Sei sulla pagina 1di 24

Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3)


Valutazione utente: / 41
Scarso Ottimo
Scritto da eagle

II. La comunicazione interpersonale

Premessa: La comunicazione interpersonale o comunicazione uno a uno, è una conversazione privata o intima; è uno scambio di
informazioni fra due o più persone che stanno facendo un lavoro insieme; è il flusso di reciproci messaggi di un gruppo di bambini
che sta giocando; l'emittente e il ricevente si scambiano alternativamente i ruoli (come avviene ad esempio in una conversazione
telefonica).

La comunicazione interpersonale è prima di tutto orale e a faccia faccia, nella forma della conversazione. Poiché le persone non
sono sempre vicine le une alle altre, nel tempo sono stati inventati del sistemi per comunicare a distanza: la posta, il telegrafo, il
telefono, la posta elettronica. In questi sistemi è determinante la conoscenza della scrittura, la più importante tecnologia per
trasferire a distanza testi complessi. Il telefono, che utilizza la voce, permette comunicazioni molto più facili e calde dal punto di
vista emotivo.

La comunicazione è un dono reciproco, comunicare vuol dire scambiarsi simboli e messaggi emotivi significativi: "è la forza
conoscitiva delle emozioni, la vera ragione dell'uomo".

La comunicazione è essenzialmente una forma semplice ed elementare di attivazione della conoscenza sociale, forse la forma più
importante, più universale, più democratica a cui gli esseri umani accedono.

1. Dal segno al simbolo

Quando due uomini che non hanno nulla in comune si incontrano ( es.due uomini che parlano lingue differenti, che hanno culture,
abitudini, modi di pensare diversi), la comunicazione si riduce inizialmente ai suoi livelli più semplici. La prima ancora di salvezza
è fornita da quella che si definisce chiamare linguaggio gestuale naif: quel linguaggio che permette di ricorrere a segni, gesti,
espressioni del viso ritenuti universali (sorriso, sguardo, comportamenti).

Tutti questi segni possono essere utili per affrontare delle situazioni emergenza, ma si dimostrano estremamente limitati se
confrontati con il linguaggio verbale.

Oltre a essere molto comodo (parlare è meno faticoso che sbracciarsi o mimare una lotta), il linguaggio verbale, permette di
comunicare eventi accaduti lontano nello spazio e nel tempo. Non solo: permette di comunicare dubbi incertezze, negazioni,
sentimenti e tutto ciò che non ha un corrispettivo fisico immediato (pensiamo a concetti astratti di filosofia o di matematica)

Il superiorità del linguaggio verbale non è soltanto un linguaggio che utilizza la voce; esistono linguaggi gestuali evoluti come la Lis
(Lingua italiana dei segni, utilizzata dalle persone sorde), che si dimostrano altrettanto (o quasi) potenti e flessibili)

La comunicazione gestuale dei sordi è conosciuta fin dall'antichità, ma il suo studio sistematico ha inizio solo intorno al 1960. E' in
quegli anni che il ricercatore W. Stokoe dimostra che questa forma comunicativa non è una semplice mimica, ma una vera lingua,
dotata di sintassi e di lessico e in grado di esprimere qualsiasi messaggio. Nei diversi Paesi ciascuna comunità di sordi crea e
tramanda nel tempo una propria lingua, per cui esistono molte varietà di tale lingua.

Vediamo ora la differenza fra la Lingua italiana dei segni e il linguaggio gestuale naif; entrambi sono basate sui gesti, ma:

- nella Lingua italiana dei segni, ogni gesto è rigidamente codificato anziché lasciato alla libera interpretazione individuale.
- La Lis deve essere appresa con un certo grado di impegno e di fatica, al pari di qualsiasi lingua straniera, perché il suo
uso esige la completa padronanza di un complesso sistema convenzionale di significazione.
- Un gesto previsto dalla Lis possiede solo il significato assegnatoli da quest'ultima, per cui il gesto della Lis è scarsamente
ambiguo e altamente convenzionale.

Invece, come ben sappiamo, nel Linguaggio gestuale naif: un gesto può essere interpretato in vari modi dipendenti dallo stato
d'animo nel momento e da numerosi altri fattori.

Questo carattere di convenzionalità della Lis, permette di distinguere i linguaggi "digitali" (che preferiamo chiamare "numerici" per
non confonderli con l'idea di "digitale" usata nell'informatica), dai linguaggi "analogici"

"Gli esseri umani comunicano sia in modo digitale che analogico"

La comunicazione numerica di tipo verbale rappresenta un momento evolutivo nella storia dell'uomo ed è lecito pesare che senza
il basilare mezzo di comunicazione fornito dalle parole , la civiltà umana non avrebbe mai avuto inizio. Tuttavia è bene precisare
che la comunicazione numerica non sempre viene preferita a quella analogica. Infatti, ognuno di noi, vive quotidianamente
occasioni di incontro in cui presta più attenzione agli aspetti analogici che a quelli numerici della comunicazione. Come tutti sanno,
in alcuni momenti un abbraccio (segnale analogico), "dice" più di mille parole!

"Analogico" e "digitale" è solo uno dei diversi modi in cui possiamo suddividere i sistemi che usiamo per la comunicazione.

In linguistica si è soliti distinguere tra le due componenti di un segno: significante (che è il mezzo che usiamo per rappresentare il
significato) e il significato ( che è l'idea a cui ci porta la parola usata; il concetto).
1 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

In linguistica si è soliti distinguere tra le due componenti di un segno: significante (che è il mezzo che usiamo per rappresentare il
significato) e il significato ( che è l'idea a cui ci porta la parola usata; il concetto).

La semiotica suddivide ulteriormente, i segni in: indici, icone, simboli:

- Indici: quando esiste una relazione di continuità propriamente fisica tra significante e significato, il segno assume le
caratteristiche di un indice (es. l'altezza raggiunta dalla colonnina di mercurio nel termometro è l'indice della temperatura;
l'orma di Venerdì è un indice della presenza umana su un'isola ritenuta deserta).
- Icone: quando siamo in presenza di una relazione di similitudine o analogia tra significante e significato, allora si parla di
icone (es.immagine stilizzate come le icone de nostro PC; le figure dell'uomo o della donna sulle porte dei bagni pubblici)
- Simboli: quando il rapporto tra significante e significato è puramente arbitrario e convenzionale,come nel caso dei simboli
di comunicazione numerica citati sopra, allora si parla di simboli La parola "cane" è il simbolo verbale dell'animale in
questione.

In sociologia, tuttavia, è utile introdurre una ulteriore distinzione tra segnali e simboli.

Nei segnali, il significato è una certa quantità, finita e precisa, di informazione con poche possibilità di equivoci e di spazi
interpretativi (es. segnali stradali).

Un simbolo, al contrario, è costituito da un significato (e talvolta anche da un significante), dai contorni imprecisati, indeterminati,
ambigui, non interamente esplicitati e formalizzati (pensiamo, per esempio, ai simboli della liturgia cristiana, o al simbolo della
colomba dei "pacifisti").

2. Il linguaggio verbale

Il linguaggio verbale caratterizza l'uomo rispetto a tutte le altre specie animali.

La parola rappresenta l'universo della nostra conoscenza, delimitando le cose di cui possiamo parlare e che possiamo comunicare
ai nostri simili.

La lingua determina non solo il modo in cui parliamo del mondo che ci circonda, ma anche ciò che di questo mondo conosciamo. I
pensieri formulati nella nostra testa sono espressi in una lingua, e non riusciamo a pensare a cose per le quali non abbiamo
parole a disposizione.

La sociologia si è occupata fin dalle sue origini delle relazioni che esistono tra linguaggio, conoscenza e struttura sociale; il
linguaggio svolge un ruolo fondamentale nella vita sociale, in quanto costituisce il materiale di base, i "mattoni", con cui la
conoscenza viene edificata. Le parole con cui la conoscenza viene espressa possiedono un valore politico: dietro ogni definizione,
dietro ogni scelta lessicale, è nascosta la costruzione sociale di ciò che è comunicato. Decidere come nominare le cose
rappresenta una forma importante di "gestione del potere".

Il potere delle parole, ha radici antiche quanto il mondo ( nella Bibbia troviamo l'esempio primordiale: Dio disse: "Sia luce". E la
luce fu...E fu sera e fu mattina: primo giorno).

Ogni parola produce degli effetti su chi la pronuncia e su chi l' ascolta.

La teoria degli atti linguistici riassume i propri principi nell'idea che dire è sempre anche fare. Tale teoria, distingue negli atti
linguistici tre diversi livelli:

- gli atti locutori, sono rappresentati dalla semplice azione di pronunciare qualcosa, seguendo le regole del linguaggio
utilizzato.
- gli atti perlocutori comprendono le conseguenze dell'atto linguistico nei confronti degli ascoltatori (spavento, intimidazione,
persuasione etc.).
- gli atti illocutori costituiscono azioni che si compiono per il fatto stesso di pronunciare determinate parole (es. promesse,
ordini , giuramenti, in quanto azioni che si concretizzano nel momento stesso in cui le parole vengono pronunciate; ... "vi
dichiaro marito e moglie"....).

Le azioni coinvolgono persone socialmente situate con i loro sentimenti, paure, speranza, obbiettivi e soprattutto con le loro
reazioni con altre persone e collettività.

In un'epoca come la nostra di mutamenti sociali in rapida accelerazione, ci accorgiamo talvolta di non possedere parole adeguate
a descrivere ciò che viviamo; siamo costretti talvolta a ricorrere a un lessico ormai usurato, recuperando vecchie parole a nuovi
significati: operazione che se non viene resa esplicita e che comporta evidenti rischi di equivoci e ambiguità.

Il rinnovamento del linguaggio avviene, oltre che sulla spinta delle grandi e continue trasformazioni sociali, anche attraverso il
semplice utilizzo quotidiano individuale ( si pensi alle parole come tangentopoli, ciberspazio, o multiculturalismo, inserite nelle
nuove edizioni dei dizionari come cristallizzazioni dei cambiamenti avvenuti nella società).

3. La comunicazione non verbale

L'uomo, oltre alle parole utilizza varie forme di comunicazione non verbale. Il senso comune considera la comunicazione non
verbale come qualcosa di più spontaneo, più naturale e in certo senso più "semplice" rispetto alle parole, considerandola come
una specie di linguaggio innato e universalmente comprensibile.

Per comprendere l'inaspettata ricchezza della comunicazione non verbale si può iniziare a studiarla nelle sue diverse componenti:

- Il sistema paralinguistico
- Il sistema cinesico
- Prossemica
2 di 24 - Aptica 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

- Il sistema paralinguistico
- Il sistema cinesico
- Prossemica
- Aptica

- Il sistema paralinguistico o sistema vocale non verbale, è costituito da tutti i suoni che emettiamo a prescindere dal significato
delle parole.

Si tratta in primo luogo del tono e della frequenza della voce, entrambi legati a fattori fisiologici ma anche alla posizione sociale di
chi parla. La frequenza della voce si accompagna alla sua intensità, anch'essa spesso modulata in funzione di variabili sociali.

Una variabile della comunicazione paralinguistica è relativa al ritmo, alla velocità delle frasi e all'impiego delle pause. Accanto a
queste pause vuote (silenzio) tutti noi utilizziamo le cosiddette pause piene, ovvero quei suoni non verbali come "mmh...beh..." che
servono sia per "prendere tempo" quando si stanno ancora cercando le parole giuste, sia soprattutto per governare lo scambio dei
turni e gestire l'andamento complessivo della comunicazione.

Anche il silenzio, paradossalmente, può "parlare" più delle parole: a seconda dei casi, può indicare un'ottima o pessima relazione,
può indicare assenso o dissenso.Il silenzio a sua volta può essere un indice di estrema concentrazione o al contrario distrazione.

- Il sistema cinesico comprende i movimenti degli occhi, del volto e del corpo. Da un punto di vista fisiologico, il contatto oculare
aumenta l'attivazione nervosa sia in situazioni appaganti che in situazioni di pericolo.

La mimica facciale è una seconda componente importante del sistema cinesico. In alcuni casi le espressioni del nostro viso sono
completamente al di fuori del nostro controllo, in altri sono invece completamente volontarie.

Alcuni studiosi hanno cercato di scomporre la ricchezza del volto umano, arrivando a identificare ben 44 "unità di azione", tra
queste sono compresi, per esempio, gesti come sollevare l'interno e l'esterno della fronte, le sopracciglia, le palpebre, le guance,
corrugare il naso, innalzare gli angoli delle labbra, abbassare il labbro inferiore, innalzare gli angoli delle labbra, abbassare il
labbro inferiore, abbassare la mandibola, strizzare gli occhi e così via.

Il sistema cinesico comprende anche i gesti, che nella comunicazione umana riguardano in primo luogo le mani. La gestualità
viene spesso utilizzata per sottolineare o enfatizzare quanto si dice con le parole, ma in molti casi costituisce anche l'unico codice
comunicativo utilizzato. Quando sono utilizzati assieme al discorso verbale, i gesti devono essere considerati come parte
integrante della comunicazione, i gesti sono spesso più importanti delle parole, in modo particolare nei casi in cui la
comunicazione verbale risulta ambigua, incerta o contraddittoria.

Assume quindi ancora maggiore importanza il problema della difformità interpretativa del sistema comunicativo gestuale: un gesto
sbagliato o interpretato in modo imprevisto può scatenare conseguenze che vanno da un generico imbarazzo fino a complesse
tensioni internazionali.

La postura ( ovvero la posizione assunta dal nostro corpo quando siamo seduti, in piedi, sdraiati) è anch'essa parte del sistema
cinesico e veicolo di comunicazione interpersonale.

Con la prossemica entriamo nel mondo della gestione dello spazio e del territorio. L'analisi sistematica della prossemica ha
portato a identificare quattro zone principali in cui suddividiamo lo spazio che ci circonda:

- la zona intima va dalla superficie della nostra pelle a circa 50 centimetri di distanza. Si tratta di una zona particolare
all'interno della quale accettiamo con piacere solo poche persone. Un'invasione non autorizzata della zona provoca disagio,
imbarazzo o paura.
- la zona personale va da 50 centimetri a circa un metro di distanza dalla nostra pelle. Qui sono ammessi i familiari meno
stretti, gli amici o i colleghi con cui lavoriamo abitualmente. È' la zona in cui avvengono le conversazioni rilassate, il volume
della voce può essere mantenuto basso, oltre alla voce si percepiscono chiaramente lo sguardo, i dettagli del volto, il
respiro e alcuni movimenti del proprio interlocutore.
- la zona sociale va da uno a tre metri o quattro metri: è la distanza a cui ci manteniamo rispetto agli interlocutori più o meno
casuali. All'interno di questa zona è possibile osservare l'intera figura della persona che abbiamo di fronte, controllarne i
movimenti.
- la zona pubblica, oltre i quattro metri, è quella prevista per le occasioni pubbliche ufficiali, per conferenze, comizi o lezioni
universitarie. In questo caso la comunicazione diventa di solito qualcosa di accuratamente preparato in anticipo attraverso
lo studio di tutte le sue componenti: parole, voci, gesti, postura etc.

L'aptica: infine la comunicazione non verbale avviene anche attraverso l'aptica, ovvero le forme diverse del contatto fisico come
una stretta di mano, un doppio bacio sulla guancia, un abbraccio, una semplice pacca sulla spalla. In generale, l'aptica costituisce
un terreno tanto importante quanto delicato: un tocco in più o uno in meno può farci passare, nel migliore dei casi, per persone
fredde oppure invadenti.

4. La sinfonia comunicativa umana

Abbiamo accennato alla distinzione tra comunicazione numerica (o digitale) e comunicazione analogica. Ora è il caso di
sottolineare che questa distinzione non si sovrappone esattamente a quelle tra comunicazione verbale e comunicazione non
verbale. Anche se in genere la comunicazione verbale è di tipo numerico e quella non verbale è di tipo analogico, esistono molti
casi importanti in cui le due tipologie non coincidono. Incrociando tra loro le due variabili dicotomiche verbale/non verbale e
numerico/non numerico, otteniamo quattro possibili situazioni comunicative diverse:
3 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

verbale. Anche se in genere la comunicazione verbale è di tipo numerico e quella non verbale è di tipo analogico, esistono molti
casi importanti in cui le due tipologie non coincidono. Incrociando tra loro le due variabili dicotomiche verbale/non verbale e
numerico/non numerico, otteniamo quattro possibili situazioni comunicative diverse:

1) Comunicazione verbale di tipo numerico: possiamo trovare un esempio in una lezione universitaria di tipo tradizionale,
senza supporti multimediali, dove la componente più importante è rappresentata da ciò che dice il docente,
indipendentemente da "come" lo dice.
2) Comunicazione non verbale di tipo numerico: la Lingua italiana dei segni (Lis) utilizzata dai sordi è un es. di
comunicazione (prevalentemente) gestuale costruita attraverso un complesso sistema linguistico convenzionale. Questo
sistema deve essere appreso, perché nella maggior parte dei casi i gesti utilizzati non hanno nulla che richiami direttamente
e intuitivamente il significato che viene loro attribuito. Un altro es. lo abbiamo nei linguaggi artificiali utilizzati in matematica o
nella programmazione dei computer.
3) Comunicazione verbale di tipo analogico: la poesia, i versi come "M'illumino d'immenso" trovano il loro senso nella
sonorità delle parole, nella loro armonia o in quello che sono in grado di evocare, non certo nel significato letterale dei
singoli termini. È' per questo, tra l'altro, che è cosi difficile tradurre la poesia da una lingua a un'altra senza perderne il
valore; ciò che si può tradurre in una poesia è l'aspetto numerico, non quello analogico - che in questo caso è l'aspetto di
gran lunga più importante.
4) Comunicazione non verbale di tipo analogico: la comunicazione di un madre con il neonato. Il bambino non ha ancora
imparato l'uso convenzionale delle parole e della madre coglie la tonalità di voce, i movimenti, lo sguardo.

