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Introduzione alla linguistica generale: cos’è la lingua?

Una lingua prima di essere scritta deve essere parlata: prima nasce la lingua e poi si sviluppa
la sua scrittura; esistono civiltà le cui lingue non hanno raggiunto il passo della scrittura.
Il greco classico dispone di tre parole fondamentali per indicare la lingua:
➢ Glotta: si intende l’atto fisiologico di parlare.
Una delle punizioni più gravi del mondo antico era quella di tagliare la lingua a chi
aveva il potere di trascinare le folle poiché si capiva l’importanza del parlare.
➢ Phoné: vuol dire suono, anche a livello musicale.
Per i greci la musica era una lingua composta da delle lettere: le note musicali; anche
noi vediamo le note sotto la forma di un alfabeto.
Con questa indicavano anche la varietà linguistica che caratterizzava la Grecia.
➢ Dialektos: indica la lingua orale, articolata, della quotidianità, del parlato.

Esiste la filosofia del linguaggio che mette sul piano filosofico il concetto stesso di
lingua, poiché è estremamente complesso da definire.

Erodoto è considerato il padre della storia, poiché fondò la disciplina storica raccontando
della guerra più importante dell’epoca, quando l’esercito dell’Impero persiano, che
ammontava a un milione di soldati, stava per conquistare la Grecia.
Tutti pensavano che la Grecia avrebbe perso, anche gli stessi greci, eppure non fu così poiché
il potentissimo esercito persiano venne sconfitto nella battaglia di Platea.
Tutti si chiedevano come mai avessero vinto i greci e, secondo Erodoto, durante una riunione
tra greci vi fu un oratore che esortò alla fratellanza, all’unione e al valore del popolo greco,
facendo leva sulla comunanza linguistica, sanguigna e culturale.

Che cos’è, invece, la linguistica? (Primo modulo)


È la scienza che studia il modo in cui una lingua è formata, la sua struttura, le relazioni
presenti tra diverse lingue. Lo scienziato che si occupa di ciò è chiamato linguista.
Innanzitutto non è detto che il linguista sappia parlare le lingue che tratta, teoricamente
potrebbe non saperne neanche una, visto che studia la sua formazione, non la grammatica.
Con Erodoto abbiamo anche visto quanto la lingua influenzi la storia e la letteratura, ma il
linguista analizza esclusivamente le strutture e forme delle lingue, e le relazioni fra loro.

Che cos’è la glottologia? (Secondo modulo)


Sia glottologia che linguistica etimologicamente significano studio della lingua.
Il suffisso -logia (logos) indica lo studio di qualcosa, “glotta” significa lingua.
Nonostante significhino la stessa cosa, linguistica e glottologia si occupano di due aree
differenti: la glottologia studia, infatti, l’evoluzione delle lingue antiche, come sono diventate
nel tempo, da cosa derivano le lingue che parliamo oggi.
Prendendo in considerazione le lingue indoeuropee siamo arrivati a costruire una genealogia
delle lingue, sapendo da quale lingua derivano diverse lingue. È utile la metafora dell’albero.
Cos’è la linguistica teorica?
La linguistica si suddivide in settori: si associa l’aggettivo generale poiché esiste la
linguistica teorica, la quale studia le lingue in maniera scientifica: approfondisce la parte
teorica delle lingue, partendo dalla fonetica e dalla fonologia.
(Esiste anche la linguistica applicata, storica/glottologia, antropologica, sociolinguistica,
etnolinguistica).

Cos’è la fonetica?
La fonetica è lo studio di tutti i suoni che possono essere prodotti dall’essere umano. (foni)

Cos’è, invece, la fonologia?


La fonologia è lo studio dei suoni nelle varie lingue.
I suoni possono avere significati diversi nelle differenti lingue o possono essere assenti: ad
esempio l’H aspirata in inglese non esiste in italiano.
Il repertorio di suoni (fonema) varia quindi da lingua a lingua.

Cos’è la morfologia?
Studia la costruzione delle parole: “linguistica” è una parola più lunga di “lingua”, quel pezzo
in più è ciò che studia la morfologia, fa vedere come si formano le parole.
(In inglese: word formation/morphology)

Cos’è la sintassi?
Usando delle parole formiamo delle frasi, attraverso le quali articoliamo un pensiero: la
sintassi studia la struttura della frase.

