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• Il controllo sul montaggio del lm delle origini non spetta ad una gura deputata alla sfera della
produzione, ma è condivisa da alcuni soggetti implicati nel progetto.
• La durata dei lm delle origini era molto breve, causa “montaggio” di poche inquadrature.
Parlare di montaggio nel cinema delle origini signi ca riconoscere i caratteri speci ci del montaggio
primitivo (es. il lm a trucchi in cui il montaggio, invisibile, è deputato appunto alla perfetta riuscita di un
trucco), molti dei quali sono sopravvissuti nel cinema seguente o superati.
A ne Ottocento si tratta di riprese de nite “vedute”= riprese dal vero e ettuate con un’inquadratura ssa di
durata inferiore al minuto. I primi spettacoli cinematogra ci si compongono di vedute “irrelate” le une
rispetto alle altre, per una durata complessiva di trenta minuti, pause incluse per cambiare bobina e far
riposare gli occhi agli spettatori.
L’esercente montatore
Il bagaglio tecnico dell’operatore di inizio Novecento include i rudimenti pratici del montaggio (forbici,
raschietto e acetone). L’esercente del cinema delle origini può essere considerato il primo montatore della
storia del cinema, perché ne fa soprattutto le veci, in un contesto dove esiste ancora tale gura. Egli
manipola a piacimento le pellicole che possiede, con il consenso degli stessi produttori, chiaramente nei
limiti di durata delle proiezioni di allora (15 minuti). Ma la forte volontà degli esercenti delle origini lo spinge
ad ottimizzare lo spettacolo, calibrando sempre più nemente il montaggio dei pezzi in suo possesso. Tra i
primi esercenti progressisti spicca Lyman Howe (organizza nella sua città natale, un programma di 15
vedute montato in due serie. Nella prima serie accosta due soggetti dello stesso genere, incentrati su
alcune operazioni di polizia “Mounted Police Charge” 1896 e “The Runaway in the Park” 1896. Nella
seconda serie, proietta in sequenza tre lm che narrano di gesta coraggiose di pompieri. La prima serie si
conclude con “The May Irwin Kiss” 1896; la seconda con “Old Ocean O Manhattan Beach” 1896,
remake di “A Rough Sea at Dover” 1895.
I principi di continuità alla base delle operazioni di montaggio del programma da parte degli esercenti sono
stati rinforzati dalle stesse case di produzione. Il cinema si stava sviluppando, così gli operatori decisero di
conferire quel senso di organicità dedicando, agli avvenimenti più importanti, delle vere e proprie serie di
inquadrature, da proiettarsi singolarmente o in sequenza, a seconda dei gusti e delle possibilità
economiche dell’esercente.
Un caso particolare di serie riguarda soggetti di carattere religioso= lm da presentare in occasione delle
festività pasquali e natalizie, che ricostruiscono le rappresentazioni della vita/morte di Gesù (in Italia si
registrano produzioni di questo tipo a Milano, Napoli, Torino durante la ne dell’Ottocento). I gestori di
cinema hanno esercitato un ruolo decisivo, scegliendo i lm da proiettare, stabilendo l’ordine di
proiezione, manipolando la pellicola e predisponendo anche l’accompagnamento verbale e musicale
in prima persona. Quello che oggi chiamiamo “montaggio” è stato soprattutto una pratica di esercenti; tra
l’altro le successive personalità registiche (es. Porter, James White, Blackton) sono partiti da essere
esercenti.
• GEORGE MELIES: Ma è con Georges Melies che questo trucco inizia ad essere conosciuto
maggiormente. Egli sfrutta questo trucco per frequentare tutti i sottogeneri del lm fantastico, dalle
abe ai viaggi immaginari (a partire da “Escamotage d’une dame chez Robert Houdin” del 1896
e nella produzione “Illusions fantasmagorique” del 1898 e “A la conquete du Pole” del 1911).
Melies combina gli e etti speciali cinematogra ci, con i congegni scenici delle macchine teatrali per
animare scheletri danzanti, diavoli, donne volanti ecc. I lm di Melies che utilizzano il trucco
dell’arresto e sostituzione sono chiamati dall’esercenti del tempo “vedute a trasformazione”
(secondo le parole dell’artista la sua prima veduta a trasformazione sembra sia stata fortuita= la sua
MDP s’inceppa mentre riprendeva una veduta d’attualità. Il tra co parigino nel frattempo ha
continuato il suo corso; il negativo di Melies mostra come il tra co parigino si fosse tramutato,
dopo l’incidente, solo in un carro funebre). I lm incentrati sulla prestidigitazione sono costruiti
attorno un numero fortemente limitato di trucchi, ciascuno dei quali deve incantare e stupire il
pubblico, costituiscono il momento forte dello spettacolo. (non interessa ciascun trucco in sé, ma la
sua funzione comico-parodica. Esempi “L’auberge du bon repos” del 1903; “Sorcellerie
culinarie” del 1904; “Le Diable noir” del 1905).
Il trucco delle vedute a trasformazione funziona come una sorta di e etto speciale= attira l’attenzione del
pubblico. Questi lm si rifanno molto al concetto di “attrazione”, sottolineando la nalità dominante del lm,
ovvero quella di intrattenere lo spettatore facendogli vedere cose straordinarie e non raccontare una storia.
Perciò il “sistema delle attrazioni mostrative” è la modalità dominante del cinema delle origini, almeno no
al 1908. Dal punto di vista stilistico, lo scopo dei pionieri è l’organizzazione del pro lmico, ma anche il
montaggio inizia ad essere so sticato.
Il montaggio discontinuo
A cavallo del 1900 si raggiungono ottimi risultati sul piano della ricerca del linguaggio grazia George A.
Smith e James Williamson, ma anche con Robert W. Paul ed Hepworth.
• GEORGE A. SMITH: In “Grandma’s Reading Glass” del 1901 Smith lavora sul costrutto della
soggettiva. In “The Sick Kitten” del 1901 dello stesso regista, è lo spazio dell’inquadratura di
partenza a essere sezionato in inquadrature diverse.
