemica sull’autenticità del De Vulgari poiché la traduzione di Trisino circola più
dell’opera originale. Varchi afferma che la molteplicità delle lingue dipende dalla
tendenza dell’uomo alla varietà.

Stabilizzazione della norma linguistica


Nel 500 si ebbero le prime due grammatiche e i primi vocabolari nei quali si
riflettono le proposte teoriche, soprattutto quelle di Bembo. Si diffusero i primi lessici
che contenevano un numero limitato di parole ricavate dalle tre corone. Il primo
vocabolario del 500 fu “la fabbrica del mondo”. La grammatica di Bembo influenzò
l’Orlando Furioso perché Ariosto corresse la terza edizione seguendo le indicazioni
delle prose.
Ruolo delle accademie
Nel Cinquecento vi furono degli avvenimenti riguardanti soprattutto l’accademia
della Crusca. Nel 1582 nacque l’accademia della Crusca, l’anno dopo nel 1583 entra
a far parte dell’accademia Salviati, il quale raggiunge la fama con la rassettatura del
Decameron. Nel 1595 la Divina Commedia di Dante viene ridotta a miglior lezione
dall’accademia.
Varietà della prosa
L’architettura fu un settore in cui l’italiano si impose, sia nelle opere nuove, sia
traducendo dal latino. Come la trattatistica d’arte, furono pubblicate le vite di Vasari,
Cellini ecc. La scelta del volgare nel caso di Galileo fu coraggiosa perché in questo
modo non poteva circolare a livello internazionale.
Il mistilinguismo della Commedia
Genere ideale per il mistilinguismo, soprattutto per la compresenza di diversi codici
per i vari personaggi. Per gli innamorati si usa il toscano, per gli anziani il veneziano.
Tasso viene criticato dalla Crusca per questioni di lingua (considerata troppo colta) e
di stile (oscuro, sforzato).
La chiesa e il volgare
La lingua della chiesa ufficiale fu il latino, il problema del volgare emerse nella
catechesi e nella predicazione. Il Concilio di Trento discusse la legittimità delle
traduzioni della Bibbia, a non si arrivò ad una decisione radicale. Alcuni partecipanti
del concilio di Trento vedevano nella Bibbia in mano a tutti una fonte di errori ed
eresie. altri erano fautori della traduzione della Bibbia. Per quanto riguarda la messa,
il concilio insisteva sul fatto che la predicazione venisse fatta in volgare.

6. Il Seicento
Gli accademici della Crusca imposero il modello toscano come il più adatto per
l’italiano e nel 1612 uscì il primo vocabolario in un italiano ripreso da quello del
Trecento e unito a quello del Seicento. Venne poi stampato a Venezia per motivi
economici. Sul frontespizio portava l’immagine del frullone, strumento usato per
separare la farina dalla crusca allusivo alla selezione del lessico. Vi furono poi due
edizioni dopo la prima: la seconda fu del 1623 e la terza del 1691, la quale si presenta
in tre tomi. L’accademia della Crusca aveva anche degli oppositori:
- Beni: autore di un’anticrusca nella quale confronta Salviati e gli scrittori del
Cinquecento, in particolare con Tasso. In questa opera parte da un giudizio
negativo sulla letteratura del Trecento
- Tassoni: protesta contro la dittatura fiorentina sulla lingua
- Bartoli: scrive un testo in cui usa l’ironia nei confronti di ogni forma di
rigorismo grammaticale.
Il linguaggio della scienza
Galileo scrisse volutamente in volgare utilizzando il latino come confronto negativo.
Pur scegliendo il volgare non raggiunge mai un livello basso o popolare ma un tono
elegante e medio. Lui ha fissato il significato dei termini in maniera univoca, quando
nomina cose nuove usa termini comuni per evitare di introdurre una terminologia
troppo colta, ne è un esempio la dicitura “macchie solari”.
• Cinquecento e Seicento: latino lingua ufficiale della scienza (fino alla fine del
Settecento).
• La scienza ha però risvolti applicativi che interessavano i “meccanici” cioè
ingegneri, architetti, esperti di fortificazioni, di balistica, di idraulica, i medici
militari, i chirurghi, le levatrici… Si sviluppa quindi una produzione libraria in
volgare o che traduceva opere in latino.
• Galileo decide di superare il solco che divideva da secoli il livello speculativo della
scienza da quello operativo con la scelta di un “volgare letterario”.
Il melodramma
Nasce in occasione del matrimonio di Maria De Medici nel 1600. Il melodramma
permette di affrontare il rapporto tra parole e musica. Il melodramma del primo
Seicento fu un tentativo di ricreare la tragedia antica. Fino al Cinquecento il teatro era
stato solo recitato, il melodramma spopolò nel XVII secolo.
Il linguaggio poetico barocco
Con Moreno e il Marinismo le innovazioni aumentano, insieme al catalogo degli
oggetti poetici. La poesia barocca utilizza un’ampia gamma di animali. Nel XVII
secolo la prosa scientifica si dedicava alla descrizione del regno animale, nelle sue
forme più minute grazie all’aiuto del microscopio. Il lessico dell’anatomia celebra i
sensi e la macchina umana. Ne è un esempio Marino che nell’Adone parla
dell’anatomia dell’occhio umano e usa un lessico nuovo, miscela linguaggio vecchio
e nuovo. In questo modo la scienza comincia ad avere riconoscimento da parte della
letteratura.
Polemiche contro l’italiano
Gli illuministi del Settecento disgustano la poetica barocca. Secondo un gesuita
francese, Bouhours, solo i francesi sanno parlare e vuole promuovere il francese
come lingua universale. Lui condanna l’italiano dicendo che questa lingua non riesce
ad esprimere in maniera ordinata il pensiero umano mentre il francese aveva una base
razionale e precisa. La risposta italiana a questi attacchi arrivò tardi.

