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Il concetto d esperienza si sta affermando in differenti campi di studio.

La riflessione sull’esperienza permette oggi di riprendere e


di ripensare una serie di ricerche che, da circa venti anni, si sono concentrate su temi diversi: il corpo, la sensibilità, le emozioni, la
coscienza, l’identità personale. Un experimental turn (“svolta esperienziale”/ “il ritorno all’esperienza” nel settore dei media
studies).

Più specifiche e più facilmente individuabili le ragioni che hanno spinto ampie aree degli studi sui media a ad adottare la svolta
esperienziale e a considerare la relazione dei soggetti con i media in quanto esperienza mediale.

L’orizzonte culturale nel quale viviamo presenta oggi un curioso paradosso. Per un verso i grandi media del Novecento (la stampa, il
cinema, la radio, la televisione) sono al centro di un processo di individuazione e di celebrazione: è divenuto evidente il ruolo che
essi hanno giocato all’interno della cultura e dell’arte del secolo appena trascorso; ed è divenuto evidente che tale ruolo non è
legato semplicemente ai “testi” da essi prodotti, quanto piuttosto ai dispositivi e alle pratiche che li costituiscono. Di qui ricerche,
volumi, enciclopedie dedicate ai vari media e persino una loro musealizzazione ed una riflessione sui dispositivi mediali attuata
dall’arte e dalla videoarte.

Per altro verso però questi stessi media vedono in atto un processo di riassorbimento da parte dei media digitali, un interscambio
molto stretto con pratiche non mediali, una disseminazione ed una “rilocazione” (Casetti) nel tessuto sociale. I media non sono più
avvertiti come dispositivi ritualizzati e localizzabili, ma piuttosto come “nuvole”, aggregati di pratiche e dispositivi leggeri e variabili
che possono infiltrarsi agevolmente in ogni piega del sociale: da qui un processo, opposto al precedente, di de-individuazione (“la
condizione postmediale”).

All’interno di questo contesto (coerentemente) contraddittorio, l’adozione della prospettiva esperienziale appare una mossa
tattica indispensabile per rifondare la riflessione teorica. Studiare l’esperienza che i media procurano vuol dire analizzare la loro
costituzione “dal basso”. Solo ripartendo dal contatto vivo ed immediato con le differenti esperienze che i media permettono è
possibile risalire a formulazioni di più ampia portata circa identità, ruoli e peso storico degli apparati, così come vengono avvertiti
intersoggettivamente.

Recupero di alcuni punti cardine della disciplina semiotica e danno pertanto vita allo specifico progetto di una semiotica
dell’esperienza mediale.

Eugeni parte dall’idea che l’esposizione ai dispositivi mediali ed il loro uso da parte del lettore/osservatore/spettatore comportino il
vivere un’esperienza mediale. Si tratta di una forma effettiva di esperienza: essa è collocata in certe situazioni sociali ed ambientali;
implica un coinvolgimento dell’intero organismo (l’insieme di mente e di corpo) di chi vi prende parte; è un’esperienza viva e
vissuta in prima persona ed all’interno del presente dal soggetto. Rispetto a queste assunzioni, che provengono dal campo dei
media studies coinvolti nella svolta esperienziale, sono introdotte due opzioni specifiche:

 La prima opzione concerne l’esperienza mediale in quanto prolungamento e parte dell’esperienza in generale. La
riflessione teorica sull’esperienza (non solo quella limitata ai media) sottolinea con insistenza la su dimensione
incorporata, sensibile ed emozionale. Tuttavia tale impostazione rischia di condurre a modelli poco efficaci: o perché
esclusivamente incentrati sulla dimensione sensibile-emotiva, oppure perché frammentati in aree e settori differenti
(razionale, emotivo, sensibile, pratico ecc) di cui non riescono a spiegarne l’unitarietà. Eugeni si discosta nel suo approccio
assumendo che l’esperienza in generale- e quindi anche l’esperienza mediale- possiede differenti aspetti: essa è fatta di
ragionamento, emozione, sensibilità, relazione intersoggettiva. Tali aspetti non vengono percepiti come unitari in base ad
assunzioni aprioristiche, ma a partire da una rete di relazioni e determinazioni reciproche. Il “meccanismo” che articola
questi differenti aspetti ed assicura la loro reciproca determinazione è la dinamica dell’interpretazione: l’esperienza si
basa su un processo costante, dall’andamento a spirale e tendenzialmente infinito, di elaborazione di configurazioni a
partire da risorse percettive e mnestiche, e di riutilizzo delle configurazioni prodotte quali ulteriori risorse.
L’interpretazione in sé non è né razionale, né emotiva, ma è in grado di mettere in relazione sia risorse emotive che
risorse di ragionamento. Questa opzione rappresenta un primo recupero della tradizione semiotica, riprendendo
l’orientamento interpretativo che fa capo alla riflessione di Charles S. Peirce.
 La seconda opzione introdotta da Eugeni rispetto al panorama dei media studies concerne l’esperienza mediale in quanto
forma specifica di esperienza, non riducibile a quella ordinaria. Nel settore serpeggia più o meno in modo esplicito il
progetto di una naturalizzazione dell’esperienza e, per estensione, dell’esperienza mediale. Tra le differenti posizioni
emerge l’idea che nelle relazioni tra l’organismo ed il mondo gli aspetti immediati siano più pertinenti e rilevanti di quelli
mediati dagli ambienti culturali e dalle agenzie che operano in essi. Una prima contestazione di questa presunta
“innocenza” dell’esperienza: la dinamica dell’interpretazione implica l’intervento di risorse memoriali e dunque un
radicamento sociale e culturale dei soggetti. C’è anche una seconda ragione per contestare la naturalizzazione
dell’esperienza mediale: la natura progettuale e progettata di una tale esperienza. Al contrario dell’esperienza ordinaria,
l’esperienza mediale è artificiale, precostituita e seriale; essa risponde ad un design esperienziale, e si incarica di rendere
operativo questo progetto all’interno dell’esperienza ordinaria. Questo suo carattere peculiare fa sì inoltre che essa
costituisca una forma particolarmente complessa di esperienza, in quanto sovrappone al mondo percepito direttamente
un mondo percepito indirettamente ed introduce lo spessore irriducibile di un discorso. La posizione che contesta la
naturalizzazione dell’esperienza mediale e ne rivendica la natura costruita e progettata non è molto lontano dalla
posizione che all’inizio degli anni sessanta assumevano i semiologi della prima generazione strutturalista, in particolare
Roland Barthes ed Algirdas Julien Greimas. Oggi come allora si tratta di minare le basi di un progetto ideologico che i
media perseguono: quello di affermare l’impercettibilità della loro attività. Che si tratti dei media broadcasting dell’epoca
o delle “nuvole mediali” di oggi, che si tratti insomma della vecchia società dell’informazione o dell’attuale società dello
spettacolo, la teoria è comunque chiamata a non dismettere la propria vocazione critica. Questa opzione recupera
l’orientamento strutturalista che fa capo alla riflessione di Ferdinand de Saussure.

Ciò comporta delle conseguenze sui modi in cui una semiotica dell’esperienza mediale pensa se stessa ed il proprio lavoro. Se mi
interrogo sul tipo di attività che svolgo nell’analizzare gli andamenti dell’esperienza mediale, mi accorgo che in effetti non esco
dall’orizzonte dell’esperienza . non si tratta inoltre di un’esperienza che possa porsi in un rapporto di alterità e di distacco rispetto
all’esperienza mediale, pena la perdita dell’oggetto della sua ricerca. Il lavoro di riflessione teorica e di analisi di Eugeni non fa altro
che proseguire la sua esperienza mediale; esso sfrutta l’andamento a spirale della dinamica interpretativa per condurre una
ulteriore torsione riflessiva, in assoluta continuità con l’andamento dell’esperienza mediale situata ed incorporata. La
ricerca/l’attività teorica ed analitica è anzitutto “un’arte del fare”: un’attività concreta che richiede a sua volta esperienza.

I primi tre capitoli del libro di Eugeni si assumono il compito di introdurre i tre protagonisti di una sorta di cross over: l’esperienza, i
media e la semiotica.

1) L’esperienza:
Il tour del mio gruppo preferito: vado al concerto e finalmente inizia l’evento con un’esplosione di suoni: mi rendo conto che sto
vivendo un’esperienza particolare.

I dizionari forniscono due definizioni principali di “esperienza”:

1. La prima è “patrimonio personale di competenze acquisite mediante la pratica (piuttosto che mediante la teoria e lo
studio). In questo senso posso dire “ho una lunga esperienza di concerti” e non a caso mi sono recata in anticipo al campo
sportivo, ho portato panini ed acqua minerale ecc.
2. La seconda è “decorso degli eventi di coscienza che si svolgono a partire dalla concreta e viva collocazione del soggetto
all’interno di un mondo”: faccio esperienza del concerto e della sua preparazione per come lo posso cogliere dal punto in
cui mi trovo e, se per caso fossi colpita nell’attesa da un colpo di sonno, la mia esperienza della preparazione del concerto
si interromperebbe.

Le due accezioni si distinguono fra “esperienza acquisita” ed “esperienza vivente e vissuta”. Il tedesco le marca distinguendo fra
“Erfahrung” (esperienza) e “Erlebnis” (esperienza vivente o vissuta). Il manuale si rifà alla seconda tipologia di esperienza secondo
la quale l’esperienza che faccio al concerto sia Erlebnis, come esperienza vivente e vissuta.

Dal confronto tra queste due accezioni di esperienza si possono mettere in luce le caratteristiche del concetto di esperienza che ci
interessa.

Partendo dalla differenza fra “esperienza sedimentata” ed “esperienza vivente”: posso dire di possedere una certa esperienza
sedimentata di concerti e questa esperienza è svincolata dalla particolare occasione del concerto di oggi: se invece di recarmi allo
stadio mi fossi recata al mare, la mia esperienza sedimentata di concerti resterebbe comunque in mio possesso. In modo differente
io faccio una certa esperienza vivente, ovvero la costituisco a partire da una particolare e definita situazione nella quale sono
immerso. Se non fossi qui ed ora, ma mi fossi al contrario recata al mare, l’esperienza del concerto non esisterebbe: l’esperienza
vivente e vissuta è dunque per sua natura situata ed incorporata, ovvero si costituisce a partire da una concreta e specifica
relazione dell’organismo del soggetto (ovvero del suo complesso di corpo e mente) con un certo ambiente.

Partendo invece dalla continuità tra le due accezioni del termine “esperienza” l’esperienza sedimentata e l’esperienza vivente e
vissuta non sono incompatibili l’una con l’altra: esiste anzi un rapporto di continuità. Giungo a possedere un’esperienza collaudata
in quanto seleziono ed accumulo gradualmente una serie di esperienze particolari e compio un lavoro di astrazione a partir dai
singoli episodi che vivo. Questo rapporto di continuità permette di gettare nuova luce sull’esperienza vivente e vissuta: essa appare
ora situata non solo in un ambiente ma altresì in una storia, la storia del soggetto che la vive, a sua volta influenzata da un contesto
di abitudini ed assuefazioni di natura culturale. Inoltre l’esperienza vivente appare ora non solo immediata e diretta, ma anche e
allo stesso tempo riflessiva e consapevole; essa nel suo svolgersi si autorappresenta in modo da poter essere confrontata con altre
esperienze e da sedimentare gradualmente un patrimonio personale di saperi e competenze. In questo senso possiamo dire che
l’Erlebnis è sia esperienza vivente (diretta ed immediata) sia esperienza vissuta (cosciente e riflessiva).

Poniamo che mentre sono assorta nei miei pensieri un improvviso accordo di chitarra elettrica mi faccia sobbalzare: alzo gli occhi e
mi accorgo che un tecnico sta provando i diffusori del suono, ma li ha regolati troppo alti. Percepisco che l’amica con la quale sono
venuto al concerto, al mio fianco ha assistito alla scena e ride divertita: anche io mi lascio andare ad una risata liberatoria, per
quanto nel frattempo mi renda conto e mi rimproveri di non aver fatto una bellissima figura.

A seconda del metodo di osservazione scelto e degli elementi considerati pertinenti possiamo fornire tre descrizioni di questa
esperienza:

 L’esperienza è un fenomeno culturale: la prima chiave di lettura dell’esperienza è di tipo sociologico ed antropologico e
quanto avvenuto viene visto ed analizzato come un microevento sociale inserito all’interno di un evento sociale più
ampio. Questa analisi mette in rilievo che l’esperienza che ho vissuto non è effettivamente e completamente “mia” per
due ordini di ragioni.
1. Questa mobilita una rete di conoscenze e di competenze che sono socialmente e storicamente determinate, per
quanto rientrino in un “senso comune” che dà per scontata e rende inavvertita la loro radice culturale: la
partecipazione all’evento del concerto è un rito collettivo proprio della nostra società, se invece mi fossi recata ad
una rappresentazione di teatro kabuki avrei percepito che lo spettacolo mobilitava competenze ed abitudini che non
fanno parte della mia cultura. La natura culturale delle mie competenze è legata a tutta la mia storia di soggetto
sociale. Anche la mia sensorialità subisce una formazione culturale. Se ho sentito l bisogno di alzare l sguardo è
perché l senso della vista viene considerato nella cultura occidentale contemporanea come il criterio prioritario di
controllo dell’informazione sensoriale. Ogni esperienza è dunque condizionata culturalmente e quindi relativa ad un
certo ambiente sociale e storico: è possibile tracciare una storia ed una geografia dell’esperienza.
2. L’esperienza è un fenomeno relazionale: la presenza di una memoria culturale condivisa per un verso condiziona il
mio modo di vivere l’esperienza del concerto e lo stesso microevento del soprassalto che ho vissuto; per altro verso
rende solidale la ma esperienza con quella degli altri soggetti che vi sono impegnati. Questa è la seconda ragione che
rende l’ esperienza non del tutto “privata”: essa è un fenomeno relazionale. L’esperienza incontra le esperienze in
corso da parte di altri soggetti, stringe con essi rapporti di solidarietà o di separazione e prende forma anche
attraverso queste operazioni di sintonia o di estranietà. Una delle ragioni per le quali ho sorriso del mio stesso
spavento è perché stavo tentando di recuperare un legame di complcità con la mia amica e di riparare alla
momentanea interruzione del rapporto dovuta prima al mio chiudermi in me stessa e poi alla mia reazione poco
controllata.
 Avvalendoci di una qualche tecnica di brain imaging il punto di vista neurologico e fisiologico mette in risalto due aspetti
dell’esperienza.
1. L’esperienza è un fenomeno complesso. Il metasistema della pianificazione e controllo di azioni riduce la complessità
dei processi cerebrali (che svolgono in parallelo, contemporaneamente ed in modo intrecciato, un numero
elevatissimo di compiti) ma non la annulla: sia i dati di ingresso che le configurazioni in uscita costituiscono flussi
molteplici e contemporanei. Mentre il mio cervello informa l’organismo che non c’è nulla da temere dal suono
spropositato della chitarra che mi ha fatto sobbalzare e sospende la sequenza fisiologica approntata nell’ipotesi di un
attacco esterno, già percepisce la risata della mia amica, avvia il movimento necessario per girarmi verso di lei,
innesca una lettura emotiva della sua reazione, progetta (recuperando indicazioni dalla memoria) una sequenza di
atti “riparatori” quali la risata successiva.
2. L’esperienza è un fenomeno dinamico: si svolge all’interno dello scorrimento temporale, deve far coesistere al
proprio interno elementi temporalmente sfalsati in modo da produrre una loro sincronizzazione ed una
rappresentazione simultanea, e deve effettuare questo lavoro contando su mezzi fisiologici limitati. La memoria di
lavoro ed i metasistema del ragionamento e della pianificazione lavorano all’interno di un segmento temporale
determinato che va dai 3 ai 10 secondi, una sorta di “atomo di presente”. All’interno di tale segmento vengono
prodotte alcune configurazioni che affluiscono alla memoria a più lungo termine e restano disponibili per rientri
all’interno degli atomi di presente successivi e per confronto con essi. In tal modo viene assicurata sia una continuità
esperienziale, sia la possibilità di confronti a distanza tra aree dell’esperienza. Se provate a far scattare un
cronometro e a simulare le azioni di sobbalzare ad un suono improvviso, riscuotervi, guardare una persona al vostro
fianco e sorridere, vi accorgerete che il tutto si svolge nell’arco di poco meno di 3 secondi.
 Le descrizioni mentali: la descrizione socioantropologica e quella neurofisiologica non colgono tuttavia il tratto che
maggiormente caratterizza l’esperienza. Esse la trattano come un fenomeno direttamente osservabile, mentre
l’esperienza è e resta un fenomeno soggettivo ed interiore. I suoi modelli ed i suoi andamenti non si possono quindi
osservare direttamente, ma vanno ricostruiti indirettamente in via ipotetica. Da qui il ruolo chiave di un terzo tipo di
descrizione, ossia quella mentale. Anche la descrizione mentale permette di evidenziare due aspetti fondamentali
dell’esperienza:
1. Il primo aspetto è un’ambiguità costitutiva dell’esperienza. Da un lato questa appare come un fenomeno puramente
qualitativo, composto da sensazioni che in prima battuta non si riferiscono ad oggetti precisi. Nel momento in cui il
suono della chitarra mi invade e mi colpisce, avverto il fragore nelle sue qualità metalliche e liquide che come
un’onda mi travolge e mi riscuote. Possiamo parlare di esperienza fenomenologica. Dall’altro lato l’esperienza
appare come la storia in corso di un rapporto tra il soggetto ed il mondo: essa implica quindi che il soggetto
percepisca e rappresenti se stesso, gli oggetti attorno a sé, la prospettiva da cui effettua tale rappresentazione, il
concatenarsi di stati differenti di questo rapporto, colti nelle loro variazioni. Una volta che ho superato il primo
spavento che il rimbombo della chitarra mi ha procurato, rappresento quanto avvenuto come l’insorgere di un falso
allarme dovuto all’inesperienza del giovane tecnico che distinguo alla destra del palco. Si parla di esperienza
intenzionale, o rappresentativa, o cognitiva. L’esperienza fenomenologica e quella intenzionale interagiscono
reciprocamente e si determinano a vicenda all’interno di un unico processo.
2. Il secondo aspetto è la dinamica interpretativa che anima l’esperienza: l’esperienza appare come un processo di
determinazione, di sedimentazione e di manipolazione di senso. L’orizzonte dell’esperienza viene determinato per
un verso da un costante afflusso e richiamo di dati sensibili, emotivi, volitivi e mnestici; per altro verso da un
altrettanto costante lavorio di collegamento incrociato di tali risorse al fine di costruire una serie di configurazioni
sensate. L’attributo della sensatezza deriva dalla combinazione di differenti proprietà: le configurazioni per essere
qualificate “sensate”, devono essere valutate in quanto appropriate e pertinenti rispetto alla nicchia contestuale e
agli interessi del soggetto rispetto ad essa; devono apparire relativamente complete, coerenti, unitarie, controllabili,
maneggiabili e all’occorrenza modificabili dal soggetto; infine devono essere considerate in grado di spiegare e
guidare comportamenti, scelte, orientamenti del soggetto. Per esempio non appena il microevento si è concluso mi
dico ed eventualmente dico alla mia amica “sono stata colpita a sorpresa dal suono metallico della chitarra”. Questa
configurazione mi appare sensata: essa raffigura in forma accettabile quanto mi è avvenuto, mi permette di
comprendere ed organizzare molti elementi di cui ho fatto esperienza immediata, è una microstoria padroneggiabile
e giustifica la mia reazione di sobbalzo (in termini neurologici il mio cervello “premia” una simile configurazione
mediante una microgratificazione e costituisce così un meccanismo di rinforzo che mi sospinge a proseguire il mio
lavoro di assegnazione regolata di sensatezza).

