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Lo spazio linguistico
Il nostro agire linguistico si realizza attraverso una serie di condizioni e scelte che si
possono collocare su più dimensioni.
Gli scambi comunicativi avvengono in una “architettura della lingua” (Eugenio
Coseriu) costituita da più varietà, che potremmo definire come le diverse
attualizzazioni della lingua in una comunità di parlanti.
Ogni lingua quanto più è diffusa nello spazio e nel tempo, tanto più presenta una
serie di differenze, dovute a variabili, dette assi di variazione.
Attingere alle diverse varietà permette a ogni parlante di una stessa lingua di
esprimere la stessa cosa in modi differenti; quindi avere a disposizione uno spazio
linguistico il più ampio possibile, garantisce una maggiore libertà di espressione.
Il processo di estensione di questo spazio attraversa tutto l’arco della vita, le
competenze lessicali possono continuare ad accrescersi sempre, ma è fondamentale
che questa tendenza ad allargare i confini delle proprie capacità linguistiche sia
stimolata e guidata fin dalla prima infanzia.
Lo schema attuale utile a descrivere l’impianto dell’italiano contemporaneo ha alla
base le seguenti 3 dimensioni di variazione:
- Diatopia: (dia, attraverso, topos, luogo) in cui le variazioni si realizzano al
variare dello spazio geografico e in cui sono collocati i diversi italiani
regionali, ovvero le diverse realizzazioni dell’italiano che rendono
riconoscibile la provenienza di ciascun parlante della penisola. I tratti più
immediatamente visibili riguardano la fonetica, l’intonazione, la cadenza, il
lessico.
- Diastratia: (dia, attraverso, stratum, steso) in cui le variazioni si realizzano al
variare degli strati sociali di appartenenza dei parlanti; vi troviamo agli estremi
l’italiano colto e l’italiano popolare, ma la stratificazione tiene conto anche
dell’appartenenza alle diverse categorie sociali, età, sesso…
- Diafasia: (dia, attraverso, phemi, dire) in cui le variazioni si realizzano al
variare della situazione comunicativa. Italiano scritto formale e italiano parlato
informale rappresentano gli estremi.
Un precedente schema teneva distinto l’asse diamesico (mesos, mezzo), quello sul
quale si snodano le variazioni dovute al variare del mezzo utilizzato per trasmettere il
messaggio.
La variabile diamesica è quella legata al mezzo materiale in cui avviene la
comunicazione.
A queste tre dimensioni si deve aggiungere quella della diacronia, che fa da sfondo
allo schema appena descritto, in cui si considerano i cambiamenti degli usi linguistici
in archi temporali più o meno estesi e nei contesti sociali in cui si sono prodotti e da
cui sono stati influenzati. Questa dimensione è quella che si attraversa quando si
studia la storia di una lingua.
La variabile diacronica è quella legata al tempo; il passare del tempo determina
inevitabilmente un mutamento nell’uso linguistico. Alcune differenze si rilevano già
nell’uso linguistico dei giovani rispetto a quello degli anziani.
Ogni bambino è immerso fin dalla nascita nello spazio linguistico; con l’ingresso
nella scuola dell’infanzia e poi alla primaria, questa esperienza inconsapevole deve
essere guidata verso una progressiva sistematizzazione; sensibilizzare i bambini alle
differenze di registro e far distinguere ad esempio la varietà confidenziale e informale
è uno dei compiti più impegnativi per i maestri.
