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IL LINGUAGGIO VERBALE

CAPITOLO 1

-LINGUISTICA,LINGUE LINGUAGGIO, COMUNICAZIONE

La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua. Lo studio della lingua si può dividere in due
sottocampi: 1.la linguistica generale= che si occupa di che cosa sono, come sono fatte, e come funzionano
le lingue. 2. La linguistica storica = che si occupa dell’evoluzione delle lingue nel tempo e dei rapporti fra le
lingue e fra lingua e cultura.

Nella tradizione italiana, spesso si contrappone alla linguistica generale la GLOTTOLOGIA ovvero lo studio
comparato delle lingue. Oggetto della linguistica sono le lingue storico naturali, le lingue sono nate
naturalmente lungo il corso della civiltà umana e usate dagli esseri umani ora e nel passato.

Tutte le lingue storico-naturali sono espressione di quello che viene chiamato linguaggio verbale umano
che è una facoltà innata dell’homo sapiens ed è uno degli strumenti che questi abbia a disposizione.

Non c’è inoltre alcuna differenza tra le lingue e dialetti, tutti i sistemi linguistici sono manifestazione del
linguaggio verbale umano.

La SOCIOLINGUISTICA studia l’interazione fra lingue e società, la variazione dei comportamenti linguistici e
come le lingue si articolano in varietà secondo diverse dimensioni di variazione.

Per inquadrare il linguaggio verbale umano può essere utile partire dalla nozione di segno. Un SEGNO è
qualcosa che sta per qualcos’altro e serve per comunicare questo qualcos’altro. Secondo una concezione
diffusa, tutto può comunicare qualcosa. E’ più utile intendere COMUNICAZIONE in un senso più ristretto.
Questo senso ha come fondamento L’INTENZIONALITA’ che appunto spiega che si ha comunicazione
quando c’è un comportamento prodotto da un emittente al fine di far passare dell’informazione e che viene
percepito da un ricevente come tale; altrimenti, si ha il semplice passaggio di informazione.

Si possono distinguere tre categorie della comunicazione:

1. Comunicazione in senso stresso:


-emittente intenzionale
-ricevente intenzionale (es. gesti, segnalazioni stradali)

2. Passaggio di informazione:

- emittente non intenzionale

- ricevente intenzionale

3. Formulazione di inferenze:

-nessun emittente (ma solo presenza di un ‘oggetto culturale’ che viene interpretato come volto a
fornire un’informazione)

- intepretante (interpretare una frase complessa)


SEGNI,CODICE

La singola entità che fa da supporto alla comunicazione è un SEGNO. Esistono diversi tipi di SEGNI ma per
capire la loro natura possiamo rifarci ad una classificazione di tipi di segni:

1. INDICI: motivati naturalmente/ non intenzionali (basati sul rapporto causa o condizione scatenante)
2. SEGNALI: motivati naturalmente/ usati intenzionalmente
3. ICONE: (immagine) motivati analogicamente/ intenzionali (basati sulla forma o struttura es. mappe)
4. SIMBOLI: motivati culturalmente/ intenzionali (es. colore nero =lutto) appartengono alla
5. SEGNI: non motivati (es. suono al telefono di linea occupata) categoria dei simboli.

La motivazione che lega queste categorie, ovvero il qualcosa al qualcos’altro diventa sempre più
convenzionale quindi aumenta in maniera decisiva la specificità culturale dei segni in senso lato; mentre
invece gli indici sono valore universale ovvero uguali per tutte le culture di ogni tempo.

I segni linguistici sono segni in senso stretto, prodotti intenzionalmente per comunicare. Nella
comunicazione in senso stretto quindi c’è un emittente che emette. Il ricevente, invece, è in grado di
interpretare il segno poiché si riconduce a un codice di cui fa parte, cioè ad un insieme di conoscenze che
permette di attribuire un significato a ciò che succede. Per CODICE si intende l’insieme di corrispondenze
fra qualcosa e qualcos’altro che fornisce le regole di interpretazione dei segni. Tutti i sistemi di
comunicazione sono dei codici. I segni linguistici costituiscono il codice lingua.

LE PROPRIETA’ DELLA LINGUA

Ci sono molte proprietà rilevanti presenti nel codice lingua:

BIPLANARITA’= il fatto che ci siano nel segno ben due facce di significante e significato. Il significante è la
parte percepibile del segno, quello che cade sotto i nostri sensi (es. parola gatto pronunciata o scritta). Esso
quindi è ogni modificazione fisica a cui sia associabile un significato.

Il significato è la parte non materiale percepibile (es. il concetto o idea di gatto)

ARBITRARIETA’= consiste nel fatto che non c’è alcun legame naturalmente motivato fra il significante e il
significato di un segno. Tra questi due i legami non sono dati naturalmente, ma posti per CONVENZIONE
quindi, arbitrari, le parole delle diverse lingue dovrebbero essere tutte molto simili; le cose, dovrebbero
chiamarsi più o meno allo stesso modo in tutte le lingue. Se i segni linguistici non fossero arbitrari, parole
simili nelle diverse lingue dovrebbero designare cose o concetti simili. La questione dell’arbitrarietà dei
segni linguistici è complessa, uno studioso ha distinto quattro tipi di livelli diversi di arbitrarietà. Per
introdurre il problema è necessario introdurre il triangolo semiontico dove ai vertici abbiamo le tre entità:
un significante, attraverso la mediazione di un significato con cui è associato e che esso veicola, si riferisce
ad un elemento della realtà esterna ovvero un referente.

a. È arbitrario (non motivato né naturalmente né logicamente) il rapporto tra segno nel suo
complesso e referente. Non c’è alcun legame naturale e concreto, fra un elemento della realtà
esterna e il segno a cui questo è associato.
b. È arbitrario il rapporto fra significante e significato: il significante sedia non ha nulla a che vedere
con il significato ‘’oggetto d’arredamento che serve per sedersi’’
c. È arbitrario il rapporto fra FORMA (struttura) e SOSTANZA ( materia) del significato: ogni lingua
ritaglia in un modo che le è proprio un certo spazio e di significato distinguendo una o più entità.
d. È arbitrario il rapporto fra forma e sostanza del significante: ogni lingua organizza secondo propri
criteri la scelta dei suoi pertinenti distinguendo le entità rilevanti della materia fonica.

Al principio dell’arbitrarietà esistono delle eccezioni. Ci sono dei segni linguistici che appaiono
parzialmente motivati come ad esempio le onomatopee, esse imitano nella loro sostanza di significante
il suono o rumore che designano, e presentano un aspetto iconico. Anche le onomatopee e le voci
imitative possiedono un certo grado di integrazione nella convenzionalità arbitraria del singolo sistema
linguistico, e una loro specificità le rende almeno in parte diverse da lingua a lingua nonostante il
referente rimanga identico.

Più iconici sono gli ideofoni, ovvero le espressioni imitative che designano fenomeni naturali o azioni
(usate nei fumetti come per esempio il boom/boom).

Sulla presenza tutt’altro che marginale di caratteri iconici hanno comunque posto l’accento recenti
concezioni che tendono a ridurre l’importanza cruciale dell’arbitrarietà come carattere totale dei segni
linguistici, notando come nella grammatica delle lingue esistano meccanismi chiaramente iconici. È
stato importante la formazione del plurale attraverso l’aggiunta di materiale linguistico alla forma del
singolare. Si è quindi sostenuto che questo fatto obbedirebbe appunto ad un principio di iconismo:
l’idea di pluralità che implica più cose nella realtà.

Un’altra prospettiva che tende a vedere nei segni linguistici più motivazione di quanto solitamente si
creda è quella che sostiene l’importanza del fonosimbolismo, affermando che certi suoni avrebbero per
la loro stessa natura associati a sé certi significati. Ad esempio il suono della vocale ‘i’ ovvero una vocale
chiusa, è un suono che richiama le cose piccole come ad esempio la parola ‘little’ o ‘piccino’. Il rapporto
fra arbitrarietà e motivazione ha assunto una dimensione diverso nello sviluppo della linguistica.
L’approccio cognitivista nega l’autonomia strutturale intera fondata su principi di organizzazione
peculiari e specifici dei sistemi linguistici; e vede la loro strutturazione come dipendente dalle proprietà
della mente umana, dai limiti dell’utente talchè le stesse categorie della lingua, ovvero le distinzioni che
essa attua, rappresenterebbero la manifestazione per gli scopi della comunicazione di proprietà e
attitudini già presenti nell’homo sapiens.

DOPPIA ARTICOLAZIONE

Una proprietà molto importante del linguaggio verbale umano è quella che viene chiamata doppia
articolazione, essa consiste nel fatto che il significante di un segno linguistico è organizzato e
scomponibile in unità che sono ancora portatrici di significato e che vengono riutilizzate per formare
altri segni (prima articolazione) (es. la parola ‘gatto’ è scomponibile in gatt-o che recano ciascuna un
proprio significato es. gatt-ino gatt-e etc. esse però non sono scomponibili ulteriormente).

Le unità minime di prima articolazione che chiameremo morfemi, poiché sono associazioni di un
significante e un significato, sono ancora segni. A un secondo livello (seconda articolazione) esse sono a
loro volta scomponibili in unità più piccole che non sono più portatrici di significato autonomo e che
combinandosi insieme in successione danno luogo alle entità di prime articolazioni. Tali elementi, che
chiameremo fonemi (che non sono più segni, quindi non hanno significato), costituiscono le unità
minime di seconda articolazione. Ogni segno linguistico è analizzabile, scomponibile in unità minime di
seconda articolazione. La doppia articolazione dei segni linguistici costituisce un vero cardine del
linguaggio verbale umano secondo cui si sviluppa la struttura generale del sistema linguistico.
Essa consente alla lingua un’ economicità di funzionamento: con un numero limitato di unità di
seconda articolazione. È di conseguenza anche molto importante il principio della combinatorietà: la
lingua funziona combinando unità minori prive di significato proprio. È tale principio, il cui fondamento
sta proprio nella proprietà della doppia articolazione che permette alla lingua la produttività illimitata.

TRASPONIBILITA’ DI MEZZO

Il significante dei segni linguistici possiede un’altra proprietà molto importante: esso può essere
trasmesso sia attraverso il mezzo fonico-acustico (sotto forma di suoni e rumori), sia sotto forma il
canale visivo-grafico (attraverso disegni). Il canale fonico-acustico appare il canale primario, tanto che si
dice che una delle proprietà del linguaggio verbale è la fonicità. Il parlato inoltre è prioritario rispetto
allo scritto. Tutte le lingue che hanno una forma e un uso scritti sono anche parlate, mentre alcune
lingue parlate non hanno una forma e un uso scritti.

A tale proprietà si dà il nome di trasponibilità di mezzo. Anche se i segni linguistici possono essere
trasmessi oralmente o graficamente, ogni messaggio parlato è traducibile dato che il carattere orale è
prioritario rispetto a quello visivo.

Riprendendo il discorso precedente sulla fonicità, c’è una priorità ontogenetica del parlato, ovvero
ogni individuo umano impara prima a parlare e solo in secondo momento a scrivere.

C’è poi una priorità filogenetica ovvero relativa alla specie umana.

Sistemi di scrittura

Per una classificazione di sistemi di scrittura occorre distinguere i sistemi semasiografici (sono ad
esempio la scrittura con disegni) e i glottografici che si suddividono ulteriormente in sistemi logografici
e sistemi fonografici. I primi non hanno basi fonetiche, i secondi invece sono i suoni del linguaggio.

LOGOGRAFIA= ogni carattere di una lingua rappresenta lo spazio semantico, ovvero un elemento che
ne indica il suono.

SILLABOGRAFIA = ogni carattere sta per una sillaba, rappresenta una combinazione di fonemi diversa,
quindi una sillaba diversa.

ABJAD=ogni carattere sta per una consonante, è un sistema di scrittura che non segna le vocali. (arabo)

ABUGIDA= ogni carattere sta per una combinazione sillabica di consonante e vocale.

ALFABETO= ogni carattere sta o per una consonante o per una vocale

GRAFIA DI TRATTI= ogni carattere rappresenta una certa conformazione articolatoria (un disegno).

Invece le origini del linguaggio sono certamente molto più antiche. Il canale fonico-acustico e l’uso
parlato della lingua presentano una serie di vantaggi funzionali rispetto al canale visivo e all’uso scritto:

a. Purchè vi sia presenza di aria possono essere utilizzati in qualunque circostanza ambientale e
consentono la trasmissione anche in presenza di ostacoli fra emittente e ricevente.
b. Non ostacolano altre attività, possono essere utilizzati con molte altre prestazioni intellettive.
c. Permettono la localizzazione della fonte di emittenza del messaggio.
d. La ricezione è contemporanea alla produzione del messaggio.
e. L’esecuzione parlata è più rapida di quella scritta.
f. Il messaggio può essere trasmesso simultaneamente a un gruppo di destinatari.
g. Il messaggio ha rapida dissolvenza, non permane a ingombrare il canale ma lascia subito libero
passaggio ad altri messaggi.
h. L’energia specifica richiesta è molto ridotta, il parlare è concomitante con la respirazione e ne può
essere considerato entro certi termini un sottoprodotto specializzato.

Nella società moderna, lo scritto ha una priorità sociale: avere una forma scritta è un requisito
indispensabile per una lingua evoluta, è lo strumento di fissazione e trasmissione della tradizione
culturale e letteraria.

Lo scritto nasce come trascrizione stabile del parlato ma poi si è sviluppato con aspetti e caratteri in
parte propri; non tutto ciò che fa parte del parlato può essere reso e avere un corrispondente nello
scritto, né tutto ciò che fa parte dello scritto può avere un corrispondente nel parlato.

LINEARITA’ E DISCRETEZZA

Un’ulteriore proprietà dei segni linguistici, è la linearità. Si intende che il significante viene prodotto e si
realizza in successione nel tempo e nello spazio. Successione lineare in senso che non possiamo
decodificare il segno se non dopo che siano stati utilizzati l’uno dopo l’altro tutti gli elementi che lo
costituiscono. L’ordine in cui si susseguono le parti del segno è inoltre pertinente in modo
fondamentale per il significato del segno medesimo. La linearità implica anche monodimensionalità nel
segno, giacchè il significante si sviluppa in una sola direzione. Relativa al significante è la proprietà dei
segni linguistici di essere discreti. Per discretezza si intende il fatto che la differenza fra gli elementi è
assoluta, le unità della lingua non costituiscono una materia continua, ma c’è un confine preciso fra un
elemento e l’altro (es, la parola pollo è con la p e non b altrimenti si direbbe bollo).

Una conseguenza della discretezza è che nella lingua non possiamo intensificare il significante per
intensificarne il significato (es. la parola AHI! detta a voce bassa rappresenta un dolore minore mentre a
voce alta il contrario).

ONNIPOTENZA SEMANTICA,PLURIFUNZIONALITA’ E RIFLESSIVITA’

Una proprietà generale del linguaggio verbale è l’onnipotenza semantica che consisterebbe nel fatto
che con la lingua è possibile dare un’espressione a qualsiasi contenuto. L’onnipotenza semantica si
riferisce al fatto che con la lingua si può parlare di tutto. Dato che risulta difficile esprimere tutto con la
lingua è meglio parlare di plurifunzionalità, ovvero la lingua permette di adempiere ad una lista molto
più ampia di funzioni diverse. Le funzioni più evidenti sono:

a. L’esprimere il pensiero e la riflessione del pensiero che contrassegna alcune fra le iù importani
correnti teoriche della linguistica contemporanea.
b. Il trasmettere informazioni
c. L’instaurare attività e rapporti sociali
d. Il manifestare i propri sentimenti
e. Il risolvere problemi
f. Il creare mondi possibili
Occorre fare un cenno a un modello di classificazione molto noto. Si tratta dello schema che identifica
sei funzioni sulla base di un modello generale dell’evento comunicativo, l’instaurarsi della
comunicazione implica la presenza di almeno sei fattori:

1. La funzione emotiva= un messaggio linguistico avrebbe sempre funzione emotiva


2. Funzione metalinguistica= uno volto a specificare aspetti del codice o a calibrare il messaggio sul
codice
3. Funzione referenziale= uno volto a fornire informazioni sulla relatà esterna
4. Funzione conativa= uno volto a far agire in qualche modo il ricevente, ottenendo un certo
comportamento
5. Funzione fàtica= uno volto a verificare il canale di comunicazione
6. Funzione poetica= volto a sfruttare le potenzialità insite nel messaggio

Rifacendoci alla funzione metalinguistica, possiamo osservare un importante corollario


dell’onnipotenza o plurifunzionalità della lingua: con la lingua si può parlare della lingua stessa o la
lingua si può usare come metalingua, ovvero lingua di cui ad esempio il termine gatto si riferisce
all’animale in sé stesso. A tale proposito viene spesso dato il nome di riflessività che è fortmente
caratterizzane del linguaggio verbale umano: non sembra che esistano altri codici di comunicazione che
consentano di formulare messaggi su sé stessi.