D'altra parte , se la distinzione fra numerico e analogico è netta sul piano teorico,, su quello empirico tende sfumare.

Effettuando delle ricerche e delle riflessioni sulle origini delle parole, è possibile risalire a quelle che potrebbero essere
considerate le radici "analogiche" del linguaggio verbale; Pensiamo alla differenza fra le parole "attenti" e " riposo".

Così, le parole di orogine "onomatopeica" costituiscono un altro esempio di commistione fra dimensione numerica e dimensione
analogica: pensiamo al suono della parola abbaiare: non ricorda il suono del latrato del cane? Il suono della parola " ronzio",
non ricorda il rumore di un insetto che vola? Pensiamo anche alle parole "terremoto", catastrofe", sereno" "tutto","languido", etc.

Infine, studi di psicolinguistica hanno fatto emerger il simbolismo fonetico dietro la convenzionalità delle parole: i singoli "fonemi"
possiedono la caratteristica di richiamare significati archetipici e inconsci.

La lettera "R", per esempio, tende a essere associata a cose ruvide, dure, mascoline; la "L" ricorda qualcosa di dolce, levigato,
soffice, femminile; Così la vocale "I" richiama l'idea di acuto, sottile, pulito, fresco; la vocale "U" l'idea di pesante, piatto, sporco.

Tutto questo è largamente conosciuto e applicato nel marketing al momento di creare il nome dei prodotti che poi troveremo nei
supermercati.

5. La comunicazione come sistema relazionale

Quanto si è detto prima sul rapporto tra "potere" e comunicazione, evidenzia solo alcuni aspetti del rapporto più generale fra
comunicazione e forme della relazione sociale.

La sociologia della comunicazione , oltre a contribuire alla comprensione generale degli elementi di base dei processi
comunicativi umani, privilegia lo studio di come il "comunicare" rappresenti uno dei principali motori per lo sviluppo e il mutamento
dei legami fra le persone che,organizzate in varie f forme, finiscono col diventare ciò che chiamiamo "società".

Sebbene siano stati molti i sociologi che si sono occupati specificatamente di questo aspetto della comunicazione, una delle
migliori analisi del rapporto fra comunicazione e relazione è quella elaborata, a partire dagli anni '60, dalla Scuola di Paolo Alto.

Uno degli assiomi proposti da questa scuola sulla comunicazione umana, dice:

1) *Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il
primo ed è quindi metacomunicazione (che significa una comunicazione dentro una prima comunicazione).Vedi
l'esempio dell'amico che per riappacificarsi dopo un litigio lo invita a pesca; è chiaro che in questo caso non è tanto
importante il contenuto delle parole -l'invito a pesca di per se - ma il fatto che ,in effetti, l'amico propone il ripristino di una
certo rapporto amichevole (aspetto relazionale). In modo talvolta poco evidente, ma qualsiasi comunicazione presenta
questo doppio aspetto di relazione e di contenuto. Metacomunicare non è sempre facile; si pensi alla frase "stavo solo
scherzando!": quante volte viene accolta con indifferenza, con scetticismo o con incredulità,e non risolve il problema
dell'equivoco nato con le parole di fatto pronunciate (stava effettivamente solo scherzando, o era una battuta cattiva?)
2) **Un ulteriore assioma della comunizione dice che "la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle
sequenze di comunicazione tra i comunicanti". Con"punteggiatura qui non si intende esattamente la nozione
grammaticale di questo termine. Un esempio, per capire meglio è quello della coppia che litiga: "la moglie brontola e critica il
marito in continuazione e lui si rifugia passivamente, nel silenzio, davanti alla televisione. Il punto di vista della moglie
concorda sugli eventi (lei insoddisfatta, lui asociale), ma questi eventi saranno "punteggiati" in modo diverso a seconda se a
parlare sarà lui o lei! Ciò che per uno è la causa, per l'altro è la conseguenza, e viceversa. La punteggiatura degli eventi
comunicativi è qualcosa che avviene a ogni livello della comunicazione, nei botta e risposta, inoltre da un punto di vista
sistemico-comunicativo, non esiste una punteggiatura "giusta e una sbagliata".

In molti casi le punteggiature di una sequenza di eventi date dai soggetti coinvolti risultano, dai corrispettivi punti di vista,
perfettamente ragionevoli, coerenti e plausibili.

Privilegiare una punteggiatura a scapito di un'altra rappresenta di solito una questione politica che ridefinisce i termini della
relazione. In questo modo a una certa punteggiatura possono essere assegnate etichette particolari come follia, genialità,
resistenza, martirio etc., l'adozione di determinate punteggiature finisce inoltre con il provocare un'inversione nella successione
temporale percepita di alcuni fenomeni.

In una situazione ordinaria l'elemento relazionale rimane sullo sfondo e non viene reso esplicito. Tuttavia è proprio quando la
4 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

resistenza, martirio etc., l'adozione di determinate punteggiature finisce inoltre con il provocare un'inversione nella successione
temporale percepita di alcuni fenomeni.

In una situazione ordinaria l'elemento relazionale rimane sullo sfondo e non viene reso esplicito. Tuttavia è proprio quando la
relazione tra gli interlocutori diventa problematica che ciò che si dice riguarda in realtà quasi esclusivamente il piano relazionale e
non il contenuto manifestato della comunicazione.

L'adozione di determinate finisce anche con il provocare un'inversione bella successione temporale percepita da alcuni fenomeni;
è il caso delle "profezie che si autoavverano" come magie comunicative (vidi il caso di un insegnante che ritiene un alunno più
bravo degli altri e al quale, anche inconsciamente, gli dedicerà maggiore attenzione: questi finirà con il diventare veramente più
bravo.

Riepiloghiamo, per comodità quelli che sono alcuni punti fermi della Scuola di Palo Alto:

1) "Non si può non comunicare" ( vedi I cap. par.3)


2) "Gli esseri umani comunicano sia in modo digitale che analogico" (vedi par. 1). Il linguaggio analogico è quel linguaggio
che fa ricorso in qualche modo a un'immagine a una rappresentazione del concetto che vuole trasmettere. Il linguaggio
digitale che si basa essenzialmente su un codice il più possibile ristretto, che non ha nulla a che fare e quindi ove una
rappresentazione puramente arbitrarie fra ciò che vuole rappresentare e il significante attraverso cui veicola questo
messaggio.
3) "Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione" (vedi sopra)*
4) "La natura di una relazione comunicativa non è assoluta"**
5) "Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari". Lo scambio simmetrico avviene fra interlocutori che
si considerano sullo stesso piano, svolgendo funzioni comunicative e ruoli sociali analoghi. Uno scambio complementare fa
incontrare persone che hanno una relazione ma non sono sullo stesso piano per potere, ruolo comunicativo, autorità sociale
interessi.

6. La comunicazione come rappresentazione (sociale)

Ruolo sociale: fin dall'antica Grecia, era convinzione diffusa che le persone tendano ad agire in modi diversi, e tendenzialmente
prevedibili, a seconda della posizione sociale occupata e degli interlocutori con cui si confrontano

Se vogliamo fornire una definizione sociologica più rigorosa, possiamo dire che il:

- Ruolo è l'insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata
posizione all'interno di un sistema sociale.

La sociologia si interessa dello studio dei rapporti di ruolo, delle relazioni interattive e dei processi comunicativi tra gli individui
nella vita comune di tutti i giorni.

Uno dei più importanti sociologi che si siano occupati di questi argomenti è senz'altro Erving Goffman. Questi dice che le
strategie degli individui negli incontri con i propri simili, sono tese a cercare di controllare la definizione della situazione circa ciò
che sta accadendo, perseguendo due scopi principali:

a) farsi un'impressione sugli altri;


b) controllare e influenzare le impressioni che gli altri hanno su di noi.

La definizione della situazione deriva da quell'insieme di etichette, modelli interpretativi e schemi di punteggiatura che portano
ognuno di noi a riconoscere una certa situazione all'interno di un insieme molto ampio di situazioni possibili e plausibili,
applicandovi le configurazioni comportamentali adeguate.

Nella maggior parte dei casi le definizioni della situazione delle diverse persone coinvolte coincidono tra loro o sono almeno
compatibili.

Per descrivere l'interazione sociale Goffman utilizza una metafora drammaturgia, i soggetti comunicano collocandosi in una
cornice d'interazione costituita da una ribalta e da un retroscena, in cui vengono recitati i singoli ruoli, dove:

- ribalta è il luogo in cui avviene la rappresentazione in senso stretto della propria facciata ( es. nel caso di un corso
universitario la ribalta è tipicamente rappresentata dall'aula in cui si fa lezione, qui il docente sfoggia la sua arte oratoria e gli
studenti sostengono a loro volta la rappresentazione sedendo in modo composto sui banchi, dimostrando attenzione e
interesse, qualunque elemento di disturbo viene isolato e allontanato ( telefonino).
- retroscena, al contrario è il luogo come dire di riposo dove non è più necessario nascondere quegli aspetti (recitare) o
quegli elementi che sulla ribalta avrebbero stonato (nei corridori dell'università sono ammessi i telefonini, scambiarsi appunti
etc.)

Gli attori negoziano e ridefiniscono le situazioni comunicative individuando le cornici o frames d'interazione entro cui si collocano.

Ogni frame è ancorato al mondo circostante: ad ogni sua parte attribuiamo status di realtà diversi. Il frame corrisponde al modo in
cui è organizzato un aspetto dell'attività che implichi attori sociali.

L'individuo si colloca come attore sociale non perché sia dotato di stati interiori che determinano i significati delle sue azioni
comunicative. L'attore sociale comunica grazie a i frames delle attività che gli permettono di attribuire un senso alla sua stessa
soggettività in quel contesto specifico di azione.

Secondo Goffman, il sostegno alla propria definizione della situazione avviene attraverso la costruzione di una facciata personale,
con la quale l'individuo mostra agli altri quello che ritiene essere il meglio di sé.

Tale facciata personale è composta dalle caratteristiche biologiche e ascritte e da comportamenti ed espressioni che possono
essere assunte intenzionalmente oppure lasciate trasparire.

Il risultato di tutte queste "messe in scena" costituisce il "teatro" della vita quotidiana composto dallo scorrere ordinato di un
insieme apparentemente causale di complicatissime successioni di eventi.

5 di 24 25/06/2013
L'individuo assume maschere attraverso le quali presenta agli altri la sua identità sociale (self), il problema - nei nostri rapporti con 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Il risultato di tutte queste "messe in scena" costituisce il "teatro" della vita quotidiana composto dallo scorrere ordinato di un
insieme apparentemente causale di complicatissime successioni di eventi.

L'individuo assume maschere attraverso le quali presenta agli altri la sua identità sociale (self), il problema - nei nostri rapporti con
glia altri - non è sapere chi siamo, ma qual è il senso che offriamo del tipo di persona che sta dietro al ruolo.

Il self un'identità complessa multistratificata, frammentazione in diversi selves a cui corrispondono diverse facce e diversi ruoli, a
seconda delle cornici e delle situazioni.

Le persone sono "unità deambulatorie" che si muovono nelle diverse ribalte in cui è suddiviso lo spazio sociale, la loro circolazione
è regolata da regole condivise che rendono possibile il riconoscimento delle situazioni e dei ruoli reciproci.

7. L'etnometodologia

L'etnometodologia è una corrente di pensiero e di ricerca social frutto dell'invenzione del proprio fondatore, Harold Garfimkel.

Costui, verso metà degli anni '60, volle studiare una nuova maniera per studiare il funzionamento della società a partire dalle
pratiche sociali e comunicative dei propri membri.

Il nucleo centrale dell'etnometodologia può essere così riassunto:

- La realtà è una costruzione sociale quotidiana dai confini temporali e spaziali limitati, che viene prodotta dalle pratiche dei
membri che la compongono.

La realtà dunque non è indipendente, esterna o già data agli attori ma, viceversa, è prodotta in continuazione da costoro.

Gli individui , dunque, usano degli etnometodi, delle pratiche, che permettono loro di "stare in gioco" in qualsiasi situazione.
L'etnometodologia è di conseguenza lo studio degli etnometodi che vengono di volta in volta impiegati per costruire un senso
condiviso, anche conflittuale, della situazione.

Nei confronti dei processi comunicazione verbale, gli studiosi di etnometodologia hanno portato alla luce alcuni elementi
fondamentali nella costruzione di un giudizio condiviso sulla realtà. Il primo di questi è l'account (resoconto).

L'account è piuttosto una descrizione di come i membri di ogni società intendono costituirla di volta in volta (vedi es.libro pag. 67).

I resoconti delle pratiche comunicative e sociali delle persone svelano alcuni tratti di primaria importanza. Il primo di essi è la
riflessività. Gli accounts che gli attori danno del loro mondo sono "riflessivi" e cioè non rinviano ad altro se non alla realtà cui fa
riferimento il resoconto. Questo vuol dire che l'account ha la proprietà di produrre, attraverso la descrizione, il mondo cui si
riferisce.

Strettamente connesso alla riflessività è il secondo tratto della comunicazione, l'indicalità, ossia: abbiamo detto che una
descrizione crea la realtà.

I mondi dell'etnometodologia sono delle porzioni di realtà molto limitate, perché ogni mantenimento della coerenza di una singola
interazione è gia il compimento di una serie di operazioni complesse e non può che avvenire al livello più minuto dell'interazione
quotidiana, es. una telefonata.

La realtà, è l'insieme di questi mantenimenti di coerenza. La base comunicativa su cui poggia la nostra esistenza è però franosa e
pronta a cedere in qualsiasi momento. Questa evenienza, il fatto cioè che si dimostri che le basi del rapporto intersoggettivo sono
labili, è generalmente evitata dalle persone stesse, che cercano in ogni modo di attribuire coerenza e razionalità al proprio mondo.

Nello studio dei fenomeni comunicativi si possono distinguere due direzioni prese dall'etnometodologia per illustrare la propria
teoria sulla società.

Si hanno:

- l'approccio critico, condotto per mezzo di veri e propri esperimenti di etnometodologi

- l'analisi della conversazione, una tecnica attraverso la quale vengono studiate le proprietà formali degli scambi linguistici

8. La sociolinguistica
Ogni uomo ha una storia personale e una "cultura" di provenienza di un certo tipo.

Il linguaggio che ognuno di noi usa, volente o nolente, rivela un certo "status" di provenienza; per esempio, bambini provenienti da
classi popolari utilizzano nelle espressioni frasi brevi ed hanno un "vocabolario", limitato. Viceversa,i bambini delle "middle Class"
e delle classi più elevate, hanno una maggiore capacità di espressione linguistica, con un vocabolario più ricco.

Ciò sottolinea come non solo il linguaggio risente delle " condizioni sociali d'origine", ma è un veicolo che consente o nega il
passaggio da una classe all'altra.

In letteratura o al cinema, o nello sport, abbondano gli esempi di personaggi in ascesa economica ( e sociale) che nel parlare,
hanno difficoltà a mantenersi al livello del muovo contesto in cui si vengono a trovare e spesso vengono, in un modo o nell'altro,
derisi e biasimati

Quanto sopra sottolinea che non si può parlare come si vuole; la lingua da noi usata, pur affinata con gli studi, risente fortemente
di quelle che sono le origini sociali e gli ambiti culturali in cui ognuno di noi è cresciuto.

La differenza tra una prima analisi del linguaggio -visto esclusivamente dal punto di vista puramente linguistico - e l'analisi attenta
alla componente sociale, è quella che porta a definire questa seconda analisi: sociolinguistica.

Solo a partire dalla fine degli anni '60 che ha inizio la vera svolta sociolinguistica, con autori come Basil Bernstein nel Regno Unito
6 di 24 e W. Labov negli Usa 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

alla componente sociale, è quella che porta a definire questa seconda analisi: sociolinguistica.

