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Riflessioni sulla creazione artistica

Ignacio Matte Blanco


n. 365/366, giugno/luglio 1986

Introduzione
1. Sento che devo spiegare perché oso parlare in una riunione
come questa. Non sono un critico di arte, non sono un artista e non
posso vantarmi di avere una conoscenza ampia e profonda
dell’argomento. Posso, invece, dire che sono sensibile a diverse
manifestazioni artistiche e aggiungere che esse giocano un ruolo
molto importante nella mia vita intima. Tuttavia, sono ben
consapevole che niente di tutto ciò è sufficiente a conferirmi il
diritto di parlare di questo argomento.
Tuttavia, credo di avere una credenziale. Ed è questa: parecchi
anni di studio mi hanno portato gradualmente a riformulare il
concetto di inconscio in termini tali che permettono di ricavare il
valore epistemologico contenuto nelle scoperte di Freud e, di
conseguenza, di gettare le basi di una nuova epistemologia che
scaturisce da queste scoperte e che sembra potere espandersi in
svariate direzioni.
Una di queste direzioni porta, credo, a nuovi angoli di studio della
creazione artistica, che possono essere significativi. Questa è,
dunque, la unica credenziale che posso presentarvi.
2. Sono molto lontano dal considerare queste riflessioni come
qualcosa di compiuto. Per me questo è soltanto un inizio. Sono
anche consapevole del fatto che le cose che sto proponendo
possono destare critiche e anche essere sbagliate. Allo scopo di fare
capire meglio il loro senso, come io le vedo e come vorrei che altri
le vedessero, penso che sia utile raccontare qualcosa sul loro
sviluppo. Da molto tempo sto riflettendo sull’argomento. Ho preso
numerose note sui suoi diversi aspetti. Quando mi sembra che
qualcosa sia diventata più chiara, faccio una stesura più formale.
Rapidamente mi accorgo che non è soddisfacente. Ricomincio. E
così via. Spero che adesso si possa capire che quel che sto
proponendo non può pretendere di essere definitivo. D’altronde,
questo è il destino di ogni processo di pensiero e di ogni ricerca: per
quanto valida, presto o tardi dovrà cedere il posto a qualcosa di più
preciso che contenga quello che essa contiene di valido. Il guaio è
che a volte questo non succede e allora una verità degna di ascolto
viene dimenticata. Mi auguro che non sia il caso degli aspetti validi
di ciò che sto proponendo.
In questo convegno vorrei avere l’opportunità di discutere le idee
che sto presentando, e di sentire i vostri punti di vista, nella
speranza che possiamo, insieme, dare un contributo al’ chiarimento
degli importanti quesiti ed emozioni che insorgono nella
contemplazione delle manifestazioni artistiche.
3. Queste riflessioni riguardano, gli aspetti più generali della
questione. Proprio per questo, esse valgono, credo, in tutte le
varietà di creazione artistica, sia essa arte plastica, letteratura,
musica, teatro e cinema; o negli aspetti artistici delle arti applicate,
per esempio architettura, moda, decorazione; o, infine, opere d’arte
della natura, come i dipinti colorati che si vedono nel tramonto del
sole in un cielo fondamentalmente limpido che ha qualche nuvola
sparsa qua e là; o nella bellezza di un pavone.
4. So di cinque persone che, nei loro studi sulla creazione
artistica, hanno fatto riferimento ai miei lavori. In ordine cronologico
sono, a quanto mi risulta: F. Orlando, S. Bernardi, S. Agosti, L.
Albano e F. Acernese. I loro scritti sono molto stimolanti e portano a
capire nuovi aspetti della questione. Vorrei avere l’opportunità di
poter commentarli e discuterli in dettaglio. Purtroppo non sembra
che questa sia l’occasione di farlo. Vorrei almeno esprimere loro la
mia gratitudine.
5. Concludo questa introduzione con una premessa che, come si
vedrà presto, è anche un post scriptum. Ho incominciato con
l’intenzione di utilizzare le conoscenze della epistemologia bilogica
nel l’argomento della creazione artistica. Man mano che andavo
avanti mi rendevo conto che vi erano aspetti di quello che
intendevo utilizzare che non erano sufficientemente sviluppati per
lo scopo che avevo in mente. Così, lentamente il mio lavoro si
trasformò in una ricerca simultanea su due argomenti: creazione
artistica e gli aspetti appena menzionati. Credo di avere imparato
molto su tutti e due.
Ho scritto questa premessa non all’inizio bensì verso la fine di
questo studio. La consapevolezza acquisita mi ha richiesto di
rivedere il testo, allo scopo di separare meglio ciò che è conosciuto
da quello che lo è meno.
6. Ciò che segue è la prima parte di uno studio più lungo, ancora
in corso.

2. Nozioni preliminari indispensabili


2.0. Avvalendomi di alcune idee che sto proponendo da qualche
tempo, cercherò adesso di riformulare in un linguaggio preciso e
conciso alcuni concetti che sono indispensabili per capire
l’argomento.
2.1. Che cosa è una relazione?
1. Non entrerò in una dissertazione logica su questo concetto.
Come minimo necessario per il nostro studio basta dire che non si
può concepire una relazione senza considerare tre aspetti diversi.
Prendiamo un esempio qualsiasi, per esempio “Rodolfo è più
anziano di Massimiliano”. Il primo concetto è, in questo caso,
Rodolfo. In termini generali, il concetto che viene per primo nella
relazione si chiama referente. Il termine che occupa la posizione di
Massimiliano nel nostro esempio si chiama relato. Tra questi due vi
è la relazione, in questo caso “essere più anziano”.
2. In logica e matematica si descrivono diversi tipi di relazioni. Per
i nostri scopi del momento ne menzionerò soltanto due.
