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Rivista di psichiatria e psicoterapia

Anno XXVIII, n. 2, aprile 2019


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Il sogno della farfalla


Rivista di psichiatria e psicoterapia

Trimestrale, anno XXVIII, n. 2, aprile 2019

Proprietari della testata gli eredi di Massimo Fagioli

Questa rivista è stata iscritta al Tribunale di Milano con il n. 733 del 31.10.1991 e pubblicata
dalla casa editrice Wichtig di Milano da gennaio 1992 a ottobre 1997. Dal 6.11.1997 è iscritta
al Tribunale di Roma con il n. 606. È stata pubblicata dalla casa editrice Nuove Edizioni Ro-
mane di Roma da gennaio 1998 a ottobre 2009. Da gennaio 2010 è pubblicata dalla casa edi-
trice L’Asino d’oro edizioni di Roma.

Redazione, amministrazione e abbonamenti: L’Asino d’oro edizioni, via Ludovico di Savoia


2b, 00185 Roma - tel. 06 91501241 - info@lasinodoroedizioni.it

Copertina di Massimo Fagioli

Stampa: O.GRA.RO., vicolo dei Tabacchi 1, 00153 Roma

Il sogno della farfalla accetta articoli di psichiatria, psicoterapia, scienze umane.


I testi vanno inviati al Direttore responsabile presso L’Asino d’oro edizioni, via Ludovico di
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L’autore si atterrà alle norme redazionali che può richiedere alla casa editrice. I testi non
pubblicati non vengono restituiti e si intendono inviati a titolo gratuito per cui nessun com-
penso sarà riconosciuto per la pubblicazione.
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Direttore responsabile
Andrea Masini

Comitato di redazione
Carlo Anzilotti, David Armando, Martina Brandizzi, Alice Dell’Erba, Gianfranco De Simone,
Francesca Fagioli, Domenico Fargnoli, Francesco Fargnoli, Paolo Fiori Nastro, Annelore
Homberg, Nella Lo Cascio, Alice Masillo, Elena Monducci

Comitato editoriale
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Cinzia Carnevale, Rossella Carnevali, Caterina Cecchitelli, Antonietta Cecon, Viviana Censi,
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taldi, Antonino Corallo, Ludovica Costantino, Massimo Covini, Claudia Cristofari, Claudia
Dario, Mariopaolo Dario, Donatella De Lisi, Daniela Della Putta, Giovanni Del Missier, Letizia
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gela Santoro, Laura Sapienza, Miriam Scarciglia, Donatella Sconci, Franco Severino, Giovanni
Sneider, Maria Sneider, Silvia Solaroli, Giovanni Spiga, Paolo Stefanelli, Henry Luca Stefani,
Silva Stella, Ester Stocco, Donatella Susanna, Alessandra Taroni, Canio Tedesco, Ludovica
Telesforo, Gabriella Terenzi, Luana Testa, Laura Thouverai, Rossella Torregiani, Niccolò Tre-
visan, Giancarlo Vannimartini, Gianfranco Vendrame, Paola Venturini, Annalisa Viali, Laura
Volta, Jennifer Williams

Collaboratori
William Arcese, Gaetano Bonetta, Giulia Carpinelli, Paola Casolini, Gabriele Cavaggioni,
Maria Gabriella Gatti, Ulrike Hoffmann-Richter, Cecilia Iannaco, Stefania Maccari, Federico
Masini, Raffaella Nicolai, Maria Nitti, Andrea Raballo, Carla Severini, Anna Maria Zulli

La rivista si avvale dell’opera teorica e della prassi di Massimo Fagioli


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Indice

Pericolosità sociale e malattia mentale

Introduzione
Domenico Fargnoli 9

La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari:


aspetti normativi e storici
Domenico Fargnoli 11

La pericolosità sociale e le misure di sicurezza


Ilaria Cornetti 23

La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico


Francesco Fargnoli, Valentina Zanobini, Simone Belli 39

Adolescenza e psicopatia
Maria Gabriella Gatti 57

La pericolosità sociale e i mass media


Federico Tulli 67

Appunti su percezione delirante e teoria della nascita


Paola Bisconti 75

Recensioni, note e commenti


a cura di Maria Chiara Aliquò e Beniamino Gigli

Hans Saner, Nascita e fantasia. La naturale dissidenza del bambino


(Mariapia Albrizio) 85
Jean M. Twenge, Iperconnessi
(Assunta Amendola) 88
Valeria Schimmenti, Giuseppe Craparo (a cura di), Violenza sulle donne. Aspetti
psicologici, psicopatologici e sociali
(Alessandra Carlotto) 91
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1. Introduzione_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 9

Pericolosità sociale e malattia mentale

Introduzione
Domenico Fargnoli

La pericolosità sociale è un concetto evanescente che è stato definito


“la malattia infantile della criminologia”. Secondo illustri giuristi e psi-
chiatri forensi, esso costituisce un reperto di archeologia giuridica che
andrebbe abbandonato in favore di una nuova normativa che superi
l’impostazione del codice penale italiano, vecchio di ottantotto anni,
che si rifaceva alle concezioni dell’antropologia criminale di Lombroso.
La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) grazie alla
legge 81/2014, che ha ridefinito ma non abolito la pericolosità sociale,
si accompagna a distanza di pochi anni all’emergere di nuove forme di
custodialismo. Nelle carceri sono state create strutture psichiatriche per
il trattamento di coloro che in regime di detenzione vengono denomi-
nati “minorati psichici” e per coloro che sono in osservazione psichia-
trica per definirne la patologia. È legittimo chiedersi come sia possibile
curare un malato di mente in un penitenziario senza ricorrere a un uso
eccessivo e improprio degli psicofarmaci, considerati l’unico strumento
terapeutico. Le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza
(REMS) sono già ai limiti della loro capienza, mentre quanti sono nelle
liste di attesa per entrarvi permangono, con pregiudizio del loro stato
di salute, in carcere. Anche i servizi territoriali sono gravati di nuovi
compiti, senza che, nella maggior parte dei casi, ci sia stato un adeguato
potenziamento, sotto il profilo sia qualitativo che quantitativo, delle
strutture di secondo livello come le comunità terapeutiche. Molti degli
ex degenti degli OPG sono a carico dei dipartimenti di salute mentale,
compresi quelli che un tempo venivano definiti “psicopatici” e che oggi

Il sogno della farfalla 2/2019 pp. 9-10


1. Introduzione_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 10

Il sogno della farfalla 2/2019

vengono fatti afferire ai cosiddetti “disturbi della personalità”. Per un


numero considerevole di questi ultimi, in virtù della sentenza Raso del
2005 della Corte di Cassazione, potrebbe sussistere un giudizio dì in-
fermità mentale.
Nell’attuale panorama sociale, la giustizia minorile opera in base a
strumenti legislativi specifici la cui idoneità ad affrontare le problema-
tiche giovanili merita di essere indagata e discussa. Nei mass media poi,
molti casi di cronaca vengono presentati in modo improprio dalla stam-
pa, che troppo spesso tende a confermare il clima di allarme e ad ali-
mentare la sensazione di insicurezza e di pericolo che determina il con-
fronto con la malattia mentale.
L’obiettivo di questo numero monografico, attraverso il contributo
di psichiatri, magistrati e giornalisti, è quello di cercare di fornire una
nuova prospettiva sia sul piano giuridico che nosografico-terapeutico
riguardo alla problematica della pericolosità sociale1.

1
Il 10 giugno del 2018 a Firenze, presso la Sala Leopoldine, si è tenuto un incontro di ri-
cerca dal titolo Pericolosità sociale e malattia mentale (dalla legge 180 alla legge 81/2014) che ha
visto a confronto psichiatri, giuristi e giornalisti. Il video dell’incontro, prodotto dall’Asso-
ciazione Amore e Psiche in collaborazione con Mawivideo, è reperibile all’indirizzo:
https://www.youtube.com/watch?v=tpTEMhj47_M. Alcuni degli articoli che compongono questo
numero sono la rielaborazione di interventi presentati in quella occasione.

Social dangerousness and mental illness. An introduction


This article introduces a monographic issue which through the contribution of psychiatrists, mag-
istrates and journalists aims at proposing a new perspective on the social danger question both on
a legal and nosographic-therapeutic aspect.

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2. Fargnoli D_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 11

La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari:


aspetti normativi e storici

Domenico Fargnoli

Per affrontare il dramma delle carceri bisogna partire dalla differen-


za che esiste fra chi delinque per una ragione pratica e chi lo fa senza
movente. Come sosteneva Massimo Fagioli, «La distruttività, senza mo-
tivo, è pazzia. E la detenzione non è cura»1.
Lo psichiatra marchigiano, in un’intervista rilasciata a Donatella
Coccoli e pubblicata sul settimanale “Left”, distingueva ciò che fanno e
pensano gli psichiatri da ciò che fanno e pensano i magistrati:

«Purtroppo, nel rapporto con i magistrati, esiste solo la formula della


capacità di intendere e volere. Ma abbiamo visto che coloro che fanno
delitti efferati, da schizofrenici gravi, hanno un rapporto con la realtà
materiale perfetto. Sono abili, lucidi e freddi. La capacita di intendere
e volere e intatta, poi tornano a casa e ammazzano moglie e figli. Perché
non “considerano” l’altro un essere umano ma una cosa. Eppure la cul-
tura continua a non parlare di malattia mentale. Perché?»2.

Perché nella cultura è assente qualunque idea di ricerca sulla realtà


psichica umana. Siamo di fronte a una reazione razionale-conservatrice
che, sottraendosi a qualsiasi impostazione medico-psichiatrica, sosti-
tuisce alla cura slogan come “La libertà è terapeutica”. Si ha quindi
una prassi cieca senza prassi di cura. «Allora, se il reparto e un lager,

1
M. Fagioli, Left 2006, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2009, p. 136.
2
D. Coccoli, Il problema è la cura. Non le mura, intervista a M. Fagioli, in “Left”, 28.2.2015.

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2. Fargnoli D_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 12

Il sogno della farfalla 2/2019

l’ospedale non funziona, che facciamo? Aboliamo l’ospedale!»3. Rin-


viamo i pazienti alla società e alla famiglia adottando nei confronti di
quest’ultima un atteggiamento punitivo che fa leva sui sensi di colpa.
Il problema però, secondo una formula ormai famosa, «è la cura. Non
le mura».
Il 20 febbraio 2017 il ministro della salute Lorenzin ha parlato in
modi trionfalistici della completa e definitiva chiusura degli OPG4. In
realtà l’attuazione della legge 81/2014 ha lasciato un panorama di luci
e ombre. La dismissione dei fatiscenti ospedali giudiziari non è stata ac-
compagnata da un’adeguata riflessione teorica sul più generale signifi-
cato che ha assunto la prassi psichiatrica nel nostro paese negli ultimi
quarant’anni. È impossibile parlare della legge 81/2014 senza fare ri-
ferimento alla legge 180 del 1978, di cui essa si pone come continua-
zione e ideale completamento: l’impianto della legge è, almeno nelle
intenzioni coscienti, anticustodialistico e teso al superamento – come
del resto la 180 – del concetto stesso di pericolosità sociale presente nel
codice Rocco. Il codice Rocco, dal nome del guardasigilli, è entrato in
vigore nel 1930 ed è ancora vigente. Esso è improntato a un concetto
retributivo della pena, cioè punitivo e afflittivo, oltre che al cosiddetto
“doppio binario” che riguardava da una parte gli imputabili e dall’altra
i non imputabili.
I non imputabili erano e sono ancor oggi sottoposti a misure di si-
curezza che nell’epoca degli OPG avevano un carattere prevalentemen-
te detentivo. Fino al 1978 al codice Rocco si è affiancata una legge psi-
chiatrica, la n. 36 del 1904, che si ispirava a Lombroso, morto cinque
anni dopo la sua approvazione, e alla scuola positiva del diritto. In base
a tale legge, detta anche “legge Giolitti”, si sarebbe dovuta attuare una
precisa forma di prevenzione della pericolosità sociale presunta dei ma-
lati di mente in quanto tali, ossia a prescindere dall’aver essi commesso
o no dei reati. Ai soggetti considerati “atavici”, o “degenerati”, sulla base
di un certificato medico, veniva comminato, con un provvedimento di
polizia extragiudiziale, un internamento coatto spesso per un tempo
indefinito in ospedale psichiatrico.