Produttività e ricorsività

Un’altra proprietà della lingua a cui si fa riferimento è la produttività. Con questo termine si allude al
fatto che con la lingua è sempre possibile creare nuovi messaggi e parlare di cose nuove e nuove
esperienze. Con la lingua da un lato, è possibile produrre messaggi sempre nuovi in quanto combinano
in una nuova maniera significanti e significati, e dall’altro è possibile associare messaggi già usati e
situazioni nuove. La produttività è resa possibile in prima istanza dalla doppia articolazione che
permette una combinazione di unità più piccole. La produttività del sistema linguistico prende più
precisamente la forma di quella che è stata chiamata creatività regolare, vale a dire una produttività
infinita basata su un numero limitato di regole della forma ricorsiva. La ricorsività è posseduta dalla
lingua ed è una sua proprietà formale molto importante poiché uno stesso procedimento può essere
applicato un numero illimitato di volte (es. da una parola posso ricavarne un’altra mediante l’aggiunta
di un suffisso, da atto si ha attuale, da attuale si ha attualizzare). Si può costruire una frase compiuta
anche da un nome o un verbo (es. Gianni corre; maria vede che Gianni corre; Luca dice che Maria vede
che Gianni corre etc.). L’applicazione della ricorsività fa sì che di fatto non si costruiscano parole o frasi
al di la di un certo grado di lunghezza e complessità.

DISTANZIAMENTO E LIBERTA’ DA STIMOLI

Un’altra proprietà del linguaggio verbale umano è stata chiamata distanziamento, si tratta di una
proprietà che riguarda il modo di significazione di una lingua e che riguarda soprattutto la differenza fra
il linguaggio umano e i sistemi di comunicazioni animali. Per distanziamento si intende la possibilità di
poter formulare messaggi relativi a cose lontane, distanti nel tempo e nello spazio; infatti noi con la
lingua parliamo anche di cose non presenti nella situazione circostante. Il distanziamento consiste nella
possibilità di parlare dello stimolo provocato da un’esperienza vissuta. L’idea di distanziamento viene
spesso a coincidere con un altro aspetto sempre connesso al linguaggio verbale umano, vale a dire la
libertà da stimoli. Essa consiste nel fatto che i segnali linguistici rimandando una elaborazione
concettuale della realtà esterna che inducano ad emettere messaggi. Anche la libertà da stimoli è un
criterio che distingue il linguaggio umano da quelli degli animali.

TRASMISSIBILITA’ CULTURALE

Ogni lingua trasmessa per tradizione all’interno di una società e cultura. Le convenzioni che
costituiscono il codice di una determinata lingua, le regole e il lessico passano da una generazione
all’altra per apprendimento. Ogni essere umano impara e conosce almeno una lingua. Il linguaggio che
noi impariamo è proprio quello che ci circonda, in esso vi è infatti una componente culturale-
ambientale (che specifica quale lingua parliamo e impariamo), sia innata che appunto fornisce la
predisposizione a comunicare mediante un linguaggio verbale creando la trama. Il linguaggio è
universale, le lingue storico-culturali sono particolari. L’interazione fra componente naturale e
componente culturale fa si che abbia un ruolo particolare nel processo molto più complesso, ma anche
il periodo della cosiddetta ‘pubertà linguistica’.

COMPLESSITA’ SINTATTICA

Esistono due proprietà della lingua molto interessanti più inerenti alla natura del sistema linguistico.
Una di queste consiste nel fatto che i messaggi linguistici possono presentare un alto grado di
elaborazione strutturale, con una ricca gerarchia di rapporti fra gli elementi disposti linearmente. La
disposizione reciproca in un segno linguistico degli elementi che lo costituiscono non è mai indifferente
e, i rapporti fra gli elementi del segno, danno luogo a una percepibile SINTASSI del messaggio. Gli
elementi rilevanti sono:

a. L’ordine degli elementi contigui, le posizioni lineari in cui essi si combinano


b. le relazioni strutturali e le dipendenze che ci sono fra elementi non contigui.
c. Le incassature ovvero i particolari che ci sono in una frase
d. La ricorsività combinata con la discontinuità dei rapporti sintattici, la ricorsività conferisce alle
strutture linguistiche un complessità interna
e. La presenza di parti del messaggio che danno informazioni sulla sua strutturazione sintattica
f. La possibilità di discontinuità nella strutturazione sintattica. Le costruzioni della lingua possono
ammettere che gli elementi siano adiacenti tra di loro.

EQUIVOCITA’

La lingua possiede una proprietà molto interessante in quanto insieme di regole che associano significanti
fonico-acustici e significati concettuali. La lingue è infatti un codice EQUIVOCO, ovvero un codice che pone
più corrispondenze fra gli elementi di una lista e quelli della lista a questa associata. Mentre un codice non
equivoco pone rapporti in modo che ad ogni elemento di A corrisponde un solo elemento di B e viceversa.

L’equivocità è quindi una proprietà importante della lingua e non costituisce un difetto dell’organizzazione
del sistema linguistico, ma rappresenta un vantaggio; essa contribuisce a consentire l’eccezionale flessibilità
dello strumento linguistico e la sua adattabilità ad esprimere contenuti ed esperienze nuove.
LINGUA SOLO UMANA?

Solo l’uomo possiede le condizioni necessarie per l’elaborazione mentale e fisica del linguaggio verbale,
vale a dire:

a. la possibilità di memorizzare i concetti, l’elaborazione di un sistema complesso del linguaggio.


b. Consente di capire le distinzioni del linguaggio verbale per poi arrivare ud una corretta
comunicazione orale.

Sono stati compiuti degli esperimenti di insegnamento del linguaggio verbale umano ai primati più
vicino all’uomo, ma l’esperimento è fallito essendo stato impossibile insegnare il linguaggio umano
al primate.
Ma gli umani, quando interagiscono con le scimmie, danno spesso stimoli e suggerimenti
involontari ma percepiti dagli animali. Quindi, essi non sono molto diversi da noi ma l’unica cosa
che ci distingue è il linguaggio che è unicamente della specie umana.
DEFINIZIONE DELLA LINGUA
La LINGUA è un codice che organizza un sistema di segni dal significante fonico-acustico capaci di
esprimere ogni esperienza esprimibile, posseduti come conoscenza interiorizzata che permette di
produrre infinite frasi a partire da un numero finito di elementi.

PRINCIPI GENERALI PER L’ANALISI DELLA LINGUA


SINCRONIA E DIACRONICA
I termini di sincronia e diacronica si impiegano per indicare due diverse condizioni con le quali si
può guardare alle lingue e ai fatti linguistici in relazione all’asse del tempo. Per DIACRONICA si
intende la considerazione delle lingue e degli elementi della lingua lungo lo sviluppo temporale. Per
SINCRONIA si intende la considerazione delle lingue e degli elementi della lingua guardando come
essi si presentano in un determinato momento agli occhi dell’osservatore. Fare l’etimologia di una
parola, ovvero trovarla normalmente in un’altra lingua esistente da cui essa deriva, è un’operazione
di linguistica diacronica (ad esempio le parole derivanti dal latino). Descrivere invece il significato
che hanno le parole oggi in italiano sono operazioni di linguistica sincronica.
Nei fatti linguistici è però impossibile separare le due dato che un qualunque elemento della lingua
è quello che è sia in virtù delle relazioni che ha con gli altri elementi (sincronica) sia in virtù della
sua storia precedente (diacronica). Solo l’astrazione della visuale sincronica permette di vedere
come funziona il sistema linguistico e di descrivere le unità che lo costituiscono. Essa spiega com’è
fatta e come funziona la lingua. La linguistica diacronica spiega perché le forme di una determinata
lingua sono fatte così.
LANGUE E PAROLE
La seconda importante distinzione da fare è quella fra il sistema astratto e realizzazione concreta.
La distinzione si è ripresentata secondo tre terminologie: la coppia oppositiva langue e parole,
l’opposizione fra sistema e uso, l’opposizione fra competenza ed esecuzione. Con il primo termine
di tutte e tre le coppie si intende l’insieme di conoscenze mentali che costituiscono la nostra
capacità di riprodurre messaggi in una certa lingua e sono possedute in modo astratto. Con i
secondi termini si intende l’atto linguistico individuale e la realizzazione concreta di un messaggio
verbale in una certa lingua.
La NORMA invece è un filtro tra langue e parole che specifica quali sono le possibilità del sistema
che vengono attualizzate nel corso dei parlanti di una lingua in un momento storico.
PARADIGMATICO E SINTAGMATICO
La terza distinzione importante da fare è quella fra asse paradigmatico e asse sintagmatico.
Ogni attuazione di un elemento del sistema di segni in una certa posizione nel messaggio implica
una scelta di insiemi di elementi selezionabili in quella posizione: l’elemento che compare esclude
tutti gli altri elementi che potrebbero comparire in quella posizione.
D’altra parte l’attuazione di quell’elemento in una certa posizione implica la presa in conto degli
elementi che compaiono delle posizioni precedenti e susseguenti dello stesso messaggio, coi quali
quell’elemento ha rapporti sull’asse sintagmatico.
Si può anche dire che l’asse paradigmatico riguarda le relazioni a livello del sistema; mentre invece
l’asse sintagmatico riguarda le relazioni a livello delle strutture che realizzano le potenzialità del
sistema. Esse dunque, stabiliscono una duplice prospettiva secondo cui funzionano le strutture.
L’organizzazione di queste due da luogo alla diversa distribuzione degli elementi della lingua
permettendo di riconoscere classi di elementi che condividono le stesse proprietà distribuzionali.
LIVELLI D’ANALISI
Esistono nella lingua quattro livelli di analisi stabiliti in base alle due proprietà della biplanarità e
della doppia articolazione, che identificano tre strati diversi.
a. Lo strato del significante inteso come vero significante
b. Lo strato del significante in quanto portatore del significato
c. Lo strato del significato

Tre livelli d’analisi sono relativi al piano del significante:

1. Per la seconda articolazione che consiste nella fonetica e fonologia


2. Per la prima articolazione che riguardano l’organizzazione del significante in quanto portatore
del significato e che consistono nella morfologia e sintassi
3. E uno relativo al solo piano del significato e consiste nella semantica
Occorre però aggiungere che ci sono dei sottolivelli secondari di analisi della lingua: la grafemia
(che riguarda i modi in cui la realtà fonica è tradotta nella scrittura) e la pragmatica e testualità
(che riguardano l’organizzazione dei testi in situazione).
Va notato inoltre che ‘fonetica e fonologia’, ‘morfologia’, ‘sintassi’, ‘semantica’ sono termini
che riguardano allo stesso tempo il livello di analisi rispettivo e la parte della linguistica che lo
studia.
Di questi livelli di analisi del sistema linguistico, la fonetica e la semantica rappresentano un
interferenza del sistema linguistico con la realtà esterna: da un lato, con la sostanza materiale
che fa da supporto e veicolo fisso della comunicazione linguistica (fonetica), dall’altro con la
concettualizzazione che l’uomo compie del mondo in cui vive (semantica). Morfologia e sintassi
rappresentano invece i livelli in cui il sistema si organizza secondo i principi che governano la
facoltà di linguaggio in quanto competenza dell’uomo.

CAPITOLO 2
FONEMI= unità minime distintive prive di significato

FONETICA

Il significante, è il primario della lingua ed è di carattere fonico-acustico es. suoni e rumori. Occorre però
rendersi conto di come sono fatti i suoni. La parte della linguistica che si occupa di questo aspetto si chiama
fonetica, e tratta quindi la componente fisica e materiale della comunicazione verbale. La fonetica si
suddistingue in tre campi principali:

1. la ‘fonetica articolatoria’ che studia i suoni del linguaggio in base al modo in cui vengono articolati
(fondamentale poiché si designano i singoli suoni)
2. la ‘fonetica acustica’ che studia i suoni del linguaggio in base alla loro consistenza fisica e modalità
di trasmissione
3. la ‘fonetica uditiva’ che studia i suoni del linguaggio in base al modo in cui vengono ricevuti.

APPARATO FONATORIO E MECCANISMO DI FONAZIONE


I suoni del linguaggio vengono prodotti mediante l’espirazione, quindi con un flusso d’aria
egressivo, cioè l’aria muovendo dai polmoni attraverso i bronchi e la trachea, raggiunge la laringe.
Nella laringe, l’aria incontra le corde vocali; quest’ultime durante la respirazione restano sempre
separate e rilassate, mentre nella fonazione (=produzione dei suoni del linguaggio) possono
avvicinarsi riducendo il passaggio dell’aria. Lo spazio fra le corde vocali può risultare libero,
parzialmente libero o completamente ostruito. Cicli rapidissimi di chiusure e aperture della rima
vocale costituiscono le cosiddette ‘vibrazioni’ delle corde vocali. A tale insieme di fonemi si dà il
nome di ‘meccanismo laringeo’. Il meccanismo laringeo rappresenta il momento della produzione
dei suoni del linguaggio. Il numero di cicli di chiusura e apertura della rima vocale, costituisce la
frequenza fondamentale, ovvero un parametro che corrisponde all’altezza dei suoni. L’altezza
differenzia per es. le vocali più acute e meno acute. Il flusso d’aria passa poi nella faringe; Nella
parte superiore della faringe (palato o detto anche velo) può lasciare aperto oppure chiudere il
passaggio che mette in comunicazione la faringe con la cavità nasale. Nella cavità orale, svolgono
una funzione importante alcuni organi mobili:
a. la lingua in cui si distinguono una ‘radice’ (parte posteriore) , un ‘dorso’ (parte centrale) e un
‘apice’ (la punta).
b. Il palato
c. Gli alveoli ovvero le gengive
d. I denti
e. Le labbra
Anche la cavità nasale può partecipare al meccanismo di fonazione, quando il velo (palato) e
l’ugola si trovano in posizione di riposo, permettono il passaggio dell’aria.
In ciascuno dei punti compresi fra la glottide e le labbra, può essere assunta una particolare
configurazione degli organi coinvolti e può essere frapposto un ostacolo al passaggio dell’aria.
Si ottengono così suoni e rumori che costituiscono i suoni del linguaggio. Il luogo in cui viene
articolato un suono costituisce un primo parametro fondamentale per la classificazione dei
suoni del linguaggio; un secondo parametro fondamentale è dato dal modo di articolazione,
cioè dalla conformazione degli organi fonatori e dal restringimento relativo che in un certo
punto del percorso si frappone il passaggio del flusso d’aria. Un terzo parametro importante è
dato dal contributo della mobilità di singoli organi all’articolazione dei suoni.
In base al modo di articolazione abbiamo una prima grande opposizione fra i suoni del
linguaggio:
- Quella fra suoni prodotti senza la frapposizione di ostacoli che creino perturbazioni al flusso
d’aria. Essi costituiscono le vocali.
- E suoni prodotti mediante la frapposizione di un ostacolo parziale al passaggio dell’aria in
qualche punto del percorso. Essi costituiscono le consonanti.
I suoni prodotti con vibrazione delle corde vocali sono detti sonori , quelli senza la
vibrazione delle corde vocali sono detti sordi. Le vocali sono tutte sonore, mentre invece le
consonanti possono essere sia sonore che sorde.
CONSONANTI
Modo di articolazione
Le consonanti sono caratterizzate dal fatto che vi è frapposizione di un ostacolo al
passaggio dell’aria. A seconda che questo ostacolo sia completo si riconoscono due grandi
classi di consonanti: le occlusive e le fricative (chiamate cosi perché l’avvicinamento degli
organi articolatori provoca un rumore di frizione). Occorre distinguere dalle fricative le
approssimanti, in cui l’avvicinamento degli organi articolatori non arriva a provocare una
frizione. Sono approssimanti le semiconsonanti e semivocali. Esistono suoni consonantici la
cui articolazione inizia come un’occlusiva e termina come una fricativa, si tratta di
consonanti affricate. Nel modo di articolazione per alcuni tipi di consonanti intervengono
altri fattori quali movimenti della lingua. Abbiamo così consonanti laterali, quando l’aria
passa solo ai due lati della lingua; e consonanti vibranti, quando si hanno rapidi contati
intermittenti tra la lingua e un altro organo articolatorio. Si hanno invece consonanti nasali
quando vi è passaggio dell’aria anche attraverso la cavità nasale. Le consonanti possono poi
essere caratterizzate anche in base ad altri parametri: uno di questi è l’energia articolatoria
con la quale vengono prodotte le occlusive sorde (le occlusive sono in generale più forti
delle fricative e le sorde sono più forti delle sonore). Un altro parametro è la presenza di
‘aspirazione’, vale a dire di un intervallo di tempo fra il rilascio dell’occlusione e l’inizio della
vibrazione delle corde vocali che produce una specie di soffio laringale; le consonanti così
prodotte vengono dette aspirate.

