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LINGUISTICA

1. INTRODUZIONE ALLA LINGUISTICA

La linguistica è una disciplina descrittiva, o più esattamente

È lo studio scientifico del linguaggio umano.

Per studio scientifico si intende uno studio svolto con il Per capire meglio di cosa si occupa dobbiamo prima
metodo: però capire cosa si intende per linguaggio: un
“linguaggio” è un sistema di comunicazione, serve cioè a
1. Formulare un’ipotesi che concordi con le leggi
trasmettere informazioni da un individuo (emittente) ad
generali già conosciute
un altro (destinatario). Questo può verificarsi in vari
2. Formulare tale ipotesi in modo chiaro, ripetibile
modi, non solo con un linguaggio naturale (parlato), ma
e controllabile
anche con gesti, immagini, suoni, ecc.… Infatti esistono
La linguistica mira ad essere una scienza di tipo molti tipi di linguaggio. Anche se i vari tipi di linguaggio
empirico, ovvero che si basa su dati reali e oggettivi, per hanno la stessa funzione, non è detto che abbiano anche
poi poter capire meccanismi generali. Quali sono questi una stessa struttura, che in realtà varia molto. La
dati? Sono dati raccolti da qualsiasi tipo di produzione struttura del linguaggio umano è unica e diversa dalle
linguistica, come ad esempio il modo di esprimersi di altre ed esclusiva del genere umano; nessun altro essere
ognuno di noi. Dunque si può definire la linguistica come riesce a padroneggiarla.
una materia scientifica, perché segue il metodo
scientifico.

Questo spiega anche che la linguistica non è una scienza normativa (che impone regole), ma
semplicemente descrittiva. Il suo scopo non è infatti quello di indicare “ciò che si deve dire o non si deve
dire”, ma ha scopo conoscitivo, vuole spiegare in base a leggi quanto più possibile generali ciò che
effettivamente si dice, o in altre parole, il comportamento linguistico degli esseri umani. Non ha la pretesa
di dirci il modo corretto in cui parlare, ma si limita a osservare e descrivere in che modo viene usata la
lingua, senza dare alcun giudizio di valore. Gli obiettivi della linguistica sono descrivere e spiegare gli
elementi alla base del funzionamento, tenta di ricondurre i fenomeni linguistici a leggi che governano la
struttura e l’organizzazione del linguaggio umano, trova le costanti nel linguaggio.
La linguistica si occupa di descrivere le lingue storico naturali, ovvero quelle nate spontaneamente lungo il
corso della civiltà umana, espressione del linguaggio verbale umano (non create a tavolino) e cerca di dar
conto di come funzionano. Bisogna innanzitutto distinguere tra i termini linguaggio e lingua, il primo indica
la capacità di potersi esprimere e comunicare, mentre il secondo è semplicemente la realizzazione di questa
capacità.

Linguaggio: capacità comune a tutti gli uomini di sviluppare linguaggio


un sistema di comunicazione
Lingua: la forma specifica che questo sistema assume nelle
lingua
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varie comunità
A cosa serve quindi? Oltre a quelli descrittivi, fornisce anche molti aspetti applicativi, perché se sappiamo
come funzionano le lingue possiamo capire come si creano e manifestano i disturbi del linguaggio ad
esempio, o ancora come apprendere lingue, scrivere dizionari, eccetera.

Questa disciplina è sia antica che giovane, antica perché le prime classificazioni in parti del discorso
risalgono a tempi antichissimi, giovane perché si inizia a parlare di linguistica verso la fine del ‘700 (data
convenzionale di nascita: 1916, data di pubblicazione del “Cours de linguistique generale” di De Saussure),
che inizia a svilupparsi quando si capisce che le lingue sono imparentate tra loro.

CONCETTI DI BASE (DE SAUSSURE)


• Sincronia/diacronia: Per sincronia si intende il fatto che ci riferiamo allo studio della lingua in un
dato momento, che può essere presente o anche passato, senza avere interesse a confrontarlo.
Quando invece parlo di diacronia mi focalizzo sull’evoluzione della lingua nel tempo e sulla sua
trasformazione
• Livello astratto / livello concreto: Chomsky parla di livello astratto come competenza e di livello
concreto come esecuzione. De Saussure parla invece di langue per riferirsi all’insieme di
competenze astratte e di parole per indicare la realizzazione concreta, il messaggio verbale. Ma
langue non ha stesso significato di competenza. In Chomsky si fa riferimento alla conoscenza
individuale, mentre in de Saussure a un concetto astratto appartenente alla comunità linguistica.
In linea di principio, ciò che interessa al linguista è la langue (il sistema): per studiare e 'svelare’ la
langue il linguista deve però partire dalla parole, che gli fornisce i dati osservabili.
• Sigmatico e paradigmatico: Rapporti sintagmatici, tra elementi presenti allo stesso tempo,
compresenti, in uno stesso enunciato (il bambino mangia – sporgere denuncia). I rapporti
paradigmatici si instaurano quando gli elementi non sono presenti allo stesso tempo (rapporto in
assenza), tra gli elementi che AVREMMO potuto scegliere.

COS’E’ IL LINGUAGGIO?
Per linguaggio si intende la facoltà di associare due diversi ordini di entità: i contenuti mentali e le realtà
sensoriali, un piano dei contenuti a un piano dell’espressione, ovvero possiamo associare un significato a un
significante, ed è questo meccanismo che ci permette di comunicare. Il significante può essere di vari tipi:
suoni, segni grafici, gesti, ecc.…. Ciò vale sia per gli esseri umani sia per tutti gli esseri viventi.

Tutti i linguaggi sono sistemi di comunicazione: hanno la stessa funzione, ma possiamo dire che hanno
anche la stessa struttura? Vedremo che le lingue storico-naturali presentano una struttura e delle
caratteristiche proprie, non condivise con altri tipi di linguaggio

I simboli possono avere modi diversi per la codificazione: per esperienza, abitudine, conoscenza culturale,
associazione. Quando parliamo di lingua parliamo di un sistema di segni (si può dire che il segno è l’entità
fondamentale della comunicazione). I tipi di segno si differenziano anche in base alla motivazione che ha
portato alla loro creazione:

• Indici: segni motivati naturalmente, non intenzionale -> motivati naturalmente/ non intenzionale
• Segnale: fatto naturale e intenzionale (sbadiglio) -> motivati naturalmente/intenzionale
• Icona: riproduzione analoga per forma all’oggetto a cui si rinvia (emoticon) -> motivati
analogicamente
• Simbolo: intenzionale e motivato culturalmente, cioè risultato di una convenzione adottata entro
una certa comunità -> motivati culturalmente
• Segno (in senso stretto): sono intenzionali e frutto di una convenzione, impiegati nei messaggi
linguistici -> non motivati
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Il segno linguistico ha un potenziale molto ampio rispetto ad altri tipi di segno. Inoltre non possiamo
scomporre i segni in parti più piccole, altrimenti si perde il senso, mentre ciò è possibile con il segno
linguistico.

CODICE LINGUA
Nella comunicazione in senso stretto, c'è un emittente che emette, produce intenzionalmente un segno per
un ricevente. Cosa rende il ricevente in grado di interpretare un segno? Il fatto che esso si riconduce a un
codice di cui fa parte, cioè a un insieme di conoscenze che permette di attribuire un significato a ciò che
succede. Un codice è un insieme di corrispondenze, fissatesi per convenzione, fra qualcosa e qualcos'altro,
che fornisce le regole di interpretazione dei segni. Tutti i sistemi di comunicazione sono dei codici. I segni
linguistici costituiscono il codice lingua.

Quando un emittente forma un messaggio mediante un codice, si ha un’operazione di codifica. Decodifica


è invece l’interpretazione del messaggio da parte di un ricevente (Codifica: assegnazione di un significante
appropriato a un dato significato - Decodifica: identificazione del significato a partire dal significante).

La natura del segno linguistico è composta da due facce, da una parte abbiamo il concetto, dall’altra parte
l’immagine acustica (significato e significante). Una delle caratteristiche principali del segno è che è
arbitrario, immotivato, è semplicemente frutto di una convenzione. Esistono però eccezioni, come i termini
onomatopeici, o per parole come “sussurrare”, “tintinnare”. Ci sono anche scelte un po’ meno arbitrarie,
come parole composte o l’uso del suffisso “tore” (suffisso d’agente o strumento) per indicare colui che
svolge un’azione. (anche se si basano a lor volta su convenzioni). L’arbitrarietà però si riscontra anche sul
livello di organizzazione tra i livelli di significanti, ad esempio la lunghezza vocalica non distingue i significati
(casa, caaasa), ma le consonanti si (casa, cassa). Ciò però vale per l’italiano, in altre lingue potrebbe non
esserlo, ad esempio in tedesco o in cinese. Ciò anche per i significati: in italiano abbiamo bosco, legno,
legna; in francese sono tutti “bois”.

Le lingue storico-naturali sono sistemi articolati su più livelli: quello dei suoni, quello delle parole, quello
delle frasi e quello dei significati. I parlanti nativi di una determinata lingua hanno conoscenze
(competenza) di ognuno di questi livelli (competenza fonologica, morfologica, sintattica e semantica). Le
lingue del mondo si possono studiare sia sincronicamente (senza fare ricorso alla variabile tempo) sia
diacronicamente (considerandone cioè il mutamento nel tempo)

PROPRIETA’ DELLE LINGUE

• Biplanarità del segno: esiste un piano per il significante e un piano per il significato
• Arbitrarietà: Il rapporto tra significato e significante non è naturale o logico, ma arbitrario
• Linearità: Non possiamo capire completamente il messaggio se non dopo che siano stati attualizzati
l’uno dopo l’altro tutti gli elementi che lo costituiscono. Non tutti i tipi di segno (senso largo) sono
lineari: sono, ad esempio, globali (percepiti come un tutto simultaneamente), molti segnali stradali,
i gesti, i colori del semaforo.
• Discretezza: la differenza tra gli elementi, fra le unità della lingua, è assoluta, non quantitativa o
relativa, ovvero le unità della lingua non costituiscono una materia continua, c’è un confine preciso
fra un elemento e un altro. Ovvero è possibile distinguere i suoi elementi con limiti ben definiti (a
differenza dei linguaggi animali che invece sono continui) e sono facilmente distinguibili, come [p] e
[b] nelle parole “patto” e “batto”, e non esistono entità intermedie tra di loro.
• Trasponibilità del mezzo: fa riferimento al fatto che il significante può venire realizzato attraverso il
mezzo aria (fonico- acustico) oppure attraverso il canale luce (visivo e grafico). Fa semplicemente

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riferimento a fatto che una lingua può essere percepita sia con l’udito che visivamente (con la
scrittura).
• Doppia articolazione: Riguarda il fatto che il significante è articolato su due livelli. Tavolo si può
dividere in TAVOL – O (prima articolazione), in cui “tavol” ci dà un significato semantico e “o” ci dà
un significato grammaticale. Oppure in T-A-V-O-L-O (seconda articolazione).
1. Prima articolazione: unità dotate di significato
2. Seconda articolazione: unità foniche e prive di significato.
Vera proprietà cardine del linguaggio verbale umano: non esistono altri codici di comunicazione
naturali che possiedano una doppia articolazione piena e totale. Principio della combinatorietà: la
lingua funziona fondamentalmente combinando unità minori, possedute in un inventario limitato,
per formare un numero infinito di unità maggiori. Questo principio di combinatorietà permette alla
lingua una produttività illimitata
• Onnipotenza semantica: a partire da un inventario molto ristretto di materiale fonico noi abbiamo
una grande possibilità di linguaggio, virtualmente possiamo parlare di qualsiasi cosa. Con la lingua è
quindi in teoria possibile esprimere qualsiasi contenuto, almeno nel senso che un messaggio
formulato in qualunque altro codice sembra traducibile in lingua. Ciò porta anche ad una
plurifunzionalità perché la lingua permette di assolvere funzioni diverse:
 Esprimere il pensiero
 Trasmettere informazioni
 Instaurare, mantenere, regolare, ecc. attività e rapporti e sociali
 Manifestare, esternare sentimenti e stati d’animo
 Risolvere problemi
 Creare mondi possibili
• Produttività: Con la lingua è sempre possibile creare nuovi messaggi, mai prodotti prima, e parlare
di cose nuove e nuove esperienze, mai sperimentate prima, o anche di cose inesistenti. La
produttività è permessa in primo luogo dalla doppia articolazione. Creatività regolare (o creatività
retta da regole): produttività infinita basata su un numero limitato di principi e regole in genere
dalla forma semplice applicabili ricorsivamente
• Ricorsività: Mentre nei linguaggi animali i segni per comunicare sono finiti, nel linguaggio umano si
creano sempre più nuove parole ogni giorno. Ciò perché nel linguaggio umano facciamo uso del
meccanismo della ricorsività, che permette di utilizzare stessi elementi uniti ad altri per creare
sempre nuove combinazioni. Addirittura sembra che l’essere umano sia l’unico ad essere in grado
di utilizzare un linguaggio ricorsivo. Uno stesso procedimento è riapplicabile un numero
teoricamente illimitato di volte, se sono date le condizioni strutturali in cui questo si applica. Le
regole o istruzioni di procedura sono riapplicabili al proprio prodotto o risultato: se aggiungo un
suffisso a una parola, posso poi aggiungerne un altro alla parola così formata e rendere la parola
ancora più complessa

atto> attuale, attuale> attualizzare, attualizzare> attualizzabile, attualizzabile> attualizzabilità,


attualizzabilità> inattualizzabilità

• Complessità sintattica: I messaggi linguistici (a differenza dei messaggi in altri codici naturali)
possono presentare un alto grado di elaborazione strutturale, con una ricca gerarchia di rapporti di
concatenazione e funzionali tra gli elementi disposti linearmente, ci sono vari aspetti che
contribuiscono a dare rilevanza alla trama sintattica:
a) Ordine degli elementi: le posizioni lineari in cui essi si combinano sono l’ordine ci permette
di capire chi fa l’azione e chi la subisce. Non ha la stessa importanza in tutte le lingue, ad
esempio in tedesco abbiamo anche i casi ad aiutarci.
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b) Relazioni strutturali e le dipendenze che si instaurano tra gli elementi non contigui. Es.: Il
libro di Chomsky sulle strutture sintattiche => la capacità degli elementi costitutivi di una
struttura di intrattenere relazioni a distanza, discontinuità di rapporti sintattici.
c) Incassature: posso incastonare delle frasi all’interno di altri. Es.: Il cavallo, che corre senza
fantino, sta vincendo il palio
d) Ricorsività: la possibilità di riapplicare uno stesso procedimento virtualmente all’infinito, e
complessifica il messaggio
e) Nessi della struttura sintattica, ad esempio congiunzioni coordinanti e subordinanti
f) Possibilità di discontinuità nella strutturazione sintattica, le costruzioni ammesse dalla
lingua possono ammettere, o richiedere, che elementi o parti strettamente unite dal punto
di vista semantico e sintattico non siano linearmente adiacenti. ES.: verbi separabili in
tedesco
• Distanziamento: la lingua ci permette di parlare di cose distanti da noi, ad esempio fatti mai
avvenuti o passati e di ciò che non è presente in questo momento.
• Riflessività: possibilità di riflettere sulla lingua con la lingua (metalinguaggio). La riflessività è
veramente unica e caratterizzante del linguaggio verbale umano: non sembra che esistano altri
codici di comunicazione che consentano di formulare messaggi su sé stessi, che abbiano come
oggetto il codice di comunicazione stesso
• Trasmissibilità culturale: la lingua non è trasmessa ereditariamente, non è nei nostri geni. Parliamo
una lingua solo perché ci siamo stati esposti, ci viene tramandata da una generazione all’altra. Si
può dire che il linguaggio è innato, ma non la singola lingua. (posizione innatista di Chomsky)

Quindi il linguaggio umano è una struttura altamente specifica, nel duplice senso che contiene delle
caratteristiche proprie, diverse da quelle di altri sistemi di comunicazione, e che è una proprietà unica della
specie umana

LE LINGUE DEL MONDO


Le lingue storico-naturali (che rappresentano la realizzazione della facoltà di linguaggio presso le diverse
comunità) oggi presenti nel mondo sono molto numerose, nell’ordine delle migliaia. Le cifre proposte dagli
studiosi sono tuttavia molto contrastanti: da un numero minimo di circa 2200 a un numero che si aggira
sulle 12000. Secondo una stima recente, le lingue oggi viventi sarebbero 7139 => di queste, però, circa il
40% è a rischio estinzione (meno di 1000 parlanti). Un aspetto interessante infatti nel considerare una
lingua tale, è il numero di parlanti, e se consideriamo solo i nativi o anche i non nativi. Spesso non è
semplice stabilire se diverse parlate tra loro simili sono da considerare varietà o dialetti di una stessa lingua
(e quindi contare una sola unità nel computo) oppure sono lingue a sé stanti (e quindi contare come più
unità). Dunque come si classificano le lingue? Ci sono diversi modi:

CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA

Raggruppare le lingue in famiglie linguistiche con una matrice comune. Spesso (ma si tratta di un criterio
piuttosto approssimativo) lingue imparentate genealogicamente condividono una buona parte del lessico
fondamentale: circa 200 termini che designano nozioni comuni (numeri fino a dieci, parti del corpo, normali
azioni quotidiane, ecc…). Questa parte di lessico è solitamente meno esposta a interferenza da altre lingue
e può quindi rappresentare il lessico ereditario indigeno. La somiglianza di significante in questi termini può
rimandare a una forma originaria condivisa.