3
Ibid.
4
Opg: Lorenzin, chiusi in tutta Italia, giornata storica, comunicato ANSA, 20.2.2017.

12
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D. Fargnoli, La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari

In merito alla legislazione psichiatrica riguardante malati di mente


non autori di reati, l’idea lombrosiana della prevenzione sociale di
un’ipotetica “pericolosità sociale presunta” del malato di mente è stata
completamente superata dalla legge 180. Quest’ultima non fa più alcun
cenno al tema della pericolosità come motivo di ricovero psichiatrico.
Il concetto di pericolosità del malato di mente non viene più menzio-
nato nella legislazione psichiatrica italiana a partire dalla legge cosid-
detta impropriamente “Basaglia”. Inoltre, per alcuni decenni, il tema
della violenza del paziente psichiatrico, in Italia, è stato menzionato po-
chissimo anche nell’ambito della psichiatria clinica.
Il giudizio sulla pericolosità sociale dell’infermo psichico, in ambito
giuridico, dovrebbe avere un carattere di certezza che, secondo il giu-
rista Francesco Schiaffo, non sussisterebbe:

«Il giudizio sulla pericolosità sociale dell’infermo psichico rivela l’anelito


verso un particolare fondamento scientifico che, date le acquisizioni or-
mai consolidate della criminologia, e impossibile da soddisfare e trasfor-
ma, piuttosto, le relative motivazioni in rantoli argomentativi»5.

La psichiatria forense, nelle sue elaborazioni più rappresentative e


autorevoli, approda alla conclusione che sia «indispensabile lavorare
per il superamento dell’equivoco, riduttivo e non scientifico concetto
di “socialmente pericoloso”», come afferma Ugo Fornari nel suo Trattato
di psichiatria forense 6. Anche secondo Giovanni Battista Traverso bisogna
superare l’idea di una funzione preventiva della pena rispetto a una
“pericolosità sociale presunta” legata alla malattia mentale: l’accento va
posto invece sulla necessità di cura e di riabilitazione dei “rei folli”, dei
“folli rei” e di coloro che un tempo venivano definiti “pazzi morali”. Si
tratta di mettere in atto, nei confronti dei soggetti non imputabili ma
autori di reato, una politica sanitaria improntata a un’intenzionalità te-
rapeutica e non dettata solo da motivi di sicurezza sociale7.

5
F. Schiaffo, La pericolosità sociale tra “sottigliezze empiriche” e “spessori normativi”: la riforma di
cui alla legge n. 81/2014, in “Diritto penale contemporaneo”, 11.12.2014, pp. 14 sgg.
6
U. Fornari, Trattato di psichiatria forense, UTET, Torino 2018, p. 158.
7
G. B. Traverso, Criminologia e psichiatria forense. Momenti di riflessione dottrinale e applicativa,
Giuffrè, Milano 1987.

13
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Il sogno della farfalla 2/2019

Le REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) isti-


tuite dalla legge 81 sono in grado effettivamente di assolvere a un com-
pito riabilitativo e terapeutico o hanno mantenuto in scala più piccola
una vocazione custodialistica? Pur delineando un quadro nell’insieme
ottimistico, Alfredo Sbrana, della REMS di Volterra, nel marzo 2018
scrive:

«Per quanto riguarda il clima interno [delle REMS], bisogna evidenziare


come la confusione tra competenze sanitarie e giudiziarie, tra cura e cu-
stodia, in un contesto nuovo come quello delle REMS, rischia di alterare
l’identità professionale di tutti gli operatori sanitari.
(...) Con la legge 81/2014 (...) sono meno definiti i confini della respon-
sabilità professionale dello psichiatra. La delega ai servizi territoriali di
salute mentale e molto vasta e comprende anche impropriamente il trat-
tamento del comportamento socialmente pericoloso e la risposta alle
richieste di “garanzia e sicurezza sociale” talvolta dirette anche ad indi-
vidui con evidenti caratteristiche di antisocialità. L’operatore sanitario
detiene quindi talune responsabilità nell’assistenza di queste persone e
l’attuale normativa non esclude la sussistenza di un generale potere/do-
vere di sorveglianza, atto a prevenire azioni auto o etero-lesive. La re-
sponsabilità degli psichiatri dovrebbe invece configurarsi come respon-
sabilità di cura e non rivolgersi meramente alla custodia per soggetti
antisociali, pena il ritorno a una missione neomanicomiale e neocusto-
dialistica»8.

Molti dei soggetti etichettati come antisociali e portatori di disturbi


della personalità, in realtà, sotto il profilo dell’infermità sono da equi-
parare agli psicotici per non dire agli schizofrenici, come riconosciuto
anche dalla Corte di Cassazione con una sentenza del 20059: quindi il
loro trattamento, che non si può considerare improprio, in molti casi
è di competenza dei servizi territoriali, che devono affrontare situazioni
molto complesse sotto il profilo giuridico e sanitario. La tanto decantata
svolta epocale della legge 81/2014 si è risolta, come sostiene Sbrana, in
un attacco all’identità psichiatrica, cui viene demandata la salvaguardia

8
A. Sbrana, A. Veltri, V. Lombardi, Dalla REMS-D di Volterra ai percorsi territoriali dei pazienti
psichiatrici autori di reato: un’esperienza innovativa della psichiatria toscana, in “Nuova rassegna
di studi psichiatrici”, 16, 2018, p. 4, http://www.nuovarassegnastudipsichiatrici.it.
9
Corte di Cassazione, Sezioni unite, sentenza dell’8.3.2005.

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D. Fargnoli, La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari

dell’ordine sociale e non solo la responsabilità della cura. Che signifi-


cato ha la parola “cura” nelle REMS, rispetto a un gruppo di schizofre-
nici e psicotici gravissimi e spesso cronicizzati? Quale deve essere la teo-
ria di riferimento per non ricadere in una prassi cieca? Curare per
salvaguardare la salute mentale è altra cosa che curare per prevenire
che si commettano nuovi reati. Viene in mente il film Arancia meccanica
di Stanley Kubrick e il suo protagonista Alex, incline a comportamenti
criminali, sottoposto a un condizionamento di tipo pavloviano che di-
strugge la personalità, per impedirgli di commettere nuovamente atti
violenti.
Il problema più evidente della pericolosità sociale è che essa, come
abbiamo già detto, e una categoria prettamente giuridica che si basa
sui presupposti indicati dagli articoli 203 e 133 del codice di procedura
penale. Quando il giudice ordina una perizia per la determinazione
della pericolosità sociale, lo psichiatra incontra notevoli difficolta per-
ché deve basarsi su categorie giuridiche e non cliniche. Per esempio, il
concetto di “infermità mentale”, che è molto estensivo, non coincide
con quello di malattia mentale. Il concetto di malattia è dinamico, quel-
lo di infermità statico. L’infirmitas non considera gli aspetti eziopatoge-
netici che conferiscono alla malattia la sua specifica processualità10.
Il rischio è che l’uso di termini ambigui mascheri una sorta di com-
plicità fra giudici e psichiatri: i giudici parlano di infirmitas, che è un
concetto vago, gli psichiatri usano impropriamente il termine “distur-
bo”. Entrambi non comprendono appieno la malattia mentale. Inoltre
il giudice valuta fatti e circostanze oggettivamente accertabili, mentre
lo psichiatra fa, in un certo senso, il processo alle intenzioni coscienti e
non coscienti. In sostanza, rispetto alla pericolosità non possono essere
fatte previsioni razionalmente fondate e basate su procedimenti stan-
dardizzati e utilizzabili in ambito giuridico, se non di tipo meramente
statistico.
Dal punto di vista clinico, che è diverso da quello giuridico, so per
mia personale esperienza che esistono situazioni in cui l’intuizione di
uno sviluppo psicopatologico criminale o suicidario è possibile, mentre

10
D. Fargnoli, Schizofrenia, imputabilità e infermità mentale, in “Il sogno della farfalla”, 1, 2014,
pp. 25-55.

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2. Fargnoli D_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 16

Il sogno della farfalla 2/2019

in altre può essere estremamente difficile. In generale, si può ritenere


erronea sia la prevedibilità a lungo termine del comportamento, riven-
dicata da Lombroso con la sua teoria deterministica del criminale nato,
sia la convinzione di un’impossibilità assoluta di previsione per man-
canza di strumenti scientifici adeguati, come sostiene la psichiatria fo-
rense che si basa sulle perizie. Per non parlare della pericolosità latente,
nella quale sarebbe coinvolto tutto il genere umano: ciascuno, in de-
terminate circostanze, potrebbe diventare un assassino, secondo, per
esempio, Vittorino Andreoli11. Ciò vorrebbe dire che tutti siamo poten-
zialmente pericolosi, anche se non si può prevedere quando lo diven-
teremo.
Se non è possibile fare previsioni certe utilizzabili in ambito giuridi-
co, in ambito clinico, invece, gli psichiatri, più o meno consciamente,
fanno sempre anticipazioni sullo sviluppo del processo terapeutico e
psicopatologico nell’ambito di valutazioni prognostiche. Oggi si parla
della valutazione del rischio di violenza che tiene conto sia di fattori
psichiatrici – cioè l’eventuale presenza di patologie, più o meno trattate
– che extrapsichiatrici: le previsioni riguardano il breve periodo e sono
più attendibili tenendo in considerazione un numero ristretto di varia-
bili. Ciò che va evitata però a ogni costo è la negazione – che è stata
uno degli effetti collaterali di quanto proposto da Basaglia e/o dai suoi
epigoni – della possibilità che esista, sia pure in ambiti ben definiti e
circoscritti, un nesso fra malattia mentale e agire criminale. Abolendo
di fatto il concetto di malattia mentale – anche se poi si nega di averlo
abolito – si elimina anche quello di pericolosità sociale.
Vale la pena ricordare il caso Miklus che nel 1971 segnò la fine del-
l’esperienza goriziana. Nel 1968 accadde che un paziente, tale Giovanni
Alberto Miklus appunto, di un reparto chiuso del manicomio di Gori-
zia, a quel tempo diretto da Franco Basaglia, fu mandato a casa, come
altre volte era accaduto, con un permesso. In preda a un delirio di per-
secuzione, egli uccise a martellate la moglie che riteneva responsabile

11
Cfr. M. Sorbi, Nessuno mi invita più a cena. E che rabbia mi fa la felicità, intervista a Vittorino
Andreoli, in “Il Giornale”, 4.4.2018 (www.ilgiornale.it). Afferma Andreoli, a proposito di un
serial killer: «Gli omicidi più efferati sono compatibili con la normalità. Significa che Bilancia
avrebbe anche potuto non uccidere. E il signore per bene invece sì».