Solo a partire dalla fine degli anni '60 che ha inizio la vera svolta sociolinguistica, con autori come Basil Bernstein nel Regno Unito
e W. Labov negli Usa

E' stato W. Labov, in disaccordo con Bernstein, a elaborare in maniera decisiva la questione delle differenze nell'uso del
linguaggio, con una celebre ricerca condotta sul ghetto nero di Harem, a new York.

Egli, praticamente, nel corso delle sue ricerche, si pone questa domanda: i giovani neri, che abbandonano presto la scuola
oppure ottengono bassi titoli di studio, in che misura sono vittime della propria origine sociale e del loro linguaggio? Egli, mentre
non ha dubbi sulle difficoltà che questi neri incontreranno nella scuola e nel lavoro, considera questi "universi linguistici",
semplicemente "differenti", come una sorta di modifica e di sottoinsieme della lingua dei bianche , e, di più, non hanno nulla da
imparare - quanto a complessità, logica ed efficacia della "lingua" che utilizzano validamente.

E' ovvio che esempi di questo tipo si possono trovare in qualsiasi sobborgo e in qualsiasi periferia di molte città.

Si può concludere, pertanto, che la lingua non è solo un prodotto di condizioni sociali specifiche, ma anche un mezzo di
promozione individuale e di appartenenza ad un gruppo; vedi certe espressioni particolari usate dal giovani e giovanissimi e certe
espressioni tipicamente femminili o maschili.

9. La comunicazione nelle organizzazioni

Finora abbiamo parlato di comunicazione fra singole persone, La comunicazione può essere analizzata anche quando coinvolge
organizzazioni più o meno complesse.

Le organizzazioni rappresentano oggigiorno uno degli elementi caratterizzanti della società contemporanea.

La società contemporanea può essere oggi rappresentata come un fitto tessuto di organizzazioni, talmente fitto, da poter
affermare che le organizzazioni hanno assorbito la società.

Le organizzazioni, sono dei veri e propri contesti di socialità, nei quali le persone fanno esperienza di una molteplicità di situazioni,
problemi, sentimenti ed emozioni.

M. Ferrante e S. Zan definiscono l'organizzazione come una "forma di azione collettiva reiterata basata su processi di
differenziazione e di integrazione tendenzialmente stabili e intenzionali".

Il fulcro di questa definizione sono i concetti di:

- Differenziazione, che sottintende tutti quei meccanismi che permettono l'assegnazione di un ruolo a ogni membro
dell'organizzazione.
- Integrazione, che richiama invece i meccanismi che consentono di riunire gli sforzi individuali in un'ottica collettiva,
permettendo il funzionamento complessivo dell'organizzazione

Ogni organizzazione presenta dei propri meccanismi di differenziazione e integrazione che la distinguono rispetto alle altre
organizzazioni e permettono di definire se un individuo vi appartiene o meno; i meccanismi di differenziazione e integrazione, oltre
a consentire l'effettivo funzionamento dell'organizzazione, svolgono un'importante funzione comunicativa, sia all'interno che
all'esterno, l'identità dell'organizzazione stessa e il ruolo che ciascun individuo riveste nei suoi confronti.

In tal senso, i più diffusi strumenti di gestione delle organizzazioni adempiono una duplice funzione poiché, da un lato, hanno
carattere amministrativo-gestionale e, dall'altro, un valore comunicativo.

Questi strumenti creano uno spartiacque tra chi è membro e chi invece è estraneo rispetto a un'organizzazione.

L'appartenenza a un'organizzazione non è data dal semplice possesso di un particolare artefatto (codice, chiave, targhetta), al
contrario, è la comunicazione del nostro status di membri, attraverso gli strumenti sopra individuati, che ci permette l'accesso e
l'interazione con l'organizzazione.

Essere membro di una comunicazione è quindi primariamente un processo comunicativo che predispone a una serie di attività
successive: lo svolgimento di una mansione, l'interazione con gli altri membri, il ricevimento di una retribuzione, la fruizione di
alcuni servizi e così via.

Il rapporto tra i concetti di comunicazione e organizzazione risulta quindi assai controverso. Spesso è difficile distinguere il
comunicare dall'organizzare.

La comunicazione organizzativa è la disciplina che si occupa di studiare la complessa relazione tra i processi comunicativi e vita
organizzativa, cercando di superare una visione contrapposta o antagonista di tali ambiti, l'obbiettivo è comprendere come i
processi comunicativi diano forma alle organizzazioni e, come le strutture organizzative incidano nella definizione delle forma e dei
contenuti degli atti comunicativi degli individui che interagiscono con un'organizzazione.

III. La comunicazione di massa

Premessa: La comunicazione di massa o comunicazione uno a molti, può essere una cerimonia religiosa, il discorso di un re; gli
ordini che un comandante militare dà al suo esercitò riunito.

Nella comunicazione "uno a molti" c'è qualcuno che parla e altri che ascoltano; la comunicazione è prevalentemente
unidirezionale, i ritorni sono deboli o assenti.

La comunicazione "uno a molti" incontra serie difficoltà nel riunire fisicamente parecchie persone. Per comunicare faccia a faccia
con molte persone si devono affrontare problemi logistici complessi, sia in una società primitiva che in quella attuale.
7 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

unidirezionale, i ritorni sono deboli o assenti.

La comunicazione "uno a molti" incontra serie difficoltà nel riunire fisicamente parecchie persone. Per comunicare faccia a faccia
con molte persone si devono affrontare problemi logistici complessi, sia in una società primitiva che in quella attuale.

Lo sviluppo della comunicazione di massa nell'800.

Alla fine del ‘700 si pongono le premesse per l'avvento della comunicazione di massa. Con la rivoluzione americana e con la
rivoluzione francese viene affermata per la prima volta la libertà di pensiero e la libertà di stampa.

Con la rivoluzione industriale, la macchina a vapore, il telegrafo, la ferrovia si determinano le condizioni sociali e tecnologiche per
la produzione e diffusione in serie dei prodotti della comunicazione di massa.

Nel corso dell'800 la diffusione dell'industria per la prima volta costituisce un'alternativa, almeno in alcuni territori dell'Europa e
dell'America, all'agricoltura che era stata la forma di lavoro e di sopravvivenza per più del 90% della popolazione. Mentre per
l'agricoltura occorre abitare in campagna, ciascuno vicino ai campi che deve coltivare, le industrie sorgono alla periferia delle città,
dove grandi folle provenienti dalle campagne o dalle zone più disagiate convergono per lavorare o per cercare fortuna.

La vita in città, che prima riguardava solo le classi elevate e medie, i mercanti, l'artigianato dedicato ai bisogni e ai consumi delle
classi alte, adesso è la condizione esistenziale di grandi folle di operai dell'industria o di persone con lavori precari che cercano in
città una qualche sistemazione.

Le industrie producono adesso molti beni e servizi che hanno a che fare con la comunicazione e dal canto suo la comunicazione
serve sempre più:

- Allo sviluppo della pubblica opinione, della sfera pubblica, della vita politica.
- Alla produzione e al commercio dei manufatti industriali e dei servizi

Nel corso dell'800 viene inventato il telegrafo elettrico, che trasferisce in tempo reale messaggi scritti, e successivamente il
telefono che semplifica tutto perché trasmette la voce umana. Vengono prodotte macchine per comporre meccanicamente i testi
scritti in una pagina da stampare, e macchine da stampa sempre più veloci e perfezionate, in grado di stampare in una notte più di
centomila copie di un giornale quotidiano, che saranno distribuite all'indomani.

Con la fotografia si riescono a registrare le immagini, con il fonografo si riescono a registrare i suoni su in disco.

Le invenzioni si combinano fra loro: è ormai possibile stampare disegni sui giornali (presto anche fotografie), oppure stampante a
colori grandi cartelloni pubblicitari. Alla fine del secolo nascerà anche il cinema, la fabbrica delle immagini in movimento. Così
come l'industria produce tanti manufatti tutti uguali, in serie, così è possibile riprodurre tecnicamente giornali, libri, dischi, pellicole
cinematografiche o fotografie in un numero teoricamente illimitato di esemplari.

Nelle città si muovono ormai grandi masse di lavoratori-cittadini che hanno o avranno il diritto di voto e sono avvicinati da forme di
comunicazione persuasiva volte a coinvolgerli nella vita politica (giornali, manifesti, volantini, spettacoli, raduni), nello stesso tempo
in cui essi costituiscono il mercato potenziale dei beni e dei servizi prodotti in gran copia dalle industrie.

1. Storia dei media e mutamento sociale

Il termine "media" deriva dal latino plurale "medium" che significa mezzo o strumento.

La forma plurale della parola latina "media" ha finito per essere assorbita dalla lingua corrente inglese, in genere preceduta dalla
parola "mass".

Mass media = mezzi di comunicazione di massa.

I media sono sistemi tecnici per raggiungere con uno stesso messaggio persone molto distanti fra loro.

Alcuni di questi mezzi tecnici, come la posta e il telegrafo, sono in comune con la comunicazione interpersonale: con essi si
possono mandare sia messaggi privati che l'editto di un re o la circolare di un ministero, che sono rivolti contemporaneamente a
moltissimi destinatari.

Molte persone, almeno fino a qualche decennio fa, non erano in grado di leggere, a volte trascorrevano un'intera vita all'interno di
un piccolo mondo, con le sole conoscenze acquisite tramite i pochi contatti personali diretti.

Oggi, anche chi non viaggia, ha accesso a una quantità sterminata di conoscenze "mediate" dalla televisione, dai giornali o da
altri "media".

Non si tratta solo di un cambiamento quantitativi, ma anche, e soprattutto di un cambiamento della qualità della conoscenza; molti
"saperi" sono andati perduti; molte delle cose che sentiamo ci lasciano perplessi (sarà vera la notizia appena ascoltata in tv ?); ma
nel complesso si può dire che, in ogni caso, le conoscenze generali si sono alquanto "allargate"; il mondo è un po' più conosciuto
a tutti!

L'avvento dei "media" rappresenta, di fatto, un problema e una nuova sfida per l'umanità: gestirne un corretto utilizzo; evitare la
"manipolazione mediatica delle notizie e delle informazioni"; etc. Questi sono gli altri aspetti, molto discussi e controversi, che
andremo ad analizzare

1.1 La scrittura

8 di 24 Ogni nuovo mezzo di comunicazione è accompagnato da importanti cambiamenti sociali. 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Ogni nuovo mezzo di comunicazione è accompagnato da importanti cambiamenti sociali.

Nonostante alcuni studiosi considerino il linguaggio come il primo, fondamentale "medium", è solo con l'introduzione della
scrittura che la società umana ha iniziato a prendere una forma alquanto diversa da quella che ha caratterizzato l'homo sapiens
per millenni, a partire dalla sua comparsa sulla Terra.

La specie umana è caratterizzata da sempre dalla facoltà di esprimersi attraverso il linguaggio verbale: una facoltà di "fonazione"
identica alla nostra, è stata riscontrata nei reperti paleoantropologici dell'uomo di Cro-Magnom (apparso circa 35.000 anni fa);
Possiamo dunque affermare che non sono mai esistiti uomini privi della parola (escludendo gli ominidi che hanno preceduto la
nostra specie, o l'hanno accompagnata per breve tempo, come l'uomo di Neandhertal).

L'uomo, dunque, nasce dotato di parola, ma anche di una qualche forma di espressione grafica: i primi segni incisi sulla roccia,
risalgono amch'essi a circa 35.000 anni fa.

Tuttavia, tra l'incisione rupestre e un sistema di scrittura le differenze sono enormi, tanto da richiedere più di 30.000 anni di
cammino.

La scrittura è, non un qualunque sistema di segni grafici, ma: "un sistema codificato di marcatori visivi per mezzo del quale lo
scrivente poteva determinare le parole esatte che il lettore avrebbe prodotto a partire dal testo".

La scrittura così intesa permette ciò che non è possibile con altri sistemi pi semplici di espressione: permette cioè, ad esempio:

- lo stoccaggio delle informazioni


- la riproducibilità dei testi
- la comunicazione a distanza, di tempo e di spazio

Una trasformazione così importante ha potuto avvenire solo con lenti passaggi successivi,in un arco di tempo notevolmente
lungo.

Le prime forme di scrittura si svilupparono a partire dal 4000 a.C. in Egitto e in Mesopotamia. Si tratta di pittogrammi, ovvero
icone, disegni stilizzati di un toro o del sole; le icone rappresentano semplicemente quello che si vede (es.:il toro).

Ai pittogrammi seguono i sistemi ideografici (ideogrammi):qui ogni segno rimanda a un'idea, a un concetto (per es.: il disegno del
toro può voler indicare l'idea di forza o di virilità)

Infine,solo intorno al 1300 a.C. compare la scrittura di tipo alfabetico, comunemente attribuita ai fenici.

L'alfabeto presenta una caratteristica ben precisa: ogni singolo segno non rimanda a un significato, (un oggetto, un'idea), ma a
uno dei suoni che compongono la lingua parlata, ovvero un fonema o a un insieme di fomeni (sillabe).

Possiamo pensare ai pittogrammi come a una forma di comunicazione analogica, e all'alfabeto come a una forma di
comunicazione numerica (vedi cap. 2, par. 1°).

Gli ideogrammi si pongono a metà strada in questo cammino dall'analogico al numerico.

Tuttavia, a testimonianza del lungo cammino e delle antiche radici dell'alfabeto fonetico, anche le lettere latine che utilizziamo
oggi, conservano remoti legami analogici: a partire dalla prima lettera , la "A", che i fenici scrivevano rovesciata, e che così, con le
gambe rivolte in alto ricordava la forma del toro che i fenici chiamavano "Aleph".

A proposito del passaggio dagli ideogrammi all'alfabeto fonetico, è sorprendente notare come ancora oggi tutti noi utilizziamo
correntemente un ben preciso insieme di ideogrammi senza rendercene conto: si tratta dei numeri arabi, che possiamo
considerare "ideogrammi interlinguistici", in quanto, per es., il segno 1.000 non rappresenta una sequenza di suoni, bensì un
concetto, tanto è vero che tale segno rimane identico in tutte le lingue; a differenza della forma fonetica "mille", che cambi a
seconda della lingua. I numeri arabi rappresentano un sistema di ideogrammi particolarmente semplice ed efficace, tant'è che con
solo 10 segni diversi, opportunamente combinati, possiamo comporre qualsiasi numero.

E' a partire dal XIII secolo a.C. che i fenici iniziarono a tenere traccia scritta dei propri traffici economici con l'aiuto di un primo
sistema alfabetico. Si tratta di un alfabeto ancora molto diverso dal nostro, nel quale a ogni segno corrisponde una sillaba e nel
quale non vengono trascritte le vocali; la lettura rimane quindi piuttosto incerta perché a un certo insieme di segni possono
corrispondere diverse parole, per cui occorre un po' "indovinare" le intenzioni dello scrivente. (anche la scrittura araba attuale
prevede una trascrizione limitata delle vocali)

I greci introducono la scrittura delle vocali intorno al 600 a.C. riducendo l'ambiguità della scrittura fenicia e presentando un sistema
alfabetico molto simile al nostro.

Il nostro alfabeto è molto semplice da studiare rispetto all'alfabeto cinese; per esempio gli scolari occidentali devono imparare solo
una trentina di lettere, mentre quelli cinesi devono vedersela con migliaia di ideogrammi (da 4.000 a 7.000 caratteri ideografici).

L'alfabeto dunque semplifica l'apprendimento, favorisce la diffusione sociale della scrittura e accompagna mutamenti
molto estesi e profondi nella struttura della società, permettendo la nascita di sistemi sociali articolati e diversificati su ampie
zone geografiche, come l'impero romano.

"La funzione primaria della comunicazione scritta è quella di facilitare l'asservimento. Prima di diventare uno strumento di
liberazione dalla servitù dei potenti.

La scrittura è stata, per millenni, uno strumento di costrizione delle masse che non avevano accesso alla conoscenza " (Godart
9 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

"La funzione primaria della comunicazione scritta è quella di facilitare l'asservimento. Prima di diventare uno strumento di
liberazione dalla servitù dei potenti.

La scrittura è stata, per millenni, uno strumento di costrizione delle masse che non avevano accesso alla conoscenza " (Godart
1992).

In ogni caso, quando una certa società passa dalla cultura orale alla cultura "chirografica" (cioè che conosce l'uso della scrittura),
avvengono sostanziali cambiamenti sociali all'interno della stessa.

Cultura orale e cultura scrittura

Come sempre accade per ogni nuova tecnologia, anche per le tecnologie comunicative si sono avuti iniziali ingenui entusiasmi,
così come scetticismi ingiustificati.

