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B O L L E T T I N O F I L O S O F I C O
Annuario a cura del Dipartimento di Filosoa dellUniversit della Calabria

Bollettino Filosoco
XXII (2006)
Forma e immagine
a cura di Romeo Bufalo
ARACNE
Copyright MMVII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN 9788854810402
ISSN 1593717860001
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dellEditore.
I edizione: febbraio 2007

Indice


ROMEO BUFALO Premessa ................................................................... p. 7



Sezione monografica: Forma e immagine


J.J. WUNENBURGER Immaginario e razionalit: una teoria della creativit
generale .................................................................. p. 17

MARCELLO ZANATTA Verit e nonverit della poesia: Aristotele e Platone
................................................................................. p. 31

GIUDITTA BOSCO Immagini della memoria e velamenti nellopera di
G. Bruno ................................................................. p. 67

FABRIZIO PALOMBI Lacan: lo specchio e il barocco .............................. p. 89

CLAUDIA STANCATI La parola e limmagine: linguistica e retorica tra XVII e
XVIII secolo ......................................................... p. 113

ALBA BATTISTA Immagine e immaginazione attraverso Giacomo
Leopardi ................................................................p. 125

FRANCESCO GARRITANO Chiasmo grafico.................................................... p. 147

ANNABELLA DATRI Immagine e Weltbild in Heidegger ...................... p. 165

SILVANO FACIONI Lidolo senza ombra. Sul problema del divieto biblico
della rappresentazione .......................................... p. 183

STEFANO OROFINO Divieto dimmagini: T.W. Adorno ...................... p. 203

FERDINANDO ABBRI Funzione critica dellarte: ideali, realt, e promessa di
felicit ................................................................... p. 219

FRANCESCA BONICALZI Limmagine poetica e luomo felice. Sullimmagina-
zione materiale in Gaston Bachelard ................... p. 241

GIOVANNI COLACITTI Note su immagine e conoscenza nel bergsonismo di G.
Deleuze ................................................................. p. 251

FRANCESCO VITALE La sopravvivenza dellaura. La fotografia tra Benjamin
e Barthes ............................................................... p. 267

MARIA PALLONE Immagine corporea e vissuto corporeo: una lettura
merleaupontyana del fenomeno dellarto fantasma
............................................................................... p. 291

SANTE MALETTA Politiche dellimmaginario. Narrazione e identifica-
zione sociale ......................................................... p. 305
5

6
GIUSEPPE MACCARONI Immagini delloppressione in Simone Weil ........ p. 317

ALFREDO GIVIGLIANO Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
Considerazioni preliminari: riflessioni e domande
............................................................................... p. 337

SPARTACO PUPO Limmaginazione morale nella filosofia americana
contemporanea ..................................................... p. 357

MARCELLO W. BRUNO Foucault e limmagine moderna .......................... p. 375

BRUNO ROBERTI Nello specchio ...................................................... p. 391

DANIELE DOTTORINI Limmagine negata del cinema: Debord, Jarman,
Monteiro ............................................................... p. 419

VINCENZA COSTANTINO Regimi dellimmagine elettronica ........................ p. 429

DONATA CHIRIC Avere la testa sulle spalle: una questione dorecchio ... p. 443


Note e discussioni

RAFFAELE CIRINO Newton divulgatore di immagini scientifiche ...... p. 457

EMILIO M. DE TOMMASO Leibniz e Spinoza. Rifiuto, scontro o confronto? p. 465

ANTONIA GIGLIO Necessit materiale e ragione formale. Note per una
rilettura della lex continui in Leibniz ................... p. 479

ANGELA MAGAR The Scale of Curiosity: James I Stuart e la Daemono-
logie (1597) .......................................................... p. 495

KATIA MENNITI Itinerari di passione. Luce Irigaray e il femminile p. 505

ALESSIA NIGER Amore, follia e cecit. Lordine dellimmaginazione p. 515

EMILIO SERGIO Il De Corpore (1655) di Hobbes a Napoli: note sulla
ricezione del De Corpore XXX nei Progymnasmata
(1663) di Tommaso Cornelio ............................... p. 521

ILARIA VIGORELLI Un appunto laterale a Mitologia Bianca di Jacques
Derrida ................................................................. p. 539




Norme editoriali per gli autori ............................................................................ p. 549
Premessa

Pensare/immaginare



Poich senza sensazione luomo non pu intendere nulla, cos,
quando egli attualmente pensante, deve avere unimmagine dinanzi
alla mente. E a chi mi chieda se e come noemi pi semplici differi-
scano in carattere dalle immagini, rispondo che n queste nozioni n le
altre sono immagini, ma che per esse tutte non possono fare a meno di
immagini.
Chi parla Aristotele; il luogo: De anima, 432a 714. Questo per
dire che quella delle immagini una storia antica, in cui convergono e
si concentrano problemi filosofici (e non solo filosofici) di primaria im-
portanza. Il testo aristotelico ci mostra come, fin dalla nascita del pen-
siero occidentale, il tema dellimmagine e dellimmaginazione non sia
riducibile ad una banale questione mimetica, ma metta in causa la na-
tura del pensiero. Le immagini testimoniano infatti di un particolare in-
treccio esteticologico fra il piano del sensibile e quello dellintelligi-
bile. Contrariamente alle convinzioni comuni, infatti, le immagini, ha
scritto Elio Franzini, non si esauriscono nella loro datit esterna e
nello sguardo che le coglie immediatamente, ma richiedono, per essere
comprese nella loro densit e polivocit, lintervento del pensiero e del
giudizio con cui riusciamo a cogliere anche ci che sta al di l delle
immagini, giacch esse si istituiscono ed appaiono lungo il solco che
separa il visibile dallinvisibile (E. FRANZINI, Fenomenologia dellinvi-
sibile. Al di l dellimmagine, Milano, Raffaello Cortina, 2001, p. 2).
Tutto questo rinvia alla natura anfibia e, per molti versi, parados-
sale dellimmagine, la quale sia sensibilit che pensiero; un pensiero
che si adagia su uno sfondo sensibile, ma, soprattutto, un sensibile che
si insedia nel cuore stesso del pensiero, variamente illuminandolo e
colorandolo dallinterno. Sotto questo profilo, allora, sarebbe erroneo
considerare le immagini come semplici realizzazioni materiali di perce-
zioni ottiche, cio come figure. Come ha rilevato di recente Emilio
Garroni, oltre alle immagini esterne, ci sono anche immagini interne,
vale a dire immagini mentali; immagini, cio, che costruiamo interna-
mente riorganizzando i dati percettivi esterni (E. GARRONI, Immagine
interna, figurasegno, e lo schematismo kantiano, in ID., Larte e lal-
tro dallarte. Saggi di estetica e di critica. RomaBari, Laterza, 2003,
p. 76).
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Romeo Bufalo 8
Creare unimmagine, pertanto, non vuol dire solo copiare ci che
c, ma anche, e soprattutto, far essere qualcosa che prima non cera; e
quindi far conoscere aspetti nuovi ed inediti del reale. Da questo punto
di vista, lo statuto dellimmagine tale che essa partecipa sia del reale
che dellirreale, della verit e dellillusione, del concreto e dellastratto.
Pu autenticare il mondo scattando unistantanea, ma pu anche falsifi-
carlo a causa del carattere mosso e sfocato di ogni istantanea.
Sono state per proprio considerazioni di questo tipo a giocare ne-
gativamente nei confronti dellimmagine. La quale, come sosteneva
Maurice MerleauPonty, non ha certo goduto di una buona fama nel
corso dellet moderna. Cartesio, per esempio, la considerava la matta
di casa, e, pi in generale, ha pesato su di essa, nellepoca dellars
rationis, la convinzione, risalente ad una lettura, peraltro affrettata e
parziale, di Platone, secondo cui se limmagine un doppio mimetico
di ci che rappresenta, cio la sua parvenza, un suo sostituto fantastico,
essa non potr pretendere di possedere un effettivo statuto ontologico
ed un reale valore gnoseologico. (Piccola parentesi platonica: lidea di
un Platone nemico delle immagini frutto, come si diceva, di unec-
cessiva semplificazione storiografica. Tanto per incominciare, Platone
riteneva che limmagine, per essere tale, non dovesse copiare in tutto e
per tutto il modello da cui deriva. In questo caso, infatti, pi che
unimmagine, si avrebbe un duplicato della cosa. Limmagine tale
perch sottrae o aggiunge qualcosa alloriginale da cui deriva; dunque,
in un certo senso, fa essere una cosa altrimenti da come . E poi,
accanto ad immagini false (eidola), ci sono anche immagini vere
(eikona)).
Ma nellet moderna, come noto, coesistono prospettive molto dif-
ferenziate. Cos, accanto ad una linea cartesiana, se ne profila unal-
tra che insiste sullefficacia e sulla portata positiva dellattivit immagi-
nativa. George Berkeley, per esempio, scorger la natura produttiva
dellimmaginazione come facolt che, in occasione di determinate idee,
suggerisce nuove formazioni e nuove configurazioni ideali. Denis Di-
derot studier il funzionamento delle immagini per ridefinire lo statuto
della conoscenza, e prospetter una specie di pensiero immaginante
come capacit di prefigurare nuovi scenari scientifici, di subodorare
rapporti inediti fra le cose. David Hume, dal canto suo, sosterr che
lattivit produttrice di immagini ha la facolt, entro certi limiti, di uni-
re o di separare fra loro le idee per formarne di nuove. E cos lattivit
del dividere e del collegare se non un modo, anzi uno dei modi pi
eminenti, di pensare? Lopera di analisi e di sintesi di cui parla Hume
Premessa 9
non dipende infatti da un calcolo logico, ma connessa a quella che
egli definisce una gentle force, ossia ad un certo modo di sentire il
legame o la separazione fra le cose. Hume opera in tal modo una decisa
rivalutazione della portata filosofica delle immagini e dellimmagina-
zione, la quale molto vicina a quel sentire con cui percepiamo il mon-
do e cominciamo a pensare.
Dunque: non si pu pensare senza immagini, diceva Aristotele; op-
pure: attraverso le immagini organizziamo il mondo in pensieri, di-
ranno, da prospettive diverse, importanti filosofi dellet moderna. Noi
infatti possiamo pensare anche ci che non c, purch sia immagina-
bile. Non possiamo invece pensare ci che inimmaginabile. Una
montagna doro, un fiume di latte, un cavallo volante sono pensabili,
anche se non esistenti, in quanto la nostra capacit di costruire im-
magini a metterceli sotto gli occhi, per cos dire. Una montagna senza
vallata, invece, non riusciamo a pensarla; e non ci riusciamo proprio
perch non riusciamo ad immaginarla. Qui, per, oltre che il pensiero,
limmagine mette in questione anche la sfera ontologica. Essa infatti
produce qualcosa di nuovo ricombinando pezzi di realt ed oggetti fra
loro diversi scorgendo fra essi legami insospettati e tuttavia plausibili.
Limmagine, pertanto, quale prodotto di una specifica facolt che la
facolt poieticoimmaginativacreativa, si precisa come ci che rende
possibile il passaggio di una cosa dal nonessere allessere, come aveva
intuito Platone nel Simposio (205 bc); o come produzione, mediante
abilit e sulla scorta di un sapere, di cose che possono esserci o non
esserci, come aveva sostenuto Aristotele (Etica Nic. VI 45).
Ma il pensatore che ha fortemente rivalutato e rilanciato la portata
filosofica delle immagini nella modernit stato sicuramente Kant.
Richiamando la complessa evoluzione che la dottrina kantiana dello
schematismo subisce tra Prima e Terza Critica, Emilio Garroni, nello
scritto sopra citato, sostiene che lattivit con cui si producono im-
magini coincide con quello schematizzare senza concetti che, lungi
dallessere unespressione contraddittoria, invece una delle caratteri-
stiche paradossali della filosofia nel suo uso critico. Con questa e-
spressione, infatti, Kant, secondo Garroni, ci vuol dire che limmagine
, certo, priva di concetti determinati; e tuttavia essa la condizione
indeterminante che rende possibile la formazione di concetti. Da que-
sto punto di vista, limmagine, nella sua indeterminatezza, qualcosa
di pi ampio e di pi ricco sia rispetto al concetto che rispetto allin-
tuizione, quale pu essere quella cui d vita la percezione di una figura.
Limmaginazione , pertanto, lattivit che rende possibili figurein-
Romeo Bufalo 10
tuizioni e concetti determinati. una sorta di anticipazione immaginati-
va, cio estetica, delle nostre esperienze.
Sulla base di questi importanti precedenti storicoteorici, il discor-
so sulle immagini conosce significativi sviluppi nel corso dellOttocen-
to. Ma si fa particolarmente intenso e complesso, anche per la pluralit
di campi disciplinari che esso attraversa (da quello estetico a quello
antropologico a quello eticopolitico), soprattutto nel corso del Nove-
cento (cui, non a caso, sono dedicati la maggior parte dei contributi che
formano la sezione monografica del presente volume). Tale intensit e
tale complessit sono legati al fatto che in questo periodo lo statuto del-
limmagine subisce una trasformazione radicale a causa dellincontro
con la tecnica (e con i problemi ad essa connessi).
Fino a che punto le modalit tecnicooperative incidano sulla costi-
tuzione e sulla fisionomia delle immagini, come cambi la loro funzio-
ne, la loro portata conoscitiva ed ontologica in relazione alla loro ripro-
ducibilit tecnica, una problema di notevole spessore filosofico, ma
sul quale non sempre i filosofi hanno saputo dirci molto, tranne qualche
significativa eccezione. Martin Heidegger, per esempio, dedica un sag-
gio importante al tema dellimmagine del mondo, ma, come ha rile-
vato Pietro Montani, non riuscito ad intercettare le valenze cui si ac-
cennava prima. Ed ha scorto, nellimmagine del mondo, solo il primato
del pensiero rappresentativo, trascurando il fatto che non sempre le im-
magini sono rappresentative (P. MONTANI, Arte e tecnica: vecchie e
nuove forme di dissidio, in M. CARBONI P. MONTANI (eds.), Lo sta-
to dellarte. Lesperienza estetica nellera della tecnica, RomaBari,
Laterza, 2005, p. 14).
Quanto la produzione e riproduzione tecnica delle immagini abbia
inciso non solo sulla ridefinizione del concetto di opera darte, rite-
nuto il loro luogo privilegiato di esistenza, ma anche sulla nostra espe-
rienza sensibile, riconfigurando il nostro modo di sentire e di percepire
il mondo, stato invece ben colto da Walter Benjamin. In uno scritto
del 1936, divenuto poi molto famoso (Lopera darte nellepoca della
sua riproducibilit tecnica, Torino, Einaudi, 1966), egli sottolinea co-
me lirruzione nel mondo contemporaneo di arti tecnicamente assisti-
te come il cinema e la fotografia, abbiano messo in crisi non solo il
concetto tradizionale di opera, ma abbiano, al contempo, collocato
lesperienza dellimmagine su un territorio nuovo, in cui i risvolti e le
potenzialit eticopolitiche connesse al carattere tecnico della produ-
zione di immagini prevalgono nettamente sui valori estetici tradizio-
nali della creativit, dellinnovativit, ecc.
Premessa 11
Nellepoca delle immagini tecniche, in altri termini, fondamen-
tale importanza rivestono le potenzialit criticoemancipative connes-
se alla percezione pi dilatata e pi approfondita della realt che la
strumentazione tecnica rende possibile (lobiettivo coglie ci che loc-
chio non vede, la cinepresa pu rallentare o accelerare il normale
flusso del tempo facendocene percepire aspetti inediti ecc.). Ma, so-
prattutto, le immagini si caricano (e si incaricano) di un nuovo compito
etico connesso alla capacit di documentazione e di testimonianza che
la loro natura tecnica porta inscritte nella dimensione compositiva at-
traverso la quale le immagini prendono forma (vale a dire: acquistano
un senso).
Si tratta di un compito etico su cui, negli ultimi tempi, ha insistito
molto Pietro Montani (non solo nello scritto citato sopra); e che vi-
sibile dentro la forma stessa delle immagini tecnicamente prodotte. Il
che vuol dire che si pu ancora parlare di poiesis, a proposito della
messa in opera delle immagini, solo a patto che ad essa venga as-
segnato un significato preminentemente etico pi che estetico in senso
moderno. stato soprattutto il cinema ad assumersi, in modo premi-
nente, il compito etico di documentazione e testimonianza attraverso la
forma; dal momento che, come ha sostenuto Serge Daney, il cinema
tenuto (ed in tale espressione evidente lidea di un dovere, pi che di
un essere) a ricercare limmagine giusta, pi che limmagine bella.
Tutto questo il cinema ha potuto farlo, e pu farlo, perch il campo in
cui esso si muove quello spazio immaginativo ampio, ibrido che
si distende tra la datit delle cose e la loro raccontabilit, tra il dato ed
il costruito, in una parola: tra documentazione e narrazione (P. MON-
TANI (ed.), Lestetica contemporanea. Il destino delle arti nella tarda
modernit, Roma, Carocci, 2004, p. 32).

Sulla base delle brevi considerazioni che la portata teorica e storica
delle immagini ha suggerito nella parte iniziale di questa Premessa,
del tutto legittimo sostenere che di esse (come dellesssere aristotelico)
si pu parlare in tanti modi. quello che hanno fatto gli autori del vo-
lume che qui viene presentato. Lidea che infatti ha guidato lorganiz-
zazione della sezione monografica dal titolo Forma e immagine, stata
quella di mostrare, per quanto fosse possibile, la straordinaria ampiezza
e la notevole variet di temi, profili, autori, prospettive teoriche che la
questione delle immagini sollecita. Questo quadro mosso e articolato
rende, fra laltro, abbastanza fedelmente lidea (o limmagine?) della
Romeo Bufalo 12
pluralit dei campi di ricerca e di ambiti disciplinari che fecondamente
coesistono nel Dipartimento di Filosofia dellUniversit della Calabria.
I saggi si distribuiscono, pertanto, su due grandi settori: uno preva-
lentemente teorico e laltro storico. Fanno, per cos dire, da apripista
dei due ambiti, rispettivamente, il contributo di J.J. Wunenburger e
quello di M. Zanatta. Wunenburger, un autore che alla filosofia delle
immagini ha dedicato uno studio fondamentale (Filosofia delle im-
magini, trad. it. Torino, Einaudi, 1999), prende come filo del suo di-
scorso le riflessioni di Gaston Bachelard sulla rverie (un aspetto sul
quale si sofferma anche F. Bonicalzi) e lega la teoria dellimmagina-
zione ad una pi generale teoria della creativit.
M. Zanatta ripercorre invece un tratto filosoficamente decisivo per
la storia dellidea di immagine nella cultura occidentale attraverso un
confronto ravvicinato tra Aristotele e Platone relativamente al carattere
veritativo delle immagini.
Quanto il pensiero filosofico moderno sia in debito nei confronti
delle posizioni platoniche ed aristoteliche si pu misurare non solo dal-
le considerazioni di Giordano Bruno contenute nel De umbris idearum,
su cui si sofferma G. Bosco, ma anche dalle riflessioni e dai dibattiti,
spesso appassionati, che si sviluppano, anche in ambienti non filosofici,
durante lepoca barocca. Celebre, per la fisionomia complessiva del
periodo, , per esempio, la metafora dello specchio, sulla cui scorta F.
Palombi legge lidea lacaniana di anamorfosi. Su un territorio storio-
graficamente contiguo, C. Stancati scorge nelle teorie linguistiche e
retoriche del XVIIXVIII secolo (e nonostante le note preclusioni car-
tesiane nei confronti dellimmagine) una consistente rivalutazione della
dimensione retoricoimmaginativa del pensiero.
Ma se si volesse tracciare un quadro statisticamente pi preciso del-
la distribuzione dei saggi per grandi aree storiche, per le ragioni cui si
accennava sopra la parte del leone spetterebbe al Novecento. Se si ec-
cettua infatti il contributo di A. Battista (dedicato al valore strategico
della teoria leopardiana delle immagini) e quello di F. Garritano (che,
pur parlando della feconda ambiguit ontologica e gnoseologica del
chiasmo grafico, prende tuttavia le mosse dalle note di Ch. Baudelaire
sul diorama), tutti gli altri interventi indagano, da punti di vista fra loro
diversi, autori e tratti di storia e di teoria dellimmagine che si con-
centrano prevalentemente nella seconda met del secolo scorso.
Su Heidegger e limmagine e sui diversi sensi che essa assume nel-
litinerario del filosofo (anche in riferimento a Kant) si sofferma A.
DAtri; su Foucault lettore di Manet (e sul valore ontologico del qua-
Premessa 13
dro) M.W. Bruno; sul rapporto BergsonDeleuze G. Colacitti; sulla
rilevanza del notturno nella filosofia bachelardiana della rverie, co-
me si detto, F. Bonicalzi. Il problema dellimpossibilit delle im-
magini (al di l della loro verit o falsit) accomuna, su un piano pi
eticoreligioso che estetico, i saggi di S. Facioni e di S. Orofino. Que-
stultimo esamina il problema in rapporto ad Adorno (laddove il primo
si sofferma sul rapporto tra testo scritto e testo orale della Torah) ed al
carattere antagonistico e negativo delle immagini artistiche nei con-
fronti della positivit dellesistente. Un tema, questo, che F. Abbri af-
fronta in riferimento a Marcuse. Forse a questi interventi si potrebbero
associare, per i risvolti politicosociali che lo studio delle immagini
consente di individuare, quelli di S. Maletta (sulle politiche dellim-
maginario), di A. Givigliano (sulla traducibilit in immagini delle rela-
zioni sociali), di G. Maccaroni (sulle immagini delloppressione) e di
S. Pupo (sullimmaginazione morale nella filosofia americana); mentre,
un po pi decentrato rispetto a questi temi, ma tuttavia su un terreno
contiguo, si sviluppa il contributo di M. Pallone dedicato al rapporto
immagine corporeavissuto corporeo in M. MerleauPonty. Il nodo
cruciale rappresentato dal concetto benjaminiano di aura e la sua so-
pravvivenza nel regime delle immagini fotografiche studiato da F.
Vitale attraverso un raffronto particolareggiato tra Benjamin e Barthes.
Specificamente dedicati allimmagine cinematografica sono, infine,
un gruppo di interventi (quelli di D. Dottorini, di B. Roberti, di V. Co-
stantino, cui si potrebbe forse associare anche quello di M.W. Bruno) i
quali costituiscono, al di l, beninteso, delle assunzioni teoriche che ne
guidano larticolazione, una specie di sottosezione omogenea. Questi
interventi delimitano, infatti, un campo di studi su cui si esercitata pi
intensamente e pi diffusamente la riflessione sulle immagini negli ul-
timi decenni (grosso modo, a partire dalla ripresa degli studi di W.
Benjamin sulla loro riproducibilit tecnica). E rappresenta il terreno sul
quale tuttora si vanno sviluppando riflessioni che coinvolgono, come la
variet degli interventi qui presentati testimonia, filosofi e psicologi,
antropologi e sociologi, storici dellarte e studiosi di estetica; e, pi di
recente, teorici del film e della fotografia, dei new media e del digitale,
della computer art e del virtuale. E forse altri ambiti si stanno profi-
lando (o si sono gi profilati e noi non ce ne siamo ancora accorti).
ROMEO BUFALO














Sezione monografica: Forma e immagine









































JEANJACQUES WUNENBURGER

Immaginario e razionalit: una teoria della creativit generale
*



La filosofia di Gaston Bachelard nota soprattutto per i suoi
contributi allepistemologia delle scienze contemporanee, secondo
una tradizione vicina allidealismo francese
1
, e a una teoria delle
poetica onirica, ispirata in un certo qual modo al romanticismo
tedesco, combinato alle risorse dello strutturalismo linguistico
2
.
Questi due ambiti in cui si esercita la sua filosofia, la razionalit e
limmaginario, sono stati daltronde spesso trattati separatamente, o
perfino considerati antagonisti, su suggerimento dello stesso
Bachelard. Ora, questi due versanti dellopera sono davvero indi-
pendenti e opposti? Non occorre invece cercare, al di l di uninter-
pretazione letterale, lunit profonda di questi due aspetti del suo
pensiero che, come i versanti di una montagna, formano un massiccio
unico, sebbene siano rivolti verso direzioni opposte? Questunit
complessa, o addirittura questunit degli opposti, che sarebbe anche
unarmonia delle divergenze (concordia discors), potrebbe forse
collocarsi in una teoria generale della creativit della mente, che per
Bachelard costituisce probabilmente la preoccupazione maggiore e il
segno della sua idiosincrasia personale, e risulta da un pensiero to-
nico, esposto a variazioni in ipo e in iper, in unalternanza di eufo-
ria e malinconia?
Quella di Bachelard, infatti, pi che una filosofia delle forme, dei
metodi e delle strutture della mente, una filosofia dei dinamismi
intellettuali in grado di produrre cambiamenti, metabolismi, meta-
morfosi di rappresentazioni soggette a rotture e a continue rivolu-
zioni, e che votano la mente allavventura della novit. In questo mo-
do, il pensiero bachelardiano, attirato dalle promesse di una filosofia
del non, potrebbe essere concentrato in un prefisso sovradeterminato
come il neo, che serve anche alla costruzione di quei neologismi
cos tipici del filosofo.

*
Tratto dal volume Bachelard. Raison et imagination, Bahia, UEFS/NEF, 2005.
1
Cfr. J.J. WUNENBURGER (ed.), Gaston Bachelard et lpistemologie franaise,
Paris, Puf, 2003.
2
Cfr. il nostro articolo La pense rhnane de G. Bachelard, conflit ou alliance
de la raison et de limagination, in J.F. MATTEI (ed.), Philosopher en franais, Paris,
Puf, 2001, pp. 171 e sgg.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 17-29 17
JeanJacques Wunenburger 18
Lopposizione tra il diurno e il notturno

Incontestabilmente, Gaston Bachelard non ha cessato di sud-
dividere la mente umana secondo due grandi sistemi di funzio-
namento, uno dominato dallimmagine affettiva, laltro dal concetto
astratto, opposizione che evoca i poli notturno e diurno del mondo, e
che corrispondono alle produzioni culturali della rverie spontanea o
artistica da una parte e a quelle della razionalit scientifica dallaltra.
Lantagonismo esistente tra queste due rappresentazioni e processi
pu chiarirsi a partire da almeno tre posizioni:
Gli studi di Bachelard sulla formazione dello spirito scientifico,
vale a dire sul passaggio dallo spirito prescientifico a quello scien-
tifico nel corso della storia, ispirati dalle sue concezioni della psi-
cologia genetica (in un certo senso vicine a quelle di J. Piaget) con-
vergono sullidea che la mente , originariamente, immersa in unico-
nosfera soggettiva, le cui produzioni restano assai dipendenti dai bi-
sogni e dalle emozioni della vita inconscia. Leducazione alla razio-
nalit e alla cultura condivisa richiede quindi uninversione, unepu-
razione di questo immaginario primo, grazie a un lavoro di purifi-
cazione simile a quello della psicanalisi. soltanto a questo prezzo
che si possono costruire forme concettuali arbitrarie che devono, esse
soltanto, consentire lelaborazione di una vera intelligenza del mondo
dato (la scienza), autentica perch supera il semplice empirismo e
realismo, che peccano di eccessiva passivit. La ragione si forma
dunque in opposizione allonnipotenza delle immagini, che regnano
sulla percezione e sulla concezione. Lunico sapere scientifico, quin-
di, rettificato: la verit scientifica frutto di un costante lavoro con-
tro errori originari;
La via dellimmaginazione poetica, spontanea o lavorata dal-
larte tanto pi separata e opposta alla via dellastrazione razionale
in quanto si alimenta di forze inconsce e di un onirismo materiale
pre o antiscientifico. Limmaginazione non soltanto unattivit di
formazione di immagini, ma anche di trasformazione di immagini, il
che significa due cose: da una parte, immaginare significa animare le
immagini, sostituendo alla fissit, alla fissazione (che conduce al-
lossessione nevrotica ben identificata da Freud) una dinamica fe-
conda capace di generare nugoli e flussi di immagini nuove; dal-
laltra, immaginare vuol dire radicare le immagini nelle profondit
della psiche, tra i ricordi dellinfanzia e gli strati degli archetipi. La
forza delle immagini proviene cos dalla loro oscurit e confusione,
Una teoria della creativit generale 19
opposte alle dimensioni chiare e distinte dei concetti, per riprendere le
metafore cognitive di Cartesio. Inoltre, questimmaginario soggettivo
e frammisto al corpo stesso, risulta stimolato dallincontro con ele-
menti materiali esterni (il fuoco, laria e la terra), che collegano lo
psichismo con la Natura inglobante.
Tuttavia, come dimostrano gli approcci fenomenologici allim-
maginazione materiale, le rappresentazioni di queste materie sono pi
vicine alla psicologia dellalchimia che allepistemologia della chi-
mica, pi affini alla simbolica che alla fisica matematica. E, inoltre, la
materialit alimenta limmaginazione nella proporzione esatta in cui
le immagini degli elementi sono sovradeterminate dalle proprie va-
lenze simboliche, e non vengono quindi trattate n in maniera em-
pirica n in maniera astratta
3
. Limmaginazione e limmaginario, non
soltanto formano un ostacolo allelaborazione di un sapere scientifico,
ma dipendono, per di pi, da una sorta di unit psicofisica del sog-
getto e da una nonseparazione tra il soggetto e loggetto, che si
oppongono alle esigenze della costruzione della scienza: isolare una
ragione astratta dalle turbolenze della ricettivit soggettiva e accedere
a unoggettivit che implichi la messa tra parentesi della soggettivit;
Questa divergenza logicopsicologica della ragione e dellim-
maginazione pu essere corroborata da numerosi atteggiamenti filo-
sofici di Gaston Bachelard, tra cui vorremmo distinguere i due rap-
porti verso il cosmo. Bachelard, infatti, ha incessantemente opposto la
scienza astratta del mondo, valorizzata da diversi positivismi, e la
rverie concreta sulla Natura, cara al romanticismo. La rverie, sotto
limpulso onirico dato dagli elementi primi, affronta la Natura come
una totalit infinita, in cui il soggetto conosce esperienze di co
appartenenza se non addirittura di fusione, assimilabile a un regime
psichico notturno. Lo sguardo scientifico sulla Natura procede al con-
trario per atomizzazione e oggettivazione, e comporta la selezione di
fenomeni limitati spazialmente e temporalmente. Cos come la r-
verie ama il grande, lillimitato, la razionalit ha bisogno di ridurre, di
frammentare, di cambiare di scala, insomma di concentrarsi sul
piccolo. Questo il motivo per cui non esiste davvero spazio per una
cosmologia bachelardiana: la scienza esige infatti una sorta di

3
Cfr. il nostro studio, G. Bachelard et la mdiance des matires archcosmi-
ques, in C. YOUNES e TH. PAQUOT (eds.), Philosophie, ville et architecture, Paris, La
Dcouverte, 2002.
JeanJacques Wunenburger 20
decosmologizzazione delle rappresentazioni
4
. Cos come lim-
magine pu oscillare liberamente tra un ingrandimento del mondo
(per gulliverizzazione) e un suo rimpicciolimento (che sarebbe la
via di Lilliput), la scienza dovrebbe la sua positivit al solo
rapporto col microcosmo, che garantisce loggettivit. Tramite questa
tipologia originale, Bachelard esprime forse la propria valorizzazione
del piccolo, dellintimo, in una parola del microcosmo, tutti elementi
che corrispondono alle proprie dinamiche personali e profonde.
Questopposizione tra un macrocosmo affidato al sogno e un
microcosmo, condizione di una razionalizzazione, permette quindi di
comprendere, su un piano metaepistemologico, la propensione ba-
chelardiana per il piccolo
5
, forse non estranea al suo entusiasmo epi-
stemologico nel comprendere la rivoluzione della fisica subatomica,
che radicalizza il piccolo verso linfinitamente piccolo. vero che
questa nuova fisica quantica realizza in qualche modo il modello
della scientificit, nella misura in cui linfinitamente piccolo, dive-
nuto invisibile, rende in qualche maniera sterile limmaginazione e si
presta unicamente alla formulazione di modelli astratti. Ci si potrebbe
anche chiedere se non ci sia in Bachelard una valorizzazione poetica
della scienza come modo di accesso allintimit.


Il chiasmo metodologico

Tuttavia, questa prima lettura del pensiero di Bachelard, che sod-
disfa unepistemologia positiva e che sostenuta da uninterpre-
tazione letterale di alcuni testi canonici dellautore, non pu essere
considerata come lultima parola della sua filosofia. Le relazioni tra
immaginario e razionalit conoscono altre formulazioni che condu-
cono a intersezioni, a complementarit, in particolare per il fatto che
ogni attivit cognitiva intrattiene rapporti epistemologici con laltra.
Cos, si deve notare come in Bachelard la razionalit serva a studiare
limmaginario, e limmaginazione a operare alcune trasgressioni im-
manenti alla razionalit stessa. Diversi punti meritano di essere messi
in evidenza:

4
Cfr. lo studio di J.C. BEAUNE Le problme de lunit dans luvre de G.
Bachelard, in ID., G. Bachelard, du rveur ironiste au pdagogue inspir, Dijon,
CRDP, 1984.
5
Cfr. G. BACHELARD, La potique de lespace, Paris, Puf, 1983 (trad .it. La
poetica dello spazio, Bari, Dedalo, 2006).
Una teoria della creativit generale 21
si deve a Bachelard uno dei primi studi sistematici dei processi
immaginativi, al crocevia tra la psicanalisi (prima freudiana, poi
junghiana) e lestetica del romanticismo tedesco. La poetica bache-
lardiana non pi un semplice studio impressionistico di una fa-
colt nota ai filosofi classici per il suo carattere alogico, o addirittura
per la sua follia. Lapporto bachelardiano prende le distanze da una
tradizione letteraria e linguistica, radicalizzando in modo paradossale
un doppio metodo. Da una parte, non cessa di denunciare le razio-
nalizzazioni dei processi creativi che alterano la profondit, la ric-
chezza e la spontaneit della vita delle immagini. dunque opportuno
accostarsi alle immagini tramite le immagini, in nome di una specie
di legge omeopatica secondo cui il simile cura il simile. Cos, perfino
la psicanalisi, soprattutto quella freudiana, si trova spesso esposta a
una critica frontale, perch interpreterebbe lorigine delle immagini
sotto linfluenza di saperi che ne alterano la vivacit e il carattere
plurivoco. questa la posizione che ha probabilmente indotto Ba-
chelard ad adottare il metodo fenomenologico, di ispirazione hus-
serliana, che aveva gi attuato la medesima scelta di cogliere la per-
cezione e limmaginazione a partire dalla loro fenomenicit im-
mediata. Tuttavia, Bachelard non ha mancato, per una sorta di
metodologia della contraddizione
6
, di sviluppare contemporanea-
mente le basi di una vera scienza delle immagini, che non arretra
davanti a nessun formalismo; ci ha addirittura permesso, a certi
interpreti, di vedervi gi allopera una sorta di strutturalismo ante
litteram. Di fatto, fin dalla Psychanalyse du feu, Bachelard progetta di
iscrivere lattivit dellimmaginazione poetica in diagrammi che
presenterebbero leggi oggettive, relative alle combinazioni delle
immagini e delle metafore del poeta. La razionalit non dunque
estranea allimmaginazione, poich permette di accertare che lim-
maginazione operi in maniera sistematica, logica e strutturata, nella
produzione di discorsi immaginari. Nel corso degli studi empirici,
Bachelard ha anche messo in evidenza alcune invarianti dinamo-
genetiche, tanto sintattiche quanto semantiche, della produzione dei
discorsi immaginari:
le immagini, non potendo restare isolate, formano insiemi che
obbediscono a leggi di composizione, per quanto riguarda le

6
Di cui ha saputo cogliere la fondatezza nei lavori di St. Lupasco e Korzybski.
Cfr. La philosophie du non, Paris, Puf, 1962
3
(trad. it. La filosofia del non: saggio di
una filosofia del nuovo spirito scientifico, Roma, Armando, 1998).
JeanJacques Wunenburger 22
immagini dinamiche, oppure a leggi di combinazione per quelle
materiali (ER, 109)
7
. Cos, limmaginazione pu combinare soltanto
due elementi materiali, mai tre (acqua, terra e fuoco). Ogni relazione
tra le materie immaginate si arricchisce anche delle loro opposizioni,
e perfino delle contraddizioni, come nel caso dellacqua e del fuoco:
Quanto si stimolerebbe limmaginazione, se si cercassero sistemati-
camente gli oggetti che si contraddicono (TRR 292). Tuttavia, lungi
dal provocare esclusioni o disgiunzioni, queste contraddizioni gene-
rano psicologicamente unambivalenza di valori (attraenterepel-
lente), che diventa un fattore determinante delle valorizzazioni oni-
riche. Infatti, una materia che limmaginazione non pu far vivere in
due maniere non pu giocare il ruolo psicologico di materia ori-
ginale (ER 19). Queste leggi sono allorigine di una dialettica delle
immagini che consiste in un va e vieni tra due poli contrari. Ogni
rverie ubbidisce cos a unorganizzazione temporale forte e debole,
fatta di momenti positivi e negativi, che disegnano una sorta di rit-
mica costrittiva;
accanto a queste leggi sintattiche, Bachelard coglie alcune co-
stanti semantiche che riguardano il contenuto stesso delle produzioni
oniriche. Cos, egli mette in evidenza, tra gli altri, un principio di iso-
morfismo, secondo cui unimmagine rimane la stessa attraverso i
differenti stati delle sue manifestazioni (caverna, casa, ventre), sia che
venga proiettata sulluniverso o che si riferisca alle profondit dellIo.
anche per questo che, nellimmaginario, il piccolo pu agire sul
grande perch un concentrato della sua potenza (ER 163) e il grande
pu diventare piccolo con un semplice cambiamento di scala (TRR
226). Per altro, immagini e metafore sono perfettamente reversibili,
come lacqua e la capigliatura, il vino e il sangue, e non conoscono i
limiti delle conversioni che devono affrontare i logici. Infine, tra le
altre costanti, limmaginazione tende sempre, come evidenzia
soprattutto Lair et les songes, ad aumentare unimmagine fino al-
linfinito, a privilegiare la verticalit, ad arricchirsi nel contatto con

7
Le abbreviazioni rimandano a La terre et les rveries du repos. Essais sur les
images de lintimit (TRR), Paris, Corti, 1948 (trad. it. La terra e il riposo. Le
immagini dellintimit, Como, Red, 1994); La terre et les rveries de la volont.
Essai sur limagination des forces (TRV), Paris, Corti, 1948 (trad. it. La terra e le
forze. Le immagini della volont, Como, Red, 1989); Leau et les rves. Essai sur
limagination de la matire (ER), Paris, Corti, 1943 (trad. it. Psicanalisi delle acque,
Como, Red, 1992); Lair et les songes. Essai sur limagination du mouvement (AS),
Paris, Corti, 1944 (trad. it. Psicanalisi dellaria, Como, Red, 1988).
Una teoria della creativit generale 23
resistenze e lotte, a trasformare in movimento ci che si espande, ecc.
Si pu dunque a ragione sostenere che esiste in Bachelard una
doppia metodologia dellimmaginazione viva: una fenomenologica,
che agisce nelle invenzioni e nelle opere, unimmaginazione in atto, e
unaltra pi strutturale, che scopre retrospettivamente come il lavoro
dellimmaginazione obbedisca a strutture profonde, che costituiscono
la base stessa di tutti i regimi di produzione di rappresentazioni. Non
sorprende che un Gilbert Durand abbia potuto rivendicare uneredit
bachelardiana quando si proposto di delineare le strutture antro-
pologiche dellimmaginario, che sviluppano e illustrano le grandi
categorie bachelardiane
8
.
Inversamente, la razionalit, fondamentalmente legata allapproc-
cio scientifico, non unattivit omogenea e autarchica, poich
determinata da una dinamica ispirata in larga parte dallimmagina-
zione. Certo, da un punto di vista psicogenetico si visto quanto la
razionalizzazione dei fenomeni esiga una desimbolizazzione delle
percezioni e delle concezioni, visto che lastrazione implica un pen-
siero freddo, dove il concetto scaccia la potenza delle metafore e delle
analogie. Tuttavia, limmaginazione non viene per questo rifiutata
nella sua dinamica di mobilitazione dei contenuti nuovi del pensiero.
Il concetto deve certo essere ristretto, sottoposto ad altri concetti in-
versi, ma questoperazione esige, in qualche modo, che vengano ri-
messe in movimento alcune razionalit obiettive e regionali, per
accedere a una presa ancora pi lontana dal realismo e dalle sue
trappole empiriche. Questo lavoro, che Bachelard ricollega a un ec-
cesso di razionalismo, agisce proprio grazie a una dialettica interna
dei concetti, che si alimenta di procedimenti, come linversione o la
stessa contraddizione, caratteristici della forza creatrice dellimmagi-
nazione. significativo vedere come Bachelard non esiti a modellare
la progressione dei concetti verso una razionalit accresciuta da una
dialettica dei concetti non riducibile alla stretta dialettica hegeliana,
ma che prende in prestito la sua forza innovativa dal meccanismo
dellinversione, la cui storia epistemologica inseparabile da quella
dei miti e da altre organizzazioni simboliche
9
. Se vero che
Bachelard non ha portato felicemente a termine uno studio tematico

8
G. DURAND, Les structures anthropologiques de limaginaire, Paris, Dunod,
1992
11
(trad. it. Strutture antropologiche dellimmaginario, Bari, Dedalo, 1995).
9
Cfr. il nostro articolo Les figures de la dialectique, in J.J. WUNENBURGER
(ed.), G. Bachelard et lpistmologie franaise, cit.
JeanJacques Wunenburger 24
del ruolo dellimmaginazione nelle scienze, non si pu fare a meno di
notare come la potenza creatrice dintelligibilit del neorazionalismo
sia affine allEinbildungskraft e alla vis imaginativa delle espressioni
poetiche
10
. Cos come la poetica bachelardiana poggia su una certa
razionalizzazione scientifica esterna, allo stesso modo la sua episte-
mologia implica unoperativit dellimmaginazione in quanto facolt
di trasformazione dei contenuti del pensiero. In fin dei conti, si po-
trebbe parlare di una sorta di chiasmo dellimmaginario e della razio-
nalit, che non si respingono in maniera polarizzante, ma, sotto certi
aspetti, si completano per collaborare alla produzione dei saperi.

Le fonti ideomotrici della mente

Seguendo queste prospettive, in realt opportuno spingersi oltre,
e chiedersi se per Bachelard non esista ununica genesi della
dinamica delle rappresentazioni, siano esse astratte o immaginose.
Infatti, lobiettivo essenziale dei lavori di Bachelard di contribuire,
pi che a unepistemologia generale, a una sorta di psicogenesi delle
rappresentazioni, delle immagini e dei concetti, che a sua volta deve
consentire di caratterizzare la vita del pensiero al di l dello psi-
chismo, e il cui tratto positivo sta nella capacit di garantire un
movimento permanente, allo scopo di produrre novit intellettuali.
Questa dinamica cognitiva poggia in realt su unorganizzazione
complessa dello psichismo, al cui interno possibile rappresentare
diversi momenti:
al centro dei processi di produzione mentale, opportuno in-
nanzitutto identificare un potere autonomo di produzione che si ra-
dichi in una volont
11
. Linsistenza che Bachelard pone sul-
limmaginazione in quanto forza non deve far dimenticare che lim-
maginazione stessa sembra iscriversi allinterno di un potere pi
radicale, il volere, inteso, pi che come facolt cartesiana di affermare
o negare, come dispositivo arcaico dellindividuo per interiorizzare e
dare il cambio a una volont di vita, nel senso attribuito da Scho-

10
Altre tematizzazioni, diverse da quella di Bachelard, si trovano in G. HOLTON,
Limagination scientifique, Paris, Gallimard, 1981, e in F. DAGOGNET, Philosophie de
limage, Paris, Vrin, 1989.
11
Il volontarismo bachelardiano stato messo bene in rilievo da J. LIBIS,
Bachelard et la mlancolie. Lombre de Schopenhauer dans la philosophie de Gaston
Bachelard, Lille, Septentrion, 2000 (N.d.T.: un estratto di questo saggio stato pub-
blicato in traduzione sul Bollettino Filosofico n. 21/2005, Questioni Kantiane, pp.
295308).
Una teoria della creativit generale 25
penhauer. Schopenhauer ha, in effetti, sensibilizzato il vitalismo
bachelardiano nei confronti di una struttura psicofisica primordiale, in
cui il soggetto sede di una forza transsoggettiva che lo spinge a
mettere in atto, ad attivare le proprie tendenze elementari, per met-
terle al servizio dei bisogni e dei desideri. Esiste quindi per Bache-
lard, nelle radici dellessere, una forza efferente che allorigine delle
sue attivit comportamentali e cognitive, e la cui finalit senza scopo,
lontana da ogni teleologia razionale, innerva le aspirazioni di un in-
dividuo. Lanalisi nietzschiana della Wille zu Macht non estranea
a questantropologia, che mira a cogliere nelluomo dinamiche attivi-
stiche, che spingono a un accrescimento di potenza, e quindi di
essere, e che orientano i nuovi atti verso unelevazione. Questo movi-
mento in verticale si trova, in tal modo, nel cuore dellinterpretazione
che Bachelard stesso propone di Nietzsche nel suo Lair et les son-
ges
12
. Limmaginazione si trova cos esposta a una doppia desti-
nazione: o rispondere alle spinte della volont con una trasformazione
attiva, energica delle immagini (rverie in animus) oppure, al con-
trario, insediarsi in unintenzionalit passiva, di riposo, che andr a
liberare un immaginario intimista, che tende alla fusione, regressivo,
e che sar poi ben studiato da G. Durand. Tuttavia, questa volont che
d vita a rotture e crescite, impregna in modo cos fondamentale la
razionalit, la quale si trova cos animata da un potenziale operativo,
che lunico paragone possibile quello con il lavoro. per questo
motivo che il razionalismo bachelardiano si coniuga sul modo del
costruttivismo, della prassi, del lavoro, in quanto rompe con ci che
naturale per sostituirgli un artefatto (materiale per il lavoro fisico,
concettuale per quello intellettuale).
Tuttavia, questa dinamica creatrice, infusa da una volont di
vita in divenire, non la semplice espressione di unenergia o di un
potenziale. La creativit onirica, cos come quella razionale, necessita
sempre di unesperienza di resistenza, quella dellimmagine contro il
concetto, quella di un concetto verso laltro, quella dellimmagine
verso il mondo e il corpo (immaginazione del lavoro, degli sforzi).
Sulla scia di un Maine de Biran, per cui lo sforzo risulta sempre da un
fatto primitivo di resistenza, o di un Nietzsche, che ha valorizzato
lavversit come motore della volont di potenza, Bachelard ricollega
la potenza di rottura e di trasformazione delle facolt dellim-
maginazione e della ragione a un coefficiente di resistenza interno o

12
G. BACHELARD, Lair et les songes, cap. V, Paris, Livre de poche, 1992 (tr. it. cit.).
JeanJacques Wunenburger 26
esterno. Cos, limmaginazione si rinforza nel soggetto che non si ac-
contenta di sognare in maniera inerte, astenica, ma si impegna cor-
poralmente, fisicamente, in un incontro con le materie del mondo.
per questo che Bachelard cos sensibile allimmaginario artigianale
del fabbro, del panettiere ecc. per cui il corpo a corpo con le
propriet materiali genera una creazione dopere, ma anche una
creazione di nuove immagini e rverie. Per quanto esista un im-
maginario a riposo, limmaginario legato allazione sulle cose sembra
liberare immagini pi forti e pi numerose, che dispongono di una
risonanza esistenziale e culturale pi ampia. nello scontro, nella lot-
ta, nel padroneggiare una resistenza, che limmaginazione e la ragio-
ne trovano la propria energia. dunque del tutto evidente come per
Bachelard il lavoro della ragione, soprattutto ai limiti dellastrazione,
esiga a sua volta una potenza di rottura, dialetticamente legata alla
capacit di resistenza delle immagini sovradeterminate. Paradossal-
mente, ci si potrebbe chiedere se il progresso scientifico non sia pi
vivace nelle situazioni in cui limmaginazione oppone proprio ai con-
cetti la resistenza delle proprie sovradeterminazioni affettive. Cos co-
me lesempio della nascita della chimica, che doveva lottare contro
lalchimia, potrebbe essere considerato un caso esemplare di progres-
sione razionale, allo stesso modo, nellepoca attuale, la potenza razio-
nale della fisica deve essere correlata alla resistenza della fisica
newtoniana, dei suoi interessi e dei suoi successi pratici. La creativit
non dunque in Bachelard la semplice espressione di un dono, di un
genio che dovrebbe esteriorizzarsi sul modello bergsoniano di
unenergia creatrice; essa deve, piuttosto, essere concepita come ri-
sultante da una dialettica tra una tendenza allinnovazione e una re-
sistenza a una struttura che, cos, agirebbe come una molla la cui for-
za risulta da una precedente compressione.
Resta un ultimo paradosso, in questa teoria dello spirito creatore,
tanto nel campo dellimmagine quanto in quello del concetto. La po-
tenza di trasformazione e dinnovazione, forse, comprende sempre
una parte di lotta contro gli effetti di sterilizzazione, reificazione e
sostanzializzazione intrinseci alle immagini prime. In questo modo,
lepistemologia scientifica di Bachelard permetterebbe di scoprire una
propriet nascosta dellimmaginazione stessa, che risiede in uno sle-
gamento delle immagini, o addirittura in unemancipazione dalle im-
magini. In effetti, se Bachelard ha insistito soprattutto sulla purifi-
cazione delle immagini nel cammino verso lastrazione, sembra pro-
prio che la poetica, a sua volta, sia condotta a operare anchessa una
Una teoria della creativit generale 27
desostanzializzazione delle immagini, che tendono a diventare osta-
coli alla creazione. Bachelard si riallaccerebbe cos a una lunga tradi-
zione di origine platonica, per cui limmagine esposta a un rischio
di idolatria, in quanto farebbe schermo a ci che la ispira, la anima, le
dona vita. Conformemente a un autentico iconismo, limmagine
invitata a scomparire per fare posto a un nuovo nucleo di senso, il che
implica una sorta di scomparsa, di arretramento, di svuotamento. Si
potrebbe cos avvicinare la creativit onirica bachelardiana a una
tradizione che passa per Meister Eckhart o Giovanni della Croce, per
i quali, in ultima analisi, limmagine deve essere disimmaginata
(entbildet), liberata della propria rappresentativit (Vorstellung),
per fare posto a una sorta di anagogia che liberi un senso reificato. Il
dinamismo dellimmaginario poggia quindi in Bachelard su una sorta
di processo che consiste nello svuotare limmagine perch unaltra
possa prenderne il posto. Cos, la filosofia dellimmaginazione di
Bachelard si rivela doppia e, ancora una volta, paradossale. Da un
lato, come dimostra La potique de la rverie, limmagine possiede
un carattere ontofanico, in quanto svela una modalit nascosta
dellessere del mondo. A differenza di Sartre, per il quale immaginare
significa annientare il mondo, Bachelard si preso cura di collegare
limmagine a unesposizione, a una presentazione, e non a unas-
senza. Resta comunque il fatto che Bachelard pu, nello stesso tempo,
assegnare allimmaginazione un potere di creazione e innovazione
solo se, in ogni presenza dellimmagine, possibile far sorgere unin-
completezza, un infinito e, dunque, una potenzialit e una certa in-
consistenza, se non addirittura una certa assenza
13
. Uno dei tratti
trasversali del complesso di creativit psichica sembra dunque
risiedere proprio nella capacit di trasformare gli idoli in immagini
icone o, in altre parole, di potenziare i poteri di seduzione delle
immagini, rendendoli potere di metamorfosi e trasfigurazione.
quindi invocando, o addirittura convocando, una parte di nonessere
che lessere dellimmagine libera la sua vera ricchezza, che sta nel
non ostacolare mai nientaltro che limmagine stessa. La creativit
quindi un processo di alterazione delle rappresentazioni, allo scopo di
far scaturire unalterit, che sar tanto pi dinamica in quanto una
fase di scontro avr permesso di innescare la resistenza della rap-
presentazione al posto della sua capacit di interiorizzazione.

13
Cfr. il nostro La naissance de limage, prsence ou disparition de limage?,
Cahiers Gaston Bachelard, 1 (1998), Editions universitaires de Dijon, pp. 37 e sgg.
JeanJacques Wunenburger 28
Verso una creativit generale

In fin dei conti, immaginazione e ragione, malgrado le loro
propriet divergenti e le loro strade antagoniste, vengono ben ana-
lizzate da Bachelard attraverso un sistema di riferimento unico, quello
della creativit generale. Lunit della teoria bachelardiana sembra
dunque risiedere in un aggiornamento di un mobilismo del tutto
eracliteo, che si radica in una dinamica vicina a una tensione interna
spinta fino alla contrariet, o perfino alla contraddizione. Certo, un
tale programma non stato forse completamente realizzato, n pre-
parato con strumenti descrittivi adeguati. Pur non potendo in questa
sede affrontare questo punto, ci si pu rammaricare di come Ba-
chelard abbia, in alcuni frangenti, sottovalutato la traiettoria sim-
bolica, di cui non ha mostrato a sufficienza la capacit di far in-
tervenire, al tempo stesso, il legame e la separazione
14
, rivelando cos
una certa semplificazione dei processi simbolici, che perdono parte
della loro complessit interna. Allo stesso modo, possibile notare un
certo misconoscimento delle mediazioni dei contenuti culturali
dellimmaginario, dei miti in particolare, spesso chiamati in causa ma
mai davvero studiati nella loro carica ermeneutica
15
. A tale proposito,
ci si pu chiedere se in Bachelard non sia presente da un certo
attaccamento libertario, che lo porta a trascurare il peso della socia-
lizzazione dellimmaginario e dei vincoli esterni delle immagini.
Ci non toglie che Bachelard abbia gettato le basi di unantro-
pologia della creativit psichica che poggia su alcune parolechiave
significative, che diventeranno un riferimento per le teorie posteriori:
energia biopsichica, valore del cambiamento delle rappresentazioni,
radicalit dellinnovazione come rottura, luogo di una frenesia senza
fine. Grazie a questa selezione e a questinsistenza, si pu compren-
dere meglio la distanza che separa, da questo punto di vista, Gaston
Bachelard da Henri Bergson. L dove Bergson privilegia una logica
pi enantiodromica, fatta di continui passi indietro delle rappresen-
tazioni, in una sorta di ciclo regolatore
16
, Bachelard sembra votare la

14
S. Freud aveva gi insistito su questa doppia propriet di legame e slegamento
nella simbolizzazione, ritrovando cos una comprensione quasi etimologica del
simbolo.
15
Ci che invece faranno le opere di G. Durand e P. Ricur.
16
Cfr. H. BERGSON, Les deux sources de la morale et de la religion, in Oeuvres,
Paris, Puf, 1970 (trad. it. Le due fonti della morale e della religione, Milano, SE,
2006).
Una teoria della creativit generale 29
creativit a un movimento lineare senza fine, senza ondulazioni, se-
condo unirreversibilt unilaterale. Tuttavia, queste opzioni non ri-
ducono affatto loriginalit della sua filosofia della creazione, che
sembra altrettanto ribelle a ciascuna delle due teorie dominanti nel-
lestetica, quella del genio e quella del lavoro
17
. Allintersezione
delluna e dellaltra, Bachelard sembra destinare allimmaginazione
una parte di spontaneit energetica e unaltra di lavoro costruttivista,
con le due componenti che si trovano cos integrate in una dialettica
sottile e complessa. cos che Bachelard pu, in fin dei conti, valu-
tando la storia della sua accoglienza nel mondo contemporaneo,
essere ricondotto al paradigma epistemologico dellautoorganiz-
zazione e dellautopoiesi e, in maniera pi generale, alle meta-
logiche transdisciplinari
18
, in opposizione a numerosi paradigmi
dominanti ma sempre pi logori, in particolare quello marxista, a cui
si a lungo accostato la figura di Bachelard. Con questo, Gaston
Bachelard appartiene di diritto alla famiglia degli artisti vicini alla
scienza non convenzionale
19
.

(traduzione dal francese di Giovanni Tallarico)


17
Cfr. il nostro articolo Imagination onirique et transfiguration artistique,
Poesis, 4 (2002), Niteroi, EdUFF, pp. 9 e sgg.
18
Si vedano i lavori di F. Varela e soprattutto B. Nicolescu, La transdiscipli-
narit. Manifeste, Monaco, Ed. du Rocher, 1996.
19
Si potrebbe, da questo punto di vista, paragonare laccoglienza riservata
allopera di Bachelard fuori dalla Francia con quella di Edgar Morin.





MARCELLO ZANATTA

Verit e nonverit della poesia: Aristotele e Platone



1. Le nozioni di imitazione e di immagine in Platone

noto che Aristotele iscrive la poesia sotto il genere
dellimitazione (tpot)
1
. Anche Platone aveva sostenuto che la
poesia una forma dimitazione, e proprio per questo aveva negato
che potesse attingere alla verit. La rivalutazione che ne compie lo
Stagirita si sviluppa in un sottile intreccio oppositivo alle tesi del
maestro, lungo un percorso di pensiero che ha il suo punto nodale
nellattribuzione della verit allazione mimetica. Questattribuzione

1
Cfr. Poet., 1447 a 1318. Qui Aristotele precisa che la poesia in tutti i suoi
generi qui specificati nellepopea, nella tragedia, nella commedia e nel ditirambo,
con evidente esclusione di quella che oggigiorno chiameremmo poesia lirica, di cui
egli non fa parola nel trattato sono imitazioni. Precisa inoltre che pure la musica
strumentale, individuata nellauletica e nella citaristica, per la parte che concerne il
mero suono dellaulo e della itOo po (uno strumento a percussione mediante il
plettro, con corde impostate verticalmente sulla cassa armonica, in qualche modo
vicino, ancorch non identico, alla cetra o lira, usata per le armonie pi nobili. Cfr. C.
GALLAVOTTI, Aristotele, Dellarte poetica, Fondazione Lorenzo Valla, Milano,
Mondatori, 1974, p. 123, nel commento alla riga 9 della sua edizione) e non anche
laccompagnamento delle parole imitazione (cos, per esempio, A. GUDEMANN
[Aristoteles, Poetik, mit Einleitung, Text und Adnotatio critica, exegetische Kom-
mentar, kritische Anhang und Index Nominum, Rerum, Locorum, Berlin und Leip-
zig, De Gruyter, 1934], A. ROSTAGNI [Aristotele, La Poetica, Introduzione, testo e
commento, Torino, 1927; 2 ed. 1945.] e D.W. LUCAS [Aristotle, Poetics, Intro-
duction, commentary and append, Oxford, Clarendon Press, 1968; II ed. con cor-
rezioni 1972] nei loro commenti a Poet., 1447 a 1415), ovvero, secondo una dif-
ferente interpretazione, che sono imitazioni pure quelle melodie, eseguite con questi
strumenti e altri affini (la zampogna o zufolo e le batterie), che hanno carattere
pragmatico o figurativo, cio che manifestano dei ipo yoto (cos GALLAVOTTI,
Aristotele, Dellarte poetica, cit., pp. 122123, commento alla riga 9 della sua
edizione); e che tutte le imitazioni suddette, considerate ciascuna come un insieme, si
differenziano per il modo e il mezzo con cui vengono eseguite, o per loggetto imi-
tato (Poet., 1447 a 1318). Pi oltre lo Stagirita menziona anche la pittura e la scul-
tura tra le attivit che consistono in imitazioni (Poet., 1447 a 1820) e, studiando i
mezzi, ricorda pure larte di suonare la zampogna (Poet., 1447 a 2526), riferibile
alla musica strumentale pura, e la danza (Poet., 1447 a 2627). Circa il metodo im-
piegato in questa classificazione, mi permetto di rinviare al primo capitolo del mio La
ragione verisimile. Saggio sula Poetica di Aristotele, Cosenza, Pellegrini, 2000.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 31-65 31
Marcello Zanatta 32
ha alla radice il rifiuto delle idee e, in ispecie, dellidea di imitazione,
e per altro verso apre la nozione di verit a una pluralit di modi, s da
poter individuare tra essi quello proprio della poesia, identificarlo nel
verisimile e distinguerlo da quello della verit epistematica. Ma su
tutto ci occorre vedere in dettaglio, prendendo le mosse da Platone
2
.
In Resp., 598 b 14 si rinviene la precisa affermazione che la
poesia e la pittura sono imitazioni (tpoct) le quali gravitano sul
piano della pura apparenza (oovtooo), ossia imitazioni di ci che
appare cos come appare (to ootvocvov o ootvctot), non di ci
che cos come (to ov o cct)
3
. E poich queste determinazioni
sono tra loro opposte e, nellordine del conoscere, a ci che cos
come corrisponde la verit (o\pOcto), ne consegue che le
imitazioni suddette sono strutturalmente opposte al vero o come
dice Platone lungi da esso (598 b 6: io ppo [] tov o\pOov).
Occorre subito far presente che non limitazione (tpot) in
quanto tale comporta nellottica platonica assenza di verit, bens
quellimitazione che realizzi unapparenza (oovtooo, cto\ov), che
perda cio ogni connotato che la renda in un certo modo cor-
rispondente a ci che , come per lappunto avviene nel caso della
pittura, della musica e della poesia. In senso proprio, la parvenza a
determinare lassenza di verit, e limitazione assume questa prero-
gativa non di per se stessa, ma quando si risolva in apparenza. Certa-
mente limitazione in quanto tale comporta per il filosofo lontananza
dal vero: nella misura in cui questultimo rappresenta sul piano gno-
seologico ci che sul piano ontologico la pienezza dellessere,
espressa dal modello ideale, e limitazione, come copia, segna una
separazione dallIdea, dunque dal vero. Ma tale lontananza, se da un
lato impedisce di attribuire verit allimitazione, dallaltro non im-
pedisce che unimitazione possa ancora mantenere le vestigia del

2
Sulla contrapposizione a Platone quale metodo di lettura della Poetica si
espresso S.H. BUTCHER, Aristotles theory of poetry and fine art, New York, Dover
Publications, 1951, nel primo capitolo (Arte e natura).
3
Questo il testo: proprio questo si deve indagare: per quale delle due cose viene
eseguita la pittura in ordine a ciascun oggetto ? Forse per imitare ci che <cos>
come , o per <imitare> ci che appare <cos> come appare, essendo imitazione di
apparenza o di verit?. La disgiunzione (p) ha qui valore chiaramente esclusivo. E
poich la risposta alla domanda che la pittura imitazione di apparenza (cfr. 598 b
5: oovtoooto, cop), risulta per ci stesso escluso che possa essere anche
imitazione del vero, ossia che possa imitare, oltre a ci che appare cos come
appare, anche ci che cos come . Il giudizio platonico altres estendibile alla
poesia e alla musica.

Verit e nonverit della poesia 33
vero. esattamente quello che accade quando limitazione presenti,
pur nellordine di una realt ontologicamente depotenziata, la
conformazione della cosa pienamente esistente e in questo senso ne
lascia intravedere la natura.


1.1. Leikon

Gi nel Cratilo in un contesto nel quale, anche se pro-
babilmente non manca il riferimento allIdea, rintracciabile nel ri-
chiamo alla natura stessa della cosa (cfr. 423 a 12: tovcvot
ovtpv tpv ovotv tov ipoyoto), gli oggetti da imitarsi sono per
gli enti empirici quali un cavallo in corsa o uno degli altri animali
limitazione viene accreditata da Platone della prerogativa di
decidere la correttezza (opOotp) di ogni nome (422 c 78), a
partire da quelli primitivi. Posto infatti che la correttezza dei nomi
risiede nella capacit di manifestare (p\ovv) qual ciascuno degli
enti (422 d 13; cfr. anche 428 e 1: diciamo che questa la cor-
rettezza del nome, quella che indicher [cvctctot] qual la cosa),
in un crescendo di precisazioni il filosofo dapprima ipotizza che il
nome [] imitazione con la voce (tpo oovp) della cosa che
viene imitata (tcttot) e che colui che imita (o tovcvo), no-
mina con la voce ci che imiti (o ov tptot) (423 d 911),
configurando una situazione in cui la voce, la lingua e la bocca rap-
presentano, in ordine alla capacit imitativa del nome, una sorta di
mezzo analogo alle mani portate verso lalto o verso il basso per
manifestare (p\ovv) imitativamente cose che stanno in quelle posi-
zioni e sono leggere e pesanti, o agli atteggiamenti fatti assumere al
corpo per manifestare nellidentico modo oggetti in movimento (cfr.
423 a 1 b 2). Indi, posto in chiaro che il semplice imitare con la
voce non basta a offrire la determinazione formale del nome, pena il
dover ammettere che nominano (ovooctv) le pecore o i galli o
altri animali coloro che con la voce ne imitano (ot tovcvot) i
suoni, Platone precisa che onomastico (ovooottio), ossia atto
a nominare, chi sia in grado di imitare ciascuna cosa nella sua
essenza con lettere e sillabe (tctoOot vvotto ciootov, tpv
ovotov, ypooot tc iot ov\\oot) (423 e 7 424 a 6). Lope-
razione qui delineata prevede pertanto, da un lato, di scomporre la
voce nei suoi elementi o suoni elementari, enucleando cos le vocali,
le semivocali e le mute; dallaltro, di distinguere le cose da nominarsi

Marcello Zanatta 34
e, se possibile, rintracciarne alcune alle quali, come ad elementi,
riferirle tutte (424 c 5 d 4). Limitazione onomastica compiuta da-
gli Antichi consiste allora nel riportare gli elementi vocali alle cose,
sulla base della somiglianza di quelli alle caratteristiche elementari di
queste. E a ciascuna cosa si dovranno riferire o un solo elemento vo-
cale, o pi elementi vocali mescolati assieme, cos da formare le sil-
labe, e con esse i nomi e i verbi, e quindi il discorso (424 d 4 425 a
5).
In questi passi dunque ben riconoscibile il carattere positivo che
Platone annette allimitazione in ordine alla sua possibilit di ri-
proporre fedelmente i caratteri e persino lessenza stessa della cosa
imitata. Allimitazione in quanto tale compete questa possibilit. Va
tuttavia osservato che gi in questo contesto limitazione musicale e
pittorica, bench non caratterizzate da alcuna nota di infedelt, ven-
gono tuttavia giudicate da Platone inadeguate a manifestare la cosa
nella sua essenza, nella misura in cui sono inadatte a dare il nome
(ovooctv) e proprio questa, come abbiamo visto, devessere la pre-
rogativa dellimitazione onomastica. Precisa infatti il filosofo che non
si avrebbero nomi se imitassimo cos come imitiamo le cose con la
musica []; inoltre, [] se anche noi imitassimo le cose che imita la
musica [] Intendo dire questo: le cose possiedono, ciascuna, voce e
figura (opo), e molte anche colore [] Ebbene, mi sembra che
larte onomastica non sussista se qualcuno imiti queste cose, n che
abbia a che fare con queste imitazioni. Queste, infatti, costituiscono
per un verso la musica, per un altro la pittura (423 d 19). Insomma,
la musica e la pittura non mancano certo di fedelt nellimitare certi
aspetti e determinati caratteri delle cose, ma si tratta di aspetti e
caratteri non inerenti alla loro essenza. Rispetto a questi, limitazione
della musica e della pittura non hanno alcuna capacit.
Nel prosieguo della discussione si accerta che i nomi, cos come i
verbi e i discorsi, possono anche non essere giustamente attribuiti alle
cose (431 b 25) e che pertanto, se si designa come legislatore
(vooOctp) il loro artefice (ptovpyo ovootov), possono darsi
sia un legislatore buono che un legislatore cattivo (431 e 12), e si
acquisisce che per manifestare correttamente la cosa non necessario
che il nome contenga tutte le lettere corrispondenti alle qualit di
questultima. Intervengono in questo contesto osservazioni parti-
colarmente rilevanti ai fini della ricerca, perch forniscono illumi-
nanti chiarimenti sul rapporto tra limitazione (tpo) e limmagine
(ctiov). Platone osserva che la mancanza o laggiunta o lo sposta-

Verit e nonverit della poesia 35
mento di una lettera che il nome deve avere per essere, come s
detto, imitazione della cosa nella sua essenza, non comporta che esso
cessi di essere nome di quella cosa, e fa presente che, a differenza di
quanto avviene nel caso dei numeri, per i quali unaggiunta o una
sottrazione anche minima li rende diversi, la correttezza di una
qualit e di unimmagine totale (tov iotov ttvo iot ovioop
ctiovo) non richiede affatto la riproduzione della cosa rappresentata
tale quale essa , in tutti i suoi particolari (iovto oioovvot otov
cottv o ctioct). Al contrario, la correttezza di unimmagine non
soltanto ammette una qualche alterit (cfr. 432 a 3: ctcpov tt) dalla
cosa, ma la esige, strutturalmente (cfr. 432 b 4: ct c\\ct ctiov
ctvot): ch, se limmagine (ctiov) fosse in tutto e per tutto identica
alla cosa, non sarebbe pi immagine ma costituirebbe un rad-
doppiamento della cosa stessa, si avrebbero cio, per esempio, due
Cratili, cos da non poter pi distinguere la cosa in se medesima
dallimmagine e, nel caso di specie, da quellimmagine che il no-
me
4
.
Posto allora che non si deve costringere il nome ad avere tutte
le lettere, affinch sia interamente tale quale la cosa di cui nome
(432 e 12) e riconosciuto che il nome effettivamente nome della
cosa, ossia che questa risulta effettivamente denominata
(ovoocoOot), purch nel nome sia presente limpronta della
cosa (o tvio tov ipoyoto) (432 e 57), Platone afferma che,
quando questo carattere (tovto) sia presente, anche se <il nome>
non possieda tutte le <lettere> che gli convengono, in realt la cosa
sar stata detta: bene, quando <il nome> le possieda tutte; male,
quando ne possieda poche (433 a 46). E pi oltre ribadisce listanza
affermando che, da una lato, il nome posto bene se possiede le
lettere che gli convengono, ossia quelle che sono simili alle cose
(to ooto tot ipoyoot) (433 b 9 c 1); dallaltro, se un <nome>
non sia stato dato bene, la maggior parte <di esso> sar senzaltro
costituita da lettere che gli convengono, ossia che sono simili <alla
cosa>, se davvero <il nome> sar unimmagine (cticp otot ctiov)
5
;
ma possieder anche qualche <lettera> che non gli conviene, a causa
della quale non sar un bel nome, n sar stato ben foggiato (433 c
37).

4
La sezione del Cratilo cui si fa riferimento 432 a 1 432 d 9.
5
Si rilevi la corrispondenza ad litteram di questa precisazione con quella di 432 b 4.

Marcello Zanatta 36
Il nome, dunque, imitazione (tpo) dellessere della cosa o
il che lo stesso imitazione della cosa nella sua essenza
(ovoto), in virt della somiglianza (oototp) delle lettere di cui
costituito con le prerogative della cosa imitata; ma se contenga
qualche lettera che non possiede questa somiglianza, o se manchi di
qualche lettera siffatta, purch, grazie alla somiglianza delle altre
lettere, abbia in s limpronta (tvio) della cosa, ne immagine
(ctiov). E nel primo caso il nome ben posto, nel secondo
posto male. Sulla base di queste corrispondenze possibile af-
fermare che Platone nel Cratilo concepisce limitazione sia come ca-
pace di manifestare (p\ovv) in tutto e per tutto lessere della cosa,
sia come esibizione od ostensione di essa in maniera non totale, cos
da non ridarne (oioovvot) pi lessenza (ovoto), bens da esserne
semplicemente limpronta (tvio). Questa imitazione mal posta
(cfr. 433 c 34: p tt io\o ctcOp ), perch parziale ed incompleta,
in ogni caso non interamente adeguata, per lappunto limmagine
(ctiov), la quale, come si vede, non manca di mostrare il carattere
della cosa, ma in modo limitato: senza raggiungere cio la possibilit
di renderne nota lessenza, ma, al tempo stesso, senza neppure fal-
sarne la natura.


1.2. Leidolon

Al contrario, limmagine che falsa la natura della cosa nel Gorgia
viene indicata come cto\ov. quanto si ricava dai due passi (463 d
2; 463 e 4) in cui Platone definisce la retorica, che considera essere
una contraffazione o una lusinga (io\oicto), immagine falsa
(cto\ov) di una parte della politica. Il momento della contraf-
fazione e dunque della falsit riposa qui su due aspetti. Bench per il
filosofo essi siano costitutivamente legati, tuttavia opportuno in-
dicarli separatamente: uno, di rilevanza propriamente etica, per il qua-
le la retorica non mira a procurare il bene, bens il piacere (465 a 2);
laltro, che la vede lontana dal perseguire una conoscenza ed essere
unarte (tcvp), ma rappresentare una mera pratica empirica
(cictpto iot tptp ) (463 b 4; 465 a 23).
Nello scontro con Polo, che costituisce la seconda parte del dia-
logo, Platone individua infatti due arti (tcvot) che curano (cfr.
464 c 4: Ocpoicvovoo v) rispettivamente lanima e il corpo, posti

Verit e nonverit della poesia 37
come realt tra loro distinte (cfr. 464 b 3: votv ovtov tov
ipoyotov): larte relativa al corpo non ha nome e si suddivide in
ginnastica (yvvoottip) e medicina (totptip), la prima delle quali
cura il corpo sano, la seconda quello malato; parallelamente, larte
che riguarda lanima la politica, suddivisa anchessa in due parti,
ossia nella legislazione (vooOcttip ), che lanalogo (ovttotptoov)
della ginnastica e concerne lanima sana, e nella giustizia
(tiotoovvp), che lanalogo della medicina e concerne lanima ma-
lata (464 b 28). Si tratta di arti sia perch curano in vista sempre
del massimo bene, le une relativamente al corpo, le altre relati-
vamente allanima (464 c 45), sia perch conoscono la natura tanto
del soggetto cui si rivolgono quanto delle prescrizioni che gli danno,
e possiedono la causa di ciascuna cosa (465 a 35). A queste quat-
tro arti corrispondono quattro contraffazioni o lusinghe (io\oict ot),
le quali assomigliano alle prime, ne costituiscono cio unimmagine,
ma unimmagine falsa (cto\ov).
Come gi prima si osservava a proposito della retorica, giacch
questa costituisce loggetto specifico del dialogo, ma non v dubbio
alcuno che il rilievo debba estendersi anche alle altre tre contraf-
fazioni, la falsit di tali immagini dovuta al fatto che ciascuna
delle contraffazioni suddette, poich da un lato mira al piacere e non
al massimo bene, , per lappunto, una lusinga (464 e 2 465 a 2);
dallaltro, poich esse non possiedono alcuna nozione (\oyov
ovcvo) n di colui al quale si rivolgono, n delle cose che
prescrivono e, in particolare, non conoscono la causa di ciascuna
cosa, non possono, di conseguenza, essere unarte (tcvp), con-
sistendo invece in una mera pratica empirica (cictpto) e in
unattivit irrazionale (o\oyov ipoyo). Cos la retorica falsa
immagine della giustizia perch, in luogo di curare lanima che
abbia commesso una colpa con il debito castigo, la lusinga mettendo
in grado il soggetto di sfuggire alla pena e fornendogli una falsa
rappresentazione di quello che il suo massimo bene la pena, per
lappunto , che essa non conosce, cos come non conosce la natura
dellanima. In modo analogo, la sofistica lusinga e pratica empirica
rispetto allarte legislativa, la culinaria lusinga e pratica empirica
rispetto allarte medica e lagghindarsi lusinga e pratica empirica
rispetto allarte ginnica, giacch ciascuna di esse imita la relativa
tcvp, ma falsamente, poich n possiede le conoscenze che queste
seconde hanno, n mira al bene in vista del quale esse operano.

Marcello Zanatta 38
1.3. Il phantasma

Ma limmagine che distorce la realt propriamente il oovtooo.
Platone nel Sofista lo presenta come una specie della medesima
divisione dicotomica dellcto\ov dalla quale deriva anche lctiov o
immagine vera, indi lo divide con ulteriori e progressive dicotomie. E
poich egli iscrive lcto\ov sotto la tpot, lintera articolazione
delle immagini risulta essere una complessa organizzazione dellIdea
di imitazione, di cui appare pertanto confermata lampiezza e la
variet dei significati. Al tempo stesso chiaro, per, che a questam-
piezza e variet di significati corrisponde un ordinamento sistematico
della nozione di mimesi che stato conseguito con quel metodo di
ricerca, consistente nel postulare lIdea di imitazione, che Aristotele
non accetta.
Nel oovtooo Platone vede espressa la pura apparenza, pensata
nei medesimi termini del passo di Resp., X citato allinizio, vale a
dire quella pura sembianza, del tutto priva di ogni residuo aspetto
dellIdea, che nella Repubblica definisce le imitazioni della pittura e
della poesia e che nel Sofista, secondo la sopraddetta, pi ampia ar-
ticolazione della materia, viene attribuita a una specie di immagini,
concorrenti a loro volta a specificare un senso dellimitazione. Pro-
prio il rapporto tra apparenza e imitazione campeggia infatti allinizio
della ricerca che conduce alla sesta definizione del sofista. In Soph.,
233 c 1012 questo pseudosapiente detto possedere una scienza
apparente (ooottipv) su ogni cosa, ma non la verit (ov i
o\pOctov). Affermazione in cui lapparenza, identica nella sostanza
a quella espressa dal oovtooo in quanto, al pari di questa seconda,
si oppone alla verit, assume per questa valenza entro una sfera
semantica a sua volta pi ampia, propriamente definita dallat-
titudine del discorso sofistico a sembrare una scienza, senza di
fatto esserlo. Si tratta, in tutta evidenza, di unapparenza che inganna
e distorce la reale condizione delle cose, esattamente come il
oovtooo.
A partire da ci il filosofo dapprima pone in chiaro che lonni-
scienza di un tale individuo pari alla vanteria di chi si gloriasse di
saper produrre rapidamente (cfr. 234 a 45: tov iotpoo) piante e
animali e uomini e cielo e terra e di, insomma di esser capace di
fare tutto con una sola arte perch realizza imitazioni e cose
omonime alle realt (tpoto iot oovvo tov ovtov) con larte

Verit e nonverit della poesia 39
pittorica (tp ypootip tcvp) (234 233 e 9 234 b ). Indi qualifica
una tale attitudine a imitare (to tpttiov) uno scherzo (iotto; 234
b 12). Sottolinea poi che simile a essa quell arte dei discorsi
con la quale si possono incantare (yoptcvctv) coloro che stanno
lontano dalla verit delle cose (ioppo tov ipoyotov tp o\pOcto
oocototo), mostrando loro intorno a ogni cosa immagini espresse
con parole (cto\o \cyocvo) (234 b 2 c 6) e definisce infine il
sofista uno degli incantatori (tov yoptov tt) e un imitatore delle
cose (tptp tov ovtov) (235 a 1).
Lanalogia della parte iniziale di questa sezione con Resp., X, 596
c 49 salta immediatamente agli occhi. Lo stesso riferimento al
pittore sul quale si sviluppa il passo della Repubblica, come nel
Sofista si parla espressamente di arte pittorica, ruota intorno al-
lironico paragone di questo produttore di false immagini a un mira-
bile operaio in grado di fare ogni sorta di mobili, ma anche tutti i
prodotti della terra e di creare tutti gli esseri viventi e per di pi se
stesso, e poi [] terra, cielo, di e tutto il mondo celeste e sotterraneo
dellAde. Si tratta infatti di oggetti apparenti (cfr. 597 a 1: [i\tvpv]
ootvocvpv), ossia di pure imitazioni e di mere immagini, al pari a
quelle prodotte da chi, ruotando uno specchio da ogni lato,
rapidamente crei il sole e gli astri celesti e poi <se> stesso e gli altri
esseri viventi, i mobili, le piante e tutti gli oggetti che si dicevano or
ora (596 d 9 e 3).
Anche il rapporto tra il discorso ingannevole del sofista e lim-
magine falsa che nel caso di specie Platone torna a designare col
termine cto\ov, riferendosi al genere di cui il oovtooo una delle
due parti, come chiarisce subito appresso richiama il rapporto tra
le parole e le false immagini pittoriche che campeggia nella figu-
razione fortemente icastica di Resp., X, 601 a 46, dove si dice che il
poeta compie le sue imitazioni spandendo i nomi e i verbi di cia-
scunarte come il pittore spande i colori sulla tela. Sotto questo pro-
filo gli cto\o \cyocvo di Soph., 234 c 56 riprendono il pooto
otto ciootov tov tcvov tot ovooot iot ppoot
citpoottctv del passo della Repubblica.
Merita infine di essere rilevato che il carattere distorcente e falso
delle imitazioni (tpoto) sofistiche muta la connotazione del-
laggettivo oovvo, qui usato in forma sostantivata, rispetto a
quella che caratterizza il suo impiego nel Fedone, l dove il filosofo
precisa che le cose sono omonime alle Idee (78 e 2): in virt del loro

Marcello Zanatta 40
rapporto di partecipazione o di somiglianza con esse, o per la pre-
senza di queste seconde nelle prime. Anzi, la mutata connotazione
un significativo indizio della falsit di quelle immagini. Nel Fedone,
infatti, le cose e lIdea hanno identico nome perch la causa para-
digmatica o ragion dessere delle prime risiede nella seconda, di mo-
do che quella copia o immagine dellIdea che la cosa riproduce fe-
delmente e lascia trasparire il modello ideale. Limmagine ha perci
le fattezze proprie dellctiov, e per questo la o o, ossia la cono-
scenza delle cose in quanto immagini dellidea, definita in un suo
aspetto dallessere ctiooto. Luguaglianza del nome comporta in
questo caso luguaglianza dellessenza e si radica interamente su di
essa, e in tale radicamento espressa la sfera semantica dellomo-
nimia. Al contrario, la pretesa onniscienza del sofista immagine
della pseudoscienza che altera e falsa le fattezze della cosa. In tal
senso, limmagine e la cosa che limmagine rappresenta non hanno
affatto la medesima essenza. Di conseguenza, solo impropriamente
limmagine ha lo stesso nome della cosa e lomonimia si arresta alla
semplice e mera uguaglianza del nome, aprendosi cos al significato
che riveste in Aristotele.
La definizione del sofista come imitatore (tptp) apre la strada
alla divisione (cfr, Soph., 235 b 8: totpctv; c 3: totpovvto; c 8:
ioto p tov iopo\p\vOoto tpoiov tp totpcoco), cui abbiamo
sopra accennato, delle immagini e, pi in generale, dellIdea di
imitazione; con maggiore esattezza, alla divisione dellarte immagi-
nativa o del produrre immagini (cto\oiottip tcvp) e dellarte mi-
metica o del produrre imitazioni (tpttip). Ed degno di nota il
fatto che Platone apertamente qualifichi questo metodo della divi-
sione, orientata ex professo in senso discendente (cfr. 235 b 9:
iotoovto), discorso regio (235 c 1: vio tov oot\tiov \oyov).
Donde unennesima testimonianza del rilievo che in relazione a
questo riconoscimento assume il rifiuto da parte dello Stagirita del
metodo diairetico anche l dove la divisione non riguarda pi lIdea,
ma semplicemente il genere, e, di conseguenza, del carattere forte-
mente dialettico delluso che Aristotele fa di un metodo diverso.
Quale rapporto intercorra tra larte del produrre immagini e larte
mimetica, questione sulla quale occorre appuntare lattenzione. Da
Soph., 235 b 8 c 2, dove Platone prima enuncia la convenienza se
non addirittura la necessit (coitot) di dividere larte del produrre
immagini (cto\oiottip tcvp) e subito dopo si riferisce allesito di

Verit e nonverit della poesia 41
questa divisione come alle parti dellarte imitativa (se <il sofista>
simmerga nelle parti dellarte mimetica ioto cpp tp
tpttip]), si pu evincere che il filosofo ha concepito le due arti
come identiche. Questa conclusione trova conferma nel raffronto di
Soph., 235 d 1 con Soph., 236 c 5: le due specie dellarte mimetica
(vo ctp tp tpttip) che nel primo dei due passi lo Straniero
invita Socrate a indicare, sono ascritte nel secondo allarte di produrre
immagini (ho enunciato le due parti dellarte del produrre immagini
[vo c\cyov ctp tp cto\oiottip ).
Parrebbe logico allora che anche lcto\ov dovesse identificarsi
con la tpot, ma a ben vedere le cose non stanno in questo modo e
il rapporto pi complesso. Che lct o\ov non coincida con la
tpot chiaro dal fatto che questultima un certo tipo di pro-
duzione (iotpot tt), ma tuttavia di immagini (cto \ov) e [] non
di ciascun genere di cose in se stesse (Soph., 264 b 12), ossia di
cose reali. Limmagine dunque loggetto prodotto dallimitazione,
ossia una cosa, ancorch non reale ma apparente (ootvocvov),
laddove limitazione un fare, e precisamente quel fare che produce
(iotpot) immagini (cto\o): dunque unattivit e non un oggetto.
Questa configurazione quanto viene in luce dalle diairesi di Soph.,
265 b 1 266 d 7, dove Platone dapprima divide il fare produttivo
(iotct v) in (1) divino e (2) umano; indi divide ciascuna di queste due
specie di produzione in rapporto alloggetto prodotto, a seconda che
sia costituito da cose reali o da immagini. Ne risulta pertanto che (1a)
il fare divino che produce cose reali la natura (ovot), e loggetto di
questa produzione sono gli enti naturali: tutti gli animali mortali, e
cos anche le piante e quanto sulla terra sorge da seme o da radice,
quanto senzanima sta entro la terra, corpi che si possono o non si
possono fondere (Soph., 265 c 13), mentre (1b) dalla produzione
divina di immagini, ossia dalla mimesi divina, derivano quei
oovtoooto costituiti sia dalle visioni o immagini oniriche (to tc cv
vivot), sia dalle ombre (oitot) delle cose, pensate come immagini
che si generano da s (ovtoovp) per effetto o di unoscurit che
scende su un fuoco, o dellunitario convergere della luce di due
lampade su superfici lucide e lisce (Soph., 266 b 9 c 4). Le une e le
altre le visoni oniriche e le ombre significativamente deno-
minate oovtoooto perch entrambe sono immagini che distorcono
le reali fattezze delle cose. Parallelamente, (2a) la produzione umana
di cose reali concerne i manufatti artigianali, mentre (2b) la pro-

Marcello Zanatta 42
duzione umana di immagini, ossia la mimesi umana, riguarda lintera
gamma degli cto\o, suddivisi a loro volta dal filosofo in immagini
fedeli alla realt (ctivc) e in immagini che la falsano
(oovtoooto). chiaro pertanto il motivo per cui nella definizione
di Soph., 264 b 12 la mimesi viene detta un certo tipo di pro-
duzione (iopot tt): giacch essa quel produrre, sia umano che
divino, che ha per oggetto le immagini o, pi esattamente, ogni specie
di immagine, sia veridica che falsa. E, parimenti, ancora prende
spicco la distinzione tra limmagine e la mimesi, chiaramente spe-
cificata dal rapporto che intercorre tra il prodotto e lattivit del
produrre.
Posto allora che la mimesi produzione dimmagini, si comprende
perch larte mimetica coincida con larte del produrre immagini:
quella coincidenza che poteva a tutta prima far problema rispetto alla
non identit dimitazione e immagine, ma erroneamente. In dettaglio,
poich larte (tcvp), come gi risultato nel Gorgia e costituisce
una constante del pensiero platonico, comporta uneffettiva
competenza e mette in campo una reale conoscenza di ci che ha per
oggetto, ove essa abbia per oggetto il produrre vede allopera unat-
tivit razionale finalizzata a far venire allessere la cosa. In tal senso
larte del fare produttivo (iotpttip tcvp) ogni potenza (vvot)
che divenga causa per le cose che prima non sono, di essere poi
(Soph., 265 b 810). E, propriamente, larte mimetica (tpttip
tcvp) o del produrre immagini (cto\oiottip tcvp) e larte del
produrre cose reali costituiscono ripercorrendo ora in rapporto
allarte produttiva la divisione che sopra abbiamo seguito in rapporto
al produrre le due specie in cui a loro volta sono divise (1) larte
produttiva divina e (2) larte produttiva umana, nelle quali diaire-
ticamente si partisce larte del produrre. Ecco pertanto darsi, per Pla-
tone, (1a) unarte che guida la produzione divina delle cose reali, vale
a dire la natura, arte che essa stessa divina (cfr Soph., 265 e 3: le
cose che si dicono essere per natura sono prodotte da unarte divina
[Octo tcvp]). Unistanza, questa, che degna di particolare rilievo
perch, essendo larte, come s detto, attivit razionale e com-
portando uneffettiva conoscenza, permette di accertare che per il
filosofo la natura pervasa di razionalit e nel suo fare dispiega una
scienza, luna e laltra da ascriversi alla divinit (cfr. Soph., 265 c 7
9: la natura genera queste cose a partire da una causa spontanea
[ovtootp] e che produce senza pensiero mediato (ovcv tooto

Verit e nonverit della poesia 43
ovovop), la quale saccompagna sia a un logos che a scienza divina
[citotpp Octo], che deriva da dio). (1b) Unarte divina che
sorregge la produzione dei sogni e dellombra delle cose. (2a) Unarte
che guida il produrre umano di cose reali, vale a dire i manufatti e
(2b) unarte che guida la produzione umana delle immagini
(cto\oiottip tcvp).
Ebbene, una specie di questultima larte icastica (ctioottip),
vale a dire larte atta a produrre ctio vc o immagini vere, laltra larte
fantastica (oovtoottip), ossia atta a produrre oovtoooto o
immagini false (Soph., 235 c 67). Il modo in cui il filosofo
caratterizza luna e laltra, da un lato fa conoscere lesatta deter-
minazione della verit o della falsit dellimmagine, chiarendo in che
cosa esse propriamente consistono, dallaltro pone in luce lattribu-
zione di queste determinazioni alla stessa mimesi, assegnando anche
in questo caso direttamente a essa la partizione diairetica del-
lcto\oiottip tcvp. Si in presenza dellarte icastica quando si
porti a compimento la generazione dellimitazione in conformit con
le simmetrie del modello in lunghezza, larghezza e profondit e
ancora, oltre a ci, attribuendo a ciascun tipo di imitazioni i colori
convenienti (Soph., 235 d 7 e 2). Si tratta, come si vede, di
costruire limmagine (ovvero di effettuare limitazione) secondo le
medesime proporzioni e le stesse fattezze cromatiche del modello.
Tale per lappunto lct iov, nella sua somiglianza al vero (cfr. Soph.,
236 a 8: ctio yc o v). Per converso, la mera apparenza che carat-
terizza limmagine falsa (oovtooo) e la relativa arte determinata
dal mancato rispetto delle propriet del modello, come inequi-
vocabilmente si evince dallesempio proposto dal filosofo di ci che
attraverso la vista che non deriva dallautentica bellezza pare assomi-
gliare (ootvocvov coticvot) alla cosa bella ma, se si possa avere la
capacit di osservare adeguatamente le statue di tale grandezza, non
neppure simile (ctio) a ci che si dice che assomiglia (Soph, 236 b
46). Ed rimarchevole che una tale falsa apparenza sia qui ancora
attribuita alla pittura (236 b 9).
Le ulteriori diairesi che Platone opera della mimesi icastica
(dividendola dapprima in mimesi icastica realizzata con strumenti o
senza strumenti e riconoscendo in questultima soltanto i tratti del-
lautentica imitazione; dividendo a sua volta la mimesi icastica senza
strumenti in due specie, a seconda che sia operata con cognizione o
senza cognizione di causa e individuando nella seconda la dossomi-

Marcello Zanatta 44
metica, vale a dire larte che produce immagini sulla base di una mera
opinione; dividendo ora la dossomimetica in una specie caratterizzata
dallesercizio in buona fede e in unaltra il cui esercizio ironico e
ritagliando infine nella dossomimetica ironica una parte professata in
pubblico, propria delloratore popolare, e unaltra professata in pri-
vato, propria del sofista) non hanno particolare rilevanza ai fini della
nostra ricerca e possono pertanto essere trascurate.


2. La condanna platonica della poesia, della pittura e della musica

Queste precisazioni permettono di inquadrare in modo pi op-
portuno la condanna platonica della poesia, della pittura e della mu-
sica, fornendo in particolare gli strumenti concettuali per scorgere nel
tipo di imitazioni che esse eseguono le ragioni della loro non verit.
Questa infatti, come si potuto accertare nel passo di Resp., X pre-
sentato allinizio della disamina, discendeva dal fatto che le imi-
tazioni in questione sono compiute e gravitano sul piano della pura
apparenza. Alla luce di quelle precisazioni in esse si devono rico-
noscere le connotazioni proprie dei oovtoooto. Ma poich il filo-
sofo connette la non verit di tali imitazioni al fatto di non eseguirsi
n in rapporto al modello ideale, n a quellesemplare unico della
cosa, esistente in natura, che presenta i tratti della produzione divina,
ma in rapporto allct io v dellIdea rappresentato dalle produzioni
artigianali, occorre seguire in questi passaggi vale a dire in questi
progressivi allontanamenti dal vero il formarsi delle immagini
false.
I presupposti dottrinali del pesante giudizio platonico sono, da un
lato, lIdea come ci che , ossia come pienezza di essere o au-
tentica realt, la quale unica e funge da modello di ogni produzione
artigianale; proprio quellidea che allinizio della trattazione Platone
prescrive di postulare, secondo il metodo definito nel Fedone. Cos il
costruttore (ptovpyo ) di tavoli o di letti fabbrica (iotct ) luno
letti, laltro tavoli guardando allidea (ipo tpv t cov \ciov) del
corrispondente oggetto (Resp., 696 b 67). Il filosofo parla anche di
una sorta di letto esistente in natura (cfr. 587 a 56: p cv tp ovoct
<i\tvp>), che qualifica come letto in s, ossia come ci che
letto e che dice essere unico (cfr. 597 c 3: tov ovov ovtpv
cictvpv o cottv i\tvpv), di contro alla moltitudine dei letti fabbricati
dai falegnami, perch fatto sorgere dal dio (cfr. 597 d 13: o

Verit e nonverit della poesia 45
Oco [] covocv). Questa insorgenza viene indicata da Platone anche
con due verbi che inequivocabilmente indicano che si tratta di una
vera e propria produzione: cicpyo oooOot (597 c 2) e soprattutto
ciotpocv (597 c 3). Per cui ancorch non sia espressamente detto
logico tuttavia ritenere e del tutto conseguente a questultimo
riscontro che nel fabbricarlo, o comunque nel porlo in essere, anche il
dio abbia guardato allIdea, cos com del tutto congruo pensare che
si sia in presenza di un letto perfettamente rispondente a essa, come
peraltro si pu evincere dal carattere di unicit, che prima di ogni
altro lo eguaglia allIdea; un carattere che Platone riconosce essere
dovuto sia alla volont del dio, sia a una necessit (cfr. 587 c 1: cttc
ovi cov\cto, cttc tt ovoip cipv). Queste due prerogative della
produzione e dellassoluta rispondenza allIdea permettono di dire
che una tale sorta di letto naturale ha le fattezze dellctiov: infatti, in
quanto prodotto sul modello dellIdea ne copia o immagine e in
quanto simile in tutto e per tutto a essa unimmagine massimamente
vera
6
.

6
Sotto questo profilo si deve concordare con il giudizio di fondo di S. HAL-
LIWELL, Aristotles Poetics, Tranlation and Commentary by Stephen Halliwell, Cha-
pel Hill, The University of North Carolina Press, 1987, pp. 118119 secondo cui an-
che nella Repubblica operante quella concezione gerarchica della mimesi, at-
testata dal Timeo e dalle Leggi, che, unitamente alla sua dimensione finalistica, costi-
tuisce, ad avviso dello studioso, la chiave per la struttura del mondo e della realt,
giacch rappresenta listanza dottrinale che permette di porre sia che leterno pro-
duce e plasma il mondo, sia, parallelamente, che la mente umana pu ascendere e
aspirare nelle sue ricerche alla conoscenza. Per cui anche il filosofo impegnato
nella mimesi, ma si tratta di una mimesi inferiore agli standards della mimesi di-
vina. Sennonch entro questa concezione gerarchica e finalistica della mimesi, che
chiaramente ne comporta una valutazione positiva da parte di Platone, lo studioso
tende a risolvere o anche ad affievolire la discrepanza, che pur non manca di ritenere
enorme, rispetto al pesante giudizio di condanna della mimesi pittorica e poetica
espresso da Platone nella Repubblica. The enormous discrepancy between the two
things egli scrive can to a considerable extent be explained by reference to the
notion of a mimetic hierarchy which I have pointed out in the Timaeus. This notion
also enables us to see how the philosophical and poetics types of mimesis in Laws 7
[] can be placed within the larger Platonic perspective. Il che pienamente
condividibile, in quanto la condanna della mimesi artistica operata sulla base del-
lavvaloramento dellimitazione artigianale rispetto al modello delle Idee, e sotto
questo profilo si pu anche condividere il giudizio di una gerarchia delle mimesi.
Ma nella Repubblica non compare la dottrina secondo cui the world is a mimma of
a model, n questa gerarchia funge qui da chiave per la struttura della realt, ossia
da quadro complessivo per lintelligibilit del mondo, essendo invece la gerarchia
ristretta alle sole imitazioni degli artigiani e dagli artisti, senza abbracciare anche
limitazione cosmologica, che non funge perci da cornice entro cui chiarire il signi-

Marcello Zanatta 46
Qui interviene il secondo presupposto, costituito dallessere le
opere degli artigiani (cfr. Resp., 598 a 23: to tov ptovpyov
cpyo) non ci che , ma qualcosa che tale quale ci che (597 a
45: ovi to ov, o\\o tt totovtov otov to ov). Si tratta insomma di
realt che, pur mancando della pienezza ontologica propria del
modello in rapporto a cui sono costruite, si configurano per in con-
formit a esso e secondo la medesima struttura, rispettandone la
disposizione delle parti e le relative proporzioni: esattamente come
nel Cratilo e nel Sofista abbiamo visto definirsi lctiov. Anche in
questo caso Platone non dice ex professo che esse sono copie o im-
magini dellidea, ma non v dubbio che la caratterizzazione soprad-
detta, scandita dai concetti di produzione, di sguardo rivolto allIdea
come modello e di somiglianza a questa, le qualifica inequivoca-
bilmente come tali. Quanto al mancato uso del termine immagine a
loro riguardo, cos come di imitazione a proposito dellarte che le
pone in essere, la ragione va individuata nel fatto che il filosofo
riserva questi nomi, pur loro acconci nellaccezione di ct io vc, alle
opere pittoriche e poetiche e alle rispettive arti, vendo cos in chiaro
che in tutta questa sezione imitazione usato nel significato peg-
giorativo di produzione di immagini che sono oovtoooto. Sotto il
profilo della conoscenza, ci che s detto significa che la produzione
dei manufatti artigianali non comporta la scienza della cosa, non
richiede cio che la si conosca nella sua verit, ma non per questo la
si ignora del tutto; una conoscenza di essa le pur sempre necessaria,
ancorch attestata su quel grado infimo del sapere e su quelle vestigia
del vero che sono la credenza (itott). Platone illustra il punto af-
fermando che vi sono due arti (tcvot) della cosa: larte di usarla

ficato della mimesi pittorica e poetica, n, di conseguenza, in tale gerarchia pu es-
sere accentuato il momento teologico, come invece sembra fare Halliwell, quando
scrive che mimesis carries an active philosophical and theological signifiance.
Sotto questo profilo, stante che i piani gerarchici della mimesi coinvolti nel dialogo
riguardano soltanto limitazione artigianale e artistica (dei pittori e dei poeti), con
esclusione dellimitazione cosmologica, non condividibile che nella Republica si
pu vedere limage of the philosopherartist engaged in the mimesis of eternal
truths e che in questa stessa opera the mimetic activities of painting and poetry are
juxtapoised with the at least quasimimetic relation between the material world and
eternal Forms. Donde la riserva anche sul giudizio secondo cui le posizioni assunte
da Platone sulla mimesi nel Timeo e nelle Leggi non corrisponderebbero purely a
un late development delle posizioni della Repubblica, giacch sarebbero gi com-
prese in questo dialogo. Alla luce di quanto si osservato parrebbe invece doversi
dire che corrispondono a uno sviluppo.

Verit e nonverit della poesia 47
(ppoocvp) e larte di fabbricarla (iotpoocvp). Chi pratica la
prima deve possedere la scienza della cosa (601 e 7 602 a 1: c ct
[] o c pocvo citotppv), perch soltanto in base a essa pu
conoscere quale suo impiego buono e quale cattivo, mentre a chi
la costruisce basta avere una retta fiducia in ci che dice chi la usa
e ne possiede scienza (601 e 7: o cv iotptp opOpv itottv cct).
Ebbene, riguardo alle cose che dipinge, siano esse belle e rette o
no, il pittore non possiede n scienza che derivi dallusarle (ci
tov pp oOot citotppv), perch gli oggetti dipinti non possono
essere usati, n retta opinione (oov opOpv), perch per dipingerle
non necessario seguire i suggerimenti di chi ne ha conoscenza (to
to c ovoyip ovvctvot to ctott) e lasciarsi perci guidare dalle
indicazioni del competente in ordine a quali loro aspetti rappresentare
(cittottcoOot oto pp ypooctv) e in quali proporzioni (Resp., 602 a
36). Platone non parla a proposito del pittore di retta fiducia
(opOp itott), come per lartigiano, ma di retta opinione (o pOp
o o). Si tratta di un sottile gioco di pensiero che va messo in luce.
noto che la fiducia (itott) costituisce, assieme allctiooto, un
momento della o o. ovvio allora che mentre lartigiano,
lasciandosi guidare nella costruzione dei suoi manufatti da retta
fiducia in chi ne conosce luso, opera secondo quel retto aspetto
dellopinione che lctiooto e conferisce perci a essi il carattere di
ctiovc il pittore, non possedendo retta opinione di ci che
rappresenta, non possiede nessun grado o aspetto di essa: non
possiede cio n retta fiducia in chi ne conosce luso, n quella
retta conoscenza doxastica costituita dallctiooto. Egli ha s opinione
di ci che dipinge, ma si tratta di unopinione non retta, tale cio da
portarlo a falsare le proporzioni tra le parti esistenti nel modello. Le
sue rappresentazioni sono cos mere apparenze prive di qualsiasi
grado di verit, ossia puri oovtoooto. In tal senso egli un
semplice imitatore (tptp), dove chiaro che questo termine
viene qui usato da Platone nel significato ristretto e peggiorativo di
produttore di sembianze, ossia di immagini false: di
oovtoooto, per lappunto. Donde, come si diceva allinizio, la lon-
tananza dalla verit dellarte imitativa (cfr. 598 b 6: ioppo tov
o\pOov p tpttip cottv).
Questa mancanza totale di conoscenza della cosa rappresentata,
ossia questa totale mancanza di verit dellimitazione ancorata alla
mera apparenza, si manifesta nella disinvolta disponibilit del pittore

Marcello Zanatta 48
a rappresentare ogni sorta di oggetti (cfr. 598 b 7: to tovto iovto
oicpyoctot), a differenza dellartigiano che, operando con com-
petenza, interviene invece su un solo genere di realt: sul presupposto
che un uomo che conosce tutti i mestieri e ogni altra nozione propria
dei singoli specialisti, e tutto conosce pi esaurientemente che chiun-
que altro un incantatore, ossia un imitatore (yop iot tptp)
(598 c 8 d 3).
Resta infine da comprendere di che cosa la mimesi pittorica
oovtooo. Platone lo precisa affermando che il pittore imitatore di
ci di cui gli altri sono artigiani (tptp ov cictvot ptovpyot )
(597 e 2), vale a dire dei loro manufatti. Mentre dunque lartigiano
costruisce guardando allIdea, il pittore dipinge loggetto arti-
gianale, ossia lct io v dellIdea, dovendosi gi in questo vedere una
ragione del fatto che non rispetta pi le proporzioni reali della cosa;
quelle proporzioni che si trovano nellIdea e che loggetto artigianale
conserva, s, ancora, ma, in quanto ct io v, soltanto come impronta
(tvio), al modo in cui precisato nel Cratilo. In tal senso dice il
filosofo il pittore imitatore della terza generazione a partire
dalla natura (o tov tpttov ycvvpoto o io tp ovoco tptp)
(597 e 34). Unespressione che, pur chiara nel suo senso di fondo,
risulta per non poco problematica l dove si voglia comprendere
quale sia la prima generazione. Non pare possa trattarsi dellIdea,
giacch lIdea non ha generazione, mentre sembra pi probabile che
in essa si debba scorgere lesemplare naturale e unico che il dio, come
abbiamo letto, covocv. Il che sembra trovare conferma nellulteriore
affermazione del filosofo secondo la quale il pittore intraprende a
imitare ciascun oggetto in s che si trova nella natura (cictvo ovto cv
tp ovoct ciootov) (598 a 12). Difficile leggere questultimo enun-
ciato come se Platone volesse dire che il pittore rappresenta qua-
lunque oggetto esistente in natura, come alberi, animali, pietre e uo-
mini, perch questi non sono oggetti in s; e parimenti difficile
individuare negli oggetti in s le Idee, perch esse non sono nella
natura. Pi consono invece ritenere che il filosofo qui abbia pen-
sato agli esemplari unici delle cose naturali, creati dal dio (lesem-
plare della pietra, della pianta, dellanimale e delluomo), se egli crea
in natura esemplari unici persino di oggetti come il letto. Se dunque
gli esemplari unici e naturali costituiscono la prima generazione e
la seconda rappresentata dalle opere degli artigiani, le opere del
pittore sono la terza generazione. E con ci chiara la loro assoluta

Verit e nonverit della poesia 49
distanza dalle fattezze reali della cosa e, di conseguenza, la loro non
verit.
Ebbene, le stesse prerogative dellimitazione pittorica apparten-
gono anche allimitazione poetica. Anche il poeta, infatti, individuato
paradigmaticamente nel compositore di tragedie (tpoyotoioto),
un imitatore, nel significato negativo del termine che si chiarito,
essendo egli terzo per natura a partire dal re e dalla verit (tptto
tt oio oot\co iot o\pOcto icovio) (597 e 67). Espres-
sione altrettanto e forse ancor pi problematica della precedente e che
comunque, se si individua nel re la divinit, appare in linea con essa,
significando che nellordine naturale e progressivo delle cose, le
imitazioni del poeta vengono dopo gli esemplari creati dal dio e i
manufatti artigianali. Di conseguenza, anche le sue rappresentazioni
sono del tutto prive di verit, e luguaglianza con i oovtoooto della
pittura icasticamente espressa dal filosofo con laffermazione
ripresa, come abbiamo visto, nel Sofista a proposito del pittore
secondo cui il poeta con nomi e verbi spalma certi colori propri di
ciascun genere di arti, non essendo egli conoscitore se non del-
limitare, giacch incanta col fascino del metro, del ritmo e del-
larmonia (601 a 48), ma n dice cose vere n competente di ci di
cui parla. Le prove che Platone apporta, possono riassumersi in questi
termini: se Omero, il caposcuola dei poeti tragici, avesse realmente
conosciuto ci di cui ha parlato, avrebbe atteso alle opere pi che alle
imitazioni (cfr. 599 b 35); dai suoi poemi si sarebbero potute
ricavare vantaggiose indicazioni nel campo della medicina, o della
strategia militare, o dellarte di governare uno stato, insomma nel
campo di qualche arte di pubblica utilit, come invece ben lungi
dallessere avvenuto (cfr. 599 b 9 600 a 8); nemmeno in quello del-
la vita privata si sono mai tratti suggerimenti e consigli dalle sue ope-
re, giacch nessuna educazione mai stata impartita sulla base di essi,
n esiste un genere di vita omerico (cfr. 600 a 9 c 3); se egli fosse
stato utile in tal senso, gli stati non lo avrebbero lasciato girovagare,
ma lo avrebbero trattenuto (cfr. 600 c 4 e 2). La conclusione che il
filosofo ne trae interessante non soltanto perch ribadisce la lon-
tananza della poesia dalla verit, ma anche per i termini che il filosofo
usa: tutti coloro che sono propensi alla poesia (ot iotpttiot ) sono
imitatori delle immagini (tptot cto\ov) della virt e delle altre
cose intorno a cui si fa poesia, ma non aderiscono (oitcoOot) alla
verit (600 e 46). Le immagini della virt e delle altre cose in-

Marcello Zanatta 50
torno a cui si fa poesia sono le azioni virtuose e altri tipi di atti che
gli uomini hanno compiuto nella loro vita reale o che la leggenda
racconta essere stati compiuti. Essi hanno la loro ragion dessere nel-
lIdea di virt o delle qualit che incarnano; quelle Idee che, secondo
il metodo indicato nel Fedone, bisogna ipotizzare per dar conto del
loro carattere e del loro denominarsi, tutte, azioni virtuose, o
viziose e cos via. Dunque, sono copie o immagini delle
rispettive Idee, e immagini a esse confacenti. Luso del termine
cto\o con cui Platone le designa, ne comprova lampiezza se-
mantica, essendo qui chiaro che lct o\ov propriamente un ctiov.


3. La verit della poesia

Col rifiuto dellIdea si diceva quale realt da postulare sul
piano metodologico per dar conto della cosa, chiaro che limmagine
assume tuttaltra valenza, e con essa anche lattivit che la produce,
vale a dire limitazione. In particolare, cade listanza secondo cui la
mimesi poetica, essendo imitazione di imitazione, produce puri
oovtoooto, privi di verit. Proprio la verit dellimitare poetico
ci che Aristotele innanzitutto rivendica, in contrappunto rispetto
allistanza platonica, e poi definisce nei suoi precisi lineamenti, pre-
cisando di che tipo di verit si tratta.
La prova della verit della poesia si rinviene, a ben vedere, net-
tissima e inequivocabile l dove lo Stagirita, per spiegare lorigine del
poetare, indica due cause: il fatto cio che la tendenza a imitare
connaturata alluomo e il piacere dellimitazione (cfr. Poet., 1448 b
419).
La circostanza sintomatica in ordine al carattere scientifico del-
lindagine che Aristotele conduce intorno alla poesia. La ricerca aitio-
logica, infatti, propria del discorso che abbia questa prerogativa,
com chiaro dalla stessa definizione della scienza (citotpp) quale
sapere causale che compare in Anal. post., 71 b 912 e in Metaph.,
981 a 2830. Nel primo di questi due passi, infatti, Aristotele afferma
che crediamo di conoscere (citotooOot) ogni cosa in senso assoluto
per non nella maniera sofistica, cio in maniera accidentale
quando crediamo di conoscere la causa (otttov) per la quale la cosa
(dal momento che di ogni cosa vi una causa) e non pu capitare che

Verit e nonverit della poesia 51
essa sia in altro modo
7
. Nel secondo il filosofo distingue coloro che
conoscono scientificamente rispetto a coloro che hanno soltanto
esperienza sulla base del fatto che questi ultimi sanno s il che, ma
non sanno il perch, mentre i primi conoscono anche il perch
e la causa (to tott io tpv ottov).
Ma ci che in questo momento interessa sottolineare che con
laddurre luna e laltra causa Aristotele assegna alla poesia natura
conoscitiva, e il fine della conoscenza raggiungere la verit. La
poesia infatti, dice lo Stagirita nellenunciare la prima causa, si ori-
gina perch una forma di imitazione e

limitare connaturato agli uomini fin da bambini, e per questo <essi> dif-
feriscono dagli altri animali, dal momento che <luomo> un <animale>
massimamente incline a imitare e si procura i primi insegnamenti per mezzo
dellimitazione (Poet., 1448 b 58)
8
.

Limitazione costituisce dunque il primo modo di acquisire cono-
scenza, e poich il conoscere aspirazione naturale di ogni uomo,
come lo Stagirita dichiara allesordio del primo libro della Metafisica

7
Traduzione di Marcello Zanatta, Aristotele, Organon, vol. II, Torino, Utet,
1996, p. 11.
8
La traduzione di questo come degli altri passi della Poetica, e cos di quelli
della Retorica, tratta dalledizione italiana che lo scrivente ha redatto di queste
opere, con saggi introduttivi, note e indici analitici (Torino, Utet, 2004). Ritengo che
la causale ott ipo to non abbia valore epesegetico del precedente tovto (e per
questo <essi> differiscono dagli animali, per il fatto cio che <luomo> un animale
massimamente incline a imitare e si procura ecc.), ma esibisca le ragioni per le quali
limitare connaturato agli uomini; istanza che definisce la prima causa dellorigine
della poesia e rappresenta perci il nucleo del pensiero di questa sezione (righe 48),
dove a tema proprio questargomento. Rispetto a tale istanza, quella per cui la
connaturata tendenza a imitare distingue luomo dagli altri animali secondaria e,
comunque, non risiede certamente in essa lindividuazione della causa ricercata.
Largomentazione si sviluppa pertanto nel modo seguente: poich luomo animale
massimamente incline a imitare e si procura i primi insegnamenti per mezzo del-
limitazione, si pu ben dire che in lui la tendenza a imitare connaturata. Al con-
trario, se ott itoto esplicasse perch la naturale tendenza a imitare distingue
luomo dagli altri animali, la tesi di fondo del discorso risulterebbe solamente enun-
ciata ma non argomentata. E con ci lanalisi dello Stagirita perderebbe di scien-
tificit, essendo proprio del discorso scientifico portare le ragioni della tesi che af-
ferma. Non soltanto, ma si dovrebbe riscontrare una discrepanza rispetto al modo in
cui, in linea con questa esigenza, subito dopo Aristotele presenta la seconda causa, il
fatto cio che tutti provano piacere per le imitazioni. A dimostrazione della quale
egli adduce il piacere prodotto dalle immagini di cose che nella realt risultano in-
vece dolorose.

Marcello Zanatta 52
(cfr. 980 a 1: tutti gli uomini aspirano per natura al sapere [iovtc
ovOpoiot tov ctcvot opcyovtot fsei]), per questo la tendenza a
imitare gli connaturata (ovovtov), sinscrive cio nella sua stessa
ovot. Rilievo che ribadisce quanto Aristotele afferma allinizio del
passo di Poet., 4 sopra citato, l dove sottolinea che entrambe le
ragioni che spiegano il sorgere della poesia sono, per lappunto,
naturali (ovotiot). Le altre affermazioni del luogo ruotano intorno
a questo tema del carattere naturale dellimitazione e traggono da
esso la ragione della loro presenza. In effetti, o ne costituiscono una
sottolineatura, come quella secondo cui luomo un <animale>
massimamente incline a imitare, o ne enunciano una conseguenza,
come quella per la quale, se il fare imitazioni connaturato alluomo,
allora esso distingue la natura umana da quella degli altri animali.
Ora, se la poesia una forma di imitazione e limitazione il pri-
mo modo del conoscere, chiaro che la poesia esprime una cono-
scenza
9
ed perci rilevante in ordine al tipo di verit che, come ogni
acquisizione del sapere, anchessa permette di raggiungere. Ma
proprio questo significa che la poesia col suo dire imitativo offre
contenuti autenticamente conoscitivi ed enuncia verit, secondo una
caratterizzazione che lesatto contrario di quella per la quale essa
produzione di meri oovtsoto; ossia in se stessa vera. Occorre
soltanto determinare che genere di conoscenze fa acquisire e qual il
vero che strutturalmente le compete.

9
Questa dimensione cognitiva della poesia fortemente accentuata da L.
GOLDEN, Aristotle on tragic and comic mimesis, American Classical Studies,
Atlanta, Scholars Press, 29 (1992), pp. 64 sgg. Essa posta in luce, pur nel quadro di
esegesi tra loro assai differenti, anche da H. WAGNER, Katharsis in der
aristotelischen Tragdiendefinition, Grazer Beitrge, 11 (1984), pp. 6787; rist. in
AA.VV., Die aristotelische Katharsis. Dokumente ihrer Deutung im 19 und 20
Jahrhundert, hrs. von K. Luserke, Hildesheim, 1991, pp. 423443; da HALLIWELL,
Aristotles Poetics, cit., pp. 109 sgg.; da J. LEAR, Katharsis, Phronesis, 33 (1988),
pp. 297326; rist. in AA.VV., Essays on Aristotles Poetics, edited by Amlie
Oksenberg Rorty, Princeton, Princeton University Press, 1992, pp. 315340; da M.
NUSSBAUM, The fragility of goodness. Luck and ethics in greek tragedy and
philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, trad. it. Bologna, Il
Mulino, 1998, pp. 45 sgg.; da E.S. BELFIORE, Tragic pleasures: Aristotle on plot and
emotion, Princeton, Princeton University Press, 1992, pp. 26 sgg. e da P.L. DONINI,
Introduzione ad ARISTOTELE, Poetica (v. infra, nota 12), p. XXXIVXXXV; tuttavia
questi studiosi sottolineano come la poesia rivesta per Aristotele, oltre una tale
dimensione conoscitiva, anche una forte rilevanza emozionale.

Verit e nonverit della poesia 53
Come seconda causa dellorigine della mimesi poetica Aristotele
indica il piacere di imitare, e anche per questa strada la poesia si
riporta al conoscere e alla verit.

Per altro verso, il fatto che tutti provano piacere per gli oggetti raffigurati
10
.
Ne segno ci che succede [10] nel caso delle opere. Infatti, proviamo
piacere vedendo le immagini, eseguite il pi esattamente possibile, di quelle
cose che in se stesse guardiamo con senso di dolore: per esempio, le forme
delle fiere pi spregevoli e dei cadaveri. Causa di ci che apprendere la
cosa pi piacevole non soltanto per i filosofi, ma, parimenti, anche per gli
altri <uomini>; per ne partecipano poco. Per questo motivo, infatti, provano
piacere vedendo le immagini, perch nel guardarle capita che imparino e
argomentino che cos ciascuna cosa: per esempio, che costui quella per-
sona. Ch, se capiti di non averla vista precedentemente, non produrr il pia-
cere in quanto oggetto raffigurato, ma in virt della <sua> esecuzione, o del
colore, o di unaltra causa di questo genere (Poet., 1448 b 819)
11
.


10
Il termine greco t po, che compare soltanto due volte in tutto il trattato,
qui e alla riga 18. Ho tradotto con oggetto raffigurato perch, se tpot
produzione di immagini (cfr. supra, p. 4041), t po designa loggetto di tale
produzione: per lappunto, loggetto raffigurato.
11
Identici rilievi Aristotele svolge anche in Rhet., 1371 b 410 (poich tanto
lapprendere che lammirare sono una cosa piacevole, anche queste sono neces-
sariamente piacevoli: per esempio, ci che imita, come la pittura e la scultura e la
poesia; e tutto ci che sia stato imitato bene, anche se la cosa che si imitata non sia
in se stessa piacevole. Infatti, non di questo ci si rallegra, ma ha luogo un sillogismo:
che cio questa cosa questaltra, per cui avviene di apprendere alcunch) e in De
part.anim., 645 a 715 (rimane da parlare della natura animale, non trascurando
possibilmente nulla, n delle cose meno ragguardevoli n di quelle assai rag-
guardevoli. E infatti nelle cose sgradevoli alla sensazione, ugualmente per la ricerca
la natura che <le> ha prodotte presenta piaceri straordinari a quelli che sono in grado
di conoscerne le cause e ai filosofi per natura. Giacch sarebbe irragionevole e
assurdo se gioissimo nel vedere le raffigurazioni di esse, perch consideriamo in-
sieme larte che <le> ha prodotte, come la pittura o la scultura, e non amassimo di
pi lo studio del loro costituirsi per natura, essendo in grado di riconoscere le cau-
se). Unaccurata analisi di questi due passi in ordine ai due tipi di piacere pu
vedersi in HALLIWELL, Aristotles Poetics, cit., p. 7377. Riguardo allultimo, in par-
ticolare, lo studioso rileva che, although this passage is explicit on the reason for
philosophical pleasure (the understanding of causes), it leaves that of art less than
clear; but given its analogy between art and nature [] it may not be unreasonable to
infer a kind of cognition of causes in the pleasure derived from mimetic works too
(p. 74). Pi drasticamente, circa lidentificazione del piacere della mimesi poetica e
la conoscenza delle cause, si espresso GOLDEN, Aristotle on tragic and comic
mimesis, cit., p. 65 (cfr. le note 15 e 18). Differenti interpretazioni del passo del De
partibus animalium sono state date da LEAR, Katharsis, cit., pp. 297326 (ora in
AA.VV., Essays on Aristotles Poetics, cit., p. 322) e da BELFIORE, Tragic pleasures:
Aristotle on plot and emotion, cit., pp.6870.

Marcello Zanatta 54
Il piacere di fronte a unimmagine, sul quale fissa lattenzione
Aristotele, dunque il piacere di poter imparare e argomentare
(ovOovctv iot ov\\oytcoOot) che cos loggetto raffigurato.
Non si tratta pertanto di un piacere estetico, del tutto estraneo
allinteresse del filosofo, come inequivocabilmente risulta dal rilievo
che lo distingue da quello indotto dalla perfezione con cui stata
eseguita la figura o dallo spicco del suo colore
12
, ma si tratta di un
piacere unicamente conoscitivo
13
. Tanto che, precisa Aristotele, se la
cosa raffigurata non sia stata vista in precedenza e ora venga
riconosciuta
14
, leccellenza artistica nella facitura delleffigie non
produce questo tipo di fruizione edonistica. Non soltanto, ma anche il
carattere naturale del piacere arrecato dallimitare qual carattere

12
La distinzione tra i due tipi di piacere particolarmente messa in luce da
DONINI (nuova edizione con Introduzione e note di ARISTOTELE, Poetica, in ID.,
Opere, vol. 10: Retorica e Poetica, [Bari, Laterza, 1973], RomaBari, Laterza, 1997,
p. XXXV): In 4, 1448 b 1019 rimarca per lappunto lo studioso si distingue
il piacere fondato sulla mimesi pittorica di oggetti anche spiacevolissimi alla vista da
un piacere non pi legato allimitazione che si potrebbe ottenere sempre dalla visione
del medesimo oggetto dipinto; funge da criterio di distinzione fra i due tipi di piacere
la condizione cui sottoposto il primo [] Infatti, ci sar stata una previa visione
diretta delloggetto rappresentato, mentre nel secondo tipo di piacere non si sar
veduto prima in natura loriginale. Pur mantenendo ferma questa basilare distin-
zione, Donini ritiene tuttavia che non poi inevitabile indurre da queste linee [scil.
dal passo riferito nel testo] che i due tipi di piacere che Aristotele ammetteva fossero
del tutto inconciliabili. Chi non avesse mai visto un barbaro orientale non avrebbe
forse potuto apprezzarne il ritratto in quanto mimesi; ma non invece detto che chi
poteva ammirarlo in quanto tale non lavrebbe pi apprezzato anche per la vivacit
dei colori, la finezza dellesecuzione ecc..
13
HALLIWELL, Aristotles Poetics, cit., pp. 6368, dopo aver elencato tutti i passi
in cui nella Poetica espressamente a tema il piacere, distingue, oltre i due suddetti,
anche un terzo livello o tipo di piacere estetico, consistente nella fruizione offerta
dallapparato scenico (enjoyment of theatrical spectacle, opsis, by which Aristotle
probably means chiefly the visual presentation of the actors), ancorch subito lo
studioso riconosca che si tratta di un piacere inessential and potentially inappro-
priate, dal momento che opsis is not even a feature of all the poetry, bat only of
dramatic poetry in performance (p. 66).
14
Questaspetto ben spiegato da R. DUPONTROC e J. LALLOT, Aristote, La
Potique, Paris, Seuil, 1980, nel commento al passo. Le plaisir scrive lo studioso
propre la reconnaissance tient prcisment au fait que le tableau nest pas la
rplique exacte de lobjet: le spectacle dun deuxime objet identique au premier ne
pourrait procurer que la mme impression que lui (agrable, dsagrable, indif-
frente, selon le cas). Au contraire le tableau, qui abstrait du modle de la forme
propre, sollicite les facultes de raisonnement (syllogizesthai) et procure, dans la
reconnaissance, le plaisir de la dcouverte qui est simultanment plaisir dton-
nement (thaumazein) et plaisir dapprendre (manthanein).

Verit e nonverit della poesia 55
cio che, come abbiamo sottolineato, lo Stagirita richiama allinizio
della trattazione come proprio delluna e dellaltra causa non
coincide con linnata tendenza delluomo e, anzi, di ogni essere
vivente a ricercare lp ovp, secondo quanto il filosofo afferma nella
disamina di Eth. nic., X, 2. Questa naturale tendenza riguarda infatti il
piacere nella sua generalit, non un piacere determinato, per cui si
definisce essa stessa in senso generale, mentre dal passo si evince che
il piacere cui fa riferimento Aristotele si connota di lineamenti ben
precisi, inconfondibilmente identificabili nel conoscere
15
. Cosicch
anche la naturale inclinazione a esso ben diversa da quella soprad-
detta. In effetti, il carattere naturale del piacere ricercato nel-
limitare si chiarisce con laffermazione che non solamente per i filo-
sofi, ma per ogni uomo apprendere la cosa pi piacevole
(ovOovctv ptotov)
16
. Si tratta dunque di quel piacere uni-
versale per la conoscenza che iscritto nella natura di tutti gli uomini
e che nasce da quel naturale desiderio di sapere di cui parla lesordio
della Metafisica sopra richiamato
17
.

15
Lunit complessiva del rilievo aristotelico concernente la naturalit della
tendenza a imitare e il piacere che limitare produce, luno e laltro aspetto incentrato
sulla dimensione conoscitiva, stata adeguatamente posta in luce da GOLDEN, op.
cit., p. 71, in questi termini: These stipulations are (1) that the mimesis has its roots
in our very nature as human beings; (2) that we human beings essentially differ from
animals because we are the most imitative of all creatures; (3) that our earliest
learning takes place through mimesis; and (4) that all human beings take pleasure in
mimesis. Aristotle emphasizes that the essential reason for the pleasure we take in all
forms of mimesis is that act of learning is not only most pleasant to philosophers but
to all other human beings as well, even though their share in it is more limited.
Donde la conseguenza che non soltanto il piacere della mimesi tragica, ma anche
quello della mimesi comica risiede, in quanto piacere dellimitare, in una dimensione
conoscitiva (the essential pleasure of comic mimesis, like the essential pleasure of
tragic mimesis, must lie in the intellectually illuminating process of learning and
inference).
16
Non posso perci concordare con D.W. LUCAS, Aristotle, Poetics, Introduction,
commentary and append, Oxford, Clarendon Press, 1968, II ed. con correzioni 1972,
pp. 7273 l dove, nel commento a Poet., 1448 b 13, solleva talune perplessit nel
riconoscere il carattere cognitivo della mimesi aristotelicamente concepita
quantunque riconosca che molte ragioni portano ad affermate questo carattere.
17
Cfr. supra, p. 51. Di fronte al rilievo davvero decisivo di questa specifica
risultanza poco importa che il piacere conoscitivo dellimitazione debba individuarsi
in quello che prova il facitore dellopera o in quello di cui fruisce chi la guarda (cfr.
D. PESCE, Aristotele, Poetica, saggio introduttivo, traduzione, note e sommari ana-
litici; revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole chiave e indici di G.
Girgenti, Milano, Rusconi, 1995, p. 26). Il problema, sollevato da alcuni studiosi,
irrilevante in ordine alla comprensione della natura del piacere che Aristotele ascrive

Marcello Zanatta 56
In ogni caso, se la poesia unimitazione e il piacere dellimitare
il piacere di apprendere e di argomentare, ossia, in ultima analisi, il
piacere di conoscere, anche il piacere della poesia di questo tipo
18
.
E con ci, anche per questa via essa esibisce il suo nesso con la
verit.


4. La poesia e il possibile

Occorre pertanto determinare che tipo di verit le compete, vale a
dire che cosa fa conoscere e qual loggetto al quale si applica.
Aristotele chiarisce il punto precisando innanzitutto che loggetto
della poesia non il reale, ma il possibile, colto o sotto il profilo della
necessit che lega le situazioni e gli accadimenti ipotizzabili o sotto il
profilo della verisimiglianza
19
. Indi afferma che questo possibile

allimitare e nulla comporta per la determinazione essenziale della seconda causa del-
lorigine della poesia.
18
Sulla natura conoscitiva e unicamente conoscitiva del piacere della mimesi
poetica ha posto particolarmente laccento GOLDEN, Aristotle on tragic and comic
mimesis, cit., pp. 6465. The pleasure provided through mimesis scrive oppurtu-
namente lo studioso must be [] intellectual pleasure (p. 64). Qualche riga pi
oltre egli acutamente sottolinea che tragedy and comedy (and all forms of artistic
mimesis) do not give us pleasure because of the subject matter they represent but
because of their nature as mimesis, offering us the intellectual pleasure of learning
and inference. Altrettanto opportunamente egli pone in chiaro che il carattere cono-
scitivo del piacere poetico, poich appartiene alla mimesi in quanto tale, non con-
dizionato dalloggetto dellimitazione e per questo comune sia alla tragedia che alla
commedia. Dopo aver affermato che the ultimate success of tragic and comic mi-
mesis, and indeed of all mimesis in general, must be judged on its effectiveness in
creating this learning experience, egli chiarisce che, di conseguenza, differences in
subject matter and characterisation, for example between tragedy and comedy, do not
alter the fact that intellectual pleasure is the ultimate goal of both genres, but these
differences evoke contrasting emotional responses because the object of the mimesis
in each case is radically different (p. 65). Golden connette tuttavia la natura co-
gnitiva del piacere prodotto dalla poesia alla tesi secondo cui questa conoscenza
delle cause universali dellazione umana (poetry is an art that reveals universal
causes of human action and thus necessarily provides us with intellectual pleasure),
e tale aspetto della sua puntualizzazione non pare accettabile: nella misura in cui,
come s detto, luniversale colto dalla poesia non sono le cause dellagire. Sul ca-
rattere innanzitutto cognitivo e intellettuale del piacere mimetico e, in specie, della
tragedia insiste anche DONINI, Introduzione, cit., p. XXXIV e pp. XXXVIIIXL.
19
Sul concetto di necessit che opera nella concezione aristotelica della tragedia e,
in generale, nella Poetica, ha fornito un eccellente chiarimento D. FREDE, Necessity,
change and what happens for the most part in Aristotles Poetics, in AA.VV., Essays
on Aristotles Poetics, cit., pp. 213231. La studiosa rileva innanzitutto che, dei quattro
sensi di necessit presentati in Metaph., V, 5 (1. ci che non pu essere altrimenti, 2. la

Verit e nonverit della poesia 57
secondo necessit o verisimiglianza un universale. Uno dei pro-
blemi esegetici fondamentali riguarda la determinazione del nesso tra
queste due prerogative delloggetto poetico.
Ora, che loggetto della poesia sia il possibile, non il reale si-
gnifica che ci di cui essa dice, anzi, che suo specifico compito
(tovto tov iotptov cpyov) dire, non sono le cose che sono avvenute
(to ycvocvo), ossia i fatti cos come si sono svolti, bens le cose
quali sarebbero potute avvenire (oto ov ycvotto), cio i fatti cos
come si sarebbero potuti svolgere (cfr. Poet., 1451 a 3637). Que-
staffermazione da un lato distingue la poesia dalla storia, da inten-
dersi qui nel significato di notitia rerum gestarum
20
(cfr. Poet., 1451

necessit della forza bruta, 3. la necessit apodittica, 4. la necessit ipotetica), gli ultimi
tre non si confanno alla connessione degli eventi che concorrono a costituire il momen-
to tragico: certamente non la forza bruta, ma neanche la necessit apodittica, essendo al-
tamente improbabile che Aristotele assuma either a compulsory or a syllogistically de-
rived necessity for the coherence of drama (p. 199). Non resta pertanto che ci che
non pu essere diversamente. La sua applicazione allo sviluppo del racconto tragico
induce a fissare lo sguardo sulla determinazione che ne mitiga la portata, lo or for the
most part (hos ep t polu) (ibidem). Ora, questo tipo di connessione dei fatti dipende
dal contesto delle vicende, e Aristotele ne sottolinea tanto il carattere di almost neces-
sity quanto quello per il quale esse costituiscono qualcosa che pu essere in altro mo-
do ed perci contingente. Donde lapparente contraddizione, dovuta allambiguit di
what happens for the most part. Una tale ambiguit risulta in particolare l dove Ari-
stotele assume lusuale come una sottoclasse del contingente in questa modalit logi-
ca (p. 200). Si tratta di vedere in che senso la sequenza degli eventi nella tragedia pu
essere detta necessaria o almost necessary. Lautrice pone in chiaro che la spiegazione
pu raggiungersi se si considera che la necessit o la almost necessity riguardano la sfe-
ra delle azioni umane, dal momento che la praxis is the main element in Aristotles di-
scussion of the coherence of tragedy (p. 202). Mostra pertanto che tale necessit coin-
cide col meccanismo psicologico teleologicamente determinato (teleologically determi-
ned psychological mechanism): necessity in a more relaxed sense is also attributable
to the condition of human actions. This is due non only to the fact that he regards man
as part of nature, and that natural teleology works in human nature as well as in that of
animals, plants and other natural substances. Even the specifically human, the field of
morality, has a deterministic character, for Aristotle. Although he does not speak expli-
citly about necessity in this connection, a necessity of human actions emerges within
the causal structure that he assumes for human activities in his ethical sense. Any deci-
sion is determined by the agents inner moral disposition. Once a person has acquired
his/her character, the disposition to chose a certain kind of mean between two extremes
will be fixed. The person will find this or that possibility attractive or unattractive, will
make the corresponding choices, and will use his/her practical reason to figure out the
right means to put then into action, giacch nothing from outside interferes (p. 203).
20
Cfr. GALLAVOTTI, op. cit., pp. 144145: Aristotele intende historia nel senso
originario di informazione sui fatti accaduti, in quanto avvenimenti di cronaca, e non
nel senso di storiografia o critica storica.

Marcello Zanatta 58
a 38 b 5: ch, lo storico e il poeta [] differiscono per questo, per
il fatto cio di dire, il primo le cose che sono avvenute, il secondo le
cose quali sarebbero potute avvenire); da un altro determina la verit
del dire poetico secondo un modo che non quello della verit
filosofica e scientifica.
Ch, anche le scienze e la filosofia annoverano il possibile nello
spettro delle loro indagini
21
. Sennonch, anche laddove enunciano
giudizi sulle cose possibili, la verit dei loro asserti sempre definita
dalladeguazione allo stato delle cose di cui parlano: giacch anche
per questordine di cose vero lasserto che dice come esse pos-
sono effettivamente essere o non essere, mentre falso quello che
dice in modo contrario. Vige cio per i giudizi delle scienze e della
filosofia sulle cose possibili lo statuto che Aristotele definisce in
Metaph., IX, 10, l dove, a proposito degli enti composti (ovvOcto),
per i quali soltanto si pu istituire il confronto con loggetto della
poesia e che possono (cvcctot) essere nei due modi contrari,
vale a dire uniti o separati, fa presente che la medesima opinione
diventa vera e falsa e <cos> il discorso stesso; cio possibile
(cvcctot) che talora dica il vero e talora dica il falso (Metaph.,
1051 b 915). Ossia: poich lessere delle cose composte e possibili

21
Per quanto riguarda la filosofia prima, essa studia il possibile non soltanto sotto
il profilo della potenza (cfr. Metaph., IX, 19), giacche la potenza definisce uno dei
significati dellessere (cfr. Metaph., 1017 a 35 b 1; 1051 a 35) e la filosofia prima
indaga lessere in quanto essere (cfr. Metaph., 1003 a 21), ma, in stretta relazione con
lanalisi dei molteplici significati di potenza (v vot), in Metaph. V, 12 essa studia
anche quelli in cui si dicono le cose possibili in senso non potenziale (vvoto ov p
ioto v votv), che individua in ci che non necessariamente significa il falso (to
p c ovoyip cvo opotvct) determinazione che si verifica quando non
sia necessario che il contrario sia falso (otov p ovoyiotov p to cvovttov cvo
ctvot) , in ci che vero (to o\pOc ctvot) e in ci che in grado di essere
vero (to ccocvov o\pOc ctvot) (cfr. Metaph., 1020 a 3033). Tra le filosofie
seconde poi, la fisica indaga il possibile innanzitutto sotto il profilo della potenza,
giacch essa si occupa della realt in movimento e la potenza, com noto, principio
di movimento; e come la fisica, cos fanno anche le scienze biologiche, per le cui
indagini la fisica funge in un certo senso da introduzione. Anche la matematica
prende in considerazione il possibile in quanto potenza, ancorch soltanto in senso
metaforico (cfr. Metaph., 1019 a 3334: la potenza presente in geometria si dice
secondo metafora). Quanto infine alle scienze pratiche e poietiche, vale a dire alle
singole arti, la possibilit nel significato di contingenza definisce il modo dessere dei
generi di cose intorno a cui luna e laltra rispettivamente vertono: quelle cio che
sono oggetto dazione (to ipoit) e quelle passibili di produzione fabbrile (to
tcvp ovto), entrambe caratterizzate dal poter essere diversamente da come sono
(to cvcocvo o\\o cctv).

Verit e nonverit della poesia 59
consiste nellessere unite le determinazioni di cui esse si compongono
e nel formare ununit (cfr. Metaph., 1051 b 1112: infatti lessere
consiste nellessere unito, vale a dire nellessere un uno), lopinione
(oo) secondo cui tali determinazioni sono unite vera (o\pOp) e
il giudizio (\oyo) che le dica unite dice il vero (o\pOcvct). Ma
poich si tratta di cose possibili e che come tali possono anche non
essere, ossia vedere separate le determinazioni di cui si compongono
(giacch per esse il non essere consiste nel non essere unito, vale a
dire nellessere pi cose [Metaph., 1051 b 1213]), al realizzarsi di
questa eventualit la predetta opinione diventa falsa (ytyvctot
vcp) e il predetto giudizio dice il falso (cvctot).
Al contrario, ci che la poesia dice non diventa ora vero e ora
falso a seconda che i fatti che ne costituiscono loggetto, potendo sia
essere che non essere, e cio vedere unite o disgiunte le deter-
minazioni circostanziali in cui si svolgono, realizzino luna o laltra di
tali possibilit. Si badi, non si sta affermando che il racconto del poe-
ta non diventa vero e falso a seconda che le determinazioni circo-
stanziali che mette in campo e sulle quali si costruisce, potendo sia
essere unite che disunite, adeguino quelle secondo le quali levento
storico o della leggenda, che anchesso un possibile, si o si narra
che si sia verificato. Affermare questo corrisponderebbe a far ricadere
il racconto del poeta su quella necessit di dire le cose cos come
effettivamente sono state o tramandato che siano accadute che Ari-
stotele categoricamente nega: non soltanto perch escluso che il
poeta debba dire le cose che si sono effettivamente attuate, ma anche
perch il suo dire deve svincolarsi dal detto della tradizione (Poet.,
1451 b 2325: non bisogna cercare di attenersi in ogni modo ai
racconti tramandati, intorno ai quali vertono le tragedie). Ci che si
vuole affermare che, a differenza di quel che avviene nel caso dei
giudizi della filosofia e delle scienze sulle cose possibili, il racconto
del poeta non pu mai essere falso quanto allunire o al disunire le
possibili determinazioni circostanziali su cui si costruisce. E non sol-
tanto rispetto alla storia o alla leggenda, ma in assoluto. Ossia, nes-
suna unione o disunione, in assoluto, dellintero ventaglio delle cir-
costanze secondo cui il poeta pu costruire il suo racconto tale da
qualificarlo come falso. Esso al contrario sempre vero. Potr essere
ben costruito o costruito maldestramente, e luna e laltra cosa in mi-
sura maggiore o minore (e larte poetica sovviene in proposito al poe-
ta e ne valuta loperato), ma falso mai. Cos, potendo Oreste uccidere
la madre o per soffocamento, o col pugnale e cos via, ancora: o den-

Marcello Zanatta 60
tro la casa, o fuori di essa, o sullatrio, la scelta del poeta di connet-
tere latto matricida alluna o allaltra di queste possibilit determina
la qualit del racconto, conformemente a certe regole tecniche per le
quali esso risulta ben fatto o inadeguato, ma non lo determina in
ordine alla falsit. Ecco la differenza strutturale tra il giudizio del
filosofo e dello scienziato, da una parte, e il dire del poeta, dallaltra,
sulle cose possibili.
Ma se intorno al medesimo genere di cose, quelle cio che pos-
sono essere sia unite che separate, ossia le cose possibili, il dire del
poeta si determina secondo un differente statuto rispetto al giudizio
del filosofo e dello scienziato, e luno e gli altri sono veri perch fan-
no conoscere le cose che hanno rispettivamente a oggetto, chiaro al-
lora che la verit delluno e degli altri assume modalit anchesse
diverse. Ossia: entrambi i tipi di enunciazione sono veri, ma secondo
un diverso modo o senso del vero. E che il vero non si dica in un solo
senso, ma in pi sensi, chiaro dal fatto di estendersi, come luno, per
la stessa ampiezza dellessere e di convertirsi con esso; ond che,
come lessere si dice in molti sensi (cfr. Metaph., 1003 a 33), cos
anche il vero. Una lampante conferma della multivocit del vero si
trova, del resto, nello stesso Metaph., IX, 10, dove lo Stagirita mette
in luce che altra la verit che concerne gli enti composti, la quale,
come abbiamo visto, consiste nel dire unito ci che unito e diviso
ci che diviso e che ha per contrario il falso, espresso dal dire unito
ci che diviso e diviso ci che unito, e altra la verit relativa agli
enti incomposti o semplici (oovvOcto), che consiste invece in un
toccare (Otyctv, Otyyovctv) e il cui contrario lignorare (oyvoctv)
(cfr. Metaph., 1051 b 1730). Ebbene, nella molteplicit dei sensi del
vero, uno il verisimile (ctio), che Aristotele attribuisce alla poesia.
Esso il vero della poesia
22
.


5. Il possibile e il verisimile

Che la verit della poesia sia il verisimile non significa che essa
raggiunge una verit degradata e di rango per cos dire inferiore, ma
soltanto che adegua il vero alloggetto che le proprio.

22
In questo senso concordo sostanzialmente col rilievo di GALLAVOTI secondo cui
la poesia costruisce il vero perch attinge al possibile e al verisimile e quindi al
necessario (op. cit., p. 145), anche se occorre precisare il rapporto tra i tre concetti e, in
specie, chiarire filosoficamente che relazione sussiste, da un lato, tra il possibile quale
materia della poesia e il verisimile, dallaltro tra il possibile e luniversale poetico.

Verit e nonverit della poesia 61
Dalla definizione che ne data in Anal. Prior., 70 a 57 (ci che
si sa che per lo pi avviene o non avviene, o che o che non in
questo modo []: per esempio, lodiare gli invidiosi e lamare coloro
che amano) si ricava che il verisimile denota laccadere di una certa
cosa il pi delle volte. Questo nesso tra il verisimile e il per lo pi
confermato anche da Rhet., 1402 b 38 1403 a 1, dove si rapporta la
maggiore verisimiglianza alla maggiore quantit dei casi in cui
alcunch avviene (se i casi sono pi duno e spesse volte in un dato
modo, questo maggiormente verisimile). Ma da Rhet., 1357 a 34
b 1 (ci che si verifica per lo pi, ma non in senso assoluto, come
definiscono alcuni, bens come ci che verte sulle cose che possono
essere in modo diverso, rapportandosi alla cosa rispetto a cui
verisimile cos come luniversale [to ioOo\ov] si rapporta al par-
ticolare [to ioto cpo]) risulta che la ricorrenza con cui una certa
cosa succede non comporta che essa si verifichi tutte le volte in ma-
niera rigorosamente e assolutamente identica, ma ammette in cia-
scuna un certo margine di variabilit e di differenziazione. Un mar-
gine di diversit che la rende di volta in volta irrepetibile e unica, pur
nella fondamentale somiglianza con quelle che si verificano negli altri
casi, cos da potersi assimilare a un certo tipo. questa la prerogativa
delle realt che possono essere diversamente da come sono, tra le
quali si annoverano le cose che sono oggetto di produzione e, soprat-
tutto, dazione. Cos il verisimile da un lato si circoscrive allambito
delle cose possibili, dallaltro si qualifica attraverso due note con-
notative: laccadere il pi delle volte, ma al tempo stesso il verificarsi
ogni volta secondo una certa somiglianza soltanto, ossia non in modo
totalmente e assolutamente identico.
Qui entra in gioco unultima, decisiva indicazione: il verisimile si
rapporta alla cosa rispetto a cui verisimile come luniversale si rap-
porta al particolare. Il carattere decisivo dellacquisizione dovuto al-
lanalogia. Quel tipo nel quale si esprimono una somiglianza e una ri-
correnza di casi per se stessi diversi luno dallaltro (il verisimile, per
lappunto) funziona come un universale, ma non un universale o,
con maggiore precisione, lo ma solo in senso analogico. Luniver-
sale aristotelico, infatti, esprime il carattere comune di una pluralit di
cose e rappresenta perci lunit di un molteplice. Ma se le cose sono
soltanto simili e non identiche nel carattere che hanno in comune tutte
le volte che accadono, ammettendo anche in esso una certa differen-
za, e se un tale carattere simile non si presenta tutte le volte che esse
accadono, ma soltanto nella maggior parte dei casi, allora non si al

Marcello Zanatta 62
cospetto di un universale propriamente inteso, ma di un tipo che
come un universale. E difatti luniversale raccoglie e unifica ci
che si iscrive sotto di esso, definendo cos un genere, mentre il tipo
non definisce un genere di realt, in quanto non esprime lidentit di
un loro carattere. Non soltanto, ma luniversale, come genere, si dice
sinonimamente delle specie, cos come queste si dicono sinonima-
mente rispetto al genere (Cat., 1 a 8); al contrario, n il tipo pu dirsi
sinonimamente dei casi di cui tipo, per la differenza che, in ciascu-
no, inside nel carattere soltanto simile, n i singoli casi sono tra loro
sinonimi rispetto al tipo, a causa della differenza suddetta.
Ci non toglie che quel tipo che , per lappunto, il verisimile,
funzioni come luniversale: come infatti nelluniversale risalta li-
dentit della determinazione, cos il verisimile esibisce una somi-
glianza e una ricorrenza di un certo carattere. E precisa Aristotele
funziona come luniversale, ossia come il genere, rispetto non al-
lindividuo, bens rispetto al particolare (to ioto cpo), cio alla
specie, la quale una partizione del genere dovuta a una differenza e
come tale anchessa un universale, ma assunto in forma non uni-
versale, vale a dire per una parte soltanto della sua estensione (cfr.
De int., 7). Ora, il genere entra nella definizione della specie, se ne
il genere prossimo, oppure, se ne un genere remoto, se si colloca
cio lungo la regressione dei generi che porta fino a quello mas-
simamente universale che la categoria, appartiene al to tt pv ctvot
della specie e quindi, in ultima analisi, concorre alla sua definizione.
Al contrario, lindividuo non ha definizione, in quanto non si deter-
mina per una differenza che, entro la specie, lo distingua dagli altri
individui (cfr. Metaph., 1039 b 28 ss.), mentre la differenza ele-
mento costitutivo della definizione. Dicendo allora che il verisimile
funziona come il genere rispetto alla specie, Aristotele attribuisce al
verisimile una finzione che in un certo senso analoga, rispetto al
caso individuale di cui esso verisimile, a quella del definire che il
genere esercita rispetto alla specie. Attribuisce cio al verisimile una
capacit che simile alla definizione, anche se in senso proprio non
coincide affatto con essa: giacch il verisimile inquadra il caso entro
un tipo e in tal modo gli assegna una qualificazione formale.
Per questo esso espressione di razionalit, come si evince da
Rhet. ad Alex., 1429 b 27, dove i fatti che si producono in maniera
contraria al verisimile (to iopo to ctio ycvocvo ipoyoto) sono
eguagliati a quelli che accadono in modo contrario a ragione (iopo
\oyov). Una risultanza, questa che il verisimile un modo del

Verit e nonverit della poesia 63
\oyo, che trova ulteriore conferma nella dottrina secondo cui i
verisimili costituiscono un tipo di premessa degli entimemi (cfr.
Rhet., 1357 a 3034), vale a dire di procedimenti con i quali si pro-
duce la persuasione sulla base della sola capacit logica e razio-
cinante dellargomentare, senza mozione di sentimenti.
Per altro verso, proprio il carattere di razionalit che traspare dal
verisimile comporta il suo essere una dimensione della verit, e
precisamente quel vero che proprio della poesia. E poich essa, co-
me abbiamo visto, ha per oggetto il possibile, si comprende allora co-
me questultimo, per cos dire, si rischiari nel verisimile: giacch in
esso reperisce quellordine razionale che permette di esplicare il con-
catenarsi dei fatti nella dimensione propria, per lappunto, del
possibile di come sarebbero potuti avvenire, potendoli collocare
nella luce di certe universalit tipologiche che vi conferiscono un
senso adatto a diventare oggetto di poesia. Ed ben vero che Ari-
stotele, quando in Poet., 1451 a 3638 dice che ci intorno a cui verte
la poesia sono le cose possibili, aggiunge secondo il verisimile o il
necessario (to vvoto ioto to ctio p ovovyotov) e che identica
circostanza ricorre, poco pi oltre, nella definizione del racconto in
forma episodica, individuato in quello nel quale n verisimile n
una necessit (ovt ctio ovt ovovip) che gli episodi siano luno
assieme allaltro (Poet., 1451 b 3435)
23
. Si potrebbe perci
obiettare che il verisimile non , innanzitutto, il luogo della verit
poetica, vale a dire della verit del possibile cantato dalla poesia, ma,
pi semplicemente, un modo secondo il quale il poeta pu connettere
tra loro i fatti possibili; e, in seconda istanza, che non lunico modo,
giacch il poeta pu connetterli anche secondo il necessario. Il rilievo
sembra cogliere nel segno, ma al tempo stesso non pare possa valere
come obiezione. Infatti, alla luce di Anal. prior., 70 a 57 e Rhet.,
1402 b 38 1403 a 1, sopra esaminati, non c dubbio che il veri-
simile si caratterizzi per laspetto del per lo pi, vale a dire della
ricorrenza dei casi, ed altamente probabile che a questo significato

23
La compresenza in funzione disgiuntiva di verisimile e necessario (ioto to
ctio p ovovyotov) ricorre anche una terza volta e sempre nel cap. 9: l dove, nel
presentare luniversale come oggetto della poesia, Aristotele fa presente che
universale che a una persona di una certa qualit capiti di dire o di fare secondo il
verisimile o il necessario (ioto to ctio p ovovyotov) determinate cose di una certa
qualit (Poet., 1451 b 89). Ma la compresenza relativa in questo passo
alluniversale, non al possibile, e per questo solleva un problema che non pu essere
trattato in questo momento.

Marcello Zanatta 64
del termine Aristotele abbia fatto riferimento nellaffiancargli in
senso esclusivo (p, ovtc ovtc) il necessario. Ma, come abbiamo
accertato, si tratta di una caratterizzazione incompleta, perch priva di
quellaspetto del rapporto analogico tra il verisimile e luniversale che
conferisce al verisimile stesso il suo senso pieno e completo. Quel
senso per il quale soprattutto esso ha importanza ed rilevante nella
Poetica. Ed , per lappunto sul piano di questa completezza di
significato che, si diceva, il verisimile definisce certe universalit
tipologiche alla luce delle quali i fatti possibili assurgono a oggetto
della poesia.
Qui i termini del rapporto che vede in causa la poesia come
imitazione, il possibile quale suo oggetto e il verisimile quale sua ve-
rit, si intersecano secondo un nesso strettissimo. Come conseguenza
della necessit che il poeta (iotptp) sia maggiormente facitore
(iotptp) di racconti che di versi
24
, in quanto poeta rispetto
allimitazione (Poet., 1451 b 2729), Aristotele asserisce che, per-
tanto, anche se capiti che metta in poesia cose che sono avvenute, non
per nulla di meno poeta, giacch nulla impedisce che alcune delle
cose avvenute siano tali quali sarebbe verisimile che fossero av-
venute
25
, e secondo questa dimensione egli ne facitore (Poet., 451
b 2932). Il passo fa molto di pi che assegnare nuovamente alla
materia poetica lordine del possibile e non del reale. A ben vedere
non dice neppure che il reale pu essere oggetto della poesia soltanto
se capiti che leffettivo svolgersi degli eventi coincida con la di-
mensione del loro essersi potuti svolgere, ossia se lordine reale coin-
cida con lordine possibile. Se dicesse questo, finirebbe in ultima
analisi per distinguere solo marginalmente ed estrinsecamente la poe-
sia dalla storia: perch il punto della loro differenziazione, data la
coincidenza dei due ordini e posta lirrilevanza dello scrivere in versi
rispetto alla qualificazione della poesia, sarebbe collocato soltanto
nella minore precisione con la quale questultima presenta i medesimi
fatti che lo storico descrive con minuzia di particolari, senza coin-
volgere il momento della mimesi, in cui risiede lessenza della poesia.

24
Il termine iotptp viene qui volutamente usato da Aristotele sia nel significato
di poeta che in quello di facitore. Su questo giudizio di Aristotele cfr. anche il passo
di Poet., 1451 a 38 b 4 richiamato nelle pp. 5758.
25
Ad eccezione del manoscritto seguito dalla translatio araba, le fonti primarie
recano a questo punto iot vvoto ycvcoOot, e possibile che siano avvenute,
espressione che Kassel espunge come glossa: non a torto mi sembra in quanto
lidea gi enunciata. Mantiene invece lespressione Gallavotti.

Verit e nonverit della poesia 65
In realt il passo dice che il reale pu essere assunto dal poeta a ma-
teria dei suoi componimenti perch nulla impedisce (ov c v
io\v ct) che i fatti cos come sono effettivamente accaduti siano al-
tres connotati di una dimensione, espressamente individuata nel
verisimile, per la quale il loro svolgersi coincide con quello che sa-
rebbe potuto essere il loro accadere. Dove il riferimento al verisimile
chiama direttamente in causa il poeta il quale, in quanto facitore di
mimesi, per poterla compiere deve scorgere nei fatti reali un
significato adeguato a quellordine della poesia in cui li assume, vale
a dire un significato adatto a portarli alla sfera del possibile, nella
quale soltanto essi possono essere materia poetica.
Ma, si badi, egli deve scorgere tale significato nei fatti stessi, negli
effettivi sviluppi secondo cui sono accaduti e non nella trasfor-
mazione delle loro circostanze reali in altre puramente possibili, giac-
ch loggetto sul quale sintrattiene il passo sono le condizioni che
permettono ai fatti cos come sono capitati di diventare argomento
della poesia. Tali condizioni sono date dalla verisimiglianza, la quale
a sua volta coincide con la visione di quella verit tipologica del-
levento di cui s parlato ed introdotta dal poeta. Cos, il poeta
che toglie limpedimento alla coincidenza dei due ordini e pone il
verisimile quale momento di saldatura tra essi; pi esattamente, quale
luogo del loro incontro. Giacch lincontro non pu essere un fatto,
non pu cio corrisponde alla felice e casuale circostanza per la quale
capita il verificarsi di uneventualit. Se cos fosse, ancora una volta
la distinzione tra poesia e storia risulterebbe estrinseca e marginale,
nei termini e per il motivo che sopra si sono indicati. In realt, lin-
contro e la coincidenza dei due ordini sono dovuti al poeta e siden-
tificano in essenza con lassunzione che egli compie, collocandosi
nella dimensione del verisimile, del reale nel possibile o il che
poi lo stesso con la lettura del reale alla luce del verisimile, nel
quale soltanto il reale stesso pu scorgersi come coincidente col
possibile. Ch, solo a questo livello il poeta facitore di mimesi sullo
stesso svolgersi reale dei fatti, come Aristotele espressamente sot-
tolinea nella parte finale del passo.






GIUDITTA BOSCO

Immagini della memoria e velamenti in Giordano Bruno



1. Unitamente alla teoria delle immagini della memoria, quella
sulle ombre fornisce a Bruno la chiave di accesso per la compren-
sione della gnoseologia e della realt. Non a caso, dietro la complessa
tematica delle ombre e delle immagini della memoria non c solo
laccesso alla dottrina della conoscenza in Bruno, ma c anche leco
delle discussioni sulla magia e sulla divinit. Perfino inutile sottoli-
neare in quale misura le ombre siano importanti nel pensiero di Bruno
e a quali fonti egli si rifaccia, poich palese il riferimento sia alla
tradizione biblica che a quella platonica, neoplatonica ed ermetica.
Chi intende capire il funzionamento della conoscenza umana non pu
non accostarsi, secondo lottica di Bruno, alla teoria delle ombre. In-
fatti, la vita delluomo totalmente dipendente dalle ombre, una
stessa ombra
1
. Ora, poich luomo proiettato verso lunit, essen-
ziale un raccordo, a livello linguistico e mentale, della molteplicit;
da qui lesigenza di analogie, di somiglianze, ma anche di dissomi-
glianze e differenze; da qui, la necessit di definire un metodo, nel
caso specifico luso, in contemporanea, della mnemotecnica e della
magia
2
.
La prima delle opere latine di Bruno, il De umbris idearum, del
1582, racchiude il nocciolo della dottrina delle ombre e delle immagi-
ni della memoria. In essa, Bruno si accinge a presentare un modello
che permetta alla mente di penetrare le forze nascoste della natura,
utilizzando, come sfondo, la teoria dellanima
3
. Un modello, questo,

1
Non a caso M. CILIBERTO sottolinea che il De Umbris idearum lopera in cui
meglio che altrove Bruno delinea i fondamenti della gnoseologia (Introduzione a
Giordano Bruno, Bari, Laterza, 1996, p. 31).
2
Lidea di una analogia universale non peculiare solo a Bruno, ma anche a
molti altri autori del Rinascimento. Un esempio dato da Della Porta, che cerca gli
anelli di congiunzione e di separazione dei vari ordini della natura e ne vuole inter-
pretare il linguaggio. Della Porta si serve di analogie e di metafore, convinto di poter
accedere ai legami che si sottraggono allesperienza sensibile. C. VASOLI sottolinea, a
proposito, lo stretto rapporto esistente tra luso della retorica e la magia naturale che
si profila allinterno dellopera di Della Porta (Civitas mundi. Studi sulla cultura del
Rinascimento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1996, pp. 329344).
3
Sulla mnemotecnica come dottrina dellanima, cfr. larticolo di S. CLUCAS,
In campo fantastico: Alexander Dicson, Walter Warner and Brunian mnemonics, in
Bollettino Filosofico 22 (2006): 67-87 67
Giuditta Bosco 68
che rimanda alla consuetudine invalsa nel Rinascimento di costruire
teatri della memoria
4
che consentivano di rinvenire allinterno della
natura un mondo fatto di segni, di simboli, di figure che rinviavano
allunit originaria e nei quali confluivano elementi provenienti da
scuole di pensiero diverse, non ultime il neoplatonismo e la tradizione
ebraicocristiana.

2. Nella Bibbia lombra assume diversi significati a seconda che
lespressione venga utilizzata nellAntico o nel Nuovo Testamento.
Lombra sinonimo di rifugio dalla stanchezza e dalla iniquit del
mondo, di riparo e di protezione, il luogo, offerto da Dio, dove
luomo trova la pace e vive tranquillo, lontano da ogni male. Famoso
il passo del Cantico dei Cantici (2,3) ripreso anche da Bruno:

Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo
E dolce il suo frutto al mio palato.

Ma se ne possono citare altri, in cui pi evidente laccosta-
mento dellombra alla divinit.

Rispose il rovo agli alberi: se in verit ungete me
come vostro re,
venite, rifugiatevi alla mia ombra (Gdc 9,15).
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
proteggimi allombra delle tue ali,
di fronte agli empi che mi opprimono,
ai nemici che mi accerchiano (Sal 17, 89).
Piet di me, piet di me, o Dio,
in te mi rifugio;
mi rifugio allombra delle tue ali
finch sia passato il pericolo (Sal 57, 2).

Lombra non ha solo il significato positivo di ricondurre luomo
stanco e affranto a Dio, ma assurge a simbolo della caducit di tutto
ci che riguarda il mondo, in particolare dellesistenza umana.
Accostata spesso agli elementi della natura, quali lerba, i fiori, le
piante, la vita delluomo vana e caduca ed poca cosa rispetto al-
leternit del Signore.

M. CILIBERTO e N. MANN (eds.), Giordano Bruno. 15831585, Firenze, Olschki,
1997, pp. 3759.
4
Per luso di allegorie e immagini della memoria, si veda L. BOLZONI, La stanza
della memoria, Torino, Einaudi, 1995, pp. 2686 e ID., La rete delle immagini, Tori-
no, Einaudi, 2002, in particolare i capp. II e III.

Immagini della memoria in G. Bruno 69
I miei giorni sono come ombra che declina,
e io come erba inaridisco.
Ma tu, Signore, rimani in eterno,
il tuo ricordo per ogni generazione (Sal 102, 13).
Come ombra luomo che passa;
solo un soffio che si agita,
accumula ricchezze e non sa chi le raccolga (Sal 39,7).
Perch noi siamo di ieri e nulla sappiamo,
come unombra sono i nostri giorni sulla terra (Gb 8,9).
Chi sa quel che alluomo convenga durante la vita, nei brevi giorni della sua
vana esistenza
che egli trascorre come unombra? (Eccl 6, 12).

In alcuni casi, ombra si accompagna allidea della morte e a quella
di tenebre, non tanto fisica quanto spirituale e morale, e alla man-
canza della grazia divina. Cristo nato

per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nellombra della morte (Lc 1,
79).
Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimo-
ravano in terra e ombra di morte, una luce si levata (Mt 4, 16).

Nel Nuovo Testamento la metafora si ripete e accanto ai significati
appena menzionati, lombra rappresenta anche il potere taumaturgico
che i discepoli hanno ricevuto da Dio; basta essere sfiorati dalla loro
ombra per guarire (At 5, 15). Lombra assume ancora un altro signi-
ficato, nuovo rispetto allAntico Testamento, quello di preannunciare
qualcosa che allo stato attuale non ancora pienamente rivelato; essa
diventa il simulacro della verit, la copia e il modello delle realt
celesti, cos come aveva annunciato Platone nel mito della caverna.
La legge offerta dai sacerdoti, quella di Israele, ombra dei beni futu-
ri e il possesso della verit non appartiene al tempo presente, ma al
futuro. La familiarit di Paolo con ambienti neoplatonici spinge a
pensare che egli assuma come fondamento per la comprensione della
verit la consapevolezza del limite umano e la possibilit del supe-
ramento di questo limite nella dimensione escatologica
5
; le immagini
richiamano il neoplatonismo e limperfezione che luomo vive nel
tempo presente.


5
Per le questioni relative alla stesura delle Lettere di Paolo e ai contatti con la
tradizione orientale, si vedano W.G. CULLMANN, Introduzione al Nuovo Testamento,
Bologna, Il Mulino, 1966 e G. RICCIOTTI, Paolo apostolo. Biografia, Roma, Tipo-
grafia Poliglotta Vaticana, 1946.

Giuditta Bosco 70
Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a
faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscer per-
fettamente, come anchio sono conosciuto (I Cor 13, 12).
Poich la legge possiede solo unombra dei beni futuri e non la realt stessa
delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei
sacrifici che si offrono continuamente di anno in anno, coloro che si accosta-
no a Dio (Eb 10, 1).

Pervenuta poi alla tradizione ermetica per strade anche diverse ris-
petto a quella della Bibbia, la metafora dellombra rimanda alla teoria
della conoscenza e richiama, ancora una volta, una dimensione non
piena, che si contrappone alla luce dellintelletto unico, Dio, il Som-
mo Bene, lorigine di tutte le cose, che presente in tutto e, come il
sole, ne padre e custode.

Che cos infatti Dio, il padre, il bene, se non lessere di tutte le cose che an-
cora non sono, lessere di tutte le cose che sono? Questo dunque Dio, que-
sto il padre, questo il bene, e non gli si pu riferire alcunaltra definizione. Se
infatti il mondo, come il sole, anchesso padre degli esseri che esistono per
partecipazione, non tuttavia per gli esseri viventi principio del bene, n del-
la vita, come lo Dio, e se lo , necessariamente lo per la buona volont di-
vina, senza la quale non pu esistere, n nascere nulla. Il padre genera e nutre
i propri figli, solo in quanto ha ricevuto attraverso il sole limpulso del bene,
poich il bene il principio creativo
6
.

Se Dio luce, luomo non pu che essere ombra e non pu che
avere una visione debole e imperfetta sia della realt sia della gran-
dezza divina. A questo tema si intreccia quello platonico dellap-
parenza sensibile come copia del mondo ideale e di un livello, quello
della caverna, che deve essere necessariamente superato se si vuole
pervenire al livello superiore della verit
7
. Ed proprio con questa

6
ERMETE TRISMEGISTO, Corpus hermeticum, a c. di V. Schiavone, Milano, Bur,
2001, pp. 169171.
7
Per Platone luomo compie lascesi verso la conoscenza pura attraverso i quat-
tro gradi dellimmaginazione, della credenza, del pensiero discorsivo e dellintel-
lezione; il mito della caverna si propone, insieme con gli altri molteplici significati,
di spiegare quale sia il percorso che luomo deve affrontare per pervenire alla visione
del bene e del vero; PLATONE, La Repubblica, 514a519d, trad. it. a c. di F. Sartori,
Opere complete, vol. VI, Bari, Laterza, 1982. La stessa idea del passaggio da una
condizione di privazione e di limite ad una di pienezza si trova in Plotino che d per
acquisita la dottrina platonica della reminiscenza e affronta il problema gnoseologico
ricorrendo alla necessit dellabbandono della sensibilit, per pervenire alla cono-
scenza dellUno attraverso la contemplazione della bellezza e dellamore. Si ricordi
anche la familiarit di Plotino con ambienti vicini al cristianesimo delle origini;
PLOTINO, Enneadi, I, VI, 17, trad. a c. di G. Faggin, Milano, Istituto Editoriale Ita-

Immagini della memoria in G. Bruno 71
differenza di significati che la dottrina delle ombre arriva fino a Bru-
no.

3. Inteso che lombra differisce dalle tenebre e che esiste solo in
relazione allesistenza della luce
8
, la teoria umbratile di Bruno gioca
su questo duplice aspetto in cui confluiscono un approccio magico
ermetico alla realt ed il tentativo di ricostruire il sapere attraverso la
mnemotecnica e la combinatoria. Dicevamo che lopera nella quale
Bruno palesa lidea dellombra e dellumbratilit il De Umbris idea-
rum.
Lincipit preannuncia la dimensione in cui Bruno si colloca; luo-
mo unombra e come tale il suo essere non mai completo; egli
aspira alla verit, alla quale pu pervenire solo gradualmente
9
. Lom-
bra, nella sua ambiguit, offre il passaggio da un universo statico e
gerarchicamente costituito, al dinamismo di una potenza infinita, in
cui la realt va letta a partire dalla duplicit della sua appartenenza,
contemporaneamente, alla luce e alle tenebre. E poich la dimensione
umana quella della mescolanza di luce e di tenebre, di vero e di
falso, inevitabile che luomo si trovi nella necessit di dovere sce-
gliere se collocarsi nellombra delle tenebre e della morte e rima-
nere al livello della vita corporea e della sensorialit, oppure collocar-
si nella luce perfetta della verit e ascendere alla realt soprasen-

liano, 1947, vol. I. Per i tramiti attraverso cui la dottrina neoplatonica della cono-
scenza e dellimmaginazione arrivano a Bruno, cfr. L. SPRUIT, Il problema della
conoscenza in Giordano Bruno, Napoli, Bibliopolis, 1988 e M. FINTONI, Mnemo-
sine: dal Sigillus Sigillorum ai Dialoghi italiani, in M. CILIBERTO e N. MANN (eds.),
Giordano Bruno, cit., pp. 2335. Si veda, anche, M. CILIBERTO, Senso e intelletto
nei Dialoghi di Bruno, in M.L. BIANCHI (ed.), Sensus sensatio, VIII colloquio in-
ternazionale, Firenze, Olschki, 1996, pp. 199213.
8
chiara in Bruno, come anche in Platone e nella Bibbia la differenza tra
tenebre e ombre; infatti, mentre le prime sono sinonimo di buio, le seconde implicano
una privazione e non unassenza totale della luce; le prime si oppongono alla luce, le
altre ne derivano. Si tenga anche presente che la definizione di ombra ideale non di
facile interpretazione; L. SPRUIT propone di pensare alle ombre come a nozioni di
sostanze e accidenti, unelaborazione originale del concetto di sostanza (Il proble-
ma della conoscenza in Giordano Bruno, cit., cap. I, 2; il riferimento alla defini-
zione che Bruno d delle ombre allIntentio xxii, in Le ombre delle idee, Il canto di
Circe, Il sigillo dei sigilli, a c. di M. Ciliberto e N. Tirinnanzi, Milano, Bur, 1997, pp.
7879).
9
Anche in questi passi si pu riconoscere un rimando alle Scritture: 1 Cor 29, 15:
Come unombra sono i nostri giorni sulla terra e non c speranza, oppure Gb 8, 9:
Perch noi siamo di ieri e nulla sappiamo; come unombra sono i nostri giorni sulla
terra.

Giuditta Bosco 72
sibile
10
. Lespressione emblematica posta sul frontespizio del De
Umbris una dichiarazione della dimensione in cui Bruno vuole
porre il suo pensiero. Luomo un riflesso della verit, la sua vita
unombra e solo i dotti possono penetrarne i segreti attraverso la
pittura e la scrittura interiore, con lutilizzo di un metodo e di regole
che agevolino il processo di conoscenza
11
.
Nel corso del trattato, diventa sempre pi chiaro che le regole cui
Bruno si riferisce sono quelle dellArs reminiscendi che, nel Rinasci-
mento, aveva il compito assai peculiare di consentire laccesso alla
realt, perch offriva il modo di riprodurla nella mente e, in questo
modo, di possederla
12
. Luomo, infatti, s unombra, ma anche
proteso verso la luce e incline a conoscerla; in questo cammino verso
la verit ha bisogno di una guida: i Mercuri che periodicamente Dio
invia sulla terra, e di uno strumento: la memoria. Rispetto alle opere
posteriori di mnemotecnica, come il Cantus Circaeus o il Sigillus Si-
gillorum in cui lars memoriae precisa ed organizzata, la costru-
zione del De Umbris meno lineare; per di fondamentale impor-
tanza per la comprensione della gnoseologia, anche perch in que-
stopera larte della memoria acquista un carattere spiccatamente
gnoseologico
13
, utile a penetrare tutta la filosofia bruniana. In essa si
palesa anche un fine educativo di cui si fa portavoce Ermes nel dia-
logo introduttivo, quando si chiede se tutti gli uomini possano pos-
sedere lArs. Infatti, nella maggior parte dei casi, essi, spinti da

10
G. BRUNO, Le Ombre delle idee, cit., p. 62. Il richiamo alle Sacre Scritture ,
ancora una volta, palese. In Gc 1, 17 troviamo: Ogni buon regalo e ogni dono per-
fetto viene dallalto e discende dal Padre della luce, nel quale non c variazione n
ombra di cambiamento. Per approfondire linnesco tra teologia e filosofia nel De
Umbris, cfr. P. SECCHI, Elementi di teologia nel De Umbris, Bruniana & Cam-
panelliana VIII (2002) 2, pp. 431447
11
G. BRUNO, Le Ombre delle idee, cit., p. 37.
12
Un esempio di ci sono i teatri della memoria e luso che di essi si fece da
Lullo in poi; cfr. P. ROSSI, Clavis universalis, Bologna, Il Mulino, 1963. Le motiva-
zioni che spingono i pensatori del Rinascimento a costruire teatri della memoria
sono quasi sempre le stesse: permettere laccesso della mente alle forze pi segrete e
spesso occulte della natura per poterle dominare ed usare a favore della conoscenza.
Si pensi alle opere di mnemotecnica di Jean Bodin. Cfr. C. VASOLI, Civitas mundi,
cit., pp. 330, 345400; F. YATES, The art of memory, Harmondsworth, Penguin Bo-
oks, 1966, trad. it. Larte della memoria, Torino, Einaudi, 1972; cfr. anche P. SECCHI,
Due motivi lulliani nella metafisica di Bruno, Bruniana & Campanelliana X
(2004) 1, pp. 193197.
13
opportuno sottolineare che nel Cantus la mnemotecnica assume carattere di
introduzione morale; cfr. M. CILIBERTO, Giordano Bruno, Bari, Laterza, 1992, p. 20.

Immagini della memoria in G. Bruno 73
opinioni, voci e pareri diversi, sono incapaci di penetrare fino alles-
senza delle cose e fermandosi alla superficie non riescono a trarre
frutto dalla conoscenza del mondo esterno e a riconoscere i grandi
benefici dellArs.