• JAMES WILLIAMSON: In “Stop Thief!” del 1901, prototipo del lm a inseguimento, il regista
sviluppa una signi cativa continuità dell’azione tra più inquadrature.
• EDWIN PORTER: In “Life of an American Fireman del 1902 sono evidenti sovrapposizioni
temporali tra le inquadrature 3-4 e 8-9 che chiudono il lm e costituiscono la climax narrativa.
Anche “The Great Train Robbery” del 1903, che pure mostra elementi importanti in direzione della
continuità narrativa tra inquadrature, non sfugge al principio del montaggio discontinuo
Fino al 1902 la maggior parte dei lm del cinema delle origini è ancora mono-puntale= unica inquadratura.
E, almeno no al 1906, anche quando composta da più inquadrature, la discontinuità tra le inquadrature
prevale ancora sulla continuità (es. fortemente non continuo ma pluri-puntale è “Le Voyage dans la Lune”
di Melies). La sovrapposizione temporale tra inquadrature ravvicinate è una delle caratteristiche tipiche del
cinema delle origini (es. “Life of an American Fireman” del 1902 di Porter). Lo spettatore non ha di coltà
a decifrare un lm che mostra una stessa azione ripetuta integralmente, ma la ripetizione stessa non gli
suscita alcun turbamento. Gli spettatori di inizio secolo tendono a leggere il lm come una serie di eventi
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legati uno all’altro, ma indipendenti dal punto di vista delle speci che relazioni spazio temporali
(l’inquadratura è ancora considerata un elemento dotata di senso di per sé= il fenomeno è evidente in quei
sottogeneri del cinema delle origini che sono gli adattamenti teatrali. Selezionare e riprendere solo gli
episodi più signi catici del testo originale teatrale= ad ogni inquadratura corrisponde una porzione
autonoma della narrazione).
In sintesi la storiogra a chiama questo modello di rappresentazione “primitivo”= ogni inquadratura succede
alla precedente come in una serie, senza che tra le due vi siano dei legami di continuità; per distinguerlo dai
modelli del cinema istituzionale (logica di raccordo tra piani autonomi) introduciamo il concetto di “messa in
serie”= il prevalere di una logia di successione di inquadrature (paratassi), piuttosto che di concatenazione
signi cante (ipotassi). La messa in serie è la forma di montaggio dominante del cinema delle origini.
• GRIFFITH E IL MONTAGGIO ALTERNATO: alternanza tra inquadrature di due o più eventi che si
svolgono nello stesso momento in luoghi diversi (rapporto di discontinuità spaziale, ma di
simultaneità temporale). Alcuni studi attribuiscono alla Pathè l’origine di questa tecnica nei loro lm
(es. “Le cheval emballé” di Zecca del 1908. il montaggio alternato libera il cinema delle origini
dalla rigida linearità cronologica. Le tecniche di questo montaggio sono applicate da Gri th in “The
fatal hour” del 1908, “The Lonely Villa” del 1909, “The Lonedale Operator” del 1911 e in decine
di altri piccoli capolavori. Utilizzato spesso il M.A è anche chiamato= “montaggio alla Gri th”.
In sintesi il regista americano è il grande pedagogo del linguaggio cinematogra co del suo tempo. Nel suo
cinema s’intravede una nuova concezione dell’inquadratura a cui si accompagna la nascita del concetto di
“sequenza”. L’inquadratura ghri tiana acquista senso sono in funzione della sequenza di inquadrature nella
quale viene inserita (partecipa alla costruzione drammatica complessiva del lm).
• FRANCIA: Lo standard Lumiere (17 metri) viene superato dai lm francesi della Pathé, che propone
pellicole lunghe tra i 20 e i 30 metri. Ferdinand Zecca, che lavora per la Pathé, è tra i primi a
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sviluppare lm di lunga durata (es. “Les sept chateaux du diable” del 1901= 280 metri, “Lesa
ventures de Don Quichotte” del 1901= 430 metri).
• USA: Edwin Porter con “Life an american Fireman”= 129 metri e “The great robbery train”= 230
metri. Ma anche Gri th con “Intolerance” del 1916, dove preferisce una narrazione innovativa ad
“incastro” (quattro storie portate avanti tramite un M.A. a ritmo crescente).
• ITALIA: Alberini con “La presa di Roma” del 1905= 250-300 metri. Il primo lm a superare i 1000
metri di pellicola è “L’inferno” del 1911 di Bertolini (sperimenta anche il ashback sul piano del
montaggio, rompendo la linearità cronologia del racconto). Il lm fu trionfalmente accolto in Francia,
Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Ma la consacrazione del lungometraggio a nuovo standard
internazionale di produzione ed esercizio va a “Cabiria” del 1914 di Giovanni Pastrone= kolossal di
oltre tre ore di produzione (l’importanza storica del lm risiede nella messa in scena in profondità di
campo; invenzione del carrello; la sperimentazione della lampada elettrica ad arco + tutte le forme
di montaggio analizzate precedentemente.
L’ascesa del lungometraggio avviene dunque rapidamente, nel giro di pochi anni si quota 1000 metri e altri
casi particolari. A partire dalla seconda metà degli anni Dieci, la lunghezza media del lm si assesta un po'
ovunque in una misura compresa tra i 1000 e i 1500 metri. Il lungometraggio porta a sviluppare il linguaggio
cinematogra co nell’approfondimento di temi, vicende e personaggi dalla complessità mai vista prima. E
con lui il montaggio, che regola l’intero usso narrativo del lm o rendo ritmo e senso.
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• CINEMA ASTRATTO: prima sotto-articolazione del cinema sperimentale. Questo cinema
abbandona deliberatamente la rappresentazione della realtà, in favore della resa non gurativa di
colori, forme, linee e punti. Il lm astratto in un contesto non rappresentativo e non narrativo.
