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LINGUISTICA ITALIANA

INTRODUZIONE ALLA LINGUISTICA ITALIANA


LA COMUNICAZIONE (introduzione)
La linguistica italiana è una disciplina descrittiva che ha per oggetto lo studio delle lingue in uso nel
territorio italiano, nel passato e soprattutto nel presente, essa è la scienza che studia il linguaggio
e le lingue.
Il linguaggio è l’insieme dei fenomeni di comunicazione. Con il verbo comunicare si intende
trasmettere qualcosa, metterlo in comune con qualcun altro. La comunicazione è pertanto, un
processo che prevede un movimento (un trasferimento) da una persona ad un’altra. Il termine
latino comunicare deriva da Com (insieme) + munis (compito/dovere)
La comunicazione va interpretata come un processo che ha un movimento, questo processo
necessita come minimo di due soggetti: chi produce la comunicazione e chi la riceve. Per far si che
la comunicazione avvenga è necessaria la collaborazione tra i soggetti, ovvero una condivisione
della volontà dì mettere in atto questo processo. La comunicazione consiste nella generazione di
messaggi che devono essere codificati, trasmessi attraverso un codice che verrà interpretato e
compreso che deve essere comune a chi produce e a chi riceve la comunicazione.
Lo scrittore Roman Jakobson ha schematizzato la comunicazione.
RJ e ‘stato un linguista filologo e criterio letterario russo protagonista della cultura del 900´.

1. Il mittente formula il messaggio.

2. Il destinatario riceve il messaggio.

3. Il messaggio è l’oggetto della comunicazione.

4. Il referente è ciò a cui il messaggio si riferisce.

5. Il codice è l’insieme di regole e segni che consente al mittente e al destinatario di


comprendersi.

6. Il contesto è dove avviene il processo.

7. Il canale è il mezzo fisico che mette in contatto mittente e destinatario. Il mezzo fisico che
consente al messaggio di arrivare è l’aria (per arrivare da un punto iniziale ad un punto
finale il messaggio viaggia nell’aria).

I CODICI
La lingua è un codice particolarmente importante perché identifica una determinata società: i
codici sono insiemi strutturati di segni e regole che si combinano tra loro formando le parole, il
linguaggio verbale (quello usato dagli umani) è infatti un linguaggio che utilizza le parole.
La linguistica italiana è formata dalla grammatica normativa, una grammatica che prescrive le
forme giuste e censura quelle sbagliate. La grammatica normativa si basa su due assunti
fondamentali:
a) In Italia si parla una lingua unitaria
b) ci sono due modi di parlare e scrivere: giusto e sbagliato
La linguistica descrittiva invece si occupa proprio della lingua che viene utilizzata negli usi
quotidiani scritti e parlati di tutti i giorni, di tutte le epoche, per ciò non condivide tali assunti
riflettendo sui fatti di lingua.
La linguistica italiana si studia secondo due prospettive:
 DIACRONIA “dia” è un prefisso che viene dal greco che vuol dire “attraverso” quindi una
prospettiva di studio che andrà a vedere l’evoluzione della lingua nel corso degli anni (i
tempi della lingua italiana)
 SINCRONICO “sincrono” parola di origine greca, cioè nello stesso intervallo di tempo. Una
prospettiva di studio che prescinde dal fattore tempo ma guarda alla lingua cosi come si
presenta in un determinato momento.

La linguistica italiana è formata dalla


- grammatica normativa, una grammatica che prescrive le forme giuste e censura quelle
sbagliate. La grammatica normativa si basa su due assunti fondamentali: a) in Italia si parla una
lingua unitaria b) ci sono due modi di parlare e scrivere giusto sbagliato.
- Linguistica descrittiva si occupa proprio della lingua che viene utilizzata negli usi quotidiani
scritti e parlati di tutti i giorni, di tutte le epoche, perciò non condivide tali assunti riflettendo sui
fatti di lingua.

La linguistica italiana quindi si divide in:


-linguistica storica dalla quale non si può prescindere
-linguistica odierna che è il. Risultato dell’evoluzione delle forme linguistiche e dei contatti con
altre lingue e dialetti.

LIVELLI DI ANALISI LINGUISTICA


La linguistica italiana si può essere studiata secondo diversi livelli
1. Livello fonologico (Fonetica e fonologia)
I suoni del linguaggio sono oggetti di analisi di due discipline complementari ma distinte, la
fonetica rappresentata dalla grafia e la fonologia. Queste due discipline sono alla base dello
studio della lingua.
2. Livello morfologico (Morfologia)
Esso studia la struttura interna della parola in relazione ai cambiamenti di forma e i
cambiamenti di senso (libro-libri)
3. Livello sintattico (Sintassi)
Studia come le parole si combinano e si dispongono tra di loro all’interno di una frase e
quali sono le funzioni dei rapporti tra le parole all’interno di esse
4. Livello semantico (Semantica)
Analizza le parole nel proprio significato. L’insieme delle parole forma il lessico. La
disciplina che prende in esame la sua struttura è la lessicologia. Mentre per lessicografia si
intende la teoria e la prassi della redazione di vocabolari e dizionari.
La linguistica testuale analizza e studia com’è costituito un testo e le varie tipologie come orale o
scritto

IL SEGNO LINGUISTICO

La lingua inoltre è fatta di segni ovvero i “segni linguistici” che stanno al posto di qualcos´atro. I
segni linguistici sono fatti di due parti: concreta e astratta. La parte concreta si definisce
significante, che è l’espressione la parte percepibile del segno (I suoi livelli di analisi sono:
morfologia, sintattica e fonologia.) La parte astratta invece viene definita significato che è il
contenuto. Il significante c’è ma non si vede ma è la parte percepibile del segno. Il segno è
«un'entità psichica a due facce», un significante, l'immagine acustica, e un significato, il concetto.
«Il segno linguistico unisce non una cosa a un nome, ma un concetto e un'immagine acustica».
L'associazione di un significante e di un significato costituisce l'entità linguistica.

IL LIVELLO FONOLOGICO

FONETICA (concreto)

La fonetica si occupa dei suoni nella loro completezza e studia e descrive come sono articolati
(fonetica articolatoria), trasmessi (fonetica acustica) e ricevuti (fonetica uditiva o percettiva).
La fonetica (dal greco φωνή (phōnḗ), "suono" o "voce") è la branca della linguistica relativa alla
sostanza dell'espressione che studia la produzione e la percezione di suoni linguistici (foni), e le
loro caratteristiche.

FONOLOGIA (astratto)

Tratta i suoni come entità astratte studiando e descrivendo la loro organizzazione nei singoli
sistemi linguistici. La fonologia è quella disciplina che studia la lingua come un sistema e ci
permette di utilizzare i suoni come unità di prima articolazione. È la componente fonologica che ci
permette di ricondurre suoni fisicamente diversi dal punto di vista di numerosi parametri dei suoni
mentali univoci significativi e distintivi, a delle entità cognitive.

Nella fonologia distinguiamo fono e fonema:

 Un fono è un suono definibile come minima entità fonico-acustica della lingua ed è


considerata un'entità concreta. Un fono ("suono", "voce") è un suono linguistico, ossia un
suono del linguaggio umano, prodotto dall'apparato fonatorio. I foni, che fanno
riferimento, appunto, solo a suoni (e non a lettere), sono rappresentati nello scritto per
mezzo delle trascrizioni fonetiche, che sono sempre scritte tra parentesi quadre ([]).
 Un fonema è un’entità più piccola portatrice di una distinzione tra delle coppie minime:
due parole uguali che differiscono l’una dall’altra per un solo elemento, il fonema. (Ex:
cane-pane; pala-palla; ancóra-ancora) Un fonema è un'unità linguistica dotata di valore
distintivo, ossia una unità che può produrre variazioni di significato se scambiata con
un'altra unità: ad esempio, la differenza di significato tra l'italiano tetto e detto è il risultato
dello scambio tra il fonema /t/ e il fonema /d/.
Organi fonatori: L’italiano ha solo foni espiratori (dentro>fuori). Per questo l’aria, dalla trachea,
incontra le pliche o corde vocali che, vibrando, emettono i suoni
EMITTENTE E RICEVENTE

La trasmissione del materiale fonetico avviene attraverso tre fasi:

1. Il parlante produce i foni della sua lingua per mezzo di organi fonatori che fanno parte
del collo e del capo.
2. I segni acustici prodotti vengono trasmessi attraverso l’aria, sotto forma di onde
sonore.
3. L’ascoltatore riceve con le orecchie le onde sonore, le trasmette al cervello che le
analizza e interpreta.

LA CLASSIFICAZIONE DEI SUONI

Le vocali sono sempre sonore, prodotte dunque in presenza di vibrazione delle corde vocali e,
quando fuoriescono, l’aria espiratoria non incontra nessun ostacolo nel canale orale.

Il diverso timbro vocalico è dato dalla particolare conformazione che la cavità orale assume a
seconda della posizione degli organi mobili (lingua, labbra, velo palatino). Mentre Il suono delle
vocali cambia a seconda della posizione della lingua; se è in avanzamento o arretramento. (Ex: I
anteriore, U posteriore)

A seconda del timbro delle vocali ne abbiamo 7 accertate:


- Alte (chiuse): I e U
- Medio alte (semi-chiude): é e ó
- Medio basse (semi-aperte): è
- Bassa (aperte): A

Quindi: graficamente avremo 5 vocali ma, ricorrendo alle coppie


minime, si scopre che sono fonemi. Dunque, foneticamente, le
vocali saranno 7.

Le vocali sono differenziate a seconda della parte del palato che le emette:
Parte anteriore (palato duro) > vocali palatali
Parte centrale
Parte posteriore (palato molle) > vocali velari

APPARATO FONATORIO

Organi per articolare i suoni linguistici sono:

- Cavità nasale
- Labbra
- Denti (alveoli)
- Lingua (apice, dorso e radice)
- Faringe
- Laringe (pliche vocali)
- Trachea
- Esofago

CONSONANTI

Nel pronunciare una consonante, l’aria nella sua uscita incontra ostacoli (al contrario delle vocali)
che fanno parte dell’apparato fonatorio. Vi sono dei parametri di classificazione:

- Modalità di articolazione: il tipo di modifica corrente d’aria espiratoria.


- Luogo o punto di articolazione: il punto della cavità orale in cui avviene la modificazione
della corrente d’aria
- Sonorità: presenza o assenza della vibrazione delle pliche (corde vocali).

Esistono tre tipologie di consonanti:

1. Consonanti occlusive: l’aria espiratoria incontra un ostacolo completo (dato lo stretto


contatto tra le due organi) che provoca un blocco totale del passaggio. Il suono è prodotto
tramite un’occlusione momentanea dell’aria (1. fase di tenuta) a cui fa seguito uno
scoppio (2. fase di rilascio), da cui la denominazione di consonanti occlusive (o plosive). Il
rumore ottenuto nella fase di rilascio ed è dunque istantaneo, non può essere prolungato.
Si tratta dunque di suoni momentanei, non continui.

2. Consonanti fricative: L’aria espiratoria incontra un ostacolo parziale (dato dal


ravvicinamento tra due organi), che provoca un restringimento della cavità orale e crea un
fruscio. L’aria espiratoria passa attraverso una fessura stretta producendo un rumore di
frizione da cui la denominazione di consonanti fricative. Si tratta di suoni continui perchéé
il rumore può essere prolungato a piacere.

Ex: volare, sasso, fata

3. Consonanti affricate: Si ha una combinazione dei modi: dapprima si ha un ostacolo


completo (fase occlusiva) poi un rilascio graduale nel quale gli organi restano molto vicini
(fase fricativa) provocando il tipico rumore di frizione consonanti affricate. Essendo la fase
di rilascio una fase fricativa si tratta di nuovo di suoni continui, come nelle fricative.

Ex: pozzo, “affricata +schema libro

SEMICONSONANTI E SEMIVOCALI

Si chiamano così perchéé hanno una durata più breve di una normale vocale e un suono
intermedio tra la vocale e la consonante. Sono rappresentate graficamente da vocali “i“e “u”
quando sono atone e sono seguite da un’altra vocale (danno origine ai dittonghi perchéé non
possono essere mai separati).

Ex: buono, fuoco (u semivocale), piede > danno origine ai dittonghi

- I dittonghi

Sono costituiti da una semivocale e una vocale, única silaba sempre unite e generano suoni
di tipo vocalico che, nei dittonghi e nei trittonghi, si combinano alle vocali. La
semiconsonante i è detta jod (i lunghi o jod) ed è trascritta foneticamente /j/ mentre la
semiconsonante velare u è detta uau ed è trascritta foneticamente /w/

Ex: piede, fuoco, buono Trittonghi: miei, suoi

- Lo iato

Lo iato, indicato nella grafia da una dieresi, è una sequenza di due vocali eterosillabiche, in
cui cioè ciascuna delle due vocali mantiene il valore di silaba. In questo caso le due vocali
sono due silabe diversa, si possono quindi separare.

Ex: farina, baule, poeta, coesione

LIVELLI DI ANALISI LINGUISTICA

GRAFIA

La grafia ci permette di riprodurre nello scritto i suoni di una lingua (fonemi). Le unità grafiche
elementari della grafia vengono chiamate grafemi; vengono realizzate attraverso i grafi e non
sono suddivisibili ulteriormente. I grafemi sono oggetto di studio della branca della linguistica
detta grafematica, e in linguistica sono generalmente indicate tra parentesi uncinate (<>).

LINGUA E SCRITTURA

La lingua viene considerata come una facoltà innata universale tipica della specie umana, di
sviluppare e apprendere specifici codici di lingua, che si realizza da moltissime migliaia di anni

La scrittura è un sistema che permette di fissare su di un supporto tangibile il linguaggio articolato


ed il pensiero umano. Nasce tra l'8000 e 4000 a.C. in ragioneria, con lo scopo di rappresentare i
simboli e permette per la prima volta di conoscere la quantità senza che gli oggetti fossero
materialmente presenti, inizialmente attraverso una rappresentazione simbolica e
successivamente attraverso un sistema cuneiforme e sistema geroglifico (3300- 3200 a.C.) La
scrittura può essere pittografica, alfabetica e ideografica. Per l’italiano utilizziamo scrittura
alfabetica (segni corrispondenti a un suono), mentre in lingue come il cinese viene utilizzata una
scrittura ideografica (segni corrispondenti a parole, oggetti o concetti)

ALFABETO
Il primo alfabeto, che contava circa 30 segni con valore esclusivamente consonantico, fu
inventato nel 1900 a.C. da genti di lingua semitica (Cananei) provenienti dall'area siro-palestinese.

 - I geroglifici: I geroglifici seguono un principio acrofonico secondo il quale ad ogni segno


viene assegnato un valore fonetico corrispondente al primo suono della parola che
rappresentata. Ex: in egiziano una linea ondulata indicava l’acqua, in semitica acqua si dice
“mêm”; la linea ondulata assume il valore di “m”, che è il primo suono (consonantico) della
parola “acqua”.

 - L’ alfabeto cirillico (S. Cirillo) è un sistema di scrittura attuale che rappresenta un


adattamento dell’alfabeto greco. Fu introdotto dagli slavi di cultura greca aderenti alla
chiesa ortodossa; è ancora usato per il russo, l'ucraino, il serbo e il bulgaro.

L’ALFABETO FONETICO

L’alfabeto fonetico è l’insieme dei simboli impiegati per la rappresentazione grafica dei suoni di
una lingua. La sua prerogativa essenziale è quella di associare in modo univoco un solo segno
grafico ad ogni fono. È un alfabeto artificiale creato apposta per rappresentare tutti i fonemi di
tutte le lingue, con lo scopo di far conoscere a tutti la corretta pronuncia delle parole.

L’ alfabeto fonetico IPA (International phonetic alphabet): è un sistema di notazione


standardizzata di carattere universale, poiché́ consente la codifica articolatoria dei suoni di tutte le
lingue del mondo (ad ogni singolo simbolo grafico equivale solo un fonema).

N.B. Con l’alfabeto normale ad un segno può corrispondere più suoni, per l’IPA ogni simbolo ha un
suono diverso (sistema convenzionale, no storico).

CAP 1. - L’ITALIANO OGGI

 L'italiano odierno è organizzato su tre fasce:


Insieme di scelte linguistiche centrali che formano la grammatica fondamentale del
patrimonio storico dell'italiano standard, usate da tutti, nei contesti più vari. In questa
fascia troviamo tutte le realizzazioni non marcate della lingua, cioè caratterizzazioni
particolari, dovute alla regione di provenienza del parlante, al tipo di testo che si sta
producendo o alla situazione in cui ci si trova.
 Più insieme di scelte linguistiche particolari, differenziate da diversi punti di vista:
geografico, sociologico, stilistico eccetera. Ognuno di questi insiemi costituisce una varietà
di lingua.
 I dialetti: non sono usati da tutti su tutto il territorio, e là dove sono ancora usati la loro
distribuzione è disuguale. Costituiscono tutt'ora una risorsa espressiva e comunicativa
molto importante per la comunità italiana.

Le varietà della lingua occupano lo spazio di variazione più ampio e si dispongono nello spazio
linguistico italiano secondo cinque assi fondamentali:

1. Asse diacronico (variazione del tempo) associa la lingua ad un fattore extra


linguistico, ovvero mettere la lingua associata a qualcosa che non è linguistico con
ad esempio il tempo. (Dante- variazione diacronica dell’italiano es. lo passo/ il
passo)
2. Asse diatopico (variazione nello spazio) ovvero lo sesso concetto viene espresso in
modi diversi da persone che vivono in luoghi diversi (come a lingua cambia
all’interno dello spazio). Il toponimo è il nome di un luogo. Lo spazio incide sulla
lingua e la può far variare, anche restando nello stesso luogo (noi andiamo/ noi si
va)
3. Asse diamesico (variazione a seconda dei mezzi di comunicazione) lo stesso
concetto viene espresso in modi diversi dalla stessa persona quando usa mezzi di
comunicazione diversi. Ad esempio la frase detta orale o scritta ma anche varietà
trasmesse (non c’abbiamo tempo per studiare /parlato/ non abbiamo tempo
sufficiente per studiare /scritto/)
4. Asse diastratico (variazione a seconda dello strato sociale “attraverso gli strati
perché la società si presuppone sia stratificata) lo stesso concetto viene espresso in
modi diversi da persone appartenenti a diversi strati sociali (ha mal di testa /accusa
una cefalea)
5. Asse diafasico (variazione a seconda della situazione comunicativa) lo stesso
concetto viene espresso in modi diversi dalla stessa persona in situazioni diverse. A
seconda della situazione si deve calibrare il modo in cui si comunica

Queste 5 principali fattori di variazione costituiscono degli assi di riferimento lungo i quali si
possono ordinare le varietà compresenti nello spazio di variazione di ciascuna lingua. Ogni asse è
un continuum che presenta agli estremi due varietà contrapposte, se invece ci fosse un buco tra
le diverse varietà si chiamerebbe “gradatuum”. Bisogna pensare allo spazio linguistico nel quale si
collocano le varietà̀ della nostra lingua come uno spazio pluridimensionale, attraversato da più
assi incidenti. Molti fenomeni occupano spesso uno spazio intermedio fra i quattro assi e la loro
posizione è determinata dai quattro valori delle distanze da ciascuno degli assi. Di solito i
fenomeni e le varietà in esame vengono assegnate all'asso più̀ vicino ma spesso non mancano i
motivi per assegnarlo anche ad altri assi.