SLIDE
Una lingua è un sistema nel quale coesistono diverse possibilità di variabilità. Sullo
sfondo c’è sempre il fattore tempo (varietà diacroniche), mentre ci si muove sempre
su quattro assi:
- Varietà diatopiche
- Varietà diastratiche
- Varietà diafasiche
- Varietà diamesiche
L’italiano nell’uso medio o neostandard, una varietà molto estesa nel panorama
dell’italiano contemporaneo
Nell’uso attuale della lingua italiana sono state individuate 5 varietà che si
distinguono dalle altre:
- Italiano standard: regolato sulla norma grammaticale (quello della tradizione
scritta)
- Italiano dell’uso medio: usato nella comunicazione parlata spontanea delle
persone colte e adatto anche alle scritture più agili (giornalismo, narrativa…)
- Italiano regionale: che risente in varia misura dei tratti provenienti dai dialetti
delle singole regioni
- Italiano popolare: che rappresenta il modo approssimativo di servirsi
dell’italiano da parte delle persone con bassa istruzione
- Italiano degli immigrati: rappresentano delle varietà di contatto con le lingue
degli immigrati
Quella più diffusa è quella che Sabatini ha definito italiano dell’uso medio; vediamo i
fenomeni principali di questa varietà:
- Tratti fonetici: tendenza a realizzare vocali aperte o chiuse seguendo la propria
pronuncia regionale, utilizzo della s sonora anche dove richiesta sorda (casa,
pisa), tendenza a non censurare i tratti della propria pronuncia regionale
- Tratti morfosintattici: lui/ lei al posto di egli/ella/esso/essa, gli come forma
dativale per loro
Lo schema della comunicazione
Ogni volta che utilizziamo la lingua significa che abbiamo deciso di comunicare
qualcosa a qualcuno. Si tratta di un processo automatico che risponde a uno schema
fisso in cui sono coinvolti sei fattori (modello Jakobson):
- Contesto
- Mittente
- Destinatario
- Messaggio
- Codice (insieme dei segni)
- Canale
Il mittente può formulare il messaggio in modo da trasmettere il suo stato d’animo
(funzione emotiva), per attirare l’attenzione del destinatario (f. conativa), per
rimarcare un fatto in sé (f. referenziale), per verificare se il contatto tra mittente e
destinatario è aperto e funzionante (f. fatica), per parlare attraverso la lingua della
lingua stessa (f. metalinguistica), e f. poetica riguarda il messaggio nella sua forma
linguistica.
Le coppie minime
I componenti minimi di una lingua sono i suoi distintivi, fonemi, unità prive di
significato proprio ma che componendosi, formano unità più consistenti dotate di
significato.
Anche se un bambino di 4 anni non sa niente dei fonemi dell’italiano, si accorge
comunque che c’è qualcosa di strano in frasi come “mangia una vetta di pane”.
Vetta/fetta parte/carte sono coppie minime, ovvero coppie di parole in cui, al variare
di un solo fonema cambia li significato.
Tecnicamente questo procedimento si chiama prova di commutazione ed è li modo
attraverso cui è stato possibile individuare quella trentina di suoni che compone il
repertorio fonologico dell’italiano.
Far giocare i bambini con le coppie minime è un ottimo sistema per farli soffermare
su quello che ascoltano e dicono.
Per lavorare con le coppie minime è utile sapere che ci sono alcune coppie di fonemi
molto produttive, altre per cui invece è difficile trovare coppie oppositive; ad esempio
i fonemi /t/ e /d/ distinguono molte coppie di parole (tata-data turo-duro tonto-tondo
prete-prede…). L’opposizione tra /e/ ed /è/ e quella tra /o/ e /ò/ distinguono poche
coppie di parole (pèsca-pésca vènti-vénti fosse-fòsse…)
Esempi coppie minime: CANE-pane-tane-chine, PERO-pelo-peso-cielo, ALLA-ella-
adda-ascia-anna-aia-ama, PESTARE-pescare-postare-restare, PORTO-morto-parto-
posto (corto no perché cambia anche la o), FIERO-pieno-fiero, MITO-muso-muro-
moto-mito, VIRARE-tirare-virale-mirare. Sciame-fame, pino-piglio, pegno-pelo,
ceto-veto. NON sono coppie minime: cielo-velo (perché cambia c-v e è-è), ciao-miao
(ci/a/o e m/i/a/o).
Fonetica: si occupa dei soni linguistici da un punto di vista concreto, i suoni
fisicamente diversi tra loro (foni).