• CINEMA DADAISTA: seconda anima del cinema sperimentale. I lm riconducibili al gruppo fondato
da Tristan Tzara si muovono prevalentemente in un orizzonte rappresentativo (es. “Le retour a la
raison” del 1923 di Man Ray; “Entr’acte” del 1924 di Rene Clair; “Ballet mecanique” del 1924 di
Fernand Leger e Dudley Murphy= lm che associa alcuni dettagli della gura umana di una giovane
donna a una serie di oggetti riconducibili al mondo dell’industria, sulla base di analogia di ordine
strutturale). Il lm dadaista in un contesto rappresentativo ma non narrativo= questi lm sono il
territorio di applicazione privilegiata del montaggio gra co (rapporti di colori, super ci, linee e
punti).
Nel montaggio pratica dai lm astratti, dadaisti e surrealisti la funzione estetica è nettamente dominante.
Ma vi sono nuove problematiche su questo montaggio formale= il contenuto di un’immagine reale non è
immediatamente riconducibile a una trama di segni, da un lato gli stacchi di montaggio gra co
presuppongono un lavoro di “stilizzazione” (schema essenziale di linee e colori) del visibile; dall’altro
implicano un sovrappiù di senso generato dall’accostamento di materiale di per sé signi cante.
1. “LA ROUE” del 1923 di Abel Gance: montaggio rapido con ritmico crescente e decrescente.
2. “COEUR FIDELE” del 1923 di Jean Epstein: montaggio rapido assume valenze metaforiche
tramite un ritmo irregolare. Alternanza montaggio rapido e inquadratura lunga sta evidentemente a
signi care l’alternanza partecipazione-non partecipazione al clima della festa. Le inquadrature di
Marie sulla giostra ricordano a ogni passaggio la sua estraneità anche per la loro di erente durata.
Nella seconda metà degli anni 20’ non c’è lm d’autore francese che, con esiti più o meno felici, non si
confronti con il montaggio rapido. Il montaggio rapido si collega molto bene con la musica. La
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comparazione tra cinema e musica vive del concetto di “ritmo visivo”, concetto riconducibile alla durata
delle inquadrature e ai rapporti formali derivati dalla loro giustapposizione.
• LEV KULESOV: “E etto Kulesov”= connettere materiali tra loro eterogenei, per produrre un senso
diverso da quello espresso da ciascuno di essi.
• PUDOVKIN E VERTOV: “Mat” del 1926 di Pudovkin; “L’uomo con la macchina da presa” del
1929 Vertov.
• SERGEJ EJZENSTEIN: massimo interprete della linea del “montaggio sovrano e intellettuale”. Il
primo suo lungometraggio “Sciopero” del 1925 è già un punto di svolta= lm dedicato alla storia
del movimento rivoluzionario. Sul piano delle forme di montaggio, abbiamo l’impiego dell’inserto
extradiegetico con funzione di commento (inserimento di una o più inquadrature che, non essendo
riprese nell’ambiente in cui si svolge l’azione del lm, possono essere considerate espressioni
diretta dell’istanza narrante). Inoltre abbiamo la forma del montaggio parallelo= non vi è né
prossimità spaziale né temporale ma suggerisce allo spettatore il paragone tra le due serie
apparentemente irrelate (signi cato= la brutalità della polizia è uguale a quella di un macellaio).
L’inserto extradiegetico funziona come una sorta di metafora cinematogra ca. In “La corazzata
Potemkin” del 1925 il regista russo approfondisce e conferma la sua ricerca sul montaggio del
lm. Film girato per celebrare il ventennale della rivolta antizarista del 1905. Esempio emblematico
del montaggio inteso come “con itto di inquadrature” è la scalinata di Odessa= la drammaticità del
momento non viene veicolata tanto dalle singole inquadrature, brevi e in loro scarsamente
rappresentative, quanto dal con itto dei piani che, attraverso il montaggio, suscita quell’emozione
violente voluta dal regista. Le avanguardistiche forme di montaggio vengono perfezionate
ulteriormente in “Ottobre” del 1928= rievoca la rivoluzione del 1917 nel suo decimo anniversario.
Nel lm ritorna la frammentazione del discorso lmico e l’espediente dell’inserto extradiegetico
(ESEMPIO 1 per descrivere l’in do capo del governo provvisorio, traditore delle speranze del
popolo, il regista ricorre sia alle inquadrature di un busto di Napoleone, sia a quelle di un pavone
meccanico. La statua di Napoleone rimanda alla malafede sul piano politico; il pavone rimanda al
sentimento di vanità, lo quali ca, agli occhi dello spettatore, come un carattere presuntuoso,
arrogante e superbo. ESEMPIO 2 di montaggio delle attrazioni/intellettuale= tentativo
controrivoluzionario del generale Kornilov. Il regista ricorre a una trentina di brevi inquadrature di
luoghi di culto e di divinità appartenenti alle più diverse culture. L’intento è quello di smascherare la
retorica del militare, denunciando la strumentalizzazione della religione).
• “IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI” del 1920 di Robert Wiene: le scenogra e deformano
edi ci, spazi e oggetti all’insegna dello stravolgimento più completo delle regole prospettiche, del
senso e del volume della profondità; mentre la recitazione enfatica degli attori tras gurano
drasticamente i corpi. Ritmo disteso del montaggio (alternanza di totali e piani ravvicinati= variante
del montaggio analitico contraddistinta dallo spostamento dell’asse di ripresa nel passaggio dalla
rappresentazione d’insieme alla rappresentazione parziale) che valorizza la qualità gra che delle
inquadrature. Il montaggio analitico del lm è come se bloccasse lo sviluppo della narrazione ogni
qualvolta gli elementi visuali “coagulano” in forma compiute.
• “REIN QUEL ES HEURES” del 1926 di Alberto Cavalcanti, in cui vuole polemicamente sottolineare
le di erenze tra ceti diversi.