7. Il Settecento
Nel Settecento la lingua dominante era il francese, l’italiano aveva una posizione di
prestigio soprattutto a Vienna, dove era lingua di corte. L’italiano era conosciuto a
Parigi come lingua da salotto, ma un italiano per non sfigurare doveva conoscere il
francese. Dopo la rivoluzione e nell’età napoleonica il francese fu esportato nei paesi
conquistati, era considerata la lingua della chiarezza, dell’ordine della frase in quanto
la regola stabiliva una sequenza di soggetto-verbo e complemento.
Cesarotti filosofo del linguaggio
Dopo la pubblicazione del quarto vocabolario della Crusca nel 1738 ci furono critiche
all’autoritarismo della tradizione letteraria italiana. Verri scrive un intervento
sarcastico ne “il caffè” in cui mostra l’insofferenza per l’autoritarismo fiorentino. La
posizione che meglio esprime gli ideali dell’illuminismo nei confronti di una
tradizione conservatrice è quella di Cesarotti nel “saggio sulla filosofia delle lingue”
secondo il quale:
- Tutte le lingue nascono e derivano
- Nessuna lingua è pura, nascono da elementi vari
- Nascono da combinazioni casuali
- Nessuna nasce dal progetto di un’autorità
- Nessuna lingua è perfetta, tutte possono migliorare
- Nessuna è abbastanza ricca
- Nessuna è inalterabile
- Nessuna è uniforme a livello nazionale
Cesarotti dice che la lingua scritta è superiore di quella parlata e indica una strada da
contrapporre a quella troppo rigida della Crusca e a differenza degli illuministi del
caffè non chiede libertà da ogni regola. Propone un duplice concetto di genio:
- Grammaticale: inalterabile, ad esempio ci sono lingue che distinguono i casi
mediante desinenze.
- Retorico: riguarda il lessico e l’espressività della lingua stessa. In questo caso
tutto è alterabile. Cesarotti propone anche di istituire un consiglio nazionale
della lingua al posto della Crusca per trovare soluzioni alle questioni della
lingua.
Le riforme scolastiche e gli ideali di divulgazione
Gli illuministi si accostano con maggiore interesse alle condizioni del popolo e si
pensa che la conoscenza dell’italiano era fondamentale per l’uomo per assumere un
ruolo in società, così l’italiano entra nella scuola. Ma le riforme scolastiche italiane
cambiano da Stato a Stato, esemplare fu il Piemonte dove si attivano riforme per
l’università e l’italiano diviene obbligatorio. Nel Settecento si insisteva sul fatto che
ai giovani delle classi medie e popolari servisse una cultura legata alle esigenze dei
commerci e delle attività pratiche. L’uso dell’italiano continuò ad essere un fatto
d’élite, nella maggior parte delle situazioni si usa il dialetto. L’italiano è ricordato
come la lingua della dolcezza e contabilità, per questo il melodramma italiano fu
apprezzato in Francia e in Austria. Un autore teatrale italiano doveva ricorrere al
dialetto o ad una lingua mista (dialettismi, francesismi). Goldoni non si preoccupa
della purezza ma di usare una lingua viva.
Il linguaggio poetico
Nel 1690 nasce a Roma l’Arcadia un movimento che fu una palestra poetica. Nella
poesia del Settecento c’è una forte adesione al passato, uso della toponomastica e
onomastica, latinismi, arcaismi, troncamenti dei verbi all’infinito, quest’ultimi
distinguono la poesia dalla prosa.
Prosa letteraria
La prosa saggistica rappresenta uno dei nuclei più solidi della produzione culturale
del 700, molti invocano il confronto con la tradizione francese e inglese. Lo fa Baretti
e anche Verri i quali dichiarano ammirazione per la brevità degli inglesi e l’ordine dei
francesi. Diversamente invece la pensa Vico, infatti usa arcaismi e latinismi in una
struttura piena di subordinate. Anche Alfieri usa la lingua francese.
8. L’Ottocento
All’inizio dell’Ottocento si sviluppa il movimento del purismo che consiste
nell’intolleranza verso ogni innovazione linguistica, uno degli esponenti fu Antonio
Cesari. È un movimento legato al 1300, epoca d’oro della lingua. Monti pose un
freno alle esagerazioni del Purismo, critica l’accademia della Crusca e propone
correzioni al vocabolario.