Tra i critici della scrittura si hanno personaggi come Platone e Socrate che sostenevano come l'avvento della scrittura potesse
portare ad un "impigrimento delle menti" non facendo esercitare la memoria, mentre il lettore finisse con l'essere meno sapiente,
riuscendo solo a ripetere quello che poteva facilmente,invece di "imparare"

Il senso privilegiato della cultura orale è l'udito, mentre quello della cultura scrittura è la vista.

1.2 La stampa

Secondo le più attendibili ricostruzioni, i primi esempi di stampa si devono agli abitanti della Cina: già nel VI secolo avevano
acquisito una tecnica che - attraverso l'inchiostrazione di matrici di legno in rilievo - consentiva loro di riprodurre in vari esemplari
testi scritti e disegni su supporti di seta.

Tale tecnica, chiamata "xilografica", pervenne in Europa intorno al XIV secolo ed è tuttora in uso, si tratta di una tavoletta incisa
con il testo o, molto più spesso, le immagini da riprodurre, pressando la tavoletta inchiostrata su supporti come carta, ma anche
pergamene o tessuti, i ottenevano i primi prodotti stampati. Naturalmente ogni tavoletta riproduceva interamente una e una sola
pagina e andava quindi costruita ad hoc per ogni singola necessità.

Se la stampa è nata in Cina, il giornale in quanto tale è originario dell'Europa.

La necessità di favorire la diffusione delle notizie non è un fenomeno dei nostri giorni, ma risale addirittura al XIII secolo.

In quel periodo, infatti, si sviluppò in Europa la circolazione delle lettere commerciali, scambiate tra i commercianti per informarsi
reciprocamente dell'andamento del mercato.

Insieme alle lettere commerciali, nel XV secolo cominciano a diffondersi le lettere di avvisi o fogli volanti - in un primo tempo
manoscritti - che riproducevano le forme dei pronostici e degli almanacchi.

A porre le definitive premesse per lo sviluppo della stampa periodica fu, nel corso del XV secolo, Johannes Gensfleische
Gutemberg (1400 - 1468), tipografo di Magonza (l'attuale Mainz), al quale viene attribuita l'invenzione della stampa a caratteri
mobili, facili da utilizzare e da sostituire nella correzione degli eventuale errori.

Gutemberg è ritenuto il fondatore della moderna arte tipografica. Secondo la tecnica da lui introdotta, ciascun carattere, inciso in
rilievo, veniva impresso su un supporto di ottone, dando origine a una matrice.

Il piombo fuso versato all'interno di questa ultima permetteva al tipografo di ricavare un considerevole numero di copie identiche
del carattere stesso ("fusione a ripetizione"). Come è noto, il primo libro stampato con questa nuova tecnica è la Bibbia: a
Gutemberg e ai suoi collaboratori furono necessari quattro anni di lavoro (dal 1452 al 1456) per poter stampare il libro a due
colori, rosso e nero.

Da Magonza l'arte tipografica si diffuse rapidamente dapprima in altre città tedesche e poi nell'Europa intera.

In Italia già nel 1465 a Subiaco (Roma) venivano stampati i primi volumi in caratteri gotici e latini, ma fu Venezia la città che diede
il maggior impulso iniziale alla diffusione della stampa, grazie all'opera del tipografo Aldo Manuzio.

Con il passare degli anni e dei secoli si affinò anche la qualità dei caratteri, le cui forme vennero diversificate in relazione al
prodotto da stampare.

Grazie alla tipografia a caratteri mobili, intorno alla seconda metà del 1600 i fogli volanti iniziarono ad assumere periodicità
regolare, qualificandosi come il primo servizio permanente di notizie da cui poi nacquero i veri e propri giornali.

Dal punto di vista dei contenuti, i giornali secenteschi non si differenziavano molto dai fogli volanti, riportando una miscellanea non
sempre ordinata di informazioni dall'estero e dalle corti, notizie commerciali, e fatti fuori dall'ordinario, più o meno credibili.

I fogli di notizie acquisirono con il passare del tempo una periodicità regolare nell'uscita, diventando una sorta di embrioni dei
giornali attuali; in Italia e in Francia presero il nome di Avvisi e Gazzette, in Inghilterra vennero battezzati News papers.

Si diffondono così i giornali quotidiani e settimanali che riportano regolarmente notizie provenienti da pesi lontani.
Successivamente la stampa periodica iniziò a ospitare anche la comunicazione di idee e programmi politici.

Grazie alla stampa, la scienza prese nuovo slancio, divenne possibile riprodurre testi tecnici senza gli errori frequenti della
ricopiatura a mano. Divenne possibile anche un vero archivio della conoscenza, sommato alla crescente alfabetizzazione dovuta
alla diffusione dei libri su larga scala,; la stampa permise la nascita della scienza moderna, separata dalla magia e dalla religione;
con la facilità di diffondere i propri scritti, viene introdotto un concetto per noi scontato ma all'epoca del tutto nuovo: quello di
10 di 24 autore. 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

ricopiatura a mano. Divenne possibile anche un vero archivio della conoscenza, sommato alla crescente alfabetizzazione dovuta
alla diffusione dei libri su larga scala,; la stampa permise la nascita della scienza moderna, separata dalla magia e dalla religione;
con la facilità di diffondere i propri scritti, viene introdotto un concetto per noi scontato ma all'epoca del tutto nuovo: quello di
autore.

Accanto al concetto di autore nasce la proprietà intellettuale: copiare un libro diventa un abuso portando nel 1709 alla nascita in
Inghilterra della prima legge sul copyright.

Intanto proseguiva l'inevitabile evoluzione delle tecnologie di stampa. Nel 1814 al Times le nuove rotative sostituirono il torchio di
Gutenberg, che andò in pensione dopo ben quattro secoli di onorato servizio.

In seguito nacquero le prime agenzie di stampa e, a partire da fine secolo, si svilupparono le grandi concentrazioni editoriali,
favorite dall'evoluzione dei mezzi di comunicazione (telegrafo, radiotelefono, radio).

Nel secolo XIX vennero create la monotype e la linotype, macchine per realizzare la fusione di caratteri singoli e di righe intere "a
caldo", versando cioè all'interno delle matrici una lega di piombo e altri metalli.

Qualcuna di queste macchine funziona ancora, ma - nella stragrande maggioranza dei casi - esse sono ormai state
definitivamente soppiantate dal procedimento della fotocomposizione.

Quest'ultima è il risultato della combinazione di due tecniche: la giustificazione automatica, che permette di suddividere un testo
scritto in righe più o meno lunghe tramite il computer, e la tecnica fotografica, che consente di imprimere il testo direttamente su
una pellicola.

Si tratta di tecniche già conosciute a partire dal 1960, ma che soltanto negli ultimi decenni si sono potute utilizzare in maniera
combinata.

La fotocomposizione viene definita anche "composizione a freddo", per distinguerla da quella "a caldo" caratteristica della linotype.
I vantaggi rispetto a quest'ultima sono evidenti, sia in fase di produzione che in sede di eventuali correzioni ai testi; operazioni per
le quali il tempo richiesto è inferiore e gli interventi necessari sono assai più agevoli dal punto di vista tecnico.

Alla fine del ‘700 si può gia iniziare a parlare di "sistema dei media" riferendosi all'insieme di libri, giornali, riviste ma anche alla
rete della loro distribuzione e ai luoghi di cultura: locande, caffè, salotti. Nel suo complesso questo sistema rappresenta l'atto di
nascita dell'opinione pubblica (sfera pubblica).

Gli sconvolgimenti sociali e culturali che si sono susseguiti dopo l'invenzione di Gutenberg non hanno mancato di suscitare
numerose reazioni. Anche la stampa ha generato sospetti e diffidenze da parte di chi scorgeva nei libri una minaccia all'ordine
costituito. In primo luogo la potente Chiesa cattolica avversa alla stampa e alle edizioni in lingua volgare della Bibbia; in secondo
luogo il mondo protestante e anche quello islamico.

La Rivoluzione francese affrontò anche questo problema, tentando di tutelare una sfera pubblica libera e liberale. Nell'art.11 della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino adottata dall'Assemblea Nazionale Costituente il 26 agosto 1789 si legge:

"La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo; ogni cittadino può dunque parlare,
scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge".

Lo stesso diritto è ribadito dall'art.21 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Sul finire degli anni Settanta faceva la sua comparsa lo strumento destinato a rivoluzionare in maniera decisiva il sistema
dell'editoria, nonché l'intera vita sociale delle persone: il personal computer.

I programmi di scrittura e di impaginazione tramite videoterminale hanno sconvolto irrimediabilmente tutte le regole tradizionali
dell'arte tipografica, consentendo l'affermazione dell'editoria "da tavolo" ("Desk top publishing").

Page Maker è stato soltanto il primo (1983) di una lunga serie di programmi di impaginazione che attualmente consentono ai
giornalisti di scrivere i loro articoli direttamente nella pagina visualizzata sul proprio monitor.

1.3 Le telecomunicazioni

Agli inizi dell'800 il sistema mondiale delle comunicazioni era garantito da numerose reti di corrieri a cavallo e di navigazione
fluviale e marittima.

La città di Londra, per esempio godeva di un servizio di distribuzione della posta economico e rapido. In generale però la
diffusione delle notizie su lunghe distanze subiva ritardi, una lettera spedita dall'Inghilterra impiegava dai 5 agli 8 mesi per
giungere fisicamente fino in India.

Un evento, di qualunque importanza o gravità poteva rimanere sconosciuto per interi mesi alle popolazioni dei continenti vicini. È
impressionante confrontare questa situazione con il ricordo del crollo delle Torri Gemelle osservato in diretta dai telespettatori
dell'intero pianeta.

La storia della comunicazione umana vede diversi tentativi di superare il pesante vincolo delle distanze fisiche allo scopo di
comunicare più velocemente: dai piccioni viaggiatori a catene di uomini urlanti dalle cime di colline adiacenti, da grandi fuochi e
segnali di fumo a sistemi di specchi riflettenti la luce solare.

Uno degli apparecchi efficienti era il telegrafo ottico (un sistema si segnalazione costituito da grandi lanterne semaforiche poste in
cima ad apposite torri erette in successione a distanze opportune), che dipendeva troppo dalle condizioni climatiche.

Lo sviluppo delle reti ferroviarie, rese possibile un nuovo, grande salto qualitativo negli strumenti di comunicazione: il telegrafo.
Grazie al telegrafo un messaggio spedito da Londra a Bombay impiegava poche ore.

Il telegrafo fu brevettato per la prima volta in Inghilterra nel 1838 da W. Fothergill Cooke C. Wheatstone.

Il telegrafo fu sviluppato grazie agli sforzi di persone diverse, tanto è vero che anche Samuel Morse brevettò il telegrafo nel 1838
in Francia e nel 1840 negli Usa. Morse è sicuramente il suo "padrino" più conosciuto, soprattutto grazie all'omonimo codice.
11 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Il telegrafo fu brevettato per la prima volta in Inghilterra nel 1838 da W. Fothergill Cooke C. Wheatstone.

Il telegrafo fu sviluppato grazie agli sforzi di persone diverse, tanto è vero che anche Samuel Morse brevettò il telegrafo nel 1838
in Francia e nel 1840 negli Usa. Morse è sicuramente il suo "padrino" più conosciuto, soprattutto grazie all'omonimo codice.

Il codice Morse, è uno dei primi esempi di codice binario: ogni cifra e ogni lettera viene trasmessa su un cavo elettrico del telegrafo
convertita in successioni di punti e linee, permettendo una velocità di trasmissione stimabile in circa quaranta parole al minuto. In
pochi anni analoghe linee vengono costruite anche in Europa e, il 27 luglio 1866, il primo messaggio viaggia attraverso l'Atlantico
lungo un cavo elettronico collegando il Vecchio e Nuovo Mondo, su un pianeta diventato improvvisamente molto più piccolo.

Da quel momento in poi il mondo della comunicazione cambia sempre più rapidamente, grazie ad altri nuovi strumenti basati
sull'elettricità, il telefono grazie a Meucci che nel 1856 collegò la sua casa con la fabbrica in cui lavorava, essendo troppo povero
per sostenere i costi della registrazione del brevetto presso un notaio, la storia attribuì la paternità a Bell che lo brevettò nel 1876.
Solo nel 2002, il Congresso degli Usa con una decisione storica ha riconosciuto ufficialmente a Meucci i suoi meriti.

Il telefono rispetto al telegrafo è più facile e più intuitivo; non c'è quasi nulla da imparare: per utilizzarlo è sufficiente la voce umana.
Con il tempo il telefono si è rivelato anche uno strumento di comunicazione domestico, diffondendosi nelle abitazioni private,
coinvolgendo soprattutto le casalinghe.

Non mancarono ovviamente anche in questo caso, le critiche e sospetti nei confronti del telefono.

Nel loro complesso le reti ferroviarie, telegrafiche e telefoniche sviluppate nel corso del XIX secolo hanno comportato una
repentina riduzione delle distanze geografiche.

La radio

Tutti i media che abbiamo esaminato finora richiedono qualche tipo di supporto materiale: la carta su cui sono stampati libri,
giornali, fotografie; la pellicola di film; il disco fonografico, etc.

I media di questo tipo vivono con la produzione e diffusione di testi riprodotti in serie.

La radio è il primo strumento di comunicazione di massa che non richiede alcun tipo di supporto materiale.

La radio si fonda su una trasmissione di natura immateriale, cioè sulla generazione di onde elettromagnetiche che vengono
emesse nell'etere e ricevute da un apparecchio ricevente.

L'invenzione di Guglielmo Marconi (1895) è una applicazione pratica della scoperta delle onde elettromagnetiche (onde hertziane).

La radio di Marconi non è quella che conosciamo oggi. Marconi aveva chiamato il suo ritrovato "telegrafo senza fili"; la sua
intenzione era quella di fare a meno del cavo telegrafico, soprattutto per comunicare con le navi in mare aperto.

Le differenze con la radio di oggi sono grandi:

- il telegrafo senza fili è un mezzo di comunicazione punto a punto, da un emittente a un destinatario e viceversa; per il
funzionamento si utilizzava l'alfabeto telegrafico Morse.
- la radio odierna è una forma di comunicazione di massa, tra la stazione emittente e un pubblico; utilizza la voce umana.

Nel 1906 l'americano Lee De Forest inventò una valvola elettronica, il triodo (Audion), che permetteva di trasmettere la voce
umana e qualunque altro suono o musica; il prezzo però era molto alto.

Durante la prima guerra mondiale si trovò il modo di produrre industrialmente il triodo a prezzi contenuti.

Dopo la prima guerra mondiale le industrie si lanciarono nella produzione in serie di apparecchi radio solo riceventi per uso
domestico. La simmetria dell'apparato radiotelegrafico (ogni ricevente era anche trasmittente e viceversa), si scindeva in un
apparato trasmittente molto complesso ( la stazione radio) e in uno ricevente molto semplice ( la radio di casa).

Si pensò di fornire questi apparecchi radio con musica e parole. La radio riforniva i suoi utenti con contenuti sempre nuovi e
diversi. Non fornisce quindi testi determinati (come tutti i media precedenti), ma un flusso ininterrotto.

Questa nuova modalità comunicativa fu indicata adottando un termine fino ad allora utilizzato in agricoltura: Broadcasting, un
termine inglese che significa propriamente "semina larga", e che sarà usato sia per la radio sia, più tardi, per la televisione.

Il broadcasting è la trasmissione circolare via etere di contenuti televisivi e radiofonici di interesse generale, non indirizzato ad un
destinatario particolare ma a tutti gli apparecchi dislocati nell'area di ricezione. Come il telefono, il broadcasting radiofonico e poi
televisivo è una forma di comunicazione in grado di penetrare nel domicilio.

Ma il telefono è una comunicazione punto a punto ed una rete "vuota"; la radio assolverà a ben altre funzioni, perché trasmette
"piena" di contenuti (le parole e la musica).

La radio arriva gradualmente in tutte le case, inserendosi nella vita privata e familiare. La sua vicenda si svolge tutta dentro la
sfera privata.

L'abitazione diventa un terminale domestico che riceve continuamente materiali sonori e parlanti dei quali tutti i membri del nucleo
familiare possono usufruire.

La radio annulla le distanze e porta per la prima volta la contemporaneità nella riproduzione di suoni.

L'800 aveva permesso di riprodurre i testi sonori, ma non in tempo reale. Adesso la riproduzione avviene in sincronia con l'evento,
e l'ascoltatore ha una sensazione di partecipazione diretta.

L'utilizzo dell'etere a scopi comunicativi fa sorgere un nuovo problema: quello che fino ad allora era considerato un bene di tutti e
inesauribile (l'aria) diventa un patrimonio finito (le frequenze sono limitate) amministrato dallo Stato in quanto "cosa pubblica". Si
pone quindi la questione delle licenze necessarie per occupare in esclusiva una certa frequenza; questione che si pone irrisolta
ancora oggi.