LA SOCIOLINGUISTICA
La sociolinguistica studia le diverse modalità di realizzazione della lingua (va a vedere come la
lingua si dimensiona, si muove, cambia a seconda della società), studia le diverse modalità di
realizzazione della lingua a seconda delle diverse tipologie di parlanti.
LA VARIAZIONE LINGUISTICA
serve per capire come riformulare, modificare, adattare il messaggio linguistico a seconda della
situazione del mezzo della tipologia dei parlanti che ho difronte.
COMUNITÀ LINGUISTICA
insieme delle persone che parlano una determinata lingua, tenendo conto delle possibili varietà
che sono presenti nella comunità
REPERTORIO LINGUISTICO
insieme dei codici e delle varietà che un parlante è in grado di padroneggiare. Più ha possibilità di
usarne più il suo repertorio linguistico è elevato
Architettura dell’italiano contemporaneo: BERRUTO 1987
(Schema che rappresenta architettura dell’Italiano contemporaneo) come alcune assi di variazione
vanno ad intersecarsi, si mettono in relazione con l’italiano di oggi.
- (gli assi sono 5, ma qui sono 3 non comprende ne la diacronia ne la diatopia) descrizione
sincronica perché si prescinde dalla diacronia e non si tiene conto del cambio della lingua
nello spazio.
- È una schematizzazione che prende in considerazione solo: diastratica (lingua società),
diafasia (lingua situazione -> formale ed informale) e diamesica (lingua mezzo-> scritto
L’ITALIANO STANDARD
Il vocabolario registra due eccezioni del termine standard: l’italiano normativo e quello comune
Standard è una parola di origine latina, la base di questa parola è stendardo (bandiera), standard
vuol dire modello, l’italiano standard è il modello a cui tutti noi ci riferiamo, è l’italiano del modello
come la scuola lo trasmette da una generazione ad un'altra. Ma accanto all’italiano standard
possiamo trovare un'altra varietà della stessa lingua ovvero l’italiano di uso comune, ovvero quello
che usiamo comunemente tutti, è quella lingua che di solito viene accetta anche se si distanza
dalle regole grammaticali
L’italiano comune Berruti l’ha definito come “italiano neo standard” ovvero un italiano comune
che ha un nuovo standard.

Il vocabolario registra due accezioni del termine standard: L’italiano normativo e quello comune.

L’italiano normativo:

➔ Si tratta della varietà̀ di una lingua assunta come modello dai parlanti e in genere proposta
come modello di insegnamento. In questo caso ci si riferisce a un insieme di regole, norme e
precetti elaborati dai grammatici, proposti-imposti dalla scuola come forme corrette e
trasmessi di generazione in generazione dalle grammatiche prescrittive (normative)
scolastiche. È basata sul volgare fiorentino trecentesco, grazie al prestigio delle 3 corone
(Dante, Petrarca, Boccaccio), è diventata una varietà standard.

È una lingua:

 Codificata cioè fatta propria da istituzioni di livello nazionale che la tramandano,


assicurando che la norma si è costantemente rispettata
 Dotata di prestigio: costituendo un modello da imitare, in quanto considerato come l’unico
corretto
 Con una funzione unificatrice tra parlanti di varietà regionali differenti
 Con una funzione separatrice, adempiendo ad una funzione di simbolo dell'identità
nazionale
 Con una lingua scritta consolidata
 Non è marcata e quindi non legata a una specifica varietà della lingua.

L'italiano di base Toscana - in particolare Fiorentina - codificato come lingua modello nel
Cinquecento e diventato in seguito lingua nazionale, ha quasi tutte queste caratteristiche eccetto
la non-marcatezza. Per quando riguarda la pronuncia quella standard è la cosiddetta pronuncia
Fiorentina emendata, che rispetta le regole fondamentali del Fiorentino ma è privata dei tratti
specificamente ed esclusivamente toscani, come l'articolo davanti ai nomi personali o le pronunce
spiranti delle affricate palatali (Ex: hoca hola).
N.B. Pochissime persone parlano come vorrebbero le regole dell'italiano normativo
(secondo stime generose si arriva al 1% della popolazione); oggi anche l'italiano parlato a
Firenze è lontano dallo standard normativo.

Fra le caratteristiche del fiorentino che dovrebbero transitare nell'italiano standard e che invece
nella pronuncia corrente restano limitati all'area toscana ricordiamo:
-vocalismo tonico a sette vocali, con distinzione fra e e ho aperte e chiuse.
-la distinzione tra la Fricativa dentale sorda e quella sonora.
-il raddoppiamento fonosintattico, cioè la pronuncia rafforzata della consonante iniziale della
parola, quando questa sia preceduta da una parola tronca, da un monosillabo accentato, da certi
monosillabi non accentati o da parole piane.

L’italiano comune:

➔ Caratteristica propria di una lingua o di un comportamento del linguaggio largamente accettato


come forma usuale. Questo significato si riferisce invece alla lingua comune correntemente usata
dai parlanti di una comunità̀ linguistica, e comprende anche forme non accettate dalle
grammatiche prescrittive ricorrenti nell’uso effettivo della lingua.

 L’italiano dell'uso comune comprende:


a- Tutti i tratti dello standard normativo che sono entrati nell'uso quotidiano effettivo,
scritto e parlato degli italiani
b- Un insieme di forme di tratti linguistici che provengono dalle varietà sub-standard che
di fatto sono usati e sono quasi generalmente accettati come forme standard.

Alcuni studiosi danno denominazioni diverse all' italiano dell'uso comune:

 Italiano neo standard: Indica che essa comprende forme e costrutti che sono
recentemente entrati nello standard.
 Italiano dell'uso medio: Sottolinea che essa è di uso comune nella vita di tutti i giorni, sia
nel parlato e nelle situazioni informali, sia nello scritto e nelle situazioni formali
 Italiano tendenziale: Evidenzia il fatto che l'arricchimento attraverso forme provenienti dal
sub-standard è la direzione principale verso la quale si sta muovendo la lingua italiana.
 Italiano senza aggettivi ovvero che parla di cose concrete

L’Italiano neo-standard è una varietà che può essere scritta ma soprattutto parlata e che coincide
in buona parte dello standard, a accoglie un serie molto ampia di fenomeni in passato rifiutati o
sconsigliati dallo standard: un nuovo standard

I fenomeni caratteristici dell´’italiano comune


➔ L'italiano, come le altre lingue del mondo, viene classificato per le combinazioni
sintattiche; in particolare è importante sapere la posizione del verbo rispetto al soggetto e
all'oggetto. In italiano, come nelle altre lingue romanze l'ordine è SVO (Ex: Paolo ama
Giulia).

1. Dislocazione a sinistra
Dislocare: vuol dire trasportare da una parte all’altra. Questa dislocazione è una costruzione
marcata in cui l'elemento che occupa la posizione O è anticipato - appunto, spostato a sinistra
rispetto all'ordine degli elementi della frase - ed è poi ripreso nella frase da un clitico (un pronome
atono) (Ex: devi fare questa scelta adesso > questa scelta devi farla adesso)In termini
grammaticali possiamo descrivere la dislocazione a sinistra come una costruzione in cui
l'elemento del predicato viene a occupare il posto normalmente occupato dal soggetto, per poi
essere ripreso da un pronome clitico. Questo tratto proviene dal parlato ed è originato da
problemi di organizzazione del discorso.I punti strategici in cui si colloca un'informazione per
metterla in bene in rilievo sono la testa e la coda. Se nel parlato si vuole mettere in risalto un
elemento, si sfrutta questo principio dislocando a sinistra o a destra l'informazione da evidenziare.

Tema e Rema:
In ogni enunciato:
- ciò di cui si sta parlando costituisce il tema (dato)
- ciò che si dice intorno al tema costituisce il rema (nuovo)

Nella dislocazione a sinistra quindi, un elemento che secondo l'ordine non marcato non sarebbe in
posizione tematica viene portato a tema e a seconda delle prospettive si parla di un fenomeno di
tematizzazione (portare a tema un elemento) e di topicalizzazione (portare un elemento nella
posizione che normalmente occupa ciò di cui si parla) e di focalizzazione (fare coincidere il focus,
cioè il centro di interesse informativo dell’enunciato con un determinato Elemento). Un caso
particolare di dislocazione a sinistra è il tema sospeso (anacoluto) dove tra l'elemento anticipato e
il clitico c'è uno iato forte che non assicura la concordanza grammaticale. Tema sospeso è un caso
particolare il soggetto in questo caso non si esprime ma il resto del rema non sono collegati
sinteticamente al soggetto, se levi il soggetto funziona uguale, sospesa perché manca il pronome
che fa parte della dislocazione a sinistra. (Ex: questo vino, per stare bene, bisogna berne 2-3
bicchieri). La dislocazione a sinistra sostituisce spesso il passivo che nel parlato gode sempre di
minor fortuna. La prima dislocazione a sinistra: “Sao ko kelle terre, per kelle fini qui ki contenne,
trenta anni le possette parte santi benediciti”

2. Dislocazione a destra
È una costruzione simmetrica rispetto alla precedente: si parla di dislocazione a destra quando
nella parte destra di una frase c'è un elemento che dipende dal verbo della frase, e che è ripreso a
sinistra. In altre parole, è preannunciato da un clitico all'interno della frase. (Ex: lo vuoi un
cioccolatino? La caratteristica di questo costrutto non è tanto sintattica quanto comunicativa:
l'elemento che viene dislocato a destra è il tema, ciò di cui si parla). L’uso della dislocazione a
destra è ampio e diffuso nel parlato, piuttosto che nello scritto.

3. Frase scissa

“SEI TU CHE NON VUOI PARLARE” Si utilizza il verbo essere, si usa per dare enfasi
È un costrutto molto diffuso, soprattutto nel parlato. In questo caso l'informazione è
spezzata (scissa) in due e uno dei due pezzi va a occupare una posizione di primo piano.
Ad esempio partendo dalla frase semplice “Sei tu che non vuoi”, il parlante la segmenta in
due, per poi assegnare il primo posto all'elemento che vuole mettere in rilievo e, per
rinforzarlo, lo eleva infine al rango di frase affiancandogli la voce verbale sei. Il risultato
finale è una distribuzione delle informazioni su due unità. Oltre a nomi e pronomi si
possono portare nella posizione di primo piano anche avverbi (Ex: è così che ti piace?),
sintagmi verbali (Ex: è leggere che mi annoia), negazione (Ex: Non è che mi piaccia tanto) e
interrogazione (Ex: Non è che mi presteresti la bici?).

4. C’è presentativo
Anche in questo costrutto l’informazione viene distribuita su due unità frasali. Ex: c’è un tale che
bussa alla porta. Se nella frase semplice un ragazzo bussa alla porta si identifica nel soggetto un
ragazzo l’elemento portatore di una nuova informazione (cioè il rema), lo si porta in posizione di
testa e gli si costruisce intorno una vera e propria frase autonoma, che diventa frase principale;
subito dopo si costruisce una frase relativa, con la quale si specifica ciò che fa quel tale. Anche in
questo caso, lo spostamento ha fatto si che il soggetto della frase di base sia diventato il rema.

5. I tempi verbali
➔ Si fa riferimento a una redistribuzione dei significati e delle funzioni: se una determinata
relazione temporale non può più essere espressa con il tempo verbale che la tradizione
storica le ha assegnato, viene espressa con un altro tempo, che non la prevedeva: così
quest’ultimo si carica di nuovo significato.
- Il presente: è usato spesso con valore di futuro, soprattutto nel parlato informale e
quando ci si riferisce a un futuro imminente o a fatti che si è certi che avverranno.
Questo uso è ormai accettato da tutti.

- Il trapassato remoto: è poco usato: si trova quasi esclusivamente in testi molto


accurati, con alto grado di formalità.

- Passato prossimo e passato remoto: Il passato prossimo è in forte espansione.


Nello standard dovrebbe indicare un’azione i cui effetti durano ancora nel
momento dell'enunciazione; in realtà è molto usato anche per indicare azioni
molto lontane dal momento dell’enunciazione (là dove lo standard prevede l’uso
del passato remoto), soprattutto nelle varietà regionali settentrionali e nei testi più
informali. Nel parlato informale il passato prossimo può anche acquisire il valore di
futuro anteriore. (Ex: appena hai finito (= avrai finito) la doccia, la faccio io.)
Per quanto riguarda il passato remoto, nella conversazione spontanea e nello
scritto informale non emerge quasi mai; viene usato però da parlanti colti e semi-
colti in contesti formali in riferimento a eventi lontani. Nello scritto più formale si
usa il passato remoto.

- Imperfetto: Viene utilizzato quasi sempre per indicare un’azione iniziata nel
passato e poi continuata e ripetuta. Serve dunque molto bene a creare lo sfondo
dell'azione indicata nella frase principale. Nell’italiano contemporaneo, oltre a
questo, si registrano altri usi dell’imperfetto:
a. Nel periodo ipotetico: la norma richiede il congiuntivo nella protesi e il
condizionale nell’apodosi, ma dall’italiano colloquiale sta arrivando
all’italiano comune l'uso dell’imperfetto indicativo in tutte e due le
posizioni. Esempio: se me lo dicevi prima ordinavo anche per te. In questi
casi l'imperfetto si riferisce all’ipotesi di una realtà che non si è verificata.
b. L’imperfetto ludico che usano i bambini quando inventano scenari
fantastici per i loro giochi. Esempio: io ero un poliziotto e ti facevo la
multa.
c. Gli usi attenuativi quando si fa una richiesta è si vuole evitare di apparire
bruschi, oppure quando si vuole mostrare deferenza. Esempio: volevo
esprimere la mia solidarietà al ministro.

- Futuro. Il futuro è sostituito sempre più spesso dal presente indicativo. Non è una
sostituzione semplice: l’assenza di un indicatore di tempo verbale pone il
problema di segnalare in altro modo che l’evento si svolge nel futuro. La soluzione
consiste nell'affidare l'indicazione temporale, invece che al verbo, a un elemento
lessicale o al contesto. Questo uso è ormai entrato anche nei testi scritti.
Il futuro però acquista anche altre funzioni:
a. Futuro epistemico: esprime una congettura o un'inferenza sia in
riferimento al presente che al passato. (Ex: sarà vero? ricorderete tutti che
due anni fa…)
b. Futuro deontico: esprime un obbligo, una necessità, una concessione
sancita per legge. (Ex: chi desidera comunicare con il responsabile
del’Ufficio dovrà munirsi di lasciapassare.)

6. I modi verbali

➔ Il congiuntivo: Da qualche tempo è stata notata la tendenza a sostituire, in certe


circostanze, il congiuntivo con l’indicativo. Ma questo solo in contesti ben precisi: nelle
frasi dipendenti, in dipendenza di verbi di opinione, quando si riferisce a un evento che il
parlante non sente come ipotetico, possibile, incerto o improbabile, ma come reale. L’uso
dell’indicativo per il congiuntivo è molto diffuso ma non si può dire che sia generale.
Infatti si verifica:
- Molto più nell’Italia centro-meridionale che al Nord.
- Più in testi informali.
- Frequentemente nel parlato e meno nello scritto.
- Più presso parlanti incolti che presso parlanti colti.
Altre irregolarità riguardano la reggente, cioè l’uso dell’indicativo là dove ci vorrebbe un
congiuntivo. Si trovano presso gli incolti (Ex: sebbene tu sei il mio migliore agente) e si
trovano persino in testi scritti formali (Ex: qualora il versamento è effettuato).
Tra le cause della crisi del congiuntivo le principali sono: la marcatezza, la complessità
della coniugazione – che provoca la tendenza a semplificare e a regolarizzare le forme
irregolari – e del sistema delle reggenze – che favorisce l’indicativo – l’influenza del
dialetto, la tendenza generale a costruire periodi basati sulla coordinazione piuttosto che
sulla subordinazione.
➔ Il condizionale: Il condizionale è più vitale del congiuntivo ma in certe forme complesse
tende a essere sostituito dall´ imperfetto indicativo. Esempio: non pensavo che mi
avrebbero bocciato → non pensavo che mi bocciavano. In compenso si sta arricchendo di
alcune funzioni particolari:
- Citazione. Si usa negli articoli di cronaca, quando si riportano notizie di cui non si è
certi. (Ex: secondo alcune indiscrezioni il nostro bomber sarebbe in trattative…)
- Attenuazione nelle richieste. (Ex: mi daresti un passaggio?)

➔ L’infinito: Anche l’infinito è in espansione:


- Usato Nelle istruzioni.
- Nelle costruzioni in cui si vuole portare a tema l’azione o l’evento espressi dal
verbo.
- Nel foreigner talk.
- Nelle tematizzazioni

7. Altre tendenze del sistema verbale


➔ Quanto alla diatesi – cioè al rapporto del verbo con il soggetto o con l’oggetto – il passivo
è usato solo nei testi scritti mediamente o altamente formali, e nel parlato più formale. Di
norma le forme passive sono trasformate in passive, per lo più con soggetto impersonale.
(Ex: è stato investito → l'hanno investito.) Per fare il passivo, oltre al verbo essere, è
molto usato il verbo venire o andare. Nel neo-standard è molto curata l’espressione delle
modalità e dell’aspetto verbale. Questo comporta anche un aumento nell’uso delle
perifrasi.
- Stare + gerundio: esprime un aspetto non abituale ma continuo (sto mangiando),
un aspetto progressivo che riguarda il processo del ricordare nel corso del suo
svolgimento (non mi sto ricordando). Probabilmente la diffusione di questo
costrutto è agevolata dalla diffusione dell’inglese.
- Stare a + infinito: esprime un aspetto durativo (Ex: stavo a mangiare).
- Non stare a + infinito: esprime un aspetto durativo in forma negativa (Ex: non
stare a sottilizzare).
- Modalità deontica: Ex: questo sacrificio va fatto.
- Modalità epistemica: Ex: ne avevo la possibilità, e l’ho fatto.

8. Usi del “che” (polivalente)


➔ Per una frase principale e una subordinata l’italiano prevede una gamma molto ampia di
congiunzioni, preposizioni e locuzioni. Nell’italiano comune sono in atto processi di
semplificazione, che operano in due direzioni: riducono il numero di congiunzioni più
usate e semplificano le regole d'uso. Il che è diventata ormai una congiunzione passe-
partout e può introdurre frasi con valore di:
- Relative temporali: (Ex:il giorno che ci siamo incontrati.)
- Causali: (Ex: sbrigati, che è tardi.)
- Finali: (Ex: vieni, che ti lavo.)
- Consecutive: (Ex: vieni, che ti possa lavare.)

➔ Ma la gamma di usi del che è molto vasta, è comprende anche l’introduzione di pseudo-
relative (la vedo che sorride!), di costruzioni enfatiche (che bella che sei!), di avvio
dell’interrogazione (che, vuoi uscire con questo freddo?). La grande ampiezza e varietà di
impieghi del che giustifica la denominazione di “che polivalente”. Questa estensione d'uso
è molto accentuata nell’italiano popolare. Molto probabilmente questi usi erano diffusi
nel parlato, ma il loro impiego nella scrittura fu stigmatizzato dall’affermazione dello
standard fiorentino, nel quale non erano previsti. Si spiega così il fatto che tornino alla
luce solo ora, che lo scritto tende ad avvicinarsi al parlato e dunque ad adottarne le
strutture.
9. Pronomi
Obliqui
➔ Il sistema dei pronomi in italiano è molto complesso: per questo motivo, da quando
l’italiano si è avviato a divenire lingua di tutti proprio i pronomi sono stati investiti da ampi
processi di semplificazione e di regolarizzazione.
- I pronomi soggetto egli/ella ed essi/esse tendono a essere sostituiti
rispettivamente da lui/lei e loro. Tuttavia la sostituzione è diversa nello scritto e
nel parlato: nel parlato ella è del tutto scomparso ed egli è rarissimo; invece nello
scritto egli resiste, accanto a lui/lei.
- Nel complemento di termine il vecchio standard prevedeva un sistema a cinque
forme, che si è ridotto a due: le e gli.
- Ha avuto un forte incremento l'uso (pleonastico) del ne, soprattutto collegato a
dislocazioni a destra e a sinistra (Ex: di questo argomento ne abbiamo già parlato).
- Fra i pronomi e gli aggettivi dimostrativi il mutamento più evidente è la
sostituzione generalizzata della serie a tre membri questo/codesto/quello con la
serie a due membri questo/quello. L’uso orale di codesto è oggi fortemente
marcato in diatopia (toscano), mentre l’uso scritto è marcato in diamesica
(corrispondenza tra enti e uffici) e in diafasia (è esclusivo della lingua della
burocrazia).
- Ciò è soppiantato da questo/quello nel parlato. Nello scritto le cose vanno
diversamente: questo e quello col significato di ciò sono connotati come forme
colloquiali.
- L’uso di il quale/la quale è limitato ai testi scritti più formali; negli altri usi si usa
che o a cui, di cui, per cui ecc.