Filotimo: Linchiostro di una seppia, aggiunto ad una lucerna, fa s che gli
uomini sembrino Etiopi; cos una mente guastata dal livore giudica turpi
anche cose chiaramente belle
14
.

Nel De Umbris mnemotecnica e magia si intrecciano e conflui-
scono nel continuo rimando ad immagini archetipe e astrologiche;
non solo, ma esso costruito, anche, intorno alla nozione di potenza
15

e di tensione verso il bene e la verit; questo per il fatto che, la
duplicit della natura dellombra consente alluomo di porsi tra due
estremi: il senso della vanit dellesistenza e luniverso infinito delle
forme in cui la luce della verit si diffonde gradualmente e progres-
sivamente.
Il trattato si apre con tre componimenti poetici: Filoteo Giordano
Bruno Nolano allamico e studioso lettore; Filoteo Giordano Bruno
Nolano a Enrico III; Merlino allartista, al giudice sobrio, al giudice
adeguato. A questi sonetti segue un dialogo introduttivo, nel quale,
Bruno, secondo il suo stile, espone il contenuto ed il fine dellopera;
poi fornisce trenta definizioni o modi di intendere le ombre. Quindi si
sofferma sui concetti delle idee, anchessi trenta, e sulle innumerevoli
connessioni che si possono ottenere combinando le lettere dellalfa-
beto sulle ruote della memoria la cui composizione viene ricavata
dalle immagini astrologiche e dai modi di intendere le ombre e i
concetti delle idee
16
. La seconda parte, dedicata allarte della me-
moria vera e propria, riguarda i sostrati, gli adiecta e lo strumento; la
terza enuncia come si operi attraverso questarte ed lelaborazione
di un elenco, in ordine alfabetico, di immagini che consentono di
rappresentare sulle ruote mnemoniche, ogni parola del linguaggio
comune. In questa terza parte Bruno presenta anche un insieme di
regole che agevolino lapprendimento dellars
17
e una semplificazio-

14
Ivi, p. 49.
15
T. DAGRON, Unit de ltre et dialectique. Lide de philosophie naturelle chez
Giordano Bruno, Paris, Vrin, 1999, pp. 105107. Cfr. anche N. BADALONI, Il De
Umbris come discorso del metodo, Paradigmi XVIII (2000) 53, pp. 161196.
16
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 58.
17
Per un approfondimento di questa parte cfr. lIntroduzione a c. di M. Ciliberto,
ivi, p. 20.

Giuditta Bosco 74
ne delle ruote e delle connessioni tra nomi e immagini
18
. Chiudono il
trattato due brevi parti dedicate a Enrico III in cui lautore riassume
come sia possibile avere una rapida memoria delle parole e delle
cose.
Bruno non mira tanto e solo a restaurare la visione di Dio e della
verit pura, come accade in una fase pi evoluta del suo pensiero, ma
si propone di ascendere fino al dinamismo della potenza infinita
19
;
lesplicazione di uno sforzo, quello umano, che non conosce mai
sosta e che utilizza tutti gli strumenti di cui dispone per arrivare al
possesso della verit e al superamento degli opposti. Il compito del-
lars , dunque, quello di sviluppare le operazioni interiori dellanima
e rinvenire nelle cose lordine e la connessione che le unisce per
passare dalla moltitudine e dal movimento alla quiete e allunit;
daltra parte, il vero sapiente colui che sa ricondurre allunit la
realt molteplice e variegata.

Noi dobbiamo invece proporci questo, ovvero di far s che, avendo davanti
agli occhi la scala della natura per le egregie operazioni dellanimo, mediante
operazioni interiori tendiamo sempre dal moto e dalla moltitudine alla quiete
e allunit: quando secondo la nostra capacit avremo compiuto ci, secondo
la nostra capacit ci conformeremo anche ad opere mirabili, che appaiono
divine alla moltitudine. A questo fine ci sar di conforto e di incitamento la
predetta connessione delle cose, e lordinata successione delle cose connes-
se
20
.

Tali operazioni interiori delineano il percorso conoscitivo. Il primo
gradino si svela nelle ombre perch esse si presentano come fantasmi
e sigilli sia allimmaginazione sia alla sensibilit. Il fine quello di
attraversare i rapporti tra le idee e le cose che, apparentemente con-
fusi nella pluralit e nelle contraddizioni del mondo, sono in grado di
aprire un varco verso lunit ultima
21
. La natura, cio, procede dal pi
imperfetto al pi perfetto, dal moto alla quiete, dallinstabile e mobile
allimmobile e la sua bellezza e la sua perfezione derivano sia dalla
connessione sia dalla diversit dei vari enti che la compongono; in
questo processo lumbratilit la prima espressione dellunit del
tutto, non ne la negazione.

La bellezza delle parti si manifesta dunque nella connessione dei vari enti; e

18
Ivi, p. 21.
19
T. DAGRON, Unit de ltre et dialectique, cit., p. 107.
20
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 66.
21
P. ROSSI, Clavis universalis, cit., p. 136.

Immagini della memoria in G. Bruno 75
nella stessa variet consiste la bellezza del tutto. Di conseguenza, la visione
umbratile di una cosa la pi imperfetta tra tutte le visioni
22
.

4. Le ombre sono traccia di luce, partecipi della luce, sono luce
non piena che emana dalla sostanza
23
; esse rappresentano il solo ac-
cesso che, a questo livello di conoscenza che riguarda il mondo
sensibile, luomo, attraverso le operazioni interiori, ha della verit e
di se stesso.
E, ancora una volta, il discorso scivola verso la possibilit di
intravedere nellidea dellombra la struttura fondamentale della cono-
scenza umana
24
. Dicevamo che, riprendendo un topos del neoplato-
nismo, conosciuto e spesso utilizzato da buona parte dei pensatori
rinascimentali a partire da Cusano e da Ficino, Bruno ritiene che la
conoscenza umana sia graduale e progressiva perch la mente non
pu possedere la totalit del sapere e perch essa, trovandosi ingab-
biata in un corpo, non pu conoscere la verit che appartiene piuttosto
a Dio. Lo scarto tra Dio e luomo incolmabile: tra la conoscenza
propria alluno e allaltro c lo stesso rapporto che lidea ha con la
sua ombra; noi possediamo lombra, lanticamera della luce, lanti-
camera della noesis. Gli uomini, ricordiamolo, come la bella Sulami-
ta, possono solo sedere allombra della verit. La nostra conoscen-
za cio partecipa sia delle tenebre che della luce, ma non si identifica
n con le une, n con laltra.

E poich (come non ignorarono i principi dei platonici) continuamente si
compie la migrazione dalla luce alla tenebra (allorch alcune delle intel-
ligenze per conversione alla materia ed eversione dallatto vengono a sot-
tostare alla natura ed al fato) niente impedisce che al suono della cetra del-
luniversale Apollo gradatamente le infime cose siano richiamate alle supre-
me, e che le inferiori attraverso le medie possono assumere la natura delle su-
periori, cos come anche al senso manifesto che la terra sassottiglia in
acqua, lacqua in aere, laere in fiamma, ed ugualmente la fiamma sinspessa
in aere, laere in acqua, lacqua in terra Avendo davanti agli occhi la scala
della natura per le egregie operazioni dellanimo, mediante operazioni inte-
riori tendiamo sempre dal moto e dalla moltitudine alla quiete e allunit:
quando secondo la nostra capacit avremo compiuto ci, secondo la nostra
capacit ci conformeremo anche ad opere mirabili, che appaiono divine alla
moltitudine. A questo fine ci sar di conforto e di incitamento la predetta con-
nessione delle cose, e lordinata successione delle cose connesse
25
.

22
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 69.
23
Ivi, p. 61.
24
M. CILIBERTO, Introduzione a Giordano Bruno, cit., p. 31.
25
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., pp. 65.

Giuditta Bosco 76
C da tenere ancora presente che la realt, per Bruno, si pu divi-
dere in tre ordini differenti che contengono le cose, poi le idee e in-
fine le immagini. Nei gradi del conoscere
26
si esprime una modalit
dellesistenza naturale o dellanimazione che deriva da una medesima
fonte metafisica, lanima del mondo
27
; se la fonte unica, non ha
senso che i quattro gradini della conoscenza, di chiara derivazione
neoplatonica, rimangano separati; Bruno mira ad ununit del pro-
cesso conoscitivo, che , fondamentalmente, un processo immagina-
tivo
28
. Il Sigillus sviluppa questa dottrina mettendo in evidenza il
compito che chi possiede lars riveste allinterno del ricongiungi-
mento con lanima universale; il De Umbris la approfondisce spostan-
dola verso il gioco continuo di luci e ombre cui la mente umana sot-
toposta.
In questo contesto si pu inserire la lettura, forse eccessivamente
pedagogica, che della gnoseologia bruniana offre Nowicki
29
, il quale
sostiene che Bruno non bada solo al contenuto, ma anche al modo di
comunicare i concetti e per questo utilizza la figuratio; nella filosofia
di Bruno egli individua quelle che chiama le categorie centrali, i
mezzi, gli strumenti concettuali di cui luomo si serve per un approc-
cio pi vero alla realt
30
, senza i quali il mondo rimarrebbe oscuro.
La legge secondo cui la natura procede dalle cose pi infime alle
pi perfette, conoscibile solo allinterno dellanima, coinvolge sia la
memoria sia limmaginazione e consente di divenire consapevoli del-
la propria appartenenza al disegno dellUno e del fatto che, in natura,
c una dipendenza reciproca di ogni cosa (tutto) con il tutto. Lom-
bra avvicina alla verit; il veicolo di trasmissione della verit stessa;
lombra simile al velo, quello di cui parlano i Cabalisti, con cui Mo-
s si copriva per evitare a chi lo avesse guardato di rimanere ab-
bagliato dalla luce che emanava dal suo volto. Le ombre sono, dun-
que, il passaggio obbligato perch ci si appropri dellintelletto e della
memoria e qualora ci non avvenga, il limite non delle ombre, ma

26
Si ricordi che i gradi del conoscere sono senso, immaginazione, ragione e intel-
letto.
27
F. PAPI, Antropologia e civilt nel pensiero di Giordano Bruno, Firenze, La
Nuova Italia, 1968, p. 161.
28
F. YATES, Larte della memoria, cit., pp. 237238.
29
A. NOWICKI, Il pluralismo metodologico e i modelli lulliani di Giordano Bru-
no, Accademia Polacca di Scienze e Lettere, Roma, Biblioteca di Roma, 1965, p 19.
Per Nowicki lintento pedagogico di Bruno si rinviene nel sottotitolo del De Umbris,
pi efficace del titolo nel delineare le finalit del trattato. Ivi, p. 6.
30
Ivi, pp. 34.

Immagini della memoria in G. Bruno 77
piuttosto degli uomini che usano male le loro facolt. Scrive Bruno:

E neanche la natura ammette un immediato passaggio dalluno degli estremi
allaltro: ma lo permette soltanto con la mediazione delle ombre, e di una lu-
ce gradatamente adombrata Lombra prepara dunque lo sguardo alla luce.
Attraverso lombra la divinit tempera e pone davanti allocchio oscurato del-
lanima affamata e assetata quelle immagini che sono i messaggeri delle cose.
Cerca dunque di riconoscere quelle ombre che non estinguono, ma conserva-
no e custodiscono in noi la luce; e per mezzo delle quali siamo guidati e ri-
condotti allintelletto e alla memoria
31
.
Ma se ad alcuni sembra arduo affaticarsi sulle ombre, e se sospettano che sia
vano operare sulle ombre, qualora attraverso queste non si apra laccesso alla
luce, costoro sappiano che tale risultato non scaturisce da un limite interno
alle ombre. Sappiano inoltre che gi abbastanza riuscire ad afferrare almeno
in forma occulta e involuta ci che non si pu cogliere nella sua nuda es-
senza
32
.

Dallesigenza di conoscere il vero scaturisce larte figurativa in-
teriore che non serve solo per la memoria, ma per tutte le facolt del-
lanima; il sistema costruito da Bruno quello tipico di un filosofo
mago rinascimentale (nel senso di Garin piuttosto che in quello di Ya-
tes) che vuole conoscere la realt e vuole scoprirne i nessi, le con-
nessioni ed i segreti al di l della verit offerta dalle apparenze e ne
individua la bellezza in questa molteplicit riconoscendone, grazie
alla facolt dellimmaginazione, le immagini archetipe, che prescin-
dono dalla molteplicit e che gli sono utili, anche da un punto di vista
pratico, per operare al meglio nella natura
33
. Immagini celesti e zo-
diaco richiamano leggi e forze delluniverso e connettono mondo
umano e mondo divino
34
. In questo si rinviene una fonte pichiana lad-
dove, per Pico, magia e astrologia sono connesse
35
e luomo faber,

31
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 74.
32
Ivi, p. 75.
33
F. YATES individua nel compito che il mago riveste allinterno di questo
sistema della memoria una derivazione ficiniana (Giordano Bruno and the Hermetic
Tradition, 1964, trad. it. Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza,
1995, p. 221).
34
F. YATES, Larte della memoria, cit., p. 207.
35
Magia e astrologia si presentano connesse sotto un duplice aspetto, ora quali
concezioni generali della realt e della storia che aspirano al rigore di scienze e di
tecniche; ora, invece, quali eredit complesse di antiche credenze e di culti, con la
suggestione di immagini dogni sorta (E. GARIN, Lo zodiaco della vita, Bari, La-
terza, 1982
2
, p. 46). Garin sottolinea limportanza che, per la comprensione del pen-
siero del Rinascimento, ha, accanto al Corpus Hermeticum, il Picatrix. Riprendendo i
temi neoplatonici dellunit del reale che si manifesta attraverso gradi e mondi cor-
rispondenti, lautore del Picatrix tende a dare risalto alluomomicrocosmo che

Giuditta Bosco 78
leggendo gli astri, riesce a ricondurre ad unit la molteplicit delle
connessioni rinvenibili in natura. Tra laltro, utilizzando la teoria
delle immagini ficiniane, Pico suffraga lunione tra magia cerimo-
niale e astrologia divinatrice. Nelle immagini vengono racchiuse
perch imprigionate e placate nella loro ira le potenze celesti le cui
forze, cos, possono essere usate per talismani e amuleti
36
; invece,
nelle figure fantastiche vengono riprodotti i sentimenti, gli affetti, i
turbamenti interiori
37
.

5. Secondo la radicale e discutibile ipotesi di Yates possibile at-
tribuire alle ombre una collocazione reale, fra il mondo ideale che
sovrasta le stelle e gli eventi del mondo inferiore, cos come voleva la
tradizione magica. Pur tenendo presente che parlarne esclusivamente
in questi termini, significa limitare il suo vero significato che, come
abbiamo gi ribadito, piuttosto la ricerca di una sistematicit gno-
seologica raggiungibile grazie allArs reminiscendi, opportuno, in
questo contesto, cercare di capire in che senso il De Umbris sia
unopera di magia; tralasciamo perci, per ora, le implicazioni metafi-
siche che la teoria delle ombre racchiude per soffermarci su questo
aspetto.
Larte della memoria presentata come un segreto ermetico; lo
stesso titolo ripreso da un motivo noto agli ambienti accademici del
Rinascimento e a coloro che si occupavano di ars reminiscendi; in
particolare, il rimando al commento necromantico di Cecco dAsco-
li alla Sphera di Sacrobosco, citato da Bruno, in cui si menziona un
Liber de umbris idearum
38
; ci sono riferimenti anche ai talismani fici-
niani e alla tradizione ermetica in generale e, in questo senso,
corretto sostenere la tesi di Yates, per la quale il De Umbris un
libro di magia, di una magia spiccatamente solare
39
. Invece, le im-
magini dei 36 decani e le configurazioni dei segni astrologici, che
possono essere utilizzate proprio per lapprendimento a memoria,
sono riprese dal De occulta Philosophia di Agrippa. Inoltre, si notano
altri elementi che richiamano la tradizione magica come, per esempio,

aspira, attraverso luso della sua intelligenza e della sua scientia allUno originario ed
utilizza le corrispondenze esistenti in natura a suo favore, per es. nella medicina. Ivi,
pp. 5456.
36
Ivi, p. 50.
37
Ivi, p. 83.
38
F. YATES, Larte della memoria, cit., p. 198199.
39
F. YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, cit., p. 216.

Immagini della memoria in G. Bruno 79
la presenza costante del numero 30. Trenta sono le ombre, trenta i
concetti delle idee, trenta sono i sigilli, trenta le statue e anche le
dignit lulliane vengono accresciute da Bruno a trenta
40
. Secondo
Yates, questo simbolismo riecheggia unopera di John Dee, La Clavis
Angelica (Londra, 1584) in cui lautore parla dei trenta ordini buoni
dei principi dellaria che dominano nel mondo. Dee dispone trenta
nomi magici su trenta cerchi concentrici ed elabora una magia rivolta
a evocare angeli o demoni. In unaltra opera, poi, la Clavis Magna,
pi volte citata da Bruno, ma di cui non si ha pi notizia, egli avrebbe
potuto parlare di ci e chiarire il significato della simbologia del
trenta
41
.
Il De Umbris ancora un trattato magico per il fatto che le im-
magini dello zodiaco che Bruno presenta sono una parte delle ombre
delle idee, sono aspetti della realt, che vanno impressi, tramite la
scrittura interiore, nella mente. In questo processo, un ruolo fon-
damentale gioca luso della sfera sensoriale ed in particolare della
vista; infatti, sovente ricorre laccostamento dellars alla pittura e alla
scrittura interiore
42
:

una pittura interiore, dal momento che produce le immagini delle cose e
delle opere da ricordare. Ma anche una scrittura interiore, dal momento che
essa ordina e distribuisce segni, note e caratteri delle ragioni e delle parole;
ma poich questi ultimi vengono ad essere i sostrati delle cose immaginabili,
non nego che quanti parlano secondo luso comune possano chiamare
immagini tanto le forme ordinate per ricordare le cose, tanto quelle ordinate
per ricordare le parole
43
.

Larte della memoria , dunque, il veicolo privilegiato per la for-

40
Si nota, in questo simbolismo numerico, un richiamo a Lullo; si tenga, per,
presente che il Lullo di Bruno filtrato dalla logica del Rinascimento e dalle inter-
pretazioni che soprattutto in Francia venivano date delle sue opere; per la presenza di
Lullo in Bruno cfr. P. ROSSI, Studi sul lullismo e sullarte della memoria nel Rina-
scimento: i teatri del mondo e il lullismo di Giordano Bruno, Rivista critica di storia
della filosofia XIV (1959), pp. 2859; cfr. ancora M. CAMBI, Difficilia enodabo,
confusa distinguam, abdita aperiam, oscura elucidabo. Chiarificazione e potenzia-
mento dellArs Raimundi nel De lampade combinatoria lulliana di Giordano Bruno,
in F. MEROI (ed.), La mente di Giordano Bruno, Firenze, Olschki, 2004, pp. 369395
e M. MATTEOLI, Principio di mediazione e posizioni antigerarchiche in Raimondo
Lullo e Giordano Bruno, ivi, pp. 397408.
41
F. YATES, Larte della memoria, cit., p. 194.
42
A proposito dellarte della memoria come pittura e scrittura interiore, cfr. S.
BASSI, Larte di Giordano Bruno, Firenze, Olschki, 2004, pp. 54 e sgg.
43
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 116.

Giuditta Bosco 80
mazione dellinteriorit delluomo che cos pu rendere reali le espe-
rienze del passato, facendole rivivere nella propria mente. Sebbene
egli sia parte della scala degli esseri, in effetti costituisce una realt
separata ed libero di realizzarsi attraverso il potere della sua intel-
ligenza, in una delle scienze pi nobili quale appunto la magia
44

cogliendo, al contempo, il senso della giustizia intesa come la capa-
cit di collocare ogni ente al suo posto e di riconoscerne e apprez-
zarne le caratteristiche a partire dal compito che ricopre in natura
45
.
Non a caso, lars riflette, allinterno dellanimo umano, la legge della
continuit progressiva che regola il mondo. Il suo compito precipuo
quello di assicurare alla mente la regola per intendere, discorrere,
avere memoria, formare immagini proprio attraverso la facolt del-
limmaginazione e il principio dellordine che per Bruno si identi-
ficano con lo progresso di una cosa secondo la via della natura
46
.
Non casuale che anche Ficino individui nel mondo una grande ope-
ra darte che luomo, microcosmo, deve sapere leggere e interpretare,
usando anche linguaggi diversi, per ricostruire larmonia del tutto; a
questo livello che arte e magia si incontrano
47
.
Bruno, dal canto suo, scrive:

Non altrimenti riteniamo sia avvenuto in quelle cose che sembrano essere
relative alla scrittura interiore, per tutto il tempo in cui fin dallantichit (sia
che questo studio umano abbia avuto inizio da Simonide Melico, sia da
qualcun altro) queste arti composte di luoghi e di immagini proporzionali alla
carta e allalfabeto, ponendo latto della fantasia e della facolt cogitativa al
posto dello scrittore e del calamo, si sforzavano di trascrivere in un libro
interno le immagini delle cose da ricordare
48
.

La combinatoria e la memoria conservano e perpetuano tutto
quanto riguardi lattivit umana: il pensiero, le parole, lo status di
ognuno; la loro facolt quella di fermare il fluire del tempo e il
movimento apparente della stessa realt. Attraverso il ricordo ci che

44
Ivi, p. 55.
45
Si pu rinvenire, in questa parte del De Umbris, un rimando al De Vinculis, nel
quale gli studiosi di Bruno, tra cui S. BASSI, riconoscono una valorizzazione del-
lindividuo e della sua peculiarit e un conseguente principio di giustizia, intesa come
la possibilit di salvaguardare lidentit mutevole di ogni cosa, senza volerne alterare
lessenza, ma piuttosto scoprendone la diversit e, in questo modo, operare secondo
una pluralit infinita di vincoli, di legami (Larte di Giordano Bruno, cit., p. 49).
46
G. BRUNO, Le Ombre delle idee, cit., p. 152.
47
F. YATES, Larte della memoria, cit., p. 85. Cfr. M. FICINO, Teologia platonica,
a c. di M. Schiavone, Bologna, Zanichelli, 1985, I, 5.
48
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., pp. 111112.

Immagini della memoria in G. Bruno 81
non pi rivive nellesperienza di chi pensa e agisce. La memoria
ferma la vita, la attualizza, la rende sempre presente, fornendo il
punto di riferimento per comprenderla fino in fondo.

questa che in modo mediato rende le cose sensibili, ormai passate ed as-
senti, presenti ed evidenti: cos da un lato rende tali cose visibili attraverso la
scultura e la pittura, mentre dallaltro rende stabili e fisse attraverso la scrit-
tura le parole che fluiscono e che per cos dire vanno a perdersi nel nulla.
Inoltre trasmette lontano a tutti i luoghi e a tutti i tempi sia i concetti, sia le
silenziose intenzioni, che possono essere comunicate solo da vicino
49
.

Lars Magna acquista un significato esoterico (nel senso che non
pu essere appresa da tutti, n comunicata a tutti) e duplice: luno, pi
generale ed elevato che riguarda la capacit di coordinare le opera-
zioni dellanimo tra di loro: il principio di tutti i metodi con i quali si
trova la memoria artificiale; laltro, pi specifico, che serve per acqui-
sire un genere preciso di memoria, un sistema di regole, che pu capi-
re ed usare solo chi possiede gi la prima arte; questultima consente
di passare dalla molteplicit delle combinazioni con cui le cose si
presentano alla memoria, alla semplicit delle operazioni, ad una dis-
posizione appropriata che a partire dal significato proprio offra la
possibilit di avere memoria delle parole e delle cose
50
. Il percorso
che porta al significato generale dellars parte dal disordine esteriore
ed interiore e perviene allordine, alla memoria che rappresenta e
riproduce lassetto della natura e che, per questo motivo, pu essere
utilizzata per lapprendimento delle discipline che compongono il
sapere
51
. Lars, pi di ogni altro metodo, ricrea i vincula naturali.

49
Ivi, pp. 110111.
50
Ivi, p. 122. Si tenga presente che Bruno nega luso della sinonimia perch ogni
parola, in relazione al contesto in cui viene usata ed alla posizione che occupa sulle
ruote, assume un significato diverso; per un approfondimento delluso che Bruno fa
della lingua si vedano M. CILIBERTO, La ruota del tempo. Interpretazione di Gior-
dano Bruno, Roma, Editori Riuniti, 1992, pp. 208232 e P. BERTINI MALGARINI,
Giordano Bruno linguista, Critica letteraria VIII (1980), pp. 681716; anche M.P.
ELLERO, Tra parola e immagine. Retorica e arte della memoria nellArtificium pero-
randi e negli scritti magici, in F. MEROI (ed.), La mente di Giordano Bruno, cit., pp.
343367.
51
Pensatori affini a Bruno capirono lutilit della mnemotecnica nelle scienze
pratiche come la medicina e la possibilit di potenziare e trasformare la natura attra-
verso la mnemotecnica stessa. Cfr. a proposito, larticolo di R. STURLESE, Larte
della memoria tra Bruno e Leibniz. Gli scritti di mnemotecnica del medico paracel-
siano Adam Bruxius, Giornale critico della filosofia italiana XI (1991), pp. 379
408. Sturlese rintraccia nelle opere di Bruxius il ritratto di un medico che, nelle sue

Giuditta Bosco 82
Lanimo riporta alla luce le esperienze del passato pensandole; rivi-
vendole nella memoria, le vede in una forma nuova. La reminiscenza,
con lassociazione di idee, coinvolgendo tutta la sfera della sensi-
bilit, consente alla realt di apparire nella sua organicit originaria
52
.
Lo schema conoscitivo ampliato nel Sigillus. Le idee di tutte le
cose sono preesistite da sempre nella mente del primo artefice; il
mondo ideato si generato come discendenza dal mondo supremo,
che in Dio e anzi si identifica con Dio stesso; da quello ideato, a sua
volta, si formato il mondo sensibile; dalle idee sono stati creati i
generi e le specie dei generi; dai generi e dalle specie si sono prodotti
gli oggetti e anche gli individui, i quali, entrando nellordine naturale
dellesistenza, necessitano di una mediazione. Questa mediazione
data dai sensi:

Attraverso i sensi, come attraverso delle porte, gli enti da metafisici si fanno
fisici, da fisici si fanno razionali e diventano oggetto di indagine e discus-
sione per i sensi interiori delluomo, dove questi enti si accostano alle facolt
pi immateriali per essere perpetuati
53
.

6. Come possibile realizzare il passaggio dallintellegibile al
sensibile, cos possibile il percorso a ritroso; il processo avviato
dunque circolare, una sorta di riflessione che esprime la struttura
del mondo attraverso il mondo stesso
54
. Daltra parte, non si pu
pensare che lanimo umano possa possedere immediatamente larmo-
nia e la perfezione del cosmo; lignoranza non pu essere superata al
di fuori del mondo, ma nel mondo stesso; la crisi che investe luomo
e tutta la sua esistenza dalletica alla gnoseologia e alla religione un

pratiche, utilizza sia la filosofia paracelsiana sia la mnemotecnica di Bruno, neces-
sarie per trovare rimedi alle malattie, per delineare il funzionamento della natura
attraverso il rapporto artenatura e anche per potenziare la facolt naturale della me-
moria facilitando il processo dellapprendimento.
52
G. BRUNO, Le Ombre delle idee, cit., pp. 152153: Si dice dunque che la re-
miniscenza si verifica principalmente quando un moto fa di necessit seguito ad un
altro moto, ovvero quando un moto si accompagna ad un altro moto, sia che questo
sia locale, o temporale, o razionale, o naturale, o artificiale, ovvero prodotto in qual-
siasi altro modo da una positiva concomitanza, e successione di una cosa dopo unal-
tra. In tale modo procediamo dalla memoria della neve alla memoria dellinverno; da
questa a quella del freddo; da qui a quella dellantiperistasi; da qui a quella del calore
che si sviluppa nello stomaco; da qui a quella di una potente digestione; da questa si
passa allappetito, e pi rapidamente al nutrimento, alla forza e allesercizio; e cos
via di seguito. Similmente avviene in tutte le altre cose.
53
G. BRUNO, Sigillus sigillorum, cit., p. 353.
54
Ivi, p. 354.

Immagini della memoria in G. Bruno 83
aspetto che rafforza, ancora di pi, la sproporzione tra la luce del-
lUno e le ombre delluniverso; in questo modo, dal piano gnoseo-
logico, lombra cala su quello ontologico e lo definisce
55
. chiaro
quindi che la via da percorrere per trovare lordine originale insieme
quella delle ombre e quella della combinatoria e della memoria. Luo-
mo, sottoposto insieme a tutti gli altri esseri alla vicissitudine, vive la
dimensione del mutamento che mal si adegua con limmobilit e la
stasi della perfezione e si proietta, cos, verso linfinito e verso la
conoscenza del bene e del vero
56
.
Il discorso si estende, poi, ai concetti delle idee e alluso che si
pu fare della memoria. Allinterno dellanima necessario costruire
spazi interiori, i subjecta, o soggetti primi, in cui collocare gli
adjecta: le immaginisimbolo aggiunte, i soggetti secondi o prossimi.
La memoria una facolt dellinteriorit ed ha un potere talmente
elevato che

Non soltanto pone la natura come primo sostrato, ma pone anche lo stesso
ente naturale come sostrato prossimo []. Ugualmente questarte ammette
un duplice sostrato per il proprio oggetto: ovvero un sostrato primo che
il luogo ed un sostrato prossimo che il sostrato apposto, ovvero
ladiectum. Anche in potenza ammette due sostrati, cio la memoria ed in
genere la fantasia al posto del primo; e lindagine prodotta dalla facolt fan-
tastica, ovvero dalla facolt cogitativa in genere, al posto del secondo: e am-
mette per forma lintenzione e la combinazione delle forme che esistono in
un sostrato, con le immagini che esistono in un altro sostrato
57
.

Bruno spiega che cosa sia lars reminiscendi, che dimora sotto
lombra delle idee, alla fine della prima parte del De Umbris dove
scrive che larte

Una architettura discorsiva delle cose da perseguire; ed una sorta di at-
titudine dellanima raziocinante che muovendo da quanto principio della
vita del mondo, si comunica al principio di vita di tutte le singole cose
ci che abita il tronco stesso del tutto, vale a dire la stessa essenza di tutta
lanima Per questattitudine noi siamo regolati e condotti ad intendere, dis-
correre, avere memoria, formare immagini attraverso la facolt della fantasia,
avere appetiti, e talvolta anche a sentire come vogliamo
58
.

La mnemotecnica pone persino le basi per lesistenza di tutte le

55
M. CILIBERTO, Introduzione a Giordano Bruno, cit., p. 37.
56
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 63.
57
Ivi, pp. 116117.
58
Ivi, pp. 105106.

Giuditta Bosco 84
altre arti; essa serve come dimora delle immagini sensibili, a dimo-
strazione del primato dellintelletto sui sensi. Bruno riprende, dunque,
tutta la tradizione della combinatoria ed in particolare il lullismo e
combina Lullo con la tradizione astrologica per creare unopposizione
alla mnemotecnica classica che era fondata su loca e imagines, sui
teatri, in cui lartefice del sistema collocava come nel teatro di
Giulio Camillo Delminio
59
i princpi del cosmo, lenciclopedia
delle scienze o le parti del discorso che bisognava pronunciare e il cui
ricordo era impresso nella memoria con laiuto di immagini corporee
di particolare efficacia
60
.
Pietro Ramo e anche Erasmo, del cui punto di vista nel dialogo
introduttivo portavoce Logifero, avevano definito la mnemotecnica
inutile e fallace. Al contrario, Bruno convinto del grande vantaggio
di questarte e del fatto che le immagini di cui si avvale per mezzo
della tecnica associativa, possano favorire la costruzione di unenci-
clopedia delle scienze. Come accade per ogni attivit umana quali,
per esempio, la pittura e la scrittura, anche larte in questione dispone
di strumenti adeguati e di elementi cos come li chiama Bruno,
riconducendoli a nove che rendano presenti nella memoria gli og-
getti della conoscenza
61
. Inoltre, Bruno costruisce la sua logica
fantastica sostituendo le immagini tradizionali a nuove immagini
mitologiche ed astrologiche e alle ruote, che si trovano gi nella
tradizione della logica medievale lulliana e vengono generalmente

59
La figura di Delminio, piuttosto controversa per linterpretazione che la sto-
riografia di qualche decennio fa ne ha dato, ma completamente superata oggi, di
notevole importanza per il fatto che sintetizza la confluenza di molteplici aspetti quali
la retorica, il neoplatonismo, lastrologia, le magia e lermetismo; infatti, per Del-
minio, attraverso la retorica possibile ricostruire unimmagine del mondo che
diventa per luomo il modello per trasformare la natura e operare in essa; cfr. C.
VASOLI, Giulio Camillo Delminio et lart trasmutatoire, in J.C. MARGOLIN e S.
MATTON (ds.), Alchimie et philosophie la Renaissance, Paris, Vrin, 1993, pp. 193
204; L. BOLZONI, Il teatro della memoria. Studi su Giulio Camillo con unappendice
di testi, Torino, Liviana Scolastica, 1984.
60
S. RICCI, Giordano Bruno nellEuropa del Cinquecento, Roma, Salerno, 2000,
p. 157.
61
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 136: Gli elementi che rendono pos-
sibile la memoria e di cui parla Bruno sono: 1. Lantecedente atto dellintendere che si
manifesta inizialmente in atto per effetto di ci che muove dalloggetto; 2. Lo stimolo
dellimmaginazione; 3. Il moto passivo dellimmaginazione; 4. Lo scrutinio; 5. Lim-
magine, vale a dire la specie memorabile; 6. Latto con cui si intende questa immagine,
ovvero 7. La ragione per cui una determinata immagine resa memorabile dopo che
sono state escluse tutte le altre presenti; 8. La rappresentazione del contenuto di tale im-
magine; 9. Il giudizio col quale si intende il contenuto dellimmagine.

Immagini della memoria in G. Bruno 85
utilizzate per visualizzare la tecnica della combinatoria. Ad un intento
eminentemente tecnico, quale era lutilizzo dellars reminiscendi nel-
la tradizione lulliana, affianca un intento ontologico
62
, metafisico
63
e
magico
64
.
In altri termini, Bruno ci presenta un codice che associa lettere
alfabetiche e figure mitologiche e propone una serie di accorgimenti
che utile seguire quando si usano quelle immagini che difficilmente
si possono tradurre in consonanti e vocali. Mostra poi le tavole delle
associazioni, sottolineando che chiunque voglia farne uso deve
seguire il procedimento canonico, unico per tutti e valido universal-
mente, ma pu cambiare lordine delle associazioni ed i significati
delle lettere e delle figure purch tenga presente il vinculum e ci sia
perch ogni immagine reale ha un suo influsso, sia perch limmagi-
nazione che crea il simbolo gi una conoscenza: Nel simbolo costi-
tuisce una corrispondenza tra lente dellimmaginazione, (della facol-
t fantastica) e il sistema che regge la totalit della vicenda natu-
rale
65
. La logica fantastica che si esprime attraverso la scrittura in-
teriore pi immediata e consente di parlare, di unificare le parole in
discorsi e dar loro un senso
66
.
spiegato, dunque, il modo attraverso cui si ottiene la cono-
scenza; il primo gradino, abbiamo detto, quello fondamentale, perch
consente di vivere nel mondo e di confrontarsi con gli altri uomini,
questo del De Umbris; ad un gradino pi elevato, luomo non ha pi
bisogno di alcuno strumento per comprendere la verit; la visione
della luce va oltre lo strumento conoscitivo, che stato per neces-
sario per compiere il passaggio graduale dallombra, alla verit; la
visione della Mens il momento dellautocoscienza che non ha
bisogno di nientaltro se non di se stessa.

62
P. ROSSI, Memoria e magia, Rivista di filosofia CXV (2004), pp. 936.
63
P. ROSSI, Clavis universalis, cit., p. 140.
64
F. YATES, Larte della memoria, cit., pp. 183213.
65
F. PAPI, Antropologia e civilt nel pensiero di Giordano Bruno, cit., p. 290.
66
G. BRUNO, Le ombre delle idee, cit., p. 208: Congiungi quindi le parti della cosa
da ricordare con vivaci immagini, insegne, azioni e loro circostanze. In modo che ogni
singola figura attraverso una conveniente azione, passione, alterazione, conclusione, e
sempre diversi modi di disporsi, o anche attraverso cose che si operano, ovvero con le
quali e intorno alle quali si compiono operazioni, possa descrivere figuratamente le
membra della suddivisione della materia da ricordare e ancora oltre, a p. 211 troviamo:
Noi abbiamo immediatamente insegnato a riunire i termini in un discorso [] E cos
questarte annulla tutte le altre arti che lhanno preceduta in questo genere, e non teme
di essere annullata da qualche altra che venga elaborata in seguito.

Giuditta Bosco 86
Luomo ha visione solo della luce vicissitudinale dellesistenza;
ma tende, per un impulso naturale ed innato, verso la luce eterna,
lintellegibile. Egli, a differenza degli altri animali, dispone delle
parole e delle mani, lo strumento privilegiato della progettualit e non
pu trascendere da questa dimensione che sola gli consente di
pervenire alla sua vera essenza. Quando luomo ricorda, conosce la
realt e cos, rientrando in se stesso, pu avvicinarsi alla sfera della
sua interiorit e provare a dominarla e modificarla; in questo contesto
le parole sono uno strumento accessorio, accidentale, per i concetti
che esprimono, ma servono perch consentono di penetrare nella
facolt interiore e ricongiungersi con lanima del mondo. La chiave di
interpretazione del problema in questione si ritrova, a nostro avviso,
nellultimo dei dialoghi morali, gli Eroici Furori: il saggio furioso
non ha bisogno delle parole per trovare se stesso ed essere con-
sapevole di s, per passare cio dalla coscienza allautocoscienza, ma
dellEros; il livello pi elevato della conoscenza e dellesistenza non
fatto di parole, ma un atto intuitivo, latto intuitivo del furioso
che amando si perde nella natura
67
.
Se vero che la mnemotecnica riguarda la conoscenza della realt
e in questo senso acquista carattere esclusivamente gnoseologico,
altrettanto vero che lautocoscienza si ottiene nel superamento del-
lars memoriae, che un artificio, un metodo, di cui luomo si serve;
come Bruno scrive nel Cantus Circaeus:

Larte che qui illustriamo del resto un sostegno che alimenta tutte le altre
arti e ugualmente apre la via e rende accessibili innumerevoli invenzioni.
Infatti questarte dar un tale impulso alla memoria da conferire massima
efficacia anche alla facolt di giudizio
68
.

Lenorme distanza che separa luomo dalla verit, rende neces-
sario il passaggio dal particolare alluniversale, dal sensibile allin-

67
Simile passaggio dal De Umbris agli Eroici furori non meraviglia se si pensa al
fatto che in Bruno ogni opera prosegue e conclude la precedente e se si pensa al fatto
che i primi dialoghi, come il De Umbris, sono propedeutici a quelli successivi.
Inoltre, si tenga presente che le opere di Bruno presentano molti aspetti legati alla
mnemotecnica; si pensi, per es., che la seconda redazione de La Cena de le Ceneri,
per es., si apre con una invocazione alla dea Mnemosine. M. CILIBERTO, Giordano
Bruno, cit., p. 66.
68
G. BRUNO, Cantus Circaeus, cit., p. 281. Anche nel Cantus si nota la
mescolanza di ars e magia. In particolare, questultima si esplica come lo strumento
per realizzare il progetto di rinnovamento culturale e anche morale, politico e sociale;
cfr. V. PERRONE COMPAGNI, Minime occultum chaos. La magia riordinatrice del
Cantus Circaeus, Bruniana e Campanelliana VI (2000) 2, pp. 281297.

Immagini della memoria in G. Bruno 87
tellegibile; larte, per potere essere valida non pu valere solo per il
singolo, ma deve essere adattabile a tutti.

Si stabilisca voglio dire di aggiungere alluomo e allazione compiuta
dalluomo uno strumento ovvero una insegna che certamente non dovranno
riferirsi soltanto allazione di quelluomo, ma saranno, per quanto possono
diventarlo, adattabili a tutti, o almeno compatibili con tutte le operazioni che
si incontreranno
69
.

Essa serve per svelare la trama di accesso alla natura ed allanimo
umano, ma non il sostrato della natura. Luomo alla continua ricerca
di s e della propria coscienza, riceve la sua identit dalla consa-
pevolezza della propria unione con lIntelletto divino, consapevolezza
che si trasforma, se vogliamo, in autocoscienza. Negli Eroici Furori
latteggiamento di Bruno, eticamente e ontologicamente orientato,
ben definito:

Maricondo: L onde ben disse un teologo che, essendo che il fonte della
luce non solamente gli nostri intelletti, ma ancora gli divini di gran lunga
sopravanza, cosa conveniente che non con discorsi e paroli, ma con silenzio
vegna ad esser celebrata
70
.
Lamor dunque (come quello che opra massime per la vista, la quale spi-
ritualissimo de tutti gli sensi, perch subito monta sin alli appresi margini del
mondo, e senza dilazion di tempo si porge a tutto lorizzonte della visibilit)
viene ad esser presto, furtivo, improvisto e subito. Oltre da considerare quel
che dicono gli antichi, che lamor precede tutti gli altri dei; per non fia
mestiero de fingere che Saturno gli mostre il camino se non con seguitarlo
[] finalmente, ogni cosa appete il bello e buono, e per non vi bisogna ar-
gumentare e discorrere perch laffetto si informe e conferme; ma subito ed
in uno instante lappetito saggionge a lappetibile, con la vista al visibile
71
.

Da qui scaturisce il mito di Atteone sbranato dai cani che per-
dendo se stesso si ritrova nel cosmo e vi si identifica; perch la vita
sia vita, le anime particolari devono perdersi nellanima universale e
riconoscersi parte integrante del tutto che vivifica e rinnova conti-
nuamente la natura. Esse possono rinvenire nellArs un esito etico e
non solo metafisico in virt del quale riuscire a dirigere al meglio le
loro azioni
72
.

69
G. BRUNO, Le Ombre delle idee, cit., p. 162.
70
G. BRUNO, Eroici furori, in Dialoghi filosofici italiani, a c. di M. Ciliberto,
Milano, Mondadori, 2000, p. 1084.
71
Ivi, p. 1106.
72
A proposito dellimpegno etico delluomo attraverso luso delle sue capacit
tecnicopratiche, cfr. E. CANONE, Magia dei contrari. Cinque studi su Giordano Bru-
no, Roma, Edizioni dellAteneo, 2005, pp. 1130.






FABRIZIO PALOMBI

Lo specchio. Lacan e il Barocco


Avr certamente ricevuto anche lei il grosso volume
di Lacan (crits). Adesso non ho tempo di leggerne il
testo, palesemente barocco. Apprendo, per, che esso
suscita a Parigi analogo scalpore di quello suscitato a suo
tempo da Ltre et le nant di Sartre.
MARTIN HEIDEGGER
1


Il brano di questa lettera inviata dal filosofo tedesco allo psichiatra
Medard Boss (19031990) sul finire del 1966

illumina la posizione
occupata da Jacques Lacan (19011981) nella cultura europea del
dopoguerra: uno snodo teorico nel quale confluiscono e si con-
fondono importanti correnti di pensiero filosofiche, artistiche e scien-
tifiche.
Il passo dominato da unintenzione malevola che qualifica lo
stile dello psicoanalista con laggettivo barocco usato in senso
spregiativo come si pu facilmente evincere dai lemmi di qualsiasi
dizionario tedesco, francese o italiano nei quali viene presentato, non
solo come espressione di unepoca o uno stile, ma anche come
sinonimo del cattivo gusto, ampolloso e contorto
2
.
Se prescindiamo da questa ostilit crediamo che Heidegger colga
inconsapevolmente e sintomalmente
3
un elemento essenziale del
sistema di pensiero lacaniano e anticipi i suoi successivi sviluppi
4
.

1
HEIDEGGER (1987), lettera del 4 dicembre 1966, p. 392, nostro corsivo, nel
quale si cita SARTRE (1943). Nello stesso epistolario il filosofo tedesco riferendosi a
Lacan si spinge ad affermare: sembra che lo psichiatra abbia bisogno di uno
psichiatra (HEIDEGGER, 1987, p. 394). In proposito cfr. ROUDINESCO (1993), p. 250
e 494 n. 28, WEBER (1991), p. 52 e GRANEL (1991), p. 224.
2
GABRIELLI (1981), p. 89 e MACCHI (1975), parte II, p. 63. Per altro segnaliamo
che esiste almeno unoccorrenza di questa accezione dellaggettivo barocco in
Lacan. Egli, riferendosi alla psicologia dellIo di Kris e Loewenstein e alla psichiatria
fenomenologica di Jaspers si chiede che cosa abbia a che fare questa concezione
barocca con la psicoanalisi (LACAN, 19581961, p. 647).
3
Cfr.

ALTHUSSER, BALIBAR (1965), pp. 2829 ed ECO (19641980), p. V.
4
Lo psicoanalista francese analizza la categoria di Barocco nel suo ventesimo
seminario tenuto tra il 1972 e il 1973: cfr. LACAN (1975
b
). Il presente contributo non
considera questo testo, frutto maturo dellultima fase della riflessione di Lacan, per
esaminare retrospettivamente linfluenza del Barocco sulla genesi del suo pensiero.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 89-111 89
Fabrizio Palombi 90
Per questo proveremo a usare il concetto di Barocco
5
come chiave in-
terpretativa per comprendere il senso e lo stile delle teorie dello
psicoanalista francese, indissolubilmente intrecciati. Il filosofo te-
desco non stato n il primo n lultimo a stigmatizzare loscurit di
Lacan ma noi intendiamo usare questo aneddoto come la cifra di una
riflessione di carattere teoretico e genealogico sul testo lacaniano.


1. Il concetto di Barocco

Letimologia incrocia due origini della parola baroco: la prima
un termine portoghese che significa perla, usato per indicarne un tipo
irregolare e scabro
6
, la seconda una formula artificiale con la quale
la logica scolastica classificava, anche mnemonicamente, i sillogismi.
Pietro Ispano (1205 ca.1277) nel suo Summulae logicales
7
lo usa per
illustrare come, attraverso la successione delle singole lettere che lo
compongono, sia possibile ricostruire la figura e il modo del sillogi-
smo considerato
8
.
Questa etimologia deve essere filtrata teoreticamente dai nostri
interessi e giustificata alla luce del nostro campo di ricerca in quanto
le perle irregolari esistono, ma il Barocco non ha nessuna ragione di
esistere senza un concetto che detti questa stessa ragione
9
. Prima di
giustificare la nostra preferenza teorica
10
per la seconda origine ri-
cordiamo che, nellambito della storia dellarte, il termine inizi a
essere usato nel secolo XVIII, con riferimento esclusivo a quelle
manifestazioni [] che allestetica classicheggiante [] apparivano
eccessive, confuse, bizzarre
11
. Il Barocco viene respinto per la sua
irregolarit individuata soprattutto nellilluminazione considerata

5
Abbiamo tentato dinseguire Lacan attraverso eterogenei territori del sapere
filosofico, artistico e scientifico grazie allaiuto di numerosi studiosi, che segnalere-
mo di volta in volta. Sin dora vogliamo ringraziare Maria Teresa Maiocchi per aver-
ci indicato le coordinate teoriche fondamentali del Barocco nellopera dello psicoa-
nalista francese, senza le quali questa ricerca non sarebbe stata possibile.
6
DEVOTO, OLI (1967), p. 288.
7
Si tratta di un testo scritto intorno al 1230.
8
MIGLIORINI (1962), p. 40.
9
DELEUZE (1988), p. 56. In proposito ringraziamo Romeo Bufalo per le sue
preziose indicazioni bibliografiche sul Barocco.
10
Si tratta ovviamente di una scelta teorica non di una dimostrazione di ordine
storico o etimologico.
11
HAUSER (1953), vol. I, p. 458.

Lacan e il Barocco 91
artificiosa
12
che contribuisce a dissolvere lideale simmetria
dellarte
13
. In particolare Hauser evidenzia una sorta di squilibrio
delle opere barocche nelle quali laccentuarsi di una parte della
composizione a discapito delle altre conduce locchio ad av-
venturarsi in prospettive fortuite ed effimere invece di incontrare
vedute schiette di fronte e di profilo
14
.
Lo squilibrio e lasimmetria barocche sono particolarmente
evidenti nelle opere realizzate sulla base dei principi dellanamorfosi,
neologismo seicentesco creato dalla combinazione dei termini greci
ana (allindietro, ritorno verso) e morph (forma)
15
. Secondo Jurgis
Baltruaitis (19031988), uno dei pi accreditati studiosi del feno-
meno, tale parola si riferisce a realizzazioni artistiche fondate sulla
cosiddetta prospettiva accelerata o rallentata. Esse, note da tempo, in
questo secolo conoscono un processo di sistematizzazione geometrica
che fornisce dimostrazioni esaurienti e sviluppa i loro rapporti con
le altre attivit speculative
16
. Si tratta di uno spunto estremamente
importante sul quale invitiamo, sin dora, il lettore a soffermarsi
poich permetter di comprendere la relazione tra anamorfosi e
testualit barocca.
Questo artificio inverte i principi della prospettiva proiettando le
forme fuor di se stesse invece di ridurle ai loro limiti visibili, e le
disgrega perch si ricompongano in un secondo tempo, quando siano
viste da un punto determinato
17
. Per i nostri scopi importante se-
gnalare che il suo sviluppo coevo a quello della geometria proiettiva
desarguesiana
18
e che tra il 1615 e il 1625 viene introdotto in queste
realizzazioni lo specchio e lo studio della sua ottica geometrica
19
.
Secondo Deleuze il Barocco non connota unessenza, ma una

12
Ivi, pp. 458459.
13
Ivi, p. 461.
14
Ibidem.
15
BALTRUAITIS (19551984), p. 13. Ringraziamo Alessandra Anselmi e Stefano
Antonelli per laiuto nella ricerca bibliografica sullanamorfosi e sul rapporto tra
poesia e pittura nel Barocco.
16
Ibidem. La prima occorrenza del termine attestata si trova nella prima edizione
(1657) di un testo del gesuita Gaspar Schott (16081666). Cfr. SCHOTT (16571677)
e BALTRUAITIS, J. (19551984), pp. 102, 259.
17
Ivi, p. 15.
18
Girard Desargues (15911661) architetto e ingegnere militare di Lione uno dei
primi teorici della geometria proiettiva: cfr. BOYER (1968), pp. 413417.
19
BALTRUSAITIS, J. (19551984), p. 15.

Fabrizio Palombi 92
funzione operativa
20
individuata nella piega reiterata allinfinito
come negli algoritmi che sono stati sviluppati nel XX secolo dalla
teoria delle catastrofi
21
. Cerchiamo di seguire, almeno parzialmente,
questa indicazione interpretando il Barocco come forma di
argomentazione, di geometrizzazione e di testualit complesse che
trovano nellanamorfosi speculare e nel concettismo una delle sue
manifestazioni pi mature e compiute. La prospettiva barocca diventa
il nostro punto di vista privilegiato per esaminare due testi
fondamentali di Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore
della funzione dellio
22
e Nota sulla relazione di Daniel Lagache:
psicoanalisi e struttura della personalit
23
.

In seguito abbozzeremo
alcune considerazioni sulla testualit lacaniana per paragonarla con il
concettismo barocco e mostrare come questi due aspetti si articolano
e si sostengono reciprocamente.


2. Lo stadio dello specchio

Bisogna sottolineare che gi nel suo primo libro, Della psicosi
paranoica nei suoi rapporti con la personalit (1932), Lacan para-
gona il rapporto esistente tra il soggetto e la sua immagine idealizzata
con quella che intercorre tra un oggetto e la sua immagine speculare
capovolta
24
. Questa sorta di preistoria dello stadio dello specchio rap-
presenta un elemento importante nella genesi della teoria lacaniana
fondata sulla natura scissa della soggettivit.
Si tratta di una generalizzazione della lacerazione insanabile del-
lesperienza paranoica, tesa tra la propria condizione e il proprio de-
siderio, che viene espressa nel lessico psicoanalitico come scissione
tra Io e Ideale dellIo. La tesi viene originariamente proposta in una
comunicazione letta nel 1936 al XIV congresso dellAssociazione
Internazionale di Psicoanalisi (I.P.A.) svoltosi a Marienbad che viene
perduta e sostituita negli Scritti da un testo redatto per il XVI,
tenutosi anni dopo a Zurigo.
Bisogna sottolineare che Lacan, diversamente da Freud, sostiene
che non solo lIo del soggetto paranoico ma quello di ognuno si fonda

20
DELEUZE (1988), p. 5
21
TARIZZO (2004), pp. XIVXXVII.
22
LACAN (19321966).
23
LACAN (19581961).
24
LACAN (1932), p. 209.

Lacan e il Barocco 93
sulla identificazione con una immagine idealizzata di s, e quindi
lIo come tale si costituisce allorigine in questa modalit.
25
Si tratta di unesperienza originaria rappresentata dalle manifesta-
zioni di gioia e giubilo di un bambino di et compresa tra i sei e i
diciotto mesi innanzi alla propria immagine riprodotta in uno spec-
chio. Lacan condensa in poche righe il seducente spettacolo
26
rap-
presentato da

un bambinetto davanti allo specchio, incapace ancora di padroneggiare i suoi
passi o addirittura di stare in piedi [] abbracciato da un sostegno umano o
artificiale [] supera in un traffichio giubilatorio gli impicci di questo
appoggio, per sospendere il suo atteggiamento in una posizione [] inclinata
e ricondurre, per fissarlo, un aspetto istantaneo dellimmagine
27
.

Si tratta di una dinamica di sguardi estremamente complessa che
merita di essere esaminata dettagliatamente. Uno degli elementi costi-
tutivi della nostra soggettivit rappresentata dal volto tanto che que-
sto viene riprodotto fotograficamente sui documenti didentit mentre
le altre caratteristiche corporee sono ridotte allaltezza ed even-
tualmente a qualche tratto caratteristico
28
. Possiamo vedere il volto di
tutti gli altri ma non il nostro che si trova in una zona cieca orlata dal
contorno del naso e delle labbra, una cornice dello sguardo che pu
essere colta tramite qualche contorsione. Il volto dunque sempre
quello dellaltro e il bambino sino allet indicata da Lacan non co-
nosce letteralmente il proprio
29
.
In questa fase della sua vita il bambino non riesce a camminare, o
a stare in piedi, e per questo giunge innanzi alla superficie riflettente
accompagnato e sostenuto nella postura da un adulto oppure da un
girello. Egli vede nello specchio limmagine di un altro bambino che
cerca di raggiungere, di toccare, senza riuscirci in quanto viene bloc-
cato dalla resistenza della superficie dello specchio quale soglia
invalicabile. Allora inizia a voltarsi per assumere quello sguardo obli-
quo, quella posizione inclinata, fondamentale per i nostri scopi, che
abbiamo evidenziato con il corsivo. Si tratta di un atto che


25
TARIZZO (2003), p. 13.
26
LACAN (19321966), p. 88.
27
Ibidem, corsivo nostro.
28
Almeno allo stato attuale della legislazione italiana.
29
Infatti lessere umano non vede la sua forma realizzata [] se non fuori di se
stesso

(LACAN, 1975
a
, p. 175).

Fabrizio Palombi 94
rimbalza [] in una serie di gesti in cui [] mette alla prova [] la
relazione fra [] questo complesso virtuale e la realt che raddoppia [] il
proprio corpo e le persone, o gli oggetti, che gli stanno a lato
30
.

Tale inclinazione non tanto del corpo quanto dello sguardo che
cerca dietro lo specchio, se questo pu essere aggirato, ma soprattutto
si indirizza verso ladulto o il girello che pu cogliere duplicati as-
sumendo unopportuna angolazione rispetto alla superficie riflettente.
Tale raddoppiamento della realt gli restituisce un volto che riesce a
riconoscere per la prima volta come il proprio.
A questo punto nel bambino si gi compiuto il destino alienante
dellio
31
che, impotente a muoversi e a coordinare i propri gesti, an-
ticipa visivamente lunit e la padronanza del suo corpo, scor-
gendolo riflesso come un tutto nello specchio
32
. Da questo momento
in poi il soggetto si trova in una sorta di ritardo originario
33
che gli
impone di rincorrere perennemente tale totalit anticipata, definita da
Lacan come ioideale
34
. Questo ulteriore concetto si distingue dal-
lideale dellio in quanto rappresenta lonnipotenza narcisistica che
supporta lidentificazione eroica [] con personaggi eccezionali e
prestigiosi
35
. Se la considerazione in s non originale
36
estre-
mamente innovativa linterpretazione proposta da Lacan, secondo il
quale

lassunzione giubilatoria della propria immagine speculare da parte di
quellessere [] immerso nellimpotenza motrice [] sembra manifestare in
una situazione esemplare la matrice simbolica in cui lIo si precipita in una
forma primordiale
37
.

In questo modo Lacan teorizza una soggettivit strutturata dal
narcisismo e dalla paranoia che non rappresenta pi la classificazione
di un tipo di personalit, ma la costituzione del soggetto in quanto
tale, scisso tra un io privo di unit e unimmagine idealizzata di se

30
LACAN (19321966), p. 87, corsivo nostro.
31
Ivi, p. 89.
32
TARIZZO (2003), pp. 1314.
33
In questo senso ci

ricolleghiamo al Nachtrglichkeit freudiano esaminato in
DERRIDA (1966), p. 263 e alla relazione tra questo e laprs coup lacaniano: cfr.
LACAN (1966), p. 682 e nota 1 di traduzione.
34
LACAN (19321966), p. 89.
35
LAPLANCHE, PONTALIS (1967), p. 294.
36
TARIZZO (2003), p. 14.
37
LACAN (19321966), p. 88.

Lacan e il Barocco 95
stesso, con la quale stabilisce delle relazioni di identificazione.

In
questi termini lo psicoanalista francese sviluppa una tesi originale che
riformula il sistema freudiano teorizzando la genesi contemporanea di
Io e SuperIo.
38
Si tratta di una complessa riflessione sulla struttura
della psiche pervasa da riferimenti a tipi di prospettive eccentriche e
oblique che possiede non poche similitudini con quella barocca
descritta da Hauser.


3. Il vaso di fiori rovesciato

Le relazioni psicoanalitiche sullo stadio dello specchio vengono
ulteriormente articolate nella seconda parte della Nota sulla relazione
di Daniel Lagache dove

Lacan propone di strutturare la personalit
nella prospettiva psicoanalitica usando un modello ottico, noto con il
nome di schema del vaso di fiori rovesciato, che serve per far
funzionare [] le relazioni dellIo ideale con lideale dellIo
39
.
Riproduciamo di seguito la figura, che Lacan estrapola da un testo di
ottica geometrica
40
, per facilitare i nostri riferimenti al testo
41
.


Il dispositivo costituito da uno specchio sferico e una scatola,
aperta nel lato rivolto verso la superficie speculare, nella quale

38
TARIZZO (2003), p. 15.
39
LACAN (19581961), p. 668. La prima occorrenza di questo modello in
LACAN (1975a); esso viene successivamente sviluppato in (19581961) e in (2004).
40
BOUASSE (1934).
41
LACAN (19581961), p. 669, fig. 1

Fabrizio Palombi 96
inserito un mazzo di fiori capovolto e sopra la quale collocato un
vaso. Allocchio di un osservatore, collocato nello spazio interno al
cono B
42
, il mazzo appare illusoriamente infilato in questultimo
43
.
Lacan, per fare funzionare tale congegno come modello teorico in
grado di rappresentare analogicamente la struttura della personalit
44
,
introduce alcune modifiche che vengono puntualmente segnalate
nella successiva figura
45
.


Viene aggiunto uno specchio piano e sono scambiate le posizioni
del vaso e dei fiori rispetto al lato superiore della scatola in modo che
il primo sia inserito rovesciato dentro e il secondo sopra. Inoltre
losservatore non deve pi guardare direttamente nello specchio
sferico ma in quello piano dove, se collocato in posizione ortogonale
rispetto a esso (retta $S) potr vedere la propria immagine. Quando
tale osservatore assume una prospettiva leggermente obliqua rispetto
alla superficie dello specchio piano potr focalizzare nuovamente su
di esso limmagine (illusoria) del vaso con i fiori appoggiato sopra la
scatola. Lacan sostiene che il gioco di questo modello corrisponde
alla funzione di misconoscimento che la [] concezione dello stadio

42
Tale cono formato da una generatrice che unisce ciascuno dei punti
dellimmagine B al contorno dello specchio sferico (Ivi, p. 669).
43
Malgrado qualche deformazione che la forma non regolare delloggetto deve
rendere assai tollerabile (Ibidem).
44
Ivi, p. 670.
45
Ivi, p. 671, fig. 2.

Lacan e il Barocco 97
dello specchio pone alla base della formazione dellIo. Esso permette
di enunciarla in una forma [] generalizzata
46
.

In questo modo
viene mostrata limpossibilit di cogliere direttamente limmagine del
vaso o del proprio corpo e la necessit di una triangolazione
attraverso la quale si apre lo spazio della psicoanalisi.
Losservatore un soggetto scisso, diviso, che per questo viene
indicato con $ (S barrato) mentre il vaso rovesciato indica la
posizione del corpo del soggetto nello stato di frammentazione e
dipendenza infantile
47
. S (privo di barra) rappresenta limmagine
ortopedizzata e anticipata del bambino nello specchio che concorre
alla formazione dellIoideale che in una prospettiva obliqua viene
assunta da i(a)
48
. Il vaso nascosto nella scatola indica il limitato
accesso che il soggetto ha nella realt di quel corpo
49
mentre i suoi
fiori indicati da a rappresentano i cosiddetti oggetti parziali
50
della
teoria psicoanalitica che sono in generale parti del corpo quali il seno,
le feci o il pene oppure i loro analoghi simbolici
51
.
LIo ideale cos rappresentato aliena il soggetto in una falsa
padronanza e rappresenta una tappa decisiva per la sua costituzione
anche se una soggettivit non psicotica non pu essere costituita solo
da relazioni di identificazione. Questo spiega perch una delle
funzioni principali della psicoanalisi sia rappresentata dalla disar-
ticolazione della logica chiusa della relazione immaginaria. In tale
prospettiva Lacan sottolinea limportanza di interrogare il modello
del vaso rovesciato allinterno della situazione analitica ovvero se
lAltro lanalista
52
. Si tratta di unulteriore tappa che viene rag-
giunta introducendo ulteriori modifiche nel modello ottico che vo-
gliamo proporre allattenzione del lettore
53
.


46
Ivi, p. 671.
47
Ivi, p. 672.
48
Ivi, p. 671.
49
Ivi, p. 672.
50
Ibidem, p. 672.
51
LAPLANCHE, PONTALIS (1967), p. 400.
52
LACAN (19581961), p. 676
53
Ivi, fig. 3.

Fabrizio Palombi 98

Lo specchio piano compie una rotazione di 90 intorno al proprio
asse, sovrapponendosi al piano individuato dal prolungamento del
lato superiore della scatola, e lo sguardo dellosservatore di 180,
passando da $
1

a $
2
. La nuova collocazione di questultimo permette
di accedere alla prospettiva che svela le reali posizioni dei fiori, vaso
e scatola e di comprendere la natura illusoria dellimmagine prodotta
sullo specchio piano in verticale. Inoltre questa stessa posizione
permette di cogliere, in una nuova prospettiva obliqua, il riprodursi
dellimmagine illusoria sullo specchio in orizzontale. Lacan allude al
riprodursi in una nuova posizione dellillusione come a giochi della
riva con londa alludendo al mito sul quale stato modellato il
concetto psicoanalitico di narcisismo
54
.

Limmagine illusoria in orizzontale rappresenta il costituirsi, at-
traverso il processo edipico, dellideale dellio quale punto ideale
esterno o infinitamente distante
55
che consente lo sviluppo e la ma-
turazione di un soggetto che si coglie non pi come identit compiuta
ma come processo in continua evoluzione. Quando questo processo
non si compie autonomamente lintervento del trattamento analitico
viene ricondotto
a una traslazione di $ ai significanti dello spazio dietro lo specchio. La fun-
zione del modello allora quella di far immaginare come il rapporto con lo
specchio, cio la relazione immaginaria con laltro e la cattura dellIo ideale,
servano ad attirare il soggetto nel campo in cui esso si ipostatizza nellideale
dellIo .
56

54
Ivi, p. 677.
55
MILNER (1991), p. 335
56
LACAN (19581961), p. 676.

Lacan e il Barocco 99

In questo snodo fondamentale della soggettivit si colloca anche la
posizione dello psicoanalista che, assumendo la funzione paterna,
deve riportare il soggetto sul cammino interrotto dellEdipo e delle
sue relazioni di identificazione
57
.


4. Anamorfosi

Verso la fine del saggio viene indicata, quasi di sfuggita, lorigine
del dispositivo ottico che deve essere ricondotto agli artifizi del-
lanamorfosi capaci di installare nel supporto stesso della prospet-
tiva unimmagine nascosta che vi si perduta
58
.
Si tratta di un punto estremamente importante per i nostri interessi
in quanto la tecnica evocata rappresenta il compimento delle com-
plesse analisi lacaniane sulla prospettiva eccentrica, sullo sguardo in-
clinato e obliquo, iniziate nella formulazione dello stadio dello spec-
chio e sviluppate nel modello del vaso di fiori. Nelle pagine pre-
.cedenti abbiamo puntualmente segnalato in corsivo termini e locu-
zioni riferiti a questo tema poich, come abbiamo sottolineato nella
nostra analisi preliminare, rappresentano uno dei caratteri specifici
del Barocco.
Segnaliamo inoltre le lezioni seminariali del 19591960 nelle
quali Lacan, riprendendo il modello del vaso di fiori
59
, analizza
dettagliatamente le figure anamorfiche che consentono di evidenziare
la funzione dello specchio [] al di l del quale [] si proietta
lideale del soggetto
60
. La loro importanza si pu desumere dal-
lesordio della lezione del 10 febbraio 1960, nel quale lo psicoanalista
francese afferma che questa anamorfosi sta [] su questo tavolo
[] per illustrare il mio pensiero
61
.
Segnaliamo, tra i tanti esempi di opere darte citate nel settimo
seminario, laffresco realizzato da Emmanuel Maignan (1601
1676)
62
sulle pareti del chiostro dei Minimi
63
situato nel complesso

57
TARIZZO (2003), p. 72.
58
LACAN (19581961), p. 677.
59
LACAN (1986), p. 374.
60
Ivi, p. 192.
61
LACAN (1986), p. 177. Purtroppo dalla lettura della lezione XI non siamo
riusciti a evincere di quale tipo di anamorfosi si tratti.
62
Emmanuel Maignan (16011676) membro dellordine dei Minimi, fondato da
S. Francesco da Paola, fu docente di matematica e Roma e Tolosa. Gran parte della

Fabrizio Palombi 100
della chiesa di Trinit dei Monti a Roma, nel quale viene ritratto
anamorficamente S. Francesco da Paola
64
, e il celebre quadro di
Holbein, intitolato Gli ambasciatori, conservato alla National Gallery
di Londra. Lanalisi di questultimo impegna numerose pagine
dellundicesimo seminario, tenutosi nel 1964, nel corso del quale
Lacan ricorda di aver largamente impiegato la funzione anamorfica
per il valore esemplare della sua struttura
65
.
Queste considerazioni ci permettono di sostenere che lana-
morfosi, e in particolare quella barocca, si ritrovano in uno degli sno-
di fondamentali della ricerca di Lacan e fungono da sintesi e model-
lizzazione del suo pensiero.


5. Concettismo e rebus

Linterpretazione di una pratica di scrittura attraverso una forma di
espressione eterogenea, costituita dalle particolari tecniche anamor-
fiche di rappresentazione pittorica e grafica, potrebbe sembrare una
sorta di forzatura, di appiattimento della testualit di Lacan. Si po-
trebbe sostenere che riconduciamo e riduciamo il complesso della sua
opera a specifici brani di determinati testi e che i riferimenti al-
lanamorfosi, per quanto significativi e diffusi, dimostrano solo indi-
rettamente il suo carattere barocco.
A una simile obiezione potremmo rispondere che Lacan mette in
pratica unidentica operazione sul testo freudiano quando afferma che
in esso nulla caduco, nel senso [] che non sarebbe marcato da
quella possente necessit articolatoria che distingue il suo
discorso
66
. Potremmo allora giustificare la nostra interpretazione
come una sorta di autoapplicazione del metodo di lettura lacaniano ai
testi di Lacan, una sorta di caso particolare del suo ritorno a Freud.
Tuttavia, questa replica risolve solo parzialmente il problema in
quanto lo sprezzante giudizio heideggeriano, dal quale abbiamo preso

sue ricerca viene raccolta in MAIGNAN (1648). Le significative relazioni tra gli
esponenti di questordine e il cartesianesimo sono esaminate in BONICALZI (1987),
pp. 4048
63
DI MATTEO (2004), pp. 4649.

64
LACAN (1986), p. 179.
65
LACAN (1973), p. 87. Segnaliamo inoltre che in entrambi i seminari viene citato
BALTRUAITIS (19551984) nel quale un intero capitolo dedicato alle anamorfosi
speculari (pp. 149170)
.
66
LACAN (1986), p. 127.

Lacan e il Barocco 101
le mosse, toccava non tanto il contenuto teorico della ricerca laca-
niana quanto il suo stile espositivo. Si tratta, allora, di riprendere la
nostra analisi in una diversa prospettiva impostando un sommario
confronto stilistico tra la testualit barocca e quella lacaniana allo
scopo di trovare alcuni comuni denominatori.
Uno degli aspetti pi caratteristici della prima costituito dalla
mancanza di univocit nellargomentazione e nella definizione dei
termini usati in quanto nel testo barocco le idee si moltiplicano [],
si contraddicono e si cancellano, sfidando chi ne vorrebbe fare una
sintesi
67
. Questi ricchi contenuti sono spesso articolati attraverso
luso di alcune figure retoriche tra le quali segnaliamo la metafora che
possiede un ruolo particolarmente significativo anche per la psico-
analisi
68
.
Questo aspetto manifesto nella corrente del concettismo,
espressione radicale e originale del fenomeno barocco
69
, alla quale
possono essere correlati (direttamente o indirettamente) esponenti di
spicco della cultura seicentesca quali Pietro Sforza Pallavicino
(16071667), Baltasar Gracin (16011658) ed Emanuele Tesauro
(15921675).
Il primo autore di uninteressante analisi del concetto barocco
definito come una osservazione maravigliosa raccolta in un detto
breve
70
. Tale condensazione e compressione dei significati una
delle cause della profonda trasformazione della testualit barocca che
passa dalla classica argomentazione sillogistica a quella parasillogi-
stica, dalle definizioni univoche a quelle equivoche basate sullana-
gramma, lallitterazione e la sillabazione
71
.
Una delle pi chiare esemplificazioni del funzionamento del testo
concettista viene proposta da Gracin, per mezzo del verso attribuito
al poeta latino Ovidio: O, nix, flamma mea
72
. Il gioco linguistico si
articola tra le espressioni Onix e O, nix che si riferiscono
rispettivamente allonice e alla neve per sussumere paradossalmente
pietra, fenomeno atmosferico e fiamma. Secondo Snyder, la sovrap-
posizione tra i tre termini funziona in quanto questultima richiama

67
SNYDER (2005), p. 23.
68
In proposito cfr. Ivi, 5860, 114116, 131132.
69
Ivi, p. 19
70
SFORZA PALLAVICINO (1662), p. 79.
71
SNYDER (2005), p. 58.
72
Il passo commentato in GRACIN (16421648), vol. I, p. 37. Si tratta di unat-
tribuzione oltremodo dubbia.

Fabrizio Palombi 102
lorigine vulcanica della prima che, divenuta fredda e incombu-
stibile con il suo consolidamento, si lega con la seconda per
sostituirla nella versione paradossale del detto prodotta dal sem-
plice inserimento di virgola e spaziatura
73
. Riteniamo che la
polisemia del verso possa essere ulteriormente ampliata se ricordiamo
che lonice una gemma caratterizzata da striature bianche e nere
74
.
In questo modo la fatticit di questo minerale diventa una sorta di
anello di congiunzione tra il bianco e il nero, tra il freddo e il caldo e
dunque tra colore e calore. Attraverso queste considerazioni possiamo
comprendere perch Gracin possa individuare nellequivocit,
nellambiguit e nella polivalenza dei significati del verso ovidiano la
cifra del concetto barocco.
Un altro aspetto caratteristico dei trattati estetici concettisti la
loro lidentificazione con il proprio oggetto che li rende una sorta
di metaletteratura che replica e amplia le qualit delle opere che
intende analizzare
75
.

La mancanza di distanza e differenza stilistica
rispetto al tema trattato si manifesta soprattutto in parentesi che
restano aperte e in lunghe digressioni che sovvertono lordine argo-
mentativo
76
.
Tutti questi aspetti, che abbiamo sommariamente esposto, sono
presenti anche nella testualit lacaniana caratterizzata da un periodare
complesso, da lunghissimi incisi che disorientano il lettore e capo-
volgono il rapporto tra proposizioni principali e subordinate, da
unaggettivazione magniloquente. Lacan sfoggia una grande variet
di figure retoriche con particolare valorizzazione di metafora e meto-
nimia che, come noto, vengono ricondotte ai processi inconsci della
condensazione e dello spostamento
77
.

Anagrammi, allitterazioni e sillabazioni inconsuete rappresentano
spesso i cardini del testo dello psicoanalista francese in un elenco che
non sarebbe n possibile, n proficuo, redigere in questa sede. Per
questo ci appelliamo a un caso esemplare rappresentato dalla formula

73
SNYDER (2005), p. 75.
74
Il termine onice deriva dal termine greco nyks che significa unghia
probabilmente in virt del carattere traslucido della pietra. interessante segnalare
che la moderna classificazione gemmologica dellonice possiede un significato
strettamente cromatico (in questo caso riguardante la stratificazione bianca e nera) e
non composizionale. Cfr. SCHUMAN (2002), p. 158. Ringraziamo Domenico Miriello
per la consulenza scientifica e Raffaele Agujaro per quella letteraria.
75
SNYDER (2005), p. 24.
76
Ibidem.
77
Cfr. CHEMAMA, VANDERMERSCH (1998), pp. 206207.

Lacan e il Barocco 103
del pasdesens che potremmo pensare come il corrispettivo di
Onix nella testualit lacaniana.
In particolare consideriamo loccorrenza di tale locuzione
contenuta nel quinto seminario dove il commento allanalisi freudiana
del motto di spirito viene reinterpretato alla luce della metafora. In
questo testo Lacan afferma che

il pasdesens [] ci che si realizza nella metafora []. Soggettivit la
parola alla quale giungo adesso, poich [] parlando con voi dei cammini
del significante qualcosa continua a mancare []. Quando dico soggettivit,
voglio dire che da nessuna parte si pu afferrare loggetto del motto di spirito
[] perfino il suo carattere di allusione essenziale [] non fa qui allusione a
nulla fuorch alla necessit del pasdesens
78
.

Abbiamo scelto questa formula perch riguarda lanalisi lacaniana
della struttura del senso e, dunque, possiede un valore estremamente
generale. Lo psicoanalista sceglie sapientemente il termine pas il cui
lemma occupa almeno mezza pagina di un buon dizionario francese e
la cui area semantica si articola tra una serie di sostantivi e un
avverbio di negazione. Lelenco dei primi contempla il passo della
gamba, limpronta del piede, il gradino, la soglia, il valico di
montagna e lo stretto marino che consentono metafore antropo-
morfiche, architettoniche e geografiche. Il secondo pu esprimere
ampie sfumature del negativo tra le quali spiccano la carenza, las-
senza e il fallimento.
In questo modo Lacan usa lambiguit della parola per mostrare la
vicinanza tra la mancanza e il passo del senso e teorizza espli-
citamente il valore di questa operazione
79
.

Nel brano citato viene
sfruttata la metafora del viandante per esprimere che ogni tappa del
percorso psicoanalitico del senso consiste nel dire di no, nel sottrarsi
alle identificazioni immaginarie del soggetto evidenziate dalla fase
dello specchio e dal vaso di fiori rovesciato. La metafora pu essere
ulteriormente sviluppata affermando che il senso analitico si mani-
festa quando il discorso inciampa nella dimenticanza e nel lapsus
80
.
Infine ricordiamo che il testo lacaniano si differenzia in modo

78
LACAN (1998), pp. 98100. La traduzione italiana proposta contenuta in
TARIZZO (2003), p. 55.
79
LACAN (1991), p. 64. Inoltre cfr. DERRIDA (1980), p. 2.
80
In FREUD (1901), pp. 190, n. 2, 207, 280 si commentano alcuni aspetti
autobiografici proposti da Ferenczi per mezzo di un paragone tra lincespicare e il
passo falso della cura.

Fabrizio Palombi 104
assai debole rispetto ai temi psicoanalitici che tratta confondendosi
con essi in base allimpossibilit di trattare linconscio in termini
metalinguistici ovvero di dire il vero sul vero
81
.
Questi elementi comuni alla trama del testo barocco e di quello
lacaniano non devono oscurare la diversit degli scopi per i quali
rispettivi tessuti sono prodotti: nel primo caso si tratta di soddisfare le
esigenze di ordine estetico, conoscitivo o didattico dellintelletto
82
,
nel secondo quelle di tipo psicopatologico od onirico dellinconscio.
Il linguaggio che struttura questultimo si esprime innanzitutto nella
quotidianit del sintomo e del sogno e trova nel rebus il suo modello
di riferimento
83
. Il testo lacaniano non riproduce lacutezza dellin-
gegno barocco ma quella dellinconscio e della sua sovradeter-
minazione fondata sulla duplicit fondamentale di significante e si-
gnificato
84
.



6. Il cannocchiale aristotelico

A questo punto possiamo riprendere nuovamente il problema ri-
guardante leterogeneit della scrittura e della rappresentazione gra-
fica in funzione dellinterpretazione del testo lacaniano per risolverlo
mostrando la loro profonda correlazione barocca.
Per comprenderla dobbiamo evocare Il cannocchiale aristotelico,
una delle opere pi significative di Tesauro, menzionato anche nel te-
sto di Baltruaitis .
85
Lantiporta delledizione pubblicata nel 1663
contiene una complessa iconografia, estremamente significativa per i
nostri scopi, nella quale sono rappresentate due donne e uomo che

81
LACAN (1966), p. 872. Inoltre cfr. LACAN (1991), p. 70 e (1975
b
). Rimandiamo
inoltre il lettore al nostro PALOMBI (2004), pp. 359362, 366.
82
Si vive con lintelletto, e tanto pi si vive quanto pi si conosce (GRACIN,
16421648, II vol., p. 380). Cfr. SNYDER (2005), p. 61.
83
Ricordiamo in proposito che Freud, concludendo lanalisi del suo celebre
lapsus riguardante il pittore Signorelli, afferma che i nomi [] sono stati trattati in
questo processo in maniera analoga agli ideogrammi di una frase da trasformarsi in
rebus (FREUD, 1901, p. 61).
84
LACAN (1981), p. 141.
85
BALTRUAITIS (19551984), pp. 185186. I riferimenti sono contenuti nella
terza edizione (1984) ma non nella seconda (1969) e quindi non avrebbe potuto
essere conosciuti da Lacan. Manteniamo il condizionale perch la prima edizione
(1955), che dovrebbe corrispondere a quella citata dallo psicoanalista francese, non
nella nostra disponibilit. Inoltre sulla relazione tra pittura e poesia cfr. LEE (1940
1967).

Lacan e il Barocco 105
simboleggiano rispettivamente la Poesia, la Pittura e Aristotele. La
prima osserva un sole cosparso di macchie per mezzo di un can-
nocchiale che viene sorretto dalla sua mano sinistra e da quelle del
terzo mentre la seconda dipinge uno specchio conico. Sulla superficie
di questultimo viene riprodotto anamorficamente il motto omnis in
unum dellAccademia torinese dei Solitari della quale Tesauro era
membro
86
. Questo cono di Bettini
87
trasforma gli incomprensibili se-
gni disposti intorno a esso in una formula che riassume come la
totalit del mondo, enigmatica e caotica, possa essere ricostituita nel-
lunit dallo specchio che simboleggia un ordine superiore
88
.

Lan-
tiporta rappresenta il rapporto esistente tra le due arti che viene
significativamente mediato dai dispositivi ottici in quanto latto di
vedere anzich di parlare o di scrivere che consente alla Poesia di
perfezionarsi
89
.
Il complesso progetto iconografico di Tesauro crea una sorta di
osmosi nella quale le immagini e parole si scambiano condizione e
funzione
90
per individuare una corrispondenza [] tra le qualit
ottiche dellanamorfosi e quelle della figura poetica stessa
91
.

In
questo contesto si ripropone la particolare importanza della metafora
che accelera spazio e tempo per rendere possibile al lettore di scor-
gere pi di un oggetto in questa figura compressa, veloce e inattesa
[], effettua un cortocircuito nellordine [] delle cose e delle
parole, comprimendole per generare un nuovo nesso tra di loro
92
.
Segnaliamo che Tesauro spesso usa il termine metafora come
lequivalente semantico di unimmagine prodotta da una prospettiva
di scorcio che rappresenta pi oggetti contemporaneamente tra loro
93

86
Ivi, p. 186.
87
Mario Bettini (15821657), gesuita bolognese, docente di scienze e
matematica a Parma, al quale venne dedicato nel 1651 un cratere lunare (Bettinus)
come riconoscimento delle sue ricerche astronomiche. autore di opere teatrali e di
un testo nel quale sono riprodotti dispositivi anamorfici; cfr. BETTINI (1642).
Secondo lo studioso piemontese questo Specchio miraculoso sarebbe stato
inventato a Parigi nel 1627 (TESAURO, 16541670, p. 679). In proposito cfr. SNYDER
(2005), p. 136, n. 12.
88
BALTRUAITIS (19551984),

p. 185.
89
SNYDER (2005), p. 104, corsivo dellautore.
90
In quanto vengono riflesse nello specchio, [] raffigurate nel quadro, e []
incluse [] nellantiporta stessa [] che trasforma i lettori del trattato in spettatori
(Ivi, p. 105). Cfr. TESAURO (16541670), p. 405.
91
SNYDER (2005), p. 106.
92
Ivi, pp. 117120.
93
Ivi, p. 138, n.25. Cfr. TESAURO (16541670), p. 405.

Fabrizio Palombi 106
compenetrati . In questo modo vengono esplicitati alcuni correlati
ottici e anamorfici della metaforizzazione attraverso i quali lo
scrittore piemontese chiama in causa i dispositivi seicenteschi usati
per indagare la prospettiva e le sue regole geometriche .

94
95
Se rammentiamo quanto abbiamo esposto nei precedenti paragrafi
possiamo rilevare la somiglianza di alcuni aspetti stilistici e teorici
della testualit tesauriana e di quella lacaniana. Pi in particolare sono
evidenti le similitudini che esistono tra la superiore unit prodotta
dalla specularit conica alla quale lantiporta allude e la riflessione di
Lacan sulla fase dello specchio e sul dispositivo anamorfico del vaso
di fiori. Crediamo che queste ultime considerazioni permettono di
dissipare le obiezioni sulla validit di uninterpretazione anamorfica e
barocca del testo lacaniano.


7. Leredit surrealista

In termini genealogici potrebbe essere interessante riflettere sul-
lorigine di questa passione lacaniana per lanamorfosi barocca che
attraversa gran parte della sua opera. In questa sede ci limitiamo a in-
dicare, anche sotto questo profilo, il debito della riflessione di Lacan
nei confronti del Surrealismo e, in particolare, di Salvador Dal,
legato da rapporti di amicizia con lo psicoanalista francese.
Questa corrente artistica, dopo aver pubblicato sulle proprie riviste
le prime traduzioni francesi di Freud
96
,

contribuisce a riscoprire
lanamorfosi barocca come attesta la mostra organizzata nel 1936
presso il Museum of Modern Art di New York
97
. Si tratta di unin-
fluenza cos significativa che unaltra importante esposizione dedicata
alla storia di questa corrente, ospitata dalla Biblioteca Nazionale di
Francia nel 1965, individua tra i suoi antenati le realizzazioni ana-
morfiche.
In questo contesto si evidenzia la produzione artistica di Dal for-
temente influenzata sia dallanamorfosi barocca sia dalla psicoana-
lisi
98
come dimostrano alcune sue opere che ci hanno particolarmente

94
SNYDER (2005), p. 118.
95
KEMP (1990), tavv. 365368, 372373.
96
Cfr. FRANCIONI (1982), pp. 111115. In merito alla freddezza di Freud nei
confronti di Breton cfr. MISTURA (2001
b
), pp. 133142.
97
BALTRUAITIS (19551984), p. 205.

98
Ibidem e MISTURA (2001 ), p. 135.
b

Lacan e il Barocco 107
colpito. Il quadro, programmaticamente intitolata Sogno causato dal
volo di unape intorno a una melagrana, un attimo prima del
risveglio
99
, capace di tenere prodigiosamente insieme le teorie
freudiane con il Barocco. Le prime sono evocate dalla funzione di
guardiano del sonno propria del sogno proposto dal titolo e rap-
presentate nel quadro dalle immagini dellinsetto, del frutto e dalla
baionetta minacciosa. Il secondo richiamato dalla curiosa meta-
morfosi della scultura dellelefante del Bernini collocata nella piazza
romana di Santa Maria sopra Minerva. Si tratta di unimmagine ri-
corrente nella produzione del grande artista spagnolo che, nel quadro
intitolato La tentazione di S. Antonio, viene reiterata in una proces-
sione di pachidermi che sorreggono sul dorso obelischi, edifici e una
figura femminile
100
. Due altre opere dal titolo particolarmente si-
gnificativo per i nostri interessi sono Gala e lAngelus di Millet prima
dellarrivo imminente delle anamorfosi coniche
101
e Viso pa-
ranoico
102
nei quali sono evocate le tecniche di deformazione pro-
spettica e i paesaggi antropomorfici
103
ampiamente descritti nel testo
di Baltruaitis.

Inoltre il titolo dellultima opera richiama la sua tecnica della
paranoia critica
104
che ha fortemente influenzato la genesi della teoria
di Lacan sulla Spaltung, la sua prima produzione e in particolare un
saggio dedicato al problema dello stile
105
, che tematicamente ci ri-
conduce al punto dal quale avevamo preso le mosse.


8. Conclusioni: la prospettiva barocca del soggetto

In questo modo crediamo di aver variamente suffragato la nostra
tesi che ora cerchiamo di riassumere e articolare diversamente a
modo di conclusione.

99
1944, Olio su tela, Madrid, Museo ThyssenBornemisza. Ringraziamo
Gianluca Vigna per laiuto nella ricerca iconografica.
100
1946, Olio su tela, Bruxelles, Muses Royaux des beauxArts de Belgique.
101
1933, Olio su tavola, Ottawa, The National Gallery of Canada.
102
1935, Olio su supporto sconosciuto, probabilmente distrutto.
103
Anche questa produzione possiede un correlato nella letteratura barocca: cfr.
SNYDER (2005), p. 117.
104
ROUDINESCO (1993), p. 33.
105
Viene individuato, nellambito dellarte, il conflitto [] tra la creazione
realistica basata sulla conoscenza oggettiva, da un lato, e la superiore creazione detta
stilizzata, dallaltro (LACAN, 1933, p. 351).

Fabrizio Palombi 108
Il testo di Lacan costruito con stile concettista e procedimento
anamorfico in modo che il suo senso possa essere colto solo da una
certa prospettiva teoretica

schiacciata e obliqua in grado di dilatare
parti del discorso apparentemente ridotte e minori e ridurne altre
estese e ridondanti, confusive piuttosto che confuse. Esso obbedisce a
una sorta di geometrizzazione proiettiva
106
che impone di disegnare
immagini deformate in modo che esse possano essere ortopedizzate
da prospettive laterali o superfici curve. Questo aspetto la
controparte stilistica di una necessit psicoanalitica con la quale La-
can deve confrontarsi quando espone i contenuti del discorso in-
conscio in uno pubblico, intessuto di riferimenti artistici e filosofici.
Le conseguenze di questo discorso ci sembrano sintetizzate dalla
riflessione di Deleuze sul prospettivismo barocco che non si pu
ridurre al relativismo proprio della

dipendenza da un soggetto definito []: al contrario sar soggetto solo ci
che viene al punto di vista []. Non il punto di vista che varia col soggetto
[] il punto di vista al contrario la condizione nella quale un eventuale
soggetto coglie una [] metamorfosi o [] anamorfosi. questa lidea di
fondo della prospettiva barocca
107
.



106
Aggettivo che possiede una duplice accezione

geometrica e psicoanalitica.
107
DELEUZE (1988), p. 32.

Lacan e il Barocco 109
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CLAUDIA STANCATI

La parola e limmagine:
linguistica e retorica tra XVII e XVIII secolo




Quello di cui vorremmo qui parlare la nozione di figurativit del
discorso quale si delinea nella retorica tra XVII e XVIII secolo e in
particolare nella teoria delle figure retoriche.
Si tratta di mostrare come nella retorica il passaggio a un diverso e
pi articolato modo di considerare le figure, svincolandole dalla
funzione meramente emotiva e conativa, sia lo specchio di quello
spazio pi ampio che lentamente la filosofia e la teoria della
conoscenza fanno allimmaginazione. Non tanto il formato visivo
in quanto tale che sembra essere loggetto della discussione, ma
lorigine immaginativa delle figure che ne fa prevalentemente il
supporto di funzioni emotive e conative mettendo in ombra le
possibilit di supporto alla cognizione.
Il punto di partenza il background filosofico e logicolinguistico
dellet classica e le discussioni orientate dalla linguistica carte-
siana. Il punto di arrivo quello che pu essere considerato il luogo
pi alto della tradizione retorica francese, lopera classica di Pierre
Fontanier, Les figures du discours pubblicata nel 1830
1
.
Let classica, specialmente in Francia, indissolubilmente legata
alla filosofia cartesiana e alladozione di strategie antiretoriche sul
duplice piano delle modalit argomentative e delle scelte stilistiche.
In effetti, nei testi dellepoca, tutto quello che un tempo si sarebbe
classificato decisamente come retorica prende altre denominazioni
quali: art de parler, art de penser; alla Grammaire e alla Logique i
Messieurs de Port Royal non fanno seguire una Rhtorique. Secondo
Chaim Perelman, il trionfo di Descartes coinciderebbe con la limita-
zione della ragione a ci che per definizione si sottrae allargo-
mentazione e alla prova: ossia levidenza
2
e lunica eccezione a questo
atteggiamento antiretorico sarebbe rappresentato da Pascal, in cui, in

1
Ledizione del 1830 quella in cui lautore fa rifluire tutti i testi pubblicati tra il
1822 e il 1827, compreso il commentario al trattato di Dumarsais.
2
CHAIM PERELMAN, Trait de largumentation, Bruxelles, Editions de lUni-
versit de Bruxelles, 1970, p. 5.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 113123 113
Claudia Stancati 114
modo a volte contraddittorio e con una terminologia esitante, viene
identificato il paradigma dellargomentazione come forma di ragiona-
mento alternativa rispetto alla dimostrazione geometrica
3
.
A ben guardare per, non solo la retorica continua ad esistere nel suo
dominio specifico, ma lo stesso modello dellargomentazione presente
nei quattro capitoli finali della Logique, composta sotto linfluenza di
Blaise Pascal
4
, in cui gli autori si orientano verso una teoria del
ragionamento probabilistico e argomentativo allo scopo di bien
conduire sa raison dans la creance des faits particuliers, soprattutto in
materia di religione, sfuggendo gli eccessi di credulit e il fascino dei
discours ingenieux degli scettici
5
. In questa ultima parte, fissate le regole
del metodo scientifico, Arnauld e Nicole cercano di dare regole per ci
che conosciamo per fede umana o divina. Si tratta della credenza,
opposta alla scienza in quanto conoscenza, sensibile o razionale, derivata
dagli oggetti stessi. Anche la fede ha dunque le sue ragioni messe in
luce grazie allazione persuasiva della ragione umana che, incapace di
comprendere il mistero, fonda tuttavia, a partire dallidea che Dio la
verit stessa, la certezza di un Dio che non inganna, la sottomissione
ragionevole allautorit divina, la persuasione dellaccordo tra fede e
ragione, anche riguardo agli avvenimenti miracolosi. cos che luso del
bon sens cartesiano, e della capacit di distinguere il vero dal falso ha
unapplicazione assai pi ampia, e perci pi necessaria, di quanto non
avvenga nelle scienze speculative, ed usata nel giudicare la formazione
del giudizio di credenza.
Altri temi retorici sono inoltre affrontati in ordine sparso tra la
Grammaire e la Logique e tra questi, appunto, quello delle figure
retoriche. Esse sono collocate nel contesto filosofico generale della con-
gruenza tra pensiero e linguaggio che deve essere governata dal principio
del rispetto dellordre naturel. Le strutture delle lingue storiconaturali
vengono valutate riferendosi alla loro congruit con lordine del pensiero

3
VASSILE FLORESCU La rhtorique et la norhtorique, Paris, Les Belles Lettres,
Bucarest, Editura Academiei, 1982, pp. 135137.
4
Questi ultimi quattro capitoli risultano evidentemente composti sotto linfluenza
delle riflessioni pascaliane, infatti, gli autori de Lart de penser avvertono di aver
utilizzato De lesprit gometrique, un piccolo scritto non pubblicato a stampa dovu-
to al compianto signor Pascal, tra laltro, per i capitoli concernenti le definizioni (A.
ARNAULD P. NICOLE, La Logique ou lart de penser, d. Pierre Clair et Franois
Girbal, Paris, Vrin, 1981, p. 90).
5
Ivi, p. 381.

Linguistica e retorica tra XVII e XVIII secolo 115
di cui sono espressione e su questo aspetto riposa leccellenza del
francese rispetto alle altre lingue volgari e alle stesse lingue classiche.
In linea di principio, linversione tipica delle lingue flessionali, la
mancanza o leccesso di certi elementi, secondo i portorealisti,
segnano i limiti del discorso verbale paragonato al pensiero come
discorso interiore, e rappresentano i principali difetti delle lingue
poich impediscono la loro precisa rispondenza al livello profondo
della grammatica generale, comune a tutte le lingue:

Quel che abbiamo detto sopra della Sintassi basta per comprenderne lordine
naturale, quando tutte le parti del discorso sono semplicemente espresse, non
c neppure una parola in eccesso o in difetto, ed esso conforme al-
lespressione naturale dei nostri pensieri.
Ma dato che gli uomini seguono spesso pi il senso dei loro pensieri che le
parole di cui si servono per esprimerli, e che spesso per brevit essi eliminano
qualcosa dal discorso, oppure, mirando alla grazia, essi vi lasciano qualche
parola che pare superflua, o ne invertono lordine naturale, per tutto questo
essi hanno introdotto quattro modi di parlare che si dicon figurati, e che sono
come altrettante irregolarit nella grammatica, bench talvolta costituiscano
delle perfezioni e delle bellezze e della Lingua
6
.

Anche se si tratta di eccessi o di mancanze che sono accettati in
sede di considerazione retoricostilistica, questo bloissement delle
parole e delle figure stilistiche (sillessi, ellissi, pleonasmo e iperbato)
resta per i Messieurs di Port Royal un rischio di mauvais raison-
nement
7
.
Nellottica del razionalismo cartesiano che essi condividono, il
nuovo metodo per la ricerca della verit insieme ordine e fonte della
conoscenza, la ricerca del vero operata grazie a un lumen naturale
che pu agevolmente fare a meno dellinventio e della dispositio
oratorie in nome dei procedimenti semplici dellanalisi e della sin-
tesi: il filo della meditazione solitaria si oppone al principio della per-
suasione retorica.
Questo conduce non solo ad una ridefinizione dei rapporti tra reto-
rica e filosofia, ma anche a quella dei rapporti tra retorica e grammatica
lasciando alla retorica tutte le figure della passione, nella convinzione
che esse siano portatrici non solo di un riferimento semantico, ma anche

6
A. ARNAULD C. LANCELOT, Grammaire gnrale et raisonne, ou La
Grammaire de Port Royal, d. crit. par Herbert E. BREKLE, fac. de la troisime d. de
1676, StuttgartBad Cannstatt, FrommannHolzboog, 1966; trad. it. Grammatica e
Logica di Port Royal trad. it. a c. di R. Simone, Roma: Ubaldini Astrolabio, 1969, pp.
7879, cfr. A. ARNAULD P. NICOLE, La Logique, cit., pp. 156160, 272 e 27778.
7
A. ARNAULD P. NICOLE, La Logique, cit., p. 278.

Claudia Stancati 116
e soprattutto di una funzione emotiva: les expressions figures signi-
fient, outre la chose principale, le mouvement et la passion de celui qui
parle, et impriment ainsi lune et lautre ide dans lesprit
8
.
Tra Pascal e Lamy luso delle figure come mezzo di espressione
della passione serve da un lato a far corrispondere il discorso alla
natura intrinsecamente dinamica del pensiero e fonda, dallaltro, una
strategia etica di persuasione delluditorio e di conversione richia-
mando in vita il tema delleuphantasiotos di Quintiliano. Lipotiposi
dunque grazie proprio allimmagine permette di conciliare il cuore e
la ragione e di usare la forza delle immagini per servire la verit
suscitando le passioni alte dellanima, prima tra tutte lammirazione.
Non si tratta per di un aspetto accessorio ma costitutivo: le figure
infatti sono per Lamy i marcatori del movimento e della volont
facendo s che il nostro discorso possa realmente somigliare al nostro
pensiero e non comme des cadavres ressemblent des corps
vivants
9
. Per Pascal o Bernard Lamy non si tratta di conferire allim-
maginazione il ruolo maggiore nella genesi del linguaggio (come in
Hobbes attraverso laiuto che limmaginazione fornisce alluso dei
segni) ma di riconoscere il linguaggio figurato come particolarmente
adatto alletica e alla persuasione in materia di religione.
Questa collocazione dellimmaginazione e del linguaggio alla
frontiera tra anima e corpo indispensabile nella filosofia cartesiana
ma talvolta apre pi problemi di quanti non ne risolva. Il luogo
filosofico in cui il cartesianesimo colloca il linguaggio certamente
un luogo centrale poich alla frontiera delle due res ed il testi-
mone unico dellesistenza della mente. Ma, proprio per questa ra-
gione, il linguaggio in rapporto diretto e univoco con il livello pro-
fondo e univoco delle regole espresse dalla grammaire gnrale et
raisonne. Questo significa, inoltre, che lunificazione semantica di
pi cose in una parola operata grazie al potere di astrazione dellin-
telletto e che non riconosciuto allimmaginazione un ruolo deter-
minante e per la costituzione dellesperienza e per la simbolizzazione
del percepito. La critica della facolt immaginativa spesso, dunque,
un passaggio fondamentale come in Franois Lamy che lega indis-
solubilmente limmaginazione e la retorica: la Rhtorique est un art
qui ne nous rempli que dides et dimages sensibles, un art qui ne
fait qubranler limagination; et qui ne parle lesprit que par la voix

8
Ivi, I, p. 14.
9
BERNARD LAMY, Lart de parler, Amsterdam, 1699, p. 55.

Linguistica e retorica tra XVII e XVIII secolo 117
de cette imagination branle
10
o nella Recherche de la vrit di
Malebranche che vede la luce nel 1674 e il cui secondo libro
completamente dedicato alla critica dellimmaginazione.
Nel contesto della sua opera Malebranche trova il modo di discu-
tere degli aspetti connessi alla comunicazione della verit religiosa e
alla persuasione che deve accompagnare questa comunicazione. In
questo ambito, e in relazione a questi scopi, Malebranche non pu
non riconoscere il valore pedagogico delle figure delloratoria:

les figures qui expriment nos sentiments et nos mouvements, lgard des
vrits que nous exposons aux autres, sont absolument ncessaires. Et je crois
que principalement dans les discours de religion et de morale, lon doit se
servir dornements qui fassent rendre la vrit tout le respect qui lui est d,
et de mouvements qui agitent lme et la portent des actions vertueuses
11
.

Le figure retoriche, come dice nel X claircissement la re-
cherche de la vrit, servono a sostituire quellelemento astratto che
inaccessibile alla maggior parte degli uomini
12
a svegliarli e a
condurli alla verit tramite un dirottamento su strade pi agevoli,

10
A. ARNAULD, BRULART DE SILLERY, FR. LAMY, Reflexions sur lloquence,
Paris, 1700, p. 9.
11
N. MALEBRANCHE, IX claricissement, uvres compltes, Paris, Vrin, p. 899.
12
Nel Korte Verhandeling Spinoza aveva negato valore al linguaggio e ad ogni
segno esteriore per la conoscenza di Dio (KV: II, cap. XXIV, 105), nel Tractatus
Theologicopoliticus ammette, invece, una comunicazione di Dio alluomo tramite
segni e parole. Infatti, bench la certezza dellintelletto sia superiore a quella che pu
venire dalle parole e possa essere gustata da tutti gli uomini, disprezzata dal volgo.
Dio comunica, perci alluomo per vie diverse da quelle dellintelletto, sia le cose che
oltrepassano il lumen naturale, sia quelle che lintelletto potrebbe conoscere grazie ai
suoi soli poteri (TTP: cap. I, 201). Per questa ragione la conoscenza profetica, che ha
bisogno dei segni per raggiungere una certezza che morale e non matematica, meno
perfetta della conoscenza naturale, che non ha bisogno dei segni ed certa per natura
(TTP: cap. II, 48; cap. V, 133; cap. VII, 1867). Filosofia, e teologia vengono quindi
separate quanto alloggetto, al metodo e agli scopi. Diretta a un intero popolo e poi a
tutto il genere umano, la Sacra Scrittura, trae i suoi ammaestramenti dallesperienza,
ossia dalle storie fatte di parole o immagini, vere o inventate, dalle quali, per
composizione, si ricava assai di pi di quanto non si trovi nellintelletto e nei principi
della conoscenza naturale (TTP: cap. I, 33). Ma poich solo Cristo conosce senza la
mediazione di parabole e immagini, i profeti usano parole ed enigmi per colpire
limmaginazione, dato che non hanno una mente pi perfetta ma solo unimmagina-
zione pi viva.
Luso antropomorfico e quello narrativo del linguaggio sono accettabili perci,
sul piano teologico, poich la folla incapace di percepire verit profonde (EP: XIX
a Blyenbergh, 111, EP: XXIII a Blyenbergh, 148).

Claudia Stancati 118
attraverso ci che, cadendo sotto il dominio dei sensi e dellim-
maginazione, pu aiutarli a fissare e sostenere la vue de leur esprit,
ricalcando una posizione tipicamente spinoziana
13
. Egli fa del-
limmaginazione una forza essenzialmente comunicativa dal mo-
mento che les personnes passiones nous passionnent
14
ma questo
non ne diminuisce la rischiosit come mostra lesempio di Montaigne
la cui opera , a suo giudizio, il prototipo di idee false ma belle, di
discours mal raisonns mais bien imagins
15
.
La polemica di Malebranche ha dunque di mira un obiettivo di
portata non solo letteraria ma pi generalmente gnoseologica, filo-
sofica e teologica. Si tratta di svalutare il ruolo dellimmaginazione,
considerata quasi un veleno per lintelligenza, nel processo cono-
scitivo e di mostrare come i discorsi figurati per quanto piacevoli
possano essere, come quelli di Montaigne, sono pericolosi perch
coprono con pltre e fard il relativismo e lo scetticismo.
Questo attacco allo stile sovrabbondante e alla mollezza delle fi-
gure retoriche , in Malebranche, causa e conseguenza della sua op-
posizione tra dialettica, o meglio filosofia, e retorica; rifiutando la
polimatia delle lingue, egli relega per sempre la sapienza linguistica
ed etimologica vicino alla filologia separandola dalla filosofia e rical-
cando da vicino quanto dallinterno della retorica la corrente atticista
e classicheggiante scriveva contro lo stile senechiano e lasianismo.
Nelle discussioni che si svolgono in quegli anni nel campo della
letteratura e della retorica sul carattere figurale del discorso evidente un
duplice passaggio: lo slittamento della retorica che da un lato si allontana
dalla teoria dellargomentazione e, dallaltro tende a sovrapporsi alla
poetica e a rivaleggiare con lespressivit delle arti plastiche.
In quegli anni questa separazione codificata da un personaggio
del rilievo di Boileau, autore di una traduzione del Trattato sul su-
blime dello Pseudolongino. Ne LArt potique, opera che esce nello
stesso anno 1674 dellopera di Malebranche, Boileau svolge il tema
della natura e dellimportanza dellimmagine nel discorso operando
una distinzione dettagliata tra i diversi tipi di figurativit e riservando
il nome di figura in senso stretto a una sorta di movimento straor-
dinario, quel tipo di ipotiposi che spesso approda addirittura allinef-

13
N. MALEBRANCHE, X claricissement, uvres compltes, Paris, Vrin, 1967, p. 900.
14
Ivi, pp. 180 e 176.
15
Ivi, pp. 199 e 205.

Linguistica e retorica tra XVII e XVIII secolo 119
fabile, come quando, nellOdissea, Omero mette sotto gli occhi del
lettore il tragico silenzio di Aiace agli inferi.

Ces Images que dautres appellent Peintures ou Fictions, sont aussi dun grand
artifice pour donner du poids, de la magnificence et de la force au discours. Ce
mot dImage se prend en gnral pour toute pense propre produire une
expression et qui fait une peinture lesprit de quelque manire que ce soit.
Mais il se prend encore dans un sens plus particulier et plus resserr, pour ce
discours que lon fait, Lorsque par un enthousiasme et un mouvement
extraordinaire de lme, il semble que nous voyons les choses dont nous
parlons, et quand nous les mettons devant les yeux de ceux qui coutent
16
.

Questa stessa differenza tra figure di tipo metaforico con funzione
cognitiva e figure di tipo passionale con funzione eminentemente
fatica, emotiva e conativa pu essere ritrovata nelle parole di La Bruyre:

Les esprits justes et qui aiment faire des images qui soient prcises, donnent
naturellement dans la comparaison et la mtaphore. Les esprits vifs, plein de
feu, et quune vaste imagination emporte hors des rgles et de la justesse, ne
peuvent sassouvir de lhyperbole. Pour le sublime il ny a , mme entre les
grands gnies, que les plus levs qui en soient capables
17
.

Una delle opere di retorica pi influenti degli inizi del XVIII
secolo La Rhtorique ou les rgles de lloquence di Balthazar
Gibert, professore al Collge des Quatre Nations dove ha tra i suoi
allievi lo stesso Dalembert.
Lopera di Gibert, se pure destinata a fini didattici, non priva di
un qualche interesse teorico poich tenta di distinguere la retorica
dalla filosofia, riservando certo a questultima la scoperta di nuove
verit, ma liberando la retorica dal legame con la mistificazione e
linganno per considerarla piuttosto come una capacit creativa: lart
de mettre la vrit son jour
18
.
La figura delloratore disegnata da Gibert quella di un cono-
scitore profondo della lingua, capace di chiarezza e di eleganza, lon-
tano da quelle che chiama lenflure e laffectation. Alloratore
sono necessari du gnie, de lart, du travail, de la prudence et de
lusage
19
, un non so che che si potrebbe identificare con il pasca-

16
BOILEAU, Oeuvres compltes, Paris, Galllimard, 1966, p. 365.
17
LA BRUYERE, Les Caractres, Paris, Garnier, 1962, p. 55.
18
BALTAZAR GIBERT, Jugements des savants, Amsterdam, 1725, Prface, p.
XXXVIII, p. 75 n. 1.
19
B. GIBERT, La rhtorique ou les rgles de lloquence, Paris, Champion, 2004,
Prface, pp. XXXVIII e 463.

Claudia Stancati 120
liano esprit de finesse poich si aggiunge allesattezza e al rigore
propri della grammatica e della dialettica.
Distinguendo, ancora con Pascal, larte di convincere da quella di
persuadere, Gibert richiede per persuadere des motifs, des ressorts,
des merveilles, une abondance, une varit, ci di cui solo unarte
quale la retorica pu disporre tant ladresse de gouverner les
hommes par la parole dans laction de la vie, les connaissances essen-
tielles qui procurent ce talent sont troitement lies avec la connais-
sance du cur humain
20
.
Gibert individua tre stili: semplice, ornato e sublime. lo stile
ornato ad essere costruito con les mtaphores, les nergies, les anti-
thses, les hyperboles et autres manires de sexprimer, qui donnent
plus concevoir quelles ne disent
21
. In particolare, metafora e
similitudine sono ce quon appelle image sensible dans lloquence,
nel primo caso attraverso lo sviamento dei termini dalla loro abituale
accezione semantica, nel secondo caso, attraverso il richiamo ad una
figurativit che ricalca limmagine sensibile che Gibert evoca con gli
stessi versi attribuiti a Brbeuf e citati da Malebranche:

Cest de lui que nous vient cet Art ingnieux
De peindre la parole et de parler aux yeux,
Et par les traits divers de figures traces
Donner de la couleur et du corps aux penses
22
.

Gibert ricorda che le figure mettono

les choses devant les yeux [] les preuves palpables [] les peintures vives
et circonstancies, ce dramatique, ces nobles imaginations [] tout cela est
leffet dun gnie heureux, dun enthousiasme; dun mouvement extraordi-
naire de lme qui reprsente dune manire sensible toutes les choses dont
on parle [] les images contribuent labondance [scilicet du discours],
puisque outre les mots propres ou consacrs, elles en fournissent des mta-
phoriques. Elles contribuent la noblesse du discours parce quelles llvent
audessus du langage populaire, sans se servir pourtant dautres termes que le
peuple et sans sloigner du bon sens qui se fait sentir au peuple mme; elle
contribuent la beaut de lexpression, puisque par leur moyen on donne une
air de nouveaut tous les mots quon applique heureusement des choses
nouvelles
23
.

20
Ivi, pp. 78, 76, 71.
21
Ivi, pp. 305 e 408.
22
Ivi, p. 450. Cfr. N. MALEBRANCHE, op. cit., pp. 111112 n.
23
Gibert lo dice riferendosi a Lamy Rflexions sur la rhtorique. Troisime
rflexion, pp. 1012 in B. GIBERT, La rhtorique, cit., p. 409 n. 10.

Linguistica e retorica tra XVII e XVIII secolo 121
Come chiarisce Gibert nel 1725 nel suo Jugemens des savants
esistono due accezioni possibili di immaginato. In un primo senso si
tratta di ci che immaginato ed dunque irreale o falso in opposi-
zione a ci che vero e reale, in una seconda accezione ci che
semplicemente evocato e prodotto grazie a une facult que nous
avons de concevoir des choses sous des images
24
.
Per il tramite dello stesso Dumarsais, oltre che del suo allievo
DAlembert, Gibert ha una influenza sullEncyclopdie i cui articoli
di Grammaire e Littrature conoscono, attraverso la fortunata ristam-
pa dellEncyclopdie mthodique, una lunga fortuna.
Beauze nellarticolo Figure qualifica come figura un tour de
mots et de penses
25
e pone questo meccanismo alle origini di lingue
rozze, primitive e povere. Lespressione della vrit toute nue
spetta ancora per Beauze al linguaggio semplice, mentre al discorso
figurato demandato il compito di restituire, attraverso le immagini,
la passione di chi parla e laura emotiva che proiettiamo sulla natura e
sulle cose. Lelenco delle figure proposto da Beauze cos det-
tagliato da costituire, in poche pagine, quasi un modello di quella che
sar la trattazione amplissima di Fontanier che si pone come colui che
completa il lavoro di Beauze e soprattutto di Dumarsais.
Quando, dopo la Rivoluzione, Fontanier pubblica il suo trattato sulle
figure del discorso intraprende la sua analisi distaccandosi dalla
tradizione ampia della retorica aristotelica, ma anche marcando la sua
distanza rispetto a Dumarsais, cui rimprovera di aver trattato solo i tropi
di significato senza distinguere quelli nati per esigenze linguistiche (per
esempio una carenza del lessico) dai tropi di stile che indicano appunto
una scelta stilistica e sono relativi alla tipologia del discorso. Il trattato di
Fontanier segna cos il passaggio della teoria delle figure dalla retorica
alla stilistica, e fornisce un repertorio esau-stivo delle figure perch

24
B. GIBERT, Jugements des savants, cit., p. 339. In questo secondo senso lim-
maginazione aveva avuto un suo preciso, e ben delimitato, ruolo anche nelle Regulae
cartesiane, ruolo che era stato riconosciuto e accresciuto da cartesiani quali Bernard
Lamy e Cordemoy e che verr progressivamente ampliato nel corso del XVIII secolo
riconoscendo allimmaginazione, non solo un ruolo fondamentale per il linguaggio, ma
un ruolo via via crescente per la conoscenza, come dir Condillac, la facolt di formare
immagini non solo una facolt riproduttiva ma fait notre gr des combinations
toujours nouvelles (ETIENNE BONNOT DE CONDILLAC, Essais sur lorigine des con-
naissance humaines, d. Ch. Porset, Paris, Galile, 1973, p. 143 nota); e avverte: ainsi
le mot dimagination aura dsormais chez moi deux sens diffrents.
25
DUMARSAIS, BEAUZEE, MARMONTEL, VOLTAIRE, Encyclopdie mthodique,
Grammaire et Littrature, 3 voll., Genve, Slatkine (dalled. 1782), 2002, vol. II, p. 98.

Claudia Stancati 122
esamina tutti i tipi di figure siano esse de mot o de pense, espresse,
cio, non da una parola, ma da enunciati complessi.
Nelle sue definizioni troviamo alcuni elementi interessanti per il
nostro discorso: idee pensieri e sentimenti sono sullo stesso piano
quanto alla possibilit di servirsi dellespressione figurata, non si
tratta quindi pi di un modo di espressione riservato al linguaggio
delle passioni contrapposto al rigore del linguaggio dellintelletto. La
specificit della figura si costituisce sempre riguardo alla norma
dellespressione semplice e comune. Le figure, infatti, sono destinate
a suggerire, per vie impreviste, una realt altrimenti sfuggente o
addirittura inaccessibile. Per Fontanier le figure sono, alla maniera di
Quintiliano, forme rinnovate dallarte:

le mot figure na d dabord se dire que des corps, ou mme des hommes et des
animaux considrs physiquement et quan aux limites de leur tendue. Et, dans
cette premire acception que signifietil? Les contours, les traits, la forme
extrieure dun homme, dun animal ou dun objet palpable quelconque. Le
discours, qui ne sadresse qu lintelligence de lme, nest pas, mme considr
quant au mots qui le transmettent lme par les sens, un corps proprement dit. Il
na donc pas de figure proprement parler. Mais il a pourtant, dans ses diffrentes
manires de signifier et de sexprimer, quelque chose danalogue aux diffrences
de forme et de traits qui se trouvent dans les vrais corps [] Les figures du
discours sont les traits, les formes et les tours plus ou moins remarquables et dun
effet plus ou moins heureux, par lesquels le discours, dans lexpression des ides,
des penses et des sentiments, sloigne plus ou moins de ce qui en et t
lexpression simple et commune
26
.

Non tutti tropi sono dunque figure ma solo quelle che si distaccano
non dalluso bens dallespressione simple per adottare quella che
Fontanier chiama lespressione feinte riportando cos il termine
figura alla radice semantica fingere, la stessa di fiction.
Nella formazione e nelluso delle figure trovano il loro spazio sia
la sensibilit acustica (o dellanima in relazione allorecchio come la
intende Fontanier) sia altri elementi. La passione piuttosto una cau-
sa motrice delle figure poich determina le diverse facolt a produrle;
allimmaginazione possono essere riportate quelle figure che servent
peindre, faire image
27
, ma motore del discorso figurato pu
essere la stessa ragione in quanto mira a persuadere e a convincere o
suggerisce percorsi imprevisti. La classificazione dettagliatissima, la
cartografia fine delle figure del discorso, disegnata da Fontanier

26
PIERRE FONTANIER, Les figures du discours, Paris, Flammarion, 1977, pp. 6364.
27
Ivi, p. 462.

Linguistica e retorica tra XVII e XVIII secolo 123
permette dunque di riportare le figure alle loro cause generatrici e
motrici: imagination, esprit et passion. Per Fontanier le figure non
supportano pi soltanto le funzioni emotive, conative ed etiche del
discorso, ma esse tornano ad essere uno strumento per mostrare la
struttura dinamica del pensiero, cui il discorso cerca di adeguarsi, in
una sintesi finalmente realizzata dellintelletto e dellimmaginazione.






ALBA BATTISTA

Immagine e immaginazione attraverso Giacomo Leopardi



La poesia ritrova ci che si articola in noi, a nostra insaputa.
MAURICE MERLEAUPONTY, Le visible et linvisible


1.1. Introduzione

Cosa limmagine prima di diventar parola? C qualcosa come
una immagine prima della parola? E se il corpo della parola poetica
coincide con il suo senso, allora, come non c anima senza corpo,
cos non ci sar immagine senza parolacorpo! Questioni ampie ed
ambiziose ma utili e necessarie per chi intende occuparsi di lin-
guaggio poetico.
Tutta larte un pensiero che si attua per mezzo di immagini che
ci spiegano ci che ignoto mediante ci che noto: le percezioni
indefinite, cangianti e mutevoli, restano attratte nelle immagini; in
questo modo il significato si avvicina alla nostra comprensione
attraverso qualcosa che ci familiare secondo la seguente relazione:

PERCEZIONEIMMAGINECOMPRENSIONE

Le cose possono per cambiare se in gioco mettiamo altri ele-
menti:

SENSAZIONEIMMAGINEPENSIERO

oppure:
RICORDOPRESENZAATTESA

Per cominciare diremo che limmagine non imita la materia, ha
piuttosto la pretesa di oltrepassarla; essa non emblema di qualcosa o
copia di oggetti assenti, crea piuttosto un nuovo oggetto: diventa un
vero e proprio mezzo del linguaggio poetico utile per sentire
loggetto. Scopo dellarte, infatti, proprio quello di trasmettere
limpressione delloggetto come visione e non come riconoscimento;
cos, il processo percettivo si dilata, si prolunga e le parole non
Bollettino Filosofico 22 (2006): 125-146 125
Alba Battista 126
serviranno soltanto per esprimere un pensiero o per designare un
oggetto, ma aiuteranno a trascenderne il senso.
Per Giacomo Leopardi cosa naturale considerare innanzitutto la
poesia come forma di conoscenza il cui strumento privilegiato sono le
immagini. Soprattutto negli scritti di prosa, ma anche nei Canti,
troviamo la nozione di immagine come elaborazione formativa del
senso. Suo punto di partenza stato sostenere che le immagini sono
presenti alla nostra mente ancor prima di diventare linguaggio; che le
immagini e non il linguaggio sono lelemento naturale delluomo,
lelemento che qualcuno definirebbe biologico e che il linguaggio
poetico (pi di qualsiasi altra forma di linguaggio), riesce meglio a
superare il confine tra dire e immaginare. come se limmagine
poetica avesse in s un valore aggiunto: quello cio di fornire
immagini che sfuggono ad una determinazione oggettiva. Compito
della parola poetica quello di riuscire a mostrare evitando di
determinare esattamente.
Discorso, quello sullimmaginazione, che in Leopardi si intreccia
a doppio filo con quello relativo alla conoscenza. Nello Zibaldone si
legge pi volte come essa sia considerata vero e proprio strumento del
conoscere, e come partecipi da protagonista alla ricerca della verit. Il
proprium di Leopardi rispetto alla tradizione di pensiero a lui pure
coeva, sta nel riconoscere e potenziare la forza rivelatrice della
ragione inventiva capace di rafforzare la stessa ragione analitica.
Mentre nella maggior parte della filosofia moderna lim-
maginazione stata spesso considerata con una certa diffidenza, per
Leopardi rappresenta uno dei principali traitdunion tra filosofia e
poesia: secondo lui, infatti, il filosofo e il poeta hanno in comune il
talento di collegare tra loro le cose pi diverse. un tema antichis-
simo, che da Aristotele a Diderot trova da sempre spazio nella storia
della filosofia.
Avventurandoci nellintricato sentiero dellimmaginazione, occor-
re fare un passo indietro e ricordare come, nel pensiero occidentale,
limmaginazione si trovi spesso accanto alla fantasia, alla percezione
e, pi in generale, alla sensazione. Ma non sar questa la sede dove
soffermarsi sulle dovute distinzioni tra comprensione e utilizzo di tali
termini allinterno della storia della filosofia. A noi interessa piuttosto
il divenire linguaggio dellimmaginazione e, pi nello specifico, il
suo divenire linguaggio poetico. Leopardi sar lautore al quale chie-
dere risposte e, nel farlo, dovremo naturalmente tener presente che il
territorio su cui egli si muove pur sempre quello sensistico settecen-

Immagine e immaginazione: Leopardi 127
tesco oltre, naturalmente, leredit lasciata dalla tradizione rinasci-
mentale mediata, tra gli altri, da Giambattista Vico che affida allim-
maginazione una funzione sintetica rispetto ai dati discreti della per-
cezione. La koin aisthesis, il latino sensus communis, diventano nel
Settecento il sensorio comune, ovvero allimmaginazione viene rico-
nosciuta una funzione essenziale nella sfera della facolt conoscitiva;
ma la novit vichiana sta proprio nellaver rielaborato tutta la tradi-
zione a lui precedente sulle nozioni di ingeniumimmaginazione
fantasia e di averli messi a frutto come principi della creativit lin-
guistica
1
. Soprattutto nel XVIII secolo si riprende lidea leibniziana
di immaginazione come senso interno
2
, e Voltaire, nella voce Imagi-
nation dellEncyclopdie, critica la distinzione razionalistica tra im-
magine e idea proposta da Cartesio.
Dagli illuministi e dallEncyclopdie, Leopardi attinger nel consi-
derare la ragione umana e limmaginazione come due diversi modi di
leggere la realt ma derivanti da una comune sorgente. Le operazioni
mentali, ragione e poesia, sentimento e passione, hanno tutte ununica
fonte: la immaginazione; conseguenza naturale che essa non pi
intesa soltanto come semplice facolt mediatrice tra senso e intelletto
(Zib. 213334). Anche la distinzione tra imaginatio e phantasia non
era ancora del tutto chiara, si dovr attendere la fine dellOttocento
per consegnare la phantasia allambito del puramente irreale e per as-
sistere alla nascita della nouvelle psychologie, che sposter la querelle
sullimmaginazione verso valenze scientifiche, e la differenza tra fan-
tasia e immaginazione sar fissata nel fatto che la prima coglie dal
sensibile ed improvvisa, mentre la seconda attinge da una sfera pi
ampia che riguarda altri ambiti sensibili.
Ma il complicato processo di mediazione che dalla sensazione pas-
sa attraverso limmagine e diventa poesia, pu essere letto attraverso
una ricostruzione (parziale) di una teoria dellimmagine che, inevi-
tabilmente, ci conduce ad una distinzione tra icona, simbolo ed im-
magine.
Alla base della poesia, vi sono quelli che il padre fondatore della
semiotica, Charles S. Pierce, definisce segni misti
3
tra icone e sim-

1
L. FORMIGARI, G. CASERTANO, I. CUBEDDU (eds.), Introduzione in EOD., Ima-
go in phantasia depicta, Roma, Carocci, 1999, p. 143.
2
E. CANONE, Phantasia e imaginatio come problema terminologico nella les-
sicografia filosofica tra Sei-Settecento, Bari, Laterza, 1983, p. 32.
3
C.S. PEIRCE, Collected Papers 2.302, trad. it. Opere, a c. di M.A. BONFANTINI,
Milano, Bompiani, 2003, p. 175: I simboli crescono. Essi vengono allesistenza svi-

Alba Battista 128
boli, principali responsabili dello sviluppo del linguaggio della poe-
sia. Mentre licona, risultato della somiglianza tra un segno ed un
oggetto
4
un modo diretto e, allo stesso tempo, potenziale per co-
municare unidea, il simbolo, invece, in relazione con il suo og-
getto solamente in conseguenza di unassociazione mentale e dipende
da un abito
5
; man mano che ci si allontana dalloggetto il simbolo si
arricchisce di significati
6
, ed da questa lontananza dalloggetto che
dipende la ricchezza del linguaggio simbolico della poesia, perch
quanto pi lontano dalloggetto quanto pi simbolico tanto
pi il risultato sar raggiunto: quello cio di costruire una realt
poetica interna al testo.
Facendo un passo avanti (rispetto al Leopardi) di almeno un
secolo, e rivolgendoci alla tradizione formalista russa, vediamo come
limmagine considerata uno dei mezzi del linguaggio poetico
7
ed
equivale, in sostanza, a tutti i mezzi di rafforzamento delloggetto.
Nel linguaggio pratico gli oggetti vengono considerati nel loro
numero e volume, le parole non vengono pronunciate fino in fondo e,
nella coscienza, appaiono solo i primi suoni delle parole; nel lin-
guaggio pratico, insomma, la parola non viene pensata, loggetto si
inaridisce nella sua riproduzione, si automatizza, si realizza come in
base ad una formula. In poesia, invece, ci aiuta a sentire le cose, a
vedere il rosso rosso e a sentire la pietra pietrosa come scrive il
formalista Sklovskij
8
per rendere meglio la nozione di immagini non
visualizzabili che portano con s un significato ma che, per essere
compreso, ha bisogno che la comprensione si sposti su un livello di
astrazione che dallimmagine rappresentata vada verso un concetto
altro, verso un livello di astrazione superiore.

luppandosi da altri segni, soprattutto dalle icone, o, meglio, da segni misti che par-
tecipano della natura di icone e di simboli. Noi pensiamo soltanto per segni. []. Un
simbolo, una volta in vita, si diffonde fra la gente. Con luso e con lesperienza il suo
significato si arricchisce []. Il simbolo pu, con la sfinge di Emerson, dire
alluomo: Dellocchio tuo io sono il raggio. Altri riferimenti a pp. 165, 885.
4
Ivi, 3.362, p. 887.
5
Ivi, pp. 171172.
6
Ivi, p. 175.
7
Sui formalisti vedi: P. STEINER, Russian Formalism. A Metapoetics, Ithaca
London, Cornell University Press, trad. it. Il Formalismo russo, Bologna, Il Mulino,
1991; T. TODOROV, Thorie de la littrature, Paris, Editions du Seuil 1965, trad. it. I
formalisti russi, Torino, Einaudi, 1968.
8
Cfr. R. SCHOLES, Semiotic and Interpretation. New Haven, Yale University
Press, 1982, trad. it. Semiotica e Interpretazione. Bologna, Il Mulino, 1985, p. 69.

Immagine e immaginazione: Leopardi 129
soprattutto nellambito culturale francese che, nel Novecento,
limmaginazione riafferma il proprio ruolo gnoseologico riprendendo
e ampliando quanto gi avevano fatto i Romantici. Sar in particolare
JeanPaul Sartre, oltre a sottolineare la distinzione tra percezione ed
immaginazione, a ribadire che porre unimmagine significa costi-
tuire un oggetto in margine alla totalit del reale, significa, cio, tene-
re il reale a distanza, liberarsene, in una parola negarlo
9
. questa
unestremizzazione di quanto sostenuto gi da Husserl sulla natura
dellatto immaginativo che, in nessun modo, deve essere inteso come
una copia sbiadita delle nostre percezioni: non un quadro attaccato
alle pareti della coscienza
10
, ma unintenzione differente, sempre
un atto intenzionale.


1.2. Sensazione e segno

Immaginazione un termine (meglio: una parola) semantica-
mente complesso, denota insieme pi cose: indica innanzitutto la fa-
colt mentale grazie alla quale immaginiamo; pu indicare lattivit
stessa dellimmaginazione o, pi semplicemente, loggetto della no-
stra immaginazione.
Restringendo il campo dellindagine allo spazio dellimmagina-
zione poetica, le cose non si fanno pi semplici: le ricerche non pren-
dono mai ununica direzione, non sono quasi mai univoche, si intrec-
ciano con:
la memoria,
la fantasia,
la percezione,
la meraviglia,
il simbolico.
Tra le tante domande che a questo punto bisognerebbe porsi, ce
n una in particolare che meriterebbe unadeguata risposta: la
percezione ha un carattere semiotico? e la conservazione/trasfor-
mazione dei concetti percettivi nei significati, come avviene?
Leopardi ci suggerisce quanto segue:


9
J.P. SARTRE, Immagine e coscienza, Torino, Einaudi, 1948, p. 270 (cfr. anche
ID., Limmaginazione, Milano, Bompiani, 1962).
10
E. HUSSERL, Ricerche sulla fenomenologia e sulla teoria della conoscenza, in
ID., Ricerche logiche, Milano, Il Saggiatore, 2001, p. 81.

Alba Battista 130
Lanima simmagina quello che non vede, che quellalbero, quella siepe,
quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura
cose che non potrebbe se la sua vista si estendesse da per tutto, perch il reale
escluderebbe limmaginario (Zib. 171).

Provando ad immaginare (nel senso stretto della parola) il movi-
mento dellimmaginazione del poeta, vedremo come ci sia un pensare
mediante concetti, ossia un pensare delimitato: si pu pensare al con-
cetto come ad un recinto capace di contenere tutte le entit che rien-
trano dentro il concetto; avvertiamo dunque per prima cosa il senso
del limite perch concetto significa soprattutto questo ma, in-
sieme, avvertiremo che se c un limite, c anche qualcosa che sta
oltre, e ci sar anche il desiderio di oltrepassarlo. Lopposizione
dentro/fuori costretta ad essere ripensata in quanto congiunzione di
movimenti che nel loro esser tali reciprocamente interferiscono, per
cui dentro anche fuori e fuori possibilit del dentro. Il limite pu
essere pensato mediante un pensiero non concettuale, immaginativo,
che allude, mediante il finito (cio limmagine poetica) a ci che non
pu direttamente dire.
Tale operazione, che da dentro il recinto, dentro il pensare con-
cettuale, cerca di portare fuori di esso e senza tuttavia poterlo real-
mente fare suscita meraviglia: una meraviglia che si prova anche
di fronte al fatto inconsueto, che allarga i confini del noto, del pen-
sabile.
La meraviglia allo stesso tempo causa ed effetto della poesia:
causa, perch la poesia cerca di superare lo sconcerto della meraviglia
con la parola poetica. Per Leopardi la meraviglia causa poetica
perch il contrasto fra cose incompatibili provoca lo straordinario
(Zib. 1915); allo stesso tempo essa effetto della poesia perch
fonte di piacere, provoca diletto, ci a cui tendono principalmente le
arti (Zib. 6).
Questa la poesia. lo stupore che diventa esperienza di una visi-
tazione non prevedibile, che si sottrae alla previsione della volont:
lessere colpiti quasi lessere visti da qualcosa che improvvisamente
emerge ed avanza, svela un mondo nuovo, e questo colpo richiede
una risposta. Il linguaggio del poeta non pu rappresentare un freno a
questa risposta, a meno che non ci sia una siepe a circoscrivere e
suscitare la meraviglia che scuote lanimo del poeta.
Il tipo di meraviglia suscitato dalla poesia effetto dellintuizione
del poeta che dispone, in una forma che non pu ripetere il visibile
ma rende visibile lo straordinario. ci che MerleauPonty chiame-

Immagine e immaginazione: Leopardi 131
r, usando un termine di Spinoza, scienza intuitiva, volendo defini-
re la pittura di Czanne come un tipo di arte liberata dalle abitudini
percettive
11
. La scienza intuitiva si intreccia con lo stupore, con il
colpo, prodotto da ci che si espone allo sguardo, che si rende visi-
bile, colpo che chiede una risposta. Scienza intuitiva , come sap-
piamo, espressione usata da Spinoza nellEtica; non facile com-
prendere a fondo cosa significhi: indica comprensione delle cose, dei
modi, attraverso gli attributi della sostanza; si tratta di uno stare den-
tro non simbiotico, un accesso allo spazio originario del sentire.
Quella meraviglia da cui, secondo Aristotele (Metafisica), nasce la
filosofia e che Hegel ci insegna ad avvertire come condimento indi-
spensabile per qualsiasi buona ricetta, non solo per lintuizione arti-
stica e per quella religiosa, ma anche per la stessa ricerca scientifica:
tutto inizia con la meraviglia. Hegel parla di uno stato di ottusit, di
torpore in cui cade luomo che preda di essa
12
.
Larte ha bisogno di restituire allimmaginazione o nel senso
hegeliano, alla meraviglia gli oggetti, per poterli cogliere realmen-
te, collocandoli in una coscienza immediata, naturale. Come intuito
dai formalisti russi, larte demeccanicizza la percezione, cio, riporta
i termini alla condizione di parole, riporta il circoscritto (e quindi
noto, abituale, ovvio, stanco) allincircoscritto, ignoto, forte, stupefa-
cente.
Naturalmente, nessuno ha mai avuto la presunzione di dire lindi-
cibile, altrimenti saremmo davanti ad un ingenuo paralogismo: dire
lindicibile, appunto. Resta tuttavia il fatto che molti scienziati, fi-
losofi o poeti Leopardi compreso, hanno provato pi volte a sca-
valcare quel recinto.
Lindicibile posso, per cos dire, accerchiarlo dal di dentro, dicen-
do molto ma solo poeticamente; perch principalmente in questo
senso che va intesa la creativit dei significati linguistici: in essi pos-
siamo spostare dallinterno i confini del nostro mondo
13
. E proprio
questo ingorgo di linguaggio poetico ci mette in contatto (ma non in
senso logico, bens in senso estetico) con lal di l dei concetti, della
logica, e quindi del linguaggio. In questo la poesia contigua alla

11
M. MERLEAUPONTY, Senso e non senso, Milano, Il Saggiatore, 1962, p. 128.
Sulla lettura filosofica della pittura di Czanne si veda G. CIANCI, E. FRANZINI, A.
NEGRI, (eds.), Il Czanne degli scrittori, dei poeti e dei filosofi, Milano, Bocca, 2001.
12
G.W.F. HEGEL, Vorlesungen ber die sthetik 1836-38, trad. it. Estetica, Tori-
no, Einaudi, 1967, vol. II, pp. 356357.
13
D. GAMBARARA (ed.) Semantica, Roma, Carocci, 2000, p. 39.

Alba Battista 132
scienza, scienza del limite. scienza del dentro e del fuori, fra pen-
sabile e impensabile, fra limite e desiderio del non limitato.
Il poeta, permettendoci un gioco di parole, lo scienziato non
scientifico del limite. Ed qui che entra in gioco limmaginazione
come strumento che permette al poeta di uscire dal recinto. Si avr
stupore e meraviglia, che nellesperienza poetica costituiscono il pia-
cere estetico; si avr quello straniamento che si avverte quando si ha
la sensazione di una non coincidenza in una rassomiglianza (ovvero
lirrompere del simbolico nelliconico): loggetto si sposta dalla sua
percezione abituale nella sfera di una nuova percezione, creando cos
unoriginale variazione semantica.
Giunti a questo punto, ci troviamo perfettamente immersi nel
liquido amniotico del pensiero leopardiano perch, a differenza dei
folli che oltre quel recinto annegano, il poeta resta in bilico sul
confine, e il nostro Leopardi sembra farlo meglio di altri.
Per lui non c dualismo: la ragione e limmaginazione sono due
diversi modi per leggere la realt. Ma allora come interpretare laf-
fermazione immaginazione e intelletto tuttuno (Zib. 21334) se
non che ad ogni nostro atto di appercezione, anche il pi mediato e
ragionato consustanziale un dato di metaforicit, di poeticit, senza
il quale non esiste conoscenza, non esiste invenzione
14
.
Secondo Leopardi limmagine risiede nellocchio e quindi nel
corpo o meglio ha bisogno di passare attraverso il corpo e i sensi
per giungere allintelletto:

Lanimo si dipinge sempre nellocchio. (Zib. 1576).

E prima ancora (Zib. 183) annotava come ci possano essere delle
visioni completamente sganciate dalla vista; sono quelle immagini
che appartengono alla vista dellanima, indipendenti dalla volont
e, addirittura, estranee anche alla facolt della memoria. Si tratta di
immagini senza riferimento (causale). Ci sono visioni, infatti, che
sopraggiungono allimprovviso, e sono talmente singolari che nean-
che volendo saremmo riusciti a richiamarle alla nostra memoria. Leo-
pardi non sa che nome dare a questo tipo di immagine, riesce per a
stabilire almeno un particolare momento della vita in cui essa si pre-
senta: lo stato della veglia; quel particolare momento in cui non ci si
ancora completamente abbandonati al sonno ma, allo stesso tempo, in

14
S. GENSINI, Linguistica leopardiana, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 110.

Immagine e immaginazione: Leopardi 133
cui non saremmo capaci di dirigere noi i nostri pensieri, di seguire un
ragionamento coerente. il momento in cui lanima, nellabbando-
narsi, pare deporre i pensieri proprio come si fa con i propri abiti: in
un luogo dove sar facile ritrovarli, magari anche al buio. Cos, al
poeta (almeno nel nostro caso), nel risvegliarsi, involontariamente
cento e pi idee si presentano dinanzi.


1.3. La sensazione senza linguaggio verbale

Cosa vuole dire il Leopardi quando nello Zibaldone annota che
tutto ci ch poetico si sente, piuttosto che si conosca o sintenda
(Zib. 3242), sottolineando come i testi poetici costituiscano una sfida
per le nostre abitudini linguistiche e percettive, cos come per le
nostre convinzioni
15
? Quel si sente appunto un verbo legato a qual-
cosa di corporeo, un conoscere senza poter dire, vibrando, scossi nei
sensi, perch, in linea con quanto da sempre sostenuto dal nostro
autore, limmagine anche corpo, la ragione ultracorpo, i sensi so-
no soltanto corpo
16
.
Il corpo e la mente, dicevamo, sono passaggio obbligato e stru-
mento formativo di ogni immagine: tutto passa attraverso la perce-
zione e lattivit dellimmaginazione passa necessariamente attraver-
so il corpo:

Gli odori sono unimmagine dei piaceri umani. (Zib. 1537)

Un tema modernissimo e che anticipa atteggiamenti presenti nella
fenomenologia da Husserl a MerleauPonty, che parler della corpo-
reit come zona di origine dellarte; un tema che in Leopardi trovia-
mo spesso non solo teorizzato nelle opere di prosa ma anche (e so-
prattutto) nei versi dei Canti. La domanda che sta dietro il suo inte-
resse : cosa avviene nella nostra mente quando crediamo di pensare
unimmagine?
evidente come il discorso sullimmagine rappresenta un consi-
stente nucleo di trattazione allinterno dello Zibaldone. Provando ad

15
R. SCHOLES, Semiotica e Interpretazione, cit., p. 69.
16
P.F. STRAWSON parler di un'immaginazione acustica immagine non al-
lucinazione apparizione o fantasma, essa non neanche visione, piuttosto una rap-
presentazione (Imagination and perception, in ID., Freedom and Resentment and
other essays, London, Methuen & Co., 1974, pp. 4565).

Alba Battista 134
individuare una formula che possa fungere da riepilogo al discorso
leopardiano intorno al come si forma unimmagine, che senso o
origine essa abbia, si potrebbe dire: il mondo esiste se locchio lo
vede e se la parola lo dice
17
. Che poi la sintesi di quanto si legge in
Zibaldone 3387:

Certo limmaginazione. visibilmente sottoposta a mille cause totalmente
fisiche, che la commuovono e scuotono, o lassopiscono e intorpidiscono, la
sollevano o la deprimono, leccitano o la raffrenano, la scaldano o lag-
ghiacciano.

Locchio arriva allimmagine come prodotto complesso che risulta
da una piena osmosi tra elaborazione di una figurazione immaginaria
endogena dellio (magari esistente in memoria) intima, sorgiva e che
Heidegger attraverso Kant definirebbe originaria
18
ed una figu-
razione immaginaria esogena, stimolata dallesterno. un gioco a due
tra locchio che cattura le figure e limmaginazione. Essi si confron-
tano con la mente: locchio lascia entrare e uscire limmagine dal
corpo, dalla mente e quindi dal linguaggio. Per occhio si deve qui in-
tendere la mente e la psiche.
Limmagine esige per Leopardi unattenzione visiva in partenza;
limmagine mentale vuole diventare oggetto visivo: essa gi esiste
perch fissata nellocchio e poi, nella nostra mente; lambito in cui ci
troviamo quello della dinamica percettiva: c una generale preva-
lenza che la materia esercita sullo spirito che rende le facolt della
mente influenzabili dalle sollecitazioni fisiche e sensibili; in partico-
lare limmaginazione la facolt produttrice di immagini derivanti
dagli organi di senso.
In questa direzione, il nostro autore propone ottime riflessioni su
come la presenza dellio intesa come corpo e mente influisca
sulla scelta delle immagini, come la facolt immaginativa sia sti-
molata dal corpo ma anche minacciata da esso. Nello Zibaldone:

un vigore anche passeggero del corpo influisce sullo spirito e gli fa vedere i
rapporti tra cose disparatissime, trovare paragoni. Si riesce ad incorporare
vivissimamente il pensiero pi astratto, di ridur tutto ad immagine e crearne
delle pi nuove e vive tutte facolt del gran poeta. (Zib. 1821)


17
L. TASSONI, Senso e discorso nel testo poetico, Roma, Carocci, 1999, p. 29.
18
M. HEIDEGGER, Kant und das Problem der Metaphysik, Frankfurt, Kloster-
mann, 1973, trad. it. Kant e il problema della metafisica, Bari, Laterza, 1989, p. 42.

Immagine e immaginazione: Leopardi 135
Ad esempio, come ha osservato Alessandro Prato
19
, nei fanciulli e
nellet della giovinezza, tempo in cui si nel pieno della forza e
dellentusiasmo, la forza immaginativa riesce addirittura a raddop-
piarsi:

Alluomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tem-
po, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in cer-
to modo doppi. Egli vedr cogli occhi una torre, una campagna; udr cogli o-
recchi un suono duna campana; e nel tempo stesso collimmaginazione ve-
dr unaltra torre, unaltra campagna, udr un altro suono. In questo secondo
genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. (Zib. 4418)

Il coinvolgimento totale dei sensi, della vista ed insieme del-
ludito, funzioner da altoparlante: perch mentre i sensi sono e resta-
no soltanto corpo, la ragione ultracorpo, tra questi due estremi, pro-
prio nel bel mezzo, vi limmagine che anche corpo. Proprio come
i sensi agiscono sulla nostra immaginazione, cos limmagine, per es-
sere compresa, ci chiede di spostarci ad un livello di astrazione supe-
riore in cui il suo significato emerga come un concetto, ma stimolato
dal nostro movimento dellimmagine verso ci che essa vuole signi-
ficare.
Ancora pi forte, ed in qualche modo pi invasiva, limmagine
non visualizzabile, che stimolata dalludito, dallodorato, dal tatto o
anche dal gusto, e che sviluppano un genere di forza, di tensione, che
solo la poesia pu catturare
20
. In particolare, per chiudere qui un
discorso che ci rendiamo conto di avere soltanto accennato, limmagi-
nazione la facolt produttrice delle immagini derivanti dagli organi
di senso (Zib. 171; 338788).
Leopardi propone quasi una fisiologia del processo dellimmagi-
nativo tentando di stabilire connessioni nette tra il corpo e la mente
21
.

19
A. PRATO, Immaginazione conoscenza e linguaggio in Leopardi, in L. FOR-
MIGARI, G. CASERTANO, I. CUBEDDU (eds.), Imago in phantasia depicta, cit., p. 324.
20
UMBERTO ECO nota come anche la metafora verbale richiede spesso, per
essere in qualche modo spiegata nelle sue origini, il rinvio a esperienze visive, uditi-
ve, tattili e olfattive (op. cit., p. 142). Ma, sulla metafora, si rimanda al 2.3 del pre-
sente lavoro.
21
Cfr. per i Canti: Al conte Carlo Pepoli vv.121/126; Il primo amore vv. 22/31;
vv. 95/100, Il sogno. Senza poi dimenticare l'influenza che sull'immaginazione
possono avere elementi contingenti come ad esempio il vino, il tabacco, etc.; insom-
ma non viene nemmeno trascurata la generale prevalenza che la materia esercita sullo
spirito e che rende le facolt della mente influenzabili dalle sollecitazioni fisiche e
sensibili.

Alba Battista 136
Egli annota nello Zibaldone che la parola quasi il corpo dellidea
pi astratta (1657) e, come ha giustamente notato Alessandro Pra-
to
22
, sulla parola come corpo dellanima pu aver tratto spunto da
Johann Georg Sulzer (17201779), giunto nella sua biblioteca nella
traduzione italiana del Soave.
Porto sicuro a cui pare egli giunga laver stabilito che lim-
magine viene percepita quando i sensi si aprono
23
e, senza dubbio, le
parole atte ad amplificare e ampliare limmaginazione visiva sono
quelle che richiamano il campo uditivo, ecco spiegata la fitta presenza
nei versi leopardiani di verbi come udire, sentire, etc.; utili a creare
delle tracce percettive che chiamano in causa i sensi. cos che il
corpo partecipa e contribuisce allimmaginare.
Il risultato che si ottiene quello di sorprendere e spostare la
percezione abituale del sensibile nella sfera di una nuova percezione.
Limmagine assunta dalla coscienza come sigla dello schema
preconcettuale, diviene cifra di quel contenuto di conoscenza che lo
schema individua e cattura e ci che ne risulter, non varr come
immagine strictu sensu, ma per il suo contenuto semantico. Questo a
sostegno della tesi secondo cui non ci sarebbe eterogeneit originaria
tra segno e immagine (come vi , per esempio, tra fenomeno e cate-
goria): essi sono allorigine la stessa cosa che la coscienza rivolge in
due direzioni diverse
24
.
Leopardi considera superata la concezione di origine aristotelica e
poi latinocristiana secondo la quale la lingua posteriore al-
loggettivarsi del pensiero, ma precisa che il linguaggio si pone nei
confronti del pensiero in funzione non strumentale e convenzionale
ma costitutiva e istituzionale (Zib. 294041). Sosteniamo dunque, con
Leopardi che le associazioni mentali che danno luogo alla parola
dipendono dallesercizio dellimmaginazione, ma resta pur sempre da
individuare cosa sia limmagine. Non memoria. forse visione?
presente o passata? sonora, cromatica, concettuale? Da quanto fino
ad ora si detto sembra emergere che le immagini sono presenti al
nostro corpo ancor prima di diventare linguaggio.



22
A. PRATO, op. cit., p. 324.
23
H. BERGSON, Matire et memoire: Essai sur la relation du corps lesprit,
Paris, Librairie Alcan et Guillaumin, 1911, trad. it. Materia e memoria: saggio sulla
relazione tra il corpo e lo spirito, Bari, Laterza, 2001, p. 52.
24
C. BRANDI, Segno e immagine, Palermo, Aesthetica, 2001, p. 13.

Immagine e immaginazione: Leopardi 137
1.4. La sensazione con il concorso del linguaggio verbale

Siamo giunti a considerare limmaginazione non soltanto e sem-
plicemente come il velo consolatorio che copre la verit: essa ci fa
riscoprire la meraviglia di fronte alle cose e, traducendosi in lingua di
poesia, attinge una verit pi profonda rispetto allaridit della ragio-
ne: o la immaginazione torner in vigore o questo mondo diverr un
deserto, scrive Leopardi nel Frammento sul suicidio.
La poesia cos quasi lultimo rifugio della natura, quella natura
che la scienza ha perduto; grazie ad essa che la poesia ritrova la
lingua prima e si fa voce della natura stessa.
qui che, a nostro avviso, si delinea gi il nesso fra la critica leo-
pardiana ai poeti sentimentali e la povert dellesperienza nella
modernit, qui che si sente forte lesigenza di riscoprire un linguag-
gio di immagini. Questioni in cui gi De Sanctis not un possibile ac-
costamento tra Leopardi e Schopenauer, ma che possono condurci fi-
no a Walter Benjamin
25
.
Limmaginazione produttiva comune ad entrambe le fonti da cui
scaturisce la conoscenza: sensibilit ed intelletto.

Limmaginazione la facolt combinatrice per eccellenza, deputata a rac-
cogliere similitudini e rapporti tra le cose; le armonie pi nascoste (Zib.
1836).

Essa rappresenta una traccia della realt innescata in un ingra-
naggio circolare e delicatissimo in cui limmaginazione plasma,
trasforma e, in certi casi, deforma i dati sensibili trasmessi dalla
memoria; la ragione, naturalmente, resta sempre elemento comple-
mentare e necessario.
Leopardi riconosce nella sensazione e nellesperienza lorigine di
tutte le nostre conoscenze che perci non possono andare oltre i limiti
della materia, tutto posteriore allesistenza (Zib. 1616) perch il
pensiero non un ente separato dal corpo (Zib. 4288); il concetto di
spirito o di qualsiasi ente immateriale un concetto vuoto una parola
senza idea (Zib. 4111; 4251), una parola senza immagine. Lo stesso
infinito un parto della nostra immaginazione (Zib. 4177), la quale
esiste solo nel linguaggio. Dunque avremo che:
si pu avere fantasia senza linguaggio,
non si pu mai avere immaginazione fuori dal linguaggio.

25
A. PRETE, Il Pensiero poetante, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 80 e sgg.

Alba Battista 138
Leopardi ci suggerisce diversi spunti di riflessione e certo non tutti
e non sempre chiari. Nei passi citati, ad esempio, si resta in bilico,
sospesi su unidea che potremmo dire quasi di metaimmaginazione
dove limmaginazione esiste solo nellimmaginazione. Poi per ecco
che corre in aiuto il linguaggio. Perch se vero che il pensiero
visibile solo grazie alle immagini che si palesano in forme diverse,
pur vero che esse restano sempre inseparabili da quei loro veicoli di
concetti che sono le parole
26
.
Limmaginazione, chiaro, non crea dal nulla e non neanche
pura imitazione del mondo sensibile, delle cose gi date: essa com-
pone, o meglio, ricompone il mondo in nuove ed originali associa-
zioni rappresentative. Rileggendo le note dello Zibaldone dedicate a
questo tema viene da chiedersi se Leopardi sostenga un tipo di im-
maginazione riproduttiva secondo quanto fin ad allora riconosciuto
dallo stesso Vico, che il Croce avrebbe voluto invece come primo
sostenitore di una immaginazione produttiva, qualit appunto che in
Leopardi sembra prevalere. di Aristotele la prima definizione dello
spazio dellimmaginazione (phantasia) nella dinamica della cono-
scenza (De anima 427
b
429
a
), anche se in Aristotele ancora legata
ad una idea di riproduzione del dato percettivo, un riprodursi a di-
stanza di un qualcosa che stato precedentemente sentito, avvertito.
Limmagine una riproduzione piuttosto che una produzione nella
misura in cui essa dipende da un modello, uno schema gi immagaz-
zinato dalla nostra mente, sicch produrre una rappresentazione visi-
va, costituita cio da uno o pi segni, significa mettere in rapporto
una o pi immagini concettuali con una forma (significante). Esiste
quindi un rapporto di dipendenza tra limmagine e loggetto, tenendo
sempre presente per che nella nostra mente sono repertoriate non le
cose, bens le loro immagini concettuali
27
.


1.5. Comunicare per immagini

In poesia dove il lettore pi sullimmaginare e pi facile a creder di vedere
e che il poeta voglia fargli vedere quello ancora che il poeta non pensa o non
vorrebbe [].

26
G. DELLA VOLPE, Critica del gusto, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 2.
27
G.P. CAPRETTINI, Immagine, Enciclopedia Einaudi, vol. VII, Torino, Einaudi,
p. 94.

Immagine e immaginazione: Leopardi 139
Ora, lasciando se limmagine chio dico sia conveniente o no, certo che
non voluta dal poeta, e chegli perci deve schivare questa illusione quan-
tunque momentanea [] eccetto sella non gli piacesse come forse si po-
trebbe dare il caso, ma questo non devessere se non quando limmagine il-
lusoria non noccia alla vera [] giacch due immagini in una volta non si
possono vedere, ma bens il quando fosse, non potrebbe anche il poeta lascia-
re e anche procurare questa illusione, dove pure non noccia al restante del
contesto, perchella non fa danno, e daltra parte bene che il lettore stia
sempre tra le immagini. Quello che dico del poeta sintenda proporzional-
mente anche degli altri scrittori. Anzi questa sarebbe la sorgente di una
grandarte e di un grandissimo effetto procurando quel vago e quellincerto
ch tanto propriamente e sommam. poetico, e destando immagini delle quali
non sia evidente la ragione, ma quasi nascosta, e tale chelle paiano
accidentali, e non procurate dal poeta in nessun modo, ma quasi ispirate da
cosa invisibile e incomprensibile e da quellineffabile ondeggiamento del
poeta che quando veramente ispirato dalla natura dalla campagna e da
chicchessia, non sa veramente com esprimere quello che sente, se non in
modo vago e incerto, ed perci naturalissimo che le immagini che destano
le sue parole appariscano accidentali (Zib. 26).

Dove risiede limmaginazione? Essa non sta tra intuizione e intel-
letto e neanche ai confini tra intelletto e senso, essa la fonte comune
delluna e dellaltro. Limmaginazione innanzitutto momento for-
mativo e spazio creativo, il luogo a cui si attinge per dar vita a realt
ulteriori. Nellambito del linguaggio poetico le immagini sono pro-
dotto di correlazioni, mentre allimmaginazione v riconosciuto il
valore di processo correlante.
Nella sua riflessione sullimmagine, Leopardi tiene sempre bene
presente il lettore e lo spazio della sua fantasia: il lettore gi sul-
limmaginare, egli ama star sempre tra le immagini, ha quindi delle
aspettative, si aspetta di vedere (o avere?) immagini da quella deter-
minata poesia, da quel poeta. Anche il lettore di poesie deve essere
capace di forte immaginazione (Zib. 227228) e sentimento, deve,
insomma, esser in grado di lasciarsi trasportare e immedesimarsi con
lo scrittore. quasi come se il lettore fosse in grado di anticipare lo
stesso poeta; c quellancora che lascerebbe presagire proprio que-
sto, come se il lavoro del poeta terminasse solo e soltanto quando il
lettore interviene sul testo con la sua immaginazione.

pi facile [il lettore] a creder di vedere [ci che ] il poeta ancora non pensa
e non vorrebbe.

Cosa significa quel non vorrebbe? C la paura di un possibile
fraintendimento da parte del lettore, egli potrebbe intendere un mes-

Alba Battista 140
saggio diverso da quello concepito dallautore. E, ci che giunger al
lettore, potrebbe rivelarsi una scoperta per lo stesso poeta.
Il poeta dovrebbe essere in grado di evitare di suscitare immagini
diverse rispetto a quello che ha in mente e il lettore, da parte sua,
deve saper mettere in atto le relazioni indispensabili alla soprav-
vivenza del senso. Ma fino a che punto possono essere lucide le inten-
zioni di un poeta? Pu egli prevedere le immagini? Cercarne alcune
deliberatamente prevalutandone gli effetti? Se s, attraverso quali
strategie? Con quali mezzi? E, infine, resta la questione pi difficile
da risolvere: come pu giungere e ritornare allautore ci che il lettore
percepisce? Come potr sapere se le immagini suscitate sono perma-
nenti quelle che aveva in mente?
Leopardi, in questo passo dello Zibaldone, riconosce il rischio per
il poeta di dar vita ad immagini secondarie, contingenti ed arbitrarie,
dipendenti cio dalla sensibilit di chi legge, immagini puramente
psicologiche, pertanto non universali; tali immagini per, non distur-
bano il testo poetico, anzi possono addirittura arricchirlo e forse chia-
rirlo anche meglio se non si tratta di immagini che deviano il signi-
ficato del contesto. Succede quando tali immagini secondarie sono in
armonia con le immagini vere. Queste ultime sono quelle che il poeta
ha certamente voluto suggerire. Sembra quasi che non sia il poeta ad
ispirare determinate immagini, quanto piuttosto una certa cosa invi-
sibile e incomprensibile (la ragione che resta nascosta?) non provo-
cata intenzionalmente dal poeta. Beninteso, stiamo ragionando su una
immaginazione che non privata, e per questo coglie il vero; ma
essa rimane pur sempre immaginazione.
Per il tempo delle immagini poetiche, la ragione si nasconde
facendo spazio al sentire, allimmaginare; in questo modo il lettore
riesce a carpire immagini che lo lasciano in uno stato vago ed incerto.
Questo effetto nel lettore si ottiene solo quando il poeta si trova av-
volto in quellineffabile ondeggiamento tipico di chi veramente ispi-
rato dalla natura o da chicchessia. Egli sovraccarico di immagini
dettate da uno stato di grazia della sua ispirazione e deve per forza
ricorrere ad un modo vago e incerto di esprimersi. Londeggiamento
di cui si parla, inoltre, riferito al senso ed lo spazio concesso al
significante secondo quanto insegnano le teorie sul linguaggio poe-
tico.
proprio questo dinamismo interno al testo a rappresentare la
vitalit del linguaggio poetico, a mostrare la lingua non come un
sistema fisso, ma come una energia creatrice: il poeta, meglio di

Immagine e immaginazione: Leopardi 141
chiunque altro, riesce ad insinuarsi in quelle recondite zone dombra
dellumano, dove non possono avventurarsi n la scienza, n la
psicanalisi.
Limmagine diventa un passe par tout del poeta: non imitando la
natura, la realt sensibile, ha piuttosto la pretesa di oltrepassarla; essa
non emblema di qualcosa o copia di oggetti assenti, crea piuttosto
un nuovo oggetto: diventa un vero e proprio mezzo del linguaggio
poetico. Per sentire loggetto ci vuole larte, il cui scopo quello di
trasmettere limpressione delloggetto come visione e non come rico-
noscimento; cos il processo percettivo si dilata, si prolunga e le paro-
le non serviranno soltanto per esprimere un pensiero o per designare
un oggetto, ma aiuteranno a trascenderne il senso.
Bisogna anzitutto chiarire che lopposizione tra immaginazione-
ragione non si gioca intorno al contenuto della verit. Leopardi riven-
dica alla facolt immaginativa uno spazio di conoscenza diverso da
quello del raziocinio, che si alimenta dallinclinazione naturale del-
luomo a sensazioni vaste ed indeterminate. Esiste un punto di vista
poetico anche dentro un presente fatto di amare consapevolezze, un
presente crudo e apparentemente completamente svelato, c, in defi-
nitiva, una verit dellimmagine che diventa anche un veropoetico.
La facolt immaginativa per Leopardi (come per Vico) la pi
naturale alluomo; quella che pi lo apparenta sia su scala storica
generale, sia sul piano individuale [], con la sua sfera biologica ed
esistenziale
28
. Laspetto pi importante che al limite genetico del-
luomo, lanima supplisce in parte grazie alla particolare organiz-
zazione delle sue facolt psicologiche. Si aggancia qui il ruolo del-
limmaginazione e si prepara lo spazio conoscitivo della parola.
La poesia, profondamente radicata in una caratteristica naturale
dellanimo umano nel suo rapporto con la realt, si qualifica dunque
come sede privilegiata (ma non esclusiva) dellimmaginario, a cui
viene affidato un ruolo attivo proprio dal punto di vista della
conoscenza, limmaginazione vista da Leopardi come la forma di
conoscenza, plastica sensuosa mitizzante, propria alla fase iniziale
dello spirito umano
29
.
Avviene un vero e proprio scambio tra poeta e lettore, lo scambio
di immagini che strumento di conoscenza del mondo e di relazione
tra gli individui; un mezzo anche di autoconoscenza. Il linguaggio

28
S. GENSINI, Linguistica leopardiana, cit., p. 110.
29
Ivi, p. 258.

Alba Battista 142
poetico, dunque, riflette sempre unintenzione; il manifestarsi del
linguaggio riflette un discorso interiore che produrr delle immagini.
In questo punto leggiamo come tra il testo poetico ed il suo lettore, si
instauri una dialettica del tutto nuova ed originale; ci che Michael
Riffaterre
30
definir essere un rapporto obliquo, qualit necessaria
alla poesia per esprimere i suoi significati.
Ad entrare in gioco naturalmente la capacit percettiva del
lettore: percezione che deve essere in grado di spostare obliquamente
il significato del segno ad un altro che vuole essere detto. Percezione
che deve anche saper distorcere in una valenza tutta positiva del
termine quando e dove necessario, il significato (come nel caso
delle parole ambigue e dei nonsens di cui per ci occuperemo pi
aventi nellaffrontare la teoria leopardiana del vago). Il lettore di
poesie, dunque, deve saper scavalcare la recinzione della mimesi
31

superando limpatto euristico della lettura; deve passare da un primo
livello di comprensione dellinsieme risultato di una lettura
(dallinizio alla fine) del testo ad un secondo livello detto retro-
attivo, momento in cui, alla luce di ci che ha avuto gi modo di
leggere, decodifica pi profondamente il senso di ogni singolo segno
o, diremo in questo caso, di ogni singola immagine.
Come ci sono un primo ed un secondo livello di lettura, ci sono
anche diversi tempi delle immagini: in poesia il tempo assume, infatti,
un diverso statuto nella dimensione narrativa; siamo immersi in una
temporalit circolare, in un tempo della memoria diverso dal tempo
del calendario, suggestioni che meriterebbero uno spazio che qui, per
ovvie ragioni, non possiamo concedere.
A questo punto, ci siamo avventurati nellintricato campo di una
possibile estetica della ricezione di cui Umberto Eco trova traccia gi
in Aristotele
32
; ricezione che diviene anche reazione estetica intesa
come lo scaturire di immagini prodotte dalla lettura di un testo
poetico. Ma la cosa che qui ci sembra interessante come Leopardi
pare anticipare ci che sosterr poi Lotman in Analysis of the poetic
text
33
, riconoscendo il ruolo attivo del lettore nella creazione del
significato. Fino a questo punto abbiamo fatto riferimento quindi, non

30
M. RIFFATERRE, Semiotics of Poetry, Bloomington, Indiana University Press,
1978; trad. it. Semiotica della poesia, Bologna, Il Mulino 1983, pp. 23 e sgg.
31
Ivi, p. 29.
32
U. ECO, Sulla letteratura, cit., p. 26.
33
R. SCHOLET, Semiotic and Interpretation, New Haven, Yale University Press,
1982, trad. it. Semiotica e Interpretazione, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 70.

Immagine e immaginazione: Leopardi 143
alle metafore, alle similitudini e alle strategie della poetica, abbiamo
fatto riferimento alle immagini mentali o sentimentali che il lettore
vive, in modo assolutamente soggettivo e in coscienza. Ma un altro
nodo che ci pare interessante rilevare, quanto possa agire la volont
sulla possibilit di suscitare immagini. Leopardi riflette sullintenzio-
nalit del poeta:

Il poeta dee mostrar di avere un fine pi serio che quello di destar delle
immagini e di far delle descrizioni. e per quanto questo sia il suo intento
principale, ei deve cercarlo in modo come se non se ne curasse, e far vista
di non cercarlo, ma di mirare a cose pi gravi; ma descrivere fra tanto, e
introdurre nel suo poema le immagini, come cose a lui poco importanti che
gli scorrano naturalmente dalla penna; e per dir cos, descrivere e introdurre
immagini, con gravit, con seriet, senza alcuna dimostrazione di compia-
cenza e di studio apposito, e di pensarci e badarci, n di voler che il lettore ci
si fermi (Zib. 3479).

Il poeta deve dissimulare al fine di suscitare immagini. Notiamo
che il poeta deve introdurre immagini: l che il suo mestiere si
ferma rispetto al lettore: deve soltanto introdurre: perch le immagini
non possono essere scritte; le parole devono indicare, accennare e non
descrivere o determinare, devono insomma lasciar spazio alla perce-
zione. in un certo senso, come dire che il linguaggio deve poter ol-
trepassare se stesso.
Questo aspetto dissimulatorio si collega allaltra importante idea
leopardiana secondo cui le immagini poetiche, anche le pi belle,
devono apparire non come il frutto di unintensa elaborazione
formale, ma quasi naturalmente, con semplicit. Qui Leopardi si
riallaccia alla tradizione retorica che risale alla semplicitas di Orazio
e, pi indietro, al trattato Del sublime dello Pseudo Longino (espli-
citamente citato dallautore).


1.7. La verosimiglianza

Verosimile in poesia non solo riferito a ci che potrebbe essere
ma anche a ci che potrebbe esser detto. Se il sapere della poesia
pensare la comunicabilit dei differenti fuori dallalternanza di
annessione ed espulsione, pensare una verit che sia il poter essere
delle verit. Tutto questo permesso allarte, come puntualmente
osserva Sergio Givone nella sua attenta analisi dellestetica roman-

Alba Battista 144
tica
34
. Se lobiettivo dellarte non catturare loggetto ma toccarlo,
questo possibile attraverso un codice grazie al quale si intravedono
elementi di possibilit che confortano allusioni e rimandi a cui il
messaggio poetico naturalmente aspira. esattamente in questo modo
che il messaggio ambiguo e autoriflessivo della poesia pu essere
considerato uno strumento di conoscenza. Questa conoscenza si at-
tua sia nei confronti del codice da cui il messaggio ha preso le mosse,
che nei confronti dei referenti a cui rimandano i suoi significanti
attraverso lo schermo dei significati
35
. proprio questo salto nel
possibile a provocare leffetto di straniamento teorizzato nella comu-
nicazione estetica dei formalisti.
Il verosimile si raggiunge utilizzando quindi un codice in un modo
diverso spostando loggetto dalla sua consueta o ordinaria colloca-
zione semantica, tanto da renderlo quasi sconosciuto. In questo modo
aumento e si amplifica anche il tempo della percezione che potremmo
distinguere in due diversi stadi: 1) quello del riconoscimento di un
codice; 2) quello dello spostamento verso un oggetto che sembra vi-
sto per la prima volta perch spostato da un ordine consueto. Entram-
bi questi stadi e questi passaggi di senso presuppongono una qualit
indispensabile sia per chi emette il messaggio che per chi lo riceve: la
fiducia nel messaggio stesso.
Il poeta non un creatore di concetti ma di parole, tutto il suo
genio sta nellinvenzione verbale
36
, il principio a cui per deve stret-
tamente attenersi quello della verosimiglianza e necessit
37
secondo
linsegnamento aristotelico. Loccasione poetica offerta dal pre-
sente, e quindi dal vero, la fantasia cerca il simile altrove: il dato sen-
sibile stimola e risveglia desideri, emozioni e sentimenti non ancora
dati (o detti); la produzione poetica , in questo senso, appagamento
di un desiderio legato ad unesperienza anteriore o meglio, senza
ancora un tempo
38
. Il verosimile propriamente il fatto umano
non come si svolto ma come avrebbe potuto svolgersi; esso si d
nella sua esemplarit ideale, cio nella capacit di far cogliere un
valore eterno. Rispetto a tutto questo, la poesia aspira alluniversale,

34
S. GIVONE, La questione romantica, Bari, Laterza, 1992, p. 60.
35
U. ECO, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968, pp. 78 e sgg.
36
A. MARCHESE, Lofficina della poesia, Milano, Mondadori, 1985, p. 74.
37
ARISTOTELE, Poetica 51 b, trad. it. di D. Lanza, Milano, Rizzoli, 1987, p. 147.
38
Cfr. S. FREUD, Der Dichter und das Phantasieren, 1907, trad. it. Il poeta e la
fantasia in Saggi sullarte, la letteratura e il linguaggio, Torino, Bollati Boringhieri,
1969, p. 52.

Immagine e immaginazione: Leopardi 145
essa intrinsecamente universale. Di universalit parla proprio Leo-
pardi in riferimento ad una

universalit delle cose, composta, conformata e ordinata ad un effetto
poetico, o vogliamo dire disposta [] a produrre un effetto poetico generale.
(Zib. 3241)

Scrive ancora il nostro Autore che la matematica e la geometria
non potranno mai scoprire nulla di poetico nella Natura, perch
strumenti del conoscere sono il sentire e limmaginazione, la forma
assunta dal conoscere poetico invece, quella del linguaggio poe-
tico.

Nulla di poetico poterono n potranno mai scoprire la pura e semplice
ragione e la matematica []. Spetta allimmaginazione e alla sensibilit lo
scoprire e lintendere tutte le sopradette cose []. E siccome alla sola im-
maginazione ed al cuore spetta il sentire e quindi conoscere ci ch poetico,
per ad essi soli possibile ed appartiene lentrare e il penetrare addentro ne
grandi misteri della vita, dei destini, delle intenzioni s generali, s anche par-
ticolari, della natura (Zib. 324143).

La poesia una forma del conoscere, dunque ha una sua razio-
nalit. Bisogna a questo punto chiedersi che cos che la poesia fa
conoscere e, soprattutto, che forma di ragione essa possiede. Per Ari-
stotele non esiste un unico modello di ragione, essa frastagliata,
complessa e, nel caso della poesia, si tratterebbe di una ragione con
specificit tecnica ed imitativa
39
.
Il filo rosso che da Aristotele conduce a Leopardi si snoda intorno
alla questione della verosimiglianza intesa come possibilit data al
poeta di dire non solo le cose avvenute, ma anche quelle che
potrebbero avvenire in base ai concetti di necessit e verosimiglianza:

Cos la poesia [] ha bisogno di un falso che pur possa persuadere, non solo
secondo le regole ordinarie della verosimiglianza, ma anche rispetto ad un
certo tal quale convincimento che la cosa stia o possa stare effettivamente
cos (Zib. 285)
40
.

Dove Leopardi si stacca invece da Aristotele avvicinandosi, sem-
mai, a Platone nel riconoscimento del ruolo svolto dalla Mimesis in
Poesia. Egli ritiene che il Poeta, pi che imitare, sia incline ad im-

39
Cfr. M. ZANATTA, La ragione verisimile. Saggio sulla Poetica di Aristotele,
Cosenza, Pellegrini, 2001.
40
Altrove in Zib. 1421 e 21416.

Alba Battista 146
maginare, costretto a fingere pur di vedere il mondo in modo
diverso da come realmente (Zib. 4358), la Natura non imitata ma
piuttosto la Natura stessa che diventa voce e canto del Poeta (Zib.
43723)
41
e questultimo non deve far altro che starci dentro, come
se avesse accesso ad una sorta di spazio originario del sentire, uno
spazio di intima unit in cui egli possa fare esperienza dello spae-
samento. Siamo ai confini tra etica ed estetica e tra il mondo del sen-
tire e quello del dire: si tratta, paradossalmente, di eliminare la preoc-
cupazione di originalit per lasciar emergere ci che davvero oltre
e perci, impassibile e muto, ma che colpisce e provoca stupore. La
mimesis, cos come avviene nella filosofia platonica, non si costi-
tuisce tanto come un problema gnoseologico, quanto piuttosto come
un problema ontologico
42
.
Leopardi aveva gi scritto di questa idea platonica di poesia
sorgiva, sorta di facolt divina, nel 1816. Nella Lettera alla Biblioteca
Italiana asseriva, infatti, che un poeta nasce per scintilla celeste, e
impulso soprumano e che si portati a poetare da un sentimento
intimo e tutto personale (Zib. 4356).
Loriginalit e la precoce intuizione di Giacomo Leopardi su
questioni di linguaggio esteticoletterario, che avranno poi ampio svi-
luppo nel pensiero teorico e filosofico del Novecento, sono dunque
tangibili in diversi passaggi delle sue opere e testimoniano, l dove ce
ne fosse ancora bisogno, lenorme modernit e attualit del grande
pensatore di Recanati.


41
Come gi ricordato dai commentatori dello Zibaldone, Leopardi qui allude alla
definizione platonica di Natura e Poesia ripresa poi da Aristotele nella Poetica e ai
passi del Gorgia e del Sofista in cui si trova la distinzione tra imitazione di ci che
si conosce e larte dell'apparenza.
42
Su questo argomento cfr. i capitoli III e IV di P. MONTANI, Arte e verit dal-
l'antichit alla filosofia contemporanea, Bari, Laterza, 2002, pp. 4598.

FRANCESCO GARRITANO

Chiasmo grafico



Giocare con lo spazio:
Provocare uneclissi di sole sollevando il dito mignolo [].
Farsi fotografare mentre si sostiene la torre di Pisa
(G. PEREC, Specie di spazi).