16
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D. Fargnoli, La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari

del suo internamento. Sull’onda del delitto, come riferisce John Foot
nel suo documentatissimo libro La repubblica dei matti 12, Basaglia riunì
l’équipe e dichiarò che l’intero esperimento goriziano si doveva chiu-
dere o doveva essere affidato a psichiatri “riformisti” che non avrebbero
perseguito l’obiettivo utopico di una radicale deistituzionalizzazione.
Non fu l’unica volta che Basaglia dichiarò un fallimento. Nel giugno
1978, all’indomani dell’approvazione della legge 180, affermò che era-
no prevalse tendenze corporative che volevano riportare la psichiatria
alla logica del controllo sociale: nuove forme di segregazione e di vio-
lenza istituzionale si sarebbero inevitabilmente riproposte13.
Parole profetiche di colui che dobbiamo considerare un eroe suo
malgrado o, come ha detto Giovanni Jervis, una vittima della sua fama14.
Sul piano giudiziario, a Gorizia nel 1968 l’unico che pagò fu Miklus al
quale fu riconosciuta la totale infermità mentale: morì in ospedale giu-
diziario. Basaglia fu prosciolto perché assente (facile la battuta: assente
in che senso?), come anche lo psichiatra Antonio Slavich fu assolto per
la non prevedibilità dell’omicidio, in quanto non premeditato. La re-
sponsabilità ricadde su tale Vittorio Ali, che aveva firmato la dimissione
e che nel frattempo era morto. Il 20 ottobre del 1972 i tre figli di Miklus
scrissero al “Piccolo” di Trieste raccontando di essere stati terrorizzati
dal padre e di essere stati sottoposti a pressione da parte della direzione
dell’ospedale per accettare le sue visite, nonostante temessero per la si-
curezza propria e per quella della madre15. Senza entrare nel merito
del giudizio salomonico della magistratura di allora, condizionato dal
clima di scontro ideologico del tempo, mi stupisce quanto un assertore
della mitologia basagliana come Peppe Dell’Acqua continua a sostene-
re, con una certa sicumera:

12
J. Foot, La repubblica dei matti, Feltrinelli, Milano 2014.
13
Le affermazioni di Franco Basaglia contenute in un articolo di “La Repubblica” del giu-
gno 1978, sono riportate nell’intervento di Carlo Landolfi al Convegno La libertà è terapeutica.
Perché e come cambiare la risposta ordinamentale coercitiva al disagio psichico, organizzato il
20.9.2017 dall’associazione Giustizia Giusta e dai Radicali italiani. http: //www.radioradicale.it/
scheda/520239/la-libertà-e-terapeutica-perche-e-come-cambiare-la-risposta-ordinamentale-coercitiva.
14
G. Corbellini, G. Jervis, La razionalità negata, Bollati Boringhieri, Torino 2008, p. 94.
15
J. Foot, La repubblica dei matti cit., p. 163.

17
2. Fargnoli D_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 18

Il sogno della farfalla 2/2019

«La pericolosità sociale non merita neanche di essere criticata. È una


chimera, un qualcosa che si presume, ma che di fatto manca. E la pre-
senza della malattia mentale o di un suo disturbo surrogato non può af-
fiancare quella persona alla pericolosità sociale più di quanto non ne
potrebbe essere affiancato uno di noi»16.

Il fatto che il “rischio” di violenza, concetto diverso da quello di “pe-


ricolosità sociale”, non possa essere definito una volta per tutte, ma che
vada contestualizzato in ogni singolo caso e qualunque sia la diagnosi,
non significa che esso non esista. Posto che nessuno è naturalmente pe-
ricoloso, al contrario di quello che diceva Lombroso, possiamo dire che
siamo tutti potenzialmente pericolosi, come ha sostenuto in più occasioni
Andreoli? Per Basaglia, la “follia”, che peraltro nei suoi scritti rimane
un concetto vago e indefinibile, è un attributo naturale di tutti gli esseri
umani. Nel documentario di Sergio Zavoli I giardini di Abele (1968)17,
alla domanda del giornalista: «Chi è il malato di mente?», egli risponde:
«Nessuno lo sa». Nessuno lo sa, o nessuno lo può o lo deve sapere? Nelle
Conferenze brasiliane (1979), lo psichiatra veneziano afferma: «Io ho detto
che non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una con-
dizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragio-
ne»18.
La follia potrebbe portare indifferentemente alla creatività o all’omi-
cidio o a tutt’e due, come sostenuto da Michel Foucault, con cui Basa-
glia era pienamente d’accordo. D’altra parte, di ciò che non si conosce
non si può prevedere l’esito ma neppure lo sviluppo. Dal punto di vista
psicopatologico, sappiamo con certezza che può esistere un rapporto
fra il delirio, considerato storicamente la manifestazione tipica della
follia, e l’agire criminale, come testimoniano innumerevoli situazioni.
Il caso Miklus è una di queste: come si evince dalla lettura delle perizie
del processo, egli uccise in uno stato di gravissimo delirio di persecu-
zione misto a confusione. Se è vero che il delitto commesso dallo slavo
non era prevedibile in quanto frutto estemporaneo di una percezione

16
A. Cr., I malati di mente sono un pericolo sociale?, intervista a Peppe Dell’Acqua, in “Magazine
della Fondazione Umberto Veronesi”, 17.3.2014.
17
S. Zavoli, I giardini di Abele, https://vimeo.com/259720830.
18
F. Basaglia, Conferenze brasiliane, Raffaello Cortina, Milano 2018, p. 34.

18
2. Fargnoli D_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 19

D. Fargnoli, La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari

delirante, cioè di una reazione immediata a un rimprovero della mo-


glie, «senza che fra stimolo e reazione si collochi un tempo di riflessione
e critica», per usare le parole del perito d’ufficio19, è altresì vero che
nessuno psichiatra dimetterebbe, anche oggi in un SPDC, a cuor leg-
gero un paziente in uno stato confusionale misto a un delirio di perse-
cuzione sistematizzato. Evidentemente, non fu compresa appieno la
gravità della malattia, mascherata da un apparente miglioramento, co-
me non fu chiarita, e anzi fu fraintesa, dal perito di parte la dinamica
del crimine. Proprio il fatto che il paziente era “migliorato”, cioè meno
chiuso nel guscio di un autismo delirante, lo esponeva ad acting out im-
provvisi sullo sfondo di una cronica alterazione della capacità di critica
e di giudizio.
Ciò che andava messo in discussione non era la pratica dei permessi
sperimentali e la strategia, più che legittima, del reinserimento sociale,
ma la valutazione clinica, che spetta allo psichiatra, dell’idoneità di un
soggetto a sostenerla in un determinato momento. Il problema non era
costituito dal metodo della comunità terapeutica ma dalla formazione
carente degli psichiatri e dalla loro mancata conoscenza dei processi
psicopatologici e del non cosciente. A riprova di ciò, basta leggere la
perizia della difesa al processo del 1972, piena di contraddizioni al pun-
to di sembrare scritta da un incompetente. Non si capisce, ad esempio,
come venga formulata da parte del professor Fabio Visentini la diagnosi
di “demenza paranoide per evoluzione deteriorata di una personalità
psicopatica”. Che senso ha, con riferimento all’esperienza goriziana,
usare un termine kraepeliniano come “demenza”? La perizia di parte
di Basaglia diventa un atto di accusa perché nessuno si è accorto di
quanto essa fosse inconsistente e superficiale: e conseguentemente nes-
suno ha compreso cosa fosse accaduto al paziente.
Il caso Miklus non è stato elaborato nell’epopea basagliana, anzi, for-
se è stato cancellato dal trionfalismo e dalle false ricostruzioni della sto-
ria ufficiale e dagli innumerevoli attestati di solidarietà. Sull’incidente
fu preparata un’appendice al libro L’istituzione negata, dal titolo Anato-
mia di un’istruttoria, che non fu mai pubblicata. Nel famoso libro del

19
Cfr. E. Venturini, D. Casagrande, L. Toresini, Il folle reato, Franco Angeli, Milano 2010.
Nel testo sono contenute le perizie psichiatriche del processo a Miklus.

19
2. Fargnoli D_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 20

Il sogno della farfalla 2/2019

1968 c’è però un’altra appendice in cui Basaglia parla in generale del-
l’acting out del paziente nel suo rapporto con l’istituzione aperta, e che
sembra un commento al caso Miklus:

«Un malato che può venire dimesso e che si trova rifiutato dalla famiglia,
dal posto di lavoro, dagli amici, da una realtà che lo respinge violente-
mente come uomo di troppo, che cosa può fare se non uccidersi o uc-
cidere chiunque abbia per lui la faccia della violenza di cui è oggetto?
In questo processo chi può, onestamente, parlare solo di malattia?»20.

È un discorso completamente dissociato che non vale neppure la pe-


na di commentare, come se il rifiuto o respingimento, in qualsiasi mo-
dalità si manifesti, possa giustificare l’omicidio-suicidio. C’è da interro-
garsi su quanto la mancata o insufficiente elaborazione di un episodio
molto significativo nella storia della psichiatria italiana, insieme al gioco
del rimpallo delle responsabilità, abbia pesato sul fatto che i manicomi
giudiziari e gli OPG siano stati “dimenticati” per quarant’anni. Anche
Miklus fu dimenticato e morì in un “ergastolo bianco”, in un manico-
mio giudiziario. Oggi, come risultato di una mentalità divenuta domi-
nante dopo la 180, si tende a negare che possa sussistere una relazione,
sia pure entro confini definiti, fra patologia mentale e crimine. Per la
scuola di psichiatria triestina, in base al principio di uguaglianza, tutti
– sani e non sani di mente – sono ugualmente imputabili e in caso di
reato devono essere inviati in carcere, processati, essere ritenuti colpe-
voli ed espiare la pena. Come se la pena, che poi equivale alla punizione
di un peccato, possa avere un significato terapeutico. La rivoluzione ba-
sagliana approda a una conclusione che sicuramente piacerà a Matteo
Salvini.
Quindi si abolisce il manicomio ma si tiene in piedi il carcere che
contiene e produce malattia mentale: esattamente il contrario di quan-
to pensava Massimo Fagioli, il quale riteneva dovesse in prima istanza
essere abolito il carcere: «Abolizione del carcere come manifesta pro-
posizione dell’abolizione del pensiero che bisogna punire»21.
Ritornando però sulla legge 81/2014 e sulla chiusura degli OPG, so-

20
F. Basaglia (a cura di), L’istituzione negata, Einaudi, Torino 1968, p. 168.
21
M. Fagioli, Grazie Manconi grazie Boraschi, in Left 2006 cit., p. 130.

