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FONETICA E FONOLOGIA

La linguistica è una disciplina modulare, ossia comprende diversi aspetti che possono essere studiati
anche indipendentemente l’uno dall’altro. Si parla di fonologia (studio dei suoni), morfologia (studio
delle forme), sintassi (studio della formazione di frase), semantica (studio dei significati), pragmatica
(studio degli usi speciali della lingua). La lingua ovviamente è un unico fenomeno, ma possiamo
analizzarla da diversi punti di vista, in buona parte indipendenti l’uno dall’altro. Iniziamo dalla
fonetica/fonologia.

Radice fono- (significa suono) quindi sia la fonetica, sia la fonologia si occupano dei suoni, ma di
aspetti diversi dei suoni.

Fono = unità di base della fonetica (la fonetica studia i foni), il fono è il suono nel suo aspetto fisico.
Ad esempio studia come noi articoliamo il suono, fonetica articolatoria. Ovvero lo studio di come
dispongo gli elementi del mio apparato fonatorio, i vari organi che compongono il mio apparato
fonatorio (lingua, palato, denti, laringe, ecc.) si disporranno in un determinato modo per produrre i
vari suoni. Ogni suono è collegato a una modalità diversa di articolazione, questo è l’aspetto fisico del
suono  fonetica articolatoria

A cosa si contrappone il fono? Il fono è un suono linguistico, ovvero un suono che concorre alla
formazione di parole. Si differenzia quindi dal rumore. Ma anche con il nostro apparato fonatorio
possiamo produrre dei rumori. Non tutte le lingue hanno lo stesso inventario di foni, quello che può
essere considerato un rumore in italiano, potrebbe essere un fono in un’altra lingua.

Esempio: lingue a click presenti nell’Africa subsahariana, come la xhosa (caratterizzate da suoni
ingressivi – mentre l’aria entra passa dagli organi articolatori e pronuncia dei suoni). La maggior parte
dei suoni linguistici sono egressivi: l’aria esce dal corpo, si forma nei polmoni, compressa dal
diaframma, passa dagli organi articolatori ed esce, formando i vari foni. Mentre nelle lingue a click, vi
sono anche suoni linguistici ingressivi. È difficile produrli insieme ad altri suoni egressivi.

Fonema = l’unità di base della fonologia è il fonema. Il fonema è il suono nel suo aspetto mentale, è
qualcosa di astratto. Differenza tra competenza ed esecuzione, la prima ciò che so della lingua, la
seconda ciò che faccio con la lingua. Competenza: qualcosa di mentale, astratto / esecuzione: qualcosa
di fisico, concreto. Il fono è l’aspetto fisico della lingua, il suono che produco con l’apparato fonatorio, il
fonema è l’immagine mentale di questo suono, il modo in cui lo interpreto.
Pronunciando la parola “mano”, ogni esecuzione è diversa dalle altre (esecuzione fenomeno fisico,
contingente, inimitabile). Però le minime differenze nell’esecuzione non ci interessano. Prendiamo in
considerazione la vocale –a di mano. Si tratta di una vocale aperta, ma in alcune esecuzioni potrebbe
essere pronunciata leggermente più chiusa. Se la pronuncio un po' più chiusa non è importante, finché
il cervello la identifica come –a. Discretezza, il cervello interpreta per unità discrete, fino ad un certo
grado di apertura interpreterà come –a, altrimenti come –e. Mi interessa la variazione di suono solo
quando porta a una variazione di significato. Ogni esecuzione è leggermente diversa, ma il cervello le
decodifica nella stessa maniera.
Esempio: parola dell’italiano “rana”. Un francese la pronuncerebbe con la /r/ francese. Ma noi
comunque capiremmo, c’è un unico fonema /r/ nella mia mente. Il mio cervello le interpreta allo
stesso modo, si tratta di una variante, sono articolate in modo diverso (hanno un luogo diverso di
articolazione) ma differenza tutto sommato poco importante.
Se invece fosse un cinese a pronunciare la parola “rana”, la pronuncerebbe “lana” perché in cinese non
esiste il fonema /r/. Mentre sia la r italiana che la r francese corrispondono ad un’unica immagine
mentale che è il fonema /r/, il problema è che in italiano esistono sia un fonema /r/ che /l/  “lana” e
“rana” sono due parole dell’italiano che hanno significato diverso, sono una coppia minima.
Coppia minima: coppia di parole che hanno tutti i suoni uguali nella stessa posizione, fuorché uno.
Hanno ovviamente significato diverso.

Foni segnati tra parentesi quadre [r], i fonemi tra sbarre laterali /r/

Quindi mentre il parlante francese articola la r in modo diverso ma ci si capisce comunque perché
l’immagine mentale corrispondente ai due suoni [r] e [R]. Quindi il fonema /r/ può avere due
esecuzioni [r] italiana e [R] francese. Nell’esempio della pronuncia cinese invece c’è un problema
perché abbiamo, da una parte il fono [r] e da una parte il fono [l], e ho due immagini mentali diverse.