Procedere in un fare, in unazione, corrisponde ad una pratica
segnata dalla costruzione, dal movimento orientato in direzione di un
fine, di unopera, di un esito. Chi agisce non pu prescindere da tutto
questo, poich sarebbe assolutamente straniante il solo pensiero di
operare per non giungere a niente. Ogni pratica si inscrive allinterno
di questorizzonte, presente nellinvisibilit, assolutamente congenito
al pensiero umano. Orizzonte inteso come limitazione, bordo in cui
linfinito in rapporto col finito, teso ad ospitare, accogliere, far
proprio, ma anche come circolarit, congiunzione dellinizio con la
fine in virt del fare. Lazione delluomo guidata dalla continuit,
dalla possibilit di concatenare quanto presenta analogia e si dispone
nel tempo, in una cronologia richiamata costantemente dal presente.
Questo determina la dynamis, il procedere nellavvenire come aper-
tura dellattuale ed accoglienza concessa al nuovo, a quanto viene
iteratamente condotto al familiare
1
. Se per un verso si d un criterio
di economicit nel fare, nel disporsi allopera, i cui confini sono
disegnati dallo spazio ( nello spazio che si tratta di condurre il tempo
e la sua oscurit, la sua inafferrabilit, al punto che esso diviene
oggetto di una forma di presa e padronanza), per un altro il principio
di economia tende ad assurgere alluniversalit, poich tutto
ricondotto alla casa, al luogo chiuso, delimitato rispetto allesterno ed
allimproprio. Non si vuole certo affermare che ha luogo lannessione
di quanto differente e di rimando la sua scomparsa, cionondimeno
la linea di confine fra proprio ed improprio, tra continuo e discon-
tinuo, tende a procedere in direzione della negazione dello straniero.

1
Il lettore non si sbaglia, se pensa che il nostro pensiero, in questo momento,
richiami e ripeta la riflessione condotta da SIGMUND FREUD ne Il perturbante, trad. it.
di S. Daniele, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1977, vol. IX, pp. 77114.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 147-164 147
Francesco Garritano 148
Non peregrino pensare che lopera sia rapporto con lestraneit,
con quanto si dispone come potenzialmente ostile. Lhostis nel-
lappartenere allo sconosciuto, allignoto, si dispone in potenza ad
essere nemico, ad alterare il rapporto di propriet allinterno dello
spazio domestico e, quandanche questo non accadesse, quandanche
non si individuasse lospiteantagonista, lazione condotta, lopera,
tenderebbe a scongiurare questa possibilit. La continuit del fare
esclude o escluderebbe in permanenza ogni forma di discontinuit,
persino quando lagire interrotto dalla morte, accidente che non
cancella il carattere imperituro dellordine storico orientato in
direzione del divenire con la benevola pretesa di condurlo ad essere,
al tempo della certezza, a ci che . In tale dinamica si manifesta
uninesorabile continuit, un orientamento che fa del presente il
luogo di congiunzione, di apertura, di sintesi, ma anche quello di
cancellazione. Questultima osservazione ha un tratto di paradossalit
su cui non si pu non spendere qualche parola. Se lopera il
momento in cui il futuro arriva al presente, dove peraltro anche il
passato, sempre attraverso lazione ed il suo prodotto, ne deriva che
lopera si somma allopera, nel senso che si sviluppa un processo di
stratificazione regolato dallunit del fare e da quanto risulta in
termini di esito. Il risultato continuo, si dispone come unico, sicch
la successione dei tempi sembra giungere ad uno stadio liminare in
cui il molteplice condotto al singolare. La pluralit subisce un
processo di riduzione, segnato dalla sintesi dellopera. Ci che essa
offre il presente di una successione di tempi, pi o meno visibili
nella loro diversit, comunque cancellata dal tutto, dallartefatto,
dallevento. Ci non toglie che la sequenza, per quanto incorporata
nel presente, sia riconoscibile come tempi diversificati e differenti.
Ci che scriviamo ha un ordine temporale, unapertura in un arco non
omogeneo o, meglio, omogeneo nella concatenazione dei tempi, ma
disomogeneo nei singoli momenti, ciascuno occupato da sequenze
verbali inescambiabili. Il prodotto finale sar lo scritto disposto
dinnanzi agli occhi del lettore, che lo coglier in termini di organicit,
di tutto, senza rendersi conto che i differenti enunciati si sovrap-
pongono, si elidono. In effetti, chi legge coglie una precisa continuit
nellargomentazione, per cui non emerge nulla di estraneo, sebbene la
successione delle sequenze non possa prescindere dallavere luogo,
cio dalloccupare il presente, che si d come spazio della cancel-
lazione. Bisogna, infatti, precisare che esiste un presente, quello del
testo finito, destinato a qualcuno, presente costituito da tanti presenti,
Chiasmo grafico 149
quelli propri in cui si iscrivono le frasi: si comprende, allora, come
lunicit della scrittura sia il risultato di unazione segnata dalla fram-
mentazione, dalla successionecancellazione delle sequenze, presenti
in virt della loro capacit di sparire.
La singolarit della nostra opera risiede nellarticolazione fra
scrittura e cancellazione. Scrivere possibile a condizione che si dia
il tempo e lo spazio. Ci che scriviamo in questistante presenta il
carattere dellunicit, poich non possiamo scrivere diversamente. Per
poterci sottrarre a questa limitazione necessario che si dia altro
spaziotempo, ossia che la sequenza disposta nelle virgolette sia dif-
ferenziata dalle altre. Nellistante in cui si manifesta lenunciato, que-
sto determina una selezione fra le possibilit offerte dallenunciazione
e quindi la selezione. La sequenza successiva certamente conca-
tenata e si dispone linearmente, ma questa presunta rettitudine ha, in
effetti, un tratto di discontinuit dal momento che il continuo rea-
lizzato su un arco temporale non corrispondente allistante. Quanto
scriviamo in un preciso momento implica la soppressione delle altre
possibilit di scrittura, la loro cancellazione o, se si preferisce, la loro
dilazione. Esse restano in riserva, permangono come possibilit in un
tempo a venire che, se per lappunto giunge al presente, produce la
cancellazione di altre opzioni. Il presente, il tempo per eccellenza
dellopera, dispone di uno statuto ambiguo, nel senso che se esso
ben delimitato: ci che avviene determina lesclusione. Questa banale
osservazione evidenzia come lopera non abbia il carattere della
presenza, quantunque questa sembri essere la sua peculiarit, per il
semplice motivo che la presenza non un tempo immobile, non
semplice presenza, ma successione, selezione, sequenza di istanti in
cui ci che si accompagna a ci che non .
Per ritornare al nostro operato, a queste linee offerte ad un lettore
invisibile, esso si svolge proprio a partire da quanto non giunge
allessere: parliamo sempre di qualcosa a partire dalla sua assenza,
del tempo quando esso gi trascorso, occupato da linee di scrittura
che ci obbligano a ritornare e ripetere quanto non pi ripetibile, ci
che non trova pi spazio nel presente se non attraverso la can-
cellazione o, se si preferisce, lapertura del tempo, di un presente che
giunge al presente attraverso la deviazione, nel senso che scarta ed of-
fre la possibilit attraverso limpossibilit. La possibilit attraverso
limpossibilit esclude, delimita, impedisce qualsiasi opzione, ma,
nonostante tutto, si continua a scrivere in una successione costituita
Francesco Garritano 150
da istanti occupati da sequenze verbali incommensurabili ed in quanto
tali presenti solo nellunicit, cui fa da pendant lassenza.

Quando si scrive a partire da qualcosa c sempre il rischio di
celebrare loggetto nella sua assenza: come parlare sempre daltro,
procedere nelloblio e nella cecit di quanto al centro dellat-
tenzione. Tutto questo sembra essere il compito di chi prende la paro-
la, di chi si dispone ad interrogarsi. Si potrebbe dire che questa la
giusta dimensione della riflessione, destinata a perdersi, a non giun-
gere mai al cuore del problema, che se tale resta. C chi disposto
ad accogliere una tale ipotesi, ma c anche chi la rifiuta nettamente,
poich non sarebbe ammissibile per una scrittura saggistica, o pre-
sunta tale, un registro segnato dallimpossibilit di una chiave
interpretativa di ordine metalinguistico: si dice e si insegna che biso-
gna sapere sempre ci che si dice. Sapere sempre ci che si dice
accompagna luso del discorso sia in circostanze cosiddette serie, sia
quando si disegnano situazioni in cui lelocuzione sembra perdere la
modalit retta e presenta unarticolazione obliqua, orientata, comun-
que, verso un fine. Si pu costatare che esiste una tendenza alla ripe-
tizione allorch si fa uso della parola: iterazioni di codice, termini,
talvolta sequenze, ma soprattutto permanenza dellintenzionalit, di
ci che rende presente il referente secondo modalit rappresentative,
sostitutive. Literativit segna lintenzionalit e di rimando anche il
linguaggio, in quanto mezzo attraverso cui si realizza il contatto con
il mondo esterno, per cui marca anche quanto noi diciamo in questo
preciso istante
2
. Se, per lappunto, il vertice del tempo presenta un
tratto unico, assimilabile alla sequenza verbale selezionata con la
quale si in rapporto con quanto nel suo essere alterit permette di
intenzionare, ebbene lunicit della sequenza non pu ritornare.
Sarebbe, infatti, una contraddizione in termini affermare che presenta
un tratto unico lenunciato sapere sempre ci che si dice, per il
semplice motivo che stato usato poche righe innanzi. evidente che
ci troviamo di fronte ad una ripetizione dalla quale sarebbe messa in
discussione lunicit. Di fatto, nel momento in cui ci rendiamo conto
che ricorriamo alla citazione, riconosciamo, altres, che esiste un
momento distinguibile, isolabile in cui il sintagma usato in forma
inaugurale, per la prima volta. In tal modo avremmo messo in atto un

2
Questo argomento lasse della lettura condotta da Jacques Derrida intorno
allopera di Edmund Husserl.
Chiasmo grafico 151
discrimine, grazie al quale siamo in grado di operare una selezione e
di individuare listante in cui appare un certo enunciato. Le succes-
sive ricorrenze rientrerebbero nellordine della ripetizione, nel senso
che la stessa sequenza verbale sarebbe geminatio, iterazione: se ci si
prendesse cura di ripetere con estrema cautela lenunciato, al punto da
non determinarne la traslazione in altro contesto, potremmo affermare
di trovarci di fronte ad una citazione, nella quale possiamo sempre
distinguere la prima occorrenza e pertanto un ordine temporale
segnato dalla differenza.
Con il titolo di Diorama Salvatore Piermarini raccoglie un insieme
di foto, per lesattezza ventisette, scattate nel Museo di Storia Natu-
rale di Milano. Ci che Piermarini ha realizzato la ripresa attraverso
locchio della macchina fotografica dei diorami presenti nel luogo
summenzionato. Ciascuno di questi costituito da una teca di cristal-
lo allinterno della quale vi sono degli animali imbalsamati posti nel
loro habitat naturale. Se ricorriamo ad unespressione gi usata a
monte bisogna sempre sapere ci che si dice, ci rendiamo immedia-
tamente conto che il titolo pone una questione: nomina il diorama e lo
rende presente attraverso le foto. Quando si parla di diorama si suol
fare riferimento allapparato ottico con cui Daguerre affina larte
illusionistica del panorama
3
. Il diorama di Daguerre, in rue de
Sanson, era caratterizzato da una camera oscura con delle figure
effigiate sulla superficie delle pareti che, ricevendo un fascio
luminoso, creavano una situazione di riproduzione della realt,
secondo una misura pi alta rispetto a quella offerta dalla pittura
paesaggistica. noto come Charles Baudelaire manifestasse una netta
avversione nei riguardi di quelle pratiche di riproduzione della realt
in cui il dato tecnico prendeva il sopravvento sullimmaginazione, ci
che egli considerava dato peculiare dellarte, quantunque non potesse
fare a meno di provare entusiasmo di fronte al congegno ideato da
Daguerre: Vorrei ardentemente essere condotto di nuovo verso il
diorama la cui magia brutale ed enorme sa impormi unutile illusione.
Preferisco contemplare certi scenari teatrali, ove trovo, espressi con la
sapienza dellarte e concentrati in una figura tragica, i miei sogni pi
cari. Queste cose proprio perch false, sono infinitamente pi vicine

3
Cfr. W. BENJAMIN, La fotografia, trad. it. di F. Porzio, in Opere complete, a c.
di R. Tiedeman e E. Ganni, Einaudi, Torino 2000, vol. IX, p. 762.
Francesco Garritano 152
al vero; mentre la maggioranza dei nostri paesaggisti mentono,
appunto perch hanno tralasciato di mentire
4
.
Le presenti considerazioni esprimono un giudizio estetico, che non
si limita ad essere tale, per tutta una serie di implicazioni,
riassumibile nella domanda: che cos la realt?. I paesaggisti, cui
si fa riferimento, hanno della realt una concezione precisa, dettata
dallesigenza di riproduzione fedele. Il compito del pittore quello di
osservare quanto ha davanti con estrema precisione e di riprodurlo,
cancellandosi, neutralizzandosi. Senza entrare nella problematica del
realismo nellarte ed in ispecie nella pittura o nelle arti visive, si pu
pensare che il paesaggista in questione si disponga come una sorta di
strumento della natura, che riprodurrebbe se stessa in altra scala. Tale
ipotesi pu essere accolta in una concezione estetica antihegeliana per
eccellenza, ma non si pu eludere la problematica relativa alla
presenza del medio, di chi fa s che la natura si disponga nellopera
(cosa dire di questa iterazionecitazione? il venire al giorno non passa
attraverso la notte? liscrizione non accompagnata dalla cancel-
lazione?). Colui che decide di ricorrere a questa formula estetica
mosso dallidea di essere fedele alla realt ed a se stesso, ossia ad
unidea di arte che prevede la scomparsa dellautore. Il paesaggista si
disporrebbe in una posizione caratterizzata dallassenza: lidea di
realismo perseguita corrisponderebbe alleclisse della soggettivit
artistica, che si limiterebbe a funzionare come speculum del mondo
esterno. Ci che permarrebbe sarebbe la natura nel suo essere, in una
dimensione in cui le forme e le figure da essa composta corrispon-
derebbero ad una dinamica in cui quanto presenta tratti differenziati
nellimmagine e nel tempo per rinviare alla totalit. Larte paesag-
gistica, cos concepita, elude la questione del vedere e dellinter-
pretare. Vedere di per s gesto interpretativo con cui si conferisce il
senso: chi vede osserva alcune persone o cose disposte nello spazio in
un certo modo e si fa immediatamente unidea del tutto e delle parti.
Lo sguardo, e ci che esso afferra, non unazione oisive, ma al con-
trario, persino quando si dispone in un arco temporale brevissimo,
quasi nella dispersione, ha un potere mimetico e conoscitivo: esso
intenzionato e pertanto funziona sulla base delle conoscenze acqui-
site, nel senso che la memoria ordina quanto viene colto dalla vista e
lo trasforma in senso. Il fastidio provato da Baudelaire dinnanzi alle

4
CH. BAUDELAIRE, Salon del 1859, trad. it. di G. Guglielmi e E. Raimondi, in
Opere, a c. di G. Raboni e G. Montesano, Mondadori, Milano 1996, p. 1255.
Chiasmo grafico 153
opere dei paesagisti legato alla presunta assenza di punto di vista, di
interpretazione, di fedelt alla realt: si pu discutere in termini
estetici circa le modalit con cui si pu determinare la pi alta forma
di realismo, mentre non si pu assolutamente eccepire che la ripro-
duzione di un declivio, di un ruscello, di una chiesa di campagna il
risultato dellinterpretazione nel momento in cui loggetto giunge allo
sguardo e quando riprodotto sulla tela.
Se si pu rimproverare ai paesaggisti di sacrificare lillusione in
nome del realismo, col risultato di giungere alla pretesa di essere stru-
menti con cui la natura si autogenera, lillusione invece ben pre-
sente proprio nellidea di neutralizzazione della presenza dellautore,
dellassenza di interpretazione. La forma di realismo marcata dallesi-
genza della scomparsa dellautore dellopera senza dubbio espres-
sione di onnipotenza, quella riscontrabile nella capacit da parte del-
lartista di cogliere la natura in forma oggettiva e quella relativa al
congedo dellautore. Se si accoglie questa ipotesi, si pu notare che
emerge una forma di potenza demiurgica da parte del soggetto crea-
tore in contrapposizione alla potenza della natura: il gesto estetico
non sarebbe un evento naturale, ma sarebbe il risultato dellazione
delluomo, capace poi di dissolversi secondo una dinamica che richia-
ma la pratica del suicidio. Nel rifiuto dellillusione si manifesta lil-
lusione, gesto che probabilmente ferisce lo spirito di Baudelaire non
solamente per la sua equivocit, ma anche per la protervia con cui
luomo pensa di giocare la natura. Se ci che rende il diorama pi
efficace del dipinto paesaggistico il fatto che esso non sacrifica
lillusione, ebbene la fedelt allillusione esprime linterpretazione, la
presenza dello sguardo, della soggettivit, dellerrore valutativo. Lil-
lusione in quanto inganno pu essere il risultato dellazione umana, di
chi, per esempio, si dispone con punto di vista univoco e personale
rispetto al mondo e poi pretende di porsi al suo servizio secondo un
canone estetico, anchesso segnato da una forma di unilateralit non
coincidente con luniversalit. Lillusione la consapevolezza del
punto di vista, il suo carattere limitato, parziale, capace di rapportarsi
con la natura come universalit proprio in virt della non coincidenza,
dellasimmetria, della caducit: affermare di essersi illusi vuol dire
riconoscere la propria posizione in termini onticoontologici, cio
linterpretazione come parte di un tutto che si d sempre attraverso le
categorie spaziotemporali, attraverso il chiasmo tra finito ed infinito.
Ci che nel presente, nellinterpretazione, nel giudizio, presenta
valore in virt della sua collocazione in un tempo in rapporto con il
Francesco Garritano 154
passato e col il futuro. La questione dellinterpretazione, propria dello
sguardovisione, la sua dimensione temporale, ci che la rende vera
e reale proprio perch transeunte. Linludere, il gioco, lo scherzo,
linganno del vedere, non il risultato di una decisione, nel senso che
non si opta per lerrore, ma ci si apre al rovesciamento, alleffetto
speculare nellambito del processo di conoscenza, della rappresen-
tazione, definita per mutazione rispetto al passato e destinata a varia-
re. Ci che permane immutabile il tempo, quel presente in cui il ve-
dere si dispone ed in quanto tale si presta o si d al gioco.
Lapprezzamento del diorama da parte di Baudelaire non certo
laccettazione della riproduzione esatta della natura, quanto messo in
atto dai paesagisti e pi ancora dai fotografi. Non si deve dimenticare,
infatti, il giudizio negativo dato dallautore de Les fleurs du mal verso
la fotografia, quella modalit dellarte che, per quanto possa essere
moderna e soddisfare i gusti del pubblico, priva della qualit pecu-
liare dellarte poetica: la rverie, la capacit fantastica e visionaria
5
.
Quanto diciamo sembra paradossale: da una parte si rifiuta la piat-
tezza dellimmagine, della mera registrazione della natura, col risul-
tato di considerare il fotografo un pittore mancato
6
, limitando il cam-
po della fotografia a documentazione scientifica, ad archivio, ad ausi-
lio dellarte; dallaltra si celebra il diorama e la sua capacit di ingan-
nare, di falsificare, poich ci che falso anche vero. La posizione
di Baudelaire chiara e non d adito ad alcun dubbio: egli rifiuta il
progresso e la tecnica, poich vede in essi un impoverimento dello
spirito, non tanto di quello razionale, ma pi che altro di quello
fantastico. In questottica levoluzione dal dagherrotipo alla foto-
grafia, dalla lanterna magica al diorama una forma di appiattimento
del potere proprio dello spirito poetico e del linguaggio della poesia,
le cui possibilit, per quanto inscritte allinterno di un ordine mime-
tico, si dispongono in uno spettro ampio, nel senso che evocano, al-
ludono, aprono a quanto non rappresentativo. La visionariet della
rverie avviene allinterno di un sistema semanticorappresentativo,
in assoluta lucidit, in un rapporto con la natura accentuato da una
forma di pensiero reso pi fievole e parimenti pi potente in termini
di corrispondenza con quanto ad esso estraneo. Tutto questo pre-
senta una ben consolidata tradizione (si pensi, infatti, alla voce poe-

5
Il rimando, ovvio, CH. BAUDELAIRE, Il pubblico moderno e la fotografia, trad.
it. di G. Gugliemi e E. Raimondi, in ivi, pp. 11911197.
6
Cfr. ivi, p. 1195.
Chiasmo grafico 155
tica come origine, eco di un momento primo dissoltosi, uscito dal
tempo, dal mondo: Orfeo, il canto, la scrittura tramandata agli adepti),
ma nel caso di Baudelaire pi probabilmente la considerazione ma-
tura da una precisa idea di tempo, che si pu rinvenire in una sua ri-
flessione su Costantin Guys: Il piacere che ricaviamo dalla rap-
presentazione del presente dipende non solo dalla bellezza di cui pu
adornarsi, ma anche dalla sua qualit essenziale di presente
7
. Non
pu essere una certa concezione dellarte a determinare una presa di
posizione perch, se cos fosse, ci troverremo di fronte ad un modello
ideale, ci che disporrebbe dellassolutezza, dellimmobilit tempo-
rale. Una concezione esteticoeticoontologica presenta sempre il
rischio di uscire dallordine storico e di prospettare una fine della
storia, il suo compimento. La qualit essenziale di presente viene
meno di fronte ad una conoscenza uniforme, ad un pensiero che si
esprime in modo netto e preciso su ci che , al punto che il sapere
si dispone in forma pregiudiziale e quindi senza altra disposizione
verso il tempo se non limmutabilit
8
. Questa disposizione appunto
rifiutata da Baudelaire sia quando si intrattiene su Costantin Guys, la
cui arte pittorica ha il pregio di cogliere la vita moderna, il
movimento, lo scorrere ed il fluire del tempo, sia quando rifiuta i
paesagisti che, in nome del realismo, finiscono per diventare dei foto-
grafi, degli arconti del tempo sottratto al tempo, al divenire, alla vita.
Il giudizio di Baudelaire sul diorama rientra in una concezione
esteticoontologica in cui il presente si dispone come finito, aperto al
divenire secondo una modalit di ordine non sintetico: non possiamo
considerare lidea di poesia proposta dal poeta francese come ci
che ordina, regola e disciplina il moto del tempo; la qualit essenziale
della rverie uno sguardo acuto, profondo, ma nello stesso tempo
allucinato in virt della tensione, dello sforzo, sguardopensiero
parola capace di operare connessioni e corrispondenze, di vederle
soprattutto laddove esse si sottraggono. La sensibilit della rverie ri-
siede nel suo essere in un presente mobile, dinamico, presente aperto
al presente, presente senza presente, presente in attesa del presente.
Ci che caratterizza lo spirito poetico per lappunto il tempo, quel
presente che tale in virt del suo carattere supplementare. La pecu-

7
Ch. BAUDELAIRE, Il pittore della vita moderna, trad. it. G. Guglielmi e E.
Raimondi, in ivi, p. 1273.
8
Su questo argomento e sulle sue implicazioni in termini linguistici, gnoseologici
ed etici il lettore pu confrontare B. CASSIN, Leffetto sofistico, trad. it. di C. Ro-
gnoni, Jaca Book, Milano 2002.
Francesco Garritano 156
liarit del supplemento connessa al suo essere protesi, apertura del
tempo e della conoscenza, perci molteplicit della realt. Questa non
pu darsi in termini di semplicit e dato immediato, ma come ci che
viene, ci che spunta, sicch non possibile disporsi a coglierla come
rappresentazione statica, per quanto minuziosa possa essere. Il tempo
colto dal poeta, pur configurandosi come insieme continuo, in
effetti molteplicit in grado di prescindere da ogni sintesi. Non viene
meno il principio ordinatore, che si manifesta nellimmediatezza del
gesto, della parola disposta negli enunciati, ma ci che essenziale in
questa concezione del tempo e nella sua manifestazione linguistico
espressiva il rapporto fra possibilit ed impossibilit, fra enunciato
ed enunciazione, connessione che marca levento, la sequenza ver-
bale, aperta costitutivamente alla possibilit, a ci che viene. Lim-
mediata conseguenza di una tale concezione onticoontologico
estetica la messa in discussione del finito, di ci che , non
perch venga meno laccadimento, ma perch esso non trova una
compiutezza: paradossalmente, la compiutezza finisce per coincidere
con lapertura a quanto differente, altro, nuovo, con quanto la
sospende
9
. Se il diorama permette di sottrarsi alla menzogna della
presentazione della realt, eliminando, appunto, lesibizione attra-
verso lesibizione stessa, ne deriva che il carattere ludico dellin
ludere il portare allo sguardo quanto altro, ostentare la falsit
come ci che fissa il rapporto fra il pensiero e la realt. Tanto in
termini di conoscenza, quanto di riproduzione della realt, si attua
una relazione fra coscienza e mondo caratterizzata dalla distanza,
dallirriduttibilit, da quanto non pu essere rappresentato (il refe-
rente) e quanto presentato (la referenza). In quanto si dispone in una
trama linguisticoesteticorappresentativa c la presenza di ci che
non , di ci che marca la posizione del soggetto nei riguardi del
differente: il referente permane nella sua distanza, nella sua inap-
procciabilit e si dispone ad essere nel tempo attraverso il fare, lope-
ra, il cui limite segnato.
Tutto questo messo in mostra dal diorama, da un luogo artificiale
in cui si disegnano scenari morti che alla luce sembrano vivi. Ci che
vede lo spettatore del diorama di rue de Sanson mera finzione, dal

9
Sempre a proposito di Costantin Guys e della sua attenzione per la realt, cura
che rovescia le teorie estetiche sul realismo, Baudelaire fa uninteressante osserva-
zione in cui lo sguardo poetico assimilato a quello del bambino: il bambino vede
tutto in una forma di novit; sempre ebbro (CH. BAUDELAIRE, Il pittore della vita
moderna, cit., p. 1280).
Chiasmo grafico 157
momento che la riproduzione di un determinato luogo non la sua
presenza: il diorama si basa su una cesura, sulla separazione spaziale
e temporale, non riducibile. Il fatto che la visione si d allo spettatore
come vera tale allinterno di un contesto retto dalla falsit. La messa
in evidenza che ci che si vede evoca un altro luogo il dato di fatto
inoppugnabile, tanto che si pu affermare che ci che non .
Questa affermazione stridente al punto che si pu pensare che la
negazione regga il presente. Compiere una tale lettura presenta un
carattere riduttivo, poich indubitabile che lazione del vedere si
colloca nel presente, in quanto . Riconoscere un luogo in ci che
offre il diorama accadimento collocato in un tempo preciso: non ci
sono dubbi che qualcosa avviene, sebbene il tutto rientri in una trama
giocosa. Colui che osserva il diorama del Museo di Storia Naturale di
Milano e scorge locelot nellatto di lanciarsi sulla lepre compie un
gesto collocato in un tempo ed in un luogo, determinazione spazio
temporale inevitabile, cos come inevitabile la sua falsit rispetto a
quanto propone, al modello, al referente. Il gioco, il rapporto vero
falso, marca la vista del diorama, la cui illusioriet ed ingannevolezza
sono tali in virt del fatto che si danno ben precise coordinate spazio
temporali. Lo spettatore si trova di fronte alla riproduzione di ci che
non , dinnanzi al felino nellistante in cui si scaglia sulla lepre. La
scena presente in virt del racconto o, per essere pi precisi, ci che
si d nel presente la narrazione di una scena di caccia che qualcuno
ha visto e che tutti possono riconoscere proprio sulla parola. Chi
osserva, per quanto sia fuoriluogo, distante dallavvenimento rappre-
sentato, sa che locelot vive in un certo habitat, ben riprodotto dal
diorama, e si nutre di altri animali. Tutto questo noto in virt di un
vedere, quello proprio di chi ha avuto modo di osservare tale felino,
tramandato, testimoniato con la parola. Quanto giunge allo spettatore,
che si reca ad osservare i diorami del summenzionato museo, non
altro che lesito della testimonianza, della fabula, di una parola che si
propone alla vista. Dire che la parola giunge allo sguardo pu susci-
tare qualche perplessit: in termini di immediatezza percettiva, essa
accolta dalludito, nel senso che la parola si dispone essenzialmente
come suono. Non si pu escludere, tuttavia, che possa anche confi-
gurarsi come ci che si offre alla vista, se solo pensiamo alla parola
scritta, a ci che offriamo, per esempio, al nostro lettore in questo
istante. Tutto questo rientra nellovviet, che non pi tale se noi
diciamo il diorama unesemplificazione di parola proposta attra-
verso lo sguardo. Nessuno accoglierebbe lipotesi che limmagine
Francesco Garritano 158
pu essere recepita solamente se vi un racconto condiviso con lo
spettatore. Insomma, vi deve essere un sapere comune in merito alla
vita e alle abitudini dellanimale suddetto o della tigre per poter
offrire una scena a grandezza naturale in cui degli animali imbal-
samati sono proposti in unazione per essi abituale, reale. Se si ignora
questo sapere, viene meno la possibilit di proporre la riproduzione
stessa e di rimando tutte le implicazioni ad essa connessa.
Lillusoriet del diorama si fonda sulla conoscenza, su un
accadimento inscritto nella realt e non presente o, meglio, presente
attraverso la testimonianza: conoscere le abitudini di vita di un certo
animale fa s che limmagine proposta dal diorama si disponga nel
tempo, nel presente. Nel momento in cui scorgiamo la scena e la
rinveniamo come vera, riconosciamo che essa risponde a criteri di
verosimiglianza fissati dalla conoscenza e dallopinione. Se lim-
magine della tigre nellatto di assalire il cervo accettata dallo spet-
tatore senza batter ciglio, accoglimento che ha luogo allorch locchio
si imbatte nel diorama, tutto questo possibile in virt di qualcosa di
precedente: riconosciamo che il grosso felino dal manto striato
appunto una tigre, sappiamo che vive in Asia, che fra gli animali cui
d la caccia per nutrirsi c il cervo, che pu trovarsi di fronte alla
neve in prossimit degli altipiani e delle catene montuose. Se non
esistesse questo sapere preventivo, non avrebbe luogo lagnizione,
non distingueremmo la tigre e di rimando lincontro fra il diorama e
noi non si disporrebbe nel tempo. In altre parole, quanto accade, ci
che segna il tempo, il risultato della separazione, della distanza, del-
lestraneit. Poche persone hanno avuto modo di osservare una tigre
nel suo habitat naturale: se vero che tale animale a noi familiare,
anche vero che la frequentazione si basa non sullesperienza diretta,
ma su quella retta dalla testimonianza. Probabilmente, abbiamo visto
la tigre in uno zoo o al circo, in un documentario, grazie al quale
abbiamo avuto la possibilit di scorgerla nella sua libert e quoti-
dianit. Tutto questo ci permette di riconoscere come vera lim-
magine proposta dal diorama, sebbene la verit sia posticcia: noi non
abbiamo avuto modo di osservare la tigre e le sue abitudini con i
nostri occhi, ma mediante la testimonianza, quel documentario che
funziona come parola (esso si dispone come un racconto e va preso
sulla parola). Laccadimento relativo al riconoscimento della tigre
nellatto di cacciare il cervo tale in virt di ci che : conosciamo
gli animali in questione e le loro abitudini per averli osservati in un
documentario o per aver letto su di essi. Tale conoscenza , tuttavia,
Chiasmo grafico 159
fittizia, poich non abbiamo avuto modo di realizzarla in modo
immediata. Rientra nellambito delle possibilit il fatto che un giorno
possiamo trovarci di fronte alla tigre o al cervo, possibilit per il
momento custodite dallimpossibile ( impossibile che nel luogo in
cui viviamo possa realizzarsi lincontro fra noi ed il felino). C,
dunque, un accadimento, lincontro fra lo spettatore e il diorama,
costruito sullimpossibilit, non gi su quanto bandito dal possibile,
ma su un possibile che si d come supplemento al possibile stesso
(non escluso che colui che osserva la tigre nel diorama possa un
giorno vederla in azione sugli altipiani del Nepal). In ogni caso, il
diorama tale per effetto del suo carattere straniante, nel senso che
esso rimanda a quanto non presente, a ci che dista. Lillusione, di
cui parla Baudelaire, si connette cos con lallusione, sicch la verit
del diorama risiede non solamente nellinludere, ma anche nellad
ludere. Il gioco risiede proprio nel fatto che il diorama tale grazie al
fatto che qualcosa non : locelot e la tigre sono riconosciuti a partire
dalla loro assenza (non solamente si tratta di animali imbalsamati,
consegnati al non essere, alla morte o, se si vuole, allessere della
morte, ma essi non fanno parte della nostra quotidianit se non per
gioco, quello proprio della narrazione).
Linadludere connesso alla non presenza, ad una partizione
spaziotemporale grazie alla quale ci che si dispone verso ci che
non . Il diorama si colloca sul crinale fra ci che presenta una dualit
che non tale: il non essere non sospende lessere, cos come questo
non mette al bando quanto assente
10
. Lillusione non ci che a
prima vista si contrappone alla certezza. Se vero che una cosa
certa quando si realizzata, quando giunge al presente, anche vero
che la certezza non esclude altre certezze. Se certo che in questo
momento scriviamo e se siamo certi che tale certezza non verr messa
in discussione dal lettore, altrettanto certo che la sequenza verbale

10
Baudelaire fa osservare come Guys sia capace di uno sguardo molteplice che,
seppure concentrato sulla singolarit e sul dettaglio, non perde di vista la molte-
plicit, quanto altro, quanto sfugge al presente della percezione. Lattenzione cade
sullo specchio, la cui illusoriet e falsit si realizzano sul presente di unimmagine,
che nella sua diversit: Sposarsi alla folla la sua passione e la sua professione
[]. Cos linnamorato della vita universale entra nella folla come in unimmensa
centrale di elettricit. Lo si pu magari paragonare a uno specchio immenso quanto la
folla; a un caleidoscopio provvisto di coscienza, che, a ogni suo movimento, raffigura
la vita molteplice e la grazia mutevole di tutti gli elementi della vita. un io
insaziabile del nonio, il quale ad ogni istante, lo rende e lo esprime in immagine pi
vive della vita stessa, sempre instabile e fuggitiva (ivi, p. 1282).
Francesco Garritano 160
sar oggetto della nostra lettura, dunque che non scriveremo. Quanto
abbiamo detto contiene gi ci che esplicitiamo: la certezza in quanto
presenza ha luogo solo nellistante, in un preciso arco di tempo,
quello in cui si dispone laccadimento. Nel momento in cui questo si
realizza, e soprattutto quando abbiamo coscienza di tutto questo,
siamo gi fuori dallambito della certezza. In altri termini, lac-
cadimento si realizza in un presente che, colto in quanto tale, non
pi presente
11
, sicch ci che si dispone in rapporto con ci che
in un altro istante, dunque ci che sar. Per comprendere il
nesso fra ci che e ci che sar, articolazione che regola tanto
il carattere allusivoillusorio del diorama che dellartista baudelai-
riano, bisogna disporsi a pensare il tempo secondo una visione ampia,
non limitata dalla secca polarit. Laccadimento si realizza in un tem-
po riconoscibile, che non ha, tuttavia, limiti angusti: quanto scriviamo
prende forma perch operiamo una serie di opzioni a livello di
possibilit offerte dallenunciazione. Lesito di ci una successione
precisa di sequenze verbali, che sono presenti per effetto della sele-
zione. Per quanto gli enunciati si dispongano con precisione e si im-
pongano per la loro capacit di essere unici, di escludere, essi sono in
virt dellenunciazione, della possibilit di venire, di essere. La dua-
lit ci che /ci che sar non tale sul piano verbale, poich ab-
biamo un presente su cui poggia il futuro, ma non tale neppure fuori
da un ordine sintatticogrammaticale, se solo si pensa al fatto che il
futuro non va inteso come ci che si dispone dopo il presente, come
negazione dello stesso, ma come ci che lo accompagna: lenun-
ciazione altra rispetto allenunciato, nel senso che si dispone come
impossibilit, come ci che eccedenteestraneoescluso, impos-
sibilit intesa nel senso di potenza di essere e di non essere. Lenun-
ciazione, infatti, non agisce in termini oppositivicontrastivi rispetto
agli enunciati, ma al contrario costituisce la possibilit stessa del-
lenunciato
12
: se non esistesse un codice e la possibilit del-
literazione, ogni qualvolta lo si usa, lo si rende unico, non avremmo
appunto unicit. Linadludere sembra corrispondere alla con-
ciliabilit fra possibile e impossibile, allo sguardo attento dellartista
ed alla sua opera come specchio del mondo, alla visione del diorama,

11
Sulla questione fra attivit pratica ed attivit teoretica rimandiamo a M.
HEIDEGGER, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Utet, Torino, 1978, 15 e 16.
12
Su questaspetto cfr. E. BENVENISTE, Lappareil formel de lnonciation,
Langages, 17 (1970), pp. 1218.
Chiasmo grafico 161
che d il molteplice (lo sguardo dello spettatore si muove liberamente
allinterno della prospettiva) a partire dalla non presenza, dal simu-
lacro.
Il simulacro in quanto alterit lasse portante del diorama, la cui
caratteristica essenziale la definizione dellindefinito. Questo non si
staglia in termini di oscurit allinterno di ci che oggetto dello
sguardo e della conoscenza, ma come conoscenza stessa. Ha luogo
unattivit conoscitiva soltanto se si dispone uneccedenza rispetto a
quanto noto, secondo una dinamica in cui la linea di demarcazione
oscilla costantemente. Il bordo in questione diviene oggetto del-
lattivit teoretica e pratica secondo un ritmo particolare: la ricon-
duzione a s di quanto altro apre sempre a ci che eterogeneo, al
punto che le capacit mimeticorappresentative sono esercitate sul
limine fra stesso altro. Tutto ci ben evidenziato da Walter Be-
njamin negli appunti su Parigi capitale: La mer jamais la mme
in Proust, a Balbec, e la variazione di luce nei diorami fa trascorrere il
giorno cos velocemente dinnanzi agli occhi dellosservatore proprio
come in Proust la luce dilegua dinnanzi a quelli del lettore. La forma
pi infima e quella pi alta della mimesi si danno qui la mano
13
. Il
passo in questione mette in evidenza come la mimesi sia un problema
di luce, da non rendere uniforme, ma da osservare nel suo darsi e
ritirarsi. significativo che Benjamin faccia riferimento al mare,
poich introduce immediatamente alla ripetizione come movimento
essenziale non solo della forza delle acque, ma anche della scrittura,
della conoscenza, del diorama. Nel contesto specifico il diorama si
trova in una condizione particolare, nel senso che da un lato posto
in rapporto con lelemento fittizio dellarte, con la scrittura, mentre
dallaltro viene fatto corrispondere, genericamente, alla rappresen-
tazione. Questa puntualizzazione non casuale, dal momento che vie-
ne meno la catalogazione di ordine generico: il diorama un dispo-
sitivo ottico fondato sullillusione. Nellosservazione di Benjamin,
cos come in quelle di Baudelaire, la problematica dellillusoriet,
della finzione, viene accantonata, per il semplice motivo che non
possibile configurare la realt in termini di divisione ed inconci-
liabilit. Jamais la mme segna il ritmo della quotidianit, del ma-
re, del vedere. A prima vista sembra che emerga lalterit come ci
che segna il rapporto delluomo con se stesso e con il mondo. Se tutto

13
W. BENJAMIN, Il panorama [Q, 2,7], trad. it. di G. Russo, in Opere complete,
cit., p. 594.
Francesco Garritano 162
questo vero, altres vero che la differenza si dispone come esito di
un rapporto fra due o pi entit in possesso di tratti comuni, identici.
Ci che emerge nellannotazione di Benjamin la centralit del
tempo, il suo fluire, il passaggio dalla luce allombra, dal noto al-
lignoto, lattenzione, nellimitazione della realt, di tale dinamica. Il
dileguarsi, la fuga costituiscono lelemento proprio del diorama,
come dellarte, pi in generale della conoscenza, che tale in virt
della molteplicit. Si detto che lartista tanto pi preciso nel
riprodurre la realt quanto pi ha sensibilit per la rappresentazione
del presente, di quanto non , di ci che fuggitivo. Il presente
loggetto dellopera, ma anche il suo tempo: se una pagina di Balzac
pu fornirci lidea di come fosse Parigi nel secolo XIX, lo stesso
obiettivo pu essere raggiunto osservando un paesaggio o un dio-
rama. In tutte e tre i casi siamo di fronte alla presentazione di un
tempo ben riconoscibile, determinato dallartista. Questo tempo
presente e viene esposto attraverso lopera, che nellessere opera si
dispone storicamente. La dimensione storica impone il ricono-
scimento del tempo, la sua divisibilit, la sua apertura verso lav-
venire ed il passato. La determinazione del tempo impone il ricono-
scimento della separazione, della distinzione e della misurabilit.
Quando rifiuta il realismo dei paesaggisti, Baudelaire manifesta indu-
bitabilmente una propria opinione in merito al realismo, ma esprime
anche le sue perplessit di ordine storico, di conoscenza della storia.
Fissare il tempo e ripeterlo nellopera, in un orizzonte segnato dalla
presunta scomparsa dellautore, corrisponde a negare la relazione fra
questi e il mondo. Il tentativo di cancellarsi da parte dellartista, in
nome della perfetta imitazione della realt, non un gesto discreto,
ma, al contrario, rivela esuberanza: come se lopera divenisse ci in
cui confluisce la realt, ci in cui il tempo dato una volta per tutte,
in una pienezza sospetta. Daltra parte, una forma darte orientata a
rappresentare il presente in questi termini sottrae a s il presente
stesso. Essa si dispone secondo un ordine storico portato al paros-
sismo, alla chiusura: presentare una certa configurazione della realt
come la realt vuol dire cogliere il tempo come presente, ossia
condurlo allo svuotamento, alla saturazione. Il tempo ed il suo senso
sarebbero dati dallopera, per cui si uscirebbe dallordine storico, nel
senso che la storia sarebbe compiuta e che tutto ci che fa seguito
allopera postumo.
Si aprono due possibilit relative alla posterit. Da una parte
quella dellarte realistica, della copia che raggiunge la realt o, se si
Chiasmo grafico 163
preferisce, che reale quanto il reale; dallaltro una prospettiva
mimetica in cui il dato in comune fra la rappresentazione e la realt
lincommesurabilit, limpossibilit di stabilire una scala in cui il
rapporto sia luno
14
. Nel primo caso si assiste a qualcosa di perverso,
dal momento che colui che mette in atto la pratica mimetica si colloca
in un tempo, in un presente cui ricondotta la realt, quanto altro.
La cancellazione della presenza dellartista, nel gesto estremo di fare
apparire la realt cos com, si risolve nel suo contrario: non si
presenta il mondo, ma al contrario questo viene cancellato, sicch la
visione diviene totalizzante. Non avremmo pi alterit e il niente
sarebbe lesito di tale operazione mimetica: tutto ci che si dispone
come differente rispetto allopera appartiene ad una realt priva di
vita, incenerita. Non ci troveremmo solo dinnanzi alla fine del mon-
do, ad una demiurgica apocalissi, ma anche di fronte alla distruzione
del tempo, pretesa cui si accompagnerebbe quella del ricomin-
ciamento, ossia latto della creazione. Il senso del presente marca il
procedere contrario, quello contraddistinto dal rapporto di alterit
proprio della mimesi. Jamais la mme la rappresentazione della
realt, non solo perch vi rappresentazione nello scarto, ma anche e
soprattutto perch la rappresentazione genesi iterata, incompimento
sistematico. Questa prospettiva temporale del tutto diversa rispetto
alla precedente: il soggetto della conoscenza si dispone in un tempo
in cui il dato permanente il suo autogenerarsi illimitato. In questo
modo si in un ordine storico vivente e non postumo, quello proprio
di chi procede mimeticamente a partire dalla cancellazione del-
lalterit. Nellun caso come nellaltro siamo di fronte ad una moda-
lit particolare del vivere o, per essere pi puntuali, del sopravvivere.
Colui che scorge la realt senza filtro mimetico, a partire dalla can-
cellazione del differente, compie il proprio tempo e si situa fuori, per
cui si deve disporre in direzione di una nuova vita da creare: la
prospettiva demiurgica, quella marcata dal delirio del Selbst, che si
trova nella condizione di dover creare ci che differente come
emanazione del proprio. Si vede bene che si disegna un vero para-
dosso, poich la celebrazione dellaltro una sorta di sua commemo-
razione. La vita in quanto morte segna questa modalit non soltanto

14
Tutto questo emerge dalla lettura di J.L. BORGES, Del rigore della scienza,
trad. it. di F. Tentori Montalto, in Tutte le opere, a c. di D. Porzio, Mondadori Milano
1984, vol. I, p. 1253, dove i cartografi celebrano la propria onnipotenza con la loro
scomparsa: riprodurre il mondo a grandezza naturale non ha, infatti, altro senso.
Francesco Garritano 164
mimetica, ma pi generalmente teoretica: in questo caso, soprav-
vivere vuol dire riprendere a vivere dopo la morte, scambiata per la
vita e poi riconosciuta. La morte come vita marca, invece, quella
forma di rappresentazione che non jamais la mme, nel senso che
essa ha luogo a partire dal limite, da una soglia costantemente
oltrepassata e mai varcata. In termini estetici e teoretici, la rappresen-
tazione conduce dinnanzi quanto finisce per essere al di qua della
conoscenza stessa, non gi perch questa venga meno, ma sem-
plicemente perch essa ha luogo nella ripetizione. Literazione riman-
da a ci che si sottrae alla mimesi, ad una sorta di debolezza da parte
di questa o ad uneccedenza. In ogni caso iterare vuol dire raffrontarsi
con quanto supplementare, riconoscere che il tempo, il presente,
non si compie, ma accenna alla sua definizione. Tutto questo impone
attenzione, il rifiuto del detto, visto e pensato, la pazienza, la capacit
di osservare, di ospitare, qualit che Baudelaire e Benjamin attribui-
scono al flaneur.
ANNABELLA DATRI

Immagine e Weltbild in Heidegger



1. Bild e mondo

Il saggio di Heidegger Die Zeit der Weltbildes stato tradotto
come lepoca dellimmagine del mondo, fatto che pu generare nel
lettore italiano fraintendimenti e domande relative al senso da
attribuire al concetto di immagine nel contesto della riflessione
heideggeriana
1
. Proposito del presente contributo quello di at-
traversare la produzione di Heidegger, a partire da Essere e Tempo,
per individuare la famiglia di concetti e di termini alla quale pu
legittimamente ricondursi il termine Bild in Heidegger, per favorire
una interpretazione migliore del saggio del 1938, oggetto principale
del nostro discorso
2
.
Occorre preliminarmente ricordare che il titolo del saggio
suggerito ad Heidegger dal tema scelto dagli organizzatori per una
serie di conferenze da tenersi a Friburgo su i fondamenti del-
limmagine del mondo nel mondo moderno; Heidegger svolge a suo

1
MALY (1989) si sofferma particolarmente sulla definizione che Heidegger
fornisce del termine Bild in DWM. Maly sottolinea le ambiguit che nascono dalla
traduzione del termine Bild con linglese image e propone imaging, che, a suo dire,
secondo quando Heidegger afferma ne Lorigine dellopera darte, evidenzia la
funzione attiva dellimmaginazione, insieme disvelante e occultante. La Maly si
richiama al termine greco eikon e latino imago (pp. 192193), ma non individua la
differenza con il termine greco sumbolon, un portare insieme che Heidegger
definisce come allegoria, cio manifestazione di un qualcosaltro, e da cui parte
per individuare lessenza dellopera darte (UKW, pp. 910). Maly non considera
inoltre la multivocit di sensi dei termini greci alla quale lo stesso Heidegger fa
riferimento: immagine in un certo senso infatti simile anche a eidos. Platone, con il
suo concetto di idea, costituisce per Heidegger una tappa decisiva nel percorso
metafisico che conduce il mondo a divenire immagine. Questultimo aspetto invece
messo bene in luce da TAMINIAUX (1989, p. 120) che interpreta in maniera originale
ma convincente alcune pagine del Nietzsche di Heidegger, scritte nel 1940 e dedicate
alla storia del nichilismo.
2
La nuova, brillante traduzione italiana degli Holzwege di V. Cicero, che for-
nisce utilissimi glossari, si muove nella stessa direzione individuando per tutte le
famiglie di parole le corrispettive voci capofamiglia (HW, p. 451; per la voce
capofamiglia Bild si vedano le pp. 494495).
Bollettino Filosofico 22 (2006): 165-182 165
Annabella DAtri 166
modo il tema, mettendo in questione il significato dellespressione
immagine del mondo. La tesi di Heidegger cos riassumibile: non
si d nel mondo moderno una particolare immagine del mondo,
quanto piuttosto la stessa modernit tutta a caratterizzarsi in base ad
una determinata interpretazione del mondo, quella appunto che lo
riconduce ad essere immagine. Posta in questi termini ed essendo una
questione sui fondamenti, allora essa appartiene allambito della
metafisica.
Per questi motivi il saggio si apre con laffermazione:

la metafisica d fondamento a unepoca in quanto le offre la base della sua
configurazione essenziale (Grund seiner Wesengestalt)
3
, attraverso una
deter-minata interpretazione dellente e una determinata concezione della
verit (ZW, p. 71; t. 69).

Se fondamento ci che domina tutte le manifestazioni di unepo-
ca, occorrerebbe analizzare tutte le manifestazioni del mondo moder-
no per poi risalire alla loro essenza; Heidegger ne elenca cinque: la
scienza, la tecnica, larte ricondotta allestetica, il fare umano inter-
pretato come cultura e la sdivinizzazione, per poi scegliere di limi-
tarsi allindagine sulla scienza moderna. Dove vanno ricercati i mo-
tivi di una tale scelta?
Per poter rispondere alla domanda occorre ripetere lasserzione di
apertura del saggio: Nella metafisica ha luogo [] la decisione circa
lessenza della verit: la Auffassung des Seiendes e la Auslegung der
Wahrheit (ZW, t. 70). Se la particolare interpretazione della verit a
caratterizzare unepoca della metafisica, allora, dal momento che nel-
let moderna la scienza che pretende per s la decisione sul-
lessenza della verit, diventa pregiudiziale rivolgere la riflessione
proprio sulle scienze moderne ed in particolare sulla pi autorevole
fra esse, cio sulla fisica matematica.
La scienza ha per i moderni un significato diverso rispetto alla epi-
steme dei greci ed alla doctrina dei medievali; per poter domandare
sullessenza della scienza moderna occorre quindi liberarsi dellidea
di progresso come cammino della medesima scienza verso livelli

3
Occorre segnalare che la traduzione di Cicero (HW, p. 91) traduce pi fedel-
mente, ma con minore efficacia fondamento della figura della sua essenza. Come
viene precisato in seguito da Heidegger una tale figura o forma data dallinsieme
dei fenomeni essenziali dellepoca, ne quindi la sua configurazione, come acuta-
mente intende Pietro Chiodi.
Immagine e Weltbild in Heidegger 167
sempre superiori. Lessenza della scienza moderna consiste nella ri-
cerca, la cui essenza a sua volta consiste nel fatto che il conoscere
diviene procedimento (Vorgehen). Questultima deve il suo rigore e
la sua esattezza al fatto che ogni fenomeno viene ricondotto nel-
lambito di un progetto stabilito apriori: lesempio paradigmatico vie-
ne tratto dalla scienza pi anziana, la fisica matematica. Se la fisica
in generale la conoscenza della natura allora in essa avviene anche
la determinazione precostituita di ci che debba intendersi per natura
e cio: Ogni fenomeno che pretenda valere come fenomeno naturale
deve essere anticipatamente determinato come quantit di movimento
spaziotemporale (ZW, p. 75).
Di fronte alla diversit dei fatti e dei loro mutamenti, allessere
sempre altro dellalterazione, la scienza moderna, per poter ricon-
durre ad oggettivit, cio a stabilit lalterazione e il mutamento, ri-
corre in maniera decisiva ai concetti di legge e di regola: Cos lo
studio dei fatti nel dominio della natura si risolve nella formulazione
e nella verifica di regole e leggi (ZW, p. 76). Heidegger mostra in tal
modo come non sia la ricerca sperimentale a costituire lessenza della
scienza moderna, quanto piuttosto come solo una scienza matematica
della natura possa essere sperimentale: Lesperimento della scienza
moderna non soltanto un procedimento di osservazione pi rigoroso
e ampio [] ma consiste nella verifica della legge a partire e in vista
di un progetto esatto della natura (ZW, p. 78).
Heidegger interpreta cos lespressione newtoniana hypoteses non
fingo: la rappresentazione (Vorstellen) delle condizioni alle quali
lesperimento ha valore non frutto di libera immaginazione (Ein
bilden) (ZW, t. p. 75).
Interessante notare come qui Heidegger metta in relazione, per
opposizione, limmagine scientifica del mondo, come rappresenta-
zione determinata dalla verifica di ipotesi, con la immaginazione co-
me finzione e illusione. In questo caso Heidegger adopera, ad indi-
care lopposto dello immaginare (Einbilden) e nel significato di cor-
nice che tiene insieme le rappresentazioni, il termine progetto (Grun-
driss o Entwurf) degli scienziati e non usa termini derivati dalla stes-
sa radice Bild di quadro. Resta il fatto che, per usare la terminologia
aristotelica, limmagine scientifica del mondo e quella fantastica e
poetica devono intendersi, opposti dentro lo stesso genere
4
: in-

4
Ci sembra che lunico brano in cui compaiano insieme Bild e einbilden si trovi
nella chiusa della nota 8 nel saggio sullimmagine del mondo: sein Vorstellen das
Annabella DAtri 168
tendiamo dire che limmaginazione fantastica e quella che presiede
alla ricerca scientifica, pur nelle differenze, hanno per Heidegger una
identica radice: quando Heidegger intende indicare limmaginare poe-
tico usa sempre Einbilden
5
(vedi anche DWM, pp. 19495)
6
mentre
riserva il termine Bild allimmaginequadro che ha bisogno di essere
individuata da una particolare cornice.
Sulla base della delucidazione iniziale sullessenza della ricerca,
Heidegger pu mostrare come ad ogni scienza particolare venga a
corrispondere una determinata regione oggettiva, cio uno spazio che
il progetto delimita anticipatamente, e che, attraverso rigorosi pro-
cedimenti e operazioni, si consolida: Progetto e rigore, procedimen-
to ed operazioni, esigendosi reciprocamente, esprimono lessenza del-
la scienza moderna qualificandola come ricerca (ZW, p. 83).
Se lessenza della scienza moderna individuata nella ricerca, ri
sorge la domanda: cosa ha a che fare il concetto di ricerca con quello
di immagine?
opportuno tenere costantemente presente il percorso indicato da
Heidegger: una volta definita la scienza moderna, non siamo ancora
pervenuti allessenza del mondo moderno, che trova nella scienza so-
lo una delle sue manifestazioni. Ecco perch Heidegger ora ripropone
la vera e propria questione metafisica: quale concezione dellente e
quale dottrina della verit costituiscono il fondamento che rende pos-
sibile ricondurre la scienza a ricerca?
Il termine, per cos dire medio, che da questo momento in avanti
dovr fare da guida quello di oggetto:

Solo ci che diviene cos oggetto (Gegenstand) , vale come essente. La
scienza diviene ricerca quando si ripone lessere dellente in tale oggettivit.
Questa oggettivazione (vergegenstndlichung) dellente si compie in un rap-
presentare, in un porreinnanzi (vorstellen) che mira a presentare ogni ente
in modo tale che luomo calcolatore possa esser sicuro (sicher), cio certo
(gewiss) dellente (ZW, pp.8384; t. p. 80).

Cos la scienza diviene ricerca solo quando la verit divenuta

Seiende als das Gegenstndliche in die Welt als Bild einbildet (ZWB t. 98) su cui
occorrer ritornare pi in dettaglio.
5
WM p. 39: il mondo non una cornice solo immaginaria; pp. 7273: poesia
non fluttuazione di mere rappresentazioni e immagini nellirreale; pp. 128129:
Luomo [] fantastica [] nella misura in cui [] si immagina lessente come
loggettuale.
6
MALY 1989 sorvola su queste diverse sfumature di senso.
Immagine e Weltbild in Heidegger 169
certezza del rappresentare, cio con Cartesio. La riflessione di Hei-
degger rinvia adesso inevitabilmente allanalisi della storia della me-
tafisica, in particolare allinterpretazione di Cartesio e di Kant, analisi
che Heidegger ha dettagliatamente compiuto in altre opere
7
, e dalle
quali emerge che lessenziale ormai linstaurarsi di un riferimento
reciproco fra il soggetto e loggetto. Il perno della concezione mo-
derna del mondo consiste dunque nel fatto che luomo diviene centro
di riferimento, e sostanza per ogni ente; luomo diviene il vero
subjectum: diviene quellente in cui ogni ente si fonda nel modo del
suo operare (Sein = essere) e della sua verit (ZW, p. 86; t. p. 81)
8
.
Una tale digressione di storia della metafisica
9
in questo contesto di
discorso prelude alla affermazione di Heidegger che, a rigor di ter-
mini, non si pu parlare di immagine del mondo greca o me-
dievale, perch solo let moderna rende possibile riferirsi al mondo
in termini di immagine.
Se solo in questo luogo del saggio che Heidegger introduce la
sua interpretazione del concetto di immagine (Bild) lo si deve al fatto
che era necessario premettere quelle delucidazioni sul concetto di
soggetto nella storia della metafisica. Ora Heidegger pu cos ana-
lizzare il termine Bild: immagine significa innanzitutto riproduzione
di qualcosa, nel senso espresso dalla parola tedesca Abbild, cio
appunto copia, ma in senso eminente significa avere unidea fissa di
qualcosa, cio: porre innanzi a s lente stesso cos come viene a
costituirsi per noi e mantenerlo costantemente come stato posto
(ZW, p. 87; t. 82). In tal modo immagine e rappresentazione diven-

7
Vedremo presto come linterpretazione della Critica della ragion pura debba
ritenersi decisiva per la individuazione del senso da assegnare al termine Weltbild in
Heidegger.
8
Si veda quanto scrive GADAMER 1986 (p. 194): Soggetto la medesima cosa
di sostanza [] Questo concetto greco non ha certo niente a che fare con il concetto
tedesco di soggetto, che sta a significare sempre lio.
9
In N, pp. 641677 (t. II pp. 127173) Heidegger invece interessato a mostrare
la continuit fra la metafisica di Cartesio e quella di Nietzsche: La dottrina di
Nietzsche, che riduce tutto ci che , cos com, a propriet e prodotto delluomo
non fa che portare a compimento lestremo sviluppo di quella dottrina di Descartes
secondo la quale ogni verit viene fondata riconducendola allautocertezza del
soggetto umano (p. 642; t. p. 128). Taminiaux 1989, al quale rimandiamo per un
esame pi dettagliato dei riferimenti a Cartesio in Heidegger, mostra come lo stesso
Heidegger si muova nel solco della tradizione cartesiana e come anche la sua lettura
di Cartesio sia contemporaneamente, come nei casi di Aristotele, Kant e Nietzsche,
una riappropriazione ed una ripetizione.
Annabella DAtri 170
tano sinonimi, esprimono cio lo stesso processo mediante il quale il
mondo, cio lente nel suo insieme, posto dalluomo che lo pro
duce (da herstellen) come rappresentazione (da vorstellen)
10
.
Il mondo diviene immagine laddove il soggetto diviene il
palcoscenico dove va in scena lo spettacolo della realt: il carattere
immaginale (Bildcharakter) del mondo viene chiarito come la rappre-
sentatezza (Vorgestelltheit) dellessente (ZW t. p. 85). Lanalisi di
Heidegger si sposta quindi dal concetto di immagine a quello di
rappresentazione. Questultimo significa: portare innanzi a s la
semplicepresenza come qualcosa di contrapposto, rapportarla a s
[] ricondurla al soggetto come al principio di ogni misura (ZW, p.
9293). Ne consegue che il termine immagine pu essere sinte-
ticamente definito come configurazione della produzione rappre-
sentante: Das wort Bild bedeutet jetzt das Gebild
11
des vorstellenden
Herstellens (ZW, p. 87).
Per condurci a cogliere meglio il senso del suo discorso Heidegger
invita a riflettere sullespressione tedesca sein ber etwas im Bilde
(ZW t. p.83): letteralmente essere in forma su qualcosa, in italiano

10
GALIMBERTI 2005 (p. 203) sintetizza bene il processo analizzato da Heidegger:
Con lumanesimo, che ha le sue radici storiche nellepoca cartesiana, luomo
diventa il rappresentante dellente risolto in oggetto, prende possesso dellambito dei
suoi poteri che interpreta come ambito di misura e di dominio dellente, e cos, da
luogo di rivelazione dellessere (il ci dellesserci) diventa luogo di aggressione del-
lente. Galimberti sostiene anche, ma senza argomentazione adeguata, che tale
processo culmina, secondo Heidegger, nella immaginazione trascendentale kantiana.
A noi sembra invece, come cercheremo di indicare in seguito, che il concetto di
immaginazione kantiana giuochi un ruolo molto pi complesso nella riflessione che
Heidegger dedica al concetto di Bild. La sottovalutazione della ripetizione della
lezione kantiana di Heidegger ancora pi evidente in un altro passo dove GALIM-
BERTI 2005 (p. 39) sostiene che il soggetto chiamato in questione lintersogget-
tivit che, tramite le ipotesi matematicamente calcolate, costruisce un mondo a im-
magine del progetto anticipato. Non si pu correttamente parlare del soggetto car-
tesiano come se corrispondesse al concetto kantiano di intersoggettivit, cos come
non si precisi se si sostiene che limmagine del mondo corrisponde allimmagine
del progetto anticipato, in quanto, per Heidegger, non c una immagine del progetto
in quanto lo stesso progetto Bild, cio schema e cornice di stabilit e sicurezza.
11
CICERO (HW, p. 114) traduce brillantemente in questo caso Gebild con for-
mato immagine, che andrebbe bene a nostro avviso per tradurre proprio il termine
Weltbild, appunto come mondo in formato immagine: noi per preferiamo man-
tenere il pi usuale configurazione che rende meglio luso del prefisso Ge in Hei-
degger (si pensi al termine Gestell per indicare lessenza della tecnica moderna nella
imposizione e nellavere a disposizione) come rafforzativo, nello stesso senso in cui
di un insieme di monti, di un massiccio, si dice un Gebirge.
Immagine e Weltbild in Heidegger 171
traduciamo essere ben informati su qualcosa, vederci chiaro.
Lespressione corrispondente sich ber etwas ins Bild setzen
significa daltra parte informarsi su qualcosa, anche nel senso di
essere nella forma giusta, pronti per affrontare qualcosa di cui nulla ci
sfugge nella sua sistematicit
12
. Linsistenza di Heidegger su questa
espressione idiomatica tedesca ci deve far riflettere: se, quando la
nostra immagine di un qualcosa ben strutturata e dotata di infor-
mazioni decisive, diciamo che essa corrisponde alla cosa stessa, al-
lora intendiamo dire che limmagine a decidere sulla realt. Proprio
in questo senso Heidegger intende usare lespressione Weltbild:
concepire il mondo come immagine significa sentirsi ben informati
sullente nella sua totalit, ricondurre lessenza della verit a quella
decisione che comporta sicurezza e certezza soggettiva.
Su queste premesse si comprende linstaurarsi del rapporto fra
luomo ed il mondo in termini di visione. Ma il termine tedesco Welt
anschaung (visione del mondo), non per Heidegger sinonimo di
immaginedelmondo in quanto questultimo gli sta a fondamento,
sia storicamente (lespressione visione del mondo nasce e si diffonde
solo a partire dallOttocento) che ontologicamente. Una volta che il
mondo divenuto immagine, luomo afferma la sua posizione di
centralit e di centro di riferimento, in quanto colui al quale si devono
le diverse visioni, riconducibili a diverse esperienze vissute: lente
conta come essente in quanto e nella misura in cui incluso e
ricondotto in questa vita, cio vissuto e risolto in unesperienza vis-
suta (Erlebnis) (ZW, pp. 9899; t. p. 86).
Anche il concetto ottocentesco di Erlebnis appartiene quindi alla
metafisica della modernit inaugurata da Cartesio, ben diversa da
quella medievale, in cui e per cui lente ente creato, e da quella
greca, per cui lente ci che si apre e viene allessere. Ebbene,
mentre nei confronti della concezione medievale Heidegger non ri-
tiene qui necessario analizzare ulteriormente le differenze con la
concezione moderna, ben altrimenti stanno le cose nei confronti della
concezione greca, dal momento che Heidegger si trova a dover
smontare la tesi storiografica secondo la quale la concezione sofi-
stica, in particolare quella di Protagora, pu essere considerata una
anticipazione del soggettivismo cartesiano. Appunto a tale distin-
zione, fra la sentenza di Protagora e la teoria di Cartesio, Heidegger

12
In questo caso decisamente superiore la traduzione di CICERO (WM, pp. 107
8) che mette bene in evidenza i diversi sensi dellespressione tedesca.
Annabella DAtri 172
dedica una complessa e decisiva nota, il cui contenuto corrisponde a
quello del paragrafo dal titolo La tesi di Protagora nelle lezioni su
il nichilismo europeo del NietzscheBuch (N, p. 646641; t. II, 135
141).
Lanalisi parte dal detto di Protagora (in Platone, Teeteto, 152 B)
di tutte le cose misura luomo, di quelle che sono, del fatto che
sono, di quelle che non sono, del fatto che non sono. Lo stesso
Platone interpreta il passo nel senso che ciascuna cosa, che luomo ha
attorno, appare a ciascun uomo in un aspetto particolare e proprio:
Luomo qui (nella interpretazione di Platone) di conseguenza il
rispettivo (jeweilig)
13
uomo = io e tu e lui e lei. Sembrerebbe che nel
caso di Protagora come in quello di Cartesio, la verit dellente sia la
stessa essenza (desselben Wesen) stimata e misurata mediante lego,
ed invece: cadremmo nondimeno in una fatale illusione se volessimo
supporre qui una omogeneit delle posizioni metafisiche di fondo in
base ad una certa uguaglianza delle parole e dei concetti adoperati
(N, p. 647; t. II, 136)
14
.
Qui Heidegger ci invita a saper distinguere le differenze di senso
delle parole, al di l della apparente uguaglianza, invito che dobbiamo
rispettare anche per il termine di immagine che stiamo analizzando, il
cui senso detto ora essere strettamente connesso con il senso che
diamo allespressione misura di tutte le cose. il senso secondo il
quale luomo misura in Cartesio ed in Protagora che segna la
differenza fra il soggettivismo cartesiano ed il presunto soggettivismo
di Protagora e che contemporaneamente rende diverso il modo di
intendere la fantasia nella Grecia classica e la immagine del modo
nellet moderna. In Protagora:

Luomo rispettivamente la misura della presenza (Anwesenheit) e della sve-
latezza (Unverborgenheit) mediante la moderazione e la limitazione al-
laperto pi vicino, senza negare locculto pi lontano e senza arrogarsi una
decisione sul suo essere presente o assente. Qui non c alcuna traccia del-
lidea che lente in quanto tale debba regolarsi (richten) sullio che si basa
(gestellten) solo su se stesso in quanto soggetto, che questo soggetto sia giu-
dice (Richter) su tutto lente e sullessere, e decida in forza di questo ufficio
di giudice, con incondizionata certezza, sulla oggettivit degli oggetti (N, p.
650; t. II, 140).

13
CICERO (HW, p. 126) traduce il di volta in volta uomo.
14
Nonostante possano individuarsi alcune lievi differenze fra il testo della nota 8
in ZW e le pagine su Protagora del libro su Nietzsche, scegliamo per ragioni di com-
pletezza di seguire pi da presso questultimo testo.
Immagine e Weltbild in Heidegger 173
Lesser misura delluomo in Protagora fa tuttuno con lesser li-
mitato a ci che appare per quello che appare, senza arrogarsi il po-
tere di decidere sulla verit dellessere nella sua totalit, come in Car-
tesio per il quale nel cogito si decide in maniera vincolante per tutti
sul modo di essere in generale di tutto ci che , della sostanza estesa,
di quella pensante ed anche della realt dellessere sommo. In con-
nessione con questo modo di intendere lessere e la sua verit come
disvelamento nel rispetto della limitatezza di ci che appare, la fan-
tasia greca viene invece definita come immaginazione percettiva, co-
me il far venire alla presenza ci che appare ad un uomo nellatto
del suo stesso essere presente, come quel preservare lessere nella
non velatezza grazie alla natura immaginante delluomo
15
. La nota
dedicata alla differenza fra Protagora e Cartesio si chiude con una
affermazione, apparentemente enigmatica, in quanto afferma che an-
che luomo in quanto soggetto rappresentante si muove nellambito
dellimmaginazione, questa volta indicata con il termine latino ima-
ginatio. La rappresentazione si configura (einbildet) lente come ci
che oggettivo nel mondo come immagine: der Mensch als das
vorstellende Subjekt jedoch phantasiert, d.h. er bewegt sich in der
imaginatio, insofern sein Vorstellen das Seiende als das Gegen-
stndliche in die Welt als Bild einbildet (ZW, t. p. 98)
16
.
Se Bild il termine che corrisponde allimmaginazione schematica
e calcolate della tecnica e della scienza moderna, suona enigmatico
sostenere, come fa Heidegger, che una tale immaginazione comun-
que imparentata con quella greca. Cosa intender allora dire? Non
certo che c un unico concetto dellimmaginare che trova poi le sue
specificazioni in tipi diversi, quanto piuttosto che immagine ed im-
maginazione si dicono in molti sensi, in base innanzitutto alle di-
verse interpretazioni ed epoche metafisiche, tutte riconducibili ad un
qualche rapporto di coappartenenza, di coappropriazione delluomo

15
Nella traduzione di Cicero (HW, p. 128) la fantasia venireadapparire del
presenziante come tale per luomo, il quale a sua volta presenzia volgendosi a ci che
appare. Emerge pi chiaramente come lessere misura in Protagora disvela con-
temporaneamente lessere delluomo e di ci che a lui si presenta, mentre in Cartesio
il soggetto si sostanzializza per rendere possibile la istituzione di un mondo ogget-
tivabile, accessibile a ognuno e vincolante per tutti.
16
Questa la traduzione di Cicero (HW, pp. 128129): Luomo come soggetto
proponente e rappresentante, per converso, fantastica cio si muove nellima-
ginatio nella misura in cui, nel mondo come immagine, il suo proporre e rap-
presentare si immagina lessente come loggettuale.
Annabella DAtri 174
al mondo, dellesserci allessere. Anche la immagineBild pur sem-
pre prodotta dalla immaginazione, dalla Einbildungskraft nellatto di
istituire un mondo di rappresentazioni oggettive. Non dovr quindi
meravigliare se in altri scritti quali Gli Inni di Hlderlin Germania e
Il Reno e Poeticamente abita luomo, come vedremo, il termine Bild
verr reinterpretato dallo stesso Heidegger in un senso ulteriore, per
poter far emergere, dal senso moderno, ci che questultimo ha oc-
cultato del senso antico.
Anche seguendo questa traccia, fornita dal termine Bild, apparir
chiaro come la cosiddetta svolta nel pensiero di Heidegger debba
intendersi come un cambiamento di direzione del cammino della
metafisica che rende possibile, proprio come su una strada di mon-
tagna in salita che si snodi in una serie di tornanti, lo sguardo indietro
verso il percorso passato. Uno di questi tornanti decisivi nel cammino
di Heidegger attraverso la storia della metafisica certamente cos-
tituito dalla lettura della dottrina dello schematismo nella Critica
della ragion pura. Se si sfoglia infatti Essere e Tempo, il termine Bild
si trova ben poche volte e sempre nel significato di quadro o copia
17
;
invece in Kant und das Problem der Metaphysik che vengono
dedicate pagine fondamentali proprio alla dottrina dellimmagi-
nazione (Einbildungskraft) e della immagine (Bild).


2. Bild e Einbildungkraft in Kant

Heidegger a sostenere espressamente che il capitolo sullo sche-
matismo nella ragion pura di Kant costituisce il fulcro, il cuore (Kern-
stck) dellintera opera. (KPM, p. 82; t. 89). proprio in questo con-
testo che troviamo la pi estesa trattazione del concetto di Bild in
Heidegger, a testimonianza del fatto che, nonostante in Die Zeit des
Weltbildes lautore considerato decisivo per linstaurarsi del sogget-
tivismo gnoseologico sia Cartesio, Kant a fornire a Heidegger la
chiave per linterpretazione dellet della tecnica e del mondo ricon-
dotto ad immagine.


17
Grazie allindice di BASTDELFOSSE 1980 possiamo elencare con completezza
i luoghi in cui ricorre il termine Bild, nel significato appunto di ritratto o quadro. Si
tratta dei paragrafi 23, 44, 55 e 77. Anche nel saggio su Lorigine dellopera darte
(HW, p. 7 e sgg.) il termine Bild usato per il famoso quadro di van Gogh.
Immagine e Weltbild in Heidegger 175
Immagine (Bild) pu innanzitutto significare la veduta (Anblick) di un
determinato ente, in quanto manifesto (offenbar) nel suo essere sottomano
(Vorhandenheit). Esso offre (bietet) una veduta. (KPM, p. 85, t. 92).

Da questo significato derivano i tre significati in cui Kant adopera
il termine, e precisamente:
(a) veduta immediata di un ente (Anblick eines Seiendes), (b)
veduta sottomano riproduttiva di un ente (vorhandener abbildener
Anblick) e (c) veduta di qualcosa in generale (Anblick von etwas
berhaupt). Nel primo significato immagine corrisponde allintui-
zione empirica di un qualcosa, nel secondo, innanzitutto una veduta
nel senso indicato come (a), ma anche riproduzione nel senso in cui
diciamo che una fotografia, nel suo modo di essere gi un qualcosa
presente alla vista, riproduce qualcosa. Il terzo significato quello
pi tipicamente kantiano: consiste in ci che rende tale una visione,
corrisponde alla generalit di ogni possibile veduta, indica cio la
regola secondo cui possibile in generale avere una qualche veduta.
Come tale una unit regolatrice che precede lo stesso atto intuitivo
della visione:

Se il concetto ci che serve da regola, rappresentare (Vorstellen) concet-
tualmente significher allora dare in precedenza (Vorgeben) la regola, secon-
do la quale possibile procurare una veduta (Anblickbeschaffung), nel modo
di regolazione che le proprio. Siffatta rappresentazione dunque riferita per
necessit strutturale a una possibile veduta (mgliche Anblicke) e costituisce,
quindi, in s una forma affatto specifica di riduzione alla sensibilit (KPM, p.
87; t. pp. 9596).

A contrassegnare il concetto di immagine nel terzo senso Kant in-
troduce il termine di schema, che tuttavia si muove sempre nellam-
bito dellimmaginazione, e per il quale Heidegger preferisce usare
non una sola parola quanto una coppia di parole, cio immagine
schema: Lo schema va s distinto dallimmagine, ma nondimeno
relativo a qualcosa che pu definirsi immagine; in altri termini, il ca-
rattere di immagine (Bildcharacter) appartiene necessariamente allo
schema (KPM, p. 88; t. p. 97).
Heidegger intende qui mostrare come questo terzo senso kantiano
di immagine costituisca in effetti il pi originario nel senso onto-
logico, come quello che fonda la stessa visione oggettiva del mondo.
La immagineschema la vera e propria vorstellung, cio la rap-
presentazione e visione preventiva nel senso eminente del termine,
limmagine nella sua purezza.
Annabella DAtri 176
Nellanalisi su Kant, com noto, queste interpretazioni del ter-
mine immagine preludono alla individuazione della vera e propria
veduta pura, che si d anteriormente ad ogni visione, nel tempo. Il
tempo per Heidegger, che riprende un passaggio kantiano, lim-
magine pura (das reine Bild) [] di tutti gli oggetti del senso in ge-
nerale
18
. La metafisica generale in Kant trova, per Heidegger, la sua
fondazione qui, cio nello schematismo dei concetti puri dellintel-
letto, che forniscono appunto le regole apriori, la visione preventiva
e progettante per qualsiasi possibile apprensione del mondo in ge-
nerale. Solo sulla base di questultimo metafisico senso di Bild si
pu comprendere luso del termine WeltBild negli scritti posteriori
di Heidegger ed in connessione con le analisi dedicate alla questione
della tecnica nel mondo moderno.
Limmaginazione (Einbildungskraft) viene cos ad essere in Kant
quel termine medio fra intuizione ed intelletto, che consente ad Hei-
degger di sostenere, anche se solo in nota (KPM, p. 116; t. p. 129),
che, in fondo, linterpretazione della immaginazione in Kant cor-
risponde al concetto di fantasia nel De anima di Aristotele, con-
siderata come intermedia fra la sensibilit, aistesis e lintelletto, noe-
sis. Anche la immaginazione produttrice kantiana, intorno alla quale
si sono sviluppate le letture romantiche di Kant, a sua volta resa
possibile dalla facolt pura del formare immagini in generale. La pre-
rogativa dellimmaginazione di poter non essere vincolata allente
nella sua presenza, di potersi dare da s delle vedute. Limmagina-
zione cos facolt di formazione in un senso duplice: essa procura
limmagineveduta attraverso la sensibilit, ma anche capace di
formare essa medesima limmagine. Anche la immaginazione pro-
duttrice comunque non pu mai essere creatrice in senso assoluto,
in quanto forma la veduta di un oggetto possibile. Limmaginazione,
quando libera, produce la previsione di oggetti, anche se questi
non saranno mai portati alla presenza. Ci vuol dire che la immagi-
nazione kantiana (Einbildungskraft) precostituisce lorizzonte entro il
quale possibile la visione oggettiva della realt, indica le regole per
il riconoscimento degli enti come oggetti. Kant interpreta pienamente
la metafisica moderna conducendo il mondo ad identificarsi con gli
schemi preformati dallimmaginazione; ma lo stesso Kant fornisce

18
In questa sede non possibile seguire fino in fondo il serrato confronto che
Heidegger istituisce con Kant sul tema della temporalit. Ci sia consentito rinviare,
anche per la bibliografia, a DATRI 2006.
Immagine e Weltbild in Heidegger 177
anche una definizione di immaginazione, che la svincola dalla pre-
senza immediata di un sensibile, e che quindi pu preludere ad un uso
diverso del termine Bild nello stesso Heidegger.


3. Luomo Bild della divinit

Grazie al pensiero della svolta
19
, che riconosce nel linguaggio
poetico la dimora dellessere, Heidegger coglie nei versi di Hlderlin
ma dove c il pericolo cresce anche ci che salva la nuova via da
seguire: il pericolo trae ci che salva non da altro che da se stesso
(DK, pp. 1819); il che significa che il superamento dellet della
tecnica pu avvenire solo grazie alla salvaguardia della sua stessa
essenza celata, come poiesis, cio come produzione disvelante.
Lo stesso movimento di svolta su se stesso, alla ricerca della
essenza celata, avviene anche per quanto riguarda il concetto di
immagine del mondo: Heidegger ritorna infatti, in maniera apparen-
temente ripetitiva, sulla polivalenza del termine Bild nella conferenza
dellottobre 1951 dedicata ai versi di Hlderlin poeticamente abita
luomo
La conferenza si apre significativamente con la messa in evidenza
della paradossalit dellaffermazione del poeta: se i poeti sognano e
non agiscono, come possibile sostenere che luomo abita in maniera
poetica? Ci che i poeti fanno unicamente immaginare (einbilden),
il loro fare si riduce al poetare. Linterpretazione heideggeriana dei
primi versi di Hlderlin intende mostrare come il modo proprio
dellabitare umano, considerato un fare e costruire, un aver cura della
terra ed un erigere costruzioni e fabbriche, quindi un produrre tecni-
co, trova il suo fondamento in un fare poetico pi originario. Hl-
derlin certo non si esprime nel linguaggio proprio del pensiero, quindi
compito dellinterprete comprendere il senso profondo dei versi del
poeta:

Fino a che lamicizia/ Lamicizia schietta ancora dura nel cuore/ non fa male
luomo a misurarsi/ con la divinit. Dio sconosciuto?/ egli manifesto e
aperto come il cielo? Questo/ Piuttosto io credo. Questa la misura del-
luomo./ Pieno di merito, ma poeticamente, abita/ Luomo su questa terra.

19
Moltissime sono ormai le interpretazioni che considerano la svolta come
passaggio da un primo ad un secondo Heidegger (Su questo si rimanda a FERRARI
1990).
Annabella DAtri 178
Ma lombra/ della notte con le stelle non ,/ Se cos posso osare di parlare,
pi pura/ Delluomo, che si chiama immagine della divinit (ein Bild der
Gottheit)./ C sulla terra una misura (Maass)? No/ Non c n alcuna
(DWM, p. 130; t. p. 188).

Linterpretazione mostra come sia presente anche nel poeta il
pensiero di quellinsieme di elementi che Heidegger chiama
linsieme dei quattro, cio i divini, i mortali, il cielo e la terra.
Luomo pu ritrovare solo nel loro incrocio, nel continuo rimandare e
rinviare da parte di ciascuno dei quattro al loro insieme, la propria
essenza congiuntamente con lessenza dellessere. Non possiamo
per qui seguire in dettaglio il senso dellintroduzione da parte di
Heidegger del pensiero della quadratura, che ci porterebbe lontano
dal nostro tema; quello che ci interessa in questo contesto il fatto
che, proprio in questo nuovo contesto poetico, trovano nuovi sensi i
due concetti cardine del saggio sullimmagine del mondo, e pre-
cisamente quelli di misura e immagineBild.
Innanzitutto la misura: se, come abbiamo gi visto, negli anni
38/40 linteresse di Heidegger era stato quello di mostrare le
profonde differenze metafisiche fra il concetto protagoreo di misura e
quello cartesiano, ora diventa invece decisivo, fermo restando il nesso
analogico fra lessere misura e lessere immagine, mostrare la dif-
ferenza fra il misurare e lessere immagine dellet della tecnica, rap-
presentata eminentemente dalle metafisiche di Cartesio e di Kant, ed
il misurare e lessere immagine propri del pensiero poetante e ram-
memorante.
In questo ultimo senso misurare significa per luomo ritrovare la
propria dimensione, cio lestensione della sua essenza: luomo
come il mortale (der Mensch west als der Sterbliche) (DWM, p.
132, t. p. 190). In questa affermazione racchiuso il senso del verso
del poeta, quando afferma che non fa male luomo a misurarsi con la
divinit, proprio in quanto questultima appare e si disvela come
inconoscibile: Cos il Dio sconosciuto appare in quanto sconosciuto
nella manifesta apertura del cielo. Questo apparire la misura sulla
quale (luomo) si misura (der Mensch sich misset) (DWM, p. 132; t.
p. 191).
Sappiamo ora anche noi come intendere il senso greco, e poi
quello moderno, del misurare: anchessi vanno considerati modi del-
lapparire del Dio che rimane inconoscibile, dellessere al quale non
permesso di strappare il segreto della sua essenza. Tutti questi sono
altrettanti modi del prendere la misura, cio dellassegnare una
Immagine e Weltbild in Heidegger 179
dimensione allessere e alluomo, in altri termini, del darsi una im-
magine dellessere e delluomo. Luomo greco si nomina come mor-
tale, luomo moderno come soggetto di certezze e di scienza.
Solo dopo averci introdotto al nuovo senso del misurare, Hei-
degger pu ritornare ancora una volta sulla famiglia di concetti deri-
vati da Bildimmagine
20
:

Il poeta fa poesia (dichtet) solo quando prende la misura, cio quando dice gli
aspetti del cielo in modo da adattarsi alle sue apparenze come allestraneo in
cui il Dio sconosciuto si trasmette (schiket). La parola usuale per indicare
laspetto e lapparenza di qualcosa per noi Bild, immagine. Lessenza
dellimmagine nel far vedere qualcosa. Per contro, copie e imitazioni (Ab-
bilder, Nachbilder) sono gi specie derivate della vera e propria immagine,
che come aspetto visibile (Anblick) fa vedere linvisibile e cos lo immagina
(einbildet) in qualcosa che gli estraneo. Poich il poetare prende quella
misteriosa misura che trova nellaspetto del cielo, per questo esso parla in im-
magini (Bildern). Per questo le immagini poetiche sono delle immaginazioni
(EinBildungen): non pure e semplici fantasie e illusioni, ma immaginazioni
come incorporazioni (Einschlsse) visibili dellestraneo nellaspetto di ci
che familiare (DWM, p. 135; t. pp. 19495).

Potrebbe sembrare che nulla sia mutato rispetto al senso di Bild
che abbiamo visto elucidare nel libro su Kant, eppure dobbiamo qui
parlare di una ripetizione del gi detto, nel significato proprio che al
ripetere assegna Heidegger: un ritornare sul gi detto, continuando
a domandare sullessenza, e soprattutto portando alla luce, alla verit,
nuovi aspetti, gettando sul gi detto un nuovo sguardo (Einblick), co-
me scrive proprio ne La svolta: Einblick in das was ist = sguardo
dentro a ci che infatti il titolo che Heidegger assegna proprio
allevento della svolta nellessere, che si rivolge dal rifiuto della sua
essenza allavvenire (Ereignis) della sua salvaguardia (Wahrnis) (DK,
pp. 2425).
Lo sguardo rivolto verso ci che das Bild corrisponde a quel
parlare per immagini che proprio del linguaggio poetico, per il qua-
le immaginare non deve essere considerato un mero rifugio lontano
dal reale, o un fantasticare, quanto un dare aspetto allinconoscibile,
rendere familiare lestraneo, ricondurre allabituale ci che ter-
rificante in quanto sconosciuto, cancellare quel senso di spaesa-

20
MALY 1998 (vedi pp. 19899) invece si sofferma solo sullultimo senso, poe-
tico, del termine immagine in Heidegger, prossimo appunto al senso del lasciar di-
venire manifesto, del regioning.
Annabella DAtri 180
tezza
21
, quellessere angosciati di fronte al nulla, quel non sentirsi
nella propria dimora
22
in quanto non pi rassicurati dalluniverso
delle certezze moderne.
Questo rinnovato significato dellimmaginare ampiamente pre-
sentato da Heidegger gi nel corso delle lezioni friburghesi del
1934/35 dedicato agli Inni di Hlderlin. Nellinterpretare, nei versi
della poesia Germania, il senso delle immagini dellaquila e del suo
volo, di una vergine fanciulla e della sua sottomissione, Heidegger
afferma: Il linguaggio dei poeti
23
sempre linguaggio per im-
magini. In particolare in questa poesia in cui Hlderlin parla del-
lesserci e dellessere, di un popolo e dei suoi riferimenti agli dei, la
poesia ha bisogno di immagini, per non ricadere in un astratto com-
mento di concetti, e le immagini possiedono il potere della sim-
bolizzazione: tanto pi vicina e tanto meno coattiva lintuitivit
di unimmagine, quanto pi coattiva e penetrante la forza della sua
simbolizzazione (HH, pp. 120121). La forza del dire poetico ri-
siede allora nella forza della presentazione in forma intuitiva sen-
sibile, quindi nella potenza immaginifica del poeta, il quale riesce, at-
traverso le immagini, a rinviare simbolicamente a ci che non pu es-
sere rappresentato in concetti, ad attingere alla fonte dellessere nella
sua prossimit con la parola, e contemporaneamente a lasciare che
anche il senza misura, il sacro, il divino traspaia.




21
CARACCIOLO 1973 (p. 13) efficacemente cos si esprime: Per la luce che le
scende dallEreignis la terra acquista agli occhi delluomo, che resta pur sempre
straniero su di essa, una sua amabilit; si fa il luogo in cui, in una presenza distaccata,
egli pu poeticamente abitare. Lamabilit delleventoEreignis non che la
bellezza delle immagini poetiche, in cui esse rilucono nella loro disvelatezza.
22
Per il concetto di angoscia nel suo nesso con il nulla si veda WM, soprattutto le
pagine 5657.
23
In realt il traduttore Demarta adotta il termine dettatori per poeti (Dichter):
pur riconoscendo le motivazioni ermeneutiche di una tale scelta, non credo che sia
particolarmente utile per lintellegibilit immediata e la scorrevolezza del testo
italiano ricorrere a forzature neologistiche, laddove non siano strettamente necessarie
in quanto decise da Heidegger.
Immagine e Weltbild in Heidegger 181
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SILVANO FACIONI

Lidolo senza ombra.
Sul problema del divieto biblico della rappresentazione



1. Cecit dello status quaestionis

Divieto della rappresentazione: non si dovrebbe lasciar cir-
colare alla leggera questa formula senza i suoi contesti, come un
aforisma, e senza esaminare prima di tutto, e da vicino, cosa ne
dicono la Legge scritta della Bibbia e, nel suo linguaggio a pi
dimensioni e livelli, la legge orale del Talmud in cui, daltro canto,
quando si tratta di una ricerca scientifica, ogni rappresentazione
autorizzata
1
: con queste parole pronunciate nel 1981 in un
Convegno sui diritti delluomo svoltosi a Montpellier che Em-
manuel Lvinas ha richiamato la necessit di attivare un sovrappi di
attenzione nel momento in cui si affronta limpresa, tanto affascinante
quanto rischiosa, di indagare il tema biblico dello statuto dellim-
magine e del divieto della rappresentazione.
Le ragioni di tale attenzione possono dunque funzionare come
lorizzonte su o da cui si stagliano le riflessioni sviluppatesi lungo
secoli di interpretazione scritturistica, e pu essere importante, fosse
pure per brevi capi, richiamarle: anzitutto il fatto che il divieto della
rappresentazione venga pronunciato nella Seconda Parola (meglio
nota, anche se la dizione non corretta dal punto di vista ebraico,
come Secondo Comandamento), ha permesso il generarsi di equivoci
e mitologie pari solo alla non meno equivocata lex talionis; a questo
deve essere aggiunta la scarsa domestichezza con limmenso corpus
della tradizione rabbinica che, come noto, impedisce una presa
sintetica sul problema e, piuttosto, si squaderna come pluralit
ermeneutica in cui coesistono ancorch problematicamente po-
sizioni contrastanti e contraddittorie. A queste prime difficolt si deve
aggiungere che la stessa Torah anche, in un certo senso, una
raccolta di scritti che si vertebra intorno al problema dellidolo (e,
ovviamente, della sua rappresentazione): dove e come si esprime la

1
E. LEVINAS, Interdit de la reprsentation et Droits de l'homme, in AA.VV.,
Linterdit de la rpresentation, Paris, Seuil, 1984, p. 107.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 183-201 183
Silvano Facioni 184
differenza tra il Dio di Israele e gli idoli o le divinit delle altre
culture? Dio stesso pu forse trasformarsi in idolo? Forse in qua-
lunque forma o ipotesi teista si insinua, poco importa se come pre-
supposizione o esito, la possibilit idolatrica che, a sua volta, strut-
turalmente connessa allidea di rappresentazione della divinit
2
?
Quale rapporto possibile istituire (o rintracciare) tra lidolo e lim-
magine? Ci troviamo di fronte a un doppio divieto o ad ununica proi-
bizione che si articola e si modula allinterno di s? Domande, queste,
che rimandano anche, da ultimo, al problematico intrecciarsi sul
piano storico della cultura ebraica con la cultura cristiana: se, nel
corso della sua storia, anche il cristianesimo ha conosciuto il pro-
blema della rappresentazione delle immagini
3
, le riflessioni filoso-
ficoteologiche che ha sviluppato e le soluzioni che ha adottato
appartengono ad orizzonti categoriali radicalmente differenti rispetto
a quanto maturato dalla tradizione ebraica, ma questa differenza non
sempre viene assunta da chi si occupa del problema e gli equivoci che
il non sorvegliato mescolamento di prospettive teoriche genera sono
ancora numerosi.
Se, dunque, lequivoco sembra aver nutrito molte delle interpreta-
zioni legate al divieto dellimmagine e/o della rappresentazione del
divino fino a generare, in casi estremi, lipotesi che nel mondo
biblico fosse proibita qualunque immagine , la breve indagine che
segue non potr fare a meno di interrogarsi sul senso stesso del
prodursi di disso lgoi nel cuore di un problema che germina a
partire da tangenze semantiche ed intrecci categoriali: lequivoco, in
altri termini, non indica esclusivamente uninterpretazione o un senso

2
Interessante, in questo senso, quanto scrive H. ATLAN, Niveaux de significa-
tion et athisme de lcriture, in La Bible au present. Actes du XXII Colloque des
intellectuels juifs, Paris, Gallimard, 1982, pp. 5588: Le premier souci de leinse-
gnement biblique nest pas celui de lexistence de Dieu, dun thisme par rapport
un athisme, ma plutt la lutte contre lidoltrie. Or il y a un danger didoltrie dans
tout thisme. Tout thisme est une idoltrie, car lexpression le signifie et, par l, le
fige (p. 86).
3
La prospettiva cristiana non occuper il nostro lavoro, e dunque ci limitiamo in
questa sede a rinviare allampia e documentata raccolta curata da L. RUSSO, Vedere
linvisibile. Nicea e lo statuto dellimmagine, Palermo, Aesthetica, 1999, in cui sono
raccolti gli atti del famoso Secondo Concilio di Nicea del 787 in cui venne affrontato
il problema delliconoclasmo, e a M.J. MONDZAIN, Image, icne, conomie. Les
sources byzantines de limaginaire contemporain, Paris, Seuil, 1996, trad. it. di A.
Granata, Immagine, icona, economia. Le origini bizantine dellimmaginario contem
poraneo, Milano, Jaca Book, 2006, in particolare la Parte Seconda (pp. 95152).
Lidolo senza ombra 185
erronei, ma si riferisce, primariamente, alla possibilit di una
molteplicit di sensi che convivono nello spazio generato dal loro
escludersi. Unimplicazione disgiuntiva che, in questa sede, assume-
remo come il proprium della tradizione ebraica, la quale presenta
sempre le interpretazioni dei maestri senza stabilire lesattezza di una
posizione rispetto ad un altra (perch, recita un importante sentenza
talmudica, elu veelu divrei Elohim haiim, vale a dire le parole
degli uni e quelle degli altri sono parole del Dio vivente), e ritorna
sempre al dato scritturistico (secondo una circolarit ermeneutica pi
vicina allassenza di un fuoritesto piuttosto che ad ontologie
nascoste): Una volta Elohim ha parlato / due volte lho ascoltato
(compreso)
4
recita il versetto 12 del Salmo 62, ed a questa dupli-
cit dellascolto/comprensione della parola una, unica, pronun-
ciata una volta (vale a dire raccolta nella singolarit di un evento
sottratto per sempre alla serialit di una ripetizione), che deve rinviare
la pratica ermeneutica. Epper, sar bene ricordarlo, il trapasso dal-
lunit/unicit alla molteplicit rimane inafferrabile e invisibile:
punctum caecum attraverso cui passano i guadagni parziali, gli esiti
notomizzati, i frammenti di un significato che non ancora divenuto
senso.


2. Tessiture semantiche: creazione e rivelazione

Dopo lelaborata preparazione raccontata nel cap. 19 di Esodo,
tutta organizzata intorno alla coppia di verbi lah (salire) e iarad
(scendere) i quali coinvolgono rispettivamente Mos e Dio (o, me-
glio, la sua ekinah) e che, come ha acutamente osservato Heschel,
stata considerata dai maestri non soltanto un sovvertimento delle
leggi naturali ma qualcosa che riguarda il mistero del mondo
5
,
incontriamo nel cap. 20 il cosiddetto maamad har sinai, che pos-
siamo in prima approssimazione tradurre come evento Si-
nai
6
: evento che riflette quasi specularmente la preparazione che lo

4
Qui come nel resto del nostro lavoro la traduzione dei passi biblici o rabbinici
nostra, mentre la traslitterazione dallebraico stata eseguita utilizzando le norme
stabilite in Biblica, 70 (1989) 4, pp. 577596. Il verbo m rimanda sia al campo
semantico dellascolto che a quello della comprensione.
5
A.J. HESCHEL, Torah min hashammaim haaspaqlariah shel hadorot, Lon-
donNew York, Soncino, 19621965, vol. 2, p. 140 (in ebraico).
6
Il radicale MD da cui deriva il sostantivo maamad sviluppa un campo seman-
tico piuttosto vasto in cui si radunano lidea dello stare in piedi e quella di or-
Silvano Facioni 186
ha annunciato e che, dunque, necessita di qualche rapida chiarifi-
cazione, perch lineschivabile premessa della consegna delle Dieci
Parole permette, come vedremo, una loro pi profonda comprensione.
Inaugurato dal silenzio rotto soltanto dal suono prolungato e
crescente dello ofar, lo spazio del deserto (in ebraico midbar, ter-
mine che la tradizione scompone in midabar, vale a dire principio
causale della parola) si anima di voci (qolot), lampi (braqim) e
una nube densa (anan kaved) che annunciano quanto si svolger
nel breve volgere di una manciata di versetti
7
.
La tradizione ha meditato lungamente il senso di queste tre
manifestazioni che precedono la cosiddetta teofania sinaitica (ma
forse si dovrebbe parlare, pi correttamente, di teofonia, dal mo-
mento che Dio si manifesta con la voce in uno spazio fonetico che
rappresenta gi, in un certo senso, un intrinseco rifiuto della possibi-
lit idolatrica): i qolot, dice il Midra Rabbah a Esodo, indicano sia la
spartizione della voce divina nelle settanta lingue delluomo, sia il
fatto che ognuno dei presenti ricevette la rivelazione secondo le sue
capacit e secondo la sua natura
8
, mentre i braqim rappresentano il
limite che permette il costituirsi delle identit in dialogo tra di loro (i
lampi tengono lontani gli uomini dal monte e dunque configurano con
chiarezza lo spazio occupato dal popolo e quello occupato da Dio).
La contiguit semantica tra il radicale iaan che significa rispon-

dine, da cui poi derivano anche i significati di assemblea, cerimonia. Rammen-
tiamo che, secondo la tradizione, levento sinaitico non consiste soltanto nella con-
segna delle Dieci Parole, ma di tutta la Torah. Esula dal nostro lavoro la ricostruzione
storica degli avvenimenti di cui si parla nei capp. 19 e 20 di Esodo, per i quali riman-
diamo comunque a M. NOTH, Geschichte Israels, Gttingen, Vandenhoeck & Ru-
precht, 1966
6
, trad. it. di G. Odasso, Storia dIsraele, Brescia, Paideia, 1975, pp.
159172.
7
Il versetto 16 del cap. 19 di Esodo, a cui ci riferiamo, presenta solitamente la
resa di qolot con tuoni invece di voci in quasi tutte le traduzioni del testo biblico
(a parte le lodevoli eccezioni delle traduzioni Chouraqui e Bayard) ma, qui come
altrove, il rispetto della lettera del testo non scaturisce dalladesione ad un non me-
glio specificato fondamentalismo esegetico, quanto dalla necessit di verificare in
che modo la tradizione rabbinica, proprio a partire da tale rispetto, pu sviluppare in-
terpretazioni altrimenti incomprensibili. In questo senso rammentiamo che anche la
canonica divisione del testo biblico in capitoli e versetti (a cui comunque ci richia-
miamo per facilitare la reperibilit e la verifica del testo) non corrisponde alla mate-
rialit del rotolo in cui non sono presenti divisioni di alcun tipo.
8
Cfr. Midra emot Rabbah che viene riportato in L. GINZBERG, The Legends of
the Jews, New York, The Jewish Publication Society of America, 1956, trad. it. di E.
Loewenthal, Le leggende degli ebrei, vol. IV, Milano, Adelphi, 2003, p. 214.
Lidolo senza ombra 187
dere e il termine anan (nube) permette alla tradizione di consi-
derare questultima come il sensorio della trasmissione della voce di-
vina: ai piedi del monte (che, assecondando il campo semantico del
termine har, rimanda anzitutto al germinare del pensiero, alla genesi
dellelaborazione) si realizza allora laccesso alla comprensione di un
percorso simbolico che, se pure si moduler in Dieci Parole, rimane
ancorato ad ununit che per i maestri appare gi in Esodo 20,1
(E parl Elohim tutte queste parole per dire) e, pi precisamente,
nellapparente superfluit dellaggettivo tutte che, nella lingua
ebraica, pu essere inteso sia nel senso aritmetico di somma di parti,
sia nel senso di unit intrinseca e, dunque, indivisibile. La tradizione
attribuir allaggettivo tutte (kol) il secondo significato, e dunque,
come ha scritto Rabbi Joseph B. Soloveitchik, the Decalogue con-
situtes a primordial entity, whose unity and integrity are inherent in
the very essence of the system... There are not ten commandments.
There is one commandment, that branches out into ten aspects
9
.
Unit intrinseca delle Dieci parole, unit con le dieci parole della
creazione e, da ultimo, unit della Torah scritta e di quella orale: ap-
plicando il criterio ermeneutico della gematria (vale a dire della cor-
rispondenza tra numeri e lettere), il Baal Haturim ha scritto nel suo
Commento alla Torah che il versetto E parl Elohim tutte queste pa-
role per dire equivalente alla locuzione Ogni cosa che era nella
tradizione scritta e in quella orale, ed questa notazione ermeneutica
che apre anche le Dieci Parole alla possibilit di un disvelamento del
senso che supera il piano della semplice letteralit che potrebbe
costringerle in un ambito esclusivamente eticopratico.
Le Dieci Parole
10
, infatti, sono state variamente interpretate ma, al

9
J.B. SOLOVEITCHIK (RAV), On Pesach, Sefirat haOmer and Shavuot, Jeru-
salem, Urim Publications, 2005, pp. 236237.
10
Come noto, la definizione Dieci Comandamenti rappresenta una cattiva
traduzione del greco deka logoi: in ebraico la questione un poco intricata, perch
mentre in Esodo 34,28, in Deuteronomio 4,13 e 10,4 troviamo la dicitura asseret
hadebarim che significa letteralmente dieci parole, nella tradizione talmudica (cfr.
bShabbat 86b) viene sempre impiegata lespressione asseret hadibberot che, sep-
pure correttamente resa come dieci parole, chiama in causa la variazione testuale
dal biblico debarim (plurale maschile di dabar) al talmudico dibberot (plurale
femminile di dibberah forse derivato da dibber presente in Geremia 5,13). Forse
proprio la necessit di stabilire una differenza tra il comunissimo termine dabar (che
raduna in s, oltre al significato di parola anche quello di cosa, evento) e il
rarissimo dibber (che invece rimanda solo allordine di un discorso, di una comu-
nicazione verbale) ad aver spinto i maestri a coniare lespressione asseret hadib-
Silvano Facioni 188
di l del senso globale che hanno assunto nellebraismo (un senso
che, talvolta, sembra occultare levento che queste inaugurano e
siglano nello stesso tempo, vale a dire luscita dallEgitto di cui, pi
oltre, verificheremo la portata) opportuno ricordare quanto, nel
lontano 1945, scriveva Martin Buber: [...] dobbiamo anzitutto libe-
rarci dallidea diffusa che il Decalogo sia un catechismo che pre-
senta lessenza della religione di Israele in forma facilmente com-
prensibile, in articoli di fede che si contano sulla punta delle dieci
dita, composti per essere imparati a memoria
11
.
Non c unessenza della religione di Israele perch lebraismo
non pu essere considerato una religione (o solo una religione):
lebraismo anzitutto, dice la tradizione, un derek, vale a dire un
percorso che si costituisce come forma di quella domanda che dal
bet (la seconda lettera dellalfabeto ebraico) che lo apre al lamed
(ultima lettera dellultima parola del Deuteronomio, vale a dire
dellultimo libro della Torah) che lo chiude si consegna alluomo
come interrogazione sulla possibilit del disvelarsi di un senso pos-
sibile dellumano. Le Dieci Parole, allora, devono essere proiettate
sullo sfondo di questo inoltrepassabile presupposto che rappresenta la
specola da cui la tradizione rabbinica ha interrogato e continua ad
interrogare la Torah, e il loro significato deve essere rintracciato a
partire dallintero biblico che inizia con il libro della Genesi: racconta
un midra sul versetto 1 di Genesi 1 che Rabbi Yehudah ben Pazi e
Bar Qappara indagavano sullopera della creazione e si chiedevano
per quale ragione la prima lettera della prima parola del primo libro
della Torah fosse la lettera bet, vale a dire la seconda lettera del-
lalfabeto ebraico, e non la lettera alef (prima lettera dellalfabeto).

berot. M.A. OUAKNIN, in Les Dix Commandements, Paris, Seuil, 1999, ha ipotizzato
che il passaggio dal maschile biblico al femminile talmudico riguardi lo statuto di
una parola che passa dalla Torah scritta alla Torah orale, e che si tratti di deux for-
mes diffrentes de ltrehomme. Ce passage de ltre au masculin ltre fminin
est essentiel pour la pense juive, en particulier ici, pour entendre le sens des Dix
Paroles. Entrer dans lcoute des Dix Paroles, cest articuler la forme du masculin
avec celle du fminin. Cest ainsi quelles sinscrivent dans lordre de la vie, de la
fcondit, de la gnalogie. (p. 31).
11
M. BUBER, Schriften zur Bibel, Mnchen, Ksel Verlag, 1964, vol. 2, trad. it.
di P. Di Segni, Mos, Casale Monferrato, Marietti, 1983, p. 126. Il testo di Buber
interessante anche per la presentazione delle principali posizioni dellesegesi storico
critica (da Wellhausen in poi) che, a distanza di pi di cinquantanni dallopera bube-
riana, non sono sostanzialmente cambiate, come mostra, ad esempio, B. RENAUD, La
thophanie du Sina. Exode 1924. Exgse et Thologie, Gabalda, Paris, 1991.
Lidolo senza ombra 189
Tra le spiegazioni presentate incontriamo anche quella secondo cui la
lettera alef si lamentava davanti al Signore perch il mondo non era
stato creato attraverso di essa: ... Le rispose il Santo, sia Egli bene-
detto: Quando andr a donare la Torah sul Sinai, comincer proprio
con te, come detto: Io (anoki) sono il Signore Dio tuo (Esodo
20,2)
12
. La creazione e levento Sinai si costituiscono come unit
semantica ancorata nella scrittura (il rapporto tra le lettere del-
lalfabeto che sono il medium della creazione e dellevento Sinai), e
la tradizione successiva al midra citato individuer un ulteriore le-
game tra le dieci parole che scandiscono lopera della creazione (nel
capitolo 1 di Genesi troviamo per dieci volte lespressione Dio dis-
se...)
13
e le Dieci Parole della rivelazione sinaitica: lespressione
Baassasah maamarot nivrah haolam (Con dieci parole il mon-
do stato fatto) si embrica nelle asseret hadibberot ma, e qui la dif-
ferenza sostanziale, il termine che abbiamo tradotto con parole
viene espresso in ebraico con un rimando al radicale MR per quanto
riguarda lopera della creazione e con il radicale DBR per quanto ri-
guarda la rivelazione sinaitica. La differenza tra i due radicali consiste
nella duplice (ma non dualista) funzione del linguaggio che nel-
lopera della creazione costituisce lessenza stessa del reale, men-
tre nella rivelazione si apre alla comunicazione (il verbo DBR viene
utilizzato sempre in contesti dialogici, indipendentemente dagli
attanti del discorso)
14
: le Dieci Parole sinaitiche non possono essere
comprese senza le parole dellopera della creazione e viceversa, ed
proprio a partire da tale reciproca implicazione di creazione e rive-
lazione che perdono consistenza le interpretazioni ancorate alla sola
prospettiva morale o etica, mentre si caricano di senso le halakot, vale

12
Cfr. Bereit Rabbah. Critical Edition with Notes and Commentary, Jerusalem,
The Bialik Institute, 1965, 3 voll., I, 7. Ricordiamo che ledizione critica di questo
testo, curata da J. Theodor e Ch. Albeck, utilizza il ms di Londra e non il ms Vat. 30
(Egitto, XXI sec.) che presenta la migliore versione del testo.
13
Nel Trattato del Talmud babilonese Hagigah 12a, troviamo anche lidea,
espressa da Rabbi Yehudah a nome di Rab, che dieci cose furono create il primo
giorno (Genesi 1, 15): il cielo e la terra, linforme e il vuoto (vale a dire il Tou
wabou), la luce e le tenebre, lo spirito e lacqua, la lunghezza del giorno e quella del-
la notte. Il numero dieci, che ricorre spesso lungo tutta la letteratura rabbinica (tal-
mudica e qabbalistica), necessiterebbe di un approfondimento che non possiamo
svolgere in questa sede.
14
Per unanalisi letteraria delle espressioni divine, cfr. C.J. LABUSCHAGNE, The
Pattern of the Divine Speech Formulas in the Pentateuch: The Key to Its Literary
Structure, Vetus Testamentum, 32 (Jul., 1982) 3, pp. 268296.
Silvano Facioni 190
a dire i principi normativi che, nel caso della Seconda Parola se-
condo Maimonide , sono cinquantuno, quarantove negative e due
positive. Se la comunicazione tra Dio e luomo si svolge in una di-
mensione che primariamente gnoseologica (come espresso dal con-
cetto di derek sopra menzionato), le Dieci Parole non possono essere
sganciate dallorizzonte cognitivo in cui prendono consistenza e, in-
sieme, contribuiscono a definire.
La lettera alef che inaugura levento Sinai, inoltre, viene inter-
pretata dai maestri come lindicazione della modalit della rivela-
zione divina: anoki (io), secondo linterpretazione proposta in
babbat 105a, un acrostico che significa Io la mia anima lho
scritta lho destinata e in questo senso, allora, come scrive Haim
Baharier, questa anima stata portata nella scrittura; la sua presenza
altrove inconcepibile. Ricercarla altrove sarebbe vano... Tuttavia
necessario essere consapevoli che la scrittura, ossia la trascrizione
della parola, non deve sfociare in un monolitismo testuale: anoki si
differenzia linguisticamente da ani che lio comune, lio che
discrimina tra il tu, il noi e il voi, e ne risulta separato e rimanda a
Dio come soggetto di uninterlocuzione e di un coinvolgimento sto-
rico; nonostante la sua assoluta incommensurabilit
15
. Le Dieci Pa-
role rappresentano la partitura semantica di una rivelazione che si
consegna alla scrittura e, dunque, allinterpretazione, e le Tavole sono
molto pi di un semplice supporto, perch lincisione che accolgono
dichiara non soltanto la perennit dellinsegnamento divino, ma pi
ancora limpossibilit di uscire dal circolo scritturainterpretazione
che dellinsegnamento struttura.
Anche il termine tavole stato oggetto di numerose interpre-
tazioni da parte dei maestri
16
: in ebraico il plurale luchot deriva infatti
dal singolare luach che, se letto al contrario (secondo la tecnica erme-
neutica dellhipuk), produce il termine chol che significa sia pro-
fano, sia sabbia. Allindeterminatezza che caratterizza la sabbia,
che una terra granulosa e in un certo senso fragile, le tavole su cui
viene incisa la scrittura divina contrappongono la continuit che, lo

15
H. BAHARIER, Il Dio e il popolo che scaturiscono dalle Scritture, in AA.VV.,
Il Libro sacro. Letture e interpretazioni ebraiche, cristiane e musulmane, Milano,
Bruno Mondadori, 2002, p. 84. Lacrostico anoki cos sciolto: a per ani (Io),
n(o) per nafi (la mia anima), k per katavit (lho scritta), i per iahavit (lho
destinata).
16
Per un parziale repertorio di tali interpretazioni si veda la voce luchot in G.
BUSI, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999, pp. 156162 e 551553.
Lidolo senza ombra 191
notiamo en passant, non riguarda tanto la dura compattezza della pie-
tra, quanto la sua intrinseca fecondit: il radicale da cui scaturisce il
termine luach, infatti, produce anche il termine lach che significa
succo, vigore, linfa, e dunque il contrario della linfa lassenza
di forma che caratterizza la sabbia, che penetra ovunque ma non
apporta nutrimento. La pietra, allora, non intende sottolineare alcuna
pesantezza ma, al contrario, il vettore che trasporta anche colui che
la trasporta, come racconta un importante midra tratto dai Pirqei de-
rabbi Eliezer: Mentre egli [Mos] scendeva, esse [le tavole] si por-
tavano da sole, e portavano lo stesso Mos. Ma quando videro il vitel-
lo e le danze, le lettere fuggirono dalle tavole, cos che Mos non fu
pi in grado di reggere se stesso e le tavole
17
.
Anche il senso di profano non deve essere meccanicamente con-
trapposto alla santit: profano, nella dinamica semantica della ri-
velazione sinaitica, significa anzitutto incapace di accogliere la pos-
sibilit di una novit che irrompe nel tempo come dimensione irridu-
cibile di questultimo e, dunque, come sua fondazione. In altri ter-
mini, profano quanto sidera o pietrifica la comunicazione divina (o
quella umana) costringendola nella rigidit di un senso precostituito e
immodificabile (e, vedremo pi avanti, limmagine della divinit
sempre profana perch, contro ogni apparenza, impedisce la comuni-
cazione)
18
.
Le tavole che Mos trasporta, secondo i versetti 15 e 16 del cap.
32 di Esodo, sono le due tavole di testimonianza nella sua mano:
tavole scritte dai due loro lati, da qui e da qui scritte. E le tavole opera
di Elohim sono. E la scrittura scrittura di Elohim, scolpita sulle
tavole: le tavole di pietra sono tavole di testimonianza, e il termine
edut che si traduce con testimonianza reca dentro di s il radicale
daat che significa conoscenza, mentre il loro essere scolpite,
secondo la sentenza mishnica di Avot 6,2, deve essere inteso non
come limposizione di immutabili principi ma come linvito
allesercizio della libert
19
.

17
Pirqe derabbi Eliezer, Paris, Verdier, 1984, 44.
18
Per la dialettica tra profano e sacro rimandiamo, senza discuterle ulterior-
mente, alle fondamentali considerazioni di J.B. SOLOVEITCHIK, Le sacr et le profane.
Qode et Chol comme catgories universelles, in Lhomme de la halakah, Jerusalem
57411981, s.e., pp. 169199 (ledizione dei testi stata stabilita da B. Gross).
19
Recita la sentenza: Non leggere inciso (harut), ma libert (herut) sulle tavo-
le, Pirqei Abot, 6,2 (ledizione da cui citiamo stata curata da P. KEHATI, Gerusa-
lemme 1966, s.e).
Silvano Facioni 192
Il carattere divino delle tavole rintracciabile anche nel fatto che
fossero scritte dai due loro lati, da qui e da qui scritte: il grande
Maharal di Praga, nella fondamentale opera Tiferet Israel, sottolinea
che esse erano leggibili in ogni direzione e, dunque, erano orientate
verso lalto, verso il basso, verso sinistra e verso destra
20
perch
costituivano lorientamento dello spazio. Lespressione dai due loro
lati corrisponde allebraico minei evreihem che, letteralmente, do-
vrebbe essere resa con dai due passaggi, perch il radicale avar
significa passaggio, ed il radicale che produce anche il termine
uvar che significa embrione e il termine ivrit che significa lingua
ebraica: le tavole si presentano immediatamente come luogo di
transito, come potenzialit significante, come elaborazione in cor-
so di una comunicazione. Lesatto contrario di una fissit priva di ol-
tranza.


3. Idolatrie, immagini, statue

Nella Seconda Parola il divieto dellidolatria e quello del-
limmagine sono strettamente connessi: Non avrai Elohim altri
(elohim acherim) sui miei volti (alpanai). Non ti farai per te
(taaselecha) idolo (pesel) e alcuna immagine (temunah) che nei
cieli dallalto e che nella terra dal basso (mitachat), e che nelle

20
YEUDAH BEN BELAZEL LIWA (o LOEB), meglio conosciuto con lacronimo
Maharal (Morenu HaRav Liwa) uno dei pi grandi maestri del giudaismo europeo
del XVI secolo. Lopera Tiferet Israel (La gloria di Israele), apparsa per la prima
volta a Venezia nel 1599, da noi citata nella versione pubblicata a TelAviv nel
1976 dalle edizioni Yad Mordekhai. I capitoli a cui facciamo riferimento sono il cap.
34 e il cap. 35, anche se linsieme delle Dieci Parole dettagliatamente interpretato
dal Maharal. Riportiamo soltanto in questa nota linteressante parallelo istituito fra
lordine che scandisce la Seconda Parola (Non avere dei altri, Non farti scultura o
immagine, Non prosternarti davanti ad essi, Non servirli) e i quattro viventi
(chaiiot) di cui si parla in Ezechiele 1 (laspetto di uomo, laspetto di leone,
laspetto di toro, laspetto di aquila): aspetti del divino che non possono essere
isolati e separati gli uni dagli altri e dunque allopposto della tensione idolatrica
perch tutti riconducibili al principio (haiqar) da cui deriva ogni vivente.
Lidolatria dunque isolamento e fuoriuscita dallordine del vivente: lidolo sem-
pre un feticcio. Per una sintetica presentazione delle posizioni del Maharal relati-
vamente alla Seconda Parola, cfr. R. GOETSCHEL, Tu nauras pas dautres lohim
devant ma face... daprs le Maharal de Prague, in AA.VV., Les Dix Paroles, Paris,
Cerf, 1995, pp. 187197.
Lidolo senza ombra 193
acque al di sotto (mitachat) della terra (Esodo 20,34)
21
. Non si
tratta, ovviamente, dellunico luogo in cui viene stabilito un legame
diretto tra idolatria e immagini: sempre in Esodo 20,23 o in 34,17,
come pure in Levitico 19,4 e 26,1 o, ancora, in Deuteronomio 27,15,
il divieto dellidolo viene espressamente messo in relazione con la
sua forma (prevalentemente scolpita in legno, argento o oro). Nella
Seconda Parola, per, la formulazione del divieto sembrerebbe isti-
tuire una differenza tra idolo e immagine e, pi ancora, lim-
magine viene precisata attraverso un rimando al cielo, alla terra e al-
lacqua, vale a dire allintero dominio della creazione: secondo il cri-
terio di reciprocit tra opera della creazione e Dieci Parole che ab-
biamo richiamato pi sopra, la Seconda Parola corrisponderebbe al
secondo giorno della creazione in cui, come recita Genesi 1,68,
viene creata una volta celeste (raqia)
22
che sar chiamata cieli
(ammaim). Secondo Malbim (acronimo di Rabbi Meir Leibush Ben
Yechiel Michel), mentre raqia si riferisce al cielo meteorologico,
visibile, ammaim sarebbe invece il cielo delle galassie, degli astri o,
in altri termini, il cielo al di sopra del cielo
23
: il legame tra il secondo
giorno della creazione e la Seconda Parola andrebbe dunque rin-
tracciato nel mondo celeste che, secondo le cosmologie dellarea
semitica, era spesso popolato da divinit o creature dai caratteri ec-
cezionali. Ma, forse, se guardati da vicino, i versetti di Genesi 1,6-8
descrivono anzitutto la creazione di un limite, di una separazione
(dal radicale BDL) tra le acque superiori e quelle inferiori, e dunque il
nesso tra seconda parola della creazione e Seconda Parola risiede nel
rapporto tra idolo e limite, perch come la tradizione biblica e

21
Come noto, oltre alla versione presente in Esodo, le Dieci Parole sono pre-
senti anche in Deuteronomio 5, 621, anche se, per quanto riguarda la Seconda Pa-
rola, non ci sono variazioni testuali. I versetti 56 del cap. 20 di Esodo, che pure ap-
partengono alla Seconda Parola, sono stati omessi perch non entreranno diret-
tamente nella nostra analisi che si interroga sullo statuto dellimmagine e sul suo le-
game con lidolatria. La scansione delle Dieci Parole varia tra i cristiani (cattolici,
protestanti e ortodossi): la Seconda parola della Torah corrisponde alla Prima per i
cattolici e i protestanti, mentre per gli ortodossi che la dividono in due parti
essa corrisponde alla Prima e alla Seconda parola.
22
La traduzione greca dei LXX render il termine raqia con sterma che signi-
fica base, fondamento, forza, solidit, scheletro, mentre la traduzione latina di Gi-
rolamo lo render con firmamentum, da firmare. Non entriamo in questa sede nel
problema dellidentificazione astronomica di raqia che, oltre ai dibattiti di matrice
teologica, impegner le varie cosmologie di epoca medievale e moderna.
23
Cfr. MALBIM, Nach Mikraot Gedolot Malbim Hamaor, s.e., ad loc.
Silvano Facioni 194
quella rabbinica non smettono di ricordare , non pu esserci
comunicazione tra i viventi se non presente quella separazione che
apre lo spazio dellinterlocuzione. Il limite (habdalah in ebraico
anche la benedizione finale che separa la fine dello shabbat dalla
ripresa del tempo feriale) di cui si tratta in questi versetti non crea
differenze in seno allo spazio terrestre (che apparir solo il terzo
giorno), perch lopera stessa della creazione a costituirsi come
istituzione di limiti: prima ancora della comparsa del mondo, il
principio che ne regoler la comparsa limitatezza e separazione,
differenza e possibilit. Qui gi possibile scorgere un primo senso
del divieto idolatrico: limpossibilit di uno spazio dialogico, di un
limite tra lidolo e chi lo costruisce o, in altri termini, lassenza di un
vuoto (lassenza di unassenza) in cui possano risuonare le parole
non importa se solo pronunciate o anche scritte dal momento che
anche la scrittura spaziatura di unassenza rappresenta la
ragione che muove il tempo imperfetto (che viene reso nelle varie
traduzioni come futuro) del verbo fare (SH, spesso impiegato,
nel testo biblico, per indicare la fabbricazione di idoli). Costruire
immagini, idoli o divinit corrisponde allora a saturare lo spazio in
cui si declina la differenza tra la creatura e il creatore: differenza che
stigma della necessit di una giustizia e insieme apertura alla mol-
teplicit di significati che invocano la responsabilit dellumano.
Non avere altri Elohim non si riferisce esclusivamente ad altre
divinit, perch se restituiamo alla frase ebraica la letteralit del-
lespressione sui miei volti il divieto sembra anzitutto riguardare
la possibilit di trasformare lo stesso Elohim in un idolo, vale a dire
in un Dio altro o alieno ( questo uno dei significati possibili di
acher): lidolatria riguarda anzitutto lo stesso Dio che secondo
quanto recitato nella Prima Parola ha condotto il popolo fuori
dallEgitto, vale a dire fuori da un regno popolato di idoli che, pre-
sumibilmente, avevano riempito lo spazio (mentale, cultuale, af-
fettivo) dellebreo che in Egitto viveva come schiavo (e soprattutto
come schiavo degli idoli). sicuramente interessante notare che il
termine che abbiamo reso con volti non conosce, in ebraico, il
singolare: il volto sempre volti (panim) perch, come gi nel-
lepisodio del roveto (Esodo 3,14), la rivelazione divina orientata
verso un tempo futuro che impedisce il coagulo presentificante
sempre potenzialmente idolatrico
24
. La sovrapposizione della divinit

24
Cfr. M. MAIMONIDE, La guida dei perplessi, a c. di M. Zonta, Torino, Utet,
Lidolo senza ombra 195
aliena, dunque, corrisponde alla sovrapposizione della fissit di una
maschera sopra un volto che , in se stesso, plurale, vale a dire
vivente e dunque diveniente, impegnato in una alleanza che si
svolge nel tempo e di cui non si pu dare previsione o anticipazione:
relativamente al divieto delle immagini, un insegnamento talmudico
(bRo haanah 24b) recita che tutti i volti sono permessi tranne il
volto delluomo. Il volto, come ha instancabilmente ripetuto Lvinas
lungo tutta la sua opera, il luogo in cui si dispiega il faccia a faccia
con linvisibile
25
e, insieme, la possibilit che lalterit venga ri-
succhiata nella fascinazione siderante dello sguardo che la attraversa: il
problema, allora, non riguarda pi i volti che lidolo pu assumere,
ma investe direttamente lo sguardo che pu idolatrizzare i volti su cui
si posa. Secondo uno degli etimi possibili di panim (dal radicale PNH
che significa anche svuotare, ritardare, sottrarre), il volto il luogo in
cui si dispiega unassenza, una sottrazione: lidolo il tentativo di
riempire il vuoto disvelato dal/nel volto ed esprime il rifiuto
dellaccoglimento di una sottrazione. in questa direzione che ri-
prendendo interpretazioni presenti nella Mekilta si incammina il
commento di Rai, il pi grande maestro di interpretazione biblica e
talmudica della scuola renana: Elohim altri pu infatti significare
Elohim degli altri oppure pu voler dire che essi sono estranei
rispetto a coloro che li venerano, i quali gridano verso i loro Elohim
ma questi non rispondono loro, come se laltro Dio non conoscesse chi
lo venera
26
. La dinamica del gridorisposta, al contrario, identifica
lElohim di Israel come presenza che partecipa alla storia e, dunque,
alla storia si consegna e da essa si lascia interpellare: la responsabilit
del dialogo, vale a dire di una comunicazione interamente affidata
allordine della parola, costituisce la differenza dellElohim di Israel
rispetto agli idoli che, come recita il Salmo 115,4, hanno bocca e non
parlano, hanno occhi e non vedono e sono immagine di chi li costrui-
sce perch nessuna reale alterit si annuncia nella loro presenza.

2005, cap. XXXVII, pp. 157159, in cui vengono presentati i differenti significati del
sostantivo panim.
25
I luoghi in cui si dispiega la riflessione lvinassiana sul volto sono troppo
numerosi per essere citati. Per uninterpretazione della Seconda Parola alla luce del
pensiero di Lvinas, cfr. C. CHALIER, Linterdit de la reprsentation, in La trace de
linfini. Emmanuel Lvinas et la source hbraque, Paris, Cerf, 2002, pp. 253267.
26
Cfr. Piru al hatorah (Commento sulla Torah), ad loc. Abbiamo utilizzato
ledizione Sapirstein in cinque volumi curata da Rabbi Israel Isser Zvi Herczeg, New
York, Mesorah Publications Ltd., 1995.
Silvano Facioni 196
La Scrittura identifica lidolo con una serie di termini (terafim,
atsab, ecc.) ma, nel passaggio di Esodo 20,4 il termine utilizzato
pesel: dallorigine incerta, pesel rimanda sempre, nei passaggi in cui
compare, allidea di una scultura, ed per questo che la tradizione
interpreter il divieto come orientato verso le forme tridimensionali.
La pur legittima considerazione che, nel divieto, sia presente la
necessit di sottolineare la differenza rispetto ai culti di matrice
egiziana o babilonese o greca, ha per bisogno di essere integrata e
approfondita: il termine pesel, infatti, presenta uninteressante con-
tiguit semantica con il termine pasul che si riferisce a qualcosa di
difettoso, di non integro che deve essere scartato. La traduzione
greca nota come Septuaginta rende pesel con eidlon, sbilanciando
linterpretazione sul piano della visione e della rappresentazione
visiva, mentre il radicale del termine ebraico si riferisce in primo luo-
go a quanto non pu essere utilizzato per il particolare tipo di sacri-
ficio denominato qorban, vale a dire per quel culto la cui finalit in-
trinseca avvicinare, rendere prossimo (qorban deriva dal radicale
QRB che apre il campo semantico di unalterit che il rovescio del
gi citato baraq, vale a dire lampo)
27
. Ancora una volta, il carattere
costitutivo dellidolo impedire una comunicazione, una prossimit
(che, lo ricordiamo, nel mondo biblico sempre prossimit tra uomini
oltre che comunicazione con Elohim): la statua scolpita, come ha
acutamente scritto R. Dra, nest pas interdite par ce quelle repr-
sente, mais pour ce quelle reprsente: le retournement, la rtro-
version du principe crationnel [...] Ce qui est interdit dans la statue,
ainsi considre, ce nest pas, si lon peut ainsi parler, la figure mais
la figeure
28
.
Interruzione del corso dellesistenza, lidolo come illustrano gli
abbondantissimi luoghi del trattato talmudico babilonese Avoda
Zara assume immediatamente la consistenza del feticcio, ovvero
della parte rispetto allintero, del frammento rispetto alla totalit,
dellestrapolazione rispetto alla sintesi: a differenza di quanto sosten-
gono coloro che leggono la lotta contro lidolo in termini esclusi-
vamente rappresentativi (immagine contro assenza), la proibizione

27
Per quanto riguarda le funzioni sacrificali (che, nonostante il loro indubbio
legame con il problema dellidolatria, non possiamo prendere in considerazione in
questa sede) rinviamo allampio studio di I. CARDELLINI, I sacrifici dellantica al-
leanza. Tipologie, rituali, celebrazioni, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001.
28
R. DRA, La pense juive et linterrogation divine. Exgse et pistmologie,
Paris, Puf, 1996, p. 230 (corsivi dellautore).
Lidolo senza ombra 197
idolatrica biblica riguarda la possibilit di un accesso alla comuni-
cazione con Dio priva di coaguli semantici che ne bloccherebbero il
flusso, che sospenderebbero la temporalit del percorso, che trasfor-
merebbero il presupposto in un esito. Il divieto, allora, investe prima-
riamente la tridimensionalit dellidolo, vale a dire la presenza
saturante (e saturata), lostruzione dello spazio simbolico in cui lin-
commensurabilit del divino e la finitezza dellumano possono ritro-
vare un punto di tangenza: non si tratta, come sostengono Moshe Al-
bertal e Avishai Margalit riprendendo Peirce
29
, di distinguere dif-
ferenti livelli di rappresentazione misurandone successivamente il
grado di cogenza rispetto allidentit divina biblica, quanto di veri-
ficare la permeabilit simbolica di una realt che nel caso del-
lidolo patisce la fantasmatica concentrazione di senso che pro-
pria di ogni feticcio.
Isolato, limitato, frammentato, lidolo non riesce a mantenere in se
stesso la molteplicit che si raccoglie nellunit divina, e dunque non
necessario pour tre idoltre, de reprsenter Dieu comme un
taureau, ou un aigle, ou une colombe. Il suffit de le voir fort sans
douceur, ou aimant sans puissance, ou terrible sans patience, ou
tendre sans sagesse. [...] Le multiple se reprsente mais rien ne res-
semble au lieu o le multiple sassemble
30
.
La Seconda Parola aggiunge al termine pesel il sostantivo temunah
che abbiamo tradotto con immagine e che la traduzione greca ren-
der con omoma, vale a dire con un implicito rimando allidea di
somiglianza: intorno alla nozione di temunah che si costruito il
mito del divieto dellimmagine nella cultura ebraica e, dunque,
necessario approfondire il significato di tale termine prima di pro-
seguire.
Il radicale TMN compare nella Scrittura solo in dieci occorrenze
(otto di queste nel Pentateuco) e piuttosto contrastanti sono le ipotesi
sullorigine etimologica di tale radicale: pu soccorrerci per la sua

29
M. HALBERTAL, A. MARGALIT, Idolatry, Cambridge London, Harvard Uni-
versity Press, 1992, pp. 3766: riprendendo il famoso scritto The Icon, Index and
Symbol di C.S. Peirce, i due autori distinguono una rappresentazione fondata sulla
somiglianza, una di tipo causalemetonimico, e una rappresentazione fondata sulla
convenzionalit. Il divieto biblico di produrre immagini scolpite si appunterebbe sul
primo tipo di rappresentazione, mentre il secondo tipo sarebbe illustrato dallArca
dellAlleanza e il terzo tipo di rappresentazione riguarderebbe direttamente le descri-
zioni linguistiche della divinit.
30
P. BEAUCHAMP, Dune montagne lautre la loi de Dieu, Paris, Seuil, 1999, p.
61, ma cfr. anche il cap. VII dal titolo Ressembler lidole (pp. 92109).
Silvano Facioni 198
stretta parentela con il radicale TMN che differisce dal precedente
nella sua prima lettera (un tet al posto di un tav)
31
e che apre il campo
semantico di tutto cio che nascosto, sepolto, rimosso: rovescia-
mento della comune accezione che situa limmagine nellordine del
visibile!
Riprendendo quanto sostenuto da Maimonide nella gi citata Gui-
da dei perplessi relativamente ai tre significati di temunah (aspetto
visibile, immagine mentale, lontana dai sensi e idea vera di una
cosa concepita dallintelletto che pu essere riferita come in Nu-
meri 12,8 a Dio), Levi Della Torre ipotizza che il rischio idolatrico
si insinui proprio nei passaggi e negli scivolamenti da un significato
allaltro della temunah e si produca come corto circuito tra il primo
e il terzo significato della stessa parola. Una stessa parola, temunah,
implica infatti il visibile e linvisibile, li pu confondere, lasciarne in-
tendere unidentit
32
. Lidolatria, dunque, non riguarda limmagine
come tale
33
, ma il rapporto istituito tra limmagine e il suo significato,
fino al punto che anche lo stesso Elohim o le mitsvot da lui coman-
date possono divenire idoli: il grande Rabbi Menachem Mendel di
Kotzk spiega lapparente ridondanza dellespressione come il Signo-
re ti ha ordinato di fare nel versetto 23 di Deuteronomio 4 (Guar-
datevi dal dimenticare lalleanza che il Signore ha stabilito con voi, e
dal farvi idolo scolpito, immagine di qualunque cosa, come il Signore
ti ha ordinato di fare) sottolineando che il versetto significa Guar-
datevi dal non farvi idolo scolpito a partire da quanto il Signore ha
ordinato
34
.
Ma allora in cosa consiste, in senso proprio, il divieto del-
limmagine? Il proseguimento del versetto biblico di Esodo 20 ri-

31
Ricordiamo che lalfabeto ebraico conosce due lettere tet e tav che ven-
gono pronunciate nello stesso modo: il principio della somiglianza omofonica schiu-
de spesso, nellesegesi dei maestri, significati che permettono di approssimarsi al
senso globale di un testo. Cfr. a riguardo D. BANON, La lecture infinie. Les voies de
linterprtation midrachique, Paris, Seuil, 1987, pp. 188203.
32
S. LEVI DELLA TORRE, Non ti farai alcuna immagine, in Zone di turbolenza.
Intrecci, somiglianze, conflitti, Milano, Feltrinelli, p. 38.
33
Cfr. limportante saggio di R. DI CASTRO, Il divieto di idolatria tra universale
e particolare, Rassegna Mensile di Israel, LXXI (2005) 12, pp. 91123, in cui, tra
laltro, lautrice scrive: In nessuno dei tentativi di definizione dellidolatria ne tro-
viamo descritta lessenza, ma sempre un uso, un comportamento, un significato, una
relazione, una modalit (p. 101, corsivi dellautrice).
34
Linsegnamento di Rabbi Mendel riportato in R. PEREZ, Tu nauras pas
dautres divinits..., Les Dix Paroles, cit., pp. 182183.
Lidolo senza ombra 199
manda esplicitamente a quanto nei cieli dallalto e che nella terra
dal basso (mitachat), e che nelle acque al di sotto (mitachat) della
terra, ma alla luce di quanto detto sulla parentela semantica tra i due
radicali TMN possibile ipotizzare che il senso profondo del divieto
riguardi la possibilit di idolatrizzare ci che rimosso e nascosto,
vale a dire il fatto che sia il cielo, sia la terra, sia lacqua non derivano
da loro stessi il principio che ne permette la sussistenza, ma sono
realt create e, dunque, esistenti ab alio. Limmagine idolatrica recide
labalietas che, nella tradizione ebraica, assume il nome di ante-
riorit (qedem), loriente come origo (da oriri, alzarsi) che resti-
tuisce il principio genealogico alla sua strutturale sequenzialit: nel-
limpegnativo Primo Capitolo del suo Mineh Torah (Sefer hamad-
da), Maimonide racconta che se, da un lato, lorigine dellidolatria
deve essere rintracciata nella volont degli uomini di onorare le realt
create da Dio (come, ad esempio, le stelle) proprio in quanto create,
dallaltro necessario rilevare che la storia dellumanit ha poi
mostrato il progressivo sostituirsi delle realt create rispetto alla loro
causa, al loro principio.
Linafferrabile anteriorit che attraversa la realt significativa-
mente espressa dalla specularit delle prime Cinque Parole incise su
una tavola con le Cinque Parole incise sulla seconda tavola: la
tradizione definisce le prime bin adam leMaqom (letteralmente tra
luomo e Dio) e le seconde bin adam lechavero (letteralmente tra
luomo e il suo compagno, socio) e, al di l delle differenze speci-
fiche tra le due tavole (il nome di Dio compare solo nelle prime Cin-
que Parole, come pure il rimando ad un castigo o a un ricono-
scimento), viene comunque stabilito un parallelo tra le Parole incise
su una tavola e le Parole incise sullaltra. La Mekiltah o il Commento
al Cantico dei Cantici di Rai sostengono dunque che la Seconda
Parola strutturalmente connessa con la Settima Parola che recita
Non commetterai adulterio e il primo livello di comprensione della
connessione tra le due Parole facilmente inferibile: abbandonare
Dio per rivolgersi a un idolo gesto analogo allabbandono del/la
consorte
35
.
Ma esiste un livello ulteriore di comprensione del legame tra

35
La tradizione ebraica presta estrema attenzione ai vari casi di adulterio, ma
leconomia del nostro discorso non consente un approfondimento della Settima
Parola. Rinviamo, per un primo approccio ai termini del problema, a E. KLAPISCH,
Tu ne commetras point dadultre..., in Les Dix Paroles, cit., pp. 363385.
Silvano Facioni 200
Seconda e Settima Parola: nel diritto ebraico il peccato di idolatria
sanzionato in termini analoghi alle colpe sessuali (soprattutto lin-
cesto) e ai crimini di sangue, perch anche queste ultime due colpe
possono essere ricondotte nellorbita di quanto abbiamo chiamato
negazione dellanteriorit. Le colpe sessuali, infatti, incarnano tutte
una frattura dellordine genealogico su cui si costituisce il senso della
storia (che in ebraico detta toledot, vale a dire generazioni), e tale
frattura si configura sempre come inversione della dinamica crea-
zionale: lannullamento delle differenze si mostra con particolare evi-
denza nel caso dellincesto che aplatit rcursivement la parent sur
la filiation ou la filiation sur la parent, faisant de lexistence humaine
un plan unique o les tres deviennent substituables les uns aux autres
avant dtre fondus dans la mme masse protoplasmique
36
.
Il divieto dellimmagine, nella sua strutturale connessione con il
divieto dellincesto
37
, si sviluppa in una direzione che poco o nulla
condivide con la generica proibizione della rappresentazione che,
come molti continuano a sostenere, costituirebbe uno dei caratteri
principali dellebraismo: non limmagine ad essere proibita (come
peraltro, al di l della banale evidenza, mostra larte figurativa ebra-
ica), ma lidolatria della madre, vale a dire la rimozione del principio
creaturale che determina lesistenza di tutto ci che vivente (anche
la madre stata creata). Il termine temunah, allora, deve poter essere
pienamente semantizzato proprio in direzione del fantasma che im-
pedisce laccesso al simbolico e ripiega lanteriorit su se stessa at-
traverso la divinizzazione di quanto nei cieli dallalto e che nella
terra dal basso (mitachat), e che nelle acque al di sotto (mitachat)
della terra: tradotto letteralmente, il termine mitachat significa al
posto di, in sostituzione di, e dunque la sostituzione immaginaria
del principio causale (come espresso dal prefisso mi di mitachat)
che, nei versetti di Esodo, viene proibita.

36
R. DRA, La pense juive et linterrogation divine, cit., p. 234.
37
Cfr. J.J. GOUX, Les iconoclastes, Paris, Seuil, 1978, che, nellinteressante analisi
della posizione freudiana rispetto alla prescrizione iconoclasta, scrive: Linterdiction
de faire une image de Dieu implique une mise larrireplan de la perception senso-
rielle par rapport lide abstraite... Freud relie explicitement cette nouveaut religieuse
un passage du matriarcat au patriarcat, mais il est remarquable quil ninsiste pas. Il
est trange quil ntablisse pas explicitement le rapport, qui nous parat pourtant
prodigieusement clairant, entre linterdiction judaque dadorer des images et linter-
diction de linceste avec la mre (pp. 1213, corsivi dellautore): sfortunatamente
Goux non fornisce nessuna spiegazione di questo rapporto prodigiosamente illumi-
nante che pure sostiene di aver individuato nella posizione freudiana.
Lidolo senza ombra 201
Linterpretazione compiuta dalla tradizione dei versetti scrit-
turistici, lattenzione estrema rivolta alle parole della Torah, lunica
difesa nei confronti del rischio idolatrico che pu riguardare la stessa
Torah: lo studio, nel suo configurarsi come perenne esodo da ogni
contenuto indiscutibile e predeterminato, impedisce la presa idolatrica
anche dei passaggi in cui si proibisce lidolatria, perch il rinnova-
mento del senso (chidu) impedisce la fissazione univoca o absolu-
ta di un testo che, come ha scritto Lvinas, si preserva dalleventuale
idolatria nei confronti del testo stesso rinnovando attraverso uninces-
sante esegesi ed esegesi dellesegesi le lettere immutabili ed
ascoltandovi il soffio del Dio vivente
38
.
La Torah pu divenire essa stessa idolo o immagine quando
interrompe il processo ermeneutico che non successivo al suo essere
stata donata, ma costituisce, se cos si pu dire, il proprium del dono
stesso: il dono della Torah il dono dellinterpretazione e il dono
dellinterpretazione quanto si sottrae alla cattura ideologica di un
senso che ignora il suo essere temporale, vale a dire affidato da
sempre e per sempre alla difficile libert che ha nome responsabilit.
Ecco allora che la portata antiidolatrica delle parole del Dio vi-
vente attraversa lintera Torah e si mostra molto tempo prima di
quanto abbiamo chiamato evento Sinai, come racconta un acuto e
ironicissimo midra in cui si parla di Terah, il padre di Abramo, che
secondo la tradizione, era un fabbricante di idoli consapevole della
loro inconsistenza:
Terah era un fabbricante di idoli. Una volta usc e mise Abramo a venderli al
suo posto. Venne un uomo e voleva acquistare un idolo. Domand Abramo:
Quanti anni hai? Rispose: Sessanta. Replic Abramo: Guai alluomo che
ha sessantanni e vuole inchinarsi a qualcosa che ha un giorno di et!. Luomo
prov vergogna e se ne and senza comprare lidolo. Venne poi una donna che
aveva in mano un vassoio di farina e disse ad Abramo: Vai e offrila agli idoli.
Abramo prese un bastone e ruppe tutti gli idoli e mise il bastone nella mano del
pi grande di essi. Quando il padre torn gli chiese: Chi fatto loro questo?
Rispose Abramo: Non posso tacere. venuta una donna con un vassoio di
farina e mi ha detto di offrirla agli idoli. Uno diceva: Mangio io per primo e
un altro diceva: Mangio io per primo. Il pi grande tra loro si alzato, ha
preso il bastone e ha rotto tutti gli altri idoli. Allora Terah disse ad Abramo:
Mi stai prendendo in giro? Sanno forse gli idoli quello che succede?
39
.

38
E. LVINAS, Disprezzo della Torah come idolatria, A lheure des nation, Pa-
ris, Minuit, 1988, tr. it. di S. Facioni, Nellora delle nazioni, Milano, Jaca Book,
2000, p. 67.
39
Midra Bereit Rabbah. Critical Edition with Notes and Commentary, 3 voll.,
Jerusalem, The Bialik Institute, 1965, XXXVIII, 13.





STEFANO OROFINO

Divieto dimmagini: T.W. Adorno



Non ti farai idolo n immagine alcuna di quanto lass nel cielo
n di quanto quaggi sulla terra, n di ci che nelle acque sotto la
terra (Esodo, XX, 4).
il divieto biblico di farsi immagini della divinit, la cui idea in
realt presente anche in molte altre espressioni della religiosit
universale.
Nel Taoteking, per esempio, sta scritto che il Tao detto
invisibile, perch gli occhi non lo possono vedere; impercettibile,
perch le orecchie non lo possono udire; impalpabile, perch non lo si
pu afferrare []. In alto non luminoso, in basso non oscuro.
Perch infinito non lo si pu nominare (1, 14).
Parole, queste, che paiono quasi esser volte a spiegare le ragioni
del divieto contenuto nellEsodo. Stesso significato ha anche il
seguente brano tratto dalle Upanishad: Il Brahman non n cos n
cos: impalpabile, indistruttibile, inafferrabile (BrihadAranyaka
Upanishad, 4, 24).
Mentre una delle due religioni eredi dellebraismo, lislam, si
attiene in maniera rigida al divieto dimmagini, laltra, il cristia-
nesimo o per lo meno quello ufficiale , pur facendo proprio il
decalogo mosaico, non nega pi la possibilit di descrivere Dio.
Delle tendenze iconoclastiche si sono registrate, beninteso, anche
nella storia della civilt cristiana, ma esse sono di chiara derivazione
orientale (e dovute allinfluenza del giudaismo e dellislam), mentre
hanno incontrato la ferma opposizione da parte della chiesa. Si pensi
in proposito, soprattutto, alle vicende dellVIII secolo, iniziate a
partire dal decreto con cui limperatore dOriente Leone III Isaurico
viet il culto delle immagini, un decreto duramente condannato da
parte dei papi Gregorio II e Gregorio III
1
.
Linfluenza del divieto biblico dimmagini sul cristianesimo
occidentale si fa sentire tuttavia in modo consistente, in ambito
teologicofilosofico, tramite la mediazione di quella che considerata

1
Sulla battaglia iconoclastica condotta dagli imperatori dOriente nellVIII e nel
IX secolo, cfr. N. ZERNOV, Il cristianesimo orientale, a c. di R. Bosi, Milano, Monda-
dori, 1990, pp. 9496.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 203-217 203
Stefano Orofino 204
lultima grande espressione del pensiero antico, il neoplatonismo.
Nelle Enneadi di Plotino, il maggiore esponente di tale corrente
filosofica, si trova la distinzione fra teologia catafatica, o positiva, e
teologia apofatica, o negativa. Ecco i termini in cui il filosofo spiega
il senso di questa seconda forma di teologia:

Se ogni determinazione solo in colui che divenne, a quale di queste deter-
minazione ti appiglierai per applicarla a lui? Non essendo egli alcuna di que-
ste, di lui puoi asserire unicamente che egli al di l di esse; ma queste cose
sono i reali e lessere: per conseguenza, egli al di l dellessere. In verit
lal di l dellessere non esprime gi un questo determinato che non
pone nulla, positivamente e non esprime neppure un nome di lui, ma com-
porta unicamente una tesi negativa: non questo
2
.

In realt ben prima di Plotino, nel primo secolo dopo Cristo, un
ebreo, Filone dAlessandria, aveva tentato una conciliazione fra Ate-
ne e Gerusalemme, fra il Logos greco e il messaggio biblico. Il filo-
sofo alessandrino affermava a chiare lettere linconoscibilit di Dio:
La comprensione di me qualcosa di pi grande di quanto la natura
umana, che dico, perfino il cielo e luniverso intero, possa mai con-
tenere
3
.
La teologia apofatica di Plotino ripresa, fra i filosofi cristiani, da
un anonimo del VI secolo
4
, i cui scritti furono inizialmente attribuiti a
Dionigi lAreopagita. A questo autore si rif poi Giovanni Scoto Eriu-
gena, il quale sostiene che se ogni pretesa di descrivere Dio attraverso
immagini tratte dal mondo naturale, cio dal mondo degli esseri
limitati, non pu che limitare la superessenzialit divina, allora
lunica descrizione di Dio cui luomo possa accedere costituita dalla
negazione di ogni immagine bella e armonica tratta dal mondo natu-
rale: tale negazione si ha nel confuso e nel deforme: Se nel di-
scorso teologico la negazione vera, mentre laffermazione non ve-
ra, ma ha solo valore metaforico [] non c da meravigliarsi se le
forme maggiormente lontane e dissimili dalle forme naturali e

2
PLOTINO, Enneadi, a c. di V. Cilento, Bari, Laterza, 1973, vol. III, II, p. 66.
3
FILONE DI ALESSANDRIA, De specialibus rebus, 1, 43, cit. in K. ARMSTRONG,
Storia di Dio, Venezia, Marsilio, 1998, p. 74.
4
A lungo gli scritti di questanonimo furono attribuiti al greco Dionigi, conver-
tito al cristianesimo da San Paolo col suo discorso allAreopago di Atene (Atti, 26,
1934). In realt i primi cristiani a sostenere in modo chiaro lidea di una teologia
negativa, dellimpossibilit per lintelletto umano di conoscere Dio, sono stati i lumi-
nari di Cappadocia (Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nananzio),
esponenti della patristica greca del IV secolo (K. ARMSTRONG, op. cit., pp. 122125).
Divieto dimmagini: T.W. Adorno 205
semplici, le forme composite, confuse e deformi significano in modo
migliore la divinit che le immagini pure, semplici, prive di ogni
commistione proprie delle forme naturali
5
.
Nel pensiero medievale, le istanze della teologia negativa sono
portate avanti da molti altri filosofi, fra i quali ricordiamo in parti-
colare lebreo Mos Maimonide, tenendo presente, per, che anche
Tommaso dAquino, il pensatore su cui si basa ancora oggi limpal-
catura teologica della chiesa cattolica, afferma che di Dio noi uomini
abbiamo qualche nozione conoscendo che cosa non
6
.
Giungiamo cos alla mistica speculativa tedesca e al suo maggiore
esponente, Meister Eckhart. Al vertice di una gerarchia degli esseri di
stampo chiaramente neoplatonico, questultimo pone il Nulla, ovvero
Dio inteso come negazione totale delle determinazioni dellessere
limitato del mondo terreno
7
. In un passo del suo Commento allEccle-
siastico, Eckhart sostiene esplicitamente la conformit della teologia
negativa dello pseudo Dionigi al divieto biblico di nominare e farsi
immagini di Dio: Gli enti primari e pi semplici sono compresi
propriamente attraverso la negazione
8
, afferma il mistico tedesco,
che cita, subito dopo, le seguenti parole di Dionigi Areopagita: nelle
realt divine le affermazioni sono inappropriate
9
. Poco pi in l
Eckhart dice ancora: Luno trascendentale alla lettera una nega-
zione, ma nel significato, in quanto negazione della negazione,
purissima affermazione, conformemente al passo di Es 3,14: Io sono
colui che sono. E bisogna notare che questo il modo pi adatto per
parlare delle cose divine
10
. Concetti del genere influenzeranno in
modo diretto Niccol Cusano e, attraverso la mediazione di questul-
timo, anche alcuni fra i principali filosofi rinascimentali italiani, da

5
G. SCOTO ERIUGENA, cit. in S. ZECCHI e E. FRANZINI, Storia dellestetica
(antologia di testi), Bologna, Il Mulino, 1995, vol. I, p. 121.
6
Il passo in questione, tratto dalla Summa contra gentiles, citato da SOFIA
VANNI ROVIGHI, che ricorda come il processo che conduce a Dio sia, secondo
lAquinate, una via remotionis dal divenire allIndivenibile (Il problema teo-
logico come filosofia, Milano, Vita e Pensiero, 1977, pp. 7173).
7
K. ARMSTRONG, op. cit., p. 270.
8
M. ECKHART, Commento allecclesiastico, a c. di M. Vannini, Firenze, Nardini,
1990, pp. 102103.
9
DIONIGI AREOPAGITA, De caelesti hierarchia, in M. ECKHART, op. cit., p. 103.
10
M. ECKHART, op. cit., pp. 103104. Secondo il racconto biblico Dio, allorch
Mos gli chiese quale fosse il suo nome, rispose in questo modo: Io sono colui che
sono. Poi disse: Dirai agli israeliti: Iosono mi ha mandato a voi (Esodo, III, 14).
Stefano Orofino 206
Giordano Bruno a Giovanni Pico Della Mirandola
11
. Nel pensiero
moderno, comunque, il terreno in cui i principi della dottrina eckhar-
tiana attecchiscono in maniera pi profonda costituito proprio dalla
cultura tedesca. Pensiamo, anzitutto, alla filosofia teoretica kantiana.
Tale grande espressione del pensiero tedesco del XVIII secolo,
con la distinzione fra fenomeno e noumeno, con laffermazione del-
limpossibilit per la mente umana di andare al di l dei limiti im-
postile dalle proprie forme a priori, riformula in un certo qual modo il
principio della teologia negativa, secondo cui lintelletto umano, limi-
tato, non pu conoscere ci che al di l dei limiti del mondo di cui
esso stesso una parte:

Se per noumeno intendiamo una cosa, in quanto essa non oggetto della no-
stra intuizione sensibile (astraendo cio dal nostro modo di intuirla), si tratta
allora di un noumeno in senso negativo []. I concetti del nostro intelletto,
in quanto semplici forme di pensiero per la nostra intuizione sensibile, non si
estendono affatto sino agli enti dellintelletto. Ci che da noi chiamato nou-
meno devessere inteso come tale solo in senso negativo
12
.

Se comunque in Kant il legame con la mistica speculativa tedesca
appare solo implicito, nella filosofia hegeliana, invece, alcuni concetti
eckhartiani sono ripresi in modo letterale: la sintesi da cui emerge lo
Spirito Assoluto nella sua piena dispiegatezza definita da Hegel una
negazione della negazione
13
.

11
Il Cusano, come Eckhart, si richiama in modo diretto allo pseudo Areopagita:
Come Dionigi stesso conclude alla fine la Mistica teologia, Dio al di sopra di ogni
affermazione [...] di tutto (N. CUSANO, De Docta ignorantia, in ID., Opere filoso-
fiche, a c. di F. Federici Vescovini, Torino, Utet, 1972, p. 81). Bruno, poi, facendo
propri a sua volta i principi della mistica speculativa neoplatonica, dice del suo Deus
in rebus che questo atto absolutissimo [] non pu essere conosciuto da lintel-
letto se non per modo di negazione []. Non [] occhio chapprossimar si possa o
chabbia accesso a tanto altissima luce e s profondissimo abisso (G. BRUNO, De la
causa, principio e uno, a c. di A. Guzzo, Mursia, Milano 1985, pp. 163164). Pico,
da parte sua, asserisce in modo esplicito che la conoscenza di Dio deve essere sine
phantasmate, priva di immagini (G. PICO DELLA MIRANDOLA, Conclusiones, De
abdita intelligentia animae disputatio, in E. CASSIRER, DallUmanesimo allIllumi-
nismo, a c. di F. Federici, Firenze, La Nuova Italia, 1995, p. 73).
12
I. KANT, Critica della ragione pura, a c. di G. Colli, Milano, Bompiani, 1987,
pp. 326328.
13
Il legame della dialettica di Hegel con la mistica eckhartiana, in particolare con
la ripresa del concetto di negazione di negazione, in Italia stato ampiamente sot-
tolineato da GALVANO DELLA VOLPE, che tende con ci a mettere in luce le radici ro-
mantiche e misticheggianti di un filosofo, che pure da parte sua si dichiara anti-
romantico (Le origini e la formazione della dialettica hegeliana. I Hegel romantico e
Divieto dimmagini: T.W. Adorno 207
Ancora pi importante da questo punto di vista poi la
distinzione, fatta da Hegel nella Einleitung alla Fenomenologia dello
Spirito, fra la negazione assoluta, tipica dello scetticismo, e la nega-
zione determinata, principio motore dello sviluppo del Concetto, la
quale conduce al Sapere Assoluto tramite un processo negativo che
pu essere presentato come una teologia negativa laica.

Lo scetticismo [] nel risultato vede sempre soltanto il puro nulla, e astrae
dal fatto che questo nulla per certo il nulla di ci da cui resulta. Ma il nulla
preso come il nulla di ci da cui resulta non , in effetto, se non il risultato
verace; quindi esso stesso un nulla determinato e ha un contenuto []. Se
[] il risultato viene inteso come in verit esso , come negazione determi-
nata, ecco che allora immediatamente sbocciata una nuova forma, e nella
negazione stato aperto il passaggio nel quale avviene lo spontaneo processo
attuantesi attraverso la completa serie delle figure
14
.

Una distinzione del genere fra negazione assoluta e negazione de-
terminata la si ritrova, in sostanza, anche nellultimo paragrafo de Il
mondo come volont e rappresentazione di Arthur Schopenhauer, uno
dei maggiori oppositori di Hegel. Il filosofo di Danzica riprende in
tale contesto la distinzione tipica dei medievali fra nihil negativum,
nulla assoluto, e nihil relativum, nulla relativo, intendendo questul-
timo come negazione di qualcosa, cio, col linguaggio dellodiato He-
gel, come negazione determinata. In realt, secondo Schopenhauer,
anche il cosiddetto nihil negativum si riduce a nihil relativum, non
essendo concepibile il nulla assoluto se non come negazione delles-
sere, dunque come negazione determinata di questo. noto, infatti,
che secondo il pensiero di Schopenhauer il noumeno, la cosa in s,
dunque lessere stesso, la volont. Da ci deriva che la negazione
della volont quale si attua nellesperienza ascetica per Schope-
nauer lunica duratura via di fuga da quel pendolo oscillante fra
dolore e noia che la vita umana costituisce la negazione assoluta
dellessere positivo: essa si presenta quindi come il nulla assoluto.
Ebbene, anche questa negativit, prosegue largomentazione di
Schopenhauer, si risolve in realt in un nulla relativo: esso ci appare
come nulla assoluto solo perch per la nostra mente inconcepibile
laltro rispetto allessere che la volont, giacch noi siamo total-

mistico e Eckhart o della filosofia mistica, entrambe in Opere, Roma, Editori Riuniti,
1973, vol. I, rispettivamente pp. 39210 e 211461; sul concetto di negazione della
negazione spec. p. 455).
14
G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello Spirito, trad. it. di E. De Negri, Firenze,
La Nuova Italia, 1993, vol. I, p. 71.
Stefano Orofino 208
mente immersi in essa. La filosofia, dunque, si arresta alla conoscenza
negativa dellaltro, che esperito positivamente solo dagli asceti.

Ci che universalmente ammesso come positivo; ci che noi chiamiamo il
reale, lesistente; ci la cui negazione viene espressa con il concetto di nulla
preso nella sua pi generale accezione, precisamente il mondo della rap-
presentazione, che dimostrai essere loggettit e lo specchio della volont
[]. Ma finch noi personificheremo la volont di vivere, non potremo
concepire, n caratterizzare il nulla, se non in maniera affatto negativa [].
Se, tuttavia, si volesse a qualunque costo avere un'idea positiva di ci che la
filosofia non pu esprimere che in maniera negativa, con il termine di nega-
zione della volont, non ci sarebbe altro mezzo che riportarsi a ci che pro-
vano coloro che giunsero a una completa negazione del volere, a ci che si
designa col nome di estasi, di rapimento, d'illuminazione, di unione con Dio,
ecc. []. Noi per, noi che ci atteniamo scrupolosamente al punto di vista
della filosofia, noi dobbiamo qui contentarci della nozione negativa
15
.

In s la filosofia si presenta insomma anche per Schopenhauer
come una particolare forma di teologia negativa secolarizzata, com
ulteriormente attestato dalle parole con cui si conclude il Welt: Lo
riconosciamo francamente: per coloro che sono ancora animati dal
volere, ci che resta dopo la totale soppressione della volont il vero
ed assoluto nulla. Ma viceversa, per coloro in cui la volont si
convertita e soppressa, questo mondo cos reale, con tutti i suoi soli e
le sue vie lattee, questo, propriamente questo, il nulla
16
.
Nellambito della filosofia del Novecento, unesplicita ripresa del
divieto di farsi unimmagine di Dio e di dargli un nome si ritrova
innanzitutto in Spirito dell'utopia di Ernst Bloch, unopera nella quale
viene affermata la superiorit della musica sugli altri generi artistici
appunto per il suo essere alinguistica e priva di immagini: grazie a
tale negativit, sostiene Bloch, la musica consente lincontro col S
pi intimo, lutopia che tuttavia non terrestremente realizzabile
17
.
In tal modo questa forma darte coglie in modo particolarissimo la
divinit: ecco si svolgono i tempi, ed alla musica, miracolosa e
trasparente arte che supera il sepolcro e la fine di questo mondo, rie-

15
A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volont e rappresentazione, a c. di G.
Riconda, Milano, Mursia, 1991, pp. 451453.
16
Ivi, p. 454. Si noti, poi, che Schopenhauer definisce espressamente Meister
Eckhart, seppure ad altro riguardo, come grande mistico (ivi, p. 423). Sulla vicinanza
di Hegel e del suo aspro critico Schopenhauer al pensiero di Eckhart, cfr. G. FAGGIN,
Meister Eckhart e la mistica tedesca protestante, Milano, Bocca, 1946, pp. 261, 268
e 269).
17
E. BLOCH, Spirito dellutopia, trad. it. di F. Coppellotto, Firenze, la Nuova Ita-
lia, 1993, p. 199.
Divieto dimmagini: T.W. Adorno 209
sce di dare la prima disposizione dellimmagine divina, di nominare
tutto diversamente il nome di Dio, quel nome insieme perduto e mai
ritrovato
18
.
Al divieto di immagini si richiamer in modo ancora pi diretto e
costante la teoria critica della Scuola di Francoforte. Ricordiamo a tal
proposito anzitutto il tardo Horkheimer, condotto da un pessimismo
estremo allesplicito ritorno a una particolare forma di teologia
negativa: il vecchio filosofo sostiene che lassunto secondo cui su
Dio non possiamo esprimere proprio nulla non solo unafferma-
zione che risale al suo ebraismo, bens pure un principio della teoria
critica
19
.
Al divieto dimmagini si richiama per anche Adorno: per la teo-
logia negativa, poich lintelletto umano, essendo parte del creato,
pu conoscere solo definendo, gi il tentativo stesso di nominare Dio,
di farsene unimmagine, avrebbe quale unico risultato appunto quello
di definirlo, dunque di racchiuderlo entro dei limiti; lintelletto uma-
no, pertanto, pu conoscere solo ci che Dio non , escludendo dalla
sua natura tutte le imperfezioni constatate nella realt terrena; in
modo analogo, Adorno afferma che la mente di un uomo che nasce e
vive in una societ antagonistica non pu essere totalmente libera da
contraddizioni, da tarli ideologici, per cui essa non pu fornire alcuna
immagine positiva della societ liberata, ma deve limitarsi alla critica
immanente della realt storicosociale esistente: Se un tempo il
divieto di farsi immagini si estese anche al nominare la divinit,
diventato sospetto di superstizione anche in questa forma [materiali-
stica]. Il divieto diventato pi severo: anche solo pensare la speran-
za un delitto contro di essa e la sabota
20
.
Adorno afferma che il divieto di immagini deve essere rispettato
anche dallarte, che conserva un valore critico solo nella sua negati-
vit. Da qui, tra laltro, il motivo teorico pi profondo dellapprez-
zamento da parte dello studioso francofortese per larte moderna, pri-
va di immagini nel suo ermetismo e nella sua valorizzazione del brut-
to e dellorrido, attraverso cui, attenendosi al momento critico, essa
d solo unimmagine negativa dellutopia:

18
Ibidem.
19
M. HORKHEIMER, La nostalgia del totalmente altro, trad. it. di R. Gibellini,
Brescia, Queriniana, 1990, p. 70. Cfr. ID., La societ di transizione, trad. it. di G.
Backhaus, Torino, Einaudi, 1979, p. 171.
20
T.W. ADORNO, Dialettica negativa, trad .it. di C.A. Donolo, Torino, Einaudi,
1982, p. 363.
Stefano Orofino 210
La proibizione veterotestamentaria delle immagini ha, accanto al lato
teologico, un lato estetico []. Larte fedele al manifestarsi della natura
unicamente l dove illustra il paesaggio esprimendone la negativit
21
.
Larte pu concretizzare l'utopia tanto poco quanto lo pu la teoria: nemmeno
negativamente. Il nuovo, quale crittogramma, limmagine della decadenza;
solo mediante la assoluta negativit di tale immagine larte riesce ad espri-
mere linesprimibile, lutopia. Per formare quellimmagine si radunano nella
nuova arte tutte le stimate del repellente e dellorrido
22
.

Si osservi, tra laltro, come tali argomentazioni adorniane collimi-
no in modo sorprendente con quelle espresse da Scoto Eriugena pi di
mille anni prima: per entrambi i filosofi linforme, la negazione
delle forme vigenti nella realt esistente (il mondo terreno in Eriu-
gena, la societ capitalistica in Adorno), la sola immagine (negativa)
che si conf alla descrizione dellAltro (Dio in Eriugena, la societ li-
berata in Adorno).
Inoltre Adorno, riprendendo quanto sostiene Bloch in Geist der
Utopie, afferma la superiorit della musica rispetto alle arti figurative
proprio in base al fatto che essa, a differenza di queste ultime, priva
dimmagini. A questo punto ci si pu chiedere come un pensiero che
trova la sua radice pi lontana nella veterotestamentaria proibizione
delle immagini possa conciliarsi con una teoria critica della societ
che si richiama apertamente a Marx. In realt Adorno non si pone
affatto il problema di giustificare la connessione tra motivi teorici
apparentemente tanto distanti, poich secondo la sua visione tutti i
maggiori rappresentanti della filosofia classica tedesca, da Kant a
Schopenhauer, da Hegel allo stesso Marx, si sarebbero attenuti al
divieto dimmagini. Commentando dei versi di Hlderlin, il filosofo
francofortese afferma che essi rispettano il tab contro lutopia
astratta, in cui seguita a vivere la teologica proibizione dimmagini e
che Hlderlin condivide con Hegel e Marx
23
.
In altro contesto egli asserisce inoltre che la manchevolezza
sorprendente della dottrina kantiana, lelemento inafferrabile, astratto
del carattere intelligibile, ha anche qualcosa della verit del divieto di
farsi immagini, che la filosofia postkantiana, compresa quella marxia-
na, ha esteso a tutti i concetti del positivo
24
. Visto quanto si detto

21
ID., Teoria estetica, trad. it. di E. De Angelis, Torino, Einaudi, 1977, p. 115.
22
Ivi, p. 56.
23
ID., Note per la letteratura 19611968, trad. it. di E. De Angelis, Torino, Ei-
naudi, 1979, p. 162.
24
ID., Dialettica negativa, cit., p. 267.
Divieto dimmagini: T.W. Adorno 211
in precedenza, si pu comprendere cosa Adorno voglia intendere con
affermazioni del genere.
Iniziamo da Schopenhauer, filosofo che nei due passi sopraccitati
non viene menzionato. In un paragrafo di Dialettica negativa dedi-
cato allanalisi del nichilismo, il teorico della Scuola di Francoforte fa
innanzitutto riferimento alla mistica, che pure scopre nel nulla, come
Nihil privativum, quel qualcosa, che l viene negato
25
. Egli d poi
un giudizio estremamente favorevole riguardo al nihil privativum
medievale (altamente valorizzato come si visto gi da Scho-
penhauer) e allimago del Nirvana (il principio che il filosofo di
Danzica riprende dalla filosofia indiana per meglio definire lo stato di
estasi di colui il quale ha superato in s la volont): Il nihil priva-
tivum medievale, che riconobbe il concetto di nulla come negazione
di qualcosa e non come un autosemantico, ha tanto vantaggio rispetto
ai superamenti servili quanto limago del nirvana, del nulla come
qualcosa
26
.
In questo stesso paragrafo Adorno sottolinea di nuovo la cor-
rispondenza fra la teoria critica ed il divieto teologico dimmagini,
posto in contrapposizione al pensiero positivo.

Finch il mondo quello che , tutte le immagini della conciliazione, della
pace e della quiete assomigliano a quelle della morte []. Nichilisti sono
propriamente coloro che contrappongono al nichilismo le loro positivit
sempre pi rancide, e tramite queste congiurano con tutta la volgarit
esistente ed infine col principio stesso di distruzione. Il pensiero onorato, se
difende ci di cui viene accusato il nichilismo
27
.

25
Ivi, pag. 343.
26
Ivi, p. 344.
27
Ivi, pp. 344345. Chi scrive non condivide affatto le interpretazioni che tendono
a far convergere il pensiero di Adorno con quello di Heidegger, che viene criticato
sempre in modo duro dal filosofo francofortese. Tuttavia, se c un punto su cui
effettivamente i due pensatori possono essere accostati, quello di cui si sta discutendo
in questa sede. Nel saggio significativamente intitolato Lepoca dellimmagine del
mondo, Heidegger sostiene che solo nellepoca moderna si pu parlare propriamente
di visione del mondo e di immagine del mondo, poich solo in questa fase della storia il
mondo concepito come immagine, come totalit di oggetti di rappresentazione
delluomo, il quale, a partire da Cartesio in avanti, si costituisce a subiectum, a ci che
raccoglie tutto in s come fondamento (M. HEIDEGGER, Sentieri interrotti, trad. it. di P.
Chiodi, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 86): immagine del mondo, in senso
essenziale, significa [] non raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito come
immagine. Lente nel suo insieme perci visto in modo tale che diviene ente soltanto
in quanto posto dalluomo che rappresenta e produce (ivi, pp. 8788). Lente
inteso in tal senso occulta lessere, che in questa fase della storia appare solo come
Stefano Orofino 212
Pare quasi di aver riletto le ultime pagine del Mondo come volont
e rappresentazione.
Venendo poi a Kant, nellaffermare che anche il filosofo di K-
nigsberg si sarebbe attenuto al divieto dimmagini, Adorno si riferisce
a quella che egli definisce la teoria del blocco
28
, cio alla tesi
kantiana secondo cui per la ragione impossibile conoscere ci che
va al di l della realt fenomenica: Kant ha chiamato la dialettica
trascendentale una logica dellapparenza, la dottrina delle
contraddizioni in cui simpiglia ogni trattamento del trascendente
come qualcosa di positivamente conoscibile
29
.
Da tale punto di vista risulta inaccettabile per Adorno il recupero
del mondo dei noumeni quali datit positive compiuto da Kant nella
sua filosofia morale: il movimento della Critica della ragion pratica
trapassa ad una positivit del mundus intelligibilis che non era affatto
prevedibile nellintuizione di Kant
30
.

ombra, come loscurit che circonda lente, loggetto della conoscenza, limmagine: Il
modo di pensare quotidiano vede nellombra solo la semplice assenza della luce, se non
la sua negazione. Ma, in realt, lombra la manifesta, anche se misteriosa, testimo-
nianza dellilluminazione nascosta. Muovendo da questa concezione dellombra, inten-
diamo lincalcolabile come ci che, sottratto alla rappresentazione, si fa tuttavia innanzi
nellente, attestando cos lessere nel suo nascondimento (ivi, pp. 100101). A causa
di questa ombra il mondo moderno si dispone in una regione che sfugge alla rappresen-
tazione, conferendo allincalcolabile la determinatezza che gli propria e la specificit
storica. Ma questombra annuncia anche qualcosaltro la cui comprensione ci oggi
vietata (ivi, pag. 101). Anche per lontologia heideggeriana, pertanto, come per teo-
logia veterotestamentaria e medievale (nonch per Adorno), limmagine nasconde il ve-
ro, che emerge solo negativamente, come laltro (Dio per lEsodo e per Eckhart, lEs-
sere per Heidegger, lutopia per Adorno). Dice Heidegger in nota allultimo brano so-
praccitato: Visto a partire dalla metafisica (cio a partire dal problema dellessere
[Seinfrage] nella forma: che cos lente?), lessenza nascosta dellessere (il rifiuto) si
rivela come il mero nonessente, il nulla [Nichthafte] dellente la pi radicale contro-
parte del semplice niente [Nichttige]. Il nulla non mai mero niente, come non affatto
qualcosa, alla stregua di un oggetto: il nulla lessere stesso, la cui verit sopravviver
alluomo quando non si rappresenter pi lente come oggetto (ibidem). La distinzione
heideggeriana fra nulla e niente chiaramente ripresa dalla gerarchia degli esseri
teorizzata da Eckhart, cos come da Eckhart ripresa lidea dellessere come loscurit
degli oggetti conosciuti.
28
T.W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 351.
29
Ivi, p. 355. Adorno si distingue da Kant poich questultimo considera tali
contraddizioni insuperabili, in quanto radicate nella natura della ragione, mentre
invece per il filosofo dialetticomaterialista limpossibilit per luomo odierno di
conoscere e farsi immagini dellutopia deriva da cause storicosociali, come tali eli-
minabili.
30
Ivi, pp. 353354.
Divieto dimmagini: T.W. Adorno 213
Passiamo a Hegel e Marx. Adorno e Horkheimer identificano let-
teralmente la negazione determinata della filosofia hegeliana, un con-
cetto da loro assunto a fondamento della teoria critica, con il divieto
teologico dimmagini.

La religione ebraica non ammette parola che possa dare conforto alla dispe-
razione di tutto ci che mortale. Essa annette una speranza solo al divieto di
invocare come Dio ci che non lo []. Questa esecuzione, negazione
determinata [] respinge le rappresentazioni imperfette dell'assoluto, gli
idoli []. Nel concetto di negazione determinata, Hegel ha indicato un ele-
mento che distingue lilluminismo dalla corruzione positivistica a cui egli lo
assegna
31
.

Secondo i due teorici francofortesi, il limite di Hegel sta nella sua
ricaduta nella positivit, quale si verifica allorch egli ipostatizza ad
assoluto il risultato del lavoro negativo del Geist, venendo cos
meno alla negazione determinata, e dunque al divieto di farsi im-
magini dellAssoluto: Ma in quanto [Hegel] fin per elevare ad as-
soluto il risultato conosciuto di tutto il processo della negazionela
totalit sistematica e storica contravvenne al divieto e cadde a sua
volta nella mitologia
32
.

