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Il linguaggio (Neuroscienze)

Neuroscienze
Università degli Studi di Milano-Bicocca
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19/05/2016

IL LINGUAGGIO

È una delle capacità cognitive tipiche della specie umana, ed è presente anche in altre specie in
forme più rudimentali. Per produrre un suono che abbia un significato comunicativo linguistico
occorre un sistema che ci permetta di far uscire questo suono dal nostro corpo, affinchè venga udito
dall’altro. Abbiamo bisogno, quindi, di aria che viene pompata per farla uscire dal cavo orale; l’ari
avviene presa dai polmoni, che attraverso il muscoli del diaframma e la cassa toracica permettono
di comprimere i polmoni far arrivare l’area alla trachea a poi alla laringe. A livello della laringe,
sotto l’epiglottide, abbiamo le corde vocali. Il passaggio di aria le fa vibrare e producono un suono
che finisce nella “cassa armonica” umana, ovvero la cavità orale e le cavità nasali. All’interno del
cavo orale si viene a creare una specie di filtro, grazie alla lingua e agli altri componenti. Il suono
viene, infatti, rimbalzato e questo permette di modulare il suono in uscita. Il suono che noi
emettiamo è quindi un compromesso tra l’aria che i polmoni spingono e come questo suono viene
riflesso dalle parti della cavità orale. Alcuni suoni emessi andranno a rappresentare i suoni del
linguaggio, mentre altri no.

Che cos’è il linguaggio? È lo strumento cognitivo che nasce dalla necessità più antica insita
nell’essere vivente: la comunicazione. Si sviluppa in modo apparentemente spontaneo nel bambino
e viene usata in modo automatico. È un sistema molto complesso che comprende vari aspetti del
sistema cognitivo, perché parlare mette in moto che io devo effettuare una programmazione motoria
di parti specifiche in modo tale da produrre il linguaggio. Vi è l’uso del canale vocale per la
produzione e di quello uditivo per la comprensione. Si parte da dei simboli che hanno una realtà
astratta ma a cui viene deciso di dare un significato.

L’individuo può emettere infiniti tipi di suoni, ma definiamo il suono che ha un valore linguistico
come fono, ad esempio lo spostamento d’aria implicato per produrre una lettera (ma non, ad
esempio, il fruscio delle foglie). I fonemi sono il percetto del fono, ovvero quando il suono che
sento è appartenente ad una lingua, ed è l’oggetto di analisi della fonologia. Se ci si sposta sul lato
visivo il fonema viene detto grafema. I foni in inglese sono circa 40 (in italiano un po’ di meno), e
possono essere divisi in vocali e consonanti.

Un altro aspetto che appare ingannevole è che quando noi ascoltiamo qualcuno che parla sentiamo
delle parole ed è come se il suono fosse spezzettato, ma in realtà noi produciamo un suono
continuo, è il nostro cervello che mette le pause giuste. Difficilmente riusciamo ad identificare in un
fonogramma le singole parole e lettere.

Le caratteristiche del linguaggio sono la creatività e l’arbitrarietà. Nel primo caso noi abbiamo
un certo numero di simboli che messi insieme possono produrre una combinazioni infinita di parole
e frasi. Da un numero finito di simboli si passa, quindi, ad un numero infinito di messaggi che si
possono produrre. L’altro concetto esprime che non esiste una relazione sistematica evidente tra la
forma di un messaggio e il suo significato, ma la relazione è legata alla cultura di appartenenza.

Un aspetto a cui non viene prestata molta attenzione è che il contesto all’interno in cui si inserisce
un fonema o un grafema è importante per la sua comprensione. Vi sono quindi degli omonimi, come
“pesca”. Abbiamo anche degli omofoni, ad esempio “ha detto” è uguale foneticamente ad “addetto”,
ma hanno significati diversi. È importante che non vengano elaborate solo le parole singole ma

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anche il contesto in cui esse si trovano. È il solco temporale superiore che si occupa del
linguaggio.

Il neonato ha la capacità di acquisire il linguaggio e divenire fluente in una qualsiasi lingua, ma


appena inizia il suo contatto sociale con gli altri individui inizia a selezionare gli stimoli che riceve,
perché a poco a poco capisce che alcuni suoni saranno rumori che non gli serviranno, mentre altri
saranno utili per comunicare e comprendere. Esempio bambini cinesi L-R: se un bambino cinese
appena nato venisse trasferito nella comunità italiana, questa capacità di produrre il fonema L e R
rimarrebbe uguale a quella di un italiano, perché durante il periodo di sviluppo del linguaggio non
ha selezionato e limitato l’uso di questi fonemi. A 6 mesi i bambini hanno preferenza per i fonemi
della propria lingua, e ad un anno capiscono se un suono appartiene alla propria lingua o meno.

Esiste un periodo critico per l’acquisizione del linguaggio, ed è una finestra temporale che
permette una modificazione ottimale per sostenere un dato comportamento. Questo avviene anche
in altri ambiti cognitivi, per il linguaggio gli studi individuano un periodo fino ai 7 anni in cui
l’apprendimento di una seconda lingua mi porta ad averne una padronanza quasi uguale alla lingua
madre. In questo periodo critico il soggetto deve essere, ovviamente, esposto a stimoli linguistici.