Ricapitolando, il fono è il suono fisico e concreto, mentre il fonema è mentale e astratto. Dunque la
fonetica studia i suoni nel loro aspetto fisico, studia come un parlante di una certa lingua articola i
suoni, come dispone gli organi dell’apparato fonatorio per produrre i suoni. Il fono è un suono
linguistico, che concorre alla formazione di parole.
Mentre la fonologia, studia l’aspetto mentale dei suoni, il suono nella sua capacità distintiva. Il fonema
è la più piccola quantità di suono che è in grado di distinguere parole dal significato diverso. Il fonema
è il suono nella sua capacità distintiva.
Come si fa a sapere se il suono è un fonema a sé stante o la variante di un altro suono? Si deve ricorrere
a delle coppie minime. Se queste parole hanno significato uguale, vuol dire che quel suono è una
variante. Nell’esempio della pronuncia francese, rana/Rana hanno tutti i suoni uguali fuorché uno
nella stessa posizione, il suono iniziale è articolato in modo diverso, però il significato rimane uguale.
Sono due varianti dello stesso fonema. La r dentale e la r uvulare (articolata a livello dell’ugola) sono
due varianti dello stesso fonema  rana e Rana non sono una coppia minima.
rana e lana sono invece una coppia minima, hanno significato diverso. Anche queste due parole hanno
tutti i suoni uguali fuorché uno nella stessa posizione, ma le due parole hanno significato diverso,
quindi i due suoni in questione sono due fonemi diversi.

Spesso le coppie minime ci servono per confrontare suoni simili e per capire se si tratta di due fonemi
diversi o di due varianti dello stesso fonema. Anche meno e mano sono una coppia minima, il che vuol
dire che /e/ e /a/ sono due fonemi dell’italiano. Rana e rana non sono una coppia minima, l’aspetto
fisico è diverso ma l’aspetto mentale è uguale, il mio cervello percepisce le due parole allo stesso
modo. Quindi la [r] italiana e la [R] francese sono due varianti dello stesso fonema /r/. Con lana e rana
ho due immagini mentali che sono /l/ e /r/, sono due fonemi diversi dell’italiano perché se li scambio
in una parola ottengo parole dal significato diverso. Un altro esempio è rame e lame, cara e cala.
Esistenza di molte coppie minime, mi fa capire che in italiano /l/ e /r/ sono due fonemi diversi.

Quando studiamo i suoni la prima distinzione da fare è tra vocali e consonanti. Principi di GU, tutte le
lingue hanno suoni vocalici e consonantici. Non è detto che ne abbiano lo stesso numero però .
Foni/fonemi vocalici e consonantici

VOCALI
- Le vocali sono i suoni che permettono il libero passaggio dell’aria, l’aria non è ostruita
- Le vocali sono tutte continue, prolungabili
- Le vocali sono tutte sonore (la sonorità riguarda la vibrazione delle corde vocali)
- Le vocali hanno valore sillabico (costituiscono il nucleo della sillaba – tante sono le vocali, tante
sono le sillabe) – oceano, quattro vocali = quattro sillabe (alcune i e alcune u hanno valore
semisillabico però )

CONSONANTI
- Nelle consonanti, il passaggio dell’aria è in qualche maniera ostruito, frappongono ostacoli al
passaggio dell’aria
- Le consonanti possono essere momentanee o continue, prolungabili o non prolungabili
- Vi sono consonanti sonore e consonanti sorde
- In italiano, le consonanti non hanno mai valore sillabico; in alcune lingue, alcune consonanti
possono avere valore sillabico  bottle: 2 sillabe, una è bɔ – tl (ɔ = o aperta)
Sillabe stressed = toniche
Sillabe unstressed = atone
In inglese, le sillabe atone (unstressed) possono avere il nucleo costituito da una consonante.
La sillaba tonica della parola bottle è ovviamente bɔ - portatrice di accento. La sillaba atona è tl,
il nucleo della sillaba sarebbe la l.
In inglese le consonanti che fungono da nucleo della sillaba sono le cosiddette sonoranti. Le
consonanti che possono fungere da nucleo sono le consonanti nasali (m, n) liquide (r, l).
Esempio: garden  ga: - dn  nella seconda sillaba è la nasale n a fare da nucleo sillabico.

In altre lingue, come il serbocroato, perfino le sillabe toniche possono avere un nucleo
consonantico.
TRST = Trieste / si tratta di un monosillabo, il nucleo è la consonante r (consonante con valore
sillabico)
KRK = nome di un’isola / il nucleo sillabico è anche qui la r, monosillabo

VOCALI DELL’ITALIANO (sistema vocalico dell’italiano)


Due parametri per distinguere una vocale dall’altra:
- altezza = altezza della lingua che può stare bassa attaccata alla parte inferiore della cavità
orale, oppure può sollevarsi andando verso il palato, chiudendo un po' la cavità orale. Solo un
pochino, perché se lo facesse del tutto non avremmo più una vocale, ma una consonante (ci
sarebbe un ostacolo forte al passaggio dell’aria). Le vocali basse sono ad esempio la –a, in cui la
lingua sta bassa e appiattita. Vocali alte o chiuse –i e –u, in cui la bocca è abbastanza chiusa.
- anteriorità o posteriorità = vocali anteriori o palatali quando la lingua va verso il palato duro,
immediatamente dietro ai denti. In una vocale come –i, la lingua va abbastanza avanti. Si parla
di vocali posteriori o velari, quelle in cui il dorso della lingua si alza e si avvicina al velo
palatino o palato molle (sta in fondo prima della laringe). La lingua può spingersi verso avanti
o rimanere ritratta indietro.