31
M. HORKHEIMER e T.W. ADORNO, Dialettica dellilluminismo, trad. it. di R.
Solmi, Torino, Einaudi, 1966, pp. 3132.
32
Ivi, p. 32. La distanza su questo punto fra Hegel e i francofortesi abissale.
Infatti, anche se alcuni principi cardine della dialettica hegeliana sono ripresi dalla
mistica speculativa medievale, il filosofo idealista lontanissimo dallidea di una
teologia negativa: egli concepisce il suo sistema come conoscenza positiva dellAs-
soluto, che egli chiama esplicitamente Dio. Si osservi poi, per inciso, che anche He-
gel, come i sostenitori della teologia negativa, ritiene che la sua visione, opposta a
quella nelle conclusioni, sia confacente alla dottrina biblica: in maniera direttamente
opposta a quel che ci comandato come dovere supremo dalla sacra Scrittura, ossia
non solo di mare Dio, anche di conoscerlo, prevale oggi la negazione di quanto
detto in quelle pagine, ossia che lo spirito a introdurci nella verit, a conoscere tutte
le cose e a penetrare perfino negli abissi della divinit [] nella religione cristiana
Dio si rivelato, ossia ha fatto conoscere alluomo che cosa Dio , in modo da non
essere pi qualcosa di tenuto sotto chiave, segreto; ora, con la possibilit di conoscere
Dio ci fatto dovere di conoscerlo (G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla filosofia della
storia, a c. di G. Bonacina e L. Sichirollo, Milano, Mondolibri, 2003, p. 14). Ripren-
dendo quanto si detto in una nota precedente sulla teoria kantiana del blocco, si
pu asserire che Adorno ravvisa in questa e nella filosofia hegeliana le due forme
tipiche che pu assumere un pensiero ideologico (nel senso marxengelsiano del
termine), vale a dire mirante a sostenere la riproduzione dellordine sociale vigente:
negare a priori che sia possibile superare le contraddizioni sociali, destoricizzandole,
o dare per gi realizzato tale superamento. La filosofia teoretica kantiana ideologia
per il fatto che essa considera insuperabile, dal punto di vista conoscitivo, la scissione
Stefano Orofino 214
Un errore, questo, che invece a parere di Adorno non fu
commesso da Marx, il quale negli scritti teorici della maturit si
sarebbe attenuto alla negazione determinata: lo scopo teorico pro-
postosi dal Marx maturo la critica delleconomia politica, cio la
critica della struttura della societ esistente. Il pensatore di Treviri,
dice Adorno, non fornisce alcuna immagine, alcuna descrizione della
societ liberata: Il timore che Marx aveva delle ricette teoriche per la
prassi non era minore di quello di descrivere positivamente una
societ senza classi. Il Capitale contiene innumerevoli invettive, per
lo pi daltronde contro gli economistipolitici ed i filosofi, ma
nessun programma dazione
33
.
Si potrebbe dire che nel breve percorso qui delineato, come se
con Adorno si chiudesse idealmente un cerchio. Se il divieto ebraico
di farsi immagini della divinit ha tanto influito sulla mistica
medievale tedesca nonch, tramite la mediazione di questa, sulle mas-
sime espressioni del pensiero tedesco del XVIII e del XIX secolo, nel
pensiero di un prosecutore di questa tradizione di pensiero, Adorno,
tale influenza perviene, per dirla con linguaggio hegeliano, alla co-
scienza di s: in Adorno, pensatore ebreotedesco, tornano ad emer-
gere le radici ebraiche di alcuni concetti cardine della grande filosofia
tedesca da Kant a Marx.
Ma non tutto. A ben guardare, nel filosofo francofortese lin-
fluenza del divieto teologico dimmagini non solo riconosciuta, ma
viene anche portata alle sue conseguenze pi estreme: se la teologia
negativa medievale e rinascimentale sostiene che per lintelletto uma-

fra il soggetto conoscente e lincondizionato; lidealismo hegeliano ideologico per
il motivo opposto, cio per il fatto che d per gi realizzata, nella realt sociale
vigente, la conciliazione fra i due poli: per Adorno, insomma, ognuna di queste due
teorie va valorizzata in senso negativo, cio nella misura in cui luna fa emergere le
ipostasi contenute nellaltra.
33
T.W. ADORNO, Parole chiave, trad. it. di M. Agrati, Milano, SugarCo, 1974, p.
261. Queste sue posizioni, assieme al debito che egli ritiene di avere in proposito nei
confronti di Hegel e Marx, Adorno le ribadisce in una lettera a Thomas Mann: Se
qualcosa di Hegel e di coloro che ne capovolsero il sistema [ovviamente qui Adorno
si riferisce a Marx ed Engels] si trasformato in carne e sangue, la posizione
ascetica di contro allasserzione immediata del positivo; si tratta davvero di una for-
ma di ascesi, mi creda, giacch alla mia natura sarebbe molto pi consona laltra po-
sizione, lespressione sfrenata della speranza. Io per ho di continuo la sensazione
che se non si resiste nel negativo o si passa al positivo troppo presto, si lavora a fa-
vore della nonverit (lettera a T. Mann dell1 dicembre 1952, in T.W. ADORNO e
T. MANN, Il metodo del montaggio. Lettere 19431955, trad. it. di C. Mainoldi, Mi-
lano, Archinto, 2003, p. 88).
Divieto dimmagini: T.W. Adorno 215
no impossibile conoscere Dio, lAssoluto, il divieto biblico dice
qualcosa di pi, e cio, letteralmente, che non ci si pu fare immagini
non solo del divino, ma neppure di quanto quaggi sulla terra, n
di ci che nelle acque sotto la terra (Esodo, XX, 4). Ebbene, Ador-
no rispetta il divieto mosaico anche in questo senso pi pieno. Lo si
pu constatare anzitutto dalle argomentazioni con cui egli spiega il
suo rifiuto della teoria del rispecchiamento, principio cardine della
gnoseologia del marxismo sovietico. Mentre Lenin in Materialismo
ed empiriocriticismo afferma che, secondo la teoria materialistica,
le cose esistono fuori di noi. Le nostre percezioni e le nostre
rappresentazioni sono loro immagini
34
; Adorno sostiene invece che
un pensiero che rispecchiasse sarebbe privo di riflessione, una con-
traddizione non dialettica: senza riflessione non c teoria. Una co-
scienza che inserisse tra s e ci che pensa, un terzo elemento, im-
magini, riprodurrebbe senza accorgersene lidealismo
35
. Subito dopo
il teorico della Scuola di Francoforte asserisce in modo esplicito che
questo suo modo di vedere discende dal divieto biblico:

Laspirazione materialistica di capire qualcosa esige il contrario: loggetto
nella sua interezza si potrebbe pensare solo senza immagine. Tale assenza
dimmagine converge con il divieto teologico di farsi unimmagine di Dio. Il
materialismo lo secolarizza, non permettendo di dipingersi positivamente
lutopia: questo il contenuto della sua negativit. Esso daccordo con la
teologia, laddove pi materialistico
36
.

Anche da questi motivi deriva la netta opposizione di Adorno al
realismo socialista e il suo sostegno allarte moderna, priva dim-
magini nel suo far prevalere linformale. Da qui la critica dellarte
che per eccellenza si fonda sulla riproduzione dimmagini tratte dal
reale, il cinema. Se la pittura, infatti, pu in qualche modo emanci-
parsi dalla forma, dalla rappresentazione della realt umana e natura-
le, ci risulta invece impossibile al cinema, larte consistente nella ri-
produzione dimmagini tratte dalla realt.
Per Adorno, come vuole la proibizione dimmagini, irrappresen-
tabile non solo la societ liberata, il bene assoluto, ma anche il male
assoluto, il fascismo. Limmagine, la rappresentazione cinematogra-
fica di fatti storici e di eventi di vita quotidiana, non pu andare al di

34
N. LENIN, Materialismo ed empiriocriticismo, a c. di L. Gruppi, Roma, Editori
Riuniti, 1973, p. 106.
35
T.W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 185.
36
Ibidem.
Stefano Orofino 216
l della superficie di questi: essa presenta come protagonisti degli
eventi gli uomini, che in realt nella societ odierna sono ridotti a
fasci di funzioni, ad appendice dellapparato: tale apparato, la strut-
tura sociale, che determina fino in fondo la vita degli individui, pu
essere conosciuto solo attraverso una articolata e faticosa riflessione
concettuale, la quale non pu essere in alcun modo sostituita da una
qualsiasi forma di rappresentazione oggettiva dei fatti:

Presentare processi della grande industria come conflitti tra erbivendoli
truffaldini, un procedimento adatto a provocare uno choc di breve durata,
ma non al dramma dialettico. Lillustrazione del tardo capitalismo con im-
magini tratte dal mondo agrario o criminale non distilla nella sua purezza
linessenza della societ attuale dalla complessit dei fenomeni in cui si
traveste. E lindifferenza per i fenomeni, che andrebbero svolti dallessenza,
deforma lessenza medesima, in quanto interpreta la presa del potere da parte
dei pi forti in termini in fondo molto innocui, come una macchina-
zione di rackets al di fuori della societ, anzich come la realizzazione e il
compimento della societ in s
37
.

Questo discorso, riferito alla descrizione della societ capitalistica
in generale, vale ancor di pi per i tentativi di descrivere il fascismo,
che ha finito per annullare del tutto lindividuo: lirrappresentabilit
del fascismo dipende dal fatto che in esso, come nella considerazione
di esso, manca ogni libert del soggetto. Lillibert assoluta
suscettibile di conoscenza, ma non di rappresentazione.
Accuse del genere Adorno non le rivolge direttamente al cinema:

37
T.W. ADORNO, Minima moralia, trad. it. di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1994, p.
170. sempre in base a questo tipo di motivazioni che Adorno critica anche la satira
politica, specie quella rivolta contro i crimini fascisti: essa da contestarsi non solo
per il fatto che, cercando di far ridere il pubblico degli aspetti ridicoli della
personalit di Hitler e Mussolini, trasforma il dramma in commedia, non rendendo
cos giustizia allorrore subito dalle vittime, ma anche perch, tendendo a personaliz-
zare le cause degli eventi politici e sociali, pone allorigine anche di grandi tragedie
storiche, semplicisticamente, la follia di individui ridicoli, occultando cos le reali
cause primarie, di ordine strutturale, di tali eventi, delle quali quegli individui sono
solo stati gli esecutori, gli strumenti: Alcuni anni fa c stato un dibattito sulla li-
ceit di rappresentare il fascismo in maniera comica o parodistica senza oltraggiare le
vittime. indisconoscibile il ridicolo, il guittesco, il subalterno, laffinit elettiva di
Hitler e dei suoi col giornalismo da grancassa e coi soffioni di polizia. Ma non c
niente da ridere []. Le forze storiche che hanno prodotto lorrore derivano dalla
struttura della societ in s. Non sono forze superficiali e sono troppo potenti, cos
come non compete a nessuno trattarle come se [] i duci fossero effettivamente i
clowns le cui scempiaggini divennero solo in un secondo tempo simili ai loro discorsi
da assassini (ID., Note per la letteratura 19611968, cit., p. 278).
Divieto dimmagini: T.W. Adorno 217
esse valgono anche nei confronti del naturalismo, e dellarte realistica
in genere. Tuttavia un autorevole studioso e biografo di Adorno come
Stefan MllerDoohm ritiene che nel passo summenzionato siano
spiegati i motivi pi profondi dellavversione quasi sempre dimo-
strata dal filosofo francofortese nei confronti del cinema
38
. Lo stesso
MllerDoohm riporta al riguardo anche un brano di Dialettica
negativa, diretto in realt a criticare la teoria leninista del rispec-
chiamento, ma in cui si pu scorgere unulteriore spiegazione delle
riserve che Adorno nutriva contro il cinema: Lintenzione illumi-
nistica del pensiero demitologizzazione elimina nella coscienza
il suo carattere dimmagine. Ci che si vincola allimmagine, resta
miticamente prigioniero, idolatria
39
.

38
MllerDoohm osserva nel contempo che il giudizio negativo di Adorno sul
cinema non era comunque indiscriminato, il che sarebbe dimostrato dallinteresse del
filosofo francofortese per lopera del regista Alexander Kluge (S. MLLERDOOHM,
Theodor W. Adorno. Biografia di un intellettuale, Roma, Carocci, 2003, pp. 543
544). Sulle valutazioni negative di Adorno nei confronti del cinema, cfr. natural-
mente M. HORKHEIMER e T.W. ADORNO, op. cit., spec. lintero capitolo Lindustria
culturale, pp. 126181, ma anche T.W. ADORNO, Minima moralia, cit., spec. pp.
241248. Nelle prime pagine di tale opera si pu leggere unaffermazione molto
illuminante in proposito: Da ogni spettacolo cinematografico, maccorgo di ritor-
nare, nonostante ogni vigilanza, pi stupido e cattivo (p. 17). Dei giudizi molto pi
positivi di Adorno sul cinema sono contenuti invece nei saggi Cinema in tra-
sparenza e Chaplin: due momenti (ID., Parva aesthetica, trad. it. di E. Fianchetti,
Milano, Feltrinelli, 1979, rispettivamente pp. 7787 e 8892).
39
T.W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 184. Cfr. S. MLLERDOOHM, op.
cit., p. 544.





FERDINANDO ABBRI

Funzione critica dellarte:
ideali, realt, e promessa di felicit



Die Geschwitz allein Lulu Mein Engel!
La dich noch einmal sehen!
Ich bin dir nah! Bleibe dir nah in Ewigkeit!
O Verflucht! Sie stirbt.
F. WEDEKIND, Die Bchse der Pandora, 3. Aufzug. 1904


Premessa

Nel 1976 Morton Schoolman ha pubblicato sulla rivista New
German Critique un ampio saggio dal titolo Marcuses Aesthetics
and the Displacement of Critical Theory nel quale sottolineava lim-
portanza della riflessione estetologica di Herbert Marcuse (1898
1979) rispetto alla teoria critica. Schoolman indicava che il filosofo
tedesco si era sempre sforzato di difendere e far vivere una estetica
che svolgesse tenacemente una funzione critica, in quanto capace di
suggerire un ordine normativo differente da quello che lindividuo
esperimenta nel modo pi intimo
1
.
Prendendo le mosse dal saggio del 1937 su Der affermative Cha-
racter der Kultur, pubblicato originariamente nella Zeitschrift fr
Sozialforschung
2
, Schoolman ricordava che per Marcuse larte gio-
cava un ruolo culturale critico unico in quanto agiva come modo idea-
tivo trascendentale del pensiero e coscienza della societ che rinvia,
rammenta uno scopo pi alto. Larte aveva poi a che fare con bellez-
za, piacere, felicit, art sensitizes the individual to an ideal of
happiness ed era legata ad una particolare facolt conoscitiva,
ossia la fantasia, anche se rimaneva sempre e solo arte. Lideale che
si configurava nella creazione artistica non si traduceva nella realt
perch il dominio estetico si poneva solo accanto a quello sociale e

1
M. SCHOOLMAN, Marcuses Aesthetics and the Displacement of Critical Theo-
ry, New German Critique 8 (1976), pp. 5479. Cfr. anche J. FREMSTAD, Marcuse:
the Dialectics of Hopelessness, Western Political Quarterly 30 (1977), pp. 8092.
2
H. MARCUSE, Sul carattere affermativo della cultura, in ID., Cultura e societ.
Saggi di teoria critica 19331965, Torino, Einaudi, 1969, pp. 4386.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 219-240 219
Ferdinando Abbri 220
politico, che restava intoccato e immutato, ma luniverso estetico in-
dicava, ricordava sempre unantitesi rispetto a quello reale
3
.
Schoolman mostrava dunque che sin dagli anni trenta Marcuse
aveva posto la riflessione sullarte al centro e in collegamento con la
teoria critica, che questa riflessione aveva attraversato fino al presente
il pensiero di Marcuse e, inoltre, che in ogni suo lavoro, a partire da
Eros and Civilization (1955), almeno un capitolo era dedicato allarte
e allestetica. Da questa ricostruzione emergeva poi con chiarezza che
il concetto di forma giocava un ruolo cruciale nella teorizzazione
marcusiana. Schoolman giustamente indicava lindispensabilit del
concetto di forma per la teoria critica e che questo concetto si arti-
colava secondo molteplici declinazioni (arte come forma espressiva
dellimmaginazione; bellezza come forma o qualit di ogni arte, ecc.)
4
.
La sottolineatura da parte di Schoolman della centralit delleste-
tica nel pensiero di Marcuse avrebbe trovato una conferma lanno
successivo perch nel 1977 Marcuse pubblicava lultimo saggio com-
piuto che aveva il titolo inglese di The Aesthetic Dimension e quello
tedesco di Die Permanenz der Kunst
5
, mentre nel 1978 il primo volu-
me dei suoi Werke si apriva con Der deutsche Knstlerroman, ossia
con linedita tesi di laurea (1922) di Marcuse, dedicata al romanzo
dartista nella letteratura tedesca
6
.
La storiografia filosofica sulle vicende della Scuola di Francoforte,
lo studio dellevoluzione del pensiero di Marcuse, la pubblicazione di
inediti e la raccolta di saggi hanno confermato che la riflessione sul-
larte un tema decisivo del pensiero marcusiano. Nel 1945 Marcuse
prepar un saggio che voleva essere, in quanto Note su Aragon, una
discussione del rapporto tra arte e politica nellera totalitaria e questo
saggio stato pubblicato per la prima volta nel 1993. Qui Marcuse
scrive:

Come strumento di opposizione, larte dipende dalla forza alienante della
creazione estetica; dal suo potere di rimanere insolita, antagonistica, trascen-
dente rispetto alla normalit e, allo stesso tempo, di costituire la riserva dei
bisogni umani soppressi, delle sue facolt e dei suoi desideri, di rimanere pi
reale della realt della normalit
7
.

3
M. SCHOOLMAN, op. cit., pp. 5556.
4
Ivi, pp. 6768.
5
H. MARCUSE, La dimensione estetica, Milano, Mondadori, 1978.
6
H. MARCUSE, Il romanzo dellartista nella letteratura tedesca, Torino, Einau-
di, 1985.
7
H. MARCUSE, Note su Aragon. Arte e politica nellera totalitaria (1945), in ID.,

La funzione critica dellarte 221
E indica ancora:

Lincompatibilit della forma artistica con le forme della vita reale pu essere
utilizzata come una leva per gettare sulla societ la luce che questa non pu
assorbire, la luce che potrebbe eventualmente dissolvere questa realt
(sebbene questa dissoluzione non spetti allarte). [] Larte pu promuovere
lalienazione, la totale estraniazione delluomo dal suo mondo. E questalie-
nazione potrebbe fornire la base artificiale per il ricordo della libert nella
totalit delloppressione
8
.

Da queste due brevi citazioni emerge con chiarezza che tutta la
trattazione estetologica di Marcuse fortemente connessa al pro-
blema della teoria critica della societ e alla questione della libera-
zione dellindividuo inteso come centro di esperienze esistenziali dif-
ferenziate. Nella Postfazione alla sua edizione di scritti di Marcuse,
compresi tra il 1940 e il 1948, Raffaele Laudani sottolinea che Mar-
cuse affronta i temi dellarte e della politica contestualmente, come
due facce di uno stesso problema
9
. Questa interdipendenza del pro-
blema artistico e del problema politico non impedisce tuttavia una
considerazione del pensiero marcusiano focalizzata sulla questione
specifica del carattere e funzione dellarte. Nel 1999 Leonardo Casini
ha pubblicato una monografia dal titolo Eros e utopia nella quale ha
ricostruito in maniera compiuta e dettagliata il pensiero estetico di
Marcuse dallorigine sino agli ultimi lavori
10
. La focalizzazione sul-
larte consente dilluminare molte dimensioni della riflessione critica
di un filosofo che ha di sicuro occupato un ruolo non marginale nella
cultura del Novecento.
Nelle pagine che seguono non intendo certo ricostruire lestetica
marcusiana nella sua evoluzione e articolazione, intendo invece ri-
chiamare alcune considerazioni svolte da Marcuse in The Aesthetic
Dimension, quindi alcune critiche sue allestetica marxista ortodossa,
e cercare di mostrare che le idee di Marcuse possono essere ancora
utili per definire il ruolo dellarte rispetto al tema delle diversit, nel

Davanti al nazismo. Scritti di teoria critica 19401948, RomaBari, Laterza, 2001,
p. 94.
8
Ivi, p. 111.
9
R. LAUDANI, Postfazione, in H. MARCUSE, Davanti al nazismo, cit., p. 174. Cfr.
R. LAUDANI, Politica come movimento. Il pensiero di Herbert Marcuse, Bologna, Il
Mulino, 2005.
10
L. CASINI, Eros e utopia. Arte, sensualit e liberazione nel pensiero di Herbert
Marcuse, Roma, Carocci, 1999. Si veda anche L. CASINI (ed.), Eros, utopia e rivolta.
Il pensiero e lopera di Herbert Marcuse, Milano, Franco Angeli, 2004.

Ferdinando Abbri 222
contesto della societ contemporanea. Attraverso due casi letterario
cinematografici, lontani nel tempo e nello spazio ma con molte ana-
logie tematiche, tenter di fare vedere che la promesse de bonheur,
ovvero la possibilit di intravedere un mondo e una societ pi libe-
re, pi giuste, meno discriminanti, rispetto allesistente, pu essere
ancora suggerita da unarte popolare, nonostante i rischi di commer-
cializzazione e di sfruttamento capitalistico.


H. Marcuse: la perenne funzione critica dellarte

Ledizione americana (Boston, Beacon Press, 1978) di The Ae-
sthetic Dimension ha come sottotitolo Toward a Critique of Marxist
Aesthetics e in una ampia recensione del 1982 su Theory and So-
ciety David Craven ha messo in luce diversi aspetti di questo libro
importante che appartiene a quella categoria di libri profondi che
devono semplicemente essere presi in considerazione. Vale la pena di
richiamare le conclusioni di Craven: per lo studioso americano uno
degli aspetti pi importanti dellultimo libro di Marcuse il rifiuto di
ignorare il carattere concreto, sensuale (sensuous) e semiautonomo
dellarte che permette di percepire larte in quanto arte, oltre che co-
me teoria critica, commento sociale ed espressione di Eros (Erwj).
Rifiutandosi di codificare la complessit irriducibile dellarte, Mar-
cuse ha fornito allapproccio dialettico allarte un carattere auto-
critico, rendendolo meno definitivo ma pi illuminante delle certezze
inconcludenti e sciocche (stultifying) dei marxisti ortodossi. Secondo
Craven lultimo lavoro estetologico di Marcuse era destinato ad oc-
cupare uno spazio centrale nelle discussioni di estetica
11
. La profezia
di Craven era forse ottimistica ma, come vedremo nel caso di Angela
Y. Davis, le ultime idee di Marcuse in tema di arte hanno introdotto
innovazioni metodologiche negli approcci criticopolitici allarte.
Certo che anche in The Aesthetic Dimension la distanza di Marcuse
dal marxismo ortodosso e dallestetica marxista era marcata in misura
decisa.
In Soviet Marxism del 1958 Marcuse aveva dedicato alcune pagine
alla questione dellarte e del realismo che possono essere di una qual-
che utilit per comprendere i temi principali di The Aesthetic
Dimension.

11
D. CRAVEN, The Aesthetics Dimension: Toward a Critique of Marxist Ae-
sthetics, Theory and Society 11 (1982), pp. 109114.

La funzione critica dellarte 223
Nel capitolo VI della parte prima di Soviet Marxism, dedicato alla
questione del rapporto tra base e sovrastruttura, realt e ideologia
Marcuse considera alcuni orientamenti dellestetica sovietica che so-
no riassumibili nella lotta contro la trascendenza in arte a favore di
unarte realista. Marcuse riconosce limportanza del realismo nel-
larte in quanto difesa della verit contro tutto ci che la occulta e la
falsifica, ma il realismo sovietico un conformismo rispetto a mo-
delli schematici imposti da uno Stato repressivo
12
. Ove si ricordino le
imposizioni staliniste di un indefinibile, esteticamente improbabile,
realismo socialista in musica a compositori come Sergej Sergeevi
Prokofev (18911953), e soprattutto, a Dmitrij Dmitrevi ostakovi
(19061975), e in seguito a compositori e compositrici pi giovani
come Alfred Garrievi Schnittke o nitke (19341998), Galina Iva-
novna Ustvolskaja (1919) e Sofia Asgatova Gubaidulina (1931) si
pu comprendere la liquidazione dellestetica sovietica operata da
Marcuse. Questultimo non solo ribadisce che larte esprime una pro-
messe de bonheur ma afferma che lattacco dellestetica sovietica al
formalismo, allantagonismo insormontabile tra essenza e esistenza
significa un attacco al principio stesso dellarte. Se il marxismo so-
vietico pretende di affermare che la realt incarna lideale sia pure
non ancora in tutta la sua purezza larte non pu fare altro che
riflettere la realt, qualificarsi quindi come realismo. Realismo e
romanticismo convergono, tuttavia lestetica sovietica rifiuta lidea
hegeliana della morte dellarte e insiste sullarte ma ne mette, al
tempo stesso, al bando la trascendenza. Marcuse conclude che leste-
tica sovietica vuole unarte che non sia tale e ottiene esattamente ci
che cerca
13
.
Queste critiche devastanti allestetica marxista ortodossa offrono a
Marcuse lopportunit di ribadire la sua concezione estetologica. Al
livello pi profondo larte una protesta contro ci che . In tal
senso davvero materia politica: abbandonata a se stessa, infatti, pu
rappresentare una minaccia per la legge e per lordine
14
. In quanto
forza politica larte arte solo nella misura in cui preserva le
immagini della liberazione e in una societ sempre pi totalitaria
viene a consistere nel ripudio di ci che fa parte della realt, passa

12
H. MARCUSE, Soviet Marxism. Le sorti del marxismo in URSS, Parma, Guanda,
1968, pp. 109110.
13
Ivi, p. 112.
14
Ivi, p. 113.

Ferdinando Abbri 224
cio dal concreto allastratto, dallarmonia alla dissonanza, dal con-
tenuto alla forma. Scrive Marcuse:

Le opere dei grandi artisti borghesi antirealisti e formalisti sono fedeli
allideale di libert pi di quanto lo sia il realismo socialista perch lirrealt
della loro arte esprime appunto lirrealt della libert; larte trascendente
quanto lo il suo soggetto. Questa trascendenza, lo Stato sovietico la proi-
bisce con decreto amministrativo, ed elimina in tal modo anche il riflesso
ideologico della libert, in una societ che libera non
15
.

Risulta evidente che rispecchiamento il lato negativo dellarte
mentre sublimazione, trascendenza, formalismo sono tra i caratteri
determinanti dellarte progressiva.
Il primo capitolo di The Aesthetic Dimension dedicato ad una
critica dellortodossia estetologica marxista e qui, rispetto a lavori
precedenti, Marcuse mette in evidenza che il materialismo storico ha
operato una svalutazione della soggettivit, finendo cos per assumere
una coloratura da materialismo volgare. La soggettivit ha cercato di
superare i limiti della propria interiorit e in epoca di totalitarismi
un valore politico antagonistico rispetto a forme opprimenti di socia-
lizzazione:

troppo facile relegare amore e odio, gioia e dolore, speranza e disperazione
nellambito della psicologia, escludendoli perci dalla sfera della prassi poli-
tica radicale. In termini di economia politica, certo, pu non trattarsi di forze
produttive, ma per ogni essere umano questi aspetti sono decisivi e costitui-
scono la realt
16
.

La svalutazione della soggettivit uno dei peccati del marxismo
ortodosso, linesorabile intreccio di gioia e dolore, di esaltazione e di
disperazione, di Eros e Thanatos non pu essere risolto in termini di
lotta di classe
17
. Nel grande romanzo borghese ci che rimane deter-
minante il destino personale: il destino dei protagonisti, non in
quanto partecipanti alla lotta di classe, ma in quanto amanti, pazzi,
furfanti, ecc.
18
. innegabile che leredit dellinsegnamento di
Heidegger e la lettura di Freud continuarono ad esercitare uninfluen-
za decisiva su Marcuse e sulla sua determinazione del carattere e

15
Ivi, pp. 113114.
16
H. MARCUSE, La dimensione estetica cit., p. 23.
17
Ivi, p. 31.
18
Ivi, p. 42. Cfr. H. MARCUSE, Sulla filosofia concreta (1929), in ID., Marxismo e
rivoluzione. Studi 19291932, Torino, Einaudi, 1975, pp. 329.

La funzione critica dellarte 225
significato dellarte. Larte non in grado di cambiare il mondo, ma
pu contribuire a mutare la coscienza e gli obiettivi degli uomini e
delle donne che potrebbero cambiarlo. Utilizzando alcune afferma-
zioni di The Aesthetic Dimension possibile definire in maniera pi
compiuta il senso e il significato dellarte secondo Marcuse.
Il concetto centrale del primo capitolo di The Aesthetic Dimension
quello di forma estetica, ossia la trasformazione di un dato conte-
nuto in un complesso autosufficiente che pu essere una poesia, un
lavoro teatrale, un romanzo, unopera in musica, ecc. Lopera darte
trasforma esteticamente la realt e la ripresenta denunciandola. Ne se-
gue che la funzione critica dellarte, il suo contributo alla lotta per la
liberazione delluomo risiede nella forma estetica. Lopera darte au-
tentica o vera tale non in forza n del contenuto n della forma pura,
ma di un contenuto che si fatto forma:

La verit dellarte consiste nella sua capacit di infrangere il monopolio della
realt costituita (ovvero di coloro che lhanno costituita) e di definire ci che
reale. In questa rottura, che opera della forma estetica, il mondo fittizio
dellarte si mostra come la vera realt
19
.

Il carattere rivoluzionario dellarte non dato dallassunzione del-
la rivoluzione come tema dellopera darte, al contrario le opere este-
ticamente pi perfette non hanno questo argomento. lautonomia
dellarte, la sua forma darte che rende implicite le sue potenzialit
categoriali di mutamento delle cose, quindi di una possibile libera-
zione delluomo e della natura. Larte essenzialmente trascendenza,
sublimazione, capacit di contrastare la realt stabilita, quindi rivolu-
zionaria: larte art pour lart, rivelando la forma estetica dimen-
sioni delle realt represse e difese da tab, momenti di liberazione
20
.
Nel 1967 in Art in OneDimensional Society Marcuse aveva denun-
ciato la contaminazione e lassorbimento dellarte in una societ capi-
talistica, ma come linguaggio formale dellimmaginazione rimaneva
per lui un linguaggio di accusa e protesta
21
.
Nel capitolo secondo di The Aesthetic Dimension Marcuse affron-
ta il tema della morte dellarte e si riferisce alla protesta contempo-
ranea contro lorganizzazione attuale del lavoro, contro il patriarcato,
per la ricostruzione dellambiente distrutto, per lo sviluppo e la pro-

19
Ivi, pp. 2526.
20
Ivi, p. 33.
21
H. MARCUSE, Critica della societ repressiva, Milano, Feltrinelli, 1968.

Ferdinando Abbri 226
mozione di una nuova moralit e di una sensibilit
22
. La possibile
costruzione di un nuovo mondo sociale non comporter la fine
dellarte, il superamento del dramma e la riconciliazione del dio-
nisiaco e dellapollineo:

Larte non pu smentire le proprie origini: rendendo testimonianza delle
limitazioni intrinseche alla libert e alla felicit, dellimmersione dellumano
nella natura, larte illustra in tutta la sua idealit quella che la verit del
materialismo dialettico, la permanente sfasatura, o non identit, fra soggetto e
oggetto, fra individuo e individuo
23
.

Larte possiede verit metastoriche, universali, quindi si appella a
una coscienza che non quella soltanto di una classe ma dellintera
specie umana.
Nei capitoli successivi Marcuse chiarisce in maniera dettagliata il
suo formalismo estetico e il ruolo politico dellarte. Larte autentica
quella sottoposta ad una sorta di tirannia della forma; la subli-
mazione estetica libera e ratifica i sogni di felicit e di dolore che ac-
compagnano la nostra vita perch rende autonomi, sia pure in un
mondo fittizio, lio, gli istinti, le emozioni, la razionalit e la fantasia
in modo da sottrarli alla socializzazione di una societ repressiva. Sta-
bilito che larte non pu tradurre la sua visione in realt, quindi rima-
ne un mondo fittizio ma come tale lascia intravedere e anticipa la
realt autentica che non spetta allarte creare. Larte una promessa
di liberazione e questa promessa una propriet della forma estetica
o, pi esattamente, della bellezza come qualit della forma este-
tica
24
. Nella cultura della societ attuale proprio la forma estetica,
grazie alla sua alterit, ad opporsi alla integrazione, allunificazione,
alla riproduzione.
In questo suo ultimo lavoro Marcuse fortemente critico nei con-
fronti delle avanguardie artistiche, di ogni rinuncia alla forma estetica
perch la forma estetica invece lelemento essenziale alla finzione
sociale dellarte. Non a caso i riferimenti di Marcuse sono alla lettera-
tura classica e a quella romantica, le quali esprimono al meglio quella
verit altra tipica dellarte nonostante che le sue basi siano immerse
nella realt sociale.
Vi unaffermazione di Marcuse che mi preme sottolineare perch
significativa nelleconomia di questo mio saggio. Marcuse rifiuta il

22
H. MARCUSE, La dimensione estetica, cit., p. 44.
23
Ivi, p. 45.
24
Ivi, p. 62.

La funzione critica dellarte 227
lieto fine, il trionfo finale del bene nellopera letteraria perch verreb-
be contraddetto dalla verit storica: nella realt il male che trionfa.
Anche in grandi opere di Shakespeare, Goethe, Proust, o nel Matri-
monio di Figaro di Beaumarchais e nel Falstaff di Verdi, che hanno
un lieto fine, questo finale finisce per essere negato dal senso com-
plessivo dellopera. Marcuse aggiunge che nel trionfo del male nella
realt restano come esistenti isole di bene in cui rifugiarsi per qual-
che tempo: queste isole svolgono un ruolo importante nella dimen-
sione critica dellarte
25
.
Come ho indicato sopra, non intendevo ricostruire le concezioni
estetologiche di Marcuse ma solo dare alcune indicazioni fondamen-
tali sulle sue idee in merito allarte, al suo ruolo gnoseologico e poli-
tico e alla sua permanenza in situazioni storiche mutate. Le conce-
zioni di Angela Y. Davis, che di Marcuse certo lallieva pi celebre,
possono suggerirci le potenzialit ermeneutiche delle concezioni mar-
cusiane, e la loro non esclusiva appartenenza alla storia della filosofia
e dellestetica.
Nel 1998 Joy James ha curato, per la casa editrice Blackwell, The
Angela Y. Davis Reader, ossia un volume che raccoglie la gran parte
dei saggi della filosofa afroamericana
26
. Una sezione dedicata al
tema Aesthetics and Culture e contiene sei saggi relativi a questioni di
arte e politica. Questa sezione si apre con un saggio dal titolo Art on
the Frontline: Mandate for a Peoples Culture del 1985 nel quale la
Davis studia il ruolo politico del canto popolare, dagli spirituals degli
schiavi afroamericani ai songs dei cantanti di colore, dalle ballate di
Woody Guthrie alle canzoni di Stevie Wonder e Bruce Springsteen
scritte contro R. Reagan
27
. Da un punto di vista teorico lapproccio
della Davis segue i canoni del marxismo ortodosso e i suoi riferimenti
sono Marx e Engels e le concezioni di Lenin in merito al rapporto tra
partito comunista e letteratura comunista.
Nel 1998 la Davis ha pubblicato un volume su Blues Legacies and
Black Feminism, che contiene lo studio di tre grandi interpreti afro
americane del blues, ossia Gertrude Ma Rainey, Bessie Smith
lImperatrice del blues e Billie Holiday. Si tratta di un lavoro im-
portante sulla musica popolare afroamericana, sul suo significato po-

25
Ivi, pp. 6263.
26
J. JAMES (ed.), The Angela Y. Davis Reader, Oxford and Malden (Ma.), Black-
well, 1998.
27
A.Y. DAVIS, Art on the Frontline. Mandate for a Peoples Culture (1985,
1988), in J. JAMES (ed.), The Angela Y. Davis Reader, cit., pp. 235-247.

Ferdinando Abbri 228
litico ampio, contenente anche la trascrizione dei song della Rainey e
della Smith. In questo lavoro la Davis ha fatto convergere i suoi
interessi per razza e classe, politica e cultura, e per la questione delle
donne e del femminismo. Giova ricordare che la Davis attualmente
professore di History of Consciousness allUniversit della Califor-
nia, Santa Cruz
28
. Da un punto di vista teorico il volume del 1998
contiene significative novit rispetto, ad esempio, al saggio del 1985.
Si nota subito la scomparsa di Engels e Lenin e la presenza di un
unico riferimento a Marx, relativamente a un problema di filosofia
della religione, mentre la Davis dichiara che per la sua analisi dei love
song di Billie Holiday utile la nozione di dimensione estetica che
Marcuse ha impiegato in Eros and Civilization (cap. IX) e elaborato
in seguito in The Aesthetic Dimension. La Davis riconosce che la
nozione marcusiana di forma estetica ancorata alla letteratura euro-
pea del XVIII e XIX secolo, ma aspetti della teoria di Marcuse sul
potenziale sovversivo dellarte, sviluppata come critica dellestetica
marxista ortodossa, possono essere utilizzati non per assimilare la
musica della Holiday alla grande arte ma come strumento per com-
prendere il potere e lattrazione inesauribili delle sue esecuzioni. La
Davis rifiuta il carattere transtorico, universalistico della nozione
marcusiana di dimensione estetica a favore di una concettualizzazione
che la storicizzi e la renda comunitaria
29
. Luso della nozione di
dimensione estetica impone un ascolto e una lettura dei love song del-
la Holiday che rende possibile una loro reinterpretazione femminista.
Nel capitolo dedicato a Strange Fruit della Holiday Angela Davis cita
esplicitamente un passo da The Aesthetic Dimension e considera fon-
damentale lindicazione di Marcuse che larte trascende circostanze e
convenzioni specifiche, tuttavia sempre radicata nella realt sociale,
ed at its best quando modella nuove prospettive sulla condizione
umana e produce attitudini critiche
30
. Come filosofa la Davis del 1998
una pensatrice non meno radicale della Davis degli anni ottanta, ma il
suo interesse per larte popolare delle donne, per i problemi della
consapevolezza femminile lha portata ad utilizzare categorie erme-
neutiche diverse dal marxismo ortodosso, avvicinandola sempre pi
alle concezioni estetologiche del suo maestro Marcuse.

28
A.Y. DAVIS, Blues Legacy and Black Feminism. Gertrude Ma Rainey, Bes-
sie Smith and Billie Holiday, New York, Vintage Books, 1999.
29
Ivi, pp. 163165.
30
Ivi, p. 183.

La funzione critica dellarte 229
Questi brevi riferimenti ad Angela Davis avevano solo lo scopo di
mostrare che le idee estetologiche di Marcuse possono essere ancora
oggi utili per indagare fenomeni artistici differenti e prodotti darte
che parlano di un mondo altro. Nel prosieguo di questo saggio mi
occupo di due casi letterari e cinematografici e cerco di proporre una
loro lettura politicocritica. La scelta di questi due esempi deriva da
un lato dalle mie ricerche sul contesto di Bloomsbury e dallaltro
costituisce una specie di appendice, a livello estetico, al mio libro sui
Contesti di alterit
31
.


Da E.M. Forster a J. Ivory: Maurice, e la foresta come spazio di
libert

Nel 1986 il regista cinematografico americano James Ivory faceva
uscire il suo A Room With a View, prodotto nel Regno Unito da
Ismail Merchant e sceneggiato da Ruth Prawer Jhabavala a partire dal
romanzo omonimo di Edward Morgan Forster. Il film ebbe un grande
e inaspettato successo di critica, di pubblico, ricevette tre premi Oscar
e contribu in misura decisiva a richiamare lattenzione sullopera
narrativa di Forster
32
. Com noto, A Room il terzo romanzo pub-
blicato nel 1908 da Forster ma stato il primo ad essere concepito
dallo scrittore inglese e la pubblicazione nel 1977, nellambito di The
Abinger Edition delle opere di Forster, delledizione critica di A Ro-
om, poi delle Lucy Novels (le due stesure primitive di A Room) ha
mostrato lofficina creativa di Forster e le interferenze nella stesura
dei primi tre romanzi forsteriani: Where Angels Fear to Tread (1905),
The Longest Journey (1907) e A Room with A View (1908).
Nel 1987 veniva presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il
nuovo film di Ivory, ossia Maurice dal romanzo omonimo di For-
ster
33
. Ivory ricevette il Leone dArgento come migliore regista, men-
tre i due interpreti principali, James Wilby e lallora quasi scono-
sciuto Hugh Grant, ricevettero la coppa Volpi per la migliore inter-
pretazione maschile
34
. Il film non ebbe il successo di pubblico di A

31
F. ABBRI, Contesti di alterit, Cosenza, Brenner, 2002.
32
www.marchantivory.com/roomview.html. Il film in DVD delle Eagle Pictu-
res di Milano.
33
www.merchantivory.com/howardsend.html. Il DVD del film in Italia della
Cecchi Gori Home Video.
34
J. SCHERER HERZ, Forsters Three Experiments in Autobiographical Bio-

Ferdinando Abbri 230
Room, a ragione del suo argomento dirompente. Nel 1992 Ivory, Mer-
chant e la Prawer Jhabavala completarono una sorta di trilogia for-
steriana con un magnifico Howards End, dal grande capolavoro omo-
nimo (1910) di Forster. Il terzo film forsteriano di Ivory di sicuro
uno dei film pi apprezzati dalla critica negli anni Novanta
35
.
Maurice in termini cronologici il quinto romanzo di Forster
scritto tra il 1913 e il 1914 ma pubblicato solo postumo, nel 1971 in
una edizione curata da P.N. Furbank che di Forster stato il biografo
ufficiale
36
. La sua pubblicazione, insieme a vari racconti in un
volume dal titolo The Life to Come and other Stories, rappresent una
vera e propria sorpresa perch rivelava pubblicamente
lomosessualit di Forster, chiariva le ragioni del suo silenzio come
narratore dopo A Passage to India (1924) e indicava tuttavia che
Forster aveva continuato a scrivere racconti, senza pubblicarli a
ragione del loro contenuto omoerotico. La pubblicazione di Maurice
ebbe sulla critica un effetto scioccante, con stroncature e insofferenze
nei confronti del libro e della sua esplicita rivelazione
dellorientamento sessuale del suo autore. Molti studiosi si trovarono
di fronte alla necessit di ripensare criticamente lintera
interpretazione di Forster come narratore: dietro la facciata
delledoardiano appartato, sintravedeva un volto molto pi critico,
problematico e radicale. Non a caso dopo il 1971 vi stata una
ripresa formidabile degli studi su Forster e in generale linizio di una
stagione felice di lavori sul Bloomsbury Group che continua a
tuttoggi
37
. Se una scrittrice come Cynthia Ozick formulava nel 1971

graphy, Studies in the Literary Imagination 13 (1980), pp. 5167. ID., The Double
Nature of Forsters Fiction: A Room with A View and The Longest Journey, English
Literature in Transition (18801920) 21 (1978), pp. 254265; T. BROWN, Edward
Carpenter, Forster and the Evolution of A Room with a View, English Literature in
Transition (18801920) 30 (1987), pp. 279300.
35
www.merchantivory.com/maurice.html. Il DVD del film in Italia della Dol-
men Home Video.
36
E.M. FORSTER, Maurice. Introduction by P.N. Furbank, Harmondsworth,
Penguin Books, 1972. Cfr. P.N. FURBANK, E.M. Forster: A Life, London, Cardinal,
1988, I, pp. 255260; N. BEAUMAN, Morgan. A biography of E.M. Forster, London,
Hodder & Stoughton, 1993, pp. 226237; A. MARTLAND, E.M. Forster: Passion and
Prose, Sawffham, GMP Publishers, 1999, pp. 136158; J.H. STAPE, Comparing My-
thologies: Forsters Maurice and Paters Marius, English Literature in Transition
(18801920) 33 (1990), pp. 141153; P. GARDNER (ed.), E.M. Forster: The Critical
Heritage, London and Boston, Routledge & Kegan Paul, 1973, pp. 428490 (raccolta
di recensioni di Maurice).
37
F. ABBRI, Tra ideali e realt: il concetto di amicizia in E.M. Forster, Ou. Ri-

La funzione critica dellarte 231
un giudizio severo sul Forster dopo Maurice
38
, nel 1974 Douglass
Bolling su Modern Fiction Studies pubblicava un saggio sul
Maurice di Forster nel quale scriveva giustamente che vedere il
romanzo di Forster come unindisciplinata apologia della
omosessualit del suo creatore o come unopera compromessa dal suo
happy ending verso il sentimentalismo significa non comprendere il
suo argomento e la sua struttura
39
. Bolling, e, nel 1976, Elizabeth
Wood Ellem sottolineavano limportanza dellimmagine del green-
wood nel romanzo postumo di Forster
40
.
La magnifica edizione critica di Maurice a cura di Philip Gardner,
apparsa nel 1999, nellambito di The Abinger Edition delle opere di
Forster ha offerto non solo un testo filologicamente corretto e pi
affidabile rispetto a quello del 1972, ma la recensione e studio dei
dattiloscritti originali con annotazioni olografe di Forster hanno anche
illuminato la complessa e intricata genesi del romanzo e il lavoro con-
tinuo svolto su di esso dallautore
41
. In breve, dopo una visita a Ed-
ward Carpenter, profeta di una nuova et etica e politica, e al suo
compagno George Merrill, Forster cominci a scrivere Maurice la cui
prima stesura fu terminata nel 1914. Copie furono fatte per una lettura
riservata ad amici, tra cui diversi membri di Bloomsbury. Questa
prima versione si concludeva con un epilogo che stato pubblicato la
prima volta nel 1999 e sul quale dovr tornare. Una nuova versione
completa fu scritta da Forster nel 1932, nella quale lepilogo era
soppresso, e varie copie furono fatte e circolarono tra nuovi amici di
Forster come lo scrittore Christopher Isherwood che stimol Forster a
lavorare al suo romanzo inedito. Una nuova versione risale al 1959 e
si chiude con delle Notes on Maurice di Forster: il testo della ver-
sione stampata nel 1972, e le Notes sono riprodotte con il titolo di
Terminal Note
42
.

flessioni e provocazioni 9 (2000), pp. 721; ID., Divenire piacevolmente molteplice.
Walter H. Pater e il platonismo, in F. ABBRI (ed.), Metamorfosi della filosofia antica,
Arezzo, Dipartimento di Studi Storicosociali e Filosofici, 2006, pp. 3240 (Lavori
in Corso Work in Progress 3).
38
C. OZICK, Forster as Homosexual, Commentary 52 (1971), pp. 8185.
39
D. BOLLING, The Distanced Heart: Artistry in E.M. Forsters Maurice,
Modern Fiction Studies 20 (1974), pp. 157167: 158.
40
E. WOOD ELLEM, E.M. Forsters Greenwood, Journal of Modern Literature,
5 (1976), pp. 8998.
41
E.M. FORSTER, Maurice. Edited by Philip Gardner, London, Andr Deutsch,
1999 (The Abinger Edition).
42
Ivi, pp. 215224. ID., Maurice (1972), cit., pp. 217222.

Ferdinando Abbri 232
Da queste sommarie indicazioni risulta chiaro che alla soglia degli
anni sessanta lottantenne Forster lavor al suo inedito romanzo, in-
troducendo un capitolo nuovo (il XLIV), e cercando di perfezionare,
modificare, limare il finale.
Com noto, Maurice racconta la storia dellamore intenso ma pla-
tonico, spirituale di Maurice Hall (originariamente Maurice Hill,
come ha chiarito Gardner) e Clive Durham allUniversit, la conver-
sione di questultimo alleterosessualit attraverso il matrimonio con
Anne Woods, la lotta di Maurice contro le sue pulsioni omosessuali,
il suo incontro a Penge la tenuta dei Durham con Alec Scudder,
il sottoguardiaccia, la sua relazione sessuale e amorosa con Alec, il
rifiuto di Maurice del suo mondo e la sua scelta per Alec Scudder. ,
a differenza degli altri romanzi di Forster nei quali vi uninterazione
complessa tra vari personaggi, un romanzo lineare con un prota-
gonista molto diverso dal suo autore e ben lontano dagli intellettuali
bloomsburiani che coltivavano una sorta di high sodomy. Maurice
la riaffermazione della importanza essenziale delle relazioni per-
sonali lideale mooreiano di Bloomsbury una critica della so-
ciet e laffermazione della necessit di una rigenerazione della na-
tura e del mondo umano.
Nelle sue Notes Forster indic che lo happy ending was impe-
rative, e non avrebbe potuto scrivere il finale altrimenti: I was de-
termined that in fiction anyway two men should fall in love and
remain in it for ever and ever that fiction allows
43
. Stabilito che il
romanzo doveva finire bene, il problema di Forster fu quello dellar-
ticolazione letteraria di questo finale, da qui cambiamenti continui.
Nella versione del 1959, dopo aver rinunciato a emigrare in America,
Alec si riunisce con Maurice alla rimessa delle barche di Penge e
conclude And now we shant be parted no more, and thats fini-
shed
44
; il capitolo finale (XLVI) vede il confronto ultimo di Maurice
e Clive, con Maurice che gli rivela la sua relazione con Alec e dice
addio definitivamente alla sua vecchia vita. Questo anche il modo in
cui finisce il film di Ivory che lascia per trasparire una sorta di rim-
pianto da parte di Clive che non esiste invece nel romanzo.
Il film di Ivory fedele al romanzo nella sostanza, introduce al-
cune variazioni drammatiche per favorire la precipitazione degli
eventi (larresto di Risley per tentato crimine di sodomia che induce

43
E.M. FORSTER, Maurice (1999), cit., p. 216.
44
Ivi, p. 209.

La funzione critica dellarte 233
Clive a troncare la relazione con Maurice), la ricostruzione dam-
biente magnifica e accurata come sempre avviene nei film di Ivory,
la recitazione ottima, anche se a mio avviso Hugh Grant troppo
gradevole come Clive, cio per un personaggio che Forster trasforma
da intellettuale ellenistico, lettore di Platone in un convenzionale e
noioso gentiluomo di campagna. Bisogna riconoscere a Ivory e Mer-
chant il coraggio di avere realizzato un film che toccava un argo-
mento difficile, scabroso per un cinema non di avanguardia o mar-
ginale. Quello che forse manca al film di Ivory la crudelt, la cat-
tiveria e la dimensione politica del discorso di Forster e che Ivory ha
invece filmicamente tradotto in maniera straordinaria con Howards
End. Giova ricordare che nella narrativa e nella saggistica di Forster
ben presente la critica alla convenzionalit etica della societ tardo
vittoriana e che gli ideali dellamicizia e dellamore erano per Forster
superiori allamore di patria o al senso dappartenenza nazionale
45
.
Ho ricordato sopra che per Marcuse il lieto fine un inganno e che
nella storia reale esistono solo poche isole di felicit consentite agli
esseri umani. Questi concetti si possono applicare utilmente al Mau-
rice di Forster, e servono a chiarire il vero senso del finale di questo
romanzo. Intanto il romanzo di Forster proponeva ideali etici che era-
no nettamente in contrasto con le leggi e la morale repressiva vigente
a quel tempo e, in parte, ancora oggi. Quello di Maurice e Alec un
sogno di felicit, un poter essere che si pone in contrasto con lessere
sociale. Per quanto riguarda poi il lieto fine nelle Notes, come ho
indicato prima, Forster indica espressamente che nellambito della
finzione narrativa che possibile garantire a Maurice e Alec la
felicit, e aggiunge and in this sense Maurice and Alec still roam the
greenwood
46
. Forster non ha mai celato che il sogno di felicit dei
suoi due eroi realizzato in un ambito artistico, sul piano dellarte del
romanzo e che si tratta di un mondo che forse potrebbe essere, e non
di un inganno ideologico. Inoltre, il riferimento al persistente vaga-
bondare di Maurice e Alec nel greenwood merita una precisazione.
NellEpilogo del 1914 si narra di una visita nei boschi, molti anni
dopo, di Kitty, la sorella di Maurice e di un incontro con due lavo-
ratori e del riconoscimento in uno di loro del fratello Maurice. Kitty
pensa che Maurice must be very fond of his mate, he must have gi-
ven up us on his account, I should immagine they are practically in

45
F. ABBRI, Tra ideali e realt, cit.
46
E.M. FORSTER, Maurice (1999), cit., p. 216.

Ferdinando Abbri 234
love. LEpilogo termina con Maurice e Alec i quali nel rifugio vi-
cino al loro lavoro riflettono, prima di cadere addormentati, sul-
lopportunit di lasciare il lavoro e spostarsi in unaltra parte della
foresta nel caso in cui Kitty avesse avvertito la polizia o fosse tornata
a trovarli
47
. Maurice e Alec vivono ancora la loro felicit ma appar-
tati, in una foresta, in unisola di felicit fuori dal mondo, sfuggendo
alla famiglia, al pastore Borenius e alla polizia. La foresta, il green-
wood di Maurice e Alec non era per Forster, come ha chiarito D. Bol-
ling
48
, un luogo reale, ma una visione: in parte un luogo spirituale e
direi anche politico. A Maurice e Alec la felicit non consentita in
un luogo reale perch la conciliazione di diversit sessuale e rispet-
tabilit da classe media, come ha scritto E. Wood Ellem
49
, non era
possibile secondo Forster: lepilogo che descrive la vita di Maurice e
Alec nella foresta anche il simbolo di una scelta esistenziale con-
gruente con il proprio s che comporta una vita fatta di gioia, di sod-
disfazione, ma anche di dolore, paura, isolamento, di rinuncia al mon-
do sociale, e di fughe.
Nel contesto della narrativa forsteriana, Maurice un capitolo
della critica al convenzionalismo etico articolata da Forster in tutti i
suoi romanzi
50
, e per fare vivere Maurice e Alec era necessario farli
fuggire dal mondo reale.


Annie Proulx e Brokeback Mountain: i sentimenti come eversione

Nellottobre del 1997 la scrittrice americana Annie Proulx (1935),
che una storica di formazione, approdata tardi ma con successo alla
narrativa, ha pubblicato su The New Yorker un racconto lungo dal
titolo Brokeback Mountain. Nel 1998 il racconto usc come volume
singolo a Londra per i tipi della casa editrice Fourth Estate
51
e fu
salutato dalla critica con grandi elogi; nel 1999 questo racconto fu
incluso dalla Proulx in un suo volume dal titolo Close Range: Wyo-
ming stories
52
che venne recensito nel 2000 da John Noell Moore su

47
Ivi, pp. 221224.
48
D. BOLLING, op. cit.
49
E. WOOD ELLEM, op. cit.
50
E.M. FORSTER, Commonplace Book, edited by P. Gardner, London, Scholar
Press, 1985, pp. 203204.
51
A. PROULX, Brokeback Mountain, London, Fourth Estate, 1997.
52
A. PROULX, Close Range: Wyoming Stories, New York, Scribners Paperback
Fiction, 1999.

La funzione critica dellarte 235
The English Journal. Moore concludeva il suo essay review dal
titolo The Landscape of Fiction con un caldo invito al lettore to take
your chances, to drive through Proulxs shining towns. Prepare to be
deeply moved, angry, shocked. Keep driving, though. The journey is
worth the effort
53
. La Proulx ha ricordato che i racconti di Close
Range riguardano il paesaggio del Wyoming e gli sforzi di vivere in
comunit dure, isolate, difficili, dominate da valori maschili bianchi
ma con fantasie subliminali, e che la stesura di Brokeback Mountain
stata lunga, faticosa, con almeno sessanta revisioni.
La pubblicazione di questo racconto richiam lattenzione di Larry
McMurtry e Diana Ossana, uno scrittore e una scrittrice con grande
esperienza di sceneggiatura di film. Decisero di acquistare i diritti
cinematografici del racconto e di preparare la sceneggiatura; pronta
nel giro di pochi mesi questa sceneggiatura trov il consenso di Annie
Proulx. Una prima stesura fu inviata in Wyoming alla Proulx e Diana
Ossana ricorda davere trascorso due ore al telefono con la scrittrice
che spiegava i suoi personaggi e chiedeva alcune correzioni
54
. Il
problema era quello del finanziamento per la realizzazione del film e
sono stati necessari otto anni prima che nella tarda primavera del
2004, nei dintorni di Calgary, Alberta (Canada) il film cominciasse la
sua realizzazione, prodotto da Focus Features and River Road Enter-
tainment e diretto da Ang Lee, un regista taiwanese di successo a
Hollywood.
Il film uscito nel 2005, ha portato a Ang Lee il Leone dOro al
Festival di Venezia, premi in vari festival, diverse nomination agli
Oscar (al film, al regista, agli interpreti), e un Oscar come miglior
regista, e quello che doveva essere un film raffinato, non per il grande
pubblico divenuto un successo anche commerciale, ha commosso e
scandalizzato, e in alcune parti del mondo (Bahamas e Cina, ad esem-
pio) stato proibito come pericoloso
55
.
La storia originaria della Proulx narrativamente molto semplice
ma di una intensit e concentrazione emotiva straordinaria: due cow-
boy neanche ventenni, Ennis del Mar e Jack Twist sincontrano una
estate del 1963 nel Wyoming per un lavoro come guardiani di pecore
da condurre e guidare a Brokeback Mountain, ossia in una montagna

53
J.M. MOORE, Landscape of Fiction, The English Journal 90 (2000), pp. 146148.
54
D. OSSANA, Climbing Brokeback Mountain, in A. PROULX, L. MCMURTRY, D.
OSSANA, Brokeback Mountain. Story to Screenplay, New York, Scribner, 2005, p. 146.
55
Per lanalisi del film di Ang Lee ho utilizzato il DVD originale inglese (britan-
nico) di Entertainment Video.

Ferdinando Abbri 236
appartata e isolata. Ennis riservato, quasi incapace di articolare un
discorso mentre Jack pi aperto e desideroso di comunicazione.
Complici lisolamento, il freddo, lalcool, una piccola tenda Jack e
Ennis fanno lamore e, dopo un primo momento dimbarazzo, comin-
ciano una vera e propria relazione della quale non sono in grado di
darsi una spiegazione. Potrebbe sembrare un caso tipico di omoses-
sualit ambientale, ossia indotta dal contesto disolamento, ma quan-
do alla fine del lavoro si separano, Ennis si sente terribilmente male a
causa dei sentimenti che prova per Jack
56
. Passano quattro anni, in un
contesto caratterizzato da difficili condizioni di lavoro manuale, En-
nis si sposato con Alma e ha due figlie mentre anche Jack, che
frequenta i rodeo, si sposato con Lureen e ha un figlio; Ennis riceve
una cartolina da Jack e combina una riunione con lamico: quando
sincontrano lamore esplode di nuovo ed Ennis e Jack si baciano
appassionatamente senza accorgersi di essere visti da Alma. Finisco-
no in un motel e decidono di passare qualche giorno a Brokeback
Mountain con la scusa della pesca.
Da quel momento per due o tre volte allanno e per quasi venti
anni Jack e Ennis si rifugiano a Brokeback Mountain per potere vi-
vere in un contesto isolato, non sociale la loro storia damore. Ennis
finisce per divorziare da Alma, e vivere stentatamente da solo, Jack
vorrebbe qualcosa di pi degli incontri a Brokeback Mountain, una
vita insieme, ma comprende che Ennis ha talmente introitato lomo-
fobia del contesto sociale, indotta anche dal padre che da bambino gli
ha mostrato due vecchi omosessuali uccisi e castrati, da essere inca-
pace di dare spazio alle proprie emozioni e appare, al di della sua for-
za fisica e mascolinit, il pi bisognoso di aiuto. Ennis riceve la noti-
zia della morte di Jack forse ucciso da violenza omofobica e
decide di andare a trovare i genitori di Jack e nella camera di Jack
scopre che una camicia dellamico nasconde una sua vecchia camicia
ritenuta perduta venti anni prima. Ennis riceve in dono le camicie, nel
suo trailer pone, con una cartolina di Brokeback Mountain, le due
vecchie camicie appese e piangendo confessa: Jack, I swear he
said, though Jack had never asked him to swear anything and was
himself not the swearing kind. Da quel momento Ennis comincia a
sognare Jack e i suoi risvegli sono segnati talora dal dolore e talora
dal vecchio sense of joy and release
57
.

56
A. PROULX, Brokeback, cit., pp. 1718.
57
Ivi, pp. 5758.

La funzione critica dellarte 237
In genere le sceneggiature cinematografiche da opere letterarie
hanno il problema di ridurre un romanzo alla dimensione di film, nel
caso del racconto della Proulx McMurtry e la Ossana si sono trovati
di fronte alla necessit dampliare il racconto. Nel 2005 stato pub-
blicato un volume dal titolo Brokeback Mountain. Story to Screen-
play, che contiene la ristampa del racconto della Proulx, il testo inte-
grale della sceneggiatura cinematografica, i commenti della scrittrice
americana e dei due sceneggiatori. Questi ultimi hanno fatto un lavo-
ro di primordine ampliando il racconto ma restando fedeli alle inten-
zioni originarie dellautrice: lasciuttezza narrativa della Proulx viene
rispettata in un ampliamento destinato al mezzo cinematografico
58
.
La scelta di Ang Lee come regista stata assai felice perch il
film, con la sua ambientazione rurale, evita il genere pastorale che
sempre in agguato a Hollywood quando si tratta di boschi, fiumi e
cowboy. Nella sua recensione Matthew Kennedy ha fatto notare che il
film, che descrive una storia damore tra uomini, ossia di Men in
Love, la creazione di eterosessuali: la scrittrice, gli sceneggiatori,
il regista, e gli attori (Heath Ledger come Ennis e Jake Gyllenhaal
come Jack sono pi belli e fascinosi dei due pecorai immaginati dalla
Proulx, ma sono bravissimi e si sono meritati pienamente le candi-
dature agli Oscar), e il film una pietra miliare nella storia del cine-
ma americano perch ha evitato tutte le trappole e i manierismi tipici
di Hollywood
59
.
La sceneggiatura e il film hanno alcune differenze degne di nota:
dopo la prima estate insieme Ennis si separa da Jack, cammina a piedi
e la sua disperazione in un vicolo travolgente mentre il film passa,
con un effetto cinematografico di primordine, alla scena del suo
matrimonio con Alma
60
; il contrasto tra Ennis e Jack su una vita fu-

58
L. MCMURTRY, D. OSSANA, Brokeback Mountain, the Screenplay, in A.
PROULX, L. MCMURTRY, D. OSSANA, Brokeback Mountain. Story to Screenplay, cit.,
pp. 29127, ma le pagine della sceneggiatura mantengono i numeri del dattiloscritto
originale che consta di 97 pagine.
59
M. KENNEDY, Men in Love. On Brokeback Mountain, www.brightlightsfilm.
com/51/brokebackmatt.htm (12/06/2006), 3 pp.
60
Si tratta delle scene 5 e 6 nel DVD citato alla nota 55. La disperazione di Ennis
cos descritta alla p. 28 della sceneggiatura: He starts down the street, but before
he can get a half a block, JACKs leaving proves too much: he feels like someones
pulling his gut out, hand over hand, a yard at time. / He stumbles into an alley, drops
to his knees. Kneels there, silent, as pain, longing, loneliness, overpower ENNIS
emotions stronger than hes ever felt for another person consume him: he feels as bad
and confused as he ever has in his life. Conflicted he is angry at himself, for all

Ferdinando Abbri 238
tura possibile insieme spostata nel film in quello che lultimo
incontro a Brokeback Mountain; nel film la posizione delle due ca-
mice viene invertita dalla casa di Jack al trailer di Ennis e nellultima
scena Ledger come Ennis, davanti a quella specie di altare che ha
costruito al suo amore, memorabile.
Il film di Ang Lee ha richiamato lattenzione dei critici cinema-
tografici, ha dato una popolarit inattesa alla Proulx che si tradotta
in interviste e in unattenzione anche eccessiva. Alla Associated Press
nel 2005 la Proulx ha dichiarato, alluscita del film, che Jack e Ennis
non sarebbero risorti, che sarebbero rimasti dove sono perch Ive
got other things to write
61
. In una precedente, lunga intervista del
1999 a The Missouri Review la Proulx aveva dichiarato di non
essersi mai innamorata dei suoi personaggi perch una cosa ripu-
gnante
62
. Nel suo sito web la Proulx ha confessato davere mentito in
quella intervista e, a una domanda sulla impressione provata vedendo
il film, ha scritto:

Non ho visitato il set. Temevo che il paesaggio sul quale si fonda la storia
sarebbe andato perduto, che il sentimentalismo si sarebbe introdotto, che il
contenuto sessuale esplicito sarebbe stato annacquato. Niente di tutto ci
accaduto. Il film forte e potente. Forse sono la prima scrittrice e scrittore in
America ad avere un racconto tradotto sullo schermo in maniera integra. E
quando ho visto il film la prima volta ero cos colpita che i personaggi di Jack
e Ennis sono riemersi nella mia mente, mentre (da qui la bugia nella Missouri
Review) pensavo di averli banditi da anni. Sbagliato
63
.

Del film di Ang Lee sono state offerte molte chiavi interpretative
(in senso positivo e in senso negativo), ma penso che come prodotto
darte possa essere letto in modo politico e critico, offrendo Marcuse,
anche in questo caso, suggerimenti ermeneutici utili. Non si tratta
certo, come alcuni hanno pensato, di una forma di propaganda gay: in
questo caso lapproccio errato e la descrizione di a gay cowboy
movie , per usare una definizione di Roger Ebert, a cruel sim-

that has happened, and for all that he is feeling. Punches the wall, bloodying both his
knuckles.
61
Author Annie Proulx discusses the origins of her Brokeback Mountain. The
Associated Press, December 15, 2005, www.newsday.com/entertainment/ny-bc-
film-brokeback-proulx (15/05/2006), 3pp.
62
Interview with Annie Proulx, The Missouri Review 22 (1999), www.
missourireview.com (15/05/2006), pp. 16.
63
A. PROULX, About Brokeback Mountain, www.annieproulx.com/broke
backfaq.html (15/05/2006), pp. 12.

La funzione critica dellarte 239
plification. La storia di Ennis e Jack, come quella di Romeo e
Giulietta un esempio caro a Marcuse e di altre coppie della
letteratura, aspira alluniversalit: Ebert parla di una tragedia uni-
versale che avrebbe potuto riguardare due donne, o amanti appar-
tenenti a gruppi religiosi o etnici differenti, any forbidden love
64
.
Non sono in grado di dire se la narrativa di Forster abbia esercitato
una qualche influenza sulla Proulx, ma vale la pena di notare subito
che il luogo della felicit per Alec e Maurice la foresta e per Ennis e
Jack Brokeback Mountain, ossia luoghi appartati, separati, immagi-
nati, isole di felicit e di dolore, lontane da una societ repressiva. Il
film di Ang Lee non ha un finale lieto e suggerisce che la solitudine e
linfelicit di Ennis derivano non da una sua colpa ma da pregiudizi,
norme etiche e da una struttura sociale che non gli hanno permesso
una vita con Jack: Ennis e Jack sono riusciti solo a rubare scampoli di
felicit. Se come prodotto artistico il film lancia un messaggio
quello di dire che in un altro mondo Ennis e Jack avrebbero potuto
vivere felici, e si tratta di un messaggio politico.
Annie Proulx ha indicato con chiarezza largomento principale del
suo racconto che ben presente anche nel film: lomofobia. Nel suo
saggio dal titolo Getting Movied la Proulx scrive che i critici di citt
lo hanno etichettato come un racconto di due cowboy gay. No. la
storia di una omofobia rurale distruttiva, e ricorda che un anno dopo
la pubblicazione, a Laramie, sede dellUniversit del Wyoming, Mat-
thew Shepard, un giovane studente gay, fu picchiato e lasciato a mo-
rire in un campo, ossia nel Wyoming si verificato uno dei pi
crudeli crimini omofobici della storia recente degli USA. Da storica
la Proulx ricorda anche che il Wyoming lo Stato che ha il pi alto
tasso di suicidi dellUnione e che la maggioranza dei suicidi sono
commessi da elderly single men
65
.
Nel proporre sul piano letterario e su quello filmico una passione
amorosa che concentrata, con unintensit straordinaria e com-

64
R. EBERT, Brokeback Mountain. Love in lonesome trail (Dec. 16, 2005),
http://rogerbert.suntines.com (03/08/2006), pp. 12.
65
A. PROULX, Getting Movied, in A. PROULX, L. MCMURTRY, D. OSSANA,
Brokeback Mountain. Story to Screenplay, cit., pp. 130131. Sullassassinio di
Matthew Shepard (19761998) si veda: B. LOFFREDA, Losing Matt Shepard: life and
politics in the aftermath of anti-gay murder, New York, Columbia University Press,
2000. I genitori di Shepard hanno dato vita ad una fondazione (www.matthew
shepard.org) che ha scopi educativi in modo da favorire la scomparsa dellodio e
laffermazione di comprensione (understanding), compassione e accettazione.

Ferdinando Abbri 240
movente, sui sentimenti dei protagonisti la Proulx, Ang Lee e i suoi
sceneggiatori e attori hanno raccontato una crudele vicenda dingiu-
stizia; non si sono dimenticati del contesto storico che emerge invece
dalla dinamica stessa della storia damore, e i loro prodotti artistici
svolgono una funzione critica precisa in quanto arte: Ennis e Jack
sono larchetipo di tutti e tutte coloro ai/alle quali una societ, che il
risultato storico di forze economiche e sociali, non concede che
briciole di felicit. Una storia damore diventa un duro atto daccusa.
La grande arte pu continuare a suggerire la possibilit di un mondo
diverso, con soggettivit e intersoggettivit non amministrate, ma
libere e liberate.

Per Marcuse larte era una promessa di felicit che denunciava il
mondo reale e faceva intravedere un mondo diverso, da realizzare
attraverso una presa di coscienza. Se Maurice e Brokeback Mountain
come narrativa e come cinema riescono a suggerire la possibilit di
un mondo pi giusto per donne e uomini, la loro forma artistica,
focalizzata su emozioni interiori, svolge un ruolo politico e critico
ben preciso in un contesto sociale sempre pi amministrato.

FRANCESCA BONICALZI

Limmagine poetica e luomo felice.
Sullimmaginazione materiale di Gaston Bachelard


Je ne crois pas que la vie dans les images
soit du rgne de limagination
Gaston Bachelard, Lengagement rationaliste

Limagination est une des formes de laudace humaine
Gaston Bachelard, Lair et les songes


1. Immagini per luomo delle ventiquattro ore

La riflessione di Gaston Bachelard, messa in moto da un interesse
per la razionalit scientifica, dispiega, nel tempo e con ampiezza di
produzione, una significativa teoria dellimmaginazione, sollecitata in
questo dallo stesso pensiero epistemologico che incontra sul suo
percorso gli effetti dellimmaginazione nella forma dellostacolo
epistemologico e cio le resistenze che dallinterno della razionalit
stessa impediscono il processo di astrazione
1
. Bachelard ritiene di do-

1
Gaston Bachelard, dopo una formazione non istituzionale, allet di quarantasei
anni, giunge allinsegnamento universitario e segna generazioni di pensatori con la
sua figura, divenuta leggendaria per la peculiarit del suo pensiero e il fascino della
sua persona. Bachelard nasce il 27 giugno 1884 a BarsurAube. Impiegato alle po-
ste, ottiene la licence in scienze matematiche nel 1912 e, dopo aver partecipato alla
prima guerra mondiale, diviene insegnante di fisica e chimica al collegio di Barsur
Aube, dove insegna fino al 1930. Consegue la licence (1920) e laggrgation (1922)
in filosofia, nel 1927 diviene docteur s Lettres alla Sorbonne con la tesi Essai sur la
connaissance approche che contiene in nuce il suo pensiero epistemologico e
con la tesi complementare Etude sur lvolution dun problme de physique: la pro-
pagation thermique dans les solides. Insegna allUniversit di Dijon dal 1930 al
1940, chiamato poi alla Sorbonne sulla cattedra di Storia e Filosofia delle Scienze,
cattedra che era gi stata di Abel Rey, manterr linsegnamento fino al 1955. La sin-
golarit del suo percorso formativo e lautonomia del suo percorso culturale evi-
dente anche nella peculiarit della sua produzione caratterizzata da una forte discus-
sione della struttura della razionalit scientifica interrogata dallinterno della pratica
dello scienziato, ma dedicata anche allimmaginario, alla esplorazione della rverie
di fuoco, acqua, aria e terra. Limpegno per la costruzione dellepistemologia occupa
i dieci anni del periodo del suo insegnamento a Dijon (Le valeur inductive de la rela-
tivit, 1929; Le pluralisme cohrent de la chimie moderne, 1932; Les intuitions ato-
mistiques, 1933; Le nouvel esprit scientifique 1934, La dialectique de la dure, 1936;
Lexprience de lespace dans la physique contemporaine, 1937; La philosophie du
Bollettino Filosofico 22 (2006): 241-250 241
Francesca Bonicalzi 242
ver dar parola, non solo alluomo diurno della razionalit scientifica,
ma anche alluomo della notte carico di sogni e di immaginazioni.
Nella seduta della Socit franaise de Philosophie (1950) consacrata
alla discussione sulla natura del razionalismo, Bachelard tematizza il
suo interesse per unantropologia che prenda in considerazione luo-
mo nella sua totalit, luomo delle ventiquattro ore, disposta anche a
mettere in primo piano luomo notturno: Se ora dovessi fare il piano
generale delle riflessioni di un filosofo giunto allautunno della pro-
pria vita, direi che ho nostalgia di una certa antropologia. E, se doves-
si essere completo, amerei discutere un tema, che non quello di og-
gi, che chiamer luomo delle ventiquattro ore. Di conseguenza,
credo che se si volessero concedere basi filosofiche o metafisiche al-
lantropologia nel suo complesso, sarebbe sufficiente descrivere un
uomo nelle ventiquattro ore della sua vita. Cosa dovremmo discutere
dunque, davanti a questa totalit umana? Dovremmo innanzitutto dis-
cutere luomo della notte. In questo caso avremmo dei temi di carat-
tere esistenzialista che un giorno mi piacerebbe discutere! Certo,
lesistenza possiede le sue grandi certezze sul versante notturno
2
.
Esiste un versante notturno che occorre escludere per mettere in atto
la razionalit scientifica, ma da cui non si pu prescindere per affron-
tare la scienza stessa, perch lascia tracce anche se non sapute (luo-
mo notturno che rifiuto di esaminare in questa conferenza lascia trac-

non, 1940) e impone una riformulazione del soggetto della scienza che, a sua volta,
evidenzia quel soggetto della rverie cui Bachelard dedica, nel decennio successivo, i
propri studi. Nel periodo che segue la Formation de lesprit scientifique. Contribu-
tion une psychanalyse de la connaissance objective (1938) e precede Le rationali-
sme appliqu (1949), Bachelard elabora la sua scienza dellimmaginazione poetica
ripercorrendo la rverie dei quattro elementi (La psychanalyse du feu, 1938, Leau et
les rves, 1942; Lair et les songes, 1943; La terre et les rveries de la volont, 1948;
La terre et les rveries du rpos, 1948), per poi riprendere la riflessione sulla ragione
scientifica nelle grandi opere conclusive che rappresentano la riproposta matura della
sua epistemologia: Le rationalisme appliqu, 1949; Lactivit rationaliste de la
physique contemporaine, 1951; e Le matrialisme rationel, 1953. Negli ultimi anni si
dedica agli studi e alla produzione sullimmaginario, in particolare elabora le due
poetiche: La potique de lespace 1957 e La potique de la rverie, 1960 e inizia un
lavoro sulla poetica del fuoco che verr pubblicato postumo, nel 1988, a cura della
figlia Susanne, con il titolo Fragments dune potique du feu. Dopo linsegnamento
alla Sorbonne, Bachelard si ritira a vita privata fino alla morte, avvenuta a Parigi il 16
ottobre del 1962.
2
G. BACHELARD, De la nature du rationalisme (1950), in Lengagement ratio-
naliste (1972), trad. it. Sulla natura del razionalismo, in Limpegno razionalista, a c.
di F. Bonicalzi, Milano, Jaca Book, 2002, p. 64.

Limmagine poetica e luomo felice 243
ce o eredit nel corso della giornata), le tracce del rapporto con lori-
gine che vive nellesperienza notturna mettono in moto una proble-
maticit che il dinamismo della ragione scientifica: durante la not-
te luomo notturno sempre in contatto con il cominciamento. L

esi-
stenzialismo notturno sempre un contatto con una sorta di vita in
una matrice, in un cosmo, da cui deve fuoriuscire sin dalle prime ore
del risveglio. In questo caso c

sempre un cominciamento: co-


minciamo le nostre giornate in quel magma di cominciamenti che la
psicoanalisi si sforza di districare. Se ora siamo davanti a una cultura
razionalista, allora abbiamo vecchi sistemi da liquidare. Ovvero, sen-
za questi, non avremmo lavoro: la scienza sarebbe finita. Evidente-
mente ci sveglieremmo onnipotenti, senza problemi, non avremmo
problematiche; ma un razionalista senza problematiche come una
ragione che non pu respirare; soffoca, cade nel dogmatismo; un
uomo della notte che continua la sua confortevole esistenza e che di
conseguenza non compie la sua opera essenzialmente critica: unope-
ra che deve cercare pazientemente gli errori delle organizzazioni as-
sunte e comprendere cos lattivit dialettica, che deve fare delle
prove. Il razionalista ha diversi punti da riorganizzare. Quindi oggi
non si pu essere razionalisti in un colpo solo: occorre lavorare. La
filosofia razionalista essenzialmente una filosofia che lavora, una
filosofia al lavoro
3
. In questa dinamica tra uomo diurno e uomo not-
turno la razionalit si chiarisce a partire da quel movimento della ra-
gione che si istituisce tra la filosofia del non
4
e la filosofia del ri
5

(ricominciare, rinnovare, riorganizzare) che segnano un movi-
mento di ristrutturazione del sapere che mette in campo un razio-
nalismo aperto.
Molto si detto sul Giano bifronte, molto si scritto alla ricerca
della spiegazione della sua straordinaria attivit e spesso si scelto di

3
G. BACHELARD, Limpegno razionalista, cit., p. 65.
4
G. BACHELARD, La philosophie du non. Essai dune philosophie du nouvel
esprit scientifique (1940) trad. it. La filosofia del non. Saggio di una filosofia del
nuovo spirito scientifico, Catania, Pellicano libri, 1978; nuova ed. Roma, Armando
1988). Per introdursi al senso della filosofia del non, si veda G. CANGUILHEM,
Dialettica e filosofia del non in Gaston Bachelard, in G. CANGUILHEM e D.
LECOURT, Lepistemologia di Gaston Bachelard, a c. di F. Bonicalzi, Milano, Jaca
Book 1997, pp. 7989.
5
G. BACHELARD, Limpegno razionalista, cit., p. 67. Si veda nello specifico F.
BONICALZI, Ricominciare da Bachelard, in F. BONICALZI e C. VINTI (eds.), Ri
cominciare. Percorsi e attualit dellopera di Gaston Bachelard, Milano, Jaca Book,
2004, pp. 715 e in generale tutti gli interventi presenti del volume.

Francesca Bonicalzi 244
studiare solo lepistemologo o solo il rveur, ritenendola la sola
indicazione resa possibile dal doppio Bachelard, lesito inevitabile
dellinconciliabilit dei suoi due percorsi. Oggi si impone una lettura
unitaria della produzione di Bachelard, ed anche Wunenburger, che
nel testo pubblicato in questo volume rivendica ununit complessa
dei due ambiti di lavoro, individua nellarmonia delle divergenze la
premessa di una teoria generale della creativit della mente
6
. Ci
collochiamo in questa prospettiva in cui il soggetto si fa cerniera tra
la produzione scientifica e la produzione della rverie: produttore
occulto di immagini che ostacolano il lavoro di astrazione del pen-
siero scientifico, il soggetto esplode, nella dimensione della rverie,
in tutta la sua forza di valorizzazione degli interessi lasciando
trasparire che la loro genesi affonda nella materia dei quattro ele-
menti, fuoco, aria, acqua, e terra.
Immagine e immaginazione occupano lo spazio spesso delineato
dal termine bachelardiano rverie
7
(si tentato di tradurre con fanta-
sticheria, ma forse intraducibile nel suo evocare il sogno, rve, e al
tempo stesso distinguersene, in quanto attivit della veglia
8
) che
evoca il mondo del linguaggio poetico, ma che connota anche il lin-
guaggio del vissuto quotidiano. Immagine per Bachelard non cor-
risponde pienamente a immaginazione in quanto il compito di un lin-
guaggio creativo non quello di formare le immagini ma di defor-
marle e, per questo, immaginario, meglio di immagine, corrisponde
allimmaginazione perch limmaginario le offre lenergia e suggeri-
sce il carattere aperto dellimmaginazione: senza immaginario, lim-
magine si stabilizza in una fissit compiuta che ostacola limmagi-
nazione la quale, a sua volta, non pu cristallizzarsi, ma deve essere
messa in moto da unimmagine dinamica e generare essa stessa un
dinamismo innovatore.
Sottolineo due prese di posizione precipue in relazione alla natura
dellimmagine e cio la sua consistenza in relazione alla realt e in

6
JEANJACQUES WUNENBURGER, Immaginario e razionalit: una teoria della
creativit generale, in questo volume pp. 1729. CARLO VINTI ripercorre il dibattito
della critica con unarticolazione che tende a non suturare la separazione tra i due
Bachelard, C. VINTI, Una difficile eredit, in F. BONICALZI e C. VINTI (eds.), Ri
cominciare, cit., pp. 259271.
7
In particolare si veda G. BACHELARD, La potique de la rverie (1960), trad. it.
La poetica della rverie, Bari, Dedalo, 1972.
8
Si vedano le osservazioni di Giovanna Silvestri nella nota iniziale alla sua
traduzione della Poetica della rverie, cit., p. 6.

Limmagine poetica e luomo felice 245
relazione alla coscienza, in quanto permettono dei chiarimenti che
consentono di comprendere Bachelard in tutta la sua complessit: da
un lato tenace nel difendere il carattere incondizionato dellimmagi-
nazione creativa e, dallaltro, implacabile nellimpegno di riconoscere
leggi e cause che funzionano anche sullasse della soggettivit.
In polemica con Matire et mmoire di Bergson, Bachelard nega
che limmagine possa essere ricondotta al ricordo e che possa trarre
da questo il suo carattere di realt e coscienza: in questo ruolo lim-
magine sarebbe orientata al passato e vincolata allesistente, privata
della libert creativa. Nella seduta della Socit franaise de philo-
sophie dedicata alla natura del razionalismo, Bachelard chiarisce il
carattere pur sempre di realt che compete allimmagine: Non credo
che la vita delle immagini appartenga al regno dellimmaginazione.
Nelle immagini che si considerano nel corso della vita notturna, ci
sono realt di quella vita notturna; non siete voi a formare le
immagini, ma essi si formano in voi
9
. Limmagine per Bachelard ec-
cede pensiero e volont, limmagine non opera di pensiero o della
volont, non esito di una costruzione razionale o della decisione
della volont: le immagini si formano in noi e ci formano nellasse
della soggettivit: Psychiquement, nous sommes crs par notre
rverie. Cre et limit par notre rverie, car cest la rverie qui
dessine les derniers confins de notre esprit
10
. Limmagine non
neppure a disposizione della nostra volont: Se qualcuno afferma
sto per realizzare una bella immagine non la realizzer; non si pu
voler realizzare unimmagine
11
, non si pu voler realizzare
unimmagine perch nessuna decisione pu vincolare un esito crea-
tivo. Bachelard rivendica la creazione incondizionata dellopera poe-
tica: limmagine poetica non preparata da nulla, non dalla perce-
zione, non dalla cultura, non deve nulla al sapere, senza per questo
negare dignit al linguaggio scientifico, anche se deve dimenticarlo
per parlare il nuovo linguaggio della poesia
12
. Bachelard giunge ad
affermare che una specie di dono, non della mente, ma dellanima
(lanima non una debolezza. [] il principio interno del nostro

9
G. BACHELARD, Limpegno razionalista, cit., p. 85.
10
G. BACHELARD, La psycanalyse du feu (1938), trad. it. La psicoanalisi del
fuoco, Bari, Dedalo, 1973, p. 234.
11
G. BACHELARD, Limpegno razionalista, cit., p. 85.
12
G. BACHELARD, La potique de lespace (1957), trad. it. La poetica dello
spazio, Bari, Dedalo, 1975, p.14.

Francesca Bonicalzi 246
riposo
13
). Dono o, addirittura, grazia (secondo il suggerimento
di Brhier che Bachelard accoglie), sono termini usati per sottolineare
che limmagine non prodotto delluomo, nel senso che non
prodotto del pensiero o della volont, una sottolineatura che non
conduce ad una rinuncia a una riflessione teorica su di essa, al
contrario induce a riconoscerne leggi e cause. Rivendica inoltre che si
possa parlare della coscienza secondo una modalit che non esclude
lappartenenza della immaginazione alla coscienza: la coscienza cui
Bachelard rimanda non precede o segue, sorge con limmagine stessa
che nasce da una esperienza di coesione fenomenologica, valoriz-
zazione dellemergenza di essere originario. Non necessario dun-
que pretendere che una coscienza possa fantasticare solo rinnegando
se stessa e neppure occorre vanificare la realt dellimmagine; queste
due prese di posizione esplicitano la preoccupazione che mette in
moto la riflessione di Bachelard: sottrarsi al gioco delle opposizioni
che obbligano a schierarsi per una delle due posizioni e impegnarsi a
dilatare e dialettizzare i concetti entro cui si vorrebbero vincolare i
termini della questione. Non si tratta di consegnare limmagine a una
sorta di metodo conoscitivo, ma neppure di rinunciare ad impegnarsi
in una teoria che metta in campo la genesi dellimmagine, occorre al
contrario tracciare le linee di una determinazione delle condizioni
oggettive della rverie, cos come si delinea fin dalla prima delle
opere ad essa dedicate.


2. Limmaginazione materiale

Spostandosi dallasse delloggettivazione allasse della sogget-
tivit, cos come annuncia La psicoanalisi del fuoco, si delineano
quelle valorizzazioni primitive che sono al lavoro nella rverie e che
sfidano il nostro sapere e listruzione che ci viene dalla formazione
scientifica. Le valorizzazioni primitive per Bachelard hanno come
loro cause gli elementi materiali e cio, oltre al fuoco, laria, lacqua e
la terra e le forze di immaginazione si sviluppano in due diverse
direzioni, prendono slancio di fronte alla novit vibrando per ci che
vario e inatteso oppure lavorano in profondit, andando al fondo
dellessere alla ricerca delloriginario e delleterno. Nel primo movi-

13
G. BACHELARD, La poetica della rverie, cit., p. 77 e in generale tutto il capi-
tolo secondo.

Limmagine poetica e luomo felice 247
mento, Bachelard individua la causa formale o immaginazione for-
male e nel secondo la causa materiale o immaginazione materiale.
Immaginazione materiale e formale si impongono come concetti in-
dispensabili per poter affrontare uno studio filosofico completo della
creazione poetica: Les forces imaginantes de notre esprit se dvelop-
pent sur deux axes trs diffrents. Les unes trouvent leur essor devant
la nouveaut; elles samusent du pittoresque, de la varit, de lv-
nement inattendu. Limagination quelles animent a toujours un prin-
temps dcrire. Dans la nature, loin de nous dj vivantes, elles
produisent des fleurs. Les autres forces imaginant creusent le fond de
ltre; elles veulent trouver dans ltre, la fois, le primitif et lter-
nel. Elles dominent la saison et lhistoire. Dans la nature, en nous et
hors de nous, elles produisent des germes; des germes o la forme est
enfonce dans une substance, o la forme est interne. En sexprimant
tout de suite philosophiquement, on pourrait distinguer deux imagina-
tions: une imagination qui donne vie la cause formelle et une imagi-
nation qui donne vie la cause matrielle ou, plus brivement, lima-
gination formelle et limagination matrielle
14
.
Le immagini di materia hanno una forza sostanziale, scartano le
forme effimere o le immagini di superficie, hanno un peso, hanno un
cuore. Se vero che le immagini della materia e le immagini della
forma si oppongono, pur vero che possono positivamente con-
vergere in certe opere poetiche, in modo da rendere quasi impossibile
separarle e distinguere effetti e cause: ci sono delle rverie particolar-
mente mobili liberate alle forme che conservano tuttavia densit,
lentezza, germinazione, cos come opere poetiche che penetrano la
profondit dellessere alla ricerca della permanenza della materia ep-
pur fioriscono nellesuberanza della bellezza formale. Bachelard sa
quanto seducano le forme gioiose delle variet e delle metamorfosi
dellimmaginazione formale, ma non per questo rinuncia a lavorare
sulle immagini di profondit, di intimit sostanziale dellimmagina-
zione materiale che raggiunge la radice stessa della forza immaginan-
te. I quattro elementi fuoco, acqua, aria e terra che sono anche
allorigine dellimmaginazione cosmogonica e della riflessione filo-
sofica, sono elementi di esperienze primarie che forgiano lim-
maginario, guidano le immagini dominanti. In queste brevi note non
possibile richiamare le analisi in relazione ai quattro elementi cui
Bachelard dedica specifici volumi La psychanalyse du feu (1942);

14
G. BACHELARD, Leau et les rves, Paris, Jos Corti, 1942, pp. 12.

Francesca Bonicalzi 248
Leau et les rves: Essai sur limagination de la matire (1942); Lair
et les songes: Essai sur limagination du mouvement (1943); La terre
et les rveries de la volont: Essai sur limagination des forces
(1948); La terre et les rveries du repos. Essai sur les images de
lintimit (1948) e che permeano tutta la ricca produzione dedicata
alla rverie. Ci che mi preme sottolineare il valore degli elementi
materiali: non stanno ad indicare loggetto delle immagini bens ne
sono leggi e causa. La teoria dellimmaginazione materiale permette
di sottrarre limmaginario alla sfera della evasivit irrazionale e offre
a termini come dono o grazia una contestualizzazione che per-
mette di ricondurli allinterno di una coerenza riflessiva; il proposito
di individuare i differenti tipi di immaginazione a partire dai diversi
elementi materiali trova consistenza e sviluppo fino a divenire legge
di produzione delle immagini: en effet, nous croyons possible de
fixer, dans le rgne de limagination, une loi des quatre lments qui
classe les diverses imagination matrielles suivant quelles sattachent
au feu, lair, leau ou la terre
15
.
A pi riprese Bachelard ribadisce il carattere forte della legge
degli elementi materiali quale necessit per ogni immaginazione
creatrice di riferirsi a uno dei quattro elementi come propria forza
generativa e sostiene che, anche laddove si verifica una contamina-
zione di pi elementi, comunque un elemento sempre dominante in
modo fondamentale: Nous nous sommes cru fond a parler dune loi
des quatre imaginations matrielles, loi qui attribue ncessairement (il
corsivo di Bachelard) une imagination cratrice un des quatre
lments: feu, terre, air, eau. [] La physiologie de limagination,
plus encore que son anatomie, obit la loi des quatre lments
16
.
Questa legge delle quattro immaginazioni materiali, se da un lato
riconduce a razionalit lesperienza estetica, dallaltro pur vincolando
a una materia generativa di immagini non si espone al rischio di
imbrigliare la libert creativa nel vincolo monotono di una sola ma-
teria, perch questa non immaginata nella sua inerzia, ma nel dina-
mismo speciale che sostiene la mobilit dellimmagine. Rivendicare
per ogni esperienza estetica una causa materiale (quand nous avons
commenc mditer sur la notion de beaut de la matire, nous avons
tout de suite t frapp de la carence de la cause matrielle dans la

15
Ivi, pp. 45.
16
G. BACHELARD, Lair et les songes, Paris, Jos Corti, 1943, p. 15.

Limmagine poetica e luomo felice 249
philosophie esthtique
17
) non significa imporre lobbligo di un per-
corso monolitico di chi si fissa su una materia, ma permettere di rico-
noscere che lassenza di una materia lascia alla rverie un carattere
evasivo e fuggevole, mentre occorre, perch prenda la consistenza di
unopera darte (si tratti di una poesia come di una scultura), lindivi-
duazione di una materia, la sua materia, la materia che dia la propria
sostanza, la sua propria regola e la sua specifica poetica, una mate-
ria che funzioni da buon conduttore (nellaccezione con cui lo si in-
tende come propriet di alcuni metalli) per limmaginazione perch
d continuit ad uno psichismo immaginante. Mi sembra importante
precisare che gli elementi sono al tempo stesso sostanze e forze, sono
sostanze nel senso della consistenza di essere risorse profonde che si
costituiscono come possibilit che consentono una inesauribile e va-
riata ricchezza di esplorazione e, al tempo stesso, sono forze cio
energie proiettate sulla realt, fattori di valorizzazioni, forze che
danno vita e movimento ad un intero universo, rendendolo visibile.
Limmaginazione materiale uno straordinario bisogno di penetra-
zione, non si arresta alle forme che seducono, pensa, sogna la
materia e per questo materializza limmaginario
18
. Bachelard ac-
centua questa azione vigorosa dellimmaginazione accompagnandola
con laggettivo dinamica per indicarne il movimento inarrestabile:
limmaginazione dinamica fattore di esaltazione della potenzialit
psichica, esalta la duplicit bipolare dellimmaginazione materiale e
impedisce il sopravvento del carattere inerziale o opaco della materia.
Tra le immagini dinamiche, quelle aeree in particolare, per il loro
carattere di smaterializzazione, imprimono un potenziale di ascesi e
di crescita, di verticalit, che tale, sia nella direzione dello slancio
che dellapprofondimento, verso il mistero o verso la fioritura della
realt.


3. Poetica versus elementi?

In questa riflessione sullimmaginazione materiale La poetica
dello spazio si presenta come testo di rottura che inaugura una
discontinuit non solo nei confronti delle opere epistemologiche della
maturit Lattivit razionalista della fisica contemporanea e Il

17
G. BACHELARD, Leau et les rves, cit., p. 3.
18
G. BACHELARD, Lair et les songes, cit., p. 15.

Francesca Bonicalzi 250
materialismo razionale ma anche nei confronti della produzione
dellimmaginario in quanto sembra abbandonare la rverie degli
elementi cos poderosamente attraversata in tutta la sua articolazione,
a partire dal fuoco. Quando Bachelard riprende la produzione
sullimmaginario con La poetica dello spazio nel 1957, il richiamo
agli elementi e il riferimento alla materia sembrano attenuarsi e
divenire fattori marginali: limmaginazione materiale che aveva dato
vigore alle cosiddette opere della rverie, sembra ora dover retro-
cedere per lasciar dispiegare limmaginazione in tutta la sua comples-
sit. Le immagini che dominano la poetica dello spazio trovano il
fattore di coesione non tanto in un elemento, quanto nel fattore di
protezione, nel valore dellintimit, dellinteriorit calda, della quiete,
della felicit che gli spazi, certi spazi, evocano: poetico lo spazio
che protegge lessere in quanto spalanca allinteriorit e rende
possibile lesperienza creativa. Mi sembra di poter dire che la rverie
della poetica vive secondo una genesi che non eccede, ma ricom-
prende gli elementi materiali: ci che mette in movimento e d coe-
sione alle immagini ora non solo una delle quattro materie, ma
quella concentrazione di essere che gi per gli elementi materiali era
fattore di creativit; lo spazio lo assume e si costituisce come il limite
che protegge, il benessere dellintimit, linteriorit calda e protettiva,
produttrice di quiete e felicit. Sono le immagini dello spazio felice,
sintesi e oltrepassamento degli elementi materiali, condizione e
esperienza per lessere nuovo, luomo felice: Limmagine poetica si
trova sotto il segno di un essere nuovo. Tale essere nuovo luomo
felice
19
. Lantropologia, annunciata con luomo delle ventiquattro
ore, recupera, nella dimensione della rverie degli elementi e della
poetica, la felicit come esito dellesperienza di riposo che offre
limmagine autentica, e come effetto del rapporto con lorigine, del
contatto con le matrici di vita, dellesperienza del vivere nella
materia che non staticit magmatica, ma raggiungimento della
profondit di essere, immanenza che rilancia la trascendenza nel
dinamismo dellinfinito, dellimmaginazione aperta, della trasfigura-
zione.

19
G. BACHELARD, La poetica dello spazio, cit., p. 20.

GIOVANNI COLACITTI

Note su immagine e conoscenza nel bergsonismo di G. Deleuze



Il ruolo che la nozione dimmagine gioca nella definizione di un
metodo conoscitivo, cos come lo si trova in alcuni punti in cui
lopera di Henri Bergson interseca la filosofia di Gilles Deleuze,
quanto vorremmo qui brevemente ricostruire
1
.
Allinterno dello studio dedicatogli nel 66, Deleuze definisce
lintuizione come il metodo di precisione
2
del bergsonismo. Tale
metodo consta di tre regole
3
.
Prima regola: lottare contro lillusione, ritrovare le vere
differenze di natura o le articolazioni del reale
4
. Questa prima
regola, secondo Deleuze, pone Bergson nel punto della sua vicinanza
massima con unanalisi trascendentale di tipo kantiano, quantunque
ci avvenga nelluguale direzione di movimento che comporter il
rovesciarsi della filosofia critica, la denuncia di esser essa stessa
preda di una illusione fondamentale
5
. In effetti, in maniera non
dissimile da Kant, Bergson pone il problema di una risalita al quid
iuris: cosa dato affermare, di diritto, dellattualit di fatto data entro
una percezione? Ora, il primo motivo che viene a fare la differenza
fra i due autori, che per Bergson tale problema, contrariamente a
Kant, non affatto dordine speculativo: in altri termini, la percezione
non una qualche facolt che, in accordo con altre, si andrebbe
organizzando in vista di una conoscenza di quanto le si presenta
innanzi. questo, sostiene Bergson, un postulato comune al realismo
e allidealismo, ma, appunto, un postulato che contestiamo
6
.

1
I testi di GILLES DELEUZE di cui prevalentemente ci avvarremo sono i seguenti: Il
bergsonismo e altri saggi, Torino, Einaudi, 2001 (dora in poi BE; in questopera
confluiscono, oltre al saggio principale del 1966 che d il titolo al volume, altri due
brevi interventi deleuziani su Bergson, entrambi del 56: Bergson 18591941, pp.
109125, e La concezione della differenza in Bergson, pp. 126159); Cinema 1.
Limmagine-movimento, Milano, Ubulibri, 1984 (dora in poi IM); Differenza e
ripetizione, Milano, Cortina, 1997 (dora in poi DR); Logica del senso, Milano,
Feltrinelli, 2005 (dora in poi LS).
2
BE, p. 3.
3
In questa sede ne verranno presentate solo due.
4
Ivi, p. 11.
5
Cfr. Ivi, pp. 1012 e 125.
6
H. BERGSON, Materia e memoria, a c. di A. Pessina, Bari, Laterza, 2001, p. 22.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 251-265 251
Giovanni Colacitti 252

E dunque, dal momento che ci si riferiti ad unaccezione
conoscitiva presente nella nozione di immagine cos come la vedremo
utilizzata dalla coppia DeleuzeBergson, occorrer chiarire che in
alcun modo per conoscenza sintende una qualche ricognizione
intellettuale compiuta da un soggetto nellatto di rappresentarsi gli
oggetti di cui sar possibile egli faccia esperienza.
Lillusione contro cui lottare per ritrovare le articolazioni del reale
consiste per lesattezza nel credere che la percezione cosciente sia per
natura differente dal percepito
7
, e che in quanto tale lo condizioni,
lo determini o, come vorranno i postkantiani, addirittura lo costi-
tuisca. Ma cos enunciata, lillusione rivela desser spaccata in due:
per met naturale e per met filosofica
8
. Come negare infatti levi-
denza secondo cui percepiamo noi stessi come distinti e separati da
ogni altra percezione che abbiamo? E percepiamo le cose distribuite
nello spazio come distinte le une dalle altre? E ancora, allorch si
congiungono, come distinte da ci che erano prima dincontrarsi
(lacqua e lo zucchero; lacqua zuccherata)?
9
In questo senso, lil-
lusione pi che giustificata, poich deriva dal fatto che noi stessi e,
assieme, gli oggetti che si danno alla nostra percezione, siamo en-
trambi dei prodotti, dei misti situati allincrocio di tendenze fra loro
diverse: non siamo alcunch, risultiamo essere qualcosa.
Ci che appare ingiustificabile, e capzioso, il raddoppiamento di
tale illusione da parte di un pensiero filosofico che, da Kant in poi, si
vuole, e con ragione, trascendentale, vale a dire teso alla scoperta
delle terrestri linee inesplorate seguendo le quali il campo del-
lesperienza si costituisce, e che dunque non pu accordare di diritto
alcun privilegio a qualsivoglia dato gi presente di fatto in tale campo
(nello specifico, gli atti empirici di una coscienza psicologica
10
),
non perlomeno senza snaturare il problema e accontentarsi di con-
cepire la condizione a immagine di ci che avrebbe dovuto con-
dizionare, e concepirla dunque come semplice forma di possibilit di
ci che
11
. Perci stesso, se una prima volta lintuizione come me-

7
Cfr. BE, p. 14.
8
Sulla doppia faccia dei postulati del pensiero dogmatico, cfr. DR, pp. 169217.
9
Cfr. BE, p. 14.
10
DR, p. 177.
11
Cfr. BE, pp. 1618 e 133; LS, pp. 2428 e 89101. il tema polemico
costante di pressoch tutta lopera deleuziana, che per lappunto pu esser letta come
il tentativo di costruire un campo trascendentale altro da quello instaurato della
filosofia critica prima e dalla fenomenologia poi. Ma anche pi generalmente, sia
Immagine e conoscenza in Deleuze 253
todo chiamata a suscitare il problema di una conoscenza delle cose
altra da quella ordinariamente intesa
12
, una seconda volta viene
scagliata a superare le condizioni empiriche del suo esercizio, a
oltrepassare la curva dellesperienza
13
non gi nel senso di un
allargamento in direzione del possibile, bens in quello dun affinarsi
nel tessuto del reale, in direzione di ci che fa s che ci che
differisca, e sia questo piuttosto che quello, e prima questo e poi
questaltro
14
. proprio in virt del fatto che ci che , il dato, risulta
essere un prodotto o un misto, che lintuizione non pu limitarsi a
coglierlo nello stato medio del suo condizionamento attuale, ma deve
far ritorno ai princpi immanenti della sua produzione: in effetti,
la relazione filosofica, che ci pone allinterno delle cose invece di
lasciarci allesterno di esse, restaurata dalla filosofia piuttosto che
instaurata, ritrovata piuttosto che inventata. Siamo separati dalle cose,
il dato immediato non dunque immediatamente dato []. Ritro-
viamo limmediato perch dobbiamo ritornare indietro per trovarlo.
In filosofia la prima volta gi la seconda, questa la nozione di
fondamento
15
. Va da s che il tono di questo testo deleuziano
letteralmente impersonale: non siamo pi separati dalle cose di
quanto lo siamo dalla cosa che ognuno di noi , o sente poter credere
di voler divenire.
Da tale punto di vista, appare vano oltre che illegittimo rin-

detto per inciso, il punto di vista da cui Deleuze sembra guardare i sistemi filosofici
con i quali si confronta, il punto di domanda pi ampio che interpone tra s e ogni
autore di cui si occupa: che tipo di piano noetico si sta istallando? di quali materie e
pezzi si compone? cosa lascia e non lascia passare?.
12
Cfr. Ivi, pp. 110111: Ci che in questione [] lorientamento generale
della filosofia, perch non basta dire che essa allorigine delle scienze e che stata
la loro madre: ora che sono adulte e ben costituite, bisogna chiedersi perch la
filosofia esiste ancora e in che cosa la scienza da sola non sufficiente. La filosofia
ha sempre risposto in due modi a questa domanda, probabilmente perch sono solo
due le risposte possibili: una volta stabilito che la scienza ci d una conoscenza delle
cose [], la filosofia pu smettere di rivaleggiare con la scienza, pu lasciare le cose
e porsi semplicemente in maniera critica come una riflessione sulla conoscenza che
ne abbiamo. Oppure, al contrario, la filosofia pretende dinstaurare [] unaltra rela-
zione con le cose, quindi unaltra conoscenza, conoscenza e relazione che proprio la
scienza ci occultava [], permettendoci soltanto di concludere e inferire senza mai
presentarci e darci la cosa in se stessa. in questa seconda via che Bergson
simpegna, ripudiando le filosofie critiche.
13
Ivi, p. 16.
14
Ivi, pp. 14 e 113.
15
Ivi, pp. 111112.
Giovanni Colacitti 254

tracciare una qualche eminenza nel dominio degli enti, distinguendo
ad esempio un soggetto da un oggetto: si ha ugualmente a che fare
con un esserci determinato come prodotto residuale o resto di un
processo dinamico, come la canto di una differente macchinazione
16
.
Ma qual allora questo processo? E perch utilizzare il termine
macchinazione, cos affine in apparenza a quel meccanicismo tanto
criticato da Bergson stesso? Dove infine la nozione dimmagine
riveste in tutto ci un ruolo?
Sono famosi i dualismi bergsoniani []. In ultima istanza, essi si
riducono alla distinzione, che ritroviamo sempre, tra la materia e la
durata. Materia e durata non vengono mai distinte come due cose, ma
come due movimenti, due tendenze, come la distensione e la
contrazione
17
. Deleuze sottolinea di frequente come, pur nella ra-
dicale diversit dei risultati cui perviene, lindagine bergsoniana si
giovi a un doppio livello duna decisa ispirazione platonica. Da un
lato, essa pretende di rimontare a delle pure essenze in grado di
render ragione dei composti esistenti in natura; dallaltro, per
sezionare la trama di tali aggregati, si serve di un metodo di divisione:
lossessione del puro in Bergson, dovuta al tentativo di restaurare
le differenze di natura. Solo ci che differisce in natura pu dirsi
puro, ma solo delle tendenze possono differire in natura. Si tratta
quindi di dividere il misto secondo tendenze qualitative [], cio in
base al modo in cui esso organizza la durata e lestensione
18
.
Che cos una differenza di natura? Si pu procedere al modo di
una teologia negativa, a patto che la finzione duri poco: non la
differenza empirica fra due cose, fossero anche queste le pi dissimili
per genere e propriet; non nemmeno la differenza predicativa tra
due concetti, quandanche questa si spingesse sino ai limiti del-
lopposizione logica o nellillimitato della contraddizione dialettica;
non infine la differenza fra un concetto e i propri oggetti, neppure
allorch la comprensione del primo tale da garantirgli unestensione
infinita sui secondi
19
. Non dunque differenza individuale, ovvero
diversit fuori dal concetto; e nemmeno differenza specifica (A non
B) o storicospirituale (A non nonA), vale a dire nonidentit
allinterno del concetto; e neanche differenza logica tra il concetto ed

16
Cfr. G. DELEUZE F. GUATTARI, LantiEdipo. Capitalismo e schizofrenia,
Torino, Einaudi, 2000, pp. 324.
17
BE, pp. 11 e 116117.
18
BE, p. 12.
19
Cfr. DR, pp. 4352 e 6171.
Immagine e conoscenza in Deleuze 255
il suo oggetto, cio attualit esistente fuori dal concetto retrocessa a
forma di possibilit nel concetto
20
. In realt, la finzione di una teo-
logia negativa della Differenza, si rovescia necessariamente nella
verit secondo cui ogni negazione, ogni lavoro del negativo, possiede
per natura una funzione teologica nefasta per la filosofia e per la vita.
Di modo che la differenza di natura, per Deleuze e Bergson, meno
una differenza concettuale che non piuttosto loggetto o la direzione
di unaffermazione nel concetto; meno lennesima sussunzione
dellesistenza e del tempo nellordine rappresentativo del concetto,
che non piuttosto la dissoluzione anarchica di tale ordine implicata
nella natura della Differenza
21
. Non ci si meraviglier del fatto che
Deleuze annoveri Bergson tra i fautori di un empirismo filosofico fra
i pi radicali
22
, poich ci che qui in questione, non davvero un
qualche passaggio verticale della vita nel pensiero, bens un proce-
dere al primo sguardo pi sommesso, frugale, per sole linee oriz-
zontali: un passo per la vita, un passo per il pensiero. I modi di vive-
re ispirano modi di pensare, modi di pensiero producono modi di vi-
vere. La vita attiva il pensiero e il pensiero a sua volta afferma la vi-
ta
23
.
Dunque processo macchinico, immagini e differenze di natura
sono i termini fra i quali muoversi. Per farlo, ci occorre migrare nei
due testi deleuziani dedicati al cinema, testi attraversati dal berg-
sonismo come da un basso costante, che di tanto in tanto erompe in
aree di coincidenza con quanto andiamo cercando
24
. Dobbiamo per
render brevemente conto del carattere assunto dalloperazione che si
desidera compiere. I due volumi sul cinema, apparsi tra il 1983 e il
1985, hanno destato, nel campo degli appassionati e degli addetti ai
lavori, una mole di suggestioni, stimoli e riflessioni: effetti che, a
tuttoggi, essi continuano a produrre, e segno sicuro, questo, del loro
valore specifico, di attinenza creatrice al tema trattato
25
. Ora, in
questa sede, intendiamo per cos dire sottrarre da tale opera il

20
Cfr. BE, p. 123.
21
Cfr. DR, pp. 3941 e 7194.
22
Cfr. BE, pp. 125 e 133.
23
G. DELEUZE, Nietzsche, Verona, Bertani, 1973, p. 23.
24
I nostri riferimenti si limiteranno a IM: cap. I. Tesi sul movimento, pp. 1324;
cap. IV. Limmaginemovimento e le sue tre variet, pp. 7490.
25
Cfr. R. DE GAETANO, Il cinema secondo Gilles Deleuze, Roma, Bulzoni, 1996;
R. DE GAETANO (ed.), La visione e il concetto, Roma, Bulzoni, 1998, parte III, pp.
163232.
Giovanni Colacitti 256

cinema dei film che sono stati fatti, e trattenere il cinema come
processo del reale, come procedimento della realt nellatto di com-
piersi
26
.
Per un istante fingeremo di non conoscere niente delle teorie
della materia e delle teorie dello spirito []. Eccomi dunque in pre-
senza di immagini, nel senso pi vago [], immagini percepite quan-
do apro i miei sensi, non percepite quando li chiudo
27
. Cosa assicura
che non sia lintelligenza, bens lintuizione, a prender qui la parola?
Se si provasse a indicare la prerogativa dellintelletto umano, ci in
vista di cui orienta i propri atti, non parrebbe insensato affermare co-
me essa consista in una tensione alla veridica risolubilit dei problemi
che la stessa intelligenza pone, o si trova in ogni caso ad affrontare.
Che altro sono le teorie circa la realt delle cose e dello spirito di cui
parla Bergson, se non intellezioni deliberative concernenti il pro-
blema dei rapporti che intercorrono tra luniverso materiale e le sue
rappresentazioni in un soggetto cosciente? Ci non significa che lin-
tuizione come metodo abdichi dalla solvenza delle questioni proposte
dallesperienza, ma che, rispetto allintelligenza, risulta differente la
relazione intrattenuta con i punti di domanda che in esse si agitano.
Se ora si traduce quanto detto nei termini della pratica filosofica
bergsoniana, tale distinzione assume tutto il suo senso: Bergson non
si chiede secondo quale risoluzione queste immagini percepite si ri-
presentano entro ununit appercettiva privilegiata e supposta altra
per natura dalle prime, come vorrebbe lidealista; e nemmeno per
quale decodifica o trascrizione neurologica esse possano essere sle-
gate dalla propria natura dimmagini e venir poi reintrodotte in una
struttura cerebrale, come pretende il realismo materialista. Qual
lerrore di entrambi, secondo Bergson? Quello di supporre lesistenza
di sistemi chiusi, autosufficienti pur nella relazione con quanto li
circonda e affetta: ci si rappresenta la sostanza grigia e le sue
modificazioni come delle cose che basterebbero a se stesse, e che
potrebbero isolarsi dal resto delluniverso []. Si presume che siano
degli stati del nostro sistema nervoso ci che la percezione delinea o
traduce. Ma [] la finzione di un oggetto isolato, non implica una
specie di assurdit?
28
. Ad esser precisi, due volte unassurdit. Lo
parzialmente, di fatto, nei riguardi del vivente: perch, sebbene esso

26
Cfr. IM p. 78: luniverso come cinema in s.
27
H. BERGSON, Materia e memoria, cit., p. 13.
28
Ivi, pp. 1819.
Immagine e conoscenza in Deleuze 257
scaturisca da una coordinazione organica auto-centrata degli elementi
di cui si compone, come concepire lorganismo [] senza latmo-
sfera in cui respira, senza la terra che immersa in questatmosfera,
senza il sole attorno cui la terra gravita?
29
. Ma lo una seconda
volta e completamente, di diritto, poich una risalita alle condizioni
dellesperienza, che gi di per s dovrebbe poter fare a meno di un
qualche modello, in quanto anche e soprattutto secondo tale rispetto
che essa differisce dal senso comune, men che meno pu erigere a
proprio modello un duplicato, impalpabile finch si vuole, dello stato
di cose attualmente in essere: le quali cose, innegabilmente tendono a
rigirare ed ispessirsi attorno a qualcosa come ad un proprio nocciolo,
ma nondimeno, solo a voler cercare lesperienza alla sua fonte, o
piuttosto al di sopra di quella svolta decisiva in cui, flettendosi nel
senso della nostra utilit, diviene propriamente lesperienza
umana
30
, si aprono a ben altri trasporti, si rivelano traversate da ben
diverse tendenze, che compartecipano originalmente alla costituzione
reale del dato, e non gi limitatamente al vivente, ma in direzione
dellinorganico, del molecolare, dellinteratomico e oltre.
In realt, nel prefisso Re che abita linganno proprio della rap-
presentazione (repraesentatio), linganno cio di presentarsi seconda
nominalmente ma prima in essenza (idealismo), oppure seconda
generativamente ma comprimaria quanto a sussistenza (realismo): in
ogni caso si procede con sequenze anche molto ravvicinate di fermo
immagini, si provvede a render nuovamente presente. La rap-
presentazione per natura ricognitiva, si limita a ricostituire nel pen-
siero quello stesso misto attualmente presente nelle cose, com-
pletando la rescissione dei pochi fili che ancora lo collegano al resto
delluniverso, e concependo cos il diritto come semplice ricon-
solidamento del fatto. Ma tutto ci non avviene gratuitamente, va-
cante, alle spalle, duna volizione: a cagione dei suoi scopi che lin-
telligenza merita lappellativo di Ragione, poich essa, per fregiarsi
del titolo di conoscenza, ha per l'appunto necessit di addome-
sticare le cose tra le quali si dispone, ed in vista di un averne ra-
gione che le raduna e riorganizza. La ragione vigila, ed da sempre
la sua insonnia a produrre le oscenit che ammorbano la terra.
Quel che si domanda allintuizione non dunque un qualche
scampolo di romantica genialit, ma la modesta caduta del prefisso,

29
Ibidem.
30
Ivi, p. 155.
Giovanni Colacitti 258

una relazione filosofica, cio nonconoscitiva, con le cose, una loro
apparizione indomita che sia in grado di mostrare i movimenti o le
presenze pure che in esse trovano compimento
31
. E non pare
conveniente scorgere delle contraddizioni laddove non sussistono:
infatti del tutto coerente concepire lincontro con delle pure presenze
come un ritorno, un ritrovamento, o come la restaurazione di un
rapporto, dal momento che esso si svolge nel senso rigoroso di un
ripristino di quanto la percezione naturale ed il modello della
rappresentazione occultano. a causa del misto impuro che noi stessi
siamo che ci impossibile trovare immediatamente le tendenze
secondo cui diveniamo senza prima abbandonare o perdere la forma
specificatamente umana attraverso cui mediamo le relazioni che
sinstaurano senza posa nelluniverso.
Eccomi dunque in presenza dimmagini: Bergson comincia col
portare alle sue estreme conseguenze la prima delle due tendenze che
si presentano a questo operatore che piazza dinnanzi al flusso
percettivo, la tendenzamateria. Per farlo, sviluppa alcune tesi sul
movimento, la prima delle quali afferma che il movimento non si
confonde con lo spazio percorso, e che esistono almeno due maniere
per dar luogo a tale confusione
32
e smarrire cos il movimento stesso.
La formula generale della conversione la seguente: si scompone il
movimento in prolungamenti seriali di posizioni nello spazio, o di
sezioni immobili infinitamente ravvicinabili, e le si inanella lungo un
tempo meccanico, omogeneo, universale e ricalcato dallo spazio, lo
stesso per tutti i movimenti
33
, grazie al quale troverebbero svol-
gimento. Le due inflessioni che tale formula suscettibile di as-
sumere sono quella, classica, della conoscenza rappresentativa antica,
e quella compiutamente scientifica, della rappresentazione moderna:

Per lantichit, il movimento rinvia a degli elementi intelligibili, Forme o
Idee [] eterne ed immobili. Certo, per ricostruire il movimento, si
coglieranno tali forme nel momento pi prossimo alla loro attualizzazione in
una materiaflusso. Sono potenzialit che passano allatto solo incarnandosi
nella materia. Ma, inversamente, il movimento non fa che esprimere una
dialettica delle forme, una sintesi ideale che gli d ordine e misura. Il
movimento cos concepito sar dunque il passaggio regolato da una forma a
unaltra, cio un ordine delle pose o degli istanti privilegiati, come in una
danza []. La rivoluzione scientifica moderna consistita nel ricondurre il

31
Cfr. BE, p. 12.
32
Cfr. IM, pp. 1320.
33
Ivi, p. 13.
Immagine e conoscenza in Deleuze 259
movimento allistante qualsiasi []: non lo si ricomponeva pi a partire da
elementi formali trascendenti (pose), ma a partire da elementi materiali
immanenti (sezioni)
34
.

Se dunque nei corpi e nelle cose che il movimento tende a rin-
chiudersi, e se la rappresentazione ad apporvi dallinterno i sigilli
che conchiudono tale processo arrestandolo del tutto, non tarda a ri-
lucere il nitore della via che Bergson imbocca per ritrovare il mo-
vimento: per noi la materia un insieme dimmagini. E per im-
magine intendiamo una certa esistenza che pi di ci che lidealista
chiama una rappresentazione, ma meno di ci che il realista chiama
una cosa: unesistenza situata a met strada tra la cosa e la rap-
presentazione
35
.
Fender le cose, fender le parole
36
: lintuizione come metodo di
ritrovamento del movimento reale, ha dunque come portato quello di
condurre a postulare una identit anomala tra materia e immagine. Ma
in filosofia, i postulati perdono dun colpo il fastidio e limbarazzo
che solitamente provocano, non appena cessano di modellare equi-
vocamente quanto intendono affermare di diritto sul calco (elevato a
eminenza) di ci di cui pretendono render ragione di fatto, e, so-
prattutto, non allorch vengono proposti o dati perch si presuppone
valgano, bens dal momento che si accetta daffidarne leventuale
valore a quanto essi riusciranno a dare in termini di novit e interesse,
o come ama dire Deleuze, a misura di ci che di nobile e inedito
hanno la forza di far passare. Ad esempio, altro il postulato cristiano
dellesistenza di Dio prima e dopo del mondo, altro il postulato
proustiano dellesistenza dei Renoir nel mondo: passano signore
nella via, diverse da quelle di prima, perch ora sono altrettanti
Renoir, quei Renoir in cui ci rifiutavamo un tempo di riconoscere
delle donne. E anche le carrozze sono dei Renoir, e lacqua e il
cielo
37
. Lidentit postulata dellimmagine e della materia, del-
limmaginemovimento e della materia
38
, rivela, meglio dogni altra
cosa, di quanto Bergson sopravanzi Husserl e la sua scuola: fra i due,
il primo a fare della pura fenomenologia, senza sospensione alcuna,
senza che insomma i vissuti e le cose tornino ad inselvatichirsi solo

34
Ivi, p. 16.
35
H. BERGSON, Materia e memoria, cit., p. 5.
36
G. DELEUZE, Foucault, Napoli, Cronopio, 2002, pp. 7475.
37
M. PROUST, Alla ricerca del tempo perduto, cit. in G. DELEUZE, Marcel Proust
e i segni, Torino, Einaudi, 2001, p. 142.
38
IM. p. 77.
Giovanni Colacitti 260

per spettacolo di una coscienza intatta e rintanata nel proprio buco
(epoch)
39
.
tale lammirazione che Deleuze nutre per il primo capitolo di
Materia e memoria
40
, che crediamo di poter affermare che egli,
allinterno de Limmaginemovimento, tenti addirittura di riscriverlo,
e ci riesca, con gli impareggiabili effetti della propria attinenza
creatrice.

Ci troviamo davanti allesposizione di un mondo in cui Immagine = Movi-
mento. Chiamiamo Immagine linsieme di ci che appare. Non si pu nem-
meno dire che unimmagine agisca su unaltra o reagisca a un'altra. Non c
mobile che si distingua dal movimento eseguito, non c mosso che si
distingua dal movimento ricevuto. Tutte le cose, cio tutte le immagini si
confondono con le loro azioni e reazioni: la variazione universale. Ogni
immagine non che una via sulla quale passano in tutti i sensi le modi-
ficazioni che si propagano nellimmensit delluniverso []. Un atomo un
immagine che va sin dove vanno le sue azioni e reazioni. Il corpo unim-
magine, un insieme di azioni e reazioni. Il mio occhio, il mio cervello, sono
delle immagini, parti del mio corpo. In che modo questo mio cervello conter-
rebbe le immagini, dato che anchesso unimmagine fra le altre? [] In che
modo le immagini sono nella mia coscienza, dato che io stesso sono im-
magine, cio movimento? E anche, mi possibile a questo livello parlare di
io, di occhio, di cervello e di corpo? Ci avviene per semplice comodit,
poich niente si lascia ancora identificare cos. Sarebbe piuttosto uno stato
gassoso []. Mi forse possibile parlare finanche di atomi? Essi non si
distinguono dai mondi, dalle influenze interatomiche. uno stato troppo cal-
do della materia [], un mondo di variazione universale, di ondulazione
universale, di sciabordio universale: non vi sono n assi, n centro, n destra
n sinistra, n alto n basso
41

Dun tratto, sintuisce il modularsi in fieri di quella diversa ripar-
tizione dellempirico e del trascendentale che Deleuze insegue sin dai
suoi esordi filosofici: al di fuori e prima dogni percezione soggettiva
o privata, la cosa gi in s Fenomeno, Erscheinung, apparire che
non per nessun occhio, esteriorit, movimento e variazione,
prensione totale oggettiva
42
. Via Bergson, Deleuze sta tracciando e
facendo passare il campo trascendentale lungo la sottile strettoia
costituita di fatto da questa pellicola o spalmo di superficie che insiste

39
Cfr. a riguardo IM, pp. 7476; e LS, pp. 8993.
40
Cfr. anche G. DELEUZE F. GUATTARI, Che cos la filosofia, Torino, Einaudi,
1996, pp. 3538.
41
IM, pp. 7677 (le frasi comprese tra virgolette alte corrispondo a citazioni
deleuziane di Materia e memoria ).
42
Ivi, p. 83.
Immagine e conoscenza in Deleuze 261
a met strada tra la cosa e la rappresentazione: rappresentazione e
cosa che nondimeno divengono, di diritto, le due met entro cui tale
intermezzo, tale sciabordio che impazza e scorre trasversalmente a
entrambe, ricade nellempirico.

la verit che i movimenti sono chiarissimi in quanto immagini, e non c
motivo di cercare nel movimento altro da quanto vi si vede []. Questo
insieme infinito di tutte le immagini costituisce una sorta di piano
dimmanenza. Limmagine esiste in s, su questo piano []. Dite che il mio
corpo materia, o dite che esso immagine...: limmaginemovimento e la
materiaflusso sono rigorosamente la stessa cosa. Questo universo materiale
forse quello del meccanicismo? No, poich [] un meccanismo implica dei
sistemi chiusi, delle azioni di contatto, delle sezioni immobili istantanee. Ed
appunto in questo universo o su questo piano che si tagliano dei sistemi
chiusi, degli insiemi finiti; esso li rende possibili [], ma non n un
sistema, n un insieme, un insieme infinito: [] il movimento (la faccia
del movimento) che si stabilisce tra le parti di ogni sistema e da un sistema
allaltro, li attraversa tutti, li mescola, e li sottomette alla condizione che
impedisce loro di essere assolutamente chiusi. Quindi una sezione mobile
[]. Non meccanicismo, macchinismo. Luniverso materiale, il piano
dimmanenza il concatenamento macchinico delle immaginimovimento
[], un metacinema
43

Facciamo brevemente ritorno a quanto andava dicendosi circa la
natura dei postulati filosofici. Verso la fine dellOttocento, ci si trova
davanti un arco spaziotemporale variegato e ricco sotto molteplici
rispetti (sociali, tecnici, percettivi, artistici, critici, etc.), sui bordi del
quale una sezione trascendentale immanente viene ritagliando a zig-
zag, viene tracciando il proprio diagramma secante alcune singolarit
notevoli: geografiche (Parigi, il Caf Guerbois; la Grenouillre;
Rouen), pragmatiche (la Societ anonima degli artisti; latelier di
Nadar), pittoriche (pennellate rapide; tinte soffici, luminose; figure
che sono gi vapori o vibrazioni cromatiche). La domanda : per quel
che concerne il postulato proustiano, da che parte ricade la finzione, o
meglio in quale met risiedono linganno e la miopia, dalla parte del
pittore Auguste Renoir o da quella dellintenditore Louis Leroy?
44
E,
pur senza riceverne limpressione di uno sciocco determinismo, non
forse il caso di avvicinare alle prime, nuove singolarit di natura
diversa, materiche e scientifiche, e che tuttavia sembrano dar vita,
assieme alle altre, a delle misteriose assonanze (la teoria del campo
elettromagnetico di Maxwell; lidentit hertziana di onde luminose ed

43
Ivi, pp. 7778.
44
Inventore, con intento dispregiativo, del termine impressionismo.
Giovanni Colacitti 262

onde elettromagnetiche; la geometria differenziale e la teoria mate-
matica delle molteplicit di Riemann, che tanta importanza rive-
stiranno in Bergson per lelaborazione del concetto di virtuale)? Del
resto noto come Proust non amasse granch le metafore e le ana-
logie.
Il postulato bergsoniano di unidentit assoluta fra la materia
movimento e limmagine, partecipa pienamente della regola deleu-
ziana relativa alle grandi costruzioni filosofiche, secondo la quale non
si giunge a un qualche tipo di verit se non passando per delle
finzioni necessarie. Difatti:

come parlare di un Apparire dato che non c nemmeno occhio? Almeno per
due ragioni: la prima per distinguere [le immagini] dalle cose concepite
come corpi [], per distinguerle da tutto ci che ancora non sono. Tuttavia,
questa ragione negativa non sufficiente. La ragione positiva che il piano
dimmanenza interamente Luce. Linsieme dei movimenti, delle azioni e
delle reazioni, luce che diffonde, che si propaga (senza resistenza n
dispersione). Lidentit dellimmagine e del movimento ha per ragione
lidentit della materia e della luce. Limmagine movimento come la ma-
teria luce []. Nell immaginemovimento non vi sono ancora corpi o li-
nee rigide, ma nientaltro che linee o figure di luce. I blocchi di spaziotempo
sono tali figure. Sono immagini in s. Se esse non appaiono a qualcuno, cio
a un occhio, ci avviene perch la luce non ancora n riflessa n ferma [].
In altri termini, locchio nelle cose, proprio nelle stesse immagini luminose
[]. Vi in ci una rottura con tutta la tradizione filosofica, che poneva la
luce piuttosto dalla parte dello spirito, e faceva della coscienza un fascio lu-
minoso che traeva le cose dalla loro nativa oscurit. La fenomenologia par-
tecipava pienamente di questa tradizione antica; solo che invece di fare della
luce una luce dinterno, lapriva sullesterno, un po come se lintenzionalit
della coscienza fosse il raggio di una lampada elettrica (ogni coscienza
coscienza di qualche cosa...). Per Bergson tutto lopposto []: ogni co-
scienza qualche cosa; non la coscienza a essere luce, piuttosto linsieme
delle immagini, o la luce, a essere coscienza, immanente alla materia
45

Tra la natura della percezione e la natura del percepito non potr
dunque passare che una differenza di grado.
Seconda regola: porre e risolvere i problemi in funzione del
tempo piuttosto che dello spazio
46
. Questa regola permette di chia-
rire definitivamente la natura del postulato che Bergson denunciava
come illegittimo e comune tanto allidealismo quanto al realismo; e al
contempo, malgrado le ambiguit terminologiche cui si accennato,

45
IM, pp. 7880.
46
BE, p. 21.
Immagine e conoscenza in Deleuze 263
riaffermare la giustezza di quanto si deciso di chiamare accezione
conoscitiva del concetto di immagine. Il postulato, lo ricordiamo, si
enunciava nel modo seguente: la percezione ha un interesse total-
mente speculativo, pura conoscenza
47
. Ora, pur essendo noi nelle
sue estreme prossimit, non abbiamo tuttavia ancora sostituito a un
tale enunciato la controformula che il metodo bergsoniano scopre e,
polemicamente, gli oppone. Qual dunque il reale interesse della
percezione, vale a dire delle percezioni di fatto, delle coscienze che di
fatto si costituiscono sul piano delle immaginimovimento o della
materialuce (poich ci occorso vedere come di diritto tale
percezione sia piuttosto un puro inconscio impersonale ed oggettivo,
indiscernibile da un lucore propagativo di particelleonde)?
Per soddisfare tale domanda, ci assolutamente impedito in-
trodurre nel piano un fattore di altra natura. Allora, quel che pu
succedere, questo: in un punto qualsiasi del piano appare un
intervallo, uno scarto tra lazione e la reazione []. evidente che
questo [] possibile solo nella misura in cui il piano della materia
comporta del tempo
48
. Si rammenter la prima tesi proposta da
Bergson: il movimento non si confonde con le posizioni successive
dello spazio percorso, vale a dire con gli istanti di un tempo omo-
geneo, cronologico o cronometrico, concepito in funzione dello spa-
zio di cui chiamato a costituire ogni volta lunit di misura. Si com-
prende dunque che lintervallo, come elemento di novit che fa la sua
comparsa sul piano, non pu che essere il portato di questa tesi, vale a
dire un risultato o uno speciale effetto del protrarsi della materia
movimento. Che si avvicinino allinfinito due istanti cronologici o li
si allontani indefinitamente, lintervallo cadr, accadr sempre tra i
due termini della prima coppia, poich gli differente per natura, e
sempre fuori da quelli della seconda, per lidentica ragione.
Ciononostante, come evitare di dar limpressione che le parole
corrano allingorgo: in quale senso pu esistere una certa tem-
poralit che differisce per natura dal tempo cronologico, proprio in
quanto non di natura differente dal piano della materiamovimento,
piano che abbiamo visto non essere altro che una delle tendenze, dif-
ferenti per natura, che insistono nel dato attuale? E laltra tendenza,
laltra presenza pura, non era definita da Bergson appunto come
durata? Ci accorgiamo allora per quale verso, pur senza ricorrere

47
H. BERGSON, Materia e memoria, cit., p. 22.
48
IM, p. 80.
Giovanni Colacitti 264

minimamente a procedimenti dialettici, il bergsonismo giunger a
ricomporre tutte i dualismi di cui si serve. la seconda regola a
fornirci il senso, poich lintuizione come metodo consisteva sin
dallinizio nel pensare in termini di durata
49
. Era gi vero allorch
Bergson affermava che il movimento non si confonde n con porzioni
spaziali n con posture formali; e ancor pi quando ne Levoluzione
creatrice, dava a quella tesi il suo seguito: non solo limmagine
movimento non assimilabile ad un corpo che si sposta nello spazio,
ma, non cessando di variare in s, non smette di cambiare nel tempo,
si arricchisce continuamente della propria durata: fa, per cos dire,
valanga con se medesima
50
.
In entrambi i casi, egli non esigeva che di rifiutare al pensiero, in
nome della conoscenza, il diritto di sottrarre alle cose il movimento
che incessantemente le modula, cio il diritto di farne scivolar via la
vita. Rimontando al piano dimmanenza, lintuizione non faceva altro
che percorrere in senso inverso la via che la materialuce segue
attualizzandosi nellestensione e nei corpi, laddove non presenta pi
che differenze di grado. Ma risaliva questo cammino solo pensando in
termini di durata, cio pensando allalterazione diversamente che
come ad un accidente che capita a ci che , perch tutte le
caratteristiche [indicate da Bergson] riconducono a questo: la durata
ci che differisce o che cambia natura, la qualit, leterogeneit, ci
che differisce da s
51
. La durata come tendenza, non solo unaltra
tendenza, ma la tendenza altra per natura, la natura stessa della
differenza, e come tale, dice Deleuze, custodisce il segreto di ci da
cui differisce per natura, ovvero della materia: non ci sono quindi
differenze di natura fra due tendenze, ma differenze fra delle
differenze di natura che corrispondono a una tendenza, e differenze di
grado che rinviano allaltra tendenza []. La durata il grado pi
contratto della materia, e questultima il grado pi disteso della durata
[]. Le differenze di grado costituiscono il grado pi basso della
Differenza; le differenze di natura la pi alta natura della
Differenza
52
. Lidentit di immagine e movimento ha dunque per ra-
gione quella di materia e luce, ma ha come segreto il ritrovamento
intuitivo della differenza, cio dellidentit di tempo e vita.

49
BE, p. 21.
50
H. BERGSON, Levoluzione creatrice, a c. di P. Serini, Milano, Mondadori,
1938, p. 83. Cfr. inoltre IM, p. 20.
51
BE, p. 115.
52
Ivi, pp. 8283.
Immagine e conoscenza in Deleuze 265
Quel che si lascia osservare sul piano, nellintervallo tra azione e
reazione, presto detto: non , nei fatti, la percezione ad essere cono-
scenza, bens la conoscenza a essere pura percezione, cio percezione
intuitiva di come la percezione empirica non sia affatto conoscenza
bens percezione di percezione
53
, ovvero principio dazione. Ma
non perverremmo a un tale diritto se, nel piano, approfittando di tale
intervallo, non erompesse un evento discreto e tuttavia discriminante,
la nascita del vivente:

lintervallo baster a definire un tipo dimmagini fra le altre, ma molto
particolari: immagine o materie viventi. Mentre le altre immagini agiscono e
reagiscono su tutte le loro facce e in tutte le loro parti, ecco delle immagini
che ricevono delle azioni solo su una faccia e in certe parti, e producono delle
reazioni solo attraverso e in altre parti []; la loro faccia, che si chiamer pi
tardi recettiva o sensoriale, ha un curioso effetto sulle immagini influenti o le
eccitazioni ricevute: quasi come se essa ne isolasse alcune fra tutte quelle
che concorrono e coagiscono nelluniverso. Ed allora che dei sistemi chiusi,
dei quadri potranno costituirsi. Gli esseri viventi si lasceranno in qualche
modo attraversare, fra tutte le azioni esterne, solo da quelle che sono loro
indifferenti; la altre, isolate, diventeranno percezioni a causa del loro stesso
isolamento []. In quanto devono tale privilegio al solo fenomeno dello
scarto o dellintervallo [], le immagini viventi saranno dei centri
dindeterminazione che si formano nelluniverso acentrato delle immagini-
movimento. E se si considera [] laspetto luminoso del piano di materia, si
dir che le immagini o materie viventi forniscono lo schermo nero che
mancava alla lastra e impediva allimmagine influente (la foto) di rivelarsi
[]. Ne deriva una conseguenza essenziale: lesistenza di un doppio sistema,
di un doppio regime di riferimento delle immagini. C anzitutto un sistema
in cui ogni immagine varia per se stessa [], ma vi se ne aggiunge un altro
[] in cui tutte variano essenzialmente per una sola. [] La cosa e la
percezione della cosa sono una sola e stessa cosa, una sola e stessa immagine,
ma rapportata alluno o allaltro dei due sistemi []. Noi percepiamo la cosa,
meno ci che non interessa i nostri bisogni []. Se il mondo sincurva
attorno al centro percettivo, dunque gi dal punto di vista dellazione da cui
la percezione inseparabile
54
.



53
G. DELEUZE, Cinema 2. Limmaginetempo, Milano, Ubulibri, 1989, p. 45.
54
IM, pp. 8084.





FRANCESCO VITALE

La sopravvivenza dellaura.
La fotografia tra Benjamin e Barthes



In un saggio dedicato al ricordo di Roland Barthes appena
scomparso, Jacques Derrida Rilegge alcuni passaggi della sua ultima
opera: La camera chiara
1
. Un testo molto particolare in cui Barthes
intraprende la ricerca dellessenza della fotografia, di quella
caratteristica essenziale per la quale essa si distingueva dalla
comunit delle immagini
2
, attraverso lanalisi introspettiva della
propria esperienza, del proprio rapporto con la fotografia ed in
particolare con alcune fotografie, tutte riportate nel testo, tranne una,
la pi importante, quella che ne costituisce in qualche modo il polo di
attrazione intorno al quale si addensano le sue trame apparentemente
occasionali: la foto della madre dellautore ancora bambina, morta al
momento della stesura del testo
3
.
Barthes incrocia dunque strumenti teorici quali la retorica, la
semiotica, la fenomenologia, la psicanalisi e dati emozionali personali
il desiderio, lamore, la gioia, il lutto, il dolore allordine di una
scienza molto particolare:

In questa controversia tutto sommato convenzionale tra la soggettivit e la
scienza, maturai unidea bizzarra: perch mai non avrebbe dovuto esserci, in
un certo senso, una nuova scienza per ogni oggetto? Una Mathesis singularis
(e non pi universalis)? Accettai quindi di prendermi per mediatore di tutta la
fotografia: avrei tentato di formulare, a partire da alcuni umori personali, la
caratteristica fondamentale, luniversale senza il quale la Fotografia non esi-
sterebbe
4
.

1
J. DERRIDA, Les morts de Roland Barthes, Potique, 47 (1981). Ora in ID.,
Psych. Inventions de lautre, Paris, Galile, 1987. Esiste una traduzione italiana in
ID., Ogni volta unica, la fine del mondo, a c. di M. Zannini, Milano, Jaca Book, 2005,
pp. 5186. Tuttavia la trad. it. dei passi citati nostra. Cfr. R. BARTHES, La chambre
claire. Note sur la photographie, Paris, Cahiers du Cinma, Gallimard, Seuil, 1980;
trad. it. di R. Guidieri, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Torino, Einaudi,
2003 (I ed. 1980).
2
R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 5.
3
Barthes scrive La chambre claire allindomani della morte della madre, proprio
come Derrida scrive allindomani della morte di Barthes. Entrambi i testi sono se-
gnati profondamente en abyme da questi lutti. In particolare il saggio di Derrida
fa della perdita irrimediabile della singolarit assoluta il proprio tema.
4
R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 10.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 267-290 267
Francesco Vitale 268

Appena iniziata la lettura de la Camera chiara e come di passag-
gio Derrida lascia cadere una lunga parentesi:

(Attraversando, debordando, sfruttando le risorse dellanalisi fenomenologica
cos come di quella strutturale, il saggio di Benjamin e lultimo libro di
Barthes potrebbero essere proprio i due testi maggiori sulla questione detta
del Referente nella modernit tecnica)
5
.

Derrida invita a leggere insieme Walter Benjamin e Roland Bar-
thes come gli interpreti maggiori di un problema non proprio evi-
dente: il problema del Referente nella modernit, nellepoca della ri-
producibilit tecnica. E tuttavia lascia sospeso questo rinvio che resta
piuttosto ellittico: in effetti in Barthes il problema del referente
esplicitamente posto in rapporto alla fotografia tanto da costituirne il
nervo essenziale capace di distinguere la foto rispetto ad altri tipi di
immagini. Ne Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit
tecnica, il saggio di Benjamin al quale, forse, si riferisce Derrida
6
, il
problema centrale un altro: individuare nella riproducibilit tecnica
dellopera darte il catalizzatore di un mutamento storico epocale
capace, nel tempo, di modificare la funzione e quindi lessenza stessa
dellarte. Per giustificare questa visione dellavvenire dellopera
darte, Benjamin costruisce a partire dai dati offerti dal presente una
linea di tendenza storica che attraverso il declino dellaura del-
lopera darte, effetto della sua riproducibilit tecnica, dovr neces-
sariamente produrre unaltra esperienza dellarte e della sua pro-
duzione. Un processo che secondo Benjamin non necessariamente
progressivo ma pu essere sfruttato in favore delle masse
7
.

5
J. DERRIDA, Les morts de Roland Barthes, cit., p. 277.
6
W. BENJAMIN, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reprodu-
zierbarkeit (1936), trad. it. di E. Filippini, in ID., Lopera darte nellepoca della sua
riproducibilit tecnica, Torino, Einaudi, 1991 (I ed. 1966). Derrida potrebbe riferirsi
anche a W. BENJAMIN, Piccola storia della fotografia (1931), in ID., Lopera darte
nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit.
7
W. BENJAMIN, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit.,
p. 19: Il rivolgimento della sovrastruttura, che procede molto pi lentamente di
quello dellinfrastruttura, ha impiegato pi di mezzo secolo per rendere evidente in
tutti i campi della cultura il cambiamento delle condizioni di produzione. In quale
forma ci sia avvenuto pu essere indicato soltanto oggi. Queste indicazioni devono
rispondere ad alcune esigenze di natura prognostica. Ma a queste esigenze rispon-
dono non tanto determinate tesi sopra larte del proletariato dopo la presa del potere,
e tanto meno tesi sopra quella della societ senza classi, quanto piuttosto tesi sopra le
tendenze dello sviluppo dellarte nelle attuali condizioni di produzione.
La sopravvivenza dellaura 269
La questione del referente non immediatamente evidente e,
daltra parte, ne Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit
tecnica la fotografia costituisce solo un breve momento di passaggio
Benjamin le dedica appena un paragrafo ( 6) in questa linea di
tendenza di evoluzione tecnica e sociale, sorta di momento di transito
dallarte borghese tradizionale esemplarmente la pittura al cine-
ma, arte di massa potenzialmente rivoluzionaria, come dimostrava
lammirato cinema sovietico.
Contro ogni evidenza, bisogna leggere Benjamin a partire da Bar-
thes forse in questo senso che va colto linvito di Derrida? Contro
ogni evidenza, dato che ne La camera chiara non vi alcun riferi-
mento esplicito a Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit
tecnica e nemmeno alla Piccola storia della fotografia, di qualche
anno precedente e ripreso alla lettera e per lessenziale nel successivo,
almeno secondo una diffusa opinione, certamente giustificata dal
confronto testuale.
Nulla di strano, si tratta certo di testi decisivi, quasi inaugurali, per
la riflessione sulla fotografia, e tuttavia la ricerca di Barthes non ha
pretese storicofilologiche. E tuttavia, nonostante questa evidente as-
senza, che daltra parte fa il paio con quella della foto della madre di
Barthes, se si segue lellittico invito di Derrida a leggere insieme
Barthes e Benjamin, il testo di Barthes sembra segretamente abitato
dallo spettro di Benjamin. Sembra scritto per scongiurarne la pre-
senza, rievocarla segretamente per esorcizzarla attraverso una comu-
nicazione cifrata.
In particolare questa lipotesi che intendiamo seguire Barthes
sembra inserirsi allinterno del discorso di Benjamin, per disarticolare
lordine che inscrive la fotografia quale momento in una linea
tendenziale capace di giustificare la prognosi sul cambiamento del-
larte prodotto dalla riproducibilit tecnica. E questo senza opporsi
frontalmente alle tesi di Benjamin, ma attraverso il recupero e lap-
profondimento di tratti interni al suo stesso discorso, ma in qualche
modo rimossi, come ostacoli residuali sulla strada che avrebbe dovuto
portare allarte ed alla societ dellavvenire.
Non si tratta di dimostrare solo la presenza di Benjamin quale
fonte nascosta di Barthes ne La camera chiara, quanto di rilevare,
seguendo la sollecitazione che ci viene da Derrida, gli effetti che
produce lincrocio tra i loro testi una volta messi in contatto at-
traverso una lettura micrologica parallela. Effetti che si riversano sul-
linterpretazione delluno come dellaltro testo, e capaci di riprodursi
Francesco Vitale 270
a cascata al di l di questi in unaltra formazione ancora. Da un lato,
leggendo Benjamin attraverso Barthes si potranno desedimentare ne
Lopera darte allepoca della sua riproducibilit tecnica le tracce di
unattenzione nei confronti della fotografia molto pi problematica di
quanto possa apparire a prima vista, ed in particolare rilevarne gli
effetti sul senso dellaura e quindi del suo declino. Leggendo Bar-
thes attraverso Benjamin, si potr riconoscere ne La camera chiara
una densit di senso ed una tensione ermeneutica che va ben al di l
dellesperienza emozionale personale fino a configurarsi come unin-
terpretazione possibile del senso dellaura e della sua soprav-
vivenza al di l del suo declino o nel suo declinare
8
. Infine: leggendo
insieme Benjamin e Barthes potremo forse finalmente capire e quindi
rendere conto della questione posta da Derrida: il problema del refe-
rente nella modernit tecnica.
In questa prospettiva, valga come esergo ed allo stesso tempo
come punto di fuga:

Ora la possibilit moderna della fotografia (arte o tecnica, qui poco importa)
ci che coniuga in uno stesso sistema la morte e il referente
9
.


Benjamin: laura dellopera darte e il suo venire meno

Ci che vien meno nellepoca della riproducibilit tecnica laura
dellopera darte. Il processo sintomatico; il suo significato rimanda al di l
dellambito artistico. La tecnica della riproduzione, cos si potrebbe formu-
lare la cosa, sottrae il riprodotto allambito della tradizione. Moltiplicando la
riproduzione, essa pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di
eventi. E permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne
fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto. Entrambi i
processi portano a un violento rivolgimento che investe ci che viene
tramandato a un rivolgimento della tradizione, che laltra faccia della crisi
attuale e dellattuale rinnovamento dellumanit. Essi sono strettamente legati
ai movimenti di massa dei nostri giorni. Il loro agente pi potente il cinema.
Il suo significato sociale, anche nella sua forma pi positiva, e anzi proprio in
essa, non pensabile senza quella distruttiva, catartica: la liquidazione del
valore tradizionale delleredit culturale
10
.

8
G. DIDIHUBERMANN, Devant le temps, cap. 4: Limageaura, p.
234 : Benjamin, lo si sa, parla del declino dellaura nellet moderna, ma declino,
per lui, non significa affatto sparizione. Piuttosto: un giro verso il basso, unin-
clinazione, una deviazione, uninflessione nuove.
9
J. DERRIDA, Les morts de Roland Bartehs, op. cit., pag. 291.
10
W. BENJAMIN, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit.,
p. 23.
La sopravvivenza dellaura 271
La riproducibilit tecnica comporta una modificazione qualitativa
dellopera darte e quindi della sua fruizione: La riproduzione sempre
pi precisa e seriale delloriginale che la tecnica rende possibile
destituisce il valore di autenticit dellopera darte tradizionale fon-
dato sulla sua unicit e irripetibilit, e quindi il suo valore di testi-
monianza storica allinterno di una tradizione che si consolida at-
traverso di esso. Allo stesso tempo, rende accessibile lopera darte ad
una fruizione generalizzata e immediata, una fruizione di massa in cui
lopera darte sottratta allordine che ne sosteneva la fruizione
tradizionale: lordine costituito della societ borghese con le sue isti-
tuzioni consolidate nella valorizzazione della tradizione la storia
dellarte, il critico, il mercante e il collezionista e con i suoi
rituali di legittimazione. Il processo di trasformazione innescato dalla
riproducibilit tecnica dellopera darte produce a livello sociale la
liquidazione del valore tradizionale delleredit culturale.
questa la prognosi che Benjamin deve giustificare costruendo
una linea di tendenza storica in cui, a partire dallanalisi e dalla com-
posizione di dati frammentari e apparentemente eterogenei offerti
dalla crisi del presente, si possa riconoscere lespressione coerente del
movimento di rinnovamento dellumanit e veder lumeggiare il telos
che lorienta. Questo processo di trasformazione si esprimerebbe pro-
prio attraverso il venir meno dellaura dellopera darte: nel deca-
dere delluna si dovrebbe manifestare lascesa del secondo. In par-
ticolare, con il cinema in cui la riproducibilit tecnica non pi al
servizio dellopera darte tradizionale ma diventa essa stessa con-
dizione di produzione di una forma darte, mutandone radicalmente
senso e funzione.
Prima ancora di affrontare lanalisi del declino dellaura del-
lopera darte Benjamin tenta di illustrare il concetto generale di
aura, per meglio evidenziare quali esigenze umane e sociali emer-
gono e trovano espressione attraverso la sua distruzione.
E tuttavia il suo tentativo complica le cose: innanzitutto perch
permette la distinzione dellaura dai diversi ambiti in cui pu
essere esperita, riconosciuta o applicata (natura e/o cultura) e quindi
dissociare il venir meno dellaura nellopera darte da altre
possibili esperienze dellaura, il che permette di immaginare una
qualche sua sopravvivenzaE soprattutto perch la definizione
dellaura che Benjamin offre a questo punto del discorso piut-
tosto la descrizione allusiva e metaforica di unesperienza soggettiva,
sensibile e sentimentale, che lascia trasparire una densit di senso e
Francesco Vitale 272
una profondit di riferimenti che sembrano condurre ben al di l della
definizione dellunicit e dellirripetibilit, i tratti essenziali del-
laura dellopera darte:
Noi definiamo questi ultimi [gli oggetti naturali auratici]
apparizioni uniche di una lontananza, per quanto questa possa essere
vicina. Seguire, in un pomeriggio destate, una catena di monti
allorizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra sopra colui che si
riposa ci significa respirare laura di quelle montagne, di quel
ramo. Sulla base di questa descrizione facile comprendere il
condizionamento sociale dellattuale decadenza dellaura
11
.
A questo punto del discorso laura sembra definire lunicit e
lirripetibilit di unesperienza emotiva
12
, lesperienza sensibile,
sentimentale, intuitiva, quindi prossima, di ci che allo stesso tempo
distante, intoccabile la natura nellesempio proposto ma pi in
generale, potremmo dire lesperienza emotiva ed esistenziale della
distanza che separa soggetto e oggetto. Una distanza che anche
posizione di sudditanza del soggetto nei confronti delloggetto.
Almeno a giudicare dalla descrizione per contrasto delle nuove esi-
genze umane e sociali che, secondo Benjamin, comportano neces-
sariamente la distruzione dellaura e quindi si manifestano attra-
verso di essa:

Essa [la decadenza dellaura] si fonda su due circostanze, entrambe connesse
con la sempre maggiore importanza delle masse nella vita attuale. E cio:
rendere le cose, spazialmente e umanamente pi vicine per le masse attuali
unesigenza vivissima, quanto la tendenza al superamento dellunicit di
qualunque dato mediante la ricezione della sua riproduzione. Ogni giorno si
fa valere in modo sempre pi incontestabile lesigenza a impossessarsi
delloggetto da una distanza il pi possibile ravvicinata nellimmagine, o
meglio nelleffigie, nella riproduzione. (). La liberazione delloggetto dalla
sua guaina, la distruzione dellaura sono il contrassegno di una percezione la
cui sensibilit per ci che nel mondo dello stesso genere cresciuta a un
punto tale che essa, mediante la riproduzione, attinge luguaglianza di genere
anche in ci che unico. Cos, nellambito dellintuizione si annuncia ci che
nellambito della teoria si manifesta come un incremento dellimportanza
della statistica. Ladeguazione della realt alle masse e delle masse alla realt
un processo di portata illimitata sia per il pensiero sia per lintuizione
13
.


11
Ivi, p. 25.
12
F. DESIDERI la definisce esperienza preanalitica (Walter Benjamin il tempo
e le forme, Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 248).
13
W. BENJAMIN, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit.,
p. 25.
La sopravvivenza dellaura 273
Nella sua portata pi generale la distruzione dellaura non
ancora dellaura dellopera darte leffetto della eliminazione
progressiva della distanza che separa soggetto e oggetto, ed allo
stesso tempo del superamento di quellunicit che conferiva allog-
getto inavvicinabile e intangibile la sua autorit, il suo valore ge-
rarchico allinterno dellordine sociale costituito. La distruzione del-
laura corrisponde quindi allappropriazione del reale da parte delle
masse e quindi alladeguazione della realt ad una sensibilit di
massa: lintuizione generalizzata della realt come ci che pu essere
generalizzato e quindi appropriato conosciuto e utilizzato su di un
piano egualitario di contro allintuizione contemplativa dellunico e
irripetibile, gratificazione dellindividuo borghese e ratificazione del-
lordine sociale che lo sostiene
14
.
A questo punto Benjamin pu finalmente esporre la tesi sulla
decadenza dellaura dellopera darte: lunicit irripetibile che le
viene attribuita, dipende in ultima istanza dalla sua originaria
funzione di immagine cultuale allinterno di rituali prima magici e poi
religiosi, secolarizzatasi nel culto profano della bellezza celebrato nei
rituali della societ borghese. In nota, per spiegare loriginaria fun-
zione cultuale dellopera darte, Benjamin allega un chiarimento es-
senziale riguardo al concetto di aura:

Definire laura unapparizione unica di una distanza per quanto questa possa
essere vicina non significa altro che formulare, usando i termini delle cate-
gorie della percezione spaziotemporale, il valore cultuale dellopera darte.
La distanza il contrario della vicinanza. Ci che sostanzialmente lontano
linavvicinabile. Di fatto linavvicinabilit una delle qualit principali
dellimmagine cultuale. Essa rimane, per sua natura, lontananza, per quanto

14
Cfr. F. DESIDERI, Walter Benjamin il tempo e le forme, cit., p. 250: Il poten
ziamento tecnico della capacit visiva significa anche denudare locchio dal velo
della contemplazione individuale. La percezione subisce un processo di Entsubjekti-
vierung che non comporta necessariamente un effetto rivoluzionario positivo, ma ne
rappresenta la chance. CESARE CASES nella prefazione del 1966 alledizione ita-
liana del saggio di Benjamin, si sofferma sullantiindividualismo comunista che
fa da sfondo a queste pagine. La convinzione che la massificazione delluomo at-
traverso i nuovi mezzi di produzione industriale, la diffusione dei nuovi mezzi di
comunicazione, avrebbe liquidato lindividuo borghese e prodotto un nuovo genere
di umanit allaltezza delle esigenze rivoluzionarie del proletariato, era molto diffusa
nellambito del comunismo dellepoca, la condivise Gramsci ed in particolare Brecht
dal quale Benjamin laveva probabilmente mutuata e declinata a suo modo. Solo pi
tardi, negli anni 40, ci si accorse del potenziale di manipolazione e repressione delle
masse insito in questi nuovi mezzi (Prefazione a W. BENJAMIN, Lopera darte
nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit., pp. 910).
Francesco Vitale 274
vicina. La vicinanza che si pu strappare alla sua materia non elimina la
lontananza che essa conserva dopo il suo apparire
15
.

Lunicit dellopera darte dipende dalla sua funzione di immagine
di culto allinterno del rituale prima magico e poi religioso in quanto
la sua funzione risponde allesigenza, propria del rito, di rendere
presente il divino, nella modalit che gli pi propria e cio linav-
vicinabilit e lintangibilit. E tuttavia, secondo questa ulteriore il-
lustrazione, si pu riconoscere nellaura una dimensione antropo-
logica profonda: lesperienza dellinavvicinabile, dellassolutamente
altro al di qua della sua inscrizione storica nellambito della religione,
della quale il rituale religioso solo una sedimentazione storica tra
altre possibili, lopera darte quale immagine di culto solo una delle
sue possibili innervature. Vi torneremo
16
.
In Benjamin questa precisazione serve ad isolare il valore cultuale
dellopera darte e distinguerlo dal suo valore espositivo: si trat-
terebbe dei due elementi che caratterizzano la ricezione tradizionale
dellopera darte e tuttavia, secondo equilibri diversi, in tensione fra
di loro, nel corso del tempo, una tensione che proprio la ripro-
ducibilit tecnica porter ad un punto di rottura senza ritorno. Se
allorigine infatti preponderante il valore cultuale delle immagini
per le quali si pu ammettere che il fatto che esistano pi im-

15
W. BENJAMIN, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit.,
p. 26 n.
16
In questa direzione si muove linterpretazione di G. DIDIHUBERMANN, per il
quale lelaborazione benjaminiana del concetto di aura dellopera darte non si
risolve semplicemente nella diagnosi della sua distruzione, come pretendono molti
interpreti e soprattutto i partigiani del valore espositivo dellarte contemporanea (la
pura ricerca formale come emancipazione dellopera dal suo significato tradizionale).
Per DidiHubermann possibile riconoscere attraverso laura di Benjamin, al di l
della lettera, la descrizione della dimensione antropologica profonda nellesperienza
dellimmagine, una dimensione alla quale anche larte contemporanea non ha smesso
di dare forma (Ce que nous voyons, ce qui nous regarde, Paris, Les ditions de
minuit, 1992, pp. 113: Bisogna secolarizzare laura, bisogna refutare lannessione
abusiva dellapparizione al mondo religioso dellepifania. LErscheinung benjami-
niana dice certo lepifania l la sua memoria storica, la sua tradizione , ma dice
altrettanto bene, e letteralmente, il sintomo: indica di conseguenza il valore di epi-
fania che pu prendere il minimo sintomo (e l come altrove in Benjamin, Proust non
lontano), o il valore di sintomo che prender fatalmente ogni epifania. Nei due casi,
essa fa dellepifania un concetto dellimmanenza visuale e fantasmatica dei fenomeni
o degli oggetti, non un segno inviato a partire dalla loro fittizia regione di trascen-
denza).
La sopravvivenza dellaura 275
portante del fatto che vengano viste
17
, con lemancipazione di de-
terminati esercizi artistici dallambito del rituale, le occasioni di espo-
sizione dei prodotti aumentano
18
, aumentando cos il valore espo-
sitivo dellopera darte tradizionale:

Cos come nelle et primitive, attraverso il peso assoluto del suo valore
cultuale, lopera darte era diventata uno strumento della magia, che in certo
modo soltanto pi tardi venne riconosciuto quale opera darte, oggi,
attraverso il peso assoluto assunto dal suo valore di esponibilit, lopera
darte diventa una formazione con funzioni completamente nuove, delle quali
quella di cui siamo consapevoli, cio quella artistica si profila come quella
che in futuro potr venire riconosciuta come marginale
19
.

Con la riproducibilit tecnica il valore espositivo dellopera darte
aumenta in misura esponenziale fino a liquidare il suo valore cultuale,
producendo una modificazione essenziale e irriducibile della funzione
e quindi dellessenza stessa dellopera darte:

marginale. Certo che attualmente la fotografia, e poi il cinema, forni-
scono gli spunti pi fecondi per il riconoscimento di questo dato di fatto
20
.


La fotografia: laura e la sua riproducibilit tecnica

Il declino dellaura dellopera darte corrisponde dunque ad un
processo di graduale rimozione del valore cultuale dellopera sotto la
spinta montante del suo valore espositivo. La fotografia costituisce
una tappa esenziale in questo processo: aumentando in maniera
esponenziale le possibilit espositive dellopera darte rappresenta il
punto critico raggiunto dallopera darte tradizionale nella tensione
tra valore cultuale e valore espositivo ed allo stesso tempo il termine
medio capace di consentire il passaggio dallopera darte tradizionale
ad una forma con funzioni assolutamente nuove. Una forma che
Benjamin riconoscer per solo nel cinema.
La fotografia si trova quindi nel mezzo, non pi arte tradizionale
nel senso pieno non ancora arte nuova nel senso pieno. Ne deriva una
certa ambiguit della fotografia, in linea di principio capace di turbare
lordine progressivo in cui Benjamin la inscrive tra opera darte
tradizionale e arte nuova, tra la pittura e il cinema: la fotografia,

17
W. BENJAMIN, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, cit., p. 27.
18
Ibidem.
19
Ivi, p. 28.
20
Ibidem.
Francesco Vitale 276
almeno secondo una sua possibilit il ritratto sembra in qualche
modo partecipare delluna come dellaltra, senza essere n luna n
laltra. Se da un lato rappresenta una condizione essenziale per il
compiersi del processo di distruzione dellaura, dallaltro sembra
offrirgli la possibilit di una certa sopravvivenza. Nella riproduzione
della figura umana la fotografia infatti sembra capace di conservare
laura attraverso quella stessa riproducibilit tecnica che dovrebbe
distruggerla:

Nella fotografia il valore di esponibilit comincia a sostituire su tutta la linea
il valore cultuale. Ma questultimo non si ritira senza opporre resistenza.
Occupa unultima trincea, che costituita dal volto delluomo. Non a caso il
ritratto al centro delle prime fotografie. Nel culto del ricordo dei cari lontani
o defunti il valore cultuale del quadro trova il suo ultimo rifugio. Nel-
lespressione fuggevole di un volto umano, dalle prime fotografie, emana per
lultima volta laura. questo che ne costituisce la malinconica e incom-
parabile bellezza
21
.

Benjamin, di fatto, non sembra dare troppo peso al potenziale
perturbatore che sembra caratterizzare la fotografia. Il ritratto foto-
grafico solo un arcaismo, ultimo retaggio dellormai superato valore
cultuale dellaura dellopera darte, destinato ad essere travolto
sotto la spinta di quelle esigenze delle masse che vanno affermandosi
e che daltra parte si esprimono nella stessa fotografia, nella sua
evoluzione artistica e sociale. Benjamin, di fatto, non si sofferma
sulle ragioni e sul significato della possibilit della sopravvivenza
dellaura attraverso la riproducibilit fotografica, la risolve im-
mediatamente nellantico valore cultuale dellopera darte, e quindi
come forma residuale del passato, una manifestazione del suo venire
meno, nella resistenza offerta alle forze del rinnovamento. Non sem-
bra lasciarsi sfiorare dalla possibilit che si tratti, non del declino
dellaura, ma di una sua ulteriore declinazione, e cio della
manifestazione di unesperienza che non pu essere semplicemente
rimossa attraverso la liquidazione di certe forme storiche in cui pure
si innervata o stata incanalata, ma che non pu non sopravvivere
in quanto espressione di unesigenza antropologica profonda.
Comunque sia per Benjamin la fotografia si evolve in unaltra
direzione, verso la liquidazione dellaura dellimmagine e la sua
trasformazione in mezzo di informazione e comunicazione, in vista di
un linguaggio di immagini generalmente accessibile e non pi

21
Ibidem.
La sopravvivenza dellaura 277
appannaggio delle sole classi colte, in particolare attraverso la fun-
zione che le viene attribuita nel giornale illustrato e lintroduzione
della didascalia che orienta la visione della foto in un senso deter-
minato, la trasforma in lettura e comprensione di elementi signi-
ficanti.

Ma quando luomo scompare dalla fotografia, per la prima volta il valore
espositivo propone la propria superiorit sul valore cultuale. Il fatto di aver
dato una propria sede a questo processo costituisce limportanza incompa-
rabile di Atget, che verso il 1900 fiss gli aspetti delle vie parigine, vuote di
uomini. (). Con Atget, le riprese fotografiche cominciano a diventare docu-
menti di prova nel processo storico. questo che ne costituisce il nascosto
carattere politico. Esse esigono gi la ricezione in un senso determinato. La
fantasticheria contemplativa liberamente divagante non si addice alla loro na-
tura. Esse inquietano losservatore; egli sente che per accedervi deve cercare
una strada particolare. Contemporaneamente i giornali illustrati cominciano a
proporgli una segnaletica. Vera o falsa indifferente. In essi diventata per
la prima volta obbligatoria la didascalia. Ed chiaro che essa ha un carattere
completamente diverso dal titolo di un dipinto. Le direttive che colui che os-
serva le immagini in un giornale illustrato si vede impartite attraverso la dida-
scalia, diventeranno ben presto pi precise e impellenti nel film, dove linter-
pretazione di ogni singola immagine appare prescritta dalla successione di
tutte quelle che sono gi trascorse
22
.

Un linguaggio che trover la sua compiuta espressione nel cinema,
opera darte politica perch capace di mobilitare le masse
23
.



22
Ivi, pp. 2829. Riguardo al mutamento di funzione dellarte, da mezzo a ser-
vizio del culto a mezzo della prassi politica, cfr. Ivi, p. 27: Ma nellistante in cui il
criterio dellautenticit nella produzione dellarte viene meno, si trasforma anche
lintera funzione dellarte. Al posto della sua fondazione nel rituale sinstaura la fon-
dazione su unaltra prassi: vale a dire il suo fondarsi sulla politica. Sul ruolo della
didascalia nella trasformazione della fotografia da immagine muta in linguaggio si
soffermer anche Roland Barthes, ma non ne La camera chiara. Cfr. R. BARTHES, Le
message photographique, in Communications, 1, 1964 e ID., Rhtorique de
limage, Communications, 4, 1964. Laccostamento Benjamin/Barthes a tale pro-
posito si trova in R. KRAUSS, Le photographique, Paris, Macula, 1990; ed. it. a c. di
E. Grazioli, Teoria e storia della fotografia, Milano, Bruno Mondadori, 1996, p. 72.
23
Benjamin qui chiaramente pensa al cinema teorizzato e realizzato in Unione
Sovietica da Kulesov, Vertov, Ejzenstein, Pudovkin. Cfr. W. BENJAMIN, Piccola Sto-
ria della fotografia, cit., p. 76: Una tappa ulteriore in questo confronto tra la foto-
grafia creativa e la fotografia costruttiva costituita dal cinema russo. Non si esage-
ra dicendo: le grandi realizzazioni dei suoi registi erano possibili soltanto in un paese
in cui la fotografia non tendeva alla grazia e alla suggestione bens allesperimento e
alladdottrinamento.
Francesco Vitale 278
Laura e il punctum

Il discorso di Barthes, fin dalla sua impostazione, sembra rivol-
gersi contro quello di Benjamin. Senza citarlo, ne riprende i termini,
cambiandoli di segno. Anche per Barthes come per Benjamin si tratta
di cercare lessenza della fotografia, ci che la distingue dalle altre
tipologie di immagini gi note, a partire dal Nuovo di cui stata
lavvenimento
24
, e quindi la precisione della riproducibilit tecnica:
La tale foto, in effetti, non si distingue mai dal suo referente (da ci
che essa rappresenta), o per lo meno non se ne distingue subito o per
tutti (ci che invece fa qualsiasi altra immagine, ingombra com, sin
dal primo momento e per sua stessa condizione, della maniera in cui
loggetto simulato)
25
.
Tuttavia il punto di vista, gli strumenti adottati e lobiettivo sono
punto per punto diametralmente opposti: lessenza della fotografia
non va ricercata nella sua funzione sociale, lobiettivo di tale ricerca
non riguarda la definizione di un fenomeno oggettivo, nella deter-
minazione del suo ruolo in un orizzonte storico. Al contrario, Barthes
cerca lessenza della fotografia negli effetti che capace di produrre
nel soggetto che la osserva: effetti sensibili e sentimentali, emotivi,
esistenziali. E quindi gli strumenti della ricerca non possono essere
quelli della scienza comunemente intesa in particolare, non a caso,
quelli delle scienze sociali , per la quale la definizione dellessenza
corrisponde alla determinazione di una generalit oggettiva e quindi
in linea di principio generalmente comunicabile e condivisibile:

Gli uni [i libri sulla fotografia] sono tecnici; per vedere il significante
fotografico, essi sono obbligati a mettere a fuoco da molto vicino. Gli altri
sono storici o sociologici; per osservare il fenomeno globale della Fotografia,
questi ultimi sono obbligati a mettere a fuoco da molto lontano. Constatavo
con disappunto che nessuno mi parlava espressamente delle foto che minte-
ressano, quelle che mi danno piacere o emozione. Cosa me ne facevo delle
regole di composizione del paesaggio fotografico, oppure, allopposto, della
Fotografia come rito familiare? Ogni volta che leggevo qualcosa sulla Foto-
grafia, pensavo a quella particolare foto che amavo, e questo mi faceva an-
dare in collera. Infatti, io non vedevo altro che il referente, loggetto desi-
derato, il corpo prediletto; allora una voce importuna (la voce della scienza)
mi diceva con tono severo: ritorna alla Fotografia. Quello che stai vedendo e
che ti fa soffrire rientra nella categoria Fotografie di dilettanti, di cui si oc-
cupa unquipe di sociologi: nientaltro che la traccia di un protocollo sociale

24
R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 6.
25
Ivi, p. 7.
La sopravvivenza dellaura 279
dintegrazione destinato a rimettere in piedi la Famiglia, ecc.. Tuttavia, io
insistevo; unaltra voce, pi forte, mi spingeva a negare linterpretazione so-
ciologica; davanti a certe foto volevo essere selvaggio, senza cultura
26
.

Barthes adotta il principio dellintrospezione, dellautoanalisi
della propria esperienza della fotografia, registrando gli effetti che le
fotografie producono su se stesso in una fenomenologia degli
affetti
27
, in vista di una mathesis singularis, di una scienza della
singolarit, fondata su di un unico principio euristico
28
: lantica
supremazia dellio (Nietzsche)
29
di contro al suo dissolvimento
nella societ e nella scienza che se ne fa un oggetto:

Ho sempre avuto voglia di argomentare i miei umori; non gi per giusti-
ficarli; e ancor meno per riempire con la mia individualit la scena del testo;
ma al contrario, per offrire, per porgere questindividualit a una scienza del
soggetto, il cui nome ha per me poca importanza, purch pervenga (il che non
ancora certo) a una generalit che non mi riduca e neppure mi annienti. ()
Decisi allora di assumere come guida della mia nuova analisi lattrattiva che
provavo per certe fotografie: di quella seduzione, almeno, potevo dirmi si-
curo
30
.

A partire dalla stessa constatazione della novit assoluta introdotta
dalla fotografia laderenza del referente quale effetto della ripro-
ducibilit tecnica di contro alla tesi di Benjamin che vedeva nella
fotografia il dispositivo capace di produrre una nuova sensibilit per
il generale capace di liquidare lunico e irripetibile nel genere, lin-
dividuo borghese nella massa rivoluzionaria, Barthes cerca nella foto-
grafia le tracce di unesperienza assolutamente soggettiva, la pos-
sibilit stessa di offrire allosservazione ci che altrimenti sarebbe de-
stinato ad essere eluso od escluso dalla generalit del discorso
scientifico: lindividuo.
Nella prospettiva di Barthes lessenza della fotografia consiste-
rebbe quindi nel rendere evidente, al contatto, attraverso gli effetti
che produce sullindividuo, qualcosa di essenziale dellindividuo stes-
so, il fondo, pi o meno oscuro della sua struttura affettiva. Perci
lessenza della Fotografia, non ci che di essa pu essere consi-
derato il tratto generale, non riscontrabile indistintamente in tutte le

26
Ivi, p. 8.
27
Ivi, p. 22.
28
Ivi, p. 10.
29
Ibidem.
30
Ivi, p. 20.
Francesco Vitale 280
fotografie come il tratto comune che loro proprio. Va cercata attra-
verso quella forza di attrazione che una data foto capace di suscitare
sul soggetto.
Anche in questo caso Barthes si oppone a Benjamin: laspetto
della foto capace di toccare losservatore e quindi metterlo in contatto
con la sua essenza si distingue dalla funzione di segno, informazione
che facile riconoscere in molte fotografie e che richiede una par-
tecipazione da parte dellosservatore mediata da forme culturali note
anche se non precisamente codificate. Barthes chiarisce questa distin-
zione a partire da certe foto che lo hanno colpito (due sono riportate
nel testo) tratte da un reportage dedicato allinsurrezione in Nicara-
gua: questo aspetto della foto Barthes lo definisce studium:

esso rinvia sempre a una informazione classica: linsurrezione, il Nicaragua, e
tutti i segni delluna e dellaltro: (). Di questo campo ci sono migliaia di foto,
e per queste foto io posso chiaramente provare una sorta dinteresse generale,
talora commosso, ma la cui emozione passa attraverso il relais raziocinante di
una cultura morale e politica. (). attraverso lo studium che io minteresso a
molte fotografie, sia che le recepisca come testimonianze politiche, sia che le
gusti come buoni quadri storici; infatti, culturalmente che io partecipo alle
figure, alle espressioni, ai gesti, allo scenario, alle azioni
31
.