10. Coniugazioni
➔ Anche il quadro delle coniugazioni subordinanti è molto ricco e complesso, e anche esso
subisce fenomeni rilevanti di semplificazione:
- Per introdurre le finali, accantonato l'affinchéé, si usa quasi solo il per e il perchéé.
- Per introdurre le causali non si usa più giacchéé, e si usa poco poichéé. Tutte e due
sono stati sostituiti da siccome e dato che. Si sente spesso anche visto che.
- Per introdurre le consecutive si usa spesso così.
- Per introdurre le interrogative, accanto a perchéé?Si usa anche come mai?

CAP.2- I DIALETTI
Con il termine dialetto (dal greco diàlektos ovvero lingua) intendiamo un sistema linguistico
autonomo rispetto alla lingua nazionale, dunque un sistema che ha caratteri strutturali propri. Un
dialetto si parla in un’area geografica limitata, è utilizzato in ambiti d’uso socialmente e
culturalmente ristretti, non è utilizzato in situazioni formali e non possiede un lessico tecnico-
scientifico. È tuttavia impossibile identificare il numero e l’estensione geografica di ogni dialetto,
soprattutto perché i tratti linguistici che distinguono i dialetti diversi sfumano quasi sempre da una
varietà all’altra dando luogo ad un continuum. È tuttavia possibile fare una prima grande divisione
dell’Italia in tre aree, delimitata da due importanti confini linguistici: la linea La Spezia-Rimini e la
linea Roma-Ancona. Sono state definite quindi delle linee immaginarie per stabilire la diversità
delle lingue queste linee vengono definite linee isoglosse (stessa lingua) le linee immaginarie con
le quali, mediante un’ipotesi metodologica, si uniscono i punti estremi di un’area geografica cara
La linea “La Spezia- rimini e la linea Roma- Ancona” sono le isoglosse più importanti.
Tra le isoglosse che corrono lungo il confine La Spezia-Rimini ne ricordiamo solo alcune:

1. La lenizione, cioè̀ il passaggio da sorda a sonora delle occlusive sorde intervocaliche


latine: FRATĔLLU > lomb. fra ‘del.
2. La palatalizzazione, cioè̀ lo spostamento di un suono vocalico sull’asse delle
palatali: CAVĀRE > Tor. ga’ve.
3. La caduta delle vocali pre e post-toniche latine: tor.dne “denaro”.
4. La palatalizzazione del nesso consonantico–CT.
5. Lo scempiamento delle vocali doppie o geminate.

A sud della linea Roma-Ancona si possono individuare i seguenti fenomeni:

1. Assimilazione dei nessi ND e MB in nn e mm.


2. Sonorizzazione delle consonanti sorde dopo nasale NT>nd,NC> ng.
3. Passaggio dalla fricativa ad affricata in alcuni nessi.

Attraverso queste linee si sono create diverse aree dialettali:


• Macro area settentrionale: area gallo-italica, area veneta, area istriana (dialetti istrioti)
• [linea «La Spezia-Rimini»]
• Macro area toscana (o centrale NON mediana)
• [linea «Roma-Ancora»]
• Macro area centrale e meridionale: area mediana, area meridionale (intermedia)
• Macro area meridionale estrema
• Altre lingue italo-romanze: sardo, friulano, ladino

All’interno di queste tre aree (settentrionale, centrale e meridionale), in Italia si distinguono sei
grandi gruppi di dialetti.

1. Settentrionali, divisi a loro volta in: Dialetti gallo-italici e Dialetti veneti


2. Dialetti friulani
3. Toscani
4. Mediani
5. Meridionali
6. Meridionali estremi
7. Sardo

Dialetti gallo-italici: il nome Gallo deriva dal fatto che queste parlate sono strettamente affini agli
idiomi francesi

Tratti caratteristici:

 - La presenza delle vocali cosiddette ‘turbate’, vale a dire [ø] e [y].

 - La caduta di vocali atone finali diverse da -a e da -i: an per “anno”.

 - La caduta delle vocali atone pre-toniche e post-toniche: TELARIU > tlar.

 - La palatalizzazione della [a] tonica, in [e], visibile particolarmente negli infiniti dei verbi
della prima coniugazione: par ‘le.

 - Gli esiti di – CT. In Piemonte centrale e occidentale e in Liguria si ha – jt.

Dialetti veneti I dialetti veneti si distinguono dai dialetti gallo-italici per:

 - Assenza di vocali turbate.

 - Il nesso – CT è realizzato con la dentale – t scempia.

 - Le consonanti occlusive velari k e g davanti a vocale palatale e o diventano fricative


dentali: CAELU > sjelo.

 - Le vocali atone sono ben salde.

Dialetti friulani

 ➔ Tratti caratteristici:
 - Conservazione della – s finale per il plurale: murs “muri”.

 - Conservazione dei nessi consonantici CL, GL, PL, BL: klama

1. “chiama”.

 - Palatalizzazione di KA e GA > tʃ e dƷ.

 - Caduta delle vocali atone finali.

Dialetti toscani

➔ Tratti caratteristici:

 Monottongazione di wo in o: novo.
 Gorgia, cioè̀ spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche -p, -t, -k: saphone.
 Passaggio dal suffisso – ARIU > -aio: FORNARIU > fornaio.
 Passaggio di – RV > -rb, -LV > -lb: NERVU > nerbo.

Dialetti mediani

➔ Tratti caratteristici:

 - Passaggio da ld a ll: “caldo” > kallu.

 - Passaggio a vibrante r o a palatale j di l + consonante: “molto” > mordo/mojto.

Dialetti meridionali

➔ Tratti caratteristici:

 - Metafonia o armonizzazione vocalica, ossia la chiusura di e chiusa tonica in i e di o chiusa


tonica in u quando una parola termina per -i o per -u.

 - Sonorizzazione della sorda dopo la nasale: “bianco” > bjango.

 - Assimilazione delle sonore d e b dopo nasale: “mondo” > mon:o.

 - Betacismo, ossia passaggio di v latina a b.

Dialetti meridionali estremi

➔ Tratti specifici:

 Vocalismo tonico a cinque vocali.

 Suoni cumulativi.
 Assenza di vocali indistinte.
 Sostituzione dell’infinito con modi finiti introdotti da varie particelle.

Dialetti sardi

➔ Tratti specifici:

 - Vocalismo tonico a cinque vocali.

 - La conservazione delle consonanti finali.

 - La conservazione delle consonanti velari k e g davanti alla palatale.

 - La caduta della velare nel nesso GN.

 - La perdita dell’articolazione velare nelle consonanti labiovelari.

 - Il passaggio di -ll a -ɖɖ.

Le parlate Alloglotte
All’interno della nostra penisola si trovano altre parlate, diverse da dialetti precedenti. sono quelle
delle cosiddette comunità alloglotte, ovvero comunità che utilizzano parlate diverse da quelle in
uso nelle aree in cui sono insediate. Alcune sono neo latine, altre non discendono dal latino. Fra le
comunità alloglotte più importanti ricordiamo:
• Francoprovenzali e provenzali (Valle d’Aosta e Piemonte occidentale)
• Ladine (valli dolomitiche)
• Catalane (Sardegna, Alghero)
• Slovene (Friuli Venezia-Giulia)
• Albanesi (Sud, soprattutto Calabria)
• Greche (Lecce e Reggio Calabria)

CAP.3- L’ITALIANO ATTRAVERSO LE REGIONI [Diatopia]

-italiano regionale, varietà d’italiano, parlato e scritto, caratterizzato da tratti provenienti di una
specifica area geografica

L’italiano regionale
➔ L'italiano regionale comprende l'insieme delle varietà della lingua italiana, diversificate
diatopicamente. Cioè in relazione all'origine alla distribuzione geografica dei parlanti.
Ogni varietà si differenzia sia dalle altre varietà che dall'italiano standard.

I geosinonimi
➔ Tutt'ora molte coppie, triplette o piccoli gruppi di parole che hanno lo stesso significato,
ma con la particolare caratteristica che ognuna viene usata solamente o prevalentemente
in una certa area linguistica; sono dunque sinonimi a distribuzione geografica. (Ex:
anguria al nord e cocomero al sud).
La forza espansiva di un geosinonimo dipende dalla storia dell'oggetto designato e dal
Prestige dal dinamismo del centro il radiatore. (Ex: il termine stracchino diaria Lombarda è
diventato di uso generalizzato in tutta Italia per diffusione del prodotto grazie alla sua
commercializzazione su larga Scala)

Le varietà dell’italiano regionale


➔ Le maggiori varietà regionali italiane sono tre con le rispettive sottovarietà
a. Settentrionale
Piemontese, Ligure, Lombarda, Veneta-fiuliana, Emiliano-romagnola

b. Centrale
Toscana, Mediana

c. Meridionale
Campana, Pugliese, Siciliana

N.B. Toscana e mediana hanno un'importanza particolare, perché hanno come centri
radiatori rispettivamente Firenze e Roma, che per i noti motivi storici sono al centro
della storia linguistica italiana e ancora oggi sono considerati da molti i luoghi della
lingua modello (di diritto Firenze e di fatto Roma).

Il prestigio
L’italiano regionale settentrionale

➔ La varietà più accettata è quella settentrionale di base Milanese: I più la considerano


come quella maggiormente vicina ad un ipotetico italiano standard. Questo
atteggiamento assolutamente legato a ruolo egemonico e trainante dell'economia
dell'Italia settentrionale.

L’italiano regionale centrale

➔ La varietà Toscana di base Fiorentina ha perso inesorabilmente il suo prestigio. È valutata


molto positivamente solo nella stessa Toscana; mentre altrove gode solo del prestigio
residuale fornito dallo stereotipo scolastico, che la associa all’italiano normativo.
In Toscana Il repertorio linguistico e sostanzialmente monolingue, il parlante non dispone
di codici diversi ma di una varietà alta e una bassa di italiano e perciò percepisce la parlata
del suo paese (vernacolo) come una variante locale.

➔ Con la denominazione varietà Mediana si indica la varietà di italiano parlata nell'Italia


Centrale a esclusione della Toscana. comprende il Lazio l'Umbria le marche e ha come
centro principale Roma. La varietà Romana ha attraversato un periodo di grande prestigio
che andava dal ventennio fascista all'epoca del Neorealismo della radio e della formazione
della TV. A partire dagli anni 60 l'uso della cadenza romana nei film spinge ad associare
questa varietà ad aggettivi come buffa divertente simpatica che spostano questa varietà
sull'asse diafasico, caratterizzandola agli usi informali.

L’italiano regionale meridionale


➔ La varietà Meridionale senza ombra di dubbio quella dotata di minor prestigio a causa del
persistere del pregiudizio antimeridionale. Viene associato molto spesso all'immagine di
una persona poco colta; il parlato viene considerato volgare inferiore e storpiato. Sul
piano regionale meridionale ha come centri egemoni Napoli, sul versante tirrenico e Bari,
su quello Adriatico.

CAP.4- L’ITALIANO ATTRAVERSO LA SOCIETÀ [Diastratica]

➔ La variazione diastratica è legata alla diversità degli strati sociali a cui appartengono i
parlanti, e a fattori sociali specifici come il grado d’istruzione, la professione, l’età, il sesso.
Il termine diastratico è composto da dia “attraverso” e strato.

Italiano colto e popolare


Se consideriamo la lingua in relazione all’istruzione, possiamo dire che sull’asse della variazione si
collocano ai due estremi, rispettivamente, l’italiano colto e l’italiano popolare. Il parlante con un
livello di istruzione superiore utilizzerà tendenzialmente le varietà “alte”, cioè quelle più vicine al
polo dell’italiano colto, mentre un parlante con un basso livello d'istruzione utilizzerà
tendenzialmente varietà “basse”. In realtà, almeno per i parlanti istruiti, questa evoluzione non si
è realizzata in maniera lineare verso livelli di lingua sempre più immuni da tratti sub-standard.
Infatti, molti parlanti colti continuano a utilizzare, anche in situazioni formali, pronunce
marcatamente regionali. Qua sta situazione può attribuirsi al tardo processo di italianizzazione
del nostro paese e alla forte differenziazione areale.

- Italiano colto: L’italiano colto, parlato e scritto delle persone che hanno
un’istruzione medio-alta, è spesso identificato con l’italiano standard. Infatti,
coincide grosso modo con l’italiano cosiddetto standard. “Grosso modo” perché
l’italiano colto da una parte ha i caratteri dell’italiano normativo e dall’altra
subisce spesso interferenze della fonetica regionale.
- Italiano popolare: È quell'insieme di usi frequentemente ricorrenti nel parlare e
nello scrivere di persone non istruite e che per lo più nella vita quotidiana usano il
dialetto, caratterizzati da numerose devianze rispetto a quanto previsto
dall’italiano standard normativo. L’italiano popolare non deve essere confuso con
l’italiano sub-standard, anche se essi presentano tratti in comune.
Macrosintassi e organizzazione testuale
➔ I testi orali de´Iitaliano popolare sono caratterizzati da false partenze, riformulazioni,
cambi di progettazione, correzioni, ripetizioni, passaggi dal discorso diretto al discorso
indiretto, usi non standard di congiuntivo e condizionale, tutti tratti tipici dell’oralità che
transitano nello scritto dai parlanti semi-colti.

➔ caratteristiche principali
- Morfologia: La concordanza a senso (Ex: un sacco di persone)
- Lessico: Il lessico dei testi in italiano popolare è caratterizzato da un uso frequente
di termini generici (Ex: ho trovato un sacco di quelle cose). Numerose sono le
espressioni mutuate dalla lingua della burocrazia e i tecnicismi (Ex: conseguire il
titolo di studio). Inoltre, si fa uso di suffissi e prefissi più frequente che nello
standard (Ex: Casina, casetta, sorellina).
Le parole difficili vengono semplificate per essere assimilate a forme più famigliari.

➔ Ricordiamo che il sub-standard comprende tutte le varietà che nel’asse della variazione si
collocano al di sotto dello standard, ossia presentano tratti del parlato, della’ italiano
popolare, dell’italiano colloquiale, delle varietà regionali, usati nell’italiano informale

Gerghi

➔ Un’altra varietà di lingua legata alla stratificazione sociale è il gergo. Il gergo si basa su
trasformazioni convenzionali delle parole d'una lingua o d'uno o più dialetti, con inserzioni
di elementi lessicali.
La parola deriva dal francese antico jergon che in origine significava “cinguettio” e passò
poi a significare “lingua dei malfattori” a partire dal XV secolo. Per lungo tempo è
prevalsa la tesi che i gerganti li usassero per non farsi capire dagli altri (finalità
criptolalica). Questa tesi però era convincente solo se la si applicava a sette segrete, a
bande di malfattori; non lo era altrettanto per i gruppi di mestiere come gli ombrellai o gli
arrotini. Oggi si contempera la spiegazione della segretezza con quella della
riaffermazione della solidarietà del gruppo attraverso un “codice interno”. La prova di ciò
è data dal fatto che i gerghi vengono utilizzati non solo in presenza di estranei, ma anche
all’interno della famiglia e dei piccoli gruppi. In altre parole il gergo non è una lingua
oscura, ma una lingua diversa, usata da chi sta ai margini della società per distinguersi
dagli altri. Va dunque evitata l’estensione del termine a indicare lingue specialistiche,
come ad esempio “gergo medico”. In realtà, neppure le lingue specialistiche hanno fini
criptici, ma come il gergo – anche se per altri motivi –non sono comprese da coloro che
sono estranei al gruppo.

Le varietà giovanili
➔ Il linguaggio giovanile ha in comune con i gerghi storici solo alcuni termini e l’ambiente. Le
sue finalità sono:
a. Ludiche.
b. Di rafforzamento della coesione del gruppo.
c. Di contrapposizione ad altri gruppi.
Alcuni preferiscono chiamarlo ‘gergo transitorio’ perché è parlato presso determinate
fasce d’età e in particolari situazioni. Il termine ‘gergo' è improprio perché é il carattere
specifico delle varietà giovanili è il gioco, del tutto secondario nei gerghi. Le varietà
giovanili sono mutevoli perché ogni volta che si tenta di fissare una forma questa diventa
ben presto obsoleta. Sono influenzate, oltre che dalla situazione comunicativa, anche
dalla provenienza geografica e dall’estrazione sociale. Inoltre varia al variare delle
generazioni e dei loro gusti. Quindi non si può dire che il linguaggio giovanile sia unico: ne
esistono invece tante varietà.
➔ Caratteristiche principali
- Lessico: Il lessico è fortemente caratterizzato dall’uso di molte figure retoriche. A
livello lessicale in tutte le parlate giovanili si riscontrano sei componenti:
1. Una base di italiano colloquiale informale. All’italiano colloquiale i giovani
attingono in maniera considerevole, costruendo con esso lo strato più
resistente all’innovazione.
2. Uno strato dialettale. Forme dialettali non solo locali ma anche provenienti
da dialetti diversi, e sono legate sia ai complessi fenomeni delle nostre
migrazioni interne sia alla rapidità di circolazione delle innovazioni presso i
giovani che dispongono di strumenti potenti di diffusione come la musica e
Internet.
3. Uno strato gergale ‘tradizionale’. Le coniazioni dei linguaggi giovanili anno
vita effimera. Una parte del lessico è però costituita da forme chi sono
ereditate da varietà giovanili di generazioni precedenti (Ex: ganzo o
fregare)
4. Uno strato gergale ‘innovante’. Alcune forme provengono dal gergo della
caserma, altre dal gergo studentesco: ad esempio tutte le varianti lessicali
per” marinare la scuola”.
5. Uno strato proveniente dalla lingua della pubblicità e dei mass-media.
Questo strato è forse il più effimero, in quanto sopravvive di poco – di
norma pochi mesi al massimo qualche anno – alla durata della campagna
pubblicitaria.
6. Uno strato proveniente da lingue straniere. La lingua dei giovani è ricca
anche di termini stranieri o di termini inventati. Per la formazione delle
parole ricordiamo le frequentissime abbreviazioni realizzate con aferesi e
troncamenti. Molto frequenti sono anche i disfemismi riferiti soprattutto
alla sfera sessuale.

Lingua e genere
➔ Un altro fattore che è stato individuato come determinante nella variazione linguistica e il
sesso, o genere. Una data fondamentale il 1975 anno di pubblicazione di Language and
WomaN´s Place. Il comportamento linguistico delle donne non dipende dal genere
biologico, ma dipende essenzialmente dal ruolo della donna nella comunità, dalla mobilità
sociale, dall’istruzione, dai rapporti con le altre comunità ecc. Tuttavia, da alcune ricerche
condotte è emerso che le donne sono più orientate verso lo standard per tre motivi:
1. Motivo di prestigio.
2. Motivo educativo: i padri si rivolgono ai figli in dialetto, mentre le madri si sentono
responsabili nell’educazione dei figli, e perciò si rivolgono loro in italiano.
3. Motivo migratorio con funzione mimetica.
CAP.5- L’ITALIANO ATTRAVERSO I MEZZI DI TRASMISSIONE [Diamesia]

➔ La diamesica è la variazione dipendente dal mezzo attraverso il quale avviene la comunicazione.


Tuttavia, non dipende soltanto dal mezzo, ma è determinata anche da fattori sociali (livello
d’istruzione), situazionali (il contesto specifico in cui si comunica), ambientali, temporali.
All’interno dell’italiano contemporaneo si distinguono da un lato le varietà scritte, e dall’altro le
varietà̀ parlate. In questo asse dicotomico, si collocano testi sia scritti che orali con differenti gradi
di formalità̀/informalità̀. La principale è il parlato trasmesso proprio dell’informazione giornalistica
radio-televisiva, della scrittura telematica o telefonica.