Questo processo di costruzione e manipolazione di configurazioni sensate è l’interpretazione. L’interpretazione è un processo


ipotetico, una sorta di proposta relativamente affidabile, ma comunque “azzardata” e costantemente rivedibile: ho descritto a me
stesso il microevento che ho vissuto dicendo che il suono della chitarra “mi ha colpito”, ma subito dopo mi rendo conto che una
descrizione migliore sarebbe quella di “un piccolo terremoto che mi ha fatto sobbalzare”. Spesso l’interpretazione fornisce
differenti configurazioni e poi sceglie quella che le appare più sensata in base ai parametri indicati precedentemente. In tal modo il
termine “esperienza” recupera il senso più antico di “esperimento”: il verbo latino experiri vuol dire appunto “ricercare mediante
prove e tentativi”; l’interpretazione è sempre un’operazione sperimentale e l’esperienza è un laboratorio costantemente in
funzione.

L’esperienza secondo una raccolta di caratteristiche differenti di volta in volta è apparsa: un fenomeno situato ed incorporato,
diretto e riflessivo, radicato culturalmente, implicante relazioni interpersonali, complesso e policentrico, dinamico, qualitativo ed
intenzionale, animato da una logica interpretativa. Cerchiamo di tracciare una rappresentazione unitaria dell’esperienza,
rifacendoci ad una descrizione mentale.

L’esperienza viene retta da una logica particolare, ovvero l’interpretazione. L’interpretazione è un processo di mediazione creativa:
essenzialmente l’interpretazione è un processo o atto di mediazione tra due ordini di risorse. Da un lato gli elementi che derivano
dalla relazione del soggetto con una certa porzione di ambiente, la sua nicchia ambientale; tali elementi sono determinati dalla
nicchia stessa, dalla posizione in cui il soggetto si trova rispetto ad essa e dalle possibilità dei suoi apparati sensoriali. Dall’altro lato
le risorse su cui lavora l’interpretazione derivano dal patrimonio di conoscenze precedenti depositate nella memoria del soggetto;
tali risorse sono in larga parte acquisite mediante un addestramento del soggetto all’interno di un ambiente di vita determinato e
dunque collocano il soggetto in un altro tipo di nicchia, la nicchia culturale. Il “lavoro” dell’interpretazione consiste nel comporre le
due differenti serie di risorse in configurazioni sensate ed adoperare le configurazioni in tal modo prodotte come ulteriori risorse
interpretative. L’andamento del processo dell’interpretazione è dunque a spirale: esso ritorna costantemente sulle configurazioni
già prodotte per modificarle e connetterle reciprocamente. In questa processualità lo stesso svolgersi dell’esperienza può e spesso
richiede di essere configurato: grazie all’interpretazione l’esperienza si fa riflessiva, esperienza di un’esperienza nell’atto di
svolgersi.
In questo senso l’interpretazione parte da una duplice collocazione del soggetto: in una situazione ambientale contingente (nicchia
ambientale) ed in una situazione culturale più ampia (nicchia culturale); ciascuna delle due collocazioni fornisce al soggetto risorse
per l’esperienza e al tempo stesso ne determina gli andamenti. L’interpretazione, però, è anche un atto creativo e relativamente
imprevedibile: il suo ruolo è quello di far interagire ambiente e cultura trasformando l’uno nell’altra e viceversa; ciò implica un
costante sfuggire del soggetto alla pura determinazione delle nicchie in cui è calato.

Abbiamo definito l’interpretazione un “processo” è perché la natura dell’esperienza è costitutivamente dinamica. Questo
dinamismo si coglie a più livelli. In primo luogo , all’interno dei singoli atomi di presente esperienziale, le differenti configurazioni
prodotte sono in una condizione di trasformazione simultanea e reciproca. Mentre il suono della chitarra ancora risuona nelle mie
orecchie con la sua qualità metallica ed elastica, mi rendo conto che esso non rinvia ad un vero pericolo e nello stesso tempo
avverto l’ironia della risata della mia amica.

In secondo luogo le configurazioni interpretative prodotte all’interno dei singoli atomi di presente vengono scambiate con la
memoria a medio termine e rappresentano il punto di riferimento per le nuove configurazioni. L’esperienza si presenta sotto
questo aspetto come un’incessante modulazione di configurazioni; e queste a loro volta sussistono non in quanto oggetti veri e
propri, ma piuttosto quali ipotesi di lavoro esposte ad una costante trasformazione. Superato lo spavento, mi giro intorno e mi
accorgo che l’aria si è fatta più fresca, il mio stomaco continua a brontolare e la situazione di attesa del concerto continua a
protrarsi.

In terzo luogo le configurazioni della memoria a medio termine rimangono disponibili in qualità di risorse anche oltre i limiti
temporali dell’episodio: esse possono essere recuperate a distanza di tempo e reintrodotte in nuovi atomi di presente per essere
ulteriormente manipolate e combinate reciprocamente; è un simile lavoro di manipolazione che assicura la costruzione di
configurazioni a lungo termine. Anche la memoria a lungo termine dunque non si presenta come un deposito di oggetti quanto
piuttosto come un laboratorio dell’esperienza. Se la mia amica mi fa a sorpresa una fotografia con il cellulare mentre sobbalzo al
suono della chitarra ed il giorno dopo il concerto me la invia via e-mail, l’immagine mi riporta al concerto e all’episodio del mio
piccolo spavento.

Ora distinguiamo tra differenti tipi di configurazioni interpretative: individuiamo tre strati di configurazioni relativamente
autonomi, compresenti e “trasparenti” l’uno rispetto all’altro.

1. Il primo strato è quello della rilevazione e qualificazione sensibile delle risorse disponibili: il soggetto avverte dei flussi di
sensazioni che coesistono “intorno” a sé ed “in” sé; s tratta di una sorta di notazione immediata delle risorse che non
distingue (o distingue debolmente) tra interno ed esterno del corpo del soggetto e tra differenti oggetti presenti
all’esterno; il soggetto avverte dei criteri di congiunzione o di disgiunzione di tali sensazioni, che gli si presentano con una
particolare ricchezza di qualità sensibili. Sento l’onda del suono metallico della chitarra, che richiama in qualche modo la
violenza con cui il sole mi batte sulla fronte, mentre contrasta con il brusio della folla che si congiunge al contrario con la
carezza dell’aria fresca sulla pelle.
2. Il secondo strato è quello dell’ordinamento narrativo delle risorse. Il soggetto percepisce anzitutto una distinzione ed un
legame tra se stesso e l’ambiente che lo circonda, distinzione e legame che si basano primariamente sulla percezione di
quell’involucro osmotico che è la pelle. Quindi egli individua una serie di entità all’esterno del proprio corpo con le quali
interagire: egli rappresenta un campo di oggetti intenzionali, per come li coglie dalla posizione in cui si trova. Questo
nuovo assetto del rapporto tra il soggetto ed il mondo rende possibile monitorare sia le trasformazioni che intervengono
all’interno del campo di oggetti intenzionali, sia le trasformazioni (precedenti, seguenti o concomitanti) che intervengono
nel soggetto stesso, sia i legami tra la prima e la seconda serie di trasformazioni. Tali trasformazioni vengono registrate
all’interno di mappe situazionali che, costantemente aggiornate, permettono una gestione controllata delle interazioni
tra soggetto ed ambiente. Al rintocco del suono di chitarra avverto una trasformazione all’interno del campo di oggetti
che mi circonda, ne valuto il potenziale pericolo per il mio organismo, registro sia la non pericolosità del suono sia il fatto
che esso ha prodotto in me una reazione di paura che mi dedico a calmare.
3. Il terzo strato è quello della sintonia relazionale. Il soggetto avverte che all’interno del campo di oggetti intenzionali sono
presenti altri soggetti, ovvero entità in grado di, e nell’atto di, svolgere un’esperienza simile alla sua. A partire da qui il
soggetto esplora in forma ipotetica ed indiziaria l’esperienza interiore degli altri soggetti (a partire soprattutto da una
lettura dei loro segnali somatici); si rende conto riflessivamente del proprio stato esperienziale ed innesca una lettura
riflessiva della propria esperienza in corso; valuta il grado di sintonia o di estraneità tra la propria esperienza e quella
altrui e cerca eventualmente di mettere in atto operazioni di allineamento o di sfalsamento. Nel momento in cui
percepisco la mia amica sorridere del mio spavento mi rendo conto di essere oggetto di un apprezzamento poco
lusinghiero; adotto allora la strategia di sorridere a mia volta di me stessa: in tal modo mi sintonizzo sulla condizione
esperienziale della mia amica ed assaporo il più ampio e complessivo stato di intesa (l’entusiasmo per lo stesso gruppo, il
piacere di assistere ad un concerto dal vivo, l’abitudine al rito dell’attesa).

La disposizione dei tre strati esprime una loro successione logica: le risorse rilevate in termini qualitativi (primo strato) vengono
ordinate in campi di oggetti intenzionali (secondo strato) ed all’interno di questi viene percepita la presenza di altri soggetti
dell’esperienza (terzo strato). Tuttavia la dinamica “a spirale” dell’interpretazione- che è responsabile della costituzione e della
modulazione dei tre strati di configurazioni- implica costanti meccanismi di sincronizzazione e di retrodeterminazione e rende
quindi reciprocamente compresenti e determinanti i tre strati di configurazioni. Quando dico che “il suono della chitarra mi ha
colpito” ho già fatto interagire una pura rilevazione qualitativa con una loro immediata riorganizzazione narrativa- ovvero ho
rapidamente organizzato la microstoria di un suono, che come un oggetto, schizza dall’altoparlante per cozzare dritto sulla mia
testa.

2) L’esperienza mediale:
Non sono riuscita a recarmi al concerto. L’evento è stato ripreso dalle telecamere e viene trasmesso in televisione. Cosa cambia e
cosa non cambia nel passaggio dall’esperienza diretta di uno spettacolo all’esperienza della visione e dell’ascolto attraverso un
mezzo di comunicazione?

L’esperienza della visione e di ascolto del concerto in televisione è un’esperienza reale, al pari della visione diretta nello stadio. In
assoluta continuità con la mia esperienza ordinaria, questa coinvolge una dinamica interpretativa che si sviluppa sui tre strati
collegati della rilevazione e qualificazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale. Eppure al tempo stesso
avvertiamo che si tratta di un’esperienza differente dall’essere fisicamente presenti al concerto. Possiamo esprimere questa
differenza insistendo su due punti:

1. La progettualità dell’esperienza: come suggerisce lo stesso termine l’esperienza mediale implica la mediazione di un
strumento in grado si presentare alla mia attenzione una serie di materiali sensoriali: in questo caso l’apparecchio
televisivo che trasmette le immagini ed i suoni del concerto. Anche nell’esperienza diretta è possibile l’uso di strumenti
tecnologici: se mi fossi recato al concerto ed un guasto avesse reso inutilizzabili le attrezzature di amplificazione degli
strumenti e delle voci, l’esperienza sarebbe stata ben diversa. Nel caso dell’esperienza mediale il televisore diviene un
centro generatore ed un catalizzatore di esperienza: seduta nel mio salotto faccio esperienza del concerto solo in quanto
il televisore trasmette quelle immagini. Se si rompe il televisore l’esperienza del concerto non si trasforma, ma scompare.
Il semplice termine “mediazione” è riduttivo e si può dire che il televisore costituisce un dispositivo di attivazione e di
regolazione dell’esperienza mediale, a partire dalla possibilità che esso offre di rendere presenti e fruibili in un ambiente
di vita una serie di materiali sensoriali.
A partire dalla constatazione che l’esperienza mediale viene resa possibile da un dispositivo di erogazione di materiali
sensoriali, osserviamo che essa viene precostituita dall’esterno rispetto alla situazione in cui viene vissuta e da soggetti
“altri” rispetto a chi la vive. Quanto appare sullo schermo per un verso è il frutto di operazioni e di scelte di una rete di
complessa di soggetti (gli operatori di macchina, i tecnici delle luci e del suono, il regista ecc), per altro verso determina in
modo controllato e pianificato l’articolazione e l’andamento della mia esperienza. Tale determinazione agisce
sull’esperienza in quanto coinvolge ed orienta i processi interpretativi che ne sono alla base: i materiali sensoriali
introdotti dai dispositivi non solo rappresentano le risorse percettive adoperate dall’interpretazione, ma richiamano
altresì le risorse memoriali e culturali opportune affinchè le configurazioni prodotte appaiano sensate. Ad esempio le
note introduttive richiamano la mia competenza relativa alla canzone con la quale il gruppo solitamente apre i suoi
concerti; mentre la particolare carrelata in fly-cam sulla folla esalta l’eccezionale partecipazione all’evento e sollecita
quindi l’atteggiamento di eccitazione con il quale già mi disponevo ad assistere allo spettacolo televisivo.
Possiamo osservare inoltre che, in quanto precostituita, l’esperienza mediale non è più irripetibile, unica, personale, ma
piuttosto ripetibile, serializzata, collettiva. Il concerto televisivo mi ha così appassionato che decido vedere anche la
replica il giorno successivo: in tal modo mi ritrovo a rivivere un’altra volta la stessa esperienza (o un’esperienza molto
simile). Non solo: il mio vicino di casa, chiacchierando sul pianerottolo, mi racconta che non conosceva il gruppo musicale,
ma che è stato conquistato dalla loro musica. L’esperienza mediale può coinvolgere allo stesso modo soggetti differenti e
distanti, purchè in grado di accedere alle immagini ed ai suoni trasmessi dal mezzo ed in possesso di aree di sapere e di
gusto comuni.
Il design dell’esperienza mediale: l’esperienza mediale, in quanto legata ad un dispositivo tecnologico di attivazione e di
regolazione, vede i sui andamenti e le sue articolazioni precostituiti dall’esterno e diviene un’esperienza sovra-personale
e seriale. Questo non vuol dire che le singole esperienze viventi e vissute dei particolari spettatori siano identiche. Il
punto fondamentale è che su tutte le differenti e particolari esperienze di visione del concerto televisivo si stende ed
agisce un medesimo progetto di esperienza particolarmente coinvolgente ed articolato. Dunque i media sono dispositivi
che mettono in atto un design esperienziale, ovvero un’attività di regolazione progettata si alcune aree dell’esperienza
ordinaria (Eugeni nella seconda parte del libro analizza i differenti registri nei quali si articola il design esperienziale dei
media).
2. La moltiplicazione dei campi di oggetti intenzionali: nel passaggio dallo strato della rilevazione sensibile a quello
dell’ordinamento narrativo il soggetto definisce una distinzione tra se stesso ed un campo di oggetti e soggetti che lo
circondano. Tuttavia vedendo il concerto in televisione lo stadio in cui si svolge il concerto ed i giovani fan urlanti non mi
circondano affatto, ma mi trovo sempre nel mio salotto con davanti il mio televisore. È necessario introdurre una
distinzione tra du campi di oggetti:
 Mondo percepito direttamente/ mondo diretto: il mio salotto ed il televisore
 Mondo percepito indirettamente/ mondo indiretto: lo stadio in cui si svolge il concerto
 Partendo dalle modalità mediante le quali si svolge la mia esperienza del mondo indiretto a partire dalla mia
collocazione nel mondo diretto, mi accorgo che essa implica la presenza di una serie di oggetti e di processi che
aprono la percezione del mondo indiretto al mondo diretto senza confondersi con l’uno o con l’altro: l’insieme delle
immagini sonore che si muovono sullo schermo televisivo con i loro movimenti di macchina, i giochi di montaggio, le
manipolazioni dell’audio che vanno a comporre un terzo campo di oggetti intenzionali chiamato “il discorso”

L’esperienza mediale implica, a differenza dell’esperienza ordinaria, che un’area più o meno circoscritta dell’ambiente in
cui è collocato il soggetto venga “ripiegata” su se stessa e che i materiali sensoriali che la occupano permettano l’accesso
percettivo ad un secondo ambiente non direttamente presente: mondo diretto, discorso (la forma complessiva assunta
dai materiali sensoriali responsabili dell’accesso percettivo al secondo ambiente “il mondo indiretto”), mondo indiretto.