Questo aspetto della fotografia corrisponde alla funzione sociale di
informazione e sollecitazione dellosservatore, che Benjamin consi-
derava essenziale. Barthes ne riconosce linteresse e soprattutto la
portata politica e tuttavia considera questa funzione sociale come un
qualcosa di estraneo alla fotografia, una funzione che le viene attri-
buita solo per neutralizzarne il potenziale perturbatore e meglio inte-
grarla allordine sociale, per riconciliare la fotografia e la societ (
necessario? Direi di s: la Foto pericolosa) dotandola di funzioni,
le quali sono per il fotografo altrettanti alibi. Queste funzioni sono:
informare, rappresentare, sorprendere, far significare, allettare. Den-
tro di me, Spectator, io le riconosco con pi o meno piacere: vi in-
vesto il mio studium (che non mai il mio godimento o il mio do-
lore)
32
.
In definitiva, secondo Barthes la fotografia, proprio per la sua
coincidenza con il referente per struttura aliena alla produzione di
senso, alla generalizzazione necessaria alla significazione
33
, attribuir-

31
Ivi, p. 27.
32
Ivi, p. 29.
33
Cfr. ivi, p. 50: Le foto sensate sono quelle dotate di puro e semplice studium.
La sopravvivenza dellaura 281
le tale funzione significa mistificarne lessenza: Dal momento che o-
gni foto contingente (e perci stesso fuori senso), la Fotografia pu
significare (definire una generalit) solo assumendo una masche-
ra
34
.
Di contro alla funzione segnica e comunicativa, laspetto della
fotografia che Barthes vuole mettere a fuoco quella sua capacit di
toccare, colpire losservatore, attraverso un particolare che improv-
visamente lo attrae e avvince turbandone o interrompendone la lettura
mediata dal sapere lo studium:

Il secondo elemento viene a infrangere (o a scandire) lo studium. Questa
volta, non sono io che vado in cerca di lui (dato che investo della mia
superiore coscienza il campo dello studium), ma lui che partendo dalla
scena, come una freccia, mi trafigge. (). Chiamer quindi questo secondo
elemento che viene a disturbare lo studium, puntcum; infatti puncutm
anche: puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio e anche impresa
aleatoria. Il punctum di una fotografia quella fatalit che, in essa, mi punge
(ma anche mi ferisce, mi ghermisce)
35
.

Il punctum un dettaglio casuale, indipendente dalle intenzioni del
fotografo, che colpisce e rapisce losservatore, un evento unico e im-
provviso che lo sottrae alla lettura pi o meno codificata ma pie-
namente cosciente della foto mettendolo in contatto immediato con se
stesso
36
:

In questo deprimente deserto [le fotografie di un giornale illustrato]
37
, tutta
un tratto la tale foto mi avviene; essa mi anima e io la animo. Ecco dunque
come devo chiamare lattrattiva che la fa esistere: una animazione. In s, la
foto non affatto animata (io non credo alla foto vive), per essa mi ani-
ma
38
.

Attraverso il puncutm la fotografia mette il soggetto in contatto
immediato con se stesso, tocca e quindi lascia emergere alla co-
scienza la sua muta radice affettiva, la radice profonda e irriducibile
della soggettivit:

La soggettivit assoluta si raggiunge solo in uno stato, in uno sforzo di
silenzio (chiudere gli occhi, far parlare limmagine nel silenzio). La foto mi

34
Ivi, p. 35.
35
Ivi, p. 28.
36
Cfr. ivi, p. 52: Lo studium in definitiva sempre codificato, mentre invece il
punctum non lo mai.
37
Anche questo esempio rievoca Benjamin.
38
Ivi, p. 21.
Francesco Vitale 282
colpisce se io la tolgo dal solito blabla: Tecnica, Realt, Reportage,
Arte, ecc.: non dire niente, chiudere gli occhi, lasciare che il particolare
risalga da solo alla coscienza affettiva
39
.

Lessenza della fotografia va dunque cercata in questa forza di at-
trazione che capace di esercitare indipendentemente dalle intenzioni
manifeste e coscienti tanto del fotografo quanto dellosservatore e che
quindi le appartiene intrinsecamente e la distingue da tutti gli altri tipi
di immagine. Lessenza della fotografia non sta nella sua funzione
sociale di mezzo di comunicazione di massa e ancora meno nelle sue
possibilit artistiche. Questo sono funzioni sociali attribuite alla foto-
grafia per esorcizzarne il potenziale perturbante. La fotografia una
magia, non unarte
40
.
A questo punto non si pu non rilevare la distanza irriducibile che
separa Barthes da Benjamin; non si pu non notare che i tratti della
sua posizione si oppongono termine a termine a quelli di Benja-
min: lessenza della fotografia magia, non arte, n tecnica, n repor-
tage. evento unico e irripetibile, irriducibile ad ogni generaliz-
zazione, non segno, informazione, comunicazione. Riguarda la co-
scienza affettiva, il soggetto nella sua irriducibile singolarit e inti-
mit con se stesso, non la coscienza sociale e politica. Seguendo que-
sta logica punto per punto, ne dovrebbe conseguire che lessenza del-
la fotografia, il punctum, laura.
Si tratta di verificare questa ipotesi allinterno del testo di Barthes,
in particolare, per valutare gli effetti che una tale verifica ammesso
che sia fondata potrebbe comportare sul concetto di aura: sem-
plice recupero nostalgico del valore cultuale? Rimodulazione del suo
significato inerente allapplicazione al nuovo mezzo? reinterpreta-
zione del concetto?


Laura e la morte

A questo punto della Camera chiara, nel momento in cui Barthes
deve mostrarci, attraverso le sue fotografie, quelle che propone al
nostro sguardo, il punctum, lessenza stessa della fotografia, Benja-
min dovrebbe essere oramai alle spalle, e tuttavia, ritorna; Barthes
sembra rievocarlo ritornando sugli effetti che il punctum suscita:

39
Ivi, p. 56.
40
Ivi, p. 89.
La sopravvivenza dellaura 283
Un dettaglio viene a sconvolgere tutta la mia lettura; un mutamento vivo
del mio interesse, una folgorazione. A causa dellimpronta di qualcosa, la
foto non pi una foto qualunque
41
.

Poche pagine prima Barthes aveva gi definito il punctum fol-
gorante
42
. Forse un puro caso, ma luso di questo termine rievoca
la descrizione di Benjamin di certe foto, non nel saggio su Lopera
darte ma nella Piccola storia della fotografia, una descrizione in cui
a loro volta sembrano riecheggiare le parole di Barthes:

Nonostante labilit del fotografo, nonostante il calcolo nellatteggiamento
del suo modello, losservatore sente il bisogno irresistibile di cercare
nellimmagine quella scintilla magari minima di caso, di hic et nunc, con cui
la realt ha folgorato il carattere dellimmagine
43
.

Si tratta di fotografie in cui ancora possibile riconoscere la
presenza dellaura. Nella Piccola storia della fotografia Benjamin
si sofferma diffusamente sullo strano fenomeno osservabile nella
reazione suscitata da certe foto, il fenomeno che nel saggio del 36

41
Ivi, p. 50.
42
Ivi, p. 47.
43
W. BENJAMIN, Piccola storia della fotografia, cit., p. 62. Il riferimento di
Barthes a questo testo di Benjamin ci pare inequivocabile in un punto preciso: Bar-
thes se la prende duramente con il tentativo del fotografo Sander di costruire un
catalogo dei volti dellepoca (anni 30 in Germania), e soprattutto con chi e cio
Benjamin ha ritenuto di dare dignit scientifica e forza critica a questa specie di
repertorio fisiognomico, riconoscendovi piuttosto il retaggio di unideologia di clas-
se. Cfr. R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 36: La fotografia della Maschera in
effetti abbastanza critica da destare preoccupazione (nel 1934 i nazisti censurarono
Sander perch i suoi volti del tempo non corrispondevano allarchetipo nazista
della razza), ma daltra parte essa troppo discreta (o troppo raffinata) per costi-
tuire una critica sociale efficace, almeno secondo le esigenze del militantismo: quale
scienza impegnata riconoscerebbe linteresse della fisiognomonia? Lattitudine a co-
gliere il senso, sia questo politico o morale, di un volto non forse essa stessa una
deviazione di classe. Cfr. W. BENJAMIN, Piccola storia della fotografia, cit., pp. 72
73: August Sander ha raccolto una serie di teste che non ha nulla da invidiare alla
poderosa galleria di fisionomie di un Ejzenstejn o di un Pudovkin, e lo ha fatto da un
punto di vista scientifico. (). Da un momento allaltro, opere come quelle di Sander
potrebbero assumere unimprevista attualit. I mutamenti di potere, come quelli che
da noi ormai simpongono, trasformano di solito in una necessit vitale lelabora-
zione e il raffinamento dellappercezione fisiognomica. Che si venga da destra op-
pure da sinistra, bisogner abituarsi a essere guardati in faccia per sapere donde ve-
niamo. Dal canto proprio bisogner abituarsi a guardare in faccia gli altri per lo stes-
so scopo. Lopera di Sander pi di una raccolta di fotografie: un atlante su cui
esercitarsi. Si noti in Barthes luso tra virgolette del termine raffinato.
Francesco Vitale 284
definir sbrigativamente resistenza dellaura. Anche in questo caso
tenter di liquidarlo inscrivendo la fotografia in quella linea di
evoluzione storica che gi conosciamo, e tuttavia, in questo caso, il
problema, per lo stesso Benjamin, non si risolve cos facilmente. In
particolare, Benjamin offre interessanti elementi per cogliere
lesperienza dellaura, nello strano rapporto che intrattiene con la
fotografia, ad un livello di stratificazione tale che ci permette di
isolarla dalla sua connotazione religiosa al servizio del culto nella
quale pure storicamente si innerva: lesperienza soggettiva affettiva
nella sua dimensione non cosicente, precategoriale: lattrazione, il
fascino, la seduzione che esercitano certe foto. Elementi che Barthes
riprende per proprio conto e precisamente per spiegare, il punctum,
lessenza della fotografia.
Si tratta di ritratti, di volti in cui come dir pi tardi possibile
cogliere la resistenza dellaura, e tuttavia volti di persone pi o
meno sconosciute, non parenti, leffetto di aura non quindi ricon-
ducibile al culto dei familiari scomparsi, e nemmeno dipende dal
valore artistico della fotografia, retaggio del valore cultuale secola-
rizzato dellopera darte tradizionale, il loro effetto assolutamente
nuovo e singolare:

Teste simili esistevano da tempo nei dipinti. Quando restavano propriet di
famiglia, accadeva ogni tanto che qualcuno domandasse del modello. Ma
dopo due o tre generazioni questo interesse veniva meno: i quadri, qualora
durino, durano soltanto in quanto testimonianza dellarte di colui che li ha
dipinti. Nel caso della fotografia invece avviene qualcosa di nuovo e di
singolare: nella pescivendola di New Haven che guarda a terra con un pudore
cos indolente, cos seducente, resta qualche cosa che non si risolve nella
testimonianza dellarte del fotografo Hill, qualcosa che non pu venir messo
a tacere e che inequivocabilmente esige il nome di colei che l ha vissuto, che
anche nelleffigie ancora reale e che non potr mai risolversi completa-
mente in arte
44
.

Non si pu non riconoscere il movente di questo effetto nuovo e
singolare in ci che Barthes definisce fin dalle prime battute de La
camera chiara la novit ontologica dellimmagine fotografica:
laderenza del referente con la sua forza di attrattiva, indipendente
dalla coscienza intenzionale dellartista cos come da quella dellos-
servatore, improvvisamente colpito dalla presenza reale immanente
alla fotografia piuttosto che dal suo significato leggibile attraverso

44
W. BENJAMIN, Piccola storia della fotografia, cit., p. 62.
La sopravvivenza dellaura 285
codici culturali condivisi (pescivendola, New Haven). Un effetto
che losservatore non pu immediatamente spiegare ma nemmeno ta-
cere a se stesso, una ferita aperta nel soggetto che sente se stesso, un
puncutm, che blocca il corso lineare del tempo della lettura, avvince a
s, ed esige di essere compreso. Aura: lapparizione, di una pre-
senza nella sua stessa distanza irriducibile, una distanza che non
segno di una trascendenza pi alta, ma indice di una perdita irrecu-
perabile, nellorizzonte spaziotemporale dellesistenza umana.
Lesempio immediatamente seguente, apparentemente casuale,
sembra approfondire lo sguardo in questa direzione, pur fermandosi
ad un particolare aspetto:

Oppure si contempla limmagine di Dauthenday, il fotografo, il padre del
poeta, risalente allepoca del matrimonio con una donna che egli un giorno,
poco dopo la nascita del loro sesto figlio, trov nella camera da letto della sua
casa di Mosca con le vene dei polsi tagliate. La donna sta l, accanto a lui, ha
laria di sostenerla; ma lo sguardo di lei loltrepassa, risucchiata da una
lontananza colma di sciagure. Se si indugia abbastanza a lungo su una simile
fotografia, si capisce come anche qui gli estremi si tocchino: una tecnica
esattissima riesce a conferire ai suoi prodotti un valore magico che un dipinto
per noi non possiede pi
45
.

Per Benjamin, stando alla lettera, la potenza magica della foto-
grafia consisterebbe nel manifestare nella presenza reale e puntuale di
un presente passato il futuro, nel registrare la cifra stessa di un destino
individuale in un dettaglio del tutto casuale, indipendente dalle
intenzioni dei presenti fotografo e referente un sintomo:

Losservatore sente il bisogno irresistibile di cercare nellimmagine quella
scintilla magari minima di caso, di hic et nunc, con cui la realt ha folgorato
il carattere dellimmagine, il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui,
nellessere in un certo modo di quellattimo lontano si annida ancora oggi il
futuro, e con tanta eloquenza che noi, guardandoci indietro, siamo ancora in
grado di scoprirlo
46
.

E tuttavia, in questi passaggi sembra lumeggiare unesperienza
dellaura che ha le sue radici negli strati pi profondi della
soggettivit: la lontananza assoluta che in queste foto si fa presente
allosservatore lo colpisce, lo avvince, lo interroga non quella
del divino, ma quella della morte. Lalterit assoluta ci che per

45
Ibidem.
46
Ibidem. Non a caso Benjamin nel passaggio successivo rinvia questesperienza
alla capacit della fotografia di rendere osservabile, in analogia con la psicanalisi, un
inconscio ottico (ibidem).
Francesco Vitale 286
essenza resta fuori dal campo visuale del soggetto vivente si mostra,
grazie alla fotografia, nella presenza viva e reale.
Non sappiamo quanto Benjamin fosse consapevole di questa pos-
sibile interpretazione dellaura, e tuttavia Barthes ci pare seguire, o
pi semplicemente permettere alla nostra lettura di seguire questa
strada proprio attraverso i varchi aperti da Benjamin
47
.


Il punctum dellaura: la morte

Nella seconda parte de la camera chiara, Barthes decide di ripren-
dere la propria ricerca dellessenza della fotografia, concentrandosi su
di ununica fotografia, una foto perduta, lontana
48
la sola foto che
esistesse sicuramente per me
49
. Si tratta della foto della madre
quando era ancora bambina, ritratta nel giardino dinverno della casa
dei nonni, che Barthes scopre in piena e ancora precaria elaborazione
del lutto. A questo punto lobiettivo di Barthes potrebbe apparire fi-
nalmente chiaro: contro Benjamin, mira al semplice recupero del va-
lore cultuale dellaura, rievocando quel culto del ricordo dei ca-
ri lontani o defunti in cui secondo Benjamin il valore cultuale trova
il suo ultimo rifugio. Non forse un caso che si tratti dellunica foto
che non viene mostrata: linessenzialit del valore espositivo ci ri-
corda infatti che di queste figurazioni si pu ammettere che il fatto
che esistano pi importante del fatto che vengano viste
50
.

47
Unultima parola su Benjamin prima di tornare a Barthes: ne La piccola storia
della fotografia laderenza del referente, non ancora lultima trincea in cui
laura offre lultima resistenza alla sua imminente distruzione, ma una forza capace
di contaminare la riproducibilit tecnica e di vanificare lintero processo che dovreb-
be rendere possibile, orientando levoluzione tecnica al servizio dellaura. La
trasformazione della fotografia in linguaggio, il sopravvento di questo linguaggio non
sono dati di fatto incontrovertibili ma forze da opporre in un conflitto che potrebbe
ancora risolversi in favore dellaura: Una cosa per non stata osservata da en-
trambi Wiertz e da Baudelaire , e cio le indicazioni implicite nellautenticit della
fotografia. Non sempre sar possibile eluderle con un reportage i cui clich com-
portano semplicemente che vengano associate per losservatore con indicazioni lin-
guistiche. La macchina fotografica diventa sempre pi piccola e sempre pi capace di
afferrare immagini fuggevoli e segrete, il cui effetto di shock blocca nellosservatore
il meccanismo dellassociazione. A questo punto deve intervenire la didascalia, che
include la fotografia nellambito della letterarizzazione di tutti i rapporti di vita, e
senza le quali ogni costruzione fotografica destinata a rimanere approssimativa
(Ivi, p. 77. Si tratta della conclusione del saggio).
48
R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 103.
49
Ivi, p. 74.
50
Sar forse un caso, una strana, inquietante coincidenza, leffetto magico e quasi
La sopravvivenza dellaura 287
E tuttavia lo stesso Barthes a contestare il valore cultuale della
fotografia, di questa fotografia per lui essenziale:
Potrei benissimo adorare unImmagine, un Dipinto, ma potrei
adorare una foto? Io posso calarla in un rituale (sul mio tavolo, in un
album) solo se, in un certo senso, evito di guardarla (o evito che essa
mi guardi) eludendo volontariamente la sua compiutezza insopporta-
bile, e, proprio attraverso la mia disattenzione, facendola entrare in
una categoria completamente diversa di feticci: le icone, che, nelle
chiese greche, vengono baciate senza che le si veda, sul vetro geli-
do
51
.
Lessenza della fotografia non solo non riguarda il valore
cultuale ma questo in qualche modo una forma di elusione e ri-
mozione del suo potere perturbante.
Daltra parte una delle foto che Barthes propone per spiegare
lessenza della fotografia, scoperta attraverso la foto della madre, ri-
corda in qualche modo lesempio benjaminiano della foto di Dauthen-
day: la foto di un condannato a morte prima della sua esecuzione:
Nel 1865, il giovane Lewis Payne tent di assassinare il segre-
tario di Stato americano W. H. Seward. Alexander Gardner lo foto-
graf nella sua cella; egli sta aspettando la propria impiccagione. La
foto bella, il giovane anche: lo studium. Ma il punctum, : sta per
morire. Io leggo nello stesso tempo: questo sar e questo stato;
osservo con orrore un futuro anteriore di cui la morte la posta in
gioco. Dandomi il passato assoluto della posa (aoristo), la fotografia
mi dice la morte al futuro. Ci che mi punge, la scoperta di questa
equivalenza. Davanti alla foto di mia madre bambina, mi dico: sta per
morire: come lo psicotico di Winnicott, io fremo per una catastrofe
che gi accaduta. Che il soggetto ritratto sia o non sia gi morto,
ogni fotografia appunto tale catastofe
52


allucinatorio della fotografia, ma non si pu non ricordare che anche Benjamin cita la
foto di un bambino in un giardino dinverno, dalla quale emana unaura intensa e
malinconica, nonostante si tratti di uno scenario posticcio; si tratta del piccolo Kafka.
Cfr. W. BENJAMIN, Piccola storia della fotografia, cit., p. 67: In un vestitino infan-
tile, stretto in qualche modo umiliante, sovraccarico di ornamenti, il ragazzo di circa
sei anni, sta in una specie di paesaggio da giardino dinverno. (). E certamente
scomparirebbe dentro tutta questa messinscena se gli occhi, infinitamente tristi, non
dominassero questo paesaggio predisposto per loro.
51
R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 91.
52
Ivi, p. 96. Anche laltro esempio proposto da Benjamin sembra rievocato in La
camera chiara, cfr. Ibid., pag. 99: Se una foto mi piace, se mi turba, io vindugio so-
pra. Che cosa faccio per tutto il tempo che me ne sto davanti a lei? La guardo, la
Francesco Vitale 288
Limmagine ci rinvia alla presenza puntuale e reale, alla presenza
viva, nella modalit del passato. In virt delladerenza del referente,
la foto, mostrandoci la presenza reale la vita in un passato per noi
perduto, ci mostra la perdita della presenza la morte nella
presenza stessa, mme la presenza. Ed allo stesso tempo laoristo,
una forma verbale che indica laspetto momentaneo e puntuale di
unazione non esattamente precisata nel tempo, salvo allindicativo
dove ha il valore di passato remoto
53
la cifra di unesistenza indi-
viduale:

Limmobilit della foto come il risultato di una maliziosa confusione tra
due concetti: il Reale e il Vivente: attestando che loggetto stato reale, essa
induce impercettibilmente a credere che vivo, a causa di quellillusione che
ci fa attribuire al Reale un valore assolutamente superiore, come eterno; ma
spostando questo reale verso il passato ( stato), essa suggerisce che gi
morto
54
.

La fotografia allora reca impresso lirriducibile essere passato
della presenza, lessere passato la morte come il suo essere a
venire irrecusabile, e cio lesserealtro, il differire da s come la
condizione irriducibile dellesserepresente vivente nella sua finitez-
za: Ci che io vedo si trovato l, (), e tuttavia stato immediata-
mente separato; stato sicuramente, inconfutabilmente presente, e
tuttavia gi differito
55

Leffetto nuovo e singolare della fotografia consisterebbe allora
nel metterci di fronte, nellimporre al nostro sguardo il nostro stesso
esserealtro, ci che da sempre ci avvince e terrorizza, e che nel corso
ordinario della vita normale cerchiamo di rimuovere, ci che ci
individua ma del quale non c esperienza diretta possibile: lespe-
rienza unica e irripetibile della propria morte:

proprio perch in essa c sempre questo segno imperioso della mia morte
futura, che ogni foto, fosse anche apparentemente la pi aderente al mondo
eccitato dei vivi, viene a interpellare ciascuno di noi, uno per uno, al di fuori

scruto, come se volessi saperne di pi sulla cosa o sulla persona essa ritrae.
53
Barthes distingue cos la consistenza temporale dellimmagine fotografica da
quella del semplice ricordo la cui forma verbale sarebbe il perfetto. Cfr. Ivi, p. 92.
Contro il valore rimemorativo cfr. Ivi, p. 83: La Fotografia non rimemora il passato
(in una fotografia non c niente di proustiano). Leffetto che essa produce su di me
non quello di restituire ci che abolito (dal tempo, dalla distanza), ma di attestare
che ci che vedo effettivamente stato.
54
Ivi, p. 80.
55
Ivi, p. 78.
La sopravvivenza dellaura 289
di qualsiasi generalit (ma non al di fuori di qualsiasi trascendenza)
56
.

La fotografia risponderebbe in qualche modo allangoscia della
morte, ma senza dire nulla, senza integrarla nellordine del discorso,
semplicemente mostrandola, liberandola dalla rimozione in cui la
costringe la nostra societ. Allesigenza irreprimibile di trovare una
via allesperienza di ci che senza senso nellordine della presenza,
a ci che assolutamente altro distanza assoluta e tuttavia
assolutamente prossimo, sempre presente, nella sua irriducibilit di
condizione ontologica, a ci che, nel suo stesso assoluto sottrarsi, d
senso alla presenza. forse questa la radice profonda, assolutamente
soggettiva, affettiva, emozionale ed allo stesso tempo universale in
quanto presente in ogni soggetto dellesperienza dellaura, che
ritorna ma nella modalit del rimosso, non di un passato riat-
tualizzato nella fotografia, e ne manifesta lessenza, la novit as-
soluta
57
. Una radice pi che arcaica perch da sempre accompagna il
soggetto, o meglio lo costituisce come tale, e che per non si risolve
necessariamente nelle forme storiche che le hanno dato forma e senso
per esorcizzarla, controllarla, inscrivendola in uneconomia, sfrut-
tandola per proprio tornaconto
58
come sembra ritenere Benjamin

56
Ivi, p. 98.
57
Cfr. G. DIDIHUBERMANN, Ce que nous voyons, ce qui nous regarde, cit., p.
104: Vicino e distante in una volta, ma distante nella sua stessa prossimit : log-
getto auratico suppone un modo di scansione o di andata e ritorno incessante, una
modalit euristica nella quale le distanze le distanze contraddittorie si sperimen-
tano l un laltre, dialetticamente. Loggetto stesso divenendo, in questa operazione,
lindice di una perdita che sostiene, che apre visualmente: presentandosi, appros-
simandosi, ma producendo questo approssimarsi come il momento sentito unico
(einmalig) e strano (sonderbar) di un sovrano allontanamento, di una sovrana stra-
nezza o estraneit. Unopera dellassenza che va e viene, sotto i nostri occhi e fuori
della nostra vista, unopera anadiomene dellassenza. Sotto i nostri occhi, fuori della
nostra vista: qualcosa qui ci parla dellossessione (hantise) come di ci che ci prover-
rebbe da lontano, ci concernerebbe, ci riguarderebbe (regarderait) e ci sfuggirebbe
in una sola volta. Naturalmente qui strano ed estraneo rinviano allesperienza
del perturbante (Unheimlich) descritta da Freud. Sul perturbante freudiano e la
fotografia, cfr. R. KRAUSS, Teoria e storia della fotografia, cit., cap. 10, Corpus de-
licti, pagg. 169 204, in particolare le pp. 196204 in cui si tratta de La camera
chiara.
58
R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 91: La fotografia la mia fotografia
senza cultura: quando dolorosa, nulla in lei, pu trasformare lafflizione in lutto.
E se la dialettica quellidea che domina il corruttibile e converte la negazione della
morte in potenza di lavoro, allora la Fotografia indialettica: un teatro snaturato in
cui la morte non pu contemplarsi, rispecchiarsi e interiorizzarsi; o anche: il tea-
Francesco Vitale 290
sciogliendo laura nel valore cultuale propriamente religioso (un
modo, questo, ci pare, di liquidare laura prima ancora di dimo-
strarne il declino storico effettivo, facendone una forma storica, e
quindi in se stessa contingente)
59
:

Tale il modo in cui la nostra epoca assume la Morte: con lalibi che nega lo smar-
rimento del vivente, di cui il Fotografo in un certo senso il professionista.
Storicamente parlando, la Fotografia deve infatti avere qualche rapporto con la crisi
della morte che ha inizio nella seconda met del XIX secolo; e per quanto mi
riguarda, preferirei che invece di situare continuamente lavvento della Fotografia nel
suo contesto sociale ed economico, ci sinterrogasse anche sul rapporto antropologico
tra la Morte e la nuova immagine. Infatti, bisogna pure che in una societ la Morte
abbia una sua collocazione; se essa non pi (o meno) nella sfera della religione,
allora devessere altrove: forse nellimmagine che produce la morte volendo con-
servare la vita. Contemporanea della regressione dei riti, la Fotografia potrebbe cor-
rispondere allirruzione, nella nostra societ moderna, di una Morte asimbolica, al di
fuori della religione, al di fuori del rituale: una specie di repentino tuffo nella Morte
letterale: La vita / la Morte
60
.

tro morto della Morte, limpedimento del Tragico; esso esclude qualsiasi purificazio-
ne, qualsiasi catharsis.
59
G. DIDIHUBERMANN, Ce que nous voyons, ce que nous regarde, cit., p. 114
115: Lapparizione dunque non lappannaggio della credenza credendo questo
che luomo del visibile si rinchiude nella tautologia. La distanza non lappannaggio
del divino, come lo si pensa troppo spesso: non ne altro che un predicato storico e
antropologico, anche se entra nella sua definizione storica e antropologica di vo-
lersene imporre come il soggetto per eccellenza (). Lassenza o la distanza non so-
no delle figure del divino sono gli dei che cercano di darsi, nella parola degli
umani, come le sole figure possibili e verosimili (segno del loro carattere finzionale)
di un opera senza ritorno dellassenza e della distanza.
60
R. BARTHES, La camera chiara, cit., p. 93.
MARIA PALLONE

Immagine corporea e vissuto corporeo:
una lettura merleaupontyana del fenomeno dellarto fantasma


La parola immagine ha una cattiva fama perch si
creduto sconsideratamente che un disegno fosse un
ricalco, una copia, una seconda cosa, e che limmagine
mentale fosse un disegno di questo genere nel nostro
bazar privato []. Limmaginario molto pi vicino e
insieme molto pi lontano dal fattuale: pi vicino poich
il diagramma della sua vita nel mio corpo, la sua polpa,
il suo risvolto carnale per la prima volta esposto agli
sguardi []. Molto pi lontano, perch [] offre
piuttosto allo sguardo [] le tracce della visione
dellinterno, e alla visione ci che la fodera interiormente,
la struttura immaginaria del reale.
(M. MERLEAUPONTY, Locchio e lo spirito).


0. Premessa

MerleauPonty scrive:

Dobbiamo abituarci a pensare che ogni visibile ricavato dal tangibile, ogni
essere tattile promesso in un certo qual modo alla visibilit; e che c
trasgressione, sopravanzamento, non solo fra il toccato e il toccante, ma
anche fra il tangibile e il visibile che incrostato in esso, cos come,
reciprocamente, il tangibile stesso non un nulla di visibilit, non pu fare a
meno di una esistenza visiva. Poich il medesimo corpo vede e tocca, visibile
e tangibile appartengono al medesimo mondo. un prodigio troppo poco
notato il fatto che ogni movimento dei miei occhi [] ha il suo posto nel
medesimo universo visibile che attraverso di essi io esploro nei suoi
particolari, cos come, reciprocamente, ogni visione si effettua in qualche
luogo dello spazio tattile. C rilevamento doppio e incrociato del visibile nel
tangibile e del tangibile nel visibile, le due carte sono complete, e tuttavia
non si confondono. Le due parti sono totali, e tuttavia non sono sovrap-
ponibili. Quindi, senza nemmeno entrare nelle implicazioni proprie del
vedente e del visibile, noi sappiamo che, poich la visione palpazione con
lo sguardo, occorre che anchessa si inscriva nellordine dessere che essa ci
svela, occorre che colui che guarda non sia egli stesso estraneo al mondo che
guarda
1
.


1
MERLEAUPONTY (1964), trad. it. 1999, pp. 159160.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 291-304 291
Maria Pallone 292
Il passo traduce in sintesi e per certi versi tanto la tematica che si
intende affrontare, quanto lapproccio metodologico per il quale si
deciso di optare sia come orizzonte concettuale da cui prendere le
mosse che come griglia teorica entro cui argomentare.
Partendo dalla riflessione merleaupontyana sui concetti di im-
magine, corpo ed esperienza e utilizzandoli strumentalmente, in que-
sta sede il proposito vuole essere quello di attuare una ricognizione,
se pur sintetica, su quanto e in che modo immagine corporea e
vissuto corporeo siano strettamente interconnessi nella nozione di
esperienza propugnata dalla fenomenologia di Maurice MerleauPon-
ty. Data la complessit del tema mi limiter ad offrire esclusivamente
degli spunti di riflessione.
Per tentare di dare una struttura al presente contributo assumer,
come caso significativo, la percezione del dolore nel fenomeno
dellarto fantasma
2
, muovendomi da due convinzioni: la prima che
occorre oltrepassare pregiudiziali riduzionistiche e dicotomiche
adottando una prospettiva multidirezionale che bandisca una qualun-
que possibilit di approccio alla tematica in termini parziali; la secon-
da convinzione, perfettamente in linea con la precedente, che si
ritiene esista una stretta correlazione tra immagine corporea e vis-
suto corporeo allinterno della quale psichico e fisico non possono
essere scissi.
Si pone pertanto complessivamente il problema del vissuto cor-
poreo che implica non solo come e in che modo noi vediamo e per-
cepiamo il nostro corpo, ma anche come e in che modo gli altri ci ve-
dono e ci percepiscono e quindi, quale e quanta importanza hanno, in
questa costruzione esperienziale, i molteplici fattori di differente na-
tura che entrano in gioco.
chiaro che, assumendo come filo di Arianna la prospettiva di cui
sopra, il vedere limmagine corporea cui sintende fare riferimento
nello specifico, deve essere inteso come vise e non come vision. Il
vise merleaupontyano permette infatti, di evidenziare quanto pre-
senza e assenza, reale e immaginario, spazio e tempo si rivelino al-
lacciati in un legame di reversibilit perdendo la reciproca di-
stinzione che li fissa in opposti o tuttal pi in giustapposti
3
. Questo
in quanto le modificazioni che si verificano a livello del vissuto
corporeo comportano un rivedere la corporeit secondo unottica

2
Sulla definizione di tale fenomeno rimando al 2 del presente contributo.
3
MERLEAUPONTY (1964), trad. it. cit., p. 14.

Immagine corporea e vissuto corporeo 293
non unidirezionale ma con il classico occhio strabico. A siffatto
proposito, MerleauPonty evidenzia che la verit non risiede nel-
lesattezza, nella dimostrabilit statica, nellimmobilit teorica, ma
necessita di un continuum, di un inesauribile reimparare a vedere il
mondo e tutto ci che ne fa parte paradossalmente da una distanza
che sicuramente apre alla conoscenza nonostante questultima non
venga mai raggiunta completamente.
Per il filosofo francese proprio a partire dallesperienza corporea
e percettiva che il soggetto comincia a costruirsi. Lanimale umano sa
chi , sa che esiste, perch vede, sente, tocca, parla. In termini mer-
leaupontyani, perch lo stesso percepisce in modo indiviso con il
suo essere totale; coglie ununica struttura della cosa, ununica ma-
niera di esistere che parla contemporaneamente a tutti i suoi sensi.
Fatte queste puntualizzazioni introduttive, articoler il discorso fo-
calizzando lattenzione sul rapporto immaginecorporeit cercando di
suscitare interrogativi circa il ruolo strategico che entrambi i pa-
rametri assumono allinterno del circuito esistenziale.


1. Immagine e corporeit

Per necessit di sintesi e data leterogeneit delle prospettive,
trascurer volutamente un possibile excursus sul concetto di im-
magine corporea che, da Par (XVI sec.) a Shontz (1969), passando
per Reil (XIX sec.), Peisse (XIX sec.), Bonnier (1905), Pick (1908),
Head (1920), Schilder (1935), Lhermitte (1939), Federn (1952), Fi-
sher e Cleveland (1968) e molti altri ancora, se pur utile e interessante
ai fini di una panoramica storica, mi allontanerebbe in realt dal
circoscrivere lobiettivo tematico dellarticolo. Di conseguenza, il
contributo avr come fulcro esclusivamente la prospettiva fenomeno-
logica di MerleauPonty toccando, laddove lo si riterr opportuno,
alcuni tratti degli autori precedentemente citati.
La raffigurazione pittorica Il falso specchio
4
di Ren Magritte
(1928) funge da viatico visivo a quanto segue:

La propria immagine per il corpo un cerchio mancato []. A nessuno,
infatti, concessa limmagine fedele del proprio corpo. Anche con lo
specchio non raggiungo lo scopo.[] nello specchio non trovo la mia
espressione, ma la topografia di un volto, non la mia fisionomia ma dei tratti
[] la presenza che cercavo nello specchio, mi resa da quella cosa che

4
R. MAGRITTE, Il falso specchio, Museum of Modern Art, 1928.

Maria Pallone 294
vedo che divento ogni volta che cesso di abituarmi per cogliermi nella forma
dellesteriorit. Lo specchio infatti mi sorprende dallesterno e mi spaventa
quando, raggiungendomi impreparato, mi cede quel suo segreto che la mia
corporeit colta dal di fuori
5
.

Limmagine del corpo non deve essere intesa in termini di sta-
ticit, di immobilit irreversibile bens di dinamicit in cui elementi di
vario tipo (tattili, visivi, psichici, sociali, culturali ecc.) concorrono si-
multaneamente a dar vita ad un vedere e ad un vivere il proprio corpo
allinterno di uno spettro esistenziale pi ampio, decisamente ambi-
guo ma fortemente esperienziale. Questo perch il corpo, nonostante
le trasformazioni teoriche cui stato sottoposto nellitinerario argo-
mentativo merleaupontyano
6
, sempre in una prospettiva continuista

5
GALIMBERTI (2003), p. 246.
6
Per un maggiore approfondimento in merito cfr. MANCINI (2001). Sulle dif-
ferenti modulazioni che MerleauPonty ha attuato in relazione al concetto di cor-
poreit c da evidenziare che, mentre in quella che viene definita la fase iniziale di
MerleauPonty, coincidente con le opere del 1942 e del 1945, i due tipi di corporeit
sono in rapporto di subordinazione nel senso che il corpo fenomenico (Leib) co-
stituisce il fondamento del corpo oggettivo (Krper) il quale, questultimo, ne rap-
presenta un surrogato, un derivato impoverito, successivamente invece (Le visible et
linvisible, 1964) tra i due vige circolarit. Nel porre laccento sul movimento cir-
colare MerleauPonty intende rettificare la posizione adottata in precedenza che si
basa su di una gerarchizzazione tra Leib e Krper, intesi come due fogli, due strati,
luno sovraordinato allaltro. Modifica ci ritenendo che parlare di fogli o di strati
fuorviante in quanto rimanda ad un appiattimento, ad una giustapposizione. Ecco
quindi che rettifica parlando di due segmenti di un unico percorso circolare. Il motivo
della circolarit trova espressione poi nel nuovovecchio concetto della reversibilit
che costituisce un perno fondamentale attorno a cui ruota la nuova ontologia mer-
leaupontyana. Questa nozione riferita al corpo traduce il carattere dialettico della re-
lazione tra la dimensione attiva e la dimensione passiva, tra loro in uno scambio re-
ciproco senza alcuna prevalenza delluna sullaltra. Parlo di nuovovecchio concetto
poich in realt la reversibilit gi presente, anche se implicitamente, nellanalisi
dellambiguit del corpo (Nature et logos: le corps humain, Cours du jeudi 195960,
Rsums de cours, p. 177 e Linguaggio, storia, natura, p. 128). Il concetto di rever-
sibilit strettamente connesso a quello di chiasma corporeo, con cui si mira ad evi-
denziare, ad evocare, lintreccio indissolubile tra le differenti dimensioni di un feno-
meno. Questo perch lessere umano una falda unitaria nel senso che la situazione
corporea delluomo integrato e normale data dal compenetrarsi di elementi orga-
nici, psichici e spirituali. Un corpo che non quantificabile in virt del fatto che non
un qualunque Krper bens un corpus al quale riferisco tutte le mie esperienze. Ed
proprio a partire dallesperienza corporea che il soggetto si costruisce in quanto que-
sto tipo di corpo riveste un ruolo fondamentale nel processo di acquisizionecostru-
zione dellidentit dellessere animale umano nel mondo esperienziale. In questo sen-
so rappresenta il presupposto di qualsiasi operazione espressiva e razionale, punto di
appoggio e veicolo delle mie intenzioni (MERLEAUPONTY 1942; trad. it. 1963, p.

Immagine corporea e vissuto corporeo 295
e di apertura alla luce delle nuove acquisizioni, viene ad essere con-
siderato tanto come potere di articolazione e di differenziazione, se-
condo uninterpretazione formulata nei primi anni 50 in seguito al-
lincontro con lo strutturalismo saussuriano, quanto in termini di sen-
sibile e senziente, tangibile e toccante, visibile e vedente, udibile e
udente, quindi un insieme attivo e passivo estraneo alla concezione
dualistica di soggettooggetto, poich il soggetto del sentire nel
contempo loggetto sentitotoccatovisto. Il corpo umano si connota
di conseguenza come un perpetuo sensorio comune in continua
espansione
7
. Esso va inteso non semplicemente come Krper, ossia
un aggregato di fisiologia pura, un apparato di nervi, neuroni e
quantaltro, almeno non solo questo, cio non solo corpo oggettivo,
rappresentazione obiettivata, ma come Leib cio come corpo feno-
menico, un corpo in carne e ossa, un nucleo di significanti vissuti in
prima persona, un apparato di significazione nel suo essere persona,
relazione, esperienza. Ecco allora che lespressione io sono dunque
il mio corpo non significa, come erroneamente si potrebbe pensare,
esclusivamente fisiologia, bens un connubio di elementi di varia
natura: individualit, socialit, fisicit, psiche, storia, cultura, ambien-
te, circostanze, suggestioni, credenze, aspettative, insomma vissuto
personale e collettivo.
Ma allora cosa distingue unimmagine dalla realt? Cosa distingue
il palpare con lo sguardo il corpo dal viverlo? Pu esistere effettiva-
mente uno scarto? Interrogativo storicamente rinvenibile gi nel Cra-
tilo di Platone in cui si legge: Socrate: bisogna cercare unaltra cor-
rettezza dellimmagine [] e non si deve pretendere che se si toglie o
aggiunge qualcosa, limmagine non sia pi tale
8
. Se limmagine
consiste nellessere simile, essa conseguenzialmente non potr mai
essere identica alla realt. Ma da cosa dipende questo scarto? Oltre-
passando la millenaria tradizione platonica, MerleauPonty, nella sua

303). Ununit simbolica differenziata che utilizza ogni sua parte come una simbolica
generale del mondo poich lo stesso corpo il veicolo dellesserealmondo; il
luogo di una certa prassi, il punto a partire dal quale c qualcosa da fare nel mondo,
il registro in cui lanimale umano iscritto e continua ad iscriversi. Ecco di con-
seguenza che il corpo non solo il punto di appoggio, il veicolo delle mie inten-
zioni (ivi, p. 303) come prima sottolineavo, ma anche strumento generale della
mia comprensione (MERLEAUPONTY 1945; trad. it. cit., p. 314).
7
Una prospettiva questultima gi focalizzata nella Phnomnologie de la per-
ception (1945) e in fase embrionale anche ne La structure du comportement (1942).
8
PLATONE, Cratilo, trad. it. 1989, 432be.

Maria Pallone 296
tarda opera
9
, in cui il concetto in esame assume una rilevanza
assolutamente straordinaria, interviene supportando lidea che esiste
una zona dellimmagine oscura al vedere stesso, una sorta di im-
plicitezza che esplode nel fascinoso problema dellidentit stessa di
essere e apparire, in cui vige una forte coappartenenza. Su questa
ammaliante scia, le metafore dello specchio o del chiasma come
figure retoricoimmaginali dellintrecciarsi inesauribile di visibile e
invisibile, assumono unimportanza strategica permettendoci di ac-
cedere a quella che viene ad essere definita lambiguit originaria e
perenne dellanimale umano. Linterrogazione sullambiguit interes-
sa lintera trama teorica merleaupontyana, in cui acquista unindub-
bia rilevanza designando linesauribilit e la pluridimensionalit della
vita anonima. Si tratta di unopacit insuperabile ma che non deve
spaventare poich perfettamente in linea con quella che la condi-
zione umana. Questa intrinseca equivocit che si rivela anche nel
rapporto tra immagine e realt, fa s che ci che si vede possa essere
altro da ci che . Questo perch lesperienza che io ho di me
percepiente [] termina nellinvisibile
10
. Tuttavia necessita eviden-
ziare che luomo merleaupontyano, pur non essendo nitidezza, pur
non essendo trasparenza, bens radicamento nellopacit, parados-
salmente connesso alla concretezza dellesistenza. Di conseguenza,
ambiguit e concretezza, apparentemente distanti, in realt risultano,
nella loro concomitanza, meno incongruenti di quanto si possa
immaginare. Ecco allora che ognuno costruisce limmagine del corpo
proprio secondo la propria peculiare palpazione con lo sguardo e,
tale costruzione, diventa di conseguenza il nostro punto di vista sul
mondo; sempre a partire da esso (dal corpo) e dalla sua posizione
che noi percepiamo, tocchiamo, vediamo, in termini merleau
pontyani, abitiamo il mondo. E questo perch come scrive Merleau
Ponty il corpo esprime lesistenza totale, non perch ne un
accessorio esteriore, ma perch questa esistenza si realizza in esso
11
.


2. Il fenomeno dellarto fantasma: percezione del dolore tra im-
magine e (in)tangibilit

Un esempio idoneo ad essere assunto come un possibile filo

9
MERLEAUPONTY (1964).
10
Ivi, p. 283.
11
MERLEAUPONTY (1945), trad. it. 2003, p. 234.

Immagine corporea e vissuto corporeo 297
conduttore atto ad evidenziare lo stretto legame vigente tra immagine
corporea e vissuto corporeo, rappresentato dalla percezione del
dolore nel fenomeno dellarto fantasma
12
. Disturbo che traduce me-
glio di altri, alla luce della prospettiva merleaupontyana, quanto non
solo organico e psichico, ma anche immagine, percezione e realt,
entrino fortemente in relazione. Nello specifico, si prender in esame
la sindrome in seguito alla perdita per amputazione di arti dotati
precedentemente di una normale sensibilit. Weinstein ne fornisce la
seguente definizione: impressione soggettiva della consapevolezza
di un segmento corporeo mancante o deafferentato, da parte di un
paziente senza turbe psichiche o cognitive
13
.
Il fantasma o meglio limmagine di una assenzapresenza spes-
so cos reale che il paziente risvegliandosi dalloperazione, si rifiuta
di credere di essere stato sottoposto a recisione percependo addirittura
dolori avvertiti in precedenza e, con il trascorrere del tempo, sia la
chiarezza, sia la stessa forma dellarto mancante subiscono delle
modificazioni. Il soggetto coinvolto, trascina, per cos dire, il fan-
tasma di se stesso e, in assenza di stimolazione esterne, egli vive con
questa pseudopresenza invece che con il suo corpo effettivo. Ci in
quanto il corpo si presenta come un enigma. In esso, infatti, vigono
nel contempo tanto una visibilit manifesta (io vedo che mi manca la
gamba: limmagine quella di unassenza), quanto una visibilit
segreta (io percepisco il dolore che visibile nel senso che lo vivo
nonostante questo provenga paradossalmente da un vuoto corporeo).
Non mi soffermer sulle differenti spiegazioni proposte e dallap-
proccio prettamente fisiologico
14
e dalla concezione psicologista
15
in

12
Il primo nucleo di osservazione con relativa di descrizione scritta della sin-
drome dellarto fantasma risale al chirurgo francese Ambroise Par (1551).
13
WEINSTEIN (1969), p. 73.
14
In sintesi lapproccio fisiologico attribuisce la causa del deficit ad alterazioni
dal punto di vista della topognosia e del sistema nervoso centrale. Si potrebbe af-
fermare che, dopo lamputazione, si verifichi la formazione di impulsi nervosi de-
strutturati e disorganizzati che, raggiungendo le strutture centrali che costituiscono lo
schema corporeo, danno vita alle sensazioni anomale. In particolare si ritenuto che
a monte del fenomeno in esame ci siano dei deficit riguardanti i tre sensi della vista,
del tatto e della propriocezione. Questultima rappresenta il senso della posizione ed
quel meccanismo che entra in gioco quando chiudendo gli occhi si cerca di stabilire
la localizzazione delle proprie braccia, gambe o capo. Ad integrare le informazioni
dei diversi sensi predisposta unarea specifica del cervello: la corteccia premotoria
nella quale avverrebbe una riorganizzazione cerebrale errata che condurrebbe
lindividuo ad avere disturbi del genere che si sta analizzando. Dal punto di vista
neurologico, ad essere investito in pieno sarebbe lo schema corporeo che altro non

Maria Pallone 298
quanto entrambi non forniscono risposte esaustive ad un fenomeno
cos complesso come quello in esame. Infatti, se luna palesa ri-
duzionismo e meccanicismo richiamando un dualismo rigettabile e
spiegando tale disturbo in termini di lesioni cerebrali, di processi
oggettivi come gli influssi elettrici e nervosi che appartengo allor-
dine dellin s; laltra traduce parzialit poich riduce tutto ad una
coscienza che non accetta il deficit ed ad una riviviscenza di una
percezione passata, una sorta di immaginericordo
16
facendo rientrare
la sindrome nella sua globalit allinterno della sfera delle cogita-
tiones. In questo caso lillusione si dovrebbe costruire nel tempo sotto
il primato della vista mentre tutti gli altri sensi verrebbero ad essere
sintetizzati e gerarchizzati dalla stessa. In realt cos non : basti pen-
sare che il controllo della vista riduce il disturbo anzich, come
sarebbe logico, aumentarlo. Di conseguenza si deduce limpropo-

se non la rappresentazione mentale del proprio corpo articolato nello spazio e nel
tempo, schema situato anatomicamente nella corteccia del lobo parietale destro, in
una zona piuttosto estesa (area di Brodmann) in connessione funzionale con la
regione parietotemporooccipitale dove si situano le aree dei riconoscimenti visuo
spaziali. Di conseguenza dal punto di vista biologico, relativamente al funzionamento
neuronale, il cervello si presenterebbe come una sorta di raccoglitore di neuroni,
sinapsi e neurotrasmettitori, tale da formare categorie di oggetti e di eventi ricono-
scibili. Se la perdita di un arto non viene riconosciuta, questo deriverebbe da un
cattivo funzionamento dellorganizzazione e dellinterazione delle mappe cerebrali.
A questo punto la spiegazione prettamente fisiologica individuerebbe le cause del-
larto fantasma nella semplice soppressione o persistenza delle stimolazioni entero-
cettive: larto fantasma sarebbe la presenza di una parte della rappresentazione del
corpo che non esiste effettivamente.
15
Se affrontiamo il fenomeno in esame assumendo la prospettiva psicologista, lo
stesso disturbo sarebbe il risultato del rapporto che ciascun individuo ha con il pro-
prio corpo per il tramite della coscienza. Un rapporto che rimane fondamentale per
tutta lesistenza, nel senso che il corpo, in ogni momento, riassume in se la sua storia
riattivando conflitti e angosce che ripetono situazioni del passato, sia pure in contesti
diversi. Adottando una spiegazione psicologica, il dolore dellarto fantasma sarebbe
il risultato di un ricordo implicante un giudizio positivo o se si vuole, una percezione
passata che si attua in un presente in maniera alterata e in condizioni distorte. Larto
fantasma con il suo dolore apparirebbe una presenza concreta di una rappresenta-
zione. Nel caso che in questa sede interessa, il soggetto convinto di poter fare
affidamento su un arto che egli non vuole riconoscere come mutilato, tuttaltro; egli
lo considera un arto esistente concretamente a tal punto che non solo non si lascia
demotivare da uneventuale caduta (nel caso in cui il disturbo concerni una gamba)
ma addirittura riesce a dare una descrizione molto dettagliata delle caratteristiche
dellinesistente, con la descrizione ben localizzata della percezione dolorosa. Tutto
ci traduce come la stessa coscienza dellarto fantasma si riveli equivoca.
16
Cfr. LHERMITTE (1939), p. 126 e MERLEAUPONTY (1945), trad. it. 2003, p. 124.

Immagine corporea e vissuto corporeo 299
nibilit di una spiegazione in termini di ricordovisione dellarto per-
duto.
In verit fenomeni come larto fantasma stanno ad indicare che,
anche rimanendo a livello fisiologicovisivo, il sistema nervoso
organizza la percezione del corpo anche e soprattutto in funzione
della storia personale, dellesperienza vissuta, del contesto ambientale
e culturale. Di conseguenza:

Occorre comprendere come le determinanti psichiche e le condizioni fisiolo-
giche si innestino le une sulle altre: se larto fantasma dipende da condizioni
fisiologiche [] non si capisce in quale modo esso possa derivare dalla storia
personale del malato, dalle sue emozioni o dalle sue volont
17
.
Lamputato sente la sua gamba come io posso sentire vivamente lesistenza
di un amico che tuttavia non sotto i miei occhi, non lha perduta perch
continua a contare su di essa
18
.

A questo punto se la fisiologia da sola non fornisce risposte esau-
rienti sulle cause del dolore percepito dal soggetto affetto dalla sin-
drome dellarto fantasma e altrettanto riduttive risultano le spiega-
zioni addotte dalla prospettiva psicologica, si propongono i passi mer-
leaupontyani idonei a mio avviso a provvedere a sanare tale incom-
pletezza. possibile individuare un terreno comune a fatti fisiolo-
gici che sono nello spazio, e a fatti psichici che non sono in nessun
luogo
19
; un comune denominatore in cui i fattori rientranti nel-
lordine dellin s e quelli appartenenti allordine del per s possano
trovare unarticolazione valida; un ambito in cui sia concepibile
lincontro tra lo psichico e il fisiologico, tra cogitatio e causalit og-
gettive, tra immagine e realt. Tale terreno che va oltre le alternative
e che situato in una condizione preoggettiva quello che Merleau
Ponty definisce come la prospettiva dellessere al mondo. Infatti:

lessere al mondo pu distinguersi da ogni processo in terza persona e da
ogni modalit della res extensa, cos come da ogni cogitatio e da ogni cono-
scenza in prima persona, proprio perch una veduta preoggettiva e, sempre
per questo motivo, potr realizzare lunione dello psichico e del fisio-
logico
20
.

In unottica del genere avere un braccio fantasma con tutto ci che

17
MERLEAUPONTY (1945), trad. it. cit., p. 77.
18
Ivi, p. 129.
19
Ivi, p. 125.
20
Ivi, p. 128.

Maria Pallone 300
ne deriva compreso il percepire dolore, significa rimanere aperti a
tutte le azioni di cui solamente il braccio capace, conservare il
campo pratico che avevamo prima della mutilazione
21
. Ci significa
che il dolore dirompe in un Io presente in cui limmagine del vuoto
corporeo, limmagine del corpo cos come si presenta ai miei occhi, si
intreccia con quel vissuto personale che personale e pubblico nel
contempo. Ci significa che, se il corpo inteso come Leib il veicolo
dellesserealmondo e di conseguenza lo strumento che costruisce
lidentit del soggetto, e se questultima traduce linsieme di signi-
ficati vissuti, ecco allora che gli eccitamenti provenienti dal monche-
rino fanno s che la visione dellarto amputato e il suo dolore restino
ancorati al circuito dellesistenza. La prospettiva dellessere al mondo
rende fattibile quindi il non annientamento dellarto amputato
facendo in modo che questo continui a contare nellesperienza del
soggetto, il quale riempir quellimmagine vuota con il proprio vis-
suto corporeo e mentale. A tutto ci sottende la consapevolezza da
parte dellindividuo di possedere questa zona di silenzio tattile e vi-
sivo ma, paradossalmente, proprio perch il malato ignora la propria
menomazione in realt la conosce e viceversa: tale incoerenza carat-
terizza tutta la prospettiva dellesserealmondo. Daltronde unin-
congruenza che si lega perfettamente con quellopacit propria del-
lanimale umano e dellesistenza in cui si ritrova.
Ci che importante non trascurare, poich costituisce in qualche
modo il nodo della questione, questo rapporto ambiguo tra il corpo
per cos dire abituale del soggetto affetto dal disturbo in esame in cui
vige la presenza dellarto e, limmagine del corpo attuale caratteriz-
zato di contro da unassenza. La domanda che sorge consiste nel
chiedersi in che modo posso percepire dolore in una zona muta? Se-
condo la prospettiva abbracciata questo si rende attuabile se si pensa
al corpo passato ovverosia abituale in termini di garante del corpo
attuale.

Percezioni nuove sostituiscono le percezioni trascorse e anche emozioni
nuove sostituiscono quelle di un tempo, ma questo rinnovamento interessa
solo il contenuto della nostra esperienza e non la sua struttura
22
.

come se si verificasse una giustapposizione di abitualit e attua-
lit che mette in gioco il legame con la rimozione nel senso che il

21
Ivi, p. 130.
22
Ivi, p. 131.

Immagine corporea e vissuto corporeo 301
soggetto nonostante lamputazione si rende aperto allavvenire.
Quanto espresso per non deve essere confuso con il ricordo: lavver-
tire il dolore nellarto che non c non presuppone il ricordo di quel
dolore particolare tuttaltro; qui la memoria di unesperienza trascorsa
viene ad essere esclusa. Il dolore passato che in verit rimane il
nostro vero presente non si allontana da noi, si nasconde sempre die-
tro il nostro sguardo anzich disporsi dinanzi ad esso
23
. Il dolore che
si avverte nellarto inesistente non una rimemorazione, perch
altrimenti si dovrebbe ammettere la veridicit di un ricordo che
tramite lassociazionismo richiama unimmagine trascorsa, una sen-
sazione passata, cos come non una percezione rinascente in quanto
diversamente si dovrebbe ritenere possibile unimmagine errante di
un arto che, attraverso la coscienza, si poggerebbe sul moncherino:
semplicemente un vecchio presente che non ha voglia di diventare
passato. Il dolore dellarto fantasma non il frutto di una cogitatio n
tantomeno di una causa oggettiva; il fenomeno giustificabile sulla
base di un atteggiamento esistenziale che ne motiva un altro e, come
scrive testualmente MerleauPonty: nei confronti dellessere al
mondo, ricordo, emozione, arto fantasma sono equivalenti
24
; il mio
corpo deve essere colto non solo in una esperienza istantanea, sin-
golare, piena, ma anche sotto un aspetto di generalit
25
.
Tutto questo traduce quanto lessere umano segua il movimento
ambiguo dellesistenza in cui, accanto allabitualit c lattualit,
accanto allesistenza personale, reale, c un margine di esistenza
quasi impersonale, accanto al mondo personale di ciascuno, un mon-
do generale a cui bisogna appartenere.
Di fronte alla percezione del dolore di un arto fantasma crolla ogni
forma di oggettivazione nel senso che il soggetto interessato pur
trovandosi impegnato in una situazione cui non riesce a far fronte,
tuttavia non vuole abbandonarla e pur di restare in questo circulus
esistenziale disposto a mandare in frantumi il fisiologico tangibile
cercando un ancoraggio di diversa natura. Esistono nel circuito della
prospettiva dellessere al mondo dei motivi psicologici che si
intrecciano a delle situazioni corporee.
Lo stesso Lhermitte
26
giunge alla conclusione che un fenomeno

23
Ivi, p. 132.
24
Ivi, p. 135.
25
Ivi, p. 131.
26
LHERMITTE (1939), p. 126 e MERLEAUPONTY (1945), trad. it. cit., p. 125.

Maria Pallone 302
come quello in esame deve essere assunto come un processo vitale
relativo al vissuto significativo del soggetto che ne affetto: let, il
grado di cultura, lambiente familiare, il contesto sociale, sono solo
alcuni dei fattori influenzanti il disturbo e i suoi corollari.
Con quanto espresso non si vuole sostenere che il fisiologico e lo
psichico, limmagine e la realt nellinnestarsi luno sullaltro, si
annullano vicendevolmente, semplicemente sincontrano nellespe-
rienza concreta dellindividuo che non trasparenza ma opacit: vige
un insieme di presenzeassenze.
In conclusione emerge chiaramente quanto reale e immaginario,
visibile e invisibile, si (con)fondono in significazioni esperienziali. La
visione stessa altro non se non una precessione di ci che su ci
che viene visto e mostrato, di ci che visto e mostrato su ci che

27
.

27
MERLEAUPONTY, 1964, trad. it. 1989, p. 60.

Immagine corporea e vissuto corporeo 303
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SANTE MALETTA

Politiche dellimmaginario. Narrazione e identificazione sociale



Il fine di questo saggio quello di comprendere le ragioni della
rinascita di interesse, in alcune recenti opere nel campo della filosofia
sociale e politica, nei confronti della nozione di immaginario sociale,
la quale aveva attraversato un periodo di particolare popolarit a
cavallo del 1980, con le ricerche di Cornelius Castoriadis e di
Bronislaw Baczko. mia convinzione, infatti, che tale fenomeno
costituisca una tappa importante del processo di comprensione delle
dinamiche di identificazione allinterno delle societ tardomoderne
e, di conseguenza, delle problematiche relative alla multiculturalit.
In particolare partir dallanalisi critica del volume di Charles Taylor
Modern Social Imaginaries (2004), in quanto esso presenta in ma-
niera evidente le prospettive di sviluppo di tale approccio insieme alle
sue tensioni irrisolte e non del tutto consapevoli.
Per immaginario sociale Baczko (cui Taylor esplicitamente si
richiama) intende anzitutto una congerie poco strutturata di idee, con-
vinzioni, aspettative e norme relative alle relazioni sociali, a come i
membri della societ interagiscono tra di loro e appartengono a quella
societ. Per usare le parole di Baczko,

gli immaginari sociali sono altrettanti contrassegni nel vasto sistema sim-
bolico prodotto da ogni collettivit e attraverso il quale essa [...] percepisce se
stessa, si divide ed elabora le proprie finalit. Cos per mezzo dei suoi
immaginari sociali una collettivit designa la propria identit, elabora una
certa rappresentazione di s, segna la distribuzione dei ruoli e delle posizioni
sociali, esprime e impone delle credenze comuni, elabora una sorta di codice
di buona condotta definendo in particolare modelli formativi quali il ca-
po, il buon suddito, il valoroso guerriero, ecc. Viene cos prodotta una
rappresentazione globale e totalizzante della societ come un ordine in cui
ogni elemento trova il proprio posto, la propria identit e ragion dessere
1
.

Detto da Taylor in maniera diversa e pi sintetica, limmaginario
sociale ci che rende possibile le pratiche della societ fornendo
loro un senso
2
.

1
B. BACZKO, Immaginazione sociale, in Enciclopedia Einaudi, vol. VII, To-
rino, Einaudi, 1979, p. 68.
2
CH. TAYLOR, Modern Social Imaginaries, Durham, Duke University Press, 2004
(trad. it. Gli immaginari sociali moderni, a c. di P. Costa, Roma, Meltemi, 2005, p. 19).
Bollettino Filosofico 22 (2006): 305315 305
Sante Maletta 306
La mossa attraverso cui Taylor recupera dal pensiero francese
degli anni Settanta e Ottanta la problematica dellimmaginario sociale
ha unintenzione polemica. Com noto, il pensatore canadese parte
da una ricerca sui fondamenti epistemologici delle scienze umane,
condotta secondo un intento polemico nei confronti del tentativo di
ricondurre lo studio delluomo al modello delle scienze naturali. La
sua critica ai programmi di ricerca di maggior successo nel campo
delle scienze umane come il behaviorismo, la psicologia cognitiva
o lintelligenza artificiale ruota intorno allindividuazione di un
presupposto metafisico inespresso, che li porta a vedere luomo come
parte di una natura, concepita ancora secondo i canoni della
Rivoluzione scientifica secentesca. Il canone principale quello che
riguarda lantiantropocentrismo, cio il tentativo di conoscere la
natura in termini assoluti, non relativi al soggetto conoscente. Ci da
cui invece non si pu prescindere nelle scienze umane il principio
secondo cui lidentit umana, tanto individuale quanto sociale, non
mai un fatto positivo, bens essa si costituisce attraverso unauto-
interpretazione che ha un carattere eminentemente linguistico.
Ora, il linguaggio qualcosa che si d solo in una comunit, la
quale, quindi, viene ad essere costitutiva dellidentit individuale. La
mia autointerpretazione non pu prescindere dal far riferimento a chi
mi circonda, da chi mi insegna il linguaggio del discernimento morale
e spirituale cui, come a tutti i tipi di linguaggio (artistico, gestuale
ecc.), abbiamo accesso solo tramite il rapporto con altri; nessuno pu
fare a meno dellesperienza comune del mondo e dei valori in cui le
cose acquistano unidentit qualitativa e quindi un significato. Cos si
esprime Taylor:

La mia autodefinizione la risposta alla domanda Chi sono io?. E questa
domanda trova il proprio senso originario nellinterscambio dei parlanti. Io
definisco la mia identit indicando la posizione da cui parlo: nel mio albero
genealogico, nello spazio sociale, nella geografia degli status e delle funzioni
sociali, nei pi intimi rapporti con le persone che amo, nonch [...] nella sfera
dellorientamento morale e spirituale allinterno della quale vivo i rapporti
pi importanti e incisivi
3
.

proprio a livello linguistico che si colloca limmaginario sociale,
contrassegno del sistema simbolico prodotto da una collettivit,
attraverso cui essa si percepisce e si struttura.
Da ci che si detto risulta chiaro che la conoscenza contenuta in

3
CH. TAYLOR, Fonti dellio (1989), Milano, Feltrinelli, 1995, p. 53.

Politiche dellimmaginario 307
un immaginario sociale non ha solo un valore descrittivo ma soprat-
tutto un valore normativo: La potenza unificatrice degli immaginari
sociali assicurata dalla fusione tra verit e normativit, informazioni
e valori che si opera tramite e nel simbolismo
4
. Si tratta di una co-
noscenza che rimane spesso implicita, di un knowhow che opera
allinterno delle istituzioni principali di una societ e delle sue pra-
tiche comuni. Questo il motivo principale per cui Taylor preferisce
la nozione di immaginario sociale a quella di teoria sociale
5
.
Tra le pratiche e la loro comprensione c un rapporto di reciproca
costituzione: non solo le teorie sociali e politiche influiscono, com
ovvio, sulle pratiche, ma le idee veicolate da quelle teorie divengono
importanti per gli immaginari sociali solo quando si radicano nelle
pratiche sociali.
La conoscenza implicita contenuta in un immaginario sociale, nel
suo valore tanto descrittivo quanto normativo, fa riferimento alla
nozione di un ordine morale o metafisico, alla luce del quale le
norme e gli ideali traggono senso
6
. Si d quindi un background
understanding, uno sfondo costituito da una comprensione in larga
misura non strutturata e non articolata della nostra situazione nel suo
complesso, entro la quale gli aspetti particolari del nostro mondo si
palesano nel loro senso proprio
7
. Tale background understanding
presupposto in ogni atto di discorso (speech acts) che, in quanto tale,
rivolto a una parola pronunciata in precedenza nella prospettiva di
una parola che devessere ancora pronunciata
8
. Ci significa che il
background understanding rende possibile lesistenza di uno spazio
pubblico in cui siamo gi da sempre in dialogo gli uni con gli altri
9
.

4
B. BACZKO, Immaginazione sociale, cit., p. 70.
5
Il sapere implicito nella pratica si trova rispetto alla teoria sociale nella stessa
relazione in cui si trova la capacit di aggirarmi in un ambiente familiare rispetto a
una mappa [...] di questarea. Io sono assolutamente in grado di orientarmi senza
avere mai adottato il punto di vista complessivo offertomi dalla mappa. Ana-
logamente, per gran parte della storia umana e per gran parte della vita sociale, noi
abbiamo funzionato e funzioniamo ancora grazie alla nostra comprensione del reper-
torio comune, senza il beneficio di una supervisione teoretica. Gli esseri umani hanno
operato con un immaginario sociale ben prima di aver intrapreso lattivit di teo-
rizzare su se stessi (CH. TAYLOR, Gli immaginari sociali moderni, cit., p. 39).
6
Ivi, p. 38.
7
Ivi, pp. 3839.
8
Ivi, p. 40.
9
There are public spaces; we are already in some kind of conversation with
each other (CH. TAYLOR, Modern Social Imaginaries, cit., p. 26). Questo periodo
non presente nelledizione italiana del volume.

Sante Maletta 308
Per comprendere appieno limpostazione tayloriana, opportuno
esplicitare i suoi assunti antropologici ed etici. Taylor afferma che il
proprio intento simile a quello di Heidegger quando questi carat-
terizza lesserci come quellente per cui, nel suo essere, ne va di que-
sto essere stesso
10
:

una persona pi che solo un soggetto di desideri, scelte, o anche di deli-
berazioni [...] noi attribuiamo alle persone labilit di formare desideri di se-
condo ordine (voler essere mossi da certi desideri) o volizioni di secondo
ordine (volere che certi desideri di primo ordine siano gli unici che li spin-
gano allazione). [...] In altre parole, al di l della caratterizzazione de facto
del soggetto a partire dai suoi fini, desideri e intenzioni, una persona un
soggetto che pu porre la questione de jure: questo il modo dessere che
dovrei essere o che voglio veramente essere?
11

Il fatto che lidentit del soggetto umano sia parzialmente definita
dalla propria autocomprensione rimanda a ci che Taylor chiama
strong evaluations: uno sfondo di distinzioni tra cose riconosciute
di categorica o incondizionata o pi elevata importanza o dignit e
cose che mancano di ci o sono di minor valore
12
. Mentre le weak
evaluations delle cose considerano solo la convenienza o la loro
compatibilit, le strong evaluations le classificano secondo criteri di
valore e, quindi, le giudicano come appartenenti a modi di vita
qualitativamente differenti
13
. Nel primo caso il soggetto valuta
meramente le alternative. Ci che gli manca, per, ci di cui comu-
nemente parliamo attraverso la metafora della profondit, che, invece,
caratterizza chi valuta in maniera forte; questi, difatti, capace di una
pi ricca articolazione concettuale e linguistica delle scelte e delle
azioni, poich le considera allinterno di un tutto pi complesso e
variegato, quello della vita: Caratterizzare un desiderio o unin-
clinazione come pi degno, o pi nobile, o pi coerente ecc. rispetto
ad altri significa parlarne nei termini del tipo o della qualit della vita
che esso esprime o sottende
14
. La capacit di saper valutare qua-
litativamente i desideri , cos, una caratteristica peculiare dellessere

10
Cfr. CH. TAYLOR, Responsability for the Self, in The Identities of Persons, a
cura di A.O. Rorty, Berkeley, University of California Press, 1976, p. 281; lespres-
sione originale heideggeriana :das Seiende, dem es in seinem Sein um dieses selbst
geht (Sein und Zeit, 4).
11
Ibidem.
12
CH. TAYLOR, Philosophical Papers. Philosophy and the Human Sciences, vol.
II, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, p. 3.
13
CH. TAYLOR, Responsability for the Self, cit., p. 282.
14
Ivi, p. 288.

Politiche dellimmaginario 309
umano, di un essere razionale, capace secondo il precetto socratico
di esaminare la propria vita nella sua globalit e di inserirla, a sua
volta, in contesti sempre pi ampi.
Le proposizioni etiche perci non sono mere descrizioni che
lasciano inalterato le pratiche umane. Nel momento in cui le nostre
strong evaluations vengono a essere espresse e articolate in maniera
pi o meno consapevole, diviene esplicito ci che desideriamo, ci
che riteniamo importante in altre parole: ci che, gi da ora,
costituisce la nostra identit e ci diventa oggetto di riflessione,
pu trovare una nuova conferma o essere messo in discussione, pu
essere confrontato con altri ideali di vita. In altre parole, quando la
vita diviene consapevole di s essa cambia o si appresta ad un
possibile cambiamento
15
.
Laspetto etico della vita umana, la responsabilit delluomo, sta
nel fatto che ogni azione, per quanto confusa e parzialmente in-
consapevole, rimanda ad unimmagine articolata del bene, general-
mente incarnata in figure e storie esemplari e costitutiva di unidentit
individuale e comunitaria, senza cui la nostra conoscenza pratica
sarebbe come monca. Tali immagini del bene sono ci che Taylor
chiama constitutive goods, definiti come aspetti di noi stessi, del
mondo, o di Dio, siffatti che il loro essere ci che sono essenziale ai
beni della vita per essere buoni
16
. Tali constitutive goods sono le
vere fonti di moralit in quanto, articolandosi attraverso narrazioni
paradigmatiche, non solo ci aiutano a definire meglio ci che vo-
gliamo essere e ci che vogliamo fare, ma, ispirandoci e com-
muovendoci, ci spingono a desiderarlo e ad amarlo. Il fatto di vedere
la nostra vita attraverso tali narrazioni ci pu conferire un potere

15
I nostri tentativi di formulare ci che riteniamo importante devono, come
descrizioni, cercare di essere fedeli a qualcosa. Ma ci cui cercano di essere fedeli
non un oggetto indipendente, con un grado e una modalit di evidenza prefissati,
ma piuttosto un sentimento molto inarticolato di ci che di importanza decisiva.
Unarticolazione di questo oggetto tende a renderlo differente da come era prima.
E analogamente una nuova articolazione non lascia il suo oggetto evidente o
oscuro nella medesima modalit o grado di prima. Nellatto di configurarlo, lo rende
accessibile e/o inaccessibile in nuovi modi. Poich le articolazioni configurano in
parte i loro oggetti in questi due modi, esse sono intrinsecamente aperte alla discus-
sione in un modo diverso dalle mere descrizioni. Ogni valutazione tale che c
sempre spazio per una rivalutazione (Ivi, p. 296).
16
Ch. TAYLOR, Iris Murdoch and Moral Philosophy, in Iris Murdoch and the
Search for Human Goodness, a c. di M. Antonaccio e M. Schweiker, Chicago, Uni-
versity of Chicago Press, 1996, p. 12.

Sante Maletta 310
morale enorme, poich, inserendo la vita in una storia pi grandiosa,
le dona un significato, cio unorigine ed uno scopo. Alcune im-
magini e storie tradizionalmente presenti nella nostra civilt con-
tinuano ad additarci qualcosa che resta per noi una fonte di moralit,
una realt che, in quanto oggetto di contemplazione, di amore e di
rispetto, ci consente di avvicinarci al bene
17
. Larticolazione nar-
rativa dei constitutive goods, inoltre, permette di apprezzare fin nei
particolari il tipo di vita consustanziale a ciascuna narrazione pa-
radigmatica e di affinare le proprie capacit di discernimento per sce-
gliere i mezzi necessari al conseguimento di un bene.
Larticolazione di un constitutive good si attua in definitiva at-
traverso quattro momenti strettamente interrelati: a) una certa nozione
del bene per luomo; b) una certa visione dellio; c) una certa nar-
razione paradigmatica, cui la riflessione autobiografica fa riferimento;
d) una certa concezione della societ, cio delle relazioni tra gli esseri
umani. Ogni concezione morale si presenta necessariamente, anche
se forse non del tutto consapevolmente, come un pacchetto cos
strutturato.
chiaro quindi che i constitutive goods fanno parte dellim-
maginario simbolico di un gruppo sociale sufficientemente omo-
geneo e conformano il suo ordine morale.
Ora, ci che caratterizza limmaginario sociale moderno sono
alcuni aspetti tra loro solidali: limmagine di una societ sradicata da
ogni ordine metafisico; la concezione secolare del tempo; la con-
cezione degli esseri umani come uguali e indipendenti luno dal-
laltro; la valorizzazione della vita quotidiana. Lattenzione di Taylor
si dirige soprattutto su tre insiemi di istituzioni e di pratiche, quali la
sovranit popolare, leconomia di mercato e la sfera pubblica come
spazio comune metatopico.
Il nuovo soggetto collettivo moderno ha bisogno di nuovi modi di
raccontare la propria storia una storia che (secondo la lezione
auerbachiana ripresa da Benedict Anderson) avviene in un tempo
puramente secolare, un tempo vuoto e omogeneo, in cui la simul-
taneit obliqua, trasversale al tempo, scandita non da prefigurazione
e adempimento [come nel medioevo], ma da sincronia, misurata da
orologi e calendari
18
. Taylor individua tre modelli narrativi prin-

17
Ch. TAYLOR, Fonti dellio, cit., p. 131.
18
B. ANDERSON, Imagined Communities, Verso, London: 1983, 1991
2
(trad. it. di
M. Vignale, a c. di M. dEramo, Comunit immaginate. Origini e fortuna dei nazio-

Politiche dellimmaginario 311
cipali della modernit: il progresso, la rivoluzione e la nazione, i quali
a loro volta possono intrecciarsi con modelli apocalittici e/o mes-
sianici.
Lautore canadese mette in guardia nei confronti di ci che egli
chiama il lato oscuro dellimmaginario moderno, la sua curvatura
ideologica: il senso di superiorit e la persecuzione dei capri espiatori
questultima nel senso individuato da Ren Girard. Si tratta per
solo poco pi di uno spunto, che Taylor non ha la possibilit di
sviluppare. In realt il lato oscuro dellimmaginario sociale moderno
lo mette in luce Baczko riguarda pi precisamente il ruolo che
limmaginario sociale viene a svolgere allinterno di una societ in
cui ideale quello di una totale trasparenza rispetto agli uomini che la
fanno. Mentre nelle societ arcaiche limmaginario sociale si produce
spontaneamente e si confonde con i miti e i riti custoditi dai sacerdoti,
con listituzione del potere statale e con lautonomia dellambito
politico dallambito religioso le tecniche di maneggiamento degli
immaginari sociali si deritualizzano, guadagnano in autonomia e si
differenziano
19
. Ecco che nasce e si sviluppa un atteggiamento
strumentale nei confronti dellimmaginario sociale il cui ideale
diviene, nella temperie illuminista, quello di porre limmaginario al
servizio della ragione al fine di combattere i pregiudizi, il fana-
tismo religioso e il dispotismo politico, sul loro medesimo terreno.
Nasce una vera e propria politica dellimmaginario, che si ritrova al
massimo grado nel pensiero rousseauiano.
Lanalisi che Baczko compie delle Considrations sur le gou-
vernement de Pologne et sa rforme projete (177071) assai per-
tinente. Scritta da Rousseau su richiesta del conte Wielhorski, por-
tavoce di un movimento patriottico polacco chiamato Confederazione
di Bar, si tratta di unopera doccasione, e proprio per questo per
noi interessante in quanto, sbilanciata com sul versante applicativo,
si espone alla tentazione ideologica
20
. Nelle Considrations il filosofo
ginevrino arricchisce lideologia nazionalista, repubblicana e cattolica
della Confederazione e le conferisce coerenza concettuale, al punto
da formare unimmagine della Polonia destinata ad avere una
profonda influenza sulla storia effettiva di questo paese. Le Con-

nalismi, Manifestolibri, Roma 1996, p. 41).
19
B. BACZKO, Immaginazione sociale, cit., p. 58.
20
Cfr. J.J. ROUSSEAU, Considerazioni sul governo di Polonia e sul progetto di
riformarlo, in Scritti politici, vol. 3, Bari, Laterza, 1994, pp. 175281.

Sante Maletta 312
sidrations divengono quindi il luogo di incontro, di fusione e di
interazione di due formazioni immaginarie, di due fantasmi. Jean
Jacques poteva entusiasmarsi a questa immagine idealizzata della
Polonia solo perch essa coincideva con il suo sogno civico, con una
realt politica e sociale che egli stesso sognava
21
.
Ma come trasformare tale sogno in realt? A tale domanda
possibile rispondere solo se si ha chiaro in mente che il senso della
politica non larte di governare gli uomini, ma quella di nobilitare i
loro cuori e i loro animi
22
. E lo strumento pi potente per fare ci
la festa, la quale, attraverso i suoi riti, i suoi simboli e le sue
narrazioni paradigmatiche rende operante e orienta limmaginazione,
la facolt specifica al cui fuoco le passioni si accendono
23
. solo il
caso di ricordare quanto tali tesi rousseauiane vennero riprese durante
la Rivoluzione francese.
Ben pi rilevante ai nostri fini ricordare che nel pensiero
rousseauiano compito precipuo della facolt dellimmaginazione di
trasportarci fuori da noi stessi e di mettere in moto il meccanismo che
origina il legame sociale. solo con limmaginazione che avviene il
passaggio dalluomo naturale alluomo sociale: nessun rapporto so-
ciale e, a maggior ragione, nessuna istituzione sociale sono possibili
senza che luomo prolunghi la propria esistenza nelle immagini di se
stesso e degli altri, del proprio passato e del proprio futuro
24
.
Luscita dallo stato ferino (luomo naturale) sta in una dinamica para-
dossale di raddoppiamento/sdoppiamento originario che fa perno pro-
prio sullimmaginazione
25
. La politica dellimmaginario si concepisce
come tecnica di cura e di manipolazione del generarsi dellumano
nella sua peculiarit, vale a dire nella sua socialit.
Ci evidente nel caso della festa. Per Rousseau la festa pubblica
lo strumento principe di costituzione dellethos. Essa, pur essendo
un libero gioco della spontaneit degli uomini liberi, ha un
carattere organizzato e istituzionale; insomma: si presuppone che
lordine di istauri spontaneamente, e dietro la spontaneit si nasconde

21
B. BACZKO, Lumires de lutopie, Payot, Paris 1978 (trad. it. di M. Botto e D.
Gibelli, Lutopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nellet del-
lilluminismo, Torino, Einaudi, 1979, p. 75).
22
Ivi, p. 90.
23
Ivi, p. 93.
24
Ibidem.
25
Cfr. G. DALMASSO, La politica dellimmaginario. Rousseau/Sade, Milano, Jaca
Book, 1977.

Politiche dellimmaginario 313
sempre un organizzatore
26
. Anche qui ci troviamo di fronte a una
dinamica di raddoppiamento/sdoppiamento: nella festa il popolo ha
sempre davanti agli occhi la sua stessa rappresentazione al contempo
idealizzata e normativa
27
. La festa perci mette in moto lim-
maginazione; ma, per un effetto retroattivo, il modello sociale e mo-
rale, tradotto in immagini, tiene costantemente occupata questa im-
maginazione e non le permette di discostarsi dalla lezione che viene a
disporsi in un quadro vivente
28
. Ecco che tutte queste immagini
guida si concatenano in un discorso educativo
29
, in cui legittimo
chiedersi se sia effettivamente il popolo ad autoeducarsi oppure se
esso non faccia altro che riprendere e amplificare nei suoi riti e nelle
sue immagini collettive la parola originaria dellartefice
30
, vale a
dire del politico. In definitiva, conclude Bazcko, limmaginazione
vincolata: essa non fa altro che tradurre un discorso educativo, po-
litico e morale, e comunicarlo con uninsistenza monotona
31
.
Laspetto interessante della magistrale analisi di Bazcko sta nella
messa in luce della dinamica paradossale del discorso politico della
modernit, perlomeno nel suo aspetto prevalente di origine illumi-
nistica: da un lato lideale di una societ che intende essere traspa-
rente rispetto agli uomini che la fanno; dallaltro lesito in qualche
modo tecnocratico di tale impostazione. Si tratta di un paradosso pi
volte evidenziato nella storia del pensiero moderno, ma che non cessa
di produrre i suoi effetti. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, se lin-
teressante proposta di Gayatri Chakravorty Spivak di ripensare la
mission degli studi umanistici nellottica di un riorientamento non
coercitivo dei desideri attraverso contronarrazioni capaci di far
emergere il volto dellaltro, vale a dire di chi stato escluso dalle
narrazioni istitutive di una certa cultura
32
, non sia in ultima istanza
una nuova forma di politica dellimmaginario che sfocia in una
tentazione tecnocratica, seppur dal volto umano. In altre parole,
sembra che la modernit faccia fatica a uscire dal paradosso il-
luministico appena evidenziato, per quanto ne sia consapevole.

26
B. BACZKO, Lutopia, cit., p. 97.
27
Ibidem.
28
Ivi, pp. 9798.
29
Ivi, p. 98.
30
Ibidem.
31
Ivi, p. 100.
32
Cfr. ad es. Terror: A Speech After 911, boundary 2, 2 (2004), pp. 81111;
trad. it. Terrore. Un discorso dopo l11 settembre, aut aut, 329 (2006), pp. 646.

Sante Maletta 314
La consapevolezza di un problema non implica di per s la co-
scienza teoretica delle ragioni che lo producono, la quale riguarda
essenzialmente la natura delle narrazioni politiche nella loro opera di
formazione degli immaginari sociali. Dalle analisi che Benedict An-
derson compie nel suo importante lavoro sulle origini del nazio-
nalismo emerge che lo strumento pi caratteristico dei processi di
identificazione nazionale la narrazione genealogica, la quale opera
attraverso lobbligo, spesso inconsapevole ma non per questo meno
efficace, di dimenticare le tragedie fratricide che hanno segnato la
storia nazionale, le quali tuttavia vanno incessantemente com-
memorate nel discorso pubblico
33
. Ci significa che il discorso
pubblico, soprattutto nelle sue occorrenze pi simboliche e rituali,
opera una profonda revisione dellimmaginario sociale in modo da far
emergere, allinterno di societ profondamente lacerate, immagini di
fraternit
34
. Per quanto anche il discorso pubblico sia soggetto alle
dinamiche ideologiche recentemente analizzate da Todorov e Ri-
coeur, tale dialettica tensionale tra amnesia e narrazione sembra ob-
bedire a una struttura pi originaria: lidentit, proprio perch non
pu essere ricordata, va raccontata. In altri termini, lidentit non
una cosa, ma si ricostruisce ogni volta di nuovo nella narrazione
che pretenderebbe di recuperarla per come essa dal fondo della
memoria.
Si tratta insomma di ripensare, ancora una volta, la questione
dellorigine. La filosofia del Novecento, da Heidegger a Derrida, ci
ha fornito gli strumenti per pensare lorigine come un principio
generativo sempre attivo, e quindi in tal senso sempre presente, anche
se imprendibile concettualmente da parte del soggetto. Non si tratta
per di una forza che agisce alle spalle del soggetto, ma di qualcosa
che opera attraverso il sapere che il soggetto mette in campo circa se
stesso. E tale sapere anche e soprattutto un sapere narrativo. Come
abbiamo visto, la narrazione biografica, sia essa individuale o sociale,
allo stesso tempo costruzione identitaria. Essa resa possibile da un
gioco tra oblio e memoria attraverso cui lidentit viene riconfigurata
narrativamente. Ora, ci che rende tale dinamica non del tutto pa-
droneggiabile da una politica dellimmaginario che la presa di di-
stanza da se stessi, la quale tale riconfigurazione presuppone e allo
stesso tempo implica, non lesito di un atto di scelta soggettiva, ma

33
B. ANDERSON, Comunit immaginate, cit., p. 208.
34
Ivi, p. 210.

Politiche dellimmaginario 315
resa possibile da un evento imprevisto e imprevedibile e inevi-
tabilmente drammatico, in quanto chiama il soggetto a una respon-
sabilit, a un atto che sia contemporaneamente teoretico e pratico.
tale spossessamento del soggetto che fa resistenza rispetto a qual-
siasi tentazione ideologica, del resto sempre in agguato in ogni ope-
razione di autoidentificazione. solo perch il soggetto nel suo
stesso sapersi manca se stesso, vale a dire non possiede la propria
origine, che egli pu evitare la mancanza imperdonabile di dare la
propria adesione a ogni politica dellimmaginario che, con la pretesa
di liberare luomo da legami sociali non trasparenti, in realt opera
producendo nuove dipendenze.






GIUSEPPE MACCARONI

Immagini delloppressione in Simone Weil



Nellarticolo Prospettive: andiamo verso la rivoluzione proleta-
ria? apparso il 25 agosto 1933 sulla rivista La Revolution prolta-
rienne, Simone Weil scrive:

La rapidit con la quale la burocrazia ha invaso quasi tutte le branche
dellattivit umana qualcosa di stupefacente, se ci si prova ad immaginarla.
Lofficina razionalizzata, in cui luomo si trova privato, a profitto di un
meccanismo inerte, di tutto ci che iniziativa, intelligenza, sapere, metodo,
come unimmagine dellattuale societ. La macchina burocratica, infatti, per il
fatto di essere formata di carne, e di carne ben nutrita, non meno
irresponsabile e incosciente delle macchine di ferro e di acciaio. Tutta
levoluzione della societ contemporanea tende a sviluppare le diverse forme di
oppressione burocratica e dar loro una specie di autonomia in rapporto al
capitalismo propriamente detto. Perci il nostro compito di definire questo
nuovo fattore politico pi chiaramente di quanto non abbia potuto farlo Marx
1
.

Con queste parole Simone Weil coglieva e fissava nella con-
dizione delloperaio oppresso nella industria degli anni 30, lim-
magine di quella pi generale oppressione di cui era vittima lin-
dividuo nelle societ tecnoburocratiche e che rappresentava un pro-
blema inedito per il movimento operaio. Limmagine delloperaio op-
presso alla macchina nellofficina razionalizzata, asservito ai ritmi e
ai gesti del lavoro, quella che inizialmente pi colpisce Simone
Weil. Ma a questo aspetto tecnico delloppressione si unisce presto
anche il lato economico rappresentato dallestorsione del plusvalore,
dallo sfruttamento, e quello politico o umano costituito dalla subor-
dinazione agli apparati burocraticoamministrativi. Limmagine del-
loppressione unimmagine complessa, composta da diverse strati-
ficazioni, le quali insieme concorrono a connotare le societ degli an-
ni 30, quella capitalistica e quella sovietica, come una societ tecno
burocratica. Una realt inedita non contemplata nei classici del pen-
siero rivoluzionario e che pone inediti problemi a chi si pone dal
punto di vista della lotta di emancipazione del movimento operaio.
noto come la Weil non si limitata ad analizzare da un punto di

1
S. WEIL, Prospettive: andiamo verso la rivoluzione proletaria?, in ID., Op-
pressione e libert, Milano, Edizioni di Comunit, 1956, p. 28 (corsivo nostro).
Bollettino Filosofico 22 (2006): 317335 317
Giuseppe Maccaroni 318
vista puramente teorico le cause delloppressione, ma per scelta di
vita si fatta operaia per sperimentare sulla propria pelle la
condizione delloppressione in fabbrica come nella societ. Ecco, se
noi seguiamo lanalisi delloppressione che Simone Weil fornisce
negli scritti dei primi anni 30 (che sono quelli in cui milita nelle fila
del movimento operaio francese a fianco dei sindacalisti rivoluzio-
nari), ci rendiamo conto che, man mano che lanalisi si arricchisce e
loppressione viene colta in tutta la sua complessit sociale e politica,
ella mette in discussione le sue iniziali posizioni rivoluzionarie e
matura un atteggiamento di distacco verso la politica. Il duro contatto
con la realt delloppressione e il suo approfondimento teorico,
producono nella Weil un tale disincanto verso limpegno politico at-
tivo da indurla a mettere in discussione quegli articoli di fede su cui
si reggeva la sua militanza politica.
Questo approfondimento realistico delloppressione, colta nei suoi
aspetti economici, tecnici e politici, viene parallelamente accompa-
gnato da un atteggiamento sempre pi critico verso Marx. Simone
Weil ha parole di grande apprezzamento verso Marx in merito
alloppressione, e ritiene che essa sia stata colta e descritta con paro-
le vigorose e terribili formule nel Capitale. Tuttavia, a Marx, che
pur ha intuito i meccanismi oppressivi insiti nella societ capitalistica
della fine del secolo XIX, rimasta preclusa la realt delle societ
tecnoburocratiche nelle quali loppressione diventata pervasiva.
Questa nuova realt che, come si detto, accomuna i regimi capitali-
stici e quello staliniano, fa apparire in tutta la sua limitatezza lidea
marxista della rivoluzione come liberazione delle forze produttive dai
lacci dei rapporti di propriet, e impone un esame critico delloppres-
sione nellintera storia del genere umano. un compito che la Weil
porta a termine nel suo saggio inedito Riflessioni sulle cause della
libert e delloppressione sociale del 34, nel quale la complessit
delle radici sociali e politiche delloppressione la induce pessimistica-
mente a ritenere che, di fronte al carattere inumano assunto dalla
civilt contemporanea, lunica via di salvezza sia, non la riforma o la
rivoluzione, ma una cooperazione metodica di potenti e deboli per un
decentramento della vita sociale capace di attenuare i meccanismi
delloppressione.


Oppressione operaia e rivoluzione integrale

I primi scritti in cui Simone Weil coglie e descrive limmagine
Immagini delloppressione in Simone Weil 319
delloppressione nel suo aspetto puramente tecnico come assogget-
tamento e subordinazione del lavoratore alle condizioni materiali del
lavoro, sono due articoli che risalgono al 1932, entrambi pubblicati su
LEffort, un settimanale del sindacato autonomo degli edili di Lione.
Il primo articolo reca come titolo Le capital et louvrier. Si tratta di
una sintesi di un corso tenuto alla Bourse du Travail di Sainttienne.
Il secondo articolo, Aprs la visite dune mine, occasionato dalle
impressioni ricevute dopo una visita ad una miniera. In questo pe-
riodo Simone Weil ha rapporti molto stretti con il gruppo storico dei
sindacalisti rivoluzionari di cui condivide gran parte dellideologia
2
.
In particolare, ci che lattrae il rifiuto di ogni forma di socialismo
politico ed istituzionale, la valorizzazione dellazione diretta del pro-
letariato, lideale anarchico e proudhoniano dellabolizione di ogni
forma di autorit e coercizione, limportanza attribuita alleducazio-
ne della classe operaia per elevarne la dignit personale e renderla ca-
pace di dirigere la produzione e reggere le sorti della futura societ.
Lattrazione verso questi temi dellideologia del sindacalismo
rivoluzionario si spiega con il fatto che essi venivano incontro a
istanze teoriche e politiche gi presenti nella formazione di Simone
Weil. Questo vale nello specifico per la diffidenza ed il rifiuto dei
partiti in cui si manifesta la persistente influenza del suo maestro, il
filosofo radicale Alain, e che risale agli anni in cui Simone frequenta
tra 25 e il 28 il Liceo Enrico IV di Parigi. Ma vale soprattutto per la
considerazione del sindacato come strumento principale di auto
emancipazione dei lavoratori e organo promotore dei centri di edu-
cazione operaia finalizzati a rendere i lavoratori idonei ad ereditare la
cultura delle generazioni precedenti.
Su tali presupposti lantiintellettualismo dei socialisti rivoluzio-
nari, accettato senza riserve dalla Weil, si traduce in una concezione
del processo rivoluzionario il cui obiettivo prioritario quello di pre-
parare labolizione della degradante divisione tra lavoro manuale e
lavoro intellettuale. Ma ladesione di Simone a questo gruppo minori-
tario di sindacalisti, oltre che manifestarsi nella comune valoriz-
zazione della dignit e libert dellindividuo di contro ad ogni forma
di autoritarismo e coercizione, si coglie meglio nellassunzione del
lavoratore artigiano quale modello per eccellenza di operaio consa-
pevole e padrone delle condizioni materiali del processo produttivo.

2
Cfr. P. ROLLAND, Simone Weil et le syndacalisme rvolutionnaire, Cahiers
Simone Weil, III (1980), pp. 245243.
Giuseppe Maccaroni 320
A tal proposito stato scritto che il sindacalismo rivoluzionario mira-
va a contrastare e combattere la tendenza dominante nel capitalismo
moderno a fare del giovane operaio un accessorio incosciente della
macchina invece che un collaboratore intelligente
3
.
Ecco, la Weil utilizza limmagine delloppressione per meglio
esprimere questa nuova realt di asservimento cui costretto il lavo-
ratore con lintroduzione del macchinismo nel processo produttivo
capitalistico. E questa immagine delloppressione colta nel suo aspet-
to tecnico, ossia come subordinazione del lavoratore alla macchina,
in perfetta sintonia con Marx. In Le capital et louvrier la Weil so-
stiene che il regime capitalistico rovescia e inverte il rapporto tra il
lavoratore e i mezzi di produzione, nel senso che i lavoratori anzich
dominare i mezzi di produzione ne sono inesorabilmente dominati.
Ben diverso era il rapporto che instaurava lartigiano con i suoi stru-
menti di lavoro, con la materia prima. Egli era sovrano nel lavoro,
foggiava la materia a suo piacimento, usava gli attrezzi in modo
conveniente e con abilit, regolava i ritmi del suo lavoro, insomma
era un essere vivente e pensante che dominava con la sua intel-
ligenza lintero processo produttivo. Questa libert, indipendenza e
consapevolezza del lavoratore con lintroduzione delle macchine nel-
lindustria capitalistica si trasformata in schiavit. Marx ha per-
fettamente colto questa condizione di oppressione delloperaio e Si-
mone Weil cita lunghi brani del Capitale in cui si stigmatizza che si
verifica nel regime capitalistico linversione dei ruoli tra loperaio e
gli strumenti di lavoro, tra soggetto ed oggetto. Questo capovolgi-
mento determina che: 1) la macchina lascia alluomo la funzione
semplicemente meccanica di forza motrice; 2) loperaio serva la
macchina e non viceversa e il lavoro morto domina e sfrutta il lavo-
ro vivo
4
.
Simone Weil non disconosce che il merito storico del sistema
capitalistico nella storia umana sia stato quello di far passare luma-
nit dal lavoro individuale a quello collettivo accrescendo la pro-
duttivit del lavoro, ma questo per lei avvenuto opprimendo ancor
di pi disumanamente il lavoratore. I lavoratori, scrive Simone,
ridotti al grado estremo dellasservimento cominciano a prendere

3
A. ANDREASI, Lanarcosindacalismo in Francia, Italia e Spagna, Roma, La
Pietra, 1981, p. 19.
4
S. WEIL, Il capitale e loperaio, in A. ACCORNERO, G. BIANCHI, A. MARCHETTI
(eds.), Simone Weil e la condizione operaia, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 173.
Immagini delloppressione in Simone Weil 321
coscienza della condizione disumana loro inflitta, da quel momento il
problema che hanno per missione da risolvere il seguente: ripri-
stinare il dominio del lavoratore sulle condizioni del lavoro, senza
distruggere la forma collettiva che il capitalismo ha impresso alla
produzione. La soluzione di questo problema la rivoluzione inte-
grale
5
.
interessante notare che la Weil non teorizza la rivoluzione come
conquista del potere politico o rovesciamento dei rapporti di pro-
priet, ma accenna ad una rivoluzione che deve essere integrale la
quale, pur non escludendo il momento politico ed economico, ha co-
me finalit prioritaria un obiettivo tecnico, ossia ripristinare il do-
minio del lavoratore sulle condizioni del lavoro
6
. Questo nesso tra
oppressione delloperaio in fabbrica e rivoluzione tecnica viene con
maggior forza evidenziato nellarticolo Aprs la visite dune mine,
dove con immagini incisive e realistiche si individua nel mac-
chinismo il fattore che incrementa la gi pur naturale condizione di
sofferenza del minatore nello scontro con una materia ostile. Per
quanto dura sia stata la sorte del lavoratore, il minatore che sfaldava il
carbone col piccone agiva ancora da uomo libero. Era lui a deter-
minare il ritmo del lavoro, lui a trionfare sulla materia mediante un
attrezzo concepito in conformit al suo corpo. Con lintroduzione
del martello perforatore il lavoratore si sente annientato.

Aggrappato al martello compressore o alla macchina perforatrice, scrive la
Weil, similmente alla macchina, col corpo sconquassato dalle rapide vibra-
zioni dellaria compressa, per tutto il tempo si limita a mantenere la macchina
premuta contro la parete di carbone, nella posizione richiesta. In passato era
lui che dettava la forma e il moto dellattrezzo alla forma e alla durata natu-
rale dei suoi movimenti; il piccone era per lui simile a un arto supplementare
che, facendo corpo con lui, ampliava il movimento delle braccia. Ora lui a
fare corpo con la macchina, ad esservi incastrato come un ingranaggio
supplementare vibrante della sua incessante trepidazione. Questa macchina,
che non modellata sulla natura umana, ma sulla natura del carbone e del-
laria compressa e i cui movimenti seguono un ritmo profondamente estraneo
dei movimenti della vita, con violenza piega il corpo umano al suo servizio.

Da qui la chiara formulazione del problema che dovr risolvere la
rivoluzione. Al minatore non baster espropriare le compagnie per

5
Ibidem.
6
Cfr. P. ROLLAND, Lide de rvolution chez Simone Weil, FranceForum,
173174 (1979), pp. 6571; G. HOURDIN, Lide de rvolution chez Simone Weil et
chez Proudhon, Cahiers Simone Weil, 2 (1990), pp. 119136.
Giuseppe Maccaroni 322
diventare padrone delle miniere. La rivoluzione politica, la rivolu-
zione economica, saranno reali solamente se saranno seguite anche da
una rivoluzione tecnica che ristabilisca, allinterno della miniera e
della fabbrica, il dominio che il lavoratore ha il compito di esercitare
sulle condizioni di lavoro
7
.
Come si pu notare, in questi primi anni 30 in cui Simone milita
nelle fila del sindacalismo rivoluzionario, limmagine delloppressio-
ne che mette a fuoco quella operaia, cio quella in cui versa lope-
raio nella fabbrica razionalizzata e meccanizzata e che consiste essen-
zialmente nellassoggettamento del lavoratore alle condizioni mate-
riali del lavoro. La Weil sembra trascurare lestorsione del plusvalo-
re, lo sfruttamento operaio. Questultimo verr in un secondo momen-
to individuato come il puro aspetto economico delloppressione, in o-
gni caso come un fattore subordinato implicito nelloppressione. Allo
stesso modo non sembra che la sua attenzione sia per il momento at-
tratta dallaspetto politico o umano delloppressione, vale a dire dalla
subordinazione del lavoratore alle direttive dellapparato tecnicobu-
rocratico. Daltra parte, in questi testi non si rintracciano rilievi critici
verso Marx, anzi la Weil utilizza le stesse parole di Marx per descri-
vere gli aspetti tecnici delloppressione.
indubitabile che limmagine delloppressione, cos colta e de-
scritta, ha ripercussioni rilevanti sul modo di concepire la stessa rivo-
luzione. Infatti, la rivoluzione integrale deve: 1) porre fine alla degra-
dante divisione tra lavoro manuale e intellettuale e prefigurare questo
superamento gi nella societ esistente per preparare gli operai ad
ereditare la cultura del passato; 2) ristabilire allinterno della fabbrica
il dominio che il lavoratore deve esercitare sul lavoro. Infatti, les-
senza stessa del regime capitalistico consiste, secondo la vigorosa di-
mostrazione di Marx, in un rovesciamento del rapporto tra soggetto
e oggetto, un rovesciamento costituito dalla subordinazione del sog-
getto alloggetto, del lavoratore alle condizioni materiali del lavoro.
Pertanto: la rivoluzione non pu avere altro senso che quello di ri-
condurre il soggetto pensante al vero rapporto che egli deve avere con
la materia, restituendogli il dominio che gli spetta di esercitare su di
essa.
Ma ristabilire il dominio del lavoratore sulle condizioni materiali
del lavoro non deve distruggere la forma collettiva che il capitalismo

7
S. WEIL, Dopo la visita a una miniera, in A. ACCORNERO, G. BIANCHI, A. MAR-
CHETTI (eds.), Simone Weil e la condizione operaia, cit., pp. 175176.
Immagini delloppressione in Simone Weil 323
ha impresso alla produzione. Una formulazione, questa, che rievoca
la formula del patto sociale di Rousseau: unirsi a tutti ma in modo tale
che ciascuno obbedisca a se stesso e resti libero come prima.
Come si vede, la concezione che la Weil ha della rivoluzione in
questi anni fortemente influenzata dallimmagine delloppressione
operaia, ed diametralmente opposta a quella in voga tra i partiti
comunisti affiliati alla Terza internazionale. Allottimismo bolscevico
tutto orientato verso la conquista prioritaria del potere politico, la
Weil contrappone una visione della rivoluzione che deve mirare a
liberare i lavoratori dai meccanismi oppressivi incorporati nel pro-
cesso produttivo e a preparare nel lavoro cosciente il superamento
della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.


Loppressione in nome della funzione

Questo primo approccio allimmagine delloppressione, messa a
fuoco nel suo aspetto puramente tecnico, destinato nel giro di un
anno ad ulteriori approfondimenti teorici nellarticolo Prospettive del
1933, con il quale Simone Weil si impone allattenzione nel movi-
mento operaio francese. Lautrice appena ritornata da un breve
viaggio compiuto in Germania per conoscere da vicino le ragioni del
successo del partito nazionalsocialista e si sente ferita in fondo al-
lanima per quel che aveva visto l
8
. Ci che lha profondamente
colpita in questo breve soggiorno lo spettacolo di avvilente divi-
sione dei partiti in cui versa la classe operaia tedesca, incapaci come
sono di far fronte comune per arrestare lascesa del movimento
hitleriano. Ma al di l della situazione tedesca, in questo testo ella si
pone degli interrogativi di pi vasta portata che riguardano la crisi del
capitalismo, i fenomeni nuovi della situazione mondiale (fascismi,
regime staliniano, tendenze tecnocratiche) e le prospettive che si a-
prono per il movimento operaio.
Ancora una volta il filo conduttore della riflessione sociale e
politica della Weil costituito dallimmagine delloppressione, la
quale si arricchisce nelle sue articolazioni interne e, accanto al lato
tecnico di asservimento delloperaio alla macchina, viene colta anche
nel suo aspetto politico o umano, cio come subordinazione di coloro

8
A. THVENON, Introduzione a S. WEIL, La condizione operaia, Milano, Edizioni
di Comunit, 1974, p. 10.
Giuseppe Maccaroni 324
che eseguono a coloro che coordinano e dirigono. lemergere di una
nuova classe sociale che la Weil individua, il dilatarsi degli apparati
burocraticoamministrativi, non limitati nei ristretti confini della
fabbrica, ma estesesi in tutti gli ambiti della vita sociale. la realt
dellepoca nuova della societ tecnoburocratica che viene colta e
fissata.

In quasi tutti i settori, ella scrive, lindividuo, rinchiuso com nei limiti di
una competenza ristretta, si trova prigioniero dun insieme che lo supera, nel
quale egli deve regolare tutta la propria attivit, ma di cui per non pu
comprendere il funzionamento. In tale situazione, non c che una funzione
che assurga a importanza fondamentale, quella che consiste esclusivamente
nel coordinare. La si pu chiamare funzione amministrativa e burocratica
9
.

Ora, il punto di vista da cui Simone si colloca per valutare questa
inedita forma di oppressione tipica delle societ tecnoburocratiche,
rappresentato dallassunzione dellindividuo come valore supremo.
Anzi, pi precisamente la vera definizione della democrazia, come
del socialismo, consiste nella subordinazione della societ o col-
lettivit allindividuo. Invece, ci che si va profilando negli Stati tota-
litari e democratici un modello di societ in cui lindividuo av-
viluppato da ciechi, automatici, meccanismi di tipo burocraticoam-
ministrativo, i quali minacciano la sua autonomia e mortificano la sua
indipendenza di pensiero. Simone Weil consapevole che, anche se il
capitalismo in agonia, dal suo seno si manifestano tendenze che pre-
figurano il subentrare non del socialismo, ma di una societ radical-
mente nuova caratterizzata da una inedita forma di oppressione,
quella in nome della funzione. Essa riguarda in modo trasversale i
diversi sistemi politici. Siamo davanti a una smentita della previsione
marxiana secondo cui la societ capitalistica predispone nel suo seno
i presupposti del socialismo.
Per orientarsi in questo nuovo scenario necessario allora partire
dalle innovazioni introdotte nellorganizzazione del lavoro, compren-
dere come con il macchinismo e la razionalizzazione, si modificato
il lavoro in fabbrica e da l, poi, risalire agli effetti che si sono river-
sati nella societ nel suo complesso. Questo significa che bisogna
prendere atto di come lanalisi fornita da Marx del modo di produ-
zione e della societ capitalistica, continua ad avere una sua innega-
bile verit. Essa, tuttavia, non pi sufficiente a cogliere ed espri-

9
S. WEIL, Prospettive, cit., pp. 2728.
Immagini delloppressione in Simone Weil 325
mere la nuova condizione di oppressione in nome della funzione
subita dalloperaio una volta che ha varcato la soglia della fabbrica e
che diffusa pervasivamente nella societ.
Quella delloperaio in fabbrica una condizione completamente
nuova che modifica radicalmente i rapporti tra il lavoratore, le con-
dizioni di lavoro e la propriet dei mezzi di produzione. Una con-
dizione a cui solo parzialmente la teoria marxiana dello sfruttamento
riesce a dar conto. Lo sfruttamento delloperaio, lestorsione del plus
valore, laspetto economico delloppressione, la quale pu sus-
sistere anche senza di esso. La riprova fornita dal fatto che nel re-
gime sovietico con la propriet collettiva venuto meno lo sfrutta-
mento ma non loppressione in quanto loperaio asservito allo stes-
so modo di come lo negli altri Stati capitalistici. Questo significa
che il momento decisivo per ci che riguarda lasservimento del la-
voratore, non pi quello in cui loperaio vende, sul mercato del la-
voro, il proprio tempo al padrone, ma quello in cui, appena varcato la
soglia dellofficina, viene ghermito dallimpresa
10
. Il lavoratore
diventa unappendice della macchina al servizio dei tecnici della pro-
duzione. In altre parole, con la razionalizzazione e il macchinismo,
lorganizzazione del lavoro ha bisogno di un sorvegliante o tecnico
che dispone una certa quantit di macchine secondo le esigenze del
lavoro da eseguire e di operai specializzati che, con gesti sempre
identici e ripetitivi, li facciano funzionare. Questa nuova realt muove
dal mondo produttivo e si estende allintera societ. La fabbrica un
piccolo microcosmo che riflette questa dilatazione degli apparati
burocraticoammnistrativi che caratterizza la societ contemporanea,
e questi apparati tendono ad unificarsi in un unico apparato che
assomma la totalit dei poteri.
Simone Weil trova una conferma di questa nuova struttura sociale,
che accomuna in modo trasversale gli Stati totalitari e quelli demo-
cratici, nel libro di Ferdinand Fried, Das Ende des Kapitalismus, ap-
parso nel 31 e a torto passato inosservato nel movimento rivolu-
zionario
11
. Agli occhi della Weil il merito principale del lavoro di
Fried quello di aver mostrato come dalla fabbrica allo Stato, com-

10
Ivi, pp. 2223.
11
F. FRIED, Das Ende des Kapitalismus, Jena, Diederichs, 1931. Le tesi della
Weil sulla societ tecnoburocratica presentano molte analogie con quelle contenute
in B. RIZZI, Il collettivismo burocratico (1937), Milano, SugarCo, 1977. Ci siamo
soffermati su tale analogia nel nostro Simone Weil. Dalla parte degli oppressi,
Lungro, Marco Editore, 2003.
Giuseppe Maccaroni 326
presa lorganizzazione del movimento operaio, si ormai diffusa
ununica tendenza che pone il potere nella mani della burocrazia. Con
queste parole la Weil riassume la tesi principale dellopera di Fried:

Non sono pi i possessori del capitale, i proprietari degli stabilimenti che
dirigono limpresa, grazie alle azioni, questi proprietari sono estremamente
numerosi, e i pochi grandi azionisti che li dirigono si preoccupano soprattutto
doperazioni finanziarie. Coloro che hanno cura diretta dellimpresa, invece
amministratori, ingegneri, tecnici dogni specie non sono, fatta qualche
rara eccezione, dei proprietari, ma dei semplici salariati; costituiscono,
insomma, una burocrazia. Parallelamente, il potere dello Stato, in ogni paese,
si concentrato di pi in pi nelle mani dun apparato burocratico. Infine lo
stesso movimento operaio in balia duna burocrazia sindacale
12
.

Da qui la conclusione di Fried che la Weil sottolinea e con cui sin-
tetizza la sua opera:

Oggi noi siamo praticamente sotto il dominio della burocrazia sindacale,
della burocrazia industriale e della burocrazia di Stato, e queste tre burocrazie
si rassomigliano tanto che si potrebbero mettere luna al posto dellaltra
13
.

Al di l, dunque, della diversa configurazione ideologicopolitica
degli Stati, essi sono accomunati da una identica struttura tecnico
produttiva, che d luogo alla dittatura di una casta o classe sociale. E
ci ha delle conseguenze rilevanti sul piano teorico perch mostra i
limiti della teoria marxista nellaggredire sia le innovazioni introdotte
allinterno del processo produttivo ed estesesi nella societ, sia i
fenomeni politici nuovi rappresentati dai fascismi e dal regime
staliniano. Certo, Marx aveva: 1) intuito la forza di oppressione
costituita dalla macchina burocraticoamministrativa dello Stato; 2)
colto la separazione della propriet e della funzione dellimpresa; 3)
espresso con formule terribili loppressione che loperaio subisce
in fabbrica; 4) capito che il socialismo veramente tale se abolisce la
separazione delle forze spirituali del lavoro dal lavoro manuale. E
tuttavia non si era chiesto:

se la funzione amministrativa, nella misura in cui permanente, non poteva,
indipendentemente da ogni monopolio della propriet, dar luogo a una nuova
classe oppressiva. Eppure, se facilissimo prevedere come una rivoluzione
pu espropriare gli espropriatori, non lo meno il prevedere come un

12
S. WEIL, Riflessioni sulla tecnocrazia, il nazionalsocialismo, lURSS, ecc.,
in ID., Oppressione e libert, cit., p. 45.
13
Ivi, pp. 4243.
Immagini delloppressione in Simone Weil 327
modo di produzione fondato sulla subordinazione di coloro che eseguono a
coloro che coordinano possa produrre automaticamente una struttura sociale
definita dalla dittatura di una casta burocratica
14
.

In altre parole, la complessit sociale si talmente articolata che il
modello marxista della lotta di classe basato sulla contrapposizione
tra operai e capitale si rivela sempre pi insufficiente. Inoltre, lo
schema marxista classico che configura idealmente la possibilit di
solo due tipi di stato, quello capitalista e quello operaio, trova una
smentita storica nel regime staliniano che non n luno n laltro.
La Weil sottopone ad una critica radicale il regime staliniano sulla
base della convinzione che tra la rivoluzione dOttobre e il corso
staliniano non c soluzione di continuit, anzi lo Stato sovietico
lesito naturale di meccanismi messi in moto dal processo rivo-
luzionario innescato da Lenin. A rappresentare il traitdunion tra la
rivoluzione dOttobre e il regime staliniano la concezione leniniana
del partito come organizzazione chiusa, monolitica, che sacrifica ogni
forma di libert individuale e richiede una rigida disciplina in nome
del centralismo democratico. La societ edificata dopo la rivolu-
zione dOttobre non una traduzione pratica dei principi di demo-
crazia diretta, di autogestione operaia, teorizzati da Lenin nel suo
opuscolo Stato e rivoluzione. Non lo perch la rivoluzione non ha
spezzato lapparato burocraticoamministrativo e militare, ma lo ha
rafforzato. In realt il corso staliniano la prosecuzione naturale del
vecchio sistema zarista. Tranne che per labolizione della propriet
privata, per tutto il resto il regime staliniano lesatto opposto di
quellautogoverno dei produttori auspicato da Lenin. Un regime,
quello staliniano, la cui radicale novit ne rende estremamente
difficile lanalisi e che non pu essere classificato, come vuole
Trockij, come uno Stato operaio solo con alcune deformazioni
burocratiche, perch quando un errore di quantit attinge tali pro-
porzioni, permesso di credere che si tratti dun errore che incide
sulla qualit, ossia sulla natura stessa del regime
15
. Il regime
staliniano non uno Stato operaio guasto, un meccanismo sociale
differente definito dagli ingranaggi che lo compongono e che non
sono organizzazioni democratiche della classe operaia, ma organismi
di una amministrazione centralizzata da cui dipende, senza ec-
cezione alcuna, tutta la vita economica, politica e intellettuale del

14
S. WEIL, Prospettive, cit., pp. 2829.
15
Ivi, p. 15.
Giuseppe Maccaroni 328
paese
16
. In definitiva, un regime oppressivo che una smentita
brutale del dogma marxista per cui si possono dare solo due tipi di
Stato, quello capitalista e quello operaio.
Ma anche nei confronti di quellaltro fenomeno politico inedito,
rappresentato dai fascismi, bisogna riconoscere linsufficienza degli
schematismi del marxismo classico. Il fascismo non , come vuole
una certa fraseologia marxista, un movimento di masse piccolo
borghesi, tenute insieme demagogicamente e che rappresenta lultima
carta della borghesia prima della rivoluzione. Il fascismo ha un
carattere di massa, una sua specificit e autonomia, non uno stru-
mento facilmente manovrabile dalle classi borghesi. Bisogna avere il
coraggio di riconoscere che i fascismi non rientrano nel quadro
classico della lotta di classe. Le stesse tendenze tecnocratiche emerse
nel New Deal americano non sono facilmente comprensibili dal punto
di vista del marxismo classico e la stessa crisi che attanaglia i paesi
capitalistici non il preludio di una rivoluzione che prepara il
socialismo.
Da qui il disincanto che la Weil matura verso le forme tradizionali
della lotta politica rivoluzionaria e che la induce non ad allontanarsi
dal movimento operaio, ma a decidersi per un lavoro teorico per
meglio analizzare le cause delloppressione, mantenendo fermi gli
scopi che rappresentano la ragione stessa della sua esistenza.
Larticolo Prospettive lo scritto che meglio di ogni altro rivela il
momento di impasse che attraversa la Weil in questo periodo e le
ragioni possono essere cos sintetizzate: 1) la Weil matura la
consapevolezza dellinadeguatezza e insufficienza della teoria mar-
xista e rivoluzionaria a padroneggiare i nuovi fenomeni politici, e le
innovazioni introdotte nellorganizzazione del lavoro con i suoi ri-
flessi sullintera societ; 2) come conseguenza di queste nuove realt,
subentra in lei la lucida percezione che i metodi tradizionali di
condurre la lotta politica rivoluzionaria, quelli spontanei come quelli
organizzati, sono inefficaci e inidonei per intraprendere una reale
trasformazione della societ; 3) constata, infine, il venir meno, in
seguito alle innovazioni introdotte nel processo produttivo, di quell
operaio qualificato che era considerato il soggetto politico per
eccellenza cui la teoria rivoluzionaria demandava il compito di
trasformazione sociale.
In definitiva, come se larticolata individuazione delloppres-

16
Ivi, p. 16.
Immagini delloppressione in Simone Weil 329
sione in nome della funzione, agisse nella Weil da catalizzatore dal
quale guardare ai fenomeni inediti delle societ tecnoburocratiche e
la inducesse a ripensare quegli articoli di fede politica in cui si era
riconosciuta a fianco dei sindacalisti rivoluzionari mettendoli in
radicale discussione. La dura realt delloppressione in nome della
funzione, il suo carattere pervasivo, non limitato allofficina, ma
esteso a tutti gli ambiti della vita sociale (con la conseguenza della
perdita dellautonomia e indipendenza dellindividuo), le impone il
coraggio intellettuale della lucidit teorica, vale a dire affrontare alle
radici il tema delloppressione nelle societ umane per delineare i
tratti di una societ libera, al di l di ogni pessimistica valutazione
sullevoluzione della societ contemporanea,


Loppressione sociale e le sue cause

Se le radici delloppressione sono cos profonde e radicate nella
societ contemporanea, possibile immaginare una futura societ in
cui essa possa scomparire o almeno essere alleggerita? linter-
rogativo fondamentale che la Weil si pone nelle Riflessioni sulle
cause della libert e delloppressione sociale, elaborato prima di in-
traprendere la difficile scelta di vita di sperimentare sulla propria per-
sona la condizione doppressione facendosi operaia. Ora, immaginare
una societ libera, richiede che si risalga dallanalisi delloppressione
in nome della funzione, tipica della societ tecnoburocratica, ad un
problema pi generale relativo al meccanismo stesso delloppres-
sione. necessario comprendere in virt di che cosa sorge, sussiste,
si trasforma, e in forza di che potrebbe, forse, sparire.
Certo, lanalisi delloppressione in nome della funzione fonda-
mentale e prioritaria, e rispetto ad essa i contributi di Marx sono note-
voli e innegabili. Ma nella misura in cui si affronta il problema cru-
ciale della genesi storica delloppressione nella societ umana, emer-
gono con tutta evidenza i limiti e le insufficienze del marxismo. Li-
miti e insufficienze che in parte sono da addebitare alle condizioni
storiche in cui visse Marx.
Riassumiamo brevemente le acquisizioni teoriche a cui perve-
nuta la Weil nella sua analisi. Abbiamo visto che limmagine del-
loppressione unimmagine articolata e complessa. In essa conflui-
scono tre aspetti: economico, tecnico e politico. Riguardo a ognuno di
essi il contributo di Marx stato rilevante. Marx ha intuito ed
Giuseppe Maccaroni 330
espresso, con parole vigorose e formule terribili loppressione cui
sottoposto loperaio nel modo di produzione capitalistico. Ci non
toglie che egli non abbia tratto tutte le conseguenze delle sue
intuizioni. In particolare, in relazione allaspetto economico del-
loppressione, a Marx sfuggito che:

se ci si limita a questo punto di vista, certamente facile spiegare alle masse
comessa legata alla concorrenza, legata a sua volta alla propriet privata, e
che il giorno in cui la propriet diverr collettiva, tutto andr per il meglio.
Tuttavia, anche nei limiti di questo ragionamento apparentemente semplice,
un pi attento esame fa sorgere mille difficolt. Marx ha magistralmente
dimostrato che la vera ragione dello sfruttamento dei lavoratori non il
desiderio che avrebbero i capitalisti di godere e di consumare, bens la neces-
sit di ingrandire limpresa il pi rapidamente possibile per renderla pi po-
tente delle sue concorrenti. Ora non soltanto limpresa, ma qualsiasi specie
di collettivit lavoratrice che ha bisogno di restringere al massimo il consumo
dei propri membri per consacrare la maggior parte del tempo a forgiarsi le
armi contro le collettivit rivali; al punto che fintantoch vi sar, sulla faccia
del globo, una lotta per la potenza, e fintantoch il fattore decisivo della
vittoria sar la produzione industriale, gli operai saranno sfruttati. In realt,
Marx supponeva, senza tuttavia dimostrarlo, che ogni specie di lotta per la
potenza scomparir il giorno in cui il socialismo sar stabilito in tutti i paesi
industriali; il male , per, che, come Marx stesso, del resto, aveva ricono-
sciuto, la rivoluzione non si pu fare dappertutto contemporaneamente, e che,
quando fatta in un paese, essa non vi sopprime, anzi vi accentua la necessit
di sfruttare ed opprimere le masse lavoratrici per la paura di finire per essere
pi deboli degli altri Stati. ci di cui la storia della rivoluzione russa co-
stituisce una dolorosa illustrazione
17
.

Ecco, Marx ha trascurato di prendere in considerazione questo
dato elementare e realistico rappresentato dalla lotta per la potenza
che, nella storia umana, riguarda le collettivit rivali. Questa lacuna lo
ha indotto a ritenere che la semplice trasformazione del regime della
propriet dei mezzi di produzione fosse la soluzione per porre fine
allo sfruttamento e alloppressione. Per quanto riguarda laspetto
tecnico delloppressione, ossia la subordinazione delloperaio alle
condizioni materiali della produzione moderna nella grande industria,
lapporto di Marx considerevole. Nelle sue opere abbondano le
espressioni in cui tale condizione viene afferrata ed espressa. Infine,
anche per quanto concerne laspetto politico delloppressione, cio
lassoggettamento di coloro che eseguono a coloro che coordinano e

17
S. WEIL, Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione sociale, in
ID., Oppressione e libert, cit., pp. 6364.
Immagini delloppressione in Simone Weil 331
dirigono in fabbrica come nella societ, sono innegabili le intuizioni
di Marx, ma con una precisa limitazione. Marx aveva colto questo
aspetto politico delloppressione nella grande industria, cos come
aveva intuito che loppressione dello Stato si appoggia sullesistenza
di apparati di governo permanenti (burocratico, militare, poliziesco)
effetto della radicale distinzione tra funzioni direttive ed esecutive.
Tuttavia egli non aveva capito che un modo di produzione basato su
tale distinzione genera necessariamente una nuova classe dominante.
E questo vale per i paesi capitalistici come per la Russia sovietica a
dimostrazione della nuova realt della societ tecnoburocratica.
Sarebbe sbagliato per ritenere che i limiti di Marx siano dovuti
solo alla storicit della sua epoca. In realt, la matrice hegeliana della
teoria marxiana dello sviluppo progressivo delle forze produttive, ha
indotto Marx e i suoi epigoni a ritenere utopisticamente che la societ
capitalistica possa essere messa, con un semplice decreto, al servizio
di una societ di uomini liberi ed eguali. A Marx sfuggito che un
tale regime presuppone una precedente trasformazione della pro-
duzione e della cultura.
Ora, loperazione che la Weil compie nelle Riflessioni consiste
nellacquisire un livello di astrazione pi generale; ossia, risalire dal-
loppressione storicamente determinata della societ tecnoburo-
cratica alla genesi storica dei meccanismi oppressivi nella societ
umana. Una cosa certa: loppressione legata al regime di pro-
duzione. Su questo punto il contributo di Marx non pu essere messo
in discussione. Pi precisamente loppressione appare con le forme
pi evolute delleconomia, anche perch le forme di organizzazione
sociale con un livello basso della produzione sono immuni del-
loppressione. Di conseguenza, poich ogni livello elevato della pro-
duzione presuppone la divisione del lavoro, questa diventa fonte di
privilegi per alcuni gruppi (i riti religiosi sono segreto dei preti, la
coordinazione degli sforzi monopolio di dirigenti, i processi scien-
tifici sono riservati a scienziati e tecnici, ecc.). Certo, ci possono es-
sere altre cause dei privilegi ed essi da soli non bastano a determinare
loppressione. Il fattore decisivo che interviene nella genesi del-
loppressione nelle societ umane economicamente evolute, la lotta
per il potere. Qui viene alla luce lincompiutezza del marxismo il
quale, pur avendo dato la giusta considerazione al fattore economico
nella considerazione dellesistenza sociale, ha trascurato lincidenza
che il potere ha nella genesi storica dei meccanismi oppressivi. Ogni
societ oppressiva cementata dalla lotta per il potere, il quale finisce
Giuseppe Maccaroni 332
per diventare fine a s stesso nel suo autoprodursi assoggettando
tutti, deboli e potenti.

Da quando, scrive la Weil, la societ umana divisa in uomini che danno
ordini e uomini che li eseguono, tutta la vita sociale comandata dalla lotta
per il potere, e la lotta per la sussistenza non interviene che come un fattore,
in realt indispensabile, della prima. La concezione marxista, secondo la
quale lesistenza sociale determinata dai rapporti tra uomo e natura stabiliti
dalla produzione, resta lunica base solida per ogni studio storico; soltanto
questi rapporti devono essere considerati anzitutto in funzione del problema
del potere, i mezzi di sussistenza costituendo semplicemente un dato di
questo problema []. Uno studio scientifico della storia sarebbe dunque uno
studio delle azioni e delle reazioni che si producono perpetuamente tra
lorganizzazione del potere e i processi della produzione; giacch se il potere
dipende dalle condizioni materiali della vita, esso non cessa per mai di
trasformarle. Uno studio del genere sorpassa attualmente le nostre pos-
sibilit
18
.

Il potere, dunque, ha una sua autonomia e specificit. Questa
concezione se avvicina la Weil ai pensatori del realismo politico la
allontana sempre pi dal marxismo perch la produzione economica
non la chiave ermeneutica privilegiata per la comprensione del
potere e della sua dinamica. In altre parole, a Marx mancata proprio
la considerazione che la vita sociale comandata dalla lotta per il
potere e che la produzione solo un fattore indispensabile ma stru-
mentale di questa lotta. Fattore indispensabile, ma non causa o con-
dizione determinante, perch esso subordinato a fini che lo
sorpassano. Questa considerazione specifica del potere, il ricono-
scimento della sua autonomia, lattribuzione ad esso del tratto pecu-
liare di unincoercibile corsa ad autoriprodursi e incrementarsi priva
di ogni finalit, il suo tendere ad assoggettare sotto il proprio imperio
deboli e potenti, sono sviluppi concettuali debitori dellinfluenza del
suo maestro Alain. Questultimo, com noto, invitava ad un sano
sentimento di diffidenza verso il potere per la sua intrinseca natura
proteiforme e per la sua congenita inclinazione a degenerare e divo-
rare i singoli individui
19
.
In sintesi, se si considera a grandi linee levoluzione delle societ
umane, si pu comprendere come la genesi delloppressione sia stret-
tamente legata ad un meccanismo di transfert: al processo di eman-

18
Ivi, pp. 104105.
19
Cfr. ALAIN, lments dune doctrine radicale, Paris, Gallimard, 1925, e ID., Le
citoyen contre le pouvoir, Paris, Gallimard, 1926.
Immagini delloppressione in Simone Weil 333
cipazione delluomo dalla schiavit delle forze della natura, cor-
risponde parallelamente una sottomissione delluomo alla societ e
nella societ. Con la divisione del lavoro si spezza luguaglianza ori-
ginaria e il potere e la lotta per esso si unisce ai privilegi connessi al
monopolio delle conoscenze specialistiche. Per sopprimere, dunque, i
meccanismi oppressivi bisognerebbe eliminare la divisione del lavo-
ro, i monopoli e i privilegi. Tutti fattori che alimentano la lotta per il
potere e sono la sorgente delloppressione sociale. Da qui lamara
conclusione della Weil secondo cui luomo nasce schiavo ed desti-
nato a rimare tale.
Si tratta, allora, di ammettere che luomo non possa liberarsi o,
almeno, attenuare loppressione sociale? Non questa la conclusione
cui perviene la Weil, la quale nellultimo paragrafo delle sue ri-
flessioni delinea i tratti di una societ libera o non oppressiva e,
consapevole del carattere utopistico di una tale societ, la presenta
come un ideale verso cui orientarsi.


Lutopia di una societ libera

Abbiamo visto come il problema legato alla genesi dellop-
pressione sociale relativo ad un misterioso equilibrio o legge che
sussiste tra essa e il progresso delluomo nei confronti della natura.
Al progressivo allentamento del giogo delle necessit naturali para-
dossalmente, corrisposto un appesantimento delloppressione so-
ciale. In altre parole, quanto pi la collettivit umana si liberata ed
emancipata dal peso sconfinato delle forze della natura, tanto pi la
collettivit o societ ha finito per schiacciare lindividuo. Del resto,
uno sguardo rapido alla condizione delluomo nella societ tecno
burocratica sufficiente per rendersi conto che il rapporto tra
lindividuo e la societ un rapporto del tutto sbilanciato a favore di
questultima, la quale con i suoi ingranaggi ciechi e incontrollati,
schiaccia e opprime lindividuo.
Si tratta, allora, di ripensare alla possibilit di un rapporto pi
armonico tra individuo e societ, di auspicare una riduzione della
dipendenza sociale a favore di un aumento della dipendenza naturale,
di ristabilire un equilibrio tra natura e cultura, natura e storia, per
contrastare il sacrificio dellindividualit richiesto dal collettivismo
della societ contemporanea. Questo riequilibrio deve avere una
duplice direzione: deve riguardare il mondo del lavoro e la societ nel
Giuseppe Maccaroni 334
suo complesso. La chiave di una proposta teorica capace di rimodel-
lare le condizioni di lavoro in fabbrica e i rapporti sociali, com
evidente, rappresentata dalla nozione di libert. La libert a cui
pensa la Weil non ha niente a che fare con quella della tradizione
liberale o democratica. Non si tratta affatto n della libert come non
impedimento n della libert come obbedienza a leggi cui si dato il
proprio consenso. Per la Weil la libert riguarda i rapporti tra il
pensiero e lazione ed ha nel lavoro la sua pi piena realizzazione. In
questo senso sarebbe, cio, completamente libero luomo nel quale
tutte le azioni derivassero da un giudizio anticipato concernente lo
scopo chegli si propone e la concatenazione dei mezzi per rag-
giungerlo; viceversa: un uomo sarebbe completamente schiavo se
tutti i suoi gesti derivassero da altra fonte che dal proprio pensiero
20
.
Per apprezzare questa definizione della libert come perfetta
adeguazione dellazione al pensiero, necessario tener conto del
ruolo del tutto subalterno cui ridotto il pensiero nella societ
contemporanea. Qui, infatti, la funzione di controllo, che dovrebbe
essere appannaggio esclusivo del pensiero, ormai passata alle cose.
Si , dunque, liberi nella misura in cui si agisce con consapevolezza,
quando il pensiero lucido guida e orienta le nostre azioni e in questo
modo non ci abbandoniamo alla casualit, allistinto, allabitudine,
allandare per tentativi. Nellambito del lavoro un operaio si pu rite-
nere libero allorch nella sua attivit predomina lazione metodica, la
quale cosa ben diversa dallazione conforme al metodo, alla mec-
canica applicazione di un metodo senza che il pensiero vi abbia parte.
Questa libert nel lavoro per la Weil si esprime nellopera del-
lartigiano o delloperaio qualificato ed implica per la sua realiz-
zazione una modificazione, anche tecnica, del regime delle imprese
produttive moderne.
Nella societ il grado di libert di un individuo si misura dalla sua
capacit di pensare mentre agisce e, quindi, di sottrarsi allinfluenza
delle ideologie collettive, di ridurre il condizionamento oppressivo
dei meccanismi sociali, istituzionali, i quali tendono a schiacciare
lindividuo e a mortificarne le capacit di valutazione e orientamento
autonomo. Ora, nella prospettiva di una subordinazione della societ
allindividuo, necessario non solo semplificare e rendere pi tra-
sparenti i meccanismi sociali, ma: le collettivit non dovrebbero mai
essere tanto estese da superare la portata duno spirito umano; la

20
A. WEIL, Riflessioni, cit., p. 124.
Immagini delloppressione in Simone Weil 335
comunit degli interessi dovrebbe essere evidente in modo da can-
cellare le rivalit, e, come ogni individuo dovrebbe essere in grado di
controllare il complesso della vita collettiva, cos questa dovrebbe
essere conforme alla volont generale
21
.
evidente linfluenza profonda di Rousseau sul pensiero della
Weil, percepibile nella preferenza accordata alle piccole collettivit a
misura duomo, pi facilmente controllabili dallindividuo, e la cui
vita collettiva deve essere guidata dalla volont generale. Altrettanto
evidente linfluenza del riformismo proudhoniano, rinvenibile nella
preferenza accordata allartigiano come modello del lavoratore libero.
Questi elementi, uniti allesplicito rifiuto del progresso, hanno dato
lopportunit, a pi di uno studioso, di sottolineare come questo
quadro teorico di una societ libera sia rivolto al passato, indirizzato
verso la difesa di ceti e categorie sociali travolti dallo sviluppo
capitalistico. Da qui laccusa di tradizionalismo rivolta alla Weil, an-
che se sul vero significato politico di esso, ossia se si muova in una
prospettiva reazionaria o rivoluzionaria, non si registra un consenso
unanime tra gli studiosi
22
. Sembra certo che alla Weil non si possa
attribuire la nostalgia di una perduta et delloro e che essa sia esente
da ogni forma di pressione sociale sullindividuo. Questa idea farebbe
ricadere le argomentazioni della Weil in una prospettiva mitica e non
scientifica.
In definitiva, limmagine della dura realt delloppressione so-
ciale, che si imprime nella riflessione della Weil in questi anni, pu
aiutare a capire anche la sua evoluzione politica, ossia labbandono
delle posizioni rivoluzionarie e lapprodo ad un atteggiamento di
disincanto. La realt complessa e stratificata delloppressione, il suo
profondo radicamento nella storia delle societ umane pi econo-
micamente evolute, la inducono a ritenere che non si possa dare una
condizione umana in cui lindividuo sia del tutto esente dai pesanti
condizionamenti della necessit sociale. Lorientamento politico pi
congeniale, pertanto, quello finalizzato ad alleggerire o attenuare il
pi possibile, in fabbrica come nella societ, i meccanismi dellop-
pressione con una cooperazione tra potenti e deboli.

21
Ivi, p. 142.
22
Cfr. G. FORNI ROSA, Simone Weil. Politica e mistica, Torino, Rosenberg &
Sellier, 1996, pp. 3357.





ALFREDO GIVIGLIANO

Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
Considerazioni preliminari: riflessioni e domande



Non dire sciocchezze
Non ho bisogno di vedere, mi basta il buonsenso.
ROBERT A. HEINLEIN
1


0. Capitolo 1: introduzione

Oggetto di queste riflessioni il concetto di relazione. Un
concetto che sembrerebbe, in prima istanza, del tutto semplice da
analizzare; un concetto oggetto di discussione ed investigazione
lungo un arco temporale di svariati secoli; un concetto che trova casa
in differenti discipline. Tutte affermazioni semplici, che preludono ad
una ricostruzione della relazione allinterno di una o pi dimensioni
del sapere, della conoscenza, della scienza. Ma non sempre le cose
sono semplici come appaiono, anche se la scienza, molte volte
vorrebbe e ricerca questa semplicit (con risultati forse alterni).
Partiamo dallultima delle considerazioni iniziali: quello di
relazione un concetto che si declina in differenti discipline.
Andiamo pi in profondit. Discipline filosofiche? Discipline scien-
tifiche? Un solo concetto di relazione? Pi concetti tra loro separati?
O forse con delle intersezioni, sovrapposizioni, identit tra loro.
Ovviamente non questa la sede per una ricostruzione ed una
discussione esaustiva di ci che pu essere una relazione, di come si
articola, di cosa implica, di quali sono i suoi presupposti e la con-
seguenze teoretiche (ed euristiche) che determina. Ci di cui ci vo-
gliamo occupare nello specifico pu essere considerata la decli-
nazione sociale del termine relazione; una declinazione che essa
stessa operazione sociale.
Il punto di partenza pu sembrare anchesso banale: la sociologia
la scienza che studia, analizza, teoretizza relazioni sociali: le rela-
zioni sociali sono la forma, il contenuto, letichetta con i quali si iden-
tifica il dato della sociologia nella sua dimensione pi generale. Un

1
HEINLEIN (1963, p. 117).
Bollettino Filosofico 22 (2006): 337-356 337
Alfredo Givigliano
338
possibile modo di investigare scientificamente, in maniera il pi
possibile oggettiva, precisa, certa la realt sociale quello di sfruttare
alcuni risultati della matematica, della teoria della probabilit il pi
delle volte, come strumento allinterno della determinazione e del-
lanalisi del dato stesso. Cosa c di pi ovvio anche in relazione a
ci di cui siamo testimoni molto spesso nel nostro quotidiano?
A questo punto, tuttavia, emergono i primi problemi e le prime
determinazioni da analizzare. La sociologia e la matematica sono due
discipline ben differenti, ma in che modo arriviamo ad utilizzarle
contestualmente allinterno di un processo conoscitivo?
Primo problema: la filosofia delle scienze sociali non neces-
sariamente coincidente con la filosofia delle scienze naturali. Sot-
toproblema: la matematica una scienza naturale? una scienza socia-
le? una prassi? Secondo problema: la sociologia utilizza la mate-
matica? Cosa vuol dire utilizzare? Come pu una scienza sociale
(dello spirito, umanistica, debole, etc.) utilizzare la matematica? Per
cercare legittimazione? Emergono a questo punto quesiti che riguar-
dano la legittimit stessa di questa operazione?


1. Usi e costumi

In quali termini la sociologia utilizza la matematica? Per la
determinazione dei propri oggetti? Come modello per lanalisi della
realt sociale (in questo caso, gli oggetti della sociologia sarebbero
anchessi oggetti matematici o vi sarebbe una relazione ulteriore tra
questi due universi del discorso)? Come linguaggio? Come un qual-
cosa al quale appellarsi in ragione del carattere scientifico del dato
trattato matematicamente?
Tutte queste domande si riferiscono in maniera principale ai co-
siddetti metodi quantitativi della sociologia ed alle tecniche di analisi
statisticoprobabilistiche utilizzate nello sviluppo delle ricerche stes-
se. Ma siamo del tutto sicuri che anche le cosiddette sociologie quali-
tative, che hanno lo stesso anelito di scientificit, non facciano ricorso
in maniera pi velata alla matematica stessa?
Possiamo affermare, comunque, che la sociologia in relazione,
sotto determinati rispetti, con la matematica in maniera pi profonda
partendo dalle considerazioni brevemente tracciate. vero, il discor-
so sociologico anche e soprattutto (se non del tutto) un discorso svi-
luppato nel linguaggio naturale, meglio nella declinazione diagram-
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
339
matica del linguaggio della vita di tutti i giorni lungo la dimensione
del linguaggio della sociologia. Discorso che, tuttavia, subisce una
serie di passaggi, di intrusioni, sfuma allinterno del discorso della
logica, di quello della matematica, di quello della filosofia, per poi
ritornare in se stesso (a volte salta questultimo passaggio per fer-
marsi a sviluppare considerazioni proprie dellambito filosofico tout
court). Percorso complesso, non differente da molte altre discipline
scientifiche, dalla scienza stessa.
A questo punto, per, sorge una domanda. A quale matematica fa
cos riferimento la sociologia? La domanda non del tutto fuori
luogo, esiste una sola matematica o vi sono pi declinazioni della co-
noscenza matematica stessa? Se partiamo dal presupposto che la ma-
tematica un qualcosa di certo, di stabilito una volta per tutte, un
qualcosa al quale rivolgere lo sguardo in caso di bisogno per avere
risposte univoche e certe, allora s! La matematica una sola. Questa
connotazione ontologica ha le proprie determinazioni e presupposti
formali che non possono essere elusi.
Facciamo una prova. Se la matematica una sola, ed ha anche
una sola ed unica modalit di conoscenza: la pi semplice, la pi bel-
la, la pi immediata, la pi economica. Non solo, ma se una sola,
anche i suoi oggetti devono poter essere univocamente determinati.
Inoltre se, tutto questo vero, il suo utilizzo da parte delle altre disci-
pline deve essere univoco, in quanto, uno solo pu essere quello cor-
retto in relazione e funzione della genesi dei suoi oggetti, delle sue
procedure, dei suoi risultati. Tutto questo si scontra con gli elenchi
delle varie modalit di conoscenza matematica che possiamo riscon-
trare nel dibattito sulla matematica stessa.
Ovviamente matematica e filosofia della matematica sono due
cose ben distinte. Bourbaki sarebbe fiero di questa affermazione, anzi
sarebbe ancora pi deciso, la filosofia non deve avere niente a che
fare con la matematica stessa. La matematica deve essere mondata da
ogni implicazione teoretica al di fuori di se stessa. La matematica
deve essere autosufficiente. In questo senso il trattamento riservato da
Bourbaki ad esempio ad H. Weyl significativo.
Nel momento in cui fissiamo lattenzione sui nodi fondamentali
di queste argomentazioni scopriamo che sono gli stessi che riguar-
dano, sotto determinati rispetti, anche la sociologia. La sociologia
utilizza effettivamente la matematica. Il problema sorge nel momento
in cui questo utilizzo diventa un filtro che, sotto determinati rispetti,
distorce. Gli assunti della teoria della probabilit, in termini di per-
Alfredo Givigliano
340
fetta sostituibilit di un soggetto con un altro allinterno della costru-
zione di un campione, mette laccento, forse su caratteristiche socio-
logiche strutturali. Ma sembra del tutto coerente con unanalisi strut-
turale della conoscenza matematica; meglio, una lettura strutturale
della matematica. Le domande cosiddette metafisiche, ontologiche,
teoretiche, non devono riguardare luniverso di discorso della mate-
matica.
Sono i nodi della determinazione delloggetto, della determina-
zione (costruzione) del modello (teorico, metodologico, empirico);
del ruolo, funzione, realt del/dei linguaggio/i; della legittimazione
stessa.


2. Numeri, mondo, soggetti

La determinazione delloggetto della matematica pu essere stret-
tamente collegata con il linguaggio specifico, identificante una disci-
plina matematica specifica, nel quale le considerazioni vengono svi-
luppate. La matematica nel suo complesso, come discorso, ha le
proprie declinazioni nella geometria, nellalgebra, nellanalisi, nella
teoria della computabilit, etc. Ognuna di queste declinazioni ha un
proprio linguaggio, una propria determinazione (costruzione) degli
oggetti, una propria metodologia logicoscientifica, spesso un proprio
modo di ricondurre gli oggetti delle altre declinazioni nei termini dei
propri; come daltronde fanno capo, secondo modalit differenti, a
differenti filosofie della matematica. Ma quali sono allora gli oggetti
della matematica? Le figure della geometria? Gli insiemi? I numeri?
Le equazioni? Le funzioni? Le strutture? Le categorie?
La relazione tra matematica e mondo risulta, quindi, estrema-
mente complessa. Infatti se da una parte Aristotele dichiara che i
Pitagorici consideravano i numeri come le componenti ultime degli
oggetti reali e materiali. I numeri non avevano unesistenza distinta
dagli oggetti sensibili. Quando i primi Pitagorici dicevano che tutti gli
oggetti sono composti da numeri (interi) o che i numeri sono les-
senza delluniverso, essi intendevano ci in senso letterale, perch per
loro i numeri erano quello che per noi sono gli atomi
2
, dallaltra
laffermare che la matematica non nel mondo, che gli oggetti della
matematica non sono nel mondo della vita di tutti i giorni si ri-
specchia, sotto determinati rispetti, con la distinzione tra sintassi e

2
KLINE (1972, p. 38). Cfr. ARISTOTELE, Metafisica A 986
a
.
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
341
semantica. Nel mondo non possiamo mai incontrare il numero, come
non possiamo incontrare il triangolo, la variabile, la macchina di
Turing. Passaggio alla sociologia. Questa tensione tra ideale e reale si
pu forse utilizzare, risolvere nel momento in cui ci chiediamo in che
modo, ad esempio, emerge il discorso della soggettivit, quindi, del
soggetto in situazione concreta di prassi.
Se si ammettesse lopzione solipsista, il problema sarebbe del
tutto semplice, detto in termini estremamente banali non esiste nulla
al di fuori di chi lo pensa. Utilizziamo la logica classica: due opzioni,
questa posizione vera; questa posizione falsa. Prima opzione: il
solipsismo vero. Ma portando il ragionamento alle estreme con-
clusioni, non potremmo mai parlare in nessun caso di una realt
sociale. Non vivremmo allinterno di una societ. Lunica possibilit
di conoscenza del reale sarebbe lo sguardo verso linterno. La scienza
non avrebbe ragione di esistere. La matematica raggiungerebbe il
massimo grado della lettura platonica, privata del ritorno sul mondo,
mentre la sociologia sarebbe una invenzione del soggetto stesso.
Questa opzione, del tutto rispettabile, anche in funzione e ragione
delle analisi che lhanno vista come oggetto e/o presupposto, non
coincide, non quella in, per mezzo ed attraverso la quale le nostre
considerazioni nascono, sono costruite e si sviluppano. Il vincolo del-
la logica classica troppo forte, cogente, riduttivo. Sono state svilup-
pate tutta una serie di considerazioni sul rapporto tra la matematica,
gli oggetti della matematica ed il mondo. In questa sede ci interessano
quelle che riguardano il problema della matematica nellanalisi, de-
scrizione, teoria della realt sociale. Una prima ricognizione di questo
possibile rapporto era, quindi, necessaria, quanto meno per fissare al-
cuni punti di discussione.
Il problema della soggettivit, infatti, pu essere descritto come
un problema effettivamente matematico nel senso di una sua lettura
in, per mezzo ed attraverso il linguaggio della matematica. Il soggetto
esiste nel momento in cui vi sono altri soggetti. Ma cosa vuol dire
altri soggetti? Oggetti differenti dal primo. Questa differenza, che ri-
entra nel campo proprio della filosofia sotto differenti rispetti, pu
anche essere contestualizzata allinterno della matematica
3
.

3
Alla domanda formulata nel titolo di questo scritto io rispondo fondamental-
mente cos: i numeri sono libere creazioni dello spirito umano, e servono per cogliere
pi facilmente e pi precisamente la diversit delle cose. Con la costruzione pura-
mente logica della scienza dei numeri, e con il dominio numerico continuo cos
acquisito, siamo per la prima volta in condizione di studiare correttamente le nostre
Alfredo Givigliano
342
Una prima considerazione riguarda il fatto che la societ nel suo
complesso pu essere individuata sotto la forma n+1: il soggetto in
questione sommato alla totalit degli altri. Il criterio di differenza
come individuazione della soggettivit in termini additivi, quindi, in
funzione e relazione ad una misurazione, un conteggio, una classifi-
cazione.
Considerazioni collaterali: gli oggetti in questione non apparten-
gono allo stesso tipo: loggetto gli altri, non dello stesso tipo del-
loggetto soggetto (si tentati di dire singolo soggetto, ma anche il
concetto di singolarit, come quello di individualit, possono essere
sottoposti allo stesso percorso di analisi); ulteriore considerazione,
loggetto altri identifica a sua volta una pluralit: che cosa n?, quan-
ti sono gli n (domanda che pi correttamente dovrebbe suonare: quan-
ti soggetti costituiscono n? in ragione di un progressione aritmetica
che da 1, il singolo, arriva ad n)? chi sono gli n? perch devono es-
serci degli n? Per converso, allinterno delluniverso del discorso
dellanalisi sociale, la societ pu essere considerata anche come n1:
il soggetto che non accetta le norme sociali, il soggetto che muore, il
soggetto che lascia un determinato contesto sociale per entrare in un
altro (la societ nel mondo, non un qualcosa di ideale, quindi, non
pensabile affermare che esista sincronicamente un solo tipo di so-
ciet, una sola modalit del sistema sociale, un solo stadio dello svi-
luppo di una societ. In effetti si potrebbe proseguire per inclusioni
successive fino ad arrivare al sistema mondo, ma anche in questo caso
ci sposteremmo semplicemente di livello, la societ a sua volta
complessa). Continuiamo, nella descrizione sociologica compaiono
gli oggetti che individuano i cosiddetti soggetti collettivi; a quale tipo
appartengono? C forse il pericolo, nellanalizzare le relazioni so-
ciali tra individui singoli ed individui collettivi, di ritrovare il mec-
canismo del paradosso di Russell?
Seconda considerazione: quali sono le regole che intervengono in
questo gioco? I fenomeni di inclusione ed esclusione sociali, ad esem-

rappresentazioni dello spazio e del tempo ponendole in rapporto col dominio nume-
rico creato nel nostro spirito. Se osserviamo attentamente cosa facciamo quando con-
tiamo un insieme o una quantit determinata di cose siamo condotti a considerare una
capacit dello spirito senza la quale impossibile ogni pensiero, la capacit di met-
tere in rapporto cose con cose, di far corrispondere una cosa a unaltra ovvero di
rappresentare una cosa mediante unaltra cosa. Secondo me [] su questo unico e
peraltro assolutamente necessario fondamento che deve essere costruita tutta la scien-
za dei numeri (DEDEKIND 1887, p. 80).
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
343
pio, in che modo possono essere, esprimere, le relazioni tra un
soggetto e gli altri? Cosa c dietro loperazione + in sociologia? In
che modo un ricercatore sociale legge il fenomeno attraverso lanalisi
di un campione rappresentativo?
La stessa costruzione ed identificazione della soggettivit un
qualcosa di relazionale. La relazione pu essere sviluppata partendo
da considerazioni che dallinterno sfumano verso lesterno lungo un
circuito ricorsivo. La costruzione stessa di un insieme, di un numero
nei termini della cardinalit di un insieme, la identificazione e
costruzione di una struttura matematica, tutto questo presuppone,
implica e si sviluppa tramite e per mezzo relazioni. Coincidono que-
ste relazioni con quelle della sociologia nel momento in cui si iden-
tifica una classe sociale o un soggetto come appartenente ad un deter-
minato gruppo? Ovviamente non vogliamo far coincidere ci che so-
no le relazioni, come oggetto e come strumento, allinterno della
matematica con quelle che sono le relazioni sociali. Tuttavia, a livello
metodologico si aprono prospettive interessanti nella discussione su-
gli indici, le variabili, le analisi.
Una relazione sociale non un qualcosa di puramente ideale, il
concretizzarsi da uno spazio delle possibilit in spazio delle dispo-
sizioni di un soggetto in habitus e pratiche sociali. In che modo tutto
questo instaura una tensione, un dialogo con una possibile lettura
matematica delle proprie dinamiche? In che modo possiamo leggere
matematicamente il passaggio da possibilit a disposizioni a pratiche?
Possiamo forse fornirne una rappresentazione; ma una rappresen-
tazione per sua stessa natura una riduzione partendo da un preciso
punto di vista. La complessit del sociale non riducibile. In che mo-
do, quindi, si utilizzano le espressioni relazioni sociali, funzioni so-
ciali, forze sociali?


3. La possibilit del modello

Una rappresentazione attraverso modelli. Pu forse essere questo
un inizio di risposta agli ultimi questi, risposta che, tuttavia, apre
nuovi scenari. Si tratta prima di tutto di intendersi sullidea stessa di
modelli. Restringere lambito del concetto matematico alla sua
componente strutturale o assiomatica equivale a rendere incompren-
sibile leventuale aggancio con la realt. Cos la prima tappa consiste
nel rompere con il mito di una matematica puramente ideale e tra-
Alfredo Givigliano
344
scendente. La matematica, in qualunque modo partecipi delle idee
platoniche, formali ed eterne, ha ugualmente delle funzioni materiali
e delle origini sensoriali (estetiche nel senso kantiano)
4
.
La matematica un modello per la sociologia oppure la mate-
matica un modello nella sociologia o ancora della sociologia? Vi
un rapporto di isomorfismo tra gli oggetti dei due universi del discor-
so? In che modo, se la risposta affermativa, si pu descrivere questo
isomorfismo se, ad esempio, si accetta la tesi chiamata tesi di Bren-
tano. [] Prendiamo un attributo qualunque: se intenzionale,
mentale, e se mentale, intenzionale. Ma, la tesi non si ferma qui.
E, daltronde non potrebbe. Per dire che ci che intenzionale ipso
facto mentale, bisogna dire anche che cosa ne del nonintenzionale.
Se un attributo non intenzionale, allora che cos? La risposta che
fisico. Da qui la contrapposizione della tesi sul mentale: niente di
ci che intenzionale fisico, niente di ci che fisico inten-
zionale
5
. Le relazioni sociali sono oggetti intenzionali o oggetti
fisici? Si pu superare il tertium non datur?
Costruzioni teoretiche, quali quelle della sociologia, come potreb-
bero essere verificate nel mondo? Come potrebbero essere verifiche
6

del mondo delle relazioni sociali? Contestualiziamo ulteriormente, in
questo modo, il nodo riguardante gli oggetti. Indici sociali, indicatori
sociali, variabili sociali sono oggetti propri della sociologia, tuttavia
non sono presenti nel mondo; sono, sotto determinati rispetti, rappre-
sentazioni, costruzioni, sintesi che parlano di fenomeni sociali, di
relazioni sociali. Sono essi stessi relazioni sociali allinterno del feno-
meno della ricerca sociale nella tensione tra il ricercatore ed il suo
oggetto di studio.


4. Insiemi, equazioni, relazioni

La lettura insiemistica dei concetti e degli oggetti sociali pu
aiutarci a rispondere alla domanda che costituisce la prima parte del
titolo di queste riflessioni (poche) e domande (molte) che costitui-
scono il punto di partenza, il primo nucleo, di una discussione pi
approfondita. La tensione tra matematica e sociologia, abbiamo visto,
non cos semplice da affrontare e descrivere. La ragione pi im-

4
PATRAS (2001, p. 161). Cfr. anche CELLUCCI (1998), BRUSCHI (1996).
5
DESCOMBES (1996, pp. 1112.)
6
Sostituire falsificazione a verifica non cambierebbe la situazione.
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
345
mediata esprimibile proprio in termini matematici: non si possono
addizionare mele e pere. Tuttavia, nel momento in cui le quantit di
mele e pere (altra operazione matematica
7
) sono trattate come in-
siemi, si possono comunque fare operazioni con questi insiemi. An-
che questa suggestione dovr trovare un approfondimento ulteriore.
Seguiamo la linea di ragionamento che propone G. Prodi nel suo
Analisi matematica.
1. Come noto, gli insiemi si prestano bene a essere impiegati
come materia prima per tutte, o quasi tutte, le costruzioni della mate-
matica di oggi
8
. Non solo delle matematiche, ma anche della
sociologia stessa. Una rappresentazione insiemistica di alcune com-
ponenti costitutive del dato sociologico, se non del dato stesso tout
court.
Questo processo quello che spesso viene posto in essere, im-
plicitamente, nel momento in cui ci si riferisce, da una parte, a classi
sociali, status sociali, gruppi sociali. Dallaltra il procedimento di
costruzione insiemistico che porta alla determinazione degli indici,
degli indicatori, delle variabili stesse. Al loro processo di costruzione
e di utilizzo nel momento della costruzione delle tecniche, del loro
impiego, della rilevazione e dallanalisi.
Il linguaggio della teoria degli insiemi il linguaggio, sotto deter-
minati rispetti, della sociologia empirica stessa e spesso anche di
quella pi puramente teorica, un linguaggio che emerge contestual-
mente dalla logica, dalla matematica e dalla sociologia.
2. Alcune nozioni fondamentali sono assunte direttamente dalla
nostra intuizione, sulla base di suggestioni fornite dal linguaggio co-
mune; il nostro scopo, pi che di fare unindagine sui fondamenti del-
la matematica, quello di costruire un linguaggio abbastanza chiaro e
preciso che possa servire da supporto per i successivi sviluppi
9
. Il
problema della chiarificazione e distinzione degli oggetti della mate-
matica una delle dimensioni lungo le quali si sviluppano le varie
filosofie della matematica, meglio le varie modalit di declinazione

7
Gli esseri umani, e persino certi animali, sembrano possedere un senso natu-
rale del numero che permette loro di sentire la presenza o lassenza di piccole quan-
tit (BARROW 1992, p. 20). Affermazione questa, usata qui in termini puramente
strumentali, ed in funzione di una ulteriore problematizzazione della descrizione del
senso del numero. Va comunque sottolineato che Barrow non sembra identificare, in
questo contesto, numero e quantit.
8
PRODI (1970, p. 11).
9
PRODI (1970, p. 11).
Alfredo Givigliano
346
della filosofia della matematica. Le dinamiche ontologiche, epistemo-
logiche e metodologiche si intrecciano. Gli oggetti non sono nel mon-
do, non sono nemmeno nella testa di chi pensa di pensarli. Gli oggetti
sono il risultato di una cocostruzione che parte sempre e comunque
da una possibilit che diventa habitus.
In questo senso la matematica un linguaggio. La filosofia della
matematica, la logica, lepistemologia si occupano di tutti i problemi
ontologici, fondazionali, inferenziali. La matematica nel suo uso, la
matematica come prassi scientifica, mette tra parentesi (opera una
sorta di epoch) tutto questo per diventare strumento. La matematica
un linguaggio, meglio una dimensione diagrammatica del linguag-
gio del mondo della vita quotidiana. La sua valenza euristica, ma im-
plicitamente anche teoretica come abbiamo appena visto, non dimen-
tica ci su cui risiede, ma una volta gettate le basi, costruisce essa
stessa il proprio cammino ed il proprio percorso.
3. Ogni teoria matematica ha una struttura ipoteticodeduttiva:
assume alcune premesse e ne trae mediante ragionamento le
conseguenze che interessano
10
. Questo ragionamento viene impie-
gato allinterno della sociologia nel momento non solo dellanalisi
sulla base del dato costruito, ma anche nel momento stesso della
costruzione di questo dato. Meglio una logica inferenziale viene ad
essere utilizzata.
Se fosse quella ipoteticodeduttiva, saremmo allinterno di un
sistema formale assiomatizzato. Nessuna deduzione potrebbe venire
da ipotesi non costruite sulla base degli assiomi e dei postulati di tale
sistema. Quindi, saremmo davanti ad una trasmissione di verit sti-
pulate nel momento della costruzione del sistema. Tutto ci che
nella conclusione, come contenuto di verit, gi presente allinterno
delle premesse.
Per quanto riguarda la sociologia questo si risolve in una trasmis-
sione del contenuto teoretico fissato dal ricercatore nel momento in
cui definisce e costruisce i concetti operazionalizzandoli in indici,
indicatori, variabili. Le dinamiche ed i problemi della validit e della
attendibilit riportano questo discorso a fare i conti con un mondo
esterno. Se tutti i matematici sono, sotto qualche rispetto platonici, il
sociologo non pu permettersi una scissione tra mondo ideale e
mondo reale. La sua stessa determinazione delle relazioni sociali,
della ricerca come determinazione sociale, glielo impedisce.

10
PRODI (1970, p. 11).
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
347
Le relazioni sociali non sono degli ideali, lo possono essere gli
strumenti che utilizza, strumenti ai quali chiede una maggiore
possibilit di comprensione dello stesso processo complesso allin-
terno del quale si trova. Ma la sociologia non statistica sociale, i
soggetti sociali, le relazioni sociali non sono numeri di una realt
iperuranea. Il sociologo utilizza la matematica, la matematica sfuma
come dimensione diagrammatica del linguaggio del mondo della vita
quotidiana lungo, nella ed in funzione di unaltra dimensione dia-
grammatica, il linguaggio della sociologia tout court.
Si pu forse arrivare perfino a dire che la matematica una delle
determinanti che cocostruiscono il linguaggio della sociologia. Una
classe sociale solo una costruzione formale, i soggetti che si fanno
rientrare allinterno di quella classe, le relazioni interne, esterne
costruttrici e modificatrici (ma che nel contempo sono prodotte e pro-
duttrici) di questa classe sociale, sono reali. Reali nel senso che sono
diventate reali, da uno spazio (altro concetto matematico e conte-
stualmente fenomenico) delle possibilit sono arrivate ad essere pra-
tiche sociali concrete.
La dinamica degli universi che assumono realt sociale nel mo-
mento in cui si entra in relazione complessa (dialogica, ricorsiva, olo-
grammatica) con loro trova in questo una sua propria determinazione.
4. Lo studio della logica non si pu compiere senza introdurre
simboli appropriati che servano a rappresentare i nostri ragionamenti
in modo preciso. Veramente, le notazioni che introdurremo, pi che
dar luogo a un linguaggio completamente formalizzato, costituiranno
unabbreviazione e una chiarificazione del linguaggio comune, ma
anche a questo modesto livello ci saranno molto utili nello sviluppo
del corso, soprattutto quando (come accade spesso in analisi) si
dovranno affrontare ragionamenti un po complicati
11
. Gli oggetti
sociali, le relazioni sociali, sono oggetti del e nel linguaggio della vita
di tutti i giorni.
Ogni abbreviazione, ogni precisazione, corrisponde ad un circo-
scrivere il campo e ad una perdita di informazione ritenuta irrile-
vante (assiomi e postulati tessono la loro tela). Ogni comprensione
secondo questo percorso una comprensione da un determinato punto
di vista.
Nessun tipo di chiarificazione riduttiva pu essere oggettivo,
anche perch loggettivit piena pretende, si basa e costruisce su una

11
PRODI (1970, p. 12).
Alfredo Givigliano
348
relazione con il mondo esterno. Ma se gli oggetti della matematica
non sono nel mondo di tutti i giorni (nessuno pensiamo abbia mai
visto una probabilit, al massimo, ad esempio, ha visto un deter-
minato fenomeno sociale che noi leggiamo in termini di tassi e
correlazioni, ma per leggere un qualcosa, questo deve essere espresso
in un linguaggio), come si articola la tensione con gli oggetti sociali?
Uno spunto ulteriore di riflessione pu essere espresso nella
domanda: lequazione una immagine delle relazioni sociali? Perch
lequazione e non la funzione? La risposta pu essere, nelle parole di
A.N. Whitehead, questa: Poi sorge lidea di un valore della fun-
zione, e, parlando in linguaggio tecnico, si giunge alla lettera y,
rappresentata da sola a sinistra dellequazione, mentre la funzione a
destra
12
, in altri termini:
y = f (x)
Lequazione, in questo senso, una rappresentazione che mette
insieme una funzione ed i valori che questa funzione pu assumere per
mezzo della sostituzione della/e variabile/i con valori determinati.
Distinzione, quindi, tra una forma ed un contenuto, distinzione che
per pu risolversi in una cocostruzione di forma e contenuto, ma
questo un passaggio ulteriore a quello che stiamo descrivendo in
questo momento.
Ritornando alla equazione abbiamo che in termini insiemistici,
seguendo G. Prodi
13
: Se T un insieme e P(x) un predicato che ha
senso in T, possiamo interpretare P(x) come unequazione posta in T.
Linsieme:
P = {x: (x T) e P(x)}
evidentemente linsieme delle soluzioni di P(x) in T.
Lespressione un predicato che ha senso in un determinato insieme
ripropone una delle linee direttici delle considerazioni che stiamo
sviluppando, infatti Spesso si dice che il predicato (in una variabile
H(x) esprime una propriet di di x
14
e, quindi, Occorre peraltro
rendersi conto che quando si in una certa teoria, si ha a disposizione
solo il linguaggio di quella teoria: qui le propriet che hanno senso
sono quelle espresse attraverso il linguaggio della teoria degli
insiemi
15
. Noi ci atterremo al linguaggio della teoria degli insiemi.

12
WHITEHEAD (1964, pp. 191192).
13
PRODI (1970, p. 27).
14
PRODI (1970, p. 17).
15
PRODI (1970, p. 23). Questa tuttavia una affermazione estremamente proble-
matica, infatti riguarda, sotto determinati rispetti, lintero argomento di queste rifles-
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
349
Le due espressioni sembrano profondamente differenti tra loro, in
realt coincidono, semplicemente sono scritte in termini differenti.
Allinterno della teoria degli insiemi, secondo le indicazioni che
abbiamo delineato, una equazione rappresenta un predicato, una pro-
priet
16
.
Per quanto riguarda la sociologia, questo passaggio pu ri-
guardare sia il momento dellanalisi che quello della misurazione,
della costruzione di indici, di indicatori
17
, quindi, le dinamiche di
validit ed attendibilit. La tensione tra costruzioni teoriche e mondo
della vita di tutti i giorni ritorna nelluniverso del discorso insie-
mistico della sociologia. Bisogna, comunque, ricordare che La ma-
tematizzazione non aderisce mai alla realt al punto da far s che
questultima si restringa ad essa. Basta spingere i calcoli abbastanza
avanti perch facciano emergere limiti insospettati, che invalidano in
modo corrispondente la pertinenza di una tradizione grezza in
equazioni
18
.

sioni. La nostra posizione differente. In breve e molto velocemente: la Scienza un
linguaggio, meglio una dimensione diagrammatica del linguaggio naturale, soprat-
tutto nel momento in cui la scienza particolare in questione la sociologia nella sua
declinazione teorica, come anche in quella euristica. Una dimensione che sfuma in
quella delle altre scienze particolari, per formare lunit complessa che la Scienza.
La matematica tout court pu esserlo anche? riveste lo stesso ruolo?
16
Considerazioni ulteriori possono essere sviluppate grazie a G. Frege, e a molti
altri autori che hanno costruito descrizioni differenti di queste determinazioni.
17
Un buon punto di partenza, da approfondire nellottica di una logica del vago e
di una cocostruzione della sintassi e della semantica pu essere: Il legame tra
concetto e referente empirico ha, quindi, il suo fulcro nella variabile, e la sua scelta
determinante per ladeguatezza del processo di operazionalizzazione, come la validit
della variabile funzione di quello di concettualizzazione. Ma proprio per questo tale
validit non data una volta per tutte. In questo senso, le ulteriori critiche di Blumer
colgono ancora oggi spesso nel segno: lagire sociale fondato sui significati
condivisi e sullinterpretazione che ne danno i soggetti agenti; la variabile indipen-
dente situata allinizio di questo processo interpretativo e la dipendente alla fine,
ignorando ci che vi in mezzo; in parte, implicito in questa analisi delle variabili
che la variabile emani il suo significato (as if the variable emanated its own mea-
ning), ma se v una cosa che veramente sappiamo che non c oggetto, evento o
situazione nellesperienza umana che abbia in s il suo significato: questultimo gli
sempre conferito (AMMASSARI 1982, pp. 183184). Soprattutto lultima specifica-
zione non del tutto condivisibile, quella secondo la quale non c oggetto, evento
o situazione nellesperienza umana che abbia in s il suo significato: questultimo gli
sempre conferito: da dove nasce una esperienza, una relazione, sociale se non in,
attraverso, per mezzo pratiche sociali che fanno emergere il senso (nella parole di
Ammassari il significato) come propriet emergente?
18
PATRAS (2001, p. 160). Questo perch Nel pensiero matematico tradizionale,
Alfredo Givigliano
350
Rivolgendo lo sguardo alle relazioni abbiamo
19
: allinterno del
linguaggio che stiamo utilizzando per descrivere questi passaggi della
matematica il termine relazione indica un predicato in due variabili.
Se R(x,y) una relazione che ha senso nella teoria degli insiemi.
Possiamo allora considerare linsieme
{(x,y): (x,y) AxB e R(x,y)}
cio il sottoinsieme di AxB costituito da tutte le coppie per cui la
relazione verificata: il grafico della relazione; dato un sottoinsieme
G di AxB, risulta individuata immediatamente una relazione di cui
esso grafico: (x,y) G. Arriviamo, quindi, alla definizione per cui
Una relazione definita in AxB si dice applicazione (o funzione) di
A in B se per ogni x A esiste uno e un solo y B tale che (x,y)

20
.
AxB linsieme delle coppie per cui la relazione verificata, si
costruisce una corrispondenza tra gli oggetti del primo insieme e gli
oggetti del secondo. Ed in sociologia cosa succede? Possiamo
descrivere una relazione sociale come una corrispondenza? Quali
sono gli oggetti che entrano allinterno di questo rapporto? Possiamo
avere, come punto di partenza, tre possibili situazioni:
1. A e B sono singoli soggetti individuati attraverso la
costruzione dei numeri in termini di cardinalit. Quindi
effettivamente si ha una corrispondenza tra oggetti appar-
tenenti a due insiemi
2. A singolo soggetto individuato attraverso la costruzione dei
numeri in termini di cardinalit, mentre B ln di cui
abbiamo parlato in precedenza. Che tipo di corrispondenza
emerge?
3. A e B sono entrambi oggetti del tipo n. Di nuovo si pu
costruire una corrispondenza.
Il punto pi problematico sembra essere il secondo. Tuttavia, tutte
e tre le specificazioni contengono e trasmettono la stessa proble-

vale a dire fino a che non stato rimesso in discussione il meccanicismo con i suoi
correlati epistemologici riduzionisti, la formulazione matematica di una data
situazione ne traduceva lessenza fisica: latto di esprimerla in equazioni coincide,
per cos dire, con lindividuazione della sostanza dei fenomeni. Si arrivati a pensare
che sarebbe bastato spingere abbastanza avanti il calcolo per determinare le strutture
fondamentali del mondo ( il postulato del meccanicismo, che a un certo momento ha
saputo imporsi ben al di l del singolo ambito della fisica dei moti), PATRAS (2001,
pp. 159160).
19
PRODI (1970, p. 31).
20
PRODI (1970, p. 31).
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
351
matica. Una relazione sociale una corrispondenza? Una cor-
rispondenza vuol dire che c un qualcosa che pone in relazione due o
pi oggetti: la relazione stessa. Una relazione sociale, tuttavia co
costruita dai soggetti che la vivono, la costruiscono, ne sono costruiti,
la modificano e ne sono modificati
21
. Non un qualcosa di esterno al
soggetto sociale che vive il mondo della vita quotidiana, a meno che
non la si intenda, ad esempio, come un fatto sociale a l Durkheim.


5. La matematica di J.S. Coleman

Una concretizzazione di quanto abbiamo delineato allinterno del
nostro percorso la descrizione che fornisce J.S. Coleman nel mo-
mento in cui distingue 5 differenti usi della matematica in sociologia,
per essere pi precisi, lui parla di matematiche. Questi 5 usi possono
essere identificati come
I. Descrizione quantitativa delle unit;
II. Costruzione di indici in termini di misura;
III. Generalizzazioni;
IV. Linguaggio;
V. Modelli prescrittivi.
1. Descrizione quantitativa delle unit. there has been quan-
titative description of the various units of social science, whether they
be individuals, social groups, organizations, or other units. Such
quantification has occurred when the operation by which the units are
classified result in assignment of numbers which are then added,
multiplied, etc. Though I do not mean to suggest that such quan-
titative description of individuals and groups as has been carried out
in social research constitutes measurement of some fundamental and
theoretical relevant property, it remains true that quantitative
descriptions are often mad in social research. Since quantitative
description is a prerequisite for the use of some kinds of mathe-
matics
22
.
I punti da sottolineare in questo primo utilizzo riguardano le
espressioni quantitative description; units of social science; as-
signment of numbers.
2. Costruzione di indici in termini di misura. A second use of

21
Risultano estremamente interessanti, a questo punto, le considerazioni svilup-
pate da Charles S. Peirce.
22
COLEMAN (1964, p. 8).
Alfredo Givigliano
352
mathematics in sociology is in the combination of a number of
observations to provide a measure for some hypothetical construct,
some inferred property of an individual or a group, such as an at-
titude or a norm. [] More generally, much of what is usually ter-
med index construction in social research, on the level of groups as
well as individuals, falls in this area. Mathematical operations are
employed to obtain from a number of observations the value which
some inferred disposition variable should taken on. It is not always
true that such index formation results in a quantitative measure of the
underlying construct; in attitude measurement, it often results only in
a weak order, in which individuals are put in ordered classes
23
.
I punti da sottolineare in questo secondo utilizzo riguardano le
espressioni combination of a number of observations; to provide a
measure; hypothetical construct.
3. Generalizzazioni. The third point to be examined is the
development of quantitative empirical generalizations about behavior
which relate two or more quantitative measures such as those
discussed under (1) and (2). It is such empirical relations which
constitute laws when confirmed over a wide class of situations.
Such generalizations, are of course infrequent in social science, and
those which do exist have been confirmed only over a small class of
situations, so that they can hardly have the status of laws. Some
nevertheless do exist
24
.
I punti da sottolineare in questo terzo utilizzo riguardano le
espressioni development of quantitative empirical; relate two or
more quantitative measures; class of situations.
4. Linguaggio. A fourth use of mathematics is as a language for
theory. In any empirical science, theories are first stated in the
ordinary language of everyday discourse. It is only when the logical
structure of relations between concepts becomes clear and precise that
the shift to a formal structure of mathematics is possible. Whit this
comes the power of the mathematical structure whose rules of
combination allow paperandpencil calculation whit symbols to
mirror the behavior of the objects of the science, and this will be its
ultimate usefulness in sociology
25
.
I punti da sottolineare in questo quarto utilizzo riguardano le

23
COLEMAN (1964, p. 9).
24
COLEMAN (1964, p. 9).
25
COLEMAN (1964, p. 9).
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
353
espressioni language of everyday discourse; logical structure of
relations between concepts; clear and precise; formal structure of
mathematics.
5. Modelli prescrittivi. the use of mathematics in the develop-
ment of predictive models is discussed. The models, such as factor
analysis, certain models using Markov chains and others, differ from
theories in the same way that simple extrapolation of a curve differs
from extension of the curve on the basis of the known (or assumed)
functional relationship. Though they are of little aid in the develop-
ment of social theory and broadly applicable generalizations, their use
in applied research problems may allow very efficient utilization of
the observed data for the problem at hand
26
.
Per arrivare, infine, a concludere che It should be noted that one
general use of mathematics has not been mentioned above and will
not be discussed in what is to came. This is the use of statistics in
sampling, in design of experiments, and in confirmation of hypo-
theses or theories. These are large and important problems in re-
search
27
.