Fonologia: studia i suoni da un punto di vista astratto e relazionale (fonemi); le
regole della fonologia permettono di individuare il repertorio di suoni di ciascuna
lingua e le loro relazioni con i segni grafici che li rappresentano; oggetto della
fonologia sono i suoni distintivi di una lingua (fonemi), capaci di opporsi in coppie
minime.
La fonetica si occupa dei suoni linguistici (foni) da un punto di vista concreto (tutti
quelli che il nostro apparato fonatorio può produrre); la fonologia studia i suoni da
un punto di vista astratto e relazionale (fonemi); le regole della fonologia
permettono di individuare il repertorio di suoni di ciascuna lingua e le loro relazioni
con i segni grafici che li rappresentano.
Lettere o simboli compresi tra le barrette oblique rappresentano i fonemi, tra le
parentesi quadre i foni, e tra le parentesi angolate i grafemi.
Come si producono i suoni: l’apparato fonatorio
Il nostro organismo è in grado di produrre i suoni articolati grazie a quello che viene
definito apparato fonatorio.
All’origine della fonazione c’è un flusso d’aria che dai polmoni, attraverso i bronchi
e la trachea, risale lungo la laringe, fino a uscire dalla bocca o dal naso.
Nella laringe il flusso d’aria può essere modificato dalle corde vocali, due
ispessimenti membranosi mobili che possono assumere posizioni opposte, tese e
accostate, o completamente aperte e aderenti alla parete della laringe.
Se il flusso d’aria incontra le corde vocali tese, si produce una vibrazione che
determina i suoni sonori, in caso contrario suoni sordi.
Superate le corde vocali il flusso prosegue lungo la faringe, da cui l’aria può essere
incanalata o nella cavità orale o in quella nasale, la direzione cambia a seconda della
posizione del velo palatino. In questo modo si determinano i suoni orali e nasali.
È all’interno della bocca che l’aria incontra il maggior numero di organi (palato,
lingua, alveoli, denti, labbra,) coinvolti nell’articolazione dei suoni.
La lingua svolge un ruolo centrale, sono i movimenti di questa a determinare molti
dei tratti distintivi dei fonemi.
L’intonazione
L’intonazione è l’insieme di alcuni parametri del nostro modo di parlare che
possono essere misurati con particolari strumenti (tono, durata, intensità, ritmo). In
italiano l’intonazione non è stata regolata, fa parte dei tratti distintivi del linguaggio
delle varie regioni.
Il profilo intonativo è rappresentabile da una curva che registra i movimenti del tono
ascendente e discendente.
Affermazione: “ha mangiato tutto” ---_
Domanda chiusa si/no e domanda aperta: “hai mangiato tutto?” “cosa hai
mangiato?” __/
L’accento
Le vocali, oltre ad essere il perno su cui si appoggia l’intera sillaba, sono anche
portatrici dell’accento. Ci riferiamo qui all’accento che si avverte comunque nella
pronuncia delle parole e che si chiama accento fònico, e non al segno grafico che si
mette solo in alcuni casi e si chiama accento grafico.
La vocale su cui cade l’accento si chiama vocale tònica. Le altre vocali della stessa
parola si chiamano àtone (ossia ‘senza accento’). Ciò che riguarda la vocale
riguarda in realtà l’intera sillaba che la contiene, e perciò diciamo che nelle parole
polisillabiche esistono sillabe toniche e sillabe atone.
Nella pronuncia di parole lunghe o composte si ravvisa un accento primario (il
secondo) e un accento secondario (il primo): précipitóso, vélocizzàre, càpostazióne,
móntacàrichi.
In italiano l’accento ha funzione fonematica o distintiva, serve cioè anche a
distinguere le parole. Si prenda ad esempio la triade càpitano, capitàno, capitanò.
Le parole monosillabiche possono essere toniche (sì, né…) o atone (mi, gli…); tra i
monosillabi tonici prendono l’accento grafico solo quelli che nella scrittura possono
confondersi con altri monosillabi.
Il testo
Il testo è un’unità fondamentale della comunicazione linguistica, si definisce per la
sua natura funzionale e semantica.