Il modello dell’esperienza mediale è un modello complesso e rispetto a quello dell’esperienza ordinaria si arricchisce: gli strati della
rilevazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale incrociano non uno ma tre campi di oggetti e soggetti
ovvero il mondo diretto, il discorso ed il mondo indiretto. (in realtà mondo diretto, mondo indiretto e discorso incrociano i livelli
dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale, mentre toccano solamente il livello della rilevazione sensibile poiché questa
precede logicamente la distinzione in campi di oggetti intenzionali).

L’esperienza mediale si distingue dall’esperienza mediale per due aspetti: per un verso essa viene organizzata e guidata da un
progetto, per altro verso essa richiede un modello di rappresentazione più complesso. Dal momento che il progetto è
necessariamente isomorfo rispetto all’esperienza che esso impronta, possiamo affermare che il modello presentato si presta a
rendere conto tanto dell’esperienza mediale in sé quanto del progetto che ne determina gli andamenti. Possiamo quindi
rappresentare il progetto di esperienza mediale come un’articolazione dei tre strati della rilevazione sensibile, dell’ordinamento
narrativo e della sintonia relazionale rispetto ai tre campi di oggetti intenzionali del mondo indiretto, del discorso e del mondo
diretto.

Fino ad ora abbiamo parlato di “esperienza mediale” al singolare in senso generale. In realtà si hanno “esperienze mediali” poiché
le esperienze in relazione con i media che noi facciamo sono plurali e specifiche: se il concerto fosse trasmesso non in televisione
ma per radio mi sintonizzerei e lo ascolterei volentieri mentre sono impegnata a fare altro, se uscisse un DVD lo potrei acquistare in
modo da rivedere il concerto senza fastidiosi stacchi pubblicitari.

Quando percepiamo una distinzione tra differenti esperienze mediali non si adopera un sapere categoriale astratto, ma una rete di
competenze pratiche: queste esperienze mediali mi richiedono gesti, disposizioni, capacità di organizzare i materiali sensoriali e
valutarne la portata di tipo differente. Anche se a volte le singole esperienze giocano qualche volta a spiazzarmi e a rinegoziare lo
statuto di quanto sto vivendo.

I principali criteri che permettono di definire le forme dell’esperienza mediale sono tre:

1. Le modalità di inserzione dei materiali sensoriali veicolati dai dispositivi mediali all’interno del mondo diretto
2. Il discorso e le conformazioni che esso assume
3. Il mondo indiretto ed il suo statuto

Ciascuno dei tre criteri adotta dei parametri che consentono di tracciare delle “mappe” delle esperienze mediali. L’individuazione
della singola esperienza deriva da una sovrapposizione ed un intreccio dei tre criteri delle relative mappe (nella terza parte del
manuale sono esaminati alcuni dei vari tipi di esperienze mediali che si distinguono a partire da tali criteri e dalle loro
combinazioni).

 Le modalità di attivazione nel mondo diretto: il primo ordine di criteri riguarda le modalità mediante le quali i materiali
sensoriali veicolati dai media vengono resi presenti dai differenti dispositivi all’interno del mondo diretto. È in base a
questa discriminante che sentire il concerto alla radio è cosa diversa dal vederlo in televisione. All’interno di questo
ordine di criteri giocano due parametri:
1. Esperienze mediali pervasive o situate: riguarda la relazione tra dispositivi mediali ed ambiente del mondo diretto e
la distinzione è fra dispositivi (e quindi esperienze) pervasivi e dispositivi (e quindi esperienze) situati.
I dispositivi pervasivi si connettono in maniera profonda e completa all’ambiente (il cinematografo: uno spazio
pensato e progettato interamente per l’esibizione di immagini in movimento e suoni; gli impianti di home theatre
sovrappongono a spazi ed arredamenti casalinghi uno schermo ed alcuni diffusori sonori in modo da riprodurre un
effetto di pervasività delle immagini e dei suoni veicolati dal dispositivo all’interno dell’ambiente domestico;
ambienti multisensoriali studiati per produrre una certa esperienza calcolata e precostituita in chi li abita o li
attraversa, come grandi outlet, parchi tema “non luoghi”, installazioni videoartistiche agli eventi culturali, museali o
aziendali).
I dispositivi situati delimitano l’erogazione dei materiali sensoriali all’interno di alcuni spazi e empi precisi, questi non
tendono ad occupare completamente il mondo diretto, quanto piuttosto ad integrarsi al suo interno (radio ed in
generale dei media a diffusione sonora come stereo, walkman, iPod).
Sempre più media visuali ed audiovisuali tendono ad inserirsi negli ambienti domestici sia outdoor (i piccoli e
ravvicinati schermi dei videofonini).
Molti media si pongono nello spazio intermedio fra le due polarità: la televisione è un mezzo che tende da un lato
alla pervasività (gli schermi di grandi dimensioni, gli impianti home theatre, la riorganizzazione degli spazi domestici
attorno all’apparecchio televisivo) e dall’altro alla circoscrivibilità (schermi casalinghi più piccoli che si prestano ad
una fruizione di sfonfo o “radiofonica”, video “nomadici”).
2. Esperienze mediali automatiche o manuali: il secondo parametro di distinzione riguarda le differenti modalità di
attivazione e di mantenimento in vita dell’esperienza mediale: l’opposizione è fra dispositivi (e quindi esperienze) ad
attivazione automatica (o semiautomatica) e dispositivi (e quindi esperienze) ad attivazione manuale.
I dispositivi automatici implicano la presenza di un player (ovvero di un dispositivo di erogazione di materiali
sensoriali) che agisce senza bisogno di alcun intervento attivo del fruitore. In alcuni casi occorre un intervento di
attivazione iniziale, ma in altri anche questo viene escluso. Molti media situati sono di questo tipo perché
evidentemente è possibile che l’esperienza ordinaria continui a svolgersi tenendo i materiali sensoriali mediali sullo
sfondo, senza bisogno di ulteriori interventi dell’utente (la radio o l’iPod).
Anche molti media pervasivi non prevedono interventi di rilievo dell’utente in modo da non distrarre la sua
attenzione (cinema ed i suoi surrogati casalinghi).
I dispositivi manuali richiedono alcune operazioni più o meno articolate, continue e visibili dell’utente per
l’attivazione e lo svolgimento dell’esperienza. Un grado estremo è dato da tutte le esperienze mediali all’interno
delle quali il corpo e la mente dell’utente funzionano da player biologico incaricato di attivare e mantenere viva
l’esperienza: la lettura di un quotidiano, di un fumetto o di un manifesto pubblicitario implica una recita ed una
messa n scena interiori più o meno espressive affinchè l’esperienza mediale possa dirsi effettivamente attivata.
Un grado intermedio è costituito dalle differenti forme di interazione richieste da players automatici affichè
l’esperienza di svolga e si trasformi: operazioni come il cambio di canale televisivo o radiofonico, videogiochi, la
navigazione web.
 Le conformazioni del discorso: il secondo ordine di criteri che ci permette di discriminare tra differenti forme di
esperienza mediale è dato dalle modalità in cui si presenta al suo interno il discorso. L’idea di discorso nasce dal fatto che
alcuni materiali sensoriali all’interno del mondo diretto, variamente erogati dai dispositivi, permettono l’accesso al mondi
indiretto. Il discorso tende ad acquisire uno statuto autonomo, una consistenza oggettuale e spaziale, una certa
conformazione che si sedimenta e si stabilizza in determinate rappresentazioni sociali. La trasmissione televisiva del
concerto è immersa nel flusso lineare dei programmi televisivi e frammentata da breaks pubblicitari; il concerto in DVD
invece è percepito come dotato di confini precisi e delimitati, privo di interruzioni che non siano intenzionali, dotato di
menu che permettono di navigare all’interno di un’architettura ad albero.
La conformazione del discorso dipende da due parametri:
1. Opposizione tra chiusura e definizione del discorso vs apertura e mancanza di delimitazione (fluidità spaziale e
temporale).
2. Andamento unilineare o struttura plurilineare e reticolare del discorso.

Le conformazioni del discorso sono configurazioni culturali condizionate da una complessa interazione tra dispositivi
tecnologici, forma fisica dei supporti mediali, pratiche di fruizione. Possiedono perciò una natura storica, una storia fatta
di sedimentazioni, sopravvivenze e ritorni e che non procede in modo lineare.

I modelli più antichi sono quelli del testo e dell’ipertesto, strutture chiuse ed organizzate in forma monolineare o
plurilineare.
Dall’incrocio delle due varianti otteniamo quattro grandi possibilità:

L’esperienza testuale: quando i media nascono verso la metà del XIX secolo, è molto forte l’influsso del libro quale
modello di configurazione lineare e definita. L’esperienza testuale rimane molto radicata nelle rappresentazioni sociali e
passa facilmente per esempio dal libro al film, dotato anch’esso di confini precisi ed andamento lineare.

L’esperienza di flusso: i media che si reggono sul principio di broadcasting (la radio e la televisione) mettono
gradualmente in crisi il modello testuale di configurazione del discorso ed introducono il nuovo modello dell’esperienza di
flusso secondo il quale il discorso procede per segmenti impaginati all’interno di un palinsesto lineare, tendenzialmente
infinito ed in perenne trasformazione.

Nel frattempo i mezzi a stampa (quotidiani, periodici, fumetti, pubblicità visuale) avevano introdotto già dalle origini dei
media un tipo di modello misto: alla linearità del testo si sovrappone la reticolarità delle griglie grafico-visive che
consentono e guidano una lettura non esclusivamente lineare. Ad esempio la ricerca di un certo articolo in una rivista è
reticolare mentre la sua lettura recupera un andamento lineare con la possibilità di tornare in ogni momento alla
modalità reticolare. Il fumetto connette linearità e reticolarità in una interazione ancora più stretta.

L’esperienza ipertestuale/metatestuale: le tecnologie digitali a partire dagli anni ottanta del Novecento, riprendono ed
amplificano la possibilità di una simile fruizione selettiva all’interno di una rete di possibilità e permettono la definizione
della conformazione ipertestuale così come la definiamo oggi.

L’esperienza ambientale: queste stesse tecnologie aprono infine la possibilità di conformazioni discorsive che
congiungono la reticolarità ipertestuale all’assenza di delimitazioni spaziali e temporali propria del flusso radiotelevisivo.
Il discorso si configura come un vero e proprio ambiente aperto che del testo non ha più nulla. Il caso più rappresentativo
è la navigazione del web.

 Gli statuti del mondo indiretto: il terzo ordine di criteri che determina la possibilità di distinguere fra differenti forme
dell’esperienza mediale riguarda lo statuto del mondo indiretto. Questo si definisce in relazione agli altri due campi di
oggetti intenzionali, in base ad una relazione di continuità o discontinuità con essi.
L’esperienza fattuale: l’esperienza mediale viene percepita in continuità con l’esperienza di vita quotidiana. Quanto si
svolge nel mondo indiretto concerne anche il mondo diretto e riguarda più o meno direttamente il fruitore ed il mondo di
vita nel quale questo è inserito.
L’esperienza finzionale: nel caso della finzione il mondo diretto ed il mondo indiretto rimangono separati. Ciò non implica
necessariamente che quanto si svolge nel mondo indiretto sia “fantastico” e non coinvolga ambienti reali, ma lo
svolgimento non ha correlazioni dirette con la situazione in cui si trova il fruitore.
L’esperienza estetica: si ha quando i movimenti discorsivi acquisiscono una particolare evidenza e marcano una relativa
autonomia rispetto agli svolgimenti del mondo indiretto. È il caso di molti videoclip, di alcune sequenze di film o serie
televisive in cui la cura della fotografia o del montaggio divengono molto visibili.
L’esperienza partecipativa/della comunicazione partecipata: il discorso ed il mondo indiretto sono in continuità e tendono
a coincidere in quanto il discorso viene percepito dal fruitore come uno spazio di azione ed interazione: i casi di
interattività che richiedono un intervento costante del fruitore e soprattutto i casi in cui il fruitore si fa co-autore e
l’esperienza mediale consiste in un’attività di produzione dei materiali sensoriali che costituiscono il discorso (chat in rete,
partecipazione a forum, contribuzione ad opere aperte, redazione e manutenzione di un blog o pagine personali
all’interno di una web community).
3) La semiotica e l’esperienza mediale:
Cercare di capire in che modo il procedimento di ricerca si traduca in un metodo di lavoro per lo studioso di semiotica dei
media.

1. Prende in esame i materiali sensoriali che, erogati da un dispositivo mediale, determinano una certa porzione di
esperienza
2. Mette in atto a partire da questi alcuni processi interpretativi in forma di simulazione controllata, in modo da cogliere in
quale maniera i materiali sensoriali li guidano e li determinano.
3. Giunge a definire così un progetto di determinazione complessivo dell’esperienza mediale che viene costituita a partire
dai materiali sensoriali e mediante i processi interpretativi.

Individuiamo tre fasi pratiche del lavoro di ricercatore:


1. Descrizione dei materiali sensoriali: si tratta di scegliere i materiali sui quali si intende lavorare e fornirne una prima
mappatura. Nel caso dei media audiovisivi risulta indispensabile una trascrizione che consenta al ricercatore di
maneggiare e controllare una notevole quantità di elementi sovrapposti. Se il nostro ricercatore ha deciso di lavorare
sulle prime immagini del concerto televisivo dovrà effettuare una mappatura delle inquadrature cui limita il suo lavoro,
annotando sulla carta per ciascuna di esse il numero, la durata, i contenuti della parte visiva, il tipo di inquadratura e di
movimento di macchina, gli stacchi di montaggio, i contenuti e la qualità del sonoro sia sotto il profilo della musica che
dei rumori o del parlato.
2. Scomposizione analitica: il ricercatore scompone il continuum dei materiali percettivi ed individua gli elementi e gli
aspetti di tali materiali che risultano pertinenti nella determinazione dei singoli processi interpretativi. Per esempio rileva
l’importanza del movimento della fly-cam sulla folla indistinta, ai fini di costruire l’idea di un “ingresso” sulla scena del
concerto; mette in evidenza l’uso accorto della nota di chitarra elettrica che accompagna tale movimento e ne sottolinea
la fluidità.
3. Ricomposizione sintetica/ sintesi: il ricercatore ricompone i differenti processi interpretativi rilevati ed osserva in che
modo le configurazioni che sono state prodotte agiscono reciprocamente all’interno di un progetto unitario, ovvero il
progetto di determiazione artificiale dell’esperienza mediale.

Un modello e seguendo un tracciato e snodi il semiotico può organizzare il lavoro di scomposizione analitica dei materiali come
quello di ricomposizione sintetica del progetto di esperienza mediale al quale intende pervenire.

Il progetto di esperienza mediale cui tende la ricostruzione semiotica è isomorfo al modello dell’ esperienza mediale. Questo può
essere rappresentato come un’articolazione dei tre strati della rilevazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia
relazionale rispetto ai tre campi di oggetti intenzionali del mondo diretto, del mondo indiretto e del discorso.

Possiamo così individuare una rete di snodi del progetto di esperienza mediale che corrispondono ai punti di incrocio tra gli strati di
configurazioni ed i campi di oggetti intenzionali. Fa eccezione lo strato della rilevazione sensibile il quale, precedendo la
costituzione dei campi di oggetti, tocca ma non incrocia mondo indiretto, discorso e mondo diretto e costituisce uno snodo a sé.