Luogo di articolazione
Le consonanti vengono classificate anche in base al punto dell’apparato fonatorio.
Partendo dal tratto terminale del canale abbiamo le consonanti (bi)labiali, prodotte dalle
labbra; abbiamo poi le consonanti labiodentali, prodotte a livello dei denti; le consonanti
palatali prodotte dalla lingua contro il palato; le consonanti velari prodotte dalla lingua
vicino al velo; le consonanti uvulari prodotte dalla lingua contro l’ugola; le consonanti
faringali prodotte fra la base della radice della lingua e la parte posteriore della faringe; le
consonanti glottidali prodotte a livello delle corde vocali.
Esistono anche altri modi di articolazioni, fra cui le consonanti ‘retroflesse’ che vengono
articolate flettendo all’indietro la punta della lingua verso la parte anteriore del palato.
L’articolazione del suono avviene in due fasi: in una prima fase la lingua viene a contatto
con i denti superiori, il velo è sollevato, impedendo il passaggio dell’aria, l’aria si accumula
dietro la lingua e la pressione aumenta. In un secondo momento la lingua abbandona i
denti e l’aria attraversa la fessura creata dalla posizione rilassata della lingua.
VOCALI
Le vocali sono suoni prodotti senza che si frapponga alcun ostacolo al flusso dell’aria nel
canale orale. Le diverse vocali non sono caratterizzate dal modo di articolazione né dagli
organi che partecipano alla loro realizzazione, ma dalle diverse conformazioni che assume
la cavità orale a seconda delle posizioni che prendono gli organi mobili e in particolare la
lingua, al passaggio dell’aria proveniente dalla glottide. Per classificare i suoni vocalici
occorre far riferimento alla posizione della lingua e al suo grado a) di avanzamento b) di
innalzamento. In base al primo parametro le vocali possono essere anteriori se vengono
articolate con la lingua in posizione avanzata, posteriori se vengono articolate con la lingua
in posizione arretrata e centrali.
In base al secondo parametro, cioè lo spostamento relativo della lingua verso l’alto, le
vocali possono essere alte, medie (che si distinguono in medio-alte, medio-basse) e basse.
La posizione in cui vengono articolate le vocali può essere rappresentata dal trapezio
vocalico. Un altro parametro importante nella classificazione dei suoni vocalici è la
posizione delle labbra durante l’articolazione. Le labbra possono trovarsi distese oppure
possono essere tese e protruse cioè sporgere in avanti e dare luogo a una specie di
rotondità. Le vocali prodotte con le labbra protruse vengono chiamate arrotondate.
I suono vocalici possono essere realizzati con o senza passaggio dell’aria nella cavità nasale:
nel primo caso le vocali sono dette nasali.
APPROSSIMANTI
Ci sono suoni con modo di articolazione intermedio fra vocali e consonanti fricative, quindi
prodotti con la frapposizione di un ostacolo appena percettibile al flusso dell’aria detti
appunto ‘approssimanti’. Fra questi ci sono suono simili alle vocali che vengono chiamati
‘semivocali’. Le semivocali non possono costituire apice di sillaba, e assieme alla vocale a
cui sono sempre accompagnato costituiscono un dittongo.
TRASCRIZIONE FONETICA
Nei sistemi alfabetici delle lingue europee ogni singolo suono viene reso in linea di principio
da un particolare simbolo grafico. Esistono grafie sillabiche che rendono sonore intere
sillabe, e grafie di carattere ideografico che sono basate su segni che riproducono in modo
stilizzato tratti dell’entità significata. Le grafie alfabetiche sono però tutt’altro che coerenti,
non c’è rapporto tra suoni e unità grafiche poiché allo stesso singolo suono posssono
corrispondere grafemi differenti.
L’ortografia italiana si può comunque definire abbastanza fedelmente ‘fonografica’: siamo
abituati ad associare a ogni suono una singola lettera, quindi siamo abituati a leggere e
pronunciare come si scrive. Bisogna porre particolare attenzione nell’analisi e trattamento
dei fonemi linguistici, dai fatti meramente grafici e dalle incongruenze in essi insite della
realtà della lingua, quello che conta è la fonia.
FONIA E GRAFIA
Il sistema di scrittura dell’italiano appartiene ai sistemi di scrittura che si basano
sull’inventario fonematico della lingua. Qualunque sistema di scrittura può offrire una
rappresentazione completa di tutte le unità rilevanti della lingua a cui si riferisce.
L’ortografia dell’italiano è fondamentalmente ‘fonografica’, riproduce le unità fonologiche
con una certa fedeltà. Per ovviare alle incongruenze delle grafie tradizionali ed avere uno
strumento di rappresentazione grafica dei suoni del linguaggio, i linguisti hanno elaborato
sistemi di trascrizione fonetica in cui c’è corrispondenza fra suoni rappresentati e segni
grafici che li rappresentano. Il più diffuso dei sistemi usati per la trascrizione fonetica è
l’alfabeto fonetico internazionale. Le parole che contengono il suono sono date prima
nella grafia convenzionale e poi in trascrizione fonica.
CONSONANTI
OCCLUSIVE= bilabiali: sorda (la consonante doppia si può rendere in grafia raddoppiando il
simbolo corrispondente ovvero con due punti dopo il simbolo es.boc:a invece di bocca).
Dentali: a seconda cui siano articolate con la punta della lingua contro gli incisivi
Velari, uvulari e glottidali.
FRICATIVE= bilabiali, labiodentali, dentali, palatali, velari, uvulari, faringali e glottidali
AFFRICATE= labiodentali (mela), dentali (es. zona,pazzo)
NASALI= bilabiale, labiodentale, velare (es.fango), palatale (es. gnocco)
LATERALI= palatale
VIBRANTI= dentale, uvulare.
VOCALI E APPROSSIMANTI
ANTERIORI= semiconsonante, vocali
CENTRALI= Medio alta
POSTERIORI= semiconsonante, vocali
FONOLOGIA
Ogni suono producibile dall’apparato fonatorio umano rappresenta un potenziale suono
del linguaggio che chiameremo ‘fono’. Un fono può indicare sia un singolo suono realizzato
in una certa circostanza da un certo parlante, sia la classe di suoni concreti che condividono
le stesse caratteristiche articolatorie particolari. Quando i foni si oppongono ad altri foni del
distinguere e formare le parole di quella lingua, si dice che funzionano da FONEMI. I foni
sono le unità minime in fonetica. I fonemi sono le unità minime in FONOLOGIA. La
fonologia studia l’organizzazione e il funzionamento dei suoni nel sistema linguistico. La
trascrizione fonematica riproduce solo le caratteristiche pertinenti della realizzazione
fonica; ciascuno dei fonemi è identificato per opposizione mediante un procedimento di
scoperta che consiste nel confrontare un’unità in cui compaia il fono di cui vogliamo
dimostrare se è o no fonema con altre unità della lingua che siano uguali in tutto tranne
che nella posizione in cui sta il fono in oggetto. Tale procedimento si chiama prova di
commutazione, vocali e consonanti non sono mai in opposizione fra di loro ma si
oppongono vocali a vocali e consonanti a consonanti.
FONEMA è dunque l’unità minima di seconda articolazione del sistema linguistico. Un
fonema è una classe astratta di foni, tale da opporre una parola ad un’altra di una certa
lingua. Foni diversi che costituiscano realizzazioni diverse in uno stesso fonema si chiamano
allofoni. Gli allofoni di un fonema che siano condizionati dal contesto fonotattico si dicono
varianti combinatorie. Una coppia di parole che siano uguali in tutto tranne che per la
presenza di un fonema al posto di un altro in una certa posizione forma una coppia
minima. IL fonema non è un segno poiché è privo di significato.
FONEMI E TRATTI DISTINTIVI
I fonemi sono unità minime di seconda articolazione. Non sono scomponibili ulteriormente
in segmenti più piccoli, essi si possono analizzare sulla base delle caratteristiche
articolatorie che li contrassegnano. In fonologia è stata sviluppata la teoria dei tratti
distintivi che consente di rappresentare economicamente tutti i fonemi grazie anche
all’utilizzazione di proprietà acustiche anziché soltanto articolatorie che permettono un
trattamento più soddisfacente in termini di binarietà.
DEFINIZIONE DI TRATTI:
1. SILLABICO= fonemi che possono costituire nucleo di sillaba
2. CONSONANTICO= fonemi prodotti con frapposizione di un ostacolo al flusso
dell’aria
3. SONORANTE= fonemi prodotti con passaggio d’aria relativamente libero e con
vibrazione delle corde vocali
4. SONORO= fonemi prodotti con vibrazione delle corde vocali
5. CONTINUO= fonemi prodotti con una costrizione nella cavità orale
6. NASALE= fonemi prodotti con abbassamento del velo e conseguente passaggio del
flusso d’aria attraverso il canale nasale
7. RILASCIO RITARDATO= fonemi realizzati in due momenti: un primo in cui l’aria è
tenuta nella cavità orale e un secondo in cui è rilasciata
8. LATERALE= fonemi prodotti con passaggio del flusso d’aria ai lati della cavità orale
9. ARRETRATO= fonemi prodotti con il corpo della lingua ritratto
10. ANTERIORE= fonemi prodotti con una costrizione nella cola anteriore ai dentali
11. CORONALE=fonemi prodotti con la parte anteriore della lingua sollevata rispetto
alla posizione neutra
12. ARROTONDATO= fonemi prodotti con le labbra protese in avanti (es. u)
13. ALTO= fonemi prodotti con la lingua sollevata (es. i )
14. BASSO= fonemi prodotti con la lingua abbassata
Tratti che differenziano ampie classi di fonemi sono: CORONALI, foni prodotti con la
parte anteriore della lingua; SONORANTI, foni prodotti a canale vocale aperto;
SILLABICI, foni che possono costituire nucleo di sillaba.
I FONEMI DELL’ITALIANO
Non tutte le lingue hanno gli stessi fonemi, né tutte hanno lo stesso numero di
fonemi. Gli inventari fonematici delle diverse lingue del mondo sono costituiti da
decine di fonemi; l’italiano ha 30 fonemi. L’inventario fonematico dell’italiano è
connesso con numerosi problemi. Per trascrivere foneticamente occorre basarsi sul
modo in cui una parola è pronunciata quindi sulla fonia e non sulla grafia. È
problematico lo statuto delle consonanti lunghe. Ci sono nella pronuncia molte
differenze regionali; l’opposizione fra vocali medio-alte e medio-basse si attua
soltanto quando le rispettive vocali sono in sillaba accentata. La consonante nasale
ha nello standard realizzazione velare solo davanti a consonante velare
Infine, un fenomeno da menzionare è il raddoppiamento (fono)sintattico che
consiste nell’allungamento della consonante iniziale di una parola quando questa
sia preceduta da una delle parole di una serie che appunto provoca il fenomeno.
SILLABE E FATTI FONOTATTICI
Un ruolo considerante nella lingua parlata è svolto dalle proprietà fonotattiche dei
foni. Un ruolo decisivo nella costituzione delle parole di una lingua hanno le
minime combinazioni di fonemi che funzionino come unità pronunciabili e possono
essere utilizzate come basi per costruire la forma fonica delle parole: le sillabe. In
italiano la sillaba è costruita attorno ad una vocale. La struttura fonica della parola
è comunque data da un’alternanza continua tra foni più tesi con minore sonorità e
foni più rilassati e aperti con maggiore sonorità. Ogni sillaba è formata da almeno
una vocale e da un certo numero di consonanti. L’identificazione dei confini sillabici
si effettua in base a vari criteri fonetici e fonologici; un criterio pratico per
l’italiano per es. è che due consonanti contigue all’interno di una parola sono
assegnate entrambe alla sillaba che ha come nucleo la vocale seguente se tale
combinazione compare anche in inizio di parola. In una sillaba la parte che
eventualmente precede la vocale è detta attacco, la vocale stessa è il nucleo e la
parte che segue la vocale è la coda. Sillabe con coda, ovvero che finiscono con una
consonante o semivocale si chiamano chiuse, sillabe senza coda si chiamano
aperte. In recenti teorie fonologiche basate sulla sillaba, nucleo e coda assieme
costituiscono quella che viene definita ‘rima.’ La rima è l’insieme del nucleo e della
coda e determina il peso di una sillaba. È detta pesante una sillaba che abbia una
cosa o che abbia come nucleo una vocale lunga. Una combinazione interessante di
fonemi è il dittongo, ovvero la combinazione di una approssimante e una vocale. La
vocale costituisce l’apice sillabico. Si possono dare anche combinazioni di due
semivocali e una vocale e allora si avrà un trittongo.
FATTI PROSODICI
C’è una serie di fenomeni fonetici e fonologici rilevanti che riguardano la catena
parlata nella sua successione lineare, i rapporti tra foni che si susseguono ed hanno
dunque la sillaba e la successione di sillabe come contesto basilare di azione.
All’insieme di tali fenomeni si dà il nome di soprasegmentali perché agiscono al di
sopra del singolo segmento minimo, vi sono anche i prosodici che ne determinano
l’andamento ritmico. Nella lingua parlata non formale la velocità più alta
dell’eloquio e la bassa attenzione posta al pronunciare le parole fanno si che la
catena fonica risulti ipoarticolata.
ACCENTO
L’accento è la particolare forza e intensità di pronuncia di una sillaba relativamente
ad altre sillabe, che fa si che in ogni parola una sillaba presenti una prominenza
fonica rispetto alle altre. Non in tutte le lingue tale prominenza ha lo stesso rilievo
anche se in genere è dovuta a un aumento della pressione dell’aria nel canale
orale. In italiano l’accento è dinamico, dipendente dalla forza con cui sono
pronunciate le sillabe. L’accento non va confuso con l’accento grafico che in
italiano è impiegato per indicare la posizione dell’accento fonico nelle parole.
L’accento grafico circonflesso è ancora usato nell’ortografia per indicare la
pronuncia della vocale ‘i’ come ad esempio nella parola principi o prìncipi.
La posizione dell’accento in certe sillabe all’interno di una parola può essere libera
o fissa. In altre lingue la posizione è sempre libera, in questo caso l’accento può
avere valore pertinente e opporre distinguendole due o più parole tra loro uguali: si
parla allora di valore fonematico dell’accento, intendendo appunto che l’accento in
base alla posizione della sillaba in cui cade ha valore distintivo oppositivo. In
italiano l’accento è libero, può trovarsi sull’ultima sillaba e la parola è detta tronca,
sulla penultima e la parola è detta piana, sulla terzultima e la parola è detta
sdrucciola, e addirittura sulla quintultipla dove però la parola è composta con
pronomi clitici, ovvero quegli elementi che non possono rappresentare la sillaba
con un accento proprio.
L’accento è anche un elemento centrale nella strutturazione prosodica
dell’enunciato, poiché da successione della catena parlata dà luogo al ritmo. Ogni
lingua ha un ritmo particolare. Dal punto di vista fonologico, viene riconosciuta
come unità ritmica il piede, ovvero associazione di una sillaba forte e una debole.
TONO E INTONAZIONE
I fenomeni di tonalità riguardano l’altezza musicale con cui le sillabe sono
pronunciate e la curva melodica a cui la melodia dà luogo. Tono è l’altezza relativa
di pronuncia di una sillaba, dipendente dalla tensione delle corde vocali e della
laringe. In molte lingue, dette lingue tonali, il tono può avere valore distintivo cioè
può distinguere da solo parole diverse per il resto foneticamente del tutto eguali.
L’intonazione è l’andamento melodico con cui è pronunciato un gruppo tonale.
L’intonazione è una sequenza di toni che conferisce all’emissione fonica nel suo
complesso una certa curva melodica; in gran parte delle lingue l’intonazione
permette di capire se si tratta di un’affermazione, domanda o esclamazione.
LUNGHEZZA
La lunghezza riguarda l’estensione temporanea relativa con cui i foni e le sillabe
sono prodotti. Ogni fono può essere breve o lungo, cioè durare nella realizzazione
per un tempo più o meno rapido. L’articolazione delle vocali e delle consonanti
fricative per la loro natura fonica può essere tenuta per un tempo indeterminato,
viceversa l’articolazione delle consonanti occlusive non può essere tenuta più che
momentaneamente. La quantità delle vocali o delle consonanti può avere valore
distintivo. In italiano la quantità delle consonanti non ha funzione distintiva a meno
che non supponiamo che le consonanti che nella grafia possono essere sia semplici
che doppie realizzino appunto un’opposizione di durata. Per le vocali, la durata in
italiano non è pertinente. Una parola pronunciata con una vocale lunga individua
un’accentuazione enfatica della stessa parola, e non un’altra parola. La vocale
suscettibile di tale allungamento è soprattutto la vocale della sillaba tonica, in
italiano le vocali toniche sono sempre lunghe. Nella trascrizione fonematica invece
non si segnalerà quindi la lunghezza vocalica. In molte lingue la durata vocalica
funziona da tratto pertinente, mentre normalmente non ha rilevanza la lunghezza
consonantica. Nella fonetica sperimentale su base acustica, appositi apparecchi
consentono di fornire rappresentazioni in termini di tracciati dei caratteri fisici della
catena parlata prodotta, in quanto segnale acustico. I diagrammi ottenuti mediante
la scomposizione del segnale nelle proprietà che lo formano sono detti
spettogrammi: in essi viene rappresentato la durata del suono con la sua frequenza
e intensità.