Cos’è la pragmatica?
La pragmatica studia la realtà linguistica, non servendosi dell’atto fonetico in sé, bensì
andando ad analizzare il ruolo delle espressioni facciali, del movimento del corpo (gesticolare
le mani) durante una conversazione.

Il ruolo non giudicante della linguistica


La grammatica, al contrario della linguistica, si avvale di strette regole invalicabili.
La linguistica, invece, si occupa di studiare la lingua come fenomeno vivente, non come
un’entità fissa, studia il parlato dei parlanti senza pregiudizi, analizzando la lingua come
fenomeno così com’è: la grammatica italiana dice che se mettiamo l’articolo determinativo
davanti ad un nome proprio è un errore, nonostante ciò un milanese lo fa; allo stesso modo un
siciliano sbaglia quando dice ‘‘chiamare a’’ poiché il verbo ‘‘chiamare” è transitivo.
La grammatica ci direbbe “stanno sbagliando”, il linguista dice “studio quello che
effettivamente le persone dicono” poiché la lingua è un prodotto del parlato in evoluzione.
Introduzione alla fonetica e fonologia
Come già citato la fonetica prende in studio i foni (indicati tra “[”), ovvero tutti i suoni
riproducibili dal corpo umano; il repertorio di foni che costituiscono una lingua è detto
fonema (indicato tra “/”): è importante questa definizione poiché ogni lingua ha un fonema
diverso, e non esiste una lingua che sia caratterizzata dalla presenza di tutti i foni esistenti.

Se ad una coppia di parole sostituiamo un fono e continuano ad avere significato, esse


costituiscono una coppia minima, es: pane, cane.

Cos’è l’IPA?
L’International phonetic alphabet (IPA) o alfabeto fonetico internazionale raggruppa tutti i
foni esistenti al giorno d’oggi: in questo modo, per convenzione, è possibile scrivere la
pronuncia di una parola in maniera universalmente riconosciuta da tutti i linguisti del mondo
attraverso dei simboli; ad ogni simbolo corrisponde un suono.

L’IPA nasce durante la Prima guerra mondiale per decifrare i messaggi in codice in radio;
dopo la guerra questo metodo è stato raffinato dai linguisti attraverso delle convenzioni
poiché reputato utile, ed è aperto a nuovi aggiornamenti.
Ogni fono è caratterizzato da tre parametri:
➢ Modo di articolazione: quanta aria passa dai polmoni alla bocca.
➢ Luogo di articolazione: organi coinvolti nella produzione del suono.
➢ Qualità di articolazione: se sono presenti vibrazioni (sonorità, con il coinvolgimento
delle corde vocali) o meno.

[K]
Occlusiva: l’aria viene bloccata.
Velare: la lingua viene a contatto col velo palatino, andando a bloccare il passaggio dell’aria.
Sorda: le corde vocali non vibrano durante la pronuncia di questo fono.
[V]
Spirante: l’aria passa attraverso la bocca e fuoriesce da essa.
Labiodentale: la lingua viene a contatto con le labbra e coi denti.
Sonora: le corde vocali vibrano durante la pronuncia di questo fono.

Sappiamo che l’emissione di un suono parte dalla vibrazione delle corde vocali, ma per
pronunciare un fono abbiamo bisogno che la lingua (unico organo mobile della bocca)
colpisca altri organi dell’apparato respiratorio; l’insieme di organi adibiti alla produzione
fonetica è chiamato apparato fonatorio, e si compone dei seguenti organi:
(andando dall’esterno verso l’interno)
● Labbra: suoni labiali (b)
● Denti: suoni dentali (d)
● Alveoli (posizionati dietro gli incisivi): suoni alveolari (t)
● Palato (palato duro): suoni palatali (ʧ)
● Velo palatino (palato molle): suoni velari (k)
(da qui in poi la lingua italiana non possiede foni nel proprio fonema)
● Ugola (organo a forma di goccia in fondo alla bocca): suoni uvulari
● Faringe: suoni faringali
● Epiglottide: suoni glottali
● Laringe (all’interno della quale sono presenti le corde vocali): oggi non esistono suoni
laringali ma anticamente probabilmente sì.
● Lingua: certamenta l’organo più importante, divisa in tre parti (apice, dorso, radice).
Modo di articolazione
Ha a che fare con il passaggio di aria; analizziamo i modi di articolazione partendo dai suoni
che rilasciano meno aria a quelli che ne rilasciano di più.