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Il livello della famiglia rappresenta il più alto livello di parentela ricostruibile. All’interno di una famiglia di
lingue, a seconda dei gradi più o meno stretti di parentela si possono riconoscere dei rami (o sottofamiglie)
e dei gruppi (e anche sottogruppi). Ad esempio, l’italiano è considerato come una lingua del sottogruppo
italo-romanzo del gruppo occidentale del ramo neolatino (o romanzo) della famiglia indoeuropea. Esistono
fino a un massimo di 18 famiglie linguistiche attualmente riconosciute. Ci sono anche lingue isolate, di cui
non si è riuscito a stabilire il legame con altre lingue e quindi ad individuare la famiglia di appartenenza

In Europa sono predominanti le lingue indoeuropee, però troviamo anche le lingue uraliche, altaiche,
caucasiche, semitiche e il basco. Le lingue indoeuropee si suddividono a loro volta in lingue celtiche,
germaniche, romanze, baltiche, slave, indo-iraniche, poi abbiamo lingue che non hanno parentele
specifiche con altre, che sono greco, albanese e l’armeno.

CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA

La classificazione tipologica si occupa di individuare cosa c’è di uguale e cosa c’è di differente nel modo in
cui le diverse lingue storico-naturali sono organizzate e strutturate, attuando scelte tra loro compatibili
nella realizzazione di fatti o fenomeni universali che ammettano più soluzioni. Quindi la classificazione
tipologica raggruppa le lingue in base a caratteristiche comuni ad esse, indipendentemente dalla loro
famiglia di appartenenza (anche se ovviamente influisce). Le lingue vengono quindi classificate sulla base di
tratti strutturali comuni. Tuttavia spesso accade che una lingua non corrisponda totalmente a un tipo
particolare, spesso infatti in una lingua si trovano, in punti diversi del sistema, caratteristiche tipologiche
prevalenti di un tipo, ma anche caratteri propri di altri tipi.

TIPOLOGIA MORFOLOGICA

modo di individuare tipi linguistici basato sulla morfologia, cioè sulla struttura interna della parola. La
struttura interna può essere caratterizzata facendo riferimento all’indice di sintesi, ovvero al rapporto
morfemi/parole (numero morfemi diviso per il numero di parole), più è basso tale indice, più il numero di
morfemi tende a coincidere con quello delle parole (lingua analitica), al contrario più è alto l’indice più la
lingua è sintetica.

∼ Analitico: distribuisce in più elementi


∼ Sintetico: sintetizza e unisce i valori all’interno di un solo elemento
Si distinguono 4 tipi morfologici fondamentali di una lingua:

• Lingue isolanti: la parola tende ad essere formata da un solo morfo (lessicale), la parola è
quindi tendenzialmente priva di struttura interna, parola e morfo tendono a coincidere.
Spesso in queste lingue non è presente una morfologia flessiva e hanno poca o nulla
morfologia derivazionale (parole invariabili). L’indice di sintesi è quasi 1:1

• Lingue agglutinanti: le parole hanno una struttura complessa, sono formate dalla
giustapposizione di più morfi. Hanno una struttura molto trasparente, nelle forme flesse
infatti ogni valore di una categoria grammaticale è espresso da un morfo specifico (un
morfo, un contenuto), ben identificabile all’interno della parola (non sono comuni morfi
cumulativi e allomorfi). Hanno un indice di sintesi medio di 3:1

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• Lingue flessive: le lingue flessive presentano parole internamente abbastanza complesse,
costituite tendenzialmente da una base lessicale semplice (una radice) o derivata e da uno
o anche più affissi flessivi, le parole si presentano nelle frasi tipicamente in forma flessa. In
teoria sono meno complesse delle lingue aggluntinanti perché presentano un indice di
sintesi minore: 2:1, tuttavia sono molto presenti fenomeni di allomorfia e morfi cumulativi,
che rendono difficile la distinzione dei valori grammaticali. In generale la morfologia di
queste lingue presenta molte irregolarità, come omonimia, sinonimia e polisemia dei
morfemi. Ne fanno parti le principali lingue europee: italiano, greco, russo, ecc.
Sottotipo introflessivo: questo sottotipo è caratterizzato dal fatto che i fenomeni di
flessione avvengono anche dento la radice lessicale, come succede ad esempio in arabo.
• Lingue polisintetiche: le lingue polisintetiche sono quelle che presentano la struttura di
parola più complessa. Le parole sono formate da più morfemi attaccati assieme, ma
presentano la peculiarità che in una stessa parola compaiono due o più radici lessicali. Le
parole di queste lingue, tradotte in altre, corrisponderebbero a frasi intere, infatti realizzano
nella morfologia valori semantici di solito affidati al lessico. Indice di sintesi 4:1.

alle lingue agglutinanti le lingue polisintetiche presentano fenomeni di fusione che rendono
a volte poco trasparente la struttura della parola, come nel tipo flessivo.

tipologia sintattica

Anche sul piano sintattico si possono riconoscere tipi diversi in base ad alcuni criteri fondamentali:

 Posizione dei costituenti maggiori (soggetto, oggetto, verbo)


 Posizione del modificatore rispetto al modificato

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Posizione dei costituenti maggiori

Dal punto di vista delle possibilità teoriche di combinazione, sono possibili 6 ordini:

• SOV (35 – 53%)


• SVO (35 – 45%)
• VSO (11 – 15%)
• VOS (5- 10%)
• OVS (1 - 5%)
• OSV (1%)

Si è notato che esistono correlazione tra l’ordine dei costituenti e la posizione del modificatore rispetto alla
testa, queste osservazioni sono chiamate universali implicazionali.

Posizione del modificatore

Ad esempio:

• Se una lingua ha l’ordine SOV e se in quella lingua nel sintagma nominale l’aggettivo precede il
nome (AN), allora il genitivo precederà certamente il nome che gli fa da testa (GN)
• Se una lingua ha l’ordine VSO e se l’aggettivo segue il nome, allora il genitivo seguirà certamente il
nome

L’ordine SOV e VSO correlano bene con altri parametri posizionali, mentre SVO (ita) correla sono
debolmente: se sappiamo solo che una lingua è SVO possiamo prevedere poco circa la collocazione
reciproca di altri costituenti, mentre se è SOV o VSO abbiamo una buona possibilità di predire con una certa
sicurezza gli ordini di altri elementi in altri costrutti.

La classificazione può essere ulteriormente specificata fino a riconoscere due tipi fondamentali, a partire
dalla collocazione reciproca di verbo e oggetto, tralasciando il soggetto:

• Lingue VO, postdeterminanti: ovvero costruiscono a destra, con ordine testa/modificatore. Queste
lingue presentano tendenzialmente l’aggettivo dopo il nome (NA), il genitivo dopo il nome (NG), il
possessivo dopo il nome (NPoss), la frase relativa dopo il nome (Nrel), l'avverbio dopo il verbo
(VAvv), l'avverbio dopo l'aggettivo (AAvv), la forma verbale piena dopo l'ausiliare (AusV), la
presenza di preposizioni
• Lingue OV, perdeterminanti: con ordine modificatore/testa. Queste queste lingue avrebbero
all’inverso AN, GN, PossN , RelN , AvvV , AvvA , VAus , la presenza di posposizioni

FONETICA ARTICOLATORIA

Come si producono i suoni dal punto di vista fisico? In


particolare studia come i suoni vengono prodotti
dall’apparato fonatorio umano.

Apparato fonatorio: insieme degli organi del corpo che


partecipano alla produzione dei suoni delle lingue, ed è
costituito da organi che appartengono primariamente
all’apparato respiratorio e digerente

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APPARATO RESPIRATORIO APPARATO DIGERENTE

Diaframma: muscolo posto trasversalmente a Velo del palato o palato molle: parte posteriore
delimitare la cavità toracica da quella addominale: del palato, priva di struttura ossea, visibile anche
le contrazioni del diaframma sono responsabili dall'esterno in fondo al cavo orale =>il velo del
dell'inspirazione, mentre l'espirazione, durante la palato può restare inerte oppure spostarsi
quale avviene di norma la fonazione, è un all'indietro: nel primo caso l'aria può raggiungere
fenomeno per lo più passivo, dovuto al liberamente le cavità nasali, nel secondo invece
rilassamento del diaframma e di altri muscoli l'accesso a queste cavità risulta occluso (come
toracici accade quando ingeriamo cibi o liquidi)
polmoni: forniscono l'aria espiratoria che viene ugola: una propaggine del palato molle sospesa al
spinta verso l'esterno centro nella parte posteriore del cavo orale
bronchi e trachea: incanalano l'aria espiratoria palato duro: sovrasta il cavo orale ed è fornito di
proveniente dai polmoni e la dirigono verso la una struttura ossea a forma di cupola rivestita di
laringe mucosa
laringe: al suo interno si svolge uno dei processi lingua: collocata al centro della cavità orale e
più importanti della fonazione e si genera quella dotata di una radice fissata in basso alla
che viene normalmente definita voce; la porzione muscolatura del collo, di un dorso mobile e di un
centrale della laringe, direttamente coinvolta in apice o punta estremamente mobile che le
questo processo, è chiamata glottide e contiene consentono di assumere diverse forme e posizioni
due pieghe della mucosa definite pliche vocali alveoli: parti interne delle gengive superiori,
(dette anche corde vocali) elemento di transizione tra palato e denti
faringe: da qui l'aria espiratoria proveniente da denti: soltanto gli incisivi superiori (e più
polmoni, bronchi, trachea e laringe può proseguire raramente gli inferiori) svolgono un ruolo
verso l'esterno seguendo due diversi percorsi: nell'articolazione dei foni
attraverso le cavità nasali o attraverso la bocca labbra: parte più esterna dell'apparato digerente,
cavità nasali: rappresentano il tratto superiore possono assumere diversi atteggiamenti e
dell'apparato respiratorio, attraverso il quale l'aria posizioni nell'articolazione dei foni
espiratoria esce dal corpo

Il meccanismo laringeo: I suoni del linguaggio vengono normalmente prodotti mediante l’espirazione,
quindi con un flusso d’aria egressivo: l’aria muovendo dai polmoni attraverso i bronchi e la trachea
raggiunge la laringe. Nella laringe l’aria incontra le pliche vocale: durante la normale respirazione silente
queste restano separate e rilassate, nella fonazione possono contrarsi e tendersi avvicinandosi o
accostandosi l’una all’altra e riducendo o bloccando in tal modo il passaggio dell’aria. Cicli rapidissimi di
chiusure e aperture delle pliche vocali, provocati dalla pressione dell’aria espirata costituiscono le
cosiddette “vibrazioni” delle pliche. Lo spazio tra le due pliche vocali è detto rima vocale. Se durante
l'espirazione la rima vocale viene chiusa dall'azione dei muscoli che portano le due pliche vocali a
combaciare l'una con l'altra, si produce una momentanea interruzione del flusso dell'aria => ne risulta un
contrasto tra la forza che tiene unite le pliche e quella che spinge l'aria dal basso verso l'alto. L'aria
espiratoria, spinta fuori grazie all'elasticità della parete toracica e dei polmoni, riesce a forzare la resistenza

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opposta dalle pliche e a separarle riaprendosi la strada verso l'esterno. I muscoli della glottide però restano
in tensione e questa tensione immediatamente riprende a sua volta il sopravvento sulla forza dell'aria,
tornando a chiudere la rima e così via. L’attivazione di questo meccanismo ostacola momentaneamente e
ripetutamente il libero passaggio dell’aria espiratoria, la vibrazione glottidale che ne risulta è detta voce o
sonorità. In assenza di tale ostacolo, ovvero se le pliche rimangono rilassate, non si genera alcun suono.

Il suono sonoro però può essere di tipo vocalico o consonantico. Se è attiva solo la vibrazione laringea
(nessun ostacolo superiore) si avrà un suono vocalico. Se c’è invece un ostacolo superiore, si avrà un fono
consonantico, se invece insieme all’ostacolo superiore non si è attivato contemporaneamente il
meccanismo di vibrazione laringeo avremo una consonante sorda.

Vibrazione laringe Ostacolo superiore


Silenzio
Vocale X
Consonante sonora X X
Consonante sorda X

Per descrivere e classificare i suoni si fa riferimento al parametro della sonorità, al modo di articolazione e
al luogo di articolazione.

MODO DI ARTICOLAZIONE:
• Suono occlusivo: l’avvicinamento tra gli organi produce un contatto tra di e essi tale da cerare
un’ostruzione completa del passaggio dell’aria, si produce una momentanea occlusione del tratto
fonatorio, seguita poi fa una brusca riapertura del canale dovuta alla spinta dell’aria espiratoria che
forza l’ostacolo ed erompe verso l’esterno (Papà)
• Suono fricativo: l’articolazione mobile si avvicina ad un altro organo senza creare un’occlusione
completa, ma lascia libero un breve spazio attraverso il quale l’aria espiratoria può continuare a
fluire verso l’esterno (Sasso)
• Suono affricato: Si ha una prima fase di occlusione seguita da una fricativa. (Ciao) (Giù)
• Suono nasale: si producono dall’occlusione orale accompagnata da una particolare posizione del
velo del palato. Quest’organo resta abbasto lasciando così ‘aria espiratoria libera di proseguire
verso l’alto e di fuoriuscire poi attraverso le cavità nasali (No)
• Suoni laterali: abbiamo un’occlusone completa ma viene lasciato libero un passaggio laterale ai lati
dell’occlusione (Lavoro)
• Suoni vibranti: Consistono in una brevissima occlusione seguita da una breve e debole esplosione e
poi ancora da varia altri cicli si occlusione ed esplosione in rapidissima successione (Rotto)
• Suoni approssimanti: simili ai suoni fricativi ma si lascia passare più aria e quindi si perde il rumore
di frizione (Ieri). (a metà via tra consonante e vocale)

LUOGHI DI ARTICOLAZIONE:
• Luogo labiale o bilabiale: suoni in cui l’occlusione si produce dalle labbra o tra le labbra (Bacio)
• Luogo labiodentale: abbiamo un incontro dei denti con le labbra (Finestra)
• Dentale o alveolare: fa riferimento al fatto che la lingua tocca i denti o gli alveoli (Dado)
• Postalveolare, prepalatale o palato-alveolari: la lingua si accosta al palato che si trova
immediatamente dietro agli alveoli.
• Palatale: suono prodotto con la lingua che si avvicina al palato producendo un ostacolo

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• Velare: il velo palatino è la parte posteriore del palato che viene in contatto con la parte posteriore
della lingua (Gatto)
• Retroflesso: suoni prodotti flettendo indietro la parte iniziale della lingua e toccando il palato
• Uvulare: la vibrazione avviene a livello dell’ugola (r moscia)
• Laringale o glottidale: suoni prodotti a livello delle corde vocali, della laringe (home inglese)
• Faringale: la parte posteriore del dorso della lingua si avvicina alla parte inferiore della faringe

(Tutti i soni della prima riga sono sordi, quelli della seconda riga sono sonori. Se non si ha sdoppiamento
sono sempre sonori)

CONSONANTI DELL’ITALIANO
Occlusive

 [p] Occlusiva bilabiale sorda - ape


 [b] Occlusiva bilabiale sonora - tubo
 [t] Occlusiva dentale/alveolare sorda - note
 [d] Occlusiva dentale/alveolare sonora - cade
 [k] Occlusiva velare sorda - oca
 [g] Occlusiva velare sonora - ago

Fricative

 [f] Fricativa labiodentale sorda - afa Per quanto riguarda le fricative alveolari [s z ], in
posizione intervocalica l’italiano standard ha in alcuno
 [v] Fricativa labiodentale sonora - vaso
casi la sorda e in altri la sonora, in un modo che non è
 [s] Fricativa alveolare sorda - sale prevedibile in base al contesto. dei suoni circostanti, ma
 [z] Fricativa alveolare sonora - uso è determinato unicamente a livello lessicale. Es. casa
 [ʃ] Fricativa prepalatale sorda - sci [ka:sa], caso [ka:zo]

Affricate
Le nasali [m n ɲ] possono occorrere praticamente in
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qualsiasi posizione, le altre solo in determinati contesti.
La nasale labiodentale e la nasale velare possono
occorrere solo davanti a una consonante prodotta nello
stesso luogo di articolazione. Quindi possiamo trovare
una ɱ solo prima di [f v], una ɳ solo prima di [k g]
 [ts] Affricata alveolare sorda – pazzo
 [dz] Affricata alveolare sonora - zero
 [tʃ] Affricata prepalatale - cena
 [ʤ] Affricata prepalatale - giacca

Nasali

 [m] nasale bilabiale sonora - amore


 [ɱ] nasale labiodentale sonora - anfora
 [n] nasale alveolare sonora - naso
 [ɲ] nasale palatale sonora - gnomo
 [ɳ] nasale velare sonora – fango, goING

Laterali

 [l] laterale alveolare sonora - lavoro


 [ʎ] laterale palatale sonora – aglio

Vibrante

 [r] vibrante alveolare sonora – ramo Nelle persone con erre moscia questa lettera è realizzata
con una vibrante uvulare
Approssimanti

 [j] approssimante palatale sonora – ieri Gli approssimanti possono essere seguire solo da vocali
(vocali nella stessa sillaba)
 [w] approssimante velare sonora - uomo

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VOCALI
Le vocali sono TUTTE sonore, e non si hanno ostacoli che blocchino l’aria, ciò che ci interessa è la posizione
della lingua e la conformazione delle labbra.