La radio si sviluppa in America secondo un modello commerciale. I programmi sono diffusi gratuitamente. La vendita degli
apparecchi e la pubblicità costituiscono le entrate della radio ( spazi pubblicitari che vengono sottratti alla stampa).
12 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

ancora oggi.

La radio si sviluppa in America secondo un modello commerciale. I programmi sono diffusi gratuitamente. La vendita degli
apparecchi e la pubblicità costituiscono le entrate della radio ( spazi pubblicitari che vengono sottratti alla stampa).

In Europa, al contrario, si afferma, il modello delle emittenti sostenute dal canone e dalle imposte sulla vendita degli apparecchi
riceventi.

Era il 1920 quando iniziò a trasmettere negli Usa la Kdka, due anni dopo, nel 1922 in Inghilterra si costituì la Bbc. Sono queste le
prime, vere, emittenti radiofoniche: trasmettono senza sapere esattamente a chi si rivolgono.

Si può dire che la radio rappresenta il primo mass medium: la sua pervasività la fa entrare in tutte le case, a qualsiasi ora,
rivolgendosi a persone di qualsiasi estrazione sociale.

La radiofonia e poi la televisione si svilupparono secondo due modelli:

- quello americano: è privato e commerciale ed è finanziato dalla vendita degli apparecchi e poi dalla pubblicità. Per la prima
volta, quest'ultima rappresenta l'unica fonte di entrata di un mezzo di comunicazione
- quello europeo, dove vi sono società pubbliche o comunque controllate dall'esecutivo, tendenzialmente in regime di
monopolio, finanziate da una tassa, o da un canone. La pubblicità manca o è marginale

In entrambi i casi si trattava di aziende di grandi dimensioni, dotate di attrezzature sofisticat, di centri di ricerca, di proprie reti di
diffusione, capaci di rapporto con altri media.

La televisione
Nel 1895 il cinematografo dei fratelli Lumiere aveva presentato in pubblico sequenze di immagini in movimento.

Fino dagli anni'20 furono fatti molti esperimenti per superare quello che appariva come il principale limite della radio: l'assenza di
immagini in movimento.

La televisione nasce quindi come un perfezionamento della radio.

L'effetto congiunto dell'immagine e del suono restituiva un inedito effetto di realtà; come se l'obbiettivo della telecamera guidasse
lo spettatore in situazioni insolite, prestigiose e comunque piacevoli.

Se la radio aveva industrializzato il tempo del suono, la televisione realizzava la contemporaneità del suono e dell'immagine.

Fornendo contemporaneamente un audio e un video, una parola e un ‘immagine, essa richiede poco sforzo allo spettatore; nulla di
simile alla fatica della lettura o all'attenzione per seguire la radio.

Le prime trasmissioni televisive pubbliche sperimentali ebbero inizio negli Usa e in Inghilterra nel 1929, in Italia la Rai nel 1954,
sotto il diretto controllo dello Stato ( Carosello, Lascia o Raddoppia).

La televisione è chiamata tecnicamente "generalista" perché ha una programmazione rivolta a tutte le età e a tutte le categorie
sociali.

L'uso del telecomando permette una "compilation" personalizzata dell'offerta dei vari canali; è una televisione fatta per stare a
casa, dove l'apparecchio è come un commensale, quasi seduto a tavola con noi.

I personaggi che appaiono sullo schermo diventano figure note, familiari: dei nuovi amici. Non sono eroi o divi, sono persone
gioviali e bonarie.

Il pubblico ha acquisito il diritto di scegliere il canale che più gli piace e quindi di determinare ( come in un referendum) il successo
di un programma e di un ‘ emittente.

Da allora, la ricerca del massimo ascolto diventa una ragione di vita per le televisioni.

La regola è: fare spettacolo. Il programma deve intrattenere, nel senso proprio: deve dire "restate con noi".

Televisione all'europea.

In Europa occidentale la televisione è vista ovunque come parte di un "servizio" che lo Stato eroga potenzialmente ai cittadini.

Per la delicatezza di tale servizio il potere politico esercita un'alta sorveglianza. Usufruire della tv diventa sempre più un diritto,
assicurato da un monopolio pubblico.

C'è abbondanza di denaro perché il numero degli abbonati cresce in continuazione.

Il pubblico segue con attenzione la televisione che gli viene proposta.

La televisione non è mai stata solo un bene di consumo: la sua superiore diffusione è correlata alla capacità di rispondere ad
esigenze molto profonde della generalità dei cittadini. Non sempre questo è avvertito dalla opinione pubblica, che normalmente
considera la tv in maniera riduttiva.

La televisione può avere una missione culturale o commerciale, ma il suo scopo è comunque quello di raccogliere più spettatori
possibile.

Il neologismo "narrow-casting" ( semina stretta), sarà coniato negli anni ‘80 per definire la trasmissione di nuove televisioni a
pagamento: una programmazione "di nicchia" che non ha più bisogno di essere generalista, ma può inseguire un pubblico ristretto.

La televisione a pagamento offre un pacchetto assortito di canali (il bouchet), costruito sempre attorno al cinema, allo spot e ai
programmi per l'infanzia, ma che gradatamente ha potuto permettersi di inseguire esigenze molto più delimitate e particolari: come
sport minori, pesca, previsioni meteorologiche, formazione, arte, musica, etc.

Cambia il rapporto con il cliente-consumatore, perché è lui che paga e fa vivere la televisione, grazie all'abbonamento sottoscritto,
mentre la pubblicità è inesistente o ridotta (Rai).

13 di 24 Nel panorama dell'offerta televisiva l'Italia si avviava a diventare un "caso atipico" con la quasi totalità delle frequenze occupate da
25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Cambia il rapporto con il cliente-consumatore, perché è lui che paga e fa vivere la televisione, grazie all'abbonamento sottoscritto,
mentre la pubblicità è inesistente o ridotta (Rai).

Nel panorama dell'offerta televisiva l'Italia si avviava a diventare un "caso atipico" con la quasi totalità delle frequenze occupate da
due soli soggetti, uno pubblico (Rai) e uno privato (Mediaset).

2. Le grandi prospettive teoriche


2.1 L'ago ipodermico o teoria ipodermica

Il contesto storico della "Teoria Ipodermica" risale ai primi decenni del ‘900, ovvero al periodo in cui i mass media raggiungono
effettivamente una fruizione di massa, estesa all'intera società.

La Teoria ipodermica sostiene che: "i mezzi come la radio, la stampa e il cinema diventavano potentissimi strumenti in grado di
"inoculare" sotto la pelle delle persone (da qui la metafora dell'ago ipodermico) qualsivoglia tipologia di messaggio.

La massa costituiva così il "bersaglio" dei magici proiettili mediali, sparati da abili controllori della pubblica opinione, mossi da
interessi personali o comunque di parte.

La grossolana semplicità della teoria ipodermica permette di riassumerla in una tesi di poche parole: "I media manipolano le
persone". Tale tesi poggia le sue fragili fondamenta sociologiche sui cambiamenti che attraversavano in quel periodo le società
occidentali. L'idea dominante era quindi quella della rapida ascesa in una società atomizzata costituita da una moltitudine di singoli
individui alienati, e soli di fronte ai messaggi dei media: in altre parole una società di massa.

Su questo modello della società di massa, la teoria ipodermica innesta un modello comunicativo altrettanto semplice: il modello
stimolo-risposta (S-R). Applicato al modo della comunicazione, il comportamentismo riconosceva in ogni messaggio mediale un
stimolo in grado di produrre una risposta identificata nei comportamenti del pubblico.

Stimolo-risposta rappresentano un'unità indissolubile: non esistono stimoli che non producono risposte.

Cosi come non esistono stimoli che non producono risposte, non esistono risposte che non siano state provocate da stimoli ben
precisi.

Il rapporto tra due elementi è caratterizzato dalla causalità, dall'immediatezza e dalla necessità: nel caso della comunicazione di
massa, ogni messaggio è destinato a provocare senz'altro un preciso comportamento nelle persone "colpite". Dunque ad un
medesimo stimolo corrispondeva una medesima risposta, indipendentemente dall'esemplare sottoposto all'esperimento.

La prospettiva ipodermica ha rappresentato il primo approccio sistematico di studio dei mezzi di comunicazione di massa. Pur con
tutti i suoi limiti, nel suo ambito troviamo validi studiosi che ancora oggi vengono ricordati come i padri della mass communication
research.

Tra questi non si può dimenticare Harold Lasswell e il cosiddetto "modello delle cinque W". Il modello di Lasswell elaborato negli
anni trenta, costituisce il tentativo di mettere ordine negli studi sui mass media, scomponendo l'oggetto di studio nelle sue variabili
principali.

Tali variabili sono identificate nelle "cinque W" ( Who, What, Whom, Where, What effects) ovvero:

chi comunica
cosa
a chi
come ( o attraverso quale mezzo)
con quali effetti.

Questi cinque effetti hanno dato origine, negli anni successivi, alle cinque principali branche specialistiche della ricerca sui media.

La ricerca sul "chi" riguarda le emittenti ( es. la redazione di un quotidiano, una radio), la loro organizzazione interna, i ritmi di
lavoro o le professionalità coinvolte.

Gli studi sul "cosa" riguardano il contenuto dei messaggi mediali (es. il modo in cui lo stesso evento viene riportato da giornali
diversi)

Studiare "a chi" si rivolgono i media significa studiare il pubblico (pubblici), la sua composizione, le sue preferenze, le sue abitudini.

Il "come" coinvolge questioni in rapida evoluzione come gli aspetti tecnologici dei media, i linguaggi e i codici permessi dai diversi
mezzi di comunicazione.

Il tema degli "effetti" intende valutare con quali tempi i comportamenti e le opinioni del pubblico vengono effettivamente modificate
dall'esposizione dei messaggi mediali.

2.2 Gli "effetti limitati" e il flusso di comunicazione a due stadi

Alla fini degli anni '40, prendono avvio una serie di studi empirici sulle comunicazioni di massa che conducono al superamento dei
presupposti scientifici tipici della prospettiva ipodermica.

Tali presupposti potevano essere sintetizzati in due punti:

1) la concezione dell'azione dei media in termini di relazione stimolo- risposta.


2) l'avvento della società di massa

- Nel primo caso, il superamento avviene grazie a una serie di ricerche di psicologia sperimentale miranti a valutare la possibilità
che tra "stimolo e risposta" si nascondesse qualche variabile non considerata.

14 di 24 Come mai persone diverse reagiscono ai messaggi dei media in modo diverso, perché? 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

- Nel primo caso, il superamento avviene grazie a una serie di ricerche di psicologia sperimentale miranti a valutare la possibilità
che tra "stimolo e risposta" si nascondesse qualche variabile non considerata.

Come mai persone diverse reagiscono ai messaggi dei media in modo diverso, perché?

Per rispondere a questo interrogativo la strategia utilizzata fu quella di comparare, in un contesto sperimentale di laboratorio due
gruppi di soggetti ai quali veniva posto lo stesso messaggio; si riuscì in questo modo a capire qualcosa in più sul fatto che
qualunque messaggio mediale, per risultare efficace, deve essere costruito attorno a una figura ideale di destinatario ben precisa,
(esempio i messaggi di una campagna elettorale vincente rivolti alla classe operaia saranno molto diversi da quelli destinati agli
imprenditori o ai giovani), il messaggio va calibrato sulla base del fatto che si rivolga ad un pubblico amico piuttosto che nemico.

Quindi questa tradizione di studi sperimentali, il cui coordinatore fu C.Hovland, provvide a inserire un nuovo elemento
nell'elementare schema S-R (stimolo-risposta) della psicologia comportamentista.

Il nuovo schema diventava S-IV-R cioè Stimolo-Variabili-Intervenienti-Risposta.

Le variabili intervenienti mediano l'impatto del messaggio-stimolo e spiegano la varietà delle risposte individuali, e l'inefficacia di
alcuni messaggi nei confronti di certi pubblici.

L'insieme delle variabili intervenienti raccoglie elementi diversi: in primo luogo i suoi aspetti sociodemografici (sesso, età etc.), in
secondo luogo le caratteristiche psicologiche del pubblico.

- Nel secondo caso il pilastro della teoria ipodermica viene demolito da un serie di lavori sociologici non più condotti in ambienti
sperimentali di laboratorio, ma direttamente sul "campo", (esempio la propaganda rivolta ai soldati tedeschi per convincerli ad
arrendersi durante la II guerra mondiale), queste ricerche, concordavano un punto molto importante: non è possibile analizzare né
comprendere gli effetti dei mass media senza considerare il contesto sociale in cui agiscono.

A differenza degli approcci sperimentali, questo filone di ricerche sul campo aveva carattere più sociologico: per contesto sociale si
intende l'insieme organizzato delle relazioni sociali che avvolgono i membri di una comunità.

Uno dei risultati fu la cosiddetta "teoria del flusso di comunicazione a due stadi", in base alla quale il pubblico recepisce il
contenuto dei mass media grazie all'aiuto di leader d'opinione ( cioè individui molto attivi, interessati agli argomenti trattati dai
media, informati e motivati a comprendere le questioni in gioco; sono persone molto conosciute, stimate, ritenute degne di fiducia).

I "due stadi" del flusso di comunicazione sono riferiti al fatto che i messaggi mediali raggiungono in primo luogo i leader d'opinione;
questi interpretano, elaborano, e "metabolizzano" i messaggi, diffondendo in un secondo momento il risultato di questi processi
cognitivi alle persone comuni (i "nonleader" o seguaci).

A loro volta, le persone comuni si rivolgono ai leader d'opinione per ricevere conferme e rassicurazione di ciò che hanno visto in
televisione o letto sui giornali.

Secondo la teoria del flusso di comunicazione a due stadi, gli effetti dei media sono limitati non solo "quantitativamente" ma anche
"qualitativamente": cioè i media sono efficaci nel rafforzare le convinzioni che la gente già possiede, mentre si dimostrano
impotenti nel far cambiare idea.

Se il flusso viene concepito anziché a due stadi, a molti stadi, in questo caso non si parla più di leader d'opinione ben precisi,
quanto piuttosto di reticoli complessi di relazioni interpersonali che mediano le informazioni su più livelli: esempio ognuno di noi ha
differenti e mutevoli capacità di leadership su diversi argomenti, fungendo da intermediario nei confronti di altre persone.

2.3 Usi e gratificazioni

Nel XX secolo la mass communication research statunitense evolve all'interno della corrente sociologica del periodo: lo struttural-
funzionalismo.

La sociologia funzionalista "legge" i media alla luce delle loro funzioni, ovvero di quanto e come riescono a soddisfare i bisogni dei
vari sottosistemi della società.

Nell'ambito di questo quadro generale nasce un particolare approccio alla comunicazione di massa: la prospettiva "usi e
gratificazioni".

La prospettiva "usi e gratificazioni" si sviluppa nella seconda metà del XX secolo, presentandosi come une delle principali teorie
sui mass media.

Secondo la prospettiva degli usi e gratificazioni, la funzione dei media viene assimilata all'uso strumentale che il pubblico fa dei
mezzi di comunicazione di massa, al fine di soddisfare i propri bisogni e di riceverne così una gratificazione, a questo punto il
problema non è più capire "cosa fanno i media alle persone", bensì "cosa fanno le persone dei media".

All'interno di questo paradigma di ricerca, Katz Gurevitch e Haas hanno elaborato una classificazione di bisogni che trovano
gratificazione nei media:

- bisogni cognitivi
- bisogni affettivo-estetici
- bisogni integrativi a livello della personalità (rassicurazione, status, incremento della credibilità)
- bisogni integrativi a livello sociale (rafforzamento dei rapporti con familiari, amici, colleghi)
- di evasione

Quindi il pubblico utilizza i media per soddisfare i propri bisogni.

I bisogni che trovano gratificazione nei media, possono anche essere semplicemente quello di passare il tempo, di intrattenersi,
divertirsi, evadere dallo stress quotidiano, relax, compagnia, apprendimento, abitudine.

La gratificazione dei bisogni avviene attraverso la fruizione dei prodotti mediali ben precisi (guardo il telegiornale la sera per
15 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

I bisogni che trovano gratificazione nei media, possono anche essere semplicemente quello di passare il tempo, di intrattenersi,
divertirsi, evadere dallo stress quotidiano, relax, compagnia, apprendimento, abitudine.

La gratificazione dei bisogni avviene attraverso la fruizione dei prodotti mediali ben precisi (guardo il telegiornale la sera per
sapere cosa è accaduto nel mondo); ma può avvenire attraverso la fruizione mediale in sé indipendentemente dal contenuto
effettivamente fruito.

Da un punto di vista degli "usi e gratificazioni", quindi gli effetti della comunicazione di massa non dipendono semplicemente dal
contenuto dei messaggi, ma sono strettamente legati ai contesti materiali soggettivi della loro fruizione: per alcune persone
guardare la televisione può significare di per sé ritagliarsi un momento di riposo.