Lo scritto:

➔ Lo scritto non dispone dei tratti paralinguistici dei quali si avvale il testo orale come
intonazione, altezza, volume ecc. Può̀ sopperire a tale mancanza attraverso pochi segni
d'interpunzione o attraverso artifici grafici come il grassetto, la sottolineatura, l’uso delle
maiuscole.

Il messaggio scritto non viene fruito nella stessa situazione comunicativa nella quale viene
prodotto e, inoltre, lo scrivente può̀ non conoscere il suo o i suoi destinatari. I testi scritti devono
essere decontestualizzati, pertanto tutti i riferimenti deittici che caratterizzano la produzione
orale, nello scritto devono essere esplicitati. Inoltre, i testi scritti dopo la loro produzione possono
essere letti e riletti dall’autore, il quale può̀ intervenire con correzioni e rifacimenti.

➔ Caratteristiche principali

- Lessico: Nello scritto si usano, molto di più̀ che nel parlato, termini precisi, tecnici e
denotativi. Si evitano le espressioni disfemistiche e gergali.
- Morfologia: Uso canonico dei pronomi, dei modi e dei tempi verbali con una scelta di
coniugazioni più̀ ampia che nel parlato.
- Sintassi: Periodare ampio e complesso, assenza di dislocazione a destra e a sinistra e di
anacoluti e oggetti verbali sottointesi.

La lingua scritta, in quanto lingua codificata, si modifica più lentamente del parlato, ma negli ultimi
anni vi si è osservato un’accelerazione. Oggi si nota un periodare più̀ semplice. Sulla scia del
parlato, il congiuntivo e i gerundi diventano sempre meno frequenti. Si ha l’abbandono, nelle
coppie sinonimiche, delle varianti diacronicamente marcate, che sono percepite come arcaismi.

Il parlato

➔ Durante la comunicazione orale emittente e ricevente/i del messaggio si trovano nella stessa
situazione comunicativa, e l’interlocutore può̀ intervenire per chiedere chiarimenti, spiegazioni,
integrazioni all’emittente. Ciascuno di loro può̀ omettere riferimenti a cose e fatti che entrambi
conoscono bene. La conversazione diventa così brachilogica, veloce, a volte incomprensibile per
gli estranei. I testi orali tendono all’economia linguistica espugnando gli elementi informativi
superflui. Inoltre sono sintatticamente più disorganici ricchi di false partenze, pause, esitazioni,
fanno un minor uso di avverbi e coniugazioni subordinative.

➔ Caratteristiche principali

La caratteristica più evidente è la frammentarietà sintattica e semantica che si realizza attraverso


frasi brevi, incomplete e attraverso l’utilizzo di segnali discorsivi (Ex: diciamo, cioè, ecco,
insomma, bene) che bilanciano la struttura disorganica e scarsamente coesa del testo.

Non mancano nei testi orali forme verbali (Ex: guardi, senta, ascolta) che consentono di avviare la
comunicazione, di regolare l’alternanza dei turni, di controllare il procedere della comunicazione.
Le particelle modali (Ex: appunto, proprio, veramente, praticamente) da una parte contribuiscono
a conferire al discorso maggiore enfasi e dall’altra rivelano l’atteggiamento del parlante nei
confronti del contenuto del messaggio. Caratteristica costitutiva del parlato e la forte indessicalità,
cioè̀ la ricchezza di elementi che forniscono indicazioni relative al parlante e alla situazione in cui
avviene l’enunciazione.

Per quanto riguarda la sintassi si può̀ dire che i testi orali presentano soprattutto frasi coordinate
o frasi giustapposte senza alcun legame sintattico. Molto frequente è anche l’uso del che
polivalente usato con valore causale, esplicativo, consecutivo e relativo indeclinato.

➔ Sono frequenti le strutture tipiche del neo-standard: la dislocazione a sinistra, la dislocazione a


destra, la frase scissa, il c'è presentativo e l’anacoluto.

Morfologia: il parlato differisce dallo scritto per l’uso semplificato di alcune forme grammaticali:
l’indicativo presente sostituisce le forme del futuro il passato prossimo sostituisce il passato
remoto e l’imperfetto ricopre più funzioni che nello standard. Si usa poco la forma passiva, e quasi
mai il complemento di agente mentre è relativamente frequente la concordanza a senso. Sono
proprio del parlato anche le forme rafforzate della negazione con assolutamente, mica, proprio.
Anche per il lessico si ha la preferenza per parole del sub-standard e dal significato generico. Sono
particolarmente frequenti i diminutivi, i superlativi enfatici, le esclamazioni e le onomatopee.

Per la fonetica del parlato vale la pena ricordare la velocità dell’eloquio ‘a ritmo di allegrò. Sono
frequenti infatti le forme apocopate (Ex:son tornata, fan bene, son matta) le forme aferetiche (Ex:
sto per ‘questo’) e le semplificazioni di nessi consonantici (Ex: propio)

Il parlato trasmesso

➔ Le sottovarietà di parlato-scritto comprendono soprattutto la lingua del cinema, della radio e


della televisione; le sottovarietà di scritto-parlato includono la scrittura telematica e telefonica. La
caratteristica comune è la trasmissione in uno spazio fisico diverso da quello in cui si trova
l’interlocutore e la pluralità dei destinatari di uno stesso messaggio.

➔ mezzi principali:
- Il cinema: Grandi opere degli anni Cinquanta e Sessanta hanno poi radicato questa
consapevolezza spingendo all’identificazione fra la dialettofonia e le peggiori condizioni sociali.
Lentamente entra nei dialoghi e nelle sceneggiature un italiano più̀ vicino al parlato reale.
- La radio: Nata nel 1925 la radio divenne sin dall’inizio mezzo di propaganda fascista, sia nei
contenuti (rigidamente controllati), sia nella lingua. Le necessità comunicative del nuovo mezzo
hanno portato anche all’elaborazione di tipologie testuali inedite e a necessità nuove, diverse da
quelle dell’articolo di giornale, e imponeva un alto grado di esplicitezza, accompagnato da un
periodare semplice, rapido, breve, povero di subordinate, rigidamente strutturato nella
successione di dato e nuovo, la scelta di un lessico ad alta frequenza, corredato dalla spiegazione
di eventuali termini tecnici. Era uno stile giornalistico nuovo che avrebbe inciso sulla storia stessa
dei generi e dei tipi di testo.

- La televisione: Nata nel 1954 e a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta L’italiano reali cominciò
a fare capolino nella TV attraverso alcune trasmissioni molto popolari. L’avvento delle TV private
diede un colpo decisivo a ogni pretesa di rispetto di un modello linguistico; il parlato-parlato si
affermò prima nelle tv locali e poi. via via, anche sulle reti nazionali.

Lo scritto trasmesso

➔ Caratteristiche principali

1. Rapidità nel consumo e nella produzione


2. Multimedialità̀ ovvero i testi che si trasmettono attraverso lo schermo del computer sono
modificabili, collegabili tramite links e possono variamente combinare diversi elementi:
grafico alfabetico-visivi con la scrittura grafico-iconico-visivi con immagini animazioni e
filmati con sonoro-uditivi con il parlato e la musica
3. Informalità̀: Nella scrittura digitale si tende a riprodurre le movenze del parlato anche
mediante l'uso delle faccine.ci osserva talora una certa noncuranza verso le norme
ortografico grammaticali.

➔ Mezzi principali

- Le e-mail le e-mail possono avere lunghezza variabile e possono essere testi sia informali
che formali.
- Le chat-line le chat presentano dei limiti di tempo Sono poco pianificati, sono costituiti da
frasi brevi, coordinate, spesso non coese, sono ricchi di elementi fàtici e di suoni e
onomatopee che riproducono quelli dell’interazione faccia a faccia e di segnali discorsivi.
- Gli SMS gli SMS presentano dei limiti di lunghezza per il numero di caratteri disponibili
sono caratterizzati da frasi molto brevi, telegrafiche, da abbreviazioni.

N.B Gli SMS e le e-mail condividono con lo scritto il fatto che possano essere lette dal destinatario
in un tempo differito da quando sono state prodotte.

CAP.6- L’ITALIANO ATTRAVERSO I CONTESTI (Diafasico)

➔ La variazione diafasica è legata ai fattori della comunicazione: il luogo in cui avviene lo


scambio comunicativo, il ruolo degli interlocutori, l’argomento, l’introduzione, lo scopo
ecc. Le varietà legate al grado di formalità della comunicazione si definiscono registri; le
varietà legate all’argomento si definiscono sottocodici, ma alcuni studiosi le chiamano
lingue speciali, altri lingue specialistiche, altri ancora linguaggi settoriali.
I registri

➔ I registri sono le varietà diafasiche che dipendono dalle caratteristiche della situazione è
dal ruolo reciproco assunto dal parlante (o scrivente) e dal destinatario. Essi sono legati al
grado relativo di formalità o informalità della situazione comunicativa.
Si può anche osservare che c’è una larga coincidenza tra registri formali e uso scritto della
lingua, e fra registri informali e oralità.

a. I registri formali:
- Presenza di tratti fonetici poco marcati.
- Ridotta velocità di eloquio e accuratezza nella pronuncia.
- Pianificazione testuale, sintassi elaborata con subordinate implicite ed
esplicite.
- Ricchezza lessicale e uso di termini specifici o aulici.
- Uso di forestierismi.
- Uso di voci lessicali arcaizzanti.

b. I registri informali:
- Tratti fonetici marcati, quanto meno in diatopia.
- Velocità di eloquio relativamente elevata.
- Scarsa accuratezza nella pronuncia.
- Scarsa pianificazione testuale.
- Uso di termini generici.
- Uso di parole oscene.
- Uso di onomatopee.

➔ Il grado di formalità del registro è condizionato anche dal rapporto tra gli interlocutori. È
questo che determina: La scelta degli allocutivi e dei pronomi allocutivi (Ex: Tu, Lei, Voi) e
la selezione delle formule di saluto.
Anche gli scopi di ordinare, chiedere, informare sono raggiunti con scelte linguistiche
differenti in base al grado di formalità della situazione.

Le lingue speciali
➔ Le lingue specialistiche sono le varietà che prevedono un alto grado di specializzazione
(fisica, medicina, matematica) e lingue settoriali quelle che riguardano settori o ambiti di
lavoro non specialistici : lingua dei giornali, della televisione. I due sottoinsiemi
costituiscono l’insieme ‘lingue speciali’. La differenza consiste nel fatto che le prime
hanno un lessico specialistico, basato su una vera e propria nomenclatura, cioè su un
complesso di termini tecnici relativi alla materia, organizzato e ordinato secondo norme
convenzionali. Mentre le seconde non hanno un lessico specialistico ma attingono di
norma dalla lingua comune o da altre lingue specialistiche. Questa differenza non è
formale ma è legata agli scopi propri della comunicazione: mentre i testi specialistici
hanno una circolazione limitata, quelli settoriali hanno una diffusione più vasta e un
maggior numero di fruitori, e usano un lessico meno specialistico ma più vicino alla lingua
comune proprio per rispondere all’esigenza di farsi capire da un pubblico più ampio e
differenziato.

Le lingue specialistiche
➔ I linguaggi specialistici hanno una caratteristica fondamentale: sono monosemici, ossia
ogni parola ha un unico significato, e non può confondersi con l’uso di termini della lingua
comune (per esempio il termine infarto). In conseguenza alla monosemicità, nelle lingue
specialistiche non esistono sinonimi: per questo in un testo scientifico bisogna ricorrere
alla ripetizione. Come avviene la denominazione di concetti, oggetti, attività relative alle
varie discipline, in modo tale da garantire la monosemia?
1. Si utilizzano parole straniere, sia come prestiti non integrati, cioè riprodotti nella
lingua originaria, sia come calchi parole straniere tradotte letteralmente.
2. Si formano neologismi quasi sempre attraverso la prefissazione e la suffissazione (-
ite indica un’infiammazione acuta: tiroidite). I neologismi si possono formare
anche con combinazioni diverse di elementi della lingua ad esempio di due parole
(banco-posta).
3. Si utilizzano termini già esistenti nella lingua comune, associando loro un
significato diverso (Ex: forza per esempio è passato dalla lingua comune in fisica a
indicare l’entità responsabile del moto dei corpi.) Quando una parola passa dalla
lingua comune a quella specialistica perde ogni contatto con il suo significato
originario per essere completamente ridefinita.
4. Si formano sigle e acronimi, costituiti da una o più lettere iniziali di parole.
Caratteristiche principali
Morfologia

1. È presente un numero molto alto di nominalizzazioni, ossia di trasformazioni di


sintagmi verbale in sintagmi nominali.
2. Il verbo ha un’importanza e una ricchezza di articolazione molto ridotte:
a. I modi sono di norma limitati all’indicativo e al congiuntivo, specialmente
negli atti giuridici. Il condizionale è usato soprattutto per illustrare
congetture o per avanzare ipotesi.
b. I tempi sono praticamente limitati al futuro e al presente.
c. La gamma delle persone verbali è ridotta a due possibilità: la prima persona
plurale e l’uso impersonale (con il si e la terza persona o con l’infinito). Si
usa più che nelle altre varietà la diatesi passiva.
3. Prevale lo stile nominale, che può arrivare fino all’assenza di ogni forma verbale.
4. L’uso delle preposizioni subordinanti è ridotto al minimo indispensabile. Quando
due parole possono essere unite da un trattino la preposizione che le unirebbe
vieni spesso eliminata.
5. I testi presentano un’alta ‘densità lessicale’: il rapporto parole piene/parole vuote
sul totale delle parole usate è più alto che nelle altre varietà di lingua.
6. I periodi sono formati da proposizioni prevalentemente brevi.
7. L’organizzazione sintattica è tendenzialmente paratattica.

- struttura testuale:
I ragionamenti scientifici rispondono a tre caratteristiche fondamentali: chiarezza,
assenza di contraddizione e coerenza. Per rispondere a questi requisiti devono
avere una struttura rigida e costante.
Il testo-tipo si articola in quattro punti:
1) introduzione;
2) problema;
3) soluzione;
4) conclusione.

La lingua della medicina


➔ A causa delle antiche origini della medicina il lessico ha un consistente strato lessicale
greco e latino arricchito da numerose basi lessicali di diversa origine alle quali spesso si
sono aggiunti suffissi di origine greca, risemantizzati in modo univoco (Ex: -ite in dermatite
indica un'infiammazione acuta).
Caratteristiche del lessico della medicina sono le neo-formazioni con tre elementi greci,
struttura non prevista nel greco antico (gastroenterologia) Ultimamente sono entrati
nell’uso anche termini dell’inglese (Ex: bypass, peacemaker), eponimi, ossia
polirematiche (gruppi di parole con significato unitario) che indicano un fenomeno o una
patologia attraverso il nome dello studioso che a quel fenomeno o a quella patologia ha
legato il suo nome (Ex: morbo di Parkinson. )

La lingua della burocrazia


➔ La lingua della burocrazia appare oscura e pomposa. Due sono le parole chiave per
definire il linguaggio burocratico: ‘ufficialitàà’ e ‘uniformitàà’. Caratteristiche del
linguaggio burocratico sono:
- La preferenza per espressioni tecniche piuttosto che espressioni comuni: supporre
si usa per ipotizzare.
- La proliferazione di neologismi non necessari, che sostituiscono locuzioni
polirematiche: relazionare per fare una relazione.
- La ridondanza : corpo docente per insegnante.

➔ Caratteristiche principali

a. Morfologia:
- Forme impersonali (Ex: si ritiene)
- Verbi costruiti con forme nominali: infiniti (Ex: nel rispondere), gerundi (Ex:
avendo come obiettivo), participi presenti (Ex: un’azione avente come obiettivo) e
participi passivi (Ex: visto, considerato).
- Uso del futuro deontico (Ex: che indica obbligo): le domande dovranno essere
redatte.
- Periodare spesso lungo e complesso, ricco di frasi incassate (Ex: premesso che)
Lessico: Nel 1993, grazie a un’iniziativa del ministro della Pubblica amministrazione, venne
prodotto il Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni
pubbliche. In esso si danno indicazioni su come migliorare la qualità della comunicazione tra
amministrazioni e cittadini, corredandole con numerosi esempi di un linguaggio chiaro. Per il
lessico si raccomanda di utilizzare parole di uso comune ed evitare l’uso di locuzioni complesse, di
verbi derivati da sostantivi ma soprattutto di vitare perifrasi lunghe e complesse.