20
2. Fargnoli D_Sogno1 11/03/19 10:40 Pagina 21

D. Fargnoli, La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari

no state denunciate delle criticità derivanti dall’ambiguità della riforma


proposta che ha lasciato invariato il doppio binario del codice Rocco,
apportando solo alcune modifiche circa i criteri dell’accertamento della
pericolosità e la durata massima delle misure di sicurezza, che spesso
generavano i cosiddetti “ergastoli bianchi”. Il nucleo generatore giuri-
dico delle disfunzioni che aveva contribuito a trasformare alcuni OPG
in veri e propri lager è rimasto invariato, anche se ammodernato da al-
cune sentenze della Corte Costituzionale e di Cassazione. Tale nucleo,
il doppio binario presente nel codice Rocco, va totalmente abolito e
non riformato: questa è anche l’opinione di molti illustri giuristi.
Antonio Rocco affermava che «non si può concepire una volontà
senza causa, una volontà senza motivi, una volontà come un fiat che na-
sca dal nulla, una volontà come mero arbitrium indifferentiae. La volontà
umana non si sottrae alla legge di causalità che governa tutti i fenome-
ni»22. Bisogna dunque capire se esiste ciò che il guardasigilli Rocco ne-
gava, cioè una volontà senza causa apparente, senza motivi, una volontà
come un fiat che nasca dal “nulla”. Massimo Fagioli, nella sua ricerca
sulla realtà umana, ha scoperto che ci può essere una volontà che nasce,
più che dal “nulla”, dalla pulsione di annullamento, che cancella gli af-
fetti legati al mondo umano. La volontà, la spinta all’azione si collega,
in quest’ultimo caso, a un delirio più o meno nascosto.

22
Atti della commissione ministeriale, in Ministero della Giustizia e degli Affari del culto, Lavori
preparatori del Codice penale, vol. IV, Tipografia delle Mantellate, Roma 1929, p. 137.

Bibliografia

Basaglia F. (a cura di), L’istituzione negata, Einaudi, Torino 1968.


Basaglia F., Conferenze brasiliane, Raffaello Cortina, Milano 2018.
Corbellini G., Jervis G., La razionalità negata, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
Fagioli M., Left 2006, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2009.
Fargnoli D., Schizofrenia, imputabilità e infermità mentale, in “Il sogno della farfalla”, 1, 2014,
pp. 25-55.
Foot J., La repubblica dei matti, Feltrinelli, Milano 2014.
Fornari U., Trattato di psichiatria forense, UTET, Torino 2018.

21
2. Fargnoli D_Sogno1 13/03/19 10:26 Pagina 22

Il sogno della farfalla 2/2019

Sbrana A., Veltri A., Lombardi V., Dalla REMS-D di Volterra ai percorsi territoriali dei pazienti psi-
chiatrici autori di reato: un’esperienza innovativa della psichiatria toscana, in “Nuova rassegna
di studi psichiatrici”, 16, 2018, http://www.nuovarassegnastudipsichiatrici.it.
Schiaffo F., La pericolosità sociale tra “sottigliezze empiriche” e “spessori normativi”: la riforma di cui
alla legge n. 81/2014, in “ Diritto penale contemporaneo”, 11.12.2014, pp. 14-42.
Traverso G. B., Criminologia e psichiatria forense. Momenti di riflessione dottrinale e applicativa,
Giuffrè, Milano 1987.
Venturini E., Casagrande D., Toresini L., Il folle reato, Franco Angeli, Milano 2010.

The closure of judicial psychiatric hospitals in Italy: legal and historical aspects
In the Italian psychiatric legislation, the idea of “apparent social dangerousness” regarding men-
tally ill patients has been completely overcome by law 180 (1978), which ceased to mention dan-
gerousness as a reason for psychiatric hospitalization. Subsequently, the concept of dangerousness
in mentally ill people is no longer mentioned in the Italian psychiatric legislation, surviving only
in penal laws. Judgement on the social danger of the mentally ill should be undoubtedly affirmed
in the legal field: forensic psychiatry has greatly and authoritatively claimed and concluded that
it is indeed fundamental to overcome the misleading, reductive and non-scientific concept of “so-
cially dangerous”. While rejecting this latter concept, as expression of a custody approach, it cannot
be denied that a connection between mental illness and criminal action can indeed be found in the
limited field of diagnostic and clinical evaluation as historically demonstrated by the Miklus’s case
which determined the end of the experience sought by Franco Basaglia in Gorizia.
Correspondence to Dr. Domenico Fargnoli: fargnoli@me.com

22
3. Cornetti_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 23

La pericolosità sociale
e le misure di sicurezza

Ilaria Cornetti

Nel caso di commissione di un reato, il nostro ordinamento giuridi-


co prevede due diverse e distinte risposte sanzionatorie: la pena e la mi-
sura di sicurezza. Nel 1930 il codice penale Rocco ha, infatti, introdotto
il sistema del cosiddetto “doppio binario” secondo il quale al soggetto
che ha commesso un reato (o un quasi reato) che sia anche socialmente
pericoloso è applicata, in via alternativa oppure cumulativa rispetto alla
pena, una misura di sicurezza: gli imputabili (cioè i capaci di intendere
e volere) e i semi-imputabili (i parzialmente capaci di intendere e vole-
re) non socialmente pericolosi sono sottoposti unicamente alla pena
(diminuita per i semi-imputabili in ragione della loro parziale capacità
di intendere e volere); gli imputabili e i semi-imputabili socialmente
pericolosi, tanto alla pena quanto alla misura di sicurezza (prima al-
l’una, poi all’altra); i non imputabili non socialmente pericolosi sono
esenti da entrambe, mentre per quelli socialmente pericolosi è disposta
la misura di sicurezza.
La pena, dunque, è la sanzione irrogata per la consumazione di un
reato da parte di un soggetto capace (del tutto o in parte) di intendere
e volere, e concretamente determinata dal giudice sulla base dei para-
metri di cui all’articolo 133 del codice penale (gravità del fatto e capa-
cità a delinquere), nel rispetto dei limiti sia minimo che massimo stabi-
liti dalla legge. La sua funzione è molteplice: punire il responsabile,
scoraggiare la reiterazione di future eventuali violazioni e, secondo la

Il sogno della farfalla 2/2019 pp. 23-38


3. Cornetti_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 24

Il sogno della farfalla 2/2019

“prospettiva costituzionale”, permettere la “rieducazione del condan-


nato” (articolo 27 della Costituzione)1.
La misura di sicurezza, come la pena, interviene dopo la consuma-
zione di un reato, e ha una funzione propria del tutto peculiare poiché
consiste in una risposta a una qualità della persona, piuttosto che a un
suo comportamento. Essa, infatti, è tesa a contenere la pericolosità so-
ciale dell’individuo (cioè la sua capacità di essere pericoloso, si potreb-
be dire l’“attitudine” alla reiterazione di condotte delinquenziali), è
mantenuta fintantoché persiste la pericolosità sociale di colui che vi è
sottoposto, e sino al decreto legge 52/2014 non aveva, nemmeno se di
tipo detentivo, una durata massima determinata dalla legge (mentre
aveva una durata minima).
Diversamente dal codice Rocco, il codice Zanardelli (approvato con
il regio decreto n. 6133/1889 sotto il governo Crispi) non conosceva
né la pericolosità sociale né le misure di sicurezza e considerava la pena
l’unica sanzione per il reato. Sebbene entrato in vigore alla fine del-
l’Ottocento, momento nel quale già si era affermato il pensiero filoso-
fico e giuridico della Scuola positiva, il codice liberale era rimasto
espressione dell’approccio teorico della Scuola classica, la quale con-
cepiva il reato come punibile solo se compiuto da un soggetto che,
nell’esercizio della propria libertà di autodeterminazione, aveva consa-
pevolmente scelto di violare il precetto penale, e come non punibile se
commesso senza la consapevolezza e la libertà necessarie. Infatti, all’ar-
ticolo 46 comma I, esso definiva l’imputabilità affermando: «Non è pu-
nibile colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale
stato di infermità di mente da togliergli la coscienza o la libertà dei pro-
pri atti»2. Disciplinava anche la semi-imputabilità (ovvero un’imputabi-
lità non esclusa, ma grandemente scemata) alla quale conseguivano
l’applicazione di una pena diminuita e la possibilità della sua esecuzio-
ne in casa di custodia fino alla revoca da parte della competente auto-

1
F. Mantovani, Diritto penale, Cedam, Padova 2001, pp. 769 e 776.
2
T. Villa, Relazione della Commissione della Camera dei Deputati sul progetto del codice penale pre-
sentato alla Camera dei Deputati seguita dalle proposte, voti e osservazioni della commissione e di varii
deputati, Unione tipografico-editrice, Torino 1888, p. LXIV. «La sola esecuzione materiale
del fatto non [può] ritenersi sufficiente per dichiarare l’autore medesimo colpevole di un
reato ed assoggettarlo alla sanzione penale corrispondente».

24
3. Cornetti_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 25

I. Cornetti, La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

rità. Per i non imputabili pericolosi, infine, il codice postunitario all’ar-


ticolo 47 attribuiva al giudice il potere di affidarli alle autorità compe-
tenti: «Il giudice [...], ove stimi pericolosa la liberazione dell’imputato
prosciolto, ne ordina la consegna all’Autorità competente per i prov-
vedimenti di legge», formula che sostanzialmente celava l’internamento
in manicomio comune la cui gestione rimaneva di competenza del giu-
dice civile.

La disciplina positiva

Gli articoli 199-240 del codice Rocco costituiscono un corpus sul qua-
le, dagli anni Settanta del secolo scorso in poi, sono intervenuti ripetu-
tamente sia la Corte costituzionale che il legislatore, e che sarà illustrato
indicando quale fosse la previsione originaria e quali siano stati gli in-
terventi della Corte costituzionale e del legislatore che hanno di fatto
rimosso tutti gli automatismi previsti in origine, permettendo al giudice
di valutare caso per caso l’effettiva sussistenza della pericolosità sociale
e di scegliere la misura di sicurezza di volta in volta più adeguata.
Le misure di sicurezza sono sia detentive che non detentive (articolo
215 c.p.). Per i maggiorenni le prime sono l’assegnazione a una colonia
agricola o casa di lavoro, il ricovero in una casa di cura e custodia, il ri-
covero in manicomio giudiziario; per i minorenni, il ricovero in rifor-
matorio giudiziario. Le misure del ricovero in casa di cura e custodia e
del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (il codice parlava an-
cora di manicomio giudiziario: la definizione di ospedale psichiatrico
giudiziario è della legge Gozzini di riforma dell’ordinamento peniten-
ziario del 1975) sono oggi eseguite non più presso i vecchi ospedali psi-
chiatrici giudiziari, bensì presso le residenze per l’esecuzione delle mi-
sure di sicurezza, o REMS. Le misure di sicurezza non detentive sono
invece la libertà vigilata, il divieto di soggiornare in uno o più comuni
o in una o più province, il divieto di frequentare osterie e pubblici spac-
ci di bevande alcoliche, l’espulsione dello straniero dallo Stato.
Le misure di sicurezza possono essere disposte solo ed esclusivamen-
te nei confronti di soggetti socialmente pericolosi – ovvero di coloro
che, imputabili, non imputabili, o semi-imputabili, hanno commesso