A determinare la differenza tra le vocali sono essenzialmente le


variazioni di posizione e di volume della lingua nella bocca, in particolare
rispetto al palato. Osservando i movimenti della lingua si nota che essa
si muove in un perimetro a forma di trapezio (TRAPEZIO VOCALICO)

Posizione

• vocali anteriori – i
• vocali posteriori – u
• vocali centrali – a

Spostamento

• vocali alte
• vocali medie
• vocali basse

Ampiezza (descriviamo quanto spazio rimane tra la lingua e il palato)

• Vocale aperta
• Vocale chiusa
• Vocale semiaperta
• Vocale semichiusa

Schema vocalico italiano

[i]: alta o chiusa, anteriore, non arrotondata

[e]: medio-alta o semi-chiusa, anteriore, non arrotondata

[ɛ]: medio-bassa o semi-aperta, anteriore, non arrotondata

[a]: bassa o aperta, centrale, non arrotondata

[ɔ]: medio-bassa o semi-aperta, posteriore, arrotondata

[o]: medio-alta o semi-chiusa, posteriore, arrotondata

[u]: alta o chiusa, posteriore, arrotondata

TRASCRIZIONE FONETICA
La necessità della trascrizione fonetica è legata alla mancanza di corrispondenza tra il livello grafico e il
livello fonetico nelle lingue storico-naturali:

1. Lo stesso simbolo grafico rende suoni diversi in una stessa lingua: Es. cera [tʃ] – cara [k]
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2. Lo stesso suono è reso da diversi simboli grafici in una stessa lingua. Es. cuore = quando [k]
3. Un singolo suono può essere reso da più grafemi combinati. Es. scienza [ʃ]
4. Ad uno o più grafemi in una parola può corrispondere alcun suono. Es. in ha, <h> non corrisponde a
nessun suono (in italiano)
5. Lo stesso simbolo grafico può rendere suoni diversi da una lingua all’altra. Es. gelato [ʤ] – fr.
General [ʒ]
6. Lo stesso suono è reso da simboli grafici diversi da una lingua all’altra. Es. ha – Haus de.

La trascrizione fonetica si avvale di particolari sistemi di simboli =>gli alfabeti fonetici, in grado di rendere
graficamente ogni differenza di suono che si ritenga necessario segnalare.

La forma fonetica trascritta va abitualmente inserita tra parentesi quadre [ ], che segnalano che si tratta di
una forma non ortografica e che si adotta il punto di vista oggettivo o descrittivo tipico della fonetica.
Attenzione!! Le convenzioni ortografiche non corrispondono.

Nel 1886 l'Association Phonétique Internationale (API) o International Phonetic Association (IPA), propose
un nuovo sistema di trascrizione che si è imposto come alfabeto fonetico universale => alfabeto IPA.

Perché?

• Necessità di un sistema coerente e scientifico per rappresentare in forma scritta e nel modo più
oggettivo possibile le caratteristiche di entità sonore come i foni
• Il problema della rappresentazione grafica dei foni trova la sua soluzione nella trascrizione
fonetica
• Trascrivere significa rappresentare in una forma grafica il suono di un singolo fono, di una sillaba, di
una parola, di un sintagma, di una frase, di un testo, in modo che il lettore possa sapere
esattamente di quale o quali suoni si stia parlando

Questo alfabeto fonetico si propone di trascrivere virtualmente i suoni di tutto il ondo grazie ad un sistema
di simboli trasversale a tutte le lingue e riconosciuto da tutti. Ciò ci permette di descrivere esattamente il
suono di una parola, a differenza dell’alfabeto.

I simboli IPA sono in parte ripresi dall'alfabeto latino, da quello greco e da quello antico-inglese (assumendo
in molti casi un valore diverso da quello che possedevano in questi alfabeti), in parte sono stati creati ad
hoc per le esigenze della trascrizione

2.FONOLOGIA
Finora abbiamo descritto le caratteristiche articolatorie del suono, e quindi di fonetica. La fonetica si
interessa alle proprietà fisiche dei suoni linguistici, parte dal presupposto che se due suoni sono
oggettivamente diversi, allora sono e vanno considerati come due suoni.

Esiste però anche la branca della fonologia, che invece assume una prospettiva diversa, guarda cioè alla
loro funzione nella trasmissione di un significato, se in una determinata lingua due suoni, pur essendo
oggettivamente diversi, non possono essere usati per distinguere due diverse parole, allora vanno
considerati varianti di un solo elemento dell’inventario

N.B.: La fonetica chiama foni le unità foniche ricavate in base al principio della diversità, mentre la fonologia
chiama fonemi le unità individuate in base alla distintività. Un fono è la realizzazione concreta di un
qualunque suono del linguaggio. Nella gamma di foni materialmente producibili, le diverse lingue ne
pertinentizzano un certo numero assegnando loro valore distintivo: quando i foni hanno (in una data
lingua) valore distintivo, cioè si oppongono sistematicamente ad altri foni nel distinguere e formare le
parole di quella lingua, si dice che funzionano da fonemi. Due foni hanno valore fonologico in una lingua se
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sono in grado di distinguere coppie di parole (coppie minime) che abbiano tutti gli altri foni uguali e disposti
nello stesso ordine

Faro - Varo

[ˈfaːro] - [ˈvaːro]

Una coppia di parole che siano uguali in tutto tranne che per la presenza di un fonema al posto di un altro
in una certa posizione forma quindi una coppia minima: sostituiamo un elemento fonetico con un altro al
fine di accertare se i due elementi hanno funzione distintiva e si trovano quindi in opposizione all’interno
dello stesso sistema fonologico

sale - pale

[ˈsaːle] - [ˈpaːle]

Per dimostrare che un fono è fonema in una data lingua, bisogna quindi trovare in quella lingua delle
coppie minime (almeno una, in linea di principio), che lo oppongano a un altro fonema (test delle coppie
minime). Foni che si trovano nello stesso contesto e che distinguono significati sono detti in distribuzione
contrastiva (perché determinano un contrasto di significato nello stesso contesto.).

Esistono però casi in cui ciò non avviene.

Es. [r] – [ʀ] in [ˈraːna] [ˈʀaːna]

Anche se abbiamo un suono diverso, il significato rimane lo stesso. È dunque possibile che due foni
appaiano nello stesso contesto senza causare un mutamento di significato. In questo caso vengono
considerati delle varianti libere o facoltative (perché non è prevedibile, nel caso della r non posso sapere
che alcuni parlanti la pronunciano in modo diverso)

C’è anche un terzo caso, dato da quei suoni, simili dal punto di vista articolatorio, che non ricorrono mai
negli stessi contesti, come in caso di alcune nasali in italiano:

es., fango['faŋgo] anfora['aɱfora] naso ['naːzo]

La nasale velare e la nasale labiodentale appaiono solo in determinati contesti => la prima appare davanti a
consonante velare, la seconda davanti a consonante labiodentale. In tutti gli altri troviamo la nasale
alveolare.

Foni che costituiscono realizzazioni foneticamente diverse di uno stesso fonema, ma prive di valore
distintivo, si definiscono allofoni di un fonema. Sono quindi allofoni di un fonema le sue realizzazioni
fonetiche che non distinguono coppie minime e che dipendono dal contesto. Sono detti anche varianti
contestuali (o combinatorie) perché la loro realizzazione dipende dal contesto (dai segmenti adiacenti).
Sono in distribuzione complementare poiché i suoni si trovano in contesti reciprocamente esclusivi (dove
c’è uno non può esserci l’altro) Con il termine distribuzione ci si riferisce all’insieme dei contesti in cui
appaiono i foni:

• distribuzione complementare: due foni simili dal punto di vista articolatorio non occorrono mai
nello stesso contesto => allofoni

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• distribuzione contrastiva: due foni occorrono nello stesso contesto fonetico e distinguono
significati => fonemi

ATTENZIONE: in due lingue possono comparire gli stessi segmenti fonetici ma con differenti proprietà
fonologiche. In altre parole, lingue diverse utilizzano diversamente lo spazio fonetico a fini fonologici:

o it. [ˈsaːno], [ˈfaŋgo] => un fonema


o ingl. sin[sɪn], sing[sɪŋ]
o ingl. sinner[ˈsɪnə(r)] singer[ˈsɪŋə(r)] => due fonemi
o ingl. run[rʌn], rung[rʌŋ]

Noi no produciamo suoni in isolamento ma li concateniamo uno con l’altro, ciò fa sì che quando
pronunciamo i suoni insieme, essi differiscano da quando li pronunciamo singolarmente. Quando sono
concatenati i suoni si influenzano a vicenda (pag. 100 libro).

Assimilazione

Un fenomeno di coarticolazione molto frequente è l’Assimilazione. Avviene quando un suono


immediatamente precedente o successivo può assumere dei tratti del suono ad esso vicino.

Es: prefisso “in” privativo (inadatto) con “leggibile” diventa “illeggibile”. Perdiamo la nasale

Esistono vari tipi di Assimilazione:

• Assimilazione parziale: quando viene cambiato un suono ma non diventa uguale a quello vicino
• Assimilazione totale: se il suono diventa uguale a quello vicino.
• Assimilazione regressiva: il suono precedente si assimila a quello successivo
• Assimilazione progressiva: il suono successivo si assimila a quello precedente.

Esempi:

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Concetto di sillaba

All’interno di una parola ci sono suoni che tendono ad essere più compatti. Dal punto di vista fonetico ciò
può cambiare in base ai suoni. Ogni parola è costituita da un’alternanza tra foni più aperti e foni più chiusi.
Le sillabe sono porzioni di parole comprese tra un minimo di apertura e il minimo successivo, sono unità
intermedie tra il suono e la parola.

Esempio: coperto (co – per – to)

Quindi in ogni sillaba dobbiamo sempre avere un nucleo o testa della sillaba (vedi slide)

Non tutte le consonanti possono combinarsi liberamente nel formare, assieme a una vocale, delle sillabe.
Esistono infatti molte condizioni sulla distruzione e combinabilità dei fonemi e sulle sequenze possibili in
ogni lingua: restrizioni fonotattiche. (*trobilo vs *stvert).

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Cosa è ammesso in italiano?

La struttura sillabica canonica è CV (consonante – vocale), ma esistono:

 V (a – pe)
 CV (ma – no)
 VC (al – to)
 CCV (sti – le)
 CVC (can – to)
 CCCV (stra – no)

In altre lingue sono possibili anche strutture sillabiche diverse non ammesse in italiano (es. CVCC)

L’identificazione dei confini sillabici, che permettono la divisione in sillabe di una parola, si effettua in base
a diversi tipi di criteri. Un criterio pratico per l’italiano è per esempio che due consonanti contigue
all’interno di una parola sono assegnate entrambe alla sillaba che come nucleo la vocale seguente se tale
combinazione compare a inizio di parola: ma.gro

Se questo non avviene tipicamente si assegna la prima consonante alla sillaba precedente e la seconda la
sillaba seguente: tan.to

In presenza di consonanti lunghe, la prima viene assegnata alla sillaba precedente e la seconda alla sillaba
seguente: gat.to

A seconda della struttura della sillaba si distinguono sillabe aperte e sillabe chiuse

Sillaba aperta: priva di coda

Sillaba chiusa: con coda (che finiscono con consonante o semivocale)

Nella catena parlata avviene spesso che due foni vocalici si trovino l’uno immediatamente dopo l’altro, si
considera dittongo la successione di due evocali che si trovino all’interno della stessa sillana: causa, mai

FATTI SOPRASEGMENTALI

Chiamati cosi perché agiscono al di sopra del singolo segmento o del singolo suono e riguardano le relazioni
tra foni sull’asse sintagmatico (ovvero come i suoni si legano tra di loro)

I principali sono accento, lunghezza del suono, tono e intonazione

ACCENTO [‘]

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Prominenza dal punto di vista acustico che si attribuisce a una singola sillaba rispetto che ad altre, nel senso
che viene pronunciata con maggiore intensità, dura a lungo e ha una maggiore altezza tonale (le pliche
vibrano con maggiore frequenza) In ogni parola formata da due o più sillabe ce n’è una, detta sillaba tonica,
che assume una posizione di maggior rilievo rispetto alle sillabe, dette sillabe atone. Nella trascrizione
fonetica l’accento viene indicato con una specie di apostrofo: [pa’pa] = papà.

La posizione dell’accento all’interno di una parola può essere libera o fissa

In alcune lingue l’accento è sempre sull’ultima sillaba, in questo caso si dice che ha posizione fissa. In
italiano invece la posizione è mobile e non predicibile, e quindi libera. Se l’accento ha posizione libera ha
funzione distintiva:

• papa va papà
• àncora vs ancóra
• princìpi vs prìncipi

Tipi di accento in italiano:

• Parola tronca: accento sull’ultima sillaba: qualità [kwali’ta]


• Parola piana: accento sulla penultima sillaba: cavallo [ka’vallo]
• Parola sdrucciola: accento sulla terzultima sillaba: camera [’ka:mera]
• Parola bisdrucciola: accento sulla quartultima sillaba: capitano [‘ka:pitano]
• Parola trisdrucciola: accento sulla quintultima sillaba: fabbricamelo [‘fabbrikamelo]

LUNGHEZZA

Riguarda l’estensione temporale relativa con cui i foni e le sillabe sono prodotte. Ogni fono può essere
breve o lungo, cioè durare nella realizzazione per un tempo più o meno rapido. La lunghezza consonantica
in italiano ha valore distintivo: fata vs fatta

Nella trascrizione fonetica la durata viene indicata con i due punti (ma per le consonanti può essere
segnalato anche con un raddoppiamento della stessa): [‘pal:a] = [‘palla] = palla. Nel caso di consonanti
affricate si indica in questo modo: [‘pattso] = [‘pat:so] = pazzo.

Attenzione!

In italiano sono sempre lunghe in contesto intervocalico

• Fricativa palatale sorda [ʃ]: scialle = [‘ʃʃalle]


• Affricate alveolari [ts] e [dz]: ozio [‘ɔttsjo], gazza [‘gaddza]
• Nasale palatale [ɲ]: cicogna [tʃi’koɲɲa]
• Laterale palatale [ʎ]: paglia [‘paʎʎa]

Sono invece sempre brevi:

• Fricativa alveolare sonora [z]: caso [‘ka:zo]


• Approssimanti [j] e [w]: ieri [‘jɛ:re], guaio [‘gwajo]

La lunghezza vocalica in italiano non ha valore distintivo, anche se potrebbe essere così in altre lingue.
Allora come rendersi conto di quando una vocale è lunga? Una sillaba tonica aperta, cioè priva di coda
consonantica, ha una vocale lunga, a meno che non sia finale di parola; mentre una sillaba tonica chiusa,
cioè con coda consonantica, ha una vocale breve.

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TONO E INTONAZIONE

Il tono è precisamente l’altezza relativa di pronuncia di una sillaba, dipendente dalla tensione delle pliche
vocali e della laringe e quindi dalla velocità e frequenza (numero in un’unità di tempo) delle vibrazioni delle
pliche vocali. Nelle lingue tonali, come ad esempio il cinese, il tono ha valore distintivo pertinente a livello
di parola, ciò però non avviene in italiano. In realtà nella nostra lingua il tono ha rilevanza, ma a livello di
un’intera frase, in questo caso si parla di intonazione. L’intonazione è l’andamento melodico con cui è
pronunciata una frase o un intero gruppo tonale o gruppo ritmico (cioè la parte di una sequenza o catena
parlata pronunciata con una sola emissione di voce). L’intonazione è in sostanza una sequenza di toni che
conferisce all’emissione fonica nel suo complesso una certa curva melodica.

Quindi ricapitolando in italiano hanno valore distintivo solo accento, lunghezza consonantica e
intonazione.