LINGUISTICA ITALIANA VIAGGIO NEI TEMPI DELLA LINGUA ITALIANA

IL LATINO
Esistono diversi raggruppamenti di lingue che vengono definite famiglie linguistiche, l’italiano, ad
esempio, come molte lingue europee ha come antecedente IL LATINO, tutte le lingue he derivano
dal latino appartengono alla famiglia delle lingue neolatine mentre il latino i appartiene alle
famiglie delle lingue indoeuropeo. Le lingue della famiglia indoeuropea sono parlate in una vasta
parte del mondo, e si sono diffuse anche molto lontano dal loro luogo originario. Queste lingue
sono state esportate dalla loro aria originaria attraverso le conquiste e le colonizzazioni. (es.
l’America)
La lingua infatti è molto legata al potere, una lingua si può diffondere soprattutto a causa di
guerre, chi conquista il territorio tende ad imporre la propria lingua su quel territorio facendo
sparire le lingue già esistenti.
Nella nostra penisola esistevano diversi gruppi etnici e linguistici prima che i latini da Roma
dominassero per intero. Dal punto di vista linguistico vi erano molte lingue che non erano
indoeuropee ad esempio l’etrusco. Ma perché queste lingue originarie sono state abbandonate e
sostituite? La motivazione è fortemente legata al potere, la lingua infatti è potere. I romani
durante il IV e il V secolo a.C. hanno conquistato gran parte dell’Europa e accanto alla conquista
militare vi è stata anche quella linguistica, hanno diffuso il latino nella vasta area del vecchio
Impero romano. L’unica lingua che ha resistito alla diffusione è stato il greco. Ma qual è il motivo
che ha permesso al greco di resistere? Essa era la lingua di una grande cultura, quindi la forza dei
latini non è riuscita a vincere sulla cultura e sulla grandezza del greco considerata come una lingua
molto forte e molto importante.
Nell´impero romano esistevano due diverse:
- Il latino classico → lingua ufficiale usata dagli uomini di cultura e dai funzionari statali. Era
soprattutto scritta con regole rigide e un lessico che rimase cristallizzato nel tempo.
- Il latino volgare → usata dalla maggioranza della popolazione essendo essenzialmente una
lingua parlata, ma difficile da definire nei contorni a causa della scarsità delle fonti. Per
trovarle bisogna rivolgersi a testi scritti che abbiano caratteristiche dell'oralità, quindi che
abbiano dei registri meno formali. Le lingue romanze derivano dal latino volgare, esso sarà
stato un po’ diverso nelle diverse aree dell’impero. Il latino volgare infatti non è identico in
tutto l’impero, è leggermente diverso nel parlato.
Il latino continua ad essere la lingua principale finché esistono gli elementi burocratici e le
diversità tra i vari volgari rimangono piccole, quando pero le strutture dell’impero crollano e
queste lingue non rimangono più uguali i fattori di differenziazione del latino volgare diventano
più forti. La grande unità dell’impero inizia a sgretolarsi e così pian piano i fattori di diversità
fanno si che i fattori del latino si fratturi creando cosi diversi tipi di lingua.
- Il latino volgare
Dal latino si sono originate varie lingue moderne, che prendono il nome di lingue neolatine o
lingue romanze (portoghese, spagnolo, francese, italiano, rumeno). Per quanto riguarda l'Italia la
situazione è particolarmente complessa: se per la penisola iberica alle lingue che corrispondono a
Stati nazionali va aggiunto il catalano, e se per quanto riguarda la Francia va considerato fra le
lingue romanze anche il provenzale, per l'Italia non solo si devono considerare il sardo e il ladino
(l'attuale friulano) che tradizionalmente la filologia romanza considera tra le varietà neolatine, ma
anche tutti gli altri volgari. I vari volgari della penisola infatti non sono modificazioni diatopiche a
partire da una lingua nazionale, ma sono tutti evoluzioni dirette dal latino, quindi sono a tutti gli
effetti delle varietà linguistiche.
Il latino per molti secoli viene usato solamente scritto, infatti vi erano due lingue, latino per
scrivere e lingua romanza per parlare. Il latino rimane la lingua della cultura e soltanto piano
piano si affermeranno le lingue nuove nella scrittura. Il latino parlato era diverso da quello scritto
che aveva raggiunto il suo massimo splendore con cesare cicerone e Virgilio. Era più influenzato
dai substrati linguistici locali e mancava di una codificazione (tipica della scrittura). In questi secoli
le persone che erano in grado di leggere e scrivere erano pochissimi, la maggior parte era
analfabeta. Le lingue nuove i cosiddetti “sermo vulgaris” verranno per molti secoli solo parlati.
L’atto di nascita “ufficiale” delle lingue romanze viene individuato nel 813 con il Concilio di Tours,
in questa cittadina si riuniscono i vescovi che decidono quale iniziativa prendere per far capire ai
fedeli la messa. All’interno della messa vi è il momento dedicato alla predica, predicare significa
dire qualcosa sull’argomento. I vescovi si rendono conto che al momento della lettura che veniva
fatta in latino i fedeli non capivano niente, cosi decisero di cambiare la predica, ovvero la messa
rimaneva tutto in latini e solo la predica poté essere fatta in latino parlato, fino al concilio
vaticano secondo. Nell 813 a Tours i vescovi decidono che si poteva la predica in una lingua
rustica romana lingua o in una lingua di origine germanica e ciò significa che vi è la
consapevolezza che il latino ormai sta scomparendo e che non c e più continuità. La distinzione
tra latino e volgare durerà fino al 1960 circa con il “Placito capuano”.
Oltre al concilio di Tours vi è un'altra testimonianza ancora più diretta dell’uso delle nuove lingue
denominata “giuramenti di Strasburgo” dove vengono raccontate le guerre di successione a Carlo
Magno. Gli eredi di Carlo magno iniziano a farsi la guerra tra di loro per avere il più vasto territorio,
due degli eredi si coalizzano contro un terzo, i personaggi sono Carlo il Calvo e Ludovico il
germanico che si alleano contro lorario primo. (Tutta la storia è stata scritta da uno storico del
tempo Nitardo). I due si riuniscono a Strasburgo con i loro eserciti e hanno la necessita di far
capire ai loro soldati che si stanno alleando, per far si che gli eserciti capiscano la formula che loro
giurano decidono di farlo nella lingua l’uno dell´latro. Nitardo per fortuna decide di scrivere la
formula del giuramento esattamente cosi com’era stata pronunciata, quindi in un testo tutto latino
vi sono dei pezzi di volgare del tedesco antico e del francese antico. Nell 842 fu un testo molto
importante perché abbiamo una testimonianza diretta di un testo antico francese, un testo
importante perché ci fa capire che il latino non era più compreso.
Anche in Italia, se con molte difficolta visto che molti di questi si sono persi vi sono dei testi volgari,
i più importanti sono quattro:
L’INDOVINELLO VERONESE: è un indovinello che viene scritto su pergamena, usata nel medioevo,
essa è una pelle di animale che veniva lavorata in maniera tale per scriverci sopra, era molto
costoso. Nell’antichità classica si utilizzava invece il rotolo di papiro. L’indovinello è possibile
collocarlo tra la fine del 700 e inizio 800 ed è contenuto in una mano scritto ovvero scritto a mano,
la diffusione della cultura ha viaggiato per secoli attraverso manoscritti grazie agli amanuensi.
L’indovinello è contenuto nell’ultima parte di un manoscritto messo insieme in Spagna. L’ambiente
mozarabico era l’area della penisola iberica occupata dagli arabi, essi conquistarono vbnl’isola fino
ai Pirenei. Questo manoscritto è di contenuto religioso, d’altro canto se erano prodotti in
monasteri erano per forza religiosi. Questo manoscritto viaggia e arriva a Verona, non tutti
potevano permettersi di avere un manoscritto, solo un re o un monastero perché era molto
costoso. Si chiama indovinello veronese perché arrivato a Verona qualcuno, non si sa chi, aggiunge
questo indovinello alla fine del manoscritto. È un autore che non conosciamo, probabilmente
veneto e scrive “se pareva bover alba pratalia araba e albo versorio teneba e negro semen
semminava ovvero “spingeva vanti i buoi, arava bianchi prati. Teneva un bianco aratro, seminava
un nero seme”. Probabilmente ciò cui si riferisce l’indovinello è l’atto dello scrivere, “i buoi”
rappresentano la mano che spinge avanti, “i bianchi prati” sono i fogli, “un bianco aratro” è la
piuma d’oca e “un nero seme” rappresenta l’inchiostro. In questo scritto è ancora molto forte
l’elemento latino ma vi è anche un po’ di volgare, e si chiama linguaggio intermedio. Alla fine vi è
la formula di ringraziamento
Il copista si è inventato un indovinello che probabilmente era un gioco (l'ultima riga è un
ringraziamento religioso). Da qui capiamo che quando si scriveva un testo ufficiale si scrive in
latino, se si sceglie il volgare viene associato ad un gioco, momento di spensieratezza.
GRAFFITO DI COMMODILLA: I graffiti sono dei graffi o incisioni, un’incisione viene fatta su un
supporto che non è cartaceo, questo tipo di scritture si chiamano “scritture esposte”, ovvero che
non è contenuta dentro un libro ma sono esposte e si vedono su una parete. Il graffito di
Comodilla si trova a Roma nella basilica di San Paolo fuori le mura ed è collocabile al IX secolo, i è
esposto in una cripta o cappella dedicata ai santi Felice e Adautto.
Si tratta di una scrittura molto piccola situata sul bordo dell’affresco, esso rappresenta una
madonna una vedova e due santi. Gli storici dell’arte dicono che questo affresco è stato realizzato
intorno al VI o nel VII secolo da qui si deduce che il graffito quindi sarà realizzato dopo il V e il VI
secolo (terminius post quem)
La catacomba contenente l’affresco è stata poi abbandonata perché ritenuta come un luogo
pericoloso in cui potevano arrivare facilmente i barbari, questo ci permette di capire in piu che il
graffito non potrà essere stato realizzato dopo l’abbandono ovvero nel IX secolo.
Altro elemento che ci aiuta nella datazione è la grafia, ovvero la scrittura fatta a mano, questo tipo
di grafia è un tipo di grafia che i paleografi possono datare. La paleografia studia l’antico, ovvero la
disciplina che studia le forme delle scritture. Questo tipo di grafia si chiama “onciale” che era una
scrittura tipica della Roma cristiana.
Un altro elemento che ci può aiutare è il contenuto stesso del testo ovvero “non pronunciare a
voce alta le cose segrete”. Probabilmente l’affresco era di fronte all’altare quindi è ipotizzabile che
sia un rimprovero o un avviso di un altro chierico di non dire le cose segrete ad alta voce. Questo ci
aiuta nella datazione perché si nota che cambia la liturgia.
Tutti questi elementi ci permetto di datare questo affresco nella prima meta dell´800.
Dal punto di vista linguistico l’aspetto più interessante è che nell’ultima parola è stata aggiunta
una “b”, il fenomeno che non c’era nel latino ma che c’è nell’italiano è il raddoppiamento
fonosintattico, esso si vede solo quando le parole sono unite, lo producono le parole che hanno
l’accento sull’ultima sillaba, alcuni monosillabi (es. e, o, se, da) e alcuni bisillabi (come, sopra
qualche e dove).
PLACITO CAPUANO: È un documento riconosciuto come atto di nascita della lingua italiana, non è
il più antico, ma si usa come atto di nascita perché è datato. Il placito capuano è un testo notarile
(placito infatti significa decisione giudiziale, un verbale che il notaio scriveva dopo un processo)
scritto su pergamena e tratta il racconto di un processo realizzato nel marzo del 960. La disputa
riguarda l’abbazia di Montecassino ed un privato che dichiara che alcuni terreni della prima
appartengano a lui poiché ereditati dal padre. Il giudice chiede quindi ai soggetti di portare dei
testimoni a favore delle loro cause. (il motivo che usa il monastero per dire che i terreni sono suoi
si definisce “usu capione” esso si riferisce ad una situazione in cui una persona tiene il bene per
oltre 30 anni diventando di conseguenza il proprietario di un bene perché l’ha utilizzato per oltre
30 anni). I testimoni dichiarano: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le
possette santcti benedictic (che quelle terre per quei confini che qui sono indicati le ha possedute
per più di 30 anni dl monastero di san benedetto. Questa formula di giuramento è stata definita
dal giudice, questo)
Questo testo è cosi importante perché di questo testo noi sappiamo l’autore, la data e abbiamo
molto chiaro che il notaio che scrive questo placito distingue il latino dal volgare
Ci sono alcuni altri placiti successivi dove ci sono queste formule di giuramenti che sono state
formulate dal giudice.
Da questo notiamo che l’unico che sa scrivere è il notaio.
ISCRIZIONE DI SAN CLEMENTE: Sono frasi in volgare dipinte su un affresco che si trova nella
basilica di san clemente, a Roma, raffigurante il miracolo del santo. L’affresco raffigura l’accaduto
dell’arresto di Clemente per volontà di Sisigno, un patrizio romano. Durante l’arresto però, San
Clemente essendo Santo, decise di sfruttare la sua abilità di essere in due luoghi
contemporaneamente spostandosi in un altro luogo, facendo spostare cosi ai servi di Sisigno una
colonna di pietra invece del suo corpo. La storia è strutturata come una specie di fumetto dove,
affianco ad ogni immagine si trova il nome del personaggio è ciò che dice. L’affresco fu fatto
realizzare da due coniugi per una grazia ricevuta. Come per il graffito di Commodilla, trovandosi di
fronte ad una scrittura esposta, è difficile datare con precisione l’iscrizione di San Clemente.
Approssimatamene si può collocare tra il 1084, quando è stato costruito il muro sul quale è stato
poi dipinto l'affresco, e la data della consacrazione della nuova basilica 1128. Abbiamo un livello
linguistico molto vicino al parlato più basso. A questo livello linguistico così collocato dei livelli più
bassi, si oppongono le parole di San Clemente che naturalmente sono in latino, proprio a marcare
questa differenza tra lingua del sacro.
“LE ORIGINI: LA NASCITA DELLA LETTERATURA IN VOLGARE” IL DUECENTO
La nascita della letteratura in volgare si colloca alla fine del XII e agli inizi del XIII secolo (fine 1100
inizi 1200)
La presenza di testi di letteratura in volgare è importante perché testimonia l’importanza e la
consapevolezza che il volgare ha raggiunto una sua autonomia rispetto alla lingua latina.
I secoli che noi definiamo “secoli d’origine della letteratura in volgare” sono i secoli della nostra
storia linguistico letteraria, questi primi secoli sono caratterizzati da due fenomeni molto
importanti: il policentrismo e il plurilinguismo.
 Policentrismo significa che ci sono molti centri: l’Europa medievale era infatti molto
frammentata e vi erano sono tanti centri con diverse realtà politiche culturali
 Plurilinguismo perché naturalmente in ogni centro vi è una varietà di lingua diversa.
Durante i primi secoli ovviamente non vi è una lingua unitaria, la lingua unitaria nazionale arriverà
solo nel 1500.
I più antichi esempi di testi letterari sono i ritmi arcaici, essi sono talmente antichi che vengono
appunto definiti arcaici, vengono definititi ritmi perché non sono delle vere e proprie poesia, ma
hanno un andamento ritmico che li caratterizza, e sono collegabili alla letteratura giullaresca. Nelle
corti infatti a quei tempi vi erano i giullari ovvero loro che intratteneva con canto musica
intrattenevano i signori delle corti. Attraverso questi ritmi si può spiegare perfettamente l’idea di
policentrismo e di plurilinguismo, infatti abbiamo: il ritmo laurenziano in volgare fiorentino, il
ritmo cassinese scritto in volgare siciliano e il ritmo di sant’Alessio del marchigiano. Ogni ritmo
presenta un volgare diverso che corrisponde alla propria area geografica. Quando nel XII secolo,
col grande risveglio
religioso d'Europa, cominciarono a predicare le più svariate persone, anche quelle non autorizzate
e gli eretici, e si cominciò a delineare con chiarezza la potenzialità della predica in volgare, anche la
Chiesa ufficiale all'inizio del XIII secolo scelse, autorizzando di fatto i nuovi ordini francescano e
domenicano a dedicarsi all'istruzione degli uomini
"volgari". L'importanza della predicazione non va sottovalutata: se il volgare comincia a essere
usato dalla più autorevole e diffusa istituzione religiosa, politica e culturale (per di più per vari
motivi fortemente legata al latino), questo significa che la sua legittimazione come lingua a pieno
titolo è di fatto cominciata. Emblema e tra l’altro anche primo testo letterario definito proprio
come “atto di nascita” è il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi (Laudates creaturarum),
esso è considerato l’atto di nascita perché si conosce l’autore del testo, un personaggio noto e di
importanti significati nella storia. Il cantico delle creature è un’opera scritta interamente scritta in
volgare con solo il titolo in latino, si ipotizza che questo testo sia stato scritto da Francesco d’Assisi
poco prima della sua morte ed è considerato come la celebrazione della sua morte. Egli ha scritto
nella sua vita quasi tutto in latino, ma l’ultimo in volgare molto probabilmente perché voleva che
rimanesse a tutti. Il francescanesimo è stato un movimento religioso molto importarne dal punto
di vista religioso ma anche dal punto di vista linguistico ad esempio nasce il termine “monastero”
(ovvero il luogo dove si sta da soli) che si contrappone al vocabolo già esistente di convento (che
invece è il luogo dove si sta insieme), è il francescanesimo ad esempio che introduce i termini di
frate e suora. Anche nell’architettura hanno dato la loro impronta, ad esempio le loro chiese sono
chiese uniche. Con Francesco D´Assisi nasce la poesia religiosa, la religione aveva un ruolo
importantissimo nel medioevo la maggior parte degli uomini a quel tempo passavano il loro tempo
libero a pregare e stare in chiesa.
Poco dopo nasce anche la poesia profana in volgare, ovvero una poesia di argomento non religioso
e nasce anche quella che noi definiamo “poesia d’amore cortese” ovvero “amore delle corti”
perché è una poesia che si sviluppa nell’ambito delle corti medievali. Nel medioevo vi erano i
feudatari e all’interno delle loro corti si sviluppano queste tipologie di poesie.
La preistoria ha a che fare con la Francia meridionale ovvero la Provenza, in questi secoli la Francia
del sud aveva espresso una grande cultura e una civiltà ricca e sofisticata, nell’ambito di questo
mondo e di quest’ambiente si diffondono i poeti professionisti i cosiddetti trovatori ovvero dei
poeti che giravano da una corte all’altra, qualche volta anche o stesso feudatario aveva la passione
di scrivere delle poesie. Infatti Guglielmo IX d’Aquitania era un signore.
È nella corte di Federico II di Svevia a Palermo, che si sviluppa, a partire dal 1220, una scuola
poetica, nasce da qui in Italia una lirica profana che è legata alla scuola poetica siciliana, viene
definita “scuola” perché non è una sola persona ma a un gruppo di persone che condividono lo
stesso modo di fare poesia, definita “poetica” per i testi poetici e definita “siciliana” perché li
scrissero in dialetto siciliano. Gli elementi che unificano le scelte poeti della scuola siciliana,
definiti come poeti della prima scuola, sono:
 la composizione sociale, vi è una differenza con i trovatori provenzali, essi lo facevano di
mestiere, mentre i poeti della scuola siciliana fanno i notai, cancellieri. sono dei burocrati o
dei funzionati di corte che nel tempo libero scrivono testi poetici
 la strumentazione formale e linguistica ovvero tutti più o meno scrivono nella lingua stessa
e seguono lo stesso registro linguistico, scrivono tutti testi simili tra di loro
 tutti i poeti hanno come punto di riferimento l’esperienza della poesia provenzale
Questi poeti scelgono non di utilizzare il latino per i loro testi poetici ma di utilizzare il volgare, ma
non quello basso o quello parlato ma cercano di far diventare nobile il loro volgare attraverso
l’introduzione di elementi o della lingua provenzale o della lingua latina. Quando parliamo di
siciliano illustre parliamo di una lingua che vuole essere portata in alto rispetto al volgare siciliano
parlato.
I siciliani sono quindi i primi poeti d’arte ovvero produttori di testi poetici profani che hanno come
fine esclusivamente quello artistico. E possono essere considerati i fondatori della nostra
tradizione letteraria.
In Provenza i trovatori accompagnavano i loro testi con la musica, fino ad oggi pero non è stato
ancora possibile costruire se ci fosse un accompagnamento per la poesia siciliana, molto
probabilmente perché questi poeti non erano poeti professionisti e non erano in grado di
comporre la musica. Uno dei principali personaggi dei poeti siciliani è Giacomo da Lentini,
considerato il fondatore della poetica siciliana e identificato come “notaio” ovvero come mestiere
principale faceva il notaio. Egli oltre ad essere il fondatore è colui che ha inventato lo schema
metrico di una delle modalità della poesia di tutta la cultura occidentale ovvero il sonetto. Sonetto
deriva dal francese e significa canzonetta ovvero piccolo suono, il sonetto è fatto da 4 versi
endecasillabi, che hanno l’accento in 10ecima posizione e sono divisibili in due quartine e due
terzine. La parola sonetto dall’italiano si è diffusa in quasi tutte le lingue. Scrivere in poesia
significa scrivere e voler dire qualcosa sfidando una gabbia perché la forma metrica è una gabbia
quello di rimanere all’interno di una forma. Un endecasillabo è un verso di 11 sillabe metriche
dove l’ultimo accento dev’essere posizionato sulla decima sillaba. L’endecasillabo può essere
piano quando l’accento di decima cade sulla penultima sillaba dell’ultima parola del verso, tronco
quando l’accento cade sull’ultima sillaba e sdrucciolo quando l’accento cade sulla terz’ultima
sillaba. Non possiamo leggere oggi questi testi nella loro lingua originaria perché vennero distrutti
tutti i manoscritti che contenevano i testi di questi poeti, quello che leggiamo ad oggi sono solo
delle copie fatte da copisti, questo ha comportato il riadattamento e la traduzione di questi testi in
toscano, quindi ad oggi tranne per pochissime eccezioni. Questi testi sono definiti canzonieri
duecenteschi, ovvero antologie dei testi poetici, i più importanti di questi canzonieri si trovano
nella biblioteca vaticana, altri a Firenze.
Dante Alighieri
Dante alighieri nella prospettiva storico linguistica e moderna non può essere considerato il padre
della lingua italiana, ma certamente è il primo a lasciarci riflessioni metalinguistici sul volgare.
“De vulgari eloquentia”
Scritto tra il 1303 e il 1305, scritto in latino ma parla del volgare. Il motivo per cui Dante sceglie di
scrivere quest’opera perché l’ha diretta agli intellettuali del suo tempo. Egli all’interno dell’opera
cerca di definire i caratteri della lingua e cerca il “volgare illustre” ovvero come dev’essere un
volgare utilizzabile nella letteratura di livello alto. Per arrivare ad individuare questo volgare egli
affronta molte questioni di lingua e di sociologia linguistica. Il De Vulgari Eloquentia può essere
considerato il più grande trattato linguistico. Il primo tema che Dante affronta è “com’è nata la
lingua” si riferisce in primo luogo alla bibbia e definisce la lingua come “un dono di dio fatto ad
Abramo”, affermando che la lingua è qualcosa propria degli uomini che li differenzia dagli angeli e
dagli animali. Accanto a questo vi è un'altra riflessione ovvero egli definisce questa lingua latina
una lingua unica, originariamente non vi erano tante lingue ma una sola lingua quella donata da
dio ad Abramo. Per capire quindi come si è arrivato da una a tante lingue Dante la spiega secondo
una visione religiosa dove gli uomini costruiscono la torre di babele per arrivare a Dio cosi per
punizione Dio creò diverse lingue per non far capire più gli uomini tra di loro e interrompere la
costruzione. In questa costruzione babelica non può inserirsi il latino, il latino non è una lingua
naturale ma creata dai dotti, che è soltanto una grammatica inalterabile e artificiale.
Dante poi passa a vedere la situazione linguistica del suo tempo, passa in rassegna le varie lingue
d’Europa, egli è il primo che riconosce che vi è una parentela tra le lingue romanze, arriva a questa
conclusione partendo dal confronto di alcune parole e vede che molte di esse sono simili. Egli pero
non può arrivare a capire che queste lingue hanno un unico punto di partenza ovvero il latino, egli
non lo capisce perché inserisce il latino fuori dai mutamenti storici. Dante ci da degli esempi di
come cambiano i volgari italiani in base allo spazio e al tempo, e lo fa attraverso due esempi:
prende l’esempio della citta di bologna e dice che gli abitanti del centro maggiore parlano una
lingua diversa rispetto al borgo (parlanti di Roma nord diversi Roma sud) e poi dante ci parla anche
di come cambia la lingua di come cambia la lingua rispetto ai nonni e ai nipoti. Dante inoltre ci
presenta 14 varietà principale di volgare nell’area italiana, individua 14 volgari più importanti, e li
divide in due gruppi utilizzando come divisore la catena degli appennini. L’obiettivo di Dante era di
trovare tra questi volgari quello che poteva essere adatto come volgare illustre, doveva avere
quindi dei caratteri che potesse permettergli di scrivere poesia, egli li passa in rassegna ma
nessuno ha i requisiti fondamentali ovvero:
 illustre ovvero deve illuminare gli altri volgari, illustre nel senso di la lustro (illuminare
 cardinale cioè dev’essere come il cardine di una porta ovvero un qualcosa che guida il
movimento degli altri volgari
 aulico dev’essere degno e adatto da poter essere utilizzato nel palazzo dell’imperatore
 curiale ovvero nel senso di corte
Dante alla fine non lo trova, perché nessuno dei volgari che dante prende in considerazione