Le vocali dell’italiano sono 7 (sistema eptavocalico). Abbiamo sette fonemi vocalici nella lingua
parlata. Ciò vale anche per molti dialetti italiani, ma non per i dialetti dell’Italia estremamente
meridionale, dove ci sono sistemi pentavocalici. Anche lo spagnolo è un sistema pentavocalico. Italiano
lingua piuttosto semplice dal punto di vista fonologico, rapporto quasi 1:1 tra fonemi e grafemi.
Per quanto riguarda l’anteriorità /posteriorità le vocali possono essere:

anteriori centrali posteriori

per quanto riguarda l’altezza possono essere:

alte/chiuse medio-alte/medio-chiuse medio-basse/medio-aperte


basse/aperte

La prima vocale che il bambino impara è la a, vocale bassa centrale (la lingua sta bassa), la cavità orale
è massimamente aperta.
Dopo la vocale a, impara quelle opposte alla a, perché sono più facili da distinguere, e sono le due
vocali alte o chiuse i (anteriore/palatale) e u (posteriore velare). La cavità orale non è chiusa,
altrimenti sarebbero consonanti, ma sono le più chiuse tra le vocali. Le vocali posteriori o velari sono
dette anche arrotondate perché si tende ad arrotondare le labbra (u, o). Per pronunciare i, la lingua si
alza e va verso il palato duro, per pronunciare u, il dorso della lingua si alza e va verso il palato molle, e
le labbra si arrotondano.
Oltre alle vocali aperte e chiuse, l’italiano standard ha due tipi di vocali medie, due vocali anteriori
(una medio-alta e una medio-bassa) e lo stesso per le posteriori. Le medio-alte o medio-chiuse sono la
o (di coda) e la e (di mela). Le medio-basse o medio-aperte sono la ɛ (di peste) e la ɔ (di modo).

Anteriori (palatali) centrali posteriori (velari)

alte/chiuse i u
medio-alte/medio-chiuse e o
medio-basse/medio-aperte ɛ ɔ
basse/aperte a

Per dimostrare che la ɔ e la o, o la ɛ e la e, sono dei fonemi diversi, quindi hanno capacità distintiva,
utilizziamo le coppie minime.

e - ɛ  pesca (azione di pescare) – pɛsca (il frutto)


venti (numero) - vɛnti (plurale di vento)
e (congiunzione) - è (verbo essere)
accetta (strumento) - accɛtta (verbo accettare)

ɔ - o  bɔtte (le percosse) – botte (contenitore)


cɔrso (uomo della Corsica) – corso (corso delle cose)
loro – l’oro
o (congiunzione disgiuntiva) – ho (verbo avere)

I gradi intermedi hanno valore distintivo, se cambio una e chiusa con una aperta posso ottenere parole
dal significato diverso. Le vocali medio-aperte ɛ e ɔ posso trovarle però solo in sillaba tonica. In
sillaba atona ci saranno solo e ed o.
vento  vɛnto, vocale medio-bassa (sillaba tonica)
venticello  dato che non posso avere vocali medio-aperte in sillaba atona, diventa venticɛllo, quindi
la vocale della radice della parola che era vɛnto, è diventata chiusa

Aggiungiamo allo schema qualche vocale straniera, ad esempio lo schwa inglese, il cui simbolo è Ə.
Viene chiamata la vocale indistinta, non è né alta, né bassa, né anteriore, né posteriore, è una vocale ma
non è caratterizzata per nulla. È un suono frequentissimo in inglese. Pronunciando una vocale in
maniera frettolosa potrebbe esistere anche in italiano. Oppure in alcune dialetti centro-meridionali,
viene usata come vocale finale in molte parole  ho magnat (pronunciando viene fuori Ə finale,
indistinta, non viene nemmeno più fuori il tratto di genere e di numero). In italiano però non ha valore
fonologico, è semplicemente una variante geografica. Non esiste un mangiato o magnat che abbiano un
significato diverso. In inglese invece, questo suono può contribuire a distinguere parole dal significato
diverso. Può essere anche tonico/può stare in posizione di vocale tonica, ad esempio in una parola
come bird. Se cambio la schwa di bird in a, viene fuori una parola come bard, si tratta di due parole dal
significato diverso. In inglese quindi questo suono è un fonema.