La soluzione manzoniana alla questione della lingua


Le idee di Manzoni influenzarono molto la situazione dell’italiano, egli affrontò la
questione a partire dalle sue esigenze di romanziere. Nel 1821 con il “Fermo e Lucia”
usa un italiano eclettico poiché accetta forestierismi, francesismi. Nella seconda
edizione dei “Promessi Sposi” usa il dialetto. Successivamente si apre la fase
toscano- milanese nella quale lo scrittore usa il toscano attraverso vocabolari ecc. Nel
1827 si trasferì a Firenze e fu la fase definitiva, così nel 1842 pubblicò i Promessi
Sposi in fiorentino dell’uso colto. Nel 1868 rese pubblica una lettera al ministro
Broglio nella quale espone ragioni secondo le quali il fiorentino dovesse essere
diffuso attraverso una politica linguistica. Il modello di Manzoni divenne subito
qualcosa che si poteva imparare attraverso l’imitazione di un modello scritto. L’unico
freno alla teoria manzoniana fu il prestigio di Carducci avversario del popolanesimo
toscaneggiante, pronto a sferzarlo con la sua satira.
Stagione d’oro della lessicografia
L’ottocento è il secolo dei dizionari. Cesari propone aggiunte veronesi al vocabolario
della Crusca. Nel 1840 fu pubblicato il “vocabolario universale italiano” detto
Tramater, la cui base era la Crusca. Questo vocabolario si dedica molto a voci
tecniche, di scienze, lettere ecc. il tramater fu il migliore disponibile sul mercato
italiano ma fu poi superato dal Tommaso-Bellini che illustra idee morali, civili e
letterarie. Fu il primo vocabolario storico della lingua italiana. L’Ottocento fu anche
il secolo d’oro della lessicografia dialettale.
Gli effetti dell’unità politica
Nel 1861 si ebbe l’unità d’Italia ma non si aveva unità linguistica. In comune c’era
solo un modello letterario, ma c’era una divisione del parlato. Con l’unità d’Italia la
scuola elementare diventa obbligatoria, ma il problema principale era che nemmeno
gli insegnanti sapevano bene l’italiano e ognuno aveva la propria opinione sulla
questione della lingua. Le cause che hanno portato all’unificazione linguistica dopo
l’Unità sono:
- Azione unificante della burocrazia e dell’esercito (contatto dei soldati con
ufficiali che conoscevano l‘italiano)
- Azione della stampa
- Emigrazione
- Aggregazione intorno ai poli urbani
Al momento dell’unificazione (1861) gli italofoni erano al massimo 2 milioni, il 10%
della popolazione; secondo stime forse più realistiche erano solo il 2,5% della
popolazione. Tutti gli altri erano dialettofoni con una percentuale media di
analfabeti del 70-80%, con punte fino a più del 90% in alcune zone del meridione
(fino a sfiorare il 100% per le donne).
Fattori che hanno favorito l’unificazione linguistica:
- Scuola obbligatoria. Con la legge Casati (1859) e la legge Coppino (1879) si
istituisce l’obbligo scolastico, ma la scuola, almeno fino ai primi del
Novecento, non è stato un canale omogeneo di alfabetizzazione.
- Industrializzazione e crescita dei servizi, urbanizzazione e migrazioni: la
popolazione si sposta da attività rurali a impieghi industriali o nei servizi con
conseguenti spostamenti in massa dalle campagne alle città.