3.MORFOLOGIA

L’ambito d’azione della morfologia è la forma o meglio la struttura della parola

Morfema: unità minima ricorrente in cui


sono associati suono e significati. Se
proviamo a scomporre una parola in pezzi
più piccoli di prima articolazione (che
hanno associato un significato proprio
isolabile), troviamo dei morfemi

Bisogna fare però attenzione alle coincidenze formali, non tutte le parole contenti “dent” fanno riferimento
all’organo per masticare; ad esempio in “studente”.

Il morfema è la minima associazione di un significante a un significato. Una unità minima di prima


articolazione è la più piccola parte portatrice di significato proprio, di un valore, di una funzione precisi e
individuabili e riutilizzabile come tale. Il significato si una parola, in linea di principio, è dato dalla somma,
dalla concatenazione dei significati dei singoli morfemi (strad-al-e = relativo alla strada)

Come si riconosce un morfema?

1. Si procede comparando espressioni che abbiano in comune delle porzioni di significante,


2. poi verifichiamo se ad una stessa porzione di significante corrisponde uno stesso significato.

Per questo, possiamo escludere che il morfema dent- di dentale sia presente in studente. Anche se in realtà
però non è sempre facile individuare un significato condiviso, basti pensare ad alcuni esempi come:

• fumetto (fumo + etto?)


• grilletto (grillo + etto?) È lo stesso morfema –etto di
• verdetto (verde + etto?) “divanetto” (divano + etto)?

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TIPI DI MORFEMI
Classificazione funzionale: in base alla funzione svolta, al tipo di valore che i morfemi recano nel contribuire
al significato delle parole

• Morfemi lessicali: fanno riferimento alla realtà esterna alla lingua, con un significato referenziale,
concettuale e denotativo, rimandano quindi a un oggetto concreto al di fuori della realtà
extralinguistica => classe aperta (sempre suscettibile di accogliere nuovi elementi). Questi morfemi
stanno nel lessico, nel vocabolario, di una lingua.
Dentista, dentale
• Morfemi grammaticali: fanno riferimento a caratteristiche interne alla lingua, cioè a categorie
grammaticali (genere, numero, forma, ecc.) => classi chiuse (non suscettibile di accogliere nuove
entità, i cui elementi in un dato momento sono tutti predicibile e si possono enumerare ad uno ad
uno)
Possono essere ulteriormente suddivisi in:
 Morfemi derivativi: derivano da altre parole (dente -> dentale)
 Morfemi flessivi: danno luogo alle diverse forme di parola (gatto – gatti)

Gattara ha 3 morfemi: morfema lessicale, morfema derivativo, morfema flessivo

• Morfemi liberi: possono ricorre de solo, senza aver bisogno di altri morfemi (bar, ieri)
• Morfemi legati: non possono mai comparire in isolamento, ma solo in combinazione con altri
morfemi (gatt-o, tavol-i)
Anche se in alcune lingue tenda ad esserci una corrispondenza tra morfemi liberi e morfemi
lessicali, in italiano molto spesso anche i morfemi lessicali sono legati. (I morfemi grammaticali sono
sempre morfemi legati)

ITA ENG
Gatt-o Cat

Classificazione posizionale: basata sulla posizione che i morfemi assumono all’interno della parola e sul
modo in cui essi contribuiscono alla struttura. Si classificano in base alla collocazione che assumono, ci
riferiamo soprattutto a morfemi grammaticali, in questo caso chiamati anche affissi in generale.

• Prefissi: prima della radice lessicale (inutile, rifare)


• Suffissi: dopo la radice lessicale (cambiamento, strutturazione)
• Infissi: dentro la radice (sinamahan “ha accompagnato”, da samahan “accompagnare”)
• Interfissi: tra radice e suffisso diminutivo (cuoricino)
• Circonfissi: affissi formati da due parti, una prima della radice e una dopo, che quindi contengono
la radice al loro interno (gesagt)
• Transfissi o confissi: affissi che si incastrano alternativamente dentro la radice, dando quindi luogo
a discontinuità sia dell’affisso che della radice (arabo kitab “libro”, kataba “lui scrisse”, dalla radice
triconsonantica k-t-b “scrivere”)

MORFEMI E MORFI
Nelle lingue esistono parole che non si prestano ad alcuna segmentazione (è), non è possibile attribuire
ciascuno di questi componenti di significato a una porzione di “è”. Adottando una terminologia che
distingua tra morfi e morfemi, le parole si scompongono in realtà in morfi (entità lineari), ciò che vediamo.
La parola “è” è costituita da un solo morfo, che però verifica il significato “essere”. (morfo-unico segno)

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• Morfo cumulativo: Spesso morfemi grammaticali veicolano contemporaneamente più di un
significato o valore: buone, “e” è un morfo cumulativo, perché accumula significati diversi
(femminile e plurale).
• Morfo zero: Una distinzione obbligatoriamente marcata nella grammatica di una certa lingua può
eccezionalmente non essere rappresentata in alcun modo nel significante, si parla allora di morfo
zero, che realizzerebbe il plurale di sostantivi invariabili, in cui il valore di plurale non è marcato a
livello formale. (città (s) – città (pl))
• Morfo vuoto: Caso speculare è quello dei morfi vuoti, in cui elementi individuabili all’interno del
significante di alcune forme sembrano essere privi di significato.

Che significato hanno –a, -e, -i? Nella grande maggioranza delle forme verbale e deverbali (derivate
da verbi) si pone in italiano il problema di queste vocali => definite anche vocali tematiche. Si parla
anche di tema del verbo per riferirsi alla combinazione radice + vocale tematica, anche se è un
significato un po’ tirato e astratto.

• Bound stems: In alcuni casi esistono parole che sembrano essere formate sa prefissi o suffissi, in cui
è possibile individuare abbastanza facilmente una possibile radice: presumere, resistere. Ma
pensandoci che significati hanno –sumere e –sistere? Nessuno.
• Allomorfia: un morfema può comparire in forme parzialmente diverse:
scuola vs scolastico
Non diciamo “scuolastico”
L’allomorfo è una variante formale di un morfema, che realizza lo stesso significato di un altro
morfo equi funzionale con cui è in distribuzione complementare, quindi ciascuna delle forme
diverse in cui si può presentare uno stesso morfema.

Il criterio in base a cui possiamo dire che si tratti dello stesso morfema (e quindi stabilirne gli
allomorfi) è che l’elemento individuato abbia sempre lo stesso significato e si trovi nella medesima
posizione nella struttura sella parola. Perché si possa parlare di allomorfi occorre che ci sia una
certa affinità fonetica.
Le cause dei fenomeni di allomorfia sono solitamente da cercare nella diacronia, riconducibili, cioè,
a trasformazioni avvenute nella forma delle parole e dei morfemi, spesso per ragioni fonetiche,
lungo l’asse del tempo: gran parte dei fenomeni di allomorfia è dovuta ai mutamenti fonetici e alle
diverse trafile con le quali le parole sono trasmesse dall’origine latina all’italiano. Inoltre, in
sincronia, anche fenomeni fonetici come l’assimilazione possono causare allomorfia (impossibile-
illeggibile = in)
• Suppletivismo: Casi in cui un morfema lessicale viene sostituito da un morfema dalla forma
totalmente diversa (spesso di diversa origine etimologica) ma con lo stesso significato

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FLESSIONE
La flessione dà luogo a forme di una parola, regolandone il modo in cui si attualizzano le frasi. I morfemi
flessivi intervengono solamente nelle parole “variabili” e danno luogo alle diverse forme in cui una parola
può presentarsi nel suo impiego nel discorso. Non crea nuove parole ma da solamente un valore di alcune
categorie grammaticali, più precisamente un morfema flessivo è la marca di un valore. In genere si
distinguono due classi si categorie flessive:

I. Quelli che operano sui nomi (e sugli aggettivi e i pronomi)


II. Quelli che operano sui verbi

Che valori può manifestare quindi un morfema flessivo?

I. Per quanto riguarda il nome può esprimere: numero, genere, caso, grado (bell-issimo), in alcune
lingue anche definitezza (noi con articolo) o anche possesso
II. Per quanto riguarda il verbo può esprimere: modo, tempo, aspetto (modo in cui vengono osservati
e presentati l’azione o l’evento o il processo espressi dal verbo – azione compiuta o in corso),
diatesi (attivo – passivo), persona, numero e in alcune lingue anche genere

La flessione è obbligatoria, cioè si applica invariabilmente a qualunque morfema lessicale ad essa soggetto.
Ad esempio ogni nome in italiano esplicita i valori di numero e genere. Obbligatorio nel senso che non
possiamo scegliere di ometterlo. Un meccanismo che opera in molte lingue è quello della marcatura di
accordo, che prevede che tutti (o alcuni) elementi suscettibili di flessione all’interno di un certo costrutto
prendano le marche (i morfemi congruenti) delle categorie flessive per le quali è marcato l’elemento cui si
riferiscono. In italiano ad esempio è obbligatorio l’accordo tra soggetto e verbo e tra i diversi componenti di
un sintagma nominale. Es: La mia bella maglietta rossa

DERIVAZIONE
Diversa è invece la derivazione: la formazione di una nuova parola e l’uso di una parola derivata (o
composta) non è mai obbligatorio. “Abitazione” è una parola derivata, ma io posso usare al suo posto una
parola non derivata come “casa”.

FLESSIONE VS DERIVAZIONE

1. I morfemi derivazionali mutano il significato della base cui si applicano, aggiungendo nuova
informazione rilevante, integrandolo, modificando la classe di appartenenza della parola e la sua
funzione semantica o sfumandone il senso. Con la flessione diamo solo indicazioni grammaticali,
con la derivazione creiamo nuove parole. Es: dormitorio, “torio” da un’informazione di luogo.
2. Inoltre la derivazione agisce prima della flessione: can-e, can-il-e. I morfemi flessivi sono più
lontani dalla rdice, perché prima creiamo le parole e poi aggiungiamo le flessioni.
3. La derivazione può modificare la classe lessicale di appartenenza della base, al contrario della
flessione. Es viaggiare –flessione-> viaggiamo; viaggiare –derivazione-> viaggiatore

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LA FORMAZIONE DI PAROLE (derivazione)

In italiano parole nuove si creano principalmente attraverso la derivazione e la

Una categoria lessicale può infatti nascere come tale oppure diventare tale attraverso vari processi:

 rompere (V)
 Ospedalizzare: da ospedale (N -> V) N = nome,
 Calmare: da calmo (A -> V)
 Dormicchiare: da dormire (V -> V) A = aggettivo,
 Nazionalizzare: da nazionale, da nazione (N -> A -> V)
V = verbo
 Giustiziare: da giustizia, da giusto (A -> N -> V)
 Azionare: da azione, da agire (V -> N -> V)

A partire da una certa radice lessicale potremmo in linea di teoria creare un numero infinito di parole.

Quanti affissi ha socializzabilità? Soci-al-izz-abil-ità

Tutte le parole formate a partire da una certa radice lessicale appartengono alla stessa famiglia lessicale

Come agisce la derivazione?

• Suffissazione

In italiano il più importante e produttivo dei procedimenti di formazione di parola è la suffissazione, con
aggiunta di morfema a destra della base. Tra i più comuni troviamo:

 -zione e –mento per formare nomi d’azione a partire da basi verbali (formazione)
 -tore, -aio, -iere, -ista per formare nomi d’agente a partire da basi verbali e nominali (viaggiatore)
 -ità, -ezza per formare nomi astratti da basi aggettivali (tranquillità)
 -oso, -ico, -ale per formare aggettivi da basi nominali (pericoloso)
 -abile, -ibile, -evole per formare aggettivi da basi verbali (mangiabile)
 -izzare, -ificare, -eggiare per formare verbi da basi nominale e aggettivali (tranquillizzare)
 -mente per la formazione di avverbi

• Prefissazione

In prefissazione si parla dell’aggiunta di un morfema a sinistra della base. A differenza della suffissazione,
non cambia la categoria sintattica della base ed è solo derivazionale. Tra i più comuni troviamo:

 In-, s-, dis- con valore di negazione (sleale)


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 Con- con valore comitativo (convivere)
 Ri- con valore iterativo (rivedere)

Attenzione! Molte volte un morfema può avere più valori.


Es: in -> 1. negazione: immobile, 2. Ingresso: immigrazione 3. Diminutivo: gattino

• Conversione

È un processo morfologico per il quale una parola appartenente a una data categoria grammaticale viene
convertita in un’altra categoria senza che nulla cambi nella sua struttura morfologica.

Es: volere (V) – (il) volere (N) MA anche stanco (A) – stancare (V)

Per questi ultimi casi è anche in uso il termine derivazione zero, perché non si ha una vera e propria
derivazione, ma si ha un cambio di categoria sintattica.

• Parasinetsi

La combinazione di un prefisso con una conversione o derivazione zero (secondo alcune impostazioni
teoriche, si parla di aggiunta simultanea di prefisso e suffisso) dà luogo a formazioni parasintetiche.

Es: ingiallire, arrossire, svilire

Se togliamo il prefisso derivazionale o il suffisso flessivo, ciò che resta non è una parola esistente.

COMPOSIZIONE
Come la derivazione ci permette di creare nuove parole, ma non vengono aggiunte delle particelle ad una
radice lessicale, bensì troviamo più radici lessicali, ciascuna della quali può apparire come una parola
autonoma. Es: capostazione, apribottiglie, cassaforte

E nel caso di cardio-patia?

Si parla in questi casi di prefissoidi e suffissoidi, che per lo più provengono da parole delle lingue classiche,
specie dal greco e che funzionano in sincronia come affissi, cioè come morfemi derivazionali, ma veicolano
il significato tipico ereditato dalle parole da cui sono tratti. I formativi provenienti da lingue classiche danno
luogo a parole che vengono per questo chiamate composti neoclassici. Tra i più comuni troviamo: bio- vita,
eco- ambiente, pseudo- falso, mono- uno, tele- lontano, semi- metà, -logia studio

Uno dei costituenti del composto è più importante e funziona da testa:

 Assegna al composto la propria classe di parola (determina la parte di discorso cui appartiene)
 Assegna al composto base del suo significato
 Assegna al composto i valori delle categorie grammaticali, determina i tratti flessivi

Test “è un”? Il pescespada è un “pesce” o una “spada”? È un pesce quindi “pesce” è testa

I composti in cui è possibile identificare un elemento con funzione di testa sono detti endocentrici. Di
norma la testa in italiano si trova a sinistra, anche se non è sempre così (malumore, buonafede, terremoto).
Esistono anche composti che hanno due teste e sono detti composti dvandva, in cui gli elementi stanno
sulla stessa posizione e hanno la stessa importanza.

Es: caffelatte, agrodolce, sordomuto, cassapanca.

Esistono poi anche composti in cui non si ha una testa, perché in realtà non esiste una risposta al test “è
un”, se non la parola stessa. Questi vengono chiamati composti esocentrici.

Es: appendiabiti, buttafuori, bagnasciuga


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4.SINTASSI

La Sintassi definisce come mettiamo in relazione le parole tra loro, come gli elementi si combinano tra loro
per costruire una frase ma anche gruppi di parole.

La sintassi si occupa della struttura delle frasi:

• Modi in cui le parole si combinano tra loro per ottenere un significato


• Delle sequenze con cui si combinano
• Delle trasformazioni che tali sequenze possono subire (Maria ha bevuto il caffè / Maria l’ha bevuto,
il caffè)

Si occupa quindi delle modalità con cui le parole si combinano in unità maggiori (sintagmi e frasi), i criteri che
regolano tali combinazioni e le funzioni che esse assumono

Le parole non si combinano in frasi per semplice giustapposizione casuale, ma secondo rapporti e leggi
strutturali a volte anche molto complessi => compito della sintassi è studiare e descrivere tali rapporti.

I COSTITUENTI IMMEDIATI DELLA FRASE

Maria / legge
Mio cugino / ha comprato una macchina nuova

Maria e Mio cugino sono due costituenti immediati.

Ha comprato una macchina nuova può essere a sua volta ulteriormente scomposto nei costituenti immediati
ha comprato + una macchina nuova

Continuando a ‘tagliare’ i costituenti in questo modo fino ad arrivare alle parole, termine ultimo a cui l’analisi
in costituenti si arresta.

Per costituenti immediati si intende quello che ci risulta dal taglio che abbiamo fatto. Se prendiamo l’unità di
parola abbiamo individuato i costituenti immediati di questo gruppo. Rispetto al gruppo “ha comprato una
macchina nuova” i suoi costituenti immediati sono “ha comprato” e “una macchina nuova”.

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Un’altra rappresentazione di questa analisi può essere compiuta tramite un grafico a forma di albero
A ogni biforcazione (definita nodo) dell’albero corrisponde una scomposizione in costituenti immediati.
In questo modo risalta l’organizzazione gerarchica della frase: ogni nodo, col relativo simbolo di categoria,
‘domina’ i nodi dei rami che si dipartono da esso.

