Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Introduzione
La storia linguistica italiana è stata in costante rapporto tra il centro della Toscana e
la sua periferia. Il toscano nella sua espansione ha incontrato le parlate locali, ma non
si può ancora parlare di dialetto, questo si affermerà dopo la nascita di una lingua.
L’Italia era l’unica nazione in cui la capitale politica, Roma, non corrisponde alla
capitale linguistica che era Firenze.
I forestierismi
La lingua non vive isolata, si trasmette attraverso i libri, i viaggi, i commerci. Le
lingue più prestigiose tendono ad influenzare le altre. Il rapporto tra due lingue può
produrre “calchi”, i quali possono essere di due tipi:
- Calco di traduzione: avviene quando si traduce alla lettera una parola straniera.
- Calco semantico: avviene quando una parola italiana assume nuovo significato
traendolo da una parola straniera.
Esistono anche diversi tipi di prestiti:
- Prestiti di necessità: nuova parola che è necessaria ad una lingua in quanto ha
un significato nuovo.
- Prestiti di lusso: sostituiscono parole già esistenti.
- Prestiti semantici: nuovo significato attribuito a parole già esistenti. Questi
possono essere di due tipi: omonimici ovvero basati su somiglianza del
significante e sinonimici basati su somiglianza del significato.
L’italiano è stato maggiormente in relazione con le lingue europee come ad esempio
il francese, infatti ricordiamo la lingua d’oc e d’oil le quali si sviluppano prima della
nostra e ci influenzano soprattutto tra Settecento e Ottocento. Ma anche l’inglese, la
cui influenza dura dall’Ottocento fino ad oggi. Altre lingue con cui l’italiano è stato
in relazione sono lo spagnolo, il latino e il greco. È importante ricordare anche il
rapporto della nostra lingua con quella araba nel Medioevo grazie ai commerci. Il
mistilinguismo è la mescolanza tra elementi linguistici diversi, nello scritto e nel
parlato, questo può manifestarsi in maniera involontaria o volontaria per una scelta
stilistica.
Notai e mercanti del medioevo
I notai sono figure molto importanti in quanto molti dei primi documenti del volgare
sono stati scritti da notai fruitori della lingua volgare. Anche quella del mercante è
una figura importante. Il mercante era meno istruito del notaio, ma conosceva le
lingue straniere perché abituato a viaggiare per lavoro, non conosceva il latino ma
sapeva leggere, scrivere e far di conto. I libri di famiglia sono quaderni in cui i
membri della famiglia annotavano avvenimenti importanti, memorie, considerazioni
personali, dati di interesse patrimoniale ecc.
Scienziati e tecnici
Fino al rinascimento la lingua scientifica e della medicina fu solo il latino, ci volle
parecchio tempo prima che il volgare potesse competere con questo. Dante vide le
grandi potenzialità del volgare e vi scrisse il Convivio, ma per le altre opere
scientifiche utilizzò il latino. Fu Galileo Galilei il protagonista che promosse l’uso del
volgare in campo scientifico.
I grammatici
L’italiano aveva una grande tradizione letteraria quando, fra Quattrocento e
Cinquecento, si cominciò a stabilizzare la norma. La prima breve grammatica italiana
è la “Grammatichetta vaticana” di Leon Battista Alberti del 400. Successivamente
abbiamo “regole grammaticali” la prima grammatica a stampa del 500. Anche in
“prose della volgar lingua” di Pietro Bembo si trova una parte dedicata alla
grammatica. Le norme di grammatica erano ricavate da Dante, Boccaccio e Petrarca e
resero più omogenea la scrittura, prima di questo gli scrittori dovevano ricavare da
soli le regole grammaticali. I primi vocabolari a stampa, verso i primi anni del 500,
avevano lo stesso intento delle grammatiche, l’accademia della Crusca, fondata alla
fine del 500, pubblica nel 1612 un vocabolario più ampio di quelli realizzati fino ad
allora. Il modello fu molto forte ed ebbe diverse edizioni.
La politica linguistica
Letteratura e cultura sono i canali principali di diffusione dell’italiano. In Toscana la
lingua parlata era vicina a quella scritta e letteraria. Il toscano era usato alla corte
medicea tra 400 e 500. Il volgare compare in alcune cancellerie signorili, è qui che
nel 400 si forma la lingua comune. Fino al 700 però il volgare non veniva insegnato.