Anteriori (palatali) centrali posteriori (velari)

alte/chiuse i y
u
medio-alte/medio-chiuse e Ø o
Ə
medio-basse/medio-aperte ɛ œ ɔ
æ
basse/aperte a

Parlando invece del tedesco, ci sono vocali miste, scritte con la dieresi. Ciò significa che per
pronunciarle prendo in considerazione due suoni. Partiamo con la ü (scritta anche ue a volte) = si
tratta di una vocale mista chiusa. La lingua si alza ma non va né avanti come per fare i, né indietro
come per fare u, ma rimane una via di mezzo. Si arrotondano le labbra come per fare u, ma la lingua va
più avanti. Si tratta di una via di mezzo tra u e i. Suoni complessi scartati da molte lingue. Il simbolo
della vocale mista è y, e lo posizioniamo in posizione centrale e alta.
Questi simboli vengono tutti dall’alfabeto IPA (International Phonetic Alphabet). Questi simboli
dell’alfabeto fonetico internazionale li troviamo nei dizionari e ci aiutano a capire come si pronuncia
una parola di un’altra lingua. La ü , che è una mescolanza tra u e i, ha il simbolo y ed è un fonema 
mutter (madre), mü tter (madri), dà un significato importante, significato di plurale. In tedesco quindi
ha valore fonematico.
Un’altra vocale del tedesco è Ø, che sarebbe una mescolanza tra o ed e (chiuse). Anche questa è
presente nel tedesco, oppone a esempio schon (avverbio già ) a schö n (bello).
C’è anche la via di mezzo tra ɛ e ɔ aperte, che è œ, come nel francese cœur.
Vi è anche una vocale anteriore che mescola a e ɛ (e aperta), ovvero la æ. Questo suono lo troviamo nel
tedesco, come in kase (formaggio), ma anche in inglese. È un suono ancora più aperto della nostra ɛ di
pɛsca. Ad esempio, si trova nella parola family o fact.
In francese, ci sono le vocali nasalizzate. Ad esempio l’articolo indeterminativo francese un. È uno
schwa nasalizzato, il simbolo sembra una tilde spagnola. Nella vocale nasalizzata, l’aria esce
contemporaneamente dalla bocca e dal naso. Un bambino impara prima le vocali normali e poi quella
nasalizzate, perché sono più complesse. Le vocali miste del tedesco e del francese, le vocali nasalizzate
del francese, sono tutti suoni complessi che i bambini imparano tardi, alcuni bambini nemmeno le
imparano. Molte lingue scartano questi suoni. Una lingua come il francese è più complessa dal punto di
vista fonologico rispetto alle altre lingue romanze.

pesca / pesca (con la e aperta)  omografi ma non omofoni


sette / sette (entrambi con la e aperta ma con significato diverso)  omofone e omografe
cieco / ceco  omofone ma non omografe

CONSONANTI DELL’ITALIANO (sistema consonantico italiano)


Tre parametri per distinguerli:
- luogo di articolazione (o punto di articolazione)
- modo di articolazione
- sonorità

(non abbiamo parlato della sonorità delle vocali perché come abbiamo detto sono tutte sonore)
Non è un errore dire che una vocale è sonora mentre le descriviamo, però è una ridondanza.
Le consonanti invece possono essere sonore (le corde vocali vibrano) o sorde (le corde vocali stanno
rilassate, non vibrano).

Luogo di articolazione: punto della cavità orale in cui viene messo l’ostacolo. Le consonanti sono dei
suoni in cui, a differenza delle vocali, l’aria quando fuoriesce, incontra un ostacolo. Questo ostacolo può
essere a livello delle labbra, palato, lingua che tocca i denti, e così via.
Nelle consonanti può cambiare anche il modo di articolazione. Ad esempio, se questo ostacolo è
totale, per una frazione di secondo abbiamo la cavità orale completamente chiusa, o se l’ostacolo è
parziale.

Tabella suoni dell’italiano


Orizzontale: luoghi di articolazione  bilabiali // labio-dentali // dentali/alveolari // palatali // velari
Verticale: modi di articolazione 