Consideriamo in primo luogo quella dell’esempio appena proposto.
Si vede subito che la relazione che il referente ha con il relato è:
“essere più grande”. Invertiamo adesso i termini, mettendo il relato
al posto del referente ed il referente al posto del relato. Se
adoperiamo un termine logico possiamo dire: esprimiamo adesso la
relazione inversa. Subito ci rendiamo conto, che la relazione è in
questo caso: “essere più piccolo”. Come si vede, essa è diversa
della relazione iniziale. Si dice in logica che la relazione “essere più
grande” è asimmetrica.
3. Quando, invece, la relazione inversa di una data relazione è
identica alla relazione, si dice che la relazione è simmetrica.
Esempi: “uguale”, “della stessa età”, “fratello” (tra uomini),
“sorella” (tra donne), “correligionario”, ecc.
4. Presto ci accorgiamo che, delle relazioni che impieghiamo
abitualmente, le asimmetriche sono molto più numerose di quelle
simmetriche. Ne menzionerò alcune, mettendo tra parentesi, im
mediatamente dopo, le loro inverse: “padre” (“figlio” o “figlia”),
“madre” (“figlio” o “figlia”); “prima” (“dopo”): relazione temporale;
“a destra” (“a sinistra”), “sopra” (“sotto”), “davanti” (“dietro”):
relazioni spaziali; “precede” (“segue”): si applica sia nelle relazioni
spaziali che in quelle temporali. Ci accorgiamo anche che la
relazione temporale e quelle spaziali sono tutte asimmetriche.
2.2. La logica dell’inconscio
1. Freud ha scoperto che ciò che egli chiama il sistema inconscio
non rispetta le leggi che si impiegano nel pensare abituale, che si
svolge nel rispetto della logica bivalente. Tra altre cose:
1.1. Non rispetta il principio di non contraddizione.
1.2. Non rispetta l’ordinamento temporale: «I processi del sistema
inconscio sono atemporali; cioè non sono ordinati temporalmente,
non sono alterati con il passaggio del tempo; non hanno alcun
riferimento al tempo» (S. Freud, L’inconscio, 1915, sezione 5).
1.3. «Non esistono in questo sistema la negazione, il dubbio, i
gradi di certezza» (S. Freud, cit., sezione 5).
2.1. Penso di essere riuscito a mostrare che in tutte le
caratteristiche del sistema inconscio si vedono esempi particolari, in
diversi aspetti, di un principio che ho proposto di chiamare il
principio di simmetria (PS): ogni relazione ha la proprietà di essere
simmetrica.
2.2. Si noti che questo principio è una descrizione, in termini di
logica bivalente, delle violazioni di questa logica, che nel caso che
stiamo studiando sono espressione dell’inconscio. Allo scopo di
vedere come “agisce” il principio di simmetria vediamo in primo
luogo un suo corollario importante:
2.3. Quando vale il PS la parte è uguale al tutto. Infatti se a è
parte di B e vale il PS, allora B è parte di a. Si sa che in logica
bivalente l’unico caso in cui succede che due cose siano l’una parte
dell’altra e viceversa, è quando le due cose in questione sono
identiche. In questo caso si parla di parte impropria. Invece, la parte
propria, cioè quella che non è uguale al tutto in logica bivalente, lo
diventa quando vale il PS. Non siamo più nei confini della logica
bivalente, bensì di quella che possiamo chiamare logica simmetrica.
Si noti che il PS, assieme a questo corollario, ci permette di
esprimere in termini di logica bivalente le violazioni di questa logica
che Freud ha trovato nell’inconscio. Infatti:
2.4. Supponiamo un insieme i cui elementi siano tutte le
affermazioni possibili e tutte le loro corrispondenti negazioni.
Prendiamo una di queste coppie, e sia essa “la neve è bianca”, “la
neve non bianca”. Supponiamo che valga il PS in questo insieme.
Allora la prima affermazione è identica a tutto l’insieme e lo è anche
la seconda. Se entrambe sono uguali all’insieme, allora sono uguali
tra di loro. Quindi, affermare una cosa è, in questo insieme o
ambiente dove vale il PS, identico a negarla. In altre parole, in
questo assieme non vale il principio di non contraddizione.
2.5. Abbiamo già visto (cfr. 2.1.4.) che la relazione temporale e le
relazioni spaziali sono asimmetriche. Ebbene, se in un dato
ambiente vale il PS, allora non esistono né lo spazio né il tempo,
poiché non esistono le relazioni asimmetriche.
2.6. In un ambiente dove vale il PS negazione è uguale ad
affermazione, quindi non si può distinguere se si tratta di una o
dell’altra. Si capisce che nemmeno possono esistere in questo
ambiente dei dubbi o gradi diversi di certezza.
2.3. La natura dell’inconscio freudiano
Freud ha trovato che le caratteristiche da lui scoperte e che
abbiamo menzionato, non si osservano in ogni aspetto delle
manifestazioni inconsce. Infatti, esse si trovano frequentemente
intrecciate con aspetti normali del pensiero. In altre parole,
l’inconscio rispetta a volte la logica bivalente e altre volte ignora la
proprietà asimmetrica delle relazioni, cioè si comporta d’accordo
con il PS. Detto in altre parole, le manifestazioni inconsce sono un
intreccio li due logiche, la logica bivalente e la logica simmetrica:
sono strutture bilogiche.
2.4. Dalla psicoanalisi verso altri territori: le strutture bi-logiche e
l’infinito matematico
1. Tipi di strutture bi-logiche. Una volta acquisito questo concetto,
la sua esplorazione porta a rendersi conto che i modi. di intrecciarsi
della logica bivalente con quella simmetrica sono assai variati.
Finora sono riuscito ad identificare quindici tipi diversi di intreccio.