Solo in Toscana nel 500 furono istituite cattedre di lingua toscana.
Editori e tipografia I primi tipografi erano tedeschi, ma in breve tempo si diffuse
l’arte tipografica il cui centro si verificò a Venezia. La stampa influenzò l’evoluzione
della lingua e regolarizzò la scrittura. L’Incunabolo è un libro quattrocentesco
appartenente al primo periodo dell’arte tipografica. Nel primo secolo della stampa la
produzione fu prevalentemente in latino. Il primo libro in volgare oggi conosciuto è
un testo popolare devoto: “fioretti di San Francesco” del 1469. Viene anche preso in
considerazione il frammento di un libro di preghiere detto “parsons fragment” che
potrebbe risalire al 1462.
Tra il 1470 e il 1472 ci furono gli autori massimi della letteratura volgare, Petrarca
con il Decameron e il Canzoniere e Dante con la Commedia. Nel corso del 500 grafia
e punteggiatura divennero più uniformi. L’apostrofo fu introdotto da Bembo nel 500.
Dalla stampa ai mass media
Nel 700/800 accanto al libro abbiamo anche il giornale e riviste come “il Caffè” o
“La biblioteca italiana” che si collocano a livello più alto e sono rivolte ad un
pubblico più colto. Nell’Ottocento si diffondono i giornali popolari rivolti ad un
pubblico più vasto. I giornali in questo periodo sono favoriti dalla crescita della
scolarizzazione e dell’alfabetizzazione. Successivamente la diffusione dell’italiano si
è avuta grazie ai mezzi di comunicazione di massa come la radio, la televisione o il
cinema.
Lingua scritta e parlata
C’è una differenza tra lingua scritta e parlata, anche oggi. La scrittura ha una
maggiore durata e permette la correzione e il ripensamento. Nella storia della lingua
troviamo l’influenza delle classi subalterne, il passaggio dal latino alle lingue
romanze è avvenuto a livello popolare. Gli studiosi si sono occupati dell’italiano del
popolo, facendo uso della categoria “italiano popolare” utilizzata dall’inizio degli
anni Sessanta per indicare la parlata dialettale degli incolti, o l’italiano
imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto. Le classi subalterne
sono prese in considerazione proprio per la loro cultura dialettale. I dialetti si sono via
via avvicinati alla lingua, mentre l’italiano ha acquisito elementi dei dialetti.
L’italiano popolare è l’italiano di chi non riesce a staccarsi dal dialetto e contamina i
codici dando luogo ad errori. L’italiano parlato nel nostro paese è uniforme ma varia
da regione a regione, soprattutto a livello fonetico e fonologico.
3. Il Trecento
Dante e il successo del toscano
La commedia è scritta in una lingua diversa da quella teorizzata nel De vulgari
eloquentia, con la sua ricchezza di temi la commedia favorisce la promozione del
volgare. Il successo della Commedia fu determinante per il successo della lingua
toscana. Il processo fu favorito dal fatto che nel 300 altri due autori toscano
produssero opere in fiorentino, ovvero Petrarca con il Canzoniere e Boccaccio con il
Decameron. Questi due autori insieme a Dante sono detti le tre corone. Inoltre la
società fiorentina aveva rapporti mercantili con il resto d’Italia; il fiorentino aveva
elementi per penetrare sia parlate del Nord che del Sud, inoltre era simile al latino. La
Commedia fu scritta durante l’esilio di Dante quindi ha influenze linguistiche
dell’Italia settentrionale; nella composizione si ispirò a Virgilio e usò il volgare per
rimanere un livello sotto a lui e non gli dette il termine “divina” per lo stesso motivo.
Dante nella Commedia usa il plurilinguismo ovvero latinismi, termini forestieri,
plebei, parole toscane e non. Toni diversi dall’inferno al paradiso. Usa anche il
polimorfismo ovvero l’alternanza di forme dittongate e non. Petrarca invece usa un
linguaggio selettivo, il volgare è molto ridotto rispetto al latino, il titolo stesso della
raccolta di poesia è in latino: Rerum volgarium fragmenta ovvero il Canzoniere.