➔ Modello occlusivo: costituito da un primo momento di occlusione (i due luoghi di


articolazione che congiungono e bloccano il passaggio dell’aria), e da un secondo
momento di rilascio dell’aria improvviso dove avviene una sorta di esplosione. (TA)
➔ Fricativo (o spirante): i due luoghi di articolazione sono a contatto ma non
occludono totalmente il passaggio dell’aria, la quale passando da una piccola fessura
produce una frizione/un rumore. (SSS, FFF)
➔ Affricativo: a metà dell’occlusione e del fricativo. Quando facciamo le affricate noi
effettuiamo un'occlusione; i due luoghi di articolazione chiudono l’aria, ma anziché
lasciarla di botto, la rilasciano come nelle fricative. (CH)
➔ Nasale: l’aria passa dal naso poiché i due luoghi di articolazione bloccano il
passaggio di essa nella cavità orale.
➔ Laterale: i due luoghi di articolazione occludono il passaggio diretto dell’aria, che
passa ai lati determinando una fuoriuscita della saliva ai lati della lingua. (LLL)
➔ Vibrante: i due luoghi di articolazione occludono e rilasciano ripetutamente il
passaggio dell’aria. (RRR) Esistono monovibranti (la R in inglese, in tree) e
polivibranti (la R italiana).
➔ Approssimante: i due luoghi di articolazione sono vicini (approssimanti) ma non si
toccano e l’aria passa. (UO)

Nella tabella vi sono diverse caselle:


● Quelle grigie indicano quei suoni che il corpo umano non è il grado di produrre;
● Quelle bianche con il simbolo indicano quei suoni che il corpo umano è in grado di
produrre e sono presenti in almeno una lingua del mondo;
● Quelle vuote indicano dei suoi che teoricamente possono essere prodotti dall’uomo
ma non fanno parte di alcuna lingua conosciuta.
Cos’è un segmento?
In linguistica una concatenazione di foni, che formano parole, le quali formano frasi, è
definita come segmento.

Cosa sono gli elementi soprasegmentali?


Durante la pronuncia fonetica di un segmento o di una parola, avviene simultaneamente la
produzione di altri elementi detti soprasegmentali:
● Nasalizzazione: pane.
● Accento (esistono accenti primari e secondari): guardo, guardò.
● Durata (esistono durate lunghe, brevi, ed extra brevi): papa, pappa.
● Separazione (di piede, quando si prende il respiro; di unità intonativa, a fin di frase)
● Sillabazione
● Sinalefe (unisce la vocale alla fine di una parola con la seguente se inizia con vocale)

Cosa sono lingue intensive e tonali?


Per capire la differenza tra questi due tipi di lingue, è necessario partire dal concetto di
prominenza: una sillaba può essere più prominente (più forte) rispetto ad un’altra in base a:
● Intensità (volume)
● Tonalità (altezza del suono: grave o acuto)
● Durata (tempo)
● Timbro (qualità del suono)

Queste quattro caratteristiche appartengono ad ogni lingua del mondo, però, nelle lingue
intensive i tratti più specifici sono l’intensità e la durata, invece in quelle tonali saranno la
tonalità e il timbro.
L’italiano e la maggior parte delle lingue europee sono intensive (focalizzate sull’intensità e
sulla durata dei suoni); nonostante ciò la maggior parte delle lingue del mondo sono tonali
(ad esempio il cinese, il quale distingue quattro toni diversi).

La lingua italiana, oltre ad essere una lingua intensiva, è costituita da un accento mobile:
teoricamente, è possibile che l’accento cada su ogni sillaba.
In francese, invece, vi è l’accento fisso sull’ultima sillaba; in polacco l’accento è fisso sulla
penultima; in ungherese l’accento è fisso sulla prima.

L’accento in lingua italiana è fonematico (si scrive durante la trascrizione fonematica) poiché
è mobile, di conseguenza non essendo fisso non si sa dove cade, quindi è necessario segnarlo.
Nelle lingue costituite da un accento fisso, esso non viene trascritto poiché dato per scontato.