Ne menzionerò soltanto due. (D’ora in poi per distinguere la logica
bivalente dalla logica simmetrica, e solo per questo scopo,
possiamo chiamarla logica asimmetrica). A volte vediamo in
discorso, per esempio negli schizofrenici in cui si vede una
alternanza di logica asimmetrica con la logica simmetrica. Ho
proposto di chiamare questo intreccio con il nome di struttura bi-
logica Alassi: Altre. volte, invece, vediamo che lo stesso insieme di
cose è visto simultaneamente in termini di logica asimmetrica e
simmetrica. La possiamo chiamare struttura bi-logica Simassi.
2. Così arriviamo a renderci conto che queste nozioni, acquisite
nello studio dell’inconscio, possono essere applicate in altri territori.
Ne menzionerò due: l’infinito matematico e la creazione artistica. Di
entrambi si parlerà più avanti. Riguardo il primo, qui dirò soltanto
che penso che sia una struttura Simassi.
3. I due modi di essere. Se consideriamo l’azione del PS su un
dato processo di pensiero, presto ci accorgiamo che esso esercita
un’azione dissolvente delle differenze tra le cose. Un attento esame
delle caratteristiche dell’inconscio che abbiamo esaminato, e delle
altre che non ho menzionato, ci porta subito a renderci conto di
quanto ho appena affermato. Infatti; sotto l’azione del PS,
l’affermazione di qualcosa non può essere differenziata dalla sua
negazione; un istante di tempo o una porzione di spazio non
possono essere distinti da altri; e lo stesso vale per i gradi di
certezza e per la distinzione tra certezza e dubbio. Insomma, dove
vale il PS si cancellano le differenze e si assumono tutte le cose in
una sola cosa non pensabile: tutte confluiscono in una unità
indivisibile.
4. Questa peculiare “azione” del PS è parte integrante
.dell’inconscio e questo è parte integrante dell’essere umano. A sua
volta il concetto di infinito, struttura bi-logica, è diventato
indispensabile per la comprensione della natura – e ciò ci fa capire
che vi è una forma di corrispondenza o morfismo tra natura ed
infinito. Possiamo, quindi, pensare che quando siamo confrontati
con qualcosa che si conforma con le manifestazioni del PS, stiamo
davanti ad un modo di essere dell’uomo e del mondo. Ho proposto
di chiamarlo il modo indivisibile.
5. Invece, l’essenza del pensare è di stabilire o scoprire delle
relazioni. Voglio rilevare a questo punto che nella Interpretazione
dei sogni, quando sta esponendo le sue scoperte sul lavoro onirico,
Freud menziona esplicitamente questa caratteristica del pensare,
ed è alla sua luce che egli fa notare le violazioni che se ne
osservano nei sogni.
5.1. Il pensare d’accordo con la logica bivalente è parte
integrante della struttura degli esseri umani. Siccome ciò che il
pensiero dell’uomo scopre nella natura sembra conformarsi
decisamente, almeno in parte, con la logica bivalente, possiamo
anche dire che quest’ultima riflette qualcosa del mondo. Siccome,
infine, una caratteristica molto fondamentale del pensiero è quella
di distinguere ogni cosa da ogni altro, di creare o scoprire
l’eterogeneità, di separare o dividere le cose tra di loro, possiamo
dire che esiste nell’uomo e nel mondo un modo di essere
eterogeneo, ed eterogenico o dividente.
6. Bi-modalità bi-logica e bi-modalità logico-bivalente. Abbiamo
trovato due modi di essere dell’uomo e del mondo. Abbiamo anche
trovato nelle strutture bi-logiche un intreccio di entrambi. Bisogna
aggiungere che la bi-logica non è l’unico modo di co-presenza dei
due modi. Ne esiste un altro: la bi-modalità logico-bivalente. Per
spiegare, esistono manifestazioni logico-bivalenti in cui si vede la
presenza del modo indivisibile: la astrazione e la generalizzazione.
Nella prima si trovano le proprietà che cose diverse hanno in
comune e si costruisce una classe di equivalenza i cui elementi
sono tutte le cose che hanno questa proprietà. In tale caso queste
cose sono identiche riguardo la
proprietà in questione e non sono distinguibili nei suoi confronti.
Per esempio prendiamo un insieme di cani, pesci, uomini, galline,
serpenti e rane. Essi sono molto diversi tra di loro in rapporto ad
una grande quantità di caratteristiche. Sono tuttavia identici
riguardo una proprietà: tutti sono animali vertebrati. Nella
generalizzazione si considerano delle nozioni o proposizioni
particolari e, a partire da esse, si scoprono delle nozioni più generali
che si trovano implicite in ognuna delle nozioni particolari in
questione. Come si vede subito, queste ultime, pur essendo
diverse tra di loro, hanno tutte qualche nozione più generale in
comune; ed in questo aspetto sono identiche. Si potrebbe pensare
che la generalizzazione e l’astrazione siano in fondo la stessa cosa.
Non sembra che questo sia vero. Infatti, nella astrazione si
identifica una proprietà comune a molti individui, mentre nella
generalizzazione si identifica un tratto più generale che è implicito
in svariate proprietà che sono diverse tra di loro. Rimane, però, il
fatto che esiste in tutte e due la presenza di una indivisione non bi-
logica, bensì logicobivalente.
6.1. In conclusione, la bi-modalità può essere logico-bivalente, bi-
logica ed una mistura di entrambe.