I sette snodi dell’esperienza mediale:

1. Lo strato della rilevazione e della qualificazione sensibile dei materiali sensoriali erogati dai dispositivi
2. L’ordinamento narrativo del mondo indiretto e la costituzione delle relative mappe situazionali
3. L’ordinamento del discorso nei suoi differenti aspetti di produzione, intreccio e formato
4. Lo strato dell’ordinamento incrocia il mondo diretto: l’esperienza mediale individua i rapporti tra tale mondo diretto e gli
altri due campi di oggetti, sia nel senso della continuità che della discontinuità.
5. Lo strato delle relazioni tra il soggetto fruitore e gli altri soggetti che vengono costituiti all’interno dell’esperienza
mediale. Tale snodo in particolare concerne la relazione tra il soggetto dell’esperienza ed i soggetti presenti all’interno del
mondo indiretto
6. Le relazioni tra il soggetto dell’esperienza ed i soggetti del discorso
7. La relazione del soggetto con altri soggetti del mondo diretto a partire da un comune attraversamento esperienziale dei
materiali mediali.

“una visita guidata” all’esperienza mediale ed un tentativo di spiegare la ricchezza molteplice e complessa del suo progetto. Ogni
snodo corrisponde ad un determinato aspetto del design dell’esperienza.

4) processi sensoriali e la qualificazione sensibile:


Che tipo di esperienza sensoriale viene innescato e guidato a partire da questo segmento di immagini in movimento accompagnate
da suoni?

Secondo una concezione ingenua, svolgere un’esperienza sensoriale vuol dire costruirsi una rappresentazione mentale simile ad
una fotografia o ad un film di una certa scena. Noi saremmo spettatori di questo “film interiore” che scorre nella nostra testa, ma
tale concezione è fuorviante per tre ordini di ragioni:

1. Questo modo di intendere i processi sensoriali implica l’idea di un soggetto passivo e separato dal mondo che egli
“rappresenta”. Al contrario, i processi sensoriali implicano l’azione. Non c’è processo sensoriale senza movimento e senza
azione: percepire fa parte dell’interagire con un ambiente complesso e rientra nel nostro costante dispiegare attività di
progettazione, attivazione e controllo di azioni all’interno del mondo. Non siamo mai spettatori distaccati di questo
mondo: nel percepire non “assistiamo” allo spettacolo di un mondo, ma lo costituiamo attivamente attraverso l nostro
interagire con gli elementi che lo compongono, a partire dalla specifica collocazione in cui ci troviamo.
Si può ribattere ovviamente che noi non sempre ci muoviamo all’interno del mondo. Sono nel mio studio e percepisco
tutto questo senza muovermi all’interno di questa piccola porzione di mondo. Tuttavia non si può dire che sia uno
spettatore distaccato, ma pur non muovendomi ho simulato una serie di spostamenti, di contatti fisici, di prensioni di
oggetti. In assenza di queste forme di simulazione incorporata (osservando l’azione altrui sento che è come se io stessi
svolgendo l’esperienza sensoriale cui assisto) del movimento e della prensione e dell’azione non si danno effettivamente
processi sensoriali.
I processi sensoriali sono sempre “enattivi”: essi implicano comunque un agire (effettivo o simulato) ed un “mettersi nel
corpo” di un soggetto che si muove in un ambiente per saggiarne le possibilità. I processi sensoriali sono sempre senso-
motori, situati ed incorporati, ovvero effettuati a partire sa una relazione dinamica, fisica, concreta tra corpo e mondo.
2. La seconda ragione per la quale la metafora della fotografia o del film interiori è inesatta riguarda il fatto che essa isola il
senso della vista rispetto alle altre modalità sensoriali. Al contrario l’esperienza sensoriale è un processo complesso che
coinvolge molteplici modalità e flussi sensoriali che sono compresenti ed interagiscono reciprocamente.
Innanzitutto i processi sensoriali sono multimodali nel senso che implicano l’accoglienza contemporanea ed interagente
di una varietà di stimoli esterni differenti: visivi, sonori, tattili, termici, gustativi, olfattivi. I processi interpretativi che
costituiscono la mia esperienza selezionano e collegano incessantemente questi flussi sensoriali. Inoltre se i processi
sensoriali implicano movimento ed azione, i dati provenienti dal mondo (esterocettivi) devono essere integrati con i dati
che provengono dalla percezione del proprio corpo in quanto oggetto/soggetto in movimento (propriocettivi). Nel nostro
interagire con il mondo mobilitiamo costantemente una serie di mappe somatiche, o schemi corporei, che fanno capo
principalmente alla percezione fornita dall’apparato muscolo-scheletrico e che ci danno informazioni circa la postura ed i
gesti in corso. Dunque noi sentiamo il nostro corpo interagire con il mondo nello stesso momento in cui accogliamo le
sensazioni che il mondo ci offre. Scrivendo ad esempio al computer avverto i movimenti del mio collo e degli occhi che
spostano lo sguardo dal tavolo alla tastiera ed allo schermo, i gesti delle mani ed il controllo che esercito sui polpastrelli
per dosare la forza con cui batto sui tasti (informazioni propriocettive). Combino costantemente questi flussi con quelli
visivi e tattili che mi vengono dal contatto e dal rapporto con il computer e la sua tastiera (informazioni esterocettive).
Inoltre bisognerebbe integrare anche i dati interocettivi relativi ai “visceri” ed al “milieu interno”, ovvero gli stati
fisiologici del corpo ed alle sue più o meno accentuate ed incessanti alterazioni e modulazioni.
La seconda ragione per cui i processi sensoriali sono complessi dal punto di vista delle modalità convolte è che essi non
sono soltanto multimodali, ma anche intermodali: ogni processo sensoriale implica dunque un certo grado di sinestesia.
Guardando la copertina lucida di un libro nel processo sensoriale che mi porta a registrare tale presenza, la modalità
visiva che esercito è intimamente legata a quella del tatto che non esercito effettivamente , ma che comunque viene
richiamata in modalità di simulazione. Il tatto a sua volta richiama un percorrere con il dito la superficie di carta e dunque
una modalità sensoriale propriocettiva.
3. La terza ragione per cui la metafora della fotografia o del film nel cervello non è soddisfacente: percepire vorrebbe dire
semplicemente costruire la rappresentazione di una porzione di mondo. In realtà i processi sensoriali sono più complessi
ed articolati.
La logica della percezione: da un lato è indubbio che vi sia un’attività di rappresentazione, se con questo termine
indichiamo la costruzione di uno strumento attendibile di pianificazione e controllo progressivo di una relazione
interattiva tra soggetto e mondo. I processi sensoriali sotto questo aspetto rappresentano il punto di accesso allo strato
dell’ordinamento narrativo delle risorse esperienziali e ne costituiscono il gesto originario, ovvero la costituzione di campi
di oggetti intenzionali a partire dalla distinzione fondante tra esterno ed interno del corpo del soggetto esperiente.
Questo versante dei processi sensoriali è chiamato percezione.
La logica della sensazione: dall’altro lato però i processi sensoriali presentano un aspetto ed una logica differenti. Questi
consistono nell’esperienza di alcune qualità e delle loro relazioni, che non sono di per sé rappresentabili nella forma di
campi di oggetti intenzionali. Percepisco senza che debba necessariamente attribuire tale qualità a degli oggetti precisi e
chiamiamo sensazione questo versante dei processi sensoriali.
Nel modello di esperienza che stiamo proponendo la sensazione è autonoma dalla percezione e la precede da un punto di
vista logico. La rilevazione qualitativa delle risorse (sensazione) non richiede di per sé la loro organizzazione intenzionale
(percezione). Al contrario la percezione basa il proprio lavoro di selezione e messa in forma su quanto rilevato dalla
sensazione: percepire deriva dall’organizzazione in base a coordinate spaziali precise le qualità delle superfici e dei volumi
che sono alla portata dei miei sensi.
La sensazione costituisce un sistema di rilevazione e di inscrizione nella memoria a breve termine delle risorse sensoriali e
di alcune loro relazioni. Tale sistema possiede il duplice vantaggio di essere veloce e di ampia portata. La sensazione
fornisce alla percezione alcune risorse già parzialmente elaborate ed altre al momento accantonate ma potenzialmente
utili ed integrabili. In particolare è probabile che la sensazione svolga un ruolo fondamentale nella correlazione tra le
differenti modalità sensoriali esterocettive, nonché tra queste e quelle propriocettive ed interocettive.
I processi legati alla sensazione, ovvero la rilevazione e la qualificazione delle risorse disponibili da parte del soggetto,
costituiscono il primo strato dell’esperienza mediale.
In base al nostro modello di esperienza, l’autonomia della sensazione non implica il suo isolamento: al contrario, in base
alla logica a spirale dei processi interpretativi che articolano l’esperienza, sensazione e percezione interagiscono
reciprocamente mediante una determinazione e rideterminazione incrociata.

L’attivazione delle configurazioni sensibili elementari (CSE): i processi legati alla sensazione consistono nella rilevazione di qualità
collegate ai dati sensoriali. Posso dire dei aver rilevato una qualità sensibile, ma posso dire perché ho avvertito una certa
sensazione di familiarità, ovvero ho “riconosciuto” la presenza di una determinata qualità. La rilevazione di una qualità implica
presenza, il recupero e la mobilitazione di una microunità di conoscenza sensibile che era già parte della mia memoria e delle mie
competenze: configurazione sensibile elementare (CSE). A prima vista potrei dire che la CSE è costituita da dati tattili e che di
conseguenza il “liscio” è una qualità legata al tatto. La sensazione invece partecipa della intermodalità propria di tutti processi
sensoriali. Se posso rilevare la qualità del “liscio” è perché “riconosco” un’associazione tra un certo gesto di percorrenza, la
costanza con cui i dati tattili mi giungono, la relativa assenza di attrito, nonché un determinato aspetto visivo del marmo. La CSE è
quindi un’unità sinestesica (ovvero multimodale ed intermodale) e sensomotoria (al suo interno i dati sensoriali esterocettivi sono
messi in relazione con i dati propriocettivi relativi al movimento che ne ha prodotto la particolare conformazione. Non è dunque il
singolo dato sensoriale (ad esempio tattile) a permettere la rilevazione e l’attribuzione di una qualità sensibile, ma la possibilità di
ricondurre certi dati sensoriali ad una particolare CSE sinestesica e sensomotoria: solo all’interno delle CSE- e quindi
dell’interazione tra dati sensoriali differenti- prende forma una certa qualità sensibile.

Rilevare la qualità del “liscio” implica un “riconoscimento”, ma questo termine non rende bene l’idea di quanto avviene nella mia
esperienza. Nel momento in cui passo la mano sul piano del tavolo non “riconosco” una sensazione di liscio, piuttosto vivo e
sperimento direttamente e personalmente la stessa sensazione. In realtà il “riconoscimento” è in realtà una riattivazione e le CSE
sono da considerare delle microsceneggiature sensibili: piccoli programmi di esperienza che mi permettono di rivivere certe
sensazioni e di ri-sentire certe qualità qualora si presentino determinate condizioni sensoriali.

In base a quanto detto circa la natura multimodale delle CSE, queste sono a riattivazione multipla: posso riattivare una certa
configurazione e rivivere le sensazioni che essa reca inscritte a partire dalla sollecitazione di modalità sensoriali differenti. La
sensazione di “liscio” può essere riattivata non solo ogni volta che tocco il tavolo o ne percorro con la mano la superficie, ma anche
ogni volta che guardo il tavolo, o anche ogni volta che guardo qualcuno che tocca una superficie dello stesso tipo, e probabilmente
ogni volta che ascolto o pronuncio la parola “liscio”. Parlando di “qualità visive, uditive, tattili” occorre intendere “qualità attivate a
partire da dati sensoriali visivi, sonori, tattili”.

Configurazioni sensibili semplici e complesse (tonali e ritmiche): i processi di riattivazione regolata dalle configurazioni sensibili
presentano due caratteri di particolare rilievo:

1. La riattivazione delle CSE all’interno del mio campo esperienziale non è un evento puntuale ed isolato, ma al contrario,
tale riattivazione è funzionale all’individuazione di relazioni reciproche tra esse, che possono essere di completamento, di
analogia o di contrasto. L’individuazione di relazioni e di reti tra CSE determina anche la loro sopravvivenza all’interno
della mia attenzione, in quanto le qualità isolate sono destinate ad essere cancellate mentre quelle collegate si rinforzano
a vicenda. Ad esempio il carattere “liscio” del mio tavolo può essere completato dal suono che fa la mia mano nel
percorrerlo, una sorta di “fruscio” regolare. Se ascoltassi ad occhi chiusi quel particolare suono “riconoscerei” rivivendola
la sensazione di “liscio”. Il liscio del tavolo richiama caratteristiche analoghe di altre superfici presenti, ma innesca anche
relazioni di contrasto (il muro ruvido). Inoltre la presenza di analogie apre la possibilità che vengano istituiti legami
metaforici tra differenti CSE: la sensazione esterocettiva e propriocettiva di “liscio” del tavolo può essere collegata alla
sensazione interocettiva di calma e di dominio che fa da sfondo al mio tavolo.
Mediante questa rete di collegamenti si istituiscono reti di CSE e configurazioni sensibili di maggiore ampiezza e
complessità chiamate configurazioni sensibili complesse (CSC).
2. È possibile distinguere due ampie modalità di riattivazione delle CSE e delle CSC:
 le configurazioni sensibili possono essere riattivate e ri-esperite in base agli elementi persistenti o ricorsivi e quindi stabili,
che vengono definiti al loro interno: in questo caso vengono portati in primo piano gli aspetti esterocettivi (nel passare la
mano sul tavolo avverto e ri-esperimento il suo carattere “liscio” derivante dalla regolarità dei dati sensoriali tattili e dal
loro incrocio con quelli visivi ed eventualmente sonori
 le configurazioni sensibili possono essere riattivate e rivissute in base alla processualità e alla dinamica che permette la
loro definizione: vengono portati in primo piano i dati sensoriali di tipo propriocettivo (nel passare la mano sul tavolo
concentro la mia attenzione sulla dinamica del movimento muscolare che sto compiendo e valuto il carattere regolare,
costante e controllato del mio gesto.
Dal momento che le CSE sono configurazioni sensomotorie, è possibile riattivarle mettendo in primo piano gli aspetti
sensibili (sono riattivati aspetti “tonali” delle CSE e delle CSC) oppure quelli motori (sono riattivati aspetti “ritmici” delle
CSE e delle CSC).

Rilevazione di qualità: processi di riattivazione di CSE

 tonali
 ritmiche

Rilevazione di diagrammi: processi di riattivazione di CSC

 tonali
 ritmici

Qualità e diagrammi tonali:

 Qualità tonali visive: l’esperienza mediale si fonda su materiali sensoriali selezionati e limitati come immagini fisse,
materiali grafici e di scrittura, suoni ecc. Nel caso di un audiovisivo l’esperienza sensibile, per quanto sinestesica ed
intermodale, viene sollecitata e guidata da materiali sensoriali di tipo visivo- dinamico e sonoro.
Le qualità tonali che vengono rilevate a partire da materiali sensoriali di tipo visivo.
1. Qualità delle superfici bidimensionali: qualità legate alla relazione visiva, tattile e sensomotoria con superfici
bidimensionali:
Qualità relative alla conformazione della superficie e alle sensazioni della sua percorribilità: la superficie può essere liscia,
composta da una testura regolare, o granulosa o irregolare.
Qualità legate alla consistenza: le superfici possono essere dure, morbide, elastiche, appiccicose o prive di consistenza.
Qualità collegate alle caratteristiche cromatiche delle superfici
-Il tono del colore
-La luminosità del colore
-La temperatura del colore (i colori possono essere vivi, accesi, caldi oppure spenti o freddi)
Il grado di riflettenza della superficie (lucida, opaca, trasparente)
2. Qualità dello spazio quasi tridimensionale: spazio di interstizio fra le superfici
Qualità legate alla illuminazione
 Intensità (“chiave” alta o bassa)
 Colore
 Consistenza materica della luce (presenza di fumo o nebbia o al contrario trasparenza)
3. Qualità dello spazio tridimensionale: qualità legate alla relazione con uno spazio tridimensionale. Questo spazio
tridimensionale non va considerato come uno spazio cartesiano e geometrico, ma piuttosto come uno spazio vivibile e
vissuto.
Qualità riferite alla prensione e manipolabilità degli oggetti, ovvero alla possibilità che il soggetto li afferri e li utilizzi:
peso, volume, taglia, conformazione tridimensionale (gli oggetti possono essere percepiti come pesanti o leggeri, grandi o
piccoli, massicci o cavi, afferrabili o sfuggenti.
Qualità riferite alla percorribilità dello spazio in particolare alla sua limitazione ed articolazione: lo spazio può essere
profondo o piatto o multiplanare (costituito da superfici piatte sovrapposte), espanso o ridotto, liberamente percorribile
o articolato da superfici che ne limitano l’esplorazione.
 Qualità tonali sonore: al tempo stesso un audiovisivo è anche esperienza di ascolto. Alla qualificazione visibile si aggiunge
si aggiunge e si lega una qualificazione sonora attivata da dati sensoriali uditivi. La rilevazione di qualità sonore si basa
sulla riattivazione di CSE relative alla produzione del suono: quando sentiamo un suono ne avvertiamo le particolari
qualità in quanto sperimentiamo in forma simulata le presunte circostanze della sua produzione. Deriviamo così 4 gruppi
di qualità sonore:
1. Qualità dell’attività di produzione del suono: il tipo di percussione o di sfregamento di una superficie che causa il
suono: percussione puntuale (un colpo secco), percussione ripetuta in modo regolare (un ticchettio), o in modo
irregolare (battito irregolare di un martello), sfregamento regolare (un fruscio), sfregamento irregolare (il rumore
granuloso che producono superfici irregolari ma che si ritrova anche in certe voci “rauche”).
2. Qualità della materia di produzione del suono: la risposta della superficie percossa o sfregata e quindi alla
consistenza del suono che può essere sorda o sonora (può risuonare o meno ed in caso positivo può farlo più o meno
a lungo). Spesso le qualità di questo tipo vengono espresse facendo riferimento al materiale della superficie reale o
presunta (un suono liquido, metallico ecc).
Questi primi due gruppi vengono spesso unificati in base alla tendenza metonimica a spazializzare le qualità sonore
scambiando la causa con l’effetto ed a considerarle in termini di “testure” sonore.
3. Qualità dell’energia di produzione del suono: fa riferimento all’investimento energetico necessario per produrre il
suono. Si percepisce un volume alto o basso, violento o dolce.
4. Qualità dell’energia di produzione dell’azione fonatoria: la produzione sonora intesa come fonazione e dunque
coinvolge dati propriocettivi ed interocettivi. Percepisco una qualità “acuta” o “profonda” di un suono in quanto ne
replico mentalmente la produzione mediante i miei stessi organi fonatori ed avverto una spinta verso l’alto (suono
acuto) o verso il basso (suono grave) degli apparati muscolo-scheletrici coinvolti.
 Diagrammi tonali: la rilevazione delle qualità tonali a partire dai dati sensoriali consiste nella riattivazione di particolari
CSE. Una volta riattivate, le CSE vengono correlate reciprocamente in modo da formare CSC tonali e permettere dunque
la rilevazione di dei più complessi diagrammi di qualità sensibili. Questa composizione avviene secondo tre modalità:
1. Relazione di completamento: le qualità si integrano a vicenda: la bassa luminosità che avvolge la scena si combina
con una spazialità tridimensionale ristretta e contribuisce a definire l’idea di uno spazio scarsamente percorribile
2. Le qualità si rafforzano reciprocamente in base a rapporti di analogia: costituzione di rime e richiami sensibili. La
qualità “liscia” della superficie dei due edifici nelle prime due inquadrature rima con la continuità sonora del suono
elettronico sullo sfondo.
3. Contrasto tra qualità compresenti: il grattacelo bianco ed illuminato della prima inquadratura si distacca dallo sfondo
scuro, mentre il colore del secondo grattacielo rima con quello della notte circostante.

Qualità e diagrammi ritmici:

 Qualità ritmiche: i materiali sensoriali sollecitano la riattivazione delle CSE non tanto in base alle loro modalità (visive o
sonore), bensì in base alle loro trasformazioni. Queste trasformazioni vengono “rivissute” dal soggetto mediante una
riattivazione degli schemi propriocettivi di movimento compresi nelle CSE. Non assistiamo semplicemente al gesto di un
personaggio, allo spostamento di un oggetto o al dispiegarsi di una linea melodica, ma “riviviamo” un movimento
corrispondente ed n tal modo cogliamo una certa qualità dinamica del gesto, dello spostamento, della melodia.
In questo caso perciò la distinzione fra modalità visive e sonore è meno rilevante che nel caso delle qualità tonali.
I parametri che permettono di determinare le qualità di una trasformazione visiva o sonora sono gli stessi che consentono
di qualificare un movimento e possono essere raggruppati in due gruppi:
1. Qualità quantitative: una qualificazione dei segmenti mobili e gestuali dal punto di vista della loro velocità, della loro
ampiezza e della loro direzione e dunque in relazione all’ambiente circostante. Le qualità saranno del tipo veloce vs
lento, lungo vs breve ecc.
2. Qualità accentuative: una qualificazione in base agli investimenti e alle modulazioni energetiche necessarie per
condurre il gesto. Le qualità sono di tipo tonico vs atono, rigido vs fluido, ascendente vs discendente (ad indicare non
uno svolgimento spaziale ma la percezione propriocettiva della modulazione di una carica di energia.

Per le qualità ritmiche sonore: un pattinamento sonoro, un movimento continuo

 Diagrammi ritmici: anche le qualità ritmiche si collegano reciprocamente e danno vita a diagrammi ritmici. Il
collegamento avviene in due sensi:
1. Le combinazioni sincroniche di qualità: le differenti trasformazioni compresenti si correlano sincronicamente in base
a relazioni di completamento, analogia o contrasto.
Le trasformazioni possono concernere movimenti dei soggetti, movimenti della macchina da presa, trasformazioni
della messa a fuoco.
Sul versante sonoro le trasformazioni possono concernere voci, rumori, suoni musicali e così via. Rima ritmica o
strappo contrastivo.
2. le combinazioni diacroniche di qualità: i diagrammi ritmici vengono anche rilevati in modo progressivo, cioè a partire
da un confronto ed una correlazione sequenziale tra segmenti di movimenti adiacenti. Un simile confronto richiede
l’individuazione di cesure e pause più o meno pronunciate che delimitino segmenti mobili coerenti. Per esempio il
gesto di un personaggio o il movimento di un oggetto che si avvia e si conclude con un attimo di sosta, oppure il
passaggio da un’inquadratura all’altra mediante stacchi di montaggio.
Il confronto fra segmenti mobili adiacenti avviene individuando relazioni di completamento, analogia o contrasto fra
i due gruppi di qualità ritmiche.
I diagrammi che ne derivano sono giocati su varie forme di passaggio da segmenti mobili lunghi o brevi da un lato
(qualità ritmiche quantitative) e tonici ed atoni dall’altro (qualità ritmiche accentuative).
Il design sensibile dell’esperienza: l’analisi dello strato della rilevazione sensibile mostra come l’esperienza mediale implichi già
all’interno di questo snodo l’intervento di una forte progettualità. Nell’esperienza ordinaria le qualità sensibili compresenti
all’esperienza sono numerose e la loro organizzazione può essere solo locale e provvisoria. Nel caso dell’esperienza mediale,
invece, si assiste ad una riduzione del numero delle qualità e delle configurazioni sensibili ed a forme più rigorose e prolungate della
loro organizzazione: sia perché i mezzi tecnologici di riproduzione selezionano e portano in primo piano alcune qualità sensibili

(per esempio l’uso della pellicola cinematografica o dell’alta definizione digitale piuttosto che della ripresa in elettronico ed in bassa
definizione determinano uno stile visivo differente). Sia perché i materiali percettivi mediali soggiacciono ad un progetto e sono
quindi il frutto di un design sensibile (in questo caso visivo e sonoro) che effettua delle scelte, seleziona le qualità sensibili
appropriate a certe scelte stilistiche, costruisce rime e contrasti tra tali qualità.

5) L’ordinamento del mondo indiretto:


Si affronta il secondo snodo dell’esperienza mediale, collocato all’incrocio tra lo strato dell’ordinamento narrativo delle risorse
esperienziali e la costituzione del mondo diretto.

I concetti di situazione e mappa situazionale centrali in questo capitolo.

Viene esaminato il rapporto tra l’ordinamento narrativo del mondo indiretto ed il precedente snodo della rilevazione e
qualificazione sensibile e definisce il concetto di figura o metafora sensibile.

Situazioni e mappe situazionali:

- La situazione e le sue trasformazioni: funzione di spartiacque per diversi motivi


 Il sistema crono-topologico: l’arresto dell’auto avvia una stabilizzazione ed una precisazione spaziale e temporale: allo
spazio ed al tempo generici e frammentati di Las Vegas subentra il sistema spazio-temporale specifico ed omogeneo del
parcheggio notturno. Si viene precisando un determinato sistema crono-topologico.
 Azioni ed interazioni: i gesti ed i movimenti di Nick si rivelano come motivati, guidati, controllati da un progetto e da uno
scopo, è orientato ad uno scopo.
Viene tradotto visivamente il carattere orientato di movimenti e comportamenti dei personaggi individuando un oggetto
di mira su cui viene concentrata l’attenzione. Si passa dalla semplice visione di movimenti alla individuazione di azioni ed
interazioni dei personaggi- e dunque a sistemi di scopi e finalità che focalizzano l’attenzione su determinati elementi del
mondo indiretto i quali sono definibili perciò “oggetti di mira”.
 Gli stati interiori: l’insieme dei movimenti corporei e del tono di voce di Nick e quelli del poliziotto permettono di far
emergere due differenti stati d’animo. Emergono alcuni stati interiori ed emozionali dei personaggi.
Viene avviata la costituzione di una situazione. Possiamo definire la situazione come un certo “stato di cose” dotato di un
assetto e di un equilibrio riconoscibili. La situazione implica la combinazione di tre aspetti:
1. La collocazione spaziale e temporale di oggetti e soggetti
2. La manifestazione più o meno esplicita di una serie di azioni ed interazioni e quindi la presenza di mire ed obbiettivi
3. La manifestazione degli stati interiori dei personaggi

Si parla di un piano crono-topologico , di uno pratico ed di uno emozionale della situazione.

Spesso, nel caso dell’audiovisivo, il compito definirsi di un’azione viene evidenziato da un campo totale (ovvero tale da
abbracciare in un modo percepito come completo un certo spazio).

 La natura dinamica della situazione: tale assetto non rimane stabile a lungo.
Una prima trasformazione della situazione si ha a livello topologico.
Più radicale la trasformazione che si verifica dopo poiché assistiamo all’irruzione di uno sguardo alieno che da una
posizione nascosta osserva la scena. L’inserimento di un nuovo soggetto ( per quanto senza volto e senza corpo) porta
con sé un nuovo sistema di obbiettivi e di scopi.
La situazione è caratterizzata da un’estrema e costante mutevolezza: essa è attraversata da flussi di trasformazioni. I tre
differenti piani individuati- quello crono-topologico, quello pratico e quello emozionale- sono i livelli in cui agisce
un’incessante modulazione: la situazione viene costituita attraverso il loro costante mutamento.

- Le mappe situazionali: in quanto spettatori adeguatamente competenti, nell’accogliere i materiali sensoriali che il nostro
televisore eroga a nostro favore, noi costituiamo una situazione, ovvero una specifica porzione di quel più ampio campo
di oggetti intenzionali che è il mondo indiretto. La nostra relazione con la situazione in quanto realtà percettiva ed
intenzionale non è di pura, distaccata osservazione: noi facciamo un’esperienza viva ed attiva della situazione e delle sue
incessanti trasformazioni sui differenti piani.
Il carattere emotivo, razionale e pratico delle mappe situazionali: per poter rappresentare le situazioni del mondo
indiretto e cogliere le trasformazioni che le costituiscono, lo spettatore aggiorna costantemente delle mappe situazionali.
Una mappa situazionale è una configurazione di lavoro che comprende in forma sintetica gli sviluppi crono-topologici,
pratici ed emotivi che hann avuto luogo all’interno di una certa situazione.
Il suo carattere è omeodinamico: essa tende ad uno stato di equilibrio, che però deve essere continuamente ridefinito e
rinegoziato.
Inoltre la natura delle mappe situazionali è di tipo emotivo-cognitivo: la mappa situazionale non è uno strumento di
valutazione a “freddo” ed a posteriori rispetto all’esperienza viva, diretta e dinamica. Essa serve piuttosto ad avvertire e
valutare in modo molto veloce la pertinenza e la portata delle trasformazioni che intervengono nella situazione in modo
che i soggetti possano immediatamente reagire in modo adattivo ai nuovi stati di cose. Le mappe situazionali sono al
servizio di una esperienza momento per momento del mondo diretto e di una completa immersione del soggetto nel
presente dell’esperienza mediale.
 La portata delle trasformazioni: situazioni quadro e situazioni standard
La scala delle mappe situazionali: per cogliere la portata della trasformazione introdotta dal rapimento di Nick
rispetto alle altre trasformazioni registrate dalla mappa situazionale, dobbiamo introdurre una distinzione. Le mappe
situazionali possono adoperare due scale differenti per registrare le trasformazioni.
Mappe a scala ridotta: i mutamenti essenziali vengono registrati su una mappa sensibile solo alle grandi svolte, e
dunque a scala minore. All’interno di tali mappe “di sfondo” si disegnano i mutamenti fondamentali dell’episodio. Le
mappe a scala ridotta seguono e registrano gli andamenti e le trasformazioni delle “situazioni quadro”.
Mappe a scala ampia: i mutamenti più contingenti e “di primo piano” vengono tracciati all’interno di mappe a scala
più grande. Si parla di mappe a scala ampia e permettono la definizione di “situazioni standard”.
L’intero episodio vede la presenza di una sola situazione quadro: il rapimento di Nick.
Lo spettatore mediale è dotato di una biblioteca di mappe situazionali che è in grado di recuperare ed aggiornare
con relativa facilità.
 La cadenza delle trasformazioni delle situazioni quadro: turning points e la loro distribuzione
I turning points (punto di svolta): si tratta di una trasformazione decisiva che muove l’intera azione.

Trasformazioni narrative e qualità sensibili:

I processi sensibili e quelli percettivi vivono in un rapporto di costante, possibile rideterminazione reciproca. Nei processi di
ordinamento del mondo indiretto l’interazione tra sensazione e percezione segue due percorsi distinti.

- Trasformazioni narrative e trasformazioni sensibili: i punti di svolta e le variazioni del mondi indiretto vengono
accompagnate e segnalate da mutamenti e da scarti delle qualità sensibili, sia tonali che ritmiche. Il mutamento prima di
essere “compreso” viene “sentito” in base alla variazione di uno o più parametri sensibili.
- Le metafore sensibili: figure ed allegorie
Alcune qualità sensibili si collegano ad altrettanti elementi del mondo indiretto in modo tale da metterne in rilievo per
analogia determinate caratteristiche non immediatamente evidenti, ma comunque pertinenti.
Le figure possono essere isolate oppure collegarsi in serie coerenti e dare vita ad “allegorie” sensibili: la risonanza di
senso che lega le configurazioni percettive e quelle sensibili viene estesa in tal modo ad intere filiere di azioni di
personaggi differenti, o a catene di ambienti diversi.
Inoltre sia le figure isolate che le serie allegoriche possono entrare in opposizione reciproca.ù

Il design narrativo dell’esperienza: nel caso dell’esperienza mediale le situazioni quadro che rappresento sono in numero limitato e
controllabile, anche se possono essere molto numerose, quasi a simulare la molteplicità della vita quotidiana reale. Inoltre sul
versante della cadenza delle trasformazioni non percepisco un clock regolare di trasformazioni nelle situazioni che compongono la
mia esperienza quotidiana, al contrario nell’esperienza mediale la cadenza delle trasformazioni è spesso ben definita ed in quanto
tale avvertibile dallo spettatore.

6) L’ordinamento del discorso:


Si tratta del terzo snodo dell’esperienza mediale, collocato al punto di incrocio tra lo strato dell’ordinamento delle risorse
esperienziali ed il campo degli oggetti intenzionali del discorso.

Il concetto di discorso e le tre accezioni che esso delinea: la produzione, l’intreccio ed il formato.
Esamina i differenti modi e gradi di evidenza del discorso rispetto al mondo indiretto, all’interno dell’esperienza mediale.

Il discorso analizzato secondo la sua accezione di intreccio: questo viene analizzato in quanto traccia di una serie di movimenti e
gesti compositivi.

- Il discorso è un’entità sincretica: è opportuno distinguere tra differenti definizioni del discorso all’interno dell’esperienza
mediale. Ne individuiamo tre:
1. Il discorso come produzione: secondo la consapevolezza della natura artificiale ed eterodiretta dell’esperienza
mediale. Le attività di osservazione valutativa del mondo indiretto ed i relativi aggiornamenti delle mappe
situazionali vengono guidati da un fluire di immagini e di suoni controllati dall’esterno e dotato di un’esistenza
autonoma.
Il discorso è quel “processo di manifestazione dei materiali sensoriali responsabili della costituzione progressiva
dell’esperienza mediale”
2. Il discorso come intreccio: “procedimento di composizione di materiali eterogenei precedentemente sussistenti, in
un insieme unitario ed originale di nuova fattura”, un’azione di montaggio o per meglio dire di tessitura. L’intreccio
compone materiali eterogenei in un insieme unitario.
3. Il discorso come formato: il prodotto dei gesti di composizione si dispone all’interno di un “ambiente spaziale o
temporale dotato di una estensione misurabile e di una conformazione descrivibile in termini di struttura”.
Il formato è definito da caratteristiche temporali e consiste nei 7 segmenti lineari di circa sette minuti di cui si
compone ogni episodio di CSI, per una durata complessiva di circa 50 minuti ad episodio.
Questa articolazione a base temporale potrebbe essere tradotta in termini spaziali: se acquistassimo il DVD di Grave
Danger troveremo un menu che segmenta il doppio episodio in una serie di “capitoli”.
Il discorso viene definito all’interno dell’esperienza mediale in 3 modi:
come produzione: entità dinamica costituita dai materiali mediali responsabili del farsi dell’esperienza in corso
come intreccio: procedimento di composizione di materiali eterogenei in un insieme unitario
come formato: oggetto dotato di un’estensione e di un’articolazione spaziale e temporale
- Le evidenze del discorso:
il discorso come oggetto di rappresentazione nel mondo indiretto: il discorso può manifestarsi mediante una traduzione
esplicita all’interno del mondo diretto, ovvero una messa in scena di processi ed attività discorsive. Queste attività
possono essere dello stesso tipo del discorso in atto (i casi della cosidetta “mise en abime”: cinema nel cinema, quadro
nel quadro, racconto nel racconto).