2.4 La teoria critica

Nel 1923 viene fondato a Francoforte l'Istituto per la ricerca sociale, con l'obiettivo di sviluppare un centro di ricerca indipendente
in grado di occuparsi di tematiche non sufficientemente trattare all'interno delle università tedesche dell'epoca, come ad esempio
la natura e l'origine dei sentimenti antisemiti.

Nel corso dell'intero XX secolo, prende forma uno dei più importanti sistemi teorici non solo della sociologia della comunicazione,
ma anche delle scienze sociali nel loro complesso.

L'Istituto di Francoforte riunì studiosi di estrazione diversa e attingendo a discipline come la filosofia, la storia, la sociologia,
l'Istituto faceva riferimento al pensiero di Karl Marx.

Il marxismo costituisce la chiave per comprendere un sistema sociale in rapido cambiamento, nel quale i media occupano un
posto sempre più importante.

La teoria critica elaborata dalla scuola di Francoforte è finalizzata alla critica della società contemporanea.

Da qui prende forma la poderosa analisi dei mass media, che la Scuola di Francoforte ha chiamato industria culturale.

L'industria culturale è rappresentata dal complesso armonizzato dei mezzi d comunicazione di massa: cinema, radio e stampa, la
televisione.

L'industria culturale produce "merci" culturali che non nascono direttamente dal basso, dal popolo, ma sono invece pianificate e
organizzate dall'alto, dalle singole emittenti, dai network formali e informali che le riuniscono, fino ad arrivare alle strutture
economiche fondamentali del sistema capitalistico del quale i media costituiscono una costola importante. Per questo motivo il
termine "industria culturale" viene preferito a quello di "cultura massa", che potrebbe far pensare a una forma di cultura che nasce
spontaneamente dalle masse popolari.

I mass media americani, con cui si confrontano in modo particolare gli esuli di Francoforte, sono mossi esplicitamente dalla
pubblicità. Il loro scopo non è quello di produrre cultura, bensì consumo.

Il pubblico risulta quindi non solo indotto a consumare il più possibile, ma viene anche manipolato nei suoi valori, nei suoi
atteggiamenti e nelle sue opinioni.

In questo nasce la denuncia dell'uomo narcotizzato dai media, indotto a soddisfare falsi bisogni creati dai media stessi, e offuscato
da una falsa coscienza che gli impedisce di liberarsi dalle sue catene.

2.5 I Cultural studies

I cosiddetti Cultural studies sono dei centri di studi sociali che si sviluppano in Inghilterra a partire dagli anni '50 e si formano in
maniera formale, presso il "Centro degli Studi Culturali Contemporanei" all'Università di Birmingham, nel 1964; Esponente di
spicco è Stuart Hall.

Questo Centro è una vera e propria "scuola" che funge da fucina di idee e di stimolo per ricercatori che lavorano fianco a fianco.

Per i Cultural studies, la Cultura non è vista come un patrimonio fisso e immutabile, sviluppato (solo) da intellettuali e scienziati,
ma come un insieme di processi "naturali", situati nei vari contesti storici e sociali, sviluppati dalle persone comuni nella realtà
quotidiana.

Oggi i "mass media" giocano un ruolo importante nella"costruzione" della cultura popolare,ed è alla luce di questa importanza che
i Cultural studies sono ritenute importanti nella ricerca sulla comunicazione di massa.

Gli esponenti dei Cultural Studies ritengono che, per comprendere l'azione dei media nella società, sia necessario prestare
attenzione alla struttura sociale e al contesto storico in cui tale azione avviene;

I Cultural studies si volgono dunque allo studio della "cultura popolare": musica, quotidiani, settimanali, fumetti, fiction popolare.
Anche dal punto di vista metodologico i Cultural Studies introducono significative innovazioni.

Nella loro applicazione pratica alla comunicazione di massa, i Cultural studies hanno prodotto lavori e ricerche sulla produzione
e sul consumo mediale:

- per quanto riguarda la produzione, i testi mediali (programmi televisivi o radiofonici, libri, film etc.), vengono analizzati in
quanto veicoli più o meno diretti all'ideologia dominante; Tuttavia, secondo questa "scuola" non esiste un "manipolatore
16 di 24 25/06/2013
occulto" che impone "direttive esplicite" circa ciò che i media devono dire o non dire. I prodotti mediatici sono, in estrema 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

- per quanto riguarda la produzione, i testi mediali (programmi televisivi o radiofonici, libri, film etc.), vengono analizzati in
quanto veicoli più o meno diretti all'ideologia dominante; Tuttavia, secondo questa "scuola" non esiste un "manipolatore
occulto" che impone "direttive esplicite" circa ciò che i media devono dire o non dire. I prodotti mediatici sono, in estrema
sintesi, prodotti complessi, influenzati da particolari condizioni storiche o socialei
- per quanto riguarda il consumo mediale, l'analisi si basa sulla scoperta dei meccanismi differenziati di interpretazione
da parte del pubblico. In particolare, il modo in cui il pubblico "legge" (inteso come interpretare, percepire), i testi mediali è
considerato parte della lotta delle classi subalterne per l'affermazione della propria specifica identità.

Il modello proposto da Hall, conosciuto come modello encoding-decoding, sottolinea questa duplice prospettiva sui mass media:
qualsiasi prodotto mediale nasce come risultato di un processo di "messa in codice" (encoding) da parte di un'organizzazione al
cui vertice possiamo porre la figura ideale dell'autore (che poi in realtà sono quasi sempre più di uno).

La fase di encoding, tende a proporre una visione del mondo particolare, tendenzialmente conservatrice e favorevole alle
posizioni delle classi dominanti, ma il cui risultato è pur sempre un processo di negoziazione in cui giocano il loro ruolo diverse
variabili.

Una volta diffuso al pubblico il prodotto mediale subisce il processo di decoding, ovvero decodifica, che lo porta a essere letto e
interpretato in almeno tre modalità principali.

1) La lettura può coincidere esattamente con le aspettative e con le attribuzioni di significato adottate dai produttori. In
questo caso la lettura si dice "egemonica-dominante"; il punto di vista di chi ha messo in codice il messaggio appare
l'unico possibile anche per il lettore ( o perlomeno quello più legittimo e naturale.
2) La lettura può essere negoziata quando accanto alla comprensione del codice utilizzato dall'emittente, il lettore
attribuisce al messaggio anche interpretazioni almeno parzialmente autonome.
3) La lettura "oppositiva" avviene quando il messaggio, pur compreso nei significati che l'emittente vorrebbe che gli fossero
attribuiti, viene letto in modo antagonista e inserito in un contesto si senso completamente opposto a quello dell'emittente
(un esempio di lettura oppositiva è quella con cui i membri del movimento "no-global" recepiscono le notizie dei media
ufficiali circa gli incontri periodici del maggiori governi della Terra.

Con il concetto di "decodifica", i Cultural studies riconoscono al pubblico un ruolo attivo in grado di condurre la fruizione dei
messaggi mediali verso significati inattesi , spesso divergenti da quelli voluti

Gli effetti dei media nascono quindi dall'incontro di encoding e decoding come risultato di processi complessi e mai interamente
prevedibili.

Per concludere, è interessante notare come i Cultural studies sono interessati non tanto al pubblico quanto "ai pubblici",
declinato al plurale.

Il processo di decoding avviene infatti in modo differenziato seguendo i valori e gli schemi interpretativi di specifiche culture o,
più spesso, sottoculture.

Le sottoculture metropolitane contemporanee, costituiscono uno dei temi classici della ricerca empirica sviluppata dia Cultural
studies: gang giovanili, organizzazioni informali di tifo sportivo,gruppi punkl, etc, sono tutti "fruitori" di "comunicazioni di massa" che
dimostrano come lo stesso prodotto mediale può essere caricato, interpretato, con sensì molto diversi dai vari gruppi sociali.

Queste ricerche sui "pubblici" hanno dato origine a un filone dei Cultural studies denominato Audiens studies, molto importante
per fare entrare gli studi sulle comunicazioni di massa nella loro piena maturità. Questi studi, rispetto alla "scuola fi Francoforte,
hanno dimostrato maggiore flessibilità nel considerare la sfera culturale almeno in parte autonoma rispetto alla situazione
economica.

Si individua così, nella cultura popolare e nella fruizione differenziata dei media, un terreno di resistenza e di conflitto rispetto ala
pressione del dominio capitalista.

Nei confronti delle classiche ricerche empiriche di stampo statunitense, come quelle legate all'approccio "usi e gratificazioni", i
Cultural studies mantengono un occhio critico e un'attenzione costante alla dimensione costante del potere che si esplica
attraverso la comunicazione; secondo gli studi dei "Cultural studies, la cultura e la conoscenza non si sviluppano in modo
neutrale seguendo dati obiettivi, ma sono legate ai rapporti sociali di un certo contesto sociale e politico e di un certo momento
storico.

In questo senso i destinatari dei messaggi mediali non possono essere considerati completamente liberi di scegliere come e
quando "gratificare i propri bisogni", perché questi stessi bisogninascono a loro volta già collegati alla loro posizione di "classe,
all'etnia, all'età, all'orientamento sessuale, etc.

2.6 La Scuola di Toronto


McLuhan è la figura centrale della Scuola di Toronto, assieme a lui anche Harold Innis e Derrik de Kerckhove.

Secondo gli esponenti della Scuola di Toronto, la tecnologia viene vista come il motore del mutamento, una forza autonoma
capace di spingere la società in una direzione piuttosto che in un altra o addirittura di determinare la direzione del mutamento.

Innis studia l'evoluzione storica della civiltà umana collegandola allo sviluppo successivo delle diverse tecnologie della
comunicazione.

Ogni tecnologia porta con se un bias cioè una "tendenza" verso una specifica organizzazione delle forme trasmissive del sapere,
che a loro volta condizionano le strutture politiche ed economiche della società.

Tali tendenze possono favorire una trasmissione della conoscenza che predilige la dimensione dello spazio o quella del tempo, per
17 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Ogni tecnologia porta con se un bias cioè una "tendenza" verso una specifica organizzazione delle forme trasmissive del sapere,
che a loro volta condizionano le strutture politiche ed economiche della società.

Tali tendenze possono favorire una trasmissione della conoscenza che predilige la dimensione dello spazio o quella del tempo, per
esempio tecnologie come il papiro, sono legate allo spazio: il papiro è leggero, può essere trasportato con facilità, per contro il
papiro è delicato e si deteriora rapidamente: non è un mezzo adatto a conservare la conoscenza per lunghi periodi di tempo.

Altri mezzi invece, come l'argilla o la pergamena, sono tecnologie durevoli, meno adatte al trasporto; a livello di "tendenza"
spingono verso la conservazione della tradizione e la chiusura sociale.

Gli attuali mezzi di comunicazione elettronici rappresentano da questo punto di vista il massimo il massimo della trasportabilità e
della volatilità: addirittura privi di un supporto fisico, si trasmettono ovunque alla velocità della luce ma possono rimanere vittime di
ogni minimo inconveniente, rischio che solo in parte viene tenuto sotto controllo attraverso il ricorso di procedure di backup.

McLuhan studia in particolare l'impatto della stampa sulla psiche umana, impatto che si manifesta a livello molto profondo.

Tutti i media secondo McLuhan sono considerati come estensioni del sistema nervoso e fisico dell'uomo come prolungamento dei
suoi sensi, ma anche estensioni di consapevolezza: la scrittura per esempio rappresenta un'estensione della memoria, cosi come
il telefono un estensione nello spazio della voce e dell'udito.

I media elettrici ed elettronici di oggi, innescano ulteriori cambiamenti che portano a quello che McLuhan definisce come un
grande villaggio: è la metafora del grande villaggio globale. Accanto al "villaggio globale" troviamo la suddivisione in "media caldi"
e "media freddi":

- I media caldi sarebbero quelli che saturano un solo senso con informazioni molto dettagliate, lasciando poco spazio alla
libertà di percezione del fruitore, come il cinema e la radio.
- I media freddi offrono informazioni che si potrebbero definire a "bassa definizione"; colpiscono tutti i sensi umani ma
richiedono la partecipazione attiva e il coinvolgimento del destinatario per dare un senso alla comunicazione, come il
telefono e la televisione, internet.

Vale la pena sottolineare che la temperatura di un medium sia legata non solo alle sue caratteristiche tecnologiche ma anche al
contesto a al tipo di esperienze con cui tale mezzo viene vissuto, es. la televisione è fredda ma nel caso di un talk show o di un
film si può riscaldare perché richiede che l‘ascoltatore partecipi più attivamente.

L'espressione di McLuhan più famosa e più citata è probabilmente: "il medium è il massaggio", secondo lo studioso canadese il
vero massaggio di un medium è nel mutamento che produce, indipendentemente dal suo contenuto. I mezzi di comunicazione
moderni come la radio, la televisione, internet hanno modificato e stanno modificando la società in un modo che non dipende dal
loro contenuto.

McLuhan si mostra poco interessato ad analizzare nei dettagli il contenuto dei media, per lui il contenuto di un medium consiste
sempre, semplicemente, in un altro medium. Ogni altro mezzo di comunicazione che fa la sua comparsa nella società non
sostituisce i media già esistenti ma tende piuttosto ad inglobarli fenomeno di re-mediazione.

3. La produzione delle notizie

Non tutto ciò che accade nel mondo si trasforma in notizia. Esistono infatti, i guardiani all'ingresso, che selezionano gli
avvenimenti in base a criteri professionali, fra cui la rilevanza, l'interesse che può suscitare nel pubblico e la notiziabilità,.

La notiziabilità potrebbe essere definita come la possibilità che ha un evento di trasformarsi in notizia in termini sia di contenuto,
sia di mezzo, sia d'interesse del destinatario.

La notiziabilità si lega al concetto di prospettiva della notizia che screma gli eventi in base a ciò che i giornalisti reputano
importante.

Il giornalista di oggi è ben diverso dal reporter di fino 800; il giornalista di oggi non si arma di curiosità, volontà e zelo, andando a
scovare la notizia, poiché gran parte del suo lavoro si svolge davanti al PC, all'interno delle mura della redazione.

Le redazioni sono organizzazioni produttive che trasformano il dato grezzo (gli accadimenti del mondo) in un prodotto confezionato
(le notizie).

In queste organizzazioni spiccano diverse figure, tra cui l'editore e il direttore responsabile.

L'editore è il proprietario dell'azienda, il direttore è il responsabile della linea editoriale della testata e gode di ampia autonomia. È'
la figura che dialoga da un lato con i vertici dell'azienda e dall'altro con il resto della redazione, e per questo è oggetto di pressioni
da entrambe le parti.

In una redazione di medie e grandi dimensioni trovano locazione anche il vice direttore e il capo redattore, poi ci sono le sezioni
che si occupano di un tema particolare ed è rappresentata da un caposervizio che struttura la sezione affidando gli argomenti ai
diversi giornalisti.

I giornalisti, assunti come redattori o impiegati come collaboratori esterni, sono iscritti a un albo nazionale. Il loro operato prevede
la gestione dei rapporti con le fonti, e la successiva scrittura dei pezzi.

In Italia i giornalisti si dividono in due categorie:

- Professionista è colui che svolge la professione in modo esclusivo e continuativo ed è iscritto in un albo a parte, a cui si
accede dopo il superamento di una prova di idoneità professionale.
- Pubblicista è colui che svolge un'attività giornalistica retribuita, saltuaria, pur esercitando altre professioni o impieghi.
- Poi ci sono anche i praticanti e i freelance, la segreteria di redazione, i grafici editoriali, i fotografi e gli operatori di ripresa.

l lavoro dei giornalisti si basa su relazioni stabili e di fiducia con altre fonti ( soggetti istituzionali, uffici di relazioni pubbliche e
agenzie di stampa).

18 di 24 Il mezzo di contatto principale fra queste organizzazioni e i giornalisti è il comunicato stampa che normalmente riporta le 25/06/2013
notizie 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

l lavoro dei giornalisti si basa su relazioni stabili e di fiducia con altre fonti ( soggetti istituzionali, uffici di relazioni pubbliche e
agenzie di stampa).

Il mezzo di contatto principale fra queste organizzazioni e i giornalisti è il comunicato stampa che normalmente riporta le notizie
relative a eventi di particolare interesse.

Le realtà organizzative si distinguono in:

- fonti di primo livello, dette anche ufficiali o primarie: comprendono figure della Pubblica Amministrazione, della
Magistratura, del Governo, dell'Università; in questo tipo rientrano anche i prodotti finiti, quali i Verbali delle Sedute
Parlamentari, di un Consiglio di Amministrazione, gli Atti Processuali. Queste fonti godono maggiore credibilità, trasparenza.
- Le fonti di secondo livello sono quelle fonti dove danno voce all'uomo della strada che ha visto o partecipato a un evento.
- Le fonti dirette sono quelle che forniscono alla redazione il materiale grezzo in diverso formato, dal quale una volta
"plasmato" dal giornalista, emergerà il pezzo giornalistico.
- Le fonti indirette, producono in varia forma un prodotto già confezionato, con un taglio e una linea ben marcat. Sono fonti
indirette le agenzie di stamp, cioè imprese pubbliche o private che raccolgono, elaborano e distribuiscono quotidianamente,
a pagamento, sia informazioni generali e settoriali, sia informazioni specializzate. La più nota agenzia di stampa in Italia e
l'Ansa. A seconda dell'area di copertura, le agenzie di stampa si dividono in agenzie mondiali, internazionali e nazionali.