7. Infinito matematico: espressione dell’indivisibilità. Avverto che
ciò che sto per dire sarebbe, a prima vista, contestato dai
matematici. Dopo anni di riflessioni sono arrivato alla conclusione
che non mi sbaglio in ciò che sto per dire. Per spiegarla molto
brevemente: in matematica si dimostra che per ogni numero
naturale esiste un numero pari: basta moltiplicare il numero per
due. D’altronde, il buon senso dice che i pari sono la metà dei
naturali, poiché esistono anche i dispari e sono tanti quanti i
naturali. Ciò significa che, da una parte i numeri naturali sono tanti
quanti i pari e, d’altra parte, sono il doppio. Questa è l’antinomia
proposta da Galileo, impiegando l’esempio dei naturali e dei
quadrati, che è equivalente a quello dei pari, soltanto un poco più
complesso. Se le cose stanno così, allora, per un semplice
ragionamento, si arriva alla conclusione che uno è uguale a due.
Questo ragionamento non è accettato in matematica. L’unica
ragione che sono riuscito a trovare è semplicemente che porta a
conclusioni che sconvolgono la matematica. Infatti, se uno è uguale
a due, allora due è uguale a tre e tre è uguale a 4, e così via: tutti i
numeri sono uguali, pur essendo diversi: un’incompatibilità
inconcepibile nella matematica “normale”, che è logico-bivalente.
Se, invece, usiamo la bi-logica, allora tali incompatibilità sono
normalissime nell’inconscio. Perché non accettare un nuovo modo
di fare matematica e trattare l’infinito matematico come struttura
bi-logica? Se ci decidiamo a farlo, allora ci accorgiamo che l’infinito
matematico è un tentativo del pensiero, che è dividente, di
esprimere l’indivisibile. Infatti, ogni numero rimane se stesso,
diverso da tutti gli altri: logica matematica normale, modo
eterogenico-dividente. Tuttavia, in qualsiasi insieme di numeri
naturali dove vale il PS, ogni numero è anche tutti gli altri: modo
indivisibile. Questo è incomprensibile per il pensiero. Che cosa fa
davanti ad un numero che è allo stesso tempo tutti i numeri? La mia
risposta: sdoppia questo numero tante volte quanti numeri contiene
l’insieme in questione. Ogni volta ricava un numero naturale. Allora
risulta che, se la fine dell’insieme non è determinata in anticipo, il
processo di sdoppiamento non finisce
mai, poiché basta aggiungere una unità a qualsiasi numero
naturale per ottenere un nuovo numero: ecco l’indivisibile
trasformato in infinitamente divisibile. Quindi, infinito matematico,
struttura bi-logica. La ragione per cui menziono questo argomento è
perché l’emozione, o almeno alcune emozioni, trattano, in modo
dissimulato, l’infinito come espressione dell’indivisibile. Ne
parleremo più avanti. Per il momento diciamo:
8. Emozione: struttura primariamente bi-modale logico-bivalente,
tuttavia, a volte, anche mischiata con bi-modalità bi-logica. Credo
questa proposizione sia comprensibile. Quindi non mi soffermerò a
spiegarlo.
8.1. L’emozione, struttura bi-modale e a volte bi-logica, sembra
essere la più evidente manifestazione dell’indivisibile nell’uomo. Per
spiegare brevemente, nell’emozione si vive l’indivisibile, non come
un concetto bensì come parte integrante di questo aspetto
psicofisico dell’uomo chiamato emozione. Nell’aspetto pensante
dell’emozione si esprime oscuramente l’indivisibile come se fosse
infinito: indivisibile ed infinito stranamente ed oscuramente, a volte
mescolati come cose distinte, a volte sentiti come la stessa cosa. In
ciò che segue ritorneremo su questo argomento e vedremo che lo
sforzo per capire la creazione artistica ci porterà a capire meglio i
rapporti esistenti tra creazione artistica, modo indivisibile, infinito
ed emozione. Il lettore potrà accorgersi che, per una parte del
nostro percorso, la comprensione di uno di questi quattro argomenti
ci permetterà di arrivare ad una comprensione più profonda degli
altri tre.
3. La natura della creazione artistica messa a paragone con
quella della scoperta scientifica
3.0. Questo capitolo cercherà di capire un aspetto fondamentale
del prodotto della creazione artistica, cioè, l’opera d’arte: il ruolo
che l’infinito gioca nella trasmissione dell’emozione artistica
esperimentata dal suo creatore. Il paragone con la verbalizzazione
della scoperta di tipo scientifico servirà a mettere in luce la natura
del problema. Incomincerò con un breve riassunto delle differenze
tra formulazione scientifica ed opera d’arte. In seguito farò uno
studio di due esempi che appaiono molto pertinenti per lo scopo in
questione.
1. Un tratto costitutivo centrale della formulazione scientifica è di
dire con precisione soltanto ed esclusivamente ciò che si dice
esplicitamente: né più, né meno. Questo scopo è stato sempre
raggiunto, finora, per mezzo della totale conformità con i principi e
le leggi della logica bivalente.
Esempi: a) Il principio di Archimede: un corpo immerso in un
liquido perde tanto del suo peso quanto pesa il liquido che sloggia.
b) Il quadrato di a + b è uguale ad a quadro + 2ab + b quadro. c) Il
cuore umano è composto di due atri e due ventricoli. d) La velocità
della luce è trecentomila chilometri al secondo. e) La molecola
dell’acqua è un composto di due atomi di idrogeno e uno di
ossigeno. f) Cristoforo Colombo scopri l’America il 12 ottobre 1492.
Ecc. È facile costatare che questi esempi si conformano con quanto
appena affermato sulla scienza.
2. Un tratto costitutivo e distintivo della creazione artistica e del
suo prodotto, l’opera d’arte, è di dire molto di più di quanto dica
esplicitamente. In altre parole, ogni opera d’arte ha attorno a sé un
alone di significati apparentemente non visibili ma tuttavia presenti
e costitutivi della natura dell’arte. Questo è un primo aspetto della
creazione artistica. Tuttavia, se la parola “significato” si riferisce,
come abitualmente, a qualcosa che può essere espresso in termini
logico-bivalenti precisi, per esempio quello che si intende quando
dico: «sta piovendo», allora questo non è un aspetto costitutivo-
distintivo della creazione artistica né dell’opera d’arte.