Secondo lui il volgare non è la lingua naturale dell’uomo. Usa una disposizione
irregolare delle parole e molti chiasmi, antitesi, allitterazioni ecc Boccaccio con il
Decameron ci porta a un salto di qualità nella prosa. Nelle sue novelle ci sono varie
situazioni narrative, troviamo tutte le classi sociali, compaiono voci veneziane,
senesi, scambi di battute con elementi popolari, ma possiamo trovare anche latinismi.
4. Il Quattrocento
Petrarca fu l’iniziatore dell’Umanesimo, lui usava principalmente la lingua latina.
Con la svolta umanistica ci fu una crisi del volgare che lo screditò agli occhi dei dotti.
Il latino era preferito in quanto lingua più nobile, infatti il volgare veniva usato nelle
scritture pratiche e d’affari. Durante l’Umanesimo nacquero alcuni tipi di scrittura in
cui il latino e volgare si mescolano, qui la contaminazione è volontaria. Ci sono due
forme di contaminazione colta:
- Il macaronico: formazione di parole miste, a una parola volgare può essere
applicata una desinenza latina. Il risultato è un latino che sembra pieno di
errori, ma è una scelta volontaria a scopo comico. Nasce a Padova.
- Il polifilesco: mescolanza tra latino e volgare che ricorda il macaronico.
Leon Battista Alberti iniziò l’Umanesimo volgare. Era convinto che bisognasse
imitare i latini poiché avevano scritto una lingua di uso generale e il volgare era la
lingua di tutti; a lui è attribuita la realizzazione della prima grammatica italiana in
lingua volgare moderna, fu tramandata da un codice conservato nella biblioteca
Vaticana. La grammatichetta vaticana vuole dimostrare che anche il volgare ha una
sua struttura grammaticale infatti utilizza il toscano. Per promuovere il toscano
organizzò il Certame coronario cioè una gara poetica in cui i concorrenti si affrontano
con componimenti in volgare. La giuria però fece fallire il certame. Lorenzo il
Magnifico rilancia il toscano attraverso l’opera di Poliziano e Landino, quest’ultimo
era cultore della poesia di Dante e Petrarca. Nell’ambiente mediceo vediamo la
trasposizione su un piano colto di un genere popolare: il cantare cavalleresco portato
su piazza da cantastorie per intrattenere un pubblico medio-basso. Nel Quattrocento
troviamo raccolte di laude in cui il toscano non compariva. I predicatri si muovevano
da luogo a luogo e possedevano un volgare in grado di comunicare al di là dei confini
di una singola regione.
La lingua coinè e le cancellerie
La poesia volgare ebbe maggior uniformità rispetto alla prosa che aveva bisogno di
settori extraletterari. Si può parlare di varie scriptae, lingue scritte collocate in precisi
spazi sociali e geografici. Nel 400 queste lingue si evolvono verso forme di coinè
cioè una lingua scritta che mira all’eliminazione dei tratti locali accogliendo latinismi
e appoggiandosi al toscano.
5. Il Cinquecento
Nel 500 il volgare aumenta il suo prestigio grazie ad autori come Machiavelli,
Ariosto, Tasso ecc ma la maggior parte dei libri pubblicati era ancora in latino. La
fiducia nel volgare aumentava anche grazie alla regolamentazione grammaticale. Si
ebbe il tramonto della scrittura coinè, ma il latino mantenne ancora una posizione
rilevante in moltissimi settori come quello pubblico-amministrativo, giuridico,
filosofico, medico. Il volgare veniva usato nella scienza per opere di divulgazione.
Bembo e la questione della lingua
In questo periodo vennero pubblicate le stampe tascabili di due classici: Virgilio e
Orazio e anche il Petrarca con un volgare curato da Bembo nel 1501. Sul testo di
Petrarca si sono fondate le teorie esposte nelle “prose della volgar lingua” che fu un
testo al centro del dibattito sulla natura del volgare. Le prose della volgar lingua si
divide in tre libri, il terzo dei quali contiene una vera e propria grammatica esposta
attraverso il dialogo tra quattro personaggi. Nelle “prose” abbiamo un’analisi storico-
linguistica secondo la quale il volgare nasce dalla contaminazione del latino ad opera
degli invasori barbari. Quando Bembo parla di volgare intende il toscano trecentesco.