CAPITOLO 3
PAROLE E MORFEMI

Per studiare le parole dobbiamo prendere in considerazione il significante in quanto portatore di


significato. Il livello di analisi in causa si chiama morfologia; l’ambito d’azione della morfologia è la struttura
della parola. (=minima combinazione di elementi minori dotati di significato). Fra i criteri che ne
permettono la definizione abbiamo:

a. Il fatto che all’interno della parola l’ordine dei morfemi che la costituiscono è rigido e fisso
b. Il fatto che i confini di parola sono punti di pausa potenziale nel discorso
c. Il fatto che la parola è separata dalla scrittura
d. Il fatto che foneticamente la pronuncia di una parola non è interrotta ed è caratterizzata da un
unico accento primario.
CRITERI PER LA DEFINIZIONE DI PAROLA
I parlanti di una lingua possiedono la nozione di parola in maniera generalmente intuitiva; sono in
grado di scomporre un enunciato di parole, elaborare gli elenchi di parole accomunate da certe
caratteristiche, isolare singole parole a partire da un enunciato. Una parola è allo stesso tempo
un’unità fonologica, rappresenta sempre l’unione di una particolare combinazione di suoni con un
particolare significato suscettibile di un particolare uso grammaticale. PAROLA è ogni elemento che
in un testo scritto compare tra due spazi o segni. I soli criteri ortografici non sono sempre sufficienti
per decretare se si tratti realmente di più parole oppure di una parola unica. Sul piano fonologico
esistono alcuni criteri che consentono di identificare i confini di una parola nella catena parlata.
Uno di questi è dato dalla posizione fissa dell’accento, in lingue che presentano tale caratteristiche.
La presenza dell’accento segnalerà la fine di una parola e l’inizio di un’altra. Un criterio come
questo non consente di distinguere gli elementi nella catena parlata non presentano un accento
proprio, e può quindi indurre a considerare questi come parti di parola, indipendentemente dal
loro statuto grammaticale. Sul piano morfologico, una data combinazione di morfemi è individuata
come una parola sulla base del grado di coesione interna. Per valutare la coesione tra morfemi, si
mostrano particolarmente determinanti alcuni criteri come: 1) una parola non può essere
liberamente interrotta da materiale morfologico 2) l’ordine dei morfemi che costituiscono una
parola non può essere modificato 3) una parola può assumere posizione diverse all’interno di un
enunciato 4) una parola può costituire un enunciato da sola. A questi si può poi aggiungere il
criterio della pausa potenziale e la considerazione che una parola tipica contiene normalmente una
sola radice lessicale. Il concetto di ‘parola’ come minima associazione di significante e significato
autonoma, usabile in isolamento, presenta un carattere prototipico. Nel significato di ‘parola’ si
avranno proprietà come avere un significato lessicale o il fatto di essere soggette alla flessione. Se
proviamo a scomporre le parole in pezzi tale che vi sia ancora associato un significato proprio
isolabile, troviamo allora dei morfemi. Es. dentale che si scompone in dent- (organo masticazione),
al- (aggettivo), -e (singolare). Ciascuno dei tre morfemi è suscettibile di entrare come componente,
il morfema in causa deve ricomparire come isolabile con lo stesso significato alla parola che lo
contiene. Per scomporre una parola in morfemi la si confronta via via con parole simili che
contengano uno per uno i morfemi che vogliamo individuare. Tale procedimento viene chiamato
prova di commutazione. MORFEMA è quindi l’unità minima di prima articolazione, il più piccolo
pezzo di significante di una lingua portatore di un significato proprio, di un valore e una funzione
precisi e individuabili, e riusabile come tale. Esso è la minima associazione di un significante e
significato. Un sinonimo di morfema è MONEMA, gli autori che usano questo termine distinguono
due grandi classi di monemi che chiamano ‘semantemi’ quando sono elementi lessicali e ‘morfemi’
quando sono elementi grammaticali. Il morfema è l’unità pertinente a livello di sistema; il MORFO è
un morfema inteso come forma, dal punto di vista del significante. L’allomorfo è la variante
formale di un morfema, è ciascuna delle forme diverse in cui si può presentare uno stesso
morfema, che sia suscettibile di comparire sotto forma diverse; esso può riguardare sia i morfemi
lessicali sia i morfemi grammaticali. Le cause dei fonemi di allomorfia sono solitamente da cercare
nella diacronica, vale a dire da riportare a trasformazioni avvenute nella forma delle parole e dei
morfemi, spesso per ragioni fonetiche, lungo l’asse del tempo. Si parla di fenomeno del
suppletivismo quando ci sono 2 parole diverse ma entrambe con lo stesso significato.
TIPI DI MORFEMI
I morfemi e la loro combinazione in parole presentano una fenomenologia molto vasta e
complicata. Esistono due punti di vista principali per individuare differenti tipi di morfemi: la prima
e fondamentale è una classificazione funzionale in base alla funzione svolta, al tipo di valore che i
morfemi recano nel contribuire al significato delle parole; la seconda è una classificazione
posizionale, basata sulla posizione che i morfemi assumono all’interno della parola sul modo in cui
essi contribuiscono alla sua struttura.
TIPI FUNZIONALI DI MORFEMI
La prima distinzione da fare è tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali; i morfemi
grammaticali a loro volta si suddividono in morfemi ‘derivazionali’ e morfemi ‘flessionali’. I
morfemi lessicali si trovano nel lessico e costituiscono una classe aperta continuamente arricchibile;
mentre i morfemi grammaticali si trovano nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, non
suscettibile di accogliere nuove entità. Non sempre la distinzione fra morfemi lessicali e morfemi
grammaticali è del tutto chiara e applicabile senza problemi: in italiano è questo il caso di molte
‘parole funzionali come i pronomi, articoli o congiunzioni che formano classi grammaticali chiuse
ma che difficilmente si possono definire morfemi grammaticali. Una distinzione che si fa di solito è
quella fra morfemi liberi e legati(= essi non possono mai comparire isolati, ma sempre legati ad altri
morfemi). La derivazione che da luogo a parole regolandone i processi di formazione, e la flessione
che da luogo a forme di una parola regolandone il modo in cui si attualizzano della morfologia. La
derivazione agisce prima della flessione. La flessione si applica a qualunque base lessicale ad essa
soggetta.
TIPI POSIZIONALI DI MORFEMI
Dal punto di vista della posizione, i morfemi grammaticali si suddividono in classi diverse a seconda
della collocazione che assumono rispetto alla forma lessicale o radice, che costituisce la ‘testa’ della
parola e fa da perno nella sua costruzione. Una parola ‘piena’ non è tale se non contiene un
morfema lessicale; e un morfema lessicale da solo può costituire una parola piena autonoma. Le
parole funzionali, sono invece ‘parole vuote’. Quando siano considerati dal punto di vista
posizionale, i morfemi grammaticali possono essere chiamati affissi, un affisso è ogni morfema che
si combini con una radice. Esistono diversi tipi di affissi, quelli che si trovano prima della radice si
chiamano prefissi, quelli dopo la radice si chiamano suffissi o desinenze, gli infissi invece sono
quegli affissi inseriti dentro la radice. Un altro tipo di morfemi discontinui sono i circonfissi, affissi
formati in due parti, una che si trova prima della radice e l’altra che sta dopo la radice. In alcune
lingue, invece, esistono degli affissi che si incastrano dentro la radice dando luogo a discontinuità
sia dell’affisso che della radice e si tratta dei transfissi.
ALTRI TIPI DI MORFEMI
La fenomenologia delle realizzazioni morfematiche è molto varia e può mostrarsi ancora ben più
complessa. Esistono morfemi sostitutivi perché si manifestano con la sostituzione di un fono ad un
altro fono. Tali morfemi consistono in mutamenti fonici della radice quindi sono da essa
inseparabili. Si parla in certi casi di morfema zero dove una distinzione obbligatoriamente marcata
nella grammatica di una certa lingua viene rappresentata nel significante: es. quello dei plurali
invariabili. Esistono anche morfemi soprasegmentali in cui un determinato valore morfologico si
manifesta attraverso un tratto soprasegmentale come l’accento o il tono. Nell’analisi in morfemi
segmentabili non esaurisce la gamma dei modi in cui si manifesta la morfologia delle lingue. Certi
valori morfologici in certe lingue vengono affidati a processi non riducibili a specifici morfemi
segmentali. Spesso morfemi grammaticali recano più di un significato o valore, essi sono i morfemi
cumulativi. Si noti a marginare che il valore di indicare una classe flessionale ha uno statuto un po’
problematico nello stabilire la natura di un morfema in quanto non veicola propriamente un
significato referenziale o grammaticale, ma piuttosto indica una classe formale di appartenenza di
una parola; il problema è analogo a quello delle cosiddette vocali tematiche. Per superare problemi
come quelli connessi all’allomorfia delle radici lessicali si è introdotta un’entità priva di forma
fonologica chiamata ‘morfoma’. Il morfoma è rappresentato da una regolarità strutturale astratta,
ricorrente all’interno di paradigmi morfologici. Un caso di morfema cumulativo è l’amalgama dato
dalla fusione di due morfemi in maniera tale che nel morfema risultante non è più possibile
distinguere i due morfemi all’origine della fusione.
DERIVAZIONE E FORMAZIONE DELLE PAROLE
I morfemi derivazionali mutano il significato della base cui si applicano, aggiungendo nuova
informazione rilevane, integrandolo, modificando la classe di appartenenza della parola e la sua
funzione semantica. I morfemi derivazionali svolgono una funzione importante, quella di
permettere attraverso processi soprattutto di suffissazione, la formazione di un numero infinito di
parole a partire da una certa base lessicale. In ogni lingua esiste una lista finita di moduli di
derivazione che danno luogo a ‘famiglie di parole’ (es. parole costruite con la base ‘socio’ es.
conSOCIare). Nella grande maggioranza delle forme verbali e deverbali si pone in italiano il
problema della cosiddetta ‘vocale tematica’, la vocale iniziale della desinenza dell’infinito dei verbi
ovver ‘mangiAre, vedEre, partIre’, poiché si può ritenere che la vocale tematica abbia un suo
significato in quanto indica l’appartenenza della forma ad una determinata classe di forme della
lingua. Anche nella parola ‘sociologia’ ci sono due morfemi lessicali, essa significa ‘studio della
società’, esso viene chiamato prefissoide. Esistono anche suffissoidi, cioè morfemi con significato
lessicale che si comportano come suffissi nella formazione delle parole. Prefissoidi e suffissoidi
funzionano in sincronia come affissi, morfemi derivazionali ma recano il significato tipico dei
morfemi lessicali ereditato dalle parole complesse. Un caso di prefissoide è la parola ‘auto’ da cui
derivano poi ‘autocritica, autolavaggio’; parole con uno statuto diverso dall’auto.
Nella parola ‘nazionalsocialismo’, invece, esistono casi che sembrano assai simili alla parola
sociologia in cui però, le radici lessicali che coesistono nella stessa parola mantengono entrambe il
valore che avrebbero se utilizzate come autonome. Questa parola è una parola composta come ad
esempio ‘portacenere o asciugamano’. L’italiano segue nella composizione delle parole un ordine
ovvero la seconda parola modifica la prima, che funziona da ‘testa sintattica’ es. portacenere non è
‘cenere che porta qualcosa’ ma ‘qualcosa che porta la cenere’. Non vanno confuse con le parole
compose le unità lessicali plurilessemariche, costituite da sintagmi fissi che rappresentano un’unica
entità di significato, non corrispondente alla semplice somma dei significati delle parole
componenti, comportandosi come se fossero un’unica parola. Le unità lessicali plurilessematiche
costituiscono una categoria molto ampia che può comprendere classi diverse di elementi fra cui
anche i cosiddetti verbi sintagmatici (es. sale e pepe, anima e corpo).
LE PAROLE COMPOSTE IN ITALIANO
Come la derivazione, così la composizione permette la formazione di parole nuove a partire da una
certa radice lessicale, una parola composta contiene più radici lessicali ciascuna delle quali
suscettibile di comparire come parola autonoma. Nella gran parte dei casi, la composizione di due
parole di qualsiasi classe che possa partecipare alla composizione dà un nome es. pesce spada,
camera oscura.
Composti che presentano una testa vengono chiamati endocentrici, composti senza testa
esocentrici. Esistono anche composti detti ‘coppia’ formati da due costituenti che sono entrambi
teste, sia categoriali sia semantiche. Se consideriamo poi il rapporto interno tra i costituenti, i
composti si possono classificare in subordinativi e coordinativi. Si definiscono subordinativi quei
composti i cui costituenti sono legati tra di loro da una relazione di tipo modificato/modificatore es.
il composto pesce spada, spada rappresenta l’elemento modificatore.
Altri meccanismi più marginali che formano parole e che hanno aspetti in comune con la
composizione sono la lessicalizzazione delle sigle e l’unione di parole diverse che si fondono con
accorciamento degli elementi costitutivi. Le sigle sono formate in genere dalle lettere iniziali delle
parole piene che costituiscono un’unità plurilessematica, la cui pronuncia compitata è promossa a
parola autonoma. L’unione con accorciamento dà luogo a quelle che sono state chiamate ‘parole
macedonia’ es. catautore (cantante+autore) ristobar(ristorante+bar).
Il più importante e produttivo dei procedimenti di formazione di parola è la suffissazione. Si noti
che spesso i suffissi derivazionali vengono designati comprendendo anche la desinenza e
tralasciando la vocale tematica. È peraltro in italiano anche assai produttiva la prefissazione
(aggiungendo un suffisso ad un nome es. –os a noia, ottengo noioso ovvero un aggettivo).
Nella grande categoria della derivazione suffissale può essere fatto rientrare un altro procedimento
molto produttivo in italiano che contraddistingue per la sua rilevanza la formazione delle parole
dell’italiano rispetto alle altre lingue, ed è l’alterazione. Con i suffissi alterativi si creano parole che
aggiungono al significato della base lessicale un valore valutativo che può essere ‘diminutivo’ o
‘accrescitivo’ o ‘peggiorativo’. Le parole derivate si possono definire in maniera da tener conto a)
del procedimento di derivazione b) della classe lessicale della base da cui derivano c) della classe
lessicale a cui appartiene il risultato. Nei meccanismi della formazione di parola rientra anche i
fenomeno della conversione ovvero la presenza di coppie di parole, verbi o aggettivi aventi la
stessa radice lessicale ed entrambi privi di suffisso, fra i quali non è possibile stabilire quale sia la
parola primitiva e quale la parola derivata. Quando la coppia è costituita da un verbo e da un nome
è spesso da assumere che la base sia il verbo, in quanto il nome designa l’atto indicato dal verbo; di
qui la definizione di derivazione zero. Invece quando la coppia è costituita da un verbo e da un
aggettivo si può intendere che il termine primitivo sia l’aggettivo in quanto il verbo indica l’azione di
assumere lo stato o la qualità dell’aggettivo. Dal punto di vista dei processi di derivazione operanti
nella formazione della parola, si danno i seguenti tipi morfologici di parole: -parole basiche o
primitive es.mano; -parole alterare es.manona; -parole derivate es.maniglia; -parole composte
es.corrimano.
FLESSIONE E CATEGORIE GRAMMATICALI
I morfemi flessionali non modificano il significato della radice lessicale su cui operano: attualizzano
nel contesto di enunciazione, specificandone la concretizzazione in quel particolare contesto. Il
genere di significato veicolato dai morfemi flessionali danno luogo alle diverse forme in cui una
parola può presentarsi nel suo impiego nel discorso. I morfemi flessionali intervengono sulle classi
‘variabili’ di parole suscettibili di accogliere la flessione. I morfemi flessionali realizzano valori delle
categorie grammaticali; un determinato morfema realizza un valore di una determinata categoria
grammaticale ovvero la ‘marca’. Le categorie grammaticali danno espressione ad alcuni significati
fondamentali, più comuni e frequenti, che diventano categorici per una determinata lingua e che
devono essere espressi ovvero marcati per quel valore. Fra le categorie grammaticali ci sono quelle
più propriamente flessionali che riguardano il livello die morfemi stessi: ogni categoria qui è
l’insieme dei valori che può assumere una determinata dimensione semantica basilare elementare.
Si distinguono le categorie flessionali in due grandi casi: quelle che operano sui nomi e quelle che
operano sui verbi. La morfologia nominale ha come categorie fondamentali il genere e numero,
quella del numero è marcata dal singolare e plurale. Un’altra categoria flessionale molto rilevante
per i nominali è il caso che svolge l’importante funzione di mettere in relazione la forma della
parola con la funzione sintattica che essa ricopre nella frase.
Il processo attraverso il quale un verbo determina in quale caso debbano declinarsi gli elementi
nominali che costituiscono i complementi viene chiamato REGGENZA; essa si applica per estensione
anche al rapporto fra verbi e preposizioni, quando appunto vi sono verbi che richiedono
determinate preposizioni. In molte lingue gli aggettivi possono poi essere marcati per grado
(l’italiano però utilizza solo il superlativo). Altre lingue invece marcano poi con morfemi appositi sui
nomi la definitezza o possesso che vanno considerate anch’esse categorie grammaticali. La
morfologia verbale ha sei categorie flessionali principali:
1. Modo il quale esprime la maniera nella quale il parlante si pone nei confronti del contenuto di
quanto vien detto e della realtà della scena rappresentata nella frase
2. Tempo colloca nel tempo assoluto e relativo quanto viene detto
3. Aspetto riguarda la maniera in cui vengono presentati in relazione al loro svolgimento l’azione
o l’evento o i processi espressi dal verbo
4. Azionalità che riguarda il modo oggettivo in cui si svolge nello sviluppo temporale l’azione o
l’evento del verbo: una distinzione importante in questo caso è quella fra verbi che denotano
un’azione o evento dotato di un punto che ha un fine.
5. Diatesi esprime il rapporto in cui viene rappresentata l’azione rispetto ai partecipanti e rispetto
al soggetto
6. Persona indica chi compie l’azione e collega la forma verbale al suo soggetto e si manifesta con
morfemi di accordo.
TEMPO E ASPETTO
Il tempo localizza l’evento espresso dal verbo nel fluire del tempo fisico e lo colloca in una rete
di relazioni temporali; fondamentale è la relazione che si istituisce tra il ‘momento
dell’avvenimento’ (MA) e il ‘momento dell’enunciazione’ (ME). L’aspetto considera l’evento
espresso dal verbo secondo il punto di vista che il parlante assume nei riguardi dell’evento
stesso, ossia rispetto al modo in cui l’evento viene osservato e presentato. I due valori principali
che può assumere l’aspetto verbale sono imperfettivo e perfettivo. L’imperfettivo considera un
evento da una prospettiva interna al suo svolgimento. Può avere tre accezioni 1) progressiva,
quando un evento iniziato precedentemente è colto in un singolo momento del suo
svolgimento 2) continua, quando un evento è colto nella sua durata, tipicamente rispetto a un
certo periodo di tempo e si verifica in una sola occasione 3) abituale, quando un evento è colto
nella sua durata e si ripete con consuetudine. L’aspetto perfettivo considera un evento da una
prospettiva esterna al suo svolgimento, visualizzandone il momento finale e può avere anche
diverse eccezioni in quando MA precede ME sia quando il verbo è al passato prossima sia
quando è all’imperfetto. Categorie grammaticali a livello di parola, che classificano le parole
raggruppandole in classi a seconda della natura del loro significato, del loro comportamento nel
discorso e delle loro caratteristiche funzionali, sono le classi di parole o parti del discorso. Esse
sono nove: nome, aggettivo, pronome, verbo, articolo, avverbio, congiunzione, interiezione.
L’assegnazione delle parole a categorie diverse avviene in base a tre criteri fondamentali: un
criterio semantico, il tipo di significato; un criterio morfologico, dato dal comportamento delle
parole in relazione alle categorie morfologiche presenti in lingua; un criterio sintattico, dato dal
contesto in cui le parole possono comparire all’interno dei sintagmi e delle frasi. L’insieme dei
tre criteri consente di stabilire l’appartenenza di ogni parola a una determinata classe , anche le
due classi lessicali fondamentali nomi e verbi a volte non sono ben differenziabili. Un altro
esempio di sovrapposizione di categoria si ha nel caso dei partitivi: le preposizioni articolate
del,degli ecc. possono funzionare sia come proposizioni sia come articoli partitivi indicanti una
quantità imprecisata. Altri importanti categorie grammaticali si individuano sull’asse
sintagmatico, considerando le parole nel loro rapporto con le altre parole all’interno di un
determinato messaggio. A queste categorie si riserva la definizione di funzioni sintattiche,
ovvero nozioni definite nell’analisi logica come soggetto predicato e complemento. La
distinzione tra sintagmatico e paradigmatico è rilevante per distinguere due diversi modi di
funzionamento della morfologia flessionale ovvero: la flessione inerente, che riguarda la
marcatura a cui viene assoggettata una parola in isolamento, a seconda della classe di
appartenenza, per il solo fatto di essere selezionata nel lessico e comparire in un messaggio.
La flessione contestuale è invece quella che dipende dal contesto, specifica una forma e
seleziona i relativi morfemi flessionali in relazione al contesto sintattico in cui la parola viene
usata, dipendendo dai rapporti gerarchici che si instaurano fra le parole all’interno della frase.
Un meccanismo che opera in molte lingue è quello della marcatura di accordo che prevede che
tutti gli elementi suscettibili di flessione all’interno di un certo costrutto prendano le marche
delle categorie flessionali per le quali è marcato l’elemento a cui si riferiscono oa da cui
dipendono. DIFFERENZA TRA ACCORDO E CONCORDANZA: ACCORDO si riferisce ai fenomeni di
accordo tra gli elementi del sintagma nominale, CONCORDANZA all’accordo delle forme verbali
con elementi nominali, soprattutto il soggetto.