Oltre al mantenimento del rapporto con le fonti, la fase di raccolta dei fatti prevede altre attività per la redazione; fra queste si
ricorda il "giro", ovvero un recall continuativi ai centri nevralgici di ogni realtà urbana significativa, quali la questura e l'ospedale,
per verificare in tempo reale ciò che accade.

Ogni giorno in una redazione si raccolgono migliaia di storie, di cui non più del 20 % trova spazio nel prodotto che raggiunge
visibilità pubblica. È proprio in questa fase che ha luogo l'operazione di filtraggio compiuta dalla comunità di giornalisti, orientata
dai cosiddetti "criteri notizia" o "valori notizia".

I valori-notizia sono riferimenti imprescindibili che determinano le scelte di un quotidiano nella selezione e nella pubblicazione delle
informazioni.

Una redazione, in base ai valori notizia, prediligerà notizie riguardanti eventi recenti, semplici da comunicare e chiari; comprensibili
dal punto di vista simbolico per un determinata collettività; capaci di incidere sugli interessi del paese.

Le notizie si possono classificare anche in base al loro grado di prevedibilità, come segue:

1) notizie imprevedibili, sono quelle che emergono dalla cronaca quotidiana e non si possono conoscere in anticipo.
2) notizie create dal giornale, sono quelle elaborate per garantire uno sviluppo giornalistico alle notizie del giorno o dei giorni
precedenti, con commenti, inchieste, e approfondimenti.
3) notizie previste, sono quelle relative a eventi il cui svolgimento è previsto nel calendario (sport, appuntamenti politici,
riunioni, spettacoli) e di cui si commenta il contenuto.
4) notizie irregolari, notizie prevedibili sono quelle che vengono fornite a cadenza irregolare e in sezioni specifiche (un
festival del cinema o una grande manifestazione).

La concorrenza diventa anche un valore notizia, il buco , nel gergo giornalistico, è il contrario dello scoop, ovvero della notizia
trattata da una sola redazione e trascurata da tutte le altre.

Nel mondo del giornalismo è sempre in agguato la cosiddetta "distorsione involontaria". Non si tratta di un meccanismo di
manipolazione dell'informazione, ma di una variabile endogena alla produzione delle notizie.

"La funzione della notizia è di segnalare un fatto; la funzione della verità è di portare alla luce i fatti nascosti, di metterli in
relazione fra di loro e di dare un quadro della realtà che consenta agli uomini di agire".[W. Lippman 1922]

4. La pubblicità

La pubblicità, si sviluppa a partire dal XVII secolo, quando l'affermazione della produzione di massa comportò anche la necessità
di adottare nuovi strumenti per far conoscere i prodotti aziendali e per indurre i consumatori ad acquistarli.

La pubblicità emerse come uno degli strumenti più efficaci per soddisfare le nuove esigenze delle imprese.

Le prime forme di pubblicità furono le insegne che i commercianti cominciarono ad apporre sopra l'ingresso delle proprie
botteghe; queste insegne si resero necessarie allorché i prodotti in vendita non venivano esposti più all'aperto, come accadeva
nei mercati di piazza, ma venivano collocati all'interno di locali chiusi.

Nel 1630 si diffusero le prime forme di comunicazione pubblicitaria scritta.

A Parigi venne aperto il Bureau d'Adresse, una piccola e primordiale agenzia pubblicitaria che curava la pubblicazione di inserzioni
su riviste e fogli stampati. Sempre in Francia vanno registrate le prime esperienze di inserzioni pubblicitarie nei quotidiani.

Accanto alla carta stampata, un altro importante strumento pubblicitario basato sulla comunicazione scritta furono i manifesti
murali, anche grazie all'invenzione della linotipia nel 1844. I cartelloni da affliggere alla pareti pubblicitarie divennero una delle
tipologie di comunicazione più diffuse e incisive.

La grafica dei manifesti iniziò ben presto ad arricchirsi di immagini e illustrazioni a colori, realizzate da artisti anche di notevole
fama. Allo stesso tempo, nei manifesti iniziarono a comparire i primi slogan (elementi verbali ad effetto che si distaccavano dalla
canonica sequenzialità del testo letterario).

Alla fine del XIX vi furono le prime illustrazioni a colori anche in riviste e quotidiani).

Nel corso del ‘900 la pubblicità si costituì come una vera e propria industria, grazie alle invenzioni della radio e della televisione,
che ospitavano messaggi pubblicitari, diventando un vero e proprio fenomeno sociale.

Oggi la pubblicità televisiva rappresenta indubbiamente il fenomeno più rilevante e paradigmatico dell'intero settore. In Italia la
storia della pubblicità televisiva è piuttosto originale, fu lanciato nel 1954, con il nome di Carosello ( dove il contenuto pubblicitario
19 di 24 vero e proprio poteva durare al massimo 35 secondi, da visionare dopo un filmato di 100 secondi nei quali il nome del prodotto o
25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Oggi la pubblicità televisiva rappresenta indubbiamente il fenomeno più rilevante e paradigmatico dell'intero settore. In Italia la
storia della pubblicità televisiva è piuttosto originale, fu lanciato nel 1954, con il nome di Carosello ( dove il contenuto pubblicitario
vero e proprio poteva durare al massimo 35 secondi, da visionare dopo un filmato di 100 secondi nei quali il nome del prodotto o
della marca non potevano essere menzionati). Carosello venne trasmesso per 30 anni.

Alla fine degli anni '70 il panorama televisivo italiano e il panorama della pubblicità televisiva subirono profonde trasformazioni: in
primo luogo venne introdotto il sistema a colori, in secondo luogo venne liberalizzato il mercato delle trasmissioni televisive,
concedendo la possibilità di trasmettere anche a soggetti privati.

Lo sviluppo del consumismo rappresentò una vera e propria spinta per il mercato pubblicitario televisivo; la nascita dei canali
locali, permise l'accesso al mercato della pubblicità televisiva anche a imprese di piccole dimensioni.

Un'importante conseguenza fu il riallineamento dei codici e degli stili pubblicitari. Fino agli anni '70 la pubblicità televisiva era
apparsa "ingessata" nei toni e nei contenuti, rispetto alla pubblicità nella carta stampata.

La disponibilità di un unico contenitore pubblicitario (Carosello) e il rigido controllo politico aveva atrofizzato lo stile comunicativo
della pubblicità televisiva. Al contrario la pubblicità nella carta stampate appariva più aggressiva nei toni e nello stile, rivelandosi
più in sintonia con il clima di trasformazioni sociali che stava attraversando il paese.

A partire dagli anni'80 il rigido controllo della pubblicità televisiva andò scemando e ciò contribuì a rendere la pubblicità televisiva
sempre più competitiva.

Negli anni '90 l'affollamento pubblicitario aumentò notevolmente, e al tempo stesso la televisione divenne un mezzo inadeguato a
offrire contenuti soddisfacenti per alcune fasce di pubblico.

Una delle strategie per avvicinarsi ai gusti dei consumatori è quella di sviluppare messaggi per altri media, come per esempio le
pagine web. In questo caso, la comunicazione pubblicitaria assume un carattere fortemente interattivo, in quanto il pubblico viene
invitato non solo a fruire passivamente di un messaggio promozionale, ma anche a visitare direttamente il sito web di un'azienda o
di un prodotto.

Gli investimenti economici per la pubblicità sulla rete Internet sono stati finora bassi e poco produttivi, l'esempio più lampante di
un cattivo e scorretto uso delle potenzialità della rete internet ai fini pubblicitari è quello dello spamming, ossia l'invio indesiderato
di e-mail che promuovono prodotti o invitano a visitare siti web.

Oggi le forme pubblicitarie sono molteplici e vivono in continua evoluzione; si pensi alle cosiddette telepromozioni, ai break
durante le trasmissioni.

Lo spot è divenuto uno spazio breve entro il quale inserire una molteplicità di informazioni, da comunicare con ritmo e velocità.

La pubblicità, non solo quella televisiva, propone ormai "stili di vita" più che prodotti.

Inoltre oggi la pubblicità commerciale viene affiancata dalla cosiddetta comunicazione o pubblicità sociale, atta a promuovere
iniziative di beneficenza o programmi di ricerca contro malattie. Questi messaggi fanno spesso ricorso a testimonial, ossia a
personaggi famosi che prestano la propria immagine per promuovere le campagne pubblicitarie.

La pubblicità ha assunto un peso enorme nella vita quotidiana di milioni di persone. Nata come strumento prettamente informativo
e promozionale, ha finito per svolgere una "missione terapeutica", divenendo uno dei meccanismi portanti del carattere
consumistico della nostra società.

Una forma di pubblicità particolare è la cosiddetta "pubblicità sublimale" ideata da Vicary, cioè determinate immagini proiettate
tramite un tachistoscopio, durante i film. Il tachistoscopio, permetteva di ridurre la permanenza di queste immagini a tempi
brevissimi, meno di un millesimo di secondo e quindi ben al di sotto della soglia di percezione conscia ( da qui la parola sub-limen,
ovvero "al di sotto della soglia").

Le immagini proiettate dal tachistiscopio presentavano scritte come "mangia pop corn" e "bevi coca cola". Questo tipo di pubblicità
è proibita da parte delle emittenti radiotelevisive ( legge n. 223 del 6 agosto 1990), in quanto i messaggi non hanno alcuna
efficacia.

In particolare nei messaggi nascosti dentro brani musicali, nei film, tra le pagine delle riviste, (es. ascoltando al contrario alcuni
frammenti di alcune canzoni rock è possibile con una buona immaginazione udire dei suoni che ricordano determinate parole
come "satana" o "droga"), con il rischio di dare ordini precisi e vincolanti ad un pubblico consapevole e indifeso).

5. Il pubblico e la fruizione mediale

Per pubblico s'intende l'insieme di coloro che possono essere raggiunti dai messaggi di un medium. Si tratta di una realtà
potenziale e aleatoria, difficilmente definibile in termini precisi.

Quella del pubblico è una problematica attualissima soprattutto alla luce dei notevoli cambiamenti del mass medium per
eccellenza, la televisione.

Accanto alle svolte tecnologiche sono in atto infatti radicali trasformazioni anche a livello istituzionale. Fra tutte, si distingue la
necessità di "catturare l'audience" e di controllare il suo pubblico, prevedendone l'atteggiamento; non solo assecondarlo in termini
di qualità, di informazione o di educazione, ma soprattutto per ottenere i finanziamenti della pubblicità.

L'audience, che letteralmente significa ascolto, si riferisce a un pubblico reale, quantificato, e rilevato numericamente, non più a
un'entità potenziale o immaginaria. Questa entità è descritta attraverso variabili sociodemografiche che ne specificano il carattere
e i termini di utilizzo del medium.

Quando invece ci riferiamo a un gruppo specifico ( un gruppo "bersaglio") cui indirizzare un prodotto, è più corretto parlare di
target. Il target presenta caratteristiche particolari, sia in termini di variabili sociodemografiche sia per il livello e gli stili di vita: è un
sottoinsieme specifico.

20 di 24 Dalla folla al pubblico 25/06/2013 00:17


Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

sottoinsieme specifico.

Dalla folla al pubblico

Le prime espressioni di "pubblico" nascono in occasione di riunioni fisiche situate in un certo luogo.

La folla è quella particolare aggregazione che si forma quando una moltitudine di individui è riunita in modo temporaneo in uno
stesso luogo, difficilmente capace di riassembrarsi una seconda volta con la medesima forma.

Opposto al concetto di folla è quello di gruppo sociale, che è formato da un insieme più ridotto di individui, che interagiscono fra di
loro e condividono valori e credenze comuni con una certa continuità, secondo schemi stabilizzati di azione: i ruoli.

La struttura del gruppo è quindi più stabile: tale insieme è identificato socialmente e al suo interno ciascun elemento ha un peso,
più o meno forte a seconda del ruolo occupato, nelle decisioni prese dall'insieme. In determinate situazioni, un gruppo può
evolvere in comunità.

Il primo pubblico di massa (pubblico passivo) si registra fra il ‘400 e il ‘500 con l'introduzione del libro stampato, ma è soltanto con
l'invenzione del cinema e della distribuzione cinematografica che si parla ufficialmente di pubblico di massa.

La grande rivoluzione avviene con la radio e la televisione, che rendono il concetto di "ricezione" totalmente disperso, privatizzato
e, in un certo senso, libero da qualsiasi forma di controllo oggettivo.

Nel 1933 Herbert Blumer, della Scuola di Chicago, usa per la prima volta il termine massa per descrivere la nuova collettività
emergente, figlia delle condizioni delle società moderne, e quindi dei nuovi mezzi di comunicazione.

Mentre il pubblico può essere un'insieme attivo di persone, le quali si confrontano liberamente su uno stesso problema, di natura
per lo più politica; avanzano opinioni, interessi o proposte per risolverlo, la massa è vista come una vasta aggregazione di
individui che non si conoscono, isolati, anonimi e tuttavia accomunati nel tempo da medesimi oggetti di interesse, al di fuori del
proprio ambiente personale e del proprio controllo.

La massa si differenzia anche dalla folla:

- la folla, pur essendo caratterizzata da atteggiamenti prevalentemente reattivi e ricettivi piuttosto che "attivi", è un'entità
concreta e osservabile, ubicata in un certo luogo.
- Il pubblico-massa (ossia la massa), è quell'entità amorfa, passiva, irrazionale, senza spessore e capacità critica, vittima
dei mezzi di comunicazione di massa, cui si riferiscono gli studiosi della Scuola di Francoforte.

Con le prime ricerche empiriche degli anni '50 il mito del pubblico-massa (pubblico passivo) crolla; si inizia a parlare di pubblico
attivo, diversificato al suo interno e composto da insiemi omogenei in base a caratteristiche rilevanti: è un pubblico che sceglie e
che condiziona con i suoi gusti anche la stessa offerta mediale.

Gli studiosi dei Cultural studies, considerano questa entità come una comunità interpretativa caratterizzati da interessi comuni
durevoli, condivisione di caratteristiche socio demografiche e da legami reciproci diretti. In questo modo si conferma l'esistenza di
diversi pubblici.

Strategie per controllare il flusso dell'ascolto televisivo.

Il costo di uno spot televisivo dipende dalla fascia oraria, dal canale, dall'evento editoriale cui è legato e dalle stime riguardanti
l'audience prevista per quello "spazio".

Proprio per questo, parallelamente al concetto di flusso televisivo elaborato da Raymond Williams, esiste anche un flusso
dell'ascolto televisivo, a cui i programmatori sono profondamente interessati. In relazione al flusso dell'ascolto emergono tre
modalità attraverso le quali i programmatori sperano di "ingabbiare" l'audience e mantenerla: il traino, l'ascolto ripetuto e la fedeltà.
Più in particolare:

- Il traino è il trasferimento del pubblico da un programma a quello immediatamente successivo e dipende da una continuità
nella disponibilità di ascolto, che muta nelle differenti fasce orarie.
- L'ascolto ripetuto, sul cui reale effetto ancora si discute, si verifica invece quando le stesse persone seguono
ripetutamente una serie televisiva: si tratta di una forma di fedeltà a un evento editoriale.
- La fedeltà si riferisce infine a un canale ed evidenzia fino a che punto le stesse persone rimangono ancorate a una
medesima emittente televisiva.

6. Gli studi audiometrici sul pubblico

Le ricerche audiometriche nascono fondamentalmente per soddisfare i bisogni commerciali:

- i creatori dei programmi radiofonici e televisivi, dei siti o degli articoli, sono interessati perché possono orientare la
produzione al soddisfacimento dei loro utenti;
- chi investe ingenti somme in pubblicità vuole dal canto suo accertarsi che il linguaggio raggiunga un certo numero di
fruitori-bersaglio.

Nel panorama italiano gli esempi più rappresentativi di tali ricerche, rispetto a i differenti mezzi di comunicazione, sono:

- Auditel è la società super partes che si occupa della misurazione degli ascolti televisivi in Italia a livello nazionale e
regionale, ispirandosi a principi di trasparenza e imparzialità. Auditel è una ricerca di mercato interessata a valutare la
fruizione del mezzo televisivo in Italia. Fondamentalmente sono 4 gli obbiettivi di questa ricerca, tutti legati a interessi
economici:
21 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

regionale, ispirandosi a principi di trasparenza e imparzialità. Auditel è una ricerca di mercato interessata a valutare la
fruizione del mezzo televisivo in Italia. Fondamentalmente sono 4 gli obbiettivi di questa ricerca, tutti legati a interessi
economici:
pianificazione degli investimenti pubblicitari e la valutazione della loro efficacia;
la rilevazione dei comportamenti del pubblico e dei cambi di "diete" (cioè l'insieme dei programmi seguiti):
l'analisi della composizione della platea televisiva, in modo tale da assecondare i gusti e le mode visive;
la valutazione delle performance dei programmi, in termini di quantità di pubblico che sono stato capaci di attrarre.