LA NOZIONE DI SINTAGMA
Sintagmi: gruppi di parole che ruotano attorno ad un elemento che ha più importanza nel gruppo di parole.
Mio cugino  sintagma nominale, possiamo avere la testa accompagnata da altri elementi: modificatori 
vanno a modificare la testa aggiungendo informazioni, modificandone la portata, vanno a modificare,
specificare le informazioni portate dal nome. La testa è l’elemento che può anche stare da solo.

I sintagmi (gruppo di parole) possono avere estensione più o meno grande, posso stare da soli (testa 
elemento più importante del sintagma) o possono essere accompagnati da modificatori.

Tipi di sintagma

• Nominale (SN) Maria legge un libro


• Verbale (SV) Maria Legge un libro
• Preposizione (SPrep) Maria gode di ottima salute
• Aggettivale (SAgg) Sono orgoglioso dei suoi risultati
• Avverbiale (SAvv) Maria ha mangiato molto velocemente

IL SINTAGMA NOMINALE

Un sintagma nominale è un sintagma costruito attorno a un nome: N è la testa di SN. Il sintagma nominale
minimo è un solo nome o pronome, mentre il sintagma nominale massimo può avere una struttura anche
molto complessa. Tra i suoi componenti troviamo:

• Determinanti: Questo amico, quale ragazza?


• Modificatori: Il mio giornale, un partito politico
• Apposizioni: Napoleone, imperatore dei francesi, fu sconfitto a Waterloo
• Sintagmi preposizionali: Il libro di Giovanni, il gelato al limone, una notte senza luna
• Frasi relativi: ho comprato il libro di cui mi hai parlato

SINTAGMA VERBALE

Il sintagma verbale (SV) si può espandere tramite diversi elementi:

• Avverbi: Non leggo un libro, legge velocemente


• argomenti di diversa natura: Leggo un libro, Spedisce un libro da Roma a Venezia
• frasi che dipendono da un verbo: Dice che è in ritardo, è venuto qui per discutere con noi

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IL SINTAGMA PREPOSIZIONALE (ECCEZIONE DELLA TESTA)

Nel sintagma preposizionale la testa è la preposizione: per il tuo bene. La preposizione però non condivide
la proprietà che hanno le altre teste di sintagma di poter rappresentare da sola il sintagma.

CRITERI PER IL RICONOSCIMENTO DEI SINTAGMI

Come riconoscere quali parole costituiscono un sintagma?


È possibile fare riferimento ad alcuni ‘test di costituenza’

• Mobilità
• Scissione
• Enunciabilità in isolamento
• Coordinabilità

mobilità
Un gruppo di parole rappresenta un sintagma se le parole che lo costituiscono si muovono congiuntamente
all’interno di una frase. Per capire se delle parole sono un sintagma possiamo effettuare un test di mobilità
e provare a spostare le parole all’interno della frase:

• La scorsa settimana mio cugino ha comprato una macchina nuova


• Mio cugini ha comprato una macchina nuova la scorsa settimana
• La scorsa mio cugino ha comprato una macchina nuova settimana

L’ultima frase non ha senso perché abbiamo diviso il sintagma “la scorsa settimana”

scissione
Si piò eseguire anche il test della scissione. Un gruppo di parole rappresenta un sintagma se può essere
separato dal resto della proposizione costruendo una struttura chiamata frase scissa, in cui possiamo
isolare per mezzo di una struttura del tipo è … che il gruppo di parole mio cugino, che rappresenta quindi
un sintagma (nominale)

• È mio cugino che ha comprato la macchina nuova la scorsa settimana


• È cugino che ha comprato settimana mio una macchina nuova scorsa

enunciabilita in isolameto
Possiamo anche eseguire il test dell’enunciabilità in isolamento. Un gruppo di parole rappresenta un
sintagma se da solo può costituire un enunciato, cioè se può essere pronunciato in isolamento (risposta a
una domanda)

• Chi ha comprato una macchina nuova? Mio cugino

Sintagma: unità intermedia tra frase e parola. Assembliamo gruppi di parole tra loro.

coordinabilità
il test della coordinabilità, che serve per riconoscere se due o più gruppi di parole rappresentino sintagmi di
uno stesso tipo. Sintagmi diversi sono dello stesso tipo se possono essere coordinati:

• Ha frequentato il corso svogliatamente e poco assiduamente


• L’uomo è stanco e terribilmente disilluso.

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STRUTTURAZIONE DELLE FRASI

FUNZIONI SINTATTICHE

Indicano il ruolo assunto dai sintagmi nella frase; le 3 funzioni sintattiche fondamentali sono soggetto,
predicato verbale e oggetto. Oltre a queste tre funzioni ci sono i complementi, generalmente definiti dalla
grammatica tradizionale sulla base del loro valore semantico.

Essenzialmente i sintagmi nominali possono valere da soggetto o (complemento) oggetto, i sintagmi


preposizionali possono valere da oggetto indiretto o da complemento, i sintagmi verbali possono valere da
predicato.

SCHEMI VALENZIALI

Le funzioni sintattiche vengono assegnate a partire da schemi valenziali, detti anche strutture argomentali
=> scheletro della strutturazione delle frasi.
Quando enunciamo qualcosa sotto forma di frase, partiamo dalla selezione di un verbo per rappresentare
l’azione/evento/stato di cose/processo che vogliamo descrivere. Questo verbo è associato a delle valenze
(o argomenti), che sono implicate, richieste, da tipo di significato del verbo: ogni predicato, sulla base della
natura del processo che rappresenta e codifica, configura un quadro di elementi chiamati in causa

• Marina abita. (dove?)


• Giulio regala. (cosa?)

Una volta scelto un verbo questo detterà quante posizioni sarà necessario riempire, ogni verbo stabilisce il
numero e la natura delle valenze o argomenti che esso richiede e ha quindi un certo schema valenziale (o
una struttura argomentale). I tipi di schemi valenziali sono:

• Zerovalenti  nessun argomento (piovere)


• Monovalenti  un argomento (nascere, piangere)
• Bivalenti  due argomenti (abitare, mangiare)
• Trivalenti  tre argomenti (dare, regalare)
• Tetravalenti  quattro argomenti (tradurre, spostare)

Tuttavia esistono tipologie di verbi ambigue, spesso perché uno stesso verbo assume più significati:

• Gli assedianti attaccarono la fortezza  2 argomenti


• Gianni ha attaccato un quadro alla parete  3 argomenti

In una frase, oltre ai costituenti che rendono le funzioni sintattiche previste dalla struttura argomentale, si
possono trovare anche costituenti che realizzano altri elementi, che non fanno parte dello schema valenziale:
i circostanziali o avverbiali. Essi aggiungono informazioni che spesso sono salienti dal punto di vista del valore
comunicativo della frase. I circostanziali funzionano tipicamente da modificatori a livello della frase nel suo
complesso o del sintagma erbale o del sintagma nominale.

Attenzione!

• Mi congratulo con Maria per il suo matrimonio VS Ho cenato con Maria nel ristorante sul lago
• Luca abita a Parigi VS Luca ha conosciuto Luisa a Parigi

Nelle prime frasi gli stessi sintagmi non sono circostanziali.

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RUOLI SEMANTICI
Un altro ordine di principi che intervengono nella costruzione e interpretazione di una frase è dato da
principi semantici che concernono il modo in l’entità indicata dal sintagma contribuisce e partecipa
all’evento rappresentato dalla frase.

• Agente ruolo semantico dell’entità animata che, nell’evento o scena rappresentato dalla frase, si fa
intenzionalmente parte attiva che provoca ciò che accade. (spesso coincide con il soggetto, ma non
sempre! Ad esempio nelle frasi passive)
Gianni mangia una mela.
• Paziente è il ruolo semantico dell’entità che, nell’evento o scena rappresentato dalla frase, è
coinvolta senza intervento attivo, in quanto subisce o è interessata passivamente da ciò che accade
o si trova in una certa condizione.
Gianni mangia una mela.
• Sperimentatore (esperiente) è il ruolo semantico dell’entità che trae beneficio dall’azione, a
vantaggio della quale va a ricadere quanto succedere nell’avvenimento.
A Luisa piacciono i gelati.
• Beneficiario è il ruolo semantico dell’entità che trae beneficio dall’azione, a vantaggio della quale
va a ricadere quanto succede nell’avvenimento:
Gianni regala un libro a Luisa.
• Strumento è il ruolo semantico dell’entità inanimata mediante la quale avviene ciò che accade o
che interviene nell’attuarsi dell’evento o che è fattore non intenzionale dell’azione.
Gianni taglia la mela col coltello.

STRUTTURA DELL’INFORMAZIONE
Nella strutturazione delle frasi, oltre all’intervento delle valenze, dei ruoli semantici e delle funzioni
sintattiche, è rilevante anche il piano dell’organizzazione pragmatico-informatica. Dal punto di vista della
strutturazione dell’informazione veicolata, una frase può essere vista come un’affermazione fatta attorno a
qualche cosa.

TEMA E REMA

Possiamo dunque distinguere una parte della frase che identifica e isola il qualcosa sul quale verte
l’affermazione (tema) e una parte particolare che rappresenta l’affermazione fatta, l’informazione
propriamente fornita (rema). Il tema (o topic) è ciò su cui si fa un’affermazione, l’entità attorno a cui si
predica qualcosa, mentre il rema è la predicazione che viene fatta, l’informazione che viene fornita a
proposito del tema.

Spesso il tema si trova in prima posizione e rappresenta il punto di partenza dell’affermazione. Solitamente
ogni fare ha una parte remica, al contrario possono esiste frasi atematiche

Prendi la valigia!

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DATO E NUOVO

L’opposizione tra dato e nuovo concerne un altro punto di vista da cui è possibile considerare
l’informazione data nelle frasi, relativo al rapporto col contesto precedente e alle conoscenze condivise
presupposte di parlante e ascoltatore

Dato: elemento della frase da considerare noto o perché precedentemente introdotto nel discorso o
perché facente parte delle conoscenze condivise

Nuovo: è l’elemento portato come informazione non nota

Riassumendo, da un lato si sceglie ciò di cui si vuol parlare (tema) e si afferma qualcosa a proposito di
questo (rema), dall’altro si tiene conto della differenza fra informazione già conosciuta (dato) e
informazione che si ritiene non nota (nuovo). Tuttavia i due temi possono sovrapporsi poiché spesso il
soggetto coincide col tema e con l’informazione data e occupa la porzione sinistra della frase, mentre il
predicato coincide col rema e con l’informazione nuova e occupa la porzione destra della frase

FOCUS

Il focus è il punto di maggior salienza comunicativa della frase, l’elemento su cui si concentra maggiormente
l’interesse del parlante e che fornisce la massima quantità di informazione nuova. In genere il focus fa parte
del rema ed è contrassegnato da una particolare curva intonativa enfatica, tanto che può essere
contrastato.

Carla al mattino prende il caffè, non il tè

Un mezzo per evidenziare il focus è la frase scissa, ma anche l’uso di determinati avverbi, detti focalizzatori
(anche, solo, addirittura).

ORDINI SINTATTICI MARCATI


Riferito alla sintassi di una lingua usiamo questo termine per riferirci alla situazione che si ha quando i
costituenti si susseguono secondo un ordine diverso da quello normale. L’ordine prototipico in italiano è
SVO

Quando si parla di ordine marcato ci si riferisce ad un ordine più complesso, meno naturale, meno
frequente e a variazioni nella collocazione degli elementi nucleari della frase.

Nelle frasi normali, non marcate, soggetto, agente e tema tendono spesso a coincidere sullo stesso
costituente frasale:

Un gatto insegue il topo

Spesso però l’italiano, come anche altre lingue, è flessibile e lascia che si cambi questo ordine delle parole.
Le lingue possiedono dispositivi per separare le funzioni e mutare o invertire l’ordine non marcato dei
costituenti

DISLOCAZIONE A SINISTRA

Con la dislocazione a sinistra si sposta davanti alla frase, cioè alla sua sinistra, uno degli elementi che la
costituiscono. Con la dislocazione a sinistra dislocazione a sinistra si può spostare nella posizione di tema
l’oggetto (che di solito è rematico) o un altro complemento rematico e nella posizione di rema il soggetto
(che si solito è tematico):

Il pane, lo compro tutte le mattine al forno sotto casa.

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La dislocazione a sinistra anticipa all’inizio della frase un costituente (il pane) riprendendolo con un
pronome clitico (particella atona) sul verbo che ne rappresenta la funzione sintattica (lo compro).
Qualunque costituente rematico può essere dislocato a sinistra: oltre all’oggetto diretto, l’oggetto indiretto
(es. Ad Elena le avevano chiesto un favore), un locativo (es. Al cinema ci vado sempre più raramente),
un’intera frase (es. Che fosse una persona timida, lo avevamo capito da tempo), ecc…

In italiano l’unico costituente a non poter essere dislocato è il soggetto, data la mancanza di clitici soggetto.

TEMA SOSPESO

Quando un costituente è anteposto a una frase senza marca della funzione sintattica, oppure primo sia di
clitico che si marca della funzione. Si parla di tema sospeso o tema libero (anche conosciuto nella
grammatica tradizionale con il nome anacoluto)

Ad Elena, le avevano chiesto un favore

Ad Elena, le avevano chiesto un favore

La funzione è sempre la stessa della dislocazione a sinistra, ovvero evidenziare un tema diverso dal
soggetto, la differenza consiste però nel fatto che non c’è alcun legame morfosintattico esplicito con la
frase da cui il costituente è estrapolato. È frequente nel parlato e riflette la caratteristica mancanza di
pianificazione (tipica di questi contesti): nasce, in sostanza, dalla rapida enunciazione di un tema, al quale si
fa seguire il relativo discorso (rema). Risponde alla necessità di procedere più speditamente nella
manifestazione e concatenazione delle idee.

DISLOCAZIONE A DESTRA

Consiste nell’isolare in fondo alla frase un costituente, riprendendolo con un clitico sul verbo.

Lo beve il caffè?

Ci vado sempre più raramente, al cinema.

L’elemento dislocato di fatto occuperebbe la stessa posizione anche nella frase non marcata, ma
caratterizzanti sono l’intonazione e il rinvio pronominale. In questo tipo di costruzioni, l’ordine naturale
tema-rema è invertito: l’elemento isolato a destra ha valore tematico e il rema è evidenziato. Il costituente
tematizzato a destra rappresenta un elemento in certi casi dato e in altri nuovo, che viene tuttavia
considerato ‘dato’ dal parlante sulla base del riferimento al contesto extralinguistico o all’universo di
discorso e alle conoscenze condivise in questo operanti.

FRASE SCISSA

La frase scissa consiste nello spezzare una frase in due parti, portando all’inizio della frase, introdotto dal
verbo essere, un costituente e facendolo seguire da una frase (pseudo) relativa. Mette in evidenza la parte
del focus: focalizza la porzione di enunciato che vogliamo portare in rilievo.

È il gatto che insegue il topo.

Però possono essere messi in evidenza anche altri costituenti oltre al soggetto:

• È te che abbiamo interpellato (oggetto diretto)


• È a lei che devo delle scuse (oggetto indiretto)
• È quando si lamenta che non lo sopporto (intera frase)

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FRASE PSEUDO-SCISSA

Simili alle frasi scisse sono le frasi pseudo-scisse. Queste frasi hanno in comune il fatto che la potenziale
frase non marcata di partenza viene spezzata in due segmenti mediante il ricorso a una struttura
copulativa, c’è la forma del verbo essere che isola e introduce il costituente focalizzato. Nelle frasi pseudo-
scisse, però. L’elemento focalizzato si trova alla destra dell’enunciato, non alla sinistra come avviene nelle
frasi scisse canoniche.

Se ti dico questo è perché ti sono amico

Quello che volevo dirti è che sono molto arrabbiato.

5. LESSICO
Il lessico è una componente essenziale di ogni lingua, senza lessico non esisterebbe una lingua, non
potremmo comunicare verbalmente, i messaggi sarebbero vuoti. E’ lo strato della lingua più ampio, che
comprende un inventario incomparabile di elementi, anche se meno strutturato e sistematico. Il lessico è
una categoria aperta, in continua evoluzione e in cui nuovi elementi vengono accolti continuamente. Inoltre
è lo strato più esterno di una lingua, più esposto a circostanze extra-linguistiche e più condizionato da
fattori estranei all’organizzazione del sistema: è più esposto al contatto e all’interazione con le altre lingue
ed è una sorta di carco attraverso cui il sistema linguistico si apre alla realtà.

Spesso pensando al lessico ci immaginiamo un dizionario, ma queste due entità sono diversi per una
molteplicità di motivi:

Quante parole ci sono nella lingua italiana? Un dizionario mediamente riporta tra 90.000 e 130.000 termini
Quante parole conosce un parlante medio-alto? Un parlante medio-alto conosce attorno alle 50.000 unità,
di cui circa 7.000 sono le parole appartenenti al lessico base.

Tuttavia il dizionario non può considerarsi una fonte esaustiva. Calcolare il numero di lemmi, ma anche di
lessemi, di una lingua non è semplice perché dobbiamo tenere conto di tutte le forme flesse, dei derivati,
dei composti e delle polirematiche, che alzano notevolmente il numero di parole di un lessico. Se il criterio
di identificazione è quello semantico, c’è un ulteriore problema: come considerare le parole che hanno più
di un significato?