Occlusive: occlusive deriva da occlusione (chiusura), suoni in cui la cavità orale è completamente
chiusa. Essendo massimamente chiuse, sono tra i primi suoni che il bambino impara perché li trova
facili da accoppiare alla vocale a (tra le prime sillabe pa o ba).
- Occlusive bilabiali: p, b (a sinistra sempre la sorda). Suoni momentanei, non continui. Per
una frazione di secondo, la cavità orale è completamente chiusa; di conseguenza l’ostacolo al
passaggio dell’aria è totale. Quando l’ostacolo viene rilasciato si ha come una piccola
esplosione. Oltre occlusive, vengono chiamate anche plosive, esplosive o momentanee. Sono le
uniche consonanti che sono momentanee. In questo caso l’ostacolo è creato dalle labbra, le due
labbra si chiudono totalmente per un istante e quando si rilasciano (si riaprono) e fanno uscire
l’aria, l’aria si è compressa nella cavità orale e per questo abbiamo una piccola esplosione.
Questi suoni sono momentanei. A volte però li abbiamo doppi. La p di pappa non è proprio
raddoppiata, non si può allungare, ma viene pronunciata più forte (sono più esplosive).
- Occlusive dentali: t, d. In questa coppia di occlusive, la punta della lingua va a toccare la
parte più interna dei denti. Per un momento quindi la cavità orale è chiusa del tutto perché la
lingua tocca completamente i denti. Perché vi è scritto sia dentali che alveolari? Perché le varie
lingue del mondo possono scegliere un’articolazione più dentale (con la lingua che tocca
proprio i denti) oppure più alveolare (la lingua va a toccare l’alveolo – punto in cui il dente si
inserisce nella gengiva). La t inglese ad esempio è più alveolare della t italiana (differenza tra
tavolo e table). Si tratta per di una differenza che importa poco, l’immagine che sta dietro alla t
dentale e quella che sta dietro alla t più alveolare dell’inglese è la stessa. Se un italiano
pronuncia la t dentale invece di quella alveolare, gli inglese capirebbero comunque. In nessuna
lingua c’è un’opposizione fonologica che comporta differenza di significato tra una t dentale e
una alveolare.
- Occlusive velari: k, g = terza coppia di occlusive dell’italiano. Questi simboli
corrisponderebbero alla c dura e alla g dura ( non le dolci). Abbiamo quindi la k di casa, e la g
di gatto. Ovviamente ciascuno di questi suoni può stare davanti a qualsiasi vocale. Quindi poi
ne riparleremo, noi abbiamo ka, ke, ki, ko, ku / ga, ghe, ghi, go, gu. Che a volte si scriva con la h
o meno, si tratta di una convenzione ortografica (diversa in italiano rispetto ad altre lingue). La
che di chela, la ghe di gheriglio. In italiano abbiamo scelto che quando questi suoni sono
davanti a vocali palatali mettiamo la h; lo spagnolo ad esempio ci mette la u (ghe di guerra in
spagnolo). Per il ke usa que. Anche la q dell’italiano è un’occlusiva velare sorda, per questo i
bambini fanno confusione tra la c e la q. si pronunciano esattamente allo stesso modo. Unico
caso in italiano in cui abbiamo un suono che corrisponde a due grafemi diversi. Si chiamano
velari perché, come nelle vocali velari, il dorso della lingua (la parte bassa) si alza e va a toccare
il palato molle o velo palatino. Nelle vocali velari non lo tocca, l’aria continua a fuoriuscire
quindi la lingua ci si avvicina solo al velo palatino, mentre nelle consonanti velari la lingua
tocca il velo palatino quindi chiude la cavità orale.
QUESTI 6 SONO I FONEMI OCCLUSIVI DELL’ITALIANO. Soprattutto le prime 4 sono acquisite molto
presto dai bambini, le velari un po’ più tardi ma sono tutti suoni acquisiti molto presto. Le prime
due (bilabiali e dentali) sono presenti in tutte le lingue del mondo, le velari un po’ meno.
L’olandese ad esempio non ha l’occlusiva dentale sonora (g).

Fricative: dette anche spiranti o sibilanti, sono suoni continui, l’ostacolo non è totale. L’organo
articolatore va ad avvicinarsi all’altro ma non lo tocca completamente. Rimane una piccolissima
fessura dalla quale esce l’aria e che crea questo suono sibilante. Il termine fricativo deriva da frizione:
il suono esce come da uno spiraglio piccolissimo e quindi i due organi si sfregano. I suoni per questo
sono continui, prolungabili.
- Fricative labio-dentali: f, v (f sorda, v sonora). Si chiamano labio-dentali perché il labbro
inferiore a ad avvicinarsi all’arcata superiore dei denti, però non li tocca completamente,
continua a fuoriuscire l’aria da uno spiraglio piccolissimo, tant’è che abbiamo questo suono
sibilante, questa frizione.
- Fricative dentali: s, z (si tratta sempre si simboli IPA – s sorda, s sonora). L’italiano ha una
scrittura molto fonematica, molti suoni dell’italiano corrispondo ai grafemi che usiamo per
indicarli. Ogni tanto c’è qualche discrepanza, ad esempio la k per la c dura. Nelle fricative
dentali abbiamo un’altra discrepanza. Il simbolo s indica quella che noi chiamiamo la s sorda. Il
simbolo z non indica la z dell’italiano, ma indica la s sonora). Questa s sonora indicata dal
simbolo z la abbiamo ad esempio nella parola “caso”. A questo riguardo, esiste una diatriba tra
i linguisti italiani, se tutti e due i suoni siano da considerarsi fonemi. Si tratta ovviamente di
due suoni diversi. Ci chiediamo se tutti e due siano fonematici, ossia se uno sia una variante
dell’altro. La risposta che possiamo dare è che in italiano uno solo sia un fonema e quindi
consideriamo fonema la s sorda (s). La s sonora (z) è una variante. In inglese invece, ad
esempio, sono tutti e due fonemi. Ci sono coppie minime come sip (sorso) e zip (cerniera
lampo). Un altro esempio è ice (con la sorda) e eyes (con la sonora). Nell’italiano di oggi non ci
sono invece coppie minime, parole in cui sostituendo la s sorda con la s sonora ottengo parole
dal significato diverso. Si tratta quindi di varianti; a volte sono varianti libere, a volte dipende
dalla posizione in cui si trova il suono. Ad esempio, quando il suono s si trova tra due vocali,
nell’italiano settentrionale, si tende a pronunciarlo sempre sonoro – ad esempio “casa” si
pronuncia con la s sonora. Negli italiani meridionali più influenzati dallo spagnolo (dove la s è
sempre sorda) si tende a pronunciare la parola “casa” ad esempio con la s sorda. Viene
considerato fonema la s sorda (s) perché in inizio di parola (prima di vocale), in italiano, la s
non è mai sonora (z) – sole, sasso, sedia. Mentre in tedesco la s in inizio di parola è sempre
sonora. Non c’è nessuna variante dell’italiano che fa ciò (tralasciando forse alcune varianti alto-
atesine influenzate dal tedesco). La s sonora (z) quindi sarebbe una variante che ricorre in
alcuni contesti (poi vedremo le varianti combinatorie).
- Fricative palatali: ʃ, ʒ. Il secondo simbolo sarebbe la zeta caudata. La fricativa palatale
sorda che è identificata da questo simbolo ʃ (esse allungata) corrisponde al suono che troviamo
nella parola pesce – detta volgarmente s palatale. Lo stesso suono che abbiamo in posizione
iniziale in una parola come scemi, che forma coppia minima con semi. In “scemi” vi è una
fricativa palatale, in “semi” una fricativa dentale. La ʃ è quindi sicuramente un fonema. Il suono
identificato dalla zeta caudata sarebbe il suono che troviamo ad esempio nella parola garage,
però in italiano non ha valore fonematico. È una variante regionale oppure che si trova in
parola prese dal francese (ad esempio abat-jour). Si trova ad esempio nella variante toscana, i
toscani dicono per esempio la parola “regione” utilizzando questo suono. Questo suono tende a
indebolirsi, a Roma per esempio viene rafforzato (“reggione”) mentre i toscani lasciano che si
indebolisca. In italiano non ci sono coppie di parole in cui questo suono, sostituito ad un altro,
dà differenze di significato.