L’accento primario italiano


Nonostante l’accento sia mobile, tendenzialmente in italiano le parole sono piane: l’accento
cade sulla penultima sillaba (cane, tenda, sapone)

Le parole in italiano possono essere:


● Piane (accento sulla penultima sillaba)
● Ossitone (accento sull’ultima sillaba): papà, città
(d’ora in poi sempre più rare)
● Sdrucciole (accento sulla terzultima sillaba): comodo, contami, lavalo
● Bisdrucciole (accento sulla quartultima sillaba): ditemelo
● Trisdrucciole (accento sulla quintultima sillaba): recitamelo
L’accento secondario italiano
Quando vi è una parola composta (data dall’unione di una coppia di parole: ferrovia,
cavatappi) o una parola costituita da quattro o più sillabe (funzionario, internazionale),
durante la trascrizione fonetica è necessario segnare un accento secondario.
➢ Nella parola composta ‘ferrovia’ l’accento primario cade sulla sillaba ‘-via’; l’accento
secondario cade sulla sillaba ‘fe-’ poiché è più alto della sillaba ‘-rro’ ma più basso
rispetto alla sillaba ‘-via’
➢ Nella parola ‘internazionale’ l’accento primario cade sulla sillaba ‘-na-’; l’accento
secondario cade sulla sillaba ‘In-’ poiché è più alta della sillaba ‘-ter-’ ma più bassa
della sillaba ‘-na-’.

L’intonazione italiana
Come abbiamo detto, l’italiano essendo una lingua intensiva è basata sulla durata e
sull’intonazione, questo perché foneticamente siamo in grado di scrivere una frase che, detta
con intonazioni diverse, può assumere significati completamente diversi:
● Frase affermativa: fuori piove.
● Frase interrogativa: fuori piove?
● Frase esclamativa: fuori piove!

La lingua inglese, ad esempio, è sprovvista di questa caratteristica, e per differenziare i


diversi tipi di frasi (affermative, interrogative, esclamative) fa ricorso a regole sintattiche
assenti in italiano:
● Frase affermativa: It rains outside,
● Frase interrogativa: Does it rain outside?
● Frase esclamativa: It does rain outside!
Morfologia (Morphology, Word Formation)
Come già anticipato; più foni (catena fonica) formano parole, e la morfologia è quella scienza
che studia proprio la formazione delle parole.
È una branca della linguistica fondamentale poiché le lingue del mondo sono classificate in
base alla loro morfologia: quando pensiamo ad una lingua pensiamo alle sue parole.

L’unità minima della parola e della morfologia è il morfema.


Esistono due tipi di morfemi, i quali hanno funzioni diverse:
● morfema lessicale (crea nuovi sostantivi, spesso astratti)
● morfema grammaticale (crea una classe grammaticale, come le desinenze delle
persone nei verbi)

Morfemi lessicali
L’inglese è una lingua ricchissima di morfemi lessicali, proprio come la maggior parte delle
lingue germaniche (es: Internationalisation è un morfema lessicale poiché
Internazionalizzazione è il sostantivo astratto di internazionalizzare).
In realtà nella parola “Internationalisation” sono presenti diversi morfemi (parti della parola):
➢ si parte da Nation, che è la base poiché è l’unica parola che da sola ha significato;
➢ + “al” per creare un aggettivo (suffisso che vuol dire appartenente a qualcosa) =
national appartenente a una nazione;
➢ + “inter” (aggettivo prefisso che vuol dire tra: mette in relazione in questo caso più
nazioni);
➢ + “isa” suffisso verbale (dà un ruolo attivo al sostantivo, facendolo diventare verbo;
cambia la parte del discorso);
➢ + “tion” suffisso che rende verbo un sostantivo.

Anche se gli stessi morfemi (al, inter, isa, tion) sono ripetuti in diverse parole inglesi, ci sono
delle regole, un ordine che devono rispettare nella catena morfemica.
Es: il sostantivo Tranquillizer è costituito da:
❖ Tranquill (aggettivo)
❖ + “ise” suffisso verbale che si attacca ad aggettivi: in questo modo cambia la parte
del discorso e il suo significato.
❖ + “er” suffisso che indica la persona che compie l’azione: il verbo diventa sostantivo.

!) L’aggiunzione di morfemi non è concessa a tutte le parole (sempre in inglese, ad esempio,


nonostante sia possibile passare da tranquill (adj) a tranquillise (v), non è possibile passare da
better (adj) a betterise: il procedimento è corretto, ma è una parola non esistente, non usata.