- Le guerre con gli spostamenti e l’incontro di migliaia di giovani provenienti
da tutte le parti d’Italia che dovevano convivere e comunicare.
- I grandi mezzi di comunicazione di massa trasmessi: cinema, radio e poi
televisione hanno svolto un ruolo determinante nella diffusione di un modello
omogeneo e standard, soprattutto fino alla fine degli anni ’60.
Il processo non ha portato all’italianizzazione integralmente fiorentina auspicata da
Manzoni: Roma, capitale politica, e le grandi città industriali del nord hanno
ridimensionato il ruolo di Firenze. Resta vero però che la base sia rimasta quella del
fiorentino tranne che per alcuni settori del lessico.
La norma costituisce l’insieme delle regole che troviamo descritte nelle grammatiche
e che sono il frutto dell’analisi di una lingua e dei suoi usi normali, dove per
normale intendiamo l’uso “statisticamente prevalente”
Il sistema di una lingua resta immutato, salvo cambiamenti radicali che portino al
passaggio da una lingua ad un’altra
Toscana e ruolo di Ascoli
Ascoli contesta le idee di Manzoni perché non crede che si possa identificare
l’italiano nel fiorentino ed era quindi inutile aspirare all’unità della lingua; questa
sarebbe stata possibile solo quando lo scambio culturale si fosse fatto fitto ed il paese
fosse diventato moderno ed efficiente. Ascoli riteneva che la lingua fosse il risultato
di fattori extralinguistici e la Toscana ritenendola un territorio non in grado di guidare
il progresso del paese.
Il linguaggio giornalistico
Nel XIX secolo nascevano molti periodici, il giornalismo diventa fenomeno di massa
e cerca uno stile comprensibile per le masse. Si caratterizza uno stile nominale e ricco
di registri.
Prosa letteraria
Nell’Ottocento si fonda la letteratura moderna narrativa grazie alle svolte di Manzoni
e Verga. Manzoni rinnova il linguaggio influenzato dal purismo e dal classicismo,
avvicina lo scritto al parlato. Nel 1827 lo scrittore andò in Toscana e avviò la
“risciacquatura dei panni in Arno” cioè corresse la lingua dei Promessi Sposi
adeguandola al fiorentino dei colti: cancella forme lombardo- milanesi, elimina le
forme eleganti e auliche, assume forme fiorentine, elimina doppioni di forme e voci.
Verga soprattutto nei “Malavoglia” adatta la lingua a strumento di comunicazione per
i personaggi siciliani del ceto popolare. La sua sintassi è un miscuglio di discorso
diretto e indiretto non usa mai le virgolette, ma il lettore capisce quando parla l’autore
o i personaggi.
La poesia
All’inizio dell’Ottocento la lingua letteraria era aulica per effetto del neoclassicismo,
si distinguevano parole nobili e quotidiane, quelle uguali venivano “nobilitate”
attraverso il troncamento. Leopardi usa un linguaggio poetico che si rifà a Tasso e
Petrarca inserendo la poetica del vago. Nel linguaggio poetico si ha difficoltà ad
introdurre novità, le parole di tutti i giorni non entrano in poesia nella seconda metà
del secolo. Praga e Batteloni introdussero qualche innovazione. Nell’Ottocento si
sviluppò la poesia dialettale, i romantici erano difensori del dialetto, i classicisti
difendevano l’italiano da ogni discesa verso il livello basso della comunicazione.