• “BERLINO. SINFONIA DI UNA GRANDE CITTA’” del 1927 di Walter Ruttman: montaggio
accelerato tra le inquadrature ravvicinate di ruote e binari alle soggettive dei passeggeri di un treno
in corsa. La sequenza introduttiva del documentario pone il tema della “velocità” e del
“movimento”. Si parla di movimento in riferimento al pro lmico. L’inquadratura del regista è sempre
brulicante di cose o persone che la percorrono in ogni direzione; ma movimento inteso anche in
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riferimento alla MDP. In ne abbiamo il movimento metaforico, del montaggio rapido che, oltre al
prologo, informa almeno tre sequenze signi cative.
• “L’UOMO CON LA MACCHINA DA PRESE” del 1929 di Dziga Vertov: riprende le tematiche
urbane, la limitata cornice temporale. Vertov non riprende solo una città, ma mescola Mosca, Kiev
ed Odessa per costruire un luogo “irreale”. Il documentario si struttura sull’opposizione tra tempo e
lavoro e tempo del riposo e sull’analogia tra tempo privato e pubblico (vita del singolo e quella della
città). L’aspetto più importante è la sua impronta meta-cinematogra ca (ri essione sul cinema
stesso e sul potere di manipolare la nostra percezione del reale attraverso il montaggio e gli e etti
speciali).
Gli ultimi due documentari rappresentano gli emblemi della produzione documentaristica degli anni 20’,
votata alla rappresentazione della metropoli in quanto luogo dei moderni processi di massi cazione. I
documentari presentano i caratteristici strumenti tecnologici urbani di quel periodo (es. grattacielo,
produzione meccanizzata); ma anche cambiamenti di costumi (es. entrata del soggetto femminile nella sfera
pubblica e la di usione delle pratiche sportive).
1. Il racconto hollywoodiano è articolato in generi narrativi, ognuno dei quali vanta strutture che
in uenzano la stilistica del lm. esistono dunque forme di montaggio caratteristiche e speci che di
un certo genere o lone narrativo.
2. Non tutto il personale tecnico è intercambiabile. Alcuni registi hanno un potere contrattuale tale da
consentire loro di infrangere deliberatamente i principi della scrittura classica e del montaggio
invisibile.
3. Anche le performance degli attori possono alterare l’equilibrio espressivo del lm.
Durante gli anni 10’, quindi con lo sviluppo della complessità degli interventi di montaggio e la mole dei
materiali da visionare, si a erma una gura deputata al “taglia e cuci”. Le caratteristiche e le mansioni del
montatore variano in funzione dei contesti geogra ci-produttivi di riferimento.
• EUROPA: per tutto il periodo del muto, il montatore è un operaio che segue passivamente le
indicazioni del regista (es. Lang o Ejzenstejn) o di una persona che ne fa le veci.
• STATI UNITI: tra gli anni 10’ e 20’, il montatore acquisisce sempre di più autonomia (da cutter a
“ lm editor”= responsabile dell’edizione nale del lm). L’industria cinematogra ca hollywoodiana si
fonda su un sistema del lavoro articolato e gerarchizzato al cui vertice si pone il produttore, che
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supervisione interamente la lavorazione del lm e si fa garante dell’intera produzione dello studio.
Qui il montatore si ritrova spesso al lavorare dall’inizio delle riprese (es. recuperare materiale
d’archivio da riutilizzare o veri care la funzionalità del girato e richiedere che il regista riprende
determinate inquadrature di copertura in previsione del futuro lavoro di montaggio).
Un’altra prerogativa del montatore consisteva nell’esortare il regista al rispetto dei tempi di lavoro. Nel
complesso il montatore sovrintenda all’esecuzione di almeno tre edizioni:
1. MONTAGGIO “EDITOR’S CUT”: versione approssimativa del montaggio del lm. Montaggio
e ettuato sulla forma dettagliata di Sg che scandisce il usso narrativo del racconto inquadratura
per inquadratura.
2. MONTAGGIO “DIRECTOR’S CUT”: montaggio e ettuato sulla base delle osservazioni che il
regista ha espresso alla visione del primo montaggio. Questo intervento presenta anche un punto di
vista registico; ma non tutte le case di produzione lo concedono o lo stesso regista non vuole
dedicarci troppo tempo.
3. MONTAGGIO “FINAL CUT”: montaggio e ettuato sulla base delle opinioni del produttore, che ha
la facoltà contrattuale di rendere il suo intervento vincolante.
L’industria cinematogra ca preveda anche il cosiddetto “sneak preview”= un lm veniva proiettato nella sue
versione non de nitiva a un pubblico casuale per raccogliere dei pareri di orientamento (il risultato veniva
preso in considerazione dai produttori americani). La professionalizzazione del montatore nella Hollywood
classica si accompagna alla modernizzazione dei suoi strumenti di lavoro (es. la moviola della seconda
metà degli anni 20’= dispositivo che consente di esaminare la pellicola per mezzo di uno speciale visore
retroilluminato e di comandarne l’avanzamento attraverso un sistema meccanico a manovella. Il dispositivo
non solo accelerò e facilitò azioni lente e complesse, ma consentì una precisione ben maggiore per ottenere
raccordi uidi tra le inquadrature. Ciò segna il passaggio dall’era del montaggio manuale a quella del
montaggio meccanico).
3. RACCORDO DI DIREZIONE DEGLI SGUARDI: direttrice degli sguardi dei personaggi (es.
campo e controcampo)= condizione necessaria è che i due personaggi guardino
correttamente in una determinata direzione.
Nel loro insieme i raccordi spaziali agiscono in conformità alla cosiddetta “regola dei 180°”.