Il design temporale dell’esperienza: ogni giorno noi costruiamo continuamente intrecci. Buona parte della nostra esperienza
ordinaria è dedicata a riorganizzare le esperienze passate o ad immaginarne di future in termini narrativi, mediante un montaggio
ed una loro composizione discorsiva capace di produrre nuove configurazioni sensate. La differenza mediale in cosa differisce?

All’interno dell’esperienza ordinaria permane una separazione tra l’esperienza viva e diretta e la sua organizzazione narrativa e
discorsiva. Al contrario, nell’esperienza mediale il rapporto con il mondo indiretto e la percezione della sua organizzazione nel
discorso sono compresenti e contemporanei: in quanto spettatore o lettore percepisco il mondo indiretto e vivo le sue
trasformazioni proprio e solo attraverso la percezione dei gesti di composizione con l’intreccio. Da qui deriva una particolare
esperienza temporale che consiste nel sentire e nel vivere il tempo del mondo indiretto non semplicemente nei termini lineari e
progressivi del tempo sociale e storico, ma piuttosto in quanto “variazione immaginaria” (Ricoeur) della temporalità ordinaria.

Il carattere progettuale dell’esperienza mediale: il procedimento della composizione dell’intreccio nell’esperienza mediale non è
autodeterminato come nell’esperienza normale, ma eterogestito ed eterodiretto. L’esperienza temporale è il risultato di una
pianificazione e di un progetto: il discorso narrativo ed in particolar modo l’intreccio si rivelano gli strumenti di un design temporale
dell’esperienza.9

7) L’ordinamento del mondo diretto:


Il quarto nodo dell’esperienza mediale si colloca all’incrocio tra lo strato dell’ordinamento narrativo ed il campo di oggetti
intenzionali del mondo diretto: il modo in cui si definisce, all’interno del mondo diretto, il suo rapporto di continuità o di
discontinuità con il mondo indiretto. È importante la distinzione fra mondo egotropico e mondo allotropico per descrivere i
differenti regimi di rapporto tra mondo diretto e mondo indiretto.
I rapporti tra mondo diretto ed indiretto nel caso di esperienze mediali di finzione, e considera la possibilità che il rapporto di
discontinuità proprio di questo tipo di esperienza mediale venga rinegoziato a favore di forme parziali o fittizie di continuità.

Le regolazioni del rapporto tra mondo diretto ed indiretto:

 Mondo egotropico e mondo allotropico:

Agire pratico ed agire osservativo: le figure dello spettatore nel mondo indiretto: in questa sequenza spicca la quasi totale
mancanza di azione. Una porzione molto ampia del flusso discorsivo viene dedicata al semplice atto di aprire una busta ed
estrarne i due oggetti contenuti. Se l’agire pratico viene deprivato viene messo in evidenza l’osservare l’agire altrui.
L’azione vera e propria (l’aprire la busta da parte di Grissom) viene dilatata e rallentata nella misura in cui le si affianca e
sovrappone l’atto di assistere all’azione stessa (che coinvolge il resto della squadra). Azione pratica ed azione osservativa
non sono intrecciate né semplicemente giustapposte: sono decisamente separate. La vetrata che si frappone fra l’operare
di Grissom e l’osservare della squadra definisce un setting spaziale rigidamente bipartito: i detective osservano “al di qua”
della vetrata quanto si svolge “al di là” di essa, senza la possibilità di intervenire direttamente.

Questo setting e la condizione dei detective della squadra richiamano per analogia la situazione di un altro soggetto,
ovvero lo spettatore stesso, intento ad osservare una serie di azioni dalle quali è radicalmente separato, sulle quali non
può influire direttamente e che non possono riguardarlo personalmente. Esattamente come la squadra osserva da dietro
la vetrata le azioni del suo capo, lo spettatore percepisce se stesso nell’atto di osservare l’ insieme delle azioni che si
svolgono all’interno del mondo indiretto, separato e protetto dalla superficie dello schermo televisivo. Non a caso la
cornice della vetrata duplica quella dello schermo televisivo.

Approfondendo la natura di questa separazione: lo spettatore non può agire su né “essere agito” da quanto avviene al di
là dello schermo, all’interno del mondo indiretto. O per lo meno non può farlo allo stesso modo in cui agisce e viene agito
all’interno del mondo diretto “al di qua” dello schermo. Questo principio implica due differenti criteri di organizzazione
dei due mondi:

1. Il mondo diretto “al di qua” dello schermo è organizzato in riferimento alla presenza corporea situata dello
spettatore. Questa definisce le coordinate spaziali, temporali ed il tipo di relazioni personali con gli altri soggetti che
fanno parte della stessa porzione di mondo: spazio, tempo e relazioni personali vengono percepiti in riferimento al
qui, all’ora, all’io che determinano il radicamento di ciascun soggetto nella situazione. Il mondo diretto è un mondo
alla prima e alla seconda persona.
2. Il mondo indiretto “al di là” dello schermo viene organizzato come un sistema autonomo rispetto al radicamento
somatico dello spettatore nella propria situazione di vita, sistema dotato di punti di riferimento e di orientamento
completamente interni. Si tratta di un mondo alla terza persona.

Il mondo diretto è un mondo egotropico/organizzazione egotropica del mondo diretto: è la nicchia spaziale e temporale il
cui il soggetto si sente immediatamente situato e che quindi vive e valuta in riferimento al proprio corpo, alle sue
possibilità di movimento e di azione, all’impatto che gli eventi e le trasformazioni hanno su di esso.

Il mondo diretto è un mondo allotropico/organizzazione allotropica del mondo indiretto: è vissuto come separato da
questa dimensione esistenziale di immediato contatto e di personale coinvolgimento.

 I regimi del rapporto tra mondo diretto ed indiretto: l’esperienza dell’organizzazione egotropica o allotropica del
mondo non è esclusiva dell’esperienza mediale, tuttavia essa caratterizza l’esperienza mediale ed in particolare la
distinzione tra mondo diretto e mondo indiretto.
La conseguenza più immediata di questo principio è una costitutiva discontinuità tra mondo diretto e mondo
indiretto: i media introducono l’esperienza di due mondi ugualmente abitabili, ma ontologicamente differenti ed in
linea di principio non comunicanti.
Sono possibili due tipi di sviluppo:
1. La radicalizzazione dell’allotropia del mondo indiretto: radicalizzare la discontinuità costitutiva di mondo diretto
e mondo indiretto. È quanto avviene nelle esperienze di finzione . La discontinuità viene applicata per
sineddoche (in base ad un’omologia del tutto con la parte) agli interi mondi di vita che circondano i soggetti
situati. L’organizzazione egotropica o allotropica si estende fino a coinvolgere non solo la porzione di mondo
immediatamente presente al soggetto, ma altresì gli orizzonti di ricordi e di attese o progetti che circoscrivono e
qualificano tale presente e dunque le mappe situazionali mediante le quali il soggetto dona senso a quanto gli
sta accadendo. Alcuni eventi passati ed alcuni progetti ed attese ci riguardano più direttamente di altri in
quanto fanno parte in modo più immediato del nostro mondo.
2. L’egotropizzazione del mondo indiretto: riassorbire la discontinuità tra mondo diretto e mondo indiretto e a
riconfigurare quindi il mondo indiretto in quanto egotropico. È il caso dell’esperienza media fattuale. In alcuni
casi ciò avviene in quanto il mondo di vita che costituisce l’orizzonte del mondo indiretto è lo stesso dello
spettatore: per esempio nei notiziari di informazione, nei documentari, nei film di famiglia. In casi ancora più
estremi può accadere che la stessa porzione di mondo indiretto mostrata dai dispositivi mediali vada ricollegata
all’interno della situazione egotropica del mondo diretto (il caso delle videocamere di sorveglianza).

L’esperienza di finzione dalla discontinuità alla pseudocontinuità:

 Dalla discontinuità radicale alla discontinuità moderata


1. Il regime di finzione: allotropia radicale del mondo indiretto

L’esperienza della finzione lavora all’interno di un orizzonte di competenze e di attese che prevede una discontinuità
radicale tra mondo diretto egotropico e mondo indiretto allotropico. La squadra CSI che osserva Grissom da dietro la
vetrata permette allo spettatore di percepire una relazione di (parziale) analogia con la propria situazione.

Tuttavia per un verso le esperienze fattuali riprendono vari aspetti di quelle finzionali, per un altro verso le esperienze
finzionali utilizzano alcune modalità espressive proprie delle esperienze fattuali in modo da far vivere al proprio
spettatore l’esperienza finzionale “quasi come” fosse fattuale.

2. Il regime di finzione: allotropia moderata del mondo indiretto


La squadra CSI che segue le azioni di Grissom da dietro la vetrata. Essa esprime una discontinuità tra sistema
osservante e sistema osservato e rinvia alla discontinuità tra mondo diretto e mondo indiretto. Tuttavia al tempo
stesso tale setting tempera e corregge questa discontinuità: il mondo indiretto è certamente distinto dal mondo
diretto e dalla situazione egotropica in cui lo spettatore è inserito, ma al tempo stesso ne “riproduce” al proprio
interno alcuni aspetti ed andamenti: tendenza alla messa in scena.
In precedenza la squadra osservava Grissom nell’atto di agire, ora tanto la squadra (compreso Grissom) quanto Nick
ascoltano un messaggio registrato: l’oggetto di attenzione percettiva è ora un discorso mediato da un dispositivo
tecnologico. Lo spettatore riceve dunque ulteriori indicazioni per riconoscere nella situazione del mondo indiretto la
situazione del mondo diretto della quale egli fa parte.
Anche se i materiali sensoriali non sono più di tipo visivo, ma puramente uditivi lo spettatore si rende conto che le
percezioni dei personaggi coincidono con le sue: agli ascolta il messaggio registrato e la canzone come ed insieme a
Nick e ai membri della squadra.
Quando Grissom inserisce nel computer la chiavetta USB ed appaiono sullo schermo i messaggi del rapitore ed il
volto di Nick ripreso dalla web-cam. Le ripetute inquadrature dello schermo del computer (nuovo ed ulteriore
dispositivo tecnologico di erogazione di materiali sensoriali) fanno sì che non solo le percezioni uditive dei
personaggi coincidano con quelle dello spettatore, ma che anche quelle visive siano in certa misura le stesse.
 La diegetizzazione del dispositivo: è il primo caso di negoziazione della discontinuità radicale tra mondo diretto
e mondo indiretto propria dell’esperienza finzionale. La situazione di visione e di ascolto dei materiali mediali
per il tramite di un dispositivo tecnologico, propria del mondo diretto, viene riprodotta all’interno del mondo
indiretto. Il mondo egotropico che circonda e situa lo spettatore viene allotropizzato all’interno del mondo
indiretto. Dalla diegetizzazione del dispositivo deriva un rapporto di discontinuità moderata tra mondo diretto e
mondo indiretto.
Compiamo tre osservazioni in merito:
1. Il procedimento della diegetizzazione del dispositivo può essere implicito e variamente mascherato. Per
esempio la scena in cui Grissom da dietro la vetrata , pur non mettendo in scena un vero e proprio
dispositivo mediale, presenta un’analogia con l’atto di guardare uno schermo televisivo.
2. Per annullare parzialmente la discontinuità tra mondo diretto ed indiretto l’esperienza finzionale fa ricorso
ad un procedimento tipico dell’esperienze mediali di tipo fattuale. Per esempio nell’intrattenimento e
nell’informazione vengono messi in scena nel mondo indiretto vari tipi di rappresentazioni “vicarie” allo
spettatore che rappresentano delle istruzioni per l’uso.
3. Quando il procedimento della diegetizzazione del dispositivo viene adoperato all’interno di un’esperienza
finzionale, spesso viene espressa una teoria riferita all’essere e all’agire dello spettatore. Le
rappresentazioni dello spettatore per un verso gli restituiscono la propria situazione, orientando la sua
attenzione a quanto egli è e a quanto egli fa nel mondo diretto. Per altro verso gli forniscono alcune
indicazioni ed alcune risorse interpretative mediante le quali egli può “rendersi conto” della condizione
nella quale è immerso. Per esempio i passaggi analizzati (dalle azioni di Grissom osservate da dietro ka
vetrata ai messaggi vocali ascoltati da Nick e dalla squadra , fino allo spettacolo di Nick sepolto vivo che la
web-cam mostra tanto ai suoi compagni quanto allo spettatore) evidenzia in misura crescente una
condizione caratterizzata al tempo stesso da una piena capacità di visione ed una completa impotenza di
azione, condizione vissuta dai personaggi in scena, ma anzitutto propria e tipica dello spettatore e parte
essenziale del piacere che lo mantiene di fronte allo schermo.
 Dalla discontinuità alla pseudocontinuità:
il regime di finzione: pseudoegotropia del mondo diretto
questi sguardi in macchina dei personaggi vengono giustificati in quanto rivolti ad uno schermo più ampio
appeso ad altezza d’uomo nel laboratorio. Tuttavia questi costituiscono uno shock per lo spettatore.
Contrariamente alle regole ordinarie dell’esperienza mediale di finzione, lo spettatore ha l’impressione che lo
sguardo che sta rivolgendo al mondo indiretto venga colto e restituito dai soggetti di tale mondo. Per lunghi
momenti lo sguardo dei soggetti che abitano il mondo indiretto incrocia il suo, sembra avvertire la sua presenza
ed istituire con lui un legame di reciprocità particolarmente forte ed intimo.
Le ragioni del disagio procurato da questo sguardo in camera: gli insistiti sguardi lanciati dai personaggi verso lo
spettatore implicano che mondo diretto e mondo indiretto non siano più distinti in quanto sistema allotropico e
sistema egotropico, ma piuttosto facciano entrambi parte di uno stesso sistema egotropico. Il rapporto di
discontinuità fra il mondo indiretto ed il mondo diretto viene riconfigurato in modo molto più radicale che nel
caso della discontinuità moderata: prima si parlava di eterotropizzazione del mondo diretto, ora parliamo di
egotropizzazione del mondo indiretto. Tra mondo indiretto e mondo diretto cade la cesura della discontinuità e
si costituisce un regime unitario e fluido. Tuttavia poiché una distinzione comunque permane, parliamo d un
rapporto di pseudocontinuità e di una pseudoegotropia del mondo indiretto.
Il rapporto di pseudocontinuità tra mondo indiretto e mondo diretto è relativamente raro nel caso delle
esperienze mediali di finzione, ma non è assente. In alcuni casi sono gli inzi e le conclusioni a rappresentare casi
di costituzione di una pseudopresenza diretta dei personaggi che guardano negli occhi lo spettatore e gli
“danno del tu”, mentre le parti centrali sono deputate ad una narrazione “alla terza persona”. In altri casi
sguardi ed indicazioni rivolti dai personaggi allo spettatore sorgono inaspettati, investono improvvisamente lo
spettatore e gli rivelano che quanto egli sta guardando “lo riguarda”.
Come per la discontinuità moderata i procedimenti di interpellazione diretta dello spettatore o del lettore,
responsabili del regime di pseudocontinuità nell’esperienza di finzione, sono frequenti o normali in tutti i casi di
esperienza fattuale.

Il design ontologico dell’esperienza mediale: l’organizzazione del mondo in porzioni egotropiche ed allotropiche e la necessità di
organizzare i rapporti tra esse fanno parte dell’esperienza ordinaria che

ciascuno di noi svolge continuamente all’interno della vita quotidiana. Tuttavia l’esperienza mediale introduce due particolarità:

1. Essa impone necessariamente una distinzione netta fra un mondo diretto egotropico ed un mondo indiretto, che essendo
costituito a partire da un discorso, è allotropico. L’esperienza mediale ci obbliga a valutare di volta in volta se quanto
scorre nel mondo indiretto si configura per noi “alla terza persona” oppure se i soggetti e gli eventi che guardiamo ed
ascoltiamo ci rivolgono un appello diretto e ci coinvolgono in prima persona: dobbiamo decidere se e quanto “ci
riguardino” e ci “pungano” (una metafora utilizzata da Roland Barthes in un saggio sulla fotografia.
2. L’esperienza mediale attua un lavoro di progettazione di questo aspetto dell’esperienza. Per un verso essa si basa su
quella rete di saperi pratici che permette di distinguere differenti esperienze mediali e che funziona quindi da orizzonte di
attese nel momento in cui si affronta una particolare esperienza mediale. Per altro verso ogni particolare esperienza
mediale introduce al proprio interno risistemazioni, negoziazioni, passaggi inaspettati. L’esperienza mediale progetta
dunque i modi mediante i quali i soggetti vivono il rapporto con i mondi “altri” e, allo stesso tempo, prendono coscienza
dei limiti, delle possibilità, delle responsabilità insite nel “mondo proprio”: essa realizza un design ontologico
dell’esperienza.

8) Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto:


Si tratta del quinto snodo dell’esperienza mediale, all’incrocio tra lo strato di costituzione del legame relazionale
intersoggettivo ed il campo di oggetti intenzionali del mondo indiretto.
Sono esaminate le relazioni tra il soggetto dell’esperienza mediale ed il soggetto della percezione del mondo indiretto
(quell’entità identificata spesso con la macchina da presa).

Sono poi analizzate le relazioni tra il soggetto dell’esperienza e gli altri soggetti rinvenibili all’interno del mondo indiretto: “i
personaggi”.

Il soggetto della percezione del mondo indiretto:

 Rendersi conto del soggetto della percezione: noi percepiamo due serie di azioni distinte (per quanto strettamente
correlate), riferibili a due diversi soggetti. Da un lato vediamo le azioni svolte da Grissom all’interno del mondo indiretto:
il suo restare fermo ad osservare il capannone, il suo avanzare ed aprire la porta. Dall’altro lato assistiamo ad una serie di
azioni percettive svolte da un altro soggetto che guarda, si avvicina o si ritrae, sta fermo o si muove rispetto alla scena del
mondo indiretto, più o meno in sincronia con i soggetti che ci abitano. La percezione è un processo attivo di esplorazione
sensomotoria e prensione situata del mondo, le immagini che vediamo ci fanno assistere “dal vivo” ad uno di questi
processi attivi di percezione.
Per quanto le due serie di azioni appaiano in contemporanea e congiunte, l’agire percettivo del soggetto anonimo che
segue le azioni di Grissom è logicamente prioritario: infatti è solo mediante il percepire quanto tale soggetto sente che lo
spettatore può assistere all’agire di Grissom ed in generale a quanto avviene nel mondo indiretto. Prima ancora di
avvertire la presenza dei soggetti interni al mondo indiretto, lo spettatore si rende conto quindi della presenza di un altro
tipo di soggetto che chiameremo “il soggetto della percezione” del mondo indiretto.
 Comprendere il soggetto della percezione: il soggetto della percezione si presenta allo spettatore come responsabile di
un’attività percettiva in atto esercitata rispetto al mondo indiretto. Egli viene quindi qualificato dal tipo di rapporto che lo
lega a tale mondo, rapporto che lo spettatore può comprendere a partire da una serie di tracce ed indizi.
1. Esclusione del soggetto della percezione: nulla allude al fatto che il soggetto faccia parte del mondo indiretto poiché
nessuno si rivolge a lui, né i suoi movimenti rimandano ad una presenza direttamente coinvolta e coinvolgibile in
quanto si sta svolgendo. Il rapporto perciò tra il soggetto della percezione ed il mondo indiretto che egli percepisce è
un rapporto di “esclusione”: il mondo indiretto è per il soggetto della percezione, un mondo che egli percepisce ma
che lo esclude.
Esclusione radicale vs esclusione moderata: i totali in cui la macchina da presa è immobile evidenziano certamente la
condizione di esclusione del soggetto della percezione dal mondo. In altri momenti tuttavia la macchina effettua
leggeri movimenti nervosi o più consistenti spostamenti in avanti tali da manifestare una precisa intenzionalità che
guida l’esplorazione percettiva. In questi casi il soggetto della percezione manifesta (per quanto debolmente) il
possesso di un corpo, di una collocazione nel mondo, di stati di coscienza che si traducono in movimento. Egli
manifesta insomma una semipresenza all’interno del mondo indiretto, benchè esso risulti comunque escluso da tale
mondo- in particolare a partire dall’atteggiamento dei soggetti del mondo indiretto che, come Grissom, non ne
riconoscono la presenza.
Distinguiamo pertanto un rapporto di esclusione radicale da un rapporto di esclusione moderata.
Esclusione radicale: il soggetto della percezione percepisce un mondo da cui è completamente escluso.
Esclusione moderata: il soggetto della percezione manifesta una presenza ed una semi-inclusione all’interno di un
mondo che tuttavia non riconosce tale presenza.
2. Inclusione del soggetto della percezione: numerose inquadrature statiche o dinamiche che sono riferibili a quanto
egli vede nel suo percorso esplorativo. Si tratta di quel tipo di inquadrature che vengono chiamate “soggettive”. Il
rapporto tra soggetto della percezione del mondo indiretto ed il mondo ora è inclusivo. Chi percepisce è situato con
il proprio corpo nel mondo indiretto, agisce al suo interno, può essere toccato dalle trasformazioni che vi si
verificano e viene riconosciuto in quanto tale dagli altri soggetti presenti in esso.
Inclusione radicale: la soggettiva
Inclusione moderata: le immagini della web-cam che riprendono Nick sofferente, manifestano la propria origine
tecnologica e riproduttiva. Anche in questo caso il soggetto della percezione è situato all’interno del mondo
indiretto, ne fa parte, vi agisce e viene direttamente toccato, ma tale soggetto è un dispositivo tecnologico di ripresa.
La web-cam è un caso estremo poiché essa funziona senza che vi sia qualcuno a manovrarla, come una videocamera
di sorveglianza o una telecamera robotizzata in grado di operare senza alcun soggetto umano.
In altri casi la produzione di immagini da parte di un dispositivo di ripresa richiama per metonimia la presenza di un
soggetto umano che maneggia il dispositivo di registrazione all’interno del mondo indiretto e si avvicina
all’inclusione radicale propria della soggettiva (il caso della diegetizzazione del dispositivo di ripresa delle immagini e
dei suoni come procedimento utile a riassorbire la discontinuità tra mondo diretto e mondo indiretto).
 Condividere il soggetto della percezione: anche io ho svolto un’azione di esplorazione sensomotoria, analoga a quella che
vedo effettuare dal soggetto della percezione all’interno del mondo indiretto. Tuttavia questa mia azione viene svolta e
controllata da me all’interno di un mondo che abito e nel quale mi muovo liberamente e mi appartiene. Invece l’attività di
percezione dello spostamento di Grissom viene svolta da un soggetto che è altro da me all’interno di un mondo che non
mi è direttamente presente, e dunque non mi appartiene.
Tuttavia un’alternativa tra appartenenza e non appartenenza dell’esperienza percettiva può essere negoziata.
L’attività di esplorazione sensomotoria e di prensione situata del mondo non vengono solo attuate direttamente dai
soggetti della percezione mediante spostamenti fisici nel mondo, ma anche svolte in un regime di simulazione
incorporata. Questo fa sì che oltre alla percezione effettiva vi siano continue attività percettive del tipo “come se”:
ricostruzioni, preparazioni o semplici ipotesi di tragitti esplorativi.
La condivisione dei processi sensoriali del soggetto della percezione: questa abitudine alla costante simulazione di attività
percettive e sensomotorie fa sì che lo spettatore, nel momento in cui si trova di fronte le tracce dell’attività in atto del
soggetto della percezione del mondo indiretto, possa leggerle come percorsi si simulazione incorporata che si svolgono
all’interno del mondo indiretto,e quindi viverle come attività percettive e sensomotorie parzialmente proprie e non più
radicalmente di altri. In questo caso parliamo di una condivisione dell’esperienza percettiva tra soggetto dell’esperienza e
soggetto della percezione del mondo indiretto. La opponiamo ad un regime di non condivisione della stessa esperienza.
-il posizionamento dello spettatore: comprendere la relazione tra il soggetto della percezione ed il mondo indiretto da un
lato e far scartare o meno una condivisione dell’esperienza percettiva svolta da tale soggetto dall’altro rappresentano fasi
differenti della costituzione della relazione intersoggettiva. Tuttavia esse si determinano reciprocamente e definiscono
congiuntamente il tipo di esperienza percettiva che lo spettatore fa del mondo indiretto. In particolare l’incrocio delle
diverse possibilità emerse in ciascuno dei due ambiti definisce differenti “posizionamenti” e gradi di coinvolgimento
percettivo dello spettatore rispetto al mondo indiretto: da un grado massimo di distacco (rapporto di esclusione del
soggetto della percezione rispetto al mondo indiretto e relazione di non condivisione tra questi e lo spettatore) ad un
grado massimo di presenza (rapporto di inclusione del soggetto della percezione rispetto al mondo indiretto e relazione
di condivisione tra questi e lo spettatore), passando per gradi intermedi ed altri incroci.

I soggetti interni al mondo indiretto:


 Rendersi conto del personaggio: Grissom in quanto soggetto interno al mondo indiretto
 Il corpo del personaggio esprime lo svolgimento dei suoi stati di coscienza: da un mondo di soli oggetti si è
passati alla manifestazione della presenza personale. Lo spettatore si rende conto che all’interno del mondo
indiretto è presente ed operante un soggetto. Questo “rendersi conto” è collegato al manifestarsi della
presenza di un corpo vivente e visibile, situato in un mondo e nell’atto di operare al suo interno. Ciò che rende
evidente la “vita” di questo corpo non è il suo semplice apparire e neppure il suo altrettanto semplice muoversi.
Se attribuiamo al corpo di Grissom lo statuto del corpo di un soggetto è perchè, a partire dalla propria presenza
e mediante il proprio movimento, esso manifesta lo svolgersi ed il manifestarsi di un’esperienza in atto. Il corpo
in movimento di Grissom appare come il corpo di un soggetto, in quanto strumento di costituzione e di
manifestazione di una serie di stati di coscienza.
 Soggetti vs oggetti: la presenza di copri in grado di manifestare un’esperienza in atto, e quindi la costituzione
progressiva di stati di coscienza, introduce una prima distinzione all’interno del mondo indiretto fra “soggetti”
ed “oggetti”. Alcuni elementi che di per sé sarebbero oggetti possono essere percepiti in quanto viventi e
soggettivati qualora sia possibile attribuire ad essi stati coscienti. Per converso, è possibile che alcuni soggetti
umani perdano la capacità di manifestare stati di coscienza e divengano quindi soggetti oggettivizzati:
l’iconografia degli zombies nei film dell’orrore.
 Comprendere il personaggio:
 Il corpo del personaggio e la comprensione degli stati di coscienza: si compie un passo ulteriore rispetto al
semplice rendersi conto che esiste un soggetto esperiente dotato di stati di coscienza. Lo spettatore viene ora
avviato a comprendere gli stati di coscienza che caratterizzano concretamente ed in un determinato momento
l’esperienza in atto di Grissom: tensione, preoccupazione, inquietudine, determinazione, disgusto, curiosità
Come avviene questa operazione di interpretazione e comprensione?
1. Fisiognomica dei personaggi: questa procede a partire dalla presenza del corpo di Grissom al centro
dell’immagine (la sua costituzione massiccia, la mimica dei suoi movimenti e delle sue posture, quella del
suo volto). Anche la sua voce, anch’essa riconducibile ad una sorta di gesto, prodotto e prolungamento di
un atto di fonazione che interviene sull’ambiente circostante. La centralità del corpo si riconferma al
momento della comprensione dei suoi stati di coscienza.
Il ruolo del corpo del personaggio ai fini si un’interpretazione dei suoi stati interiori si gioca su due livelli
collegati, uno più generale ed uno più particolare.
A livello più generale i corpi sono dotati di alcune qualità sensibili (sia tonali che ritmiche) stabili e
ricorrenti: corporatura, modo di gesticolare, mimica del volto, voce.
A volte differenti qualità somatiche non si limitano a distinguere “esteriormente” i vari personaggi, ma
indicano differenti stili di comportamento “interiore”.
A livello più particolare e contingente, tali qualità somatiche stabili e ricorrenti vengono di volta in volta
rigiocate nelle particolari azioni e situazioni in cui i personaggi sono coinvolti e servono allo spettatore da
sistema di riferimento per cogliere gli stati di coscienza (ragionamenti, umori, emozioni, piani di azione).
2. La consonanza somatica tra personaggio e spettatore: in che modo passiamo dall’osservazione del corpo di
Grissom e dei suoi movimenti agli stati di coscienza che esso vive e manifesta? Osservare la mimica del
personaggio noi ripetiamo a nostra volta in forma virtuale la microsceneggiatura somatica cui tale mimica
risponde, e siamo in grado di sperimentare personalmente e direttamente gli stati di coscienza cui tale
microsceneggiatura è collegata. Mediante l’osservazione del copro altrui e del suo muoversi , noi attiviamo
un particolare vocabolario somatico ed esperienziale che lega microsceneggiature sensomotorie e stati di
coscienza cognitivi, affettivi, attivi. La comprensione degli stati di coscienza altrui a partire dal corpo
mobile dell’altro, viene resa possibile da un meccanismo di “consonanza” tra lo spettatore ed il
personaggio in scena. Tutti stati di coscienza che lo spettatore stesso vive in forma simulata.
3. Il ruolo dell’inferenza nella comprensione degli stati di coscienza: il meccanismo della consonanza è una
condizione necessaria ma non sufficiente per giungere alla comprensione degli stati di coscienza. Lo
spettatore può comprendere quanto Grissom pensa, sente e sente di fare solo se fa intervenire il proprio
sapere previo quanto è accaduto. Il meccanismo interpetativo della consonanza va integrato con un
meccanismo di inferenza che fa riferimento ai saperi sedimentati nella mappa situazionale elaborata fino a
quel punto.
4. La determinazione incrociata fra consonanza ed inferenza: il meccanismo della consonanza e quello
dell’inferenza non sono due vie alternative di interpretazione degli stati di coscienza del personaggio. Si
trovano in una relazione di determinazione incrociata tale da configurare la comprensione degli stati di
coscienza altrui come un movimento “a spirale”, in base alla dinamica dei processi interepretativi: più lo
spettatore “vive” gli stati di coscienza del personaggio mediante il meccanismo di consonanza, meglio può
richiamare e mettere a punto gli sfondi di sapere mediante le inferenze e meglio potrà “impersonare” il
soggetto del mondo indiretto che si muove sullo schermo.
5. Soggetti di primo piano vs soggetti di secondo piano: i meccanismi legati alla comprensione dei soggetti del
mondo indiretto introducono due distinzioni a loro riguardo. Lo spettatore non è chiamato a comprendere
tutti i personaggi allo stesso modo e con un simile grado di continuità e di dettaglio degli stati interiori. Ciò
determina una distinzione fra personaggi principali e personaggi secondari, un gioco di rilievo dei
personaggi tra soggetti “di primo piano” e “di sfondo”. È un gioco mobile e negoziabile poiché spesso nei
racconti un personaggio di sfondo si rivela decisivo ad un certo punto della vicenda, oppure ritorna
inaspettatamente in un altro episodio della stessa serie o finisce per divenire un personaggio stabile.
È possibile inoltre che alcuni personaggi si dimostrino uniti da criteri di comprensione omogenei: in gruppo
mentre manifesta stati di coscienza analoghi. Si definisce pertanto una distinzione tra soggetti individuali e
soggetti collettivi.
 Condividere il personaggio:
1. Dalla comprensione alla condivisione degli stati di coscienza: il termine comprendere non esprime a pieno il tipo
di relazione che intratteniamo con il personaggio del detective. C’è un ulteriore passaggio che ci conduce a
condividere una parte degli stati di coscienza di Grissom. La relazione fra lo spettatore ed il soggetto del mondo
indiretto passa da una relazione di comprensione ad una relazione di condivisione degli stati di coscienza. In
cosa consiste questa condivisione e cosa viene condiviso tra spettatore e soggetto del mondo indiretto? Quali
meccanismi e quali condizioni determinano un simile passaggio?
2. Le inquadrature soggettive e la condivisone dell’agire percettivo: il ruolo fondamentale delle soggettive e delle
semisoggettive di Grissom
Semisoggettive:carrelli che lo seguono da dietro le spalle
Soggettive visive e sonore: inquadrature di quanto egli vede ed ascolta nel suo percorso di esplorazione
percettiva.
La soggettiva implica un rapporto di inclusione radicale tra il soggetto della percezione ed il mondo indiretto ed
incoraggia una relazione di condivisione dell’esperienza percettiva tra questi e lo spettatore.
La soggettiva sollecita mediante un meccanismo di sineddoche (la parte per il tutto) una condivisione più ampia
non solo delle percezioni, ma di tutto l’insieme degli stati di coscienza (cognitivi, emotivi, attivi) del soggetto del
mondo indiretto così come si presentano in quel momento e così lo spettatore può comprenderli in base alla
dinamica di consonanza ed inferenza.
3. La condivisione degli sfondi memoriali, affettivi e valoriali: l’organizzarsi delle soggettive in una rete sistematica
che fa riferimento ai membri della squadra CSI rinvia ad una terza area ed ad un terzo grado di condivisone tra
spettatore e soggetti del mondo indiretto. Ciò che accomuna i membri della squadra CSI e lega al tempo stesso
lo spettatore a questa microcomunità è uno sfondo condiviso di memorie, di affetti, di sensibilità, di convinzioni
e di valori che si è definito e precisato nel tempo. La portata sineddotica della soggettiva percettiva si estende
fino a coinvolgere la condivisione di un sentire comune che tocca sia una serie di memorie e di competenze di
lunga durata (che prescindono il singolo episodio) sia di un’etica di fondo.
4. Soggetti protesi e soggetti alieni: lo spettatore può condividere con alcuni soggetti del mondo diretto alcuni
stati di coscienza contingenti, lo sviluppo e lo stato della propria mappa situazionale, un sentire di fondo
relativo a memorie e valori. Le tre aree ed i tre gradi di condivisione si rafforzano e si sorreggono
reciprocamente (tali condivisioni sono attivate e riattivate molto spesso da inquadrature soggettive: il fatto che
lo spettatore venga calato nella posizione percettiva contingente e somaticamente situata del personaggio
rinvia per sineddoche agli altri ordini di condivisione e non a caso si parla di “punto di vista” del personaggio per
indicare tutto l’insieme di memorie, di stati, sensibilità e valori eventualmente condivisi da parte dello
spettatore).
Introduciamo un’ulteriore distinzione tra i soggetti che abitano il mondo indiretto:
I soggetti protesi: coloro con i quali lo spettatore condivide (con un certo grado di stabilità e di completezza
variabile) stati di coscienza, mappe situazionali e sfondi etici.
I soggetti alieni: personaggi con i quali tale condivisione non può scattare.
Sono sempre possibili scambi e trasformazioni ed un soggetto inizialmente alieno può diventare proteso, o
viceversa, nel corso della narrazione.
 Il carattere aspettuale dell’esperienza mediale: soffermiamoci ancora sulla distinzione fra soggetti protesi e soggetti
alieni e sulla questione della possibile condivisione degli stati di coscienza.
1. La protesizzazione parziale dei soggetti alieni: come mai la soggettiva o la semisoggettiva che dovrebbe essere
riservata a soggetti protesi e qualificarli in quanto tali viene estesa a soggetti alieni?
L’attribuzione della soggettiva a soggetti alieni in questo caso costituisce l’avvio e la premessa di una successiva
comprensione e di una possibile condivisone di stati di coscienza, mappe situazionali e sfondi etici del
personaggio alieno.
Ci sono differenti motivazioni che portano ad attribuire una soggettiva/semisoggettiva ad un soggetto alieno.
*Multiaspettualità
*uso temporaneo della soggettiva in un contesto monoaspettuale: la soggettiva viene assegnata
momentaneamente a soggetti alieni che sono destinati a restare tali. Sono scelte che producono un effetto di
disagio nello spettatore in quanto rappresentano inviti alla condivisione e all’intimità percettiva con un soggetto
di cui ancora si ignorano stati di coscienza ed intenzioni, o di cui già si intuiscono o conoscono intenzioni e piani
di azioni contrari rispetto al punto di vista dei soggetti protesi
*aspettualità mobile: che transita da un soggetto ad un altro
*soggetto pseudoalieno: le soggettive vengono attribuite ad un soggetto sconosciuto che nel seguito
dell’esperienza mediale si rivela essere soggetto protesi.
Le progressive rivelazioni sul rapitore non pregiudicano la distinzione tra soggetti protesi (squadra CSI) e
soggetti alieni (il rapitore e sua figlia). Lo spettatore sente tuttavia che esiste anche un altro taglio di visione e di
valutazione della vicenda cui sta assistendo ed avverte che tale differente punto di vista sulla stessa vicenda è
potenzialmente praticabile allo stesso modo di “quello dominante” della squadra CSI che lui stesso condivide.
A partire dalle soggettive e semisoggettive del rapitore si delinea la natura relativa e prospettica di ogni
esperienza cosciente. Questa, per lo stesso fatto di essere situata, è orientata al parziale, ovvero aspettuale.
2. Multiaspettualità vi monoaspettualità: la polifonia dell’esperienza mediale
Caso di multiaspettualità moderata: lo spettatore sperimenta la presenza e la potenziale praticabilità di punti di
vista differenti e complementari all’interno del mondo indiretto, ma i meccanismi di condivisione restano
baricentrati su un personaggio o su un gruppo preciso di personaggi.
Esperienze mediali di tipo rigidamente monoaspettuale: è il caso di produzioni discorsive “a tesi” in cui i
personaggi positivi e negativi sono nettamente distinti senza che possano neppure potenzialmente condividere
le ragioni che animano i soggetti alieni (è il caso di produzioni di propaganda, pubblcitarie).
Multiaspettualità radicale: mette in scena una serie di punti di vista differenti senza offrire allo spettatore criteri
di scelta tra l’uno e l’altro di essi.