CAPITOLO 4
SINTASSI- analisi in costituenti

Importante livello di analisi della prima articolazione è la sintassi, ovvero il livello di analisi che si occupa
della struttura delle frasi: l’oggetto di studio della sintassi è come si combinano fra loro le parole e come
sono organizzate in frasi. La frase è il costrutto che fa da unità di misura per la sintassi. Quest’ultima si può
inquadrare come l’entità linguistica che funziona come un’unità comunicativa, cioè che costituisce un
messaggio autosufficiente nella comunicazione verbale nel discorso. Una frase è identificata dal contenere
una predicazione cioè un’affermazione riguardo a qualcosa. Poiché normalmente il valore di predicare
qualcosa è affidato ai verbi, in genere ogni verbo autonomo coincide con una frase; vi possono peroò
essere frasi senza verbo, dette frasi nominali che funzionano da messaggi autosufficienti e contengono una
predicazione. Problemi anche rilevanti sorgono quando si tratti di individuare quante e quali frasi ci sono in
un testo. C’è una frase quando c’è una predicazione: un metodo che ci dà una prima indicazione, per
identificare quante frasi ci sono in un testo è quindi quello di contare le forme verbali. Le parole si
combinano secondo rapporti e leggi strutturali a volte anche molto complessi, che è appunto compito della
sintassi di studiare. Con ‘frase’ si designano anche costrutti dall’estensione più ampia e dalla composizione
più complessa di una frase semplice costituita da un’unica predicazione: chiamata proposizione. Un primo
passo per analizzare la struttura delle frasi consiste nel rendersi conto del modo in cui si organizzano fra
loro le parole e i gruppi di parole che insieme costituiscono una frase. Il principio generale impiegato per
l’analisi delle frasi è basato sulla scomposizione. A livello elementare, è molto usato un tipo di analisi che
rappresenta le concatenazioni fra gli elementi della frase scomponendola in pezzi più piccoli che sono i
‘costituenti’ della frase. Tale analisi va sotto il nome di ‘analisi in costituenti immediati’: essa individua
diversi sottolivelli di analisi e i costituenti che si isolano a ciascun sottolivello ‘costituiscono
immediatamente’ il sottolivello di analisi superiore; quindi bisogna fare dei ‘tagli’. Es. data una frase, il
primo taglio si attua confrontando la frase con un’altra più semplice ma che abbia la stessa struttura. Il
metodo di rappresentazione più diffuso è quello degli alberi etichettati che meglio permette di rendere
visivamente la struttura della frase sia nel suo sviluppo lineare sia nei rapporti gerarchici che si instaurano
fra i costituenti. Un albero è un grafo costituito da nodi, ogni nodo rappresenta un sottolivello di analisi
della sintassi e reca il simbolo della categoria a cui appartiene il costituente di quel sottolivello. Un albero è
l’indicatore sintagmatico della frase. La ‘distribuzione’ ossia l’insieme dei contesti in cui gli elementi
possono comparire nelle frasi, è un criterio importante per distinguere diverse classi di elementi rilevanti
per la sintassi. I determinanti sono tutti gli elementi che occorrono davanti a un nome e svolgono la
funzione di determinare il referente da esso indicato. Si noti che per rappresentare la struttura interna di
costrutti non molto complessi è sufficiente la parentesizzazione, ogni parentesi aperta e chiusa corrisponde
a un sottolivello di analisi sintattica. Ogni frase è rappresentabile con un indicatore sintagmatico che ne
fornisce la struttura in costituenti. Questa può disambiguare frasi o costrutti che all’apparenza sembrano
identici ma hanno una duplice interpretazione semantica.

SINTAGMI

Abbiamo visto come l’analisi in costituenti immediati individui tre diversi sottolivelli di analisi sintattica:
sottolivello delle frasi, dei sintagmi, delle singole entrate lessicali (=le parole). Il più importante di questi
sottolivelli è il livello dei sintagmi (gruppi). Così come una parola è la minima combinazione di morfemi
usabile come unità lessicale autonoma, un sintagma è definibile come la minima combinazione di parole
che funzioni come un’unità della struttura frasale. I sintagmi sono costruiti attorno a una ‘testa’, sulla cui
base vengono classificati a da cui prendono il nome. Testa è la classe di parole che rappresenta il minimo
elemento che da solo possa costituire un sintagma. Se si elimina l’elemento che fa da testa, il gruppo di
parole considerato viene a perdere la natura di sintagma di quel tipo per es. nel SN (sintagma nominale) la
copertina blu eliminiamo la o blu abbiamo ancora un SN, ma se eliminiamo copertina rimane blu che non è
più un SN. Un sintagma nominale è un sintagma costruito attorno a un nome: N è la testa di SN. Si noti che
i pronomi possono sostituire in tutto un nome e quindi possono essere loro la testa di un SN. Nel sintagma
preposizionale, invece, la preposizione non condivide la proprietà che hanno le altre teste di sintagma di
poter rappresentare da sole il sintagma: un nome funziona da sintagma nominale, ma una preposizione non
funziona da sintagma preposizionale. Tutte le categorie lessicali di parole piene possono essere teste di
sintagma. Quindi anche avere sintagmi aggettivali (che hanno per testa un aggettivo) e sintagmi avverbiali
(che hanno per testa un avverbio).

Criteri per riconoscere i sintagmi

MOBILITA’= un gruppo di parole rappresenta un sintagma se le parole che lo costituiscono si muovono


congiuntamente all’interno di una frase

SCISSIONE= rappresenta un sintagma se un gruppo di parole può essere separato dal resto della
proposizione costruendo una struttura chiamata frase scissa.

ENUNCIABILITA’ IN ISOLAMENTO= un gruppo di parole rappresenta un sintagma se da solo può essere


pronunciato in isolamento.

COORDINABILITA’= consente di riconoscere quando due o più gruppi di parole rappresentino sintagmi di
uno stesso tipo.

Gli elementi che possono attaccarsi alla testa dei sintagmi possono dare luogo a sintagmi più complessi
dotati di una strutturazione interna a vari sottolivelli. Il tema della struttura interna dei sintagmi è stato
approfondito sotto il nome di teoria X-barra che individua i diversi ranghi di complessità di un sintagma. Il
principio generale della corretta rappresentazione sintagmatica è che ogni elemento che sta sul ramo di
destra di un nodo modifica l’elemento che sta alla sua sinistra sotto lo stesso nodo.
FUNZIONI SINTATTICHE

Ai sintagmi che riempiono le posizioni strutturali di un indicatore sintagmatico vengono assegnati diversi
valore. La categoria formale di ‘sintagma’ assume determinati valori funzionali richiesti e necessari per
l’interpretazione semantica delle frasi. Il modo in cui i diversi costituenti si combinano nel dare luogo alle
frasi è infatti governato dai principi complessi ovvero quelli che interagiscono tra di loro nel determinare
l’ordine in cui si susseguono gli elementi die loro rapporti e a conferire alle frasi la struttura sintattica di
superfice con cui queste ci appaiono. Occorre distinguere diversi principi: la prima fondamentale classe è
interna alla sintassi stessa, dipende dalle reggenze del verbo: si tratta delle funzioni sintattiche che
riguardano il ruolo che i sintagmi assumono nella struttura sintattica della frase in cui i sintagmi nominali
possono valere da soggetto o oggetto, i sintagmi preposizionali possono valere da oggetto indiretto, i
sintagmi verbali possono valere da predicato. SOGGETTO= fa l’azione; PREDICATO VERBALE= l’azione;
OGGETTO=chi subisce l’azione; a queste si aggiungono anche i COMPLEMENTI.

SCHEMI VALENZIALI

Le funzioni sintattiche vengono assegnate a partire da ‘schemi valenziali’ che costituiscono l’embrione della
strutturazione delle frasi e ne configurano il quadro minimale. Quando noi dobbiamo enunciare qualcosa
sotto forma di frase, è ragionevole pensare che partiamo dalla selezione di un verbo scelto nel nostro
lessico mentale per rappresentare l’azione. Questo verbo è associato a delle valenze (argomenti), che sono
implicate dal tipo di significato del verbo: ogni predicato configura un quadro di elementi chiamati in causa.
Tali elementi sono le valenze. Ogni predicato stabilisce il numero e la natura degli argomenti che esso
richiede, ha quindi uno ‘schema valenziale’. Da questo punto di vista i verbi sono ‘monovalenti’ (un solo
argomento; ‘bivalenti’ (due argomenti); ‘trivalenti’ ( tre argomenti); o anche ‘zerovalenti’ (verbi che non
hanno argomenti). Le valenze costituiscono con il verbo gli elementi nucleari essenziali delle frasi anche
quando non vengano tutte realizzate con materiale nella struttura sintagmatica. Sulla base degli schemi, il
SOGGETTO si potrebbe definire come la prima valenza di ogni verbo. La seconda valenza coincide con il
complemento. In una frase ci possono essere anche costituenti che realizzano altri elementi, questi sono
chiamati circostanziali (avverbiali), essi svolgono una funzione semantica importante in quando aggiungono
informazioni che spesso sono salienti dal punto di vista del valore comunicativo della frase. Negli indicatori
sintagmatici, i circostanziali funzionano da modificatori.

LA VALENZA VERBALE

Quando in una frase è presento un verbo, questo è sempre l’elemento centrale della frase. E’ proprio il
verbo a determinare la struttura della frase. Il termine ‘valenza’ sta a indicare il numero di elementi
linguistici la cui presenza all’interno di una frase è necessaria affinchè la frase risulti ben formata.
Ricordiamo che in base al numero di argomenti richiesti dal verbo si possono riconoscere classi diverse di
verbi: 1) zerovalenti 2)monovalenti 3) bivalenti 4)trivalenti 5)tetravalenti. Possono fungere da argomenti
sintagmi nominali e sintagmi preposizionali. Più rilevante è che possono valere come argomenti anche in
intere frasi formando strutture semplici o complesse. Il verbo costituisce il ‘nucleo’ della frase, ma in una
frase ci possono essere anche argomenti che non dipendono dal nucleo e sono detti ‘circostanziali’.

RUOLI SEMANTICI

Un altro ordine di principi che intervengono nella costruzione di una frase è dato dai principi semantici che
concernono il modo in cui il referente di ogni sintagma contribuisce e partecipa all’evento rappresentanti
dalla frase. Per individuare tali funzioni, chiamate ruoli semantici occorre spostarti dalla considerazione
della frase come struttura sintattica. La frase è vista dalla prospettiva del significato, per cui essa si
configura globalmente come una sorta di scena nella quale i personaggi interpretano delle parti. Le parti
sono appunto i ‘ruoli semantici’. Ci sono varie categorie: Agente= ruolo dell’entità animata che si fa part
attiva e provoca ciò che accade; Paziente= ruolo dell’entità che è coinvolta senza intervento attivo in
quanto subisce passivamente ciò che accade; Sperimentatore= provoca un certo stato psicologico;
Beneficiario= trae benefizio dall’azione; Strumento=entità inanimata mediante la quale avviene ciò che
accade; Destinazione= entità verso la quale si dirige l’attività espressa dal predicato. Altre categorie sono
per esempio: località= ruolo dove sono situate le azioni; provenienza=ruolo dell’entità dalla quale un’entità
si muove in relazione all’attività espressa dal predicato; dimensione= ruolo dell’entità che indica una
determinata estensione nel tempo; comitativo= ruolo dell’entità che partecipa all’azione svolta dall’agente.

Anche per i predicato possono essere distintivi diversi ruoli semantici come ‘processo ‘azione’ stato’. In una
frase passiva è diversa la distribuzione del rapporto fra ruoli semantici e funzioni sintattiche poiché l’agente
diventa complemento oggetto. All’interno della classe dei verbi si distinguono: ‘verbi transitivi- intransitivi’,
‘verbi inaccusativi’ ovvero che richiedono come ausiliare essere, e ‘verbi inergativi’ che richiedono come
ausiliare avere.

STRUTTURA PRAGMATICO INFORMATIVA

Una frase collega la rappresentazione di un evento ad una catena fonica costituita dai suoni del linguaggio
che danno forma alla materia grezza del segnale. A seconda dell’evento scegliamo nel patrimonio lessicale
un certo predicato, un verbo che reca con sé uno schema valenziale. A questo schema viene fornita una
interpretazione semantica attraverso l’assegnazione di ruoli semantici ai diversi elementi che esso contiene.
I ruoli semantici vengono tradotti in funzioni sintattiche. Nel governare la strutturazione del prodotto finale
della sintassi, le frasi, vi è però quello dell’organizzazione pragmatico informativa. Di solito si distinguono 5
tipi di frasi divere:

- Frase dichiarative, che fanno un’affermazione


- Frasi interrogative, che pongono una domanda
- Frasi esclamative, che esprimono un’esclamazione
- Frasi iussive, che esprimono un ordine
- Frasi ottative, che esprimono un desiderio.

Una frase può essere vista come un’affermazione fatta attorno a qualcosa. Da qui la distinzione fra tema e
rema. TEMA è ciò su cui si fa un’affermazione, l’entità attorno a cui si predica qualcosa. Il REMA è la
predicazione che viene fatta, l’informazione che viene fornita a proposito del tema. Un’opposizione
corrispondente a tema/rema è quella fra dato e nuovo. DATO è l’elemento della frase da considerare
noto, NUOVO è l’elemento portato come informazione non nota. La distinzione fra tema/rema e
dato/nuovo riflette due aspetti diversi del processo di elaborazione che porta alla produzione di una frase:
da un lato si sceglie ciò di cui si vuol parlare (tema) e si afferma qualcosa a proposito di questo (rema),
dall’altro si tiene conto della differenza fra informazione già conosciuta (dato) e informazione che si ritiene
nota (nuovo). In italiano, possono svolgere tale compito le costruzioni note come dislocazione a sinistra
che spostano alla sua sinistra uno degli elementi che la costituiscono. Essa anticipa all’inizio della frase un
costituente riprendendolo con un pronome clitico sul verbo e ne rappresenta la funziona sintattica. Due
altri tipi di frasi marcate per spostamento di costituenti sono la dislocazione a destra che consiste
nell’isolare sulla destra un costituente e la frase scissa che consiste nello spezzare una frase in due parti
portando all’inizio un costituente e facendolo seguire da una frase relativa, essa serve quindi per
evidenziare un elemento della frase come carico informativo. Questo elemento svolge una funzione di
‘focus’, ovvero il punto di maggior salienza comunicativa della frase, l’elemento su cui si concentra
maggiormente l’interesse del parlante e che fornisce la massima quantità di informazione.