Un testo è un’unità complessa di significazione che deve rispondere a determiate
caratteristiche:
- Coesione= accordo grammaticale, sintattico e lessicale tra le varie parti che
lo compongono.
- Coerenza= l’organizzazione logica dei contenuti (causa-effetto, successione
temporale…).
- Situazionalità= peso rivestito dal contesto nella produzione dei significati del
testo.
- Intenzionalità= volontà dell’autore di comunicare qualcosa.
- Finalità= gli scopi (impliciti o espliciti) culturali, emozionali o di altra natura
che il testo persegue nei confronti del destinatario o dell’emittente stesso.
- Informatività= grado di imprevedibilità dei contenuti trasmessi dal testo.
- Intertestualità= proiezione del singolo testo all’interno della rete di testi con i
quali si pone in relazione.
Testi orali e testi scritti
La principale differenza tra un testo scritto e uno parlato sta nel “materiale” di cui è
costituito: grafico-visivo per il primo e fonico-acustico per il secondo.
I testi parlati sono momentanei, elaborati e recepiti in tempo reale, legati alla
situazione comunicativa e non correggibili.
I testi scritti sono durevoli, richiedono un maggior tempo di elaborazione, sono
autoportanti e possono essere corretti.
Questi tratti generali hanno inevitabili ricadute sulla lingua impiegata; nei testi parlati
infatti si attuano semplificazioni, esitazioni, ridondanze e un lessico più generico.
Coerenza e coesione
Ogni testo deve rispondere a due principi basilari:
- Coesione: assicura che il filo del discorso scorra in maniera fluida
- Coerenza: riguarda la sfera del senso che deve risultare logico e comprensibile
Una buona coesione è assicurata dall’azione di alcuni dispositivi grammaticali:
- Accordo morfologico (plurali, singolari, maschile, femminile)
- Connettivi (servono a legare le diversi parti di un testo)
- Elementi di ripresa (sinonimi, pronomi)
- Ellissi (omissione di un elemento o di una parte del testo, un sottointeso che il
lettore può recuperare nella sua memoria perché già letto o ascoltato
precedentemente nel testo stesso)
La coerenza è una proprietà relativa al significato complessivo del testo: è essenziale
che si mantenga una certa stabilità e continuità di significato.
La punteggiatura
La punteggiatura ha principalmente funzioni sintattiche e testuali, contribuisce alla
chiarezza e alla comprensibilità dei testi scritti; 3 principali funzioni:
- Parosodico-intonazionale: indica il ritmo del discorso
- Logico-sintattica: danno visibilità alla struttura del testo delimitando blocchi di
testo e frasi in sequenza logica e connesse sintatticamente
- Stilistica o testuale: chi scrive piega le regole della punteggiatura per lasciare
un segno personale
Verbi predicativi
Sono definiti predicativi o lessicali quei verbi dotati di significato pieno che, insieme
ai propri argomenti, sono sufficienti a predicare qualcosa, a far accendere una scena
mentale, si suddividono in transitivi e intransitivi.
Gli intransitivi sono verbi di movimento come camminare, passeggiare, nuotare, che
hanno come ausiliare il verbo avere; ci sono altri verbi, sempre intransitivi, detti
inaccusativi, come arrivare e cadere, che hanno invece ausiliare essere e ammettono
lo spostamento del soggetto dopo il verbo.
Alcuni verbi predicativi bivalenti possono richiedere un argomento oggetto diretto
“arricchito”, il predicativo dell’oggetto, che aggiunge un requisito o una qualità
all’argomento oggetto e rende la frase pienamente compiuta; sono i verbi appellativi
(chiamare), estimativi (credere), elettivi (scegliere), effettivi (fare). Tali verbi, a
seconda del significato che assumono, modificano la loro struttura: “Marco chiama
Elena” “Marco chiama Elena principessa”
I verbi pronominali
Partiamo dal fatto che a quasi tutti i verbi si può aggiungere un pronome personale
atono (mi, ti, ci vi, si) e ottenere la forma pronominale (lavarsi, vestirsi).