Il design etico dell’esperienza:


l’esperienza ordinaria ci chiede costantemente nelle nostre relazioni con gli altri soggetti e nelle scelte che facciamo ogni giorno, di
incrociare e confrontare i nostri “punti di vista” per individuare consonanze e dissonanze, relazioni di condivisione o di estraneità
nei criteri che guidano le nostre valutazioni del mondo ed il nostro agire al suo interno. L’esperienza mediale riprende una dinamica
dell’esperienza ordinaria ma la lavora in modo particolare. Essa può porre lo spettatore in relazione con scelte particolarmente
articolate e chiedergli esperimenti mentali complessi circa la scelta della posizione da adottare, dei soggetti per i quali parteggiare,
delle soluzioni da adottare. Mediante la progettualità che la contraddistingue l’esperienza mediale regge e disciplina un uso “in
prova” dei punti di vista altrui, e rende tale esperienza un particolare “laboratorio di giudizio morale” (Ricoeur).

9) Le relazioni con i soggetti del discorso:


Viene analizzato il sesto snodo dell’esperienza mediale, che si colloca all’incrocio tra lo strato della costituzione di relazioni
intersoggettive ed il campo di oggetti intenzionali del discorso.

La costruzione dei soggetti del discorso: dal momento che il discorso era apparso un’entità articolata in produzione, intreccio e
formato, a ciascuna di tali articolazioni corrisponde un soggetto particolare.

Le modalità mediante le quali può definirsi all’interno della nostra cultura il soggetto del discorso ed in particolare quello
responsabile dell’intreccio: apparato ed autore.

 I soggetti del discorso e le loro manifestazioni:


Le evidenze dei soggetti del discorso: il discorso conosce differenti gradi e modalità di manifestazione rispetto al
mondo indiretto e che esiste una costante modulazione di tale evidenza. L’emergere o meno del discorso
implica anche una maggiore o minore evidenza dei suoi soggetti: nel caso in cui il discorso rimanga sullo sfondo
la presenza dei soggetti del discorso resta più o meno implicita; nel caso in cui il discorso venga figurativizzato
nel mondo indiretto, anche i suoi soggetti conosceranno una incarnazione in soggetti del mondo indiretto; nel
caso di una destituzione del mondo indiretto e della sua coerenza, affiora con particolare evidenza l’operato dei
soggetti del discorso, in particolare del soggetto dell’intreccio.
1. I fenomeni di rimediazione discorsiva: le manifestazioni del discorso, e quindi dei suoi soggetti, sono
differenti a seconda del tipo di materiali sensoriali e dei dispositivi che permettono l’attivazione delle
esperienze mediali.
Il principio di rimediazione (Bolter e Grusin): le nuove forme discorsive hanno riprodotto al proprio interno
quelle precedenti. Ad esempio un romanzo può fingere di essere un racconto orale rivolto ad un ipotetico
ascoltatore, un quadro può simulare uno sguardo diretto del soggetto al proprio ascoltatore. Le forme di
discorso più recenti possono esibire al proprio interno anche le forme del discorso e dei soggetti
precedenti- per quanto in forma simulata.
2. La regolazione delle voci dei soggetti del discorso: l’esperienza mediale è configurata come un alternarsi ed
un sovrapporsi regolato di voci e di presenze discorsive di varia natura, che possono essere percepite come
allineate (i vari racconti che ci giungono convergono nel permetterci la ricostruzione di mappe situazionali
unitarie) oppure come sfalsate e dunque tali da contraddirsi e talvolta delegittimarsi a vicenda (le
differenti “voci” riferiscono versioni differenti di un fatto e ci rendono impossibile la costruzione di mappe
situazionali unitarie).
 Il design retorico dell’esperienza: l’esperienza mediale riprende e prolunga al proprio interno una serie di andamenti
dell’esperienza ordinaria. Al tempo stesso essa è in grado di rendere particolarmente insidiosi e complessi i problemi
legati alla fiducia, al credere e alla confidenza: molti film lavorano sull’idea che “nulla è ciò che sembra” e giocano il
proprio finale su una rivelazione che costringe lo spettatore a riconoscere come menzognero il soggetto del discorso
in cui aveva fino a quel punto riposto la propria fiducia. L’esperienza mediale diviene un “laboratorio del credere”.

10) Le relazioni con i soggetti del mondo diretto:


Viene preso in esame il settimo ed ultimo snodo dell’esperienza mediale, collocato all’incrocio tra lo strato della
costituzione delle relazioni intersoggettive ed il campo di oggetti intenzionali. Analizza quindi il costituirsi di relazioni tra il
soggetto dell’esperienza mediale ed altri soggetti che fanno parte del suo mondo di vita.

Gli spettatori di Grave Danger ed in che modo si costituisca tra questi un legame sociale.

Le modalità mediante le quali il legame sociale tra gli spettatori viene precostituito ed indirizzato dalla stessa fiction- e
dunque sottomesso ad una intenzionalità ed ad una progettualità.
Il web e l’esperienza della socialità:

Siti web ed osservabilità delle relazioni sociali: abbiamo incrociato un’ampia serie di discorsi quali le stringhe di pareri postati su
Youtube, i vari interventi sui blog con le relative risposte. Spiccano le evidenze le differenze tra questi oggetti e soggetti discorsivi
ed il discorso e sono sostanzialmente due le differenze.

La conformazione del discorso non è innanzittutto più lineare e definita, ma reticolare ed aperta: da un’esperienza testuale inserita
in un’esperienza di flusso siamo passati ad un’esperienza ambientale (in cui possiamo ritrovare eventualmente micoresperienze
testuali, come il videoclip di Grave Danger). Inoltre la produzione discorsiva e l’intreccio non sono più unitari e precostituiti, ma
sono affidati ad un “coro” di voci che intrecciano il discorso passo passo ed in forma cooperativa, coro cui possiamo aggiungere la
nostra stessa voce nel caso in cui desiderassimo postare anche noi un messaggio o un commento. Di conseguenza la relazione del
discorso con il mondo diretto è una relazione in questo caso di continuità e l’esperienza diviene partecipativa.

Stante la continuità tra ambiente del discorso e mondo di vita del soggetto, la consultazione dei siti che parlano di Grave Danger ci
permette di prendere in esame le relazioni che si costituiscono tra soggetti dell’esperienza mediale all’interno del mondo diretto.
Esaminiamo come si configura questa relazione:

1. Socialità e condivisione: i soggetti coinvolti sentono di condividere un patrimonio comune di saperi, memorie, affetti e
valori.
2. Socialità e fiducia: i soggetti sentono di potersi fidare reciprocamente gli uni degli altri, vero di poter affidare ad altri in
varia misura la determinazione della propria esperienza. Se tanti soggetti confidano gli aspetti emozionali più intimi della
visione del film è perché sono sicuri che non verranno per questo presi in giro, ma piuttosto ascoltati e compresi. Se
alcuni postano una personale rielaborazione dell’episodio con una colonna sonora da essi stessi composta è perché sono
relativamente sicuri che l giudizio degli altri membri del gruppo su questa operazione estetica sarà giusto e forse
benevolo.
I due aspetti della condivisione e della fiducia sono strettamente uniti ed interagenti: per un verso il senso di fiducia si
basa sulla consapevolezza della condivisione di saperi, di affetti e di regole di azione (ad esempio sulla conoscenza ed il
rispetto di una “etichetta” di comportamenti comunicativi), per altro verso l’agire fiduciario permette la messa in atto di
pratiche volte a recuperare, esplicitare, attualizzare, elaborare il patrimonio condiviso di saperi, memorie, affetti e valori.
Tali pratiche sono differenti:
 Il fatto di abitare insieme uno stesso ambiente mediale: i soggetti sono o sono stati impegnati nell’esperienza
condivisa di tessitura del discorso, di inscrizione di tracce della propria presenza e di presa d’atto e di lettura di
quella degli altri, di manifestazione della propria vocee di accoglienza della voci altrui.
 La confessione intima: i racconti delle esperienze di visione del telefilm insistono su reazioni emotive, ovvero su tutta
una partitura di emozioni private che vengono in tal modo rese pubbliche e condivisibili.
 La pratica della formulazione ed esplicitazione di giudizi: sono soprattutto i blogs a vedere in atto questo tipo di
interventi, che rappresenta un’altra modalità di esporre un sentire personale, questa volta con l’intento più
pronunciato di una “chiamata a raccolta” di altri soggetti che condividono lo stesso sentire.
 La pratica della implementazione congiunta e coerente dei saperi condivisi: la richiesta di informazioni e chiarimenti,
il mettere a disposizione di tutti le proprie competenze specifiche, il giungere in forma cooperativa a fornire alcune
risposte a quesiti.
 Proposta di nuovi materiali mediali prodotti dagli stessi soggetti che partecipano allo scambio dialogico (UGC “user
generated content). In alcuni casi si tratta di interventi simili a quelli della confessione o del giudizio. I vari video che
rimontano le immagini di Grave Danger sullo sfondo sonoro di una canzone in forma di videoclip musicale
espongono al pubblico un prodotto privato e sollecitano il loro giudizio. In altri casi ci troviamo più vicini alle
comunicazioni di servizio utili per consolidare il patrimonio di saperi comuni come nel caso dei videoclip che
riassumono Grave Danger in una manciata di minuti ad uso e consumo di ch non ha visto l’episodio.
Condivisione di saperi, affetti e convinzioni da un lato ed apertura fiduciaria dall’altro, nella loro interazione,
caratterizzano le relazioni tra i soggetti del mondo diretto. Diremo che tali caratteri definiscono queste relazioni
come “relazioni sociali”: forme elementari dell’abitare insieme, del condividere una serie di risorse, dell’elaborare
collettivamente tali risorse a partire da un reciproco affidarsi e confidarsi.

L’esperienza mediale ed il fondamento della socialità:

- Il riorientamento della relazione di condivisione:


1. Condivisione e fiducia dal mondo indiretto al mondo diretto: in apparenza tra l’esperienza di visione del film e quella
della partecipazione alle comunità di discorso che ne derivano non c’è un collegamento significativo. Tuttavia il
legame di condivisione ed il legame fiduciario si ritrovano anche all’interno dell’esperienza di visione del telefilm.
Possiamo chiederci se all’interno della stessa esperienza di visione di Grave Danger questi nuclei di relazione sociale
non subiscano un riorientamento: se essi non vengono reindirizzati dall’asse delle relazioni tra il soggetto del mondo
diretto ed i soggetti del mondo indiretto e del discorso, ovvero se le relazioni sociali tra gli spettatori di Grave Danger
non vengano fondate e progettate dalla stessa esperienza mediale del film
- Il riorientamento della relazione fiduciaria:
1. Le allusioni del discorso: il soggetto dell’intreccio in quanto autore. Si percepisce non tanto di elusione ma di
allusione: l’autore fornisce allo spettatore costanti e fuggevoli rinvii a conoscenze specifiche relative al mondo
mediale o a particolari patrimoni iconografici. Baffetti di Nick nella bara come Hitler, o Bugs Bunny.
Il procedimento all’allusione costituisce una modalità di riorientamento della relazione fiduciaria che, in tal modo,
passa dal garantire il legame tra spettatore ed autore all’alimentare la relazione sociale tra gli spettatori all’interno
del cosidetto fandom- l’insieme dei mondi discorsivi ristretti, costruiti ed abitati dagli appassionati di particolari
serie, personaggi, autori mediali.

Il design sociale dell’esperienza: l’esperienza mediale riprende e prolunga l’esperienza ordinaria con due particolarità. Da un lato
essa artificializza il patrimonio di memorie, di affetti e di valori sulla cui condivisione si basa il legame sociale: alle storie e alle
persone che consociamo direttamente si sovrappongono i legami ed i ricordi di storie e personaggi dei mondi mediali indiretti che
frequentiamo e che divengono la base di scambi e condivisioni con altri soggetti del mondo diretto. Dall’altro lato l’esperienza
mediale rende artificiali spazi, modi e tempi delle pratiche sociali: posso collegarmi ad un sito in cui si discute del doppio episodio e
coinvolgermi così in una nuova esperienza mediale. In questo caso le modalità della mia interazione (modi, tempi, mezzi) sono
previsti e consentiti in base alle modalità ed ai vincoli fissati dai progettisti del sito. Per esempio in Youtube non posso immettere
interventi più lunghi di un certo numero di caratteri, il mio intervento riceve una certa formattazione, la temporalità degli scambi
non è immediata.

L’aspetto saliente dell’esperienza mediale appare la sua progettualità, il fatto che essa è pre- ed eterocostituita, o per lo meno pre
ed eteroindirizzata.

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