Dante ci ha lasciato importanti riflessioni sul volgare anche in un’altra opera:

- Il Convivio
Il convivio è un prosimetro in volgare in cui dovevano essere riuniti 14 canzoni di argomento
filosofico, ciascuna accompagnata da un commento in prosa in forma di trattato. In quest’opera
dante sceglie da utilizzare il volgare, normalmente i testi filosofici verranno scritti in latino fino al
1600 ma dante lo scrive in volgare per generosità e di omogeneità nei confronti dei lettori, egli
vuole che tutti capiscano quest’opera. In quest’opera si dara molta importanza al volgare definito
“sole nuovo”. Si chiama convivio perché è una sorta di banchetto perché invece del cibo ci si
accontenta di un cubo scientifica
- La vita nova
È composta tra il 1292 e il 1293, quando si parla di vita nota si parla di un prosimetro ovvero
componimento composto da prosa e versi. È una sorta di antologia della produzione lirica di dante
e il tema è l’amore che dante ha per beatrice prematuramente scomparsa, egli racconta
quest’esperienza amorosa di dante giovane
- La commedia
È un poema in terzine (strofe di tre versi) di endecasillabi a rime incatenate, (ABA, BCB, CDC). Le
terzine sono incatenata tra di loro attraverso, questo sistema metrico è stato inventato da Dante.
È diviso in 3 cantiche e ogni cantica ha 33 cantiche. La ripetizione del numero 3 non è un caso ma
si avvicina all’idea trinità, come il 10, simbolo della perfezione.
Dante scrive quest’opera nel periodo dell’esilio, per ragioni politiche venne accusato di corruzione
e viene costretto ad abbandonare la sua citta e negli anni dell’esilio 1304-1307 scrive la sua opera
più importante che definisce con il semplice titolo di commedia. Gli studiosi presuppongono che
probabilmente le prime due cantiche furono diffuse quando Dante era ancora in vita mentre il
paradiso è stato reso pubblico postumo la sua morte. Originariamente il titolo dell’opera non era
“Divina Commedia” come lo conosciamo oggi, ma solo “Commedia” è stato il poeta Boccaccio ad
aggiungere l’aggettivo “divina”. La diffusione di questo titolo avviene nel 1500 quando in una
stampa a Venezia viene usato questo nome per la prima volta per poi propagarsi.
La definizione del termine commedia non è come noi la intendiamo oggi perché nella traduzione e
nella visione medievale il termine commedia indica un poema dove entrano tutti gli elementi,
caratterizzato quindi da una molteplicità di elementi diversi tra loro che si uniscono all’interno di
una sola opera.
La commedia è caratterizzata da due elementi principali e caratteristici del poeta trecentesco: il
plurilinguismo e il pluristilismo. Dante utilizza all’interno della Commedia tutti i registri linguistici,
la commedia è scritta per la maggior parte in fiorentino del 1300, un fiorentino che però viene
arricchito da elementi di latino, del provenzale e delle lingue antiche. Possiamo dire che Dante è
linguisticamente “onnivoro” ovvero prende tutte le risorse che può. Egli si serve di tutti i registri
perché nella commedia si affrontano temi infernali e quindi aspetti realistici molto bassi accanto ai
quali pero si trovano elementi molto aulici e classicisti come parti di teologia, filosofia e quindi
Dante si serve di tutti i registri linguistici dovendo trattare temi cosi diversi l’uno dall’altro. Questa
ricerca dal pluristilismo ovvero la mescolanza dei vari stili alto basso, vi è in ogni cantica a seconda
dell’argomento che i personaggi mettono in scena. Dante è definito il padre della lingua italiana
perché nello scrivere, soprattutto nella stesura della Commedia, Dante ha dato potenza e rigore
alla neonata lingua italiana, egli ha saputo utilizzare lo strumento del volgare in modo così
vigoroso da lasciarlo in eredita a tutti i poeti dopo di lui. La lingua letteraria che possiamo vedere
prima di Dante era una lingua di ambiti d’uso molto più circoscritti ma è proprio con Dante che il
volgare si afferma in tutte le sue potenzialità effettive. Sono stati fatti degli importanti studi sulle
parole di lingua italiana e si è accertato circo 2000 parole con le quali noi facciamo il 90 % dei
nostri discorsi si chiama lessico fondamentale, questi studi hanno visto che il 90 % delle parole che
noi usiamo tutti i giorni Dante li ha già usati nella Divina Commedia. L’italiano di oggi è quindi
grossomodo il fiorentino trecentesco
La commedia non è stato solo il momento fondamentale della creazione delle parole che noi oggi
usiamo di tutti i giorni ma vi sono anche le parole del lessico intellettuale quelle che usiamo per
parlare di teologia o di filosofia
Dante quindi è il padre della lingua italiana come italiano della comunicazione quotidiana ma
anche come fondatore del lessico individuale.
Questo riscontro si ha già nella “fortuna” della sua opera ovvero nel numero delle copie di questo
testo che furono realizzate da copisti, sono rimasti oggi 800 manoscritti con il testo della
commedia
La divina commedia riprende la tradizione poetico letteraria precedente ma è anche un momento
di forte innovazione perché Dante non si accontenta di una poesia illustre ma cerca di utilizzare
tutti gli stili e tutti i registri, tutte quelle risorse linguistiche che gli venivano offerti dal suo tempo.
La Commedia presenta contenuti diversi tra di loro quindi dante ha bisogno di tutte le risorse
linguistiche del fiorentino trecentesco

Francesco Petrarca
La personalità di Petrarca rispetto a Dante è molto diversa, Petrarca rimane tutta la vita rimane
fortemente legato alla lingua latina, anche lui fiorentino costretto a vivere fuori da Firenze a causa
dell’esilio. Petrarca scrive abitualmente in latino conosceva benissimo la lingua latina e i suoi testi
lo dimostrano, egli immaginava che la sua gloria di poeta gli sarebbe arrivata proprio dalle sue
composizioni in latino. Egli scrive in latino lettere e appunti personali oltre alle sue opere perché
chi scrive nei secoli del medioevo scrive in latino, proprio perché la lingua “normale” della
comunicazione scritta è il latino
Petrarca però decide di scrivere in volgare e scrive un libro di versi che chiama Canzoniere. Il
Canzoniere è considerato il primo libro di versi moderno, esso non è un’antologia di poesie ma è
un libro di versi ovvero una raccolta di versi poetici che hanno un filo conduttore che hanno una
linea compositiva. Il canzoniere è un progetto unitario che viene realizzato pezzi a pezzi. Il titolo è
in latino ed è “rerum volgarium fragmenta” ovvero frammenti di cose volgari, egli ha lavorato alla
lavorazione del canzoniere tutta la vita, è composto da 366 componimenti cioè un componimento
al giorno per un anno più un componimento che funge da introduzione, anche qui vi è l’idea di una
costruzione complessiva, si dice che quest’opera sia il primo libro moderno. Il Canzoniere è anche
il primo libro “autografo” ovvero tutta l’intera opera è stata scritta da lui, l’opera oggi è conservata
nella biblioteca Vaticana, (di Dante ad esempio non abbiamo niente di autografo ma i arriva tutto
attraverso copie) il Canzoniere si indica con il codice “Vaticano latino 3195” si usa il codice per
individuare il manoscritto riferendosi alla biblioteca dov’è conservato ovvero la biblioteca Vaticana
che è il luogo dove sono conservati tantissimi manoscritti. Oltre a questo codice autografo che
conserva la bella copia del canzoniere abbiamo un altro codice sempre nella biblioteca vaticana
indicato con il codice “3196 “che conserva la brutta copia ovvero la prima stesura del Canzoniere,
attraverso quest’opera possiamo vedere quante modifiche Petrarca ha fatto all’opera mettendola
a confronto con l’opera completa che poi ha pubblicato.
Il canzoniere è dedicato all’amore per Laura, donna che Petrarca incontra e muore molto presto. Il
tema è un tema amoroso quindi sempre in riferimento alla poesia lirica, questo libro lo possiamo
immaginare come una sorta di diario amoroso, un amore però definito intellettuale e astratto più
che concreto, tutta questa storia di quest’amore travagliato e idealizzato alla fine si risolve in un
canto alla Vergine dove Petrarca invocata il calmarsi dei sentimenti umani e un avvicinamento alla
vita celeste.
Il canzoniere è scritto il fiorentino trecentesco ma vi è una grande diversità tra le scelte linguistiche
con Dante, egli è un grande selezionatore, eliminata tutto ciò che gli sembra troppo basso e legato
alla vita quotidiana perché ambisce a qualcosa di astratto. Petrarca era solito ad annottare le cose
che diceva a sé stesso in latino infatti nella brutta copia spesso vicino ai versi che non gli piacevano
metteva delle note ma in latino, ciò ci fa capire come spontaneamente la lingua che veniva scritta
non era il volgare ma in latino. Il lessico del canzoniere è rarefatto e volutamente vago, ovvero le
parole sono sempre generiche astratte e lontane dal realismo e dalla concretezza,
quest’operazione di selezione fa si che le parole usate da Petrarca per la composizione siano
pochissime, tutto il canzoniere infatti è scritto solo con 3275 parole.
Il tema del canzoniere è l’amore per Laura ma noi di lei non sappiamo nulla perché Petrarca non ci
da mai una descrizione fisica della donna ma rimane sempre su qualcosa di generico e non
concreto come ad esempio il sostantivo labbra e magro compaiono una sola volta e non sono né
specificati e né descritti, inoltre tra il singolare e il plurale Petrarca preferisce sempre il plurale
perché sembra più generico e più astratto. Proprio per questa scelta di astrazione e genericità fa si
che il modello di Petrarca sarà un modello di esempio per i poeti dei secoli successivi.
Se si fa un confronto tra Petrarca e Dante notiamo che Dante ha un atteggiamento di inclusione
mentre Petrarca, al polo opposto, sceglie e selezione le parole utilizzando sempre le stesse, nella
poesia di Petrarca non si trovano oggetti e dati che rinviano alla vita di tutti i giorni. La lingua
inventata per la poesia di Petrarca è grosso modo rimasta inalterata fino al XX secolo, ovvero se
confrontiamo un testo poetico di Petrarca e Leopardi le parole sono le stesse, proprio l’essere una
lingua astratta e lontano della realtà ha permesso che questa sua lingua andasse bene anche in
futura. Il petrarchismo è un movimento di imitazione del modello di Petrarca. Petrarca è quindi
monolinguismo cioè un solo registro e un solo livello linguistico, egli usa un livello alto elegante e
raffinato. (modello della lingua poetica fino al 1900)

Giovanni Boccaccio
Il terzo grande protagonista del 300 fiorentino, si sviluppa nel 1313, la sua opera è il Decameron,
anche nel caso di Boccaccio si può dire che l’autore è intervenuto molte volte revisionando il testo,
l’opera è stata composta dopo il 1348 ovvero anno di fine delle peste. L’opera è composta da 100
novelle a 10 voci ovvero ci sono 10 narratori che racconteranno 10 storie ciascuno, non è solo una
raccolta novelle ma è una raccolta compositaria. L’opera racconta la storia di 10 ragazzi e ragazze
che quando arriva la peste a Firenze decidono di chiudersi ed isolarsi per 10 giorni e per passare il
tempo si raccontano storie, questa possiamo definirla come la cornice dell’opera. Anche il
Decameron è un prosimetro, perché delle 10 giornate ogni giornata è conclusa da una ballata,
(quindi unisce prosa verso) da quello che emerge dal punto di vista dei contenuti ci rendiamo
conto che il modo di pensare della società rispetto a quella che descriveva Dante è molto cambiata
con il Decameron ci troviamo nella società mercantile, la nuova società borghese, egli infatti
affronta tematiche della borghesia comunale. L’iter compositivo è stato molto complicato,
quest’opera ha avuto un successo clamoroso, tanto che venivano copiate le novelle a gruppi sparsi
per cui ad oggi abbiamo tanti manoscritti con testi del Decameron guastati ovvero poco controllati.
Del Decameron esiste un autografo conservato nella citta di Berlino e viene indicato come
manoscritto “ms. Hamilton 90”.
Boccaccio è stato il primo grande ammiratore di Dante e questo è testimoniato da due fatti:
1. Dante viene copiato da Boccaccio, si mette cioè a ricopiare i testi di Dante, egli però non
era un copista preciso perché interveniva a modificare un po’ le cose, egli inoltre ha anche
scritto la vita di Dante
2. Egli ha inventato le “letcure dantis” ovvero leggere pubblicamente e di commentare un
canto della commedia.
Egli è considerato il fondatore della prosa letteraria in volgare. Il 1300 è un secolo di grande rilievo
nella nostra storia linguistica con la commedia il canzoniere e il Decameron vengono percepiti
come grandi capolavori.
Grazie a Dante, Petrarca e Boccaccio la letteratura italiana dispone già alla fine del Trecento di tre
eccelsi autori, che finiscono per rappresentare modelli non solo letterari ma anche linguistici; La
Commedia,
il Canzoniere e il Decameron hanno infatti fin da subito larga diffusione: e, nell'Italia priva di una
lingua nazionale, il modello letterario finisce per diventare anche modello linguistico. Prende così
progressivamente vigore il
mito delle "Tre Corone", sintetizzato in questa espressione utilizzata appunto per indicare i tre
autori toscani nel loro ruolo di modelli letterari linguistici nazionali.

IL QUATTROCENTO
Nel corso del 400 sono tre le questioni di grande importanza in relazione al processo di
costruzione di una lingua nazionale: il rapporto tra il volgare e latino, la formazione di Koinè e
regionali, i cambiamenti del fiorentino veicolati dalle tre corone che consolidano decisamente la
sua posizione di volgare di riferimento nazionale con un ruolo egemone sugli altri volgari italiani.
Di Dante abbiamo parlato del” de vulgari eloquentia”, un trattato in cui egli cerca il volgare illustre
analizzando tutti i volgari presenti sul territorio.
Petrarca è il fondatore della lingua della lirica canzoniere primo libro moderno di poesia
Boccaccio fondatore della lingua della prosa. Complessivamente questi tre scrittori del secolo XIV
secolo ovvero del 1300 sono tutti e tre fiorentini e vengono chiamati le 3 corone perché vengono
chiamati i pilastri della lingua italiani, se noi oggi parliamo questa lingua lo dobbiamo a loro. Dal
latino volgare nascono tante varietà di volgari diversi ma tra tutti questi perché proprio il
fiorentino è quello che emerge sugli altri? Il successo parte proprio da questi scrittori, già quando
loro erano in vita le loro opere sono state concepite come degli straordinari capolavori, quindi la
lingua in cui quelle opere sono stata scritte ha raggiunto un grande prestigio, bisogna ricordare
anche che in quel periodo una figura molto importante era il comune di Firenze, sia dal punto di
vista economico che politico, è proprio da qui infatti, che inizia il periodo illustre di Firenze fino
all’arrivo alla famiglia dei Medici. La lingua letteraria volgare nasce in Sicilia per poi svilupparsi
come lingua letteraria colta, meglio riconosciuta come volgare fiorentino. Un altro concetto molto
importante su cui bisogna focalizzarsi è il concetto stesso della lingua italiana, l´italiano nel
mondo è considerato come una lingua bella, l’Italia e l´italiano nel mondo vengono percepiti e
associati all´idea di bellezza, ma questa percezione che fa avvicinare l’Italia e l´italiana al bello
inizia proprio grazie a questi capolavori letterari che hanno fatto percepire che l´italiano venisse
considerata una lingua bella, ovviamente è una concezione basata sulla percezione comune,
questa storia ci permette di capire che questo fiorentino letterario fondato sette secoli fa è la
stessa lingua che noi oggi utilizziamo nella nostra lingua, quella identificata nella cultura italiana e
non solo come qualcosa di associato alla bellezza.
Agli inizi del 400 la diffusione del volgare come lingua di cultura rallenta decisamente, in
connessione con la riscoperta e la valorizzazione del latino classico maturate in seno
all’Umanesimo, di cui, gli stessi Petrarca e Boccaccio avevano favorito l’inizio.
L’Umanesimo che è un momento di grande cambiamento nella visione del mondo ovvero cambia
proprio la mentalità delle persone che vivono in quel periodo rispetto a quello precedente.
Un’anticipazione di ciò l’abbiamo già avuta con Boccaccio, Dante si nota che è ancora legato alla
visione medievale, ovvero l’uomo vive la vita sulla terra come un periodo breve con una
prospettiva di vita futura nell’aldilà, quando le condizioni economiche cambiano e con la civiltà
comunale iniziano a stare meglio si inizia a vedere una diversa prospettiva in cui anche la vita sulla
terra è interessante. Questa nuova visione del mondo si afferma nel XV secolo proprio con
l’umanesimo, con il termine Umanesimo si intende porre al centro l’uomo proiettato nella vita
terrena. I classici erano conosciuti sempre nella prospettiva che preannunciassero il cristianesimo
o la religione cristiania, era quindi comunque conosciuti ma letti in questa prospettiva del tutto
Medievale, nell’Umanesimo invece si torna ai classici nella loro autenticità ovvero cosi con il
significato con cui erano stati scritti.
Nell’umanesimo vi è la volontà di conoscere questi testi, non a casa la filologia ovvero lo studio dei
testi, nasce proprio in Italia. Tutto questo produce un abbandono della lingua volgare, quindi
potremmo definire il 400 dove il volgare come lingua letteraria entra in crisi, crisi che va intesa
come crisi solo letteraria.
Il volgare continuo espandersi nel mondo mercantile (scritti contabili, lettere, libri di famiglia,) in
ambito religioso (soprattutto in relazione alla predicazione) nelle cancellerie e molti settori tecnici.
Ma perde terreno come lingua letteraria è più generalmente come lingua colta. Per quanto le
critiche degli umanisti indirizzino principalmente verso il latino medievale, il loro rapporto con il
volgare e a volte ambiguo, ma in generale si riduce con un rifiuto, pratico e anche ideologico.
Come sempre però nella storia vi è una reazione, vi sono degli intellettuali che decidono di
continuare con il volgare che si chiama “umanesimo volgare” ovvero il tentativo che viene fatto
per rilanciare l’uso del volgare come lingua letteraria, di questo periodo storico 3 punti sono
fondamentali:
 Leon battista Alberti figura di spicco della cultura italiana
 La raccolta Aragonese
 I volgarizzamenti