Prima delle tecniche di neuroimmagine risultava difficile cercare di capire che un determinato
deficit poteva essere correlato ad una specifica lesione o area cerebrale. Per cui si formulavano
ipotesi e si aspettava la morte del paziente per fare ulteriori esami, anche se l’intervallo di tempo
che trascorreva non rendeva facile il compito. A metà dell’800 si voleva identificare le aree
cerebrali legate al linguaggio: si pensava che il linguaggio fosse localizzato nelle aree frontali.
Intorno al 1858 Monsieur Leborgne venne ricoverato per epilessia e perché non riusciva più a
pronunciare le parole (paziente tan). Il paziente morì e nel 1863 Broca fece l’esame autoctono,
individuando una lesione da ictus causato da infezione virale, nella regione ventrale posteriore
dell’emisfero sx che prese il nome di area di Broca, o area 45 di Brodmann. Il contributo fu la
localizzazione dell’area che porta il suo nome, la scoperta della lateralizzazione emisferica delle
funzioni e una precisa correlazione tra una sede lesionale e la perdita di una capacità.

Un altro giovane medico, Wernicke, pubblicò un articolo dove descriveva pazienti che avevano un
deficit opposto rispetto a quelli del paziente di Broca, ovvero delle difficoltà a comprendere il
linguaggio uditivo conservando le capacità di produzione (anche se senza un grande significato). La
lesione era localizzata nella parte superiore e posteriore del lobo temporale, e il disturbo viene
chiamato afasia sensoriale (o di Wernicke). Pertanto le due aree deputate al linguaggio sono l’Area
di Broca e l’Area di Wernicke. Lesioni al giro sopramarginale provocano un disturbo di
ripetizione di stimoli verbali uniti, ed è un’area che fa parte di un circuito che collega le due aree
appena citate.

L’afasia è un disturbo acquisito, che segue a una lesione. Le sindromi afasiche sono l’afasia di
Broca, con cui si ha un grave deficit della produzione comprensione relativamente preservata.
L’eloquio non è fluente e presenta gravi difficoltà i articolazione e anche di intonazione, si parla
anche di agrammatismo (errori grammaticali e vi sono dei deficit soprattutto nei verbi rispetto ai
nomi). Nell’afasia di Wernicke abbiamo un eloquio fluente e prosodico ma vi sono gravi deficit
della comprensione. Vi sono espressioni stereotipate, parole passe-partout (parole che vanno bene

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per tutto, mi passi quel coso) di scarso valore comunicative e nei casi più gravi la produzione
verbale è incomprensibile (gergo verbale, neologistico, fonemico). Le risposte sono parafasiche,
ovvero l’errore generale che fa un afasico è la parafasia, ed è molto frequente l’anosognosia.

Gli afasici possono presentare disturbi della produzione a livello fonologico:

-Parafasia verbale o fonemica: omissione, sostituzione, ripetizioni o transposizione di fonemi


(bambino-pampino, corda-coda, tigre-trighe).

-Gergo fonemico: è il linguaggio che si ottiene da numerose parafasie in una frase.

-Neologismo: è la sostituzione di una o più lettere all’interno di una parola, tanto da non rendere
quest’ultima identificabile.

-Gergo neologistico: è formato da numerosi neologismi.

-Conduite d’approche fonemica: se devo dire albero, ho delle difficoltà, pertanto la parola non mi
viene quindi inizio ad arrivarci per tentativi usando parole come arbreo, arbeo, albeo, ecc. È sempre
la stessa parola ma pronunciata male.

L’afasico può presentare disturbi anche a livello lessicale:

-Parafasie verbali semantiche: vi è una sostituzione del target con una parole correlata
semanticamente (cucchiaio- forchetta, cucchiaio-posata, cucchiaio-vaso, in questo caso vado in
un’altra categoria semantica).

-Gergo semantico: molte parafasie semantiche in una frase.

-Conduite d’approche semantica: cercare di arrivare alla parola per prove ed errori, basata sulla
semantica.

-Ecolalia: in maniera involontaria e incontrollabile tendo a ripetere quello che mi dice chi mi sta
accanto.

Intorno agli anni ’60 si cercava di dimostrare la lateralizzazione delle funzioni. Un test che viene
fatto per vedere dove è lateralizzato il linguaggio è il test di WADA, che si basa sull’iniezione
dell’amitalsodico che viene inserito nella carotide e va ad anestetizzare uno dei due emisferi.
Questo serviva, ad esempio, prima di operare i pazienti epilettici, per evitare deficit conseguenti ad
interventi chirurgici. Altri studi furono fatti su pazienti epilettici con split brain, a cui è stata fatta
una resezione del corpo calloso per evitare che il focolaio si trasferisse da un emisfero all’altro. Se
un oggetto è presente nel campo visivo di dx i pazienti riescono a denominarlo, perché l’info arriva
a sx, se invece l’informazione arriva a a dx non si denominare l’oggetto perché manca il corpo
calloso e l’info non può essere trasferita all’emisfero sx. Il paziente LP è nato senza corpo calloso
e non aveva questo tipo di problemi, perché con la crescita il cervello ha specializzato entrambi gli

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emisferi nella produzione del linguaggio. Altre mappature mostrano che le aree del linguaggio
ricevono informazioni da altre aree del cervello, quindi è possibile che se vado a stimolare un nodo
di questo network avrò un problema di output successivo.

L’emisfero dx è importante per la connotazione emotiva che diamo al linguaggio. Lesioni in


quest’area portano all’aprosodia, ovvero il linguaggio non viene caricato emotivamente. In studi di
neuroimmagine hanno confermato che il linguaggio è lateralizzato soprattutto nell’emisfero sx, ma
che aree di dx possono essere deputate all’elaborazione di alcune categorie linguistiche. Questo si è
visto poiché pazienti hanno deficit in particolari categorie semantiche, ad esempio nei nomi di
animali. All’interno della stessa categoria ci possono essere dei deficit selettivi.

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