ORDINI MARCATI DEL COSTITUENTE DI FRASE

possiamo analizzare una frase secondo 4 diverse prospettive, quattro punti di vista che interagiscono fra di
loro e ci permettono di comprendere la struttura della frase:

- La prospettiva configurazionale, relativa alla struttura in costituenti


- La prospettiva sintattica propriamente detta, relativa alle funzioni sintattiche
- La prospettiva semantica, relativa ai suoi ruoli semantici
- La prospettiva pragmatico-informatica, relativa all’articolazione in tema/rema

CENNI DI GRAMMATICA GENERATIVA E LE REGOLE IN SINTASSI

Nella linguistica ha acquistato sempre importanza la grammatica generativa, la trattazione generativa della
sintassi presenta un grado molto elevato di tecnicità. La grammatica generativa è una grammatica che
intende predire in maniera esplicita e formalizzata le frasi possibili di una lingua.

Teoria generativa

Il linguaggio verbale è concepito come un sistema cognitivo. L’insieme di tali conoscenze è chiamato
competenza. La competenza:

- È un’entita interna alla mente umana


- È una misura inconscia sempre in grado di giudicare se una data produzione linguistica sia o
non sia accettabile nella propria lingua basandosi soltanto su ‘intuizioni’
- È individuale
- È innata

Il suo scopo è di costruire una teoria della competenza. Un ruolo rilevante è svolto dalla teoria dei principi
e dei parametri. Una grammatica è costituita da un lessico cioè parole con il loro significato e le loro
proprietà e da regole che governano i diversi aspetti della grammatica e descrivono il meccanismo di
formazione delle frasi. ‘regole’ vanno intese come ‘istruzioni’ da applicare nella generazione di un
determinato prodotto. In sintassi è utile vedere le regole come corrispondenti alle successive ramificazioni
di un indicatore sintagmatico. Le regole possono anche avere come uscita specifici elementi lessicali e si
tratta di regole di inserzione lessicale ovvero le regole che riempiono i nodi terminali dell’albero. Le regole
possono essere ricorsive quando è contenuto di nuovo il simbolo di categoria che rappresenta l’entrata di
una regola. Esse rendono molto potente la grammatica consentendo di formare costrutti anche con
elementi dello stesso sottolivello inseriti gli uni dentro gli altri. Le regole contengono una barra obliqua
sono regole contestuali che si possono applicare solo nei contesti specificati da quanto viene formalizzato
dopo la barra. Nelle regole possono essere espressi anche tratti, questi tratti costituiscono le
sottocategorizzazioni cioè specificano quali elementi della classe designata dal simbolo di categoria siano
combinabili con un determinato altro elemento. Ogni frase di una lingua ha quindi un indicatore
sintagmatico che ne rappresenta la struttura e l’interpretazione. È stato inoltre introdotto una distinzione
fra struttura superficiale che è la forma sintattica della frase così come appare, e la struttura profonda che
è la struttura che la frase ha a un livello più profondo, essa è l’organizzazione strutturale astratta che sta
dietro a ogni frase possibile prodotta con una certa struttura superficiale. La sintassi generativa nella sua
attuale configurazione (minimalismo) ha lasciato spazio alla formalizzazione di elementi inerenti al valore
pragmatico delle frasi, ma è comunque una sintassi frasale, rigorosamente basata sull’entità ‘frase e
sintagma’. Assunto centrale della linguistica cognitiva è che nella lingua e nella produzione verbale
agiscono gli stessi meccanismi della mente umana. L’unità primaria della grammatica è la costruzione,
ovvero ogni schema sintattico costruito da un’aggregazione di parole dotata di strutturazione interna che
compare nell’uso e reca un particolare valore semantico e pragmatico.

OLTRE LA FRASE

Frasi complesse

Spesso le frasi non vengono organizzate come unità isolate, ma si combinano in sequenza strutturale anche
lunghe dette appunto sintassi del periodo. La coordinazione si ha quando diverse proposizione vengono
accostate l’una all’altra senza che si ponga tra esse un rapporto di dipendenza, mentre si ha
subordinazione quando vi è un rapporto di dipendenza tra le proposizione in quanto una si predenta come
inferire ad un’altra e la presuppone. Gli elementi che realizzano i rapporti di coordinazione o
subordinazione tra le frasi sono chiamati connettivi. La coordinazione è realizzata con congiunzioni del tipo
‘ e, ma , o’; la subordinazione con congiunzione come ‘ perché, che , quando ecc’. le frasi subordinate si
possono distinguere in tre categorie:

- Le frasi avverbiali, che modificano l’intera frase da cui dipendono


- Le frasi completive che sostituiscono un costituente nominale maggiore
- Le frasi relative che modificano un costituente nominale della frase, hanno sempre un
nome.

TESTI

Al di sopra dell’unità frase bisogna riconoscere il ‘testo’, il quale è definibile come una combinazione di frasi
più il contesto in cui essa funziona da unità comunicativa. Per contesto si intende il contesto linguistico
ovvero la parte di comunicazione verbale, e il testo extralinguistico ovvero la situazione specifica in cui la
combinazione di frasi è prodotta. Nella linguistica testuale ci sono elementi e fenomeni appartenenti alla
struttura sintattica di una frase il cui comportamento non è spiegabile né descrivibile se non uscendo dalla
sintassi della frase e facendo riferimento al contesto situazionale, uno di questi è la pronominalizzazione
ovvero il comportamento dei pronomi personali. Le anafore individuano elementi che rimandando a
un’identica entità designata. I pronomi hanno valore anaforico quando per la loro interpretazione occorra
far riferimento al contesto situazionale: col termine di deissi, si designa la proprietà di una parte dei segni
linguistici di indicare cose presenti nella situazione o nello spazio in cui essa si trova. Ci sono 4 principali tipi
di deissi:

1. Deissi personale che codifica il riferimento al parlante e ha come centro il parlante stesso
2. Deissi spaziale codifica le posizioni delle entità chiamate in causa rispetto al luogo in cui si trovano
3. Deissi temporale specifica la localizzazione degli eventi nel tempo rispetto al momento
dell’enunciazione
4. Deissi sociale per designare gli elementi usati per codificare le relazioni sociali dei partecipanti
all’interazione

L’elissi consiste nella mancanza di elementi che sarebbero indispensabili per dare luogo a una struttura
frasale completa e che sono ricuperabili per l’interpretazione della frase. I segnali discorsivi sono
elementi estranei alla strutturazione della frase e svolgono il compito di esplicitare l’articolazione
interna del discorso.
CAPITOLO 5
IL SIGNIFICATO

La parte della linguistica che si occupa del significato è la semantica. Il significato non è visibile ed è il punto
di sutura fra la lingua, la mente e il mondo esterno. Lo studio del significato si situa all’incrocio di linguistica,
filosofia, psicologia etc, e ciascuna di queste aree disciplinari affronta il problema del significato secondo
sue impostazioni peculiari. Nella linguistica si sono diffuse da un lato prospettive di impianto filosofico e
logico che vedono il significato in termini di operazioni astratte con le quali si costruisce la rappresentazione
mentale della realtà; e dall’altro lato prospettive di carattere cognitivista, che vedono il significato come
struttura cognitiva basata sul complesso dell’esperienza umana. Nella prima direzione si procede con
modelli formali che vanno a sfociare nella sintassi, per cui semantica formale e sintassi formale sembrano
venire a coincidere. Definire e analizzare il significato è difficile e problematico, anche solo dal punto di
vista della linguistica: possiamo dire che esistono due modi fondamentali di concepirlo, all’interno dei quali
si possono poi trovare diversi approcci teorici. Vi è una concezione referenziale (o concettuale) del
significato: il significato in questo caso è visto come un concetto, un’immagine mentale; vi è una concezione
operazionale ovvero ciò che accomuna i contesti d’impiego di un segno e ne permette l’uso appropriato. Il
significato è l’informazione veicolata da un segno o elemento linguistico, è importante stabilire alcune
distinzioni fra tipi diversi di significato. C’è il significato denotativo che è inteso nel senso oggettivo di ciò
che il segno descrive e rappresenta, corrisponde al valore di identificazione di un elemento della realtà
esterna. C’è poi il significato connotativo inteso come soggettivo, connesso alle sensazioni suscitate da un
segno e alle associazioni a cui esso da luogo es. gatto ha come significato denotativo ‘felino domestico ‘ e
connotativo ‘animale furbo e grazioso’. Un’altra distinzione è quella fra significato linguistico e sociale: il
significato linguistico è il significato che un termine ha in quanto elemento di un sistema linguistico
codificante una rappresentazione mentale, il significato sociale è il significato che un segno può avere in
relazione ai rapporti fra i parlanti cioè che esso rappresenta in termini di dimensione sociale es. buongiorno
ha come s. linguistico ‘auguro una buona giornata’ come s. sociale ‘riconosco colui a cui indirizzo il saluto’. È
da notare che possono avere significato sociale elementi di tutti i livelli di analisi suscettibili di funzionare da
indici che forniscono informazione di vario genere sulla collocazione sociale del parlante. Un’altra
distinzione è quella fra significato lessicale ovvero i termini che rappresentano oggetti concreti o astratti,
significato grammaticale i termini che rappresentano concetti interni al sistema linguistico, alle categorie
che esso prevede. I termini dal significato lessicale vengono chiamati parole piene, quelli dal significato
grammaticale parole vuote. Un’altra distinzione è quella fra significato e SENSO, per senso si intende il
significato contestuale, la specificazione che il contenuto di un termine assume ogni volta che viene usato
in una produzione linguistica in un certo contesto es. finestra ha come significato ‘apertura in una parete’
ma viene usato per designare le aperture verso l’esterno. I nomi propri sono etichette che designano un
individuo e non una classe che hanno solo estensione e non intensione; il che significa che noi possiamo
avere conoscenze enciclopediche su un certo Antonio, ma non è possibile dire da che cosa sia costituito il
significato del termine. Intensione ed estensione valgono rispettivamente l’insieme delle proprietà che
costituiscono il concetto designato da un termine e l’insieme degli individui a cui il termine si può applicare.
L’intensione di cane è l’insieme di proprietà che costituiscono la ‘caninità’, l’estensione è data da tutti i
membri della classe dei cani.

IL LESSICO

Il LESSEMA, corrisponde a una parola considerata dal punto di vista del significato: studiare il lessema gatto
o cane significa studiare i significati linguistici delle parole. L’insieme dei lessemi costituisce il suo lessico. Lo
studio del lessico viene definito ‘lessicologia’ che si pone a cavallo fra semantica e morfologia derivazionale.
La lessicografia è invece lo studio dei metodi e della tecnica di composizione dei vocabolari cioè le opere
che raccolgono il lessico. Il lessico è uno dei due componenti essenziali di una lingua; senza lessico non
esisterebbe una lingua, non potremmo comunicare verbalmente. Il lessico è lo strato della lingua più
ampio.

RAPPORTI DI SIGNIFICATO FRA LESSEMI

Il lessico è un elenco caotico di lessemi. Un primo compito della semantica è quello di cercare di mettere
odine in questo insieme disordinato.

OMONIMIA E POLISEMIA

Una prima notazione che si incontra è quella di omonimia, ovvero lessemi che abbiano lo stesso
significante ma a cui corrispondono significati diversi, non imparentati fra di loro e non derivabili l’uno
dall’altro. Es. ‘riso’ atto di ridere e ‘riso’ cereale. L’omonimia si può distinguere fra termini ‘omografici’ es
parole come pesca=atto di pescare e pesca=frutto e termini ‘omofoni’ per es. pianta/pianta della stanza.
Invece per polisemia si intende una parola con più significati per es. corno= protuberanza del capo di molti
animale o strumento musicale. un caso di polisemia è l’enantiosemia che si ha quando significati diversi
dello stesso termine sono tra di loro in un rapporto di opposizione es tirare significa lanciare o trarre
attraverso sé.

RAPPORTI DI SIMILARITA’

Alcuni rapporti sono basati sulla compatibilità fra lessemi. Uno di questi è la sinonimia, ovvero quei lessemi
diversi aventi lo stesso significato es.gridare/urlare, pietra/sasso. Avere lo stesso significato implicherebbe
l’essere intercambiabili in tutti i possibili contesti, il che è un requisito difficile dato che spesso la
sostituzione di un termine con un suo sinonimo crea delle sfumature diverse di significato aggiungendo
valori connotativi. Occorre quindi valutare la sinonimia nei confronti del solo significato denotativo, quindi
parlare di ‘quasi sinonimia’. Un altro rapporto di somiglianza semantica è quello noto come iponimia, si
tratta di una relazione di inclusione semantica: il significato di un lessema rientra in un significato più ampio
e generico rappresentato da un altro lessema. Non va confusa con l’iponimia la relazione semantica basata
sul rapporto fra la parte e il tutto detta meronimia, è il rapporto che si ha fra i termini che designano una
parte specifica di un tutto uno e il termine che designa il tutto. Es braccio, testa sono meronimi di corpo.
Mentre la sinonimia e l’iponimia sono rapporti di carattere paradigmatico esistono anche rapporti di
compatibilità semantica sull’asse sintagmatico, uno di questi è la solidarietà semantica basata sulla
corrispondenza di un lessema rispetto all’altro es. gatto/miagolare, leccare/lingua.

RAPPORTI DI OPPOSIZIONE

Fra i rapporti di incompatibilità semantica va menzionata l’anonimia, ovvero due lessemi di significato
‘contrario’ nel senso che designano i poli opposti di una scala. Due altre relazioni di incompatibilità
semantica sono la complementarità, ovvero due lessemi di cui uno è la negazione dell’altro in quanto
spartiscono uno stesso spazio semantico in due sezioni opposte; l’inversione, due lessemi di significato
relazionale che esprimono la stessa relazione semantica vista da due diverse direzioni es.
comprare/vendere.

INSIEMI LESSICALI
È possibile individuare insiemi o sottosistemi lessicali, gruppi di lessemi che costituiscano complessi
organizzati, in cui ogni elemento è unito agli altri da rapporti di significato. Il concetto più noto è quello di
campo semantico, ovvero l’insieme dei lessemi che coprono le diverse sezioni di un determinato spazio
semantico. Una nozione più generica è la sfera semantica, termine con il quale si può designare ogni
insieme di lessemi che abbiamo in comune il riferimento a un certo ambito semantico, un insieme di attività
fra loro collegate. Le sfere semantiche contengono numerosissimi termini. Una famiglia semantica è un
insieme di lesemi imparentati nel significato e nel significante. Si tratta cioè dell’insieme delle parole
derivate da una stessa radice lessicale. Una gerarchia semantica è invece costituita da un insieme in cui
ogni termine è una parte determinata di un termine che nell’insieme lo segue in una certa scala di misura.
Molti lessemi sono suscettibili di assumere significati che si allontanano dal significato primario, i processi
fondamentali su cui si basano gli spostamenti di significato sono la metafora fondata sulla somiglianza e la
metonimia fondata sulla contiguità concettuale.

L’ANALISI DEL SIGNIFICATO

L’analisi del significato dei lessemi pone problemi insolubili. Uno dei metodi è l’analisi componenziale,
questo principio tratta di scomporre il significato die lessemi comprandoli gli uni con gli altri e cercando di
cogliere in che cosa differisca il loro rispettivo significato. I componenti semantici invece sono parole
semplici dove è facile capire il loro minimo significato. I tratti semantici mantengono la loro importanza in
linguistica come fattori di sotto categorizzazione del significato delle entità lessicali che intervengono in
maniera pertinente anche nel comportamento sintattico.

SEMANTICA PROTOTIPICA

La semantica componenziale concepisce il significato di un lessema come costituito da un insieme di tratti


semantici categorici, tutti ugualmente necessari e sufficienti a descriverlo. Il che presuppone una
concezione particolare delle categorie stesse, presuppone cioè che una data categoria sia da intendersi
come un’entità definita a) proprietà tutte necessarie e sufficienti b) delimitata da confini rigidamente netti
c) costituita da membri tutti rappresentativi di quella categoria. Si è andato affermando una concezione
delle categorie fondata su presupposti diversi, secondo questi una categoria andrebbe intesa come a)
definita sia da un nucleo di proprietà di carattere categorico, necessarie, sia da carattere graduale, non
essenziali b) delimitata da confini sfumati, in sovrapposizone con quelli di altre categorie c) costituita da
membri più tipici e altri meno rappresentativi. Il significato di un lessema in semantica prototipica è
concepito come prototipo, ovvero rappresenta l’immagine mentale che per i parlanti di una certa cultura e
società corrisponde l’immagine mentale a cui si fa riferimento. I componenti semantici non sono più una
lista fissa di proprietà necessarie per definire il significato di un lessema, ma diventano un insieme di criteri
più o meno importanti nell’identificare una categoria. Alcuni tratti sono tipici, altri no. I concetti hanno una
struttura interna basata sulla gradualità e non solo sulla categoricità. La semantica prototipica non si
oppone del resto a una concezione delle categorie nei termini di una configurazione di proprietà ma
all’esistenza di un insieme chiuso di proprietà tutte discrete volto a definire l’intero complesso dei membri
di una data categoria. Graduale è la rappresentatività dei diversi membri di una categoria nei confronti
della stessa. Un concetto importante nella semantica è quello di grado di esemplarità. una conseguenza
della semantica prototipica consiste nel rendere sfumati i confini delle categorie, che non risultano più netti
e ben separabili come nella visuale della semantica componenziale: i termini che sono meno tipici per una
categoria e ne stanno ai margini possono anche essere considerati membri di un’altra categoria. La
semantica prototipica ha introdotto utili correttivi ad una concezione troppo rigida e limitante dell’analisi
componenziale. Una concezione prototipica risulta più corrispondente alla realtà dei fatti quando si
vogliano definire concetti raggruppanti elementi molto eterogenei, ed in quanto tale ha avuto successo
anche nel determinare le categorie della stessa metalingua della linguistica.