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1. RACCORDO DI AVANZAMENTO TEMPORALE: segnala un’ellissi attraverso l’impiego di
una dissolvenza o dissolvenza incrociata. Serve per eliminare i “tempi morti”= momento in
cui non succede niente di rilevante al livello narrativo. Un’ellissi può escludere dalla storia
ore, giorni, mesi, anni e secoli. L’ellissi serve anche ad omettere (“censura sul visibile” es. il
sesso) ciò che dal 1934, anno del “Codice Hays”, la censura imponeva alle case di
produzione
Queste tre tipologie si racchiudono nel già citato continuity system. Ma i tre raccordi devono fortemente
collegati ad uno stacco di montaggio motivato dal punto di vista narrativo per rendere il montaggio
invisibile. Il montaggio fornisce allo spettatore il miglior punto di vista possibile per seguire lo sviluppo
narrativo, attraverso l’applicazione del continuity system.
2. STRUTTURA FORMALE: impianto narrativo che informa nelle sue linee essenziali ogni singolo lm.
Il modo industriale della produzione hollywoodiana trova nel sistema dei generi una via e cace per
realizzare un numero consistente di lm (prodotto sia artistico che industriale). I generi cinematogra ci
rispondono ad un modello standard ma anche di di erenziazione dell’o erta= di erenziazione dei
generi e sottogeneri in un determinato momento storico ma medesime situazioni narrative, di messa in
scena e di montaggio. In base al montaggio proprio per ogni genere possiamo stilare una triplice
casistica:
3. FORME SPECIFICHE: patrimonio di un unico e irripetibile genere narrativo (anche se non tutti i
generi hanno sviluppato delle forme speci che di montaggio). Forme di montaggio utilizzate in
situazioni drammatiche talmente speci che da avere, in certi generi, valore strutturale (es. le
sequenze danzanti dei musical= applicare forme di montaggio convenzionale + forme di
montaggio gra co come accade in “Quarantaduesima strada” del 1933 di Lloyd Bacon).
La varietà dei generi hollywoodiani è anche una varietà di montaggi. Ogni genere hollywoodiano può essere
pensato anche come una combinazione di forma della prima, della seconda e della terza classe. Hollywood
non bandisce totalmente formule alternative di scrittura che fanno uso alla tenuta artistica e commerciale
complessiva del sistema.
Il montaggio d’autore
L’arte della regia consiste nel sapere orchestrare un determinato racconto nel modo più uido possibile,
subordinando la visibilità dell’istanza narrante al principio della chiarezza espositiva e della motivazione
drammatica. Il presidente dell’associazione dei registi americani Frank Capra denuncia, in una lettera, lo
strapotere dei produttori e chiede che il regista possa studiare preventivamente le sceneggiature da lmare
per un tempo congruo e che possa avere voce in capitolo nella decisiva fase di post-produzione. Nella
Hollywood classica la produzione segue il principio della “catena di montaggio”= scomposizione in stadi
speci ci di lavoro, il lm viene seguito tappa dopo tappa dal personale del dipartimento produttivo di
pertinenza e solo alla ne dal regista. Egli è solo un ingranaggio della macchina produttiva e non
necessariamente il più importante (es. nel “Mago di Oz” del 1939 si sono succeduti ben quattro registi).
Non tutti i registi del cinema classico hanno lo stesso potere contrattuale; il regista poteva rivendicare
un’autonomia creativa più o meno importante in funzione del suo talento e della fortuna commerciale dei
suoi lm. A seconda di ciò i principali registi del cinema classico possono essere divisi in tre categorie:
2. REGISTI CREATIVI: registi che, appoggiandosi con regolarità alle convenzioni narrative di un certo
genere, dispiegano uno stile a tratti fortemente personale (es. wester con John Ford; musical con
Vincente Minnelli; melodramma per Douglas Sirk; thriller per Alfred Hitchcock). Hitchcock adatta i
codici linguistici del cinema di genere americano alla propria poetica, arrivando in casi particolari a
mettere in discussione i principi fondativi del cinema hollywoodiano. Suo lm emblematico
“Psycho” del 1960 (scena della doccia costituita da 27 brevi inquadrature che durano in totale 25
secondi. L’infrazione alle convenzioni classiche di montaggio è duplice= 1) ogni singola
inquadratura in sé è breve, compresa tra il mezzo secondo e il secondo intero; 2) la durata
complessiva dell’intera sequenza è più lunga di quanto il delitto non sarebbe stato in realtà. La
moltiplicazione dei dettagli dell’omicidio estende il tempo del discorso rispetto alla storia= ritmo
veloce del montaggio per mostrare la ferocia del delitto e manipolazione temporale dell’evento per
renderlo, agli occhi dello spettatore, interminabile).
3. REGISTI RIBELLI: registi che appro ttano della considerazione speciale ottenuta presso un
determinato studio per trasgredire deliberatamente i principi generali di funzionamento del sistema
(dal punto di vista tecnico e stilistico). Orson Welles con il suo “Quarto Potere” del 1941 (novità
narrativa= struttura a ashback, che supera per complessità qualsiasi altra infrazione della linearità
del cinema classico; novità stilistica= impiego sistematico del piano-sequenza es. la scena
dell’a damento al banchiere.
Dunque un regista scaltro e di successo può lasciar passare la propria individualità, il proprio punto di vista
e la propria sensibilità. Per distinguere il montaggio standardizzato del cinema classico dalla scrittura
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personale di alcuni registi di grande spessore possiamo parlare di “montaggio d’autore”/”montaggio
autoriale”= lo scarto che emerge dal confronto con le tecniche convenzionali del cinema classico.
1. MECCANISMO DI SUSPENSE: passaggio dal corpo al volto della star, concedendo al pubblico un
piano ravvicinato solo dopo che un numero più o meno importante di inquadrature distanziate lo
abbiano preparato a su cienza (es. “Quando la moglie è in vacanza” del 1956 di Billy Wilder=
entrata di Marilyn Monroe.
2. EFFETTO SORPRESA: inatteso PP che provoca un e etto sorpresa (es. “Gilda” del 1946 di
Charles Vido= entrata in scena di Rita Hayworth.