Alcuni però hanno solo questa forma pronominale (ammalarsi, indignarsi). Tenuto
conto che esso può trovarsi prima del verbo o dopo.
In prospettiva valenziale sarà quindi sufficiente che la forma verbale pronominale sia
considerata nel suo insieme, senza preoccuparsi troppo dello statuto grammaticale del
pronome (è argomento del verbo? Che tipo di argomento?) e andando invece a
individuare come argomenti gli altri elementi che circondano la forma verbale: ad
esempio in “Luisa si trucca” il verbo si completa con un solo argomento (soggetto).
Monovalenti> verbi riflessivi reciproci
Bivalenti> pronominali intransitivi
Le espansioni
Tutti gli elementi, perlopiù avverbiali, che arricchiscono la frase con informazioni
relative al tempo, al luogo, alle cause, alla modalità, si chiamano espansioni: si tratta
di avverbi o locuzioni avverbiali ben integrate nella frase, con cui però non hanno
legami sintattici o morfologici né punti di attacco ben precisi. “d’estate, in vacanza,
mio fratello Mario, di fronte al mare, legge interessanti libri di storia”.
Le espansioni si trasformano
Le espansioni sono anche trasformabili in frasi dipendenti dotate dello stesso valore
informativo. “quando è estate, poiché è in vacanza, mio fratello Mario, stando di
fronte al mare, legge interessanti libri di storia”.
5. Orientarsi nell’universo delle parole
Il lessico è l’insieme potenzialmente infinito delle parole di una lingua, è un insieme
aperto, dinamico, che si trasforma continuamente; nel lessico si possono individuare
sottogruppi di parole capaci di creare tra loro reti di significato che fanno parte di un
campo semantico comune a cui sono riconducibili.
La capacità di ricordare, applicare e gestire una certa quantità di parole, è quella che
chiamiamo competenza lessicale. Tale competenza è attiva sempre: durante tutto
l’arco della vita possiamo continuare a imparare parole nuove, ma è nei primi anni di
vita che si pongono le basi e si acquisiscono quei processi di analisi e riflessione
lessicale che favoriscono l’apprendimento e la memorizzazione di nuovi elementi.
La nozione di parola
Ogni parola ha almeno due facce, quella fisica di sequenza di fonemi (e la
conseguente grafica con sequenza di grafemi) e quella concettuale, relativa al
significato che veicola.
Quando ancora non si sa leggere e scrivere, l’individuazione di una parola passa dal
significato; quando ascoltiamo un discorso in una lingua sconosciuta non sappiamo
neanche dove collocare i confini di parola perché non riusciamo sempre ad isolare le
unità dotate di significato. Con l’apprendimento della scrittura la parola diventa
l’entità grafica compresa tra due spazi bianchi, ma non sempre quello che è contenuto
tra due spazi isola un significato: “dimmelo”> “di’ questa cosa a me”; o viceversa
non sempre basta quello che è contenuto tra 2 spazi bianchi: “ferro da stiro”.
Queste sono definite parole polirematiche, ovvero elementi lessicali formati da più di
una parola che possono appartenere a diverse categorie dotati di una particolare
coesione interna, e il significato è dato dall’insieme di tutti i componenti.
Si definiscono polirematiche, o unità lessicali superiori, combinazioni formate da più
parole, tra loro separate nella grafia, ma che semanticamente costituiscono un unico
lessema.
Parole e relazioni di significato
Il significato è qualcosa di multidimensionale e si compone dell’informazione
lessicale e della conoscenza enciclopedica personale.
Le parole contenuto/piene/lessicale sono parole che rimandano a oggetti, cose
concrete nella realtà (nomi, verbi, aggettivi…), parole dense di significato, significato
riconducibile a un referente.
Le parole funzione/vuote/grammaticali hanno un significato grammaticale e servono
a creare legami tra gli elementi delle frasi.
L’acquisizione e l’ampliamento del lessico segue percorsi semantici e quindi è
opportuno proporre ai bambini riflessioni che li guidino alla scoperta delle relazioni
di significato tra le parole. Una prima scoperta è sicuramente la polisemia, la
proprietà per cui la gran parte delle parole che usiamo può assumere più di un
significato (penna, banco…). La classe più polisemica è quella dei verbi.