CENNI DI SEMANTICA FRASALE

Il significato di una frase è la somma e combinazione dei significati dei lessemi che la compongono. Questo
non esaurisce però il senso globale di una frase, l’informazione che essa veicola e il valore comunicativo con
cui viene impiegata. Una prima distinzione da fare è quella tra frase, ovvero unità di analisi nella sintassi, ed
enunciato una frase considerata dal punto di vista del suo concreto impiego in una situazione
comunicativa. Elementi cruciali per l’interpretazione del valore degli enunciati sono i connettivi che hanno il
valore di operatori logici: questi si dividono in quantificatori e la negazione. Ricerche di semantica hanno
messo in evidenza la questione della composizionalità del significato ovvero l’importanza dell’interazione
fra i significati e le proprietà semantiche dei singoli lessemi negli enunciati. Un autore ha esaminato il
significato lessicale individuano 4 principi: il primo è la semplice composizione dove il significato della frase
è la somma dei significati di base di ogni singolo elemento. Il secondo principio è la ‘cocomposizione’ in
base a cui il significato degli argomenti di un verbo contribuisce a definire il significato del verbo. Il terzo
principio è la ‘coercizione’ e riguarda i casi in cui è il significato del verbo a condizionare il significato di un
suo argomento.

ELEMENTI DI PRAGMATICA

Un altro aspetto importante del significato degli enunciati è quello pragmatico che riguarda che cosa si fa,
con la produzione di un enunciato, in un determinato contesto situazionale e chiama direttamente in causa
l0intenzionalità del parlante. La lingua è studiata come modo d’agire e non più come sistema di
comunicazione. Gli enunciati prodotti nella normale interazione verbale costituiscono degli atti linguistici,
ovvero unità di base dell’analisi pragmatica e consta di tre distinti livelli.

a. Atto locutivo che consiste nel formare una frase in una data lingua
b. Atto illocutivo che consiste nell’intenzione con la quale e per la quale si produce la frase,
nell’azione che si intende convenzionalmente
c. Atto perlocutivo che consiste nell’effetto che si vuol provocare nel destinatario del messaggio, nel
risultato concreto ottenibile da un enunciato prodotto in una determinata situazione.

L’aspetto centrale degli atti linguistici è l’atto illocutivo che definisce la natura e il tipo dell’atto linguistico
messo in opera. Sono atti illocutivi la richiesta, la promessa, l’ordine, l’invito ecc. i singoli atti linguistici
possono essere ricondotti a un certo numero di classi designati con termini quali ‘direttivi e commisivi’.
Ciascun atto è caratterizzato da una certa serie di condizioni necessarie perché l’atto valga come tale. Vi
sono verbi particolari che usati alla prima persona del presente indicativo annullano la distinzione fra
contenuto referenziale e atto illocutivo e sono i verbi performativi, essi sono usati per fare qualcosa e non
per dire qualcosa. La teoria degli atti linguistici ha enucleato e descritto le condizioni di carattere linguistico
e semantico, ma anche sociale e convenzionale, che devono essere soddisfatte perché un determinato atto
illocutivo valga come tale, cioè rappresenti sia per il parlante che lo produce che per il destinatario che lo
riceve la specifica azione voluta. Un’altra nozione importante per la semantica frasale e la pragmatica è
quella di significato implicito, si tratta di tutto ciò che è ricavato da ciò che viene detto e da come lo si dice.
Esistono regole della conversazione note come ‘MASSIME DI GRICE’ dal filosofo del linguaggio che le ha
formulate, medianti le quali si può dar conto dei meccanismi con cui i parlanti attuando significati impliciti
del genere, ovviamente assai importanti nell’andamento verbale. Tali massime sono basate sull’assunzione
che fra i partecipanti a un’interazione comunicativa viga un ‘principio di cooperazione’ e sono riunibili in
quattro categorie dette:

- Della QUANTITA’= dare un contributo tanto informativo quanto è richiesto, che non rechi
troppa informazione ma nemmeno poca
- Della QUALITA’= dare un contributo che sia vero o il più possibile verificabile
- Della RELAZIONE= essere pertinenti
- Del MODO= esprimersi chiaramente evitando ambiguità, oscurità, confusione.

La violazione di una o più categorie genera implicature conversazionali che trasmettono il significato voluto.
Un tipo particolare di significato è la presupposizione ovvero la parte del significato che rimane vera,
negando la frase. Essa si configura come ciò che in un enunciato il parlante assume come vero e quindi
assodato al momento di produrre tale enunciato. Ogni volta che diciamo qualcosa, poniamo delle
presupposizioni, che riteniamo condivide dal destinatario del nostro messaggio.

CAPITOLO 6
LE LINGUE DEL MONDO

Le lingue storico-naturali che rappresentano la realizzazione della facoltà del linguaggio sono numerose. Le
cifre proposte dagli studiosi sono assai contrastanti. Enumerare tutte le diverse lingue del mondo è un
compito molto difficile, certe aree linguistiche sono tuttora insufficientemente studiate; soprattutto spesso
è tutt’altro che semplice stabilire se diverse parlate tra loro simili sono da considerare varietà o dialetti di
una stessa lingua oppure sono lingue a sé stanti. L’ITALIA è già un caso esemplare per questo problema, ci si
pone una domanda: quante lingue si parlano in Italia? Ovviamente l’italiano, ma bisogna tener conto non
soo della lingua nazionale comune, ma anche delle lingue delle minoranze parlate da gruppi più o meno
consistenti di parlanti in alcune aree o areole del paese. È dubbio lo statuto dei vari dialetti italiani che
avrebbero le carte in regola per essere considerati sistemi linguistici a sé stanti, autonomi rispetto
all’italiano e non sue semplici varietà. Se li calcoliamo ciascuno come lingua a sé, arriviamo ad una trentina
di lingue ‘indigene’ (non di recente immigrazione). Le lingue romanze vengono considerate ciascuna una
lingua a sé stante, mentre in altri gruppi linguistici sistemi con una distanza strutturale del tutto analoga a
quella fra le diverse lingue romanze vengono a volte considerati varietà della stessa lingua. La maniera
principale per mettere ordine in questo coacervo di sistemi linguistici consiste nel raggrupparli in famiglie,
secondo criteri di parentela genealogica, che si basano sulla possibilità di riportare le lingue ad un antenato
comune, attestato storicamente o ricostruito induttivamente a partire dalle lingue odierne. Un metodo
semplice per riconoscere un apparentamento delle lingue, è quello basato sul lessico. L’assunzione di base
è che se per questi termini troviamo lo stesso simile significato vorrà dire che questo rimanda a una forma
originaria condivisa, e che quindi le lingue che le presentano hanno un antenato comune. La ricostruzione
linguistica, cioè la descrizione di stai precedenti di una lingua non documentati, rappresentano un compito
più complesso, che si deve avvalere di ragionamenti basati non solo sulle somiglianze dei significanti, ma
anche su affinità e differenze lessicali, morfologiche e sintattiche. L’italiano ha stretti rapporti di parentela
con tutte le lingue provenienti e costituisce assieme a queste il ramo delle lingue romanze. Il ramo
romanzo, assieme ad altri rami con cui le lingue romanze hanno una parentela come le lingue germaniche,
le lingue slave, le lingue baltiche, le lingue celtiche ecc, forma la grande famiglia delle lingue indoeuropee.
Il livello della famiglia rappresenta il più alto livello di parentela ricostruibile con i mezzi della linguistica
storico-comparativa, che individua le somiglianze fra le lingue come prova della loro comunanza di origine,
ed è quindi la categoria fondamentale della classificazione delle lingue su base genetica. All’interno di una
famiglia di lingue, a seconda dei gradi più o meno stretti di parentela, si possono riconoscere dei ‘rami’ che
a loro volta si possono dividere in gruppi a seconda del grado sempre più stretto di parentela fra le lingue.
La linguistica comparativa riconosce oggi fino a un massimo di diciotto famiglie linguistiche, raggruppamenti
separati tra i quali non sono dimostrabili rapporti ulteriori di parentela. Le lingue pidgin e creole nate
dall’incontro e mescolanza in situazioni particolari di lingue per lo più tra loro assai diverse e distanti,
spesso difficili da collocare con precisione in una famiglia linguistica. Un pidgin sistema linguistico
semplificato che non ha parlanti nativi, si sviluppa in un creolo quando diventa lingua materna in una
comunità. Delle migliaia di lingue esistenti, soltanto alcune decine possono essere considerate grandi
lingue, risultavano esserci al mondo 64 lingue con più di 10 milioni di parlanti nativi. Per ‘parlanti nativi’ di
una lingua si intendono i parlanti di una lingua che hanno imparato quella lingua nella socializzazione
primaria e quindi la possiedono come lingua materna. Molte lingue si stanno estinguendo, ci sono criteri
per valutare l’importanza delle lingue sono il numero di paesi e nazioni in cui una lingua è ufficiale,
l’impiego della lingua nei rapporti internazionali, l’importanza politica e il peso economico dei paesi dove la
lingua è parlata. Dal punto di vista demografico ha molto peso anche il numero dei parlanti non nativi, che
parlano una certa lingua come lingua secondaria o straniera. In Europa sono parlate lingue di cinque
diverse famiglie linguistiche: oltre alle lingue indoeuropee troviamo l’altiche, le caucasiche e una lingua
isolata ovvero il basco.

TIPOLOGIA LINGUISTICA

Molto più interessante dal punto di vista teorico è la classificazione delle lingue secondo una prospettiva
tipologica. La tipologia linguistica si occupa di individuare che cosa c’è di uguale c he cosa c’è di differente
nel modo in cui le diverse lingue storico-naturali sono organizzate e strutturate, attuando scelta tra loro
compatibili nella realizzazione di fatti o fenomeni che ammettono più soluzioni. La tipologia è strettamente
connessa con lo studio degli ‘universali linguistici’ proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue sia sotto
forma di invarianti necessariamente possedute dalle lingue in quanto tali sia sotto forma di un repertorio di
possibilità a cui le lingue si rifanno in maniera diversa l’una dall’altra. Un universale linguistico non è
necessariamente tale solo se è manifestato da tutte le lingue conosciute. Un universale può trovare il suo
fondamento nelle proprietà che caratterizzano il linguaggio verbale umano come sistema semiotico ma
anche essere frutto dell’osservazione empirica. Sulla base di tratti strutturali comuni si possono classificare
le lingue non più dal punto di vista genealogico, bensì dal punto di vista della loro appartenenza a tipi
diversi. Un tipo linguistico si può definire come un insieme di tratti strutturali correlati gli uni con gli altri; e
equivale a un raggruppamento di sistemi linguistici aventi molti caratteri comuni. Un sistema linguistico,
realizza un certo tipo linguistico mescolando però in genere a questo caratteri di altri tipi linguistici ideali.

TIPOLOGIA MORFOLOGICA

Un primo modo di individuare tipi linguistici diversi è basato sulla morfologia, e più precisamente sulla
struttura della parola. A seconda di come è fatta una parola in una data lingua, si distinguono quattro tipi
morfologici fondamentali di lingua. Un tipo morfologico è dato dalle lingue isolanti. È isolante una lingua in
cui la struttura della parola è la più semplice possibile: ogni parola è dunque costituita dall’ indice di sintesi.
L’indice di sintesi si ottiene dividendo in un dato testo il numero dei morfemi per il numero delle parole.
Più è basso tale indice più il numero die morfemi tende a coincidere con quello delle parole, più la lingua è
detta ‘analitica’. Il nome isolanti si giustifica col fatto che tali lingue non solo isolano le singole parole, ma
esprimono significati complessi isolandoli in lessemi semplici giustapposti. Le lingue isolanti non presentano
morfologia flessionale, sono affidati al lessico. Si noti anche l’inglese presenta alcuni caratteri di lingua
isolante, grazie soprattutto alla morfologia flessionale assai ridotta che possiede. I morfemi flessionali
dell’inglese non raggiungono propriamente la decina.
Un secondo tipo morfologico è dato dalle lingue agglutinati. È agglutinante ‘incollare insieme’ una lingua in
cui le parole hanno una struttura complessa, sono formate dalla giustapposizione di più morfemi. Nelle
lingue agglutinanti i morfemi di solito hanno un valore univoco e una sola funzione; i morfemi sono
facilmente individuabili, sono anche rari fenomeni di allomorfia e di omonimia tra morfemi, e c’è nel
complesso una notevole regolarità nella grammatica. Un terzo tipo morfologico è dato dalle lingue flessive.
Sono flessive le lingue che presentano parole internamente abbastanza complesse, costituite da una base
lessicale semplice o derivata e da uno o anche più affissi flessionali che spesso sono morfemi cumulativi,
veicolando ciascuno più valori grammaticali e assommando diverse funzioni. Rispetto alle lingue
agglutinanti, hanno un indice di sintesi minore cioè le parole hanno una struttura meno complessa e sono
composte da una catena meno lunga di morfemi; vi sono molti fenomeni di allomorfia e di fusione, che
amalgamano i singoli morfemi e li rendono non ben separabili e identificabili con qualche difficoltà cosicchè
l’articolazione in morfemi delle parole risulta meno trasparente e la loro scomposizione non sempre
evidente. Proprio per la caratteristica di riunire più significati su un solo morfema flessionale e di fondere
assieme i morfemi rendendo spesso poco trasparente la struttura interna della parola, tali lingue vengono
chiamate fusive; mentre invece il termine flessive stava ad indicare alla presenza di molta morfologia
flessionale che dà luogo a più forme flesse della stessa parola. Nel tipo morfologico flessivo si distingue un
sottotipo introflessivo caratterizzato dal fatto che i fenomeni di flessione avvengono anche dentro la radice
lessicale: i morfemi flessionali e derivazionali sono in parte transfissi vocalici che si inseriscono all’interno di
una base discontinua triconsonantica, intercalandosi fra le consonanti di questa. vi è infine il quarto tipo
morfologico quello polisintetico, ovvero quelle lingue che hanno la struttura della parola più complessa.
Come le lingue agglutinanti, hanno la parola formata da più morfemi attaccati assieme, ma presentano la
peculiarità che in una stessa parola compaiono due o più radici lessicali, morfemi pieni. Le parole di queste
lingue tendono a corrispondere a ciò che nelle altre lingue sarebbero delle frasi intere; le lingue
polisintetiche presentano fenomeni i fusione che rendono poco trasparente la struttura della parola. Le
lingue polisintetiche sono chiamate anche incorporanti, che sarebbero un sottotipo delle lingue
polisintetiche, caratterizzato dalla sistematicità con cui il complemento diretto è incorporato dalle radici
verbali.

TIPOLOGIA SINTATTICA

Tipologia dell’ordine dei costituenti

Un secondo criterio in tipi linguistici è basato sulla sintassi, e precisamente sull’ordine basico dei
costituenti principali della frase, quello che si ha nelle frasi dichiarative canoniche. I costituenti sintattici
fondamentali presi in considerazione come fondamento della classificazione tipologica sono quelli che
realizzano il soggetto (S), il verbo (V) e il complemento oggetto (O). SOV è l’ordine più frequente, SVO è
poco meno attestato, VSO è il terzo ordine più frequente e il quarto è VOS. L’italiano è lingua SVO. Meno
morfologia flessionale hanno le lingue, più tendono ad avere un ordine fisso, che consente l’identificazione
delle funzioni sintattiche altrimenti ottenuta con mezzi morfologici. Collegati con questa condizione
basilare, sembrano agire due principi:

- Il principio di precedenza per cui fra i costituenti nominali il soggetto deve precedere
l’oggetto
- Il principio di adiacenza per cui verbo e oggetto devono essere contigui, in ragione della
loro stretta relazione sintattico-semantica e della dipendenza diretta del secondo dal primo

Un risultato importante della tipologia dell’ordine dei costituenti sta nella constatazione che esistono
chiare correlazioni fra l’ordine basico dei costituenti maggiori di frase e l’ordine degli elementi in altri tipi di
costrutti. Sono stati elaborati degli universali implicazionali principi generalmente validi che collegano fra
loro le posizioni di diversi elementi nella frase e nei sintagmi. Alcuni studiosi hanno cercato di costruire
tipologie complesse a partire dalla collocazione reciproca di verbo e oggetto, tralasciando il soggetto che è
esterno al rapporto di dipendenza col verbo. Sono cosi stati riconosciuti:

a. Lingue VO che costruiscono da destra


b. Lingue OV che costruiscono da sinistra.

Le posposizioni sono l’esatto simmetrico delle preposizioni, cioè elementi funzionalmente analoghi alle
preposizioni ma che stanno dopo il sintagma che reggono: un esempio potrebbe essere in italiano. In ogni
lingua c’è un certo ammontare di incoerenza tipologica.

ERGATIVITA’ E PROMINENZA TOPICALE

Merita un cenno un ulteriore parametro tipologico, che coinvolge morfologia, sintassi e semantica:
l’ergatività, che riguarda l’organizzazione dei sistemi di casi che traducono in superficie i ruoli semantici
nessi al verbo. Esistono infatti delle lingue che assegnano una marcatura diversa di caso al soggetto a
seconda che esso sia oggetto di un verbo transitivo o intransitivo. Queste lingue si chiamano ergative
perché attribuiscono una rilevanza particolare alla funzione semantica di agente. Le lingue ergative
pongono allo stesso caso il complemento oggetto di frasi transitive e il soggetto di frasi intransitive, e ad un
caso diverso il soggetti di frasi intransitive. I primi vanno al caso assolutivo, il secondo al caso ergativo. Si
dice allora anche che queste lingue contrappongono un sistema di casi assolutivo-ergativo a un sistema
nominativo-accusativo.