Boccaccio nelle sue opere utilizza una sintassi latineggiante, inversioni e frasi
gerundive, questo modello fu assunto anche nelle prose. Secondo altre tesi la lingua
cortigiana era il volgare migliore, ma per Bembo non è così. Nel 1529 Trissino da
alla stampa il DeVulgari in traduzione italiana. Nello stesso anno pubblica il
“castellano” dialogo in cui sosteneva che la lingua poetica di Petrarca era composta
da vocaboli di tutta Italia. Negava la fiorentinità della lingua letteraria e propone una
riforma dell’alfabeto con l’introduzione di due segni: epsilon e omega. Machiavelli
non accetta la tesi di Trissino e nel “dialogo intorno alla nostra lingua” parla con
Dante, il quale fa ammenda sugli errori commessi nel De Vulgari. Nasce una
polemica sull’autenticità del De Vulgari poiché la traduzione di Trisino circola più
dell’opera originale. Varchi afferma che la molteplicità delle lingue dipende dalla
tendenza dell’uomo alla varietà.
6. Il Seicento
Gli accademici della Crusca imposero il modello toscano come il più adatto per
l’italiano e nel 1612 uscì il primo vocabolario in un italiano ripreso da quello del
Trecento e unito a quello del Seicento. Venne poi stampato a Venezia per motivi
economici. Sul frontespizio portava l’immagine del frullone, strumento usato per
separare la farina dalla crusca allusivo alla selezione del lessico. Vi furono poi due
edizioni dopo la prima: la seconda fu del 1623 e la terza del 1691, la quale si presenta
in tre tomi. L’accademia della Crusca aveva anche degli oppositori:
- Beni: autore di un’anticrusca nella quale confronta Salviati e gli scrittori del
Cinquecento, in particolare con Tasso. In questa opera parte da un giudizio
negativo sulla letteratura del Trecento
- Tassoni: protesta contro la dittatura fiorentina sulla lingua
- Bartoli: scrive un testo in cui usa l’ironia nei confronti di ogni forma di
rigorismo grammaticale.
Il linguaggio della scienza
Galileo scrisse volutamente in volgare utilizzando il latino come confronto negativo.
Pur scegliendo il volgare non raggiunge mai un livello basso o popolare ma un tono
elegante e medio. Lui ha fissato il significato dei termini in maniera univoca, quando
nomina cose nuove usa termini comuni per evitare di introdurre una terminologia
troppo colta, ne è un esempio la dicitura “macchie solari”.
• Cinquecento e Seicento: latino lingua ufficiale della scienza (fino alla fine del
Settecento).
• La scienza ha però risvolti applicativi che interessavano i “meccanici” cioè
ingegneri, architetti, esperti di fortificazioni, di balistica, di idraulica, i medici
militari, i chirurghi, le levatrici… Si sviluppa quindi una produzione libraria in
volgare o che traduceva opere in latino.
• Galileo decide di superare il solco che divideva da secoli il livello speculativo della
scienza da quello operativo con la scelta di un “volgare letterario”.
Il melodramma
Nasce in occasione del matrimonio di Maria De Medici nel 1600. Il melodramma
permette di affrontare il rapporto tra parole e musica. Il melodramma del primo
Seicento fu un tentativo di ricreare la tragedia antica. Fino al Cinquecento il teatro era
stato solo recitato, il melodramma spopolò nel XVII secolo.
Il linguaggio poetico barocco
Con Moreno e il Marinismo le innovazioni aumentano, insieme al catalogo degli
oggetti poetici. La poesia barocca utilizza un’ampia gamma di animali. Nel XVII
secolo la prosa scientifica si dedicava alla descrizione del regno animale, nelle sue
forme più minute grazie all’aiuto del microscopio. Il lessico dell’anatomia celebra i
sensi e la macchina umana. Ne è un esempio Marino che nell’Adone parla
dell’anatomia dell’occhio umano e usa un lessico nuovo, miscela linguaggio vecchio
e nuovo. In questo modo la scienza comincia ad avere riconoscimento da parte della
letteratura.
Polemiche contro l’italiano
Gli illuministi del Settecento disgustano la poetica barocca. Secondo un gesuita
francese, Bouhours, solo i francesi sanno parlare e vuole promuovere il francese
come lingua universale. Lui condanna l’italiano dicendo che questa lingua non riesce
ad esprimere in maniera ordinata il pensiero umano mentre il francese aveva una base
razionale e precisa. La risposta italiana a questi attacchi arrivò tardi.