Leon battista Alberti


È stato un grande architetto oltre che un grande scrittore, naturalmente essendo pienamente
inserito nella cultura umanistica era un grande conoscitore della lingua latina, egli pero era
convinto che la grandezza del latino non dovesse soffocare e far perdere di vista il volgare che anzi
doveva essere il punto di partenza. La sua ammirazione per il latino non lo distoglie dal volgare
anzi lo stimolo ad amarlo e a valorizzarlo. Su questa strada lo spingono due forze: da un lato la
costatazione che il volgare e lingua usata dalla maggioranza della popolazione e dall’altro la
sensibilità linguistica che lo rende consapevole delle sue potenzialità del volgare, a suo vedere
paritario latino sia livello di struttura che di espressività
L’umanesimo volgare ha conosciuto l’apporto di molti intellettuali ed è collocabile in toscana
soprattutto nella Firenze di Lorenzo de i medici, si sviluppa proprio in Toscana perché la
valorizzazione del volgare fiorentino viene utilizzata come atteggiamento politico di affermazione
di supremazia della toscana rispetto agli altri paesi. L´intenzione di Alberti era quella di
promuovere il volgare come lingua letteraria, egli scrive testi in volgare, lui stesso è autore di
alcuni testi in volgare per esempio scrive un trattato che si chiama “della famiglia “egli affermava
“affronto un tema come quello della famiglia tipico della cultura classica e dimostro come anche in
volgare posso scrivere testi di questo livello” .
Una delle iniziative più dirette per la promozione della lingua volgare fu certamente il Certame
coronario, certame vuol dire gara, termine preso dal latino, e coronario vuol dire che al vincitore di
questa gara sarebbe stata donata una corona d’alloro. Esso era un concorso pubblico di poesie in
volgare sul tema dell’amicizia che Alberti ideo e organizzo a Firenze il 22 ottobre del 1441.alla gara
parteciparono 14 poeti, dei quali soltanto otto furono messi a recitare i propri testi
pubblicamente, sottoponendoli a 10 giudici prescelti fra che segretari del Papa. Ma la giuria
umanistica, che nelle intenzioni di Alberti indicandomi citare avrebbe legittimato la poesia alta in
volgare, si rifiutò di assegnare il premio. In questa gara quindi non si trova un vincitore poiché la
giuria era composta tutti da classicisti che non apprezzavano il volgare e che credevano quindi che
nessuno delle poesie in gara potesse avere una reale importanza. Alberti scrisse una lettera
anonima dove si lamento del comportamento dei giudici e della loro visione del volgare.

Ma l’operazione più importante per la valorizzazione la lingua volgare e quella di farne emergerne
in modo inequivocabile la struttura, descrivendola in una grammatica, con gli stessi criteri e
secondo le stesse categorie usate per il latino. Alberti, secondo un piano ben articolato e
delineato, si dedica alla composizione della “Grammatichetta”, tramandataci dal codice Vaticano
reginense latino 1370 nella biblioteca Apostolica vaticana. La Grammatichetta è stata composta
probabilmente fra il 1438 il 1441, è un testo di sorprendente modernità, prima di tutto perché il
carattere di una grammatica sincronico -descrittiva. È cosi importante scrivere una grammatica
perché finche io ho la percezione che una lingua sia solo parlata e comune non scrivo una
grammatica, scrivo una grammatica nel momento in cui credo sia importante
La lingua oggetto della Grammatichetta è sempre etichettata da Alberti come Toscana, ma le
descrizioni in essa contenute corrispondono sostanzialmente al fiorentino contemporaneo. La
Grammatichetta non è quindi soltanto la prima grammatica italiana, ma è anche la prima con
un’impostazione sincronica. Nella Grammatichetta è costante il riferimento dell’uso al parlato
senza richiamarsi all’autorità degli scrittori con grande attenzione all’oralità. Conformemente a
tutta la politica linguistica albertiana, la descrizione è umanisticamente fondata sul modello
classico: Alberti descrive sì la lingua d’uso ma lo fa mediante le categorie applicati dei grammatici
classici alla lingua latina, anche con il chiaro intento di dare prestigio autorità alle strutture di
lingua volgare.

La raccolta Aragonese
La raccolta aragonese è un’antologia ovvero una raccolta di testi di vari autori, è una raccolta di
poesia in volgare che è stata fatta realizzare da Lorenzo dei i Medici per essere inviata al figlio
d’Aragona, figlio del re di Napoli. È molto interessante sapere che, Lorenzo de i medici aveva un
segretario che era il più importante poeta del 1400 ovvero Polizzano, e fa scrivere a lui la lettera, in
questa scelta vi è la voglia di rivalutare la lingua tosco-fiorentina, vengono scelti 499
componimenti che porta tutta la tradizione delle opere letterarie volgari fino a Lorenzo de i medici.
È una scelta in cui vi è la volontà di mostrare l’orgoglio di una tradizione toscana volgare, che si
accompagna all’idea di un primato politico.
Angelo Polizzano scrive l’opera che deve servire a mostrare la grandezza del tempo da Dante a
Lorenzo dei medici, ha come obiettivo di mostrare la dignità del volgare. Si chiama Polizzano
perché a quel tempo andava di moda darsi un nome più carino lui scelse Polizzano che è monte
pulciaio, perché era nato in questa cittadina ed è stato il segretario di Lorenzo il magnifico e
l’insegnate dei suoi figli.

I volgarizzamenti
I volgarizzamenti sono delle traduzioni un po’ particolari perché sono quelle che chiamiamo
traduzioni verticali. Noi possiamo avere traduzione verticale o orizzontale verticale significa che si
traduce da una lingua prestigiosa ad una meno importante, mentre invece si parla di traduzione
orizzontale ovvero con lingue che sono sullo stesso livello di importanza. Si sviluppa
quest’abitudine proprio in questo periodo verso la fine del 1400, i motivi che spingono questo
sono ragioni culturali e politiche allo stesso tempo perché si vuole far capire che tutto ciò che era
scritto in latino può essere scritto anche in volgare e che quindi ha tutti gli elementi, e poi l’idea di
permetter alla borghesia mercantile che si afferma in questo secolo che non conosceva il latino di
acculturarsi, e poi un altro elemento è il rivendicare il prestigio del toscano. La scelta del volgare
con la politica c’entra tostissimo è il periodo in cui i medici sognano di diventare i capi d’Italia e
quindi questo progetto espansionistico deve trovare anche spazio all’interno della cultura

IL CINQUECENTO
Il XVI secolo è un secolo decisivo nella storia della lingua italiana ma anche nel resto d´ Europa
perché si avvia la formazione degli stati nazionali, quelli che conosciamo oggi. Accanto alla
formazione di uno stato nazionale si assiste anche alla formazione di una lingua nazionale che
possa essere alternativa alla lingua latina. Questa codificazione linguistica comporta un processo di
unificazione, in ognuno di questi stati viene indicata una delle tante varietà usate i uno delle arie
come standard, ovvero si verifica l’assunzione di una varietà tra le tante che diventi modello,
superando le frammentazioni del medioevo e individuando una tra le tante come lingua nazionale.
La situazione dell´ Italia pero era diversa rispetto le altre aree europee, perché non sia avvia e non
si raggiunge questa unione politica (cosa che avverrà solo nella meta del 1800). Il fenomeno
caratteristico dell’Italia è che nonostante non vi sia stata un’unificazione politica si è arrivati
comunque ad una lingua comune. Il francese ad esempio era la varietà parlata a Parigi e nella
corte del re cosi quando si è formata la nazione su spinta della capitale proposta come modello
diventa lingua nazionale. In Italia non accade perché non vi è una capitale che potesse diventare
un polo di riferimento commerciale, politico e culturale proprio perché rimane divisa in tantissimi
piccoli stati, di pari passo però la scrittura letteraria cerca di superare questa frammentazione e
quindi ambisce a non avere più un riferimento municipale restretto ma cerca di allargare i nuovi
orizzonti e i nuovi confini. Vi è quindi un disallineamento tra la cultura e la politica. In questo
contesto si sviluppa un dibattito che vinee storicamente chiamato “questione della lingua” che
potremmo definirla plurisecolare, ha attraversato e continua tutta ora ad essere svolto sulla norma
e sull’identità dell’italiano, ovvero quale sia la varietà standard e quale sia la sua codificazione
normativa. Un tema della questione per la lingua è ad esempio il de vulgari eloquentia. Ancora
oggi si può partecipare e continuamente abbiamo prese di posizione sulla lingua, ad esempio il
rapporto sulle lingue nazionali e sulle lingue locale, italiano e altre lingue oppure u tema molto
combattuto tra l´italiano e l´inglese “l´italiano è minacciato dall´inglese?. È quindi qualcosa che
nasce nel passato ma che ancora oggi possiamo ritenere vitale. L’unita linguistica in Italia si è
sviluppata in assenza di uno stato politico, come strumento di una comunità di intellettuale ed
elitaria, mentre negli altri paesi la lingua è andata pari passo con la formazione di uno stato
unitario in Italia invece no, in Italia a portare la lingua sono stati gli intellettuali e non il re. L’Italia e
l’italiano sono stati creati dall´intellettuali. Tenendo conto che la questione della lingua è un
dibattito che si è svolto per molti secoli, molto importante è quello del 1500 perché in questo
periodo storico avvengono dei cambiamenti storico politici e culturali che naturalmente si discute
anche dei linguisti del volgare e del latino. Il dibattito che si sviluppa nel XVI secolo si riallaccia a
quanto già veniva discusso tra il rapporto di latino e lingua italiana ovvero nella competizione che
si viene a realizzare tra volgare e lingua latina. Da questo momento proprio perché in questo
secolo nasce una varietà standard nazionale si potrà usare la parola dialetto. Con la individuazione
di una lingua comune vi era anche l’individuazione delle altre varietà come dialetti. Lingua e
dialetto sono due concetti polari ovvero che esiste la lingua e di conseguenza il dialetto, affinché ci
siano i dialetti vi è bisogno di una lingua standard. Dal punto di vista lessicale il termine dialetto
entra nel vocabolario proprio in questi anni.
In questo quadro bisogna far entrare un altro importante protagonista ovvero la stampa.
La diffusione di opera letterarie era possibile solo attraverso il meccanismo della copia manoscritta
che venina realizzata da una originale, questo comporta che i testi si diffondevano per poche
persone, solo quelli più ricchi perché i manoscritti erano molto costosi.
Venezia è la capitale italiana della stampa, non sorprende che se legata alle discussioni del volgare
da scegliere per gli scritti colti.
L’invenzione della stampa a caratteri mobili conduce all’industria della stampa ovvero da un
esemplare arrivare a produrre tante cose, si sviluppa il concetto dei multipli, ciò significa che se
produco le diverse stampe voglio anche venderle, nasce quindi un nuovo mercato, un mercato in
cui vi è la circolazione di un prodotto libro. Ovviamente quando stampo e vendo non li limito a
stampare e vendere solo all’interno del mio paesino ma cerco in qualche modo di allargarmi oltre
gli orizzonti, e per fare questo vi era la necessità dell’affermazione di una lingua comune a tutti, vi
è quindi una spinta definibile anche mercantile di una lingua comune a più aree.
A Venezia proprio agli inizi del 500 opera Aldo Manuzio, uno dei più grandi stampatori della storia.
Il protagonista della questione della lingua è Pietro Bembo, si presenta come protagonista anche
nel rapporto che stabilisce con il più importante editore del suo tempo, chiamato principe, con
Aldo Manuzio, un editore e stampatore Pietro bambo e insieme hanno un’idea, assolutamente
innovativa e rivoluzionaria, ovvero realizzare una collana di libri che noi oggi chiameremo tascabili,
che costa poco, piccolo, da mettere in borsa. molto interessante perché cambia il modo di pensare
il libro, i vecchi libri erano grandi e non adatti alla lettura personale ma ad uno studio o a un
commento. Con questa collana si vuole produrre un testo che venga stampato, sia uguale e che
venga letto da tutti. Aldo Manuzio forgiò un nuovo carattere chiamato corsivo aldino. La matrice
della proposta di Bembo è umanistica e ripercorre la strada intrapresa quando, affronta il
problema di ricostruire il latino dell’età dell’oro in modo di recuperarne la vera fisionomia
distanziandolo dal latino medievale, la soluzione proposta era stata l’imitazione e la conseguente
individuazione dei modelli da imitare. La classicità era stata l’età dell’oro insuperabile e niente
migliore poteva essere prodotto: l’unica via era rappresentata dal tendere a quell’assoluta
perfezione imitandola. Furono così individuati due autori di riferimento uno per la poesia Virgilio,
e uno per la prosa, Cicerone. Pietro Bembo ripropose la stessa via per il volgare. Il suo obiettivo è
individuare una lingua volgare che consente agli scrittori di raggiungere le vette più sublimi della
qualità artistico letteraria, in modo da essere ammirati interno dei vostri ed essere così resi
mortali. Anche il volgare ha una sua età dell’oro, quella del fiorentino trecentesco ovvero quella
delle tre corone, e quindi non c’è niente di più facile e immediato che mi dare con la lingua qui,
farla propria, riproponendo anche lo schema applicativo umanistico. La scelta di Bembo di Creta su
Petrarca e Boccaccio. Non bisogna dimenticare che, qualunque proposta emergesse del quadro è
la questione della lingua, fondamentale era anche la sua praticabilità: infondo si trattava di
proporre un modello linguistico che per la stragrande maggioranza degli italiani era una seconda
lingua da prendere, e quindi dovevano esistere anche le condizioni perché ciò fosse possibile.
Il 500 quindi è caratterizzato da dispute animate sulla “questione della lingua”, la prima proposta è
il modello trecentesco di Pietro Bembo. La caratteristica della seconda proposta è certamente
l’ecletticità sia delle soluzioni, sia della lingua che vinee indicata come possibile modello nazionale.
La “città ideale” di questa corrente, che potremmo chiamare proprio eclettica o cortigiana è senza
dubbio Roma. Roma nel Cinquecento è una città cosmopolita, e soprattutto cosmopolita è la corte
papale, dove per ragioni intrinseche legate alla natura di questa particolare monarchia. Dopo le
trasformazioni quattrocentesche della corte papale cosi linguisticamente definita sono lingue di
Coin delle varie signorie dei centri di poteri dal nord a sud della penisola. Sulla stessa lunghezza
d’onda e anche Gian Giorgio Trissino, che sosteneva che la lingua poetica di Petrarca non era
fiorentina, bensì composta da vocaboli provenienti dalle varie parti Italia e quindi italiana, egli
illustra la sua proposta nel dialogo “il castellano” (1528). Trissino è importante perché il primo ad
aver tradotto il De vulgari eloquenzia eclettismo interpretandolo erroneamente come portatore
della teoria di una lingua mista, alla quale contribuiscono forme provenienti da tutte le lingue
d’Italia. Le teorie bembiane e a maggior ragione quelle eclettiche cortigiane non furono in generale
grazie a Firenze, dove in molti intervennero a più riprese contro Trissimo e per contenere i danni
della sua traduzione. Secondo la tesi fiorentinista, la terza proposta emanata principalmente da
Niccolò Machiavelli, non poteva che avere come sua citta ideale Firenze, la lingua di riferimento
nazionale doveva essere il fiorentino contemporaneo, quello “argenteo”, una lingua scritta e
parlata, niente affatto bassa come pensavano fuori Firenze. Niccolò Machiavelli sostiene che la
lingua della commedia è genuinamente fiorentino e che il fiorentino cinquecentesco è la
continuazione di quello del trecento. L’aspetto più originale di questa teoria è la centralità della
distinzione fra parlato e scritto a seguito della quale Machiavelli, pur riconoscendo la grande
importanza di scrittori come Dante Petrarca e Boccaccio, mette rilievo l’importanza del parlato:
anche del parlato popolare, al quale lo stesso Machiavelli attinge nelle sue opere. Egli scrive un
trattato sulla questione della lingua: “il dialogo (o discorso) intorno alla nostra lingua” in
quest’opera difende il fiorentino del suo tempo portando avanti la proposta per opzione del
fiorentino del suo tempo.
Anche la soluzione fiorentini sta, inattaccabile dal punto di vista concettuale con il suo costante
richiamo alla multidimensionalità della lingua e alla necessità di ricorrere una lingua viva, non è
però di facile esportabilità nell’Italia cinquecentesca. Il braccio di ferro tra fiorentini e i bembiani
non era facilmente risolvibile e vari ragioni spingevano verso la strada del compromesso.
Benedetto Carchi fu colui che ala fine del 1500 tentò di conciliare le due proposte cioè: il fiorentino
arcaico di Pietro Bembo e il monolinguismo rappresentato da Machiavelli. Egli era spinto da forti
motivazioni personali era infatti un allievo di Bembo e apparteneva all’Accademia fiorentina, con
Varchi lo scontro tra le due teorie era particolarmente evidente e lui spingeva ad una
ricomposizione delle divergenze analizzando le due teorie. Il punto più debole della proposta di
Bembo era certamente la limitatezza dello spazio linguistico su quel volgare nazionale può
operare: non sono diamesia (limitato allo scritto) ma anche in diafasia (registro elevato) e
decisamente in diastratia (la lingua degli scrittori.) D’altro canto la maggiore accusa mossa e
sostenitori del fiorentino contemporaneo era quella di assecondare usi popolari e bassi. Varchi
quindi decide di salvare la profondità in diamesia, scritto e parlato, venendo incontro però alle
istanze legate alla classe colta: quello che propone quindi è il fiorentino usato dei letterati e da
quelli che definisce non idioti, vale a dire gli illetterati colti (mostrando ancora una volta
un’attenzione del tutto particolare a questo strato medio alto della cultura volgare). Il punto di
equilibrio tentato da Varchi è però troppo instabile: l’insistenza sul parlato mal si adatta
all’ambiente colto italiano e soprattutto, come gli stesso incidentalmente dichiara, incentrata
sull’uso di Firenze, una soluzione Verchiani, così come quella fiorentinista pura, richiede un
contatto diretto e prolungato con la città, per quanto l’ho scritto possa bastare la frequentazione
dei testi fiorentini.
La soluzione vincente fu trovata alla fine dall'allievo di Varchi, Lionardo Salviati. Il compromesso da
lui proposto, nato soprattutto dallo studio profondo della prosa di Boccaccio, è un punto di
equilibrio che,
rispetto alla proposta di Varchi, offre certamente meno soddisfazioni alla sensibilità del linguista,
ma incontrava senza dubbio maggiore gradimento presso il ceto colto degli scrittori del
Cinquecento. Salviati non calibra la dimensione diastratica né quella diamesica,
che lascia nella tradizionale posizione dello scritto per letterati; e nemmeno allarga più di tanto la
variabilità diafasica. Ma spostando l'attenzione dai due autori esemplari, Petrarca e Boccaccio, alla
globalità della lingua in cui essi hanno scritto, vale a dire il fiorentino trecentesco nella sua
interezza, riesce a dare una maggiore profondità a una lingua
che altrimenti sarebbe rimasta estremamente piatta. Proporre come modello di riferimento tutto
il fiorentino trecentesco, quello all'epoca ricostruibile sulla base dei testi conservati, significava
allargare lo spettro dei generi e in parte la dimensione diafasica che, seppur sospinta sul registro
alto, lasciava aperte le porte per l’ingresso di ambiti non strettamente legati alle tematiche della
poesia e della novellistica.
Per funzionare, però, era fondamentale trovare una strategia per diffondere questo modello così
faticosamente raggiunto: Salviati la trovo in seno all’Accademia della crusca, con l’idea geniale del
vocabolario

IL SEICENTO
Dopo un secolo di questione della lingua, un modello linguistico di riferimento nazionale è alla fine
individuato e, seppure con qualche
critica più o meno forte, il fiorentino trecentesco è la varietà di lingua accettata per lo scritto di
registro alto, che progressivamente si popola anche delle discipline fino a quel momento escluse,
come ad esempio la scienza. Con alti e bassi e spinte interne ed esterne, l'italiano emergente dalle
discussioni del Cinquecento troverà soltanto agli inizi dell'Ottocento alternative praticabili, ma
ormai è alle porte l'unità politica, che inevitabilmente cambierà le carte in tavola. Consolidata una
lingua nazionale riconosciuta, a partire dal Seicento si può inquadrare anche la situazione italiana
in una dinamica lingua/dialetto. Terminologicamente si passa dall'Italia dei volgari a quella
dell'italiano e dei suoi dialetti, nuovamente in una situazione di bilinguismo con diglossia. Italiano
e dialetto convivono, ma sono distribuititi in modo diverso nello spazio linguistico: sull’asse
diafasico ( L’italiano è usato soltanto in certi contesti) ; su quello diamesico ( la presenza
dell’italiano nell’oralità è pressoché assente, e si palesa eventualmente in forme di una volta in
volta create nel bisogno); su quello diastratico ( solo una parte della popolazione italiana può
gestire sia l’italiano che il dialetto: la stragrande maggioranza di essa possiede infatti soltanto
competenze linguistiche dialettali.