Ci sono però anche parole, o meglio termini, monosemici, che hanno un solo
significato specifico. Si tratta di parole di ambiti specialistici in cui l’ambiguità
rappresenta un rischio della comunicazione tra esperti.
Un altro percorso è quello dei campi semantici a cui far afferire più parole: è una
modalità che aiuta a mettere ordine nella varietà e molteplicità delle parole seguendo
la strada del significato. Possiamo paragonare un campo semantico a un insieme di
contenitori ad esempio il campo semantico del giardino, avremo contenitori come le
piante, gli animali, i giochi; in questo caso abbiamo un tipo di relazione che lega una
parola di significato più esteso e generico detta iperonimo, e parole dal significato più
ristretto e specifico, dette iponimi.
I sinonimi sono parole intercambiabili in determinati contesti; i sinonimi perfetti non
esistono. I sinonimi per eccellenza sono tra e fra, si è soliti a scegliere l’uno o l’altro
a seconda del contesto fonetico in cui si trovano per evitare ripetizione di suoni.
I geosinonimi sono parole regionali con lo stesso significato ma forma diversa a
seconda dell’area territoriale in cui si usano.
L’antonimia è invece la relazione che si instaura tra parole di significato contrario:
lento-veloce. Il contrario non va confuso con il contraddittorio che corrisponde
invece alla negazione: veloce- non veloce.
Nomi e verbi
Il nome ha la capacità di flettersi per numero, è di solito preceduto dall’articolo o da
un altro modificatore del nome, può essere modificato da aggettivi.
Il verbo ha la proprietà morfologica di flettersi (per modo, tempo, persona, numero),
occupa normalmente la posizione successiva a un nome, attiva legami sintattici con
gli argomenti.
Capita che una stessa parola possa rientrare in più di una categoria; ogni categoria poi
si sfrangia in varie sottocategorie.
Articoli
Sono parole funzione, si collocano sempre prima del nome a cui si riferiscono e
servono a collegarlo al proprio referente.
La composizione neoclassica
Nell’italiano contemporaneo è molto diffuso un tipo particolare di composizione
delle parole che utilizza elementi propri de latino e soprattutto del greco, detti
confissi, combinati tra loro (cardiopatia), o uniti a parole moderne, alle quali i
confissi possono posporre (paninoteca) o anche anteporre (telecomando).
Si parla in questo caso di composizione neoclassica, perché basato appunto su
elementi delle lingue classiche. I confissi sono stati definiti anche prefissoidi e
suffisoidi a seconda della posizione.
Nella composizione neoclassica la testa è a destra.
Fenomeni di riduzione
L’italiano contemporaneo ha sviluppato una serie di meccanismi che servono a
ridurre parole già esistenti.
Abbreviazioni: prof> professore
Sigle: riducono sintagmi formati da più parole alle sole lettere iniziali di queste;
nell’uso attuale delle sigle si conferma il notevole influsso dell’inglese.
Le sigle vengono anche chiamate acronimi.
Parole macedonia: formate cioè da pezzi di varie parole.
Accorciamenti: si hanno quando parole complesse di una certa lunghezza vengono
troncate dalla parte finale (bicicletta> bici).
L’ITALIANO CONTEMPORANEO
1.La lingua italiana oggi
L’italiano e la sua diffusione
Oggi molti italiani alternano lingua e dialetto in un rapporto detto di diglossia, cioè
scelgono l’uno o l’altro codice a seconda della situazione comunicativa.
Possiamo distinguere tra dialetti settentrionali, e centromeridionali; tra quelli
settentrionali possiamo ulteriormente distinguere i gallo-italici e i dialetti veneti. Tra
quelli centromeridionali troviamo: i dialetti toscani, còrsi, mediani, (alto)meridionali
e meridionali estremi.
I dialetti settentrionali sono caratterizzati sul piano fonetico da tratti come la
sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche, l’assenza di consonanti doppie,
la tendenza alla caduta delle vocali atone.