7. Il Settecento
Nel Settecento la lingua dominante era il francese, l’italiano aveva una posizione di
prestigio soprattutto a Vienna, dove era lingua di corte. L’italiano era conosciuto a
Parigi come lingua da salotto, ma un italiano per non sfigurare doveva conoscere il
francese. Dopo la rivoluzione e nell’età napoleonica il francese fu esportato nei paesi
conquistati, era considerata la lingua della chiarezza, dell’ordine della frase in quanto
la regola stabiliva una sequenza di soggetto-verbo e complemento.
Cesarotti filosofo del linguaggio
Dopo la pubblicazione del quarto vocabolario della Crusca nel 1738 ci furono critiche
all’autoritarismo della tradizione letteraria italiana. Verri scrive un intervento
sarcastico ne “il caffè” in cui mostra l’insofferenza per l’autoritarismo fiorentino. La
posizione che meglio esprime gli ideali dell’illuminismo nei confronti di una
tradizione conservatrice è quella di Cesarotti nel “saggio sulla filosofia delle lingue”
secondo il quale:
- Tutte le lingue nascono e derivano
- Nessuna lingua è pura, nascono da elementi vari
- Nascono da combinazioni casuali
- Nessuna nasce dal progetto di un’autorità
- Nessuna lingua è perfetta, tutte possono migliorare
- Nessuna è abbastanza ricca
- Nessuna è inalterabile
- Nessuna è uniforme a livello nazionale
Cesarotti dice che la lingua scritta è superiore di quella parlata e indica una strada da
contrapporre a quella troppo rigida della Crusca e a differenza degli illuministi del
caffè non chiede libertà da ogni regola. Propone un duplice concetto di genio:
- Grammaticale: inalterabile, ad esempio ci sono lingue che distinguono i casi
mediante desinenze.
- Retorico: riguarda il lessico e l’espressività della lingua stessa. In questo caso
tutto è alterabile. Cesarotti propone anche di istituire un consiglio nazionale
della lingua al posto della Crusca per trovare soluzioni alle questioni della
lingua.
Le riforme scolastiche e gli ideali di divulgazione
Gli illuministi si accostano con maggiore interesse alle condizioni del popolo e si
pensa che la conoscenza dell’italiano era fondamentale per l’uomo per assumere un
ruolo in società, così l’italiano entra nella scuola. Ma le riforme scolastiche italiane
cambiano da Stato a Stato, esemplare fu il Piemonte dove si attivano riforme per
l’università e l’italiano diviene obbligatorio. Nel Settecento si insisteva sul fatto che
ai giovani delle classi medie e popolari servisse una cultura legata alle esigenze dei
commerci e delle attività pratiche. L’uso dell’italiano continuò ad essere un fatto
d’élite, nella maggior parte delle situazioni si usa il dialetto. L’italiano è ricordato
come la lingua della dolcezza e contabilità, per questo il melodramma italiano fu
apprezzato in Francia e in Austria. Un autore teatrale italiano doveva ricorrere al
dialetto o ad una lingua mista (dialettismi, francesismi). Goldoni non si preoccupa
della purezza ma di usare una lingua viva.
Il linguaggio poetico
Nel 1690 nasce a Roma l’Arcadia un movimento che fu una palestra poetica. Nella
poesia del Settecento c’è una forte adesione al passato, uso della toponomastica e
onomastica, latinismi, arcaismi, troncamenti dei verbi all’infinito, quest’ultimi
distinguono la poesia dalla prosa.
Prosa letteraria
La prosa saggistica rappresenta uno dei nuclei più solidi della produzione culturale
del 700, molti invocano il confronto con la tradizione francese e inglese. Lo fa Baretti
e anche Verri i quali dichiarano ammirazione per la brevità degli inglesi e l’ordine dei
francesi. Diversamente invece la pensa Vico, infatti usa arcaismi e latinismi in una
struttura piena di subordinate. Anche Alfieri usa la lingua francese.