6. Qualit e quantit

Un altro caso estremamente interessante, spunto di riflessioni e
descrizioni, quello rappresentato da R. Thom e dalla sua Teoria del-
le catastrofi. Tentativo di dare legittimit ad una lettura ermeneutica e
qualitativa delle relazioni sociali, si scontra, tuttavia, con un limite
teoretico. Infatti La topologia ha aspetti quantitativi come ogni altra
scienza: mira a calcolare dei numeri, degli invarianti e non una
semplice mistica delle forme, come si pu credere qualche volta
leggendo Thom! Per andare pi a fondo, la scienza che ha per-
seguito con maggiore consapevolezza un progetto di quantificazione
degli enti geometrici. Dopo la sua nascita con Riemann e soprattutto
Poincar, la topologia ha sempre avuto come scopo prioritario quello
di riuscire a dare una classificazione quantitativa delle forme o, per
dirlo in altro modo, a numerizzare il qualitativo!
28



26
COLEMAN (1964, p. 10).
27
COLEMAN (1964, p. 10).
28
PATRAS (2001, pp. 163164).
Alfredo Givigliano
354
7. Capitolo 1: rinvio al Capitolo 2

Le ipoicone possono essere sommariamente suddivise a seconda
del modo di Primit di cui partecipano. Quelle che partecipano di
qualit semplici ovvero della Prima Primit, sono immagini; quelle
che rappresentano le relazioni (principalmente diadiche, o considerate
tali) delle parti di una cosa per mezzo di relazioni analoghe fra le loro
proprie parti sono diagrammi; quelle che rappresentano il carattere
rappresentativo di un representamen mediante la rappresentazione di
un parallelismo con qualcosaltro sono metafore
29
.
A questo punto, possiamo considerare lequazione una immagine
delle relazioni sociali?

29
PEIRCE (1902, 2.277).
Lequazione unimmagine delle relazioni sociali?
355
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SPARTACO PUPO

Limmaginazione morale
nella filosofia americana contemporanea



La filosofia morale per tradizione una disciplina che si accerta
dei modi dellagire e dello status etico di determinate teorie e
credenze. Nella storia della filosofia, la psicologia del comportamento
morale stata per lo pi considerata com un elemento poco o non
direttamente rilevante ai fini dellindagine sulla moralit. Il pensiero
occidentale, in altri termini, ha sin qui per lo pi ignorato ci che la
filosofia di Vico aveva invece elevato: limmaginazione creatrice
come fonte di rinnovamento della civilt.
Secondo quanto stabilito dalla psicologia e dalla filosofia del
diciottesimo secolo, limmaginazione un potere mentale autonomo,
la cui funzione duplice: rendere le cose specificabili come immagini
e sintetizzare le sensazioni della percezione in immagini riproducibili;
porre queste ultime in relazione con lintelletto che le classifica e
schematizza come esempi di concetti universali. Kant dava al primo
procedimento il nome di immaginazione riproduttrice o rappre-
sentativa, al secondo quello di immaginazione creatice. In ambito
morale Kant accostava limmaginazione a un qualcosa di molto
simile alla malizia o comunque di poco consono alla deliberazione
morale. Quando il soggetto ammoniva Kant abbandona tem-
poraneamente latteggiamento autoritario nei confronti di se stesso,
ha sfogo limmaginazione che, come libero gioco riflessivo, es-
senziale al giudizio estetico ma nelletica autoindulgente e finisce
per indebolire la forza morale, usurpando la ragione e concedendo la
vittoria al sentimento.
Lilluminismo ha certamente giocato un ruolo determinante nel-
lesclusione dellimmaginazione dalle teorie morali, anche da quelle
psicologicamente plausibili. La filosofia illuminista attribuiva allim-
maginazione e alle sue inclinazioni verso il fantastico e il capriccioso
una capacit limitata che non solo la allontana dalla ragione ma si ri-
vela anche scarsamente rilevante ai fini pratici. Limmaginazione era,
in definitiva, considerata alla stregua di una reliquia prescientifica.
Successivamente essa veniva trasfigurata dal romanticismo, che la
ammirava su di un piedistallo come una sorta di potere divino che en-
Bollettino Filosofico 22 (2006): 357-374 357
Spartaco Pupo 358
tra nel mondo sulle ali dellintuizione, libero dalle contaminazioni
della contingenza e della storia.
Per oltre due millenni, i filosofi della morale e le tradizioni reli-
giose occidentali hanno supposto, come aspetto fondamentale della
moralit, la capacit umana di discernere leggi, regole e principi uni-
versali. La considerazione della percezione immaginativa come sup-
plemento di scarsa importanza rispetto alla teoria delle regole morali
ha sin qui seguito un percorso parallelo alla tesi secondo la quale
luomo deve applicare le leggi universali della ragione, le leggi
sanzionate dalla divinit, i diritti naturali, le prescrizioni universali, le
regole contrattuali e quelle della moralit comune. Le nostre svolaz-
zanti immaginazioni, per dirla con il filosofo della mente John Sear-
le, sono sempre state considerate come parti di un retroscena pre
intenzionale del pensiero razionale
1
.
A dimostrazione di come non sia impossibile interrompere questa
ormai consolidata attitudine speculativa, negli Stati Uniti dAmerica,
negli ultimi anni, fioriscono studi filosofici tendenti a legittimare la
cosiddetta immaginazione morale
2
. Si tratta di posizioni specu-
lative ancora lontane da una teoria della morale degna di questo
nome; in alcuni casi affiora anche una certa superficialit nellela-
borazione di concetti che hanno fatto la storia della filosofia e che
vengono con troppa facilit reinterpretati. Un dato, tuttavia, occorre
registrare, e cio che oltreoceano si comincia a prendere coscienza del
fatto che limmaginazione non svolge un ruolo secondario nel giu-
dizio morale. Il risultato cui pervengono molte analisi, condotte dai
punti di vista pi diversi (epistemologico, estetico, psicologico e fi-
nanche politico) infatti la riconsiderazione del rapporto ragioneim-
maginazione sulla base di un principio che potremmo definire di
complementariet: la ragione senza limmaginazione come disabi-
litata; limmaginazione senza la ragione governata da regole certe
come cieca.

1
J. SEARLE, Intentionality, Cambridge, Cambridge University Press, 1983, cap. 5.
2
Si vedano, ad esempio: Y.F. TUAN, Morality and Imagination, paradoxes of
progress, Madison, University of Wisconsin Press, 1989; T. MCCOLLOUGH, The
moral imagination and public life, Chatham, Chatham House Publishers, 1991; E.
TIVNAN, The moral imagination: confronting the etical issues of our day, Riverside,
Simon & Schuster, 1995; O. WILLIAMS, The moral imagination: how literature and
films can stimulate ethical reflection in the business world, Notre Dame, University
of Notre Dame Press, 1997.

Limmaginazione morale nella filosofia americana 359
C. Larmore ha posto limmaginazione morale in appendice alle
regole morali: essa, dice, la nostra abilit ad elaborare e a valutare
le differenti direzioni dellazione che sono solo parzialmente deter-
minate dal contenuto fornito dalle regole morali, allo scopo di indi-
viduare ci che in una particolare situazione la cosa moralmente mi-
gliore da fare
3
.
Gli studiosi dellimmaginazione morale quasi allunisono conside-
rano insanabile la frattura tra lodierna valorizzazione dellutilizzo
mentale delle immagini e la valenza attribuitagli dalla tradizione filo-
sofica. Tra quelli che si sforzano di rendere il pi sottile possibile tale
frattura la filosofa M. Nussbaum, la quale vede nel pensiero clas-
sico, e in special modo in Aristotele, una giustificazione storica alla
validit della connessione dellimmaginazione con la morale e con il
mondo in generale. Limmaginazione che pu vedere le parti-
colarit, sostiene la Nussbaum, non altro che la ragione pratica
aristotelica. indubbio che la filosofia aristotelica abbia portato
avanti una difesa delle emozioni e dellimmaginazione come essen-
ziale alla scelta razionale, prendendo le distanze dalle concezioni
puramente scientifiche della razionalit
4
. Mentre per Kant, osserva
la Nussbaum, limmaginazione produce frivoli voli della fantasia che
possono confliggere con il dovere morale, per Aristotele limmagina-
zione assume un carattere selettivo e discriminatorio, poich il suo
lavoro pi quello di mettere a fuoco la realt che non quello di
creare la non realt. La persona dotata di saggezza pratica con-
clude la Nussbaum non trascura le concrete derivazioni del-
limmaginazione quando pensa alla virt e alla bont. Invece di
ascendere dal particolare al generale, limmaginazione deliberante
lega i particolari senza fare a meno della loro particolarit
5
.
S. Fesmire ha recentemente pubblicato un libro dal titolo John
Dewey and moral imagination: pragmatism in ethics
6
. Lintento
principale di questo studioso, che mostra un certo entusiamo (sup-
portato da rigorosi riferimenti bibliografici) per ci che chiama re-
nascence of imagination, quello di dimostrare come nel pensiero di
John Dewey sia forte lidea che la deliberazione morale fondamen-

3
C. LARMORE, Moral Judgment, Review of Metaphysics, 35, 1981, pp. 275
296. mia la traduzione di tutti i brani in lingua inglese qui di seguito citati, con la
sola eccezione di quelli tratti dallopera di J. DEWEY, Larte come esperienza.
4
M. NUSSBAUM, Loves knowledge, Oxford, Oxford University Press, 1990, p 55.
5
Ivi, 7778.
6
Bloomington, Indiana University Press, 2003.

Spartaco Pupo 360
talmente immaginativa e pu essere modellata sulla creativit arti-
stica.
Dewey fa suoi, rielaborandoli, i capisaldi teorici del pragmatismo
anche per ci che attiene allindagine morale. James, nei Principi di
psicologia, affermava che pi corretto parlare di immaginazioni
anzich di immaginazione, e attribuiva a questultima un significato
abbastanza semplicistico: in molte persone limmaginazione visuale
pi elevata nel loro pensiero mentre in altre possono predominare le
immagini motorie o uditive. Peirce, da una posizione strettamente
naturalistica, sosteneva che limmaginazione sta agli esseri umani
come la tana ai castori o il nido agli uccelli. Lintera questione del
raziocinio, e tutto ci che rende luomo un essere dotato di intelletto,
si compie, secondo Peirce, nellimmaginazione. A Dewey lim-
maginazione appare come un normale aspetto dellattivit umana.
Essa una funzione integrale al corpo umano, allo stesso e identico
modo in cui lo il movimento muscolare o il funzionamento degli
organi vitali. Dewey spesso parla di immaginazione non come di un
tipo di attivit cognitiva ma semplicemente come un processo
scandito da visioni interiori contrastanti con lattivit che procede
manifestamente, irrevocabilmente, irrimediabilmente. Dewey distin-
gue nettamente limmaginazione dalla ragione ma tiene a sottolineare
che tale distinzione relativa alle fasi di esperienze differenziate e
non ai poteri restrittivi e ai poteri liberatori. Lintera vita intellettiva
attiva, teoretica o poetica, fondamentalmente immaginativa, al
punto che la stessa immaginazione integra e approfondisce losser-
vazione e produce una capacit di osservazione pi chiara in tutto ci
che oscuro o assente o remoto.
Nel suo interessante saggio, Fesmire invita a una lettura approfon-
dita dellopera di Dewey Larte come esperienza. In un brano, di cui
Fesmire cita solo alcuni passi, ma che qui riporto per intero, Dewey,
riferendosi allimmaginazione (che a volte chiama, come in questo
caso, col sinonimo di fantasia) e allimportanza che essa riveste nel
contributo umano alla creazione dellopera darte, afferma: Forse in
misura maggiore di ogni altra fase del contributo umano, essa stata
considerata come una facolt speciale e autonoma, che si diversifica
dalle altre per il possesso di misteriosi poteri. Tuttavia se giudichiamo
la sua natura dalla creazione dellopera darte, essa designa una qua-
lit che anima e pervade tutti i procedimenti dellazione e dellos-
servazione. un modo di vedere e di sentire le cose come se esse
costituissero un tutto integrale. la larga e generosa mescolanza di

Limmaginazione morale nella filosofia americana 361
interessi nel punto in cui lintelletto viene a contatto con il mondo.
Quando nellesperienza cose vecchie e familiari vengono rinnovate,
allora c fantasia. Quando si crea il nuovo, il remoto e lo strano di-
vengono le pi naturali e inevitabili cose del mondo. C sempre un
certo margine di avventura nellincontro dellintelletto con luniverso,
e questa avventura , nel suo limite, fantasia
7
.
Questa segnalata dal Fesmire non lunica circostanza in cui
Dewey si sofferma sul valore dellimmaginazione. Lopera citata
ricca di sottolineature sul tema e in altre parti Dewey ancora pi
esplicito nel riferimento al connubio tra arte e morale per il tramite
dellimmaginazione. Limmaginazione scrive a un certo punto
il grande strumento del bene morale. Sono parole prese da Shelley,
il grande poeta che penetra nel cuore del problema del rapporto tra
arte e morale quando afferma che il potere della proiezione im-
maginativa tanto grande da qualificare i poeti come i fondatori
della societ civile
8
. Dewey rafforza questa posizione quando senza
troppi giri di parole dice: I profeti morali dellumanit sono stati
sempre poeti, anche se hanno parlato in versi liberi o si sono espressi
con parabole
9
.
Limmaginazione, dunque, un importante strumento del bene, ed
pi o meno un luogo comune dire che lidea che una persona si fa
dei propri compagni e il trattamento che riserba loro dipendono dalle
sue capacit di porsi immaginativamente al loro posto. La supre-
mazia dellimmaginazione aggiunge Dewey si estende assai
oltre la portata delle dirette relazioni personali. Quando non si usa il
termine ideale per deferenza convenzionale o per indicare una
fantasticheria sentimentale, in ogni concezione morale e nella fedelt
umana i fattori ideali sono immaginativi
10
.
Le prove rintracciabili nella sua pi importante opera di estetica
sono tante e tali da potere, senza particolari difficolt, affermare che
Dewey non affatto indifferente alla condanna che la tradizione
filosofica ha inflitto ai prodotti dellimmaginazione, non tanto nella
moralit e nella religione quanto nellarte e nella scienza. La storia
della scienza e la storia della filosofia, al pari di quella delle arti,
sono per questo autore una registrazione del fatto che il prodotto

7
J. DEWEY, Larte come esperienza, Firenze, La Nuova Italia, 1967, p. 314.
8
Ivi, p. 405.
9
Ivi, p. 406.
10
Ibidem.

Spartaco Pupo 362
fantastico viene inizialmente condannato dal pubblico e in pro-
porzione alla sua portata e profondit. Del resto, aggiunge Dewey,
non esclusivamente nella religione che il profeta viene dapprima
(almeno metaforicamente) lapidato, mentre le generazioni successive
gli erigono il monumento commemorativo
11
.
Lesperienza immaginativa si avventura oltre le riaffermazioni
della convenzione, afferra opportunit ancora non dischiuse, genera
nuovi ideali e lascia intravedere nuovi scopi. Immaginazione fa rima
con innovazione, creazione. unesperienza immaginativa quella
che si verifica quando diversi materiali sensibili, emozione e signi-
ficato convergono in una unione che segna una nuova nascita del
mondo
12
. Consideriamo i casi dellesperienza di chi vede un fan-
tasma o rapito da un alieno o mentalmente colpito da paranoia o si
trova di fronte a unapparizione soprannaturale: in tutte queste cir-
costanze osserva Dewey intelletto e materiale non sincon-
trano e non si compenetrano lealmente. Lintelletto rimane per la
maggior parte lontano e giuoca con il materiale invece di afferrarlo
arditamente. Il materiale troppo tenue per suscitare la piena energia
dei dispositivi nei quali sono incorporati valori e significati; esso non
offre abbastanza resistenza e cos lintelletto giuoca con lui capric-
ciosamente
13
.
Se nella stoffa del mondo dellesperienza fisica e sociale lim-
maginazione si impadronisce di nuove relazioni possibili per il pen-
siero e lazione, nellarte e nella condotta morale che limmagina-
zione raggiunge, per Dewey, la massima profondit. Nuovi ideali
emergono a guida del comportamento generato dallimmaginazione e
pregno di significati socioculturali. Limmaginazione costituisce una
estensione dellambiente con cui ci si relaziona. In questo senso
limmaginazione empatia.
Lempatia, che Dewey tratta come simpatia, il nome di una
forma di rispondenza e di sensibilit senza la quale si rimarrebbe
insensibili e indifferenti al materiale utile alla deliberazione. Se per
Kant lempatia era priva di valore morale
14
, per Dewey essa opera
insieme (simultaneamente) allimmaginazione e alla recitazione, e

11
Ivi, p. 317.
12
Ivi, p. 315.
13
Ibidem.
14
Per Kant non ha valore morale ci che infonde sentimento nellinclinazione
allazione, la quale, come ampiamente argomentato nella Fondazione della meta-
fisica dei costumi, deve essere comandata solo dalla ragione.

Limmaginazione morale nella filosofia americana 363
insieme proiettano luomo al di l di ci che immediatamente espe-
rito, in modo che le lezioni del passato, incarnate nelle sedimentate
abitudini delluomo, e le ancora non realizzate potenzialit assumano
il potere di condurlo allazione. Attraverso limmaginazione, carica di
empatia e di interpretazione, possibile scorgere in termini di pos-
sibilit cose vecchie in relazioni nuove.
La teoria deweyana della deliberazione il protratto tentativo di
delineare la funzione dellimmaginazione come modo vicario, anti-
cipatorio dellagire. Nella deliberazione (artistica, morale, scienti-
fica) il soggetto va alla ricerca dei modi in cui uscire dalle difficolt,
scegliere tra alternative diverse e ritrovarsi in esse. In una delibera-
zione completa il soggetto prevede condizioni diverse che capitereb-
bero se egli optasse per questa o quellaltra direzione.
A richiamare lattenzione del Fesmire la recitazione drammatica.
Si tratta, secondo lo studioso americano, di una funzione del processo
deliberativo che cristallizza possibilit trasformandole in ipotetiche
direzioni comportamentali. La recitazione drammatica apre a una
situazione del tutto nuova. Una famiglia, ad esempio, ponderando se
il caso di acquistare un determinato oggetto, immagina, giorno dopo
giorno, la sua vita in presenza di quelloggetto, immagina i costi che
produce, quelli di una eventuale riparazione, ecc. I membri della
famiglia si sentono cio obbligati a considerare loggetto in relazione
alle loro carriere, alle circostanze economiche e alle priorit sociali e
politiche. Non quindi una questione che si impenna arbitrariamente
da uno scenario immaginario a un altro. Limmaginazione effettiva
comporta delle visite a quelloggetto, richiede ricerca, consultazione
di specialisti, colloqui, dialoghi con gli altri e non soliloqui ermetici.
Come capacit di impegnare il presente con un occhio a ci che non
immediatamente a portata di mano, limmaginazione non di esclu-
sivo possesso dellartista, ma integrata nella vita di ogni giorno. Dal
momento che solo la visione immaginativa scopre le possibilit che
sono imbastite nel tessuto del reale, limmaginazione al primo piano
di tutto il pensiero.
merito esclusivo di Dewey (e Fesmire lo rileva senza difficolt)
laffermazione del primato secondo cui la decisione morale richiede
una sensitivit e una immersione negli eventi, qualcosa cio che ha
indubbiamente a che fare con larte e che pi facilmente rintrac-
ciabile nella musica. Limprovvisazione jazzistica, ad esempio, se-
condo Fesmire, costituisce una delle metafore pi utili alla compren-
sione del processo della deliberazione etica. Il jazz facilita molto la

Spartaco Pupo 364
valutazione del carattere empatico delle composizioni morali. Dal
momento che impossibile trovarsi pienamente preparati alle novit,
si deve esseri pronti ad improvvisare. Luomo un essere dotato della
capacit di rispondere al suo simile attraverso il desiderio di ar-
monizzare gli interessi. Un musicista jazz tale se riesce a cogliere
lattitudine di ogni componente del suo gruppo musicale: egli crea
la musica quando, approfittando di una determinata cadenza che gli
viene anticipata dal gruppo, anticipa il responso ai suoi segnali da
parte del gruppo stesso. Sulla base dellesercizio e della tradizione
musicale del genere jazzistico, il musicista giocherella sul tono
passato per scoprire, grazie allimmaginazione, la miriade di pos-
sibilit dei toni futuri. Linesperto di jazz immagina che la bellezza
pu venir fuori solo dalle rigide regole della composizione scritta o
dalla prescrizione arbitraria di ritmi e toni. Ne deriva che chi agisce
moralmente deve sapere rispondere empaticamente agli altri anzich
imporre disegni isolati. Chi agisce moralmente deve, al contempo,
immaginare le possibili risposte degli altri. Solo limmaturo o chi non
esercitato al pensiero o non ha coltivato la percezione immagina che
qualcosa di durevolmente buono derivi dalla immediata soddisfazione
dei desideri fortuiti e autointeressati.
Tornando a Dewey, quelle che lui chiama la freddezza e lasprez-
za spesso associate alla morale, si dissipano nel momento in cui si
diventa sensibili ai valori estetici della grazia, del ritmo, dellarmonia
come tratti dominanti della buona condotta. Il mero calcolo razionale
e il libero giudizio nella morale possono essere accompagnati, se non
rimpiazzati, da quelle che Fesmire chiama le virt dellimmagi-
nazione morale e che sono: lempatia, la sensibilit, la percettivit, il
discernimento, la creativit, lespressivit, il coraggio, la comunica-
tivit, la preveggenza e lintelligenza sperimentale.
Le argomentazioni sin qui esposte mostrano, sia nella genesi che
nelle conclusioni, una non trascurabile sintonia con quelle elaborate
nel corso della seconda met del 900 da un pensatore anchesso
statunitense ma parecchio distante da Dewey sia dal punto di vista
epistemologico che da quello pedagogico e da quello pi strettamente
eticopolitico. Il Dewey progressista e convinto sostenitore della de-
mocrazia mai avrebbe potuto pensare di convergere, seppure su un
tema bizzarro e dalle pi disparate interpretazioni come quello del-
limmaginazione, con qualche particolare aspetto della concezione
morale di un convinto conservatore. Eppure un parallelismo esiste ed
assume tratti significativi con riferimento a Russell Kirk (1918

Limmaginazione morale nella filosofia americana 365
1994), lautore di The conservative mind (opera del 1953), che ha
avuto il merito, pur non essendo un filosofo ma uno storico, di
infondere rigore teorico e quindi, se si vuole, anche una certa di-
gnit filosofica a un corpus di idee e valori politicosociali che si
muove nel solco della tradizione conservatrice angloamericana
risalente fino al 700, allopera di Edmund Burke
15
.
Una sottolineatura dobbligo onde evitare possibili frainten-
dimenti. Dewey non esitava a prendere le distanze da quanti si ergono
a filosofi senza esserlo e fanno a gara in concezioni dogmatiche. Un
forte spunto polemico verso il filone dei conservatori contenuto pro-
prio in Larte come esperienza, dove egli individua in T.S. Eliot il
caposcuola di questo genere di autori. Scrive infatti: Vi sono critici
che confondono i valori estetici con i valori filosofici, specialmente
con quelli esposti dai filosofi moralisti. T.S. Eliot, per esempio, dice
che la pi vera filosofia il miglior materiale per il pi grande
poeta e ne deduce che ci che fa il poeta limitarsi a rendere pi
accessibile un contenuto filosofico aggiungendovi qualit sensibili ed
emotive. Quel che sia esattamente la pi vera filosofia abbastanza
discutibile. Ma ai critici di questa scuola non fanno difetto con-
vinzioni definite, per non dire dogmatiche. Senza nessuna speciale e
particolare competenza nel pensiero filosofico, essi sono pronti a
emanare giudizi ex cathedra, perch si affidano a concezioni dei rap-
porti delluomo con luniverso fiorite in epoche passate. Essi con-
siderano la loro restaurazione come essenziale alla redenzione della
societ dal suo cattivo stato attuale
16
.
Si tratta del passaggio che in modo pi inequivocabile contiene i
motivi del distacco tra Dewey e una concezione conservatrice della
morale. Lo stesso distacco, tuttavia, non si evince con riguardo al-
limmaginazione morale, su cui, al contrario, si registra una conver-
genza.
Nella costruzione del suo pensiero, Russell Kirk vede costante-
mente in Dewey una sorta di controaltare teorico. Forse per questo
una qualche influenza sulla tematica in questione egli ha finito per
subirla proprio da Dewey. Bench abbia dedicato gran parte della sua

15
Russell Kirk, passato a miglior vita nel 1994, un pensatore studiato preva-
lentemente in area angloamericana. Uno dei pochissimi contributi alla diffusione del
suo pensiero in Italia la traduzione, curata da P. COLONNELLO e P. GIUSTINIANI,
dellopera La prudenza come criterio politico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,
2002.
16
J. DEWEY, Larte come esperienza, cit., p. 373.

Spartaco Pupo 366
produzione bibliografica agli studi storici e politici, ai quali deve, del
resto, la sua fortuna, Kirk si sempre mostrato attratto dalla filosofia,
in modo particolare dalla morale, elemento imprescindibile di ogni
sua teoria e filo conduttore delle sue concezioni in materia politica,
sociologica e estetica. Uno scritto di critica letteraria, Enemies of the
permanent things, del 1969, apparentemente lontano da qualsiasi
caratterizzazione di tipo morale, rappresenta invece un momento
importante per lanalisi dellinterpretazione kirkiana del problema
dellimmaginazione. infatti qui che Kirk parla a lungo di immagi-
nazione morale, descrivendola come quel potere della percezione
etica che scavalca le barriere dellesperienza e degli eventi del mo-
mento, la cui forma pi alta si esercita nella poesia e nellarte.
Straordinaria facolt, unicamente umana, limmaginazione morale
consente di percepire la verit etica, la legge durevole nel caos
apparente di molti eventi, e di discernere la grandezza, la giustizia,
lordine, al di l degli impedimenti dellappetito e dellinteresse
personale
17
.
utile precisare, con riguardo alla concezione morale di Kirk, che
questautore presuppone la realt degli universali etici al di l del
calcolo economico del vantaggio individuale. Il criterio da seguire per
vivere in accordo con gli universali etici lassorbimento immagi-
nativo della totalit dellesperienza umana. Nelluomo, che la
soggettivit pi alta nella scala degli esseri viventi, limmaginazione
parte attiva che lo conduce a comprendere intuitivamente la sor-
gente del bene. La consapevolezza del bene ultimo, comune a tutti
gli uomini, forma le basi dello scopo finale della comunit politica.
Per Kirk, la razionalit individuale e lesperienza personale, sia sepa-
rate che in combinazione, non possono essere responsabili delle cose
decisive di una vita, di una societ, di uno Stato. il potere di
immaginazione morale, ci che Pico della Mirandola chiamava di-
gnit delluomo, non la facolt della ragione, che d origine alle
norme ultime che ordinano la comunit.
Secondo J.E. Person, autorevole studioso di Kirk, limmaginazio-
ne morale viene da questo pensatore identificata con la immagina-
zione idillica, che essenzialmente la stessa visione di Jean
Jacques Rousseau e degli edonisti moderni, e che considera lumanit
come fondamentalmente buona ma ostacolata nella ricerca della feli-

17
R. KIRK, Enemies of the permanent things: Observations of Abnormity in
Literature and Politics, New Rochelle, Arlington House, 1969, p. 119.

Limmaginazione morale nella filosofia americana 367
cit dalle convenzioni sociali
18
. Al contempo, limmaginazione mo-
rale di Kirk agli antipodi della immaginazione diabolica, la
visione del mondo dei De Sade o dei Nietzsche. Limmaginazione
non deriva da una rivelazione privata, n una sorta di conquista
profetica ma si rivela come una capacit intellettiva di cui possibile
vedere i frutti nel cosiddetto gioco di pazienza, nel quale da una
moltitudine di piccole prove allineate gradualmente in un luogo si
scoprono ragioni efficaci e convergenti, comunque tali da formare
una determinata credenza.
A garanzia di una pi nitida comprensione del significato dellim-
maginazione e delle sue implicazioni in campo etico, Person cita
lepisodio di un incontro, avvenuto a Princeton, tra SaintJohn Perse
ed Albert Einstein. Entrambi avevano appena ricevuto il premio
Nobel. Era stato il fisico ad invitare il poeta allo scopo di porgergli
questi interrogativi: Come crea un poeta la sua opera? Come gli
viene lidea di un poema?. SaintJohn Perse parl del grande ruolo
svolto dallintuizione e dal subconscio. Einstein rimase meravigliato:
Ma la stessa cosa sbott che accade alluomo di scienza!.
La meccanica della scoperta non n logica e n intellettuale.
unimprovvisa immaginazione, quasi unestasi. Successivamente, per
sicurezza, lintelligenza analizza e gli esperimenti confermano (o
invalidano) lintuizione. Ma inizialmente si registra un grande balzo
in avanti dellimmaginazione.
Kirk consapevole del fatto che la voce interiore molto spesso
una giustificazione dei desideri del soggetto. la voce di un pensiero
bramoso che nelluomo normale dotato di sensi soffia il messaggio
eterno di vanit, paura e lussuria. Il senso illativo, quindi, un
metodo di ragionamento che consiste nella conoscenza che si
imprime nella mente da una fonte pi profonda di quella del conscio e
della ragione formale, che combina intuizione, istinto, immagina-
zione, esperienza, lettura, meditazione. Person la riassume nella suc-
cinta frase di Blais Pascal: Il cuore ha ragioni che la ragione non
conosce.
D.A. Zoll stato il primo, tra i critici di Kirk, a riconoscere la
centralit che limmaginazione morale e le sue componenti estetiche
ricoprono nel suo pensiero. Zoll comprende che il pronunciato
orientamento estetico di Kirk non una ostentazione letteraria ma una

18
J.E. PERSON, Russell Kirk: a critical biography of a conservative mind,
Lanham, Madison Books, 1999, pp. 2223.

Spartaco Pupo 368
parte integrante della sua concezione. Non a caso il cuore della
filosofia sociale di Kirk fondamentalmente estetico, cos come
estetico il criterio di giudizio. Ci che egli ammira di pi
sottolinea Zoll nella storia del pensiero sociale sono le cose im-
bevute di un intenso orientamento estetico e di un corrispondente ta-
lento artistico
19
. la letteratura, secondo Kirk, il soffio vitale della
societ, ci che trasmette alle generazioni, secolo dopo secolo, un
corpo di principi etici e di creazioni immaginative che vanno inevita-
bilmente a formare una sorta di intelletto collettivo dellumanit.
Alla grande poesia Kirk assegna il potere di alterare la coscienza
sociale di una data epoca. Tra i poeti del 900, egli individua proprio
in T.S. Eliot, colui che attirava le antipatie di Dewey, il principale
campione dellimmaginazione morale del ventesimo secolo. Attra-
verso limmaginazione poetica di Eliot possibile scorgere il presente
come detentore di una consapevolezza rivissuta di cose permanenti,
che altro non sono se non norme indispensabili per lordine umano e
al mondo doggi minacciate dallimpeto della modernit
20
. Il mito, la
fiaba, la parabola, lallegoria, la fantasia sono strumenti poetici che
risvegliano limmaginazione, sono mezzi che consentono di pene-
trare in fondo alla verit con lausilio dellimmaginazione morale. Il
mito la rappresentazione simbolica della realt, in cui il narratore
cerca di spiegare lopera delle forze naturali e degli eventi della storia
come lopera degli esseri soprannaturali e viventi. Gli antichi miti
sono profondamente veri, poich se non riflettessero in qualche
modo i nostri vizi e le nostre virt essi non ci riguarderebbero. I
grandi miti di una civilt, che sono religiosi in origine e proposito,
ci consegnano il significato etico dellesistenza, trasmettendoci un
senso di venerazione per le istituzioni antiche. La fantasia rappresenta
le cose in un modo bizzarro, che suscita meraviglia; lemozione
improvvisa del fantastico tende a risvegliarci dalla tristezza e dal
compiacimento. Che precisamente ci che i moderni creatori di
fiabe, allegorie e parabole fanno con successo. Essi ci mostrano le
norme umane e la societ attraverso levocazione di episodi fantastici
in cui le virt e i vizi scintillano come in uno specchio
21
. Linfluenza
del mito e della fantasia non pu essere evitata. I movimenti politici e

19
A.D. ZOLL, The social thought of Russell Kirk, Political Science Review 2
(1972), pp. 112113, 121.
20
R. KIRK, Eliot and his age: T.S. Eliots moral imagination in the twentieth
century, New York, Random House, 1971, pp. 79.
21
Ivi, p. 81.

Limmaginazione morale nella filosofia americana 369
religiosi attivano i loro seguaci pi attraverso tematiche visionarie che
con argomenti razionali. In questo senso, per Kirk, limmaginazione,
non la ragione, governa il mondo. Lautorit, i rituali, i dogmi e i
simboli religiosi sono gli strumenti con cui le civilt consegnano veri-
t allordine sociale e morale. Senza la forte autorit della religione
molti individui si ritroverebbero alle prese con appetiti del tutto in-
soddisfatti. Il maggiore beneficio della religione quello di met-
tere ordine nellanima che la subordinazione della vita e degli
appetiti di qualcuno alla divina volont, laccomodamento armonioso
della mente e della coscienza che produce la genuina persona uma-
na.
Di contro alla immaginazione utilitaristica, che incapace di ele-
varsi sul qui e sullora, diversamente dallidilliaca immaginazione di
Rousseau, che evade il conflitto morale umano e lascia incontrollati
gli appetiti, Kirk prospetta lidea di una immaginazione morale di-
sciplinata dal potere del controllo interno sulla volont arbitraria. Il
controllo interno, come consapevolezza di un bene universale che non
pu essere violato, ispira limmaginazione morale delluomo a por-
tare avanti immagini concrete del suo vero proposito. Solo attraverso
limmaginazione luomo pu percepire le norme etiche che persistono
nella sua esistenza e dalle quali derivano le leggi, i modelli di giu-
stizia, i costumi e altre credenze morali che legano le persone alla co-
munit.
Limmaginazione morale descritta da Kirk presuppone una par-
ticolare concezione dellesperienza morale. Il bene essenzialmente
dinamico, vivente e organico; possiede particolari che non possono
essere concettualmente predefiniti ma sono avvolti da una visione
intuitiva. Secondo Kirk, la ragione gioca un ruolo secondario rispetto
allintuizione. Nella sua ricerca del bene e degli universali etici,
luomo sorretto dalla conoscenza intuitiva fornita dallimmagina-
zione morale. Un corpo di immagini crea la deliberazione morale e
prende in considerazione i probabili effetti dellagire dietro
determinati impulsi. Una genuina decisione morale quindi creativa
per natura. Da qui la marcata similitudine tra lambito morale e quello
estetico: il giudizio morale unarte, cio labilit di applicare
creativamente il bene universale (lunico) al flusso progressivo
dellesistenza (il molteplice). La ragione pu solo fornirci levidenza
di quelle che possono essere le conseguenze di un atto.
Kirk, secondo W. Wesley McDonald, ci chiede di agire in questo
modo: porre i nostri io sotto linfluenza della volont morale.

Spartaco Pupo 370
Attraverso lo sforzo di volere ci che buono per linteresse suo
proprio, noi otteniamo la trasformazione del nostro carattere. Lin-
dividuo moralmente disciplinato preferisce lattivit virtuosa, avendo
sperimentato la pace e la felicit che essa produce. La qualit virtuosa
di particolari atti provata dallesperienza diretta sulle cose, non
semplicemente sulla base della deliberazione intellettuale. Alla
domanda se atti come il coraggio, la carit e lonest siano da
preferire alla codardia, allavidit e alla mendacit non si pu
rispondere se si a corto delle esperienze acquisite con losserva-
zione diretta dei prodotti degli atti che scaturiscono dalle varie qualit
della volont. Ragionare su scelte morali alternative in un vuoto di
tipo esperienziale sarebbe un esercizio sterile
22
.
Limmaginazione morale un potere dellintuizione che non
definibile e concettualizzabile. Essa senzaltro una percezione diret-
ta di un modello di vita, di esperienza morale, cui non si arriva attra-
verso la ragione discorsiva. La letteratura, la musica, gli studi storici
fertilizzano lintuizione. Attraverso la poesia, la fantasia, la fin-
zione, la parabola possibile sperimentare la qualit morale di diversi
tipi di vita. Il poema The Wasteland di Eliot, ad esempio, rende ca-
paci di sentire direttamente le forze disintegranti della confusione
spirituale sulla civilizzazione occidentale. Il potere della poesia di
Eliot di muovere e condurre allazione non dipende da prove razionali
della sua rappresentazione della realt ma dallabilit delle sue im-
magini di produrre immaginazione morale. In ci riveste unimpor-
tanza cruciale il momento comunicativo. Il pi efficace strumento di
comunicazione per Kirk quello del velo simbolico, da ricercare,
per esempio, nel medium della grande poesia piuttosto che attraverso i
mezzi dellesplicazione discorsiva. proprio qui che gioca un ruolo
decisivo limmaginazione, la quale ricorre a mezzi come gli studi
storici, le lettere umanistiche, la fiaba, il mito, la religione. Sullo
storico, ad esempio, ricade una responsabilit speciale che gli deriva
dallimmaginazione morale. Il lavoro di uno storico di talento che
modella gli universali etici alla miriade di fatti storici frammentari
che esamina risulta immaginativamente stimolante e moralmente
salutare. Gli universali etici incarnano verit dalle quali deriva la
consapevolezza circa le potenzialit e le limitazioni umane.

22
W. WESLEY MCDONALD, Russell Kirk and the age of ideology, Columbia and
London, University of Missouri Press, 2004, pp. 5859.

Limmaginazione morale nella filosofia americana 371
Limmaginazione, inoltre, rende possibile levasione dai limiti del-
lesperienza individuale. Percependo ci che noi pensiamo in comune
con gli altri o vedendo attraverso limmaginazione le cose da una
prospettiva che non la nostra ma quella di altre persone, noi dive-
niamo consapevoli di noi stessi come membri di una comunit.
Attraverso limmaginazione morale si pu evadere afferma Kirk
dallabisso del solipsismo. Lordine morale qualcosa di pi
ampio delle circostanze di una esperienza privata; la consapevolezza
e la razionalit non iniziano con la soggettivit. Il senso morale,
spiega Kirk, costituito dalle impressioni che provengono da una
fonte pi profonda della nostra ragione formale e cosciente. il
prodotto combinato di intuizione, istinto, immaginazione e una lunga
e complicata esperienza.
Se la comunit rappresenta il punto pi alto dellesperienza im-
maginativa nella morale, la storia una sorta di retroterra fecondo, la
matrice, la fonte ispirativa dellimmaginazione e dellautocoscienza.
La storia, che nel pensiero di Kirk riveste unimportanza cruciale,
una registrazione dellesperienza umana da cui deriva lintuito del
disegno divino e della natura umana. Solo dallo studio della storia
possibile imparare a comprendere il significato dellesistenza uma-
na, lo splendore e la miseria della nostra condizione. Nella societ
odierna, gli studi storici possono diventare la principale forma let-
teraria, la strada verso la saggezza, a patto, per, che lo storico sia in
grado di soppiantare il novellista a guardiano della cultura.
Gli spunti che si ricavano da quella che, a questo punto, non az-
zardato chiamare teoria della immaginazione morale arricchiscono
gli ambiti pi disparati della cultura americana. Persino il cosiddetto
business world, per fare un esempio, si trova ad essere in qualche
modo debitore verso limmaginazione morale. Per farsene unidea
basta leggere The moral imagination: how literature and films can
stimulate ethical reflection in the business world
23
, una raccolta di
saggi in cui si dimostra come, attraverso la letteratura, larte e il
cinema, la societ ha negli ultimi anni imparato a sviluppare un senso
di immaginazione morale che illumina lintelletto su ci che vera-
mente significa essere uomini.
Una speciale riconoscenza viene tributata allimmaginazione mo-
rale nel variegato mondo della scienza cognitiva. M. Johnson, in Mo-
ral imagination: Implications of cognitive science for ethics, dimostra

23
A cura di O.F. Williams, Notre Dame, University of Notre Dame Press, 1998.

Spartaco Pupo 372
che le ultime ricerche nella scienza cognitiva
24
rivelano il fatto
inoppugnabile che limmaginazione gioca un ruolo determinante nella
deliberazione morale; i risultati della scienza cognitiva scalzano la
tradizionale concezione del pensiero occidentale secondo la quale le
decisioni morali vengono assunte applicando la legge universale alle
situazioni concrete.
Johnson parla di una teoria popolare delletica, che deve le sue
origini alla religione occidentale e che raggiunge lapoteosi nel
pensiero di Kant, il quale, nella terza critica, prov a dimostrare il
legame tra larte e la moralit, ma le sue argomentazioni rimasero
conformi allidea della ragione universale che informa lintera sua
opera. La teoria popolare delletica il frutto della concezione dua-
listica secondo cui luomo essere sia di ragione che di passioni, il
pensiero morale materia della sola ragione e lazione morale ri-
chiede la vittoria della ragione sulle passioni o, in altri termini, della
volont autonoma sui sentimenti eteronomi. Sempre secondo la teoria
tradizionale, la volont, agendo solo con la ragione, pu determinare
le leggi universali delletica e uniformare i precetti generali ai casi
specifici, astraendo, priorizzando e determinando azioni giuste senza
alcun dubbio o oscurit nella scelta e nella motivazione. Scrive
Johnson: Nella teoria della legge morale classica c molto di
incompatibile con ci che la scienza cognitiva sta svelando circa la
natura dei concetti della ragione e dellintelletto. Quanti accettano e
provano a vivere secondo la teoria della legge morale probabilmente
sperimentano una inevitabile tensione e dissonanza con il tentativo di
decidere come agire. Il problema [] che stiamo provando a vivere
secondo una visione che incompatibile con la modalit in cui gli
esseri umani attualmente danno senso alle cose
25
. Dare senso alle
cose lo scopo principale della scienza cognitiva, secondo cui gli
esseri umani strutturano il loro mondo non deduttivamente ma
attraverso strumenti come il riconoscimento, la metafora e la nar-

24
utile ricordare che la scienza cognitiva un approccio interdisciplinare allo
studio del comportamento e della vita mentale che riconosce il valore aggiunto
delluscita dai confini delle singole discipline che studiano il comportamento e le
capacit cognitive umane per mettere a confronto e far convergere approcci, metodi,
quadri di riferimento teorici, dati empirici di discipline diverse. Le discipline chia-
mate in causa dalla scienza cognitiva sono, oltre alla filosofia, la psicologia, la lin-
guistica, le scienze sociali, le neuroscienze e le scienze biologiche in genere, lin-
formatica e lintelligenza artificiale, la matematica e la fisica.
25
M. JOHNSON, Moral imagination: implications of cognitive science for ethics,
Chicago, University of Chicago Press, 1994, p. 8.

Limmaginazione morale nella filosofia americana 373
razione. Ora, il valore sostanziale della narrazione stato dif-
fusamente affrontato nelletica, ad opera, principalmente, di Alasdair
MacIntyre
26
, e la metafora negli ultimi tempi riceve molta attenzione
nella filosofia e nella linguistica. Sul riconoscimento (il cosiddetto
prototype recognition) ricade invece linteresse esclusivo della scien-
za cognitiva.
La teoria del prototipo afferma che luomo riconosce gli oggetti
che lo circondano attraverso la loro comparazione con le costruzioni
mentali derivate dallesperienza. Il riconoscimento ha cio a che fare
con la rassomiglianza. Johnson sottolinea che la struttura del pensiero
per natura fondamentalmente metaforica. Molte situazioni morali
possono essere fissate in parole, in mappature metaforiche. Contra-
riamente a quanto stabilito dalla visione tradizionale, il sistema con-
cettuale umano , in gran parte, strutturato in metafore. Noi conce-
piamo sfere pi astratte (come i nostri concetti di ragione, cono-
scenza, fede) attraverso mappature (mappings) di pi concreti e
altamente strutturati domini di esperienze (come lesperienza cor-
porea della visione, del movimento o della manipolazione di og-
getti)
27
. Johnson afferma che la conoscenza morale umana fon-
damentalmente immaginativa e che la metafora uno dei mec-
canismi principali della cognizione immaginativa
28
.
Sulla stessa linea si trova la filosofa I. Murdoch, che concepisce la
metafora come un modo fondamentale della conoscenza, ci che
mirabilmente, come per magia, unisce larte alla morale. La nostra
esperienza morale scrive partecipe della peculiare densit
dellarte
29
. Murdoch considera la percezione dellarte e delletica
come essenzialmente immaginativa. La conoscenza della struttura im-
maginativa pu aiutare a spiegare non solo la loro unione ma ad-
dirittura il fatto che insegnare larte vuol dire educare alla morale
30
.
Nelle conclusioni dobbligo ritornare al punto iniziale del discor-
so sullimmaginazione, e quindi a Dewey, colui che per primo nella
filosofia americana contemporanea ha sollevato in modo proble-
matico la questione del rapporto tra larte e la morale, una questione

26
A. MACINTYRE, After virtue, Notre Dame, University of Notre Dame Press,
1984 (trad. it. Dopo la virt, Milano, Feltrinelli, 1988).
27
M. JOHNSON, Moral imagination, cit., p. 10.
28
Ivi, p. 9.
29
I. MURDOCH, Metaphysics as a guide to morals, New York, Penguin, 1992, p.
322.
30
Ibidem.

Spartaco Pupo 374
che rimane aperta alle soluzioni pi svariate, anche, se si vuole, pi
stravaganti, e che per questo si impone nel dibattito filosofico
contemporaneo. Limmaginazione, questo fardello di cui la tradizione
filosofica occidentale ha preferito liberarsi, diventa, grazie a Dewey,
oggetto di attenzione per il suo ergersi a perno centrale di quel-
laffascinante mondo dellintelligenza creativa, da sempre trattata con
grande diffidenza a causa della chiusura verso quelle che lo stesso
Dewey chiamava innovazioni, che sono lessenza dellindividuali-
t. Limpulso generoso scrive Dewey in una delle sue pagine
pi affascinanti viene posto in catene perch non disturbi la pace.
Se larte fosse un potere riconosciuto nella societ umana e non fosse
trattata come ci che d piacere in un momento dozio o come un
mezzo di esibizione ostentata, e si comprendesse che la morale si
identifica con tutti gli aspetti del valore al quale si partecipa
nellesperienza, il problema del rapporto tra arte e morale non esi-
sterebbe
31
.
Siamo alle ultime parole del paragrafo Arte e civilt, che chiude
mirabilmente quel capolavoro che Larte come esperienza. Dewey
esalta il potere immaginativo e liberatore dellarte e ricorre ancora
una volta alle significative parole di Shelley: Il grande segreto della
morale lamore, ovvero un uscire fuori dalla nostra natura e
lidentificazione di noi stessi con il bello che esiste in un pensiero, in
unazione o in una persona, che non sia la nostra. Un uomo, per
essere grandemente buono, deve immaginare intensamente e com-
prensivamente
32
.

31
J. DEWEY, Larte come esperienza, cit., pp. 406407.
32
Ivi, p. 407.

MARCELLO WALTER BRUNO

Foucault e limmagine moderna



La crisi della riproduzione artistica
si pu considerare come parte integrante
di una crisi della percezione stessa.
Walter Benjamin


Chi lo avrebbe immaginato? Quando la pittura pone interrogativi
alla filosofia, i filosofi intraprendenti interrogano i pittori contem-
poranei.
Nel 1966 Michel Foucault pubblica Le parole e le cose libro
che notoriamente si apre con una magistrale lettura del quadro di
Velazquez Las Meninas (Le damigelle donore) e subito invia una
copia a Ren Magritte, lormai sessantottenne surrealista, reduce da
una trionfale retrospettiva al MOMA di New York e spesso in Italia
per vacanze di cura. Lartista risponde con una lettera datata 23
maggio in cui contesta lopposizione foucaultiana fra Similitudine e
Somiglianza in un modo di cui il mittente terr conto:

Le cose non hanno somiglianze tra loro, hanno o non hanno delle similitu-
dini.
Spetta soltanto al pensiero di essere somigliante. Esso somiglia essendo ci
che vede, intende o conosce, esso diventa ci che il mondo gli offre.
Esso invisibile quanto il piacere o la pena. Ma la pittura fa intervenire una
difficolt: c il pensiero che vede e che pu essere descritto visibilmente. Le
damigelle donore sono limmagine visibile del pensiero di Velazquez.
Linvisibile sarebbe dunque a volte visibile? S, ma a condizione che il
pensiero sia costituito esclusivamente di figure visibili (Magritte a Foucault,
in FOUCAULT 1973: 8990).

Magritte allega delle riproduzioni, fra cui quella del quadro noto
come Questo non una pipa, dietro cui appunta: Il titolo non con-
traddice il disegno; afferma in modo diverso. In una lettera datata 4
giugno 1966 lartista belga risponde a una domanda sul suo remake
funerario del capolavoro di Manet Il balcone. Nel 67, anno in cui
Magritte muore, Foucault tiene una prima conferenza (a Milano) sulla
pittura di Manet e stipula un contratto con Les Editions de Minuit per
un libro su Manet da intitolarsi Il nero e il colore; nel 68 pubblica il
Bollettino Filosofico 22 (2006): 375-390 375
Marcello Walter Bruno 376
suo saggio su Magritte (intitolato Questo non una pipa) e tiene a
Tunisi un corso pubblico sulla pittura italiana del Quattrocento. Il
1969 lautore di Archeologia del sapere produce una plaquette in-
titolata Titres et Travaux che presenta per candidarsi alla cattedra di
Storia dei sistemi di pensiero del Collge de France: il progetto din-
segnamento riguarda il sapere relativo allereditariet. In questo con-
testo i sistemi di pensiero sono definiti come le forme allinterno
delle quali, in unepoca determinata, i saperi acquistano la loro sin-
golarit, acquisiscono un loro equilibrio ed entrano infine in comuni-
cazione gli uni con gli altri (FOUCAULT 2004
b
: 50). Se si pensa al le-
game che unisce Magritte a Manet e Manet a Velazquez, si pu so-
spettare che anche la pittura costituisca un sistema di pensiero, degno
di analisi archeologica.
Nel 1970 Foucault tiene conferenze su Manet a Tokyo e Firenze,
mentre a Londra esce finalmente il libro su Magritte scritto da Suzi
Gablik, studiosa newyorkese che ha vissuto in casa Magritte nel
1959/60. Il 2 dicembre il nuovo membro del Collge de France tiene
la sua lezione inaugurale, intitolata Lordine del discorso. Nel 1971
Foucault torna a Tunisi, dov stato docente universitario prima di
Vincennes, per una conferenza su Manet che viene registrata in audio
e che verr sbobinata solo trentanni dopo.
Dunque, linteresse per limmagine moderna colta in due snodi
fondamentali quali la contestazione della classicit modello Salon
(nel protoimpressionista Manet) e lo svuotamento delliconismo per
via di paradosso (nel surrealista Magritte) coglie Foucault in un
momento di transizione, tanto sul piano dello status accademico (la
sua voglia di entrare nel Collge de France da rivoluzionario della
storiografia non assimilabile alla voglia di Manet di esporre al Salon
tele antiaccademiche, che in effetti venivano regolarmente rifiutate?)
quanto sul piano della direzione di ricerca. Lordine del discorso, con
i suoi sistemi desclusione e le procedure interne di controllo, poggia
sulla logofobia della nostra societ (e, oggi sappiamo, anche delle al-
tre); per fronteggiare questa logofobia bisogna prendere tre decisioni:
rimettere in questione la nostra volont di verit; restituire al dis-
corso il suo carattere devento; toglier via infine la sovranit del si-
gnificante (FOUCAULT 2004
b
: 26). Ma se la filosofia dellevento
dovrebbe procedere nella direzione, paradossale a prima vista, dun
materialismo dellincorporeo (ivi: 29), come non vedere nella pittura
la visibilit del pensiero e, con ci stesso, un territorio privilegiato per
la rimessa in questione della volont di verit (volont di realismo),
Foucault e limmagine moderna 377
per labbattimento della sovranit del significante e, insomma, per la
liberazione dellimmaginario dallordine del discorso iconico?


Magritte o limmagine verbovisiva

Come dirla, la pittoricit della pittura, il suo carattere di gioco
semiotico non equivocabile con nessuna fallacia referenziale? La
pittura astratta fallisce il suo compito la decostruzione della figu-
razione proprio perch lazzeramento della dimensione semantica
mette in risalto il carattere oggettuale (oggettivo?) delloggetto qua-
dro, non il carattere sociale del segno iconico. La pittura surrealista
lavora sulla redistribuzione sintattica delle ipoicone: il tutto si rivela
superiore alla somma delle parti fino a sconfinare nella paranoia
di Dal allo stesso modo in cui una frase sintatticamente ambigua
ridimensiona la forza del repertorio lessicale. Ma c forse un pas-
saggio ulteriore da compiere: linvenzione (ladozione) di marche
dellenunciazione, di ipoicone a funzione metalinguistica (svelamen-
to del lavoro del codice).
La prima invenzione di Magritte, allet di 28 anni, il sipario che
delimita il quadro Il fantino perduto (1926): quei tendaggi laterali
che si ritrovano con analoga funzione nei coevi Sogno di studente e Il
maestro del piacere, in cui al centro della scena c addirittura un
quadro e che possono essere assimilati alleffetto quinta del cine-
matografico Lassassino minacciato (2627) introducono ad
una scena teatrale, fosse pure il teatro del sogno, e dunque ad una for-
ma rappresentativa in cui ambienti personaggi e azioni si danno ad un
destinatario in qualit di messaggio progettato ed eseguito da un
autore (istanza enunciativa). Il secondo meccanismo autoriflessivo,
influenzato daglinterni metafisici di De Chirico, costituito dalla
presenza di emblemi della visione: sul fondo del quadro La tra-
versata difficile (anche questo del germinale 1926) c un quadrato
leggibile come finestra ma anche come tela dipinta in cui vediamo
la scena di una nave in balia della tempesta; c un quadro nel quadro
Ritratto di Georgette Magritte (1926) cos come in I segni della sera
(26) e Il palazzo duna cortigiana (2829); in Le grazie del pae-
saggio (28) c addirittura solo la cornice vuota con una targhetta
con la scritta paysage. Lapoteosi di questa procedura si ha col ca-
polavoro La condizione umana I (1933) dove tutti gli elementi pre-
cedenti giungono a sintesi iperrealistica: c un interno che contiene

Marcello Walter Bruno 378
una tela su cavalletto, davanti a una finestra delimitata da due tende
sipario; ci che si vede alla finestra la prosecuzione ottica di ci che
dipinto sulla telaoggetto, rendendo indistinguibili i segni pittorici
dai segni referenziali, la metaenunciazione dallenunciazioneog-
getto. Ma probabilmente vanno segnalati come emblemi della vi-
sione anche i riflessi sullacqua (Dopo lacqua, le nubi, 1926), le
maschere (Lui non parla, 26), gli specchi (Il matrimonio di mez-
zanotte, 26; Il paraluce, 27), locchio (Il falso specchio, 29). Cos
come va segnalato il caso isolato e dunque tanto pi emblematico
costituito da Tentativo impossibile (1928), dove si fronteggiano
due figure, un pittore armato di pennello che sta tentando di com-
pletare il corpo di una donna che contemporaneamente una modella
nuda e il relativo ritratto.
Il terzo meccanismo magrittiano, anche questo risalente alla fine
degli anni Venti, luso delle parole allinterno del quadro; prin-
cipalmente a questo meccanismo che Foucault dedica la sua analisi. Il
punto di partenza il celebre quadro del 1928 (di cui Foucault non
cita il titolo esatto: Luso della parola) in cui si riproduce il tipico
meccanismo da libro scolastico di associazione fra un oggetto e la sua
definizione: solo che qui, sotto il disegno su sfondo neutro di una
banalissima pipa, la didascalia in corsivo (una scrittura a mano da
scolaretto delle elementari) proclama Ceci nest pas une pipe. (da
tradursi Questo non una pipa. con riferimento al disegno e non,
come spesso avviene, Questa non una pipa. con riferimento al-
linterpretante verbale del significante pittorico). Per Foucault la dia-
voleria del meccanismo consiste nello scontro fra lovviet del-
laffermazione (il disegno di una pipa non una pipa reale) e quella
certa abitudine di linguaggio per cui licona sostituisce il referente
e linterpretante immediato del segno iconico un simbolo lin-
guistico: sopraggiungerebbe cos limpossibilit di definire il piano
che permetterebbe di dire che lasserzione vera, falsa, contrad-
dittoria (FOUCAULT 1973: 24). Il paradosso servito. Ma com sta-
to costruito?
Non posso togliermi dalla testa lidea che la diavoleria si trovi in
unoperazione resa invisibile dalla semplicit del risultato, ma che
sola pu spiegare limbarazzo indefinibile che esso provoca. Questa
operazione un calligramma costruito segretamente da Magritte, poi
disfatto con cura (ibidem). Del calligramma il quadro riprenderebbe,
anche se per subito pervertirle, le tre funzioni che lo contraddistin-
guono:
Foucault e limmagine moderna 379
le parole hanno conservato lappartenenza al disegno, e la
condizione di cosa disegnata (ivi: 29);
la pipa disegnata a sua volta prolunga la scrittura, tant che per
Foucault (che si sente proprio obbligato a seguire la sua intuizione)
sembrerebbe piena di piccole lettere confuse, di segni grafici ridotti
in frammenti e sparpagliati su tutta la superficie dellimmagine (ivi:
30);
limpossibilit di guardare e leggere contemporaneamente (cio
di accogliere lopera in un unico colpo docchio, senza la lineariz-
zazione cognitiva imposta dalla contrapposizione fra icona e simbolo)
conserva qualcosa del caratteristico modo di schivare del cal-
ligramma (ivi: 32) pur essendo lontani dalla tautologia che carat-
terizza quel tipo di componimento verbovisivo.
Questa teoria del calligramma disfatto propriamente insoste-
nibile se riferita alla genesi (filologicamente ricostruibile) di questo o
di altri quadri magrittiani: vero che la scrittura dellordine della
pittura, ma questo sempre vero; falso che il disegno della pipa sia
costituito da elementi grafici discreti, e men che meno da lettere del-
lalfabeto; anche falso che la lettura della breve frase scritta in
grande impedisca la contemporanea visione delloggetto rappre-
sentato. Quella del calligramma disfatto evidentemente una meta-
fora che riguarda non tanto loperazione che Magritte compie sul sin-
golo quadro, ma semmai la novit che lopera complessiva di Ma-
gritte o forse un intero filone delle avanguardie artistiche del No-
vecento introduce allinterno della storia dellarte. Il calligram-
ma, insomma, non un componimento letterario ma il modo di
funzionare della pittura classica basata su due principi: separazione
tra segni linguistici e elementi plastici; equivalenza della somiglianza
e dellaffermazione (ivi: 83). La rappresentazione (mimesi, riprodu-
zione della realt) unasserzione, la somiglianza unaffermazione:
la pittura classica parlava e parlava molto pur costituendosi
fuori del linguaggio; da qui il fatto che essa poggiava silenziosamente
su uno spazio discorsivo (ibidem).
Magritte disgiunge la similitudine (ripetizione del simulacro) dalla
somiglianza (che presuppone un referente primario) e la fa agire con-
tro di essa in pi modi. Uno quello di presentare contemporanea-
mente il referente e il suo doppio (o multiplo, come meglio sar fatto
dalla pop art warholiana): si pensi a ritratti e a dittici come La fine
della contemplazione (1927), Ritratto di Paul Noug (27), Il sogno
(45) e soprattutto a La rappresentazione (62). Gli altri modi discussi

Marcello Walter Bruno 380
da Foucault hanno a che fare con la decalcomania (indecidibilit fra
originale e copia, reale e virtuale, referenziale e immaginario), con la
metamorfosi o similitudine purificata (trasformazione reversibile,
unione di elementi leggibili come separati e contemporaneamente
fusi) e, ovviamente, con quella sintassi propriamente surrealista in cui
liconismo entra in collisione coi saperi per produrre analogia che
nega la rappresentazione (ivi: 76). Ma anche i titoli rientrano in una
strategia di contestazione dellaffermazione, degli automatismi
interpretativi. Si pensi solo ai quadri intitolati Prospettiva, che ripro-
ducono le scene di tele famose (ad es. Il balcone di Manet) sosti-
tuendo i personaggi con delle bare: evidente ma Foucault non lo
nota che il termine viene sconnesso dallisotopia spaziale (anche
se lintertestualit pittorica spinge a ribadire questa accezione) e
spostato in unottica temporale; la prospettiva, insomma, la morte
(per cui il remake di unopera, calcolando il salto temporale,
costretto a mostrare le bare perch nel frattempo le persone ritratte
dalloriginale sono defunte).
Questa equivalenza fra somiglianza e affermazione ci permette di
tornare a Luso della parola: se la mimesi sempre una sorta di patto
ontologico fra enunciatore ed enunciatario (non tanto una sospensione
dellincredulit, quanto laccettazione del gioco semiotico della
catena deglinterpretanti), allora chiaro che laccoppiata fra una pi-
pa (diciamo meglio: un segno iconico il cui interpretante verbale
pipa e dunque laffermazione Questa una pipa) e la scritta
Questo non una pipa. (non titolo ma frase col punto, come gli
slogan che il pubblicitario Magritte ben conosceva) configura una
doppia affermazione con effetto di paradosso.
ODIFREDDI (2001) fa partire la lunga storia del paradosso del men-
titore dalla formula del cretese Epimenide I Cretesi sono bugiardi e
dalla generalizzazione di SantAgostino Ogni uomo menzognero.

Questa forma, falsa ma non paradossale, si trova spesso usata nellarte. Ad
esempio, nel racconto Questo non un racconto di Denis Diderot, che nel
romanzo Jacques il fatalista ripete: Questo non un romanzo. O nel
quadro Il tradimento delle immagini di Ren Magritte [195253, ndr], che
raffigura una pipa sotto la quale sta scritto: Ceci nest pas une pipe, questa
non una pipa.
Neppure Pinocchio arriva al paradosso, quando confessa alla fata Turchina:
Io mento sempre (ODIFREDDI 2001: 135).

Il vero paradosso, insomma, arriva con lo pseudomenon di Eubu-
lide, ovvero con unautoreferenza del tipo Io sto mentendo o ancor
Foucault e limmagine moderna 381
meglio Questa frase falsa. E si precisa con Buridano, che im-
magina una situazione dialogica (Socrate che dice Platone dice il
falso e Platone che replica Socrate dice il vero) in cui para-
dossale la congiunzione di due frasi che singolarmente non lo sono.

Mentre nel paradosso originario il circolo vizioso autoreferenziale rimaneva
su un unico livello, nella versione di Buridano richiede due livelli, ciascuno
dei quali rimanda allaltro. Il processo analogo a quello delle mani che
disegnano se stesse, raffigurato da Saul Steinberg ed Escher in due famosi
disegni. Anche se, ai fini dellillustrazione del paradosso, sarebbe pi corretto
che una mano disegnasse e laltra cancellasse (ivi: 139).

Ora, il cortocircuito creato da Escher proprio quello della distin-
zione fra immagine e metaimmagine: se accettiamo di vedere una
mano che disegna unaltra mano, perch presupponiamo che linsie-
me (presupposto come realistico) configurer una distinzione fra
realt e rappresentazione allinterno del testo iconico; se invece la
mano che disegna (diciamo la metamano) si rivela ricorsivamente una
mano disegnata, il risultato inevitabilmente la dissoluzione del patto
ontologico-realista dato per presupposto dal genere figurativo. C
per da chiedersi se laccoppiata pipa/scritta di Magritte non funzioni
in modo analogo: il patto calligrammatico sarebbe da intendersi
come solidariet fra lo stile (figurativo, dunque rappresentativo e
affermativo) e lautomatismo interpretativo (linterpretante lessica-
le di quel segno iconico la parola pipa). In questo caso, ecco le
due affermazioni presupposte da Foucault: unaffermazione iconico
rappresentativa, verbalizzabile con la frase Ci una pipa, e unaf-
fermazione linguisticoverbale che fa pi discorsi in un solo
enunciato (FOUCAULT 1973: 73) per liberare la simitudine dallas-
serzione di somiglianza. I discorsi sono: ci la scritta che state leg-
gendo non una pipa; ci il disegno che vedete sopra la scritta
non una pipa reale ma il disegno di una pipa; ci linsieme
costituito dal disegno e dalla scritta non una pipa; ci il qua-
dro che state guardando, con la sua cornice e il suo titolo non
una pipa. Alla fine, non c nessuna pipa: il referente sparito, o me-
glio entrata in crisi la funzione referenziale del messaggio iconico.
Non si tratta di decidere se questo gioco semiotico dellordine
del paradosso logicamente inteso, ma di rilevare come il periodo in
cui Magritte opera artisticamente sulla questione corrisponda curiosa-
mente al revival dei paradossi aperto da Bertrand Russell: stiamo
parlando di fine anni Venti, e il teorema di Gdel del 1931. Se poi

Marcello Walter Bruno 382
ricordiamo che il 1930 lanno in cui Wittgenstein completa a Cam-
bridge le Osservazioni filosofiche, non possiamo che restare incu-
riositi dal fatto che il Magritte verbovisivo risulta una sorta di filosofo
analitico in terra di Belgio.

Wittgenstein considerava tutta la sua filosofia come una battaglia contro
lincantamento della nostra intelligenza per mezzo del linguaggio. Nei suoi
dipinti di parole e immagini, anche Magritte ha cercato di illuminare le con-
fusioni e ipersemplificazioni radicate nelle nostre abitudini linguistiche cos
profondamente da non venire nemmeno notate [] Wittgenstein ha scritto
(ma avrebbe benissimo potuto scriverlo Magritte) che gli aspetti delle cose
che sono pi importanti per noi sono nascosti a causa della loro semplicit e
familiarit [] Come Wittgenstein, Magritte era interessato al modo in cui si
poteva usare la logica per spezzare la tirannia delle parole e rivelare le
confusioni che nascono proprio nelle forme del nostro linguaggio [] Sia
Magritte che Wittgenstein avevano intrapreso contemporaneamente, ma
senza che luno sapesse nulla dellaltro, unanalisi terapeutica degli specifici
disordini logici prodotti dal linguaggio (GABLIK 1970: 124126).

Ma se non c modo di argomentare uninfluenza di Wittgenstein
e della filosofia analitica sullappartato pittore belga, dove andare a
cogliere le radici della sua operazione decostruttiva dellordine del
discorso iconico? Se i calligrammi da disfare non sono quelli di Apol-
linaire, quali sono? Intanto, il modello decostruttivo duplice: da un
lato, le parole in libert di Marinetti e dei futuristi, che per sono un
fatto pi tipografico che pittorico (dunque interno allestetizzazione
dei prodotti macchinici, pi che rivolto alla contestazione dellaffer-
mazione mimetica); dallaltro, la tecnica freudiana delle libere as-
sociazioni per linterpretazione dei sogni, che appunto trasforma sti-
moli iconici in risposte linguistiche (con gli esiti che Magritte esi-
bisce nel ciclo di quadri intitolati La chiave dei sogni, a partire dal
1930). La psicoanalisi, cara ai surrealisti, si rivela non tanto un mezzo
per linterpretazione delle opere (Questo non una pipa: certo, un
fallo!) ma piuttosto un metodo di contestazione degli automatismi
cognitivi: Larte della conversazione (1950) ci presenta due omini
dominati da un enorme monumento di pietra che forma la parola
REVE, sogno. Ma se il sogno sotto interpretazione un rebus, forse
la vera forma calligrammatica la troviamo nella pubblicit (Questo
non una pipa. con tanto di punto fermo non forse la head-
line messa doverosamente sotto il visual secondo le indicazioni degli
advertiser di Madison Avenue?) e nel cinema muto, che Magritte
amava nelle sue forme pi popolari (si pensi solo al quadro del 1937
intitolato alla memoria di Mack Sennett, inventore della slapstick co-
Foucault e limmagine moderna 383
medy e scopritore di Chaplin) ma anche in quelle davanguardia (il
quadro intitolato Entracte viene tre anni dopo lomonimo film dada
di Ren Clair).
Magritte un patito del personaggio di Fantmas, che ritrae a di-
stanza di anni (Il barbaro, 1928; Il ritorno di fiamma, 43) e su cui
scrive un raccontino in cui i poteri di Fantmas sembrano alludere ai
poteri del pittore. I surrealisti sono molto affezionati ai film a episodi
tipo I vampiri di Feuillade (la protagonista Irma Vep forse lispi-
ratrice del quadro di Magritte La ladra, 1927): ma allora, la foucaul-
tiana similitudine che procede per serializzazioni e disseminazioni
isotopiche (La similitudine moltiplica le affermazioni differenti, che
danzano, insieme, appoggiandosi e cadendo le une sulle altre: FOU-
CAULT 1973: 6869) non potrebbe essere un effetto della ripetizione
differente tipica della serialit cinematografica? I coniugi Magritte
trascorrono nella casa spagnola di Dal lestate del 1929, cio quella
che sta a cavallo fra Un chien andalou e Lge dor, i due capolavori
del cinema surrealista firmati da Dal e Bunuel: come non pensare che
locchio tagliato del quadro La ragion dessere (1928) sia influenzato
dalla celebre scena bunueliana?

facile individuare nel prologo di Un chien andalou una stretta parentela tra
il procedimento cinematografico e quello pittorico [] Questo segmento di
film racchiuso tra due didascalie (Cera una volta e Otto anni dopo)
che sembrano definire dei parametri temporali secondo i canoni del cinema
narrativo. In realt, il procedimento lo stesso dei quadri di Dal o di
Magritte. L, una organizzazione dello spazio rispettosa delle leggi della
prospettiva e unesecuzione accademicamente virtuosistica (Dal) o scolasti-
camente corretta (Magritte) sorreggono e esibiscono accostamenti e incon-
gruenze di ogni tipo, con effetti di shock e di spaesamento ironico o inquie-
tante. In questa sequenza di Un chien andalou una sintassi filmicamente cor-
retta (didascalie con qualificazione temporale, presentazione di personaggi
contestualizzati in un ambiente, un paesaggio, ecc.) sorregge ed esibisce
unincongruenza programmatica. Il montaggio [] viene usato per produrre
ravvicinamenti incongrui, esattamente come le strutture figurative for-
malmente corrette di Dal o di Magritte (COSTA 1999: 342343).

Le scritte cominciano a comparire nei quadri di Magritte nel 1926-
27, quando il cinema savvia a diventare sonoro: come se la scom-
parsa di unarte amata e frequentata generasse una sorta di pulsione
alla ripetizione. La scritta allinterno del quadro, allora, non sarebbe il
risultato di una distruzione (il disfacimento del preteso calligramma
originario) ma, al contrario, la riunificazione in un unico spazio di
due elementi (limmagine e la didascalia, spesso priva di connessione

Marcello Walter Bruno 384
in quanto rimpiazzo di dialoghi) che il cinema muto teneva separati.
Il surrealismo magrittiano un effetto speciale come i trucchi del
buon vecchio Mlis. Limmagine moderna cinema.


Manet o limmagineimpressione

Foucault vede Manet non come il precursore del semplice
impressionismo, ma come la rottura epistemologica che permette tutta
la pittura del Novecento. Per lui Manet colui che per la prima volta
nellarte occidentale, almeno dal Rinascimento, almeno dal Quat-
trocento, si permesso di utilizzare e di far giocare, in un certo modo,
allinterno dei suoi stessi quadri, allinterno di quel che rappre-
sentano, le propriet materiali dello spazio su cui dipingeva (FOU-
CAULT 2004
a
: 2021).
Le invenzioni o reinvenzioni manetiane sono:
il quadro come oggetto materiale, e dunque
lilluminazione reale della tela,
la possibilit per lo spettatore di guardarla in un verso o nellal-
tro rilevando
la superficie rettangolare,
i grandi assi orizzontali e verticali.
Lattacco al Rinascimento innazitutto un attacco alla prospettiva.
Se gi nella Musica alle Tuileries (186162) c poca profondit, per-
ch lo spazio gestito fra le verticali dei tronchi dalbero e loriz-
zontale dellultima linea di teste, nel Ballo mascherato allOpera
(187374) leffetto di profondit cancellato a favore di un feno-
meno di rilievo o effetto di tapisserie: Non vi autenticamente dello
spazio, ma soltanto delle specie di pacchetti, pacchetti di volumi e di
superfici proiettati in avanti, agli occhi dello spettatore (ivi: 28). Nel
quadro del 1867 Lesecuzione dellimperatore Massimiliano non solo
il muro vale come raddoppiamento della tela stessa, ma la distanza fra
soldati e fucilati non una distanza percettiva, essendo ottenuta con
la tecnica prequattrocentesca di rimpicciolire alcuni personaggi
senza ripartirli sul piano: In tal modo, in questo piccolo rettangolo
dove Manet dispone i suoi personaggi, si stanno disfacendo alcuni dei
princpi fondamentali della percezione pittorica in Occidente (ivi:
33). Nel Porto di Bordeaux (1871) la fitta tessitura di linee orizzontali
e verticali sembra riprodurre la tessitura della tela stessa. Nel celebre
Argenteuil (1874) le linee verticali ed orizzontali, che anche qui
Foucault e limmagine moderna 385
ricostruiscono un sottospazio che mima lo spazio fisico complessivo
delloggettoquadro, non si riferiscono pi solo ad oggetti nel pae-
saggio (la panchina che va fuoricampo a destra in basso, il pennone
che va fuoricampo in alto a sinistra) ma invadono i personaggi attra-
verso le righe dellabbigliamento (orizzontali per il maschio, verticali
per la donna). Nella serra (1879) permette di riassumere questa fun-
zione delle linee orizzontali e verticali in Manet: restrizione della pro-
fondit, chiusura dello spazio, gioco con le propriet materiali della
tela. Insomma, appiattimento sulla bidimensionalit come rivelazione
del quadro contro leffetto di realt della rappresentazione.
La bidimensionalit del quadro nellanalisi di Foucault cos co-
me la bidimensionalit dello schermo nellanalisi di Burch (1969),
che curiosamente parte dal film di Jean Renoir tratto dal romanzo Na-
na scritto da Zola contemporaneamente allomonimo quadro del suo
amico Manet mette in gioco non solo i quattro fuoricampo deter-
minati dai quattro lati del rettangolo, ma anche i due fuoricampo vir-
tuali determinati dal recto e dal verso della superficie. Cameriera con
boccali (1879) ci mostra due sguardi senza oggetto: quello del fuma-
tore di pipa, che guarda verso il fondo (ma lo spettacolo di cabaret
tagliato dal margine sinistro della tela), e quello della donna che sem-
bra guardare in macchina (verso lo spettatore del quadro) dunque
attivando una sorta di controcampo assoluto. Con La ferrovia (1872
73) la prima volta che la pittura si offre mostrandoci qualcosa di
invisibile (FOUCAULT 2004
a
: 45): anche se Manet muore dodici anni
prima del 1895, si pu ben dire che i suoi sguardi fuoricampo (nelle
direzioni che sensibilizzano la tela lungo lasse recto/verso) sono gi
cinema; la ferrovia di Manet quella dove sta per arrivare il treno dei
Lumire.
Un modo per eliminare la profondit quello di neutralizzare
completamente lo sfondo mediante unilluminazione frontale, senza
ombre, in opposizione a quella sistematicit della luce che raggiun-
se il suo apice con Caravaggio: un esempio massimo Il pifferaio
(1866), ma questa illuminazione frontale era gi in azione anche in Le
djeuner sur lherbe (1863) e nello scandaloso Olympia (1863). Lo
scandalo morale, per unopera che si presenta come remake pornogra-
fico di capolavori come La Venere di Urbino di Tiziano e La maja
desnuda di Goya, in realt uno scandalo estetico prodotto dalla in-
conscia consapevolezza (da parte dello spettatore) della coincidenza
fra punto di vista spettatoriale e punto di origine dellilluminazione.


Marcello Walter Bruno 386
Vi la nudit e noi che siamo nel luogo stesso dellilluminazione, vi la
nudit e lilluminazione che nel luogo stesso dove noi siamo, vale a dire
che il nostro sguardo, aprendosi sulla nudit dellOlympia, la illumina. Siamo
noi a renderla visibile; il nostro sguardo sullOlympia lampadoforo, porta la
luce; noi siamo responsabili della visibilit e della nudit dellOlympia.
nuda solo per noi, perch siamo noi che la rendiamo nuda e la rendiamo nuda
perch, guardandola, lilluminiamo, perch il nostro sguardo e lillumina-
zione non sono che una sola e medesima cosa (ivi: 5758).

Se Il bar alle FoliesBergre (188182) il testamento artistico di
Manet, perch esso mette in questione definitivamente la concezio-
ne classica del posto dello spettatore: lambiguo (sbagliato?) riflesso
del grande specchio alle spalle della cameriera mette in gioco tre
sistemi di incompatibilit: il pittore deve esser qui e deve esser l;
deve esservi qualcuno e non deve esservi nessuno; vi uno sguardo
discendente e uno sguardo ascendente (ivi: 70). Insomma qui, al
contrario della pittura quattrocentesca col suo spazio normativo, non
possibile sapere dove fosse situato il pittore per dipingere il quadro
come lha dipinto, e dove dovremmo situarci noi per vedere uno
spettacolo come quello [e dunque] il quadro appare come uno spazio
davanti al quale e in rapporto al quale ci si pu spostare (ivi: 71).
Resta anche qui, come per Magritte, linterrogativo: se lamico di
Baudelaire un pittore della vita moderna con i suoi luoghi antimi-
tologici (niente campagne arcadiche, ma piuttosto locali cittadini adi-
biti allo spettacolo) e i suoi personaggi mostruosamente quotidiani
(alcolizzati, dandy, artisti e ovviamente mogli, cameriere, fumatrici,
artiste e puttane), da dove viene la modernit dellimmagine con cui
viene resa la modernit di questa Parigi capitale del XIX secolo? Da
dove viene questa rottura epistemologica nella rappresentazione dello
spazio, della luce e del posto dello spettatore? Anche stavolta Fou-
cault non risponde.
Io partirei proprio da questo strano strabismo dello sguardo del
Bar alle FoliesBergre, tanto pi perch lo schizzo preparatorio ci
mostra una composizione regolamentare, con le giuste posizioni (la
cameriera girata verso destra anzich essere frontale) e gli esatti
raccordi di sguardo: ebbene, a quale artista visivo consentito essere
contemporaneamente frontale e laterale rispetto al soggetto? A nes-
suno che non sia una macchina, una macchina fotografica: lautoscat-
to, o un tempo di posa lungo, consente di ottenere questo gioco
impossibile alla mano che non pu prendere le distanze dallocchio. Il
pittore si comporta come il fotografo, ma per quale motivo? Perch
Foucault e limmagine moderna 387
il nuovo mezzo fotografico, praticamente coetaneo di Manet, ad aver
costruito il paradigma moderno dellimmagine: la velocit desecu-
zione, teorizzata e praticata da quei macchiaioli incontrati a Firen-
ze, non che un tentativo di rincorrere i tempi veloci della istanta-
nea (non ancora possibile nel 1846, quando il quattordicenne Manet
posa qualche minuto per un dagherrotipo, ma gi possibile dal 1851
grazie al collodio umido); e lo stesso realismo, che nella pittura di
Courbet soprattutto attenzione verso le masse lavoratrici nuove
protagoniste della Storia, viene non per nulla teorizzato in letteratura
da un appassionato di fotografia come Zola.
Manet conosceva Nadar, il celebre fotografo amico di Baudelaire:
abbiamo almeno quattro ritratti fotografici di Manet fatti da Nadar
(cfr. NADAR 2004: 230) e abbiamo, daltra parte, il quadro Giovane
donna in costume spagnolo (1862, ora propriet dellUniversit di
Yale) in cui il trentenne Manet immortala lamante di Nadar in una
posa da Maya vestita, in omaggio a quel Goya che tanto piaceva al
fotografo. Per capire il clima dellepoca, si ricordi che nel 1862 Nadar
diventa una celebrit grazie alle sue ascensioni con laerostato, con
cui praticamente inventa la fotografia aerea: Daumier dedica alleven-
to lincisione intitolata Nadar eleva la fotografia allaltezza dellarte;
e anche Manet realizza unincisione intitolata Laerostato, che per
non viene pubblicata perch leditore Cadart la giudica confusa (la
mongolfiera di Nadar comparir anche nel quadro che Manet dedi-
cher allEsposizione universale del 1867). Nello stesso 1862, invece,
pur avendo ricevuto una menzione donore al Salon dellanno prece-
dente per lo spagnoleggiante Il guitarrero (un voluto cedimento ac-
cademico dopo che il baudelairiano Bevitore di assenzio stato rifiu-
tato al Salon del 59), Manet viene criticato per lo stile macchiaiolo
di Musica alle Tuileries e il soggetto troppo quotidiano di La can-
tante di strada: ma questi quadri che rifuggono dalla posa, cogliendo
attimi di vita urbana, non sono un tentativo di fotografare la realt
moderna?

La maggior parte delle fotografie pi straordinarie di Nadar furono scattate
tra il 1854 e il 1870 e i soggetti sono spesso famosi personaggi contempo-
ranei, come Daumier, Manet, Courbet, Millet, Corot, Dor, Guys e Baude-
laire. [...] La specialit di Nadar era il carattere. I suoi soggetti rivolgono
spesso brevemente lo sguardo verso la macchina fotografica, corrucciati o
sorridenti, come se guardassero i propri conoscenti durante una conversazio-
ne. Anche quando sono ovviamente in posa si sforzano di apparire attenti,
come se qualcuno avesse richiamato la loro attenzione o stesse per farlo.
Sotto questo aspetto differiscono considerevolmente dal pantheon di splendi-

Marcello Walter Bruno 388
di sognatori di Julia Margaret Cameron. Questi artisti parigini comunicano
unimpressione di persone attive, colte di passaggio. [] I soggetti di Nadar
appaiono invariabilmente attenti, ma mostrano anche variazioni di umore,
apparendo di volta in volta irritabili, ombrosi, affabili, bonari.
Ritratti simili venivano prodotti in quel periodo da Manet e in particolare da
Degas. I soggetti in posa per questultimo hanno laria di essere capitati
casualmente nel raggio visivo dellartista, che li raffigura come se avesse
momentaneamente richiamato la loro attenzione. Per farsi fare il ritratto i
soggetti si limitano a fermarsi, e spesso non fanno alcuno sforzo: per esem-
pio, in un ritratto di Degas del 1865 circa Manet appare disteso sul divano
mentre ascolta la moglie che suona il piano. I fotografi non si avventuravano
tuttavia mai cos in l rispetto allistantaneit, scegliendo piuttosto di conser-
vare un minimo di decoro e lasciando ai pittori le riflessioni sulle possibilit
pi estreme della fotografia (JEFFREY 1981: 4547).

La dialogicit dellarte significa s una conversazione dei vivi con
i morti sotto forma di viaggi di scoperta delle opere come quelli
che Manet intraprende in direzione di Firenze e soprattutto della Spa-
gna di Goya e Velazquez ma significa anche uninfluenza da parte
della contemporaneit, secondo una logica intertestuale che compren-
de linfluenza intermediatica, ad esempio lapertura del sistema pit-
torico allambiente delle tecnologie riprovisive. Manet conosceva la
dagherrotipia prima dellincontro con Nadar: la luce frontale analiz-
zata da Foucault, che illumina il quadro come se provenisse da uno
sguardo lampadoforo, non forse la luce reale di cui ha bisogno il
dagherrotipo per mostrare la sua immagine? Che dire della sovraespo-
sizione di Olympia? Se per i pittori lopera un remake di Goya e di
Tiziano, per i benpensanti [del 1863, ndr] appariva di straordinaria
audacia lanalogia con le foto pornografiche allora in voga e usate
quale biglietto da visita dalle donne in offerta (NICOLETTI 1997: 44).
Che pensare del piano americano di Colazione nello studio (1868)
se non che quella inquadratura, che il cinema americano adotter solo
con lavvento del western, oggi lovvia soluzione delle foto di grup-
po? Manet, in questo come in altri quadri (si pensi solo a Cameriera
con boccali), cura particolarmente un personaggio lasciando gli altri
allo stadio di macchie di colore: ma questo non un modo per met-
tere a fuoco il protagonista lasciando sfocati gli altri piani?
Limmagineimpressione sembra condurre la pittura verso la sog-
gettivit dello sguardo, lasciando alla macchina fotografica lonore e
lonere di una riproduzione della realt sganciata dalla percezione
umana: tutta la polemica sui cavalli al galoppo, risolta scientifica-
mente dalle sequenze di Muybridge commissionate dal miliardario
californiano Stanford, coinvolge la definitiva scissione fra locchio
Foucault e limmagine moderna 389
dellarbitro umano e locchio del photofinish. Se Georges Bataille
(1955) insiste nel considerare lindifferenza la cifra stilistica di Ma-
net, non dovremo sospettare che questo raffreddamento dellalta defi-
nizione pittorica dovuto alla freddezza della macchina che sta riedu-
cando locchio moderno? Daltro canto, molto prima dei trucchi del
fotomontaggio, la fotografia si pittoricizza per via della scelta del
soggetto, della distanza, dellinquadratura: la macchina consegnata
allo sguardo e alla mano di un artista della scelta istantanea, del
momento decisivo, ma anche della costruzione da teatro di posa
(dentro Nan di Manet non c gi tutto Helmut Newton?). Dunque,
linfluenza da subito reciproca, a complicare qualunque storia del-
larte propensa al determinismo tecnologico.
La modernit la fotografia nei suoi legami con lateismo, ovvero
con lestetica dellimmanenza contro i grandi racconti della mitologia
e della metafisica. Se si vuole ricostruire lepisteme del secolo del-
liconismo, bisogna accoppiare Foucault con Benjamin: la riflessione
sulla riproducibilit tecnica (cos ben presente al Manet del ritratto di
Zola, in cui il pittore dipinge la riproduzione fotografica in bianco e
nero del suo quadro Olympia) il punto di partenza obbligato per
unarcheologia del vedere.

Marcello Walter Bruno 390
Bibliografia

G. BATAILLE, Manet, Genve, Skira, 1955.
N. BURCH (1969), Prassi del cinema, Milano, Il Castoro, 2000.
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M. FOUCAULT (2004
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M. FOUCAULT (2004
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Einaudi, 2004.
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I. JEFFREY (1981), Fotografia, GinevraMilano, Skira, 2003.
F. NADAR, Quando ero fotografo, Milano, Abscondita, 2004.
G. NICOLETTI, Manet, Firenze, Giunti, 1997.
P. ODIFREDDI, Cera una volta un paradosso, Torino, Einaudi, 2001.
BRUNO ROBERTI

Immagini allo specchio



Nel momento dellatto del voyeur, dov il soggetto, dov loggetto?
l in quanto perverso e si situa solo alla conclusione del circuito.
Jacques Lacan, Il seminario. Libro XI, p. 176

Deus escreve direito por linhas tortas
(proverbio portoghese)


1. Dispositivo scopico, circuito ottico e cinema delle origini

La pulsione scopica comporta lambiguit dello sguardo. In
rapporto alloggetto perduto e tramite lintroduzione dellaltro, che lo
induce a una torsione, a una perversione che si fonda su un punto
cieco, e fa perno su un vuoto, lo sguardo cerca di vedere ()
loggetto in quanto assenza (J. Lacan, Il seminario. Libro XI, pp.
176177). Questa ombra dietro il sipario fa si che ci che si guarda
ci che non pu vedersi. La pulsione scopica l dove insiste
lintrusione dellaltro, come un circuito che si completa veramente
solo nella sua forma rovesciata.
in un circolo che ritorna, in una forma di ritorno dello sguardo,
forma che perverte e rovescia, l che si attiva la pulsione.
Ora, il dispositivo cinematografico, e il suo progressivo in-
ventarsi attraverso macchine ottiche, non senza implicazioni con
questa circolarit pulsionale di cui parla Lacan. La machine a voir, la
macchina fantasmagorica, il corpo elettrico e nervoso del mec-
canismo che spettacolarizza ( come nel caso del mesmerismo) quella
malattia, quella patologia diventata immaginario dei nervi, nuova
immagine del corpo, patologia del moderno per eccellenza, circolarit
dello schok di cui parlava Walter Benjamin, come emergenza della
sensibilit della riproducibilit tecnica, quella machine fantome
che il cinema si fa tratto del vedere ed essere visto, fin dalle sue
origini, anzi prima e al di qua della sua invenzione senza avvenire.
Il cinema mette in atto una dislocazione e una destituzione dellio,
una ichspaltung che, mentre separa, genera il soggetto daa se
stesso: per cui se le sue ombre dietro il sipario, le sue forme di luce
Bollettino Filosofico 22 (2006): 391-418 391
Bruno Roberti 392
che ritornano rovesciate, fanno insistere effetti di senso: il luogo del
film, come quello del dispositivo cinematografico, non consiste se
non come mancanza.
Si visti dal film come si parlati dal linguaggio. Il circuito ottico
stesso implicato dallinvenzione cinematografica, fa s che lio venga
destituito e ritorni al suo avvenire l dove era.
Linvenzione del cinema disloca listanza egemonica dellio e fa s
che la pretesa del moderno come presa del mondo in immagine,
venga giocata nel suo rovescio: sono le immagini gi prese dal-
lordine simbolico a strutturare il mondo. Nel percorso della pulsione
scopica, per Lacan, nessuna parte pu essere separata dal suo
andataeritorno, dalla sua fondamentale reversione, dal suo carat-
tere circolare (Lacan IX p. 172) . Lapparizione, come la nonappari-
zione, distingue il ritorno in circuito della pulsione, per cui il nuovo
soggetto si intende come avvenire del suo apparire, novit di un
apparire connessa con il suo non essere apparente, e quindi vera e
propria Schaulust , gioia del vedere.
In tal modo lavvento del cinema, il venire incontro agli spettatori
del treno dei Lumire, le apparizioni del cinematographe tanto nel
buio del Salone Indiano quanto nella luce meridiana delle citt dove
arrivano gli operatori, incarnando lillusione e la maschera come un
avvenire, lavvenire di una illusione, inscrivono la condizione
nullificante di esistenza di Schopenauer e il grido silenico di Nietz-
sche in quella malattia del corpo nervoso, nella gioia stessa del gioco
delle maschere, nella beanza o nella gaia scienza di una eliminazione
del nesso veritapparenza, in un colpo solo, o meglio in una sola
fenditura a colpo docchio.
Nel meriggio nietszchiano delle apparizioni, quando le ombre si
fanno corte e appare il fantasma di mezzogiorno, allora si viene abi-
tati dal loquente, si parlati allo stesso modo come si visti vedersi.
Nellordine del narcisismo si coglie ci che si elide, cio la fun-
zione dello sguardo.
Tra la contemplazione, la pienezza del soggetto, laddove il sod-
disfacimento se ne diffonde specularmene come misconoscimento
fondamentale, e lessere noi guardati nello spettacolo del mondo,
intercorre, come di sfuggita, con la coda dellocchio, ci che come
sguardo ci circoscrive senza che ci venga mostrato.
Quando Lacan, rispondendo a J.A. Miller, (p. 179 ) dice che il
soggetto un apparecchio: questo apparecchio qualcosa di lacuna-
re ed nella lacuna che il soggetto instaura la funzione di un certo
Nello specchio 393
oggetto, in quanto oggetto perduto, quando situa il soggetto come es-
so stesso determinato dal fantasma, che sostiene il desiderio in una
sorta di defigurazione, di deriva in cui il soggetto pi o meno rico-
noscibile, da qualche parte scisso, diviso, abitualmente doppio,
tornano in mente le macchine fabbricafantasmi di cui alla fine del
XVIII secolo parlava Etienne Gaspard Robinson, lo studioso di ottica
e fisica che ide lo spettacolo della fantasmagoria.
Questo apparecchio spettacolarizzava il carattere perturbante
della pulsione scopica, si connotava come macchina nevrastenica
(ci che nel 1919 T.S. Eliot in The love song of J. Alfred Prurock
descrisse come una macchina capace di proiettare i nervi in quanto
forme su uno schermo), tende alla reviviscenza fluidica dei corpi, alla
rianimazione nervosa del corpo scomparso sul piano di uno spettacolo
dei simulacri, simulacri gi in movimento e posti a distanza rav-
vicinata o allontanati e rimpiccioliti ( mediante un dispositivo ottico
montato su rotaie o un sistema di proiezione), per cui, a partire dalla
scissione ottica del soggetto, da una dislocazione del corpo nervoso
entro la circolazione del fantasma e in una posizione di soggetto desi-
derante, avvenne poi che il cinema fosse interpretato dai commen-
tatori di inizio Novecento proprio come il sintomo pi manifesto di
uno scambio nervoso e mesmerico tra i corpi degli spettatori e gli
stimoli delle moderne macchine dei sensi. Nello scritto del 1922
Grossissement, Jean Epstein, da teorico e da cineasta, definisce il
regista come un ipnotizzatore, e il film come nientaltro che un rel
tra la fonte di energia nervosa e luditorio che respira le sue ra-
diazioni luminose. Ecco perch i gesti che funzionano meglio sullo
schermo sono i gesti nervosi (Alessandra Violi Il teatro dei nervi p.
44).
Walter Benjamin percorse le tracce di questi artifici dello schok,
di questa pulsione fantasmagorica e dispositivo scopico, e ne design
linteriorit, la valenza di interno organico a una macchina collet-
tiva, a un corpo collettivo. Si enucle dunque, nel periodo di passag-
gio dal precinema al cinema (quello anche in cui la psicanalisi comin-
cia a dipanarsi dai suoi presupposti romantici, dove veniva posta la
disillusione e la dissociazione dellio e delle sue supposte facolt rap-
presentative), una condizione spettatoriale quale condizione simil
ipnotica, in cui la credenza o il supposto sapere procede a un ordine
della rappresentazione in cui listanza spettatoriale ricerca nelleffetto
elettrizzante della macchina esterna un accrescimento delle proprie
Bruno Roberti 394
sensazioni e unesperienza estatica, convulsiva, dei propri desideri
(A.Violi op. cit. p. 49).
Ci produce un meccanismo pulsionale che si fa allucinatorio, e fu
gi Robertson a notare come gli effetti ottici inducevano allucinazioni
tattili: ognuno credeva di poter toccare con mano quegli oggetti che
si avvicinavano, una sinestesia in cui suggestione e consapevolezza
insieme, sospendono lincredulit e coniugano sorpresa con inquie-
tudine, nellimpressione di tattilit dei fantasmi. Uno spettatore della
fantasmagoria roberstoniana confessa che a nulla gli valse la ras-
sicurazione che si trattava di giochi e fantasmi catottrici: ci che si
mostra produce una rete allucinatoria a prescindere dalla coscienza di
tale allucinazione, anzi pone tale coscienza come sintomo.
Il teatro nervoso dellapparizionesparizione ottica, lincon-
sistente luogo schermico dove insistono i significanti, gli effetti, fab-
brica i fantasmi in modo da cacciare lio da casa propria e conferire
carne alle apparizioni traslucide, produzioni di desiderio soggettivo.
Lo spettatore entra nellaltra scena del teatro di fantasmi ma al con-
tempo le immagini debordano dal perimetro dello schermo che fat-
to apposta per lasciarle sfuggire mentre le circoscrive, per generarle
mentre le separa, cancellarle dove le scrive, e quelle immagini lo ri
guardano ponendo il suo corpo stesso come scena spossessata, come
corpo morcel, scenacorpo in frammenti.
Il teatro dei fantasmi si pone in questo senso sul confine tra due
macchine malate di immaginazione: quella dello spettatore, che vede
materializzarsi sullesterno gli spettri che si agitano nel proprio
cervello sovraimpresso dalle sensazioni nervose; e quella della
tecnologia negromantica, che riproduce nel suo spettacolo esterno i
sintomi di una patologia corporea interna, divenendo macchina
isterica (A.Violi op. cit. p. 49).
La fantasmagoria istituisce dunque una circolarit oltre che una
specularit e il meccanismo diventa insieme fagocitante e alienante.
Nella circolarit della pulsione, leterogeneit dellandata e del
ritorno mostra nel suo intervallo una faglia, dice Lacan (p. 189). In
tal modo le immagini fluttuanti, come frammenti di corpi, come
membra fantasmatiche, arti illusori, tutte le apparizioni che caratteriz-
zavano le pantomime fantasmagoriche e i suoi illusionismi, ribadi-
scono quelleteronomia dellio per cui lassunzione inconscia delle
immagini esprime un potere di trasformazione sullessere del sog-
getto (Antonio Di Ciaccia, Massimo Recalcati, Jacques Lacan, p. 13).
La funzione morfogena delle imago si configura come una defor-
Nello specchio 395
mazione che cattura, risucchia il soggetto aspirandolo mentre avviene
lidentificazione come aggregazione progressiva che compone log-
getto, lio che si riconosce da un lato e si suppone sostanziato di im-
magine mentre dallaltro si disfa e si frammenta nelleffetto di rim-
balzo dello specchiamento.
Il risucchio delle immagini mentre trascina le identificazioni ri-
frange le apparizioni e produce uno spossessamento essenziale dellio
che rende, per struttura, lio doppio, ovvero funzione di miscono-
scimento, maschera, finzione, miraggio (A. Di Ciaccia, M. Recalcati
op. cit., p. 14).
La fascinazione del cinema alle sue origini produce pertanto un
analogo effetto di risucchio: il nuovo pubblico viene descritto dallo
scrittore Alfred Doblin nel 1909 come una massa mesmerizzata e
incollata alle sedie da questo occhio bianco col suo sguardo fisso
() gli uomini guardano fisso fino a che gli occhi quasi non escono
dalle orbite. Lo sguardo viene amplificato e spinto fuori di s, verso
una esternit , in modo che il soggetto abbia il suo centro di gravit
allesterno, in una specie di punto di fuga, in un buco, una lacuna, in
modo che si sporga su una mancanza. Il vortice immaginario (cos
come da Husserl a Heidegger, da Sartre a Merleau Ponty lo si rin-
traccia entro una fenomenologia dello sguardo e una meditazione sul
rapporto tra visibile e invisibile, sul processo di veditura secondo la
definizione lacaniana) fa s che la soggettivit sia sentita come vuoto,
come svuotata di ogni sostanzialit, una sorta di vuoto dinamico,
spalancato verso lAltro (A. Di Ciaccia, M. Recalcati op. cit., p. 18).
Limmagine cinematografica sembrerebbe allora porre in dispo-
sitivo una coscienza costantemente rovesciata oltre se stessa, in mo-
do da far emergere, intessuto dalla rete di sguardo prolungato agli
estremi, nel movimento stesso del suo occultamento, del suo pro-
cedere attraverso una macchia, lessere del soggetto. La macchia
come funzione da isolare ci segnala la preesistenza al visto di un da-
todavedere (J. Lacan op. cit. p. 73) Lacan dice che se la funzione
della macchia riconosciuta nella sua autonomia e identificata con
quella dello sguardo, noi possiamo cercarne il percorso, il filo, la
traccia a tutti livelli della costituzione del mondo nel campo scopico.
Ci accorgeremo allora che la funzione della macchia e dello sguardo
al contempo ci che pi segretamente lo comanda e ci che sfugge
sempre alla presa di quella forma di visione che si soddisfa da s
immaginandosi come coscienza (J. Lacan op. cit. p. 74). Laltrui d
corpo allo sguardo, sorprende e ordina in una reticolatura irradiata
Bruno Roberti 396
dagli organismi. Lo sguardo visto non come sguardo visto, ma co-
me mascheratura, si vede come immaginato nel campo dellAltro.
Lacan riprende il pensiero sartriano nel percorrere la tensione del-
lo sguardo come circuito desiderante, elusione ed elisione. In quanto
sono sotto lo sguardo, scrive Sartre, non vedo pi locchio che mi
guarda, se vedo locchio, allora lo sguardo che scompare (...) egli
si rif a un rumore di foglie improvvisamente udito mentre sono a
caccia, a un passo sorto nel corridoio, e in che momento? nel mo-
mento in cui egli stesso si presentato nellazione di guardare at-
traverso il buco di una serratura. Uno sguardo lo sorprende nella
funzione di voyeur, lo sconcerta, lo sconvolge e lo riduce al sen-
timento della vergogna. Lo sguardo di cui si tratta proprio la
presenza di altrui come tale. Non forse proprio perch il desiderio
si instaura qui nellambito della veditura, che possiamo eluderlo?(J.
Lacan op. cit. p. 83).
Mi vedevo vedermi dice la giovane Parca di Valery, e Lacan ri-
prende questa torsione notando che la coscienza pu ripiegarsi su se
stessa, cogliersi, come la giovane Parca, come quella che si vede
vedersi e rappresenta un escamotage. Vi si opera un esitamento
della funzione dello sguardo. (J. Lacan op. cit. p. 74). Si tratta del sor-
gere della visione stessa non dal corpo ma dalla carne del mondo,
cos si articola per MerleauPonty , si tratta di ricostruire la via del
punto originale della visione. Che cosa sono tante figure, tanti
disegni, tanti colori, se non quel daredavedere gratuito in cui
troviamo il marchio della primitivit dellessenza dello sguardo? (J.
Lacan op. cit. p. 79).
La palpebra rovesciata dello schermo secondo una dizione bu-
nuelliana sembra indicare questa preesistenza scopica: lo sguardo
rovesciato, la struttura rovesciata del vedersi vedersi. La radice del-
la pulsione scopica si rintraccia nel fatto che il soggetto d se stesso a
vedersi a se stesso, nel fatto che nel farsi vedere risiede lattivit del-
la pulsione.
Ed proprio a una funzione di misconoscimento dellego risuc-
chiato in un territorio basato sulla modifica delle coordinate spaziali,
sul disorientamento che provocano i giochi dombra e di luce (cfr.
Max Milner La fantasmagoria, saggio sullottica fantastica, Bologna,
Il Mulino, 1988, p. 35) che immette linvenzione ottica della fanta-
smagoria. Dispositivo che nasce nel momento in cui la credenza sta
per scomparire o appena scomparsa e limmaginario investito
con maggior forza, in quanto beneficia a un tempo delleffetto di libe-
Nello specchio 397
razione prodotto dalladozione di una concezione razionale del mon-
do e del vuoto affettivo che provoca la rinunzia a ogni mezzo di co-
municare con laldil (M. Milner op. cit. p. 32).
La macchina protocinematografica in questo senso opera con un
doppio movimento di misconoscimentoriconoscimento: fanta-
smaagoreuo, come dire parlare il fantasma, un dispositivo sco-
pico che da accesso all inconscio come discorso dellaltro dove lio
come oggetto costituito dallordine significante, decentrato e dislo-
cato rispetto allo spettacolo del mondo che gli sfugge e lo attraversa
per intero; allorquando si assume limmagine e si investiti dalle
imago, allora che si produce la trasformazione del soggetto.
Si comprende in tal modo come lidentificazione corrispondente
allo stadio dello specchio si situi proprio laddove il soggetto si vede
come un altro, una alterit che lo identifica, una esteriorit che lo
riflette al suo interno, laddove il corpo proprio si anticipa nella sua
totalit solo implicando una cesura, una immagine da sempre sot-
tratta, solo se nel vuoto in fondo allo specchio si mascheri su una li-
nea di finzione, la tragicit originaria del corpo in frammenti.
I pezzi di fantasma che fluttuano nel buio della fantasmagoria,
come quelli che in seguito nel corpo filmico si articoleranno in
montaggio sono il segno dellimpossibilit di suturare la differenza
tra la frammentazione reale del soggetto e lunit ideale dellim-
magine, ovvero lo sdoppiamento costitutivo del soggetto di cui la
macchina scopica del cinema d conto come coniugazione di un
onnivedente che non cessa di barrarsi, di accedere al contemplativo
solo tramite laccecamento del frammento, lo sbranarsi del corpo di
colui che vede lo spettacolo di Diana al bagno, nella pausa della
caccia. La parata delle immagini nella loro linea di fuga e di
riflessione sullo schermo dacqua. Come scrive Lacan, lo spettacolo
del mondo in questo senso, ci appare come onnivoyer. proprio il
fantasma che troviamo nella prospettiva platonica, quello di un
essere assoluto al quale viene trasferita la qualit dellonnivedente.
Al livello stesso dellesperienza fenomenica della contemplazione,
questo lato onnivoyer si segnala nella soddisfazione di una donna
che si sa guardata, a condizione che non glielo si mostri. Il mondo
onnivoyer ma non esibizionista. () Al limite, il processo di questa
meditazione, di questa riflessione riflettente, arriva sino a ridurre il
soggetto, colto dalla meditazione cartesiana, a un potere di nullifi-
cazione. Dalle reti o, se volete, dai raggi di un riverbero di cui ini-
zialmente io sono una parte, sorgo come occhio, assumendo, in un
Bruno Roberti 398
certo modo, emergenza da quella che potrei chiamare la funzione
della veditura. Ne emana un odore selvatico, che allorizzonte
lascia intravedere la caccia di Artemideil cui tocco sembra as-
sociarsi a quel momento di scomparsa tragica ove abbiamo perduto
colui che parla (J. Lacan op. cit. pp. 8081).
Alle origini del cinema come pantomima illusionista, spettacolo
popolare di magia, limmaginario anatomico, la visualizzazione di
una disaggregazione fisica, una meccanica dello smembramento e una
fantasmagoria topica della frammentazione e della decapitazione,
proliferano.
Una vera e propria estetica fisiologica trover espressione nello
spettacolo cinematografico di genere illusionistico praticato da Geor-
ges Mlis, formatosi proprio alla scuola della magia inglese,
lEgyptian Hall di Piccadilly dove il negromante Maskelyne univa
alle proiezioni magiche esibizioni di corpi metamorfici o disgregati,
di automi (A. Violi op. cit. p. 51).
Il cinema primitivo mlisiano si configura quindi in questi casi
come vera e propria scena isterica dove teste recise, membra recal-
citranti, teste di gomma gonfiate, duplicazioni e dislocazioni di corpi
tagliati e di pezzi di membra umane che fluttuano nellaria o si ricom-
pongono illusoriamente in posti sbagliati, configurano uno scatena-
mento e uno sconcatenamento fantastico che si disarticola di fronte a
un vuoto e a un interdetto, un impossibiledavedere, una origine che
non si d, e nei confronti del quale lottica fantastica si pone come
tentativo protratto di colmarne il territorio, incollocabile e indiscer-
nibile com, insituato, n dal lato dellimmaginario n da quello del
simbolico.
La mutacit fantasmatica che prende qui la parola sembra ci che
spinge Lacan a riferire quel qualcosa che capace di porre una
questione in modo fatto per gettare nellabisso e nel nulla tutto ci
che gli succede davanti, al volto segnato da un sorriso sospeso tra le
estremit della stupidit e della perversit pi complete, di Harpo
Marx: questo muto che spinge allannientamento radicale. Loriz-
zonte muto di questo cinema primitivo opera, al di qua di ogni
montaggio immaginario, le potenze del falso, intenzionando lindeci-
dibilit della credenza rispetto al supposto sapere.
Il suo interesse come dispositivo scopico, il funzionamento del suo
circuito ottico, di colmare questo vuoto tramite una percezione che
funziona alla maniera del feticcio freudiano () questa facolt di cui
dotata limmagine ottica con tutti i suoi derivati, fotografia, cinema,
Nello specchio 399
televisione, ologramma, di giocare a un tempo sulla credenza e la
noncredenza, di installare a livello percettivo unincertezza che
fatta a un tempo di adesione e di rifiuto, spiega il ruolo privilegiato
che essi sono chiamati a svolgere nella creazione di un fantastico
moderno, quando la letteratura li avr non solo integrati alla propria
tematica, ma utilizzati come modelli di quella strategia del nascon-
dere/ far vedere che conferisce al racconto fantastico tutta la sua
forza di penetrazione nellinconscio del lettore (M. Milner op. cit. pp.
3233).
Edmond De Gouncourt in un passo di Les Frres Zemganno
(1879) connette la mimesi dislocata dei soggetti isterici sonnambuli,
al teatro dei nervi pantomimico, alla fantasmagoria da lanterna
magica, alle convulsioni dei teatri medici, parlando di un inquietante
dimenarsi di parti del corpo su uno scenario che un muro in cima al
quale appaiono, nei loro abiti neri, questi fantasmi della notte (); e
l, con la proiezione delle loro ombre smembrate su un muro bianco,
simile a un sudario pronto a fare da schermo per la lanterna magica,
ha inizio il loro tour de force maniaco () mimica convulsa di una
massa di folli (M. Milner op. cit. pp. 113115).


2. Pulsione, sogno, cinema

Se per Lacan da un lato c nel desiderio una irriducibilit, una
eccentricit che ne fa una espressione metonimica di manque detre,
una eccedenza rispetto al riconoscimento e alla sua soddisfazione
simbolica, dallaltro proprio del carattere simbolico questa strut-
turazione metonimica. Landare al di l delloggetto, cio il rinviarsi
da un significante allaltro, il segno di una mancanza nellessere del
soggetto, che produce il desiderio sempre di altro, sempre spostato.
La diversificazione delloggetto, il suo scivolare nella catena me-
tonimica, il sottoporsi delle immagini a una metamorfosi e a una fu-
ga dal riconoscimento fa si che il desiderio risulti assoggettante tra-
scendendo il soggetto in quanto diviso: dove la divisione soggettiva
lindice del carattere non dialettico ma assolutoassoggettante di
questa metonimizzazione, ovvero della dipendenza del soggetto dalla
catena significante (A. Di Ciaccia, M. Recalcati op. cit., p. 180).
Quando Lacan dice che lelaborazione del sogno nutrita dal
desiderio e la nostra voce vien meno nel terminare quella dizione:
desiderio ... di riconoscimento, pone la soddisfazione del desiderio in
Bruno Roberti 400
una sorta di cortocircuito soggettivo, di misconoscimento, disinvesti-
mento della realt nel sogno in cui il godimento si rende irriducibile
al desiderio, si rende a una indistruttibilit, a una plusvalenza, a una
potenza residuale: laddove vi sottrazione del godimento prodotta da
una incorporazione del significante, che fa corpo del soggetto nello
specchio come abitato dallaltro, l vi il plusgodere delloggetto a.
L il godimento fa resistenza al senso: ci che fa resto, ci che resiste
alla decifrazione metaforicometonimica dellinconscio, il godi-
mento. Questa sporgenza, nonrientranza, cade allesterno della cir-
colarit ermeneutica eppure ci che si evidenzia nella caduta del-
loggetto (a) allesterno della decifrazione ermeneutica che essa
resa possibile comunque dallazione del simbolico. in effetti il trat-
tamento significante che isola ci che non riducibile al significante
stesso. (...) perch la Cosa patisce del significante che c in effetti
del reale (Massimo Recalcati Luniversale e il singolare, pp. 2324).
Questo buco di reale, questo punto cieco che (si) sottrae allim-
magine, questa sottrazione che ritorna sempre allo stesso posto, un
residuale che (si) feconda neldel vuoto, questa Cosa perduta e ritro-
vata sempre in unaltra cosa, che fa segno a una perdita originaria,
a una fuoriuscita dal significato e da ogni immagine che si scon
catena, questa realt muta che non linguaggio quanto piuttosto il
buco interno al linguaggio (A. Di Ciaccia, M. Recalcati op. cit., p.
191) si identifica con il movimento stesso del modellamento del
significante e facendo buco, iato di reale, vuoto al centro del reale,
emergendo come effetto dellAltro, revulsiona interno ed esterno,
prossimit e lontananza: il movimento immobile dellestimit, este-
riorit intima, intimit pi prossima e esteriorit pi radicale, qual-
cosa di entfremdet, di estraneo a me pur stando al centro di me (Il
seminario. Libro VII, p. 89), dice Lacan. Se vi pu essere resto solo
perch c vuoto, perch il movimento di iscrizione del significante
produce una cancellazione, allora il montaggio pulsionale, il suo stes-
so moto si pone in connessione con limmobilit che non fa senso,
che un osso, un nocciolo di reale che si sottrae e si cancella nello
scorrimento metamorfico delle immagini, e ogni volta che ritorna si
sottrae, ogni volta che si ripete in una immagine diversa produce una
plusvalenza di godimento, nello stesso momento che si introduce un
meno, una perdita e una sottrazione nelle maglie del significante, un
buco, una macchia sullo schermo, un punto cieco nello specchio, una
cancellazione cortocircuitante nellestraneit intima della scena oni-
rica. Ci che Milner attribuisce a una prerogativa di libera trasmigra-
Nello specchio 401
zione della mente nello specchiamento, laddove laccrescimento di
realt che a forza di essere riprodotta, rappresentata, simulata as-
sumerebbe un sovrappi di presenza proprio da una migrazione di
immagine in immagine annullando la precedente con la seguente e
depositando tuttavia in ciascuna di esse la propria parte di verit (M.
Milner op. cit. p. 50), in una riflessione infinita, in una riproduzione
infinita di immagini che si riflettono da specchio a specchio, questo
dato ripetitivo ma presentificante delle immagini speculate dalla
mente, gioco infinito di specchi, implicante che il reale, appunto, tor-
na sempre allo stesso posto, proprio dove il soggetto cogitante non lo
incontra, e si ripete in un incontro mancato, un manque del soggetto.
Torna in un impensato dove il rapporto realepensiero dice la ripeti-
zione non in quanto riproduzione, se non come presentificazione in
atto di una mancanza, di un incontro mancato che non si dice se non
in effigie, in absentia, laddove il traumatico nel rapporto tra lauto-
matico della rete significante e lincontro mancato della tuke. Al di l,
dietro lautomaton, giace, soffre (en souffrance) il reale a furia di
insistenza dei segni. Sembra che, come dice Lacan, dietro il fantasma,
dietro il velo, si agiti, in relazione con la sua assenza e con la sua
effigie, la relazione con il reale che reclama un luogo, una forma
inassimilabile, la scena del sogno in quanto domanda di prolunga-
mento a ripetizione, nel sonno, di ci che mi risveglia, di quel reale
che: al di l del sogno che dobbiamo cercarloin ci che il sogno
ha ricoperto, avviluppato, ci ha nascosto, dietro la mancanza della
rappresentazione di cui c l solo un facentefunzione (Il Seminario
Libro XI p. 59). Questo luogo, questo schermo nel sogno un ro-
vescio della rappresentazione per cui Lacan domanda: come pu il
sogno, portatore del desiderio del soggetto, produrre ci che fa sor-
gere a ripetizione il traumase non proprio la sua figura, almeno lo
schermo che ce lo indica dietro? (Il Seminario Libro XI p. 54).
Il limitare tra la percezione e la coscienza che fonda il sogno sulla
soglia tra sonno e risveglio (quando, dice Lacan, intorno ai colpi
che svegliano che si ricostruisce tutta la rappresentazione in cui
cogliere la forma dellinconscio come processo primario ) persiste
nella sua esperienza di rottura, tra percezione e coscienza, in quel
luogo (...) intemporale (...) unaltra localit, un altro spazio, unaltra
scena... (Il seminario. Libro XI, p. 55).
Ora, se la scena del sogno come altra scena interviene nel cinema
europeo degli anni Venti (dal formalismo russo allespressionismo te-
desco fino allimpressionismo e al surrealismo francese) per unire
Bruno Roberti 402
limmagine, il pensiero e la cinepresa in una stessa soggettivit
automatica, scrive Gilles Deleuze (Limmaginetempo, p. 68) rom-
pendo i limiti dellimmagineazione. Ma questa rottura non prescinde
dalla percettivit, dallimmaginepercezione, e inerisce a un movi-
mento, a uno scivolamento che investe tutto il film, come divenire
che pu rincorrersi allinfinito e che segna lincontro mancato, la
faglia, il buco nel linguaggio, la giacenza del reale. Nel rintracciare
questo moto dellimmaginesogno Deleuze nota come le due forme
di riconoscimento delloggetto: luna prolungamento sensomotorio
della percezione e laltra attenzione descrittiva che fa ritorno conti-
nuamente alloggetto rendendolo alla sua immagine otticosonora (e
che la manca incessantemente cancellandola mentre ladescrive e
sostituendola in una descrizione inorganica o fisicogeometrica, una
descrizione pura che si sostituisce a un oggetto e unaltra che si sosti-
tuisce a questa in una descrittura che si disfa nel momento in cui si
traccia), siano dallimmaginesogno entrambe misconosciute, disin-
vestendo e tagliando tanto il sensomotorio che lotticosonoro e rap-
presentando un circuito pi vasto: linvolucro estremo di tutti i cir-
cuiti. Scrive Deleuze che non si tratta pi del legame sensomotorio
dellimmagineazione nel riconoscimento abituale, ma non sono nep-
pure i vari circuiti percezionericordo che li suppliranno nel rico-
noscimento attivo, sar piuttosto la relazione debole e dissociata tra
una sensazione ottica (o sonora) e una visione panoramica, tra una
qualsiasi immagine sensoriale e unimmaginesogno totale. (G. De-
leuze op. cit. p. 70). Cos il dispositivo onirico che inerisce al circuito
ottico fa s che gli stati di soglia tra sonno e veglia, e insieme la faglia
stessa tra percettivit e coscienza, siano assimilati al circuito di sguar-
di innestato dallesperienza filmica. Esperienza assimilabile, anche se
con un potere differenziale rispetto al tra la coscienza e la perce-
zione, agli stati sonnambulici o ipnotici.
Se la funzione del sogno domanda Lacan di prolungare il
sonno, se, dopo tutto il sogno pu avvicinarsi tanto alla realt che lo
provoca, non si pu forse dire che a questa realt si potrebbe rispon-
dere senza uscire dal sonno? Dopo tutto, ci sono attivit sonnam-
buliche (...) che cos che sveglia? Non forse nel sogno, unaltra
realt? (Il Seminario Libro XI, p. 56 ). Laltro reale cui d luogo,
luogo dellincontro mancato rispetto al reale, lo spazio del film, pu
rimandare al sogno che continua, laddove Lacan domanda: non
forse essenzialmente, per cos dire, lomaggio alla realt mancata
realt che non pu pi darsi, se non ripetendosi indefinitamente, in
Nello specchio 403
un risveglio indefinitamente mai raggiunto? (...) il desiderio si pre-
sentifica come la perdita fatta immagine nel punto pi crudele del-
loggetto. Solo nel sogno pu prodursi tale incontro veramente unico.
Solo un rito, un atto sempre ripetuto, pu commemorare questo
incontro immemorabile. (Il Seminario Libro XI, p. 5758). Forse
nella scena buia, di fronte al biancore latteo dello schermo e al vuoto
che affonda al centro della sua funzione specchiante, nella sala
cinematografica, latto innestato ritualmente in absentia e in effigie
ripete indefinitamente la memorabilit dellincontro mancato. De-
leuze attribuisce il carattere di anamorfosi allimmagine sogno: da
una parte le percezioni del dormiente permangono, ma allo stato
diffuso di pulviscolo di sensazioni attuali, esteriori e interiori, che
non sono colte per se stesse, in quanto sfuggono alla coscienza.
Dallaltra, limmagine virtuale che si attualizza, non si attualizza
direttamente, ma in unaltra immagine, che gioca anchessa il ruolo
di immagine virtuale attualizzandosi in una terza, allinfinito: il
sogno non una metafora, ma una serie di anamorfosi che tracciano
un circuito molto pi ampio. (G. Deleuze op. cit. p. 70). Questo
scivolamento e implicazione delle immagini trascorrenti di continuo
tra attualit e virtualit pu attribuirsi al cinema in quanto tale, in
quanto ontologicamente inerente non tanto al sogno di per s, ma a
ci che Deleuze chiama, sulla scorta di una definizione di Michel
Devillers, sogno implicato, che nello stesso procedimento filmico
supera la scissione tra sognatore e sognato (e tra guardante e guar-
dato) implicando appunto stati di fantasticheria, di sogno ad occhi
aperti, di straniamento e fantasmagoria. Il taglio del prolungamento
motorio, limmobilismo del punto cieco si reintroduce su un movi-
mento esteso, prolungato, estremizzato nel suo rovescio: limmagine
otticosonora si prolunga in un movimento di mondo. Come in un
risucchio, in una sensazione psicotica di essere aspirati dal mondo, le
immagini revulsionano il soggetto, il movimento di mondo sostituisce
il movimento che viene meno del personaggio, si produce una specie
di mondializzazione o mondanizzazione, di depersonalizzazione, di
pronominalizzazione del movimento perduto o impedito. La strada
non scivolosa senza scivolare su se stessa. Il bambino terrorizzato
non pu fuggire davanti al pericolo, ma il mondo si mette a fuggire
per lui e lo porta con s (...) la cinepresa fa muovere la strada sulla
quale camminano immobili a grandi passi(...) un movimento vir-
tuale, ma che si attualizza a prezzo di una espansione dellintero
spazio e di uno stiramento del tempo. dunque il limite del circuito
Bruno Roberti 404
pi grande. (G. Deleuze op. cit. pp. 7273). In tal modo il risucchio
dellimmagine si comporta nel sogno implicato cos come avviene
nello stadio dello specchio tramite limplicazione di una disgiunzione,
di uno sdoppiamento, dellinstaurazione di una immagine che mentre
istituisce il soggetto come io, gi in s separa il soggetto da s, lo
aliena infinitamente in quanto immagine da sempre sottratta.
La sottrazione irreversibile dellimmagine allo specchio barra il
rispecchiamento tra significante e significato, il quale non pu mai
essere colto come un oggetto ma slitta, fluttua costantemente al di
sotto della barra del significante, come un effetto della concatena-
zione dei significanti tra loro (A. Di Ciaccia, M. Recalcati op. cit. p.
51). Nellidea di cinema dellimpressionismo degli anni Venti log-
getto visibile sembra investito da questa sottrazione dellimmagine,
come se i soggetti fossero aspirati dalle immagini e in questo disin-
vestimento animassero gli oggetti. quanto scrive Jean Epstein in Le
cinmatographe vu par lEtna: Uno dei pi grandi poteri del cinema
il suo animismo. Sullo schermo non c still life. Gli oggetti as-
sumono degli atteggiamenti. Gli alberi gesticolano. I monti, come
lEtna, significano. Ogni oggetto diventa personaggio. Le scenografie
si frammentano, e ciascuno dei frammenti prende un significato par-
ticolare. Uno stupefacente panteismo tornato nel mondo, e lo colma
fino a farlo esplodere.
Il cinema di animazione (il Disney di cui scriveva Ejsenstein, ad
esempio) trova in questo fluttuare del significato attraverso la pro-
liferazione di oggettualit significante, una sorta di prefigurazione:
nellinsieme del cinema fantasmagorico questi movimenti mondia-
lizzati, depersonalizzati, pronominalizzati, con i loro ralenti la loro
precipitazione, con le loro inversioni, passano tanto attraverso la Na-
tura quanto attraverso lartificio e loggetto inventato (G. Deleuze
op. cit. p. 74). Gli effetti otticosonori, i trucchi, le deformazioni, ef-
fetti speciali come effetti dellAltro, stanno nel cinema come dei sin-
thomi a coprire i buchi del simbolico, il nontutto pulsionale, marchio
o lettera del godimento proibito, residualit. Limplicazione del sogno
nel corpo intero del film funziona come disfacimento del quadro e
dello schermo, il film si configura come esperienza al limite della
psicosi. Deleuze nota come una delle prime grandi opere in questo
senso fu La chute de la maison Usher (1928) di Epstein: le per-
cezioni ottiche di cose, paesaggi o arredi, si prolungano in gesti
infinitamente distesi che depersonalizzano il movimento. Il ralenti
svincola il movimento dal proprio mobile per farne uno scivolamento
Nello specchio 405
di mondo, uno scivolamento di terreno, fino alla caduta finale della
casa (G. Deleuze op. cit. p. 73). Non solo il trascinamento, lo stira-
mento e leffetto di slittamento significante come nellimpressioni-
smo a dar conto dei buchi del simbolico ma anche il montaggiota-
glio, che procede a un continuo sganciamento che fa sogno, ma tra
oggetti che rimangono concreti (G. Deleuze op. cit. p. 71) come nel
surrealismo, in Bunuel (che fece il suo apprndistato proprio nel film
di Epstein)o nel metodo paranoicocritico di Dal (che a suo tempo
intrig Lacan), insomma nellatto automatico provocato e diretto che
conferisce indice di realt allallucinazione e produce un tipo di deli-
rio paranoico immediatamente strutturato.
In Un chien andalou (1929), limmagine della nuvola affilata
che taglia la luna si attualizza, ma passando in quella del rasoio che
taglia locchio, mantenendo cos il ruolo di immagine virtuale in
rapporto alla successiva. (G. Deleuze op. cit. p. 70). Il sogno impli-
cato realizza il rovescio delle immagini, rende conto del punto cieco:
in Bunuel la palpebra rovesciata e il bianco del bulbo dellocchio,
cos come il biancore lunare tagliato dal buio, indicano la fuoriuscita
di un resto che il circuito simbolico non riassorbe completamente,
cosicch lo schermo stesso si fa vuoto e bianco, si fa primit, marchia
il godimento proibito collegato con loggetto perduto freudiano (...)
la matrice di quelloggetto di godimento proibito che prende la forma
di das Ding freudiano e che Lacan svilupper come forme
delloggetto a (A. Di Ciaccia, M. Recalcati op. cit. p. 157).
allora intorno al vuoto di Das Ding che si organizza il visibile:
nel nostro rapporto con le cose cos come si costituito attraverso la
via della visione, e ordinato nelle figure della rappresentazione,
qualcosa scivola, passa, si trasmette, di piano in piano, per esservi
sempre eluso in qualche gradoecco ci che si chiama lo sguardo (Il
Seminario. Libro XI, p. 72).
Nella pulsionalit che percorre il cinema di Bunuel avviene un
movimento paragonabile a quello suggerito in una enigmatica nota
lacaniana in questi termini: solo tramite lestrazione delloggetto
a che il campo della realt non solo si sostiene ma riceve il suo
quadro(...) necessario lestrazione delloggetto pulsionale perch si
apra la finestra del fantasma (A. Di Ciaccia, M. Recalcati op. cit. p.
157). Deleuze, a proposito di Bunuel, scrive che loggetto della pul-
sione, cio il pezzo, appartiene contemporaneamente al mondo ori-
ginario ed strappato alloggetto reale dellambiente derivato. Log-
getto della pulsione sempre loggetto parziale o il feticcio, quar-
Bruno Roberti 406
to di carne, pezzo crudo, rifiuto, mutande femminili, scarpa. Sicch
limmagine pulsione indubbiamente il solo caso in cui il primo
piano diventa effettivamente oggetto parziale. (...)La pulsione un at-
to che lacera, dilania, disarticola. La perversione non dunque la
sua deviazione, ma la sua derivazione, cio la sua espressione nor-
male nellambito derivato (G. Deleuze Limmaginetempo pp. 153
154).
La derivazione, lo scivolamento, la diversione, il differimento so-
no in Bunuel connessi alla ripetizione ritualmente precisa dellin-
contro mancato, allatto che ne mostra il vuoto, leccedenza pulsio-
nale che fuoriesce dal simbolico, la sporgenza che deborda e fa sci-
volare allinfinito il desiderio. Nel sogno il mostrare implica una sorta
di scivolamento del soggetto. Il primo piano del mostrare diventa pro-
priamente sguardo cieco, colui che non vede, e lo sguardo in mac-
china fa si che il volto si mostrifichi. Il sogno fa scivolare il soggetto
dalla parte di ci che si mostra ma non si vede. Lacan scrive: Viene
talnente in primo piano, con le caratteristiche in cui si coordinacio
lassenza di orizzonte, la chiusura di ci che contemplato nello
stato di veglia e, anche, il carattere di emergenza, di contrasto, di
macchia delle sue immagini, lintensificazione dei loro colori che la
nostra posizione nel sogno, in fin dei conti, quella di essere fon-
damentalmente colui che non vede. Il soggetto non vede dove ci
conduce... (J. Lacan Il Seminario. Libro XI, pp. 8182).
La funzione di sogno provocato che il cinema contiene in s, quasi
come una predisposizione ontologica, viene potenziata e insieme ro-
vesciata, dall'immaginepulsione bunuelliana. Ci che Bunuel enu-
clea nello statuto del cinema la sua inerenza allo sguardo rovesciato,
alla struttura rovesciata del vedersi vedersi, per cui non pu esserci
una rappresentazione del sogno, ma solo una sua inerenza alla mac-
china automatica e un costituirsi, nello scivolamento di tale inerenza
(nel rapporto che lo spostamento dello sguardo istituisce con la meta-
morfosi dell'immagine risucchiata nel suo buco di reale, nel punto
cieco dello specchio) del meccanismo desiderante. Questo comporta
una specie di continuo precipitare dello sguardo onirico nel buco del
reale, per cui il sogno non una interruzione ma uno stiramento, non
ha bisogno insomma di messinscena, ma della sua trasparenza.
Questo meccanismo dello sguardo, e questa inafferrabilit di una im-
magine che mentre si sosstanzia eccede come un fluido tuttintorno,
che tipico del cinema bunuelliano sembra puntualmente detto da
Lacan: Non appena il soggetto cerca di accomodarsi su questo sguar-
Nello specchio 407
do, diventa quelloggetto puntiforme, quel punto di essere evane-
scente con cui il soggetto confonde il proprio venir meno. Cos, tra
tutti gli oggetti nei quali il soggetto pu riconoscere la dipendenza in
cui nel registro del desiderio, lo sguardo si specifica come inaf-
ferrabile. Per questo motivo esso , pi di qualsiasi altro oggetto,
misconosciuto, ed forse anche per questa ragione che il soggetto
trova cos felicemente di che simbolizzare il proprio tratto evane-
scente e puntiforme nellillusione della coscienza di vedersi ve-
dersi, dove lo sguardo si elide. Se dunque lo sguardo questo
rovescio della coscienza, come cercheremo di immaginarcelo? (J. La-
can, XI, p. 82).
la messa in scacco del cogito cartesiano, della purezza della fun-
zione del soggetto e dellottica geometrale, tramite un semplice atto
di rovesciamento che ne disvela la cecit, la natura di nonvisibile
nell'atto stesso della massima estensione della visibilit prospettica e
geometrale.
Quello che appartiene al modo dellimmagine nel campo della
visione dunque riducibile a quello schema cos semplice che per-
mette di stabilire lanamorfosi, vale a dire al rapporto di una im-
magine , in quanto legata a una superficie, con un certo punto che
chiameremo punto geometrale. Potr chiamarsi immagine qualsiasi
cosa che sia determinata da questo metodo in cui la linea retta ha
un suo ruolo, per il fatto di essere il tragitto della luce. Qui larte si
mescola con la scienza.(...)Poich lo spazio geometrale della visione
pur includendo in esso quelle parti immaginarie dello spazio virtuale
dello specchio, a cui, come sapete, do molta importanza per-
fettamente ricostruibile, immaginabile, da un cieco. Nella prospettiva
geometrale si tratta solo di reperimento dello spazio, non si tratta di
vista (J. Lacan, XI, p. 85). Questo rendere ragione delluso invertito
della prospettiva nella struttura della metamorfosi sottost alla stessa
macchinalit dell'effettocinema fin dall'immagine prolungamento
nel buio degli occhi chiusi di un effettoreale che persiste laddove
scompare: persistenza retinica, ma anche inversione dellimmagine
reale nel buco sulla parete, provocata dal raggio ottico che perfora la
camera oscura.
Il reale persiste nel punto cieco della macchia come evanescenza e
attivazione del vuoto, residualit dello sguardo nel suo elidersi. Il rea-
le si capovolge e si proietta laddove nel buio la visione si sottrae e si
riduce al puntiforme, al foro, allocello a un occhio invertito la cui
palpebra di luce si rovescia facendo buco nello spazio geometrale. In
Bruno Roberti 408
Bunuel ritorna limmagine del cieco e la postura dello spiare nel buco
della serratura (un occhio che mentre fa coalescenza con lo spioncino
si attaglia al sesso femminile, visione forclusa, spazio suturato, cu-
cito, interdetto, un plesso immaginario cui il film di Jean Eustache
Une sale histoire, 1977, in cui viene prima raccontata come espe-
rienza e poi messa in scena, con una funzione di rovesciamento e di
scarto, la storia di un amico attore, JeanNoel Picq che pratica un
buco nella porta di una toilette per donne).
Laltrui d corpo allo sguardo, mi sorprende e ordina in una reti-
colatura irradiata dagli organismi. Lo sguardo visto, ma non come
sguardo visto, come mascheratura, si vede come immaginato nel
campo dellAltro.
Scrive Lacan: egli si rif a un rumore di foglie improvvisamente
udito mentre sono a caccia, a un passo sorto nel corridoio, e in che
momento? nel momento in cui egli stesso si presentato nellazione
di guardare attraverso il buco di una serratura. Uno sguardo lo sor-
prende nella funzione di voyeur, lo sconcerta, lo sconvolge e lo
riduce al sentimento della vergogna. Lo sguardo di cui si tratta
proprio la presenza di altrui come tale. Non forse proprio perch il
desiderio si instaura qui nellambito della veditura, che possiamo
eluderlo? (J. Lacan, XI, p. 83).
In Bunuel, come nella Chute di Epstein (dove il Ritratto Ovale di
Poe viene incorporato, come atto del ritrarre immettendo immagine
laddove la vita si perde e, a rovescio, facendo rivivere ci che si
sepolto) si tratta sempre di abitare lo schermo come un estraneo in
casa propria, cio di costruire un reticolato, una scatola ottica, un
carillon, un armadio ad ante, un marchingegno polittico, un sistema
anamorfico, un quadroporta, una finestraschermo (tutti luoghi
oggetti che tornano nei film di Bunuel) che, trappola dello sguardo,
possa reintrodurre una problematicit perduta, sottoponendo il
simbolico alla pressione degli elementi mitici propri del montaggio
immafinario: i reperti pulsionali del visibile, ricaricati nell'astratto,
come scrive Alessandro Cappabianca attribuendo all'architettura
come sistema del visibile, luogo della deambulazione dell'occhio, una
funzione scopica e schermica precipua (A. Cappabianca La casa, la
morte, il fantasma in Effetto Lacan, Lerici, 1979). Se per Lacan,
argomenta Cappabianca, il simbolico la porta aperta o chiusa che
permette il passaggio o non lo permette, questa funzione di accesso o
di recesso dato, anche nel cinema, a perdita docchio, per cui la
funzione anamorfica del dispositivo filmico viene continuamente
Nello specchio 409
messa in atto da Bunuel: dal punto di fuga, dal punto dello specchio
dellocchio, viene fuori qualcosa, o qualcuno, ad annunciare che lo
specchio dell'occhio rimanda il simulacro, che lIo un Altro che mi
guarda dal luogo dove pensava d'essere solo (A. Cappabianca op. cit.
p. 98). La casa, linterno, la dimora borghese, il luogo chiuso, la stan-
za, il bordello, la villa di campagna, lo scompartimento di un treno, il
vano di un ascensore, landito di una chiesa, in altri termini il set
come funzione trascendentale e insieme come reticolato degli sguardi,
rituale predisposizione e cerimoniale trappola che, nella sua costru-
zione concreta, nel suo insistere delnel reale, permette il mani-
festarsi e il nascondersi di ombre e fantasmi e angeli sterminatori,
insomma questa funzione di espace interdit, diventa per Bunuel un
insistente richiamo alla palpebra rovasciata dello schermo, in cui il
fantasma il simulacro che mi guarda dal posto dove si pensava
locchio si inabissasse, guidato inesorabilmente dalle linee della
Legge, a toccare il nulla fondante, il centro di ogni irradiazione (...)
lio non tanto sembra bene alloggiato nella casa, quanto legato ad
essa da un rapporto inquietante, che nello stesso tempo di
distruzione e di persistenza: la casa produce fantasma, ossia uccide e
assieme rende impossibile la scomparsa. Il NonMorto la infesta. (A.
Cappabianca op. cit. p. 99). Pur senza fantasmi o vampiri in quanto
rappresentatirappresentanti ma continuamente percorso e infestato
da creature di carne e luce insieme, angelicodemoniche, il cinema di
Bunuel l'epitome di tale funzione di distruzionereviviscenza delle
visioni, inerente alla macchina da presa, al cinema, alla sala, allo
schermo, al circuito filmico degli sguardi, altrettante dimore
inquietantidel sonno, dove i sogni sfuggono.
Linvenzione dureriana dello sportello, scrive Lacan, para-
gonabile a ci che pocanzi mettevo tra me e il quadro, cio una cer-
ta immagine, o pi esattamente un telo, un traliccio che attraverso le
linee rette che non sono necessariamente raggi ma anche fili che
collegheranno ogni punto che mi trovo a vedere nel mondo, con un
punto in cui il telo sar attraversato da questa linea (J. Lacan, XI, p.
85). Lo sportello che costruisce la prospettiva se rovesciato, e dunque
se rovesciata la prospettiva in quanto processo di ordinatura della vi-
sione spaziale, proietta una deformazione su unaltra superficie, del-
limmagine che si ottiene sulla prima superficie. Le superfici in cui
emerge limmagine, una volta rovesciata, sono due, ci che testimo-
nia della duplicit del punto di incidenza e del gioco delle due rifra-
zioni. Il piacere di un tale rovesciamento consiste nell' attardarmi in
Bruno Roberti 410
un gioco delizioso, in quel procedimento che fa apparire a volont
ogni cosa in uno stiramento particolare. Un incanto che Lacan rin-
traccia in un dispositivo che traspone il quadro in una sua deforma-
zione legata a filo doppio con il tragittodetour desiderante dello
sguardo: Il convento dei Minimi, attualmente distrutto, che sorgeva
dalle parti di rue des Tournelles, aveva su una lunghissima parete di
una delle sue gallerie, rappresentante come per caso San Giovanni a
Patmos, un quadro che doveva essere visto attraverso un buco perch
il suo valore deformante raggiungesse il suo apice (J. Lacan, XI, pp.
8586). Il quadro si fa trappola per lo sguardo, in ogni quadro si
vede scomparire lo sguardo quando lo si cerchi in ciascuno dei suoi
punti, e al di l del simulacro anamorfico lo sguardo in quanto tale
in ci che ha di pulsatile, eclatante, ostentato che va cercato. Questa
qualit anamorfica del processo di visione, di spostamentoestensione
dell'occhio nella elisione dello sguardo ci che rende ragione di uno
spostamento della pittura, e del suo ritrarre, in un ambito che per il
cinema sar la durata dell'inquadratura e il suo persistereinsistere
delnel fuori campo, laddove ogni deformazione ottica sar incorpo-
rata, e occultata, dal movimento inerente alla pulsione scopica, ci
che per Deleuze origina dalnel cinema moderno quando tale pul-
sione render indiscernibile l'attuale e il virtuale e, in una visione cri-
stallina, prolungher su ogni faccia il tempo, fuoriuscendo dalla ca-
tena del montaggio, sia esso classico o analogico. solo postulando,
e praticando, una dislocazionefuoriuscita, tanto del soggetto quanto
dellocchio, separato dallo sguardo, solo postulando, e praticando,
una fuga e una attrazione, la fascinazione di un significante e l'ec-
cedenza di un punto ciecopunto di fuga, un voltarsi e insieme uno
scivolare a lato (ci che lo srotolarsi laterale della pellicola alle mie
spalle, mi ricompone, separandomi e frantumando in uno specchio ri-
fratto il mio riconoscermi,eludendo a ogni spostamento di macchina e
a ogni taglio di montaggio il mio punto di vista, oppure prolungan-
dolo al punto tale da arrivare a un estasi, a un enuclearsi da s di
quello stesso punto di vista, che non fa pi presa, se non nel ripresen-
tarsi della ripresa) che il vedersivedersi pu aver luogo, un luogo
che si sottrae ogni volta alle coordinate geometrali pur essendo, a
rovescio, da esse prodotto.
Lacan sembra alludere a questo prolungamento della schisi oc-
chiosguardo nel tempo della visione quando scrive: io ho detto che
lo sguardo non locchio, salvo che in quella forma volante in cui
Nello specchio 411
Holbein ha la faccia tosta di farmi vedere il mio proprio orologio
molle... (J. Lacan, XI, p. 87).
In questo contesto Lacan, nel prendere ad esempio Gli Ambascia-
tori di Holbein, e il libro di Baltrusaitis sull'anamorfosi, si chiede e
chiede: che cos questo oggetto, un p volante un p inclinato? Non
potete saperlo perch vi voltate, sfuggendo alla fascinazione del
quadro. Cominciate a uscire dalla stanza in cui, indubbiamente, vi ha
a lungo avvinti. allora che, voltandovi mentre state andando via
come descrive lautore delle Anamorfosi cogliete sotto questa
forma, che cosa? un teschio.
Allinizio non si presenta affatto cos, questa figura che lautore
paragona a un osso di seppia e che a me evoca piuttosto quel pane da
due libbre che Dal, in un tempo lontano, si divertiva a porre sulla
testa di una vecchia, scelta apposta molto misera, o anche i suoi
orologi molli, il cui significato, evidentemente, non meno fallico di
quello che si disegna in posizione volante, in primo piano in questo
quadro. Tutto ci rende manifesto che, nel cuore stesso dellepoca in
cui si delinea il soggetto e si cerca lottica geometrale, Holbein rende
qui visibile qualcosa che non altro che il soggetto come annientato
annientato in una forma che, propriamente parlando, lincarna-
zione fatta immagine del ( f) della castrazione, che per noi orienta
tutta lorganizzazione dei desideri attraverso il quadro delle pulsioni
fondamentali (J. Lacan, XI, p. 87).
Non si tratta quindi della visione in quanto tale, della univocit del
punto di presa del soggetto, bens del suo attuarsi come virtualit
desiderante, del suo scioliersi, decomporsi e insieme rifrangersi
(componendosi nelle facce cristalline dello specchio), lungo la linea
di luce del tempo, linea che segue la traiettoria del suo svanire,
immagine della vanitas, cos come del raggio che trafigge lo sguardo
in estasi. La deformazione paranoica non ha allora soluzione di con-
tinuit con l'inerenza del vedersivedersi, con l'enuclearsi delloc-
chiofallo, del fascinans, dell'effetto di significante. Lacan scrive: La
deformazione pu dare adito (...) a tutte le ambiguit paranoiche. E
ne stato fatto oggi uso, da Arcimboldi sino a Salvador Dal. Dir
persino che questa fascinazione complementa quanto della visione si
lasciano sfuggire le ricerche geometrali sulla prospettiva.
Com che nessuno ha mai pensato di evocare qui...leffetto di
unerezione? Immaginatevi un tatuaggio disegnato sullorgano ad
hoc in stato di riposo e che assume, in un altro stato, la sua forma,
oserei dire, sviluppata. Come non vedere qui, immanente alla dimen-
Bruno Roberti 412
sione geometraledimensione parziale nel campo dello sguardo,
dimensione che non ha nulla a che fare con la visione in quanto tale
qualcosa che simbolico della funzione della mancanza, dellap-
parizione del simulacro fallico? (J. Lacan, XI, p. 89).

3. Nello specchio di Ophuls

Il cinema di Max Ophuls inviluppato dai riflessi, si gioca in un
circuito dove la rappresentazione viene messa in gioco e in scacco di
continuo, in cui la distanza, anche brechtiana, la mise en abime,
lautoriflettersi del meccanismo filmico non risultano mai una fredda
anatomia, bens sono capaci di intensificare le potenze del falso, la
fertile ambiguit dei detour di un soggetto dislocato, malinconica-
mente frantumato in una immaginecristallo che risuona, come le
pieghe barocche o i colori metallici del manierismo, di un incessante
rinvio del desiderio, di qualcosa che somiglia a quella realt muta e
fuori significato che nulla pu articolare in parola. Ci che dellaltro
resta assolutamente altro, la sua pi radicale alterit, quella che non
posso appropriarmi in alcun modo, perch eccede ogni rappresenta-
zione (cfr. Ilaria Papandrea Leccedenza di un meno in Aut Aut n. 315,
maggiogiugno 2003, Godimento e desiderio). Questa cristallina co-
scienza del riflettersi e questa libert nel forzare e insieme sottrarsi al-
le regole della messinscena rendono Ophuls, al pari di Renoir, ido-
latrato precursore della Nouvelle Vague. Come ha notato Claude Be-
ylie il suo essere insieme poeta ed esorcista dello spettacolo, quel ri-
torno agli artifici teatrali o circensi, meliesiani, dal lato della moder-
nit, dellerranza e della flanerie di un occhio disincantato, lo ren-
dono una sorta di psicagogo di quella operazione magica, di quella
magia enorme e brutale, di quella stregoneria evocativa che gi
Baudelaire rintracciava nella pittura dei diorami, nella fantasmagoria
dei panorami, in quella fuga delle immagini su cui ha meditato
Walter Benjamin. Francois Truffaut ha scritto che Ophuls si interes-
sava piuttosto al riflesso delle cose, e che filmava la vita di rimbalzo.
In Letter from an Unknown Woman (1948) c una scena, che non
compare nella novella di Zweig cui si ispira il film, in cui viene agito
un voyage imaginaire che sembra non solo rimandare ai moving pa-
norama diffusi negli Usa agli albori del secolo (e del cinema) ma che
racchiude in s tutta la ricaduta neldel reale in rapporto allimmagi-
nario, tutto labisso di una eccedenza che risucchia e bilica sul vuoto,
che rendeva solidali e complementari le due magnifiche invenzioni
Nello specchio 413
senza avvenire dei Lumiere e di Melies. Entrati in un baraccone da
fiera, Lisa e Stefan, luno per laltra intimi e sconosciuti al pari delle
ombre care di un film, siedono in una minuscola cabina di un trenino
da favola e vedono sfilare oltre il finestrino le calli di Venezia o
le montagne della Svizzera, riprodotte su un fondale a rullo azionato
da un complesso meccanismo (cfr. Aldo Tassone Max Ophuls,
lenchanteur in France Cinema 1993) Trascinati da una danza che si
protrae fino alla porta tante volte appartenuta per lei al reame di
Aladino del sogno damore continuamente rinviato (e di cui quel
protrarsi non segna che il rinviarsi del desiderio fin dentro e oltre il
vuoto del reale: Non ti accuso scrive Lisa nella lettera da una sco-
nosciuta che dipana il film stesso quasi come una sceneggiatura in
fieri, e insieme come un atto destinale appartenente a quel tipo di mi-
se en abime che pone uno specchio allinizio del racconto, rifletten-
done allinverso destinazioni e implicazioni non sei stato tu a
sedurmi, sono io che sono andata verso di te, spinta dal mio desi-
derio, sono io che ti ho gettato le braccia al collo precipitandomi mel
mio destino...) i due oltrepassano quella porta...e di quella notte non
rimarr che un figlio , di cui Stefan apprender lesistenza solo dalla
lettera e quando il bambino ormai morto di tifo (la stessa malattia
che ha contagiato la madre) (cfr. A.Tassone op. cit. pp. 8081). Un
circolo pulsionale il cui resto la reviviscenza e la cui architettura, il
cui spettacolo viene esorcizzato allinverso da Ophuls, sottraendolo al
discorso della macchina come eccedenza dellingranaggio, come mi-
norit, piccola morte, lavoro del feticcio, resistenza e durata del reale
oltre la messinscena e il meccanismo automatico del cinema, proprio
tramite una panoplia specchiante, quella stessa che insiste in molti
suoi film e che , per usare le parole di Cappabianca (p. 92) incarnata
nella lingua umana, lingua di trucchi dellimmaginario, di ombre,
riflessi, fantasmi, mozioni, investimenti, cariche, identificazioni lin-
gua del sembiante carica inoltre di funzioni pratiche, attinenti al-
lordine del reale. Ma questa strategia dello specchio ophulsiana che
fa incedere i doppi dei personaggi, le loro ombre che si staccano dai
corpi o che si introducono negli e dagli specchi (secondo una genea-
logia romanticohoffmaniana della fantasmagoria cui Ophuls ascri-
vibile), pur con cristallina ambiguit, (e traducendo il perturbante nel-
le geometrie della messinscena disvelata negli interstizi del reale),
come riflessi danzanti negli specchi che li incrociano e li moltiplica-
no allinfinito, questa geometria di rispecchiamento, larchitettura di
Vienna, del Prater, dellappartamento del musicista che risuona al
Bruno Roberti 414
piano di sopra (lei, figlia di un portiere, lei sconosciuta che si intro-
duce nellappartamento di lui in sua assenza e il cui muoversi nel fare
le pulizie, fa cadere le partiture dal leggio, in altri termini fa tacere la
cifra musicale e suscita il silenzio di lui, cui affider poi la lettera, lei
che si innamora appunto di una assenza, e di un silenzio, o ancora di
un misconoscimento e della sua stessa dimenticanza, di un fuori
campo che si sposta e manca ogni volta che lei pensa di avervi ac-
cesso, di un enigma che potrebbe, laddove laccesso, permesso o
negato, porta aperta o chiusa, sulal simbolico si configura come in-
terruzione, sciogliersi solo nella musica ascoltata o in una danza che
non permette il riconoscimento come uno specchio opaco, cos come
si rispecchia e si rifrange nellarchitettura del cristallo, nella voce
fuori campo che appartiene al giro della morte, a un circuito ana-
morfico del fantasma, nella lettera che regola i conti col simbolico e
restituisce implacabilmente, dopo il giro del sembiante, la lingua par-
lante a quella muta, di un sorriso dadolescente, nel cui resto invi-
sibile si eccede per quel meno che la sconosciutezza assoluta,
perch proprio al termine della letturaletterafilm, nella sua turbi-
nosa svolta, quando Stefan, cui si rivelata la realt delle cose, e
della cosa, va allappuntamento fatale del duello, Lisa adolescente
sorride muta, ma fuori campo la sua voce non manca di dire la man-
canza di una perdita mai avvenuta e sempre da cercare e da trovare:
Se almeno aveste potuto riconoscere ci che era vostro da sem-pre...
trovare ci che non mai stato perduto), insomma questa opera fil-
mica, dove tutto come riflesso attraverso un prisma che abbellisce
le forme: dagli innumerevoli appliques alle pareti, agli specchi gire-
voli, ai medaglioni, ai cristalli scintillanti, caratteristici di tutti gli
scenari di Ophuls, fino alla scommessa proditoria di Madame de..,
1953, quando il regista propose ai suoi attoniti produttori un trat-
tamento in cui lintera storia era vista in un gioco di specchi (Claude
Beylie Max Ophuls, poeta ed esorcista dello spettacolo in France
Cinema 1993), interrompe contiuamente le sue radici simboliche in
nome di una erranza desiderante che daltra parte fa s, nelle sue
dislocazioni, che quelle radici del simbolico non cessino perci di
chiedere, nel silenzio che loro proprio, di essere compiute. E inver-
samente: linterruzione del simbolico, la sua nonesistenza, che
permette di assimilarlo allistinto di morte, la condizione della sua
pregnanza, del suo non essere discorso della macchina (A. Cap-
pabianca p. 92). Ancora la scena del finto vagone ferroviario di Letter
lepitome di questo scacco dello specchiarsi, di questa messa in
Nello specchio 415
trappola della tecnica e del cinema con i suoi stessi mezzi, di questo
meccanismo che scorre ma che pu ad ogni momento incepparsi, di
questo rischio della finzione che mette in gioco la vita (ma anche gio-
ca la nonesistenza del rapporto sessuale, lil ny a pas, se in un altro
film esemplare di Ophuls, La Ronde, 1950, da Schnitzler, il cineasta
prestigiatore, colui che mena il gioco, il meneur du jeu si presenta
non tanto come prefigurazione del destino, quanto proprio come
elisione dello sguardo, qualcuno che non si sa se sia pi spettatore o
autore, e che il trascinamento en rond del desiderio Io sono uno
qualsiasi tra di voi, sono lincarnazione del vostro desiderio di cono-
scere tutto, uno sguardo che mentre dappertutto, come il dottor
Dappertutto hoffmaniano, nello stesso tempo colui che d accesso
alla visione circolare e onnisciente e ne preclude e taglia e rinvia la
visione, effettua la schisi tra occhio e sguardo, riavvia lingranaggio
interrotto, e taglia locchio sessuato, figura del significante come del-
la castrazione, istanza possibileimpossibile, se appunto colui che fa
andare la giostra, a un certo punto, ne ripara il meccanismo inceppato
e soccorre idealmente il giovin signore che ha avuto una deprecabile
panne a letto o in piedi accanto alla moviola, al tavolo di montaggio,
dopo aver esaminato in controluce alcuni metri di pellicola, censura
buttando la pellicola nel cestino, la scna del rapporto sessuale, che
insiste come rimando e nonesistenza in tutto il circuito significante
del film, per cui lellissi viene riempita da una mise en abyme del
tempo filmico che realizza il paradosso di un fuoricampo sessuale che
resta in campo proprio perch tagliato, per l'appunto come resto im-
parlabile). Ancora, si diceva, quella scenaepitome che segna questo
tragitto ophulsiano del voler prendere il cinema nei suoi stessi sche-
mi, nelle sue stesse maglie. una resa letterale del trasparente, che
rende ragione della trasparenza con lopacit della scoincidenza in
trompeloeil, della dislocazione e dello spostamento specchiante, e
che Ophuls stesso, maestro delle volute e dei cristalli, delle iride-
scenze e della fluidit dei piani sequenza, delle leggere incrinature e
delle danze sullabisso, di un doppio sogno nelle cui pieghe occhieg-
gia e sprofonda il reale, dice in questi termini, come tecnica dello
scacco alla tecnica: Credo che alla fine gni tecnica vada dominata.
Si dovrebbe controllarla cos bene da fare in modo che essa serva solo
allespressione, che divenga trasparente, che, al di l della riprodu-
zione della realt, diventi lo strumento del pensiero, del gioco, del-
lincantesimo, del sogno. Allora il gioco del trasparente fa coinci-
dere immobilit e movimento, distanza e prossimit: sappiamo i due
Bruno Roberti 416
immobili nel finto vagone ma li vediamo viaggiare: levidenza del
simulacro, lo scorrimento alle spalle di una pellicola nella pellicola,
di un doppio fondo, di un fondale nel fondale, suscita lemozione di
un ricordo nonvissuto, di un rapporto che pu (non) aver luogo. il
movimento stesso di tutto il cinema ophulsiano che qui si raddoppia,
quel moto che opera sempre fuori contesto, o in un contesto prov-
visorio e instabile, un set errante che scivola via anche quando
ritorna su se stesso, come i rotoli di quel fondale, che spinge verso
una lontananza che si rivela prossimit, qualcosa che sfugge e si
perde, ma poi sempre rimasto l. Un altro modo per dire il cinema,
luogo principe della dislocazione che allontana e distanzia qualcosa
che ci riguarda da vicino e allinverso ravvicina e rende attuale
qualcosa che appartiene una volta per tutte al memorabile, a ci che
del passato ogni volta torna. ancora luomo che fa girare la giostra,
il meneur (interpretato da quello stesso Anton Walbrook, istanza spe-
culare, che in Scarpette Rosse di Powell e Pressburger infrange con
un pugno uno specchio che si ostina a riflettere il suo disappunto) a
dire questa indiscernibilit, indecidibilit di un set che mentre viene
percorso, e costruito, dai carrelli della macchina da presa, con lo
stesso movimento impalpabile si disfa e va in frantumi, fin dallinizio
oppure senza mai veramente aver avuto inizio perch la sua fine
anteposta, ha appunto laspetto di un set appena abbandonato come
alliniziofine di La Ronde (e anche qui come in Letter laccenno di
un saluto cui si attende risposta che ferma il gioco e ricorda quello
stupore della morte a Samarcanda che saluta chi avrebbe dovuto es-
sere in un altro luogo, sempre l dove non lo si aspetta), su un palco
che senza soluzione di continuit diventa strada, giostra, luogo dove
le luci si accendono e si spengono, teatro di posa, colui che mena il
gioco, comincia a dire: Gli uomini non conoscono che una parte del-
la realt, e perch? Perch non vedono che un solo aspetto delle cose,
mentre io li vedo tutti; io vedo en rond, e questo mi permette di essere
dovunque. Ma il dovunque anche un luogo che non si appartiene,
che non si sa, un luogo altro, errante nonluogo che scivola via con il
ritmo fluente del cinema, con il pianosequenza che ophulsianamente
guarda in ogni faccia del prisma cristallino, dispiegandone le possibi-
lit e le impossibilit, gli incontri sempre mancati. E la domanda di
Walbrook la stessa per ogni luogo del desiderio e per ciascun film,
anzitutto quelli di Ophuls: Ma dove siamo qui? Su una scena? Su un
set? Non si sa..., scende dalla piccola ribalta e inizia a muoversi tra i
riflettori, i cavi distesi, le cineprese lasciate l sole e inclinate. come
Nello specchio 417
se la dislocazione si impadronisse del corpo del personaggio e dive-
nisse entit fisica, oggettiva. Allora il corpo di WalbrookOphuls su-
bisce una mutazione: si trasforma da teatro in cinema, da ribalta a
set. I gesti e le parole del presentatore tracciano le coordinate della
dislocazione: WalbrookOphuls fabbrica il cinema come se questo
non fosse altro che unemanazione di s. Il meneur du jeu ora il
cinema, partecipe in qualche modo della sua natura (cfr. Chiara
Tognoletti Percorsi e architetture del cinema. Immagini dislocate nei
film viennesi di Max Ophuls in Storie dislocate a cura di S. Bernar-
di, ETS, 1999). Allora quel treno Forain, dai fondali dipinti che simu-
lano viaggi immaginari e destinazioni esotiche (...) quella macchina
che gira in tondo, a manovella, unisce, come il cinematographe Lu-
mire e anche come i doppi fondali di Melis, come i panorami, le
vue in capo al mondo, gli schermi srotolatisi, una presa sul reale che
fa vuoto e dunque posto al godimento, in cui lesattezza chiara della
fotografia implica loscurit dellimmaginario, in un gioco tra distan-
za e ravvicinamento, perch il cinema vive nella distanza del testo: lo
spettatore rilegge lo sguardo di uno straniero posato, nel passato e in
un altro luogo, su un evento trascorso e che torna a trascorrere tra
luce e buio (C. Tognolotti op. cit. pp. 134135). E se la scrittura della
differenza del cinema opera una schisi tra occhio e immagine, rende
intangibile e continuamente spostata su un vuoto la visione, rende alle
spalle dello spettatore il testo gi trascorso e bruciato mentre lo si
scrive su carta infiammabile (una lettera appunto sudentro la pel-
licola), il suo rifarsi il trucco continuo nel gioco di maschere ophul-
siano predispongono una prospettiva rovesciata, e ci che sembra pi
lontano appare pi prossimo, e ci che cade nel fuori campo, che il
set lascia cadere fuori, che mentre lo eccede si sottrae, eccedenza di
meno, altrove ineludibile, un fuori campo della morte, come nota
Chiara Tognolotti (e la voce di un fato oscuro e immodificabile, lad-
dove la possibilit di uno scarto, nellincrocio dei due sguardi, fuori
tempo e fuori luogo, desideranti e divergenti, viene sfiorata, dando
cos nel ripetersi del ricordo, nella reviviscenza, la possibilit di una
differenza nel ripetersi filmico di gesti ed atti, quella stessa di Lisa,
della sconosciuta e della sua storia, sua esistenza, eventi gi accaduti
migliaia di volte, momenti gi fissati di un fato oscuro, una obbliga-
zione muta e inesorabile (C. Tognolotti op. cit. pp. 138139). Ep-
pure questo sorriso sospeso, questo sorriso angelico e adolescente di
Lisa, anche ci che, sospendendosi appunto su un vuoto mai per-
duto e sempre da ritrovare, bisogna allontanare, sentire da lontano,
Bruno Roberti 418
per accorgersi che nel dislocarsi, come una voce che si sposta, si ren-
de in prossimit del reale proprio nella sua proiezione: la dislo-
cazione si trova talvolta ad affrontare lunghissimi itinerario, a guar-
dare da prospettive lontane per poter vedere meglio il proprio punto
di partenza e scoprirlo dimprovviso vicino a s (C. Tognolotti p.
139). Larrivo della lettera da una sconosciuta che riinvia le immagi-
ni e il film a s stesso, e insieme il protagonista alla propria morte
reviviscenza (tal quale il cinema, mort au travail, secondo la defini-
zione di un poetacineasta, che non si stancava di invitare gli specchi
a riflettere prima di riflettere le immagini) anche lirruzione di
unassenza, la partenza (verso il duello mortale) trattenuta e in-
sieme spinta, quasi come il richiamo dellimpossibilepossibile godi-
mento materno, matriciale, e allora si tratta di non un pi, unec-
cedenza, ma un meno, una beanza, un vuoto, o forse, meglio, spin-
gendo le cose contro una logica troppo comune, leccedenza di un
meno (I. Papanfdrea, pp. 110111), in cui si dice lo statuto parados-
sale delloggetto a, il suo essere un resto come supplemento. E Lacan
lo dice, cos come lo dice il fuoricampo di Lisa, o la ecriture della
differance che, quasi computando la spettralit del cinema, Derrida
rileva come traccia, la sembianza retrospettiva che sfugge al pre-
sente, nel suo divenirepassato di ci che stato presente, e che si fa
incommensurabile ritrovamento di ci che non si perso, il pidi
godere che si traccia, venendo in luce attraverso il negativo e il
rovesciamento (nonostante quindi lautomatico, e in forza dellineren-
za), del godimento perduto: Questo oggetto comunque, dato che si
tratta di ritrovarlo, lo qualifichiamo come perduto. Ma questo
oggetto, in sostanza, non mai stato perduto, bench si tratti essen-
zialmente di ritrovarlo (J. Lacan Il Seminario. Libro VII Letica della
psicanalisi, Einaudi, p. 72). Evanescenza e sorriso del gatto carrolia-
no del Cheshire come anche sorriso di Harpo Marx, questa estimit
che la Cosa, intima e inquietante estraneit, di cui Lacan si do-
manda se c qualcosa pi fatto per gettare nellabisso e nel nulla ,
di quanto possa farlo la faccia segnata da un sorriso, di cui non si sa
se sia quello della pi estrema perversit o della stupidit pi com-
pleta, di Harpo Marx...(J. Lacan VII, pp. 6869).
DANIELE DOTTORINI

Punto cieco.
Limmagine negata del cinema: Debord, Jarman, Monteiro



1. Limmagine, il fuori e il nonsenso

Si sa, tutta la tradizione occidentale assegna il vedere al sapere;
per quanto la vista inganni, da essa che procede lidea (idein, eidos,
idea). Visione positiva e aperta alla conoscenza, ci che si vede
oggetto di riflessione, di teoria. Ma, allo stesso tempo, anche lo
scetticismo (la messa in questione del sapere) affidato anzitutto allo
sguardo, come ricorda Derrida: Prima che il dubbio diventi sistema,
la skepsis cosa degli occhi, la parola designa una percezione visiva,
losservazione, la vigilanza, lattenzione dello sguardo nellesami
nare. Si spia, si riflette su ci che si vede, si riflette ci che si vede
ritardando il momento della conclusione. Mantenendo la cosa in vista,
la si guarda
1
. Questo mantenere la cosa in vista significa lasciare
aperto il visibile verso uninvisibilit assoluta, che non altro dal
visibile n si trova altrove: linvisibilit assoluta,

per essere laltro del visibile, non deve aver luogo altrove n costruire un
altro visibile, come ci che non appare ancora o ci che gi scomparso e di
cui lo spettacolo delle rovine monumentali invocherebbe la ricostituzione,
lassembramento di memoria, la ricomposizione. Questo nonvisibile non
qualifica un fenomeno presente altrove, latente, immaginario, incosciente,
nascosto, passato un fenomeno la cui inapparenza di un altro ordine
2

Affermare questo significa, per Derrida, riconoscere uno spazio in
cui la positivit del visibile si fonda su altro, su una zona cieca,
oscura che per necessaria al visibile, ma che non viene annullata
da questo. Ci che Derrida delinea una sorta di punto cieco, di zona
non visibile del visibile, che necessaria allimmagine, ne costituisce
il fondo, il luogo di emergenza. Nella prospettiva aperta dal filosofo
francese di una critica della metafisica della presenza, la dimensione
del senso si articola sempre pi soprattutto negli ultimi lavori a

1
J. DERRIDA, Memorie di cieco. Lautoritratto e altre rovine, Milano, Abscondita, 2003, p.
11.
2
Ivi, p. 71.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 419-428 419
Daniele Dottorini 420
partire da questa consapevolezza, ed investe forme che esulano da
una definizione ristretta della scrittura, il campo di analisi della
filosofia derridiana, come limmagine. In un libroconversazione,
scritto insieme a Bernard Stiegler, il problema si articola, ad esempio,
a partire dal cinema, dal paradosso tecnico che rende possibile il
movimento al cinema
3
, dallidea, cio, di un movimento discreto (lo
scorrere dei fotogrammi) che crea lillusione della continuit:

Stiegler: Lei non crede che sia un elemento essenziale (...) che
limmagine sia interamente intessuta di discrezione, anche se essa
produce un effetto di continuit? Questa discrezione, e lesattezza che
le si accompagna come mostra per esempio la restituzione del
movimento attraverso il taglio in ventiquattresimi di secondo , non
un elemento decisivo che permetterebbe effettivamente la conquista
di una nuova intelligibilit e la base stessa di un processo di riap-
propriazione, rispetto a questo anticipo o ritardo che ci disloca?

Derrida: Si, questo sembrerebbe indubitabile. Questo estende il
campo di quello che lei chiama intelligibilit, il campo del sapere, il
campo del senso stesso, ma per alloggiare in s leffetto inverso: il
senso lintelligibilit non possono dispiegarsi (...) se non mol-
tiplicando ci che forma le condizioni di questa stessa discrezione,
ovvero la spaziatura, il nonsenso, il bianco, lintervallo, tutto quello
che in qualche modo delimita il senso e il nonsenso, lo eccede o lo
incrina
4
.

Nel cinema, come nella scrittura e in altre forme espressive o in
tutto ci che produce senso in gioco uno spazio nonrazionale,
perch lorigine del senso non ha senso
5
. Ma, aggiunge Derrida,
questo non significa fondare su un sostrato irrazionalistico o mistico
ogni visibilit od ogni conoscenza positiva. Al contrario, Chiunque
ponga una domanda sullorigine del senso, lorigine della ragione,
lorigine della legge, lorigine dellumanit, nel porre questa doman-
da, deve portarsi verso ci che delimita quanto egli interroga: la
condizione della domanda non appartiene ancora al campo di quello
che essa interroga
6
. Ci che vene introdotto qui dunque il tema di
uno spazio di nonvisibilit, la spaziatura, il nonsenso, il bianco,

3
La percezione del movimento cinematografico, si basa, come si sa, sulla velocit di
scorrimento di singoli fotogrammi diversi tra loro (di almeno 16 immagini al secondo) che
danno appunto la sensazione di un movimento continuo.
4
J. DERRIDA, B. STIEGLER, Ecografie della televisione, Milano, Raffaello Cortina, 1997, pp.
119120.
5
Ivi, p. 120.
6
Ivi, p. 121.
Punto cieco 421
lintervallo, interruzione del flusso o, meglio ancora, elemento
rivelatore della non omogeneit del flusso (delle immagini, del senso,
della realt).
Lutilizzo dellimmagine cinematografica come dispositivo
esemplificativo di un problema ontologico ritorna in Derrida anche in
unintervista successiva, in cui il filosofo francese risponde alle
domande dei redattori della rivista Cahiers du cinma. Loccasione
originata dallesperienza attoriale di Derrida stesso, che apparso in
tre film
7
tra il 1983 e il 2002. Il filosofo riflette sulla sua esperienza e
parte di queste riflessioni confluiscono in un saggio scritto a quattro
mani insieme alla regista di origine algerina Safaa Fathy
8
. Un anno
dopo, poco prima di essere chiamato a far parte del terzo progetto
cinematografico, il film su di lui diretto dai documentaristi americani
Dick e Kofman, incalzato dai redattori dei Cahiers, Derrida afferma:

Nellimmagine ci che conta non semplicemente ci che immediatamente
visibile, ma anche le parole che abitano le immagini, linvisibilit che
determina la loro stessa logica, cio linterruzione, lellisse, tutta quella zona
di invisibilit che preme contro la visibilit. E in questo film [Dailleurs,
Derrida, ndr] la tecnica dellinterruzione molto sapiente: a questo proposito
io parlo spesso di anacoluto, come fa anche Safaa Fathy. Questa interruzione
non interrompe leffetto dellimmagine, ma anzi porta ancora pi lontano la
forza cui la visibilit d impeto. (...). di conseguenza, il corpo dellimmagine
in quanto immagine tormentato da una certa invisibilit
9

Ecco dunque aggiungersi unulteriore riflessione sulla zona
dinvisibilit che abita il visibile: proprio riflettendo sulle poten-
zialit dellimmagine, Derrida riconosce allinterruzione, alle zone di
non visibilit la capacit di aumentare la forza del visibile. Il cinema
dunque si configura per Derrida come una sorta di laboratorio con-
cettuale, allinterno del quale rielaborare problematiche specifica-
mente filosofiche. Per Derrida, come per Deleuze, laccento posto
sullinterruzione, sul nonvisibile come elemento inscindibile dal
visibile. Ma Deleuze intende linterruzione come segno precipuo del

7
Cronologicamente i film sono Ghost Dance (1983) di Kenneth McMullen, Dailleurs,
Derrida (1999) di Safaa Fathy e Derrida (2002) di Kirby Dick e Amy Wiering Kofman;
Derrida comparso anche in un documentario prodotto per la televisione e dedicato alla figura
di Jean Genet Jean Genet le vagabond: Jean Genet lecrivain, 1996, di Michel Dumoulin,
ma rispetto ai tre film sopra indicati, si tratta di un prodotto pi convenzionale, in cui la figura
del filosofo viene chiamato in causa come esperto e appare in unintervista.
8
J. DERRIDA, S. FATHY, Tourner les mots. Au bord dun film, Paris, Galile/Arte, 2000.
9
J. DERRIDA, Il cinema e i suoi fantasmi, intervista a c. di A. de Baeque e T. Jousse, trad. it.
in: aut aut, 309 (2002), pp. 6465.
Daniele Dottorini 422
cinema moderno, che rovescia la prospettiva del rapporto tra le
immagini instaurata dal cinema classico, in cui le immagini erano
associate luna allaltra secondo una relazione che rimandava ad una
rappresentazione indiretta del tempo. Nel cinema moderno
secondo una serie di fratture iniziate con il neorealismo e proseguite
con la Nouvelle vague la relazione si presenta in altri termini:

Innanzitutto perch la questione non pi quella dellassociazione o dellat-
trazione delle immagini. Ci che conta, al contrario, linterstizio tra im-
magini, tra due immagini: una spaziatura che fa s che ogni immagine si
strappi al vuoto e vi ricada. (...). data unimmagine, si tratta di scegliere
unaltra immagine che indurr tra le due un interstizio. Non unoperazione
di associazione, ma di differenziazione, come dicono i matematici, o di
disparazione, come dicono i fisici: (...). il metodo del TRA, tra due im-
magini che scongiura ogni cinema dellUno. il metodo dellE, questo e
poi quello, che scongiura tutto il cinema dellEssere=
10

Da questa doppia presentazione emergono allora alcune dif-
ferenze: se in Derrida ci che linterruzione, lo scarto mette in evi-
denza una sorta di invisibilit che costitutiva dellimmagine, ne
rappresenta, in un certo senso, la forza di eccedenza, in Deleuze
attraverso linterruzione che si costruisce un nuovo regime
dellimmagine, proprio del cinema moderno, che elabora la frattura,
linterstizio tra le immagini. Doppia lettura non necessariamente
assimilabile, il cui confronto (per quanto accennato: avrebbe bisogno
sicuramente di uno spazio ulteriore di approfondimento) ci permette
per di introdurre una nuova problematica.
Spieghiamoci meglio: in entrambe le prospettive sin qui con-
siderate, limmagine pu e deve essere considerata in un rapporto ad
un fuori (secondo Deleuze), o a un nonsenso (secondo Derrida),
una zona di apparente negazione del visibile, ad esso per (e per
motivi diversi, aggiungiamo) necessaria. Ci che accomuna i due
pensatori francesi la consapevolezza che tale zona di negazione
dellimmagine agisca nellimmagine stessa (per Derrida), al di fuori
dellimmagine (per Deleuze), ma, in ogni caso, al di l della visibilit,
della positivit dellimmagine. Il nonvisibile non pu rendersi
visibile, solo cos pu essere matrice di senso.
Ma il cinema ha, nel corso della sua storia, sperimentato una tale
zona di negazione dellimmagine, interrogandola, mostrandola,
rovesciandola nel suo contrario, facendone cio unimmagine. Si

10
G. DELEUZE, Limmagine tempo, Milano, Ubulibri, 1989, pp. 200201.
Punto cieco 423
tratta (ed quello che faremo nello sviluppo di questo saggio) di
analizzare come e in che modi il cinema abbia lavorato sulla doppia
dimensione dellimmagine e della sua negazione.