Caratteri dell’italiano
L’italiano deriva dal latino volgare; è nato dall’elaborazione di una parlata locale,
promossa a lingua dell’uso nazionale.
L’italiano deriva infatti dal dialetto fiorentino del Trecento, dall’elaborazione
letteraria che ne fecero Dante, Petrarca e Boccaccio.
Il fiorentino riuscì dunque a imporsi sugli altri dialetti, almeno nell’uso scritto, non
grazie a un predominio politico, ma in virtù di altri fattori, come l’alto valore
letterario dei grandi scrittori del Trecento che lo usarono, il fiorire dell’Umanesimo
volgare nel Quattrocento alla corte di Lorenzo il Magnifico, certe caratteristiche che
rendevano il dialetto fiorentino meno lontano dal latino, il prestigio di Firenze in altri
campi socioculturali…
Fino all’unificazione nazionale nel 1861, l’italiano fu comunque una lingua usata
soprattutto nello scritto.
Se consideriamo la quantità di coloro che, ancora fino all’inizio del Novecento,
sapevano leggere e scrivere, certamente molto bassa, dobbiamo concludere che prima
dell’Unità l’italiano, al di fuori della Toscana, era una lingua nota a pochi; la
maggioranza usava i dialetti.
A partire dall’Unità, in seguito a vari fattori, come la progressiva alfabetizzazione
legata all’obbligo scolastico, l’emigrazione esterna e interna, l’urbanizzazione, lo
sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, l’italiano ha progressivamente
ampliato i propri ambiti d’uso.
Dopo una fase di sistematizzazione grammaticale, durata almeno fino alla fine degli
anni Cinquanta, il crescente uso anche orale dell’italiano da parte di grandi masse
popolari, ha determinato una pressione del parlato sulle strutture dello scritto,
provocando varie ristrutturazioni del sistema linguistico.
L’italiano standard
Per secoli l’italiano, a causa del suo uso prevalentemente scritto, è stato una lingua
poco soggetta al mutamento, poco compatta.
Anzitutto prevedeva una netta distinzione tra poesia e prosa, l’uso scritto consentiva
inoltre un’abbondante polimorfia, cioè la coesistenza di più forme tra loro
sostanzialmente equivalenti, tra le quali lo scrittore era libero di scegliere.
Nel corso del Novecento e fino ad oggi, l’italiano da una parte ha rinunciato, anche in
poesia, agli arcaismi propri del linguaggio poetico, dall’altra ha fortemente ridotto la
polimorfia. In questo secondo caso c’è stato anzi un precedente illustre, i Promessi
Sposi, in cui Manzoni operò alcune semplificazioni che l’italiano posteriore avrebbe
accolto.
A questo complessivo processo di semplificazione corrispose anche un processo di
normativizzazione, ovvero la progressiva imposizione di regole.
Con lingua standard si intende l’uso linguistico che l’intera comunità dei parlanti
riconosce come corretto, dunque il modello di lingua proposto nelle grammatiche,
quello usato dalle persone istruite, sia nello scritto che nel parlato.
Un problema particolare dell’italiano è costituito dalla sostanziale assenza di uno
standard parlato, soprattutto sul piano fonetico; in realtà un modello di standard
parlato ci sarebbe, il cosiddetto “fiorentino emendato”, basato cioè sulla pronuncia
colta di Firenze, da cui vengono però eliminati alcuni tratti locali. Questo modello è
effettivamente utilizzato da attori, speakers, doppiatori, nei notiziari…
3.Lessico
Il concetto di lessico
Si definisce lessico il complesso delle parole di una lingua; tale definizione però non
è precisa perché l’unità fondamentale non è la parola ma il lessema.
La linguistica moderna ha elaborato il concetto di arbitrarietà del segno,
fondamentale per impostare correttamente il rapporto tra le parole e le cose che esse
indicano (referenti).
Negli studi lessicali è stata fatta un’opportuna distinzione terminologica tra il lessico,
che comprende la totalità dei lessemi di una lingua, e il vocabolario, che costituisce
una parte ben delimitata del lessico.