In ne il montaggio entra nella costruzione divistica se si considera come la star sia spesso accompagnata
dalle inquadrature di altri personaggi intenti a guardarla (es. inizio “Sentieri Selvaggi” del 1956 di John
Ford= western promosso dalla Paramount come lm di John Wayne; “Morocco” del 1931 di Joseph Von
Sternberg). Questi esempi si collegano molto bene alla teoria di Paul Warren= “lo statuto divistica di un
certo attore si può misurare dal numero di inquadrature di reazione che gli sono dedicate”.
Le modalità di esibizione dell’attore-divo non si esauriscono a atto, nel cinema classico, con la scelta di
una particolare ripresa= il corpo del divo viene spezzato nel cinema classico secondo modalità de nite di
“montaggio divistico”. Questo tipo di montaggio non ri uta le convenzioni del montaggio classico narrativo,
ma le interpreta in modo caratteristico; catalizza l’attenzione dello spettatore sulla star a discapito del
lineare uire del racconto lmico. L’immagine del divo tende piuttosto a rallentare lo sviluppo della
narrazione e a opacizzare la rappresentazione.
2. MONTAGGIO DEBOLE: debolezza che dipende dal ridimensionamento del peso gurativo del
personaggio neorealista (predilige l’ambiente al personaggio) rispetto al personaggio del cinema
classico (predilige la gura umana). Il montaggio debole caratterizza tanta parte del cinema
neorealista, in particolare Vittorio De Sica. In “Ladri di biciclette” troviamo raccordi fragili e
approssimativi, spesso gravati da vistosi cambiamenti di scala e di direzione da un’inquadratura
all’altra. Non tanto e non sempre raccordi sbagliati quanto “deboli”, se paragonati a quelli classici.
3. MONTAGGIO LUNGO: tecnica fondata sulla continuità di ripresa. Visconti è uno dei primi a
lavorare sulla durata delle inquadrature in modo espressivo. In “La terra trema” in cui notiamo
inquadrature da ben 17 secondi l’una e non solo. Il montaggio lungo viscontiano sostituisce, nella
grande maggioranza dei casi, il montaggio analitico e il sintagma classico campo-controcampo,
investendo o la profondità di campo (gestisce senza stacchi una conversazione tra un numero
inde nito di parlanti relativamente distanti uno dall’altro) dell’inquadratura o i movimenti della MDP
(sostituiscono stacchi e attacchi di montaggio, connettendo tra loro le azioni di due o più
personaggi).
il montaggio brusco di Rossellini (mina il principio della progressione graduale del racconto), il montaggio
debole di De Sica (chiarezza della rappresentazione) e il montaggio lungo di Visconti (gerarchizzazione
signi cante delle azioni) sono altrettanti attentati ai principi del montaggio classico e alla supposta centralità
dello spettatore nel processo di comunicazione lmica. Davanti a un lm neorealista lo spettatore si trova
spaesato, incapace di orientarsi nello spazio-tempo e di decifrare quello che sta succedendo sullo schermo
( usso narrativo interrotto). Il montaggio neorealista sposta deliberatamente lo spettatore da quella
posizione privilegiata che il cinema classico gli aveva conferito (lo spettatore è diventato un osservatore
come un altro= spostato dal centro della rappresentazione che è cambiato, perché il mondo è cambiato).
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1. JUMP CUT: il turbamento della continuità spaziale. Soluzione stilistica praticata soprattutto da
Godard; consiste nell’accostare due o più inquadrature molto simili sia dal punto di vista lmico che
pro lmico. (es. “Fino all’ultimo respiro”= i jump cut punteggiano tante sequenze del lm, es. il
montaggio a salti è il principio di costruzione dell’intera scena in cui Michel accompagna in
macchina Patricia. Godard ri uta qui l’usuale costruzione per campi e controcampi, montando una
dopo l’altra tutte le inquadrature di Patricia alle spalle, lasciando a Michel solo la prima e l’ultima
inquadratura del blocco).
Il montaggio trasgressivo della Nouvelle Vague è la logica conseguenza della crisi della forma classica
denunciata dal cinema di Rossellini, De Sica, Visconti. Il cinema francese mette in discussione il montaggio
classico in nome delle sue prerogative di ordine speci catamente narrativo. Alla base dei registi della
Nouvelle Vague sta innanzitutto l’intento di raccontare una storia allo spettatore, proprio per ricordagli di
essere davanti uno schermo cinematogra co piuttosto che testimone di un evento reale. In sintesi il cinema
moderno della Nouvelle Vague si quali ca nel suo “far sentire” gli attacchi e gli stacchi delle inquadrature=
portano lo spettatore dal racconto all’atto di raccontare.
• JACQUES TATI: erede della tradizione comica del cinema muto. I suoi piano-sequenza (a cui
vengono a date le gag più complesse dei suoi lm) sono inquadrature sse della durata compresa
tra i trenta e i novanta secondi, attirando l’attenzione dello spettatore nell’azione con un sono
articolato (es. in “Giorno di festa” del 1949; “Le vacanze di Monsieur Hulot” del 1953; “Mon
oncle” del 1958; “Playtime” del 1967). I piani-sequenza ssi di Tati sono funzionali all’accumulo di
materiali, personaggi, azioni e s dano lo spettatore a cogliere ogni minimo dettaglio signi cante.
• CARL THEODOR DREYER: maestro del cinema muto europeo capace di rinnovarsi fortemente nel
post-WWII con la realizzazione di opere incentrate sui temi dell’intolleranza, della religione e
dell’amore disinteressato. I piani-sequenza dell’ultimo Dreyer sono inquadrature della durata
superiore ai due minuti, che alternano stasi e movimento della MDP in accordo agli spostamenti dei
personaggi e dei loro interventi in una conversazione. Il regista non ricorre alla continuità in
momenti narrativi particolari, ma se ne serve piuttosto come equivalente funzionale del montaggio
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analitico (es. in “Dies Irae” del 1943 il piano-sequenza è un’alternativa al raccordo di direzione; in
“Order” del 1955 il piano-sequenza supplisce ai raccordi di sguardo; in “Gertrud” del 1964 il
piano-sequenza reinventa e modernizza il classico sintagma del campo-controcampo). I piani-
sequenza di Dreyer si accordano alla recitazione dei suoi attori e creano un ritmo sospeso, che
nisce per ipnotizzare lo spettatore e trascendere i contenuti della narrazione.