9. Il Novecento
Il Novecento fu un secolo ricco di novità linguistiche che contrastano con la
tradizione di alto livello. La poesia di D’Annunzio fu innovativa, lui sperimenta
forme diverse, usa citazioni, esempi e stilemi antichi. La prima rottura con il
linguaggio tradizionale si ha con Pascoli, con i crepuscolari e le avanguardie. In Italia
si identifica con il Futurismo che vuole un rinnovamento delle forme. Con Pascoli
cade la distinzione
fra parole poetiche e non. Per la prima metà del 900 l’esempio più famoso fu
D’Annunzio che si caratterizza per il periodare breve e la sintassi nominale. Riflesso
del parlato si trova nella prosa di Pirandello, il suo stile è l’opposto di quello di
D’Annunzio, non usava il dialetto. Italo Svevo: la sua lingua non va giudicata in base
a modelli letterari della tradizione. Il dialetto è importante in questo periodo, si
distingue l’utilizzazione diretta e le varie miscele tra dialetto e lingua.
Oratoria e prosa d’azione
L’oratoria fu il mezzo di diffusione del fascismo, il modello più efficiente di oratoria
era quello di D’Annunzio. L’oratoria fascista aveva delle caratteristiche: metafore
religiose e militari, ossessione dei numeri: insistenza sui “milioni di italiani”. Molti
slogan, luoghi comuni. Il fascismo ebbe una chiara politica linguistica: battaglia
contro i forestierismi, polemica antidialettale, italianizzazione dei nomi, repressione
delle minoranze etniche. Nel 1930 ci fu la soppressione nei film di scene in lingua
straniera. Nel 1940 l’accademia d’Italia doveva trovare sostituzioni italiane a parole
straniere. Ci fu una campagna per abolire il “lei” e sostituirlo con il “voi”. Nel 1923
Gentile tolse alla Crusca il compito di preparare il vocabolario e bloccò la quinta
edizione. Il vocabolario prodotto dall’Accademia d’Italia non ebbe successo.
Pasolini e la lingua
Pasolini fa un’analisi socio-linguistica della situazione presente, sosteneva che fosse
nato un nuovo italiano nato al nord nel dopoguerra, le cui caratteristiche erano:
- semplificazione sintattica
- diminuzione dei latinismi
- prevalenza della tecnica alla letteratura Pasolini privilegia il plurilinguismo e
rivendica la funzione dei dialetti.
Oggi abbiamo l’italiano “stanoa” cioè una lingua massificata usata da molti scrittori.
La poesia del Novecento ha spaziato molto: dall’artificiosità linguistica al linguaggio
semplice e medio.
Verso l’unificazione
Nel corso del Novecento c’era stata una perdita nei dialetti, cambiamenti a livello di
scolarizzazione, i dialetti si sono italianizzati. Importante è stata la funzione della
televisione, della radio e dei giornali che hanno contribuito a creare un modello più
alto.
L’italiano dell’uso medio
È il nome di una categoria definita da Sabatini sulla base di fenomeni grammaticali
ricorrenti nell’italiano di oggi. La differenza rispetto all’italiano standard sta nel fatto
che questo italiano accoglie fenomeni del parlato, presenti nello scritto ma tenuti a
freno dalla grammatica. Lo standard rappresenta un italiano ufficiale e astratto.
L’italiano dell’uso medio è una realtà diffusa di cui tutti abbiamo esperienza, alcune
caratteristiche sono:
- “lei”, ”lui”, “loro” usati come soggetti
- “gli” generalizzato con “le”, “loro”
- Diffusione di “sto”, “sta” al posto di questo
- Imperfetto al posto del congiuntivo
Nel 1962 l’introduzione della scuola media unica fu importante per l’omologazione
di tutti gli italiani. Nel dibattito sulla lingua interviene anche don Milani che propone
di adottare l’insegnamento alle necessità dei suoi allievi. Ancora oggi si hanno
fenomeni di italiano “selvaggio” cioè che difficilmente segue le regole grammaticali.

10. Quadro linguistico dell’Italia attuale


L’italiano oggi è parlato in tutta la Repubblica Italiana, nello stato del Vaticano, nella
Repubblica di San Marino, in alcuni cantoni della Svizzera e nel principato di
Monaco. Dentro i confini dell’Italia sono presenti gruppi alloglotti cioè coloro che
parlano una lingua diversa da quella ufficiale, ovvero minoranze linguistiche. Il
ladino e il sardo possono essere considerati delle vere e proprie lingue. Si può parlare
di isole linguistiche quando ci sono comunità caratterizzate da specifiche diversità.
Aree dialettali
Si distinguono tre diverse aree dialettali: settentrionale, centrale e meridionale.
Nell’area settentrionale troviamo un indebolimento delle occlusive sorde in posizione
intervocalica; la caduta delle vocali finali, contrazione delle sillabe atone. In
meridione invece abbiamo la sonorizzazione delle vocali sorde in posizione post
nasale, metafonesi delle vocali toniche “E” ed “O” per influsso di “I” e “u” (aceto-
acitu); uso di tenere per avere, uso del possessivo in posizione proclitica.
Gli italiani regionali
In Italia abbiamo marcate differenze a livello fonetico, lessicale, sintattico e più
raramente morfologico. Si chiamano varietà diatopiche dell’italiano; a cambiare
notevolmente è la pronuncia. Ci sono quattro grandi gruppi dialettali settentrionale,
toscano, romano, meridionale.

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