25
3. Cornetti_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 26

Il sogno della farfalla 2/2019

un reato – quando il giudice ritiene probabile che possano compierne


di ulteriori. Tale giudizio prognostico deve essere condotto sulla base
degli indici di cui all’articolo 133 c.p., i quali attengono a due distinte
categorie che sono quelle della gravità del reato (da desumere da tutte
le caratteristiche del fatto, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi) e del-
la capacità a delinquere del responsabile (da valutarsi tenendo conto
dei motivi a delinquere e del carattere della persona, dei precedenti pe-
nali e giudiziari, e in generale della condotta e della vita antecedenti al
reato). Il decreto legge 52/2014 convertito con modificazioni dalla leg-
ge 81/2014, all’articolo 1 comma 1 lettera b, ha imposto che l’accerta-
mento della pericolosità sociale sia condotto sulla base delle qualità sog-
gettive dell’individuo senza tenere conto, come avveniva in precedenza,
delle condizioni di vita personale, familiare, sociale; ha stabilito inoltre
che «non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di peri-
colosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali».
Queste due previsioni sono state la diretta conseguenza degli esiti
dell’indagine condotta dalla commissione parlamentare di inchiesta
presieduta dall’allora senatore Ignazio Marino sull’efficacia ed efficienza
del Servizio sanitario nazionale3, dalla quale emersero con drammatica
frequenza casi di internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari di
persone la cui pericolosità sociale si concretizzava in condizioni di disa-
gio familiare e sociale, oppure nella mancanza di progetti terapeutici
da realizzare tramite misura di sicurezza non detentiva. I giudizi di pe-
ricolosità sociale finivano cioè spesso per essere la conseguenza di con-
dizioni di mera deprivazione materiale (assenza di un nucleo familiare
di riferimento, mancanza di prospettive lavorative, isolamento sociale)
oltre che dell’inadeguatezza dei servizi sociali competenti a predisporre
percorsi di reinserimento, e l’internamento si trasformava nell’unica ri-
sposta alle molteplici forme di disagio che attraversano una comunità.
La pericolosità sociale è accertata dal giudice (articolo 203 c.p.). Il co-
dice Rocco disciplinava alcune ipotesi di pericolosità sociale presunta dalla
legge, la quale fissava categorie di soggetti, reati e limiti di pena in pre-
senza dei quali automatica era la prognosi di recidiva e “scattava” di con-

3
La relazione finale approvata dalla commissione nella seduta del 30 gennaio 2013 è di-
sponibile all’indirizzo https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/698049.pdf.

26
3. Cornetti_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 27

I. Cornetti, La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

seguenza l’applicazione della misura di sicurezza prevista dalle norme.


Tali disposizioni sono state una a una dichiarate incostituzionali dalla Cor-
te costituzionale. In ultima istanza poi, la legge 663/1986 all’articolo 31
ha abrogato l’articolo 204 c.p. e ha espressamente statuito che tutte le mi-
sure di sicurezza personali sono ordinate solo previo (effettivo) accerta-
mento della pericolosità sociale della persona che deve esservi sottoposta.
Le misure di sicurezza sono disposte con la stessa sentenza di condan-
na o di proscioglimento, oppure con provvedimento successivo (se la pe-
ricolosità sociale emerge e/o è accertata successivamente), come prevede
l’articolo 205 c.p. Anche questo articolo è stato dichiarato costituzional-
mente illegittimo (comma II, n. 2) dalla Corte costituzionale con la sen-
tenza n. 139/1982 nella parte in cui non subordinava il provvedimento
di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell’imputato, prosciolto
per infermità psichica, all’accertamento della pericolosità sociale deri-
vante dall’infermità medesima al tempo dell’applicazione della misura4.
Le misure suddette possono essere altresì applicate in via provvisoria
durante le indagini preliminari o durante il corso del processo (arti-
colo 206 c.p.). Secondo l’originaria formulazione dell’articolo 206 c.p.,
nei confronti del minore di età, dell’infermo di mente, dell’ubriaco
abituale e della persona dedita all’uso di stupefacenti, oppure in stato
di cronica intossicazione da alcol o da stupefacenti, erano ammissibili
in via provvisoria le sole misure di sicurezza detentive. Nel novembre
2004 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 367/2004, ha dichia-
rato l’incostituzionalità della norma che non consentiva l’applicazione
di misura di sicurezza non detentiva laddove questa fosse idonea ad as-
sicurare alla persona inferma di mente cure adeguate e a contenere la
sua pericolosità sociale5. Lo stesso articolo 206 c.p. era già stato censu-
rato dalla Corte costituzionale con la precedente sentenza n. 324 del

4
La sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 27 luglio 1982 è disponibile all’indirizzo
http://www.giurcost.org/decisioni/1982/0139s-82.html.
5
«L’art. 206 cod. pen., nella parte in cui preclude di adottare una misura di sicurezza non
segregante come la libertà vigilata – che grazie alle prescrizioni che il giudice può imporre
a norma dell’art. 228, secondo comma, cod. pen. consente nello stesso tempo di attuare gli
interventi terapeutici più idonei alla cura dell’infermo di mente e di disporre le opportune
cautele per controllare e contenere la sua pericolosità sociale – viola il principio di ragione-
volezza e, di riflesso, il diritto alla salute, e deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente
illegittimo». http://www.giurcost.org/decisioni/2004/0367s-04.html.

27
3. Cornetti_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 28

Il sogno della farfalla 2/2019

19986, in quanto prevedeva la possibilità del ricovero provvisorio in


ospedale psichiatrico giudiziario per i minorenni (violazione degli ar-
ticoli 2, 3, 27 e 32 della Costituzione).
L’articolo 207 regola la revoca della misura di sicurezza al momento
del venir meno della pericolosità sociale e, sino alla sentenza della Corte
costituzionale n. 110/19747, richiedeva quale presupposto indefettibile
che fosse comunque decorso un tempo corrispondente alla durata mi-
nima della misura.
L’articolo 208 c.p. disciplina il periodico riesame della pericolosità
sociale: questa norma era ancora più centrale nel sistema precedente
alle modifiche di cui al decreto legge 52/2014 convertito con modifi-
cazioni dalla legge 81/2014 e intitolato Disposizioni urgenti per il supera-
mento degli ospedali psichiatrici giudiziari che, all’articolo 1 comma 1 bis
lettera b 1 quater, ha finalmente introdotto il termine di durata massima
delle misure di sicurezza, pari alla pena massima prevista per il reato o
a quella in concreto comminata.
Le misure di sicurezza (articolo 211 c.p.) si eseguono dopo l’esecu-
zione della pena detentiva, oppure al passaggio in giudicato della sen-
tenza se è applicata una pena non detentiva (articolo 213 c.p.) negli
stabilimenti a ciò destinati, in ciascuno dei quali è adottato «un parti-
colare regime educativo o curativo e di lavoro, avuto riguardo alle ten-
denze e alle abitudini criminose della persona, e in genere al pericolo
sociale che ne deriva».

6
«Il minore affetto da infermità psichica è prima di tutto un minore, e come tale va trat-
tato, tutelato nei suoi diritti in quanto persona in formazione, ed assistito, anche nell’ambito
del sistema giudiziario penale. Deve dunque dichiararsi la illegittimità costituzionale delle
norme denunciate, che prevedono l’applicabilità ai minori della misura di sicurezza del ri-
covero in ospedale psichiatrico giudiziario. La dichiarazione di illegittimità costituzionale
deve colpire il denunciato quarto comma dell’art. 222 del codice penale, che ha riguardo
all’applicazione della misura ai minori “prosciolti per ragione di età”; ma deve investire al-
tresì in parte equa, secondo quanto si è premesso, i primi due commi dello stesso art. 222,
ove si prevede in generale, e dunque implicitamente anche nei confronti di minori (come
conferma il quarto comma), l’applicazione della misura nel caso di proscioglimento per in-
fermità psichica o condizioni assimilate, ai sensi degli artt. 88, 95 e 96 dello stesso codice.
Deve poi colpire il denunciato art. 206 del codice penale, che disciplina l’applicazione prov-
visoria della misura, nella parte in cui si applica ai minori infermi di mente». http://www.giur-
cost.org/decisioni/1998/0324s-98.html.
7
La sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 23 aprile 1974 è disponibile all’indirizzo
http://www.giurcost.org/decisioni/1974/0110s-74.html.

28
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I. Cornetti, La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

Gli articoli 215-235 contengono la disciplina delle singole misure di


sicurezza detentive e non detentive. In particolare, l’articolo 222 disci-
plina il ricovero in manicomio giudiziario (poi ospedale psichiatrico
giudiziario, poi REMS) nel caso di proscioglimento per infermità psi-
chica, cronica intossicazione da alcol o stupefacenti, sordomutismo.
Originariamente il ricovero in manicomio giudiziario era previsto come
obbligatorio e automatico per i soggetti non imputabili appena descritti
(a meno che non avessero posto in essere contravvenzioni, delitti col-
posi, altri delitti puniti con pena detentiva non superiore ai due anni)
per una durata minima di 5 o 10 anni, e ad esso potevano essere desti-
nati minori dei 14 anni e minori di età compresa tra 14 e 18 anni dichia-
rati non imputabili. Anche su questa norma è intervenuta la Corte costi-
tuzionale con ben tre sentenze (139/19828, 324/19989, 253/200310)
con le quali ha dichiarato la contrarietà alla Costituzione di questo arti-
colo del codice penale perché non stabiliva che l’accertamento della
pericolosità sociale dovesse essere rinnovato al momento dell’esecuzio-
ne della misura, perché prevedeva il ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario anche per i minorenni, e infine, nei casi di proscioglimento
per infermità di cui al primo comma dell’articolo 222 c.p., non permet-
teva al giudice di applicare misura diversa da quella del ricovero in ospe-
dale psichiatrico giudiziario.
Gli articoli 224-227 c.p., infine, riguardano i minorenni (non impu-
tabili, imputabili, delinquenti abituali, professionali e per tendenza):
anche queste norme stabilivano automatismi poi scardinati dalla Corte
costituzionale.
Premesso questo quadro d’insieme del sistema delle misure di sicu-
rezza, è quindi possibile individuare le caratteristiche fondamentali del-
la disciplina introdotta dal codice Rocco.
Intanto il titolo ottavo del libro I del codice penale fu (e lo è tuttora)
intitolato Delle misure amministrative di sicurezza. Al capo I esso è dedicato
alle misure di sicurezza personali e al capo II a quelle patrimoniali, il

8
Sentenza n. 139 del 27 luglio 1982, http://www.giurcost.org/decisioni/1982/0139s-82.html.
9
Sentenza n. 324 del 24 luglio 1998, http://www.giurcost.org/decisioni/1998/0324s-98.html.
10
Sentenza n. 253 del 18 luglio 2003, http://www.giurcost.org/decisioni/1998/0324s-98.html//
www.giurcost.org/decisioni/2003/0253s-03.html.