Affricate: sono dei suoni complessi. Come le vocali miste del tedesco, sono suoni complessi che si
imparano più tardi e che non tutte le lingue hanno. Questi suoni complessi combinano una parte
occlusiva e una parte fricativa. In italiano abbiamo due coppie di affricate: la prima la troviamo nel
luogo dentale-alveolare.
- Affricate dentali-alveolari: ts, dz (questi simboli sono dei digrammi, formati da due
lettere appiccicate). Sono i simboli che corrispondono alla nostra zeta grafica (z). La ts è la zeta
sorda che troviamo in pazzo, la dz è la zeta sonora ad esempio in zanzara. Dal momento che
entrambi i suoni sono scritti con lo stesso simbolo grafico (z), ci sono molte varianti regionali.
Ad esempio la parola “zio” viene pronunciata sia con la zeta sorda che sonora, in base alle
varietà regionali. Entrambe sono corrette perché entrambe vengono usate (non diamo giudizi
di valore). Ci sono però dubbi riguardo al fatto che tutte e due abbiano valore fonematico. Per
l’affricata dentale sorda o sonora, vi è una sola coppia minima: razza (con la zeta sorda, razza
umana) e razza (con la zeta sonora, il pesce). Forse una coppia sola non basta per dire che dz è
un fonema a sé stante. Potrebbe essere una casualità .
- Affricate palatali: tʃ, dʒ (queste sono la c e la g dolci – cena, ciuccio, ciabatta, gelo, giugno,
gigante). Sono sicuramente dei fonemi entrambe. Ad esempio, formano coppia minima fra sé
(cielo, gelo), oppure formano coppia minima con le velari (Cina, china – giro, ghiro) quindi
sono sicuramente due fonemi. Come la c e la g dure, possono essere messe davanti a qualsiasi
vocale, non solo davanti alle vocali palatali i, e. Semplicemente quando vengono messe davanti
a vocali come a, o, u viene messa davanti una i grafica. Quindi posso dire: cia, ce, ci, cio, ciu /
gia, ge, gi, gio, giu.
Si tratta di suoni complessi perché combinano una parte occlusiva e una fricativa. La parte occlusiva
è momentanea (si esaurisce), la parte fricativa è prolungabile. Se vengono prolungati diventano
uguali alle fricative proprio perché la parte occlusiva si esaurisce.

I primi tre gruppi di consonanti che abbiamo affrontato, occlusive, fricative e affricate, sono chiamate
consonanti ostruenti. Sono le consonanti vere e proprie, che rispondono perfettamente alla
definizione di consonante: suoni che frappongono un ostacolo al passaggio dell’aria. Effettivamente
questi tre gruppi sono le consonanti che frappongono un ostacolo forte al passaggio dell’aria. Sono
suoni molto diversi dalle vocali. Le occlusive è un ostacolo totale, anche le affricate per un momento, le
fricative non è totale ma è comunque un ostacolo molto forte.