L’aggiunzione di morfemi all’interno di una parola costituisce un affisso.


Esistono tre tipi di affissi:
● Gli affissi all’inizio di una parola prendono il nome di prefissi,
● Gli affissi al centro di una parola prendono il nome di infissi;
● Gli affissi alla fine di una parola prendono il nome di suffissi.
Morfemi grammaticali
Non sono presenti in tutte le lingue (come ad esempio in quelle scandinave), ciononostante
l’italiano dispone di molti morfemi grammaticali.

Prendendo in esempio il verbo amare: le desinenze delle diverse coniugazioni dei modi, dei
tempi verbali e delle persone rappresentano dei morfemi grammaticali, e capiamo che si
riferiscono alla stesso verbo poiché la radice rimane inalterata.
Es: amiamo, amasti, amerò, che essi amino, amato, amavate.
↳(morfemi grammaticali sottolineati)

Prendendo in considerazione il morfema iamo (in amiamo), esso ha un significato preciso,


poiché indica la prima persona plurale, del modo indicativo, tempo presente, del verbo amare.

Non vengono considerati morfemi lessicali poiché non cambiano la parola e non mutano
neppure la parte del discorso: sempre verbi rimangono, semplicemente danno delle
informazioni in più relative all’azione in questione (noi amiamo è un azione/un verbo diverso
da essi amarono, però sempre di provare amore si tratta: i morfemi grammaticali ci
forniscono informazioni in più che ci permettono di capire meglio un contesto).

Combinare morfemi grammaticali a nostro piacimento è infattibile: in genere per esprimere


un’azione nella sua completezza è abbastanza il morfema grammaticale, come nel caso di
amiamo: sappiamo che siamo noi a star amando, al presente; a volte, però, ciò non è possibile
poiché alcuni morfemi si ripetono ed è necessario scrivere il soggetto accanto al verbo.
Come spesso capita al congiuntivo, ci può essere confusione se il soggetto viene omesso: ad
esempio, ‘che ami’ non dà molte informazioni poiché potrebbe essere:
● che IO ami …
● che EGLI ami …
● io so che TU ami …
Per questo motivo, per distinguere i vari significati che uno stesso morfema può avere, a volte
è necessario mettere il soggetto accanto al verbo.
Classificazione tipologica
Questo tipo di classificazione è utilizzata dai linguisti per classificare tutte le lingue del
mondo, poiché ciascuna di esse rientra in questi tre gruppi, in base alla loro prevalente
morfologia (nessuna lingua ha un certo tipo di morfologia al 100%, poiché le lingue non sono
scienze esatte, di conseguenza hanno diverse sfumature linguistiche, talvolta anche errori,
poiché le lingue sono ideate dagli uomini). Vi sono lingue:

● Isolanti: hanno una morfologia ridotta; l’esempio classico è la lingua cinese,


costituita da logogrammi (un simbolo/logogramma corrisponde ad una parola; l’idea
che in cinese, invece, fosse composto da ideogrammi è ormai superata, poiché ogni
simbolo non corrisponde necessariamente ad un’idea o un’immagine).
Il nostro ‘ti amo’ è il corrispondente cinese di ‘io amo te’ poiché ogni morfema cinese
è isolato: non è coniugato. In cinese non esiste, ad esempio, il tempo verbale futuro:
per esprimere un’azione che accadrà si aggiunge alla frase una parola che esprime il
tempo futuro, ma i verbi non hanno coniugazione, sono sempre all’infinito.
Ciononostante il cinese ha degli elementi morfologici, ma sono piuttosto pochi.

● Agglutinanti: un morfema ha una sola funzione grammaticale: i morfemi si attaccano


uno di seguito all’altro come avviene in turco o in ungherese.
Esempio pratico in ungherese:
➔ Haz: casa
➔ Haz-ak: case | ak: morfema che determina la forma plurale di casa.
➔ Haz-ban: nella casa | ban: morfema che determina un complemento di luogo.
➔ Haz-ak-ban: nelle case

● Flessive: un morfema ha più funzioni grammaticali.


La lingua flessiva per eccellenza è il latino (sono flessive le lingue indoeuropee in
generale, tra cui naturalmente il latino e le lingue romanze da esso discendenti).
Le lingue flessive (inflected languages) sono costituite da declinazioni di sostantivi e
aggettivi, e coniugazioni verbali.
Col termine inglese ‘inflection’ si fa riferimento ad una flessione della parola, vale a
dire nell’atto pratico, alle declinazioni e alle coniugazioni presenti in una lingua.