• MICHELANGELO ANTONIONI: maestro del cinema come arte; di un “neorealismo interiore” che
indaga la crisi d’identità dell’uomo nell’epoca post-industriale. I piani-sequenza di Antonioni sono
inquadrature mobili molto lunghe, in cui la MDP, anche quando segue i personaggi nei loro
spostamenti, compie traiettorie che segnalano la sua ingombrante presenza indagatrice (es.
“Cronaca di un’amore” del 1950 in cui il piano-sequenza di oltre tre minuti compie un giro 360° su
se stessa via via che i personaggi incontrano, litigano, inseguono; in “Professione: reporter” del
1957 in cui il piano-sequenza di oltre sei minuti, compie una torsione di 180° a inquadrare
dall’esterno il corpo di Locke senza vita). I piani-sequenza di Antonioni, più o meno subordinato ai
movimenti dei personaggi, mettono in gioco l’istanza narrante per la loro personalità e richiamano
innanzitutto lo spettatore allo spettacolo del cinema come sguardo sul mondo.
Il piano-sequenza del cinema d’autore internazionale degli anni 50’-60’ incarna meglio di qualsiasi altra
scelta stilistica l’idea del cinema come mezzo di espressione moderno (mezzo innanzitutto personale, poi
versatile e in ne autoreferenziale). Il piano-sequenza è sempre un esplicito ri uto dello stile classico. Il ri uto
del montaggio narrativo e dei suoi principi di scrittura si esprime a vari livelli:
1. Il piano-sequenza respinge il principio che voleva la durata di un’inquadratura dipendere dalla sua
leggibilità (nel cinema moderno ci sono inquadrature troppo piene per poter essere lette
confortalmente e troppo vuote per poter annoiare).
2. Il piano-sequenza respinge il principio che un’inquadratura debba veicolare una porzione non
autosu ciente di racconto (nel CM ci sono inquadrature talmente estese da esaurire dei blocchi
narrativi consistenti quanto una sequenza).
3. Il piano-sequenza respinge il principio che un’inquadratura debba servire più alla storia che
all’istanza narrante (nel CM ci sono inquadrature che rimandano più a determinate caratteristiche
stilistiche di speci ci registi che all’enunciazione della narrazione).
• “IL LAUREATO” del 1967: infrazioni alla scrittura classica numerose (es. raccordi spaziali sbagliati,
jump cut, impropri raccordi sonori; le brevissime soggettive di Benjamin, che vanno contro le
convenzioni del montaggio classico, sono giusti cate perché restituiscono il senso di occhiate
fugaci e comunicano, sia i desideri che le insicurezze del protagonista). Il montaggio veicola una
soggettivazione di tipo grammaticale.
• “GANGSTER STORY” del 1967: la trasgressione del continuity system è molto frequente, ma
anche qui le sgrammaticature non sono casuali, soprattutto nelle scene di violenza (es. primo
assassinio commesso dalla coppia).
• “EASY RIDER” del 1969: montaggio libero e innovativo (es. transizioni anticonvenzionali tra una
sequenza e l’altra e l’utilizzo del ashforward= tecnica narrativa che consiste nell’anticipare parte di
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qualcosa che non è ancora successo). La sequenza del cimitero di New Orleans (montaggio
discontinuo) veicola una soggettivazione di tipo stilistico.
Le sgrammaticature analizzate dimostrano come la delibera trasgressione delle norme dello stile classico
possa assolvere una funzione espressiva. Nasce un’idea secondo la quale esistono in nite possibilità di
attacco, rispetto a quelle del cinema classico americano. Sta al regista e al suo montatore decidere. Le
prescrizioni dello stile classico diventano così solo una delle possibilità di raccordo per i cineasti americani.
1. MONTAGGIO RAPIDO: non solo come principio di costruzione di una sequenza particolare, ma
come logica di tutto il testo cinematogra co.
4. RECUPERO DI FORME DI MONTAGGIO DEL PASSATO: superano il senso della citazione per
acquistare quello della riutilizzazione strutturale.
2. FASE DI ELABORAZIONE: consiste nel montaggio vero e proprio. Manipolazione del materiale
acquisito.
L’espressione “montaggio non lineare” si riferisce alla facoltà di ogni computer di accedere istantaneamente
alle informazioni immagazzinate nella sua memoria, siano queste testi, immagini sse o immagini in
movimento. Giustamente col montaggio digitale derivano una serie di vantaggi rispetto al montaggio
meccanico:
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Il montaggio digitale è più veloce di quello meccanico.
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Il montaggio digitale è più semplice del montaggio meccanico (utilizzo del software digitala a
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qualunque persona che mastichi dal punto di vista informatico).
• Il montaggio digitale è più comodo del montaggio meccanico (nessuna giunta materiale sarà mai
realizzabile con la semplicità con cui si trascina un elemento da uno schermo all’altro).
• Vantaggio economico= risparmio di tempo; risparmio di risorse umane; risparmio sui costi di
stampa e pellicola
Il montaggio digitale libera il montaggio del lm da quella “ sicità” che lo aveva caratterizzato (es. la
pellicola virtuale non si gra a, non si rompe e soprattutto non ingombra). Secondo alcuni studiosi, per
potersi a ermare commercialmente una tecnologia debba mascherarsi da vecchia= l’obiettivo non è quello
di dimostrare di poter fare qualcosa di diverso dalla tecnologia che intende sostituire, quanto dimostrare di
poter fare in modo soddisfacente proprio quello che faceva quest’ultima. Le innumerevoli possibilità di
lavoro del montaggio digitale permettono di fare qualcosa che il montaggio meccanico non avrebbe
nemmeno potuto immaginare e non possono che in uenzare certi aspetti della forma e del contenuto del
lm.