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carattere = tratti psicologici, carattere = segno grafico

• Omonimia: quando le due forme hanno in comune il suono o la grafia, ma hanno significato diverso
• Polisemia: quando in un’unica forma si sono cumulati più significati (probabilmente stessa matrice)

Spesso è difficile decidere di fronte a casi di polisemia oppure omonimia, la distinzione di solito è decidibile
soltanto in diacronia (cioè, analizzando lo sviluppo della lingua nel tempo). Se due forme hanno diversa
etimologia costituiscono molto probabilmente due omonimi.

Criterio etimologico: miglio = pianta, miglio = unità di misura

Se i diversi significati associati a una stessa forma lessicale possono essere messi in relazione, cioè
ricondotti l’uno all’altro attraverso qualche dimensione semantica, siamo probabilmente di fronte a un
lessema polisemico:

collo = parte del corpo, collo della camicia, collo della bottiglia.

Tuttavia dal punto di vista del parlante queste parole vengono viste come unità diverse.

PAROLA
Un altro problema che si pone nel cercare di quantificare le parole del lessico riguarda la nozione stessa di
parola, che può essere una nozione immediata e intuitiva per il parlante, ma di difficile definizione per il
linguista.

Sala d’attesa? Tavola rotonda? Pescespada? Scrivimi?

Queste sequenza dal punto di vista semantico assomigliano a dei lessemi, nonostante la loro forma grafica
(costituita da più elementi), perché esprimono un concetto saliente nella sua globalità e quindi unitario.
Queste espressioni sono chiamate unità polirematiche o espressioni multi parola.

Per ritagliare in un testo le unità che funzionano come parole, possiamo applicare dei test che permettono
di valutare la presenza di requisiti essenziali di una parola:

• Coesione tra le parti costituenti:


• Ordine fisso tra le parti costituenti
• Autonomia (capacita si avere senso da sola)

Test della separabilità: consiste nel separare le parti che si suppone siano i costituenti di parola complessa,
inserendo degli elementi linguistici tra l’una e l’altra e valutare se il risultato è accettabile. Gli elementi che
vengono inseriti sono generalmente elementi che modificano il costituente principale (testa)

Tavola rotonda -> Tavola molto rotonda (funziona, ma si perde il significato)

Carta di credito -> una carta nuova di credito (non funziona)

Se il risultato di questa inserzione non è accettabile, in costituenti costituiscono una parola. Una parola è
infatti per definizione una unità che non può essere modificata in una sua parte, ma solo globalmente.
Anche se in realtà non è sempre così facile stabilirlo:

Coltello da cucina -> ? Un coltello affilato da cucina

In genere le sequenze verbali possono essere facilmente modificate da avverbi semplici, come nel caso di
subito, spesso e sono meno facilmente modificate da espressioni avverbiali (con rapidità). Nel caso delle
sequenze nominali, l’inserzione di un modificatore non è possibile né nel caso di espressioni idiomatiche
(tavola rotonda), né nel caso si espressioni il cui significato è composizionale (carta di credito)

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Test dell’inversione dell’ordine dei costituenti: se il risultato di questo cambio di ordine non è accettabile,
la sequenza costituisce una parola complessa

*= non funziona

? = incerto

= funziona

Test della sostituibilità paradigmatica: consiste nel sostituire uno dei costituenti con un sinonimo o quasi-
sinonimo:

*Camera di attesa (sala d’attesa)

*Guerra gelida (guerra fredda)

Se la sequenza ha lo statuto di parola, l’introduzione di un sinonimo rompe la coesione sintattica e


semantica della parola complessa e produce una sequenza senza senso.

STRATIFICAZIONE DEL LESSICO


Come si compone il lessico? Per quanto riguarda il lessico ogni lingua presenta degli strati:

 Parole ereditarie: sono parole provenienti dal latino parlato e arrivato a noi per tradizione
ininterrotta nei secoli della transizione latino-romanza, si tratta di termini della vita quotidiana, che
si sono evoluti nella forma e talvolta nel significato. Possono essere abbastanza diverse nella forma
dalla base latina a causa dei naturali processi di mutazione linguistica a cui sono state sottoposte,
avvenuto senza che i parlanti ne avessero la percezione. (Plateam > piazza). Oltre alla forma
potrebbero aver subito anche modifiche di significato. (testam = vaso di terracotta). Le parole
ereditarie sono circa 4500, non molte ma costituiscono la base del lessico e usate con più
frequenza. (nomi, numeri, parentela, corpo, ecc.)
 Prestiti e calchi da altri lingue: sono fenomeni di interferenze da altre lingue. Il più diffuso è il
prestito, soprattutto dall’inglese, e si distingue tra:
• Prestito non adatto: mantiene la struttura fonologica e morfologica originaria (film,
collage)
• Prestito adatto: si verifica un’assimilazione totale o parziale alle strutture della lingua
ospite, parole che si sono italianizzate tanto nella grafia, quanto nella fonetica che nella
morfologia (beefsteak -> bistecca)
Poi abbiamo il fenomeno del calco, che a sua volta può essere:
• Calco strutturale: si ha nei composti o nelle espressioni polirematiche e consiste nella
traduzione dei singoli elementi: week end -> fine settimana
• Calco semantico: consiste nell’aggiunta di un significato nuovo a una parola italiana già
esistente per influsso di un’altra lingua: realizzare ha preso il significato di “capire” per
influsso di realise.
 Formazioni endogene: parole che si sono formate a partire da elementi interni alla stessa lingua
(ne abbiamo già parlato con la derivazione e la composizione)

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Latinismi: Per l’italiano in realtà esiste un secondo livello di contatto con il latino, oltre a quello che
determina la fetta di lessico ereditario. Nei secoli medievali, poi nell’età umanistico-rinascimentale, e anche
nell’era moderna il latino è stato per molti aspetti una lingua viva, seppure non utilizzata in tutti gli ambiti
comunicativi, ciò ha determinato il passaggio di molte parole latine nel lessico intellettuale dell’italiano, che
sono anche rimaste inutilizzate per anni e poi riprese: cervello, amicizia, cessione. (prestiti dal latino). Sono
circa 30.000 parole.

6. SEMANTICA
La semantica studia il significato, è intuitivamente associata allo studio del lessico perché quando pensiamo
a una parola pensiamo in primo luogo ad associare la sua forma a un significato. Questo non vuol dire che
le parole siano gli unici elementi dotati di significato, ma semplicemente che sono immediatamente
associabili a un referente extralinguistico. In realtà il piano lessicale e il piano del significato si intersecano
ma non si sovrappongono. Le parole non sono gli unici elementi della lingua ad avere significato, anche le
strutture sintattiche, come il passivo o le categorie morfologiche, come il genere e il numero ha non uno o
più significati. Ciò che contraddistingue le parole è il fatto di avere un significato più immediatamente
percepibile e descrivibile.

Dal punto di vista del loro significato, le parole che compongono il lessico di una lingua si distinguono in due
grandi gruppi:

 Parole contenuto: si considerano generalmente parole contenuto quelle appratenti alle categorie
lessicali maggiori. Cioè verbi, aggettivi, nomi e avverbi, che veicolano contenuto
 Parole funzione: gli articoli, i pronomi, le congiunzioni e le preposizioni svolgono delle funzioni e
chiariscono le relazioni esistenti tra le parole che introducono il contenuto.

La mattina prendo il caffè al bar

Se manteniamo solo le parole contenuto riusciamo comunque a ricostruire il senso della frase,
viceversa no.

Un contenuto viene associate alle parole tramite un processo di codifica lessicale o lessicalizzazione,
un procedimento in base al quale, in una lingua specifica, un determinato concetto è associato a una
forma lessicale. Ad esempio: cognata = sorella del marito (è quindi una lessicalizzazione di questo
concetto)

• Lessicalizzazione sintetica: combina più concetti in una singola parola. Ad esempio correre
indica sia il concetto di modo, sia di maniera (veloce).
• Lessicalizzazione analitica: esprime un concetto globalmente unitario utilizzando più parole. Ad
esempio avere paura.

Esistono concetti esprimibili secondo entrambe le due lessicalizzazioni:

tardare / fare tardi

spaventarsi / prendere uno spavento

RAPPORTI TRA PAROLE


Le parole tra loro possono stabilire dei rapporti, che possono essere di due tipi:

 Rapporti paradigmatici: (la presenza di uno degli elementi esclude la presenza degli altri) si
attivano per esempio quando nel progettare un enunciato diverse soluzioni entrano in
competizione tra loro, e se ne sceglie solo una.

Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 36


Ho letto ________ di cui mi hai parlato (un libro? un articolo? un saggio?)

Ogni opzione esclude l’altra, l’insieme delle parole possibile in questo specifico contesto costituisce
una serie paradigmatica o un paradigma

• Relazioni verticali: uno dei due termini è sovraordinato e l’altro sotto-ordinato (fiore-
tulipano, veicolo-macchina).

Di questi iperonimo è il lessema più generale o sovraordinato, mentre iponimo è il lessema


di significato più specifico (è un tipo di..?). Ricorda che un iperonimo potrebbe sempre
essere iponimo rispetto a un altro lessema.

iperonimo: fiore
iponimo: viola, tulipano, rosa, margherita (co-iponimi)

Tuttavia non vanno confusi con l’olonimia/meronimia: la relazione che intercorre tra un
lessema che denota una parte (meronimo) e un lessema che denota il tutto (olonimo). (è
parte di ..?)

• Relazioni orizzontali: di equivalenza e di opposizione (sinonimi o contrari)


Barriera-ostacolo = sinonimo
Lungo-corto = contrario

I sinonimi sono termini con lo stesso significato, che in linea teorica dovrebbero essere
intercambiabili. Avere propriamente lo stesso significato implicherebbe una totale
intercambiabilità in tutti i possibili contesti, spesso in realtà la sostituzione di un termine
con un suo sinonimo crea delle sfumature diverse di significato. Le parole sono per lo più
polisemiche e il caso in cui siano interscambiabili in tutti i loro significati è difficile, la
sinonimia dipende dal contesto: insistente - incessante. Si parla si sinonimi assoluti quando
due parole sono sempre intercambiabili: parapioggia – ombrello, negli altri casi si parla più
correttamente di quasi sinonimi. Le principali dimensioni semantiche lungo cui i quasi-
sinonimi divergono sono:

Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 37


La categoria degli opposti comprende tutte le coppie o serie di termini che si oppongono in
relazione a uno o più aspetti del loro significato, questi possono essere divisi in:
ANTONIMI: sono coppie di parole che designano una proprietà o un evento e che hanno la
caratteristica di essere, da un punto di vista concettuale, graduali, scalari. I due antonimi si
oppongo l’uno rispetto all’altro in relazione a una scala di valore, della quale costituiscono
generalmente i due poli (o due gradi o due valori), per questo si può parlare in questo caso
di opposizione polare. Sono contrari, non contraddittori: la negazione di uno dei due
termini non equivale al suo opposto: non è basso diverso da alto
Esistono anche dei gradini intermedi “abbastanza basso”
COMPLEMENTARI: due termini sono complementari (o contraddittori) quando si
oppongono rispetto a una distinzione non polare o scalare, ma di un’opposizione binaria (o
è uno o è l’altro, non esistono gradini intermedi).
Vivo VS morto
Vero VS falso
INVERSI: sono termini il cui significato esprime una relazione necessaria tra almeno due
elementi (il padre è tale solo in relazione a qualcuno, il figlio), sono termini intrinsecamente
relazionali. E’ una relazione che si instaura tra lessemi che esprimono la stessa nozione da
prospettive opposte.
Vendere/Comprare
Dottore/ Paziente
 Rapporti sintagmatici: (intercorrono tra due o più parole nell’enunciato quando sono combinate in
sintagmi/frasi/testi) ci fanno decidere in che maniera sia più consono combinare le diverse parole
per comporre un enunciato. Quando le parole si combinano tra loro, instaurano relazioni
sintagmatiche. Non tutte le parole possono combinarsi liberamente tra loro dal punto di vista
semantico: Quella porta non la smette mai di parlare, è una frase che non ha senso.
Possiamo distinguere diversi tipi di combinazioni in base al diverso grado di liberà combinatoria
delle parole
• Combinazioni libere: combinazioni di parole che sono relativamente libere come: cercare le
chiavi, una macchina rossa, ordinare un libro
• Solidarietà semantiche: la selezione di un termine è dipendente dall’altro, e la possibilità di
essere usato in combinazione con altri lessemi è fortemente ridotta, se non assente. Il
significato di un lessema è predeterminato dall’altro, dato che il lessema in questione può
riferirsi nel discorso solo a questo secondo significato:
miagolare – gatto
raffermo – pane
tramontare - sole

Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 38


• Collocazioni: rapporti tra lessemi fondati su co-occorrenze regolari nel discorso, ma meno
semanticamente determinate che non nel caso delle solidarietà. Sono combinazioni
frequenti di parole consolidate nell’uso, modi preferenziali di dire una cosa. Assumono un
significato che non hanno quando combinati con altre parole.
pioggia battente NON pioggia pesante
Interessante notare che la scelta di collocazioni cambia da lingua a lingua (heavy rain)
• Costruzioni a verbo supporto: un particolare tipo di collocazioni formate da verbo + nome.
Dare spiegazioni, Prendere una decisione
Il verbo ha sempre un significato generico e il contributo semantico di questi verbi alla
costruzione è spesso limitato a informazioni che un nome, in quanto tale, non può
esprimere (tempo, modo, persona). Il significato della costruzione è espresso quasi
interamente dal nome, in quanto il predicato è costituito dal nome e il verbo funge da
supporto. Il nome non è in grado di esprimere alcune categorie che sono necessarie per
esprimere compiutamente una predicazione. Si presentano anche come tipici casi di
predicati analitici perché accanto alle costruzioni a verbo supporto, corrisponde un verbo
sintetico
Fare una telefonata – telefonare
• Locuzioni idiomatiche: ciò che le distingue è il diverso modo in cui viene costruito il
significato. È un’espressione estremamente fissa e non possiamo scegliere liberamente i
componenti o scegliere un sinonimo. Io non posso capire il significato complessivo
dell’espressione a partire dai singoli componenti, il loro significato si crea in blocco, a
partire da precedenti come ad esempio similitudine. Vuotare il sacco VS vuotare la borsa

7. SOCIOLINGUISTICA
Finora abbiamo parlato della lingua dal punto di vista formale, ma questa è sostanzialmente un mezzo che
usiamo per comunicare. D’ora in poi vedremo la lingua come un’entità soggetta a variazioni, nel senso che
si trasforma nel tempo, in base al contesto e in funzione della nostra identità di parlante. La sociolinguistica
si occupa quindi di come la lingua viene usata nelle situazioni reali e come questa cambia secondo varianti
di tipo sociali; descrive le lingue e le loro strutture nei loro usi nelle comunità sociali.

 La linguistica teorica si occupa di descrivere le strutture del linguaggio umano visto come capacità
astratta. La linguistica teorica si occupa della competenza linguistica (Chomsky) intesa come
competenza innata e interna che riguarda le strutture grammaticali della propria lingua.
 La sociolinguistica descrive l’uso delle strutture linguistiche nelle situazioni comunicative concrete,
studia quindi le interrelazioni tra lingua e ambiente sociale. La sociolinguistica si occupa della
competenza comunicativa, ovvero quello di cui un parlante ha bisogno per comunicare in modo
efficace in contesti culturalmente significativi, si riferisce al padroneggiamento del repertorio
linguistico.
“È la competenza riguardo a quando parlare e quando tacere, e riguardo a che cosa dire, a chi,
quando, dove in qual modo” - Hymes

Proviamo a prendere in considerazione queste due frasi:

Può cortesemente abbassare il volume della suoneria?

VS

Abbassi questa suoneria?

Sono entrambe corrette dal punto di vista formale ed esprimono lo stesso significato, ma tenderemmo a
usare una versione al posto che un’altra in base alla situazione e al contesto.
Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 39
Il punto di partenza per le indagini sociolinguistiche consiste nell’individuare una comunità linguistica,
ovvero l’insieme di parlanti che utilizzano la stessa lingua e condividono determinati aspetti relativi alla
lingua. Si vuole isolare una certa comunità linguistica e studiare come questa usa la propria lingua, i
comportamenti e gli atteggiamenti linguistici dei parlanti sono comprensibili solo all’interno del sistema di
norme della collettività a cui fa riferimento.

Ma come si individua una comunità linguistica?