Ritornando alla definizione di lingua flessiva (lingua in cui un morfema ha più


funzioni grammaticali), un esempio pratico per capirne il concetto può essere la
parola latina ‘Bonus’ → Il morfema ‘-us’ ha ben tre funzioni grammaticali:
➢ Caso: nominativo (soggetto);
➢ Genere: maschile;
➢ Numero: singolare.

In italiano la parola ‘Case’ → il morfema ‘-e’ indica due funzioni grammaticali:


➢ Genere: femminile;
➢ Numero: plurale.

Anche l’inglese è una lingua flessiva, seppure in piccola parte poiché non dispone di
coniugazioni verbali o strutture morfologiche complesse; eppure è dotata di
paradigmi, forme che determinano il genere e il numero di una parola.
Ad esempio, nella parola ‘Actress’ (attrici) il morfema ‘-ress’ indica:
➢ Genere: femminile.
➢ Numero: plurale
Prendendo in considerazione la parola ‘amamus’ (noi amiamo):
➔ ‘Am-’ è la radice (o lessema): è la parte invariabile della parola e le dà significato.
➔ ‘-A-’ è la vocale tematica;
➔ ‘-Mus’ è la desinenza: morfema grammaticale variabile; in questo caso indica la
prima persona plurale (noi) del verbo amare (= amiamo).

La vocale tematica è usata per collegare i morfemi tra loro e per costruire il tema/l’argomento
di una parola, che in questo caso è quello del presente: ‘Ama’, essenziale, poiché è proprio
sul tema del presente che in latino si costruisce il passato ed il futuro:
➔ Amavi (io amavo);
➔ Amabo (io amerò).
In parole lunghe è possibile contare più vocali tematiche.

!) In inglese la radice è chiamata ending, ma spesso essa include la vocale tematica.


Ending: vocale tematica + desinenza: gli inglesi non fanno differenza tra le due cose.

Nelle lingue flessive è solito vedere parole costituite da affissi (⬑ vai a morfemi lessicali); il
processo di aggiunzione di affissi ad una parola è detto affissazione.
La parola latina ‘Attingebam’ (io toccavo) contiene tutti e tre tipi di infissi:
❖ ‘Ad-’: prefisso che indica la direzione, il movimento verso qualcosa, l’avvicinamento.
❖ ‘-Tig-’: radice del verbo toccare, parte del verbo invariata nelle varie coniugazioni.
❖ ‘-N-’: infisso che indica il tema del presente;
❖ ‘-E-’: vocale tematica che indica il presente.
❖ ‘-Ba-’: suffisso che indica il tempo dell’imperfetto;
❖ ‘-M-’: morfema che indica la prima persona singolare, attivo.

Quando attraverso l’aggiunzione di un affisso si riesce a creare una parola nuova con un
significato diverso da quello della parola da cui deriva, in linguistica si parla di derivazione.
➢ (ing.): see (vedere) → foresee (prevedere) | aggiunzione prefisso;
➢ (ing.): mother-in-law → mothers-in-law | aggiunzione infisso;
➢ (ing.): thought (pensiero) → thoughtless (spensierato) | aggiunzione suffisso;
➢ (ted.): sprechen (parlare) → versprechen (giurare) | aggiunzione prefisso;
➢ (ted.): sprechen → gespräch (conversazione; ‘ge-’ prefisso astrattivo)
➢ (ted.): schön (bello) → schönheit (bellezza; ‘-heit’ suffisso astrattivo)
➢ (ted.): Sklave (schiavo) → versklaven (schiavizzare)
↪ Qui il procedimento è inverso: si parte da un sostantivo (schiavo) ai suoi derivati,
poiché la parola ‘Sklave’ non può essere scomposta; inoltre, storicamente deve
nascere prima lo schiavo, e poi la parola che esprima il concetto di schiavizzazione.
In genere non è così poiché prima si pensa all’azione quotidiana (es: ‘parlare’) e poi si pensa
alla necessità di trovare parole dello stesso campo semantico come conversazione o relatore.

La derivazione è una forma di affissione, poiché sfrutta il processo di aggiunzione di affissi


alla parola base per crearne una nuova; spesso affissione e derivazione coincidono.

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