• “NUOVO CINEMA” DI HONG KONG: a partire dai primi anni 80’, registi come John Woo, Tsui Hark
e Ringo Lam sono assurti alla ribalta internazionale, idolatrati dal pubblico cine lo ma anche
guardati e studiati dalla critica per l’estetica dei loro lm d’azione, capaci di coniugare ritmo
frenetico e pulizia formale.
• POSSIBILITA’ OFFERTE DAI SISTEMI DI MONTAGGIO NON LINEARE: oggi vediamo ritmi
sostenuti nei lm perché esistono strumenti che rendono le pratiche di montaggio semplici come
non mai. I sistemi di montaggio non-lineare hanno contribuito a velocizzare in modo generalizzato il
montaggio del lm (non solo i lm d’azione ma anche scene dialogate= es. “Sud” del 1993 di
Gabriele Salvatores).
Il montaggio rapido non è dunque necessariamente sinonimo di montaggio discontinuo (es. ogni semplice
conversazione può accelerare considerevolmente il ritmo del lm). La tendenza di lungo periodo
all’accelerazione del montaggio ha presentato una considerazione dei lm basata su una di erenza di tipo
“quantitativo” che diventa inevitabilmente anche una di erenza di tipo “qualitativo” (es. un lm con ASL di
10 secondi incarna un’idea diversa di un lm con ASL di 1-2 secondi). In generale il cinema post-moderno
sembra fare del montaggio rapido un uso attrazionale= i tagli adrenalinici non rispondono semplicemente
alle necessità di un’istanza narrante, ma puntano a colpire lo spettatore, anche al prezzo di destabilizzare la
narrazione.
1. SPLIT SCREEN NARRATIVO: una sorta di alternativa al montaggio alternato, ma innovativo per
complessità e pervasività= rapporto cogente tra le inquadrature sul piano della storia raccontata,
visualizzando azioni simultanee e interdipendenti. Es. “Timecode” del 2000 di Mike Figgis=
racconto complesso attraverso quattro punti di vista sincronici.
2. SPLIT SCREEN SPETTACOLARE: i rapporti narrativi sono subordinati al valore espressivo della
loro giustapposizione. In questo caso lo split screen è fondato sulla “moltiplicazione” della visione, il
cui tasso spettacolare dipende dal numero di nestre in cui viene scomposto lo schermo= tanti più
quadrati nel quadro ci saranno, tanto maggiore sarà l’e etto sullo spettatore. Es. “Hulk” del 2002
di Ang Lee= lo split screen è usato secondo due opzioni:
• Riprese di un stesso oggetto da punti di vista diversi= una sorta di montaggio (interno
analitico), oppure un numero più o meno importante di oggetti diversi, secondo un
montaggio (interno contiguo).
3. SPLIT SCREEN IPERTESTUALE: tra le due o più inquadrature “aperte” simultaneamente sullo
schermo intercorre, lo stesso rapporto associativo riscontrabile tra scrittura, gra ca o immagini di
un “ipertesto”, un testo che non si presenta in modo sequenziale, ma si propone come una rete di
materiali interconnessi, fruibili secondo percorsi molteplici, previsti dall’architettura associativa
complessiva, eppure controllabili dai lettori. Es. “L’ultima tempesta” del 1991 di Peter Greenway=
split screen usato in modo sistematico per illustrare, arricchire e problematizzare l’ininterrotto
monologo del protagonista, il duca di Milano in esilio; lo stesso split screen stabilisce anche
relazioni e collegamenti più o meno complessi tra lo stesso Prospero e l’universo narrativo che gli
gravita attorno (sotto-inquadrature per rievocare eventi passati e per rappresentare azioni
simultanee lontano o vicine l’una all’altra).
Le in nità possibilità di manipolazione delle immagini fornite dai sistemi di montaggio non-lineare hanno
rinvigorito la pratica dello split screen. Le forme di montaggio interno del cinema contemporaneo fanno un
salto sia di tipo quantitativo (split screen non limitato) che qualitativo (split screen serve nalità non
immediatamente o esclusivamente narrative) rispetto allo split screen classico.
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1. LIVELLO ELEMENTARE DI “DIEGETIZZAZIONE” DEL MATERIALE NON FOTOGRAFICO: la
presenza nel lm di inserti elettronici o informatici viene denunciata allo spettatore come tale e
giusti cata, sul piano narrativo, attraverso la messa in scena del mezzo di produzione (computer o
video che sia. Es. alcuni lm degli anni 80’ in cui un personaggio mantiene una telecamera
amatoriale in mano o si diletta con dei videogiochi= “Sesso, bugie e videotape” del 1989 di
Steven Soderbergh= il regista a da al video l’intimità dei personaggi secondo una dicotomia video-
verità contro pellicola- nzione ma, attraverso il montaggio che si spinge a mettere in relazione video
e pellicola, con denze e menzogne). Il modello non fotogra co viene diegetizzato come tale
(digitale diegetico in= l’immagine non fotogra ca proviene dalla diegesi del lm e che la fonte di
quella stessa immagine venga visualizzata)
Il cinema contemporaneo utilizza il digitale in modo sempre più frequente non solo come e etto speciale. Il
montaggio di materiali del cinema post-moderno costituisce la prima compiuta interrogazione lmica sullo
statuto dell’immagine non fotogra ca come immagine “di erente”.
3. Alterare un testo già distribuito per il semplice piacere di farlo, ovvero per realizzarne una
versione in qualche modo migliore di quanto non fosse l’originale (es. “Apocalypse Now”
di Coppola).
Il tasso di intertestualità del cinema post-moderno è talmente elevato da consentirci di individuare delle
tipologie ricorrenti di referenzialità che chiamano in causa direttamente il montaggio quale principio di
organizzazione del lm.
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