3. A questo punto viene in nostro aiuto il concetto di bi-modalità.
Per spiegare ciò che intendo dire, prendiamo un esempio, e sia
quello di una poesia di Paul Valéry, Anne. Si tratta di una donna
mezzo addormentata che “galleggia” sul suo letto. La descrizione è
piena di cose che evocano una ricchezza aliena ad un parlare
logico-bivalente che dica, per esempio “Anna sta dormendo”. Vale
la pena di leggerla tutta ma dobbiamo accontentarci di qualche
verso. Scegliamo questi: Invoquait la vigueur et les gestes
étranges / Que pour tuer l’amour inventent les amants / …A peine
effleurents-ils de doigts errants ta vie, / Tout leur sang les accable
aussi lourd que la mer, / Et quelque violence aux abimes ravie /
Jette ces blancs nageurs sur tes roches de chair... / Récifs délicieux,
Ile toute prochaine, / Terre tendre, promise aux démons apalsés, /
L’amour t’aborde, armé des regards de la haine, / Pour combattre
dans l’ombre une hydre de baisers! «Invocava il vigore ed i gesti sì
strani / per uccider l’amore che inventano gli amanti / ...Appena le
loro dita vagabonde sfiorano la tua vita / Il loro sangue li schiaccia,
pesante come il mare, / E qualche violenza strappata dagli abissi /
getta questi bianchi nuotatori sulle tue rocce di carne... / Scogliere
deliziose, Isola così vicina, / Terra
tenera promessa ai demoni placati, /Amor ti si accosta, armato
dagli sguardi dell’odio, / Per combatter nell’ombra un’idra di baci».
4. Prendiamo i primi due versi. Il commento sul fare l’amore
espresso in queste righe non si sofferma in una descrizione
dettagliata del processo in questione. Non dice niente di concreto
su que sto atto: non è una descrizione scientifica! Se arrivasse in
questa terra uno che viene da un altro pianeta dove la riproduzione
non deve seguire la nostra via, così impersonale ed allo stesso
tempo così intimamente personale, fisica, emozionalmente e
spiritualmente fusiva e confusivi di due esseri, dai versi di Valéry
questo signore non capirebbe niente, non ricorderebbe niente, non
sentirebbe niente di quello che può sentire qualcuno che abbia
avuto l’esperienza. Inoltre, è sicuro che non imparerebbe a fare
l’amore. Da questi versi non imparerebbe alcunché sull’amore.
Invece, per colui che abbia avuto l’esperienza in questione e che sia
allo stesso tempo dotato di una certa sensibilità, la cosa è molto
diversa. Ci si chiede: quale è il tipo di impatto che hanno queste
dieci righe di Paul Valéry? Quanto è difficile rispondere! Forse in
questa difficoltà si nasconde il segreto della creazione artistica.
Tentiamo di strappare questo segreto al poeta Valéry. Per non
attirare
su. di noi, perché non ci cada addosso la sua tristezza e la sua ira,
forse pesante come il sangue dei suoi bianchi nuotatori, e per non
essere travolti dalla violenza strappata dagli abissi, incominciamo
con dire che vogliamo entrare in questo tempio della sua arte come
un bambino vestito di bianco che sta per ricevere la prima
comunione. Vogliamo cioè, – usare le nostre conoscenze con
innocente ed ingenua semplicità. Tentiamo, dunque.
4.1. Credo che la difficoltà di esprimere in parole chiare e precise
in che consiste il fascino di questi versi stia nel fatto che essi ci
portano in un mondo che, sebbene non sia alieno alla conoscenza e
alla comprensione, è, tuttavia, alieno alla conoscenza che, da solo,
ci fornisce il pensiero. Pascal ci apre la porta di questo mondo,
vicino e tuttavia così lontano dal nostro pensiero: il cuore ha le sue
ragioni che la ragione non capisce. Molto bello, molto vero, molto
preciso. Tuttavia... ci lascia con il desiderio, direi la bramosia di
immergerci nelle ragioni del cuore. Propongo una via da tentare in
questa avventura metafisica. Considerando il fatto che stiamo
cercando, se non di capire le ragioni del cuore, poiché accettiamo
con Pascal che questo non è concesso al pensiero, tentiamo almeno
di immergerci il più possibile in queste ragioni. Propongo di tentare
questo con tutto il cuore, anzi, con tutto il nostro essere, incluso
l’intelletto. Entriamo, cioè, come esseri umani integrali; poiché
siamo
fatti così, con cuore ed intelletto. Nella nostra impresa rifiutiamo,
quindi, di rinunciare a sentire senza pensare e a pensare senza
sentire. In questo modo, forse, il nostro pensare troverà le ragioni
del cuore e, pur non capendole, potrà delimitare il suo territorio.
Bisogna anche aggiungere, capovolgendo la sentenza di Pascal
appena citata, che il nostro cuore, in modo equivalente a quello
della ragione, nemmeno capisce «le ragioni della ragione»: due
modi di essere nel mondo che non si intendono tra di loro perché
sono incompatibili. Infatti, per il modo indivisibile non si può essere
diviso e per il modo dividente non si può essere indivisibile.
Tuttavia, il nostro essere può immergersi contemporaneamente, sia
nelle ragioni del cuore che in quelle della ragione! Insieme avremo,
forse, una esperienza integrale. Esperienza simultanea dei due
modi che sono in noi e che, in noi, sono, finora, irriducibili l’uno
all’altro malgrado il loro. perenne intreccio.