2. Il nero

Riflettendo sulle forme del cinema di Straub e Huillet, Edoardo
Bruno individua una figura fondamentale che si differenzia dalle altre
proprio perch negazione dellimmagine fotocinematografica clas-
sica:
Nei film di StraubHuillet, il nero delle scansioni che interlinea il senso del
discorso, distrugge limmagine fotografica in quanto tale, come se,
dimprovviso, si volesse sostituire al flusso delle immagini un rigido
ragionamento. Il nero indica un discorso diverso, altro: n immagine, n altra
realt, ma qualcosa che lega limmagine al non materico, alla negazione della
physis. (...). In questa restituzione del valore iconico anche alla nonluce, con
la messa in evidenza del nero come elemento spaziotemporale, il cinema si
differenzia ancora una volta dalla fotografia che vive solo di luce
(nellesaltazione, il poeta Lamartine chiamava la fotografia il fenomeno
solare dove lartista collabora con il sole, in Cours familier de littrature)
anche in senso lato, come nel caso dei raggi infrarossi. Nel cinema il nero
registra se stesso in uno spazio delimitato dai bordi del fotogramma e si pone
come scansione perch arresta il falso movimento e introduce il concetto di
stasi nel flusso delle immagini
11

Il nero dunque diventa, nella prospettiva di Bruno, la figura filmica
(dunque visibile) dellinterruzione dellimmagine esplorata da
Derrida e Deleuze: il nero non semplicemente immagine, ma si
pone sullo schermo come se lo fosse, introducendo necessariamente
uno scarto che, aggiunge Bruno, restituisce valore iconico alla non
luce alla negazione dellimmagine.
In questa direzione quella di un valore iconico del nero
possibile rintracciare nel cinema diversi momenti in cui limmagine
cinematografica si spinta sino al limite del visibile, sino a presentare
sullo schermo qualcosa che si nega come immagine ma si presenta
come tale. Si tratta per di evidenziare alcuni di questi momenti
proprio per coglierne le differenze e la rispettiva portata teorica. A
questo scopo, nei paragrafi seguenti saranno analizzati tra esempi di
negazione dellimmagine; tre esempi diversi, lontani nel tempo e nel-
lo spazio, ognuno di quali capace di rappresentare una forma distinta
di cinema.

11
E. BRUNO, Del gusto.Percorsi per unestetica del film Roma, Bulzoni, 2001, p. 12021.
Daniele Dottorini 424
3. La negazione situazionista: Hurlements en faveur de Sade

Io ho esordito con un film senza immagini, il lungometraggio
Hurlements en faveur de Sade, nel 1952. Lo schermo era bianco sulle
parole, nero durante i momenti di silenzio, che andavano via via
dilatandosi: lultimo piano sequenza nero durava, da solo ventiquattro
minuti
12
. Le scarne parole di presentazione dello stesso Debord,
introducono in modo chiaro il primo di questi rovesciamenti
annunciati. Primo non tanto forse dal punto di vista cronologico (un
film come Hurlements... non sarebbe stato possibile probabilmente
senza quellopera unica e irripetibile che Trait de bave et dternit
di Isidore Isou di cui il film di Debord si propone il superamento
13
),
ma sicuramente primo nel senso di nuova instaurazione del cinema,
di un controcinema, che rifiuta quasi in toto la forma a lui
contemporanea del cinema per porsi al di fuori di esso, a cominciare
proprio dallimmagine. In questo senso si pu dire che la struttura di
Hurlements...corrisponde ad una messa in pratica dei principi del
dtournement non diretti verso limmagine, ma verso la parola.
Il dtournament, il riutilizzo in una nuova unit di elementi
artistici preesistenti
14
, infatti la pratica del riutilizzo di elementi
preesistenti in un nuovo montaggio, in nuovi accostamenti, i cui
obiettivi, aggiunge Debord. sono la perdita dimportanza (che
giunge sino alla dispersione del suo significato primo) di ogni
elemento autonomo detourn e, allo stesso tempo, lorganizzazione di
un altro insieme significante, che conferisce a ogni elemento la sua
nuova portata
15
.
I dialoghi del film, infatti che si inseriscono solo negli intervalli
bianchi della proiezione sono composti spesso da frasi prese da fonti
esterne: dai giornali, da Joyce, dal Codice Civile Francese. Frasi che
si intersecano con i dialoghi originali del film e che costituiscono i

12
G. DEBORD, Attestati, in Guy Debord (contro) il cinema, a cura di E. Ghezzi, R.
Turigliatto, Milano, Il Castoro, 2001, p. 13.
13
Nel film realizzato nel 1951 da Isou, lesponente di punta del Lettrismo movimento a
cui aderisce Debord prima di fondare lInternazionale Situazionista il protagonista, Daniel,
annuncia in un cineclub parigino il manifesto del cinema discrepante: la separazione tra
immagine e parola, tra suono e fotografia, in cui la parola non sia pi sottomessa allimmagine,
ma emerga da altrove, negando e distruggendo limmagine, al fine di salvarla dal clich.
14
G. DEBORD, Il dtournament come negazione e come preludio, in Guy Debord (contro)
il cinema, cit., p. 50.
15
Ibidem.
Punto cieco 425
veri elementi del montaggio del film, mentre la visione, il visibile
negato, letteralmente e semplicemente.
Lalternanza del nero e del bianco sono, in un certo senso (e nel
senso voluto da Debord) una sorta di punto zero del cinema, come
sottolinea Olivier Assayas:

Sono affascinato dai cineasti che hanno ricominciato ricostruendo sulle
rovine. Per questo senza dubbio sono molto sensibile allopera di Andy
Warhol, perch ha cominciato a fare film da un punto zero del cinema. E in
un certo senso Debord che ha stabilito questo punto zero. (...) quando
Debord fa Hurlements en faveur de Sade ha lidea di fare letteralmente al
cinema il quadrato bianco su fondo bianco con la medesima spiritualit di
Malevic. (...) il Quadrato bianco non un genere pittorico, cos come
Hurlements non un genere cinematografico, sono atti specifici che
possiamo considerare come momenti fondamentali nella storia della pittura o
del cinema
16
.

Ecco dunque aprirsi una possibilit di operare nel cinema (e nel caso
di Debord, contemporaneamente contro il cinema) attraverso la resa
visibile di quellinterruzione, di quel nero che non mai com-
pletamente visibile. Il nero/bianco di Hurlements non immagine, n
pura dissociazione immagine parola (come nel Lettrismo di Isou). Il
suo esistere legato al suo essere atto: atto di reinstaurazione del
cinema proprio attraverso la sua distruzione.


4. La negazione della vista: Blu

Poco prima di morire per AIDS, Derek Jarman pubblica un testo
testamento, Chroma
17
, una serie di riflessioni ed osservazioni sui
colori, non un trattato, n uno studio sulluso del colore in pittura o
nel cinema. Chroma in realt una storia del rapporto di Jarman
stesso con il colore, attraverso citazioni continue, digressioni e
discussioni di testi famosi, da Aristotele a Goethe, da Malevic a
Wittgenstein, Jarman ricostruisce il suo rapporto presente e passato
con il colore. Molti dei capitoli del libro sono dedicati ai singoli
colori. Il capitolo dedicato al blu occupa sicuramente un posto
speciale. Il blu diventa agli occhi di Jarman, malato alla retina e
ormai prossimo alla cecit, il colore della vita e della morte al tempo

16
O. ASSAYAS, Lopera nascosta, intervista a cura di E. Ghezzi, R. Turigliatto, in Guy
Debord (contro) il cinema, cit., p. 124.
17
D. JARMAN, Chroma, Ubulibri, Milano 1995.
Daniele Dottorini 426
stesso, colore freddo e caldo, triste e allegro, il blu occupa un posto
speciale tra i colori
18
. Posto speciale perch, in un certo senso, il
colore blu rappresenta per Jarman la sintesi di ogni colore possibile,
non , appunto un colore come gli altri, ma qualcosa che va al di l
della dimensione umana: il blu trascende la solenne geografia dei
limiti umani
19
.
Attraverso questo capitolo di Chroma possibile ritornare
indietro, verso il nonfilm di Jarman, Blu appunto (il cui testo
presenta molte delle frasi scritte poi nel capitolo sul blu), uscito
lanno precedente e considerato il testamento filmico del regista
inglese.
Blu un nonfilm perch, diversamente da Hurlements di Debord
che coscientemente lavora per creare un nuovo cinema che si
contrapponga a quello esistente, per un controcinema, quindi il
film di un non vedente, di un uomo che sta per diventare cieco e non
ha pi la possibilit di vedere/filmare il mondo. La negazione
dellimmagine di Blu film di 79 minuti durante i quali lo schermo
costantemente blu senza che nessuna immagine vi scorra sopra si
basa su un impedimento fisico. Se il cinema la possibilit di
estendere il proprio sguardo sul mondo, Blu lultimo tentativo di
fare cinema allorquando non si ha pi a disposizione uno sguardo.
In questo senso la nonimmagine di Blu opposta alla contro
immagine di Hurlements: nella prima in gioco uno sguardo umano
che si estende sino a diventare cinema, e che trova nel blu (e nelle
parole e le musiche che accompagnano lo scorrere della pellicola), la
sua estrema incarnazione. Hurlements invece, controimmagine, in
quanto lo schermo nero obbliga lo spettatore a fare i conti con la
mancanza dellimmagine e la crudezza della pratica del dtour-
nament. Se in Debord, la negazione dellimmagine ha un ruolo e uno
scopo politico, in Jarman si tratta di dare alla negazione del-
limmagine una funzione poetica: nel pandemonio delle im-
magini/mi presento a voi in un blu universale./Blu, una porta aperta
verso lanima,/ una possibilit infinita divenuta tangibile
20
.




18
Ivi , p. 87.
19
Ivi, p. 90.
20
Dal film Blu.
Punto cieco 427
5. La negazione del racconto: Branca de neve

Terzo momento di negazione dellimmagine, dopo il nero/bianco
politico di Debord e il blu poetico/personale di Jarman. Nel 2000, il
regista portoghese JoaoCesar Monteiro presenta alla Mostra di
Venezia quello che sar il suo penultimo film, Branca de Neve
(Biancaneve), tratto dal racconto dello scrittore svizzero Robert
Walser, sorta di seguito della famosa fiaba dei fratelli Grimm. La
storia, recitata da alcuni dei pi grandi attori di cinema e teatro del
Portogallo, viene narrata dalle voci degli attori su un schermo
completamente nero. Solo ad intervalli non regolari, compaiono
alcune immagini: la foto di Robert Walser morto, il cadavere riverso
sulla neve in un parco; le immagini del cielo azzurro solcato da
alcune piccole nubi, limmagine dello stesso Monteiro in piano
americano che guarda di fronte a s. Squarci brevi ed improvvisi che
permettono al racconto di ricominciare ogni volta. come se, con
lironia che gli congeniale, Monteiro abbia completamente rove-
sciato lo schema deleuziano: non pi il nero che interrompe il flusso
delle immagini, che si inserisce come interstizio tra due immagini non
consequenziali: adesso limmagine a costituire la frattura, linter-
ruzione del nero, della negazione dellimmagine stessa.
Preferisco ascoltare invece di guardare, dichiara Biancaneve nel
film. Ed qui in questa frase il senso del nuovo dtournament messo
in atto da Monteiro. Film di voci, in cui lascolto si fa immagine,
Branca de Neve costituisce il vero rovescio dellimmagine, la sua
storia pi segreta, quella appunto legata allascolto.
Monteiro recupera la scissione radicale tra immagine e suono
teorizzata da Isou prima e, in modo diverso, da Debord poi, per
trasformarla in una possibilit in pi: quella dellimmagine sonora. Il
cinema sonoro non solo immagine o, meglio solo negando il pri-
mato dellimmagine si pu intendere che lintendere non traducibile
solo in senso logico, ma anche in senso acustico. Un problema teorico
che gi Nancy ha rilevato nel suo testo dedicato proprio allascolto:
figura e idea, teatro e teoria, spettacolo e speculazione si confanno
meglio tra loro, si sovrappongono, persino si sostituiscono con
maggiore affinit di quanto non possano farlo ludibile e lintel-
ligibile, ovvero il sonoro e il logico
21
.

21
J.L. NANCY, Allascolto, Milano, Raffaello Cortina, 2002, p. 6.
Daniele Dottorini 428
La voce che diventa immagine nel film di Monteiro, che invita a
creare unimmagine (che invita ad immaginare gli eventi descritti)
attraverso la sua risonanza, la densit sonora delle parole che echeg-
giano nel nero, laffermazione di una possibilit in pi per il cinema
(e per la filosofia):

Se, a partire da Kant fino ad Heidegger, la posta maggiore della filosofia si
concentrata sullapparizione o sulla manifestazione dellessere, insomma su
una fenomenologia, la verit ultima del fenomeno (in quanto apparire
esattamente distinto il pi possibile da tutto quanto gi apparso ma
anche, di conseguenza, in quanto sparire), la verit stessa come transitivit
e transizione incessante fra un venireepartire, non deve essere ascoltata pi
che vista? Ma non proprio cos che essa cessa dessere la verit stessa
identificabile, per diventare, non pi la figura nuda che sorge dal pozzo, bens
la risonanza di questo pozzo o, se fosse possibile esprimersi cos, leco
della figura nuda risonante nella profondit aperta?
22

Restituire alla parola, al racconto la sua dimensione materiale e pro-
fonda e latto che si instaura in Branca de Neve di Monteiro, in cui:
le voci recitanti reinterpretano la storia di Biancaneve, la ripetono
come giaccaduta, la recitano in una rappresentazione che invano si
sforza di scoprirvi un senso univoco. (...) voce come carne trascen-
dentale, fino allinvisibile
23
.
Ecco allora svilupparsi, esempio dopo esempio, un quadro arti-
colato e variegato. Da Debord a Monteiro, attraverso lanomalia jar-
maniana, si trattato di esplorare le forme di un cinema che ha inda-
gato sulle possibilit di negazione dellimmagine, intesa come messa
alla prova di quello scetticismo dello sguardo di cui si parlava
allinizio di questo saggio. In ogni caso, ci che accomuna i vari
percorsi la consapevolezza di lavorare sul nero, sullimmagine e la
sua negazione proprio per esplorarne nuove potenzialit, indagarne i
limiti e saggiarne la consistenza. In questo senso, il percorso offre un
ulteriore approfondimento delle posizioni teoriche di Derrida e
Deleuze, proprio estendendone sino allestremo i concetti e costrin-
gendo il pensiero a retroagire su di essi, facendo cio del cinema un
dispositivo concettuale che costringe la filosofia a ripensare se stessa.


22
Ivi, p. 8.
23
A. CAPPABIANCA, Il corpo della voce, Filmcritica, 508 (2001), pp. 408409.
Vincenza Costantino

Regimi dellimmagine elettronica.
Definizioni, rimediazioni, disillusioni



Le immagini sono, per il Video, ci che il mondo
per il Cinema: loggetto di tutti i suoi desideri. Il
Video non per la realt un modo di essere
presente, ma mille modi per le immagini di essere
altrove.
JeanPaul Fargier


Limmagine cinematografica laddove laggettivo rimanda
alla sua appartenenza allarte Cinema ha trovato, soprattutto agli
esordi, definizioni certe e tranquillizzanti. Nei primi cento anni di
storia del cinema tali definizioni sono supportate da una triade
tecnologica relativamente stabile e riconoscibile composta da
dispositivo + supporto + installazione spettatoriale. Al contrario, la
possibilit di proporre una definizione chiara di immagine
elettronica e/o video laddove laggettivo pu anche non
rimandare al dominio delle cosiddette Arte elettronica, Arte
Video o Videoarte rimane ad oggi unimpresa abbastanza
complessa, anche in virt del fatto che tale immagine non
direttamente fondata sulla triade precedentemente indicata. E anche in
virt del fatto che il continuo progresso tecnologico mette in crisi lo
statuto di ogni immagine tecnica, anche di quella che, in un preciso
momento storico, identificata in una data definizione
1
.
La complessit della questione verificabile gi a livello lessicale,
ed evidente nella descrizione delle caratteristiche tecniche di una
opera, in cui il prodotto destinato alla distribuzione (film, videotape o

1
Lo statuto dellimmagine tecnica (cio, [...], dellimmagine realizzata per
mezzo di una strumentazione che coinvolge luomo soltanto al livello dellideazione
e del controllo) a tuttoggi di dubbia definizione. Le difficolt provengono in egual
misura dal ripensamento delle discipline che si sono occupate dellimmagine (come
la semiotica) e dal continuo rinnovamento tecnico, che al suo stadio attuale vede il
consolidarsi dellinformatica come strumento di produzione e trattamento dellicona
(FAUSTO COLOMBO, Ombre sintetiche. Saggio di teoria dellimmagine elettronica,
Napoli, Liguori Editore, 1990, p. 35).
Bollettino Filosofico 22 (2006): 429-442 429
Vincenza Costantino 430
opera multimedia) incorpora e annulla nellimmagineoggetto finale
tutte le fasi intermedie di produzione (che possono provenire da
medium diversi). Se vero che in generale, le parole che designano le
arti contengono delle ambiguit, come spiega Dominique Chteau a
proposito del cinema:

Le mot cinma est ambigu. Comme toutes les tiquettes des pratiques
humaines complexes, ce quil voque va du plan serr au plan densemble
[...]. Cinma voque tout le spectre qui va des mondes du film o des
simulacres sbattent au monde du cinma o les humains sactivent, ou,
selon le distinguo qui vaut Gilbert CohenSat [...] dtre
rgulirement prsent dans les thories du cinma, le fait filmique et le
fait cinmatographique
2
.

In particolare, il termine video pi ambiguo degli altri, poich
fa riferimento, nello stesso tempo, al video inteso sia come prodotto
audiovisivo, sia come medium; mentre il cinema distingue il medium
dal prodotto film. Quindi non c differenza semantica tra il video
inteso come prodotto finale di un processo creativo e tecnico
destinato alla fruizione spettatoriale e il video inteso come
dispositivo elettronico di produzione e diffusione.
Allinterno del dibattito teoricocritico sviluppatosi in Europa e
negli Stati Uniti dagli anni 70 in poi, gli aggettivi elettronico e
video sono stati utilizzati come sinonimi, senza che uno dei due
termini indicasse uno specifico riferimento ad una determinata forma
darte. Per quanto riguarda il sostantivo Video, di gran lunga
preferito ad Elettronico, esso stato utilizzato per indicare ci che
sembrava sfuggire, o non era ascrivibile appieno, alla categoria
Cinema
3
. Cos il Video sostantivato poteva denominare, ma non

2
DOMINIQUE CHTEAU, Cinma et philosophie, Paris, Nathan, 2003, p. 31.
3
La sperimentazione artistica attuata con il dispositivo elettronico ha rap-
presentato una reale rivoluzione allinterno del dominio delle arti proprio per
leterogeneit delle proposte e per la loro irriducibilit a esperienze e pratiche ar-
tistiche precedenti, larte video ha accolto tutte le forme darte sfuggenti a precise de-
finizioni e difficili da incardinare. Spiega Valentina Valentini, come larte video si
caratterizzi proprio in quanto territorio disomogeneo in cui precipitano le per-
formance concepite per la telecamera, diffuse nei primi anni Settanta che co-
niugavano body art e dispositivo elettronico, i video monocanale (la cui produzione
ha avuto un sensibile blocco negli anni Ottanta) e le installazioni video e multimedia
che sono diventate la forma espressiva che si imposta nel sistema produttivo
distributivo delle arti visive, una produzione eterogenea per formati, modi di frui-
zione e modi di esposizione (VALENTINA VALENTINI, Le figure del tempo nel
video, Close up, 16 (2004), pp. 97107).

Regimi dellimmagine elettronica 431
necessariamente denominava, lappartenenza ad un settore dellarte
(Audiovisuale? Televisiva? Cinematograficasperimentale? Plastico
visuale?) e/o poteva denominare, ma non necessariamente
denominava, ex novo unaltra Arte (Arte Elettronica? Arte Video o
Videoarte?). Lavverarsi di questultima condizione ci avrebbe con-
dotti oggi a possedere una produzione teoricocritica tesa alla cano-
nizzazione di un linguaggio videografico da accostare e confrontare
al linguaggio cinematografico, ormai da tempo definito e strut-
turato, sebbene in piena crisi identitaria. Invece, la fluttuazione di tali
termini, che peraltro aumenta di pari passo con i progressi tecnologici
che condurranno dallelettronicoanalogico allelettronicodigitale,
delineano un percorso ontologico rebours, ovvero il progressivo
disfarsi sostantivale del Video in direzione di un video (spesso pos-
posto) utilizzato come aggettivo errante.

Video. Un modo quanto meno assai strano, se non paradossale, di
designare un mezzo di rappresentazione. Laddove tutte le altre arti
dellimmagine hanno, classicamente, due termini, un nome ben iden-
tificato per loggetto e un verbo (allinfinito) per lazione costitutiva
delloggetto stesso come se loggetto e lazione fossero due realt
allo stesso tempo ben distinte e chiaramente articolate , il campo sin-
golare che qui ci occupa non ha che una sola parola, video, per
designare simultaneamente (ed questa una delle sue prime singolarit)
al medesimo tempo loggetto e latto che lo costituisce, senza distin-
zione. Video: unimmagineatto indissociabilmente. Limmagine come
sguardo o lo sguardo come immagine. Allinizio era il verbo. Allarrivo
un aggettivo errante. E fra i due, neppure un nome. Il video ben il luo-
go di tutte le fluttuazioni
4
.

Poeticamente, la difficolt di definizione dellimmagine elet-
tronica legata a doppio filo, se non direttamente conseguente, alla
sua stessa natura, alla sua fisiologica fluidit tale che come ci
ricorda JeanPaul Fargier, Au commencement tait le courant. Le
flux. Le jet continu, informe, tourbillonnant des lectrons
5
. La sua
qualit originaria dunque il mutamento perpetuo, uno scorrere, un
fluire che non pu essere arrestato e che stimola molti artisti ad avere
nei confronti della tecnologia elettronica un atteggiamento di
sperimentazione, anche critico e spregiudicato, teso alla scoperta del-

4
PHILIPPE DUBOIS, Video e scrittura elettronica. La questione estetica, in V.
VALENTINI, Il video a venire, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, 1999, p. 18.
5
JEANPAUL FARGIER, O va la vido?, Paris, Cahiers du Cinma Editions de
lEtoile, 1986, p. 5.

Vincenza Costantino 432
le sue qualit specifiche, di una natura differente rispetto quelle delle
altre arti, e delle possibili pratiche artistiche che ne derivano.
Le prime conseguenze della sperimentazione artistica sulla natura
fluida dellimmagine elettronicoanalogica contribuiscono a marcare
la distanza sia dallimmagine cinematografica sia dalla corrispon-
dente filiera produttiva. Innanzitutto emerge lindistinzione tra super-
ficie e supporto
6
, e poi si inizia a delineare quel percorso dinfluenza
reciproca tra le tre fasi cinematografiche fondamentali, e tradi-
zionalmente distinte profilmico, produzione, postproduzione
che sar completato dalla cosiddetta rivoluzione digitale
7
.
Dato che limmagine elettronica, in quanto immagineoggetto,
sempre inscritta in una storia, e in una storia tecnica
8
, ritroviamo le
due succitate qualit, fluidit e indistinzione, come termini ricorrenti
in ogni proposta di definizione. Che si tratti o meno di definizioni in
cui limmagine elettronica messa in rapporto a quella cinemato-
grafica e digitale, laccento sempre posto sulla questione dellinar-
restabilit del moto, sul flusso, anche al di l della portata estetica di
questa qualit.

Nellimmagine elettronica il movimento strutturale, insito nella materia
fisica stessa dellimmagine, perch da un punto di vista fisico non esiste il
concetto di fermo immagine. [...] Il quadro non assimilabile al foto-

6
Limage vido se rapporte, essentiellement, un flux quil faut donc obliga-
toirement analyser par rapport au temps et lespace. Cest ce procd dexploration,
ligne par ligne, point par point, de la surface trame par un faisceau dlectrons, qui
transforme un message apparemment visuel en message temporel. [] La dfinition
incessante des images prsente une autre consquence [] la distinction tradi-
tionnelle entre le support et la surface se trouve, dans leur cas, trs difficile dter-
miner (DOMINIQUE BELLOIR, Vido Art Explorations, Paris, Cahiers du Cinma
Editions de lEtoile, 1981, p. 60).
7
Democratizzazione, velocit e controllo diventano le parole chiave per capire
ed entrare di diritto nella trasformazione. [...] Colpisce tutti: dalla fase dellideazione
alle riprese, dal montaggio alla distribuzione. una sfida per gli stessi produttori che
devono riorganizzare la filiera con nuove e complesse interdipendenze. Cambia per-
sino la fruizione. Questo perch, nonostante la trasformazione riguardi ambiti dif-
ferenti, il processo unico e si spande in ogni direzione. Contagia elementi attigui ma
anche dimensioni apparentemente distanti. Non c pi un prima e un dopo, come nel
cinema classico. O meglio, la filiera ancora suddivisa in tre fasi fondamentali (pro-
filmico, produzione, postproduzione) solo che ognuna vincola e influenza laltra
(VALERIA DE RUBEIS, Vedere digitale. Dal processo produttivo allestetica del film:
introduzione al Dcinema, Roma, Dino Audino Editore, 2005, p. 13).
8
BERNARD STIEGLER, Limmagine discreta, in JACQUES DERRIDA, BERNARD
STIEGLER, Ecografie della televisione, Milano, Raffaello Cortina, 1997, p. 167.

Regimi dellimmagine elettronica 433
gramma, cio ad una entit discreta e statica, perch si tratta di una for-
mazione di pixel in cui il sistema che lo genera attivo, cio dinamico,
tanto che ogni singolo frame pu essere decomposto in due field: in poche
parole il percorso di scansione del pennello non pu essere fermato, perch
a quel punto limmagine scomparirebbe, ci sarebbe del nero. [...] Lim-
magine elettronica dunque un flusso di energia costante nel tempo e nello
spazio che pu essere trasmesso a distanza. unimmagine che non ha una
forma precisa: viaggia nelletere e pu essere captata dalle antenne dei vo-
stri televisori che ne restituiscono una visibilit apparente
9
.

Tenere salda lattenzione sulla natura fluida dellimmagine elet-
tronica consente non solo di premettere la specificit materica di que-
sta immagineoggetto, ma di non cancellare con un colpo di spu-
gna, e nel nome dellassorbimento cinematografico del dispositivo
elettronico, alla stregua di uninnovazione tecnica come unaltra, la
memoria storica dellArte video. Ritornare oggi alla questione della
definizione dellimmagine elettronica, sia analogica e sia digitale,
significa ricostruire una sorta di memoria genetica delle arti audio-
visuali, e tracciare, dal punto di vista estetico, influenze, contamina-
zioni, slittamenti fra i diversi linguaggi. Il passaggio dallimmagine
cinematografica a quella elettronica analogica e poi digitale non
lineare, e soprattutto non , n dal punto di vista della storia tecnica
n della storia dellarte, consequenziale. A questo proposito basti
ricordare come gli artisti video, che sin dagli anni 60 iniziano a
lavorare, manipolare, creare limmagine elettronica, riconoscano una
filiazione e una continuit della loro produzione artistica con la radio
e con londa sonora
10
, piuttosto che con i processi fotografici e
chimici del cinema.

9
ALESSANDRO AMADUCCI, Segnali video. I nuovi immaginari della videoarte,
Santhi (VC), GS Editrice, 2000, pp. 2324.
10
Nam June Paik, in unintervista di Gianfranco Mantegna, spiega il suo pas-
saggio dalla musica elettronica allimmagine elettronica. Ne riportiamo un passaggio
significativo:
G. M. Una domanda sulle origini: eri un musicista davanguardia a Darmstadt,
un posto famoso, insieme a musicisti come Stockausen e Nono. Dal suono elettronico
allimmagine elettronica: come avvenuto il passaggio?
N.J.P. Il suono elettronico va da cinquanta cicli al secondo (Hertz) a ventimila.
Limmagine elettronica va da 20.000 a 4.000.000 Hertz nella televisione bianco/nero.
Perci ho allargato la quantit da ventimila a 4 milioni di Hertz. Questa una risposta
molto elegante. La vera risposta differente: nel 1961 volevo raggiungere i limiti
della action music e dovevo fare qualcosa di differente. [...] Cos ho iniziato per due
motivi. Il primo pratico, per provare a fare qualcosa di tangibile: vendere degli
oggetti. Il secondo per il bisogno reale dellartista, in quanto avevo raggiunto i limiti

Vincenza Costantino 434

Ogni immagine video trae origine dalla diretta, dalla ripresa dal vivo. La
caratteristica di vibrazione acustica che ha limmagine video in quanto
immagine virtuale lessenza della sua vitalit. Tecnologicamente, il
video si evoluto dal suono (lelettromagnetico) per cui apparentarlo al
cinema fuorviante, dal momento che il cinema e il suo predecessore, il
processo fotografico, fanno parte di un ramo completamente diverso del-
lalbero genealogico (il chimicomeccanico). La telecamera, in quanto dis-
positivo elettronico trasduttore di energia fisica in impulsi elettrici, ha in
origine una pi stretta somiglianza con il microfono che con la macchina da
presa
11
.

Nam June Paik, Bill Viola, Steina e Woody Vasulka, JeanPierre
Boyer sono gli artisti video della prima generazione pi attenti ad
assecondare e a lasciar deflagrare lorigine sonora dellimmagine
elettronica. La loro biografia indica una formazione musicale e, in
particolare, elettroacustica, da cui proviene la realizzazione di
immagini che si presentano come la transcription et traduction vi-
suelle de sons, de bruits et de signaux acoustiques
12
.
Limmagine elettronica, nel suo essere flusso di energia, rifiuta la
staticit del fotografico, ed estende questa sua resistenza alla stabilit
finanche al dispositivo continuamente manomesso e rinnovabile
e alle opere di arte video fissate sui supporti pi diversi e
deperibili affermandosi sempre pi come arte dai confini ambigui
e soggetta a rinnovamento continuo. I limiti terminologici, cro-
nologici e tecnici del video, a causa di questo suo essere in perenne
evoluzione, sono anchessi fluttuanti, nonch protesi verso le altre
tecnologie a venire. Raymond Bellour e AnneMarie Duguet, nel
volume deIla rivista Communications dedicata al video, affermano
che: il dsigne une technique denregistrement et de reproduction:
limage lectronique; mais par contagion il dborde vers toutes les
nouvelles images dont la vido nest pourtant quune compo-
sante
13
.

dellaction music usando il corpo. Cos cominciai a realizzare oggetti sonori, object
sonores. Successivamente mi venne lidea di manipolare dei televisori, che allora era
qualcosa di completamente nuovo. (Video Live Art. Intervista a Nam June Paik di
Gianfranco Mantegna, in V. VALENTINI (ed.), Dal vivo, Roma, Graffiti, 1996, p. 29).
11
BILL VIOLA, Il suono della scansione di una linea, in V. VALENTINI (ed.), Bill
Viola. Vedere con la mente e con il cuore, Roma, Gangemi, 1993, p. 73.
12
FLORENCE DE MEREDIEU, Arts et nouvelles technologies. Art vido art num-
rique, ParisBologna, Larousse, p. 61.
13
RAYMOND BELLOUR, ANNEMARIE DUGUET, La question vido, Com-
munications, Vido, 48 (1988), p. 5.

Regimi dellimmagine elettronica 435
Il fatto che limmagine elettronica sia, dal suo nascere, non solo
nuova ma debordante verso tutte le nuove immagini, implica, con
il rinnovamento continuo del suo statuto tecnoontologico, la perdita
progressiva delle sue caratteristiche specifiche. Sempre nuova nel
progredire tecnologico, essa smarrisce lanalogico e acquisisce il
digitale, e soprattutto, non approda allo statuto di immagine vecchia
ma solo di immagine di passaggio: trait dunion tra limmagine
chimicofotografica e quella digitale.
La tecnologia elettronicoanalogica produce unimmagine audio-
visuale stretta fra due diverse tipologie. Situata storicamente tra lim-
magine cinematografica e limmagine di sintesi
14
, occupa una posi-
zione mediana che sembra sottrarle specificit e importanza, sup-
portata dalla sua impossibilit fisiologica a restare, a durare nello spa-
zio e nel tempo. Ma essere definita come immagine di passaggio
non deve equivalere ad intendere lelettronicoanalogica come una
semplice, e inevitabile, immagine di transizione storica protesa verso
quella digitale, piuttosto come un momento necessario di elabora-
zione e sperimentazione di nuove forme, linguaggi, estetiche che in-
fluenzeranno profondamente larte digitale, lopera multimedia e il
cinema della postmodernit.
Limmagine elettronicoanalogica sfugge alla fissit fotografica
dello sguardo e si rinnova continuamente, ma questo suo dinamismo
fisiologico consegnato ad un supporto fragile, un nastro magnetico
facilmente deperibile. Cos, il dispositivo elettronico incarna, allo
stesso tempo, la forza espressiva e la debolezza costitutiva dellarte
video. La maneggevolezza e la leggerezza del medium si possono tra-
durre anche in fragilit e deperibilit dei materiali che la com-
pongono: essere pi leggeri e maneggevoli significa anche essere pi
esposti al deterioramento.
Allinizio degli anni Ottanta, AnneMarie Duguet, in Vido, la
mmoire au poing (1981), espone i principali limiti tecnici del dispo-
sitivo elettronico, in un volume che da considerarsi come lanalisi
pi lucida di un fenomeno (tecnologico, artistico, sociale, politico)
nella sua fase di maggiore affermazione, e sostiene che


14
Cette image nouvelle qui nexiste dans lhistoire de lart que depuis vingt
cinq ans, est ancienne, tant dj techniquement relaye par les images nouvelles
dites aussi de synthse ou sans camra (CHRISTINE VAN ASSCHE, De lapport du
vidographique, in RAYMOND BELLOUR, CATHERINE DAVID e CHRISTINE VAN ASSCHE
(eds.), Passages de limage, Paris, ditions du Centre Pompidou, 1990, p. 71).

Vincenza Costantino 436
taient occultes gnralement toutes les prcautions prendre avec un
matriel malgr tout fragile, pas trs fiable, la ncessit dune maintenance
rgulire (et chre), les problmes de la prise de son et, plus tard, les
difficults dun montage souvent fastidieux et peu satisfaisant
15
.

Omissioni di questo tipo si verificano puntualmente allarrivo di
ogni nuova tecnologia. Lentusiasmo della gente comune e le sfide
accolte dagli artisti, le esigenze economiche dei produttori e le leggi
del mercato, finiscono per occultare sia i limiti tecnici dei dispositivi
sia le regole necessarie per il loro corretto funzionamento e per una
duratura conservazione dei prodotti con esse realizzati. Le parole
usate per il lancio di videoregistratori e videocamere ritornano iden-
tiche nelle campagne pubblicitarie per i lettori dvd e le digicamere.
Questatteggiamento oggi riconoscibile nellapproccio con i media
digitali, presentati come la soluzione definitiva per la conservazione,
ad alta definizione, di ogni tipo di documenti. In pochi parlano di
quanto si sia lontani oggi dal possedere, in una postazione domestica,
la qualit, la potenza e i programmi informatici adeguati per questi
scopi, o di come problemi di incompatibilit dei supporti rendano
difatti illeggibili gran parte dei documenti digitalizzati, o di come i
software di compressione selettiva agiscano sui file condizionan-
done la qualit. Per Lev Manovich,

In realt c molta pi perdita di informazioni tra le copie digitali che tra
quelle delle fotografie tradizionali. Una singola immagine digitale
costituita da milioni di pixel. Tutti quei dati occupano uno spazio enorme di
memoria e richiedono anche molto tempo (rispetto un file di testo) per
essere trasmessi in Rete. Per queste ragioni, il software e lhardware uti-
lizzati per acquisire, immagazzinare, manipolare e trasmettere immagini di-
gitali si basano tutti sulla compressione selettiva, una tecnica che permette
di rimpicciolire i file dimmagine cancellando alcune informazioni
16
.

Sottolineare i limiti tecnologici dellimmagine elettronicoanalo-
gica o di quella digitale, non utile per valutare quale tra le due sia la
migliore e in base a quali parametri, ma serve a metterne in luce le
differenze costitutive, in modo da rigettare lidea di uno sviluppo
storico lineare che vede il passaggio dal chimicofotografico allelet-
tronicodigitale, attraverso lelettronicoanalogico, come si trattasse
di un ammodernamento, di un inevitabile adeguamento tecnologico.

15
ANNEMARIE DUGUET, Vido, la mmoire au poing, Paris, Hachette, 1981, p. 22.
16
LEV MANOVICH, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares, 2002, p. 78.

Regimi dellimmagine elettronica 437
In direzione di unimmagine fotorealisticamente perfetta e ad alta de-
finizione, a cui plausibilmente si potrebbe approdare in tempi brevi.
Esistono altre prospettive possibili, che provengono non tanto dal-
la speculazione teorica tout court, ma dallanalisi delle pratiche ar-
tistiche, luogo privilegiato di verifica dove le difficolt evidenziate
nella ricerca di definizioni certe e rassicuranti, si amplificano. Allin-
terno delle arti audiovisuali le distinzioni tecniche collassano, e le due
triadi tecnologiche a cui abbiamo fatto riferimento per limmagine
cinematografica prima dellavvento dellelettronico, non aiutano a
circoscrivere gli ambiti di pertinenza e di azione, n paiono deter-
minare le scelte linguistiche ed estetiche.
Immergersi nelle pratiche artistiche, negli oggetti film, nelle opere
video e multimedia, permette di uscire dalla tradizionale opposizione
tra cinema e video, di recente soppiantata da quella nuova di zecca
tra cinema e digitale. Etichette di questo tipo, cos generiche ed
astratte, oltre a non chiarire i confini, le influenze e le ibridazioni tra
le arti, tendono a trasformare un complesso e articolato discorso con-
cernente i rapporti tra tecniche, teorie e pratiche artistiche, in posi-
zioni ideologiche manichee, del tutto scollate dalla concretezza della
produzione, non solo artistica, in cui siamo immersi e a cui normal-
mente facciamo riferimento. vero che le tecnologie digitali pro-
seguono lungo la linea dellindiscernibilit e dellambiguit che era
gi stata espressa dallimmagine elettronica, ma linsieme dei rap-
porti che sintrecciano tra dispositivi, supporti e installazioni spet-
tatoriali a creare una nuova, anzi, tante nuove immagini, frutto di
mescolanze, ibridazioni, contaminazioni. Esistono immagini di par-
tenza e immagini darrivo, nel mezzo pu verificarsi una traduzione,
una manipolazione, una rimediazione
17
pi o meno trasparente.
Proseguendo nel gioco di acquisizioni e perdite, la nuova im-
magine digitale acquisisce il controllo complessivo e perde il punto di
vista particolare. La singolarit dello sguardo diventa una parzialit
estorta metonimicamente ad una pluralit di fatto ingestibile. La
natura numerica della nuova immagine, la rende controllabile, ma
anche continuamente implementabile, modificabile dagli spettatori
autori, interattiva, aperta. Dal punto di vista teorico, essa molto
vicina alla concezione di rizoma proposta da Gilles Deleuze e Felix
Guattari, ovvero unimmagine pensata come carta aperta:

17
Cfr. JAY D. BOLTER, RICHARD GRUSIN, Remediation. Competizione e inte-
grazione tra media vecchi e nuovi, Milano, Guerini Studio, 2002.

Vincenza Costantino 438
La carta aperta, connettibile in tutte le sue dimensioni, smontabile, re-
versibile, suscettibile di ricevere costantemente modificazioni. Pu essere
strappata, rovesciata, adattarsi a montaggi di ogni natura, essere messa in
cantiere da un individuo, un gruppo, una formazione sociale. La si pu
disegnare sopra un muro, concepirla come unopera darte, costruirla come
unazione politica o come una meditazione. Forse uno dei caratteri pi im-
portanti del rizoma consiste nellessere sempre a molteplici entrate []
18
.

Limmagine digitale, nellopera multimedia, supporto invisibile
e materiale insieme, superficie percorribile, reversibile e interamente
dominabile, su cui si pu esercitare un controllo totale, numerico ap-
punto. Cambia la materia di cui sono fatte le immagini (non pi
continua ma discreta), ma soprattutto cambia la questione dello sguar-
do: la molteplicit di entrate significa anche abdicare alla possibilit
daccesso dallentrata principale. Lacquisizione del controllo punto
per punto pu implicare la cancellazione del profilmico (non serve
unimmagine di riferimento, basta un codice binario per produrla), e
anche lindebolimento del punto di vista del regista (non serve un
punto di vista privilegiato, basta sceglierne uno tra quelli proposti
dalla macchina). Questultima perdita si amplifica, o si compensa,
con la possibilit dellinterattivit (non serve unimmagine finita, data
una volta per tutte, basta proporne una tipologia su cui gli spettatori
autori possano intervenire a piacimento). Con la tecnologia digitale

on peut sapprocher dune image, sen loigner, en faire le tour, la regarder
de profil, par derrire, lui tendre un miroir dans lequel elle se ddouble, la
faire entrer et sortir du cadre comme si on panoramiquait sur elle, de droit
gauche ou de bas en haut ou inversement, la prendre aussi en contre
plonge ou en plonge, au grand angle ou une autre focale moins dfor-
mante. Exactement comme avec une camra. Mais sans camra. Ces ima-
ges sont littralement des images sans camra
19
.

Limmagine sans camra a cui fa riferimento JeanPaul Fargier
pu essere anche unimmagine senza profilmico, e incarnare cos la
cosiddetta immagine di sintesi. Ma, questa, solo una delle im-
magini possibili create con tecnologia digitale, quella che potremmo
definire geneticamente digitale, quella delle simulazioni, degli
screensaver, della computer graphics. Prima, intorno e dopo lim-
magine di sintesi esiste tutta la costellazione della digitalizzazione di

18
GILLES DELEUZE, FELIX GUATTARI, Mille plateaux. Capitalisme et schizo-
phrnie, Paris, Les Editions de Minuit, 1980, trad. it. Rizoma. Millepiani. Capita-
lismo e schizofrenia. Sez. 1, Roma, Castelvecchi, 1997, p. 29.
19
JEANPAUL FARGIER, op. cit., pp. 9899.

Regimi dellimmagine elettronica 439
immagini preesistenti, fisse o in movimento (disegno, pittura, foto-
grafia, film, video). Distinguere diventa difficile, poich alla fine del
processo produttivoriproduttivo, entrambe le tipologie si offrono
nella loro scintillante numericit.

Sur lcran de lordinateur, limage numrique se prsente sous laspect
dune matrice deux dimensions de points lmentaires lumineux et
colors les pixels concidant exactement avec une matrice numrique
dite mmoire dimage qui contient les valeurs mathmatiques
(couleur et lumire) attribues aux pixels. Le pixel fonctionne ainsi comme
une sorte dchangeur entre limage et le nombre et permet le passage dans
les deux sens de lun lautre.
Il esiste deux mthodes pour crer une image numrique. Soit partir dun
calcul et traduire les nombres en image, limage est dite alors de synthse;
soit partir dune image dj existante (dessin, peinture, photographie, films,
vido) et la traduire en nombres au moyen dinterfaces appropries (scan-
ner, camra numrique): on parle dans ce cas dimage numrise. Les deux
types dimages cohabitent souvent sans quon puisse habituellement distin-
guer leurs origines
20
.

Nella coabitazione dei due prodotti digitali, limmagine di sintesi e
quella digitalizzata, lindistinguibilit non deve assurgere ad omo-
geneit ontologica, poich se nel primo caso limmagine nasce
digitale, nel secondo limmagine diviene digitale grazie ad una sor-
ta traduzione (dal continuo al discreto), ad una rimediazione.
Allepoca della riproducibilit tecnica, la riproduzione non solo
lopera finita (con o senza restituzione del profilmico), ma appartiene
ed anche contenuta nel processo che la determina e che partecipa
della sua estetica. Il buono o cattivo funzionamento del dispositivo
condiziona lopera, ne partecipa esteticamente, la determina nellatto
stesso della produzione/riproduzione. Cedendo una parte di respon-
sabilit creatrice alle macchine, il processo di produzione acquista un
nuovo significato, diventa importante quasi come genesi e creazione
visibile, mostrabile dellarte, rivoluzionando i rapporti tra il funzio-
namento e il prodotto, la situazione e limmagine, il processo e log-
getto darte. Soprattutto nellarte video e multimedia, e in particolare
nelle videoinstallazioni realizzate con luso di immagini in diretta, nel
live film, nella performance e body art, le fasi solitamente distinte nel
processo di creazione del film (profilmico, produzione, postpro-
duzione), si sovrappongono in uno stratificarsi indistinto e simulta-
neo.

20
EDMOND COUCHOT, NORBERT HILLAIRE, LArt numrique. Comment la techno-
logie vient au monde de lart, Paris, Flammarion, 2003, p. 23.

Vincenza Costantino 440
Il panorama delle arti audiovisuali ormai troppo vasto e
complesso per pensare a delle specifiche immagini (cinemato-
grafiche, elettroniche analogiche e digitali) corrispondenti ad altret-
tante arti, o prevedere ognuna di queste singole arti in un rapporto
oppositivo con le altre, o immaginare una prospettiva cronostorica in
cui al progresso tecnologico corrisponde un avvicendamento di ben
determinate pratiche artistiche. Gli approcci danalisi pi fertili pro-
cedono per confronto e mtissage. Ogni parametro audiovisuale, ogni
processo produttivo, ogni qualit, ogni specificit, sono stati acquisiti
dai nuovi dispositivi di produzione e trasmissione audiovisiva, rima-
neggiati, trasformati, e talora rigettati.
Dal momento della nascita del dispositivo elettronico analogico
prima e di quello digitale poi, le cose si sono ulteriormente com-
plicate poich spesso i prodotti audiovisivi vengono fruiti in supporti
non corrispondenti a quelli per i quali sono stati concepiti e realizzati.
Cos, ad esempio, limmagine cinematografica ed elettronicoanalo-
gica diventano serbatoi dimmaginioggetto, riserva inesauribile a cui
la tecnologia elettronicodigitale attinge a piene mani per ricreare,
rimediandole, immagini nuove. Ma proprio su cosa sia unim-
magine nuova che occorre interrogarsi, affinch il semplice rema-
ke tecnologico non sia eletto automaticamente, e acriticamente, a ga-
rante dello statuto di novit dellimmagine a venire.
importante ritornare al medium originale e indagare i motivi che
spingono un artista a scegliere un determinato processo creativo e
produttivo. Non condividiamo il punto di vista di Lev Manovich che
indica la traduzione dei media preesistenti in dati numerici come una
conversione di tutti i media in nuovi media. Alcuni parametri
linguistici continuano a condurre al medium originale, il delitto non
mai perfetto, il remake rimanda ad una versione originale preesi-
stente e sottointesa.

In un remake tecnologico del complesso di Edipo, il figlio uccide il padre. Il
codice iconografico del cinema deve cedere il posto al pi efficiente codice
binario. Il cinema diventa cos schiavo del computer. (...) I media e il
computer il dagherrotipo di Daguerre e la macchina analitica di Babbage,
la macchina cinematografica dei Lumire e il tabulatore di Hollerith si
fondono. Tutti i media preesistenti vengono tradotti in dati numerici,
accessibili al computer. Ed ecco il risultato: grafici, immagini in movimento,
suoni, forme, spazi e testi diventano computabili, diventano, cio, degli
insiemi informatici. In sintesi, i media diventano i nuovi media
21
.

21
LEV MANOVICH, Il linguaggio dei nuovi media, cit., p. 44.

Regimi dellimmagine elettronica 441
Non basta digitalizzare un vecchio media per ottenerne uno nuovo,
soprattutto se il vecchio continua ad essere riconoscibile, e ad
esercitare un suo fascino, a preservare un suo immaginario, dallin-
terno del nuovo media. Dallarrivo della tecnologia digitale, utilizzata
tantissimo per la conservazione e larchiviazione di documenti, opere,
testi, fotografie, suoni ecc., bisogna chiedersi, ancora una volta, cosa
si perde e cosa si acquista attraverso la digitalizzazione di opere dar-
te concepite inizialmente per supporti altri. Anche la rimediazione pi
diffusa e a cui siamo pi avvezzi, quella che prevede la trasmissione
televisiva dei film girati in pellicola e pensati per le sale cinemato-
grafiche implica una trasposizione che solleva non pochi quesiti:

Un film una successione di fotogrammi a occhio nudo, in scorrimento.
Nel video, materialmente, non c pi immagine, ma un segnale elettrico in
se stesso invisibile che spazza venticinque volte al secondo le linee di un
monitor. Siamo noi che ricomponiamo limmagine. Tutti gli elementi del-
limmagine cinematografica sono registrati istantaneamente e in blocco:
un tuttuno. La trasposizione di unimmagine luminosa in segnale elettrico
nella telecinematografia (il procedimento di registrazione video di un film
per il cinema) si effettua punto per punto. Successivamente, il tubo analiz-
zatore scomporr limmagine video per mezzo dellanalisi degli elementi
per linea e retino. Ogni elemento o segnale video costituisce uninforma-
zione. Limmagine video non pi una materia ma un segnale: per essere
vista deve venire letta da una testina di registrazione
22
.

Accade che, con le parole di Rgis Debray, pur nellambito di una
descrizione tecnica, si avverte la portata teorica della trascrizione in
segnale dellimmagine video della materia dellimmagine cine-
matografica (oggi in genere si preferisce parlare di immagine con-
tinua versus immagine discontinua o discreta per definire la spe-
cificit tecnica del cinematografico rispetto lelettronicodigitale): si
avvera un cambiamento dello statuto ontologico, non un semplice
progresso tecnologico. Le conseguenze di ogni rimediazione si riflet-
tono sulla natura stessa dellimmagine. Un tale cambiamento visi-
bile tanto nella registrazione video di un film per il cinema, quanto
nel processo di digitalizzazione di unimmagine analogica. Bernard
Stiegler si pone, infatti, in maniera problematica nei confronti della
discretizzazione del continuo e, soprattutto, nei confronti della foto-
grafia digitale, vera e propria immagine contraddittoria: fusione del-
lelemento fotografico (che rimanda ad un profilmico stato) con

22
RGIS DEBRAY, Vita e morte dellimmagine. Una storia dello sguardo in
Occidente, Milano, Editrice il Castoro, 1999, p. 226.

Vincenza Costantino 442
lelemento digitale (che rimanda allassenza del profilmico). Come
pu unimmagine essere fotografica e digitale nello stesso tempo?
Stiegler chiama in causa la brillanza barthesiana, e definisce una
(nuova?) immagine analogicodigitale.

Questa discretizzazione intacca radicalmente la catena della luce memo-
riale, la brillanza barthesiana, e dunque la credenza che nutriamo rispetto
allimmagine, poich solo questa catena e il sapere intuitivo che ne ab-
biamo inducono questa credenza. Tuttavia, la discretizzazione la intacca so-
lo fino a un certo punto, e qui sta tutto linteresse. La catena di luce memo-
riale non assolutamente rotta, essa piuttosto allacciata diversamente
altrimenti non ci sarebbe pi foto, non si potrebbe parlare di fotografia
digitale, si direbbe di avere a che fare con limmagine di sintesi. Ora, c la
fotografia, ed digitale, cio c luce di giorno e di notte. E insieme, c
incertezza sul tatto: le brillanze analogicodigitali hanno davvero toccato la
lastra sensibile un giorno? Al tempo stesso so che queste hanno dovuto
toccare, ma non ne sono sicuro: fino a che punto queste hanno toccato la
lastra? Quale punctum mi tocca negli effetti?
23

La luce di giorno e di notte chiede di essere guardata con occhi
nuovi, necessita di nuovi strumenti della visione. Il processo di
discretizzazione, nella sua riconoscibilit numerica, lascia intravedere
un continuo su cui si agito e, che sia il mondo reale o che sia
unimmagine analogica, si tratta di un profilmico non pi affidabile.
La conseguenza di ogni rimediazione, di ogni riflessione provocata da
unimmagine ibrida eletta ad immagine nuova della con-
temporaneit attiene alla messa in crisi dello sguardo dello spet-
tatore. Limmagine analogicodigitale fa coabitare lessere digitale
come insinuazione del dubbio relativo al potere di certificazione della
realt attraverso le immagini si gravita in quella fine della
centralit della vista nei processi di ricognizione del reale, morte della
priorit dello sguardo nella rete di relazioni fra il corpo e il mondo
24

riconoscibile nel cinema della postmodernit con lessere ana-
logico come possibilit di speranza nel mantenimento della catena di
luce memoriale che lo spettatore contemporaneo non vuole, almeno
non ancora, rompere.


23
BERNARD STIEGLER, Limmagine discreta, in J. DERRIDA, B. STIEGLER, Eco-
grafie della televisione, Milano, Raffaello Cortina, 1997, p. 175.
24
GIANNI CANOVA, Lalieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema con-
temporaneo, Milano, Bompiani, 2000, p. 2.

DONATA CHIRIC

Avere la testa sulle spalle: una questione di orecchio



Ludito specificamente autoriflessivo: esso sente, ripete e
riproduce tutto fino ai mutamenti pi intimi; il senso della
coscienza e dellintelligenza, vale a dire di quella facolt per
eccellenza per mezzo della quale lessere che pensa padrone dei
comportamenti che mette in atto. Tutti gli altri sensi possono
supplire ludito quando si tratta di rappresentare qualcosa;
nessuno pu sostituirlo quando si tratta di riconoscere e capire
ci che accade dentro di noi
M-.F-.P. MAINE DE BIRAN,
Memoria sulla scomposizione della facolt di pensare, 1804

Io ho. Chi io. propriamente la questione, la vecchia
questione: chi il soggetto dellenunciazione, sempre estraneo al
soggetto del suo enunciato di cui inevitabilmente lintruso e
tuttavia necessariamente il motore, la leva o il cuore?
J.-L. NANCY, Lintruso, 2000



1. Il silenzio dellHomo habilis

innegabile che ognuno certo di sapersi rappresentare la propria
immagine corporea. Se ci viene chiesto (e per la verit anche se non
ci viene chiesto), chiunque di noi in grado di dire che la testa sta
sopra il collo e che le braccia vi stanno sotto, che il busto sta sopra le
gambe e che le caviglie stanno sotto le ginocchia. Tuttavia, e senza
voler per questo estendere il sano senso del dubbio a ci che
propriamente d luogo allesistenza (NANCY 1992: 16), la cono-
scenza propriocettiva del corpo, vale a dire la nostra coscienza pri-
maria (EDELMAN 1990; 2004), il risultato di un sofisticatissimo in-
sieme di processi (sensoriali, mnestici, neuromuscolari, emozionali,
addirittura traumatici) con una lunghissima storia filogenetica, spesso
da rileggere alla luce dellontogenesi, e tale da rendere quella cer-
tezza molto meno evidente e fisiologica di quanto potrebbe sem-
brare in prima istanza. Del resto, in questo consiste la significativa
lezione di quella straordinaria quanto minoritaria stagione della neu-
ropsicologia che fa capo a Joseph Babinski, Aleksandr Lurija (il
Lurija di Un mondo perduto e ritrovato pi che di Le funzioni corti-
Bollettino Filosofico 22 (2006): 443-453 443
Donata Chiric 444
cali superiori delluomo) e Julius Bernstein e grazie alla quale stato
possibile intravedere la possibilit di fondare una teoria biologica
della coscienza che componga insieme identit, memoria e
spazio (SACKS 1991: 232) e tenga conto che ogni nostra perce-
zione si riferisce sin dallinizio ad un s (ivi: 236) e, infine, che
nel cervello non c alcuna rappresentazione stabile della nostra
immagine corporea. In effetti, questultima dipende da ci che il
nostro corpo propriamente vive, ovvero da ci che con il nostro corpo
ci facciamo o non facciamo, piuttosto che da ci che esso fun-
zionalmente abilitato a fare.
E cosa ci facciamo con il nostro corpo? Prima di tutto ci parliamo.
Tale affermazione pu essere declinata in vari modi e, fra questi,
almeno alcuni vanno messi in evidenza in questa sede: il corpo pro-
priamente il primo significante di cui disponiamo. Esso parla prima
ancora che appaia il linguaggio e continua a farlo anche dopo la sua
apparizione. Lo fa grazie al suo armamentario di gesti e toni e lo fa
spesso lo dimentichiamo sviluppando patologie che la medicina ha
provveduto a contenere con stravaganti capi di abbigliamento, un
tempo molto alla moda negli ospedali psichiatrici, e usciti di scena
solo per fare posto alle pi subdole forme di ottundimento psichico
della biochimica. Andando oltre, c da considerare che parlare
unattivit fisica in senso proprio (passibile del resto di una edu-
cazione specifica, come nel caso degli attori) prima ancora di essere
unattivit mentale e simbolica. Perch si parli c bisogno di essere
in grado di respirare e muovere i muscoli dellapparato fonatorio e,
circostanza ancora pi importante, c bisogno che tutto lorganismo,
compresa la pelle, che selettivamente sensibile al suono (TOMATIS
1991: 122), aderisca a questa specifica forma di uso abile del corpo.
Daltro canto, il linguaggio non pu cominciare a svilupparsi fino a
quando non stato raggiunto un certo livello di maturazione e di ac-
crescimento fisico (LENNEBERG 1967: 182). Da un punto di vista filo-
genetico, laffermazione del linguaggio verbale stata resa possibile
da un insieme di trasformazioni che negli ominidi ha riguardato la
forma del corpo nonch la struttura delle cellule nervose, la riorga-
nizzazione anatomica delle diverse regioni del cervello (in particolare
a partire da Homo habilis) e il progressivo incremento del suo volume
(50% in Homo habilis rispetto agli australopiteci, 7080% in Homo
erectus, 100% in Homo sapiens). Del resto, le prime manifestazioni
di cultura materiale vengono fatte risalire gi allHomo habilis e co-
incidono con il periodo in cui il primo incremento allometrico del
Una questione di orecchio 445
cervello divenne apprezzabile (TOBIAS 1991: 116). In effetti, dopo
aver dato prova in maniera continuativa e consolidata (ivi: 115) di
essere capace di fabbricare utensili, lHomo habilis si afferma come il
primo architetto della storia rivelandosi in grado di erigere un riparo
di pietre (linsediamento stato ritrovato ad Olduvai, in Tanzania Set-
tentrionale) tra cui alcune addirittura colorate (ivi: 116).
Nel corso del processo di ominazione, che per taluni (GESCHWIND
1965) ha implicato la comparsa di una struttura encefalica intera-
mente nuova e tipicamente umana (il lobo parietale), specializzata
nellintegrazione complessa delle informazioni provenienti da vista,
udito e tatto, vale a dire di quel genere di attivit che rappresentano
un prerequisito (TOBIAS 1991: 103) per lacquisizione del linguag-
gio, due sono stati le modificazioni anatomofunzionali pi signi-
ficative: la comparsa dellandatura eretta (pi o meno due milioni di
anni prima della parola) e lasimmetria funzionale dei due emisferi
cerebrali. Di recente, nel corso di uno studio sulla cosiddetta sin-
drome unertan, i cui sintomi principali sono rappresentati dallas-
senza di una deambulazione bipede, gravi ritardi mentali e un uso
molto primitivo del linguaggio (TAN 2005: 250), stato suggerito che
la transizione dallHomo habilis allHomo erectus non rappresenta il
risultato di una puntuale evoluzione, bens di una mutazione
genetica (ivi: 253) e che il tipo di intelligenza e di linguaggio
sviluppato dalluomo una propriet emergente del sistema
motorio (ibidem). Bisogna dire che gi Eric Lenneberg non aveva
escluso la possibilit che alcuni principi specifici di
categorizzazione e di ricombinazione, che incontriamo di continuo sia
nella percezione della parola che nella sua produzione [], siano
modificazioni di principi fisiologici che compaiono nella
coordinazione motoria (1967: 261). Ora, che ci sia stato o meno un
gene che ha indotto la stazione eretta, quello che certo che essa
appare dopo che il cervello dellHomo habilis (che precede lHomo
erectus) era stato protagonista di una decisa espansione del
cervelletto, dei lobi frontali e parietali e di una vera e propria
accentuazione di due regioni corticali: larea di Broca e larea di
Wernicke (TOBIAS 1991: 159).
La circostanza molto interessante in quanto dimostra che le stes-
se aree cerebrali che da l a qualche milione di anni si sarebbero spe-
cializzate nel controllo di quella forma di motilit fine richiesta dalla
produzione e dal riconoscimento del linguaggio verbale e nel caso
dellarea di Wernicke dallautocoscienza che ne deriva, sono ope-
Donata Chiric 446
rative molto tempo prima della comparsa della parola e ne sono,
quindi, condizione necessaria ma non sufficiente. Bisogna dire che
proprio sulla base della comprovata esistenza di queste due aree, nel-
lambito della paleoantropologia stato sostenuto che possibile re-
trodatare la nascita del linguaggio a due milioni di anni fa (TOBIAS
1991: 136). Tuttavia, difficile immaginare che questo sia potuto
accadere senza il corredo anatomico necessario a produrre suoni arti-
colati che, come noto, non era posseduto nemmeno dal pi giovane
uomo di Neanderthal (LIEBERMAN 1975: 251). Se escludiamo, quin-
di, la possibilit che lHomo habilis avesse un linguaggio, c da chie-
dersi che cosa questultimo se ne facesse di due regioni cerebrali qua-
li larea di Broca e larea di Wernicke. Larea di Broca era ed una-
rea di controllo della motilit volontaria ed abbastanza semplice im-
maginare che, allora come oggi, servisse tra laltro a muovere quegli
arti anteriori che di fatto si comportano gi come delle mani (produ-
cono utensili). Dal nostro punto di vista, una grande attrattiva eser-
citata, invece, dal fatto che un essere silenzioso possedesse nella sua
dotazione di base larea di Wernicke, vale a dire quella porzione di
corteccia uditiva oggi specializzata nel riconoscimento dei significati
linguistici e nei processi di autocoscienza che ne derivano. In effetti,
se leggiamo questo dato associandolo al fatto che laltro importante
protagonista dellencefalizzazione dellHomo habilis fu il cervelletto
(normalmente deputato allintegrazione sensomotoria che garantisce
lequilibrio), ne possiamo dedurre che il processo di ominazione
prende il via allinsegna della supremazia dellattivit dellorecchio in
quanto organo dellequilibrio e dellascolto. Questo punto di vista
prevede di guardare alla nozione di fondamento biologico del lin-
guaggio attraverso un approccio che tenga conto delle raffinate forme
di integrazione che esistono fra sviluppo del sistema nervoso e attivit
della periferia. In questo senso rimette al centro il corpo e, per cosi
dire, indebolisce il punto di vista che potremmo definire neuro
centrico e encefalocentrico e ci spinge a ribadire non solo quanto
ludito sia importante per lacquisizione del linguaggio verbale (cosa
che la secolare storia di minorit dei sordi ha ampiamente dimostrato)
ma a cominciare a riflettere sullestensione qualitativa e quantitativa
dellinfluenza di una facolt sensibile senza la quale la natura uma-
na non sarebbe tale. Se il linguaggio verbale il limite biologico
cognitivo entro e grazie al quale quotidianamente mettiamo a frutto la
nostra storia di animali sociali umani, allora ludito che tanto
filogeneticamente quanto ontogeneticamente rende possibile linstau-
Una questione di orecchio 447
rarsi di questa inattesa forma di comunicazione qualcosa di pi
di un mero fondamento biologico del linguaggio. La sua storia evolu-
tiva e la sua fisiologia dimostrano che nella vita di ognuno di noi
ludito rappresenta un vero protagonista. Obbligato per natura ad
essere sempre operativo ( attivo quando dormiamo, quando stiamo
in silenzio, quando ci muoviamo, quando stiamo fermi, quando an-
cora non siamo al mondo), lapparato uditivo si sobbarca di un lavoro
per assicurare il quale si mobilita tutto il sistema nervoso
(TOMATIS 1990: 321), e lio corporeo.


2. Tanto rumore per nulla?!

Uno dei fattori che rende ludito una facolt speciale la sua ori-
ginaria commistione con funzioni diverse dal riconoscimento dei
suoni. Originariamente lorecchio non era quel sofisticatissimo mezzo
di analisi dellinformazione acustica che oggi, ma lapparato che
sovrintendeva allorientamento, allequilibrio ed allattivazione della
corteccia cerebrale (TOMATIS 1990: 192). Dal punto di vista della sua
filogenesi ludito intrattiene un rapporto privilegiato con le funzioni
motorie e con lapparato per eccellenza del movimento: il cervello.
Passando allontogenesi, la storia dellorecchio si fa ancora pi
interessante. La prima parte dellapparato uditivo a prendere forma
durante la vita uterina il vestibolo, dispositivo da cui dipende tutto
il corpo motorio statico e dinamico (1987: 133) e, quindi, il tono
muscolare, quel precursore primitivo del comportamento del resto
presente in stadi precoci della vita embrionale (LENNEBERG 1967:
15). Non un caso che il momento in cui lorecchio interno rag-
giunge la sua maturit (attorno alla met del quarto mese di gravi-
danza) coincide con lavvio del processo di mielinizzazione e, quindi,
di effettiva trasmissione di segnali dalla periferia al centro e viceversa
(TOMATIS 1996: 148). Immediatamente dopo lapparato vestibolare
appare la coclea, componente dellorecchio interno specificamente
dedicata alla funzione uditiva, ovvero specializzata nel misurare
spostamenti di ordine infinitesimale come quelli dei suoni (1987:
127). La precoce apparizione degli apparati vestibolare e cocleare,
nonch lintensissima attivit sensomotoria di cui sono protagonisti,
ha come conseguenza che il nostro sistema nervoso inizia la sua vita
allinsegna del suono e del movimento. In questo senso possibile
sostenere che lattivit dellorecchio rappresenta quella matrice fissa
di processi sensomotori (LENNEBERG 1967: 31) sulla base della
Donata Chiric 448
quale viene declinato il nostro istinto del linguaggio e la conoscenza
propriocettiva del corpo.
Tenuta a battesimo dalle percezioni uditive e dai riflessi attivati
dal vestibolo, la nostra prima rete neurale processa informazioni che
la memoria a lungo termine conserva gelosamente e alle quali attinge
in condizioni estreme e, per cos dire, di confine. Sprofondati in una
dimensione in cui possibile ascoltare senza che sia possibile comu-
nicare o dire che si esiste (VAN EECKHOUT 2001: 155), le prime rea-
zioni che i soggetti in stato vegetativo mostrano nei confronti del
mondo sono provocate da stimoli sonori. Essi sono sensibili ai suoni e
soprattutto alle voci. Reagiscono ai rumori per mezzo di movimenti
oculari percepibili al di sotto delle palpebre chiuse o, ancora, per
mezzo di movimenti isolati del corpo: un leggero spostamento del
ginocchio, la contrazione di un muscolo (ivi, 167). Entrando poi nel-
linafferrabile universo degli autistici, scopriamo che una lenta sti-
molazione vestibolare, effettuata su unaltalena che si muove a inter-
valli di 56 secondi, un metodo efficace per dipanare la confusione
sensoriale di cui questi soggetti sono vittima e calmare il loro intri-
cato sistema nervoso (GRANDIN 1995: 75). Tornando molto indietro
nella nostra storia ontogenetica di animali umani parlanti, abbiamo
modo di scoprire che non solo ludito attivo in utero in tempi
precocissimi, ma selettivamente sintonizzato sulla gamma di fre-
quenze occupata dalle voci femminili (da 2.000 hertz in poi).
Tenendo conto dei correlati anatomici e degli imperativi fisiologici
dellorecchio dellembrione e del feto, stato dimostrato che esso
scarta filtrandoli una serie di suoni che pure gli stanno molto vicini
(quelli prodotti dalle viscere, ad esempio) per concentrarsi sul-
lascolto della voce della madre e del suo ritmo cardiaco e respi-
ratorio (TOMATIS 1990: 327). In particolare, la voce materna costi-
tuisce un modello di costanza, ritmicit e musicalit intorno al quale
si organizzeranno le prime rappresentazioni del neonato (MANCIA
2004: 32) e, quindi, un porzione significativa (ovvero quella emotiva
ed affettiva) di ci che oggi viene definita memoria implicita o non
dichiarativa (SQUIRE 1994). Per quanto sia stata estremamente
combattuta nel passato, molti risultati sperimentali sono venuti in
soccorso di questa teoria. Una corposa batteria di esperimenti ha
ormai dimostrato che un feto riconosce e preferisce la voce materna
ad altre voci e che in grado di distinguerla anche se questa gli viene
fatta ascoltare a frequenze altissime. Nei primi dieci giorni di vita,
ovvero nel periodo in cui la tromba di Eustachio conserva liquido
Una questione di orecchio 449
amniotico e, quindi, lorecchio medio mantiene il suo originario stato
acquatico, un bambino chiamato per nome mostra reazioni in termini
di motilit solo se a farlo la madre (THOMAS 1954). Daltro canto, il
fascio di fibre nervose proiettate nellarea temporale destinata alla
ricezione uditiva mielinizzato gi al momento della nascita (TOMA-
TIS 1996: 148).
Una particolare competenza stata riscontrata nella capacit di
risposta corporea al suono. Bambini ancora senza linguaggio ma
udenti, sottoposti allascolto di suoni che ricostruiscono lambiente
uditivo uterino, mostrano una mobilit straordinaria del viso che si
anima in particolare al livello delle labbra le quali si allungano in un
gesto di suzione (TOMATIS 1991: 59). Questo fenomeno pu essere
spiegato a partire dalloriginalissima morfogenesi dellorecchio la
quale procede allinsegna dellassenza di qualsiasi unit di sviluppo.
Orecchio interno, medio ed esterno differiscono tanto per la crono-
logia della loro formazione quanto per lorigine dei tessuti. Andando
ancor pi nello specifico, c da dire che gli ossicini derivano da
tessuti differenti. Il martello e lincudine si trovano progressivamente
delineati a partire dalla cartilagine detta di Meckel che sostiene il
primo degli archi branchiali che delimitano da ciascun lato lestremit
encefalica dellembrione, mentre la staffa nasce dal secondo arco, a
partire dalla cartilagine di Reichert. Questa doppia origine un av-
venimento importante e spiega molti dei nostri meccanismi di rea-
zione psicomotoria. Dal primo arco nasce la mascella inferiore con
tutti i suoi attributi muscolari, vascolari e nervosi. Il secondo arco si
trova sempre pi coinvolto nella formazione dei tessuti del viso al
punto che la mimica facciale risulta essere funzionalmente legata al
nostro specifico modo di sentire, vale a dire di percepire ed integrare i
suoni. Questo significa che la bocca e la parte pi esterna del-
lorecchio medio formano un unico blocco; il viso, e, pi precisa-
mente, la sua muscolatura, ad eccezione delle palpebre, e la staffa e i
suoi muscoli, ne costituiscono un altro. Lorecchio medio nella sua
totalit costituisce, quindi, ununit funzionale, boccafaccia o, me-
glio, boccafacciaorecchio (ivi: 5051).
Al di l di tutte le teorie oggi in auge circa i fondamenti biologici
del linguaggio e della mente, evidente che la singolare storia mor-
fogenetica dellorecchio mostra una cognizione umana che nasce e si
perpetua allinsegna del rapporto neuromuscolare tra ascolto, azione
motoria e schema corporeo. Arcaico e sofisticato insieme di dispo-
sitivi sensibilissimi ad ogni variazione di movimento (utriculo,
Donata Chiric 450
sacculo, canali semicircolari e corrispondenti cellule cigliate) at-
traverso una fittissima rete di fibre nervose (integratore vestibolare e
somatico) imbrigliate alla parte pi arcaica del nostro cervello (il
cosiddetto cervello rettile), il vestibolo controlla i movimenti del
corpo (in verticale e in orizzontale), la postura e la verticalit. Fatta
della stessa materia del vestibolo di cui daltro canto rappresenta
un completamento la coclea opera sulla base di condizioni pre-
disposte da questultimo. Ogni volta che essa si prepara ad integrare o
offrire uninformazione uditiva, vale a dire che si impegna ad
ascoltare in senso proprio, il vestibolo deve crearle in termini di
postura una situazione funzionale favorevole (TOMATIS 1987:
127 ). Ascoltare un atto della volont e ascoltarsi una tardiva e tut-
ta umana acquisizione evolutiva mentre sentire un atto automatico.
Nel normale sviluppo di un individuo, la prima di queste azioni fa ra-
pidamente spazio alla seconda. Prestissimo, cio, il movimento del
bocca, originariamente dettato da automatismi fisiologici, comincia a
produrre suoni che necessariamente mettono al lavoro lorecchio il
quale, a quel punto, d il via a tutte le manovre adattative di tipo
fisiologico, posturale e psichico necessarie al futuro sviluppo del
linguaggio. In questo processo molto importante la comunione
con il corpo. Se, infatti, si separa la testa da questultimo attraverso
un pannello (del tipo di quelli che vengono usati per separare il lato
anteriore di un altoparlante da quello posteriore per migliorarne la
sonorit), ogni azione regolatrice dellorecchio viene annullata: la vo-
ce cambia, perde il suo calore e diventa leggermente aspra; le fre-
quenze gravi scompaiono, il ritmo si accelera, diventa discontinuo ed
indeterminato e la tenuta generale della conversazione ne risulta gra-
vemente compromessa (TOMATIS 1991: 121). Facendo un ulteriore
passo avanti, bisogna tenere conto che ludito funziona selezio-
nando le bande di frequenze in cui maggiormente a proprio agio a
prescindere dalla differenze tonali (ivi: 96). A questo livello esso
capace di distinguere i suoni e, ancor pi, di riconoscere gli scarti e le
variazioni di direzione. In altri termini, lorecchio sembrerebbe dotato
di un diaframma che sa chiudersi a certi livelli per aprirsi selet-
tivamente ad altri (ibidem). Questo diaframma uditivo selettivo si
condiziona allascolto dellambiente e da questo punto di vista deter-
minanti sono le voci con cui si trover in contatto. sulla base di
queste che apprende secondo quali inflessioni si struttura il lin-
guaggio (ivi: 97) e, quindi, lautoascolto. Tale processo tanto
importante e complesso quanto fragile. Qualora venga compromesso
Una questione di orecchio 451
da traumi o conflitti emotivi, pu indurre vere e proprie regressioni
della risposta corporea, psichica e cognitiva allesperienza sonora.
Quello che succede che ci che normalmente funziona sotto il con-
trollo della volont e della coscienza, retrocede allautomatismo di
base e lorecchio torna l dove si sente senza ascoltare (ibidem). A
quel punto resta privo della sua funzione comunicativa per precipitare
nella sua attivit originaria: lindividuazione del pericolo e la messa
in atto di riflessi di difesa. Bambini che abbiano sviluppato in et evo-
lutiva regressioni di questo tipo soffrono di una duplice involuzione
nellacquisizione del linguaggio parlato e dellimmagine del corpo.
Qualora venga chiesto loro di disegnare un uomo essi tracciano per
lo pi figure minutissime (fig. 1) o grossi cerchi senza differen-
ziazione di nessuna parte del corpo (fig. 2).


fig. 1

fig. 2



Donata Chiric 452
Pochissime ore di condizionamento audiovocale per mezzo di
una sofisticatissima macchina inventata da Alfred Tomatis agli albori
dellaudiopsicofonologia e brevettata con il nome di Orecchio elet-
tronico negli anni cinquanta del secolo scorso, ricostituiscono tanto
il parallelismo evolutivo tra linguaggio e immagine corporea quanto
la qualit nellesecuzione dei gesti che danno vita allintegrazione
ed alla rappresentazione grafica di questultima (figg. 3 e 4).


fig. 3


fig. 4
Una questione di orecchio 453
Bibliografia

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Note e discussioni



































RAFFAELE CIRINO

Newton divulgatore di immagini scientifiche



ormai generalmente e storicamente riconosciuto che una delle
epoche pi rivoluzionarie, dal punto di vista scientifico filosofico,
risulta essere quella relativa al diciassettesimo secolo. Questa carat-
teristica fondamentale del Seicento stata affrontata dagli studiosi da
molteplici punti di vista i quali hanno dimostrato, in ogni settore di
indagine, che la dote principale di questo periodo quella di rappre-
sentare un vero e proprio momento di transizione e di svolta dello spi-
rito umano. Tra le immagini pi significative ed efficaci di tale tem-
perie culturale vi sicuramente la metodologia comunicativa adottata
dagli scienziati, la quale accompagnava gli sforzi divulgativi e di vol-
garizzazione delle innumerevoli novit che in ogni ambito specu-
lativo si sviluppavano in maniera frenetica. da questa particolare
angolazione che vogliamo tentare di aprire una piccola finestra ana-
litica, nella speranza di fare un minimo di luce su una questione che
creava non pochi problemi alla comunit scientifica del periodo. Co-
me si sa, un primo ostacolo che si presentava agli scienziatiinventori
era la necessit di vincere la prevenzione e i pregiudizi che imbri-
gliavano gli stessi colleghi di ricerca, manifestandosi attraverso una
sorta di oscura resistenza nei confronti di qualsiasi nuova scoperta;
mentre una seconda questione, affatto trascurabile, emergeva dallesi-
genza di coinvolgere in questo fermento scientifico anche il grande
pubblico non sempre predisposto a comprenderne i relativi linguaggi
innovativi.
Un magnifico esempio di tale situazione ci viene suggerito dallo
scienziato pi famoso dellepoca, cio Newton, e da una delle opere
pi importanti e rivoluzionarie per la storia dellumanit come i suoi
Philosophiae Naturalis Principia Mathematica del 1687. Gi dal ti-
tolo si possono intuire alcune nette prese di posizione, rispetto al
passato, relative a precise applicazioni metodologiche riguardo allo
studio e allanalisi del movimento. Una su tutte: la specificazione che
la filosofia naturale (cio la fisica generale), dai cui fenomeni evidenti
bisogna necessariamente partire, deve essere trattata secondo rigide e
rigorose regole matematiche; allinizio del libro terzo, infatti, Newton
afferma:
Bollettino Filosofico 22 (2006): 457-463 457
Raffaele Cirino 458
Nei libri precedenti ho trattato dei Principi della Filosofia, non filosofici tut-
tavia, ma soltanto matematici, a partire dai quali, per, si pu discutere di co-
se filosofiche. Queste sono le leggi e le condizioni dei moti e delle forze, che
si riferiscono massimamente alla filosofia. Tuttavia affinch non sembrassero
vuoti, ho illustrato le medesime con alcuni scolii filosofici, trattando quelle
cose che sono generali, e sulle quali, massimamente, la filosofia sembra es-
sere fondata, come la densit e la resistenza dei corpi, gli spazi vuoti di corpi,
il moto della luce e dei suoni
1
.

La distinzione tra ci che matematico e ci che si deve definire
come fisico viene costantemente ribadita in tutta lesposizione dei
Principia evidenziando che, come era avvenuto nella impostazione
filosoficoscientifica di molti autori del periodo, anche nella rifles-
sione newtoniana si verifica unapprofondirsi di tale separazione la
quale mette in contrapposizione strutturale (ma non metodologica)
due distinte realt: le cose relative e quelle assolute, il fenomenico e
lipotetico, il linguaggio popolare e quello strettamente scientifico. In
entrambi i mondi, tuttavia, lelemento cardine rappresentato dalla
semplicit della comunicazione la quale deve fare necessariamente
leva sulla chiarezza e la fruibilit dei concetti. Anche per tale ragione
il fisico inglese (per sua stessa ammissione) ricorre sovente, in questo
lavoro, a quegli scolii che permettono una migliore illustrazione, per
cos dire edulcorata, dei suoi principi filosofici difficilmente acces-
sibili anche alle menti pi acute. Proprio in riferimento al termine
concetto, bisogna in anticipo rilevare che nelle prime pagine dei Prin-
cipia

Troviamo lespressione concetto matematico come contrapposto al con-
cetto fisico. In effetti, questo ancora il periodo in cui la fisica defini-
zione di una specie o di un modo dazione o una causa o una ragione
viene concepita come autonoma dalla matematica, in quanto questultima
elabora ipotesi mentre laltra ricerca e indica principi e cause prime. Per ave-
re chiaramente lidea di che differenza esistesse nel 600 tra il sostenere

1
I. NEWTON, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (libro III), a c. di A.
Pala, Principi matematici della filosofia naturale, Torino, Utet, 1965, p. 601. Nella
nota relativa a questo brano, Pala afferma: Ho voluto mantenere lespressione latina
res (cosa) invece di ricorrere ai termini italiani pi specifici di materia, argomento,
etc. sia perch ritengo opportuno raggiungere la massima aderenza al testo (come ho
pi volte ricordato), sia perch dal contesto risulta che Newton voleva conservare alla
nozione la massima generalit esprimibile appunto col termine res. Per lo stesso
motivo ho tradotto Philosophia con filosofia pur avendo segnalato al lettore che il
valore semantico di questa espressione corrisponde a fisica generale. Sullargomen-
to, cfr. E. SERGIO, Verit matematiche e forme della natura da Galileo a Newton,
Roma, Aracne, 2006, pp. 299300.

Newton e le immagini della scienza 459
qualcosa matematicamente ed il sostenerla fisicamente, si pensi che leditore
di Copernico, Osiander, aveva stampato il De Revolutionibus con una intro-
duzione in cui la teoria eliocentrica veniva presentata come unipotesi mate-
matica, e quindi innocente ed inoffensiva []. La matematica, pertanto, per
un verso veniva considerata dai vecchi fisici come un gioco intelligente e col-
to, ma staccato dalla realt e come tale senza presa su di essa, per laltro, dai
nuovi fisici come Newton, veniva considerato come lo strumento linguistico
pi adeguato per trattare i problemi di fisica
2
.

Naturalmente pure il linguaggio scientifico rivestiva una duplice
veste: una con la quale venivano presentate le ricerche, la teoria e le
scoperte alla comunit degli addetti ai lavori, e laltra che doveva
favorire linteresse e la comprensione di tali ricerche da parte del
grande pubblico. Anche riguardo a tale tipo di comunicazione, New-
ton risulta essere un attento e prudente divulgatore scientifico.
Per dare una dimostrazione di come nei Principia Newton lavoras-
se a questo fine, rivolgeremo lattenzione ad alcuni dei famosi scolii
di cui parla lautore. Per non dilungarci troppo analizzeremo in parti-
colare il primo importante scolio, che si incontra leggendo il testo del
fisico inglese, e lultimo, quello che in maniera geniale chiude il libro
terzo dei Principia e lintero lavoro (questo epilogo era stato aggiunto
solo nella seconda edizione del 1713 e, non a caso, viene definito
Scolio Generale).
Del primo scolio prenderemo brevemente in considerazione solo il
riferimento al concetto di tempo (per analizzare a fondo una tale
grandezza e le altre che sono presenti nello stesso luogo non baste-
rebbe un libro), il quale per la sua problematica natura concettuale da-
r vita, tra le altre cose, ad uno dei pi suggestivi scambi epistolari
della storia della filosofia, sviluppatosi tra Leibniz ed il portavoce di
Newton, cio Samuel Clarke
3
, dal 1715 al 1716. Vediamo, allora, co-
me la Definizione VIII, ed il relativo scolio in questione, pongono si-
gnificativamente laccento sulle caratteristiche e limportanza della
scelta e delluso delle parole per una giusta procedura comunicativa.

In verit user le parole attrazione, impulso, o propensione di qualcosa verso
un centro indifferentemente e promiscuamente luna per laltra; visto che
queste forze sono considerate non fisicamente ma matematicamente. Per cui,
il lettore si guardi dal credere che io con queste parole abbia voluto definire
una specie o un modo dazione o una causa o una ragione fisica, o che io, se

2
A. PALA, op. cit., pp. 99100 n. 6.
3
I. PRIGOGINE e I. STENGERS, Tra il tempo e leternit, (titolo originale: Entre le
temps et lternit), Torino, Bollati Boringhieri, 1988, pp. 3638.

Raffaele Cirino 460
per caso parler di centri che attirano o di centri muniti di forza, attribuisca le
forze, in un senso reale e fisico, a centri (che sono soltanto punti matematici).
Scolio. Fin qui stato indicato in quale senso siano da intendere, nel seguito,
parole non comunemente note. Non definisco, invece, tempo, spazio, luogo, e
moto, in quanto notissimi a tutti. Va notato tuttavia, come comunemente non
si concepiscano queste quantit che in relazione a cose sensibili. Di qui na-
scono i vari pregiudizi, per eliminare i quali conviene distinguere le mede-
sime quantit in assolute e relative, vere e apparenti, matematiche e volgari
4
.

In questo luogo si mettono in evidenza le distinzioni, di cui si di-
ceva prima, tra la matematica e la fisica tradotte in termini generali e
cio riferite ad alcune quantit che possono dirsi diadicamente mate-
matiche o volgari, vere o apparenti, assolute o ipotetiche. Per cui, si
sottolinea la demarcazione fra parole comunemente note e neologismi
non ancora conosciuti, anchessi appena inventati, allo scopo di espri-
mere nuovi concetti atti a definire originali scoperte scientifiche ed
ambiti teorici altrettanto innovativi. La separazione, come dice lo
stesso autore, serve a risolvere ed eliminare pericolosi pregiudizi. A
tale livello, linteresse di Newton (come il nostro) cade sul concetto
probabilmente il pi aporetico e complesso della filosofia e della
scienza, cio il tempo. Il primo, non a caso, affrontato in questo sco-
lio iniziale dei Principia poich struttura essenzialmente la prima leg-
ge del movimento, cio quella relativa al moto rettilineo ed uniforme,
il quale si dice uniforme proprio perch non soggetto a variazioni di
velocit (accelerazioni) e che quindi necessita nel suo fondamento
dellassolutezza temporale
5
. Il tempo meccanico, infatti, una va-
riabile indipendente che, in quanto non dipendente da altre grandezze,
presuppone il tempo assoluto come giustificazione del concetto stesso
di inerzia. Ma vediamo come viene definito il tempo assoluto, tenen-
do conto della distinzione definitoria di cui sopra.

Il tempo assoluto, vero, matematico, in s e per sua natura senza relazione ad
alcunch di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome chiamato du-
rata; quello relativo, apparente e volgare, una misura (esatta o inesatta) sen-
sibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene
impiegata al posto del vero tempo: tali sono lora, il giorno, il mese, lanno
6
.

4
I. NEWTON, Principi, cit., Def. VIII, pp. 100101.
5
Cfr. A. PALA, op. cit., p. 99 n. 7: lassolutezza dello spazio e del tempo con-
tinua Pala sono fondamentali nella meccanica newtoniana e perci in tutta la fisica
classica fino alla relativit einsteiniana []. Il tempo assoluto rappresenta la giu-
stificazione del concetto di inerzia. Ossia: ancora la natura di questo problema filo-
sofica.
6
I. NEWTON, Principi, Scolio alla Def. VIII, pp. 101102.

Newton e le immagini della scienza 461
Una cosa che bisogna notare, dal punto di vista metodologico,
che questa distinzione essenziale tra tempo assoluto e tempo volgare
viene inserita da Newton solo nella seconda edizione dei Principia
pubblicata nel 1713. La separazione tra i concetti veri che si pos-
sono trattare scientificamente, privi dei pregiudizi della continua
abitudine alle cose sensibili, e le cose che invece si possono espri-
mere secondo un linguaggio popolare, perch volgari ed apparen-
ti, viene ribadita ancora allinizio del libro terzo, intitolato Sistema
del Mondo, nel quale si tenta di estendere lordinamento dei principi e
delle leggi fisiche newtoniane al resto delluniverso fisico. In effetti,
nella prima pagina di questo libro si legge:

Su questo argomento avevo scritto un terzo libro con metodo popolare,
affinch fosse letto dai pi. Senonch coloro che non avessero suf-
ficientemente capito i principi posti, in minima parte avrebbero avvertito la
forza delle conseguenze, e non avrebbero deposto i pregiudizi ai quali sono
stati abituati da molti anni; e, pertanto, affinch la cosa non fosse trascinata in
discussioni, ho trasferito lessenziale di quel libro in proposizioni, secondo il
costume matematico, affinch fossero lette soltanto da coloro che avessero
studiato in antecedenza i principi
7
.

Ora, nonostante Newton si sforzasse, come dice in questo brano,
di tradurre il linguaggio popolare del libro sullastronomia in propo-
sizioni matematiche certe, egli sente la pressante esigenza di inserire
alla fine (anche questa volta, come nel caso delle due diverse carat-
terizzazioni del tempo nel primo scolio, solo nella seconda edizione
dei Principia) uno Scolio Generale in cui il linguaggio viene curio-
samente ritradotto da scientifico a teologico. Esigenza sollecitata
dalleditore Roger Cotes per ribattere alle accuse di ateismo rivolte a
Newton da pi parti ed in particolare da Leibniz. In effetti, gli
elementi fondamentali di questo scolio sono da una parte la famosa
espressione che recita Hypotheses non fingo, la quale sottolinea la
necessit di rimanere ben saldi, nella spiegazione dei fenomeni,
allinterno dei fenomeni stessi e delle proprie cause; mentre dallaltra
si evidenzia come lindispensabile meccanicomonarca che regola e
regge tutto il sistema del mondo altri non se non il supremo Essere
Perfettissimo. Tuttavia, come spiegare [a questo punto] la contrad-
dizione che nasce dallaffermazione contemporanea dellautonomia
della scienza e della presenza di Dio nel mondo?
8
Come mai dopo

7
Ivi, pp. 601-602 (Libro III).
8
A. PALA, Introduzione allo Scolio Generale dei Principi, cit., p. 790. Da sottoli-

Raffaele Cirino 462
aver dato una rigorosa dimostrazione scientifica del mondo per come
esso , senza volerne ricercare il perch, Newton prende palesemente
in considerazione (e forse non solo per ribattere alle critiche di
ateismo), oltre che Dio, le famigerate cause finali? Da tale prospettiva
si deve concludere che

la scienza di Newton una rigorosa descrizione delluniverso cos come esso
. Ed esso stabile ed armonioso tra la creazione narrata da Mos e il
finale annichilimento previsto da Giovanni []. Ma se Dio il legislatore
delluniverso, una interpretazione meccanica (e quindi fondata sulle leggi di
natura) che si estenda fino alla Genesi, non rende superflua limmagine stessa
di Dio? In definitiva, il racconto biblico per Newton espone in modo
popolare fatti reali
9
.

Ma in questo modo evidente che nello Scolio Generale si ritorna
a quel metodo popolare che Newton aveva volutamente tramutato
in metodo matematico perch non vi fossero fraintendimenti di sorta.
E si riaffaccia, sotto mentite spoglie, anche il tema del tempo (in-
sieme a quello dello spazio), che avevamo visto essere, nel primo
scolio, paragone ed esempio determinante della distinzione tra lin-
guaggio matematico e linguaggio volgare, e le cui categorie, in questo
caso, hanno come punto di riferimento esclusivo il Signore Dio del-
luniverso il quale

eterno e infinito, onnipotente e onnisciente, ossia, dura dalleternit in eter-
no, e dallinfinito presente nellinfinito: regge ogni cosa e conosce ogni co-
sa che o pu essere. Non leternit o linfinit, ma eterno e infinito; non
la durata e lo spazio, ma dura ed presente. Dura sempre ed presente
ovunque, ed esistendo sempre ed ovunque, fonda la durata e lo spazio. Poich
ogni particella dello spazio sempre, e ogni momento indivisibile della
durata ovunque, certamente lArtefice e il Signore di tutte le cose sar
sempre e ovunque
10
.

Secondo Pala, la probabile spiegazione di una tale stranezza va
ricercata in ambiti di ordine prettamente storico: da una parte, cio, ci
sarebbe lo scienziato di grande genialit che riesce a cogliere il vero
ordinamento delle leggi che regolano luniverso; mentre dallaltro

neare che lo Scolio Generale era stato elaborato dagli stessi allievi di Newton dopo
luscita della prima edizione.
9
P. ROSSI, Il tempo in Newton e in Leibniz, in Il Concetto di Tempo, Atti del
XXXII Congresso Nazionale della Societ Filosofica Italiana, a c. di G. Casertano,
Napoli, Loffredo Editore, 1997, p. 41.
10
I. NEWTON, Principia, cit., Scolio Generale, p. 793.

Newton e le immagini della scienza 463
troviamo la cifra dellindividuo di quellepoca fortemente condizio-
nato dalla religione e dalla teologia
11
. Tuttavia, questa posizione, si-
curamente veritiera, a nostro avviso forse non coglie tutti i meandri
della paradossale questione. Anche perch questi due aspetti che
caratterizzano il comportamento dellindividuoscienziato del Sei-
cento sono si in opposizione, ma camminano di pari passo e armo-
niosamente, non bisogna dimenticare infatti che Newton era ferma-
mente convinto di vivere nei tempi ultimi della storia e riteneva che
proprio per questa ragione le profezie fossero diventate (almeno ad
alcune persone che Dio ha scelto e fra le quali egli si collocava) com-
prensibili e perspicue. Le profezie e la storia coincidono: la storia
sarebbe finita una volta comprese le profezie ultime
12
.
Ma allora, perch relegare la pregnanza dellaspetto religioso della
sua riflessione solo nello Scolio Generale (per di pi aggiunto nella
seconda edizione dei Principia)? E ancora, perch arrivare quasi a
nascondere questo essenziale aspetto teologico negli scritti privati (la
maggior parte della sua produzione) che non furono volutamente mai
resi pubblici?

Newton ha scritto pi pagine dedicate allalchimia che alla fisica e molte pi
pagine dedicate alla teologia che allalchimia e alla fisica messe assieme.
Richard Popkin disse una volta in modo assai spiritoso: via via che pro-
cediamo nello studio e nellanalisi degli scritti inediti di Newton siamo por-
tati a chiederci: come mai uno fra i pi grandi teologi dellet moderna si de-
dicava anche alla filosofia naturale?
13

Prima di concludere vorremmo esternare unennesima curiosit:
come mai, sempre nello Scolio Generale, quando Newton parla della
gravitazione si riferisce solo a ci che succede nel nostro cielo e nel
nostro mare tralasciando gli effetti che si verificano per la stessa
forza sulla superficie della nostra terra?
14
Non , forse, anche questa
forza di gravitazione presente in cielo, in terra e in ogni luogo (perci
universale), cos come lArtefice e il Signore di tutte le cose pre-
sente sempre e ovunque?

11
Cfr. A. PALA, Introduzione allo Scolio Generale dei Principi, cit., p. 790.
12
P. ROSSI, op. cit., p. 39.
13
Ibidem.
14
I. NEWTON, Principia, cit., Scolio Generale, pp. 796797: Fin qui ho spiegato
i fenomeni del cielo e del nostro mare mediante la forza di gravit, ma non ho mai
fissato la causa della gravit; e nella pagina successiva, verso la fine dello Scolio
Generale: ed sufficiente che la gravit esista di fatto, agisca secondo le leggi da
noi esposte, e spieghi tutti i movimenti del cielo e del nostro mare.






EMILIO MARIA DE TOMMASO

Leibniz e Spinoza.
Rifiuto, scontro o confronto?



Contemporanei e affini. Spinoza e Leibniz vissero nello stesso
tempo, nel cuore di unEuropa intellettuale concentrata sulla scienza
che avanzava e le sue implicazioni filosofiche, tutta intrisa di una
speculazione dirompente, quale quella cartesiana nella sua pro-
blematicit, nonch lacerata da un secolo di guerre di religione, che
ne avevano frammentato lorientamento etico e spirituale. Ma non
solo. Questi due ingegni sublimi e raffinati furono animati da esi-
genze simili, quale ad esempio la ricerca di una fondazione meta-
fisica, che rendesse pienamente conto della realt fisica, superando
limpasse nel quale il cartesianesimo si era arenato, ed in questa dire-
zione spinsero i loro sforzi speculativi, sebbene approdarono ad esiti
in molti casi profondamente diversi.
La prematura morte di Spinoza, nel 1677, purtroppo ha privato la
storia della possibilit di un confronto diretto tra i due pensatori, che
avesse una portata pi ampia rispetto al semplice incontro avvenuto a
LAia nel 1676
1
, che, per quanto proficuo ed interessante, tuttavia vi-
de protagonisti un Leibniz ancora giovane, che se non si pu dire
ignorasse il pensiero del politore di lenti
2
, tuttavia non ne aveva
una piena conoscenza, e uno Spinoza guardingo e diffidente, sebbene

1
In questa occasione Spinoza probabilmente lesse alcune proposizioni della sua
Ethica, illustrando a grandi linee il suo sistema metafisico, e discusse con Leibniz
anche della prova ontologica dellesistenza di Dio, spingendo il giovane pensatore
tedesco a metter per iscritto le sue argomentazioni nel breve Quod ens perfectis-
simum existit. Sullincontro de LAia si vedano G. FRIEDMANN, Leibniz et Spinoza
(1949), Paris, Gallimard, 1962
2
, pp. 7790, S. NADLER, Baruch Spinoza e lOlanda
del Seicento, Torino, Einaudi, 2002, pp. 373 e sgg., ed anche E.J. AITON, Leibniz
(1985), trad. it. di G. Pacini e M. Mugnai, Milano, Il Saggiatore, 1991, pp. 8587.
2
Come noto, i due pensatori ebbero alla fine del 1671 un breve carteggio, di cui
oggi possediamo due sole epistole (cfr. Ep. 4546, pp. 218221), ma opinione
diffusa che esso dovesse esser ben pi cospicuo e che scendesse nellesame delle
dottrine esposte nelliniquo Tractatus, alla luce anche di quanto scriveva Schuller
qualche anno pi tardi, riferendo a Spinoza dellincontro tra Leibniz e Tschirnhaus:
questo stesso Leibniz tiene in molta considerazione il Trattato teologicopolitico, a
proposito del quale dice egli ha scritto a V.S. una lettera, se lo rammentate
(Ep. 70, p. 287).
Bollettino Filosofico 22 (2006): 465-478 465
Emilio Maria De Tommaso 466
affabile e ospitale, nei confronti dellinterlocutore tedesco, che un
amico fidato, quale Tschirnhaus, gli aveva caldamente raccoman-
dato
3
. Quando lentusiasta Leibniz inizi a relazionarsi profon-
damente con le opere di Spinoza, attraverso la lettura degli Opera
Postuma, purtroppo questi era gi morto: non ebbe, dunque, mai
modo di esprimere le sue perplessit al diretto interessato, non ebbe
mai replica ad esse e chiarimento alcuno. E forse si pu dire che sotto
questo punto di vista la storia, in relazione a questo incontro in-
tellettuale, ci ha privato di qualcosa.
Che Spinoza sia stato un forte punto di riferimento, a vario titolo e
a diversi livelli, per Leibniz, nel corso di tutta la sua lunga vita,
appare oggi innegabile, anche alla luce di quanto emerge dalla vasta
corrispondenza leibniziana, che, escluso lo scarno carteggio diretto
fra di loro, sin dal 1669, quando in una famosa epistola a Jacopo
Thomasius Leibniz inserisce in una lista di cartesiani il nome di

3
M. KULSTAD suggerisce di non leggere la relazione che si delinea tra Leibniz e
Spinoza in questo periodo come puramente bipolare, sebbene limmagine dei due
filosofi che conversano da soli a lAia lo lasci intendere, ma come una three
cornered metaphysical dialectic, considerando che in questa fase Tschirnhaus svolge
un ruolo determinante, coi suoi continui scambi con Spinoza che si riflettono
inevitabilmente nei primi confronti di Leibniz col pensiero dellolandese ( Leibniz,
Spinoza and Tschirnhaus: multiple worlds, possible worlds, in S. BROWN (ed.), The
young Leibniz and his philosophy (164676), DordrechtBostonLondon, Kluwer
Academic Publisher, 1999, pp. 245262). Questa amicizia permise al giovane
Leibniz di conoscere alcune tesi dellEthica e la lettera a Meyer del 1663
sullinfinito, di cui Tschirnhaus lo mise a parte malgrado la disapprovazione di
Spinoza, con la quale lettera il giovane tedesco aveva avvertito una profonda affinit
(V. MORFINO, Spinoza contra Leibniz. Documenti di uno scontro intellettuale (1676
1678), Milano, Unicopli, 1994, pp. 101 e sgg.). lo stesso Leibniz a confermarlo nel
breve scritto probabilmente del 1675, intitolato dagli editori dellAkademie di
Berlino ber Spinozas Ethik: Tschirnhaus mi ha raccontato molte cose cose sul
libro di Spinoza []. Il libro sar De Deo, mente, beatitudine seu perfecti hominis
idea, de medicina mentis, de medicina corporis (A VI, 3, p. 384). Sul cambiamento
datteggiamento dellolandese, che nel 1671 era pronto a procurare a Leibniz una
copia del suo Tractatus teologicopoliticus, mentre nel 1675 preferiva non fargli
leggere alcuna pagina della sua opera, si veda Y. BELAVAL, Leibniz. Initiation sa
philosophie, Paris, Vrin, 1993, p. 532. In ogni caso Spinoza si era sempre mostrato
prudente riguardo alla diffusione delle sue idee, emblematica la conclusione del
Breve Trattato, in cui si rivolge ai suoi amici: Poich voi non ignorate neppure la
condizione dellepoca in cui viviamo, voglio ancora insistere, pregandovi di essere
ben attenti per quanto riguarda la comunicazione di queste cose ad altri. Non voglio
dire che dobbiate tenerle unicamente per voi, ma solo che, se mai cominciaste a
comunicarle a qualcuno, non vi spinga alcun altro scopo e motivo che non sia
soltanto la salvezza del vostro prossimo (BT II, concl., p. 114).

Leibniz e Spinoza 467
Spinoza
4
, giunge fino al 1716, pochi mesi prima della sua morte,
allorch ne parla a Bourguet in relazione a Cartesio, denunciandone
per lennesima volta lo scarso rigore nel ragionamento e nelle pretese
dimostrazioni
5
. In mezzo, non solo lincontro presso Spinoza, ma
tutta una serie di piccoli o grandi contatti che il pensatore tedesco
stabilisce, anche indirettamente dopo la morte dellebreo, che per
molti anni quasi si affanna a confutare, vedendosi a volte raggiungere
dallombra lunga del suo pensiero. Ne parla con Malebranche e con i
cartesiani, la cui dottrina spesso accusa di avere quale esito pi empio
lo spinozismo, ma talvolta lo chiama in causa quasi inaspettata-
mente
6
, come se avvertisse il peso di un fardello da cui sgravarsi,
quasi temesse una parentela da rinnegare, prima ancora di essere
riconosciuta. E daltro canto egli stesso ammette di esser stato
sullorlo del precipizio dellopinione di coloro che ritengono tutte le
cose assolutamente necessarie
7
. Talvolta si mostra sprezzante e cau-

4
Cfr. GP I, p. 16. In realt il riferimento a Spinoza compare nella minuta, ma ne
cancellato nella stesura definitiva.
5
Ho notato che Descartes e Spinoza, allontanandosi dal rigore della forma nelle
loro pretese dimostrazioni metafisiche, sono caduti in alcuni paralogismi (GP III, p.
592). Convinzione che Leibniz aveva gi nel maggio del 1678 allorch, appena letti
gli Opera Postuma, scriveva a Tschirnhaus in merito agli scritti spinoziani: Vi
compaiono dei frammenti sullemendazione dellintelletto, ma proprio dove pi mi
aspettavo qualcosa, l finiscono. NellEtica non espone ovunque le sue idee quanto
occorre, come ho potuto osservare a sufficienza. In alcuni luoghi vi sono paralogismi,
il che avviene perch si allontana dal rigore dimostrativo (Scr. Fil., I, pp. 204205).
6
Gi in uno scritto privato del 1686, gli Elementa Rationis, dopo aver criticato
Cartesio ed Hobbes, non mancava di sferrare attacchi nei confronti di Spinoza, che
tuttavia indica, senza mai nominarlo, come novissimus autor (C, p. 344). Si vedano
anche il breve scritto Sulla realt degli accidenti del 1688 (Scr. Fil., I, p. 398) e
laltrettanto breve Origine delle verit contingenti, dellanno successivo (Ivi, p. 421).
Nel 1698 Leibniz scrive il De ipsa natura, in cui espone il suo sistema replicando ad
alcune obiezioni di Sturm; in esso, nel 8, il riferimento a Spinoza chiaro ma non
esplicito, limitandosi a indicarlo come uno scrittore certo sottile, ma profano (Ivi,
p. 513). Il che emblematico perch in questo periodo il filosofo di Hannover pro-
tagonista di una serie di querelles intellettuali e di confronti con personaggi illustri
del suo tempo, da Malebranche a Bayle a Foucher, prevalentemente in merito alla
questione delle cause occasionali e sulla fisica cartesiana, che lo spingono ad esporre
e spiegare il suo sistema dalle pagine dei pi autorevoli journaux savants del tempo.
In questa fase, essere accostati a Spinoza significava attirarsi la condanna di tutta
lEuropa intellettuale. Sar, egli stesso, pi avanti nel medesimo scritto ad utilizzare
lo spinozismo come mezzo per screditare i suoi avversari, sostenitori delle cause oc-
casionali, nel quale sistema, denuncia, ben lungi dallesser accresciuta la gloria di
Dio, la natura stessa sembra esser ricavata da Dio come in Spinoza (Ivi, p. 520).
7
G.W. LEIBNIZ, Sulla libert, la contingenza e la serie delle cause, sulla

Emilio Maria De Tommaso 468
stico, come quando scrive al langravio Ernst von HessenRheinfels,
commentando i giudizi di Arnauld su Spinoza:

A proposito di Spinoza, che Arnauld definisce il pi empio e pericoloso
uomo di questo secolo, egli era realmente ateo, cio non ammetteva alcuna
Provvidenza, dispensatrice secondo giustizia dei beni e dei mali, e credeva di
averne dato dimostrazione. Il Dio di cui fa mostra non come il nostro, non
ha alcun intelletto n alcuna volont. Aveva una divertente opinione
dellimmortalit dellanima, concependo che questa idea platonica del nostro
essere, senza dubbio eterna come quella del cerchio o del triangolo,
costituisse propriamente la nostra immortalit, e che bisognasse cercare di
perfezionarsi in ogni sorta di virt, per lasciare, una volta morti, unessenza
eterna, o idea platonica, quanto pi perfetta. Come se questidea non fosse
gi nella natura, che si cerchi di somigliarvi o no; e come se mi servisse dopo
la mia morte, se non sono pi niente, essermi avvicinato ad una bella idea.
Questi pensieri cos strani sono presentati, nella sua opera postuma De Deo,
in modo tale che si crederebbe che dicano tuttaltro; e, nondimeno, sebbene
faccia gran mostra delle sue dimostrazioni, ben lungi dal possedere larte
del dimostrare, tanto pi che aveva una conoscenza assai mediocre
dellAnalisi e della Geometria. Ci che gli veniva meglio era fare can-
nocchiali e microscopi
8
.

Malgrado ci, il presunto spinozismo di Leibniz costituisce da
sempre uno dei temi pi dibattuti dalla critica, che ora ha inclinato per
uninfluenza diretta soprattutto in merito al panteismo
9
, ora ha

provvidenza (Scr. Fil. I, p. 422). Da questo precipizio scrive Leibniz mi trasse
tuttavia la considerazione di quei possibili che non sono, non saranno, n furono
(Ibid.). F. Piro, secondo il quale questo brano potrebbe esser letto come
lesposizione di un conflitto teorico reale, ma svoltosi in tempi pi lunghi e meno
repentini di quanto non faccia apparire lopuscolo, fa notare che la ragione per cui
esso da sempre riferito a Spinoza risiede nellassonzanza con un passo dei Nuovi
Saggi in cui Teofilo ammette: un tempo mi ero spinto un po troppo lontano e
cominciavo a inclinare verso gli spinozisti (NS I, 1, p. 49), ma in realt non
alluderebbe n a Descartes n a Spinoza, bens ad Hobbes, la cui influenza sul
giovane Leibniz, secondo Piro, appare assolutamente evidente finanche riguardo allo
schema argomentativo della dimostrazione della prima formulazione del principio di
ragione sufficiente, proposta da Leibniz nella Demonstratio Propositionum Pri-
marum del 167172, che identifica la ragione sufficiente dellesistenza di qualcosa
con la totalit dei requisiti, posti i quali, la cosa esiste (F. PIRO, Spontaneit e ragion
sufficiente. Determinismo e filosofia dellazione in Leibniz, Roma, Edizioni di storia
e letteratura, 2002, pp. 410).
8
Traduco da G. FRIEDMANN, op. cit., pp. 126127, che riporta il brano
interamente.
9
Al riguardo si vedano R.M. ADAMS, Leibniz: Determinist, Theist, Idealist,
Oxford, Oxford University Press, 1994, e M. KULSTAD, Did Leibniz incline toward
monistic pantheism in 1676?, in Leibniz und Europa, Internationaler Leibniz

Leibniz e Spinoza 469
individuato una vera e propria dipendenza di Leibniz da Spinoza
10
,
talvolta invece ha visto in questo una soluzione antelitteram dei
problemi posti dal pensiero di quello
11
, talaltra ha scorto una
molteplice tensione da parte di Leibniz nei confronti dellolandese,
diversificata in corrispondenza con differenti periodi della sua vita
12
.
Alcuni hanno visto nellincontro con Spinoza il crinale tra linfanzia
intellettuale e la maturit dellet adulta delle tesi originali
13
. Ma
non manca chi, pur riconoscendo il confronto intellettuale, tuttavia,
ha sostenuto unindipendenza profonda tra i due pensatori
14
.

Kongress, 1994, pp. 424428. In questi lavori i due studiosi indipendentemente
arrivarono ad affermare che il panteismo di matrice spinoziana costituisce uno degli
elementi decisivi della formazione della metafisica del giovane Leibniz.
10
Cos A. GALIMBERTI, Leibniz contro Spinoza, Bene Vagienna, Tipografia F.
Vissio, 1941, che mostra che loriginalit e la radicalit del pensiero di Spinoza ne
facevano un caso unico, tanto da avere molti e illustri discepoli, ma pochi o nessun
precursore (p. 9). Tra questi illustri discepoli egli annovera anche Leibniz, che,
malgrado la sua incapacit di penetrarne la portata fino in fondo, riconosceva in
Spinoza colui il quale aveva avuto il coraggio di trarre le conseguenze di talune
premesse da cui nessuno aveva mai potuto fondamentalmente allontanarsi (ibidem).
Sotto tale riguardo, secondo Galimberti quanto meno era in grado di apprezzare
loriginalit costruttiva di Spinoza, tanto pi egli era schiavo di lui (ibidem).
11
Cfr. V. MORFINO, op. cit., p. 31.
12
L. STEIN, Leibniz und Spinoza. Ein Beitrag zur Entwicklungsgeschichte der
Leibnizischen Philosophie, Berlin, G. Reimer, 1890, indica il periodo tra il 1676 e il
1679 come die Spinoza freundliche periode (cfr. pp. 60110). G. FRIEDMANN
individua tre momenti in cui si scandisce il rapporto tra i due pensatori: dagli anni
che seguirono alluscita del Trattato teologicopolitico, fino al 1680 circa, Leibniz
nutriva per Spinoza un misto dattrazione e di paura, dammirazione e di biasimo, di
curiosit intellettuale e logica e di ripulsa politica e religiosa (op. cit., p. 217);
successivamente, fino al 1706 port avanti una vera e propria campagna anti-
spinozista; quindi negli ultimi anni, i toni, seppur decisi, sfumarono gradatamente.
13
A. ROBINET, Malebranche et Leibniz. Relations Personnelles, Paris, Vrin,
1955, p. 40.
14
C. MERCER sostiene che Leibniz, pur utilizzando spesso un linguaggio simile a
quello di Spinoza ed esaminandone il sistema, soprattutto in merito al rapporto tra
sostanza e modi, in realt utilizzava gli stessi termini con accezioni diverse, inse-
rendosi in una tradizione piuttosto platonica, rispetto alle acquisizioni spinoziane che
costituivano per il tempo qualcosa di assolutamente nuovo (Leibniz and Spinoza on
substance and mode, in D. PEREBOOM (ed.), The Rationalists. Critical essays on
Descartes, Spinoza, Leibniz, Oxford, Rowman & Littlefield, 1999, p. 295). Lautrice
afferma che Leibniz non fu mai realmente attratto dal panteismo spinozista, neppure
negli anni immediatamente successivi allincontro de LAia, perch gia nei primi
anni 70 la gran parte dei capisaldi della metafisica erano stati acquisiti, soprattutto in
merito alla distinzione tra Dio e le creature (ivi, p. 277). Similmente M. DE GAU-
DEMAR, analizzando il commentario leibniziano sullElucidarius cabalisticus di

Emilio Maria De Tommaso 470
Quale che fu il rapporto tra Leibniz e Spinoza, nella sua molte-
plicit di sfumature che la critica specializzata ha variamente enfa-
tizzato, sembra possibile individuare sostanzialmente tre livelli di
lettura, che sintrecciano fra loro, pur restando autonomi.
In primo luogo, da considerare che tale relazione si svolse a
senso unico, cio da Spinoza a Leibniz e manc di reciprocit. Fu
Leibniz a leggere Spinoza e non viceversa, se non per qualche breve
scritto che il giovane tedesco potrebbe avergli mostrato a LAia
15
;
egli disegn il suo sistema dellarmonia prestabilita, facendo di tutto
perch fosse evidente la distanza con quello spinoziano, senza
tuttavia avere la possibilit di approfondire questo scarto, perch le
pagine degli Opera Postuma, cos dense e radicali, ben presto
dovettero sembrargli mute, sopraffatte da una quantit di frainten-
dimenti che non ebbe mai lopportunit di chiarire
16
.

Wachter, che Foucher de Careil ha pubblicato sotto lingannevole titolo di Rfutation
indite de Spinoza, mostra come il confronto (la studiosa francese preferisce il
termine confrontation a rfutation) fra i due pensatori sinneschi soprattutto sul tema
della sostanza e della creazione: vero che i due sistemi di pensiero sincontrano
sulla concezione assolutamente positiva dellessere, ma fra di essi si marca uno
scarto profondo allorch allemanazione, continua ed immanente, ipotizzata da
Spinoza, Leibniz ne contrappone una molto pi sfumata che passa attraverso
lammissione allesistenza dei possibili, che estrinseca le creature rispetto alla loro
causa (Rfutation ou Confrontation? Les prils dune rencontre: Leibniz au risque du
spinozisme, in RIS, 1999, pp. 72 e sgg.).
15
Di quel periodo, come gi detto, il Quod ens perfectissimum existit, nel quale
Leibniz, cercando di render solida la prova ontologica dellesistenza di Dio, si sforza
di dimostrare che, per il fatto stesso che la nozione di un Ens Perfectissimum, dotato
di ogni perfezione, possibile, poich lesistenza entra nel novero delle perfezioni,
allora questi non pu che esistere. G. FRIEDMANN ritiene che Leibniz espose questa
sua prova a Spinoza durante il suo soggiorno a LAia (op. cit., pp. 8182).
Recentemente il giovane studioso M. LRKE, confrontando questo scritto con la
critica leibniziana del 1678 dellEthica, ha sostenuto che largomentazione leibni-
ziana di questo breve scritto sembra cadere nella stessa trappola che Leibniz tende a
Spinoza, costringendo il pensatore di Hannover ad abbandonare la prova dimostrativa
per una presuntiva (Leibniz, Spinoza et la preuve ontologique de Dieu, in
Einheit in der Vielheit, VIII Internationaler LeibnizKongress (Hannover, 2429 Juli
2006), p. 420). Riguardo alla prova ontologica in leibniz si veda anche B. LOOK,
Some remarks on the ontological argument of Leibniz and Gdel, in Einheit in der
Vielheit, VIII Internationaler LeibnizKongress (Hannover, 2429 Juli 2006), pp.
510 e sgg.
16
Y. BELAVAL fa notare che questi malintesi non furono mai frutto di malafede da
parte di Leibniz, ma le conclusioni legittime di principi non spinozisti. Non c incomu-
nicabilit tra i due mondi che escluderebbe ogni scambio filosofico ma incompati-
bilit. Questa tuttavia non impedisce, quando ci si stacchi dalla totalit dei due sistemi,

Leibniz e Spinoza 471
In secondo luogo, non si pu tralasciare che ci che rese possibile
questo dialogo, seppur univoco, fu unesigenza di duplice natura,
teorica e metodologica, comune ad entrambi: riuscire, da un lato, a
tratteggiare una nozione forte, rigorosa ed universale di sostanza, che
rendesse pienamente conto della realt attuale delluniverso
17
;
dallaltro lato, per realizzare questo intento, occorreva un metodo
inoppugnabile, che entrambi individuarono in quello geometrico e
matematico, che consentisse alla ragione di esercitare a pieno le sue
capacit. Sotto questo punto di vista, si possono scorgere diverse
assonanze tra i due pensieri. In entrambi la sostanza si pone come il
momento fondativo del reale, nella sua unicit: se la sostanza spino-
ziana, infatti, si connota come un unum immanente ed onnicom-
prensivo
18
, quella leibniziana, nella sua semplicit, risulta non repli-
cabile e completamente autosufficiente, tanto da essere definita alla
stregua di unentelechia
19
. Il che ci porta ad individuare un ulteriore
elemento di convergenza nella nozione di soggetto umano che, non
solo ha una forte connotazione fenomenica e rappresentativa per
entrambi, seppure a livelli differenti, ma si pone essenzialmente come
tensione verso lesistenza: in Spinoza in quanto conatus in sui esse
perseverandi, in continua fluctuatio tra le passioni cui naturalmente
esposto, tra la conoscenza e lignoranza che gli costitutiva
20
; in
Leibniz come unrhue, quellinquietudine prodotta dallinfinit di
piccole percezioni che costituiscono lindividuo tale qual
21
. Questa

che nel dialogo particolare si trovino tra Leibniz e Spinoza forti somiglianze (Leibniz
lecteur de Spinoza, Archives de Philosophie 46 (1983) 4, p. 538).
17
Sotto questo punto di vista, il confronto con lo spinozismo fu centrale nello
sviluppo del pensiero di Leibniz, soprattutto nel calibrare il peso del principio di
ragione sufficiente allinterno del sistema armonico. PIRO fa notare che negli anni
giovanili, la prima formulazione di tale principio, che era rivolta allesistente, non si
curava di evitare un certo qual determinismo, perch mirava a sancire primariamente
la piena dipendenza delluniverso da Dio. Dopo Spinoza gli sforzi di Leibniz si
volsero alla dimostrazione dellautonomia metafisica dellindividuo, volgendo il
principio di ragion sufficiente alle proposizioni, di cui divenne condizione di verit
(Spontaneit e ragion sufficiente, cit., pp. 715).
18
Infatti oltre Dio non si pu dare, n essere concepita alcuna sostanza (Eth. I,
p. 14) e, di conseguenza, tutto ci che , in Dio e niente pu essere n essere
concepito senza Dio (ivi, I, p. 15).
19
Cfr. M 18, p. 455.
20
Noi siamo agitati dalle cause esterne in molti modi e, come le onde del mare,
agitate dai venti contrari, fluttuiamo, inconsapevoli della nostra sorte e del destino
(Eth III, p. 59, sch.).
21
Cfr. NS II, 20 6, p. 143.

Emilio Maria De Tommaso 472
tensione, sforzo o inquietudine che sia, fa dellessere umano un
soggetto morale, ossia in azione, lo pone allinterno di un percorso di
perfezionamento di natura razionale, che ha come approdo per en-
trambi i pensatori Dio. Secondo alcuni questi elementi sono indica-
tivi di una forte parentela, perlomeno segreta, tra le due specula-
zioni
22
. E daltronde in pi luoghi lo stesso Leibniz a mostrarsi
incline ad un panteismo di stampo spinoziano, non solo nel 1677,
quando commentando la lettera di Spinoza ad Oldenburg dellanno
prima affermava che tutte le cose sono ununica cosa ed esistono in
Dio
23
, ma ancora quasi trentanni dopo, allorch annota la sua copia
dellElucidarius Cabalisticus di Wachter e rimanda a quella stessa
missiva, scrivendo che:

Dal canto mio, ritengo che tutto sia in Dio, non gi come la parte nel tutto, n
come un accidente nel soggetto, ma come il luogo in ci che lo contiene
(locum in locato), luogo spirituale o sussistente (sustentantem) e non misu-
rato o diviso, perch Dio immenso, egli ovunque, il mondo gli presente
(adestque orbis), ovvero tutte le cose sono in lui, perch egli dove esse sono
e non sono
24
.

Sembrerebbe da queste righe che laffinit sottile, cui si accen-
nava, in vero, non sia neppure troppo celata e che lapprodo leibni-
ziano, soprattutto in merito al rapporto tra la divinit e gli esseri vi-
venti, sia particolarmente vicino allimmanentismo di matrice spino-
ziana
25
.

22
G. FRIEDMANN, alla luce delle affinit tra i due pensieri, giunge ad affermare
che la distanza tra loro sia posta volontariamente da Leibniz che sest voulu
diffrent de Spinoza (op. cit., p. 242), trascurando o nascondendo che entrambi
hanno al loro centro intuizioni che, malgrado lopposizione dei sistemi che ne hanno
tratto, sono entrambi, alla loro fonte, monisti e naturalisti (ivi, p. 243).
23
Si veda V. MORFINO, op. cit., p. 97.
24
RIS, p. 27.
25
G. FRIEDMANN a riguardo non ha alcun dubbio, nel sistema monadologico e
armonico, che Leibniz tratteggia, il nodo irrisolto resta quello del rapporto tra Dio,
unit perfetta, e la molteplicit, che non si esaurisce con lattualmente esistente, ma
comprende tutti i possibili, le essenze, che sono nellintelletto divino. Essi sono
necessariamente e sfuggono allautorit di Dio, perch non hanno alcun bisogno
dellesistenza di Dio, ma solo dellidea di Dio che li comprenda tutti (op. cit., p.
164), dallautorit divina dipende solo lammissione allesistenza, alla cui base
tuttavia uninclinazione ad un meglio che necessariamente posto: lintelligibilit
delle essenze, e di conseguenza la composizione del mondo pi ricco in essenze, non
dipendono da Dio, al quale il meccanismo metafisico simpone alla stregua di una
necessit fisica; malgrado gli sforzi di Leibniz di convincere che la creazione sia un
atto libero perch inclinato ma non necessitato, tuttavia il meccanismo che essa

Leibniz e Spinoza 473
Il che ci porta al terzo livello della nostra lettura, la profonda
differenza tra i due pensieri, che assume contorni ben definiti proprio
riguardo alla relazione tra Dio e le creature, tra il possibile e
lesistente, tra gli infiniti mondi possibili e quello in atto
26
. Lattualit
dinamica e processuale della sostanza spinoziana esclude che vi sia
alcun possibile inattuale e alcunazione volontaria da parte di Dio,
essendo la creazione non gi una mera azione, bens piena potenza
eternamente in atto
27
. In Leibniz, invece, nella distanza tra i possibili,
che sono necessariamente nellintelletto divino, e lesistenza, che
accordata mediante atto volontario, si performa lazione stessa di Dio
nella sua totale libert (perch Egli sceglie tra uninfinit di possibili),
in piena onnipotenza (non essendo per nulla casuale) e con somma
bont (perch rivolta verso il meglio)
28
.

sottende evoca immagini fisiche piuttosto che confronti morali: c una pressione, o
tensione, dei possibili. Dio non fa altro che aprire il campo dellesistenza alla
combinazione pi densa (ivi, pp. 164165).
26
Per lo meno nel pensiero maturo di Leibniz. Secondo M. KULSTAD, infatti, nel
periodo cui si riferiscono gli scritti raccolti dallAkademie Verlag sotto il titolo di De
Summa Rerum (167576), la teoria leibniziana della molteplicit dei mondi era
ancora lontana dalla matura teoria dei mondi possibili. Esaminando alcune lettere del
carteggio tra Spinoza e Tschirnhaus, in cui questo avanza lipotesi di una molteplicit
di mondi in relazione allinfinito numero degli attributi divini (cfr. Ep. 63, p. 257), lo
studioso americano mostra come Leibniz, in questa fase, possa esser molto vicino
alla posizione dellamico. Nel De formis simplicibus, dellAprile 1676, un particolare
passaggio richiama lattenzione di Kulstad: se c una legge nel nostro mondo
scrive Leibniz per cui si conserva sempre la medesima quantit di moto, pu
esserci unaltra serie di cose [alia rerum natura], in cui vi siano leggi diverse. Ma
tuttavia necessario che questo spazio differisca da quello, di modo che vi sia una
certa posizione e moltitudine, ma che non siano necessarie lunghezza, larghezza e
profondit (A VI, 3, p. 522). In questo brano a Kulstad sembra che Leibniz sia
ancora ben lungi dalla piena formulazione dellinfinit dei mondi possibili, ma che il
suo riferimento ad un mondo altro, rispetto al nostro, in cui lo spazio abbia leggi
diverse, sembrerebbe porre la teoria di una molteplicit di mondi attuali, che avrebbe
intriganti connessioni con la metafisica di Spinoza o per lo meno con la
metafisica di Spinoza per come intesa da Tschirnhaus (M. KULSTAD, Leibniz,
Spinoza and Tschirnhaus, cit., p. 258).
27
Io credo di aver mostrato abbastanza chiaramente che dalla somma potenza di
Dio, ossia dalla sua infinita natura sono fluite (exfluisse) necessariamente, o sempre
seguono con la stessa necessit, in infiniti modi, infinite cose, cio tutte le cose, allo
stesso modo in cui dalla natura del triangolo, dalleternit e per leternit, segue che i
suoi tre angoli sono uguali a due retti. Per la qual cosa lonnipotenza di Dio stata in
atto dalleternit e rester per leternit nella stessa attualit (Eth. I, p. 17, sch.).
28
Anche su questo punto interviene G. FRIEDMANN, il quale sostiene che nel
sistema leibniziano non vi sia alcuna creazione da parte di Dio, Egli semplicemente
apre la via dellesistenza a quelluniverso la cui pretesa di esistere pi forte, in

Emilio Maria De Tommaso 474
dunque a priori che si d la pi profonda distonia tra i due
sistemi, perch se li si prende a posteriori, vale a dire dalla
prospettiva dellindividuo attualmente esistente, in entrambi esso si
configura come conatus, ossia come un soggetto morale in costante
tensione verso lessere e il suo miglioramento, il quale passa
attraverso uno sforzo conoscitivo, di recupero in Spinoza, di
chiarificazione in Leibniz. Il soggetto leibniziano ha una natura
pienamente rappresentativa e si relaziona al mondo solo in termini
percettivi
29
; il soggetto spinoziano essenzialmente un fenomeno
allinterno di una totalit, la quale tuttavia penetrabile solo in
quanto si rappresenta ad esso sottoforma di attributi e modi.
Dal punto di vista pi strettamente antropologico, dunque, i due
pensatori sembra riescano a dialogare fluidamente
30
, tuttavia, sono
due metafisici (logicomatematico Leibniz e ontologico Spinoza), e
su questo piano tra loro sinnesca uno scontro aspro, che sottende
unalterit inconciliabile. A Spinoza non importa dellautonomia del
soggetto singolare rispetto alla sostanza unica, anzi nel
riconoscimento intellettuale di questo rapporto dimmanenza che il
saggio trova il suo punto di forza; in Leibniz, lesistenza
dellindividuo si d esteriormente a Dio, che lo dota di una forza
primitiva, fondativa, che lo rende del tutto autonomo
31
. nella

questo meccanismo di combinazione e trasformazione primordiale delle essenze non
gioca altro ruolo che quello di catalizzatore. Cos la sua scelta, che razionale e non
potrebbe essere altrimenti, si configura come tuttaltro che libera, dal momento che
Egli non potrebbe scegliere che il meglio, che gli addirittura anteriore e lo
costringe ad agire. come se subisse una sorta di Fatum Melioris (op. cit., pp.
248249).
29
In merito alla denuncia spinoziana, secondo cui luomo allinterno della natura
si concepisce come un imperium in imperio, Leibniz replica che ogni sostanza
esattamente un impero in un impero, nella misura in cui exacte rebus cteris
conspirans (RIS, p. 36).
30
A ben vedere Leibniz non sente mai il bisogno di confrontarsi con Spinoza in
merito al soggetto umano, le sue poche annotazioni alle parti terza e quarta del-
lEthica sono per lo pi di natura formale, limitandosi a correggere le inesattezze
dimostrative del ragionamento spinoziano, ma senza mai entrare nel merito dottri-
nale. Il che mi fa supporre che, tutto sommato, fosse concorde col pensatore olan-
dese. Daltro canto stato gi detto che entrambi arrivano, seppur indipendentemen-
te, a conclusioni molto affini.
31
G. FRIEDMANN anche in questo caso rivendica una sorta di sconfitta del sistema
leibniziano, perch il saggio spinoziano gli appare molto pi coraggioso ed eroico
dellindividuo libero della Teodicea: Il determinismo della monade leibniziana, che
si sviluppa nel tempo, nel dettaglio infinitesimale dellesistenza, pi stretto di
quello dellessenza particolare affermativa di Spinoza, che non poggia su altro che

Leibniz e Spinoza 475
creazione che si scava il divario incolmabile tra il sistema di
Spinoza e quello di Leibniz: il decreto, nel razionalismo leibniziano,
non dimostrabile, perch avrebbe potuto esser differente o non esser
affatto, cio non necessario
32
. Lo spazio della trascendenza, dunque,
in Spinoza completamente soppresso, mentre in Leibniz non solo
recuperato, ma anche interiorizzato nella monade. In questo senso,
appare evidente che il Dio dellEthica non sia per nulla raffrontabile
con quello della Teodicea, che qualunque contrasto o parentela risulti
improponibile e, di conseguenza, sarebbe inutile, oltre che azzardato,
stabilire qualunque tipo di reciproco primato
33
. Cos come ricercare
soluzioni ai problemi irrisolti di un sistema nellaltro.



sulla durata (op. cit., p. 256). Lo scoglio problematico della necessit e dellim-
mobilismo nelluniverso modale spinoziano, denunciato da Leibniz, che in un primo
tempo sembrava superato, secondo Friedmann , invece, soltanto eluso attraverso
luso di una terminologia artificiosa. Lo stesso recupero della volont, in quanto
fondamento dellagire libero, e della contingenza, come condizione previa della
libert stessa, in realt non gli sembra risolvere il problema, ma semplicemente
differirlo ad un successivo momento teoretico, che quello della scelta: luomo, in
Spinoza, libero perch agisce secondo la necessit della sua natura, nella quale non
rientra la volont e, quanto pi consapevole e agisce razionalmente secondo natura,
tanto pi libero; per Leibniz, lazione libera, sia quella umana che quella divina,
volontaria, laddove la volont sempre inclinata, il che, secondo Friedmann,
malgrado gli sforzi di Leibniz di convincere il lettore del contrario, non significa altro
se non che essa necessariamente determinata. Questa cogenza delloptimum,
conclude lo studioso, sancisce il fallimento delle ambizioni e degli intenti di Leibniz.
Il suo ottimismo non sembra capace di proporre una soluzione diversa da quella che
la sostanza di Spinoza aveva gi fornito, prima ancora che il sistema armonico
ponesse il problema. Piro sottolinea che il filosofo di Hannover avverte nei primi
anni uninfluenza hobbesiana in relazione alla concezione realistica della causalit
meccanica, che lo spinge a formulare la nota distinzione tra necessit assoluta e
necessit condizionale, la quale inquadra una contingenza del primo passo. Essa
caratterizzata da una profonda asimmetria tra il prima e il dopo la condizione, che
sembra creare imbarazzo alla stessa azione divina, nellatto della creazione, non solo
perch tutto ci che creato sembra sottostare alla necessit innescata da quellatto,
ma perch in relazione al principio di ragion sufficiente pone dei seri dubbi sulla non
necessit della stessa azione divina. Lanalisi di Friedmann sembra esaurirsi qui.
Negli scritti maturi, tuttavia, prende forma un modello di contingenza fondato su
schemi condizionali contingenti, che non necessitano (dunque marcano la distin-
zione tra inclinatio e necessitatio) perch non sono validi per tutti i mondi possibili,
di modo che armonia e contingenza si scandiscano in termini di spontaneit
individuale (F. PIRO, Spontaneit e ragion sufficiente, cit., pp. 1518).
32
Cfr. M. DE GAUDEMAR, op. cit., p. 80.
33
Cfr. Y. BELAVAL, op. cit., pp. 546547.

Emilio Maria De Tommaso 476
Conclusioni

stato detto che per Leibniz fu un compito arduo filosofare dopo
Spinoza
34
, sembra tuttavia che tale affermazione non sia del tutto
condivisibile. Il filosofo olandese, infatti, costituisce certamente un
termine importante nel pensiero del Seicento, inserendosi su quella
linea di razionalismo secondo cui la ratio si pone come soggetto e
strumento di accesso alla verit. Tuttavia, non si pu dire che ne sia
unespressione fedele, n un prodotto diretto, volgendosi, forse
inconsapevolmente, per intuizioni e impianto sistematico piuttosto
verso la tradizione orientale che verso quella occidentale a lui
contemporanea. La stessa ricezione del suo pensiero da parte del-
lEuropa intellettuale del tempo, frettolosa e per certi aspetti gros-
solana, fu tuttaltro che positiva, essendo legata alletichetta bayleana
di ateismo, che contribu sensibilmente a dipingere lo spinozismo alla
stregua di uneresia pericolosa da condannare e rifuggire. Leibniz, dal
canto suo, sembra esser stato molto pi uomo del suo secolo, sebbene
fosse dotato di un acume che lo proiettava verso i secoli successivi
del pensiero occidentale. Egli si misur direttamente con i suoi
contemporanei, cercando il confronto, la controversia e spesso anche
la loro approvazione. Al contrario dello schivo e riservato olandese,
Leibniz avvertiva un certo sottile piacere nel creare e coltivare
pubbliche relazioni, con i reali dellEuropa centrale e con i letterati,
con i pensatori e gli scienziati, anche quelli pi curiosi, come van
Helmont, affidando le sue riflessioni non solo al pubblico proscenio
delle riviste intellettuali, ma anche a numerosi e lunghi carteggi
privati, di cui conservava le minute ripetutamente corrette prima di
essere spedite; a rapidi abregs di conversazioni, tenutesi ora nei
giardini della regina di Prussia ora alla corte dellElettrice Sophie;
ancora, a fogli sparsi sui quali annotava, magari in carrozza tra
Brunschwic e Hannover, qualche considerazione riguardo alle sue
letture pi recenti.
In questo breve lavoro non si inteso stabilire familiarit e
dipendenze tra Spinoza e Leibniz, n si cercato di appiattire il
pensiero delluno su quello dellaltro, individuando improponibili
debiti formativi, che pure, come si visto, alcuni critici hanno
ravvisato. Partendo, invece, dalla considerazione che essi furono
personaggi assai diversi tra loro, di formazione diversa, che elabo-

34
Si veda A. GALIMBERTI, op. cit., p. 21.

Leibniz e Spinoza 477
rarono sistemi filosofici di portata considerevole, nei quali le dif-
ferenze abbiamo visto essere plurime e evidenti, ora per dottrina ora
per rigore logico, si cercato di fornire una chiave di lettura di un
dialogo intellettuale che indubitabilmente ci fu. Tracciando i contorni
di unantropologia morale, infatti, ci sembrato di scorgere una serie
di esiti comuni: lindividuo per entrambi sembra costitutivamente
volto allazione, esposto alla sua imperfezione naturale, si proietta
verso Dio, in un percorso di rischiaramento che lo conduce alla liber-
t. In unoscillazione incessante tra necessit e contingenza, attualit
e possibilit, potenza e volont, la virt sembra riscoprirsi tale nel
rapporto intimo tra lindividuo e la Divinit
35
, ma proprio in questo
rapporto tra i due sistemi si scava la distanza pi profonda: alla
relazione spinoziana sostanzamodo, Leibniz contrappone il rapporto
tra sostanza perfetta e sostanza individuale. La coincidenza tra intel-
letto e volont divini, in Spinoza, sancisce lattualit di tutti i possibili
e declina un nuovo concetto di libert in termini di necessit meta-
fisica; la loro alterit, in Leibniz, apre allinfinit dei possibili, di cui
solo una parte esistente attualmente e che disegna la nozione di
libert in termini di scelta.
Nella sua univocit, pertanto, il rapporto tra Leibniz e Spinoza
risulta ricco, interessante ed inesauribile nella misura in cui si delinea
come indecifrabile: la costante oscillazione tra affinit e alterit, che
avvicina e respinge i due pensieri, fa di questa relazione intellettuale
ora uno scontro, aspro e veemente, ora una parentela, appassionata,
ma da nascondere, ora un semplice confronto dottrinale e metodolo-
gico, che sfugge sempre ad ogni tentativo di catalogazione definitiva.


35
E. YAKIRA scrive che luomo, sia in Leibniz che in Spinoza, libero nello
stesso senso in cui lo Dio, sebbene ad un grado infinitamente pi limitato e
parziale: il saggio spinozista accede alla liberazione nella consapevolezza intuitiva
del suo essere e agire per necessit della sua sola natura; luomo leibniziano, nel
mondo delle monadi, imitando Dio nella sua capacit di esercitare unattivit
architettonica in vista di fini, entra in una sorta di societ con Dio, nella quale
investito di una responsabilit morale (Contrainte, Ncessit, Choix. La
Mtaphysique de la libert chez Spinoza et chez Leibniz, Zurich, ditions du Grand
Midi, 1989, p. 266). Dio, la cui libert per eccellenza, sembrerebbe porre la
questione del rapporto tra necessit e libert umana, ma secondo Yakira n in
Spinoza n in Leibniz il determinismo del principio di ragione contraddice una
libert umana positiva, che una realt da comprendere e da raggiungere. Al
contrario, nei due sistemi, la teoria metafisica della libert, o la dottrina della libert
divina, fondano effettivamente la teoria della libert umana (ivi, p. 267).

Emilio Maria De Tommaso 478
Sigle e abbreviazioni


A LEIBNIZ G.W., Smtliche Schriften und Brief, a c. della Deutschen
Akademie der Wissenschaften zu Berlin, New York Berlin, Akademie
Verlag, Hildesheim, G. Olms, 1970 . Citato per volume e per pagina (es. A
VI, 4, p. 1407).
GP LEIBNIZ G.W., Die Philosophischen Schriften, a c. di C.I. Gerhardt,
Berlin, 187590; riedito in 7 Voll, Hildesheim, G. Olms, 1965. Citato per
volume e per pagina (es. G, II, 12).
Scr. Fil. LEIBNIZ G.W., Scritti filosofici, a c. di M. Mugnai e E. Pasini, 3
Voll, Torino, Utet, 2000, citato per volume e per numero di pagina (es. Scr.
Fil., III, p. 312).
NS LEIBNIZ G.W., Nuovi Saggi sullintelletto umano, in Scrit. Fil. Vol
II. Ogni richiamo testuale indicato per libro (numero romano), capitolo e
paragrafo e pagina in Scrit. Fil. (es. NS II, 21 50, p. 175).
T LEIBNIZ G.W., Saggi di Teodicea sulla bont di Dio, la libert
delluomo e lorigine del male, in Scrit. Fil. Vol III, pp. 17398. Citato per
paragrafo e pagina in Scrit. Fil. (es. T, 310, p. 329).
M LEIBNIZ G.W., Monadologia, in Scrit. Fil. Vol III, pp. 453468.
Citato per paragrafo e pagina in Scrit. Fil.
RIS LEIBNIZ G.W., Rfutation indite de Spinoza, lecture et appareil
critique de M. de Gaudemar, BABEL, Actes Sud, 1999.
G SPINOZA B., Opera Omnia, versione elettronica delledizione
Gebhardt del 1925, a c. di R. Bombacigno e M. Natali, Milano, Biblia, 1998.
Eth SPINOZA B., Etica dimostrata con metodo geometrico, a c. di E.
Giancotti, Roma, Editori riuniti, 1997. (Ass = assioma; cor = corollario; DA
= Definizione generale degli Affetti; def = definizione; pref = prefazione;
Prop = proposizione; schol = scolio).
TTP SPINOZA B., Trattato Teologicopolitico, a cura di A. Dini, Rusconi
Milano, 1999, citato per capitolo e numero di pagina.
BT SPINOZA B., Breve Trattato su Dio, lUomo e il suo Bene, a c. di F.
Mignini, LAquila, L.U. Japadre Editore, 1986.
Ep. SPINOZA B., Epistolario, a c. di Antonio Droetto, Torino, Einaudi,
1951. Citato per epistola e numero di pagina (es. Ep. 54, p. 233).

ANTONIA GIGLIO

Necessit materiale e ragione formale.
Note per una rilettura della lex continui in Leibniz


E invero nel mondo osserviamo realmente che tutto
avviene secondo le leggi delle verit eterne, non soltanto
geometriche, ma anche metafisiche: cio non soltanto
secondo le necessit materiali ma anche secondo le
ragioni formali. Ed vero non soltanto in generale,
rispetto alla ragione illustrata pocanzi del mondo
esistente piuttosto che non esistente, ed esistente cos
piuttosto che altrimenti (che comunque va cercata nella
tendenza dei possibili allesistere), ma anche discendendo
alle cose specifiche, vediamo che in tutta la natura,
secondo una mirabile ragione vigono le leggi metafisiche
della causa, della potenza, dellazione, e prevalgono sulle
stesse leggi puramente geometriche della materia
1
.


Il tema centrale del presente articolo costituito dal tentativo di
comprendere in che senso lelemento della lex continui sia rilevante
ai fini dellanalisi della concezione leibniziana di forma. La
nozione di lex continui possiede una valenza estremamente ampia;
essa rappresenta, infatti, una sorta di ponte fra metafisica,
epistemologia, diritto, morale e storia, e permette di cogliere i tratti
pi significativi della filosofia leibniziana, e, in particolare, i suoi
aspetti pi dinamici.
, tuttavia, opportuno, svolgere qualche osservazione introduttiva
sulla nozione di lex continui. Leibniz definisce il principio di
continuit come un principio dellordine generale, che trae la sua
origine dallinfinito
2
.

1
G.W. LEIBNIZ, Lorigine radicale delle cose, in Scritti Filosofici, a c. di M.
Mugnai e E. Pasini, 3 voll., Torino, Utet, 2000 (dora in poi SF), vol. I, p. 483.
2
G.W. LEIBNIZ, Lettera su un principio generale, in SF I, pp. 385386: Lo si
pu enunciare cos: quando la differenza tra due casi pu essere diminuita al di sotto
di ogni grandezza data in datis, o in ci che posto, bisogna che la si possa trovare
diminuita al di sotto di ogni grandezza data anche in quaesitis, o in ci che risulta. O
per parlare pi familiarmente: quando i casi (o ci che dato) si avvicinano con-
tinuamente e si perdono infine luno nellaltro, bisogna che le conseguenze, o eventi
(o ci che si domanda), lo facciano pure. Il che dipende da un principio ancora pi
generale, ossia: datis ordinatis, etiam quaesita sunt ordinata.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 479-494 479
Antonia Giglio 480
utile in geometria, ma vale anche nella fisica, perch la suprema
saggezza, che principio di tutte le cose, agisce da perfetto geometra
e secondo unarmonia prestabilita
3
. Tale armonia consiste in un
ordine intelligibile, che concilia la semplicit delle ipotesi con la
variet dei fenomeni. In qualunque modo Dio avesse creato il mondo,
ritiene Leibniz, sarebbe sempre stato regolare e compreso in un
ordine generale: Ma Dio ha scelto quello che il pi perfetto, vale a
dire quello che al tempo stesso il pi semplice nelle ipotesi e il pi
ricco in fenomeni: come potrebbe essere una linea della geometria, la
cui costruzione fosse agevole e le cui propriet ed effetti fossero
molto ammirevoli e di grande portata
4
.
A rigore bisogna considerare che la certezza della lex continui,
sebbene tale legge possa essere utilizzata nelle matematiche, non
geometrica, ma morale. La lex continui, infatti, determinata non da
ci che assolutamente necessario, ma dalla ragione del meglio: essa
opera affinch leffetto sussista di continuo
5
. Il passaggio dalla
potenza allatto, che avviene secondo le leggi della natura, stabilito,
dunque, a priori dallarmonia prestabilita. Si intravede qui lintento
leibniziano di una fondazione metafisica della lex continui.
Emblematica , a riguardo, lanalisi di un filosofo antimetafisico
come Bertrand Russell. Nellopera A Critical Expotition of the
Philosophy of Leibniz, e, precisamente nel capitolo in cui parla della
legge di continuit, Russell, pur considerando che la lex continui oc-
cupi un posto di rilievo nella filosofia leibniziana, afferma che non
riesce a vedere in cosa consista la sua grande importanza, fatta ec-

3
Cfr. L. SCARAVELLI, Lezioni su Leibniz (1953-54), a c. di G. Brazzini, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2000, p. 80: Una applicazione ulteriore della legge di con-
tinuit la troviamo in geometria, e tiene conto dei fondamenti della geometria degli
indivisibili. Leibniz dice che questa legge stabilisce che non si possa mai finire di
percorrere una linea o lunghezza prima di aver percorso una linea pi piccola. Con
ci Leibniz chiama in causa il principio di Archimede. Cfr. Ibidem: ed qui che,
attraverso lo studio del movimento, iniziano le critiche alla fisica cartesiana. Le
analisi di Leibniz in questo campo si basano sul calcolo infinitesimale, in cui trova
espressione matematica la legge di continuit. Con il calcolo infinitesimale, Leibniz
mira a dare rigore matematico a quantit tendenti a 0, che sono infinite. Perci, stu-
diando il moto, Leibniz si rende conto che la differenza tra la velocit attuale e quella
precedente non pu essere un numero finito ma deve essere , una quantit spostabile
allinfinito, che pu essere avvicinata a 0 in modo infinito. Leibniz si accorto che
non si arriva mai a 0, e che quindi non esiste la quiete.
4
G.W. LEIBNIZ, Discorso di metafisica, in SF I, p. 267.
5
Cfr. G.W. LEIBNIZ, Saggi di Teodicea, in SF III, 349, p. 353.
Necessit materiale e ragione formale 481
cezione che per le sue applicazioni in matematica
6
. In un altro
capitolo del suo libro, Russell, daltra parte, osserva che il problema
della continuit potrebbe essere preso assai bene [] come punto di
partenza della filosofia di Leibniz. Non ho cominciato da questo
problema per ragioni di priorit logica []
7
. Il caso di Russell
permette di riconoscere che, qualora si trascuri la portata metafisica
della lex continui, diventa difficile comprendere come tale importanza
derivi dalla matematica.
Diversa la posizione di Louis Couturat. Il clbre principe de
continuit, sostiene Couturat, un corollario del principio di ragion
sufficiente: egli accorda molta importanza al principio di continuit
sia come momento fondamentale della metafisica leibniziana sia nella
polemica contro i cartesiani
8
. Com noto, lo studio del Couturat
fonda la sua analisi sullaspetto puramente logico del sistema leibni-
ziano. I principi logici di questo studio, tuttavia, richiamano allunit
della riflessione matematica e metafisica della filosofia di Leibniz. Il
pensatore francese, ritiene, infatti, che Sil y a un penseur que lon
ne puisse ddoubler ainsi impunment, cest bien celui qui disait:
Mtaphysique est toute mathmatique o encore Les Mathma-
ticiens ont autant besoin dtre philosophes que les philosophes dtre
Mathmaticiens
9
.
Joseph Moreau, nellopera: Lunivers Leibnizien ritiene che tale
legge sia stata suggerita al filosofo dai suoi lavori sul calcolo
infinitesimale
10
. A questo proposito si era anche espresso Louis Da-
vill: Lnonc le plus gnral de la loi de continuit a un caractre
tout mathmatique; il semble avoir t suggre Leibniz, par ses
travaux sur le calcul infinitsimal. Luimme en donn une formule

6
B. RUSSELL, A Critical Exposition of the Philosophy of Leibniz, Cambridge, At
the University Press, 1900; trad. it. La filosofia di Leibniz, a c. di R. Cordeschi,
Roma, Newton Compton, 1972, pp. 102103.
7
Ivi, p. 143.
8
Cfr. L. COUTURAT, La logique de Leibniz, d'aprs des documents indits, Paris,
Alcan, 1901, pp. 233237.
9
Ivi, p. VIII. Riportiamo il testo nella trad. it. La logica di Leibniz, a c. di U.
Sanzo, Napoli, Glaux, 1974, 2 voll., vol. I, p. 32: Se esiste un pensatore la cui opera
non possa essere sdoppiata, proprio colui che diceva: La mia metafisica tutta
matematica, o ancora: I matematici hanno tanto bisogno di essere filosofi, come i
filosofi dessere matematici.
10
J. MOREAU, Lunivers Leibnizien. Avec un appendice: Lespace e les vrits
ternelles chez Leibniz, Paris, Vitte, 1956; rist. Hildesheim, Georg Olms Verlag,
1987, pp. 113123.
Antonia Giglio 482
plus mathmatique encore en nonant propos de sries continues
ou infinie le principe meme du calcul diffrentiel et on peut dire
que celuici est en quelque sorte une consquence de la loi de
continuit
11
. Si spiega cos il suo aspetto matematico e il suo essere
una pietra di paragone alla quale non sono in grado di reggere le
regole di Descartes, del padre Fabri, del padre Pardies, del padre
Malebranche e di altri filosofi
12
. Moreau sembra essersi reso
pienamente conto del fatto che Leibniz ne parviendra ses fins
quaprs avoir marqu le dfaut de la mcanique cartsienne, labor
la notion de force viva et invent le calcul infinitsimal
13
. Giunti a
questo punto, risulta evidente come per Leibniz lessenza di un corpo
consista in qualcosa daltro che lestensione. Eric J. Aiton, sottolinea,
infatti, nel suo Leibniz. A Biography: la cosa nuova, che Leibniz
trova nei corpi, la forza
14
. Su questo concetto fonda la nuova
scienza della dinamica e ricava, inoltre, la legge sulla conservazione
della forza e il principio di minima azione
15
. Il medesimo principio ha
luogo nella fisica, per esempio, Leibniz considera la quiete come un
moto evanescente a seguito di una diminuzione continua: la quiete
pu essere considerata come una velocit infinitamente piccola, o
come una lentezza infinita
16
.

Ne discende anche la legge di continuit, che per primo ho enunciato, in base
alla quale legge di ci che in quiete una quasispecie della legge di ci
che esiste in moto, la legge degli uguali una quasispecie della legge dei
disuguali, come la legge dei curvilinei una quasispecie della legge dei

11
L. DAVILLE, Leibniz Historien, Essai sur lactivit et la mthode historiques de
Leibniz, Paris, Alcan, 1909, p. 672.
12
G.W. LEIBNIZ, Saggi di Teodicea, in SF III, 348, p. 352.
13
J. MOREAU, Lunivers Leibnizien, cit., p. 14.
14
E.J. AITON, Leibniz. A Biography, Bristol and Boston, Adam Hilger, 1985,
trad. it. Leibniz, a c. di M. Mugnai, Milano, Il Saggiatore, 1991, p. 225.
15
Cfr. L. DAVILLE, Leibniz Historien, cit., p. 673: elle rend compte du passage
du mouvement au repos ou rciproquement et donne les vritables lois du mou-
vement.

Cfr. E. CASSIRER, Freiheit und Form: Studien zur deutschen Geistes-
geschichte, Berlin, Bruno Cassirer, 1922, trad. it. Libert e forma. Studi sulla storia
spirituale della Germania, a c. di G. Spada, Firenze, Le Lettere, 1999, p. 76: Come
nel movimento di un corpo, malgrado non solo il suo luogo, ma anche la sua velocit
varino ad ogni istante, laccelerazione, rimanendo costante, pu fornire la base di una
stabile regola del movimento, cos possibile sostenere universalmente che ogni
variet e diversit, apparentemente immensa, se sufficientemente ricostruita, si
risolve necessariamente in armonia e uniformit.
16
G.W. LEIBNIZ, Saggi di Teodicea, in SF III, 348, p. 353. Cfr. ID., Lettera su
un principio generale, in SF I, p. 385.
Necessit materiale e ragione formale 483
rettilinei, il che ha sempre luogo quando il genere si conclude in una quasi
specie opposta. E qui trova posto quel ragionamento che i geometri tengono
da tempo in grande stima, nel quale, dallaver supposto che qualcosa sia, si
prova per via diretta che ci non , o viceversa; oppure ci che viene assunto
come fosse di una certa specie si trova essere opposto, o differente. Questo
il privilegio del continuo
17
.

La lex continui, inoltre, presente nel tempo, nellestensione, nelle
qualit e in ogni movimento della natura, che non avviene mai per
salto
18
. La problematica del salto non da sottovalutare nella
filosofia di Leibniz. Essa, infatti, si muove allinterno di analisi di
eventi fisici variabili, legati alla questione della velocit al-
listante
19
. Tale questione, gi con Galilei, aveva consentito di in-
trodurre gli infinitesimi. Gli infinitesimi sono grandezze particolari,
capaci di determinare differenze minime di stato. Com noto, proprio
lo studio sulle differenze minime di stato conduce Leibniz alla stesura
del concetto di differenziale
20
.

17
G.W. LEIBNIZ, Gli inizi metafisici della matematica, in SF III, pp. 477478.
18
L. DAVILLE, Leibniz Historien, cit., pp. 668670. On a distingu chez lui trois
formes de continuit, selon quelle se rapporte au temps et lespace, aux cas et aux
tres ou aux formes. La premire est dune valeur toute mtaphysique: le temps et
lespace sont, lun une dure, lautre une tendue continue et sont, par suite,
divisibles linfini, ainsi le requiert lordre des choses. La seconde continuit est
beaucoup plus importante: elle donne eu quelque sorte la raison de la prcdent,
puisquelle est la loi meme de lordre des choses, cest la loi de continuit pro-
prement dite. Lnonc le plus gnral en est que lordre des principes se retrouve
dans les consquences et rciproquement. Cest pourquoi Leibniz appelait aussi la loi
de continuit principe de lordre gnral, principe de lharmonie ou de la con-
venance. Cette loi, quil nomme luimme un postulat de la raison, est un corollaire
du principe de raison, puisquil ny aurait pas de raison pour que lordre des principes
ne se retrouvt pas dans les consquences. Cest pourquoi, sans doute, Leibniz d-
clare que la loi de continuit a son origine dans linfini, cestdire en Dieu. Elle
a pour corollaires le principe de linduction portant que la cause entire se retrouve
toujours dans leffet, le principe des diffrentiels sont liminables et le principe de
lanalogie, daprs lequel quand deux tres sont analogues de nature leurs par-
ticularits sont analogues. Cette nonciation se rapproche de la troisime forme de la
continuit, celle des formes, qui se formule: Jamais changement ne se fait par saut,
mais par degrs dans la nature.
19
R. CIRINO, Dal movimento alla forza, Leibniz: linfinitesimo tra logica e
metafisica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006, pp. 103104.
20
Cfr. E. CASSIRER, Libert e forma, cit., p. 76: Nel linguaggio del calcolo
differenziale, possibile affermare che nei quozienti differenziali dei gradi pi ele-
vati si devono poter esprimere in maniera completa tutte le variazioni che si trovano
nei gradi inferiori. Per la nostra conoscenza empirica non certo mai possibile as-
solvere a questo compito, ma soltanto avvicinarvisi allinfinito; a noi per suf-
Antonia Giglio 484
Il concetto matematico di limite, spiegato come rapporto dif-
ferenziale o derivato, prospetta una diversa concezione di continuit.
Leibniz ricava tale concezione per costruzione e non per scom-
posizione, attraverso la moderna analisi dellinfinito
21
. La teoria degli
infinitesimi, attraverso il teorema di trasmutazione, diviene un mezzo
per dimostrare sia le quadrature note sia un fondamento per larit-
metica dellinfinito, che Wallis aveva dimostrato solo per
induzione
22
.
Il principio di continuit si pu risolvere anche in un principio di
analisi storica. Avviene qualcosa e sembra che avvenga dun tratto:
hic et nunc, ma in realt ogni avvenimento dentro una catena.
parte integrante di un altro momento. La natura, infatti, non lascia
vuoti nellordine che lei stessa segue (ma non ogni forma o specie
appartiene a ogni ordine)
23
. La lex continui, poi, vale anche per la
soluzione dei problemi delle singole scienze
24
. Queste non soltanto
studiano lordine che la natura segue (la natura non fa salti), ma, nel
loro formarsi, seguono un ordine graduale, per cui scaturiscono le une
dalle altre
25
. Occorre, per, precisare, che questordine, non salta

ficiente sapere che a questo avvicinarsi non pu mai venire posto un limite dalla na-
tura della cosa stessa.
21
Cfr. R. CIRINO, Dal movimento alla forza, cit., p. 95.
22
Cfr. E.J. AITON, Leibniz, cit., pp. 6265.
23
G.W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sullintelletto umano, in SF II, 12, p. 284.
24
L. SCARAVELLI, Lezioni su Leibniz, cit., p. 80: Ma il principio di continuit
vale anche per la soluzione dei problemi delle singole scienze.
25
Cfr. G.W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sullintelletto umano, in SF II, 12, p. 282: A
cominciare da noi, e arrivando fino alle cose pi basse, si ha una discesa per gradi
piccolissimi e attraverso una serie continua di cose che in ciascun passaggio dif-
feriscono pochissimo luna dallaltra. Vi sono pesci che hanno ali e ai quali non
estraneo il volo; vi sono uccelli che abitano nellacqua che hanno il sangue freddo
come i pesci e la cui carne talmente simile per il gusto a quella dei pesi, che si per-
mette alle persone scrupolose di mangiarne durante i giorni di magro. Vi sono ani-
mali che somigliano talmente alla specie di uccelli e a quella delle bestie terrestri, da
stare a met tra le due. Gli anfibi partecipano ugualmente delle bestie terrestri e
acquatiche. I vitelli marini vivono sulla terra e nel mare, e i marsuini (il cui nome si-
gnifica porco di mare) hanno il sangue caldo e le interiora di maiale. Per non parlare
di ci che si racconta degli uomini marini: vi sono bestie che sembrano avere altret-
tanta conoscenza e ragione di alcuni animali che si chiamano uomini; e tra gli animali
e i vegetali vi una s grande affinit, che se voi prendete il pi imperfetto dei primi
e il pi perfetto dei secondi, noterete con difficolt una qualche differenza con-
siderevole tra loro. Cos, fino ad arrivare alle parti pi basse e meno organizzate
della materia, troveremo ovunque che le specie sono legate insieme e non dif-
feriscono che per gradi pressoch insensibili. E quando consideriamo la saggezza e la
Necessit materiale e ragione formale 485
subito agli occhi, ma, si scopre progressivamente
26
. In altre parole:
via, via che la scienza progredisce, luomo si accorge che esiste una
successione regolata in tutte le cose, persino nelle metodologie usate
dalle scienze. Per questa ragione, la mineralogia nasce grazie al suo
contributo. Le esperienze microscopiche mostrano che la farfalla
uno sviluppo del bruco. La geologia stabilisce che non c stata una
creazione simultanea delluniverso
27
. I processi che determinarono la
formazione e la struttura della terra sono avvenuti per gradi, e quindi
anche i mostri, le malattie ed i miracoli appartengono allordine delle
cose.
Per Leibniz, tuttavia, la lex continui non opera solo nella fisica, ma
anche nella psicologia, come risulta nellesame del rapporto tra
percezioni conscie e percezioni inconscie. A tale riguardo, Luigi
Scaravelli osserva, nel testo Lezioni su Leibniz, che dal momento che
la visione delloggetto che abbiamo nelle percezioni conscie passa per
gradi dalla nonvisione alla visione, la lex continui vale anche per tali
percezioni
28
. In ogni uomo c un fondo oscuro, che d vita a quel
certo non so che. Sono piccole sollecitazioni impercettibili
29
.
uninquietudine che fa vibrare la carne di ogni essere come le note di
uno Stradivari. Non si mai senza percezioni, anche se non sempre si
ha coscienza, cio appercezione di questi movimenti dellanima. Le
percezioni non sono sempre distinte, si hanno, infatti, piccole
percezioni insensibili, fitte, che ci spingono a scegliere una cosa,

potenza infinita dellAutore di tutte le cose, abbiamo argomento per pensare che
cosa conforme alla splendida armonia delluniverso e al grande disegno, come pure
alla bont infinita del supremo architetto, che le differenti specie delle creature si
elevino poco a poco da noi verso la sua infinita perfezione. Cos abbiamo ragione di
persuaderci che vi sono molte pi specie di creature al di sopra di noi, di quante ve ne
sono al di sotto, poich siamo molto pi lontani in perfezione dallessere infinito di
Dio, di quanto lo sia ci che si avvicina di pi al nulla.
26
G.W. LEIBNIZ, Discorso intorno al metodo della certezza, in SF I, p. 494.
27
L. DAVILLE, Leibniz Historien, cit., p. 674: Cest en vertu de la loi de
continuit quil refuse de croire une cration simultane de toutes les parties de
lunivers et la production de notre globe et de tout ce quil contient tel quil existe
aujourdhui; sans doute les tres de aujourdhui sont sortis de ceux dalors aprs de
nombreuses transformations.
28
L. SCARAVELLI, Lezioni su Leibniz, cit., pp. 8085: Una prima applicazione
della lex continui secondo cui nulla avviene ad un tratto (in senso assoluto,
metafisico, in cui non ci sia assolutamente la presenza del tempo), di questa legge che
stabilisce che tutto avviene gradatamente, labbiamo in psicologia e giova a porre la
distinzione tra percezioni conscie e inconscie.
29
G.W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sullintelletto umano, in SF II, 6, p. 143.
Antonia Giglio 486
piuttosto che unaltra. Daltro canto, questa scelta, non essendo le
percezioni appercepibili, s senza costrizione ma non indifferente.
Leibniz sottolinea che non si mai in uno stato dindifferenza,
neanche quando sembriamo esserlo di pi
30
. Le piccole percezioni
hanno un gran peso nella nostra vita. Negarle, quindi, ritiene Leibniz,
significherebbe negare i corpuscoli insensibili nella fisica
31
. Ogni
essere vivente una macchina divina, che non ha niente a che vedere
con quelle fatte dagli uomini, poich le sue parti sono senza fine
32
. Le
generazioni, dunque, sono sviluppi e accrescimenti e le morti sono
inviluppi e diminuzioni, cos il futuro si pu leggere nel passato
33
. La
sua filosofia diviene unanalisi di come costituito il non so che della
soggettivit umana. In effetti, il passato ci che abbiamo dentro:
esso ci precede e ci fonda. Lindividuo non una realt a s, ma
esiste uninterconnessione degli esseri, che fonda ciascuno e tutto.
Dietro le spalle di ognuno presente la sua orma, ed in questa,
riflessa nello specchio, luomo intravede chi sar. Il suo interesse,
quindi, rivolto alla natura umana. Lo sguardo sulla complessit
delluomo fondamentale per comprendere, alla luce della lex
continui, lindividuo. Ogni aspetto della vita delluomo esplicato da
siffatta legge, che erompe dalla stessa mente di Dio. Daltra parte, il
suo sistema filosofico una ratiodicea: una giustificazione della
razionalit dellaccadere. Non a caso Franois Duchesneau, in Leibniz
et la mthode de la science, osserva come il principio di continuit
rappresenti lesigenza di razionalit quexprime le principe de raison
suffisante
34
.
Uno studioso leibniziano, Maria Socorro FernndezGarcia,
sottolinea come la existencia de las criaturas, conoscidas de modo
sensibile, nos conduce a la existencia divina, o mejor dicho, y de
acuerdo con lo que el mismo Leibniz sostiene, a la idea de Dios
35
.