Le consonanti che mancano vengono chiamate sonoranti. Sono quelle che assomigliano di più alle
vocali. (Alcune consonanti, in serbo-croato o in misura minore anche in inglese, possono avere valore
sillabico). D’ora in poi le consonanti sono tutte sonore, quindi non avremo due membri per casella, ma
solo uno. Sono anche tutte continue, come le vocali.

Nasali: nelle consonanti nasali il passaggio dell’aria è relativamente libero, quasi come nelle vocali,
ma l’aria non passa dalla bocca, ma dal naso. La cavità orale è completamente chiusa (come nel caso
della bilabiale m – le due labbra sono chiuse ma l’aria fuoriesce dal naso, quindi prolungabili). Suoni
molto semplici, tra i primi suoni che il bambino impara insieme alle occlusive.
- Bilabiale: m. le due labbra si chiudono ma l’aria esce dal naso
- Dentale: n. la lingua va come per pronunciare t e d, ma l’ostacolo non si rilascia, la lingua
continua a toccare denti o alveoli ma l’aria esce dal naso. Quando il naso è tappato dal
raffreddore questo suono non viene bene.
- Palatale: ɲ. Corrisponde alla nasale di gnomo, ogni, pigna. In italiano si scrive con gn, è una
convenzione. Lo spagnolo lo segna con la n con tilde, il portoghese nh. Convenzioni grafiche. Il
bambino sa che nomi e gnomi sono due parole diverse, quindi la nasale palatale è un fonema
dell’italiano.

Liquide: l’aria scorre bene (come i liquidi scorrono bene).


- Laterale-dentale: l. la punta della lingua tocca i denti, ma a differenza di t dove tutta la
lingua si schiaccia e non fa passare l’aria, è solo la punta della lingua che tocca i denti e l’aria
continua a fuoriuscire dai lati della lingua (per questo si chiama laterale).
- Liquida laterale-palatale: ʎ, corrisponde al suono presente nella parola figlia, coppia
minima fila-figlia, i artificio grafico per dire che la gl è palatale, altrimenti parole come sigla,
che è un g (occlusiva velare) più la laterale dentale l. fili- figli. Lo scriviamo con gl o addirittura
con gli. Lo spagnolo lo scrive con doppia ll. lo spagnolo non ha le doppie, quindi ll non è una
doppia ma corrisponde alla l palatale. Il portoghese scrive lh. Convenzioni ortografiche. Sono
fonemi perché ci sono coppie minime, fili-figli. Se la laterale diventa palatale abbiamo un
cambiamento di significato.
- Vibrante: r. in questo caso la lingua va a toccare i denti perché la vibrante dell’italiano è
dentale, tocca i denti ma l’aria fuoriesce ad intermittenza. È un suono complesso che molti
bambini prima dei 3,4 anni non riescono a pronunciare, alcune persone non imparano mai,
molte lingue scartano questo suono. La r è un fonema liquido dentale vibrante. Vuol dire che la
lingua tocca i denti ma non come in l, tocca i denti e poi si stacca, a intermittenza, tipica
vibrazione.

Semivocali (semiconsonanti, approssimanti): i suoni più simili alle vocali. Queste tre consonanti
(nasali, liquidi e semivocali) sono le sonoranti. Cioè le consonanti che più somigliano alle vocali,
sonore, continue, passaggio dell’aria abbastanza libero, molto più che le ostruenti. In molte lingue
possono addirittura costituire il nucleo sillabico (es. TRST, bottle dell’inglese). Le semivocali sono
quelle che più di tutte assomigliano alle vocali, tanto che le scriviamo con i fonemi vocalici, e così le
confondiamo.
- Semivocale palatale: j (simbolo della j),
- Semivocale velare: w (simbolo della w),
sono quelle i e quelle u talmente chiuse (più chiuse delle i e delle u vocaliche), sono anche più brevi – le
vocali in generale hanno un tempo di articolazione più lungo delle consonanti – sono diventate delle
consonanti. I di piede e u di nuovo. Se voi chiedeste quante sono le sillabe nella parola nuovo, tutti vi
direbbero 2: nuo-vo. In una parola italiana, tante sono le vocali, tante sono le sillabe. Sembrerebbe una
contraddizione se pensiamo solo alla scrittura. In piede e luogo infatti ci sono tre vocali. Però la i di
piede e la u di nuovo non sono vocali, ma semivocali. Hanno un tempo di risoluzione più breve ed è
talmente chiusa e talmente breve che è diventata una consonante. Provando a sostituire la i di piede
con la r  prede. Provando invece a sostituire con una vocale viene fuori  paede (che non esiste).
Prede ha lo stesso tempo di articolazione di piede. L’articolazione di paede è invece molto più lungo. In
questo caso si tratta di tre sillabe, infatti a ed e sono due vocali.

Esempio con questa coppia di parole: mio – più  mio ha due sillabe, più una sola.
Più  dittongo = semivocale + vocale. L’accento per forza cade su una vocale, perché l’accento non può
cadere su una consonante. L’accento ovviamente cade sulla u. La i è una semivocale.
Mio  iato = vocale + vocale (incontro di vocali). L’accento cade sulla i, due vocali e due sillabe.