L’Accademia della Crusca


l´Accademia della crusca viene fondata nel cinquecento, è un importante riferimento per la nostra
lingua, ha lavorato per la realizzazione di opere importanti per definire il modello linguistico
dell’italiano. Nata alla fine del cinquecento da una brigata di amici che si incontravano per
divertimento, questa volontà di essere “burloni” è chiaro nella volontà di scegliere il nome
“crusca”, il termine crusca fa riferimento alla parte scartata nella macinazione della farina. I
partecipanti dell’accademia erano chiamati “crusconi”, il nome crusconi deriva dal fatto che i loro
argomenti leggeri, bizzarri e inconsueti erano definiti appunto cruscate e il loro leggere in crusca
significava “leggere per burla” ovvero con uno spirito volutamente antidantesco e antiaccademico.
Verso la fine del XV secondo Lionardo Salviati fa di quella che era solo un “allegra compagnia di
giovani” un’Accademia, co il compito di cercare un preciso livello linguistico. Salviati ha progettato
il Vocabolario degli Accademici della Crusca ovvero un grande vocabolario della lingua italiana. Il
progetto prevedeva l’utilizzo di una serie di testi letterari scritti e attraverso lo spoglio di questi
libri trovare una serie di voci da inserire aggiungendo poi anche un esempio di come usare
terminate parole. I libri che vennero presi in considerazioni da Salviati furono:
- i testi le tre corone Dante Petrarca Boccaccio.
- gli scrittori secondari del trecento toscano.
- gli autori contemporanei illustri tra cui Ludovico Ariosto e che aveva corretto la sua opera
sull´indicazioni di Bembo.
L’obiettivo era quello di trovare una lingua pura. Il Vocabolario ebbe cinque edizioni distribuite
lungo l’arco dei secoli e via via modificate e arricchite:

 Nel 1612 arrivarono alla realizzazione del primo vocabolario stampato a Venezia. La
prima edizione è il primo grande vocabolario italiano e al tempo stesso il primo
grande dizionario mono lingue europeo. Ricopre un’importanza fondamentale,
quindi, sia per la storia del lessico grafia, sia per la storia della lingua italiana, perché
di fatto, proprio per la sua conformazione, a potuto vincolare il modello linguistico
nazionale in un modo funzionale. L’idea di un vocabolario della crusca è davvero
ingegnosa, lo strumento è una raccolta sistematica e indicizzata di materiali
autentici in grado di rappresentare una varietà linguistica in modo che sia
facilmente accessibile fatto nel seicento era come avere una biblioteca
rappresentativa del fiorentino era chiuso in un volume, e di questo accesso intuitive
e veloci. All’interno del vocabolario infatti si poteva trovare una “voce” dove
all’interno vi era una spiegazione della parola indicata, l’etimologia, le sigle che
indicavano l’opera da cui era stata presa e dove poteva essere trovata e un esempio
di frase su come usare questa parola.
 Nel 1623 viene redatta la seconda edizione del Vocabolario, sempre a Venezia, che
ha un grande successo internazionale, tanto da diventare un modello di riferimento
per gli altri grandi vocabolari delle lingue moderne d’Europa, come ad esempio i
dizionari dell’Académie française.
 Nel k viene redatta invece la terza edizione, questa edizione vede un aumento delle
voci dovute alla creazione e all’inserimento di nuove parole appartenenti all’ambito
scientifico, l’autore principale da cui verranno presi i termini sarà Galileo Galilei. La
terza edizione venne stampata a Firenze e il linguaggio della scienza nell’italiano
cominciava a farsi strada. I trattati di scienza continuavano ad essere scritti in latino
ma alla fine del 1500 si comincia a pensare che le lingue nuove potessero anche
sostituire il latino per la lingua della scienza. Galileo Galilei voleva rendere semplice
la comprensione delle sue nuove scoperte egli decide di abbandonare il latino come
lingua scientifica e di sostituirlo con la lingua nazionale ciò si vede attraverso la sua
opera il saggiatore scritta nel 1623, in cui la contrapposizione con il latino, usato per
rispondere tesi avversarie, e addirittura funzionali alla trattazione; e poi quella delle
opere successive. In questo modo difatti inizia la storia della prosa scientifica
italiana. Il passaggio dal latino all’italiano avviene in un quadro più generale di
distacco dalla tradizione non solamente linguistica: le scoperte innovative di Galileo
infatti lo portano in contrasto con il sistema tradizionale della conoscenza e quindi
in genere erano la necessità di un pubblico nuovo su cui puntare, pubblico che non
sia chiuso nelle anguste aule mentali delle vecchie università. Per poter usare
l’italiano, però, Galileo deve affrontare il problema di inventarsi un genere,
tipologie testuali, e soprattutto una terminologia; tutti elementi che mancano alla
lingua nazionale ancora gracile all’interno di una zona decisamente poco popolata
dallo spazio linguistico. Sul piano terminologico egli si muove sulla strada tracciata
dalla tradizione in cui innestato: il reimpiego di parole dell’uso comune con
significato tecnico univoco: così il candore, definito la prima volta in cui viene usato
diventa termine tecnico, tramite un processo metaforico. In altri casi la metafora
non è sufficiente e quindi significato scientifico è precisato con una polirematica.
Galileo quindi utilizza delle parole della lingua di tutti i giorni dando a queste parole
un significato tecnico, questo processo viene chiamato tecnificazione.
Molte polemiche hanno accompagnato fin da subito la pubblicazione di questo vocabolario ad
esempio venne giudicata la scelta per l’arcaismo che venne posto al centro, privilegiando sempre
di più arcaismo che la modernità. Venne giudicato anche per la scelta di aver escluso tra gli autori
per la prima edizione Torquato Tasso, egli era stato scartato da Salviati perché riteneva che non si
fosse adeguato alla lingua proposta da Bembo.

L’italiano fuori dall’Italia


“Prestito” significa importare una parola di un’altra lingua nella propria lingua. A partire dal
Rinascimento, in relazione al prestigio della cultura e dell’arte italiana in quel periodo, l’italiano
anche fuori di Italia è considerata lingue di cultura e di grande prestigio. È importante conoscere la
lingua italiana ad esempio per leggere dei libri degli autori italiani, per essere considerato un uomo
colto a quel tempo bisognava conoscere proprio la lingua italiana. Ciò avviene perché sia l’italiani
vengono invitati nelle corti europei sì perché gli stranieri vengono ad ammirare le bellezze del
nostro paese. Oltre ad essere prestiti di ambiti prima indicati ora sono anche prestiti di arti musica
raffinatezza della vita. A partire dal Rinascimento l’Italia è vista come una nuova Atene.
Tra il 1500 e il 1600 la lingua della musica
Italiano era la lingua considerata più adatta per il canto, l’Italia e l’italiano erano infatti modello di
lingua musicale per eccellenza. I testi musicali e teatrali in tutta Europa venivano scritti in italiano.
Quest’idea si vedrà completamente realizzata nei viaggi del Grand Tour: un viaggio di formazione
che i giovani europei dovevano fare in Italia per completare la loro formazione culturale, ciò
comporta quindi una diffusione della lingua italiana fuori dai confini dell’Italia.
Il Petrarchismo
Il termine “petrarchismo” significa letteralmente imitazione di Petrarca. L’idea di necessità di
imitare Petrarca è nata nel 1500 in Italia, egli inoltre ad un modello per gli italiani cominciò a
diventare anche un modello anche per l’intera Europa. Comincia ad essere imitato in tuta Europa
diffondendo il fenomeno del petrarchismo ovvero le imitazioni del canzoniere di Petrarca.

IL SETTECENTO
La storia della linguistica dell’italiano nel Settecento è strettamente legata al suo rapporto con il
francese, dalla fine del Seicento divenuto ormai lingua di prestigio internazionale tanto da
sostituire di fatto il latino. La pressione francese sull’italiano è fortissima per tutto il secolo e si
distribuisce su tre ondate, corrispondenti a momenti storici ben precisi e con effetti diversi. La
prima ondata prende avvio alla fine del seicento, si protrae all’inizi del settecento ed è legata alla
formazione di Luigi XIV che apre un lungo periodo di egemonia sociopolitica e culturale della
Francia in Europa. Una seconda un’data è legata all’Illuminismo (L'Illuminismo è un movimento
intellettuale, politico e ideologico che nacque nell'Europa del Settecento. Esso ha caratterizzato
tutto l'orientamento culturale del secolo stesso ed è stato fondamentale perché ha stravolto il
pensiero intellettuale e non solo) e al conseguente rinnovamento ideologico linguistico che si
riversa su tutta l’Europa e quindi anche sull’Italia. Con le idee argomentazioni viaggiano le parole,
e così approdano in italiano parole come fanatismo e filantropo; nuovi significati completano e
rinnovano lo spettro semantico di parole come filosofo o lume. Ma gli effetti dell’Illuminismo
vanno ben oltre i prestiti: inoculato nella realtà italiana il movimento culturale stimolerà anche la
riflessione linguistica è alimenterà il contrasto con la linea ufficiale del vocabolario. La terza ondata
corrisponde alle trasformazioni radicale imposte dalla rivoluzione francese sul piano politico,
sociale e culturale; e da quelli successivamente legati alla dominazione napoleonica.
Illuminismo francese non portò soltanto parole nuove ma innesco anche processi autonomi, il cui
risultato più evidente fu la nascita di un Illuminismo italiano, che ebbe come centro Milano, e cui
sviluppi comportarono anche una riflessione sulla lingua. In particolar modo era da qualche anno
uscita alla quarta edizione del vocabolario degli accademici della crusca (1729-1728), sempre
basata sul canone fiorentino.

L’OTTOCENTO
Gli effetti della spinta del francese e le conseguenze delle speculazioni linguistiche di stampo
illuministico non tardarono a provocare una reazione. Cosi alla fine del settecento e agli inizi
dell’ottocento si torna a discutere all’interno di quella che si potrebbe definire come “prima
questione della lingua dell’ottocento”. Anche in questo caso tre sono le posizioni che si
fronteggiano: la prima posizione trova la sua ragion d’essere proprio nell’accettazione o meno di
parole nuove, in particolare di fiorentinismi, la prima posizione viene definita PURISMO che si
caratterizza per l’ostinata volontà di mantenimento del canone tradizionale della lingua
trecentesca. Il purismo è un atteggiamento nei confronti della lingua, vuol dire immaginare che
esista una lingua pura ed incontaminata, questo fa si che chi ritintene che ci sia questa lingua
vuole impedire che la purezza di questa lingua sia incontaminata da lingue straniere, quindi si
cerca di conservare questa purezza combattendo le lingue straniere. Quest’atteggiamento è
sempre vero ma ha avuto un particolare impulso proprio tra la fine del 700 e gli inizi del 800
periodo in cui la cultura e la lingua francese dopo l’illuminismo e le campagne napoleoniche il
francese si diffonde in tutta Europa andando ad occupare il ruolo dell’italiano. Il suo più grande
sostenitore era padre Cesari che tra il 1806 e il 1811 compilò un dizionario basato su u canone
ancora più ristretto di quello delineato nel vocabolario della crusca.
Più attenuata invece è la posizione dei CLASSICISTI che spostano l’asse del canone su classici anche
cinquecenteschi (uno dei maggiori esponenti di questa corrente è Giacomo Leopardi). All’interno
di questo ampio dibattitto nel pieno 800´si fece spazio un terzo attore: IL ROMANTICISMO con la
richiesta di una lingua intesa come strumento sociale, di comunicazione scritta e parlata. L’impatto
del Romanticismo sulla questione lingua nazionale fu sconvolgente.

ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni è il più importante scrittore del 800´. In Europa in quel periodo si era diffuso
un nuovo genere letterario: il romanzo storico, il romanzo storico coniuga due istanze
fondamentali del romanticismo che si va imponendo in Europa ovvero:
la costruzione storica accurata di un periodo al quale si aggiungono elementi fantastici, si vuole
attraverso questo genere trasmettere aspetti realistici del periodo della vita che si prende in
considerazione raccontando episodi realmente caduti al quale si aggiungono fatti di fantasia. (uno
dei capolavori di questo periodo è guerra e pace)
Alla base vi è il concetto di “verosimile” cioè tutto ciò che viene scritto deve poter sembrare vero,
per scrivere il romanzo storico infatti si devono fare delle ricerche che approfondiscano gli aspetti
del tempo, questo è proprio quello che fa Manzoni quando studia la Lombardia del 600´ dentro il
quale unisce e mescole elementi fantastici ad esempio monaca di Monza reale ma la storia di una
coppia di giovani ragazzi che non si può sposare è stata inventata dall’autore. Il fondatore del
romanzo storico è Scott.
Molto importante è anche l’approfondimento della psicologia del personaggio, si cerca da parte
degli autori di presentare dei personaggi che possano essere dal punto di vista psicologico
congruenti all’epoca che si vuole presentare. Ad esempio Manzoni mette una cornice narrativa per
dare una veridicità al suo romanzo. I fatti che lui racconti si svolgono tra il 1628 e il 1630 con la
pestilenza, il romanticismo sceglie il romanzo storico perché si può rappresentare tutta la società
negli scritti questo però significa anche porsi un non facile problema linguistico volendo
rappresentare una società intera. Egli racconta l’amore di due popolani e il loro matrimonio viene
impedito dal capriccio di un signorotto che si è invaghito di Lucia, la protagonista del romanzo e
quindi cercherà in tutti i modi di non li farli sposare. Manzoni inizia a scrivere questo romanzo nel
1821 per lui è un progetto storico perché si inserisce in un contesto all’interno del quale vivono dei
soprusi, ma allo stesso tempo il suo romanzo ha anche un ruolo pedagogico perché cerca di
insegnare qualcosa al suo popolo, per le classi che possono essere promosse ad una migliore
consapevolezza della loro posizione.
Egli avvia la scrittura del romanzo con il titolo Renzo e Lucia nel 1821, è lui stesso che appunta la
data. Manzoni accanto al lavoro di scrittura del romanzo si impegna a scrivere un’introduzione
nella quale esplicita un’insoddisfazione della lingua, in cui mette in atto delle riflessioni teoriche sul
piano delle scelte linguistiche. Egli non è soddisfatto della lingua perché ha tentato di individuare
una lingua adatta per il nuovo genere letterario cercando di unire il toscano e il lombardo con
inserimenti di parole appartenenti al francese o al latino, non avendo quindi una lingua adatta al
romanzo che aveva come protagonisti due popolani cerca di inventarsi una lingua, ma lui stesso si
rende conto che quella che fuoriesce è una lingua poco omogenea che lui stesso definirà come un
“guazzabuglio”. È talmente convinto dell’inadeguatezza che abbandona il romanzo e non lo
pubblica.
Egli afferma che cosi come esiste una comunità italiana non esiste una lingua Italina, quello che vi
era stato fino ad allora era solo una lingua sradicata dalla comunità linguistica, tutta la sua
riflessione letteraria è accompagnata anche della riflessione politica del risorgimento, le sue idee
sono funzionali all´unificazione politica del Italia, quella che lui cerca è una lingua che possa essere
funzionale, lui poteva scegliere in modo molto realistico per esprimersi all´interno del suo
romanzo, poteva infatti semplicemente far parlare i protagonisti in dialetto ma non sceglie questa
opzione proprio perché il romanzo doveva essere per tutti. Lui che aveva avuto una formazione
cultura francese cerca di replicare quello che era successo in Francia facendo diffondere la lingua
in che vi era in una zona in tutte cercando cosi una lingua vera, una lingua d’uso di una comunità
reale, i due principi sono:
- Unità linguistica per tutta la nazione
- Uso ovvero questa varietà deve essere in uso sia nel parlato e nello scritto.
Egli si mette a riscrivere nuovamente il suo romanzo e comincia a lavorare alla traduzione del suo
testo in toscano, la lingua che aveva lui stesso inventato, si servirà per farlo dei vocabolari che gli
permetteranno di pervenire nella sua riflessione a raggiungere questa lingua dell’uso. Che
Manzoni abbia usato i vocabolari ad oggi lo sappiamo perché ne abbiamo la prova dei suoi
conservati nella sua biblioteca.
Egli finalmente pubblica la prima edizione suo romanzo nel 1827 che intitolerà “Promessi Sposi”
decide di cambiare il titolo e il nome del protagonista che non sarà più “Fermo” ma Renzo. Decide
di cambiare il romanzo anche strutturalmente: riduce molte parti ma soprattutto cambia la lingua
cercando di arrivare a quella toscana. Subito dopo l’uscita del libro va a Firenze e si rende conto
che la lingua in uso non aveva legame con quello che aveva scritto, si trova con due lingue. Decide
cosi di scrivere un'altra volta il romanzo per adeguarla alla lingua fiorentina dell’uso del 800´ma
stavolta solo sul piano linguistico, e lo pubblica nel 1842 il libro questa volta fu pubblicato a
puntate, ma non ebbe non ebbe tanta fama. Decise allora di accogliere un fiorentino parlato dalle
classi borghesi perché secondo Manzoni a Firenze vi è una comunità che usa realmente quella
lingua, non è più infatti una comunità con una lingua libresca ma parlante. La lingua che noi
parliamo assomiglia di più al fiorentino Trecentesco che a quello Ottocentesco. La tradizione da
noi è stata cosi persistente che ha impedito che si affermasse. I politici cerano di realizzare
un’unificazione linguistica e cercano dei mezzi e persone per farlo, Manzoni era molto anziano ma
egli scrive una relazione dell’unità della lingua e dei mezzi per farlo, dove dice di utilizzare il
fiorentino vivo medio, non il fiorentino popolare. In questa relazione Manzoni individua anche i
mezzi che possono essere utilizzati egli infatti parla di politica scolastica e alla realizzazione di un
vocabolario che non fosse legato a modelli arcaici ma che potesse rappresentare l’uso di Firenze
nell’Ottocento.

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