Nei vocabolari delle scienze i lessemi hanno esclusivamente una funzione denotativa,
servono cioè a definire in modo oggettivo, neutro; nel linguaggio comune, invece,
molti lessemi hanno una funzione connotativa, esprimendo anche valutazioni
soggettive.
Tra i lessemi possiamo distinguere le parole semantiche piene (nomi, aggettivi, verbi
e alcuni avverbi) e le parole grammaticali o funzionali o parole vuote, che servono
per legare tra loro le parole all’interno delle frasi.
Il lessico si arricchisce continuamente di nuove entrate (neologismi), ma al tempo
stesso subisce anche delle perdite, ci sono parole che dopo un certo tempo cadono in
disuso e diventano arcaismi.
I contatti con altre lingue determinano l’introduzione di prestiti.
Il lessico italiano
Il dizionario dell’italiano contemporaneo più ampio è il “Grande dizionario italiano
dell’uso” di Tullio De Mauro.
A De Mauro spetta il merito, inoltre, di aver individuato all’interno del lessico un
settore particolare, il vocabolario di base, formato da lessemi che costituiscono la
base di tutti i testi, suddiviso in tre fasce:
- Lessico fondamentale: parole funzionali che rispondono ai bisogni più naturali
e immediati (verbi, aggettivi, sostantivi…)
- Lessico di alto uso: lessemi noti a chi ha almeno un livello di istruzione medio
- Lessico di alta disponiblità: lessemi legati a oggetti ed eventi della vita
quotidiana
Altri lessemi appartengono al vocabolario comune e sono comprensibili a chi è
fornito di un’istruzione medio-alta. Il vocabolario di base e il vocabolario comune
costituiscono il vocabolario corrente.
Le voci gergali sono le parole proprie di linguaggi usati da gruppi ben definiti per
comunicare tra loro in modo da non farsi comprendere da estranei, utilizzando voci
della lingua comune o di base dialettale modificate o nel significato (secchione) o nel
significante (caramba per carabinieri).
I regionalismi sono invece lessemi usati in determinate regioni.
5.Morfologia flessiva
la morfologia flessiva è il livello di analisi linguistica che studia come si esprimono i
concetti di genere e numero.
La morfologia lessicale che studia la formazione delle parole mediante la derivazione
o la composizione.
L’elemento minimo dell’analisi morfologica è il morfema, la più piccola unità
linguistica dotata di significato; sulla base dell’analisi morfologica, le lingue del
mondo sono state suddivise in due grandi categorie:
- Lingue analitiche (in cui ogni significato è rappresentato da un elemento unico)
- Lingue sintetiche (che tendono ad unire in una sola parola più morfemi non
autonomi, ma legati tra loro e portatori si significati diversi)
Alle lingue sintetiche appartengono le lingue flessive, in cui normalmente una parola
è formata dalla radice lessicale e dalla desinenza che da indicazione di carattere
morfologico.
In italiano in una parola come “case” distinguiamo due morfemi: la radice cas-, che
dà il significato alla parola, e la desinenza -e, che indica che si tratta di un nome
femminile plurale.
Poi ci sono le parti invariabili del discorso (avverbi, congiunzioni, preposizioni,
interiezioni).
L’italiano presenta molti aspetti flessivi, in genere ereditati da latino, ma anche varie
caratteristiche isolanti.
Il nome
Nei nomi italiani la flessione marca la categoria del numero; il genere è invece
inerente al nome ed è immotivato.
Gli articoli
Tra le varie funzioni degli articoli determinativi e indeterminativi ricordiamo almeno
quella di individuare i nomi che precedono come determinati/indeterminati. Gli
articoli italiani svolgono inoltre la funzione di determinare li genere o il numero del
nome che precedono.
Italiano regionale
Pellegrini individuo 4 componenti del repertorio linguistico degli italiani:
- Italiano letterario
- Italiano regionale (nato dall’incontro tra lingua nazionale e dialetto)
- Dialetto regionale
- Dialetto locale