Posso avere anche una i + una vocale o una u + una vocale, se ci cade l’accento vuol dire che è vocalica.
Es. Latteria  accento cade sulla i. la i quindi è vocalica. La a è una sillaba a sé stante.
Storia  due sillabe, l’accento cade sulla o, e -ria sillaba formata dalla vibrante r + semivocale + vocale.

Il grafema q è sempre seguito da una u semivocalica. La u vocalica non può mai essere preceduta da q,
infatti il bambino non sbaglia in parole come cuscino. È dove la u è semivocalica, come in scuola, dove
il bambino può sbagliare.

ALL’ESAME NON CI SARANNO I SUONI DELLE ALTRE LINGUE (NON CI DA LA TRASCRIZIONE DI PAROLE
STRANIERE).

Se sommiamo i suoni consonantici dell’italiano ai sette fonemi vocalici, otteniamo circa una trentina di
suoni (circa perché alcuni suoni li abbiamo messi tra parentesi). I linguisti sono incerti se considerare
fonemi quei suoni oppure no. Ci sono molte caselle nello schema che restano libere. Queste caselle
possono essere occupate da dei suoni presenti in altre lingue.
- Nell’ambito delle dentali fricative ad esempio, ci sono suoni a cui a volte viene dedicata una
colonnina a sé stante, che vengono chiamati interdentali: θ, ð. La fricativa interdentale sorda è
il suono presente in thank (o think). In inglese abbiamo questi suoni interdentali (con la lingua
che va a piazzarsi tra i denti), sono suoni fricativi, ovvero l’aria continua a fuoriuscire. Il
secondo suono è quello sonoro di this, that. Si scrivono entrambi con th, ma esiste il th sordo e
sonoro. Questo suono sordo esiste anche nello spagnolo iberico. C’è la fricativa interdentale th
che viene scritta con il grafema c o z (come in cena). Sia in spagnolo che in inglese sono due
fonemi (tank-thank sono due parole dal significato diverso). In spagnolo davanti ad a/o/u
viene scritta con z, davanti a e/i viene scritta con c.
- In spagnolo vi sono altre due fricative importanti che non sono suoni dell’italiano, ovvero: β, ɣ.
I simboli sono la beta del greco per la bilabiale, la gamma del greco per la velare. Vi è anche la
delta per le dentali. Se le occlusive sonore si trovano tra due vocali diventano fricative.
Esempio: la parola “cabo” sarebbe pronunciata esattamente così da noi italiano. In spagnolo si
trasforma invece in una via di mezzo tra b e v. Non si tratta di un suono labiodentale come v di
“cavo”, ma di una β bilabiale che è una via di mezzo tra b e v. Lo stesso funziona per la dentale:
esempio – dito = dedo. La prima d è una d occlusiva, la seconda è una fricativa dentale. Se
prendiamo la velare, possiamo prendere la parola lago. Noi in italiano pronunciamo lago con
una occlusiva velare, in spagnolo invece è un suono fricativo. Non si tratta di fonemi ma di
varianti. Li troviamo quando le occlusive stanno in mezzo a due vocali. Non esiste un beber
(pronunciato con la occlusiva bilabiale) e beber (pronunciato con la fricativa bilabiale).
Varianti, fricative sonore che sostituiscono le occlusive quando si trovano tra due vocali.
- I suoni corrispondenti alle sorde li abbiamo in fiorentino. Abbiamo la x, una variante di k
quando è tra due vocali. Esattamente come succedeva in spagnolo per le occlusive sonore, in
fiorentino questo fenomeno di indebolimento colpisce le occlusive sorde. La c di poco diventa
poxo. Si sente meglio nelle velari ma colpisce tutte le occlusive sorde, come la p di capo che
diventa ɸ. Ciò avviene solamente se è tra due vocali. Cannuccia viene pronunciato
normalmente, ma in “la cannuccia” c si pronuncia indebolita (gorgia toscana).

ALTRI SUONI STRANIERI


Esistono poi altri tre luoghi di articolazione, che sono : uvulari, faringali, glottidali. La r del francese per
esempio, non è una liquida vibrante dentale ma una liquida vibrante uvulare (simbolo R). la lingua va a
toccare non i denti ma l’ugola, è più indietro del velo palatino. La h dell’inglese (horse) che è una
fricativa glottidale sorda (simbolo h). La jota spagnola è una uvulare fricativa sorda (simbolo χ),
ancora più arretrata rispetto al suono toscano (la cola cola).

ɱ = nasale labio-dentale (la abbiamo davanti a f e v, se pronuncio inferno o inverno, ottengo un suono
che è quasi una via di mezzo tra m e n)
ŋ = nasale velare (di sing in inglese; in italiano non è un fonema ma la abbiamo tutte le volte che
procede c o g, ad esempio la n di fungo – più profonda nella gola rispetto alla n di dente)
la nasale labiale è la m, la nasale dentale è la n, davanti a consonanti labiodentali (che sono una via di
mezzo tra labiale e dentale) ho una nasale che è una via di mezzo tra n e m.

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