5. Incominciamo con il nostro umile, sottile e limitato intelletto.
Che cosa ci dice su questi versi di Valéry? In parole povere e
prosaiche ci dice che egli sta riferendosi all’attrazione che l’uomo
sente per la donna nei primi due versi, a processi psico-motori del
rapporto nei seguenti quattro; e aggiunge ulteriori dettagli nel
resto. Ci dice anche che nessuno di questi versi esprime i fatti fisici
del rapporto, bensì parla di cose che sembrano avere delle
somiglianze, ma certamente in nessun caso identità con questi fatti
fisici. Diciamo che il pensiero scopre, forse, isomorfismi tra:
- uccidere e ottenere soddisfazione sessuale, facendo in questo
modo scomparire il desiderio (“uccidendolo”).
- il pesante ed agitato mare che schiaccia e l’eccitazione
sessuale;
- le scogliere ed il corpo della donna;
- intensità dei baci e l’idra.
Si noti, inoltre che in due casi egli non parla di isomorfismi. Il
primo è quando parla della violenza dell’eccitazione, il secondo è la
violenza degli abissi.
5.1. Avverto subito che le riflessioni che seguono possono
sembrare. o assurde o arzigogolate o entrambe. Spero che colui che
avrà la pazienza di seguirmi troverà alla fine che esse ci portano
proprio a scoprire un bel segreto dell’arte di Valéry. Se le faccio è
perché so che Valéry non dice niente a vanvera. Ho sentito dire che
gli ci vollero diciassette anni per finire “Il cimitero marino”. È
proprio per questa esigente e leonardesca sottigliezza e
preoccupazione per i minimi aspetti che, assieme ad altre cose, egli
è un grandissimo poeta. Permettetemi, quindi, quest’analisi. La mia
intenzione è di scrutinizzare attentamente, alla luce rigorosa della
logica bivalente le parole ed i concetti in questione, allo scopo di
vedere se rientrano nell’ambito della logica bivalente o se, invece,
suggeriscono l’impiego di un’altra logica.
5.2. La violenza dell’eccitazione è strappata dagli abissi. Questo
suggerisce che essa si trova negli abissi. Quali abissi? Sembra che,
proprio nella imprecisione di questa frase, Valéry lasci la porta
aperta a diverse possibilità o ipotesi. Incominciamo con una di
queste. Se, per esempio, strappiamo la violenza sessuale da quella
dell’abisso del dolore, allora si potrebbe concludere che la violenza
di entrambi gli abissi sarebbe la stessa, anche se gli abissi fossero
diversi in altri aspetti. Ci si chiede allora se altri abissi – per esempio
quello di una montagna, della iniquità, dell’ignoranza e tanti altri
abissi simbolici – abbiano violenze diverse da quella di questo
esempio. Sembra troppo artificiale ed improduttivo continuare per
questa via. Se, invece, e questa è una seconda ipotesi, pensiamo
che tutti gli abissi hanno una caratteristica in comune, la violenza,
allora ci troviamo davanti ad un problema diverso, ma sempre
problema: che sia possibile. Strappare - cioè separare
violentemente, per esempio come si fa quando si strappa un
braccio – la violenza. La risposta sembra ovvia: il concetto
«strappare» non combacia con il concetto «violenza», sia essa di
ognuno di questi abissi. Come si può strappare loro questa
violenza? A me sembra che sarebbe come strappare la triangolarità
ad un triangolo: non ha senso. Assumiamo, dunque, una terza
ipotesi, che sembra una delle varie implicate nell’oscura sentenza
di Valéry, cioè, che la violenza sia una caratteristica di tutti gli
abissi. Infatti, tra tutte le diverse proprietà degli abissi, è possibile
astrarre certe proprietà che hanno in comune. Una di queste può
essere la violenza, nello stesso modo che la triangolarità
è una caratteristica di tutti i triangoli. Facciamo lo stesso nel
nostro caso: astrarre il concetto di violenza dall’abisso della
sessualità o di tutti gli abissi: è lo stesso. Allora, che se ne fa? Non è
che la si dia ai bianchi nuotatori in modo che si gettino
violentemente sulle rocce di Anna. Se loro sono eccitati, già
avrebbero questa violenza! Ciò ci porta ad un’ultima ipotesi, che
credo sia quella che corrisponde all’intenzione di Valéry, sia essa
cosciente o inconscia, probabilmente galleggiando tra queste due
alternative: egli voleva immergere la violenza dell’eccitazione
sessuale in una violenza più vasta e, nel complesso, immensamente
più intensa e violenta della più violenta e intensa sessualità. Perché
lo voleva fare? Penso per due ragioni, e sembra molto probabile che
nessuna delle due sia stata pienamente presente nella coscienza di
Valéry: questa sarebbe proprio la capacità che il poeta ha, e che lo
distingue dagli altri esseri umani: «lanciare senza pensare la sua
frase di cristallo», per dirla con le parole di un altro grande poeta, il
nicaraguense Ruben Dario.