E' importante ricordare che Auditel non misura né la qualità di un programma né il gradimento dello stesso da parte del pubblico,
né le motivazioni che possono spingere un utente alla visione di un evento editoriale.

La sua istituzione risale al 1896, con l'introduzione del meter. Il meter è una piccola scatoletta nera, collegata agli apparecchi
televisivi, che registra minuto per minuto i cambiamenti di status di tutti i televisori delle famiglie coinvolte nella rilevazione, cioè lo
stato di accensione e di spegnimento, il canale sintonizzato e i cambiamenti di canale.

Il meter, dopo aver raccolto tutte le informazioni di una giornata, le invia attraverso un modem al computer centrale, tra le 2 e le 5
del mattino.

Il computer centrale valida i dati, li pesa secondo tecniche statistiche e li generalizza all'universo rappresentato dal campione.
Dopo questa fase di controllo, i dati vengono incrociati con i palinsesti delle singole emittenti e intorno alle ore 10 di ogni giorno
sono disponibili on-line.

Le misure principali fornite da Auditel sono: contatti netti, contatti lordi, share, penetrazione (rating), minuti visti, permanenza
(verificare bene il significato sul libro, all'esame chiedono soprattutto lo Share).

- Audipress è la più importante ricerca campionaria sulla fruizione della carta stampata in Italia e prevede due indagini
distinte, una per i quotidiani e una per i periodici.

Si tratta di indagini campionarie sulla popolazione adulta italiana, atte a stimare il numero e le caratteristiche sociodemografiche
dei lettori delle testate quotidiane e periodiche. Il numero degli intervistati è stratificato e statisticamente rappresentativo della
popolazione italiana residente all'interno del territorio nazionale.

Ai soggetti selezionati vengono somministrati dei questionari che rilevano le singole letture, o meglio gli atti di lettura di singole
testate quotidiane e periodiche. Le rilevazioni vengono fatte 2 volte all'anno, in primavera e in autunno, utilizzando due campioni
distinti e due questionari diversi.

Le indagini Audipress prevedono per i quotidiani le seguenti definizioni di lettori: lettori totali, lettori giorno medio, lettori per classi
di frequenza, lettori per frequenza dettagliata, lettori di quotidiani: nel complesso/ultimi 3 mesi/ultimi 30 giorni/ultimi 7 giorni/giorno
medio, lettori ultima domenica/ultimo sabato/ultimo venerdì etc., lettori ultimi 30 giorni/lettori ultimi 7 giorni.

- Audiradio è un indagine campionaria unitaria sull'ascolto delle emittenti radiofoniche pubbliche e private, nazionali e
locali.

L'indagine prevede un unico questionario articolato in tre grandi aree, che corrispondono ai tre obbiettivi principali: l'ascolto nei
sette giorni, l'ascolto nel giorno medio, il profilo dell'ascoltatore.

- Audiweb è una ricerca che si pone l'obbiettivo di fornire informazioni riguardo i siti internet che aderiscono alla ricerca,
secondo parametri omogenei e concordati. La fruizione del mezzo è analizzata attraverso due indagini diverse:
la prima, censuria, detta "validazione delle misurazioni", misura in termini assoluti il totale delle pagine aperte rilevate sul
sito di ogni singolo editore;
la seconda, campionaria, permette di conoscere le caratteristiche del pubblico-navigatore effettivo.

In tal modo Audiweb rileva l'utilizzo complessivo di internet, ma pubblica dati che si ritengono statisticamente rilevanti, ovvero
quelli dei siti che hanno raggiunto lo 0,8% sul totale della navigazione.

Le definizioni più importanti sono: Reach % active, Unique audience, Page view, Page per month, Duration of a page viewed,
Average pages viewed per session, Time spent during session.

7. Gli effetti dei media


7.1 Media forti o media deboli?

La posizione degli apocalittici è quella di chi attribuisce ai mezzi di comunicazione di massa il potere di manipolare la mente delle
persone e di sostituirsi alla cultura vera e propria. Gli apocalittici si appellano a eventi eclatanti come l'episodio radiofonico della
Guerra dei due mondi, o ai miti come quello della pubblicità sublimale per denunciare l'azione nefasta dei media sul tessuto
sociale, sulla democrazia e sulle facoltà di pensiero autonomo individuale.

Gli integrati, al contrario, sono coloro che celebrano entusiasticamente l'utilità sociale dei media e i loro meriti nell'informare,
educare e intrattenere i cittadini. Un simile entusiasmo finisce però per negare qualsiasi responsabilità a carico dei media o
almeno a carico di chi li gestisce.

Se è vero che non è mai stato dimostrato un potere manipolatorio diretto dei media sulle persone, è anche vero che dopo più di 60
anni di ricerche empiriche, possiamo affermare che il problema degli effetti dei mass media esiste, anche se non può essere
declinato nei termini ingenui con cui lo si pensava un tempo.

Delle "cinque W"del modello di Lasswell il tema degli effetti è stato quello forse più frequentemente affrontato dalla ricerca
scientifica.

L'alternanza tra le posizioni degli apocalittici e degli integrati ha prodotto un'analoga alternanza nel livello di potere attribuito ai
media, considerati per gli uni, come portatori di effetti "potenti", per gli altri come portatori di effetti "deboli" o "limitati".

Oggi il primo interesse degli studiosi di comunicazioni di massa, non è più misurare la capacità di influenza o manipolazione dei
media sui comportamenti individuali nel breve periodo, in quanto si è appurato che tale capacità è effettivamente limitata.

22 di 24 25/06/2013 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

Oggi il primo interesse degli studiosi di comunicazioni di massa, non è più misurare la capacità di influenza o manipolazione dei
media sui comportamenti individuali nel breve periodo, in quanto si è appurato che tale capacità è effettivamente limitata.

La ricerca si muove invece in direzione degli effetti su scala collettiva e nel medio-lungo termine.

Più che i comportamenti delle singole persone, a subire gli effetti dei media sono i valori, le ideologie, la morale, il patrimonio di
senso comune dell'intera società.

Tali effetti si producono nell'arco di molti anni di fruizione costante del sistema mediale nel suo complesso e non nelle ore o nei
giorni successivi a singole esposizioni mediali.

- Gli effetti a breve termine sono quelli che si manifestano immediatamente (o quasi) dopo l'esposizione, (esempio la notizia
di uno sciopero dei trasporti, che produce come effetto nello spettatore l'annullamento di un importante viaggio di affari
programmato per quel giorno).
- Gli effetti a medio termine sono quelli cercati per esempio dalle campagne elettorali, che cominciano a informare molti
mesi prima del momento in cui si vuole che l'effetto si manifesti ( il voto a favore di un certo partito o candidato).
- Gli effetti a lungo termine si manifestano dopo diversi anni di esposizione ai media e coinvolgono, variabili speso difficili da
misurare come valori morali, comportamentali o gli schemi cognitivi.

7.2 I differenziali di conoscenza

Il modello dei differenziali ( o scarti) di conoscenza (knowledge gap in originale) è stato fra i primi in ordine di tempo ad attribuire
nuovamente ai media effetti potenti, misurati sul lungo periodo.

Secondo questo modello, la sempre diffusione dei media accentua le disuguaglianze tra gruppi sociali poveri e gruppi sociali ricchi
di informazione.

I motivi per cui i divari di conoscenza crescono invece di diminuire vanno ricercati in diversi fattori, tra i quali possono essere
elencati:

- la motivazione ad acquisire nuove informazioni


- la capacità di elaborare in modo utile le informazioni che si ricevono
- l'accesso a tecnologie che garantiscono "rifornimenti supplementari" di risorse informative

Tutti questi fattori si presentano in misura maggiore proprio tra chi ha già accesso a notevoli quantità di informazioni, innescando
un processo di feedback positivo e un accrescimento ulteriore delle conoscenze.

Quindi le nuove tecnologie (che hanno portato un'abbondanza informativa negli ultimi decenni), hanno accentuato il processo di
ampliamento degli scarti (si pensi alla televisione satellitare, o ai collegamenti Internet a banda larga); queste tecnologie sono
infatti utilizzate da chi ha già accesso a un buon numero di altre tecnologie; al contrario chi è escluso lo sarà ancora di più da
quelle maggiormente sofisticate.

C'è da dire in primo luogo, che tale modello non afferma, che "i poveri diventano più poveri e i ricchi diventano ancora più ricchi";
semplicemente denuncia il fatto che il generale accrescimento delle conoscenze avviene con velocità diverse; in secondo luogo, i
divari crescenti non riguardano indifferentemente qualunque tipo di conoscenza, ma si manifestano soprattutto sui temi ignorati dai
media a grande diffusione.

Il modello degli scarti di conoscenza sta conoscendo oggi una nuova fortuna applicato ai nuovi media: il "divario digitale" (digital
divide), non è altro che una rivisitazione in chiave telematica del vecchio modello degli scarti di conoscenza. Il divario digitale è
quello che viene considerato la principale fonte delle nuove forme di disuguaglianza sociale.

7.3 La spirale del silenzio

La teoria della spirale del silenzio, elaborata dalla studiosa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann, nasce per spiegare come una
posizione minoritaria possa diventare maggioritaria se investita dell'attenzione dei media.

In particolare, secondo Noelle-Neumann, con l'avvento della televisione il pubblico non è più in grado di esercitare il suo potere di
scelta, semplicemente perché non ci sono più alternative da scegliere e perché i contenuti televisivi vengono proposti ovunque,
ripetitivamente, in modo continuo; inoltre gli individui hanno una naturale paura di essere socialmente isolati nelle loro opinioni;
questa paura li spinge al conformismo: esprimono pubblicamente ciò che pensano solo se ritengono che si tratti di opinioni
maggioritarie;; al contrario, si astengono dall'esprimersi se ritengono che si tratti di opinioni minoritarie o "perdenti".

L'opinione pubblica diventa quindi semplicemente l'opinione dominante, sostenuta da una pressione sociale che riduce al silenzio
tutte le altre.

Ecco dunque la "spirale del silenzio" ciò che è forte lo diventa ancora più, mentre le voci anche solo lievemente più deboli sono
portate, dal meccanismo di costante sostegno popolare dominante, a farsi sentire sempre di meno.

La teoria della spirale del silenzio è utile per spiegare il comportamento dell'opinione pubblica in particolari occasioni o fenomeni
sociali. A volte, opinioni o malcontenti di fatto già diffusi tra la gente, non vengono manifestati per paura dell'isolamento; ma a un
certo punto le tensioni nella spirale diventano eccessive, la spirale si rompe e lascia fuoriuscire le voci che erano state indotte al
silenzio, che finalmente possono riconoscersi tra loro.

La spirale del silenzio mostra però anche diverse debolezze che inducono a limitare la sua applicazione.

In primo luogo, il fatto di considerare la televisione come un medium monolitico e dai contenuti omogenei contraddice la
progressiva differenziazione che è invece una sua caratteristica di questi ultimi anni.

Gli utenti televisivi hanno a disposizione un'offerta sempre più vasta di emittenti e canali, coadiuvata da una differenziazione delle
23 di 24 25/06/2013
modalità tecniche di trasmissione (cavo, satellite, digitale terrestre) e da un orientamento dei prodotti verso pubblici sempre più 00:17
Riassunti del libro di Paccagnella (cap.2 e cap.3) http://www.comunicazionidimassa.net/TTCM/Riassunti-del-libro-di-P...

progressiva differenziazione che è invece una sua caratteristica di questi ultimi anni.

Gli utenti televisivi hanno a disposizione un'offerta sempre più vasta di emittenti e canali, coadiuvata da una differenziazione delle
modalità tecniche di trasmissione (cavo, satellite, digitale terrestre) e da un orientamento dei prodotti verso pubblici sempre più
specifici. Ma la televisione ipotizzata dalla spirale del silenzio appare comunque piuttosto difforme dalla realtà.

In secondo luogo, il concetto di "opinione pubblica" adottato è decisamente troppo semplicistico.

Se è vero che la maggioranza tende a schiacciare le opinioni diverse, è anche vero che almeno alcune minoranze (minoranze
attive) sono tutt'altro che disponibili a lasciarsi indurre al silenzio.

L'opinione pubblica dunque non è semplicemente l'opinione della maggioranza, ma il risultato di un complesso processo sociale e
comunicativo, largamente imprevedibile e costituito da componenti diverse.

7.4 La coltivazione televisiva

La teoria della coltivazione di George Gerbner è un esempio di teoria degli effetti a lungo termine del mezzo televisivo, inteso
come "più potente" degli altri media a causa delle sue caratteristiche peculiari.

La "coltivazione" è interessata ai meccanismi attraverso cui i media "coltivano" l'immagine sociale della realtà graduale e
cumulativa, elaborata nel corso del tempo in seguito alla fruizione televisiva.

Secondo Gerbner il pubblico assorbe gradualmente nel tempo le concezioni della realtà presentate dalla televisione, che vanno a
sostituire la realtà vissuta nella vita di tutti i giorni. Questa "sostituzione della realtà" avviene in misura proporzionale al consumo
televisivo: i forti consumatori di televisione mostrano gli effetti più evidenti.

La teoria considera in modo particolare la fiction ( film, telefilm, soap opera, sit-com), in quanto propone un mondo fatto di ruoli
stereotipati , ma anche di emozioni, comportamenti, situazioni, rapporti interpersonali di un certo tipo. Questi vengono "coltivati"
negli spettatori, che finiscono per credere di vivere nella realtà proposta dalla televisione, applicando nella loro vita quotidiana
quegli stessi modelli.

Le ricerche empiriche guidate dalla teoria della coltivazione si sono dedicate in particolare a verificare gli effetti della violenza
presentata sullo schermo.

I risultati: chi guarda molta televisione sembra mostrare una percezione della diffusione della violenza, riconducibile alla quantità di
violenza rappresentata nella fiction del mezzo televisivo (dove abbondano omicidi, sparatorie, rapine etc.).

La teoria della coltivazione televisiva ha il merito di spostare l'attenzione dagli effetti di singoli programmi mediali, all'azione
complessiva dei media come agenti di socializzazione e costruttori di realtà a lungo termine.

Il suo limite maggiore è tuttavia la prospettiva quantitativa entro cui si muove: la correlazione tra numero di ore di esposizione ai
media e presenza di determinate visioni del mondo, non basta a definire le visioni come variabile dipendente delle ore di
esposizione ai media; inoltre, ricerche condotte al di fuori degli Stati Uniti hanno rilevato effetti di "coltivazione" meno eclatanti di
quelli registrati da Gerbner.

7.5 L'agenda setting

Con la parola "agenda" si intende semplicemente l'elenco degli argomenti degni di ricevere attenzione. L'effetto di agenda setting
consiste nel fatto che l'agenda dei media, finisce, dopo un certo periodo di tempo, per riflettersi fedelmente nell'agenda del
pubblico.

Per i cittadini delle società occidentali, in altre parole, una quota crescente di patrimonio cognitivo non proviene più da esperienze
condotte in prima persona, bensì dalle rappresentazioni offerte dai mezzi di comunicazione di massa.

Di fronte a questa forma di dipendenza cognitiva (comprensione di se e del contesto sociale) dai media, le persone tendono a
prestare la loro attenzione principalmente a quei temi che vengono trattati dai mezzi di comunicazione, escludendo quelli che
invece vengono ignorati. L'effetto dell'agenda setting si attua su due punti:

- i media dicono alla gente quali sono i temi, gli argomenti, i problemi veramente importanti e di cui bisogna occuparsi.
- i media impongono un ordine di priorità che rispecchia il grado di importanza assunto da ogni tema sia con la sua
collocazione, sia con il tempo o lo spazio ad esso dedicato, sia con la costanza con cui viene trattato in un certo arco di
tempo.

Per fare un esempio, l'ipotesi di agenda setting stabilisce che, se per un certo periodo di tempo i media dedicano tempo e spazio
al problema degli incidenti sulle strade, tale problema diventerà importante nella percezione del pubblico indipendentemente dal
fatto che esso si sia effettivamente aggravato rispetto al passato, ma soprattutto indipendentemente dalle soluzioni che persone e
pubblici diversi potranno dare rispetto a tale problema. Gli incidenti sulle strade entreranno a far parte dei nostri discorsi e delle
nostre riflessioni.

24 di 24 25/06/2013 00:17

Potrebbero piacerti anche