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Il sogno della farfalla 2/2019

cui denominatore comune è sostanzialmente la pericolosità sociale: del-


la persona per quelle personali e per la cauzione di buona condotta,
dei beni per quella patrimoniale (la confisca).
La definizione di tali misure come amministrative rivela da subito
l’intenzione del codificatore fascista di predisporre uno strumento più
“di pubblica sicurezza” che propriamente giurisdizionale, come del re-
sto la mancata previsione di un termine massimo di durata chiaramente
già indicava.
Il presupposto dell’applicazione della misura di sicurezza era – ed è
– la pericolosità sociale, generica e perpetua, intesa come la probabilità
che il soggetto che ha commesso un reato ne compia altri, di qualsiasi
natura e in qualunque tempo rispetto a quello già consumato, proba-
bilità la cui esistenza doveva – e deve – essere accertata sulla base dei
parametri indicati dall’articolo 133 c.p., relativi alla gravità del fatto e
alla capacità di delinquere del reo. Il mantenimento delle misure di si-
curezza presupponeva – e presuppone – l’attualità della pericolosità so-
ciale, senza che la legge stabilisse un limite massimo di durata, e anzi
con previsione inderogabile di una durata minima. Accanto alle ipotesi
di pericolosità sociale accertata dal giudice, si collocavano quelle di pe-
ricolosità sociale presunta dalla legge; erano fissati automatismi in pun-
to di obbligatorietà dell’applicazione della misura, individuazione della
misura, e della sua durata minima; il giudizio di pericolosità sociale inol-
tre doveva effettuarsi nel momento in cui la misura era disposta, e non
quando era eseguita concretamente.
Le misure di sicurezza, quindi, nascono come strumento di natura
più amministrativa che giurisdizionale, di difesa sociale, ovvero di pro-
tezione della società dalla devianza11, attraverso la segregazione del sog-
getto ritenuto dalla legge o dal giudice socialmente pericoloso. La loro
disciplina si pone, ideologicamente e idealmente, sulla scia della legge
Giolitti n. 36/190412 (completata dal regolamento di attuazione regio

11
A. Rocco, Progetto definitivo di un nuovo Codice Penale con la Relazione del Guardasigilli, Ti-
pografia delle Mantellate, Roma 1925, parte I, p. 244: la misura di sicurezza doveva adem-
piere a «fini socialmente eliminativi, o curativi e terapeutici, o educativi e correttivi», e talora
semplicemente cautelari.
12
http://w3.ordineaslombardia.it/sites/default/files/indagine/documenti/nazionali/N-L-36-1904-
IN.pdf.

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3. Cornetti_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 31

I. Cornetti, La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

decreto n. 615/1909), secondo la quale il ricovero nei manicomi civili


poteva essere richiesto da chiunque, nell’interesse degli infermi e della so-
cietà, nei confronti degli alienati pericolosi per sé e per gli altri e di pub-
blico scandalo, deciso in via provvisoria dal pretore e in via definitiva
dal tribunale, su richiesta del pubblico ministero e previa osservazione
per un periodo di un mese. Anche le dimissioni erano autorizzate dal
presidente del tribunale. Nonostante la previsione dell’intervento degli
organi giurisdizionali e della necessità di un loro provvedimento auto-
rizzativo, la deformalizzazione del procedimento e la mancanza di ga-
ranzie per il soggetto da ricoverare lo rendevano un procedimento più
amministrativo che giurisdizionale.

Il contesto europeo

Di misure di sicurezza iniziò a parlarsi in Europa negli ultimi tren-


t’anni dell’Ottocento grazie all’elaborazione teorica della Scuola posi-
tiva, il cui pensiero si sviluppò in sostanziale contrapposizione a quello
della Scuola classica.
Secondo quest’ultima, che aveva in Francesco Carrara uno dei prin-
cipali esponenti, il reato è un ente giuridico costituito da un elemento
oggettivo o materiale – l’azione o l’omissione umana – e da un elemen-
to soggettivo o psicologico consistente nella scelta libera e consapevole
dell’uomo, considerato soggetto razionale e dotato di libero arbitrio,
capace di autodeterminarsi, che si autodetermina con la stessa libertà
e con la stessa razionalità anche quando commette un reato. Di conse-
guenza, poiché la persona sceglie di delinquere quando potrebbe non
farlo, e poiché è ben consapevole della riprovevolezza morale del pro-
prio comportamento e della sua contrarietà all’ordinamento giuridico,
del reato deve rispondere tramite l’esecuzione della pena.
La Scuola classica ritiene che l’unica risposta sanzionatoria al reato
possa essere la pena, la cui funzione è intesa prevalentemente come re-
tributiva e general-preventiva: essa, sottoponendo il responsabile a una
sofferenza proporzionata a quella che egli ha provocato, ristabilisce una
sorta di ordine sociale incrinatosi con la violazione del precetto penale,
e così facendo previene la commissione di nuovi reati da parte della ge-

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Il sogno della farfalla 2/2019

neralità dei consociati. Per i soggetti non imputabili, quelli non rien-
tranti, a causa di infermità, nella nozione di uomo libero e razionale,
non era prevista sanzione penale, dal momento che l’internamento in
manicomio civile era eventualmente deciso dal giudice civile al quale
erano affidati se pericolosi.
L’approccio e il metodo della Scuola classica entrarono in crisi con
i grandi mutamenti sociali determinati dalla rivoluzione industriale, in
particolare con il significativo incremento dei tassi di criminalità, pro-
prio nello stesso momento in cui iniziava ad affermarsi il canone inter-
pretativo della Scuola positiva, a sua volta influenzata dal pensiero del
darwinismo sociale e del positivismo13.
Per la Scuola positiva il reato è un vero e proprio fenomeno naturale,
prodotto e determinato (si parla, infatti, anche di determinismo) da
fattori sia interni che esterni all’autore, ma non espressione del suo li-
bero volere.
Cesare Lombroso, nella sua opera del 1876 L’uomo delinquente14, in-
dividuava le cause del reato in elementi di natura biologica e organica,
propri dell’individuo; Roberto Garofalo concepiva una eziologia del
reato di tipo psicologico; Enrico Ferri, nella sua Sociologia criminale, ela-
borò una teoria multicausale della criminalità, riconducibile a caratte-
ristiche individuali, sia organiche che psicologiche, e ambientali. Pro-
prio Ferri proponeva una politica criminale fondata sul risanamento
preventivo della società, da attuarsi tramite i cosiddetti “sostitutivi pe-
nali”, strumenti preventivi di difesa sociale contro il reato.
L’attenzione, con la Scuola positiva, si spostava dal fatto all’autore
del fatto, determinando in tal modo la costruzione del “diritto penale
d’autore”: a essere sanzionato, più che un fatto, era un tipo di autore,
da ricondurre a una categoria o a un’altra, a ciascuna delle quali doveva
corrispondere un trattamento penale differenziato. A questo proposito
è assai celebre la classificazione proposta da Lombroso delle cinque ca-
tegorie del delinquente: nato, alienato, passionale, d’occasione, di abi-

13
E. Musco, La misura di sicurezza detentiva. Profili storici e costituzionali, Giuffrè, Milano 1978,
p. 32.
14
C. Lombroso, L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale ed
alle discipline carcerarie (1876), Hoepli, Milano 1976.

32
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I. Cornetti, La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

tudine. Ferri invece aveva coniato l’espressione “delinquenti incorreg-


gibili” per i quali suggeriva la deportazione perpetua in una colonia op-
pure la carcerazione a tempo indeterminato, e proponeva il «principio
della segregazione indeterminata del delinquente» da attuarsi «sino a
prova di miglioramento effettivo»15.
Se il problema non è il reato, ma la persona che lo ha commesso,
che è in sé pericolosa per cause di natura biologico-organica, psicolo-
gica, socio-familiare, il rimedio non può essere la pena, che interviene
a sanzionare un comportamento, attivo od omissivo che sia, ma il con-
tenimento, la segregazione di colui che lo ha realizzato, per garantire
la difesa sociale.
La Scuola positiva proponeva di sostituire alla concezione monistica
del diritto penale, fondata sulla pena, una concezione altrettanto mo-
nistica, ma costruita tutta sulla misura di sicurezza. Scelta che poi non
fu operata dai diversi ordinamenti positivi europei, nei quali invece si
fece strada il “sistema del doppio binario”, in cui la misura di sicurezza
si affiancava alla pena.
L’iniziale teorizzazione di questo sistema si deve al giurista belga
Adolphe Prins16 che per primo elaborò un doppio binario costituito da
pene e misure di difesa sociale, e ritenne che il diritto penale dovesse
occuparsi anche dei soggetti non imputabili e semi-imputabili, sino ad
allora rimasti estranei alla sfera di competenza del diritto penale. Fu
poi il penalista svizzero Carl Stooss a coniare il termine “misure di sicu-
rezza”, che compare per la prima volta nell’avanprogetto di codice pe-
nale svizzero del 189317, nel quale, accanto alle pene (Strafen) erano po-
ste, appunto, le misure di sicurezza preventive (Massnahmen).
Prima che in Italia, le misure di sicurezza furono introdotte negli or-
dinamenti francese (nel 1885, con la previsione per i plurirecidivi della
deportazione perpetua nella colonia della Guyane, con applicazione
obbligatoria ed esecuzione dopo il termine della pena), e inglese (nel
1908, con la preventive detention applicabile ai delinquenti abituali). Nel

15
E. Ferri, Sociologia criminale (1892), UTET, Torino 1929, p. 106.
16
A. Prins, La défense sociale et les transformations du droit pénal, Misch et Thron, Bruxelles
1910, p. 74.
17
J. Pradel, Droit pénal general (1974), Cujas, Paris 2010, p. 457.

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Il sogno della farfalla 2/2019

codice penale svizzero del 1937 fu disciplinata la misura, sostitutiva della


pena, dell’internamento, rimasta poco utilizzata, fino a quando, con la
riforma penale del 2002, entrata in vigore nel 2007, ne è stata stabilita
l’applicazione cumulativa con la pena18. In Svizzera poi, la logica segre-
gazionista ha trovato definitiva consacrazione in una norma costituzio-
nale entrata in vigore nel 2004, e confermata con votazione popolare,
che commina l’internamento a vita nei confronti degli autori di reati
di natura sessuale e violenti e pericolosi in quanto refrattari alle tera-
pie.
Nel sistema tedesco fu introdotta nel 1933 la legge «contro i delin-
quenti abituali pericolosi e sulle misure di sicurezza e miglioramento»,
con la quale le misure di sicurezza fecero ingresso in quell’ordinamen-
to19: la Sicherungsverwahrung (custodia di sicurezza) era applicata a co-
loro che erano dichiarati delinquenti abituali pericolosi sulla base di
un presupposto assai lasco, ovvero «quando la sicurezza pubblica lo ri-
chiede[sse]»20 e senza limite massimo di durata. Marco Pelissero osserva
in proposito che questa custodia di sicurezza «rappresentò l’avvio di
quella politica di esclusione, prima, di annientamento, poi, dei soggetti
considerati “asociali” attraverso l’ordine di arresto preventivo della po-
lizia ed il trasferimento nei campi di concentramento»21. La custodia
di sicurezza tedesca ha comunque superato la caduta della dittatura na-
zista e, riformata nel 1969 e poi nel 2004, è tutt’ora vigente.
Tornando a noi, in Italia nel 1921 era stato elaborato un “progetto
Ferri” dopo che, due anni prima, era stata istituita un’apposita “com-
missione Ferri” incaricata di «proporre le riforme necessarie nel sistema
della legislazione penale per conseguire, in armonia ai principii e me-
todi razionali della difesa della società contro il delitto in genere, un
più efficace e sicuro presidio contro la delinquenza abituale»22. Il pro-

18
M. Pelissero, Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Giap-
pichelli, Torino 2008, pp. 256 sgg.
19
Ivi, pp. 217 sgg.
20
Ivi, p. 221.
21
Ibid.
22
R. D. 14 settembre 1919, art. 1, in Relazione sul Progetto preliminare al Codice Penale Italiano,
Milano 1921.

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I. Cornetti, La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

getto Ferri, che mai venne discusso, proponeva l’adozione di un regime


rigorosamente monistico, nel quale alla pena era sostituita la misura di
sicurezza di durata indeterminata, atteso che «i provvedimenti di difesa
sociale contro la delinquenza devono essere adattati non tanto alla ob-
biettiva gravità maggiore o minore del delitto (...) quanto alla maggiore
o minore pericolosità del delinquente»23.