6. La prima ragione che ipotizzo sarebbe che egli voleva insinuare
che il desiderio sessuale è qualcosa di così intenso da essere
partecipe di tutte le violenze degli abissi e di tutte le loro intensità
messe insieme. Questo suggerisce una identificazione di tutti gli
abissi violenti in modo che ognuno sia sé stesso e tutti gli altri: tutti
sarebbero la stessa cosa. D’accordo con il PS ogni elemento di
questa classe o insieme sarebbe identico a tutto l’insieme e, quindi,
identico ad ogni altro: una simmetrizzazione. In questo modo
ognuno degli elementi ha a disposizione tutte le possibilità degli
altri elementi. In altre parole, la violenza della eccitazione sessuale
diventa identica a, ed inseparabile da tutte le altre: un modo
indivisibile localizzato, per così dure, a un aspetto dell’essere. Si
noti che l’idea di un solo essere indivisibile che sia tutti gli esseri
che il pensiero conosce, è una estrapolazione e generalizzazione
fatta a partire dalle esperienze di indivisioni localizzate. Così lo
vediamo negli schizofrenici e nelle manifestazioni inconsce. Reputo
che per capire il senso profondo dell’impatto di Valéry poeta, sia di
grande importanza la constatazione che in nessun momento egli sia
uscito esplicitamente dai confini della logica bivalente. Se avesse
detto che la sessualità era la stessa cosa di questa violenza di abissi
indeterminati, avrebbe trasformato due cose simili ma, tuttavia,
diverse, in una sola cosa: avrebbe fatto una simmetrizzazione che,
in logica bivalente, sarebbe stata una falsità. Invece, il suo genio
poetico riesce a usare con tanta maestria il
linguaggio da elidere nel suo lettore il vissuto dell’indivisibile
senza che, nemmeno il lettore,
faccia delle simmetrizzazioni. Questo potere magnetico,
evocatore-convocatore del vissuto della indivisione, questo potere
pieno di intime e variate ricchezze, che sono esprimibili in logica
bivalente e, tuttavia, vissute in modo indivisibile, mi sembra essere
un tratto costitutivo essenziale
della creazione artistica. Là dove vi è una folla di significati diversi
ma con qualcosa in comune, il modo indivisibile, dell’artista e del
contemplatore, fa di tutto questo fascio una sola erba senza parti e,
senza mai uscire dalla logica bivalente, riesce a vivere, in un modo
misterioso, la bi-modalità non-bi-logica. Strana sintesi, in cui il
dividente ed eterogenico pensiero riesce a diventare uno solo con
l’essere indivisibile, senza che nessuno dei due perda niente della
propria individualità.
6.1. La prima ragione che ipotizzavo all’inizio di questo numero 6
era la trasmissione- evocazione del modo indivisibile per arrivare ad
una sintesi bi-modale nel sentimento. Passo adesso a descrivere la
seconda ragione, che si desume da quello che ho già detto:
mettendo insieme la violenza di tutti gli abissi si trasmette
l’impressione di una intensità tale che punta verso l’infinito.
Ebbene, si dà il caso che l’infinito è, secondo la mia ipotesi, il modo
dividente di esprimere l’indivisibile. Questo ci fa capire, ancora una
volta, che una funzione centrale dell’opera d’arte sarebbe
l’evocazione ed il vissuto dell’indivisibile.
7. Quando Valéry parla “dell’amore armato con gli sguardi
dell’odio...”: non simmetrizza, rimane dentro la logica bivalente,
eppur trasmette qualcosa del modo indivisibile che l’emozione
sente come qualcosa di indivisibile e dentro la quale vi è tutto; e
che il pensiero vede come infinito.
8. Ancora un momento di ulteriore riflessione, con la speranza che
ci aiuti a capire meglio questa difficile sfida della poesia di Valéry.
Possiamo dire che i quattro isomorfismi menzionati sopra sono in
perfetto rispetto della logica bivalente: sarebbero semplicemente
delle metafore per descrivere il rapporto sessuale. Forniscono,
tuttavia, l’opportunità di introdurre questo rapporto in una struttura
più vasta, di cui le metafore sarebbero anche elementi. Questa
impressione si conferma quando si ricorda che ognuna delle
metafore in questione si riferisce ad un aspetto, diverso da quello
‘considerato nelle altre. A tutto ciò si aggiunga che la sua
descrizione è molto bella in sé, che le metafore scelte sono
evocatrici di svariate emozioni, e che la cadenza delle strofe
contribuisce alla bellezza. Allora possiamo renderci consci
dell’immenso territorio emozionale in cui Valéry ci introduce e ci
immerge: esso si espande verso l’infinito. Assieme ad Anne, la sua
protagonista, la poesia ci invita e ci porta a galleggiare
nell’indivisibile e, nell’infinito.
8.1. Se, infine, troviamo ché l’eccitazione sessuale è parte degli
abissi e che l’amore si arma con gli sguardi dell’odio, allora ci
rendiamo conto che il galleggiare nell’indivisibile e nell’infinito ci
porta a territori dove la logica del pensiero non esiste più, dove gli
opposti si con-fondono. Detto in modo più generale, dove le
incompatibilità diventano delle compatibilità. Sono queste le ragioni
del cuore di cui parla Pascal? Se lo sono, possiamo dire che la
nostra limitata capacità di pensare riesce a definire le differenze
che esse hanno con il pensare. Ma il pensiero non riesce a viverle: è
umilmente sottoposto alla logica biva-lente. Ha, però, sufficiente
grandezza per scoprire un mondo alieno al proprio e che noi
viviamo nell’emozione!
9. Riassumendo, Paul Valéry riesce a farci sentire come se
stessimo nel mezzo del modo indivisibile pur senza rinunciare al
modo bivalente. La sua poesia è intensamente bi-modale. Ma non è
mai bi-logica. Per evitare la “scogliera” della bi-logica egli fa ricorso
a sottili accostamenti che possono sembrare inesattezze, dentro le
quali egli ci invita a partecipare della sua intensamente vissuta
bimodalità. In questo modo egli riesce a contagiare il suo lettore.