Secondo la definizione di Berruto una comunità linguista è “insieme di persone, di estensione


indeterminata, che condividono un qualche grado di padronanza e di esposizione a uno stesso insieme di
varietà di lingua e che sono unite da qualche forma di aggregazione socio-politica”. In realtà ogni individuo
fa parte di più comunità linguistiche (locali, nazionali, generazionali, etniche, lavorative, ecc.…)

È necessari individuare una comunità per poi studiare le varietà di lingua, cioè la realizzazione del sistema
linguistico presso classi di utenti e di usi. La varietà di lingua rappresenta le diverse utilizzazioni in cui si
manifesta concretamente il sistema della lingua nei suoi impieghi presso una comunità. Una lingua si può
quindi considerare come una somma logica di varietà, data dalla parte comune a tutte le varietà (nucleo
invariante del sistema linguistico) e dalle parti specifiche di ogni singola varietà. Per individuare una varietà,
si identificano di solito una serie di tratti che tendono presentarsi insieme e si verifica se tali tratti tendono
a co-occorrere con parlanti con determinate caratteristiche sociali in comune o con situazioni d’uso della
lingua aventi proprietà in comune (o il procedimento opposto), se ciò avviene, abbiamo individuato una
varietà di lingua.

Per il linguista ogni varietà ha lo stesso valore e stigma, ma spesso ciò non avviene per il singolo parlante e
per la comunità linguistica: una varietà può essere sentita come più prestigiosa di un’altra. Spesso si parla
quindi di prestigio: dipende dalla valutazione di tratti personali o sociale che i membri di una comunità
ritengono desiderabili, spesso sentiti necessari per l’avanzamento sociale. Nel caso delle lingue, affermare
che una varietà gode di prestigio significa che utilizzare quella variante o quella varietà costituisce un
comportamento linguistico desiderabile in una data comunità. Si parla di prestigio manifesto, quando è
riconosciuto in modo immediato e generale, di solito riconosciuto dall’intera comunità di parlanti. Ci si
riferisce invece a prestigio coperto, quando in certe condizioni è una variante sub standard ad essere
assunta a modello. (ad esempio i giovani che decidono di usare un linguaggio più scurrile). Al contrario, in
caso di una varietà vista male dalla società si parla di stigma.

I fattori che determinano il prestigio di una varietà sono:

Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 40


A seconda del livello di prestigio si parla di varietà alte e basse, le varietà di maggior prestigio vengono
tradizionalmente assunte a varietà standard, ossia una varietà di lingua che dispone di una norma
esplicitamente codificata e che vale come modello di riferimento riconosciuto per l’uso corretto.

Cosa intendiamo per standard?

Si parla anche di lingua standard come di un’intera lingua, avente almeno una varietà standard.

REPERTORIO LINGUISTICO
Il repertorio linguistico è l’insieme delle risorse linguistiche possedute da una comunità linguistica
(repertorio comunitario) o un parlante (repertorio individuale). Le varietà che formano il repertorio
possono essere varietà della stessa lingua o varietà di più lingue, può comprendere una o più lingue o
dialetti, ciascuno dei quali è costituito da un insieme di varietà. I repertori individuai sono soggetti a
variazione nel tempo: i singoli parlanti possono incrementare il numero di codici del loro repertorio o
diminuirlo (dimenticando). Anche i repertori linguistici comunitari possono cambiare a seguito di:

Il repertorio non va inteso come semplice somma delle varietà di una lingua (o più) a disposizione, è
importante considerare anche le relazioni tra queste, la loro gerarchia e le norme di impiego.

Possiamo collocare gerarchicamente le varietà linguistiche all’interno di un repertorio linguistico, partendo


da due estremi di specializzazione funzionale:

• Polo alto: destinato allo scritto e ai contesti formali (scuola, università, politica, liturgia,
mezzi di comunicazione), varietà di maggior prestigio e più standardizzate, tipiche di
situazioni socialmente impegnative, pubbliche, rette da norme sociali esteriori ben
codificate.
• Polo basso: comprende la varietà che la comunità riserva alla conversazione familiare e
ordinaria, spesso apprese dai bambini come lingua di prima socializzazione, varietà e usi
non dotati di prestigio, poco accurati, che occorrono tipicamente in situazioni non
impegnative.

Il dialetto è una lingua?

Un dialetto può essere definito come un sistema linguistico sociolinguisticamente subordinato a una lingua
standard con la quale è strettamente imparentato dal punto di vista genealogico e con la quale condivide
Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 41
una buona vicinanza strutturale. La diffusione dei dialetti inoltre è più limitata rispetto alla lingua standard,
ciò perché si creano varietà locali che si allontanano sempre di più tra loro, fino a diventare parlate molto
diversificate e poi lingue autonome. Lo scenario italiano è più complicato: i dialetti-italo romanzi hanno una
propria storia autonoma, parallela a quella del “dialetto” che poi è stato promosso a standard (fiorentino),
quindi hanno una certa distanza strutturale dall’italiano, non solo nel lessico e nella fonetica ma anche in
morfologia e sintassi.

Quindi si può dire che dialetto e lingua sono sistemi linguistici allo stesso pieno titolo e che dal punto di
vista strutturale il dialetto è una lingua a tutti gli effetti. Infatti dal punto di vista strutturale non
potremmo dire se un certo sistema è una lingua o un dialetto, le differenze principali sono di natura sociale
o sociolinguistica e non linguistica: riguardano cioè la posizione sociale che un sistema linguistico occupa in
una data comunità, non la struttura di quel sistema linguistico. Il dialetto non ha prestigio e è carente in
alcuni ambiti (più formali) in conseguenza del fatto che il suo uso è spesso specializzato all’ambito
famigliare quotidiano, ed inoltre è ristretto ad un piccolo gruppo di persone

Ma quindi lingua e dialetto sono diversi?

Un caso similare potrebbe essere costituito dalle minoranze linguistiche, che fanno sempre parte di un
reprertorio. Le lingue di minoranza sono usate all’interno di uno stato da parte di una comunità linguistica,
con cultura e una tradizione etnica diverse da quelle della dominante, di dimensione demografica ridotta
rispetto a resto della popolazione del paese, generalmente diversa dalla lingua ufficiale dello Stato in cui è
usata.

Lingua standard, dialetto e lingua minoritaria possono essere compresenti all’interno di uno stesso
repertorio linguistico. In generale si può parlare di:

• Monolingue: situazioni con una sola lingua


• Plurilinguismo: situazioni in cui vi siano due o più lingue (generico)
• Bilinguismo: situazioni in cui sono presenti due lingue
• Multilinguismo: situazioni con più di due lingue

In repertori plurilingui è raro che i diversi sistemi linguistici compresenti siano sullo stesso piano negli usi e
negli atteggiamenti della comunità parlante e svolgano le stesse funzioni, più spesso c’è, tra le diverse
lingue o varietà di lingue, una diversificazione delle funzioni e della collocazione nel repertorio (e quindi del
prestigio). L’Italia è considerato un Paese monolingue, non stante la presenza di lingue di minoranza e
dialetti strutturalmente anche molto distanti.

Una distinzione fondamentale da considerare è quella tra diglossia e bilinguismo, entrambi si riferiscono a
una situazione in cui sono presenti due lingue, in realtà però indicano situazioni ben diverse:

 Bilinguismo: si parla di bilinguismo sia in riferimento a individui, sia a comunità. A livello


comunitario si parla di bilinguismo per riferirsi a territori in cui ci siano due o più lingue nazionali,
considerate sullo stesso piano dal punto di vista politico, educativo e amministrativo. Le due lingue
sono accettate e utilizzate in tutti i contesti con pari diritti (es. Canada con inglese e francese).

Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 42


Tuttavia a livello individuale una delle due lingue è dominante e assegna contesti diversi ad una o
altra lingua. Esistono anche casi particolari di bilinguismo:

Esistono anche casi intermedi come in Canada in cui esiste una sotto comunità di lingua francese, i
cui parlanti sono bilingui e parlano anche inglese, compresa nella comunità inglese.
 Diglossia: si osserva in una comunità linguistica in cui sono presenti due lingue, ma non sono
considerate paritarie dal punto di vista del prestigio, una è considerata lingua standard, l’altra no. A
queste due lingue vengono attribuite funzioni diverse:

Di solito il parlante apprende prima la lingua B con il parlato comune, successivamente poi anche la
lingua A, andando a scuola.

La situazione italiana è complicata, in realtà non si può parlare né di diglossia né di bilinguismo.


Forse poteva essere considerata diglossia qualche anno fa, quando tutti imparavano il dialetto
come prima lingua e poi l’italiano standard a scuola. In realtà in questo periodo si dovrebbe più
correttamente parlare di dilalia.
 Dilalia: la differenza sostanziale tra diglossia e dilalia consiste nel fatto che nel caso della dilalia, la
differenziazione funzionale delle due lingue è meno rigida. Alcuni domini d’uso sono esclusivi della
lingua A, ma ci sono anche domini in cui entrambe le lingue sono utilizzate in maniera paritaria (A e
B vengono utilizzante nella conversazione ordinaria e socializzazione primaria).

Nelle situazioni di bilinguismo e diglossia le verità del repertorio possono essere alternate o mescolate:

8. VARIAZIONE LINGUISTICA
La lingua non è un codice unitario, ma un sistema nel quale coesistono diverse possibilità e variabilità. I
parlanti la usano in maniera diversa a seconda della loro collocazione sociale, del loro grado di istruzione,
della loro provenienza geografica, dei grippo sociali a cui appartengono. Lo stesso parlante usa la lingua in
modi diversi a seconda degli ambienti e delle situazioni in cui si trova, degli interlocutori a cui si rivolge ì,
delle intenzioni comunicative che ha. Si definisce variazione linguistica: “la proprietà di un’entità di
assumere diverse manifestazioni di essere realizzata in odi differenti, di conoscere alternative che non

Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 43


mutano però la natura fondamentale dell’entità stessa” (Berruto). Tutte le variazioni non sono casuali ma
spesso sono fenomeni dotati di significati sociali.

I principali fattori di variazione sono:

Con variabilità intendiamo la possibilità di subire un cambiamento e con variabile si intende ogni elementi
o punto del sistema linguistico che si presenti sotto forme diverse, che ammetta cioè valori diversi, mentre
le diverse realizzazioni di una variabile sono dette varianti.

Una variabile e le sue varianti possono appartenere a uno ei diversi livelli della lingua:

Perché si possa parlare di variabile è necessario che queste variazioni non alterino il significato della parola,
e deve esserci una correlazione dal punto di vista sociale tra variante e parlante. Una certa variante è
marcata dal punto di vista sociolinguistico quando non è standard. Un insieme solidale di varianti che
cooccorrano negli stessi o analoghi contesti cioè in contesti che condividono una determinata serie di
caratteri, dà luogo a una varietà (di lingua). Le varietà possono essere diverse in base al tipo di variazione:

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Labov, il padre della sociolinguistica, si è concentrato sulla variabile th, sulla realizzazione della fricativa
interdentale sorda [ɵ] nell’inglese di New York. Una parola come three poteva essere realizzata in 3 modi
diversi, con 3 varianti:

1. Con una fricativa interdentale sorda (standard): [ɵri]


2. Con una affricata interdentale sorda: [tɵri]
3. Con una occlusiva dentale sorda [tri]

Leggendo il grafico vediamo che si hanno il maggior numero di varianti non standard in base alla formalità
del contesto e della classe sociale. Nelle classi situate più in altro nella scala sociale e negli stili contestuali
accurati è più frequente la realizzazione standard. Le produzioni linguistiche di fasce sociali convergono nei
contesti più sorvegliati, ossia più formali, nei quali la differenza è minore, tipico di comunità linguistiche con
un forte senso della norma e in cui tutte le classi sociali hanno accesso allo standard.

L’ARCHITETTURA DELLA LIGNUA


Le dimensioni di variazione sono tra loro interrelate, qualsiasi produzione linguistica avrà una collocazione
simultanea lungo tutti gli assi di variazione, tratti marcati in diatopia possono assumere un valore ancora
più marcato in diastria e viceversa. Le varietà di lingua si dispongono gerarchicamente in un certo spazio
linguistico secondo una rete di rapporti che costituisce quella che è stata chiamata dal linguista Eugenio
Coseriu “architettura della lingua”

Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 45


Continuum multidimensionale
rappresentabile con uno schema a tre
anni, corrispondenti alle tre principali
dimensioni di variazione in sincronia e
lungo i quali si collocano le diverse
varietà. Sintesi dei rapporti che
intercorrono fra le dimensioni di
variazione e della gamma di varietà di
lingua a cui questi danno luogo.

Le dimensioni di variazione sono


rappresentate come assi, l’asse della
diatopia non è rappresentato perché
considerato presente a priori. Le
dimensioni sono separate l’una
dall’altre ma gli assi si intersecano,
infatti è frequente che variabili
sociolinguistiche operino su più
dimensioni.

Prendiamo in considerazione queste frasi:

E’ chiara l’opposizione tra i due estremi e in generale tra il gruppo a-b-c-d (standard) e il gruppo i-j-k (sub-
standard), ma dove avviene esattamente il passaggio dallo standard al sub-standard? Le varietà che si
possiamo riconoscere non si possono collocare su un’unica dimensione di variazione (diafasica e diastratica
sono a volte combinate insieme). Spesso è difficile concordare su quando un enunciato comincia a essere
sub-standard, ciò perché il concetto di standard in italiano è complesso. È frequente che la lingua standard
si ristrutturi e noi con l’italiano stiamo vivendo da un po’ di anni un momento di “ristandardizzazione” che
sta portando a cambiare ciò che viene considerato accettabile e standard. Sta nascendo il cosiddetto “neo-
standard”, ma siamo ancora in una fase di transizione in cui si riconosce ancora lo standard letterario e
scolastico. Cerchiamo di analizzare questo fenomeno:

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Cosa definisce lo standard?

Ma ovviamente anche i parlanti comuni possono contribuire alla definizione dello standard con i loro
comportamenti linguistici possono essere più o meno recepiti dalle quattro forze sociali direttamente
attive.

Per capire come cambia la lingua e la norma linguistica è utile distinguere tre livelli nella descrizione di una
lingua:

 Sistema: regole astratte che permettono al codice di funzionare come tale


 Norma sociale: media delle scelte date dalla maggioranza dei parlanti all’interno del perimetro di
possibilità offerto dal sistema
 Uso: abitudini concrete dei parlanti

A questa tripartizione corrispondono i concetti di:

L’accettabilità dipende dai parlanti, da ciò che ci sembra scorretto e cosa invece accettiamo e anche in base
a cosa consideriamo standard o meno. Le oscillazioni d’uso, quando risolte, portano al riassestamento della
norma sociale (percezione media della comunità sull’accettabilità di una parola/struttura). Il
riassestamento della norma sociale ha avviato negli ultimi decenni un processo di ridefinizione dell’italiano
standard. Con l’espressione italiano neo-standard si indica di solito il prodotto di questa
ristandardizzazione. Si tratta di fenomeni già presenti nell’uso da secoli, ma tradizionalmente tenuti ai
margini dell’italiano normato, sono stati progressivamente accolti nella norma (con recente adeguamento
anche delle grammatiche). Ecco alcuni esempi di frasi che oggi consideriamo standard, anche se un tempo
non lo erano:

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VARIAZIONE DIATOPICA
Riguarda la variazione nello spazio geografico, attraverso i luoghi in cui una lingua è parlata e in cui i suoi
parlanti risiedono o da cui provengono: la lingua riflette diverse provenienze regionale.

Questa è una dimensione estremamente rilevante per la situazione italiana caratterizzata da notevole
eterogeneità linguistica su base geografica. L’italiano infatti presenta una serie di varietà regionali, detti
italiani regionali, ovvero delle varietà di italiano parlate in una determinata area geografica, che possiede
caratteristiche in grado di differenziarla sia dalle varietà usate in altre zone, che dall’italiano standard.
Bisogna ricordare che i dialetti sono diversi dagli italiani regionali. Eugenio Coseriu distingue tra dialetti
primari e dialetti secondari:

• Dialetti primari: sono gli idiomi coevi del dialetto, dal quale si è sviluppata la lingua standard; già
esistenti dunque, prima della promozione di questo a standard (es.: dialetti italo-romanzi)
• Dialetti secondari: sono invece varietà geografiche di una lingua, risultanti dalla differenziazione
areale di questa dopo la sua diffusione.

Relativamente alla situazione italiana possono ritenersi dialetti secondari gli italiani regionali, mentre i
dialetti italo-romanzi non vanno considerati varietà diatopiche della lingua italiana.

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ITALIANI REGIONALI

Le principali varietà dell’italiano sono: la varietà settentrionale, la toscana, la romana e la meridionale.


Tuttavia non tutte queste varietà godono dello stesso livello di prestigio, oggi la varietà più accettata è
quella settentrionale, di base milanese, considerata più vicina a un ipotetico italiano standard
(atteggiamento legato a ragioni economiche). La varietà toscana ha perso progressivamente prestigio: è
tendenzialmente ancora associata all’italiano dello standard scolastico, ma le sue peculiarità (soprattutto
fonetiche) sono per lo più percepite come dialettali o sbagliate. La varietà romana ha conosciuto un
periodo di grandissimo prestigio a partire dal ventennio fascista e fino circa agli anni Sessanta e Settanta, in
seguito è stata sentita sempre più come adatta agli usi scherzosi, espressivi, informali. La varietà
meridionale è quella dotata di meno prestigio, a causa di un pregiudizio antimeridionale ancora molto
diffuso.