La trasformazione del sistema del doppio binario

Il sistema del doppio binario si è lentamente trasformato e, sebbene


in modo anche contradittorio e lacunoso, ha reagito ai princìpi della
Costituzione repubblicana, nella quale l’articolo 2 riconosce i diritti in-
violabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali, l’arti-
colo 3 stabilisce la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge,
l’articolo 13 sancisce l’inviolabilità della libertà personale, l’articolo 27
prescrive che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato,
l’articolo 32 tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo,
oltre che come interesse della collettività.
La Corte costituzionale è intervenuta ripetutamente in tema di mi-
sure di sicurezza a partire dagli anni Settanta, per rendere questo stru-
mento coerente e compatibile con i diritti fondamentali della persona,
primo tra tutti quello alla salute.
Nel corso del tempo la stessa Corte ha modificato alcuni suoi orien-
tamenti inizialmente assai restrittivi: per esempio, nella sentenza n.
1/1971 affermava che l’articolo 27 della Costituzione, secondo il quale
le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, non poteva
riferirsi anche alle misure di sicurezza, mentre nella n. 324/1998 ha ri-
conosciuto che anche la misura di sicurezza, in quanto risposta sanzio-
natoria dell’ordinamento alla commissione del reato, deve tendere alla
rieducazione del condannato, principio quest’ultimo che è divenuto
patrimonio costituzionale “vivo” in tempi relativamente recenti, a di-

23
Ivi, p. 4.

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Il sogno della farfalla 2/2019

mostrazione della natura fondamentalmente securitaria delle misure


di sicurezza.
Il più recente intervento normativo in materia di misure di sicurez-
za risale al decreto legge 52/2014, poiché la delega contenuta nella
legge 103/2017 in materia di riforma dell’ordinamento penitenziario
(articolo primo, comma 85) non è stata attuata. Il decreto ha intro-
dotto il termine di durata massima per le misure di sicurezza detentive
(pari alla pena massima prevista o a quella comminata per il reato),
ha escluso – come accennato – che nella valutazione della pericolosità
sociale possano essere prese in considerazione le condizioni di vita fa-
miliare, individuale e sociale della persona, ha disposto la chiusura de-
gli ospedali psichiatrici giudiziari e stabilito che le misure del ricovero
in ospedale psichiatrico giudiziario e in casa di cura e custodia siano
eseguite presso le REMS, le quali, secondo il decreto legge 211/2011,
devono essere a esclusiva gestione sanitaria all’interno, con attività pe-
rimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna. Il decreto del ministro del-
la sanità dell’1.10.2012 ne ha fissato le caratteristiche tecnico-struttu-
rali: esse sono strutture a gestione specificamente ed esclusivamente
sanitaria, dirette da un responsabile medico che ne assume la direzio-
ne sanitaria e amministrativa, con ridotta capienza di posti letto, al
massimo venti, ove si svolgono attività terapeutico-riabilitative per gli
ospiti in raccordo e coordinamento con i servizi psico-sociali territo-
riali.
Il punto più problematico rimane quello della tensione che si crea
tra la disciplina del delinquente pericoloso e alcuni princìpi fondamen-
tali del diritto penale costituzionale, quali quelli dell’uguaglianza, della
ragionevolezza, dell’offensività, della necessaria finalizzazione rieduca-
tiva, tensione cui la giurisprudenza risponde con un approccio caso per
caso, recuperando la discrezionalità del giudice nella decisione del caso
concreto.
In un approccio di questo tipo sono insiti due rischi: che si trasferi-
scano in sede di applicazione della norma questioni che devono essere
affrontate e risolte in sede di legiferazione, secondo regole applicabili
a tutti in via generale e astratta, e inoltre che l’approccio ideologico del
diritto penale d’autore continui a dare i suoi pericolosi frutti, come di-
mostra il tema attualissimo della disciplina sull’immigrazione (con ri-

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I. Cornetti, La pericolosità sociale e le misure di sicurezza

schiosa anticipazione della difesa sociale sino a prevedere la fattispecie


di reato della “persistente violenta pericolosità”24).
Merita di essere ricordato, in conclusione, cosa ebbe a osservare la
Corte costituzionale in una sua decisione del 2010, quando intervenne
a valutare la costituzionalità del decreto legge 92/2008, articolo 1, com-
ma 1 lettera f, convertito con modificazioni dalla legge 125/2008 che
aveva introdotto l’articolo 61 n. 11 bis c.p., ovvero la circostanza aggra-
vante dell’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trovava illegal-
mente sul territorio nazionale.
Con la sentenza n. 249/2010, rilevando la violazione degli articoli 3
(trattamento differenziato ingiustificato tra cittadini, stranieri UE, stra-
nieri non UE) e 25 (per violazione del principio della responsabilità
penale fondata sul fatto della Costituzione, e quindi della sanzione pe-
nale a sua volta collegata a una condotta, e non a una qualità persona-
le), la Corte affermò:

«Questa Corte, in tema di diritti inviolabili, ha dichiarato, in via gene-


rale, che essi spettano “ai singoli non in quanto partecipi di una deter-
minata comunità politica, ma in quanto esseri umani” (sentenza n. 105
del 2001). La condizione giuridica dello straniero non deve essere per-
tanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come
causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nel-
l’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà
fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione con le ga-
ranzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la posizione dei
singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato. Il rigoroso rispetto
dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi
fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente
compimento di atti “del tutto estranei al fatto-reato”, introducendo così
una responsabilità penale d’autore “in aperta violazione del principio
di offensività (...)” (sentenza n. 354 del 2002). D’altra parte “il principio
costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra
la posizione del cittadino e quella dello straniero” (sentenza n. 62 del
1994). Ogni limitazione di diritti fondamentali deve partire dall’assunto
che, in presenza di un diritto inviolabile, “il suo contenuto di valore non
può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non

24
M. Bertolino, Il “crimine” della pericolosità sociale: riflessioni da una riforma in corso, in “Diritto
penale contemporaneo”, 24.10.2016, https://www.penalecontemporaneo.it.

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Il sogno della farfalla 2/2019

in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico


primario costituzionalmente rilevante” (sentenze n. 366 del 1991 e n.
63 del 1994). (...) La contraddizione appena rilevata assume particolare
evidenza dopo la recente modifica introdotta dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 94 del 2009, che ha escluso l’applicabilità dell’aggravante de
qua ai cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea»25.

25
Corte costituzionale, sentenza n. 249/2010, in http://www.giurcost.org/decisioni/2010/
0249s-10.html.

Bibliografia

Bertolino M., Il “crimine” della pericolosità sociale: riflessioni da una riforma in corso, in “Diritto
penale contemporaneo”, 24.10.2016, https://www.penalecontemporaneo.it.
Ferri E., Sociologia criminale (1892), UTET, Torino 1929.
Lombroso C., L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale ed alle
discipline carcerarie (1876), Hoepli, Milano 1976.
Mantovani F., Diritto penale, Cedam, Padova 2001.
Musco E., La misura di sicurezza detentiva. Profili storici e costituzionali, Giuffrè, Milano 1978.
Pelissero M., Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Giappi-
chelli, Torino 2008.
Pradel J., Droit pénal general (1974), Cujas, Paris 2010.
Prins A., La défense sociale et les transformations du droit pénal, Misch et Thron, Bruxelles 1910.

Social dangerousness and security measures


This article deals with the history of social danger and security measures in the Italian legal system.
By analyzing the evolution of these concepts throughout time, the author shows how through segre-
gation they have represented a mean of social control and a reference model of the so-called criminal
law. Safety measures have their origins in the crisis of the Classical law school approach and in
the theoretical development of the Positivist school. They were then consecrated with the introduction
of the double-binary system in the Rocco code in 1930. Although the legislators and law’s judges,
also in regards to safety measures, repeatedly attempted to affirm equality, rationality and offensive
principles along with the educational rehabilitation characterizing the penalty, these laws still
nowadays reaffirm their nature of securitarian treatment for social deviance.
Correspondence to Dr. Ilaria Cornetti: ilaria.cornetti@gmail.com

38
4. Fargnoli F_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 39

La psicopatia in ambito giuridico,


diagnostico e clinico-terapeutico

Francesco Fargnoli, Valentina Zanobini, Simone Belli

«I am not what I am» («Io non sono quello che sono»)1. Questo Iago
confida a Roderigo nella famosa opera di Shakespeare, l’Otello, che,
scritta nel 1603, probabilmente rappresenta ancora una delle più sug-
gestive e note descrizioni della psicopatia prodotte in ambito letterario.
L’essenza di Iago sembra essere racchiusa in quelle poche parole sus-
surrate. Apparentemente amico del generale Otello e della moglie De-
sdemona, nonostante appaia, come scriverebbero alcuni giornalisti og-
gi, “una brava persona”, in realtà Iago è un abile manipolatore, freddo,
privo di emozioni e rimorsi che si mostra capace di compiere qualsiasi
nefandezza pur di distruggere la vita dell’odiato rivale. Nell’ultimo atto,
quando il suo piano di rivalsa è ormai compiuto, Iago uccide fredda-
mente la moglie Emilia. Dopo il suicidio di Otello, rifiuta di spiegare i
motivi delle sue azioni e si chiude in un mutismo assoluto, viene portato
via e Shakespeare ci lascia intendere che la sua punizione sarà la tortura
e la morte.
Allo stato attuale, uno dei problemi forse più rilevanti in ambito fo-
rense è quello delle personalità cosiddette psicopatiche. Negli ultimi
anni sono infatti emerse questioni di natura giuridica e di prassi clinica
che impongono una riflessione sulla reale connotazione della psicopa-
tia.
I soggetti che nelle varie epoche sono stati definiti “folli morali”, “psi-
copatici”, o affetti da “disturbi della personalità” hanno cimentato la

1
W. Shakespeare, Otello, I, 1, 67.

Il sogno della farfalla 2/2019 pp. 39-56


4. Fargnoli F_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 40

Il sogno della farfalla 2/2019

scienza psichiatrica e i sistemi giuridici nella ricerca di una definizione


sempre maggiore dei concetti di malattia mentale, imputabilità e peri-
colosità sociale2. I mass media hanno fatto da cassa di risonanza a questi
dibattiti, influenzando l’opinione pubblica e orientando l’atteggiamen-
to nei confronti dei “folli”, e in particolare dei “folli rei”.
Con l’attuazione della legge 81 del 20143 si è proceduto alla chiusura
definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), nell’ottica di rea-
lizzare una parità di trattamento per i “folli” autori di reato rispetto al
resto dei pazienti psichiatrici. Fino ad allora, infatti, i “folli rei” non era-
no in carico al Servizio sanitario nazionale ma alla medicina peniten-
ziaria, di pertinenza del Ministero di grazia e giustizia.
Al definitivo superamento degli OPG non è seguita né una sostan-
ziale modifica del codice penale né la definizione di una chiara meto-
dologia operativa che, nei fatti, è stata rinviata ad accordi interistituzio-
nali. La legge 81, tuttavia, fornisce una fondamentale indicazione al
giudice: l’accertamento della pericolosità non può più basarsi sulle con-
dizioni sociali, relazionali e di vita del soggetto4. Non può dunque più
costituire elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità so-
ciale la mancanza di un progetto terapeutico individualizzato, deman-
dato ai servizi psichiatrici territoriali.
Inoltre, il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di
sicurezza (REMS) può essere disposto dal giudice, come extrema ratio,
solo qualora non siano attuabili misure di sicurezza non detentive ido-
nee a far fronte alla pericolosità sociale e alla realizzazione di cure ade-
guate. Pare dunque che il legislatore abbia voluto evitare, almeno sulla
carta, di fare delle REMS solo una versione più moderna (a indirizzo
socio-terapeutico-riabilitativo) dei vecchi OPG.
Ne deriva, inevitabilmente, una prospettiva di ruolo del tutto nuova
per la psichiatria territoriale, che, con le già scarse risorse di cui dispo-

2
Per un’accurata ricostruzione storica del dibattito tra psichiatria e giustizia su questi
temi, cfr. G. De Simone, La volontà impensata. Il nodo storico dell’insano rapporto tra giudici e psi-
chiatri, in “Il sogno della farfalla”, 3, 2006, pp. 39-65.
3
“Gazzetta Ufficiale”, 31.5.2014, legge 30 maggio 2014, n. 81, Conversione in legge, con mo-
dificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di supera-
mento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
4
Codice penale, art. 133, punto 4, comma 2.