CAPITOLO 7
MUTAMENTO E VARIAZIONE NELLE LINGUE

LINGUE LUNGO L’ASSE DEL TEMPO –MUTAMENTO

Una proprietà molto evidente delle lingue è costituita dalla variazione. Una lingua si presenta sotto forme
diverse, mostra sempre un rilevante ammontare di possibilità e modi diversi di realizzazione delle unità del
sistema, di usi differenti. Talle differenziazione si manifesta nella diacronia; ogni lingua conosce
cambiamenti nel suo lessico e nelle sue strutture in relazione al passare del tempo e alle modificazioni che
parallelamente avvengono nella storia della cultura e della società. Nascono nella lingua nuove abitudini,
nuove parole, nuovi costrutti e altre abitudini, altre parole altri costrutti cadono. All’insieme di tali
cambiamenti si dà il nome di mutamento linguistico, e il settore della linguistica che si occupa del
mutamento è la linguistica storica (o diacronica). ‘diacronia di per sé non vuol dire storia, in quanto la
storia implica che si prenda in considerazione non soltanto la semplice evoluzione della lingua lungo l’asse
del tempo, ma anche la stretta interrelazione e i rapporti reciproci fra la lingua, la cultura e la società. Una
lingua è in continuo movimento, i cambiamenti che avvengono in una lingua sono graduali e progressivi.
Cambiamenti locali multipli in parti diverse del sistema possono sommarsi e ingrandire via via le differenze
fra uno stato di lingua e l’altro, al punto tale che ad un certo momento, quando uno stato di lingua risulti
così cambiato rispetto ai precedenti, si è in presenza di una nuova lingua. Uno dei criteri per stabilire che si
tratti di un’altra lingua è la mancanza di comprensibilità, quando ciò avviene significa che è nata una lingua.
Il fenomeno è avvenuto gradualmente quando nacquero le lingue volgari, ovvero quelle parlate dal popolo.
Il meccanismo dei mutamenti segue spesso una trafila che inizia con un’innovazione e prosegue con una
fase in cui l’innovazione si diffonde e l’elemento innovativo coesiste nel sistema con l’elemento
preesistente. Le cause e i fattori del mutamento linguistico sono molteplici, a dare origine e fornire una
certa direzione ai mutamenti linguistici vi sono sia ragioni e motivazioni interne alla lingua, sia fatti esterni
ad essa. La morte di una lingua costituisce il caso più macroscopico di mutamento linguistico. Una lingua
muore quando non ha più parlanti, la lingua che si estingue lascia tracce sulla lingua che subentra, e sono
appunto fenomeni di sostrato. ‘sostrato’ è il termine che si impiega per indicare l’influenza di una lingua
precedente sulla lingua successiva parlante. Fattori interni del mutamento linguistico sono sia le tendenze
del sistema a regolarizzare, acquisire coerenza e simmetria, sia le operazioni inconsce del parlante volte a
semplificare, sia nella produzione, sia nella ricezione le strutture della lingua.

FENOMENI DEL MUTAMENTO

I fenomeni attraverso cui si manifesta il mutamento linguistico sono molteplici e di carattere eterogeneo.
Molti fenomeni del mutamento fonetico sono validi in sincronia, dando conto dei rapporti fra diverse forme
che parole e morfemi possono assumere, e delle modificazioni che si possono avere fra le realizzazioni
dell’italiano standard e quelle di altre varietà dell’italiano. L’etimo è la forma originaria più antica da cui la
forma attuale o più recente proviene. Nel mutamento fonetico sono molto frequenti fenomeni di
assimilazione: due foni articolatoriamente diversi nel corpo della parola tendono a diventare simili
mediante l’acquisizione da parte di uno dei foni di uno o più tratti comuni con l’altro fono. L’assimilazione
può avvenire anche tra foni non contigui nella catena parlata, come nella metafonia, termine che indica la
modificazione del timbro di una vocale interna per effetto della vocale finale. Esiste anche il fenomeno
contrario all’assimilazione, ovvero la dissimilazione, differenziazione tra foni che si ha quando due foni
simili o uguali non contigui diventano diversi. Altri fenomeni di mutamento fonetico sono:

a. La metatesi spostamento dell’ordine dei foni di una parola


b. La soppressione o caduta di foni, in particolari di vocali. Queste possono avvenire in posizione
iniziale, aferesi, posizione interna, sincope, posizione finale, apocope
c. L’inserzione o aggiunta di foni: epentesi, nel corpo di una parola; protesi, all’inizio; epitesi, alla
fine; dittongazione

In linguistica storica hanno avuto molta importanza le leggi fonetiche su cui si è basata la linguistica di fine
Ottocento per ricostruire le parentele fra le lingue e la loro classificazione in famiglie. Per leggi fonetiche si
intendono mutamenti fonetici regolari che nell’evoluzione delle lingue toccano intere serie di parole. La
scoperta di leggi fonetiche ricorrenti fra parole operanti in un gruppo di lingue imparentate, ha consentito
di giungere a una classificazione rigorosa dei rapporti di parentela fra esse. A livello fonologico, fenomeni
ricorrenti sono:

a. Fonologizzazione= Allofoni di un fonema acquisiscono valore distintivo e diventano fonemi


autonomi
b. Defonologizzazione= Fonemi perdono il loro valore distintivo e diventano allofoni di un altro
fonema
c. Perdita di fonemi= l’approssimante laringale del latino /h/ è scomparsa in italiano.

I mutamenti fonetici possono anche consistere in spostamenti a catena. Fra gli esempi più noti di
mutamento a catena vi sono le rotazioni consonantiche. Nella morfologia possono cadere categorie o
distinzioni morfologiche e nascerne di nuove, e i morfemi possono cambiare le loro regole di impiego. Uno
dei principali meccanismi che agiscono nella morfologia è l’analogia, che consiste nell’estensione di forme a
contesti in cui essere non sono appropriate, sul modello dei contesti più frequenti e normali. L’analogia è
un fato regolarizzante che crea simmetria eliminando le eccezioni.
Fenomeni importanti e interessanti sono la rianalisi e la grammaticalizzazione. Un esempio di rianalisi è la
formazione nelle lingue romanze del passato prossimo, inesistente in latino. La nascita di questo nuovo
tempo verbale implica una diversa analisi e interpretazione del valore semantico e del comportamento
sintattico del verbo habere che il latino ha il solo significato di possedere. Nella trafila precedente avviene
anche il passaggio del verbo habere da parola piena (con significato lessicale autonomo) a parola vuota
(verbo ausiliare), cioè un fenomeno di grammaticalizzazione. Per grammaticalizzazione si intende il
mutamento per cui un elemento del lessico diventa un elemento della grammatica: un lessema perde il suo
valore semantico lessicale e viene assorbito dalla grammatica come parola funzionale. I fenomeni più
rilevanti nel mutamento sintattico concernono di solito l’ordine dei costituenti. Nella semantica lessicale, il
mutamento si manifesta in primo luogo come arricchimento del lessico, vale a dire con l’ingresso
nell’inventario dei lessemi di una lingua di nuove unità. L’arricchimento del lessico può avvenire con
materiali e mezzi interni alla lingua, utilizzando meccanismi di formazione di parola. Avviene anche il
fenomeno opposto, la perdita di lessemi. Avvengono cambiamenti nelle associazioni fra significanti e
significati, quando un diverso significante è riferito a un significato esistente, o viene attribuito un nuovo
significato a un significante esistente. i meccanismi di tali mutamenti si basano su vari tipi di rapporti fra i
significati, in primo luogo rapporti di somiglianza es. in latino ‘testa’ vaso di terracotta, ita ‘testa’ capo. Un
genere di reinterpretazione interessante, è la cosiddetta paretimologia, vale a dire la risemantizzazione di
una parola mediante la rimotivazione del suo significato, che la rende più ‘trasparente’ attraverso
l’apparentamento a una parola nota. Spesso quello che cambia è l’area semantica: cosi, si hanno estensioni
o al contrario restringimenti. In questo ambito rientrano anche i mutamenti semantici per tabuizzazione
che riguardano l’interdizione di parole relative a determinate sfere semantiche e ai concetti a essere
attinenti, che vengono sostituite da altre parole di significato non diretto dette eufemismi. i mutamenti
possono anche coinvolgere campi semantici portando a una loro ristrutturazione. Mutamenti si hanno
anche nella pragmatica, nel modo in cui si interagisce con gli interlocutori, il sistema dell’allocuzione.

LA VARIAZIONE SINCRONICA

Ogni lingua conosce al suo interno usi diversificati, forme differenti in relazione a diversi fattori sociali.
Mediante tali differenziazioni la lingua si adatta a tutti i vari contesti d’impiego possibili in una cultura e
società, permette di esprimere anche i significati sociali e valori simbolici di varia natura. La ragione ultima
della variazione linguistica sta nel suo essere funzionale ai diversi bisogni comunicativi e più ampiamente
sociali a cui per i suoi parlanti una lingua deve rispondere in un certo periodo storico in una certa comunità.
La variazione interna della lingua è il campo specifico di azione della sociolinguistica. La sociolinguistica
studia cosa accade quando un sistema linguistico è calato nella realtà concreta degli usi che ne fanno i
parlanti nelle loro interazioni verbali, quindi mette i correlazione la lingua con la società e con gli usi
linguistici delle persone. Un insieme di forme linguistiche che abbiano la stessa distribuzione sociale, cioè
che cooccorrano in concomitanza con certe caratteristiche della società, costituisce una varietà di lingua.
Per definire una varietà di lingua occorre far riferimento sia ai fatti linguistici, sia ai fatti sociali. ‘varietà di
lingua’ è un concetto essenziale nella prospettiva sociolinguistica: una lingua si presenta sempre sotto
forma di una determinata varietà, una varietà di lingua è costituita da un insieme di varianti tra di loro
solidali cioè dotate dello stesso grado o natura di marcatezza. Quindi sono le variabili sociolinguistiche a
dare vita alla varietà linguistica. Una variabile sociolinguistica è un’unità del sistema linguistico che
ammette realizzazioni diverse che non mutano il valore di quell’unità del sistema e non ne cambiano il
significato.
DIMENSIONI DI VARIAZIONE

Le varianti possono correlare con diversi fattori sociali, della società nel suo insieme o del concetto
situazionale e pragmatico. Si riconoscono di solito quattro fondamentali dimensione di variazione:

1. Diatopia= riguarda la variazione nello spazio geografico, attraverso i luoghi in cui una lingua è
parlata
2. Diastratia= riguarda la variazione nello spazio sociale, attraverso le classi o strati sociali e gruppi di
parlanti e reti sociali in una società
3. Diafasia= riguarda la variazione attraverso le diverse situazioni comunicative
4. Diamesia= riguarda la variazione attraverso il canale della comunicazione

Le varietà diatopiche dell’italiano sono i cosiddetti italiani regionali. Nel lessico sono numerosi i
geosinonimi cioè termini differenti usati in diverse regioni d’Italia per designare lo stesso oggetto es.
anguria al nord Cocomero in Toscana Melone al centro. Sono anche frequenti i regionalismi semantici cioè
significati particolari assunti da un lessema in una determinata area es. salire in Campania ha il significato di
‘portare su o far salire’. Tutti questi fenomeni sono caratteristici delle varietà ‘basse’ così definite perché
stanno verso l’estremo basso. Molti di questi fenomeni dipendono dal cattivo padroneggiamento della
lingua standard da parte di parlanti non colti o semicolti che parlano dialetto. Nel loro insieme tali varietà
sono state chiamate italiano popolare. Anche l’asse della diafasia è orientato da un estremo alto a un
estremo basso. La dimensione diafasica è più complessa delle altre e vanno riconosciute: l’asse dei registri e
quello dei sottocodici. I registri sono le varietà diafasiche dipendenti dal carattere formale dell’interazione
comunicativa e dal ruolo reciproco di parlanti e interlocutori; I sottocodici sono le varietà diafasiche
dipendenti dall’argomento di cui si parla. I sottocodici sono caratterizzati da termini tecnici o scientifici
(tecnicismi). Ogni parlante di una lingua ha a disposizione una certa gamma di registri e si sa muovere lungo
di essa a seconda dei caratteri della situazione. Molti tratti in comune con la variazione diafasica presenta la
variazione diamesica, in quanto la lingua parlata tende a coincidere col registro informale, e la lingua scritta
con il registro formale. Anche nella diamesia conviene comunque considerare due sottodimensioni fra loro
incrociate, l’una connessa al carattere fisico del mezzo, l’altra connessa alle caratteristiche strutturali di
elaborazione interna del messaggio: si può cosi distinguere da un lato un modo fonico opposto a un modo
grafico e dall’altro un modo parlato opposto a un modo scritto. L’insieme della varietà di lingue lungo in cui
si articola una lingua storico-naturale in un dato periodo temporale e della loro collocazione lungo i diversi
assi di variazione può essere chiamato architettura di quella lingua

REPERTORI LINGUISTICI

L’insieme delle varietà di lingua presenti presso una certa comunità sociale costituisce il repertorio
linguistico di quella comunità. Le varietà che formano il repertorio possono essere varietà della stessa
lingua, o varietà di più lingue diverse: si hanno quindi repertori monolingui e plurilingui. Almeno una delle
lingue presenti nel repertorio han una varietà standard, ed è quindi una ‘lingua standard’, essa è una lingua
codificata, dotata di una norma prescrittiva, con un repertorio di manuali di riferimento e di testi esemplari
per lo più con una tradizione letteraria prestigiosa e di lingua data; è tendenzialmente unitaria, è adottata
come modello per l’insegnamento scolastico ed è ritenuta dai parlanti della comunità la ‘buona’ e ‘corretta’
lingua. Il DIALETTO è un concetto meno univoco di quel che possa sembrare, possono sembrare dialetti
sistemi linguistici imparentati con la lingua standard; questo è il caso dei dialetti italiano. Possono essere
dialetti varietà risultanti dalla diversificazione su bade territoriale di una certa lingua dopo che questa si è
diffusa in un paese. In un repertorio spesso vi sono anche lingue di minoranza: queste sono varietà di lingua
non imparentate con la lingua standard e rappresentanti una cultura e una tradizione etnica diverse da da
quella dominante in un paese che costituiscono appunto minoranze linguistiche. In repertori plurilingui è
raro che i diversi sistemi linguistici siano sullo stesso piano negli usi e negli atteggiamenti della comunità
parlante e svolgono le medesime funzioni. La situazione più diffusa è quella in cui c’è fra le diverse lingue
una diversificazione delle funzioni e della collocazione nel repertorio. A una situazione di bilinguismo in cui
le due lingue coprano ambiti e ruoli differenziati ci si riferisce di solito con termine diglossia (duplicità di
lingua). Una situazione come quella molto comune nelle regioni italiane in cui sono presenti l’italiano e il
dialetto ha caratteristiche un po’ diverse. Le due varietà di lingua sono di differenti ambiti, la varietà bassa è
solo dell’uso parlato informale, mentre negli usi scritti e amministrativi e nell’insegnamento scolastico
compare solo la varietà alta, quest’ultima viene impiegata anche nel parlato quotidiano ed è per la
maggioranza della popolazione lingua primaria. Per indicare tale tipo di repertorio è stata proposta la
dilalia(duplicità nel parlare).

IL CONTATTO LINGUISTICO

Fra lingue diverse i cui parlanti vengano in qualche modo o si trovino ad avere rapporti comunicativi, si crea
tutta una serie di fenomeni di contatto, variamente condizionati dai caratteri sociolinguistici delle comunità
interessate. Fra i principali fenomeni vanno menzionati l’interferenza e i prestiti da un lato, e la
commutazione di codice dall’altro. L’interferenza riguarda l’influenza e l’azione che un sistema linguistico
può avere su un altro, e il termine è spesso usato per coprire tutta la gamma di fenomeni che avvengono e
che consistono nel trasferimento di materiali linguistici da una lingua ad un’altra. L’interferenza può
riguardare tutti i livelli di analisi ed è particolarmente evidente nei parlanti bilingui. Quando ciò che viaggia
da una lingua a un’altra è materiale linguistico di superficie e in particolare quando si tratta di elementi
lessicali, si parla di prestito. L’uso dei prestiti, elementi del lessico presi da un’altra lingua, non
necessariamente implica il bilinguismo dei parlanti. Il lessico di una lingua è un insieme composito anche in
relazione alla provenienza dei suoi elementi, essendo costituito sia da lessemi di tradizione indigena, sia di
lessemi provenienti da altre lingue. I prestiti quasi sempre subiscono un adeguamento nella fonetica.
Quando ciò che passa da una lingua a un’altra non è una parola o espressione nei suoi aspetti formali, ma il
suo significato si parla allora di calco. Mentre interferenze, prestiti e calchi sono fenomeni che avvengono
sul piano del sistema linguistico, il vasto insieme di fatti indicati con l’etichetta di commutazione di codice
riguarda i fenomeni che avvengono sul piano del discorso ed è tipico del comportamento di parlanti
bilingui. Il termine indica infatti l’uso alternato di due lingue diverse nella stessa interazione comunicativa
da parte di uno stesso parlante, manifestantesi nel passaggio nel discorso di una lingua ad un’altra. Tale
passaggio può avvenire o contemporaneamente con aspetti pragmatici e contestuali rilevanti
dell’interazione verbale (cambiamento della funzione e l’atto linguistico che il parlante intende compiere);
o senza tale concomitanza, quando il parlante passa da una lingua all’altra in punti qualsiasi del suo
discorso.

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