8. L’Ottocento
All’inizio dell’Ottocento si sviluppa il movimento del purismo che consiste
nell’intolleranza verso ogni innovazione linguistica, uno degli esponenti fu Antonio
Cesari. È un movimento legato al 1300, epoca d’oro della lingua. Monti pose un
freno alle esagerazioni del Purismo, critica l’accademia della Crusca e propone
correzioni al vocabolario.
9. Il Novecento
Il Novecento fu un secolo ricco di novità linguistiche che contrastano con la
tradizione di alto livello. La poesia di D’Annunzio fu innovativa, lui sperimenta
forme diverse, usa citazioni, esempi e stilemi antichi. La prima rottura con il
linguaggio tradizionale si ha con Pascoli, con i crepuscolari e le avanguardie. In Italia
si identifica con il Futurismo che vuole un rinnovamento delle forme. Con Pascoli
cade la distinzione
fra parole poetiche e non. Per la prima metà del 900 l’esempio più famoso fu
D’Annunzio che si caratterizza per il periodare breve e la sintassi nominale. Riflesso
del parlato si trova nella prosa di Pirandello, il suo stile è l’opposto di quello di
D’Annunzio, non usava il dialetto. Italo Svevo: la sua lingua non va giudicata in base
a modelli letterari della tradizione. Il dialetto è importante in questo periodo, si
distingue l’utilizzazione diretta e le varie miscele tra dialetto e lingua.
Oratoria e prosa d’azione
L’oratoria fu il mezzo di diffusione del fascismo, il modello più efficiente di oratoria
era quello di D’Annunzio. L’oratoria fascista aveva delle caratteristiche: metafore
religiose e militari, ossessione dei numeri: insistenza sui “milioni di italiani”. Molti
slogan, luoghi comuni. Il fascismo ebbe una chiara politica linguistica: battaglia
contro i forestierismi, polemica antidialettale, italianizzazione dei nomi, repressione
delle minoranze etniche. Nel 1930 ci fu la soppressione nei film di scene in lingua
straniera. Nel 1940 l’accademia d’Italia doveva trovare sostituzioni italiane a parole
straniere. Ci fu una campagna per abolire il “lei” e sostituirlo con il “voi”. Nel 1923
Gentile tolse alla Crusca il compito di preparare il vocabolario e bloccò la quinta
edizione. Il vocabolario prodotto dall’Accademia d’Italia non ebbe successo.
Pasolini e la lingua
Pasolini fa un’analisi socio-linguistica della situazione presente, sosteneva che fosse
nato un nuovo italiano nato al nord nel dopoguerra, le cui caratteristiche erano:
- semplificazione sintattica
- diminuzione dei latinismi
- prevalenza della tecnica alla letteratura Pasolini privilegia il plurilinguismo e
rivendica la funzione dei dialetti.
Oggi abbiamo l’italiano “stanoa” cioè una lingua massificata usata da molti scrittori.
La poesia del Novecento ha spaziato molto: dall’artificiosità linguistica al linguaggio
semplice e medio.
Verso l’unificazione
Nel corso del Novecento c’era stata una perdita nei dialetti, cambiamenti a livello di
scolarizzazione, i dialetti si sono italianizzati. Importante è stata la funzione della
televisione, della radio e dei giornali che hanno contribuito a creare un modello più
alto.
L’italiano dell’uso medio
È il nome di una categoria definita da Sabatini sulla base di fenomeni grammaticali
ricorrenti nell’italiano di oggi. La differenza rispetto all’italiano standard sta nel fatto
che questo italiano accoglie fenomeni del parlato, presenti nello scritto ma tenuti a
freno dalla grammatica. Lo standard rappresenta un italiano ufficiale e astratto.
L’italiano dell’uso medio è una realtà diffusa di cui tutti abbiamo esperienza, alcune
caratteristiche sono:
- “lei”, ”lui”, “loro” usati come soggetti
- “gli” generalizzato con “le”, “loro”
- Diffusione di “sto”, “sta” al posto di questo
- Imperfetto al posto del congiuntivo
Nel 1962 l’introduzione della scuola media unica fu importante per l’omologazione
di tutti gli italiani. Nel dibattito sulla lingua interviene anche don Milani che propone
di adottare l’insegnamento alle necessità dei suoi allievi. Ancora oggi si hanno
fenomeni di italiano “selvaggio” cioè che difficilmente segue le regole grammaticali.