VARIETA’ SETTENTRIONALE:

VARIETA’ TOSCANA:

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VARIETA’ ROMANA:

VARIETA’ MERIDIONALE:

Nel lessico italiano sono numerosi i geosinonimi, cioè termini differenti usati in diverse regioni d’Italia per
designare lo stesso oggetto o concetto, spesso riguardano termini che si riferiscono alla vita quotidiana, che
come tali sono più soggetti a interferenza dialettali:

anguria (Nord)/ cocomero (Centro) / melone d’acqua (Sud)

Alcuni di questi termini entrano poi nello standard. Es.: giocattolo (veneziano) VS balocco (toscano).

Invece termini formalmente identici, ma che hanno significati diversi si definiscono geoomonimi.
Attaccapanni (gruccia o appendino?)

VARIAZIONE DIASTRATICA
Costituiscono varietà diastratiche di lingua tutti gli insiemi congruenti di tratti linguistici che presentano una
co-occorrenza significativa con tratti della collocazione dei parlanti nella società, quindi è influenzata
dall’ambiente e dal livello socioculturale del parlante. Fattori come l’appartenenza a una classe sociale alta,
un alto grado di istruzione e scolarizzazione favoriscono l’acquisizione di varietà della lingua che sono più

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vicine allo standard, al contrario l’appartenenza a una classe sociale bassa, basso livello di istruzione e
scolarizzazione favoriscono una maggiore esposizione al dialetto o varietà di lingua basse, lontane dallo
standard.

Quindi la classe sociale influisce anche su come parlano le persone che vi appartengono. La nozione di
classe come “stato sociale contr5addistinto da una particolare condizione socioeconomica” è oggi difficile
da definire. La differenziazione tradizionale in classi come alta borghesia, piccola borghesia, ceto operai,
proletariato, ecc. ha perso consistenza, con un generale rimescolamento della popolazione, dei modelli di
comportamento e degli stili di vita e anche dei riferimenti ideologici retrostanti. L’utilizzo del termine
“classe sociale” è controverso per le sue connotazioni ideologiche (spesso evitato in favore di fascia sociale,
strato sociale, ceto, ecc.…). Fra i fattori o criteri per definire la posizione dei parlanti nella stratificazione
sociale che possono essere presi in considerazione, i principali sono:

 Criteri economici: reddito, occupazione, risorse a disposizione


 Criteri educativi: grado di istruzione, accesso e fruizione di beni culturali
 Criteri antropologico-culturali: modelli di comportamento e stile di vita, aspirazioni sociali

Una varietà caratterizzata socialmente è l’italiano popolare (dei semicolti), una varietà studiata soprattutto
a livello scritto (lettere,diari, ecc.). Tale varietà è stata definita come “il tipo di italiano imperfettamente
acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto”. L’italiano popolare non dipende comunque solo dalla
condizione del parlante madrelingua dialettofono, i “nuovi semicolti” possono avere anche un titolo di
studio superiore o universitari. A livello generale, si osserva nell’italiano popolare una tendenza alla
semplificazione, soprattutto delle strutture morfologiche e sintattiche dello standard. Si osservano inoltre
evidenti interferenza dal dialetto e una generale tendenza a riprodurre in forma scritta le caratteristiche
tipiche del parlato. Inoltre si osservano frequentemente fenomeni di imitazione di modelli formalizzati,
burocratici e pseudoletterati.

Osserviamo alcune caratteristiche dell’italiano popolare:

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Appunti di Simoncelli Sara – simoncelli.sara001@gmail.com 52
Si è spesso dibattuto sul fatto che l’italiano popolare possa essere una varietà diafasica piuttosto che
diastratica. La posizione oggi prevalente è che si tratti di una varietà diastratica bassa, perché se fosse
diafasica parlanti colti dovrebbero avere questa varietà nel loro repertorio linguistico, ma in realtà non è
così. I parlanti più colti, anche in contesti bassi, non usano l’italiano popolare, anche se ci possono essere
dei tratti in comune. Infatti bisogna distinguere tra italiano popolare e italiano colloquiale, un’altra varietà
sub-standard e si riferisce a una casistica piuttosto ampia e che si riferisce a ciò che sta appena sotto
all’italiano standard. Sono entrambe varietà sub-standard ma sicuramente l’italiano popolare è più
trascurato. Un’altra questione è relativa all’italiano popolare e l’italiano regionale: la marcatezza diatopica
è preliminare a tutte le altre dimensioni di variazione. È più corretto parlare quindi di italiano regionale
popolare.

Un’altra variabile sociale importante è rappresentata dall’età o classe generazionale dei parlanti. Infatti in
relazione a questo fattore è molto studiata la lingua dei giovani. Varietà caratterizzata non solo dalla classe
di età dei parlanti, ma anche dall’appartenenza di questi a uno specifico gruppo sociale e dalla situazione
comunicativa in cui tipicamente viene impiegata. È una varietà diastratica, ma anche diafasica e con
influenze diatopiche, infatti sarebbe più corretto parlare al plurale di varietà giovanili. Le finalità costitutive
delle varietà giovanili sono principalmente ludiche, di rafforzamento della coesione al gruppo e di
contrapposizione agli altri gruppi, e spesso hanno un carattere effimero (durano per bervi periodi). Ogni
generazione tende a differenziarsi da quella precedente e quindi molti giovanilismi cadono in disuso molto
rapidamente, non lasciando traccia nel patrimonio lessicale di una lingua. Sono legati a mode transitorie,
ma anche abitudini e modalità comunicative. I tratti più caratteristici di tali varietà si riscontrano
soprattutto a livello lessicale, e riguardano temi vicini ai giovani (sesso, droga, serie tv, ecc.)

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VARIAZIONE DIAFASICA
Si parla di dimensione difasica per quelle situazioni di variabilità che dipendono dal contesto e dalla
situazione in cui il parlante si trova. Le variazioni dipendono dal parlante stesso che viene sollecitato ad
adoperare determinate forma linguistiche.

È possibile riconoscere due sottodimensioni parallele, ma in teoria indipendenti:

• Variazione di registro: correlazione con i parlanti, i loro ruoli reciproci e il carattere relativo della
situazione
• Variazione di sottocodice: correlazione con fattori riguardanti la sfera di attività, l’ambito e
l’argomento di cui si parla

REGISTRI

Sono legati al grado relativo di formalità o informalità della situazione comunicativa e al grado di attenzione
e controllo che il parlante pone nel realizzare la produzione linguistica. L’adozione di diversi registri è
determinata dai ruoli sociali e comunicativi, cioè dalla funzione assunta dai partecipanti nel corso
dell’interazione verbale, in particolare maggiore è il grado di distanza sociale, maggiore è il livello di
formalità.

In situazioni formali si ha una produzione linguistica accurata e sorvegliata, si tende a scandire meglio le
parole e il registro tende a coincidere con lo scritto e con le varietà standard o neo-standard, mentre il
registro informale è più frequentemente orale. Nel lessico esistono molte coppie o serie di termini sinonimi
differenziati per registro, che scegliamo in base al grado di formalità richiesto dalla situazione

Il rapporto tra gli interlocutori in particolare influisce su:

 Scelta degli allocutivi (Maria, signora Maria, Dottoressa rossi)


 Scelta dei pronomi allocutivi (tu, Lei, Voi)
 Selezione delle formule di saluto (ciao, salve, buongiorno)

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SOTTOCODICI

La lingua varia a seconda della natura dell’attività svolta nella situazione, delle esperienze e azioni che
questa implica e dell’argomento di riferimento, i sottocodici sono varietà diafasiche dipendenti
dall’argomento e dall’ambito esperienziale di riferimento. Questi selezionano o aggiungono elementi
lessicali e strutture morfosintattiche specifiche della comunicazione in un determinato settore scientifico,
culturale, sociale, professionale. In particolare distinguiamo tra:

 Lingue specialistiche: sottocodici veri e propri, forniti e contrassegnati da un proprio lessico


particolare e morfosintassi e testualità caratteristiche (lingua della medicina, dell’informatica, ecc.)
 Lingue settoriali: non hanno propriamente un lessico specialistico, ma sono legate a determinate
aree di impiego e attingono alla lingua comuna o ad altre lingue specialistiche (lingua della politica)

Ciò accade perché spesso le lingue specialistiche sono caratteristiche di rami che non hanno necessità di
comunicare con il pubblico e necessitano di termini molto precisi, quindi si ricorre a tecnicismi. I testi
specialistici hanno una circolazione limitata (presso esperti, tecnici e studiosi). Lingue specialistiche sono
usate in settori particolari dell’attività umana o di gruppi professionali, in cui la comunicazione deve essere
minimamente ambigua, deve essere precisa ed economica, quindi ogni parola ha un unico significato e non
può confondersi con l’uso di termini della lingua comune. In conseguenza di tale monosemicità, nelle lingue
specialistiche non possono esistere sinonimi: in un testo scientifico, dovendo ripetere un concetto, non
possiamo ricorrere a sinonimi, ma dobbiamo necessariamente ricorrere alla ripetizione. Il loro vocabolario
tecnico è una vera e propria nomenclatura. Mentre nel caso delle lingue settoriali si ha il bisogno di
rivolgersi al grande pubblico e quindi bisogna fare uso di termini più comuni e comprensibili, anche per le
persone comuni.

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LINGUE SPECIALISTICHE

Come abbiamo detto la variazione di sottocodice e registro sono in teoria indipendenti, ma ci possono
essere diversi livelli di formalità all’interno di un sottocodice:

Estragga il costituente rematico e lo ponga al margine sinistro dell’enunciato

Tira fuori il costituente rematico e mettilo alla sinistra dell’enunciato

Non è sempre facile però distinguere tra sottocodice e registro, soprattutto per i registri formali che
tendono spesso a manifestarsi con sottocodici altri

Vediamo ora il caso della LINGUA DELLA BUROCRAZIA:

La lingua della burocrazia è una varietà complessa, che unisce il carattere di sottocodice a quello di registro
formale. Adopera parti di sottocodici (lingua giuridica e legale, amministrativa, economico-finanziaria) e a
differenza dei sottocodici in senso stretto, che vengono utilizzati per parlare solo di argomenti inerenti a
una sfera determinata, è impiegata per parlare di vari argomenti diversi. Ne consegue che i testi risultano
spesso molto ampollosi ed eccessivamente ridondanti. Nonostante sia spesso criticata, la lingua della
burocrazia ha un certo influsso sulle altre varietà di lingua, gli elementi dell’italiano burocratico entrano
frequentemente nel parlato colto e anche nell’italiano popolare.
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Questo pensandoci è molto strano perché in realtà gran parte dei testi burocratici sono rivolti a persone
comuni, ma nonostante ciò si continua ad usare un linguaggio piuttosto criptico e purtroppo spessi si fatica
a capire il senso di questo tipo di linguaggio.

VARIAZIONE DIAMESICA
La variazione diamesica è connessa al mezzo tramite cui è realizzato il messaggio linguistico, è
intrinsecamente legata alla variazione diafasica. È una variazione che taglia trasversalmente le altre varietà
perché a qualunque livello possiamo trovare delle realizzazioni scritte e parlate.

Scritto e parlato sono considerati poli opposti di questa dimensione di variazione:

 La lingua parlata tipicamente tende a coincidere o co-occorrere col registro informale, a essere
utilizzata in forma dialogica e a essere acquisita spontaneamente.
 La lingua tipicamente scritta coincide perlopiù con il registro formale, è utilizzata in forma
monologica ed è appresa in contesto educativo.

In realtà la distinzione non è così rigida ed esistono posizioni intermedie: contesti in cui il parlato è
monologico (conferenze) e contesti in cui lo scritto dà luogo a un testo potenzialmente dialogico (lettera,
SMS).

Scritto e parlato sono legati tipicamente a diverse caratteristiche comunicative:

CARATTERISTICHE DELLE VARIETA’ SCRITTE

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CARATTERISTICHE DEDLLE VARIETA’ PARLATE

Le caratteristiche comunicative del parlato influenzano in modo determinante i caratteri linguistici dei
messaggi orali. Dal momento che l’interlocutore è tipicamente presente, i parlanti nelle conversazioni
condividono esperienze e conoscenze, è quindi possibile l’omissione a riferimenti a cose o fatti che
entrambi gli interlocutori conoscono bene.

Uno dei fenomeni più vistosi del parlato è la frammentarietà sintattica e semantica, che si realizza
attraverso frasi brevi, incomplete e attraverso l’uso abbondante di segnali discorsivi (diciamo, cioè,
insomma), che bilanciano la struttura disorganica e poco coesa del testo. Sono anche frequenti forme
verbali come senta, guardi, che consentono di avviare la conversazione, di regolare l’alternanza di turni, di

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controllare il procedere della comunicazione. Altre formule usate come segnali discorsivi sono i riempitivi
allora, vero? , niente; o anche particelle modali come appunto, proprio, veramente.

Tuttavia come abbiamo già detto esistono delle varietà intermedie tra parlato e scritto, una tipologia
particolare di varietà diamesica è infatti rappresentata dall’italiano digitato:

ITALIANO DIGITATO (E-TALIANO)

Per la prima volta, l’italiano si ritrova a essere scritto quotidianamente, e non solo parlato, dalla
maggioranza degli italiani. Per moltissime persone, quindi, la scrittura di testi è diventata un’attività di tutti
i giorni, svincolata da necessità scolastiche o lavorative. Si tratta di una varietà di lingua scritta che però
mette in discussione le proprietà classiche dell’opposizione scritto-parlato. La possibilità di scrivere a
chiunque in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo e la velocità con cui vengono prodotti sconvolge le

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tradizioni caratteristiche della scrittura, che diventa mezzo di comunicazione ordinario, confidenziale, che
non richiede un particolare livello di attenzione, nasce così lo scritto informale.

La scrittura sviluppatasi su internet è generalmente caratterizzata da spontaneità e quotidianità tipiche del


parlato, l’intento principale è quello di comunicare-conversare, spesso in modo giocoso e creativo usando il
codice grafico. Lo stile che ne risulta tende a deviare dallo standard scritto, soprattutto a livello di norma
ortografica: caratteristica è ad esempio l’assenza di maiuscole, di segni di punteggiatura, di divisione in
paragrafi nei testi più lunghi, inoltre l’assenza di revisione risulta tipicamente in un gran numero di errori
tipografici.

Si parla in particolare di neoepistolarità tecnologica in riferimento a tutte le forme di scrittura telematica


basate sulla trasmissione di un messaggio che prevede una risposta in un lasso di tempo più o meno lungo.

Dal punto di vista comunicativo, caratteristiche di queste nuove forme di epistolarità sono:

Inoltre il cercare di riprodurre un dialogo faccia a faccia nella forma scritta porta anche a:

È difficile in realtà parlare di un solo italiano di Internet, inteso come varietà particolare della lingua italiano
dotata di caratteristiche proprie che la contraddistinguano. Basta pensare alla differenza di come scriviamo
su WhatsApp rispetto che a una mail. L’insieme delle scritture circolanti in rete è estremamente
eterogeneo: troviamo testi scritti da professionisti per pagine istituzionali di tipo commerciale,
amministrativo, informativo o di intrattenimento e scritture prodotte da utenti comuni che si collegano
quotidianamente (blog, social, recensioni). All’interno di una stessa tipologia troviamo comunque una certa
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varietà di scelte stilistiche e linguistiche, ad esempio in un blog potremmo trovare la parte principale scritta
in maniera abbastanza formale, ma anche i commenti degli utenti, scritti in un italiano più colloquiale e
dialogico.

L’italiano digitato è una varietà senz’altro diamesica, ma anche diafasica e diastratica. Per i parlanti colti, si
tratta di una delle possibili scelte stilistiche, mentre per tutti coloro che scrivono solamente in queste
occasione è l’unico modo di scrivere. Oggi infatti chiunque può accedere alla scrittura, indipendentemente
dal livello di scolarizzazione e l’allargamento dell’uso della lingua scritta a un’ampia popolazione che
perlopiù la utilizza in contesti non professionali come i social network oppure in contesti amatoriali
determina il crearsi di varietà diastratiche basse, a cui ci si riferisce spesso anche con i termini di “italiano
neopopolare” o “lingua selvaggia”. Per chi non ha dimestichezza con lettura e scrittura il primo grosso
ostacolo è rappresentato dal codice grafico e dalle sue convenzioni, le deviazioni ortografiche che ne
risultano non sono in questo caso conseguenza di un intento ludico. Si osservano difficoltà nelle aree
notoriamente problematiche (uso h e apostrofi), nella resa grafica di parole straniere (singol, compiuter),
ma sono numerosi anche i malapropismi (redenzione idriga, ho la collina in bocca)

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SPERO CHE I MIEI APPUNTI TI SIANO STATI UTILI,
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