9.1. Questa procedura di Valéry per fare vivere un mondo più
ampio di quello degli aspetti puramente fisico-biologici dell’attività
sessuale, un mondo che va ben oltre la sessualità e che, tuttavia,
non è aliena ad essa, questa procedura, ripeto, merita un ulteriore
commento. Penso che possa portare ad una migliore comprensione
del rapporto tra il modo di essere eterogeneo ed eterogenico ed il
modo indivisibile. Cercherò di spiegarmi per mezzo di un paragone,
quello del rocchetto di induzione. Un cilindro di fil di ferro avvolto in
un altro cilindro dello stesso materiale. Non si toccano. Passa la
corrente elettrica attraverso uno dei due e ciò induce la
generazione di corrente in un altro: l’induzione agisce a distanza.
Torniamo adesso a Valéry. Le sue immagini si riferiscono a fatti o
attività concreti e delimitati, ognuno dei quali provoca emozione,
diciamo che porta con sé un alone di emozione. Più o meno intensa.
Si aggiunge adesso, come fa Valéry, una saggia scelta di questi
fatti, in modo tale che tutti, pur essendo diversi tra di loro, abbiano
delle corrispondenze che sono morfismi.
9.2. Vediamo adesso il risultato che l’azione di questa mistura
provoca nell’altro rocchetto, cioè il lettore. È bombardato, per così
dire, da una varietà di stimoli, ognuno diverso dall’altro, essendo in
qualche modo simili. Il bombardamento provoca in lui uno strano
fenomeno: pur rimanendo in questo mondo limitato e finito, egli
esce da sé stesso e si trova, senza dirlo in parole, in un mondo
diverso: è qui ed è là, all’altro lato dello specchio, non quello di
Alice ma uno ben più sconvolgente: lo specchio dove, come negli
specchi “normali”, si è uno solo; ed allo stesso tempo, assieme a
tutti gli altri, si è uno solo: molti sono uno. Totalmente
incomprensibile per il nostro intelletto: essere uno pur essendo
molti e, simultaneamente essere uno solo.
9.3. Allo scopo di intenderci, almeno per il momento, propongo di
chiamare con il seguente nome questo modo di convocare in noi il
vissuto dell’indivisibile e l’infinito: metodo Valéry di induzione
dell’indivisibile. Possiamo anche impiegare una parola che evoca un
alone di molteplici significati, e dire semplicemente incantesimo
Valéry.
9.4. Vorrei rilevare un altro aspetto già menzionato diverse volte:
con il suo modo di esprimersi, Valéry riesce ad introdurci o almeno
ci fa affacciare ad un mondo che è in gran parte vietato al pensiero:
il mondo dell’emozione. E così che possiamo dire tranquillamente,
senza timore di essere contraddetti, che l’opera d’arte ha il potere
ed esercita la funzione di portarci nel mondo dell’emozione.
9.4.1. La conclusione a cui sono arrivato fin qui non è, a dire il
vero, una grande scoperta: tutti la conoscono. Tuttavia, sembra che
essa. contenga in sé una nuova comprensione che non è da buttar
via: l’emozione che Valéry provoca è totalmente “vestita” di logica
bivalente. Voglio dire che nella poesia di Valéry il modo indivisibile
irrompe in noi con tutta la sua forza ma impeccabilmente ed
elegantemente vestito con il solo tessuto della logica bivalente. Il
mondo del pensiero occupa tutta l’estensione del mondo del non-
pensiero, senza che nessuno dei due disturbi l’altro. Tuttavia,
l’attore principale di questa processione, l’imperatore, è il modo
indivisibile. E non passeggia nudo per le vie dei suoi poemi: è
superbamente vestito di belle parole! Tutto questo è molto strano.
Alcuni anni fa proposi che l’emozione non è pensiero ma è la madre
del pensiero. Ognuno ha la sua grandezza. L’emozione ci fa
galleggiare in una intensità che può essere dissimulata e che,
tuttavia, per la sua propria natura, è vicina al rosso bianco del
metallo fondente. Il pensiero, invece, più piccolo e meno grandioso,
è sufficientemente persistente da poter, passo a passo, come una
formica,
svelarci il mistero della natura del mondo e dell’uomo: capace di
svelarci fino alla natura stessa dell’emozione. Devo aggiungere che
questa volta ci sembra di avere capito qualcosa di nuovo:
l’emozione ed il pensiero ci appaiono come una sola cosa. Come
spettatori o studiosi del fenomeno possiamo guardare la poesia di
Valéry da un certo punto di vista, quello del pensiero, che è
eterogenico. Allora tutto, proprio tutto, compare come pensiero.
Guardiamo di nuovo, questa volta immergendoci nell’altro modo di
essere. Allora tutto, proprio tutto, appare come emozione.
Conclusione: nella poesia di Valéry pensiero ed emozione sono co-
estesi.L’emozione non è, questa volta, soltanto la madre del
pensiero. È anche pensiero. Ed il pensiero non è soltanto pensiero: è
anche emozione.
10.1. Quanto a noi stessi, nella misura in cui siamo esseri
pensanti, costatiamo queste cose. Il nostro pensiero le pensa ed in
certo modo le capisce. Forse lo può fare perché è figlio della Regina
Emozione, che gli ha lasciato la sua eredità. Il nostro pensiero le
pensa e le capisce, ma non fino in fondo, non nella loro intimità. La
spiegazione è semplice ma difficilissima da capire, o meglio, da
abbracciare: l’emozione ha molte più dimensioni del pensiero,
quindi, quest’ultimo non può contenerla dentro se stesso.
10.2. Quanto a noi stessi, nella misura in cui siamo emozione, non
siamo soltanto figli della emozione, la nostra Madre-Regina. Siamo
molto di più: siamo la nostra madre Regina. E, come tali, non
scendiamo a. questo territorio di minore numero di dimensioni che
è il nostro figlio Pensiero.
10.3. E che cosa dice il nostro essere totale, che è pensiero ed
emozione, questo involucro che in ognuno di noi risponde al proprio
nome e cognome? La mia risposta è: capisco e non capisco.
Pazienza...

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