30
Ibidem: [...] neppure quando sembriamo esserlo di pi, come quando, per
esempio, si tratta di piegare a destra anzich a sinistra alla fine di un viale. Poich il
partito che noi scegliamo viene da queste determinazioni insensibili mescolate alle
azioni degli oggetti e dellinterno del corpo, che ci fanno trovare pi a nostro agio
nelluna anzich nellaltra maniera di muoverci.
31
Ivi, 15, p. 91.
32
G.W. LEIBNIZ, Principi di filosofia o Monadologia, in SF III, 64, p. 463.
33
Ivi, 73, p. 464.
34
F. DUCHESNEAU, Leibniz et la mthode de la science, Paris, Puf, 1993, p. 311.
35
M. SOCORRO FERNNDEZGARCIA, La omnipotencia del Absoluto en Leibniz,
Pamplona, Eunsa, 2000, p. 43: Por lo que se refiere a la armona preestablecida, es
una prueba que infiere la exstencia de Dios a partir del orden, armona y bellezza de
Necessit materiale e ragione formale 487
Luomo, proprio perch dotato di ragione, partecipa della razionalit
del tutto. Il pensiero nella sua dinamicit scopre larmonia creata
dalla mente di Dio a priori. Chiunque pu soddisfare la sua esigenza
di sapere, non pi nella forma di un contenuto determinato, ma come
criterio spirituale universale. La comprensione diviene misura e
criterio per scrutare la natura e luomo. In questo contesto si inserisce
lidea di ragione virtuale: essa consente a Leibniz di essere il
precursore di una nuova epoca.
La lex continui, dunque, non solo il metodo che sovrintende alla
filosofia leibniziana, ma segna la nascita di un nuovo ordine di
cose: esso, pur essendo determinato, non opposto alla possibilit
del divenire e alla libert umana
36
. Leibniz vive la lotta tra titani che
caratterizza la sua epoca. Da una parte, infatti, abbiamo la concezione
di universo macchina, dallaltra la visione di universo qualitativo, che
comprende le correnti magiche, alchemiche, vitalistiche, pam-
psichistiche del mondo. Il filosofo deve evitare questi due fuochi, de-
ve evitare Scilla e Cariddi perch compromettono la vita stessa del-
lindividuo.
Il nuovo ordine di cose, posto tra la fine del XVII secolo e la
prima met del XVIII, definito da Paul Hazard: epicentro del
fenomeno che si irradia, rappresenta uno spartiacque genealogico, che
prende il nome di novit, cio la crisi della coscienza europea
37
.

la naturalezza. La armona entendida como la consideracin sistemtica de la crea-
cin, parece poseer simplemente una certeza moral, pero adquiere una necesidad
metafsica por la nueva clase de armona que introduce, y se convierte, para Leibniz,
en una prueba que ser una de las ms bellas, una de las ms fuertes, una de las ms
irrefutables, la ms evidente e invencible demostracin de la existencia de Dios.
36
Cfr. P. HAZARD, La crise de la conscience europenne 1680-1715, Paris,
Boivin, 1935; trad. it. La crisi della coscienza europea, Torino, Einaudi, 1946, pp.
493494.
37
Cfr. D.O. BIANCA, Introduzione alla filosofia di Leibniz, Brescia, La Scuola,
1973, p. 71: Lopera, che un modello di Kulturgeschichte, sostiene che i decenni
16801715 furono culturalmente pi fecondi di quelli che precedettero lo scoppio
della Rivoluzione e presenta vivaci quadri della cultura dellepoca, specialmente
quello sulla lotta fra i religionari e i libertini, come li chiama il Bayle, e sul contrasto
fra Bossuet e Leibniz per la conciliazione delle chiese. Cfr. P. HAZARD, La crisi del-
la coscienza europea, cit., pp. 493494: Se diamo, il nome di novit (e, nel dominio
spirituale, sembra bene che non ce ne siano altre)

a una lenta preparazione che alla
fine matura, al germogliare di tendenze eterne che, dopo aver dormito a lungo sotto
terra, un bel giorno sorgono, dotate di una forza e adorne di uno splendore che ap-
paiono sconosciute agli uomini ignoranti e dimentichi; se chiamiamo novit una certa
maniera di porre i problemi, un certo accenno, una certa vibrazione; una certa volont
di guardare allavvenire piuttosto che al passato, di affrancarsi dal passato pur gio-
Antonia Giglio 488
Lespressione del letterato e critico francese interpreta divinamente
questepoca dalle tinte molto forti: essa sancisce per la cultura
europea lo sviluppo dellidea di moderno, come fenomeno che si
irradia nelle coscienze degli uomini
38
. Il nuovo ordine di cose un
argine allateismo e dunque una glorificazione dellindividuo.
Resta inteso che il compito, che Leibniz si propone, quello di
dare unidentit alla cultura della sua epoca. Un compito arduo se si
considera che lo assolve attraverso la lotta allateismo. un Leibniz
giovane a scrivere di getto, in una locanda, il breve saggio Testi-
monianza della natura contro gli atei
39
. In questo testo teorizza per la
prima volta il principio di ragion sufficiente e la nozione di armonia
prestabilita
40
. La nostra epoca, afferma Leibniz, rischia di cadere
nellateismo
41
. Lo sviluppo del pensiero scientifico e la filosofia

vandosi di esso; se chiamiamo novit, infine, lintervento di ideeforze le quali di-
ventano abbastanza vigorose e abbastanza sicure di s per esercitare unazione evi-
dente sulla pratica quotidiana; allora certo che un mutamento, le cui conseguenze si
sono ripercosse sin nella nostra epoca, s compiuto negli anni in cui geni che si
chiamavano, per ricordare soltanto i pi grandi, Spinoza, Bayle, Locke, Newton,
Bossuet, Fnelon, hanno proceduto a un esame di coscienza integrale, per trarre
nuovamente alla luce le verit che dominano la vita. Per dirla con le parole di
Leibniz, estendendo allintero mondo morale quel chesso diceva del mondo politico:
Finis speculi novam rerum facies aperuit: negli ultimi anni del secolo decimosettimo
cominciato un nuovo ordine di cose.
38
Dalla stabilit si passa al movimento, al confronto con le altre culture, si
comprende che tutto relativo e i valori sui quali per secoli si era fondata la vita
delluomo europeo entrano in crisi. Forti spinte psicologiche generano una sorte
dinquietudine che mina le fondamenta dellantico edificio culturale che fino ad
allora aveva riparato la grande famiglia del genere umano. come se un motto unisse
unanimemente le coscienze degli uomini: demolire il vecchio sapere per ricostruire il
nuovo, e sostituire a una civilt fondata sullidea del dovere una civilt fondata
sullidea del diritto. In questo contesto di discussione pone le radici la riflessione
leibniziana, caratterizzata e stimolata da un grandioso progetto speculativo: dare
unidentit culturale alla sua epoca.
39
Cfr. E.J. AITON, Leibniz, cit., p. 36.
40
Cfr. F. PIRO, Spontaneit e Ragion Sufficiente. Determinismo e filosofia
dellazione in Leibniz, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2002, pp. 4142.
41
G.W. LEIBNIZ, Testimonianza della natura contro gli atei, in SF I, p. 124.
Francesco Bacone di Verulamio, uomo di ingegno divino, disse giustamente che la
filosofia, gustata fuggevolmente, allontana da Dio, ma assimilata a fondo riconduce a
lui. Lo sperimentiamo nel nostro secolo, fertile ad un tempo di scienza e di empiet.
Infatti, dal momento che le arti matematiche sono state assai perfezionate e con la
chimica e lanatomia si giunti a studiare linterno delle cose, si visto che si poteva
rendere ragione quasi meccanicamente, mediante la figura e il moto dei corpi, di
molte cose che gli antichi riconducevano o al solo creatore, o a non so quali forme
incorporee; e dunque certe persone ingegnose presero a esaminare se non si potessero
Necessit materiale e ragione formale 489
meccanicistica portano ad escludere Dio dallordine del mondo, con
tutte le implicazioni che questo comporta sia in ambito causale sia in
ambito morale. Il filosofo, quindi, deve reinserire il principio spiri-
tuale nellorganizzazione del mondo e nella spiegazione dei feno-
meni. Deve salvaguardare la vita. Vale a dire: deve contrastare un
modo di pensare che ha dentro di s un germe, che portato ad estreme
conseguenze, conduce allateismo. Considerare, infatti, la natura al
centro delluniverso e fornirla di tutto ci che le serve per poi svilup-
parsi, escludendo Dio dallordine del creato, conduce alla negazione
di Dio. La scienza del suo tempo ha come risultato la matematiz-
zazione delluniverso: essa, nella spiegazione dei fenomeni, non vuol
saperne di fini e di valori. lidea del mondo macchina. Una dimen-
sione di pensiero, totalizzante e unitaria, che esclude la presenza divi-
na nel mondo perch lassorbe allinterno della materia. Il filosofo,
invece, ritiene che le cose stiano diversamente: da una parte il prin-
cipio creatore: Dio e, dallaltra il resto della natura.
A Leibniz, preme, poi, sottolineare che la vera filosofia deve dare
una concezione della perfezione di Dio utile in fisica e in morale.
Deve tener conto nella spiegazione dei fenomeni naturali delle cause
finali, giacch la causa efficiente delle cose intelligente
42
. Del resto,
il compito della filosofia illuminare non oscurare. Si tratta di evitare
che delle dottrine, tendenzialmente atee, possano offuscare la co-
scienza di giovani studiosi, che non sono ancora dotati di senso cri-
tico. fondamentale che i nostri giovani sconsiderati, sostiene Leib-

salvare e spiegare i fenomeni naturali, ossia ci che appare nei corpi, senza presup-
porre Dio n introdurlo nei ragionamenti: anzi, quando il tentativo ebbe qualche suc-
cesso (cio prima di spingersi ai fondamenti e ai principi), come felicitandosi della
propria sicurezza, proclamarono frettolosamente di non aver trovato n Dio n lim-
mortalit dellanima mediante la ragione naturale, e che la fede in tali cose si dovesse
piuttosto o alle norme civili o alle relazioni storiche: cos sostenne il sottilissimo
Hobbes, che per le sue scoperte meriterebbe di non essere menzionato qui, se non do-
vessimo contrapporci apertamente alla sua autorit perch non sia fatta valere nei
suoi lati peggiori. E come vorremmo che altri, spingendosi pi lontano, sino a dubi-
tare dellautorit della sacra scrittura e delle verit dei resoconti e delle relazioni sto-
riche, non avessero introdotto senza infingimenti lateismo nel mondo!
Mi sembrato davvero particolarmente indegno che si accechi il nostro animo
con la filosofia, ossia con la sua stessa luce. Ho dunque iniziato io stesso ad appli-
carmi allindagine delle cose, con veemenza tanto maggiore quanto pi diventavo in-
sofferente di venir espropriato, a causa delle sottigliezze degli innovatori, del mas-
simo bene della vita, ossia della certezza di uneternit dopo la morte e della speranza
nella divina clemenza che un giorno si manifester ai buoni e agli innocenti.
42
G.W. LEIBNIZ, Su Descartes (a Christian Philipp), in SF I, p. 221.
Antonia Giglio 490
niz, nella Lettera a un uomo di squisitissima dottrina sulla concilia-
bilit di Aristotele con i pi recenti filosofi, imparino a valutare og-
gettivamente gli approcci culturali che fanno parte del loro sistema
educativo
43
. Il filosofo deve salvaguardare la vita dai mali del ri-
duzionismo della scienza moderna, e per farlo deve reinserire il
principio spirituale nellorganizzazione del mondo e nella spiegazione
dei fenomeni
44
. Sulla base di queste indicazioni e pi in generale
sulle prospettive della lex continui, lidea della dnamij di Aristotele
si convertir in una forza viva che salva la materia dalla riduzione
geometrica che allorigine delle aporie della scienza moderna. Il
mondo ridotto a categorie geometriche un pericolo e bisogna
considerare se esiste qualcosa che sfugga a questa geometrizzazione,
che non si lasci ridurre ad un puro meccanismo. In altre parole, se
presente qualcosa che individualizzi la realt. Se questo qualcosa
esiste il mondo salvo, e si sconfigge lateismo. Il suo compito, quin-
di, di conciliare la fede con la scienza, le cause finali, volont divina
con il meccanicismo
45
.
La tematica sar ribadita ancora con chiara efficacia in uno scritto
del 1695, e, precisamente, il Saggio di dinamica, un compendio della

43
Cfr. G.W. LEIBNIZ, Lettera a un uomo di squisitissima dottrina sulla
conciliabilit di Aristotele con i pi recenti filosofi, in SF I, p. 132.
44
Riguardo a tale problematica, risulta evidente come sussistono notevoli cor-
rispondenze tra un pensiero che si sta formando e un pensiero maturo come quello
che dar vita ai Saggi di Teodicea, in SF III, p. 111. Dio la ragione prima delle
cose, poich quelle che sono limitate, come tutto ci che vediamo e sperimentiamo,
sono contingenti e non hanno nulla in s che renda la loro esistenza necessaria,
essendo manifesto che il tempo, lo spazio e la materia, uniti e uniformi in se stessi, e
indifferenti a tutto, avrebbero potuto accogliere altri movimenti e figure, e in un or-
dine completamente diverso. Bisogna dunque cercare la ragione dellesistenza del
mondo, che la raccolta intera delle cose contingenti: e bisogna cercala nella so-
stanza che porta in s la ragione della propria esistenza e che, di conseguenza, ne-
cessaria ed eterna. Bisogna anche che questa causa sia intelligente Cfr. M. SOCORRO
FERNNDEZGARCIA, La omnipotencia..., cit., p. 42: El creato no es otra cosa que la
actualizacin de algo eterno, del consunto de posibles que Dios elige, que antes de
ser creados, ya existen en la eternidad de Dios. En el sptimo pargrafo de la
Thodice, Leibniz expondr de un modo preciso cmo se relaziona la prueba co-
smlogica con la de las verdades eternas.
45
Cfr. D.O. BIANCA, Introduzione alla filosofia di Leibniz, cit., p. 188: La crisi
della coscienza europea, crisi che, sebbene investisse un po tutti i rami della cultura,
per quanto si riferisce alle scienze morali aveva assunto la forma del dissidio fra
scienze e fede, come dire la versione moderna dellantico contrasto tra verit di ra-
gione (nel seicento ragione significava propriamente ragione geometrica) e verit di
fede.
Necessit materiale e ragione formale 491
sua nuova concezione fisica, vista in stretta connessione con la
metafisica: tutti i fenomeni corporei si possono senzaltro ricavare
da cause efficienti meccaniche, ma intendiamo che in generale le
stesse leggi meccaniche a loro volta derivino da ragioni superiori
46
.
Si tratta di affermare la presenza spirituale di Dio nella costruzione
delluniverso e nella conoscenza. Riguardo a tale problematica, pre-
me, ancora, sottolineare la lettera a Jakob Thomasius. Nella lettera,
infatti, la conciliazione della filosofia moderna con quellaristotelica
un tramite per realizzare questo disegno. Non un caso che sulla base
delle idee precedenti maturi, poi, una filosofia conclusiva, anche se
gli orientamenti pi accreditati del 900 hanno fatto rientrare le idee
giovanili di Leibniz allinterno di un quadro di pensiero che vedeva
tali idee solo come avallo a un sistema maturo
47
. Leibniz afferma che
approva pi cose nei libri di Aristotele che nelle meditazioni di
Descartes. Del resto, non si ritiene un cartesiano, anzi, certo che si
possono serbare tutti gli otto libri della fisica di Aristotele, senza nuo-
cere alla filosofia riformata
48
. Il filosofo, ritiene che il meccanicismo
cartesiano, riducendo i corpi alla sola estensione, ha dato non solo un
concetto di materia alquanto riduttivo, ma inadeguato a comprendere
loperare della stessa natura
49
. Pertanto, il compito che si propone di

46
G.W. LEIBNIZ, Saggio di dinamica, in SF I, p. 441.
47
Cfr. R. CIRINO, Dal movimento alla forza, cit., p. 9 (Cirino osserva come
Russell e Couturat abbiano volutamente trascurato il quadro storico in cui operava
Leibniz []. Come, pure, avere ignorato del tutto gli scritti giovanili leibniziani in
cui la componente metafisica, da Russell e Couturat sottovalutata, mostra tutta la sua
forza speculativa determinante per le opere della maturit). Cfr. B. RUSSELL, La
filosofia di Leibniz, cit., p. 37: Poich voglio esporre un complesso coerente di idee,
mi sono limitato, per quanto possibile, alle idee del Leibniz maturo, a quelle, cio,
che egli elabor, non apportandovi che delle lievi modifiche, dal gennaio del 1686
fino alla sua morte, avvenuta nel 1716. le sue idee giovanili, come pure linfluenza
che su di lui esercitarono altri filosofi, sono state prese in considerazione solo quando
sono sembrate essenziali alla comprensione del suo sistema conclusivo.
48
G.W. LEIBNIZ, Lettera a un uomo di squisitissima dottrina, in SF I, p. 134.
49
G.W. LEIBNIZ, Su Descartes, in SF I, pp. 223224: Vi sono ancora molte cose
nelle opere di Descartes che considero errate [] credeva che fosse impossibile
trovare la proporzione tra una linea curva e una retta. Ecco le sue parole perch non
conosciuta la relazione che sussiste tra le rette e le curve, e non potendo neppure
almeno divenire mai nota agli uomini (Geometria, lib. I, art. 9, nelledizione di
Schooten del 1659). Qui si gravemente ingannato []. Se ne sarebbe avveduto egli
stesso, se avesse meglio considerato le tecniche di Archimede. persuaso che tutti i
problemi si possano ridurre ad equazioni []. La fisica di Descartes ha un grande
difetto, ed che le sue regole del moto o leggi della natura, che devono servire di
fondamento, sono per la maggior parte false. Se ne ha dimostrazione, e il suo gran
Antonia Giglio 492
recuperare la filosofia di Aristotele, senza orpelli e commentari e in-
tegrarla con la filosofia riformata. In ogni modo non possiamo con-
siderare Leibniz un conservatore, difatti, per quanto limpianto della
fisica di Aristotele sia importante, egli considera, altres, i progressi
scientifici raggiunti. La fisica di Aristotele, pur essendo utile nei suoi
principi metodologici, deve, nello specifico, essere integrata con la
filosofia riformata. Intento di Leibniz, , infatti, asserire che il pro-
gresso si realizza anche grazie allapporto dellesperienza, delle
scienze particolari e delle acquisizioni empiriche, egli ritiene che non
si pu far filosofia se non si consapevoli di questo.
Sar proprio la conciliazione dei philosophi novi con Aristotele,
e cio, la ricerca di una sintesi Antichi/Moderni, a consentire la nuova
lettura della natura e delluomo
50
. Una filosofia in cui la materia e il
moto si sono mutati in fenomeni, e lo spazio in ordine logico, insieme
ad una lettura dei fenomeni psicologici, delle percezioni, tramite il
logos dellespressione
51
. Leibniz parla di espressione a proposito di
un disporsi reciproco tra la cosa esprimente e la cosa espressa. Il
concetto di espressione, come sottolinea Massimo Mugnai, appas-
sionato studioso leibniziano, in Astrazione e realt. Saggio su Leib-
niz, non soltanto connesso alla teoria della conoscenza, ma parte
integrante della nozione di armonia
52
. La nozione di armonia pre-

principio secondo cui si conserva nel mondo la medesima quantit di moto un
errore.
50
G.W. LEIBNIZ, Lettera a un uomo di squisitissima dottrina, in SF I, pp. 134
135. Cfr. F. PIRO, Varietas identitate compensata. Studio sulla formazione della
metafisica di Leibniz, Napoli, Bibliopolis, 1990, p. 71.
51
Sullidentificazione percezione/espressione, cfr. LEIBNIZ, Discorso di Meta-
fisica (1686), in SF I, 14, p. 275. Tuttavia, proprio vero che le percezioni o
espressioni di tutte le sostanze si corrispondono vicendevolmente, in modo che
ciascuno, seguendo con cura certe ragioni o leggi che ha osservato, si armonizza con
laltro che fa altrettanto, come diverse persone, essendosi accordate di incontrarsi in
un certo luogo a una certa data prefissata, se vogliono possono farlo effettivamente.
Ora, bench tutti esprimano i medesimi fenomeni, non che per questo le loro
espressioni si somiglino perfettamente, ma basta che siano proporzionali: come
diversi spettatori credono di vedere la stessa cosa e si intendono in effetti a vicenda,
bench ciascuno veda e parli solo secondo la misura della propria visuale. Cfr. ID.,
Leibniz a Arnauld, 29 settembre/9 ottobre 1687, in SF I, p. 366: Una cosa esprime
unaltra nel mio linguaggio, quando vi un rapporto costante e regolato tra ci che si
pu dire delluna e dellaltra. Sulla teoria leibniziana dellespressione, cfr. M.
MUGNAI, Astrazione e realt. Saggio su Leibniz, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 3842;
M.A. KULSTAD, Leibnizs Conception of Expression, Studia Leibnitiana 9 (1977)
1, pp. 5576.
52
M. MUGNAI, Astrazione e realt, cit., p. 10.
Necessit materiale e ragione formale 493
stabilita chiarisce come possa accadere che le sostanze semplici
esprimano quello che complesso. Nello specifico, Leibniz afferma
che si dice dunque esprimere una cosa, ci in cui vi sono abitudini
corrispondenti alle abitudini della cosa da esprimere
53
.

Una cosa esprime unaltra, nel mio linguaggio, quando vi un rapporto
costante e regolato tra ci che si pu dire delluna e dellaltra. cos che una
proiezione prospettica esprime il suo piano geometrale. Lespressione
comune a tutte le forme ed un genere di cui la percezione naturale, la
sensazione animale e la conoscenza intellettuale sono specie. Nella perce-
zione naturale e nella sensazione, basta ci che divisibile e materiale e si
trova disperso in molteplici esseri sia espresso o rappresentato in un solo es-
sere indivisibile, ossia nella sostanza dotata di vera unit. E nellanima razio-
nale questa rappresentazione accompagnata da coscienza, ed allora che la
si chiama pensiero. Ora questa espressione giunge dappertutto, perch tutte le
sostanze simpatizzano con tutte le altre e ricevono qualche mutamento pro-
porzionale, corrispondente al minimo mutamento che accade in tutto luni-
verso, bench tale mutamento sia pi o meno considerevole a misura che gli
altri corpi o le loro azioni hanno pi o meno rapporto al nostro
54
.

Tramite la categoria semiotica di espressione, come ha sottoli-
neato Francesco Piro, Nel laboratorio della teodicea leibniziana,
Postfazione a Confessio Philosophi e altri scritti, e precisamente lo
studio: Lindividuo tra Aristotele, Lutero e Hobbes, si designa:
unanalogia strutturale tra due oggetti la quale renda possibile luso
di essi come raffigurazione dellaltro
55
. Non a caso, per il Leibniz
maturo, la percezione, pi che uno stato psicologico, un insieme di
informazioni codificate o, come afferma lo stesso Leibniz, unespres-
sione
56
. La relazione di espressione, nonostante sia solamente for-
male, diviene indispensabile per stabilire il legame tra i vari mu-
tamenti delle sostanze. Vale a dire: i mutamenti di una sostanza sono
requisiti del mutamento di unaltra
57
.
Lunit di connessione e percezione, che permette lunit ideale
dellindividuo, messa in relazione dalla lex continui. La lex con-
tinui, attraverso latto del percepire in modo cosciente, lappercezione
dei sentimenti passati, ne saggia non solo lidentit morale, ma anche

53
G.W. LEIBNIZ, Che cos lidea, in SF I, p. 193.
54
G.W. LEIBNIZ, Leibniz a Arnauld, in SF I, p. 366.
55
F. PIRO, Nel laboratorio della teodicea leibniziana, in ID., Confessio Philo-
sophi e altri scritti, Napoli, Cronopio, 1992, p. 152.
56
F. PIRO, Spontaneit e Ragion Sufficiente, cit., p. 120.
57
Ivi, p. 121.
Antonia Giglio 494
quella reale
58
. Ed nel reale sviluppo storico che lessenzialit del-
luomo viene colta dalla lex continui in quella che la sua vera es-
senza, la sua complessit, quellessere insieme corpo e anima.

58
Il reale completamente penetrato dallideale, ci che materiale da ci che
matematico; la ragione infatti domina ogni cosa; se cos non fosse non vi sarebbe n
scienza, n legge, e ci contraddirebbe la natura del principio supremo (E. CAS-
SIRER, Libert e forma, cit., p. 76).
ANGELA MAGAR

The Scale of Curiosity: James I Stuart e la Daemonologie
(1597)



La Daemonologie composta da James I Stuart quando ancora
noto con il nome di James VI di Scozia, circa sei anni prima di
ricevere, alla morte di Elizabeth I Tudor (1603), lelezione al trono
dInghilterra. Con questopera James I mette alla prova la sua abilit
di scrittore, avendo egli dedicato alcuni anni allo studio della filosofia
(era nato nel 1566), della medicina, dellastronomia, e letto diversi
trattati di astrologia, di negromanzia e di magia naturale. Il sovrano
sceglie di trattare un argomento classico, ben noto agli ambienti
accademici e alle gerarchie ecclesiastiche della Chiesa di Roma e
della Chiesa riformata; e tuttavia, come scrive nella Preface to the
Reader, a causa del numero spaventoso di streghe e fattucchiere,
odiose schiave del diavolo, che si riscontra attualmente in questo
paese, nonch per i dubbi da cui molti sono assillati riguardo sia la
veridicit degli attacchi di Satana sia la massima severit con cui i
suoi strumenti meritano di essere puniti, si tratta un tema bisognoso
di un adeguato chiarimento
1
.
La Daemonologie si confronta innanzitutto con due autori del
tardo Rinascimento che hanno trattato il problema della stregoneria in
maniera pi aperta e spregiudicata: il primo Reginald Scot (c.1538
1599), autore di The Discovery of Witchcraft, wherein the Lewde
dealing of Witches and Witchmongers is notablie detected, in sixteen
books whereunto is added a Treatise upon the Nature and Substance
of Spirits and Devils (London, 1584)
2
; il secondo Johann Wier (o
Weyer, 15151586), autore di un De Praestigis Daemonum et
incantationibus ac veneficis (Basileae, 1563). Entrambi questi autori,
con sensibilit diverse, distinguono lesistenza dellarte negromantica

1
GIACOMO I STUART, Demonologia (Daemonologie, in forme of a Dialogue,
divided into three bookes), introduzione, traduzione e note di Giovanna Silvani (con
riprod. fotost. dellediz. orig. 1597), Trento, Editrice Universit degli Studi di Trento,
Dipartimento di Scienze filologiche e storiche, 1997, Preface to the Reader, sig. 2
r
v
; trad. it. p. 95.
2
Lopera fu ristampata da Richard Cotes nel 1651 e nel 1654, e in una terza
edizione aumentata nel 1665.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 495-504 495
Angela Magar 496
da quella delle streghe, condannando la pratica della stregoneria come
una degenerazione della superstizione, ma non risparmiandosi di
denunciare lincapacit, da parte degli inquisitori o dei giudici, di
riconoscere linganno o lillusione che si cela dietro quelle pratiche.
In tale prospettiva, la superstizione e la credulit dei giudici non sono
meno gravi di quelle dei loro imputati in quanto alimentano, sia pure
indirettamente, la diffusione del fenomeno che intendevano com-
battere. In particolare Wier, probabile ispiratore di Scot, nega la cieca
credenza nellesistenza delle streghe sulla base delle sue competenze
di medico, riconducendo le visioni, le possessioni e le confessioni di
coloro di cui si sospettava che fossero infestati dal demonio allas-
sunzione di droghe o allumore melanconico. Ci che accomuna i due
autori soprattutto la disapprovazione verso la crudelt usata dagli
inquisitori per punire i condannati o per estorcere, attraverso la tor-
tura, le confessioni dagli imputati
3
.
Diversamente da Scot e da Wier, il messaggio dellopera di James
un chiaro ritorno alla tradizione, intrapreso attraverso il tentativo di
far conoscere al pubblico alcuni segreti delle arti magiche, della
negromanzia e della stregoneria e i diversi casi di fenomeni demo-
niaci, esprimendo il proprio punto di vista sullentit delle punizioni
da infliggere, fornendo anche delle risposte ad alcuni interrogativi
recenti, relativi al tradizionale rapporto esistente tra la stregoneria e la
chiesa papista. Per quanto riguarda questultimo punto, il con-
servatorismo dellautore deve sgombrare il campo dal dubbio che il
mantenimento della rigidit tradizionale nei confronti dei fenomeni di
stregoneria non celi una qualche forma di simpatia (o di nostalgia)
verso la chiesa di Roma
4
.
La Daemonologie scritta in forma di dialogo, e divisa in tre libri,
con due protagonisti: Philomates ed Epistemon. Questultimo incarna
la personalit pi diretta del sovrano, mentre Philomates, come spiega
il suo etimo (dal gr. filomatj: desideroso di apprendere),

3
Cfr. BRIAN P. LEVACK, The Witchcraft Sourcebook, London, Routledge, 2003,
p. 235238, 275292; MICHELA VALENTE, Johann Wier, agli albori della critica
razionale dellocculto e del demoniaco nellEuropa del Cinquecento, Firenze, Leo S.
Olschki, 2003 (Studi e testi per la storia religiosa del Cinquecento, vol. 12).
4
Per tutto il corso del regno, James I dovette far fronte alle accuse di connivenze
col papismo. La preoccupazione di non confondere, nella Daemonologie, la sua posi-
zione con quella della chiesa papista era dunque pi che giustificata. Cfr. MARK KIN-
SHLANSKY, Let degli Stuart. Linghilterra dal 1603 al 1714, Bologna, Il Mulino,
1999, p. 5563, 93122.
The Scale of Curiosity 497
rappresenta colui che cerca la conoscenza. In un certo senso, le due
figure compongono lintera personalit del re: di un intellettuale in-
quieto, antidogmatico, capace di tornare, alloccorrenza, sui propri
passi. La funzione di Philomates quella di formulare domande, sol-
levando dubbi o facendosi portavoce delle idee dei dotti del tempo.
La personalit di Philomates essenzialmente quella del curioso, o
meglio del curioso sapiente che non esita ad assecondare la sua natu-
rale sete di sapere ed esercitare il dubbio per aumentare la propria
conoscenza. Epistemon, da parte sua, non ne mortificava lo slancio,
anche perch riconosceva il valore del dinamismo intellettuale espres-
so da Philomates. Philomates impersona lo scettico non dogmatico, il
filosofo pirroniano (nellaccezione che assumer il termine pir-
ronismo nei secoli XVII e XVIII)
5
, che dubita in quanto persegue la
verit, ossia alla ricerca di un sapere fondato dalla forza delle do-
mande.
Largomento del primo libro affronta il fenomeno della magia in
generale e della negromanzia in particolare. James I dice di non voler
analizzare in ogni dettaglio il potere del diavolo, perch esso in-
finito (bench, come preciser pi avanti, esso sia di gran lunga in-
feriore al potere di Dio); piuttosto, egli intende ragionare sul genere
(genus) tralasciando, per ovvi motivi, le species e le differentiae
6
.
Sempre nella Preface, James suggerisce a chi nutre curiosit per le
pratiche infinite e straordinarie di tali arti illecite di leggere in-
nanzitutto la Demonomanie des Sorciers (1580) di Jean Bodin; e, die-
tro lavvertenza della potenziale pericolosit di tali conoscenze, cita il
De occulta philosophia (1510) di Cornelio Agrippa, raccomandando
in particolare la lettura del quarto libro
7
.
Il primo libro della Daemonologie si apre con il ricordo di Philo-
mates dei principali dubbi nutriti dai dotti sullargomento della
stregoneria, in specie sulle confessioni rese ai giudici. Epistemon, che
assume sin dallinizio il ruolo di dissipatore delle perplessit di Philo-
mates, separando la naturale, legittima diffidenza di Philomates dalla
parte dogmatica (la negazione assoluta della materia del contendere),
dice che non si pu avviare un discorso negando la cosa in se stessa,

5
Cfr. RICHARD H. POPKIN e CHARLES B. SCHMITT (eds.), Scepticism from
Renaissance to the Enlightenment, Wiesbaden, Harrassowitz, 1987; GIANNI PAGANINI
(ed.), The Return of Scepticism from Hobbes and Descartes to Bayle, Dordrecht, Klu-
wer, 2003.
6
JAMES I STUART, Daemonologie, cit., sig. 2
v
; trad. it. cit., p. 96.
7
Ivi, sig. 5
r
; trad. it. cit., p. 98.
Angela Magar 498
perch, come dicono i logici, contra negantem principia non est
disputandum
8
. James I ritiene necessario dichiarare lesistenza del
diavolo: come dir nel cap. VII del lib. II, negare lesistenza del
diavolo sarebbe come voler negare lesistenza di Dio, che il suo
esatto contrario
9
. Per stabilire il punto fermo della discussione,
Epistemon conviene che lesistenza della stregoneria e delle streghe
dimostrabile gi dalle Sacre Scritture, nonch dallesperienza quo-
tidiana delle confessioni
10
.
Philomates incalza linterlocutore: so che addurrai come prova la
pitonessa di Saul, ma ci non ti servir a molto, considerando
lepisodio biblico di I Samuele 28, in cui si narrava che Saul, essendo
turbato nello spirito e digiuno da lungo tempo, si rec da una donna
che si diceva fosse dedita alla negromanzia, e nel chiederle
informazioni si sent colpevole per le sue offese e per quellillecita
curiosit e orribile apostasia
11
. Ad un certo punto la donna si mise a
urlare come se avesse visto qualcosa. Philomates esclude che la
negromante abbia visto un che di straordinario o abbia avuto una
visione profetica, perch le profezie provengono soltanto da Dio e il
diavolo non ha alcuna conoscenza delle cose future
12
.
Epistemon ricorda allinterlocutore che nella Bibbia era a volte
concesso che al diavolo fosse dato di assumere le sembianze dei
Santi, ad es. in 2 Corinzi 11.14, dove si dice che Satana pu
trasformarsi in un angelo della luce, e anche se questi non pu tur-
bare le visioni dei profeti
13
, perch certo che Dio non permetter di
informare cos le sue creature, coloro che volontariamente in-
gannano se stessi dandosi al diavolo, quelli Dio lascia che cadano
nelle sue insidie e permette che siano ingannati dalla sua grande
astuzia, giacch non vollero credere alla verit (come dice Paolo)
14
.
Per quanto concerne la capacit del diavolo di predire il futuro,
vero che egli non conosce tutte le cose che accadranno, tuttavia ne
conosce una parte, come dimostra il tragico evento di questa storia

8
Ivi, p. 2; trad. it. cit., p. 100.
9
Ivi, p. 145.
10
Ivi, p. 100.
11
Ibidem.
12
Ivi, p. 101.
13
Ivi, p. 102.
14
Ivi, p. 101.
The Scale of Curiosity 499
[...], e non perch abbia una qualunque prescienza
15
. A questo punto
Epistemon formula due ipotesi:

o egli, edotto dalla continua esperienza e dalla sua conoscenza del mondo fin
dalla Creazione riesce ad immaginare le cose future alla luce di quanto gi
accaduto e secondo le cause naturali che regolano tutti i fenomeni di questo
mondo, oppure Dio, il quale impiegandolo per i propri fini, gli conferisce
tale conoscenza, come sembra sia accaduto in questo caso, e in un altro modo
simile, nel discorso profetico di Michea al re Achab (I Re 22). Ma per
dimostrare la mia prima affermazione riguardante lesistenza delle streghe e
della stregoneria, nella Bibbia ci sono molti altri punti a testimonianza di ci,
come ho gi detto. Innanzi tutto tali pratiche sono proibite dalla legge di Dio
(Esodo 22), ed certo che la legge di Dio non parla mai invano, n scaglia
maledizioni o impartisce punizioni alle ombre, condannando come male ci
che non tale n nellessenza, n nella sostanza. In secondo luogo questo
dimostrato nel punto in cui i saggi del Faraone imitarono alcuni miracoli di
Mos per indurire il cuore del tiranno (Esodo 7 e 8). In terzo luogo, non disse
forse Samuele a Saul che la disobbedienza un peccato come la stregoneria?
(I Samuele 15). Paragonarla a una cosa inesistente sarebbe troppo assurdo
16
.

La prima delle due ipotesi, secondo cui il diavolo o i suoi stru-
menti sfruttano in un modo che supera le naturali capacit delluomo
la conoscenza dei fenomeni della natura e delle loro cause, ricorrer
ancora nel corso del dialogo, ad es. quando si tratter di spiegare qua-
li siano gli effettivi poteri delle streghe
17
, e quali invece siano frutto
di superstizione o di credenze mal riposte; o ancora, quando Epi-
stemon dovr spiegare la differenza fra i miracoli compiuti da Dio e
quelli compiuti dal diavolo, occasione nella quale lautore chiarir
non solo che sarebbe impensabile che Dio conceda di conoscere,
tramite i diavoli dannati, quei misteri celesti che non ci ha svelato
neppure con le Sacre Scritture e con i Profeti
18
, ma anche che certi
particolari progidi, come la capacit di rivelare i segreti della mente,
in realt non sono altro che delle imposture diaboliche, ottenute ad
arte attraverso la conoscenza dellespressione del volto, come fanno
gli esperti della scienza della fisionomia
19
. Larte del diavolo,
infatti, si compone di molti trucchi, simili a quelli compiuti con le
carte e i dadi, o dai giocolieri: eppure tutto ci solo un inganno dei

15
Ivi, p. 102.
16
Ivi, pp. 102103.
17
Ivi, lib. II, cap. V, p. 137138.
18
Ivi, lib. I, cap. VI, p. 116.
19
Ivi, pp. 116117.
Angela Magar 500
sensi senza vera sostanza, come i falsi miracoli che compirono i ma-
ghi del faraone contraffacendo quelli di Mos
20
.
Il capitolo III dedicato alla spiegazione del significato delle
parole di negromanzia e di magia: questultima significa in
lingua persiana la contemplazione o linterpretazione delle scienze
divine e celesti, e fu usata per la prima volta dai Caldei, che nella
loro ignoranza delle vere leggi divine la considerarono una virt
fondamentale. Perci le fu dato immeritatamente un nome onorevole,
imitato poi dai greci, i quali importarono anche luso di queste arti
illecite. La parola negromanzia dorigine greca ed composta da
Nekrwn e manteia, cio profezia tramite i morti. Questo nome dato
a tale scienza infame e illecita per sineddoche, perch la parte
principale di quellarte che si serve dei cadaveri per formulare
profezie
21
.
Circa gli effetti e i segreti della negromanzia, Epistemon dice che
due specie di persone possono essere allettate da tale arte: le persone
colte e quelle ignoranti; di conseguenza, vi sono due mezzi con cui la
loro curiosit era dapprima accesa e soddisfatta, finch essi non
cadono completamente in bala degli stessi: questi due mezzi li
chiamo la scuola del diavolo e i suoi rudimenti, [...], cio lastrologia
giudiziaria
22
. Attraverso questa suddivisione fra dotti e indotti, che
sar in un certo modo ripetuta quando si parler della natura delle
streghe, il re ha modo di specificare il concetto di curiosity, che
evidentemente uno degli strumenti di cui si serve il diavolo per se-
durre le sue vittime, in una duplice accezione: luna la curiosit
naturale in senso volgare, derivante unicamente dallignoranza, che
diventa, negli uomini di debole virt e lontani dalla grazia di Dio una
delle condizioni naturali per lirretimento demoniaco; laltra la
curiosit del sapiente, delluomo colto, che, se ben guidata e si limita
alla sola conoscenza teorica del fenomeno, pu addirittura diventare
uno strumento per combattere la stregoneria. La distinzione fra
curiosit dotta e indotta serve anche a caratterizzare la diversa natura
delle vittime della scuola di Satana, e le loro diverse ambizioni:
mentre il curioso sapiente mosso soprattutto dal desiderio di au-
mentare la sua conoscenza, dalla propria irrequietezza, dal bisogno di
distinguersi dai pedanti e di accrescere la propria fama, lindotto

20
Ivi, p. 117.
21
Ivi, pp. 105106.
22
Ivi, pp. 106107.
The Scale of Curiosity 501
mosso sempre da scopi di vendetta e dal desiderio di accumulare
ricchezze. Ecco dunque come il sapiente percorre con laiuto di
Satana linfida scala della curiosit:

Poich molti, pur avendo raggiunto una notevole cultura, sono purtroppo
completamente privi di virt e della grazia spirituale e vedendo che anche gli
sciocchi pedanti possono conoscere le scienze naturali, cercano di acquisire
una fama maggiore, non solo studiando il corso delle cose celesti, ma
tentando anche di carpire i segreti del futuro. Allinizio tale procedimento
appare loro perfettamente lecito, e sembra derivare unicamente da cause na-
turali; in seguito, scoprendo che in molti casi le loro pratiche si rivelano
veritiere, essi si entusiasmano a tale punto da volerne conoscere le cause.
Cos salgono pian piano la scala scivolosa e infida della curiosit (the slip-
perie and uncertaine scale of curiosity) finch la loro brama di conoscenza
finisce per essere talmente grande che, laddove le arti e le scienze lecite non
riescono a soddisfare il loro spirito irrequieto, essi non esitano a ricorrere a
quella scienza infame e proibita che la magia. Allora dapprima scoprono
che tracciando determinati cerchi e praticando esorcismi, riescono ad evocare
diversi spiriti che li aiutano a risolvere i loro dubbi, e attribuendo ci al po-
tere inseparabilmente congiunto o inerente ai cerchi e alle molte parole sacre
pronunciate confusamente, giungono stoltamente a gloriarsene, come se con
labilit del loro ingegno essi avessero conquistato il regno di Plutone e
fossero diventati imperatori delle regioni dello Stige, mentre in realt (poveri
infelici) sono divenuti schiavi del loro mortale nemico, e la loro scienza, no-
nostante tutta la loro presunzione, non affatto aumentata se non nella co-
noscenza del male, come accadde ad Adamo (Genesi 3) quando mangi il
frutto proibito
23
.

I sapienti non sono dunque meno colpevoli degli indotti. Tra colo-
ro che ricorrono alla magia, gli ignoranti, che sono naturalmente cu-
riosi e non possiedono la vera conoscenza di Dio sono convinti
dellautenticit di alcuni sortilegi a causa dellabilit con cui il dia-
volo inganna gli uomini e non per qualche virt posseduta da queste
vane parole
24
. A questo punto Philomates chiede se ci che chia-
mata la scuola del diavolo non sia in realt cosa lecita, approvata
come tale in ogni epoca, in particolare nella scienza dellastrologia,
che una delle branche della matematica
25
. Epistemon risponde con
una distinzione tra astrologia e astronomia, da cui emerge con chia-
rezza quella parte dellastrologia contraria alla religione e alla natura:


23
Ivi, p. 107.
24
Ivi, cap. IV, p. 109.
25
Ibidem.
Angela Magar 502
Due sono le cose che i dotti hanno studiato fin dai tempi antichi riguardanti la
scienza dei corpi celesti, dei pianeti, delle stelle e cos via: una il corso e il
moto degli astri, che perci viene chiamata astronomia, parola composta da
nomoj e asterwn, cio legge delle stelle; e questarte veramente una parte
della matematica non solo lecita, ma anche estremamente necessaria e lo-
devole. Laltra si chiama astrologia, parola composta da asterwn e logoj,
cio la parole e linsegnamento delle stelle, ed divisa in due parti: la prima
consiste nel conoscere per mezzo suo il potere delle erbe medicinali e le
malattie, il corso delle stagioni e i fenomeni atmosferici che sono soggetti
allinfluenza degli astri; questa parte deriva dallastronomia e anche se di per
s non compresa tra le scienze matematiche, tuttavia di per s non illecita,
se usata con moderazione, sebbene non sia tanto necessaria e lodevole come
la precedente. La seconda consiste nel confidare talmente nellinfluenza degli
astri da prevedere chi diventer ricco e chi povero, chi avr fortuna e chi no,
quale dei due eserciti vincer la battaglia, quale contendente otterr la vittoria
in un duello, come e quando una persona morir, quale cavallo vincer una
gara, ed altre cose incredibili simili a queste, di cui hanno scritto ampiamente
Cardano, Cornelio Agrippa e molti altri, in opere pi singolari che utili. Da
questa radice dellastrologia si dipartono innumerevoli rami, come ad
esempio la compilazione degli oroscopi, la chiromanzia, la geomanzia, la
fisionomia, e mille altre, tutte praticate e tenute in grande considerazione da-
gli antichi. Questultima parte dellastrologia [...] fu da essi chiamata pars
fortunae. Essa del tutto illecita e nessun cristiano deve praticarla o prestarle
fede, poich non si basa su alcuna legge naturale, ed questa che prima ho
chiamato la scuola del diavolo
26
.

Dalla discussione che segue emerge con chiarezza che ci che me-
rita di essere condannato sopra ogni cosa lignoranza e la debolezza
della propria virt piuttosto che la curiosit in se stessa. Questultima,
se assistita e ben guidata, pu diventare come si detto unarma
vincente contro la magia e la stregoneria. Non un caso che nel cap.
V, alla richiesta di Filomates di sapere perch coloro che giungono a
conoscere la perfezione di tale arte, tracciando cerchi e facendo esor-
cismi, desiderino poi di stipulare un patto con limmondo spirito,
Epistemon risponde che cercher per quanto in suo potere di
soddisfare la sua curiosit riguardo agli esorcismi
27
. E nel cap. VII,
raccontando che lo stesso Mos fu educato nella sua giovinezza a
tutte le arti egizie, egli ricorda che c una grande differenza fra il
conoscere una cosa e metterla in pratica
28
.
Nel libro II, dedicato alla descrizione della stregoneria, Epistemon
complica ulteriormente la precedente classificazione delle vittime del

26
Ivi, pp. 109110.
27
Ivi, p. 112.
28
Ivi, p. 120.
The Scale of Curiosity 503
diavolo con una distinzione di genere sessuale. Dopo aver spiegato
che la parola stregoneria di origine latina e significa predire la
sorte, il cui equivalente inglese witchcraft
29
, e aver diviso i
negromanti in due tipi, quelli colti e quelli incolti, egli divide le
streghe in ricche e importanti e in povere e di bassa estrazione.
Come per i negromanti, queste due specie di persone obbediscono
alle loro passioni, di cui si serve il diavolo [...] per allettarle ad entrare
al suo servizio
30
. Il fatto che il re identifichi la stregoneria come una
pratica prevalentemente femminile riflette la misoginia e la
sessuofobia tipiche dei giudici e degli inquisitori del suo tempo.
Allinterrogativo di Philomates, perch ci siano pi donne che uomini
dedite alla stregoneria, Epistemon risponde che la donna pi
debole delluomo, dunque pi facile per il diavolo irretirla nelle
sue insidie, come chiaramente dimostrato dal serpente che ingann
Eva al principio del mondo
31
. Come ha scritto Giovanna Silvani, la
curatrice delledizione italiana della Daemonologie, lopinione che
delle donne aveva il sovrano era [...] del tutto coincidente con quella
della maggior parte dei demonologi e teologi suoi contempoanei. Se
la figura del mago, pur condannata, esce dalle pagine di questo
trattato quantomeno parzialmente giustificata in virt di quel
desiderio di conoscenza che lo spinge a dedicarsi alle arti diaboliche,
per la strega, mossa unicamente dalle passioni pi abiette, non
rimangono che disprezzo e disgusto, misti ad un ancestrale timore nei
confronti del sesso femminile. Vendicative, ignoranti, invidiose, col-
leriche, mentitrici, le donne, gi per loro stessa natura sono preferite
dal diavolo, che trova in esse allieve zelanti, cui rivelare i pi turpi
segreti
32
.
Dopo aver confermato, nel 1604, le tesi espresse nella Dae-
monologia con un nuovo statuto contro la stregoneria, in cui si rac-
comanda di usare la massima severit con le streghe, James comincia
a cambiare opinione, probabilmente perch insodisfatto di assistere
alla continua ripetizione di processi sommari, soprattutto dopo aver
scoperto in pi di unoccasione che i presunti casi di possessione
diabolica erano solo simulati. Questo mutamento di sensibilit da
parte del sovrano non sar privo di riflessi nella letteratura teatrale del

29
Ivi, cap. II, p. 125.
30
Ivi, p. 126.
31
Ivi, cap. V, p. 135136.
32
G. SILVANI, Introduzione alla Demonologia, cit., p. XIXII.
Angela Magar 504
suo tempo; non si pu non intravedere il mutato atteggiamento del re,
ad es., nel passaggio dal teatro di Shakespeare (dellAmleto o del
Macbeth) a quello del Ben Jonson pi maturo, che in The Devil is an
Ass, una commedia satirica che fu rappresentata al Blackfriars nel
1616, si prendeva apertamente gioco delle arti magiche e delle pos-
sessioni diaboliche
33
.
Di questa nuova temperie culturale partecipa, molti anni pi tardi,
un pensatore come Thomas Hobbes (gi ammiratore di James I), il
quale, oltre a negare lesistenza delle streghe e dei demoni, ed esclu-
dere la demonologia dal dominio della scienza, ritiene che sia dove-
roso occuparsi della confutazione delle cattive dottrine estranee alla
filosofia e alla religione di stato: esse costituiscono quel Kingdom of
Darkness di cui il buon sovrano deve disfarsi, se vuole garantire ai
propri sudditi la pace della nazione e assicurare agli stessi un reale
progresso nel campo delle scienze
34
.
La stessa curiosit, in Hobbes, perde quellaspetto duplice,
determinato dallo status etico, sociale e intellettuale sancito dalla
Daemonologie, per imporsi come una passione naturale, una carat-
teristica universale e specifica, insieme alla ragione, della natura uma-
na, in quanto desiderio di sapere perch e come, interesse per la
conoscenza delle cause, che una sensualit che supera la breve
veemenza di ogni piacere carnale, provocando un diletto costante per
la continua e infaticabile generazione di conoscenza
35
.

33
Sul rapporto fra la Daemonologie e il teatro inglese del tempo, cfr. G. SILVANI,
Introduzione, cit., p. XVIIXXIV.
34
T. HOBBES, Leviathan, or the Matter, Forme & Power of a Commonwealth
Ecclesiasticall and Civill, London, 1651, capp. XLV e XLVI; trad. it. Leviatano, a c.
di R. Santi, Milano, Bompiani, 2001. Cfr. BRIAN P. LEVACK, The Witchcraft Source-
book, cit., p. 299304.
35
T. HOBBES, Leviathan, cit., cap. VI.35, p. 26; trad. it. p. 95.
KATIA MENNITI

Itinerari di passione.
Luce Irigaray e il femminile



E bisognava che tutti voi mi aveste persa di vista
perch verso di voi, io ritornassi con altro sguardo
LUCE IRIGARAY, Amante Marina



1. Un silenzio rumoroso

Sembra che il problema del femminile attraversi tutta la storia del
pensiero occidentale. O forse meglio, di questa storia il femminile
rappresenta il problema.
Sin dalle sue origini il pensiero filosofico lo ha pensato entro la
coppia oppositiva maschile/femminile e qui ogni elemento a finito
per giocare il suo ruolo. Maschile e femminile: lopposizione dia-
lettica, la differenza di grado. Il primo inscritto nellordine del lo-
gos, come espressione razionale, il secondo inscritto nellordine della
physis (natura, materia, corpo), come affermazione irrazionale. Al
primo attiene la forma (morph), che guarda alla materia come caos
da ordinare, al secondo concerne la materia (hyle), che guarda alla
forma come telos da raggiungere. Ebbene, la storia di questa dialet-
tica coincide per noi con la storia di una lunga esclusione: quella del
femminile dalla scena del logos. Ma proprio questo femminile, te-
stimone di una storia desclusione e di silenzio, che nella scena sto-
rica della contemporaneit si presenta come nuovo protagonista,
emerge.
Con la nascita del movimento delle donne risplende una colorata
primavera: colorata come lo ogni nascita quella del femminismo
si colora di viola; al tempo stesso rumorosa, perch la voce che si ode
intona un nuovo canto, una voce differente, una voce altra che porta
con s laltro e la differenza.
Un canto di gioia, una voce femminile che emerge dal silenzio
intonando un cadenzare allegro ed esplosivo; sovversivo il suo canto
perch differente e dissonante, esso irrompe e sconvolge lordine
cosmico del maschile. Il femminile come eccedenza nella storia e nel
discorso. Questa volta la voce femminile che articola un nuovo
Bollettino Filosofico 22 (2006): 505-514 505
Katia Menniti 506
logos, una nuova episteme; una filosofia declinata al femminile, dal
femminile. Una voce inarticolata e asemantica quella delle donne,
pura voce, vibrazione acustica, come quella delle Sirene di Omero, o
pura risonanza come la voce della Ninfa Eco; voce che non pu
essere udita: questo il destino delle donne? Assegnate dal logos e
dalla storia al silenzio, allindicibile, allirrappresentabile, al dif-
ferente contraddittorio e negativo, alla ripetizione. Negazione di un
altro logos che sin dalle origini percepito come altro, come laltro
del logos: un antilogos?
E rievochiamo le Sirene, mostri marini, donne solo per met, con
voce femminile seducono a morte, a tutti gli uomini proibito
lascolto; solo allastuto Ulisse, legato allalbero maestro, dato
godere del seducente canto senza morire. Cantano parole, vocalizzano
storie, narrano cantando; la loro sapienza totale, narrano le cose che
hanno visto accadere sulla piana di Troia e tutto quello che accade
sulla terra, esse vedono tutto. Divine narratrici usurpano la specialit
maschile del logos, il loro un logos altro, un logos poetico, cantato,
musicale ma pur sempre logos, narrazione di un sapere. Un canto
femminile che da godimento, tale da condurre alla morte: questa la
potenza del femminile che si esprime nel canto. E ancora storie di un
femminile che il maschile non sa ascoltare, voce inarticolata, pura
risonanza: questa la voce di Eco. Colei che non ha voce propria, il
cui parlare dipende sempre da altri, solo ripetizione delle parole
altrui, puro suono; Eco, esempio della naturale inadeguatezza delle
donne al logos. Destinata alla ripetizione non intenzionale, al non
senso, solo suono vocalico iterato, puro residuo materiale, vocalico
che nella ripetizione vanifica il semantico perch ripetizione di un
suono e non di una parola. questo lantilogos del femminile,
questa la voce che non si sa e non si vuol ascoltare; o forse che non si
pu ascoltare, perch tale la sua potenza da sconvolgere ogni
ordine: gi, perch rivoltosa la sua natura, indomabile il suo animo.


2. Donna: matermateria

Luce Irigaray
1
, una delle teoriche pi attente al problema della

1
Per una lettura del pensiero di Luce Irigaray facciamo riferimento ai seguenti testi,
A. CAVARERO, Per un pensiero della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 2003;
R. BRAIDOTTI, Dissonanze. Le donne e la filosofia contemporanea. Verso una lettura
filosofica delle idee femministe, Milano, La Tartaruga, 1994; G. STANCHINA La filoso-
fia di Luce Irigaray. Pensare e abitare un corpo di donna, Milano, Mimesis, 1996.
Itinerari di passione 507
differenza e alla questione: soggettivit femminile e soggetto donna;
si immerge nellimmaginario femminile, ne visita i luoghi e ne
interroga le procedure di pensiero. Insegue nel suo itinerario teorico
le pieghe di un discorso che si dichiara neutro e universale ma che a
ben vedere eleva il maschile a sesso unico e nega il femminile
determinandolo negativamente. proprio Luce Irigaray a farci notare
che il discorso filosofico attraverso un continuo gioco di rimandi si
allea con il maschile al quale riconosce il potere della ragione e
rifiuta il femminile che ritiene principio di caos, e le donne perch
ritenute coloro che sono dominate dalla passione.
Perci Irigaray inizia il suo percorso teoretico con quello che
viene ritenuto dalla critica femminista il pi famoso e importante
testo di filosofia al femminile, Speculum. De lautre femme; che sin
dalle prime righe svela lobiettivo principale della pensatrice: denun-
ciare il legame tra Ragione e Mascolinit, il suo intento, infatti, ri-
costruire la storia del soggetto sessuato maschile, del sapere e del pri-
mato della ragione. Questultima analizzata come la luce che illumina
ogni verit, e che per Irigaray riflette limmagine del soggetto ma-
schile in un gioco di speculazione, gioco speculare che funziona a
spese del corpo della donna, corpo materiale, matrice. Ed nellana-
lisi della complessa scenografia del mito della caverna che rinviene
i postulati e i meccanismi costruttivi di un discorso che rinnega la
propria nascita corporea e il proprio debito genealogico. In Speculum,
infatti Irigaray indica una significativa catena metonimica: madre
materiamatrice, che il discorso metafisico usa per indicare il fem-
minile e le donne e che nella lettura del mito della caverna trova
espressione figurale nellhystera, concavit della terra, luogo buio da
cui provengono ingannevoli opinioni. Uninterpretazione figurale,
quella irigarayana che rileva nelle immagini simboliche i referenti
reali di una modalit di pensiero e di azione che esclude il femminile.
Perci il pensiero irigarayano si muove verso la creazione di una
nuova interpretazione figurale del femminile e della donna opponen-
do alla metonimica donna: luogo oscuro, informe e passiva la meto-
nimica delleccedenza, dellapertura, dellaccoglienza delle differenze
e della meccanica dei fluidi. Il fine quello di creare un nuovo
immaginario femminile che renda conto delle differenze; cos in un
continuo rimbalzo tra il concetto di forma (morphe) e la sua immagi-
ne e il concetto materia (hyle) e il suo sottrarsi alle immagini gi de-
terminate da un logos sessuato al maschile Irigaray insegue il fem-
minile e tenta di creare per esso delle immagini diverse. Scopre infatti
Katia Menniti 508
che sotto i veli e le maschere che la nostra cultura attribuisce alle
donne, dimora il femminile in posizione di eccesso in rapporto alla
razionalit fallocratica; in altre parole il femminile plurale, multiplo,
resiste ad ogni assimilazione, ad ogni tentativo di attribuirgli unim-
magine, sfugge ad ogni codificazioni.
proprio con il saggio che si intitola Lu di Platone Iriga-
ray inaugura una serie di riletture dei classici del pensiero occiden-
tale, da Platone a Nietzsche, da Heidegger a Levinas fino a Derrida,
tese allelaborazione della tematica dellentredeux, cio dello spazio
ontologico in cui i differenti possono comunicare senza assimilazione
o sopraffazione
2
.
Parte dallassunto che la filosofia anche quando ammette lesisten-
za di soggettivit diverse, riconoscendo differenze di cultura di razza,
di classe, di etnia, il soggetto filosofico inindifferente non rinuncia al
suo imperialismo, il modello fondamentale dellessere umano rimane-
va immutato: uno, unico, solitario, e storicamente maschile, quello
delluomo occidentale adulto, ragionevole, competente. Le diversit
erano dunque pensate e vissute in modo gerarchico, il molteplice es-
sendo sempre sottomesso allUno
3
. necessario per Irigaray creare
una nuova immagine di pensiero e una nuova etica che renda conto
del femminile e delle donne; al fine di elaborare nuove soggettivit
sessuate al femminile, perch sulla negazione della soggettivit alla
donna che si erge il potere del discorso fallologocentrico: La
soggettivit denegata alla donna, questa indubbiamente lipoteca
con cui si garantisce ogni costituzione irriducibile delloggetto:
oggetto di rappresentazione, di discorso, di desiderio. Immaginate che
la donna immagini, e loggetto perderebbe la sua caratteristica
(didea) fissa. Non sarebbe pi il punto di riferimento estremo, pi
elementare del soggetto stesso, in fin dei conti, poich il soggetto si
regge soltanto in forza dun effetto di rimando che gli viene da una
qualche oggettivit, da un qualche obbiettivo. Se non ci fosse pi
terra da (ri)muovere, su cui muoversi, da rappresentar(si), ed anche
da desiderare (di) possedere una materia opaca senza consapevolezza
di se, che fondamento potrebbe darsi il soggetto per esistere?
4
.

2
Cfr. L. IRIGARAY, Amante Marina di Friedrich Nietzsche Roma, Luca Sossella,
2003; ID., Etica della differenza sessuale, Milano, Feltrinelli, 1988; ID., Loblio del-
laria di Martin Heidegger, Torino, Bollati Boringhieri, 1996; ID., Speculum. Laltra
donna, Milano, Feltrinelli, 1998.
3
L. IRIGARAY, La democrazia comincia a due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, p. 110.
4
L. IRIGARAY, Speculum, cit., p.120.
Itinerari di passione 509
Perci Irigaray elabora una strategia di analisi testuale tesa a deco-
struire il discorso metafisico, che ha sempre proceduto secondo pola-
rit binarie rilevando in esse non la conclusione logica di un proce-
dimento argomentativo, ma il pulsare di linee di forza, che attraverso
il testo rivelano lo stratificarsi gerarchizante di un discorso del Mede-
simo che elude la propria parzialit sessuata. La discorsivit di Iri-
garay mira a restituire particolarit e specificit sessuale al discorso,
contro le sue rivendicazioni universalizzanti, scorgendo nel indif-
ferenza sessuale la base della logica maschile e la tendenza a ridurre
tutto allo stesso, allUno; per dare al femminile un linguaggio e
unimmagine che renda conto del proprio essere situato e sessuato.
Partendo dai testi di Platone, che per primi rappresentano un signi-
ficativo esempio di ci, in essi Irigaray nota la messa in scena di una
tecnica teorica, un vera e propria macchina discorsiva che serve da
base per lappropriazione della materia da parte del logos. Le idee
eterne di Platone segnano il processo di inizio desclusione del fem-
minile, tutta lintellezione si fa contro la materia e la physis. Sin dal
principio la metafisica nega la materia, ne ammette lesistenza ma la
subordina al logos, principio razionale. Sar nel Timeo che Platone
invocher limmagine di un logos maschile costituito da forme per-
fette, che forgia la passiva, ricettiva e informe materia. Nominer
questultima madre, nutrice, chora, ma comunque invisibile
informe e ricettrice di tutto. questa la narrazione che conferma in
forma sempre pi marcata la divisione tra maschile e femminile, tra
un Logos maschile come pura forma intelligibile e una Physisfem-
minile come pura materia inintelligibile, priva di forma. Nel suo
percorso di mimesis come Irigaray definisce la sua tecnica discorsiva,
incontra anche Aristotele che per primo nominer esplicitamente la
madrenutrice, materia: hyledynamis. La materia per ci detta dy-
namis, ma potenza come non ancora, potenza verso un essenza. Come
ci ricorda Aristotele nella Fisica IX, la materia solo oggetto di
predicazione altrui, mai pienamente realizzata nel suo essere. Ed
ancora nel itinerario di Irigaray, che si immerge nel cuore della
metafisica incontriamo con lei Plotino che con molta incidenza chia-
ma la materia Penia, nome di cosa mai sazia. Nelle Enneadi III de-
finisce Penia: materia come colei che manca di essere, la cui natura
priva di bene, essa la povert. sempre pi chiaro che in un certo
modo di intendere la materia la radice del rifiuto del femminile dal
discorso, un discorso che si dice autofondantesi ma che costretto ad
ammettere e a negare il femminile come alterit amorfa, in cui egli
Katia Menniti 510
stesso non smette di riconoscere le sue copie, per edificare un sistema
fallocentrico. La filosofia speculativa, come la definisce Irigaray, si
caratterizza per il suo desiderio di imporsi come principio creativo
sulla materia e quindi sulla donna: supremazia dellintelleggibile sul
sensibile, dellidea sul corpo. Attraverso questo excursus tra alcuni
dei testi pi importanti della tradizione metafisica, Irigaray evidenzia
lo stretto legame tra la materia come concetto filosofico e le donne
come soggetti storici, si immerge perci nella materialit del discorso.


3. Una nuova immagine del femminile

Lindeterminato del pensiero: questo il femminile. A dircelo
Plotino, che della materia dir: lindeterminato del pensiero []
anche riguardo alla materia il concetto enuncia qualcosa, ma ci che
il pensiero vuole enunciare di essa, non pensiero, quanto piuttosto
negazione di pensiero
5
.
Ebbene, nel suo tentativo iterato di scongiurarne la minaccia,
Plotino ci rivela una grande verit sulla materia, che noi stessi po-
tremmo rivolgere contro il suo stesso antimaterialismo. La materia,
infatti, proprio ci che sfugge alla presa del logos, ai suoi tentativi
di definirla, determinarla, acconciarle un abito, assegnarle unidentit,
darle un nome. La materia ci che sfugge alla forma, ed proprio
questo essere imprendibile che attiene al femminile: il femminile il
problematico, lessere del problematico. Essa sempre altrove, sem-
pre diversa rispetto alla sua definizione, indeterminata, irrappresenta-
bile. Sempre agitata instabile, questo dicono di lei; essa infatti non
mai la stessa. La donna, materia prima, resta piuttosto nella potenza
non attualizzata, colei che si sottrae alla domanda metafisica del t
de t (che cos?), perch sempre passibile di mutamento. Sempre
in potenza, immersa in un continuo processo di divenire, essa
metamorfica. Natura che sfugge ai progetti di rappresentazione e cat-
tura che il logos ha su di lei. Ma una pura potenza non poteva rima-
nere libera e incontrollata; il maschio, infatti, per la sua realizzazione,
e per il pieno possesso di s ha sottomesso il femminile, questo luogo
da cui egli ha origine. Chi devi sormontare? Chi ti ha portato alla lu-
ce? [] Dove comincia la differenza? Dov lei? Dove sono io? []
Come dominare quel luogo oscuro in cui trovi nascita? In cui cominci

5
PLOTINO, Enneadi,II, 4, 10.
Itinerari di passione 511
ad essere
6
. Cos il logosmaschile continua a nutrirsi della potenza
del femminile, la donna per il maschio specchio, ci che permette
la ripetizione del Medesimo, luogo da cui avranno origine le sue
copie.
Essa materia, supporto per lo stampo delle forme, continente ne-
ro di sogni e fantasmi, timpano che rimanda al maschilelogos la pro-
pria verit, lunica che vuole ascoltare, rappresentanterappresenta-
tivo della negativit. Il potere (ri)produttivo della madre, il suo sesso,
sono le due poste in gioco che permettono il proliferare di luoghi e
modi di sottomissione del femminile. La materia vista dal maschile
solo come ci su cui ci si pu appoggiare per darsi un nuovo slancio,
ma essa ha in s un segreto, infatti, gia natura che fa riferimento a se
stessa, lei donnamateria si d per lei medesima. La donna pu
sussistere in s stessa essendo gi in s stessa doppia: luna e laltra.
Non: una pi un'altra, pi duna. Pi di. Essa estranea allunit. E al
numerabile, alla quantificazione
7
. Sfugge alla determinazione.
Considerata amorfa, mancante, costretta a mimare e ripete desi-
deri che non sono suoi, desideri imposti. Essa, infatti, vive in condi-
zione di assoluta estraneit, pensa attraverso un pensiero che qual-
cuno le ha imposto, desidera un desiderio altrui e parla un linguaggio
di cui non soggetto, straniera nella lingua, ha linguaggio solo nella
separatezza. E la sua femminilit ci che diviene riducibile allo
stesso. Questo sempre stato quello che il logos e la storia hanno
pensato del femminile.
Una storia, quella della filosofia che si presenta come storia del
pensiero che pensa se stesso, essa infatti storia di una cancellazione,
storia di una negazione, e ancora storia di un occultamento. Parme-
nide, per primo, a dichiarare inesistenti e impensabili la molteplicit,
la differenza, lalterit; e anche quando la filosofia riconosce una dif-
ferenza, questa continua ad essere impensata come originaria sempre
differenza determinata e controllata.
LUno si diversifica a partire da s, ammette il molteplice, ne con-
trolla le differenziazioni, classificandole e dominandole. Cos il logos
rende omogenea e controllabile la differenza, ed cos che la dif-
ferenza sessuale che il vivente porta nella sua carne viene compresa
tra le altre differenze. questo loccultamento della differenza ses-
suale, occultamento di una differenza originaria trasposizione di essa

6
L. IRIGARAY, Amante marina di Friedrich Nietzsche, cit, p. 57.
7
Ivi, p. 70.
Katia Menniti 512
a differenza secondaria, il che permette alluomo di identificarsi nel
soggetto neutro universale, nel vivente razionale; la donna invece rap-
presenta lirrazionale, il passionale, essa portatrice di una differenza
sessuale che diventa una mancanza, un di meno, incompleta rispetto
allessenza universale.
La filosofia si caratterizza per il suo desiderio famelico di fagoci-
tare lalterit, sopprimere la differenza, formare la materia, esorciz-
zare la potenza del femminile: supremazia dellintelligibile sul sensi-
bile, dellidea sul corpo.
Il gioco rappresentativo, insomma fazioso: assunta pregiudi-
zialmente la differenza sessuale femminile come segno di incomple-
tezza, la donna opposta alla ragione, ma allo stesso tempo la donna
opposta e disciplinabile dalluomo tanto quanto la passione , nel-
luomo, sottoposta e disciplinabile dalla ragione
8
La celebre frase di Simon de Beauvoir: non si nasce donna lo si
diventa, mette in risalto linadeguatezza della rappresentazione so-
ciale e teorica del soggetto femminile. Ed in questa condizione di
inadeguatezza che la donna avverte un certo tipo di passione della
differenza sessuale, o meglio una sorta di patimento, essa, infatti, su-
bisce unidentit di cui non lartefice, ha unimmagine di s non
prodotta da s. Doppio patimento quello delle donne, contempo-
raneamente passione per una presenza e per unassenza, ossia pati-
mento di un'immagine presente ma subita, adesione estraniante a una
falsa immagine di s, che qualcuno a scelto per lei, e allo stesso
tempo patimento di una mancanza, assenza di una propria immagine.
Se, stando al suo etimo, la passione un patire, essa tuttavia, come
sanno ormai tutte le appassionate del valore della propria differenza,
anche genuino desiderio di esistenza che orienta un fare di tipo affer-
mativo
9
.
Resistente al paradigma fallocentrico che fa coincidere il maschile
con un falso universale, la donna, portatrice di una differenza ir-
reversibile e irriducibile. La sua passione per la differenza sessuale,
questa sorta di patimento, suscita un desiderio di uscita dalla parola
estraniante, un desiderio di pensarsi e di dirsi a partire da s, e anche
desiderio di un corpo che cerca la sua immagine.
Ed solo donando positivit alla propria differenza sessuale, che

8
A. CAVARERO, La passione della differenza, in S. VEGGETTI FINZI, Storia della
passioni, RomaBari, Laterza, 2000, p. 285.
9
Ivi, pp. 302303.
Itinerari di passione 513
la donna potr riappropriasi di s, mantenendosi sempre in condizione
di assoluta alterit, mantenendo il suo esser femminile come elemento
irriducibile.
Ma fortunatamente, la donna oltre ad essere portatrice di una storia
di silenzi e soprusi anche soggetto di uneccedenza, di unindeter-
minazione, la sua femminilit ci che il logos ha voluto ridurre allo
stesso. Ma essa ci che resiste, soprattutto ci che sfugge alleco-
nomia del logos, ecceit, evento che sfugge al principio di indivi-
duazione identitario, indeterminata come il vento, informe come tutto
ci che ama divenire, essa alterit assoluta.
Sul silenzio delle donne il logos poggia le sue fondamenta. Ma co-
sa accadrebbe se la donna ridotta ad oggetto si mettesse a parlare?
10
E come pu dirsi la donna, senza che il suo dire sia condizionato
dalle risposte che qualcuno ha gi dato di lei? Come pu significarsi
lessere donna, come pu uscire dalla sua intimit senza parole, in un
ordine insieme sociale e simbolico che definisce il soggetto di sesso
femminile per opposizioni e somiglianze con il soggetto maschile, e
questo per se medesimo? Come dirsi a partire da s? Come dar voce a
ci che stato definito solo come indicibile e irrappresentabile, come
dirsi a partire da un ripensamento della sua differenza sessuale, dal-
labitare un corpo di donna? Come pu esprimere la propria differen-
za? E ancora come pu la donna esprimersi pur rimanendo nellalte-
rit, mantenendosi nellirriducibile che sfugge al circolo economico
del logos, come esprimere la propria eccedenza?
Solo un pensiero che recupera la differenza sessuale come ori-
ginaria d alle donne la possibilit di pensarsi a partire da s, e al
tempo stesso permette una critica del dominio delluno, delluniver-
sale che ha disincarnato il soggetto stesso della filosofia. Un sapere
femminile come critica delle fondamenta patriarcali del discorso e
creazione di nuove immagini che danno conto del femminile e del suo
esser sessuato e incarnato in un corpo di donna. Creazione di s e
critica dellesistente, questo il doppio registro su cui si muove il pen-
siero della differenza sessuale. Resistere al presente significa parlare
in nome della donna a venire. importante non che si faccia parola
sulle donne ma che le donne abbiano la parola su di s.
Questa volta, questo suo essere differente vuole affermare una po-
sitivit, e sfuggendo alle prese del logos metafisico proferisce nuovi

10
Si vedano a questo proposito gli studi di IRIGARAY, Speculum, Laltra donna,
cit.; ID., Etica della differenza sessuale, cit.
Katia Menniti 514
discorsi. Ora per la prima volta la donna con la sua voce, il suo corpo
articola una nuova trama, prefigurare nuovi scenari in cui sar
protagonista. Un viaggio nei luoghi della riappropriazione del fem-
minile, attraverso le voci che affermano la potenza del femminile,
questo litinerario gia tracciato passando per Lucrezio, Bruno fino ad
arrivare a Deleuze, ma in questo percorso manca ci che le donne
dicono a partire da s liberandosi della tirannia del logos maschile
eretto a universale. Una genealogia femminile alternativa, lespres-
sione di un sapere nuovo quello delle donne; un sapere che sempre
un sapersi
11
. Creazione di una nuova genealogia femminile, un
itinerario di passione, un recupero positivo del femminile; e se il fem-
minile sempre stato identificato con la materia, una genealogia di
questo non pu che essere materialista. Ci sovviene lintuizione di
Luce Irigaray, per cui la radice della parola materialismo mater. Il
che implica un ripensamento del materno sia come luogo dorigine
del soggetto, che come istanza per esprimere la specificit del sog-
getto femminile. La materialit in cui si incarna lesistere del soggetto
femminile, cos, da un lato, ci che ha storicamente patito, le false
immagini venute dal patriarcato, dallaltro, il luogo stesso del desi-
derio di immagini proprie.
Lunico modo per autosignificarsi, e trovare una rappresentazio-
ne adeguata, necessario il riconoscimento fra donne, assumere la
propria estraneit e pensarsi in quanto donne. E ancora necessaria
lelaborazione di un simbolico femminile che permetta il riconosci-
mento del singolare differire le une dalle altre. Un nuovo ordine di
riconoscimento che si sottrae al circolo dialettico in cui il femminile
(oggetto) solo il momento negativo che permette al maschile di af-
fermarsi in quanto soggetto che nega la negazione.
Lavorare perci alla creazione di una nuova immagine del fem-
minile che comunichi laffermativit e la positivit che gli sono pro-
pri. Per vivere finalmente secondo la propria passione, quella pas-
sione femminile che costringe il proprio Io a uscire da se ed esporsi;
per incontrare cosi laltro e le differenze.

11
A. CAVARERO, Lelaborazione filosofica della differenza sessuale, in C.
MARCUZZO e A. ROSSI DORIA, La ricerca delle donne, Torino, Rosemberg & Sellier,
1987, p. 185.
ALESSIA NIGER

Amore, follia e cecit.
Lordine dellimmaginazione


Chi vuole diventare filosofo deve imparare
a non spaventarsi delle assurdit
B. RUSSELL, I problemi della filosofia

Mi piacerebbe parlarvi un po di ci che
faccio, ma cos particolare, cos fuori legge
H. DE TOULOUSELAUTREC


La solitudine, come pensava Gilles Deleuze, va cercata e amata
per quella che , come la vera e unica dimensione presente per poterci
affacciare al mondo, per avere una visione complessiva del mondo,
priva di veli, come un cieco che si appresta a vedererivedere la
propria esistenza
1
.
La morte Turchese, forse. Fa finta ma non impegna. Come tur-
chese il colore del cielo, un paradiso perduto e ritrovabile, e del-
linferno, sempre a portata di mano. Il Turchese fuggevole. La mor-
te corre piano, per essere raggiunta. Per accedere al Turchese, qual-
siasi cosa sia, ci vuole tempo. Io non ne avevo
2
. La solitudine
cercata come riparo, medicamento rispetto alla dimensione transeunte
e fuggevole dellesistenza.
La cieca di Rilke dice essere i suoi occhi murati. Questi muri
piombati rinchiudono nella notte della tomba?
3
. La sottrazione
dellordine dellimmaginazione del vedere restituisce limpressione di
una sottrazione della vita, come sottrazione di vita qualunque
situazione patologica. Si tratta tuttavia di percezioni sullesistenza che
il malato sente per il fatto di averlo appreso. La coscienza della qua-
sivita di un malato un fatto culturale. Il malato cosciente deve ap-
prendere i limiti della propria malattia dalla supposta normalit del-
laltro.

1
Cfr. J. DERRIDA, Memorie di cieco. Lautoritratto e altre rovine, trad. it. di A.
Variolato e F. Ferrari, Milano, Abscondita, 2003.
2
A.G. PINKETTS, Fuggevole Turchese, Mondadori, Milano 2002, p. 18.
3
J. DERRIDA, op. cit., p. 57.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 515-520 515
Alessia Niger 516
Tuttavia, sofferenza, disperazione, malattia, senso del limite ci
permettono al contempo di entrare in una piega sostanziale della
dimensione dellesistenza. Il malato diventa cos una sorta di medium
vivente per la percezione di aspetti dellesistenza che la condizione di
sanit tende ad obliare. C qualcosa che il malato non apprende
come mero fatto culturale, questa la percezione della propria finitez-
za patologica, il proprio essereperlamalattia. Nel caso di un
malato cronico, la propria condizione permette di afferrare campi di
libert morale altrimenti inesprimibili. C una particolare reitera-
zione simbolica del senso di non padronanza della propria esistenza
che permette di riprodurre il senso dellinfinito ricominciare delles-
serenelmondo. Lo stesso Freud aveva intuito le infinite capacit del
patologico di rappresentare nitidamente le propriet dellessere uma-
no.
La malinconia clinica pu sollecitare e sfidare unesistenza
quotidiana e banale, come quella di ciascuno di noi, fino a farne rie-
mergere strutture di significato e aree di introspezione e di riflessione
inimmaginabile []. Ma lesperienza malinconica trascina con s,
soprattutto, una traumatica confrontazione con lillimite di una sof-
ferenza esistenziale che nella sua radicalit e nella sua profondit non
pu essere assimilata a quella che la comune, anche straziata e
torturante, forma di sofferenza della vita quotidiana
4
.
Aspetti dellesistenza che si confondono nascondendosi in un si-
lenzio ideale, che associano il proprio resistere in silenzio con lidea
stessa di morte. Il silenzio, come la morte, ferma il tempo, lo immobi-
lizza, permette di contrapporre alla staticit dellimmagine il movi-
mento fluido della riflessione interiore, lo sguardo ripiegato sul pro-
prio s. Il silenzio laltro dentro di s. Laltro che permette il s,
come il linguaggio apre la dynamis del pensiero. Osservando in
proposito il dipinto di Arnold Bcklin
5
, Lisola dei morti, notiamo
langosciante legame tra vita e morte, che la finzione confonde ine-
stricabilmente nel rapporto con la storia; la finzione che trasforma la
vita, ci parla attraverso le sfumature della malinconia. Ogni negazione

4
E. BORGNA, Malinconia, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 157.
5
Pittore svizzero (Basilea 1827 Fiesole 1901). Allievo di Schirmer a
Dusseldorf, Bcklin visit Parigi (1848) e Roma (1850), ove si rivel pienamente la
vocazione artistica. Lavor a Basilea, a Monaco di Baviera e a Weimar. In
quest'ultima citt insegn paesaggio presso la scuola di belle arti (1860). Da ultimo si
stabil in Italia: fu a Firenze tra il 1874 e il 1884, tra il 1895 e il 1901. Bcklin
considerato il padre dei Simbolisti.
Amore, follia e cecit 517
della vita, dellessere, la stessa negazione della realt, attraverso la
metaforica fuga da essa, contiene sempre un tentativo di sutura, di
recupero di ci che si negato. La stessa negazione del passato un
atto di sutura: come non vedere in essa la splendida teleologizzazione
letteraria del poeta che proietta se stesso nei propri antecedenti, come
se tutto il mondo passato si fosse concentrato attorno alla generazione
del proprio io? C in questo atto, poetico per eccellenza, il germe
stesso della religione, il pensiero della provvidenza, della grazia. Che
sembra un retaggio persino pi originario delle religioni storiche.
Come un archetipo dellevoluzione. Il malinconico creatore di scrit-
ture che hanno la mano di una mente provvidente. Qualcuno ha prov-
veduto per me, ha fatto s che mi trovassi qui, a scrivere...
spontaneo rifarci al testo di Robert Burton, Anatomia della
Malinconia
6
, testo che conserva il riso dissacratore del malinconico
verso la generale mediocrit del mondo. Come nota Starobinski, dal
labirinto di Burton, langoscia esistenziale del malinconico dunque,
al tempo stesso, anatomia delluomo e anatomia del mondo
7
, e
inestinguibile voglia di cambiarlo, di migliorarlo. Il malinconico
uno scrittore con la vocazione del filosofo, che pensa lutopia nulla
scena del mondo. Per questo, egli anche la personificazione del
folle. Simile ad uno specchio, il folle e il malinconico riflettono il
dolore che, a macchia dolio, penetra nel normale quotidiano minando
una serena ma malata consuetudine al gi visto. Dietro il piacere
morboso della ripetizione c anche il desiderio del diverso.
necessario uno sfondo sempre identico perch le salienze possano
darsi sempre cangianti. Il malinconico predilige la narcosi del-
lidentico per costruire il diverso.
La malinconia malattia frequente ai nostri giorni, osserva Mer-
curiale, una malattia cos ricorrente nei nostri tempi miserevoli
dice Laurentius che pochi sono coloro che non ne soffrono dolo-
rosamente. Lo stesso giudizio esprimono Elia Montalus, Zelantone e
altri. Giulio Cesare Claudino la chiama origine di tutte le altre
malattie, cos frequente nella nostra epoca dissennata che a mala pena
uno su mille ne va esente; si tratta di quellumore splenetico
ipocondriaco che proviene dalla milza e dai lombi. Trattandosi, dun-
que, di una malattia cos dolorosa e cos diffusa, non vedo altro modo

6
R. BURTON, Anatomia della malinconia, trad. it. parz. di G. Franci, a c. di J.
Starobinski, Padova, Marsilio, 1983.
7
J. STAROBINSKI, Introduzione, ivi, p. 7.
Alessia Niger 518
di rendermi utile e di impiegare meglio il mio tempo che quello di
indicare metodi per prevenire e curare una malattia cos universale ed
epidemica da straziare il corpo e la mente
8
. Strazia corpo e mente,
come sosteneva Burton, e, inoltre, quasi sempre permette allindi-
viduo di affacciarsi a panorami grigi e tortuosi per ridargli forma e
vivacit, rivivendo la propria luce tra le lacrime.
Il diverso cronico, sia per malattia che per pazzia, incarna il pi
antico di tutti i miti: quello della scelta. Come un Ercole minore, egli
sta al bivio, nel bivio, il bivio. Rester l, per sempre, anche dopo
che avr deciso. La sua ombra non lo seguir pi, dopo la sua
decisione. La sua origine stata la scelta, e lorigine non torner mai
pi. Tutto sempre stato. AllErcole minore, minato nella malattia,
non rester altro che lo sguardo del malinconico, di chi ha perduto un
vissuto cognitivo, e continua a perderlo anche nellattimo stesso del
suo ricordarne brani, brandelli, i ricordi di una scelta gi decisa, gi
data. Possediamo attimi di esistenza; possediamo ci che sfugge
costantemente alla possibilit del pensiero. Non ci si suicida da soli.
Nessuno mai nato da solo. Cos come nessuno muore da solo. Nel
caso del suicidio, ci vuole un esercito di esseri malvagi per decidere il
corpo al gesto contro natura di privarsi della propria vita
9
. Un eser-
cito di altri.
Quando i nostri occhi si solleveranno cosa vedranno? il dolore
veicolo di conoscenza non per astrazione, ma per immedesimazione:
oltre certi limiti dalluomo controllabili esso si fa experimentum
crucis, sottopone a prova lindividuo che lo vive e si erge a contro-
prova del senso dellesistenza
10
. Ecco cosa vedranno i nostri occhi,
il dolore nel suo stato puro ed inquietante, in tutte le sue forme
ambigue e sotterranee: non avremo un linguaggio o un discorso per
esprimere il nostro accecante immenso dolore che invader il nostro
volto, che non riusciremo a celare dietro falsi sorrisi o lacrime
inconsolabili: il sofferente tende al silenzio o al grido: se la
sofferenza non lo invade gli pi o meno possibile dissimulare
11
.
Il sentire forse dolore e perfino lamore una forma sublimata di
pathos, ma lamore possiede parole, gesti, sguardi; nellamore c
dunque dolore, ma esso amore poich trattenuto entro una domi-

8
Ivi, p. 168.
9
A. ARTAUD, Van Gogh, Il suicidato della societ, trad. it. di J.P. Manganaro,
Milano, Adelphi, 1988, p. 61.
10
S. NATOLI, Lesperienza del dolore, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 8.
11
Ivi, p. 9.
Amore, follia e cecit 519
nante espansiva, dove la capacit di superamento prevale sullosta-
colo e lo modifica
12
. Lamore ha un oggetto verso cui indirizzare la
propria attenzione, il proprio sperare. Strade dellinconscio procedono
per ricordi, immagini, odori che inducono lindividuo a sorridere tra
le lacrime, e ogni sorta di tristezza possiede una sorta di tenera
dolcezza
13
che, fine a se stessa, giustifica il proprio soffrire: chi
non muore del suo amore non pu viverne
14
. Lamore che offre
senso, lamore che reprime qualsiasi forma di senso, lio mutilato
della propria individualit si amalgama nelle strettoie del noi. Solo
amare laltro come alterit, come altro da noi che possiede una vita,
una storia propria pu eventualmente indurci a un cammino senti-
mentale inteso come sforzo permanente verso lassoluto: la realt ,
in fin dei conti, solo una coincidenza momentanea su un globo
enorme, brulicante di possibilit che non si realizzeranno mai. Ognu-
no di loro potrebbe raccontarci una storia completamente diversa di
noi []. Perch allora non incontrarsi nei luoghi pi impensati, sca-
turiti dalla parte oscura della mente?
15
.
Forse, resta il grido o meglio il lamento come unico suono pos-
sibile da udire: la vita nella vita significa la morte nella vita, ma la
morte nella vita non nulla di pi che una variazione di ritmo di tono
nello svolgimento dellesistenza. Proprio per questo il canto della vita
il lamento ed il pi autentico melos che possono intonare gli uo-
mini della vita di un giorno
16
.
La disperazione, linnamoramento, le passioni hanno punti in co-
mune, luoghi dove si incontrano, si intersecano per diventare un tut-
tuno: una lenta malinconia li segue, li annulla, li fa rivivere in un
campo isolato, non protetto, sconosciuto, dove ogni incontro diventa
in realt un addio, lacerante e muto. Chi sente alla ricerca di un
senso, di una via duscita, di un canale di sintonia con il mondo. Ci
inventiamo nuovi sensi anche nellultimo istante della vita, che
anche lultimo della nostra morte.
Linnamorato, come il folle, procede per suggestioni e se, come
accennato in precedenza, possiede un oggetto verso cui rivolgere le

12
Ivi, p. 10.
13
Cfr R. BODEI, Passioni, in ID., I concetti del male, a c. di P.P. Portinari,
Torino, Einaudi, 2002, pp. 246263.
14
D. DE ROUGEMONT, Lamour et lOccident, Paris, Librairie Plon, 1939, p. 444.
15
D. GROSSMAN, Che tu sia per me il mio coltello, trad. it. di A. Shomroni,
Milano, Mondadori, 1999, p. 69.
16
S. NATOLI, Lesperienza del dolore, cit., p. 133.
Alessia Niger 520
proprie attenzioni, questo oggetto in realt si trasforma in un fan-
tasma, in una luce tremula che lacera, distrugge e si confonde con un
immaginare senza ricordi. Egli poggia su un fondo dincertezza: tut-
te le passioni appaiono mutevoli e imprevedibili, ma paura e speranza
figurano tra le pi violente. Esse sono infatti incontrollabili, irruente,
distruttive, contagiose, intrattabili e refrattarie a ogni intervento
diretto della ragione e della volont, che si scontrano con un avver-
sario mobile e ignoto. Implicano il dubbio (non metodico), lesita-
zione, lincertezza, la turbolenza negativa, il pericolo o lattesa di
salvezza dinanzi a un male o a un bene considerati in avvicinamen-
to
17
.
Protezione unica delluomo, limmaginazione: lordine disposto
dallimmaginazione procede attraverso uninfaticabile opera di
restauro o di integrazione dei frammenti di senso che le si presentano,
cos che [] lincerto finisce per diventare certo e loscuro evi-
dente
18
, perch allimmaginazione non si pongono barriere, limiti.
Come un abile sofista, il malinconico un portatore di immagini.
Cos il malato cronico ha trovato la sua cura in unaltra malattia: nella
cronicit morbosa e inguaribile del malinconico verso la generazione
di immagini. Egli deve cadere in quella sragione cara a Foucault, in
quel delirio senza contenuto che li costringe inevitabilmente a
racchiudersi in semicerchi di realt immaginata.
Cos pu capitare, nellinferno del manicomio, di scoprire il poe-
tare come fuga, e arma contro la miseria del quotidiano. Com ac-
caduto alla poetessa Alda Merini
19
. Una poetessa allinferno. Le ore
del manicomio, dice, scorrevano tra la solitudine e il vuoto, tra urla di
passione e giorni di furore, tra disperazione e pianto continuo: pian-
go di tanto aspetto e di tanto aspettare
20
.
Lamore pu essere allora affiancato alla follia, come forma pla-
tonica di mana, che sconfigge lorrore sempre presente del quo-
tidiano. Un diaframma che ripara dal realismo secco e rigido di uno
sguardo disidratato, vitreo, senza palpebre. Lamore, come la follia,
declinazioni del vivere autentico, del riconoscersi coincidenze di un
eterno ricominciare la cui origine non data possedere.


17
R. BODEI, Geometria delle passioni, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. 7273.
18
Ivi, p. 67.
19
A. MERINI, La pazza della porta accanto, Milano, Bompiani, 1995.
20
Ivi, p. 16.
EMILIO SERGIO

Il De Corpore (1655) di Hobbes a Napoli:
note sulla ricezione del De Corpore XXX nei Progymnasmata
(1663) di Tommaso Cornelio



Introduzione

Negli ultimi quarantanni gli studiosi hanno dato diversi contributi
e stimoli alla ricostruzione della fortuna di Hobbes a Napoli tra XVII
e XVIII secolo. Si tratta in alcuni casi di studi non direttamente rivolti
allindagine del come Hobbes fu effettivamente letto nella cultura
napoletana dellet moderna, eppure ugualmente indispensabili per
chiunque intenda affrontare uno studio sullargomento
1
. Al moltipli-
carsi delle iniziative e allo specializzarsi dei percorsi di ricerca si

1
Cfr. EUGENIO GARIN, Appunti per una storia della fortuna di Hobbes nel Set-
tecento italiano, Rivista critica di storia della filosofia XVII (1962), pp. 514527;
riapparso in una versione pi estesa col titolo di Per una storia della fortuna di
Hobbes nel Settecento italiano, in ID., Dal Rinascimento allIlluminismo, Firenze,
Le Lettere, 1993
2
(I ed. Pisa, NistriLischi, 1970), pp. 137155; ANTONIO BELLUCCI,
Giambattista Vico e la Biblioteca dei Gerolamini, in E. PONTIERI (ed.), Giam-
battista Vico nel terzo centenario della sua nascita, Napoli, 1971, pp. 181205;
PAOLA ZAMBELLI, La formazione metafisica di Antonio Genovesi, Napoli, Morano,
1972, pp. 100102; GIUSEPPE RICUPERATI, Capasso, Giambattista, in Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dellEnciclopedia Italiana (dora in poi
DBI), 1975, vol. 18, pp. 396397; FERRUCCIO FOCHER, Vico e Hobbes, Napoli,
Giannini, 1977; ENRICO NUZZO, Verso la Vita civile. Antropologia e politica nelle
Lezioni accademiche di Gregorio Caloprese e Paolo Mattia Doria, Napoli, Guida,
1984; RAFFAELLO FRANCHINI, Hobbes: il quinto autore di Vico, Criterio, VI
(1988) 4, pp. 241257; JOS M. BERMUDO VILA, Vico y Hobbes: el verum
factum, Cuadernos sobre Vico, I (1991), pp. 135153; ANIELLO MONTANO, Storia e
convenzione. Vico contra Hobbes, Napoli, La Citt del Sole, 1996; FRANCO RATTO,
Materiali per un confronto: HobbesVico, Perugia, Guerra, 2000; ID., Un filsofo
cartesiano precursor de Giambattista Vico? Gregorio Caloprese entre Hobbes y
Vico, Cuadernos sobre Vico XIIIXIV (20012002), pp. 205231; J. NAGY,
Hobbes s Vico nyelv s politika filozfija, Magyar Filozfii Szemle IV (2003),
pp. 479502; PAOLA NEGRO, The Reputation of Grotius in Italy. Some Notes on
Naples in the Seventeenth and Eighteenth Centuries, Grotiana XXXXI (1999
2000), pp. 4975; MICHELE RAK (ed.), Lezioni dellAccademia di Palazzo del duca di
Medinaceli (Napoli 16981701), 5 voll., Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filo-
sofici, 20002002; RENA A. SYSKALAMPARSKA, Letteratura e scienza. Gregorio
Caloprese teorico e critico della letteratura, Napoli, Guida, 2005, spec. le pp. 177
184.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 521-538 521
Emilio Sergio 522
poi aggiunta la recente disponibilit di nuovi fondi librari, di non po-
co conto per la scoperta di nuove prove e documenti
2
.
Nella storia della fortuna di Hobbes a Napoli, lopera di Tommaso
Cornelio (16141684) costituisce indubbiamente il punto dinizio, es-
sendo il primo autore della cultura napoletana a rendersi veicolo per
la diffusione del pensiero e delle opere non solo di Hobbes, ma anche
dei principali protagonisti della filosofia e delle scienze del XVI e del
XVII secolo. Bernardino Telesio, Giordano Bruno, William Gilbert,
Francesco Patrizi, Tommaso Campanella, Francis Bacon, Galileo Ga-
lilei, Johann Kepler, Rn Descartes, Pierre Gassendi, Kenelm Digby
sono solo alcuni degli autori che, nella seconda met del 600, comin-
ciarono ad attrarre lattenzione di Cornelio e dei nuovi autori della fi-
losofia e della scienza dellItalia meridionale.
Sul ruolo di Cornelio come strumento per la diffusione della cul-
tura galileiana e dellopera di autori come Descartes, Hobbes e Gas-
sendi, si sono soffermati diversi autori della storiografia filosofico-
scientifica tardoottocentesca e del primo Novecento. Una particolare
menzione va allopera di Antonio Aceti, Un genio cosentino negletto,
edita a Cosenza nel 1932, e da poco rimessa in luce grazie alla ristam-
pa anastatica contenuta in uno dei due volumi del recente Omaggio a
Cornelio
3
. Aceti dedica diverse pagine della sua opera ad una rico-
struzione complessiva della vita e dellopera di Cornelio, avvalendosi
di una discreta quantit di fonti, provenienti dalla storiografia sette-
ottocentesca; e delle pagine corneliane dei Progymnasmata dedicate a
Hobbes d un breve ma significativo profilo
4
. Le pagine di Aceti non
si spingono oltre il riconoscimento della conoscenza, da parte di
Cornelio, di alcuni aspetti della filosofia naturale di Hobbes; eppure
ad Aceti va riconosciuto il merito daver posto lattenzione su alcuni
passaggi dei Progymnasmata nei quali Cornelio manifestava il suo
spirito critico, e le sue competenze di esperto lettore della letteratura
scientifica del suo tempo.

2
Ci riferiamo in particolare alla Biblioteca Oratoriana dei Gerolamini di Napoli,
resa inaccessibile a seguito del terremoto del 1980, e tornata a disposizione degli stu-
diosi solo negli ultimi anni. Ancora nel 1996, MONTANO scriveva di non poter verifi-
care lesistenza di opere hobbesiane nel suddetto fondo per la inaccessibilit della
Biblioteca (op. cit., p. 82 n. 140).
3
A. ACETI, Un genio cosentino negletto, Cosenza, 1932; rist. in G. MOCCHI (ed.),
Omaggio a Tommaso Cornelio, 2 voll., Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, vol. II,
pp. 187555.
4
A. ACETI, Un genio cosentino negletto, cit., pp. 178, 266, 273, 489; rist. in G.
MOCCHI (ed.), Omaggio a Tommaso Cornelio, cit., vol. II, pp. 362, 450, 457, 489.
Hobbes a Napoli 523
Sullo stesso tema, occorre ricordare due celebri studi di Giovanni
Rossi, editi a cavallo tra XIX e XX secolo sulla Rivista Filosofica Ita-
liana, dedicati alla ricostruzione del contesto filosoficoscientifico
della Napoli di Vico, in cui Rossi segnalava limportanza di Tom-
maso Cornelio quale mediatore culturale non solo delle dottrine di
Galileo e di Descartes, ma anche di quelle di Hobbes. Nel primo sag-
gio, pubblicato nel 1899, lautore si avvaleva di uno studio di Amenta
(Commemorazioni degli Arcadi illustri) per segnalare che [Cornelio]
viaggi per tutta lEuropa e port pel primo a Napoli tutte le opere di
Bacone, di Galilei, di Guglielmo Gilberto, di Pier Gassendi, di Renato
Des Cartes, di Tommaso Hobbes, e molte di Roberto Boyle e di Tom-
maso Willis
5
. E in un fascicolo del 1907 della stessa rivista,
dedicato alla cosmologia vichiana e alla dottrina fisicomatematica di
Vico, a proposito della nozione di conato, Rossi scriveva che n
meno lontana la definizione cartesiana del conato da quella che ne
d Hobbes, i cui libri, come accennammo nella parte prima, proprio
da Tommaso Cornelio furono a Napoli introdotti e commentati
6
.
Sia gli studi di Rossi che il lavoro di Aceti si avvalevano di un co-
mune patrimonio di fonti primarie e secondarie: non solo, cio, delle
edizioni a stampa delle opere di Cornelio, ma anche di una ricca let-
teratura biografica e agiografica, prodotta tra il Sette e lOttocento,
che costituisce ancora oggi un punto di riferimento per la ricostru-
zione della cultura napoletana del Seicento e del primo Settecento. Di
questa letteratura vanno ricordate le raccolte di Gimma, di Tiraboschi,
di Giustiniani, di Giannone, di Napoli Signorelli, di Colangelo, di
Minieri Riccio, di Croce e di molti altri, in cui non raro trovare no-
tizie o piste di ricerca che la sola consultazione delle fonti primarie
non sarebbe in grado di fare emergere
7
.

5
G. ROSSI, Vico ne tempi di Vico, Rivista Filosofica Italiana II (1899) 6, pp.
294319, spec. pp. 294 e 300.
6
G. ROSSI, Vico ne tempi di Vico (La cosmologia vichiana), Rivista Filosofi-
ca Italiana X (1907) 5, pp. 602634, spec. p. 629.
7
ANTONIO BULIFON, Lettere memorabili, istoriche, politiche, ed erudite, Napoli,
Bulifon, 169398; GIACINTO GIMMA, Elogi accademici della Societ degli Spensie-
rati di Rossano, Napoli, Carlo Troise, 1703; NICCOL AMENTA, Vita di Lionardo di
Capoa, Vinegia, s.n., 1710; LUDOVICO MURATORI, Raccolta delle vite e famiglie de-
gli uomini illustri del regno di Napoli, Milano, Marco Sessa, 1755; PIETRO NAPOLI
SIGNORELLI, Vicende della coltura delle Due Sicilie, Napoli, Vincenzo Flauto, 1784
86; LORENZO GIUSTINIANI, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Na-
poli, Napoli, Stamp. Simoniana, 1788 (rist. Sala Bolognese, Forni, 2001); GIROLAMO
TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, Modena, Societ tipografica dei clas-
Emilio Sergio 524
Hobbes investigante

Quale Hobbes fu noto ad un autore come Tommaso Cornelio, e di
quali opere hobbesiane Cornelio pot venire in possesso? Senza dub-
bio, data la carriera scientifica dellintellettuale rovitese, divisa tra gli
studi di medicina e di anatomia e quelli, apparentemente pi ampi, di
filosofia e di cosmologia, di Hobbes dovevano essergli note soprattut-
to le opere di carattere scientifico, legate allo studio della natura, del
moto, degli astri e della fisiologia umana, che facevano di Hobbes
uno dei prosecutori dellindirizzo galileiano nel campo della filosofia
naturale. Un autore come Cornelio, che coltivava interessi tanto spe-
cifici nel campo delle scienze fisiche e della filosofia naturale, non
avrebbe potuto interessarsi alle opere politiche del filosofo inglese,
come il Leviathan (1651) o il De Cive (1642, 1647), che pure negli
anni a cavallo tra le due met del XVII secolo riscossero una discreta
fortuna negli ambienti culturali franco-olandesi. Come ha ricordato
Eugenio Garin in un articolo sulla fortuna di Hobbes pubblicato nel
1962 sulla Rivista critica di storia della filosofia, del pensatore di
Malmesbury Cornelio conosceva dottrine specifiche
8
.
Da una lettura dei Progymnasmata (1663), rileviamo che Cornelio
doveva conoscere almeno il De Corpore (1655) di Hobbes. Dopo
aver citato Hobbes tra la schiera dei nuovi ingegni (Gilbert, Stelliola,

sici italiani, 178794; PIETRO GIANNONE, Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli,
Lombardi, 1805 (ried. Milano, Borroni e Scotti, 1844); FRANCESCO COLANGELO, Sto-
ria dei filosofi e dei matematici napolitani e delle loro dottrine, Napoli, Tip. Trani,
1834; CAMILLO MINIERI RICCIO, Memorie storiche degli scrittori napoletani nati nel
Regno di Napoli, Napoli, Tip. dellAquila, 1844 (rist. Sala Bolognese, Forni, 1990);
NINO CORTESE, Francesco DAndrea e la rinascenza filosofica in Napoli nella secon-
da met del secolo XVII, Napoli, Pierro, 1920; FRANCESCO TORRACCA ET AL., Storia
dellUniversit di Napoli, Napoli, Ricciardi, 1924; BENEDETTO CROCE, Storia del Re-
gno di Napoli, Bari, Laterza, 1925. Per gli scopi del presente articolo, non possibile
passare in rassegna lintera serie di fonti che ci permetterebbero di ricostruire esau-
stivamente una storia della fortuna di Cornelio (e parallelamente, di Hobbes) nella
storiografia filosofica napoletana dellet moderna. Ci proponiamo di realizzare tale
intento in un prossimo contributo.
8
E. GARIN, Appunti per una storia della fortuna di Hobbes nel Settecento italia-
no, cit., p. 415. Il giudizio di Garin traeva spunto dallo studio di NICOLA BADALONI,
Introduzione a Vico, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 113124. Concordano con il giudi-
zio di Garin gli studiosi pi recenti del pensiero di Cornelio: FRANCO CRISPINI, Meta-
fisica del senso e scienze della vita. Tommaso Cornelio, Napoli, Guida, 1976, ora in
G. MOCCHI (ed.), Omaggio a Cornelio, cit., vol. I, pp. 39169; MAURIZIO TORRINI,
Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza, Napoli, Guida, 1977; VITTORIO
IVO COMPARATO, Cornelio, Tommaso, in DBI, 1983, vol. 29, pp. 136140.
Hobbes a Napoli 525
Campanella, Galileo, Bacon, Gassendi, Descartes, Digby) che aveva-
no dato un nuovo corso alla filosofia naturale
9
, il filosofo rovitese
citava nel Progymnasma VII un aspetto specifico della riflessione
hobbesiana sulla natura dellaria:

Neque vero quivis aer ad respirationem utilis salutarisque esse videtur: siqui-
dem in quibusdam terrae cavernis puteisque homines statim spirandi difficul-
tatem sentiunt, mox etiam animi defectionem patiuntur; ac demum nisi op-
portune fuerint extracti, emoriuntur. Cuius rei frequens est observatio apud
Britannos, dum carbones fossiles, quorum ingens est reditus, ex imis terrae
visceribus eruunt. Quippe talis aer nonnunquam cavernas illas occupat, qui
non modo homines suffocat, sed flammam quoque, candentesque carbones
extinguit. Falso autem a nonnullis proditum est haec idcirco contingere, quod
in ijs locis tetri pestiferique halitus subsidant. Fac enim eiusmodi halitus vitae
hominum infensos esse, sed unde tamen illi habent, ut ignem etiam restin-
guant? Hobbes ut horum effectuum causam redderet, statuit in cavernis illis
contineri novum quoddam corporis genus, quod neque aer sit, neque humor;
sed media quaedam inter utrumque natura, quae cum aeris pelluciditatem
referat, animalia tamen, atque ignem aquae instar extinguat. Sed quid opus
est res novas comminisci, quotiescunque ad ea possumus confugere, quae no-
bis ubique sunt obnia. Scilicet omnia quaecumque in eiusmodi cavernis
observantur, solent etiam in ijs locis contingere, quae ab aere praeter modum
compresso distractove obsidentur
10
.

Della natura dellaria Hobbes si era occupato in almeno altre due
opere che potevano pervenire, anche con una certa facilit, nella Na-
poli di Cornelio: il De Homine (1658) e il Dialogus physicus, sive de
natura aris (1661). Tuttavia, solo dal De Corpore che Cornelio
poteva trarre la notizia riportata nel Progymnama VII. De Vita. Si
trattava di un aspetto della fisica hobbesiana, contenuto nellarticolo
14 del capitolo XXX del De Corpore, che Cornelio citava col preciso
intento di confutarlo: Hobbes aveva sostenuto che le miniere inglesi
di carbon fossile erano inadatte per la respirazione, in quanto in esse

9
Thomae Cornelii Consentini Progymnasmata physica, Venetiis, Typis Haere-
dum Fran.ci Baba, 1663; ried. Sumptibus Bartholomaei Nicola Moreschi, 1683, Pro-
gymnasma II. De Rerum Initijs (1661), p. 44; rist. anast. in Omaggio a Cornelio, cit.,
vol. II, p. 626: Nostra demum tempestate descitum est a tyrannide, cui rampridem
scholae mancipatae eruierant, & soluta atque in libertatem vindicata est philosophia a
viris praeclarissimis Gilberto, Stelliola, Campanella, Galilaeo, Bacone, Gassendo,
Cartesio, Digbaeo, Hobbes alijsque quamplurimis ingenio pariter, atque exercitatione
praestantibus viris; quorum opera, atque studio iam nunc Physiologia non minus
quam priscis temporibus, coepit efflorescere. Sed tamen in definiendis rerum prin-
cipijs, videntur omnes cum antiquis, & cum Democrito potissimum, conspirare.
10
T. CORNELIO, Progymnasmata physica, Progymnasma VII. De Vita (1661), pp.
134135; in Omaggio a Cornelio, cit., vol. II, pp. 716717.
Emilio Sergio 526
si formava una nuova specie di materia (C in natura una specie di
corpo pi pesante dellaria e tuttavia tale che il senso non pu
distinguerlo dallaria) che non era n aria n liquido, bens una na-
tura media tra lacqua e laria, che costituiva causa delle difficolt di
respirazione e della subitanea morte dei minatori. Per supportare la
sua ipotesi, Hobbes si avvaleva di esperienze provenienti dal lavoro
minerario:

Est enim in visceribus terrae in locis, ubi ef-
fodiuntur carbones terrei, natura quaedam, quae
propter effectus quosdam videri potest inter
aquam et aerem fere media; quae quidem sensuum
opera distingui ab aere non potest, cum diapha-
num sit aeque atque aer purissimus, eademque pe-
netrationi quoad sensum aeque pervia. At si ef-
fectus spectes, similis aquae est. Puteum enim, un-
de carbones illi effodiuntur, effluens e terra mate-
ria illa implet aut totum aut saltem alioquousque,
et demissum vel hominem vel ignem non multo
majore tempore extinguit quam ipsa aqua. Sed ut
phaenomenon hoc melius concipiatur, describe-
mus figuram sextam. In qua sit fodinae carbona-
riae puteus AB, supponaturque pars ejus CB tali
materia repleta. Si demittatur accensa candela
usque infra C, subito extinguitur non aliter atque
in aqua. Item si demittantur carbones in craticula
ferrea accensi, ut fiat ignis quantumvis validus,
statim ut immerguntur infra C, pallescere inci-
piunt nec multo post videri (extincta luce) desi-
nunt similiter ac in aqua. [] Item si ad eundem
locum C demittatur homo, respirandi quidem dif-
ficultatem statim, mox autem et deliquium patitur, et nisi cito extrahatur,
moritur. Moris ergo est iis, qui descendunt, simulatque aegritudinem primam
sentiant, funem, quo demittuntur, motitare, signum aegritudinis, ut extra-
hantur. [] Accidit autem hoc non in omnibus puteis, sed in multis, nec in
iisdem semper, sed saepe. Quando accidit, remedium adhibent hujusmodi.
Fodiunt in propinquo puteum alium aeque altum DE et conjungunt utrumque
cuniculo EB. Deinde ab accenso igne in fundo E aer, qui est in tubo DE, eve-
hitur in altum foras per D. Hunc sequitur aer contentus in cuniculo EB, quem
sequitur materia noxia contenta in CB, et redit puteo pro ea vice solita salu-
britas. Ex historiola hac, quam iis solis scribo, qui veritatem ejus ipsi experti
sunt [], phaenomeni causa possibilis intelligi potest haec. Materiam esse
quandam fluidam, transparentissimam, quae erumpens e terra puteum implet
usque ad C, in qua materia, tanquam in aqua, et ignis et animalia extingu-
untur. Possibile autem est, ut materia illa alia non sit quam aer sive ventus
fortissimus, qui et ignem et vitam extinguat, hanc receptus in pulmones, ubi

Hobbes a Napoli 527


sistit sanguinis ab uno cordis ventriculo ad alterum transitum, illum vehe-
mentia motus in se conversi suffocans
11
.

La replica di Cornelio consisteva nel sostenere non era lecito esco-
gitare nuove ipotesi quando si poteva disporre di una spiegazione suf-
ficiente per rendere ragione del fenomeno: la vera causa consisteva,
infatti, nella presenza, in quei luoghi, di unaria grassa e densa, ina-
datta a mantenere intatte le funzioni vitali degli organismi viventi:

Multa olim de natura, & qualitatibus aeris commentatus sum, ut quae illius in

11
T. HOBBES, Elementorum philosophiae Sectio prima de Corpore (Londini, A.
Crook, 1655), cap. XXX, art. 14, ried. in Opera Philosophica quae latine scripsit
omnia, 5 voll., a c. di W. Molesworth, Londini, J. Bohn, 183945 (Scientia, Aalen,
1961; dora in poi OL), vol. I, pp. 425427; trad. it. Gli elementi della filosofia. Il
corpo Luomo, a c. di A. Negri, Torino, Utet, 1972, pp. 483485: C, infatti,
nelle viscere della terra, in alcune miniere di carbone, una certa materia che, per ta-
luni effetti, pu sembrare quasi di natura media tra lacqua e laria; e questa non si
pu distinguere dallaria con lausilio dei sensi, giacch trasparente come laria pu-
rissima e, per ci che il senso pu giudicare, ugualmente penetrabile. Ma, se si guar-
da alleffetto, simile allacqua. Infatti, quando si estrae dalla terra, scavando un
pozzo, quella materia, lo riempie o tutto o a qualche livello e, se vi si cala dentro un
uomo o del fuoco, essa lo spegne in un tempo non molto minore che la stessa acqua.
Ma, per meglio comprendere questo fenomeno, descriveremo la figura 6. Nella quale,
AB rappresenti il pozzo della miniera, e si supponga che una parte di esso, CB, sia
riempito di siffatta materia. Ora, se si cala una candela accesa fin sotto C, essa si spe-
gne immediatamente, non diversamente che nellacqua. Parimenti, se vi si calano dei
carboni accesi su una graticola di ferro, in modo da avere un fuoco gagliardo quanto
si vuole, essi, non appena si immergono sotto C, cominciano ad impallidire e, non
molto dopo, spenta la luce, si comincia a non vederli pi, come nellacqua. [] Pari-
menti, se si cala fino al medesimo luogo C un uomo, egli subisce immediatamente
una difficolt nel respirare, subito dopo sviene e, se non si trae rapidamente fuori,
muore. Perci, quelli che scendono nei pozzi, appena avvertono il primo malore,
sono soliti muovere un poco la fune con la quale sono calati, segnale del malore, per
essere tratti fuori. [] Ma ci accade non in tutti i pozzi, bens in molti, n sempre,
bens spesso, nei medesimi pozzi. Quando ci accade, si ricorre ai seguenti rimedi. Si
scava vicino al pozzo un altro pozzo della stessa altezza, DE, e si congiungono en-
trambi con il cunicolo EB. Poi, si accende un fuoco nel fondo E e, con esso, laria
contenuta nel canale DE si porta in alto, fuori, attraverso D; la segue laria contenuta
nel cunicolo EB e questa seguita dallaria in CB, e ritorna nel pozzo, con questo av-
vicendamento, la solita salubrit. Da questo racconto, che scrivo unicamente per co-
loro i quali hanno provato personalmente la verit di esso [] si pu comprendere
questa causa possibile del fenomeno: c una certa materia fluida, molto trasparente
che, uscendo fuori dalla terra, riempie il pozzo fino a C; in questa materia, come nel-
lacqua, il fuoco e gli esseri animati muoiono. possibile, inoltre, che questa materia
non sia altro che aria o un vento fortissimo che spenga il fuoco e la vita, una volta
ricevuta nei polmoni, quando blocca il passaggio del sangue da un ventricolo allaltro
del cuore, soffocandolo con limpeto di un moto che ritorna in se stesso.
Emilio Sergio 528
animalium respiratione sit utilitas, assequerer: sed cum ea peculiari volumine
explicare decreverim, libet hoc loco pauca summatim attingere. Mihi itaque
persuasum in primis parem esse aeris necessitatem cum ad animalium vitam,
tum ad ignem conservandum; ad utrumque vero utilis esse videtur aer ille,
qui nec valde rarus sit, nec valde densus; item neque praeter modum com-
pressus, neque distractus. Quare di ignis in laterna conclusus ardeat, at e
foramine quod in ipsius laternae fundo est spiritus exugatur, statim flamma
contrahi, ac languescere incipiet, & brevi tandem extinguetur: idem prorsus
continget, si per illud ipsum foramen in laternam aer copiosius inspiretur. Sed
dispar tamen esse videtur natura illius flammae, quae fit ex puluere, quem
pyrium vocant, accenso; tanta enim eius vis est, ut spiritum vehementer eieat,
& circumiectum aerem magno conatu difijciat, ideoque non facile ob rarita-
tem, vel densitatem ambeuntis aeris extinguatur. Ex quo fit ut in ijs cavernis,
in quibus flamma carbonesque extinguuntur, pyrius pulvis semel accensus,
continenter donec totus conflagraverit, ardeat. Caeterae autem flammae, qui-
bus impar est vis, facile in aere nimis tenui, vel crasso dissipantur, aut obru-
untur. Nec vero dissimilis in animalibus ratio esse videbitur, si pulmonis, &
pedissequarum respirationis partium vis conatusque perpendatur
12
.

Attraverso la sua critica (che Aceti condensa bene nellespressione
del filosofo che, fedele pi dello stesso Hobbes al motto non sunt
moltiplicanda entia sine necessitate, ritiene illogico il suo novum
quid
13
), Cornelio intendeva ricordare a Hobbes i princpi di una me-
todologia familiare a tutti i recentiores della nuova filosofia: dietro la
formulazione di ipotesi non sorvegliate da una solida osservazione
empirica, potevano nascondersi i peggiori difetti dellindagine natura-
listica. Lesperienza medica e sperimentale acquisita negli anni della
sua formazione, la feconda corrispondenza con il medico Marco Au-
relio Severino e gli allievi della scuola galileiana avevano spinto
Cornelio a muoversi con molta pi circospezione nel campo della for-
mulazione delle ipotesi: chi, come lui, aveva acquisito lhabitus dello
sperimentatore, del naturalista pratico, del sezionatore della natu-
ra, non poteva non guardare con sospetto luso insistente dellanalo-
gia nella descrizione hobbesiana delle possibili cause dei fenomeni
osservati (la costante associazione della nuova specie di materia,
pi pesante dellaria, allacqua, cio alla materia fluida); cos come
non poteva non accorgersi della prosa antiscientifica delle righe finali
del 14 del De Corpore, quando il tentativo di definire la natura
intermedia della nuova specie di materia si spingeva nel campo della

12
T. CORNELIO, Progymnasmata physica, Progymnasma VII. De Vita, cit., p.
135; rist. in Omaggio a Cornelio, cit., vol. II, p. 717.
13
T. ACETI, Un genio cosentino negletto, cit., p. 273; rist. in Omaggio a Cor-
nelio, cit., vol. I, p. 457.
Hobbes a Napoli 529
metafora ( possibile, inoltre, che questa materia non sia altro che
aria o un vento fortissimo che spenga il fuoco e la vita [])
14
. Poco
valeva, nel presente contesto, la premessa posta allinizio dello stesso
paragrafo, con lintento di motivare la natura astratta, contro-
fattuale delle ipotesi formulate: unicamente dal ragionamento che
si pu riconoscere che un corpo ci che chiamiamo aria []. Per-
ci, dai sensi soltanto, senza ragionamento a partire dagli effetti, noi
non possiamo avere una prova sufficiente della natura dei corpi
15
.
Pronto per la stampa nel 1656, ritoccato nel 1661, il volume dei
Progymnasmata appariva finalmente nellautunno del 1663 in un mo-
mento cruciale della cultura scientifica napoletana. Nel 1663 si con-
sumava un violento scontro tra il gruppo degli Investiganti, capeg-
giato da Cornelio, gi attivo a Napoli da alcuni anni, e i sostenitori
della tradizione culturale. Come ricorda Torrini, i Progymnasmata
raccoglievano il risultato di quindici anni di alacre attivit di Cor-
nelio, divisi tra il soggiorno romano ed il ritorno a Napoli, tra il de-
ludente insegnamento universitario e il pi proficuo sodalizio con i
giovani rinnovatori della cultura napoletana
16
. Proprio grazie allin-
sistente pressione di questi giovani studiosi, il filosofo rovitese aveva
dato vita allAccademia degli Investiganti, e deciso di pubblicare i
Progymnasmata; unopera che, precisa Torrini, si presentava non
tanto come il manifesto della nuova cultura, quanto come un corpo di
dottrine e di materiali su cui impostare il dibattito filosofico
17
. Un
chiaro esempio del carattere aperto dellopera di Cornelio, del re-
sto, era offerto dal modo stesso in cui essa si rapportava alle dottrine
naturalistiche di Hobbes: con gran rispetto da una parte, allorch si

14
T. HOBBES, De Corpore, cap. XXX, art. 14, in OL I, p. 427: Possibile autem
est, ut materia illa alia non sit quam aer sive ventus fortissimus, qui et ignem et vitam
extinguat; trad. it. cit., p. 485.
15
Ivi, p. 425: Ratione autem corpus esse aliquod, quod aerem dicimus, cognosci
potest, sed unica []. Naturae ergo corporeae absque ratiocinatione ab effectu soli
sensus idonei testes non sunt; trad. it. cit., p. 483. Lo stesso Cornelio non era il to-
tale disaccordo con tale premessa (cfr. F. CRISPINI, Metafisica e scienze della vita,
cit., p. 109); tuttavia, chi, come lui, credeva che lesperimento fosse in lotta con le
ipotesi (ivi, p. 112), che lacqua avesse diversi stati, che rarefazione e conden-
sazione dellaria e dellacqua fossero effetti di un etere tenuissimo (ivi, p. 110),
non poteva accettare linvenzione hobbesiana di una materia intermedia. Sul tema
cfr. M. TORRINI, Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza, cit.
16
M. TORRINI, Uno scritto sconosciuto di Leonardo da Capua in difesa dellarte
chimica, Bollettino del Centro di Studi Vichiani IV (1974), pp. 126139, spec. 134.
17
M. TORRINI, Uno scritto sconosciuto di Leonardo da Capua, cit., p. 134.
Emilio Sergio 530
trattava di tesi sostenute da uno dei membri del nuovo indirizzo scien-
tifico della filosofia naturale europea; ma con autonomia di pensiero e
piena libert di critica dallaltra, allorch si trattava di scendere sul
piano della discussione di dottrine particolari.


Cornelio e la fortuna del cartesianesimo

Un elemento che pu aiutare il lettore a comprendere il rapporto
esistente tra Cornelio, Hobbes e la cultura degli Investiganti senza
dubbio quello relativo al contesto europeo della filosofia naturale
espressa nei Progymnasmata. Non questo il luogo per affrontare
unanalisi complessiva del naturalismo corneliano, e dei rapporti in-
trattenuti dal Nostro con la cultura inglese, su cui del resto Torrini ha
gi fornito importanti studi. Ma pu essere utile, a riguardo, tentare di
situare la filosofia di Cornelio nellambito di quello che la storio-
grafia filosofica dellet moderna chiama con lespressione di carte-
sianesimo; un ambito nel quale pu essere compreso lo stesso Hob-
bes, non fossaltro che per lattenzione dedicata, da parte di Hobbes, a
dottrine specifiche del sistema meccanicistico del filosofo francese
18
.
Nellambito della storiografia cartesiana, i pi recenti studi sulla
fortuna del cartesianesimo nelle province tedesche e francoolandesi
(quel territorio della cultura europea, cio, dove le dottrine di Descar-
tes incontrarono maggiore ricezione, non solo in circoli e in accade-
mie private, ma anche nelle universit) hanno permesso di inquadrare
la storia della fortuna delle idee naturalistiche di Descartes e in
particolare dei Principia philosophiae secondo una periodizzazio-
ne ben precisa. Si tratta di una storia che ha interessato, nel XVII
secolo, diverse generazioni di cartesiani: 1) la prima fa riferimento
ai contemporanei di Descartes. In questa fase, molti simpatizzanti di
Descartes si preoccuparono di conciliare la sua filosofia con laristo-
telismo, e pi in generale, con la tradizione degli antichi; 2) la se-

18
Non sar inutile ricordare che tra le accuse pi frequenti delle nuove genera-
zioni antihobbesiane di filosofi e scienziati inglesi cera quella di considerare la
filosofia naturale di Hobbes come un plagio dei sistemi di Descartes, Gassendi e
Digby. Cfr. DOUGLAS JESSEPH, Squaring the circle. The war between Hobbes and
Wallis, Chicago and London, Chicago University Press, 1999. La critica pi recente
si soffermata anche sullinfluenza dellottica meccanicistica cartesiana su quella
hobbesiana. Per una rassegna sullargomento, cfr. FRANCO GIUDICE, Luce e visione.
Hobbes e la scienza dellottica, Firenze, Olschki, 1999.
Hobbes a Napoli 531
conda generazione quella di cartesiani come Johannes de Raei
(16221672), Tobias Andreae (16041676), Christophorus Wittichius
(16251687), in cui i Principia sono ancora un testo valido, ma di cui
si cominciano ad intravedere lacune, limiti e debolezze. In questa
seconda fase i Principia trovarono permeabilit soprattutto presso la
comunit scientifica olandese, sia per la proliferazione dei dibattiti sul
sistema del mondo, sia per i crescenti progressi in campo medico e
biologico; 3) la terza fase quella in cui si tenta di compiere il supe-
ramento totale o parziale della filosofia naturale di Descartes. In que-
stultima fase il testo dei Principia continua a costituire un punto di
riferimento per lo studio della natura, ma la sua ricezione sempre
meno ispirata ad un cartesianesimo integrale
19
.
Rispetto a tale scenario storicocritico, il naturalismo di Cornelio
pu essere collocato a met strada tra i cartesiani della cosiddetta
seconda generazione e quelli della terza. Sia pure secondo modalit
e sensibilit diverse, i cartesiani della seconda e terza generazione
concordavano prevalentemente circa il fatto che il testo dei Principia
philosophiae andasse integrato e completato, e in suoi aspetti specifi-
ci modificato. In questa direzione, del resto, le generazioni pi tarde
dei lettori della fisica di Descartes sembravano cogliere appieno lo
spirito programmatico che lo stesso Descartes aveva voluto comu-
nicare nelle pagine della pars IV dei Principia, ammettendo il carat-
tere incompleto dellopera, e che la trattazione di alcuni argomenti,
come ad esempio quelli legati alla filosofia chimica, avesse bisogno
di nuovi e numerosi esperimenti che al momento egli non era stato in
grado di compiere. Per questa ragione, Descartes aveva ritenuto di
concludere lopera con una dissertazione sulla natura del senso, un
argomento che poteva essere considerato per alcuni versi come una
sorta di anello mancante pi urgente di altre lacune presenti nella
trattazione.

Sed quia nondum omnia, de quibus in iis agere vellem, mihi plane perspecta

19
Cfr. THEO VERBEEK, Descartes and the Dutch. Early Reactions to Cartesian
Philosophy, 16371650, Carbondale (Ill.), Southern Illinois University Press, 1992;
ID., Les Principia dans la culture nerlandaise du XVII
e
sicle, in J.R. ARMOGA-
THE e G. BELGIOIOSO (eds.), Descartes: Principia philosophiae (16641994), Napo-
li, Vivarium, 1996, pp. 701712; FRANCO TREVISANI, Descartes in Germania. La ri-
cezione del cartesianesimo nella Facolt filosofica e medica di Duisburg (1652
1703), Milan, Franco Angeli, 1992; RIENK H. VERMIJ, The Calvinist Copernicans.
The reception of the new astronomy in the Dutch Republic, 15751750, Amsterdam,
Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, Knaw, 2002 (www.knaw.nl/edita).
Emilio Sergio 532
sunt, nec scio an satis unquam otii habiturus sim ad ipas absolvendas, ne
priores idcirco diutius retineam, vel quid in iis desideretur, quod ad alias
reservarim, pauca quaedam de sensuum objectis hc subjungam
20
.

Non si sorprender il lettore nel notare che un attento com-
mentatore di Descartes come Cornelio concentrava parte dei suoi
sforzi pi maturi proprio sullargomento che era stato posto nella
Pars IV dei Principia philosophiae come una sorta di conclusione
aperta: la trattazione sulla natura del senso
21
. Questa sensibilit
scientifica collocava Cornelio tra i pi avanzati lettori del cartesia-
nesimo europeo. Dopo la seconda, fortunata riedizione veneziana e
lipsiense del 1683 dei Progymnasmata, e la pubblicazione postuma
del Progymnasma De Sensibus (1688), il filosofo di Rovito incon-
trava una singolare fortuna proprio in quei territori della cultura
europea dove i Principia philosophiae avevano riscosso maggiore
ricezione: la Germania e lOlanda.
Della storia di questa fortuna abbiamo raccolto finora due esempi,

20
R. DESCARTES, Principia Philosophiae, Pars IV, 188, in Oeuvres de Descar-
tes, a c. di C. Adam e A. Tannery, 13 voll., Paris, 18971913; ried. Paris, Vrin
C.N.R.S., 196474, vol. VIII/1, p. 315. Dopo aver esposto, nei 5862 della Pars
IV, le tre specie di corpi (elementi) che possono essere assunti come i tre principi
comuni dei Chimici, il sale, lo zolfo e il mercurio (sale, suplhure ac Mercurio), ed
aver brevemente esposto come i metalli giungano a noi (omnia metalla [] ad
nos pervenire), Descartes asseriva nel 63 che avrebbe esaminato in modo pi det-
tagliato le diverse specie dei metalli se avesse avuto modo di eseguire prima vari
esperimenti (si varia experimenta []), che sono necessari per pervenire ad
averne una certa conoscenza (ivi, p. 242).
21
Lultimo dei Progymnasmata, dal titolo De Sensibus, dedicato allo studio dei
meccanismi della sensazione, fu pubblicato postumo da Francesco DAndrea, nel-
ledizione napoletana del 1688, dal titolo Thomae Cornelii Consentini Opera quae-
dam posthuma, Numquam antehac edita. Ad Nobilissimum Virum Franciscum ab An-
drea, Neapoli, MDCLXXXVIII, Ex Typographia Jacobi Raillard; e, lo stesso anno,
in unedizione dal titolo Thomae Cornelii Consentini Progymnasmatis de Sensu,
fragmentum posthumum, Romae, Sumptibus I. Vitt., ora in Omaggio a Cornelio, cit.,
vol. II, pp. 851949 e 803850. Nel De Sensibus Cornelio proponeva un superamento
dei Principia di Descartes, secondo uninterpretazione della facolt sensibile che si
rifaceva ai princpi di quel corpuscolarismo meccanicista elaborato gi nei Progym-
nasmata. Sullinsistenza, da parte di Cornelio, circa le potenzialit dellindagine spe-
rimentale in relazione ai meccanismi del senso, e sui non superficiali ritocchi ai
concetti cartesiani di materia e movimento, cfr. F. CRISPINI, Metafisica del senso e
scienze della vita, cit., pp. 7196 e 97103; ora in Omaggio a Cornelio, cit., pp. 91
110 e 111115; M. TORRINI, Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza, cit.,
ad indicem; e ID., Lettere inedite di Tommaso Cornelio a Marco Aurelio Severino,
Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria 25 (1970), pp. 139155.
Hobbes a Napoli 533
che ci sembrano tuttavia eloquenti dellampiezza di diffusione rag-
giunta nei centri culturali del Nord Europa dallopera di Cornelio. Il
primo riguarda la citazione dei Progymnasmata in una delle opere pi
lette tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII: la Polyhistoria
(1708) di Daniel Georg Morhof. Nel tomo II di questopera, in un ca-
pitolo dal titolo De philosophia naturali Renati Cartesii, et assecla-
rum, Morhof citava lopera di Cornelio al seguito di una lunga serie
di Commentatores & Epitomatores dei Principia philosophiae, come
Regius, Rohault, Clauberg, de Raei, Cordemoy:

Scripsit & Thomas Cornelius, Consentinus, Progymnasmata Physica, ad
mentem Cartesii, de ratione philosophandi, de rerum initiis, de universitate,
de sole, de generatione hominis, de nutritione & vita, Francof[orti] A. 1665.
in 12. recusa. Adversus Aristotelem saepe disputat, interdum quoque adv.
Cartesium, quem ex Joardani Bruni hypothesibus quaedam desumpsisse,
Progymn. III. de Universitate, ostendit
22
.

Il secondo esempio riguarda unopera in lingua nederlandese che
fu edita ad Amsterdam nel secondo decennio del XVIII secolo. Essa
costituisce un indizio importante della diffusione dei Progymnasmata
nelle province olandesi agli inizi del XVIII secolo. Nel 1721, due
celebri editori di Amsterdam, Rudolph e Gerard Wetsein, pubblica-
vano un poema satirico, dal titolo di Chronomastix, di un autore
anonimo, detto Severus Alethofilus. Nel poema erano citati diversi
filosofi antichi e moderni. Tra gli antichi ritroviamo Cicerone, Ocello
Lucano, Ovidio e Giovenale; tra i moderni William Harvey, Des-
cartes, Cornelis Bontekoe, Hermann Boerhaave e Tommaso Cornelio.
Questultimo era citato in una nota di Alethofilus su un passaggio del
poema in cui si ricordava lincompetenza e lavidit di molti medici.
Nella nota si precisava che si trattava di parole che erano state tratte
da una lettera di Cornelio a Francis Glisson, che fu pubblicata in
appendice alle edizioni veneziana e tedesca dei Progymnasmata
(1683). La nota recita cos:

tratto da un brano della lettera di Thomas Kornelius da Napoli al dotto Signor

22
DANIEL MORHOF, Danielis Georgi Morhofi Polyhistor, tres tomos literarium,
Philosophicum et Practicum, Opus posthumum ... illustratum a Johanne Mollero,
Scholae Flensburg Rectore, Lubecae, Sumtibus Petri Bockmanni, 1708; tomus II,
Polyhistoris Continuatio, Continens Quatuor Posteriores Tom. Liter. Libros, cap.
XVIII, p. 275. Sul tema, cfr. PAUL DIBON, Naples et lEurope savante dans la secon-
de moiti du XVII
e
sicle, in ID., Regards sur la Hollande du sicle dor, Napoli,
Vivarium, 1990, pp. 291311, spec. 299306.
Emilio Sergio 534
Glissonius, stampata di seguito ai suoi Progymnasmata, in Leipzig, alcuni
anni fa. Ora io [Alethofilus] vi presento quel brano tradotto dal latino: poich
questo genere di uomini (ad eccezione di alcuni) non guidato nella ricerca
da una pratica affidabile, ma si serve di inganni e di menzogne, essi temono
pi dogni altra cosa i costruttori di verit e i persecutori di raggiri e di astu-
zie. Ma non sto a lagnarmi con voi delle perverse abitudini di questa pessima
gente!
23

La nota di Alethofilus era una prova evidente della circolazione
dellopera maggiore di Cornelio, nelledizione lipsiensejenense del
1683 (che ebbe il titolo di Physiologia), presso i circoli intellettuali di
Amsterdam del primo 700
24
. Il framework filosofico nel quale si
muoveva Alethofilus era quello del naturalismo cartesiano: nel poema
erano citati anche altri autori olandesi che erano stati promotori di
sistemi fisici derivanti in parte da una rielaborazione dei Principia,
come Dirk Santvoort (16531712) e Christiaan Huygens
25
.


Conclusioni. Gli Investiganti e la via chimica

Alla diffusione del pensiero, e soprattutto, come si vedr, dei limiti

23
SEVERUS ALETHOFILUS, Chronomastix Of De Geessel Dezer Eeuw, Algemeen
SchimpDigt: Waarin Der Menschen onkunde, dwaasheid, vooroordeelen, ondeug-
den, en veele gebreken dezer tyd, naakt ten toon gestelt, en geroskamt worden. In
Nederduitze Heldenvaarzen aan een geschakelt: ook met uitbreidingen, en kantteke-
ningen verrykt, R. en G. Wetstein, Boekverkopers, in de Kalverstraat tot Amster-
dam, 1721, p. 32 n. Devo la traduzione inglese di questo passo alla generosit del
prof. J.J.V.M. DE VET, che mi ha usato la gentilezza di fornirmi, oltre ai contenuti
della nota, anche alcune informazioni sulla reperibilit dellopera nelle biblioteche
olandesi. Il passo della lettera a Glisson tratto dai Progymnasmata (Lipsia, 1683),
p. 192: Nimirum hoc hominum genus quoniam quidem literis disciplinesque haud
quaquam excultum est, sed totum plane ex fraude & mendacijs compositum, ab his
sibi maxime metuit, qui veritatis cultores sunt, & fucum ac fallacias infectantur. Sed
quid ego vobiscum de nequissimae gentis pervesitate conqueror.
24
Sullargomento, cfr. J.J.V.M. DE VET, Chronomastix hastijdt zijn eeuw: een
blik in een curieuze zedenspiegel, Digit Bibliotheek der Nederlandse Letteren (dbnl)
25 (2004), p. 420433 (www.dnbl.org). I Progymnasmata ebbero le seguenti edizio-
ni: Venetiis, Typis haeredum Franci. Baba, 1663; Francofurti, Sumpt. Thomae Mat-
thiae Gtzij, 1665; Venetis, Sumptibus Bartholomi Nicola Moreschi, 1683; Lipsiae
et Jenae, 1683, con il titolo di Thomae Cornelii Physiologia peculiari studio novis at-
que hactenus inauditis [] rationum ponderibus atque momentis illustrata; Neapoli,
Ex Typographia Jacobi Raillard, 1688, con laggiunta del De Sensibus (v. supra, n.
21). P. DIBON segnala anche unaltra edizione (Copenhagen, 1685), conservata vero-
similmente presso la Alte Bibliothek di Herborn (op. cit., pp. XIV e 304).
25
S. ALETHOFILUS, Chronomastix, cit., pp. 41, 46; J.J.V.M. DE VET, op. cit., p. 431.
Hobbes a Napoli 535
epistemologici e gnoseologici della filosofia di Hobbes, Cornelio pu
aver partecipato anche attraverso il ruolo di lettore, collaboratore e/o
ispiratore delle opere degli altri membri dellAccademia degli Inve-
stiganti, come Leonardo di Capua (16171695) e Francesco DAn-
drea (16251698). Ad esempio, in uno scritto in difesa dellarte chi-
mica, ripreso in considerazione alcuni anni fa da Maurizio Torrini,
attribuito a Leonardo di Capua (ma su cui lo stesso Torrini non esclu-
de linfluenza corneliana
26
), si pu leggere un passo, dedicato alla
querelle fra gli antichi e i moderni, in cui si ricorda che recentiores
come Galileo, Descartes, Gassendi e Hobbes mossero il loro attacco
alla filosofia aristotelica non per quanto eran Chimici, ma per quanto
eran Fisici:

E la philosophia di Aristotele fu nel Secolo passato acerbamente ripugnata da
Bernardino Telesio, Francesco Patritio e Pietro Ramo, e nel Secolo corrente
con assai maggior forza da Galileo Galilei, Renato de Carte, Pietro Gassendo,
Bastian Basson e Tommasso Hobbes i quali per non sinsognarono ne meno,
di voler scrivere, o trattare alcuna cosa toccante alla Chimica
27
.

Questa lacunosit, rilevata nei recentiores, verso la filosofia chi-
mica, era letta dagli Investiganti come il segno tangibile di un limite.
Si tratta di un passo, quello del Discorso, che rivelava non solo lap-
partenenza del gruppo degli Investiganti alla cosiddetta seconda ge-
nerazione di cartesiani (la datazione del Discorso quasi coincidente
con quella delluscita dei Progymnasmata), ma mostra anche come la
speciale sintonia, gi stabilita da Cornelio, con i naturalisti e i filosofi
sperimentali della Royal Society andasse ben oltre unappartenenza
formale, dettata da circostanze di mutua ospitalit, da parte dei
membri delle rispettive accademie. Sullatteggiamento assunto nei
confronti della chimica, la posizione di Hobbes non era molto dis-
simile da quella di Descartes. Laddove questultimo imputava las-

26
TORRINI attribuisce la paternit del Discorso a Leonardo di Capua sulla base di
alcune concordanze testuali con il Parere sopra lincertezza della medicina (Napoli,
Bulifon, 1681) del di Capua; ma non esclude lapporto di altre mani, data la con-
suetudine ad opere in collaborazione inaugurata dagli Investiganti (Uno scritto sco-
nosciuto di Leonardo di Capua, cit., p. 135 n. 32). Lo scritto era ritenuto da GIACIN-
TO GIMMA (Elogi accademici della societ degli spensierati di Rossano, cit., I, p.
125) opera comune di Cornelio, DAndrea e di Capua; mentre MAX H. FISCH lattri-
bu alla penna di DAndrea (LAccademia degli Investiganti, De Homine XXVII
XXVIII (1968), pp. 1778).
27
[L. DI CAPUA], Discorso in difesa dellarte chimica (1663), XXXI, in M. TOR-
RINI, Uno scritto sconosciuto di Leonardo di Capua, cit., p. 136.
Emilio Sergio 536
senza di una trattazione sullargomento alla mancanza di esperi-
menti (Principia philosophiae, IV, 63 e 188), Hobbes si limitava,
nel cap. I del De Homine (1658), ad una rilettura in chiave meccani-
cistica e creazionistica del racconto biblico di Genesi I,2, e ad una
spiegazione meccanicistica dei processi di nutrizione e di dis-
soluzione dei corpi umani, per concludere, con un discorso breve e
generalissimo, che

avrei potuto spiegare tutto ci pi minutamente, se non avessi stabilito di fare
unindagine non tanto sulle facolt del corpo quanto su quelle dellanima.
Perci, passo ai sensi, contento se argomenti siffatti io li avr toccati soltanto,
mentre lascer il compito di trattarli pi in profondo ad altri
28
.

Il particolare distinguo contenuto nel Discorso consente di mar-
care uno specifico atteggiamento degli Investiganti nei confronti
dei primi recentiores della filosofia del XVII secolo, come Hobbes,
Descartes e Gassendi. Nella percezione di autori come Cornelio, di
Capua, DAndrea il passo sopra citato del Discorso lo lascia chia-
ramente intendere , la pratica sperimentale del capitolo XXX del
De Corpore non era affatto assimilabile al nuovo indirizzo scientifico
che stava configurandosi presso i giovani membri della Royal Society
come Robert Boyle, Thomas Willis, Francis Glisson cui non
era esclusa la possibilit di occuparsi, attraverso la via experimenti,
della natura materiale di quei composti, elementi, particelle che erano
stati finora oggetto dindagine dei medici spagirici, dei mineralogisti,
degli orafi e degli alchimisti. Il passo del Discorso consente in altri
termini di affermare, per absentiam, che la percezione, da parte degli
Investiganti, della cultura scientifica dei membri della Royal Society,
non coincideva con quella dei primi sostenitori della nuova filosofia
naturale, e avversari della filosofia di Aristotele
29
.

28
T. HOBBES, De Homine, cap. I, 4, in OL II, p. 6; trad. it. cit., p. 500.
29
Allassenza dei nomi di Boyle, Willis e Glisson dalla lista di coloro che non
sinsognarono di trattare alcuna cosa toccante alla Chimica, c da aggiungere il
contatto avuto da Cornelio con alcuni membri della Royal Society, come John Ray,
Philip Skippon e Francis Willoughby, durante il loro soggiorno italiano nel 1664; la
corrispondenza con Glisson, Oldenburg e la Royal Society; la fattiva collaborazione
con lorgano principale della Royal Society, le Philosophical Transactions. Tracce
della fortuna di Cornelio fra gli inglesi si hanno nel trattato di JOHN RAY, Obser-
vations topographical, moral and physiological, made in a journey through part of
the LowCountries, Germany, Italy, and France, London, Printed for John Martyn,
to the Royal Sociey, 1673, pp. 271 e 410411, in cui si ricorda la conoscenza da parte
di Cornelio delle opere di Hobbes; nelle Philosophical Transactions (febr. 1667);
Hobbes a Napoli 537
Si tratta di un atteggiamento che, verso la fine del XVII secolo,
con il declino dellAccademia degli Investiganti e la trasformazione
dellantico indirizzo scientificosperimentale, tender a diluirsi nel
generale clima di rinnovamento culturale che impegn la Napoli dei
primi anni del XVIII secolo
30
. Eppure una traccia, sia pure flebile,
dellantica sensibilit investigante, continuer a conservarsi, persi-
no in un autore lontano, per interessi culturali, dallo scientismo na-
turalistico e sperimentale corneliano, come Vico; il quale, nella sua
Autobiografia (172328), lasciava emergere chiaramente lintendi-
mento che i nuovi filosofi inglesi Boyle per tutti conservas-
sero qualcosa, dellanelito baconiano di una conoscenza sperimentale,
che li rendeva sensibilmente diversi dai filosofi apriorici della
precedente generazione, come Galileo, Descartes e Hobbes:

A capo di altro poco tempo seppe egli [Vico] chera salita in pregio la fisica
sperimentale, per cui si gridava da per tutto Roberto Boyle; la quale quanto
egli giudicava essere profittevole per la medicina e la spagirica, tanto esso la
volle da s lontana, tra perch nulla conferiva alla filosofia delluomo e
perch si doveva spiegare con maniere barbare
31
.


nella Correspondence di Henry Oldenburg (a c. di A.R. Hall e M. Boas Hall, 13 voll.,
Madison, Milwaukee, University of Wisconsin Press, 19651986); e in THOMAS
BIRCH, History of the Royal Society of London for improving of natural knowledge,
London, printed for A. Millar, 175657, vol. III, pp. 910, 17 (febr. 1672), 4748
(apr. 1672). Cfr. MAX H. FISCH, Laccademia degli Investiganti, cit., pp. 4243; M.
TORRINI, Lettere inedite di Tommaso Cornelio a Marco Aurelio Severino, cit.,
spec. pp. 139140; ID., Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza, cit., ad
indicem; P. DIBON, Naples et lEurope savante, cit., pp. 305306.
30
Cfr. A. BORRELLI, LApologia in difesa degli atomisti di Francesco DAn-
drea, Filologia e critica VI (1981) 2, spec. p. 259280.
31
G. VICO, Vita scritta da se medesimo (172328), in Opere, 2 voll., a c. di A.
Battistini, Milano, Mondadori, 1990, vol. I, p. 20. Unattenzione anche maggiore
ricorre nel De nostri temporis studiorum ratione (1709), in Opere, cit., [I], p. 96:
medicinae instrumentum est chemica, et ex ea nata spargirica; e [II], p. 98: Che-
mica antiquis prorsus incognita, quibus adiumentis instruit medicinam! quae chemi-
corum phaenomenon similitudine apposita, quam plurimas humani corporis functio-
nes et morbos nedum coniicit, oculis plane cernit. Certe spargirica, eius soboles, desi-
derabatur antiquis: nos eorum voti compotes facti sumus. Et chemica a quibusdam in
physicam invecta est; uti et a quibusdam mechanica, in medicinam et chemicophysi-
ca nonnulla meteora aliaque naturae opera mana pene facit: mechanico momenta hu-
mani corporis describit morbos et curat. Come ha fatto opportunamente notare AN-
DREA BATTISTINI nelle sue Note di commento al De ratione, attraverso luso del ter-
mine mechanica, Vico, con lessico baconiano, intende il metodo induttivosperi-
mentale (Opere, cit., vol. II, p. 1327).
Emilio Sergio 538
Abbiamo voluto concentrarci, nel nostro excursus, sul terreno sto-
ricofilosofico della Napoli di Cornelio e della cultura investigante,
per poter spiegare nella maniera pi perspicua come la ricezione cor-
neliana delle opere di Hobbes non sia affatto un momento episodico
della biografia intellettuale di Cornelio, ma costituisca al contrario il
caso eloquente di un momento fondante della cultura scientifica napo-
letana del XVII secolo. Il tema della peculiare identit e del preciso
ruolo della filosofia naturale di Cornelio nel pi vasto scenario del
cartesianesimo europeo (e della sua fortuna) avrebbe forse meritato
pi spazio di quello concessogli. Ma confidiamo nella buona volont
del lettore di considerare queste note come il primo risultato di una
ricerca in fieri, nata in parte dietro lo stimolo della rinnovata atten-
zione dedicata, negli ultimi decenni, alla storia della fortuna del pen-
siero di autori come Descartes, Hobbes, Locke e Boyle nella filo-
sofia italiana dei secoli XVII e XVIII
32
.

32
Cfr. CLELIA PIGHETTI, Linfluenza scientifica di Robert Boyle nel tardo 600
italiano, Milano, Franco Angeli, 1988; EAD., Il vuoto e la quiete: scienza e mistica
nel 600. Elena Cornaro e Carlo Rinaldini, Milano, Franco Angeli, 2005; ETTORE
LOJACONO, Letture cartesiane da Cornelio a Caloprese (16381694), in AA.VV.,
Dalla scienza mirabile alla scienza nuova: Napoli e Cartesio. Catalogo della Mostra
bibliografica e iconografica, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1997,
pp. 1373; P. AMODIO, La diffusione del pensiero di John Locke a Napoli nellet di
Vico. Contributo criticobibliografico, Atti dellAccademia di Scienze morali e poli-
tiche CVIII (1997), pp. 182194; N. SCISCIOLO, Presenza lockiana a Napoli tra fine
Seicento e inizio Settecento: dagli Investiganti alle eredit genovesiane. Note ed ap-
punti di lavoro, Studi Filosofici XX (1997), pp. 73111; MANUELA SANNA, Vico e
lo scandalo della metafisica alla moda lockiana, Bollettino del Centro di Studi
Vichiani XXX (2000), pp. 3150; M. TORRINI, Cartesio e lItalia: un tentativo di
bilancio, Giornale critico della filosofia italiana LXXX (2001) 2, pp. 214230.
ILARIA VIGORELLI

Un appunto laterale a Mitologia Bianca di Jacques Derrida



Con il saggio Mitologia Bianca Jacques Derrida intervenuto
sulla metafora al principio degli anni Settanta
1
. Limmagine del
titolo, e la mossa che racchiude, di Polifilo, un personaggio di
Anatole France. Nellopera Le jardin dEpicure, il breve dialogo di
Polifilo e Ariste ha come sottotitolo Il linguaggio metafisico:
credo di avervelo fatto capire abbastanza, Ariste: ogni espressione di
unidea astratta non pu essere che unallegoria. Per un bizzarro
destino, questi metafisici, che credono di sfuggire al mondo delle
apparenze, sono costretti a vivere in perpetuo nellallegoria. Poeti
tristi, essi scoloriscono le favole antiche, e non sono che dei
raccoglitori di favole. Essi fanno della mitologia bianca
2
.
Mitologia bianca, perch delluomo bianco, sarebbe la metafisica
che concentra e riflette la cultura delloccidente; ma bianca anche
perch ha cancellato in se stessa la scena favolosa che lha prodotta
e che tuttavia resta attiva, irrequieta, inscritta con inchiostro bianco,
disegno invisibile e nascosto nel palinsesto
3
. Jacques Derrida si
interessa ad una certa usura della forza metaforica nello scambio
filosofico; bianca leffigie della moneta usurata, che ha perso il
valore di scambio.
Erede della fenomenologia husserliana, interessato al pensiero di
Heidegger, egli aveva gi scritto e pubblicato i testi che sono stati alla
base della sua pratica di pensiero, spesso generalizzata con il termine
decostruzione.
Contrariamente allimpulso che la questione della parola traslata
dava in quegli anni allestetica, agli studi di retorica e alla filosofia
del linguaggio, o alla semiotica, egli tenta unindagine squisitamente
teoretica sullatto del metaforizzare; d modo di scorgere lavvertenza
circa i modi e gli strumenti utilizzati in quegli anni e che con

1
La prima edizione del saggio, con il titolo Mitologie Blanche usc su
Potique, V (1971). Fu poi ripubblicato in Marges de la philosophie, Paris, Minuit,
1972; lo proponiamo nella trad. it. curata da M. Iofrida, Margini della filosofia,
Torino, Einaudi, 1997.
2
Ivi, p. 280.
3
Ibidem.
Bollettino Filosofico 22 (2006): 539-547 539
Ilaria Vigorelli 540
Richards, Blumenberg e Black si impongono anche oggi ad ogni
riflessione sulla parola metaforica e il suo portato
4
.
Derrida si inserisce con uno stile provocatorio, talvolta ironico, e
conduce alle estreme conseguenze i temi e i moventi teorici dei suoi
contemporanei. Prima di Ricoeur e in direzione diversa rispetto alla
sua riflessione ermeneutica, volge linteresse per la metafora sulla
considerazione dellimpatto che senso proprio e senso metaforico
hanno nel discorso filosofico.
Ben consapevole che il capostipite della teoria sulla metafora lo
Stagirita, il quale raccolse negli studi sulla Poetica e sulla Retorica
una pratica espressiva molteplicemente utilizzata allinterno
dellalveo culturale della Grecia antica, Derrida raccoglie e de-
costruisce la relazione che il pensiero sulla metafora intesse in quegli
anni con quello di Aristotele. Ne propone lintento, ne traccia un de-
stino.
Che cosa sia la metafora, e quale la sua riuscita, partita da
giocarsi nella considerazione del plesso noemaimmagine che si
trova alla base di questa figura. Forse non del tutto inutile ricordare
la posizione cui Aristotele ascrive la trattazione della metafora.
Nella Retorica la metafora ben riuscita intesa come un equilibrio
tra le sue valenze icastiche e quelle intellettuali e fa parte di una
strutturazione della retorica ove non la elocutio (lexis), ossia la
descrizione dei meccanismi di produzione dei tropi e dei fatti di stile,
a costituire lasse portante. Come la Poetica presenta accanto ad una
teoria della elocutio una teoria della inventio e della dispositio, cos la
Retorica accanto alle pagine dedicate allo stile e ai tropi presenta, nel
primo e nel secondo libro, un repertorio di ndoxa e di tpoi che
costituisce una sorta di patrimonio comune di esperienze elleniche
codificate: il minimo comun denominatore di una civilt. La trat-
tazione della metafora rientra in questa organicit.
Breve e sistematico il modo in cui Aristotele tratta della metafora
nella Poetica, fissandone la definizione: la metafora consiste nel
trasferire ad un oggetto il nome che proprio di un altro; e questo
trasferimento avviene o dal genere alla specie, o dalla specie al
genere, o da specie a specie, o per analogia
5
. La metafora si configura

4
Segnaliamo a titolo di esempio, per variet di contributi e bibliografia, la
recente collezione italiana a c. di ANNA MARIA LORUSSO, Metafora e conoscenza,
Milano, Bompiani, 2005.
5
Cfr. ARISTOTELE, Poetica 1457 b.

Sulla Mitologia bianca di Derrida 541
cos come creazione di una nominazione o attribuzione nuova, per un
oggetto gi conosciuto sia esso unazione o un ente o una propriet
, con lo scopo di conseguire un effetto retorico. Aristotele la
colloca allinterno dei libri dedicati alla lexis, dunque al saper dire,
non al sapere in quanto tale.
Ci troviamo nellambito di una teoria della comunicazione che
fruisce di una teoria della conoscenza e sfocia nellestetica della
parola. Non sembra che lo Stagirita voglia elaborare qui lapporto
diretto dellimmagine metaforica al noema, giacch lattenzione sulla
metafora rimane di pertinenza della retorica e non importa renderla a
sua volta oggetto di riflessione gnoseologica. Sembrerebbe invece che
Aristotele consideri la metafora come effetto di un atto intellettuale
che accosta propriet di oggetti, appresi come essenzialmente di-
versi
6
. La parola metaforica sarebbe dunque un effetto strumentale
della noesi, da essa prodotto e destinato a raggiungere un obiettivo
esterno ad essa: la bellezza nel discorso. Quando, soffermandosi sulle
regole del linguaggio poetico, egli afferma che la virt propria
dellelocuzione di essere al contempo chiara e non pedestre, la
metafora appare come uno degli elementi che d alla frase poetica il
carattere non pedestre: giacch proprio il fatto che queste espressioni
non sono comuni fa s che esse si sollevino sul linguaggio corrente
7
.
Daltro canto, per, se il buon uso dei tropi sapersene servire con
propriet di grande importanza, la cosa pi importante di tutte
riuscire nelle metafore.
Ora si inserisce in queste osservazioni un dato rilevante: Soltanto
questo infatti non possibile desumere da altri ed segno di dote
congenita, perch saper comporre metafore vuol dire saper scorgere il
simile [t gar eu metafrein t t moion theoren estin]
8
.
Chi sa fare metafore ne fa uso. Chi non le sa fare non ne fa. Far
buon uso di metafore, dunque, per Aristotele non si apprende e non
di tutti. Perch? Se situiamo la domanda nel corpus aristotelico, la
risposta si trova certamente nelle caratteristiche dellatto stesso

6
DOMENICO PESCE, nel suo saggio introduttivo alla Poetica scrive: Tra le
locuzioni poetiche quella privilegiata senza alcun dubbio la metafora per la sua
natura filosofica, in quanto esige che si riesca a scorgere il simile nel dissimile e
quindi presuppone lordinamento della realt nella coordinazione delle specie e nella
loro subordinazione ai generi. Cfr. ARISTOTELE, Poetica, a c. di D. Pesce, Milano,
Bompiani, 2000, p. 28.
7
ARISTOTELE, Poetica, 1459 a.
8
Ibidem.

Ilaria Vigorelli 542
dellapprendere. proprio dellapprendere astrarre e comporre le
forme delle sostanze, quindi anche lo scorgere i rapporti di somi-
glianza tra le cose
9
. Distinguere e unire; questo ci che a tutti
comune. Diverso risulta il saper dire. Se lintento aristotelico allori-
gine della composizione della Poetica era quello di rivendicare alla
poesia lo status di unarte vera e propria, luso, per, della parola
metaforica non pu essere considerato soltanto in vista dellarte.
Gi secondo limpostazione platonica lattivit umana poteva esser
considerata come guidata dallarte soltanto se in essa fosse stata
presente una conoscenza; ma la mimesis poetica e iconografica erano
per Platone troppo distanti dalla realt, tanto da perdere ogni traccia
dellessenza intelligibile e, quindi, la legittimazione ad esser consi-
derate tchne o poiesis
10
. Nellambito della filosofia aristotelica, in-
vece, la forma che nellarte deve essere realizzata preesiste nella
mente dellagente. Larte quindi pu definirsi come attivit guidata
dalla ragione un abito produttivo, hexis poietik, accompagnato da
ragionamento, lgos, vero
11
, e cio come virt dianoetica; la poe-
sia vera e propria arte perch imitare e interpretare limitazione
sono una sorta di conoscenza.
La parola metaforica, per, e la metafora di analogia, quale si ri-
vela in poesia o in oratoria, pu essere considerata, oltrepassando il
dibattito sullo statuto di unarte e dellintelligibilit delloggetto del-
larte, come atto di conoscenza in se stesso
12
. La metafora pi che
ornamento al discorso.
Pur indicando che la metafora un fatto di intellezione, che si
esprime con una analogia comparativa o con una parola traslata, lo
Stagirita non sembra proseguire in tale riflessione. La parola meta-
forica pertiene allindagine sulle figure del discorso; limmagine me-
taforica, ossia il risultato dellatto creativo del metaforizzare atto
che ha a che fare con latto noematico , esce dallambito di inte-
resse della retorica.

9
Cfr. ARISTOTELE, Topici, I, 8.
10
Cfr. PLATONE, Repubblica 599a e Sofista 236 ac.
11
Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1140.
12
Sarebbe interessante mettere alla prova questa osservazione confrontandola
con il libro VI dellEtica Nicomachea; qui ci accontentiamo di ricordare un breve
passaggio, nella traduzione di Carlo Natali (Bari, Laterza, 1999): Ogni arte ha a che
fare con la generazione (per gnesin) e con lescogitare soluzioni (technzein), cio
con il considerare (theoren) in che modo possano generarsi alcune tra le cose che
possono essere e non essere, quelle di cui il principio in chi le fa, e non nelle cose
fatte (Etica Nicomachea, 1140 a).

Sulla Mitologia bianca di Derrida 543
La metafora rimane unoperazione delle parole, ma Aristotele
stesso ci fornisce gli elementi per poter dire che metaforizzare non
soltanto limpiego n il contenuto della parola traslata. Ci che
suscita la domanda dunque latto del traslare. Lintellettualit della
metafora pone il problema se la parola metaforica segua o preceda
lintellezione della somiglianza attribuita a cose di per s nominate
come diverse. O, in altri termini, se la traslazione di significato av-
venga in e con la metafora o se, rimanendo altro dalla metafora, si
serva poi di essa in maniera strumentale.
Se possiamo permetterci un avanzamento di posizione un po
approssimativo, soltanto per accennare alloperazione di Derrida, vor-
remmo affermare che da Aristotele alla modernit avviene uno spo-
stamento dellasse dinteresse sulla retorica, una sorta di processo di
espansione della dialettica dalla retorica
13
. Dallattenzione al sapere
a una cura rivolta per lo pi esclusivamente al saper dire (lexis),
ovvero dallinteresse per la poiesis del discorso, attuata nella for-
ma/figura del contenuto, alla trattazione della figura come mera mi-
mesis, processo al termine del quale si trova linesausta autoreferen-
zialit del segno.
Risulta utile tenere a mente questo spostamento dasse, attuatosi
allinterno della stessa trattazione della retorica, per interpretare la
critica del discorso metafisico, come pure la ripresa derridiana
dellistanza aristotelica che in Mitologia bianca appare decostruita e
rielaborata secondo una nuova prospettiva teoretica.
Perfetto, ad illustrare lintento, lesergo di Mitologia Bianca: si
tratta di un dialogo tratto dallopera di Anatole France Le jardin
dEpicure (1900) nel quale i due interlocutori dibattono sulla figura
sensibile che si rifugia e si us(ur)a, fino a sembrare impercettibile,
in ciascun concetto metafisico. Derrida si inserisce e fa propria la
scena attualizzando la questione se le nozioni astratte nascondano
sempre una alterit, sensibile ma invisibile. Uscendo dalla metafora
teatrale pone il senso della mossa retorica: Il senso primitivo, la
figura originale, sempre sensibile e materiale, [], non esattamente
una metafora. una sorta di figura trasparente, equivalente a un senso
proprio. Essa diventa metafora quando il discorso filosofico la mette
in circolazione. Allora si dimenticano simultaneamente il primo senso
e il primo spostamento. Non si rimarca pi la metafora e la si prende
per il senso proprio. Doppia cancellazione [effacement]. La filosofia

13
Cfr. G. CONTE (ed.), Metafora, Milano, Feltrinelli, 1981.

Ilaria Vigorelli 544
sarebbe questo processo di metaforizzazione che da se stesso si toglie
via. Costitutivamente, la cultura filosofica sar sempre stata lo-
gora
14
.
Derrida critica, ironizzandoli, coloro che si provano a trattare le
parole come simboli, cattiva interpretazione di Aristotele e della
metafisica: La metafisicamitologia bianca che concentra e riflette
la cultura dellOccidente: luomo bianco prende la sua propria
mitologia, quella indoeuropea, il suo logos, cio il mythos del suo
idioma, per la forma universale di ci che egli deve ancora voler
chiamare la Ragione
15
. Egli si smarca immediatamente da una
trattazione della metafora che sia riconducibile ad uno studio sulla
retorica: non la retorica perch ogni volta che la retorica definisce la
metafora implica una rete concettuale nella quale la filosofia si
costituita
16
. Il definito sarebbe dunque implicato nel definente della
definizione
17
.
Derrida non si presta, per, a condurre unanalisi gnoseologica:
impossibile dominare la metafora filosofica, come tale, dallesterno,
servendosi di un concetto di metafora che resta un prodotto filosofico.
Solo la filosofia sembrerebbe detenere una qualche autorit sulle sue
produzioni metaforiche. Ma, daltra parte, per la stessa ragione, la
filosofia stessa si priva di quello che essa si d. Appartenendo i suoi
strumenti al suo campo, essa impotente a dominare la sua
tropologia. E la sua metaforica generali
18
. Evidenzia che il concetto
di metafora un filosofema, che porta con s due conseguenze: la
prima che il senso intenzionato attraverso queste figure sia unes-
senza rigorosamente indipendente da ci che la trasporta, il che co-
stituisce gi una tesi filosofica, si potrebbe dire addirittura lunica tesi
della filosofia, quella che costituisce il concetto di metafora, lop-
posizione di proprio e nonproprio, di essenza e accidente, di intui-
zione e discorso, di pensiero e linguaggio, di intelligibile e sensibile,
ecc.; e questo fa s (seconda conseguenza, in apparenza contrad-
dittoria con la prima) che questa risorsa tropica e prefilosofica non
possa avere la semplicit archeologica di unorigine propria, la
verginit di una storia degli inizi
19
.

14
J. DERRIDA, op. cit., pp. 277278.
15
Ivi, p. 280.
16
Ivi, p. 300.
17
Ibidem.
18
Ivi, p. 298.
19
Ivi, p. 299.

Sulla Mitologia bianca di Derrida 545
Perch Derrida compie questo salto? Se afferma che la metafora
sia un filosofema, non ha gi chiuso dun colpo la distanza prima
considerata tra sapere e saper dire? Quali conseguenze porta con s
laver ricondotto le considerazioni sulla parola metaforica alla meta-
fora nel discorso filosofico?
Non possiamo addentrarci in questa sede in una lettura com-
mentata del saggio derridiano, ma vorremmo proporre due aspetti sui
quali vigilare, relativi alla possibilit di una duplice riduzione teorica:
dellinventio alla elocutio e della pratica decostruttiva ad una prassi
interpretativa
20
. Il primo aspetto riguarda latto creativo della pro-
duzione artistica.
Da una parte la decostruzione dellatto espressivo, se intesa co-
me metodica, che in quanto tale sarebbe trasferibile ad altre pratiche
interpretative quali ad esempio la critica letteraria , pu con-
durre allidentificazione della forma con il contenuto e del testo filo-
sofico con ogni altro testo
21
.

20
Tralasciamo in questa sede la ricezione di Mitologia Bianca in area francese
per riferirci invece, per esempio, agli Yale Critics, e globalmente a un tipo di im-
patto che ebbe oltreoceano nei Cultural Studies la conferenza tenuta da Jacques
Derrida nellambito del convegno The Languages of Criticism and the Sciences of
Man organizzato dalla Johns Hopkins University nel 1966. Il merito della comunica-
zione di Derrida, La structure, le signe, et le jeu dans le discours des le sciences hu-
maines, stato, nella valutazione di Maurizio Ferraris, quello di aver messo in evi-
denza le aporie sia di un pensiero della struttura, sia di una tematizzazione della in-
tuizione originaria che nelle forme dello strutturalismo, della critica fenomenologica,
e con altri approcci del New Criticism, costituivano lorizzonte metodologico
della teoria della letteratura negli Stati Uniti (La svolta testuale, Milano, Unicopli,
1986, p. 103).
21
Si veda per esempio J. CULLER, On Deconstruction, Theory and Criticism after
Structuralism, Ithaca, Cornell University Press, 1982 (trad. it. Sulla decostruzione, a
c. di S. Cavicchioli, Milano, Bompiani, 1988). Per un recente stato dellarte della
ricezione di Derrida nei Cultural Studies si veda lultima collezione in quattro vo-
lumi a cura di JOHN CULLER, Deconstruction: Critical Concepts in Literary and Cul-
tural Studies, New York and London, Routledge, 2002.
Sebbene meriterebbe uno studio specifico la relazione tra il marxismo e la deco-
struzione, la critica di Fredric R. Jameson al postmodernismo un esempio interes-
sante dello slittamento che vogliamo evidenziare. Nel suo celebre intervento Post-
modernism, or the Cultural Logic of Late Capitalism una sorta di controcanto a
La Condizione Postmoderna di Lyotard che il critico americano pubblic la prima
volta nel 1982 ma che rielabor fino alla versione definitiva del 1991 , Jameson
sostiene che vi sia una logica culturale della postmodernit univoca e tautologica
rispetto ai mezzi di produzione. Giunge a questa conclusione dando a qualsiasi pro-
duzione culturale il valore di testo, rendendola cos interpretabile alla luce della pro-
pria teoria critica, elaborata in Marxism and Form (1975) e in The Political Uncon-

Ilaria Vigorelli 546
La preminenza retorica della elocutio sulla inventio pu dare adito
a che le considerazioni condotte sullespressione poetica si estendano
ad ogni espressione artistica, e ad ogni espressione sic et simpliciter.
una delle operazioni che negli Stati Uniti ha forse contribuito a dare
origine al testualismo, nella sua duplice versione di debole e
forte, secondo la nota espressione di Rorty
22
. A conclusione di tale
processo si trova lindifferenziazione dei testi e la delegittimazione
del valore del giudizio estetico, non pi qualificabile secondo un
pi e un meno
23
. Ancora oltre, non pi distinguibile latto crea-
tivo
24
.

scious (1981). Pur non condividendone gli esiti, consideriamo di qualche utilit met-
tere in evidenza la mossa teoretica attuata nella sua analisi. Cfr. ID., Postmodernism,
or the Cultural Logic of Late Capitalism, London and New York, Verso, 1991.
22
Cfr. R. RORTY, Nineteenth Century Idealism and Twentieth Century Textua-
lism, in ID., Consequences of Pragmatism, Minneapolis, University of Minnesota
Press, 1982.
23
TERRY EAGLETON, professore di letteratura inglese allUniversit di Oxford,
uno dei maggiori e forse pi originali critici letterari di formazione marxista, ha mes-
so tutto ci in evidenza in un esilarante libello pubblicato nel 1996 con il titolo The
Illusions of Postmodernism (trad. it. Le illusioni del postmodernismo, Roma, Editori
Riuniti, 1996). Pur sostenendo un chiaro intento politico, che non ci interessa affron-
tare in questa sede, mostra come il culturalismo postmoderno, derivante dallidentifi-
cazione di forma e contenuto, non si pu combinare con un rovesciamento dei valori,
giacch questultimo implica un tipo di volontarismo che il primo nega. La merce,
con buona pace di Adorno, non pu essere lideologia di s stessa, almeno non an-
cora. immaginabile una fase futura del sistema in cui questo avvenga; in cui esso,
dopo aver seguito un corso in qualche universit nordamericana, abbia gettato a mare
disperatamente o allegramente i propri fondamenti e si sia lasciato alle spalle ogni
problema di legittimazione retorica (p. 150).
24
Reagisce allinterpretazione della decostruzione, diffusasi nei dipartimenti di
letteratura americana e che tanta parte attribuisce al ruolo attivo del lettore, GEORGE
STEINER, professore a Cambridge, nel suo Real Presences (trad. it. Vere Presenze,
Milano, Garzanti, 1998). Egli riafferma la preminenza dellatto creativo sul com-
mento, la fontalit del testo primario sul secondario e del contesto del processo crea-
tivo sulla risposta del lettore. La composizione precede la decostruzione, il testo
primario la poesia, il quadro, il brano musicale un fenomeno di libert. Ci
lo riporta a quella che noi consideriamo allorigine della domanda derridiana, e che
muove Mitologia Bianca; Steiner la riformula in altra maniera: La storia del con-
testo rispetto al significato il contesto della storia umana. I processi interattivi fra le
due sono in uno stato di moto perpetuo che sfugge ineluttabilmente ai nostri tentativi
di misurarlo. Di conseguenza non possiamo elaborare una teoria sistematica del si-
gnificato, tranne in senso metaforico (p. 159).

Sulla Mitologia bianca di Derrida 547
Il secondo aspetto una conseguenza del primo. Si tratta del
rischio della tautologia, cui potrebbe esser sottoposto ogni testo, e
con esso ogni espressione artistica
25
.
Vorremmo chiudere con unicona: quella del giovane Michal
Lvinas che si ritrova fra le mani un volume di Glas, fresco di
stampa. Figlio del filosofo Emmanuel, musicista e compositore,
ricordava limpressione del suo primo sguardo allopera di Jacques
Derrida, datata 1974. A motivo, inizialmente della sola veste tipo-
grafica, egli vi scorse come una partitura; e nella lettura, poi, intese
la musica di una musica
26
. Vorremmo provare a dirne ancora la
percezione. Glas provoca nel compositore limpressione di un testo in
cui la forma coincide con il contenuto. Egli stesso confider: Luogo
di rigore e di fuga totale, Glas ha segnato ampiamente i miei primi
brani dorchestra
27
. Solo la scrittura musicale per in grado di
portare a compimento tale intento creativo, e linterpretazione del
musicista pare confermare che la miglior lettura dellarte larte. Con
questo non vogliamo togliere a Derrida la figura del filosofo per
attribuirgli quella dellartista ma, nondimeno, incedere sulla via
tracciata da Mitologia Bianca, dove al discorso filosofico si attaglia
quello drammatico; riconsiderando la messa a punto di un problema
antico, se si possa distanziare un pensiero dal suo linguaggio o
identificare una retorica filosofica al servizio di una teoria autonoma.

25
Intendiamo qui, con tautologia, leffetto della non teorizzazione del testo
senza pretesto, o dellomologia senza la nonimmanenza rispetto ai testi stessi. Ci
sembra infatti che con Mitologia Bianca Jacques Derrida eviti questo rischio, grazie
ad un notevole sforzo teoretico.
26
Cfr. lintroduzione di SILVANO FACIONI, Cenere consumata nel primo mattino
di una penombra, in J. DERRIDA, Glas, (trad. it a c. di Silvano Facioni), Milano,
Bompiani, 2006.
27
Ivi, p. 6, tratto da un intervento di MICHAEL LVINAS, Que les ngres se
ngrent in Cahiers de lHerne Derrida, Paris, LHerne, 2004, p. 321.






Bollettino Filosofico
DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA,
UNIVERSIT DELLA CALABRIA

Direttore: Daniele Gambarara

Il Bollettino Filosofico un annuario fondato nel 1978 dal personale
docente del Dipartimento di Filosofia dellUniversit della Calabria. I nu-
meri hanno di volta in volta un curatore e un comitato di redazione scelto dal
curatore. Ogni numero prevede ordinariamente due sezioni principali: una
monografica e una sezione a tema libero in cui possono apparire saggi brevi
e note critiche. Una terza sezione di Recensioni accoglie la segnalazione di
libri, saggi e Atti di convegni. Si collabora soltanto dietro invito del curatore
o dei suoi redattori.


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Gli autori che intendono collaborare con il Bollettino Filosofico devono
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1. Lampiezza del contributo

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nello stile o nel contenuto del contributo, ove lo ritenga necessario. In rap-
porto alla loro entit, tali modifiche potranno essere comunicate allautore in
corso dopera o nel primo turno di bozze. Prima della tiratura di stampa,
sono previsti due turni di bozze.
Gli articoli possono essere inviati (in copia cartacea pi un file su
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Gli articoli vanno sottoposti alla redazione nella seguente forma:
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11, pagina standard, interlinea 1.

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Le indicazioni bibliografiche vanno fornite prevalentemente nelle note a
pie di pagina. Lautore libero di scegliere tra due diverse forme di
citazione bibliografica: 1) senza bibliografia finale; 2) con bibliografia
finale.
549

550
2.1. Indicazioni bibliografiche senza bibliografia finale:

a) le indicazioni relative a libri presentano nome e cognome dellautore
in maiuscoletto, titolo completo dellopera, e i dati di edizione disposti nel
seguente ordine: luogo di pubblicazione, editore, anno di pubblicazione, ed
eventuale indicazione delle pagine citate.

STEPHEN GAUKROGER, JOHN SCHUSTER, JOHN SUTTON (eds.), Descartes natural
philosophy, LondonNew York, Routledge, 2000.

DAVID BEHAN, Descartes and formal signs, in STEPHEN GAUKROGER, JOHN
SCHUSTER, JOHN SUTTON (eds.), Descartes natural philosophy, LondonNew York,
Routledge, 2000, pp. 528541.

RENE DESCARTES, Oeuvres, a c. di C. Adam e P. Tannery, 11 voll., Paris, CNRS,
197486, vol. I, p. 158.

Lautore del contributo libero di citare i libri abbreviando il nome degli
autori citati con la sola iniziale del nome o dei nomi (es. A.R. HALL). In que-
sto caso dovr sempre rispettare tale norma.

b) le indicazioni relative ad articoli contenuti in periodici o riviste pre-
sentano il nome e cognome dellautore in maiuscoletto, il titolo dellarticolo
in tondo in inglesine doppie, il titolo del periodico in corsivo, lannata in
carattere arabo o romano e tondo, lanno solare in parentesi tonda, leven-
tuale numero del fascicolo, il numero delle pagine complessive dellarticolo
o la/e pagina/e citata/e.

PAMELA A. KRAUS, From universal mathematics to universal method, Journal
of the History of Philosophy 27 (1983) 3, pp. 159-174.

c) Le citazioni bibliografiche successive possono essere abbreviate in-
dicando liniziale del nome dellautore seguita dal cognome, il titolo del-
lopera (ove possibile, abbreviata), lindicazione cit. (in tondo), seguita
eventualmente dai numeri di pagina. Nel caso in cui la citazione successiva
riguardi lunica opera citata dellautore, baster indicare, oltre al nome,
lespressione op. cit. (in corsivo), seguita dalleventuale citazione della
pagina.

R. DESCARTES, Oeuvres, cit., p. 159.

oppure:

R. DESCARTES, op. cit., p. 159.

R. DESCARTES, trad. it. cit. (nel caso di citazione da traduzione italiana).

d) Quando si cita di seguito la stessa opera citata nella nota precedente,
sufficiente lindicazione Ivi (in tondo), nel caso in cui si citi una pagina

551
diversa dalla precedente, o Ibidem (in corsivo), nel caso in cui si citi la
stessa pagina della nota precedente.

e) Le citazioni di testi si scrivono usando i caporali ( ). Per la cita-
zione di singole espressioni o di espressioni gergali o reiterate si possono
usare le inglesine doppie ( ). Le inglesine singole ( ) si usano nel caso in
cui lespressione usata abbia valore metaforico, e un significato diverso da
quello in uso.

f) Nel caso di citazione di passi che contengano al loro interno delle cita-
zioni, si useranno le inglesine doppie per queste ultime.

g) Le citazioni molto lunghe (che superino le trequattro righe) possono
essere separate dal testo, lasciando uninterlinea singola prima e dopo, con
margini 0,5 a destra e a sinistra. Il corpo delle citazioni separate deve essere
di 9 pt.

2.2. Indicazioni bibliografiche con bibliografia finale:

a) La bibliografia finale va compilata seguendo le indicazioni sopra citate
dei libri e degli articoli, con la differenza dello spostamento dellanno di
pubblicazione dopo il nome e cognome dellautore e (nel caso di articolo di
rivista) dellinserimento in parentesi tonda delleventuale numero del fasci-
colo:

STEPHEN GAUKROGER, JOHN SCHUSTER, JOHN SUTTON (2000, eds.), Descartes
natural philosophy, LondonNew York, Routledge.

DAVID BEHAN (2000), Descartes and formal signs, in GAUKROGER, SCHUSTER,
SUTTON (2000), pp. 528541.

PAMELA A. KRAUS (1983), From universal mathematics to universal method,
Journal of the History of Philosophy, 27 (3), pp. 159174.

REN DESCARTES (1974-86), Oeuvres, 11 voll., a c. di C. Adam e P. Tannery,
Paris, CNRS.

b) Nelle note a pie di pagina, i libri e gli articoli rispettivamente citati
vanno compilati in forma abbreviata, indicando solo il cognome dellautore
in maiuscoletto, lanno di pubblicazione e le eventuali pagine citate in pa-
rentesi tonda.

GAUKROGER, SCHUSTER, SUTTON (2000).

BEHAN (2000, pp. 528541).

DESCARTES (197486, vol. I, p. 158).


552
c) Nel caso in cui siano citate dello stesso autore pi opere pubblicate
nello stesso anno solare, esse andranno distinte sia nelle note a pi di pagina
che nella bibliografia finale con le lettere dellalfabeto in apice.

BEHAN (2000
a
, pp. 528541).

BEHAN (2000
b
, pp. 132145).

In entrambe le modalit di citazione bibliografica, lautore potr fare uso,
se lo riterr opportuno, di abbreviazioni delle opere citate. Tali abbreviazioni
dovranno tenere conto delle eventuali sigle entrate nel comune uso da parte
degli studiosi (es.: AT per ledizione AdamTannery delle opere di Des-
cartes, OL per ledizione Molesworth dellopera latina di Hobbes ecc.).
Luso di sigle o di abbreviazioni deve rispettare criteri di massima brevit.

3. Uso dei trattini

Il Bollettino Filosofico usa tre tipi di trattini:
breve (-), per andare a capo. Questo tipo di trattino a cura della
redazione, perch riguarda la sillabazione del documento.
medio o di congiunzione (), per le parole composte, per le parole
doppie, per le elencazioni e per indicare daa (es.: pp. 224);
lungo (), per gli incisi.

4. Margini e paragrafi

previsto luso dei seguenti margini: superiore 2,5; sinistro 2,5; infe-
riore 3,6; destro 3,5.
Ogni paragrafo deve avere un rientro di 0,5. Lo stesso rientro deve essere
applicato nelle note a pie di pagina.

5. Immagini

Leventuale inserimento di immagini deve tenere conto di alcuni criteri
grafici. Limmagine deve essere fornita in formato JPEG o TIFF, con risolu-
zione minima 300 dpi, selezione cromatica grayscale.

6. Termini greci

Nelluso di fonts in greco antico protetti da copyright, e non compresi nei
pi comuni programmi di scrittura (symbol, grk, ecc.), lautore dovr impe-
gnarsi a fornire copia del programma originale al curatore del Bollettino; o,
in alternativa, traslitterare in corsivo i termini greci. Luso di programmi non
protetti da licenza potrebbe dare dei problemi di conversione nel formato pdf
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Questo volume stampato
su carta Usomano bianco Selena da 80 g/mq, per linterno
e su carta Digit Linen da 270 g/mq, per la copertina
Finito di stampare nel mese di febbraio del 2006
dalla tipograa Braille Gamma S.r.l. di Santa Runa di Cittaducale (Ri)
per conto della Aracne editrice S.r.l. di Roma

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