40
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F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

ne, dovrebbe farsi garante non solo della cura, ma anche della corret-
tezza della condotta dei pazienti autori di reato. Paradossalmente la leg-
ge 81, che ideologicamente può essere considerata figlia della legge
1805, riporta lo psichiatra a compiti di custodia e vigilanza prebasaglia-
ni6, allargando oltre misura i confini della sua posizione di garanzia ver-
so il malato7.
Le REMS non risultano adatte a tutte le tipologie di pazienti. Alcuni
autori ritengono che i pazienti con elevata componente psicopatica ab-
biano infatti bisogno di un percorso terapeutico differenziato, e sareb-
bero meglio gestiti in ambiente penitenziario o in strutture apposite, a
maggiore sicurezza8. Questi utenti rappresenterebbero indicativamente
il 20-30% degli utenti REMS. I dati della letteratura scientifica indicano
che al momento nessun trattamento, né farmacologico né psicoterapi-
co, è efficace negli psicopatici9. Nel resto d’Europa, la maggior parte
dei posti letto dedicati al trattamento dei pazienti “forensi” è in strutture
a bassa e media sicurezza (analoghe alle REMS), mentre circa il 20% è
situato in ospedali ad alta sicurezza dedicati a pazienti psicopatici10. Nel
sistema inglese è addirittura presente una norma, lo psychopatic act, che
consente al magistrato di disporre l’invio in ospedale psichiatrico giu-
diziario di una persona valutata come psicopatica da due psichiatri in-
dipendenti, anche se non ha commesso reati11. Per gli psicopatici non

5
“Gazzetta Ufficiale”, 16.5.1978, legge 13 maggio 1978, n. 180, Accertamenti e trattamenti
sanitari volontari e obbligatori.
6
«(...) il legislatore ha riportato il ruolo dello psichiatra a quello di mezzo secolo fa, un
esperto della segregazione, con buona pace della Legge 180». A. Balbi, M. Biondi, Ombre ed
errori di una legge: il parere dei clinici, in “Rivista di psichiatria”, 50, 2015, pp. 48-49.
7
Tutti i sanitari sono «ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’ob-
bligo di solidarietà costituzionalmente imposto dagli articoli 2 e 32 della Costituzione nei
confronti dei pazienti, la cui salute essi devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne
minacci l’integrità». Corte di Cassazione, Sezione penale IV, 1.12.2004-11.3.2005, n. 9739.
8
M. Biondi et al., Chiusura OPG. Benissimo, ma gli psicopatici non possono stare nelle nuove
REMS, in “Psicoterapia e scienze umane”, 1, 2016, pp. 136-140. L’articolo è reperibile anche
online in “Quotidiano Sanità”, 18.12.2015, https://www.quotidianosanita.it/.
9
M. E. Olver, Treatment of psychopathic offenders: evidence, issues and controversies, in “Journal
of Community Safety & Well-Being”, 1, 3, 2016, pp. 75-82.
10
M. Biondi et al., Chiusura OPG cit.
11
V. Volterra, Psichiatria forense, criminologia e etica psichiatrica (2006), Elsevier Masson, Mi-
lano 2010, pp. 590-591.

41
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Il sogno della farfalla 2/2019

varrebbero dunque i criteri di uguaglianza di trattamento che la legge


81 ha invece sancito per gli altri soggetti con patologie psichiatriche au-
tori di reato.
Questa impostazione è a nostro avviso inaccettabile e impone un’at-
tenta riflessione sull’evoluzione storica e la concezione attuale delle psi-
copatie.
William Walker e John Simpson, alla fine del Settecento, furono as-
solti dalla giustizia inglese dall’accusa di uxoricidio per incapacità (in-
sanity), nonostante l’assenza di franchi segnali di follia. La loro violenza,
verificatasi nel contesto di relazioni stabili, e il loro apparente buon ca-
rattere prima del gesto criminale furono interpretati come il segno di
una malattia che si manifesta solo in termini di agiti violenti12.
L’idea che esistesse una malattia che si sarebbe manifestata solo con
agiti violenti apparentemente inspiegabili, in assenza di alterazioni del
carattere o della ragione, fu poi formulata dalla psichiatria francese e
inglese dell’Ottocento. La prima significativa interpretazione del feno-
meno è stata data da Philippe Pinel, che definì la categoria diagnostica
della “mania senza delirio” (manie sans délire), caratterizzata da «nessuna
alterazione apprezzabile nelle capacità di comprensione, nella perce-
zione, nel giudizio, nell’immaginazione, nella memoria, etc.: ma per-
versione nelle funzioni affettive, impulso cieco a atti di violenza o per-
sino furore sanguinario, senza che si possa individuare alcuna idea
dominante, alcuna illusione dell’immaginazione come causa determi-
nante di queste funeste propensioni»13.
Jean-Étienne Dominique Esquirol e Étienne-Jean Georget sviluppa-
rono il discorso di Pinel proponendo il concetto di “monomania omi-
cida” (monomanie homicide), descrivendo quadri in cui l’agito criminale
era compiuto “a sangue freddo”, senza impeto o furore14.

12
D. W. Jones, Disordered personalities and crime, Routledge, London 2015, pp. 21 sgg.
13
P. Pinel, Traité médico-philosophique sur l’aliénation mentale ou la manie, Richard, Caille et
Ravier, Paris 1801, p. 155 (traduzione nostra, testo originale reperibile online all’indirizzo
https://gallica.bnf.fr/).
14
J.-E.-D. Esquirol, Note sur la monomanie-homicide, Baillière, Paris 1827; E.-J. Georget, Di-
scussion médico-légale sur la folie ou aliénation mentale, suivie de l’examen du procès criminel d’Hen-
riette Cornier, Migneret, Paris 1826 (testi originali reperibili online all’indirizzo
https://gallica.bnf.fr/).

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F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

Nel 1835 James Cowles Prichard definì la “follia morale” (moral in-
sanity) come una «perversione patologica dei sentimenti, degli affetti,
e delle facoltà attive, senza nessuna illusione o convincimento erroneo
nella comprensione: [questa forma di alienazione mentale] a volte
coesiste con un apparentemente intatto stato delle facoltà intellettua-
li»15.
L’utilizzo dell’aggettivo “morale” ha prestato il fianco a interpreta-
zioni colpevolizzanti e religiose, specialmente nella letteratura scienti-
fica anglo-americana16. Erdmann Müller, già nel 1899, notava come «il
termine morale nel concetto di moral insanity è derivato dalla parola
“affettivo” nella terminologia di Esquirol, e la traduzione di moral come
virtuoso o etico è il risultato di un fraintendimento dovuto al doppio
significato del termine»17.
Fino ai primi del Novecento, l’orientamento prevalente della psi-
chiatria tedesca è stato quello di considerare la follia morale e le psico-
patie alternativamente forme fruste di patologia mentale contigue alle
psicosi o alterazioni dello sviluppo su base degenerativa. Nel 1890, Karl
Ludwig Kahlbaum aveva descritto l’“eboidofrenia” (Heboidophrenie), di
fatto una forma di schizofrenia paucisintomatica caratterizzata da un
precoce “indebolimento” affettivo con perdita progressiva del “senso
morale” e tendenza a derive antisociali18.
Secondo Emil Kraepelin le “condizioni psicopatiche” (psychopathi-
schen Zuständen) sarebbero «in parte dei gradi non sviluppati di psicosi
vere e proprie, in parte delle personalità mancate la cui formazione è
stata alterata da influenze ereditarie sfavorevoli, lesioni embrionali, o
altri ostacoli insorti precocemente»19. Tra le personalità psicopatiche,

15
J. C. Prichard, A treatise on insanity (1835), cit. in M. H. Stone (a cura di), Essential papers
on borderline disorders, New York University Press, New York 1986, p. 14.
16
Sui problemi relativi alla traduzione inglese della prima edizione del trattato di Pinel e
alla sua diffusione, cfr. D. B. Weiner, Betrayal! The 1806 English translation of Pinel’s traité médi-
co-philosophique sur l’aliénation mentale ou la manie, in “Gesnerus. Swiss Journal of the History
of Medicine and Sciences”, 57, 2000, pp. 42-50.
17
E. Müller, Über “Moral insanity” (1899), cit. in J. Verplaetse, Localizing the moral sense: neu-
roscience and the search for the cerebral seat of morality. 1800-1930, Springer, Berlin 2009, p. 195
(traduzione nostra).
18
P. Lorenzi, A. Pazzagli, Le psicosi bianche, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 51 sgg.
19
K. Schneider, Le personalità psicopatiche (1923), Giovanni Fioriti, Roma 2008, p. 7.

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rifacendosi appunto alla teoria della degenerazione, Kraepelin inclu-


deva i “nemici della società” (Gesellshaftsfeinde)20.
Il cambiamento di paradigma che a nostro avviso ha però maggior-
mente influenzato il dibattito su questi temi è stato quello operato da
Kurt Schneider. Per lo psichiatra tedesco «le personalità psicopatiche sono
quelle personalità abnormi che per la loro abnormità soffrono o fanno soffrire la
società»21. In quanto «varianti abnormi dell’essere psichico» esse non
possono essere considerate malattie poiché, a differenza di patologie
come la schizofrenia e la ciclotimia, mancherebbero del supposto fon-
damento somatico (la “noxa organica sconosciuta” alla base dell’anda-
mento processuale delle psicosi)22. Definendole come variazioni da una
norma media e non da una norma di valori, Schneider si proponeva di
liberare il concetto di psicopatia dalle connotazioni moralistiche; tut-
tavia, non riconoscendo loro una dignità di malattia, sembra aver fallito
in questo tentativo.
Le concezioni attuali prevalenti sulla psicopatia si fondano infatti su
definizioni tautologiche, prive di fondamento psicopatologico. Secondo
Ugo Fornari, «il disturbo antisociale della personalità», così come è de-
scritto nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM),
«è ricco di tratti specifici ben chiari, che però appartengono a caratteristi-
che del comportamento e non a categorie della psicopatologia (mentire, rubare,
fare a botte, non andare a scuola, fuggire, ubriacarsi ripetutamente o
abusare di sostanze). (...) L’elencazione dei criteri diagnostici tiene conto di
parametri che confondono il piano del disturbo psicopatologico con quelli del-
l’analisi del comportamento e del giudizio etico»23.
La descrizione della psicopatia che più ha avuto successo nella cul-
tura popolare americana è quella dello psichiatra Harvey M. Cleckley24.

20
A. R. Felthous, H. Sass (a cura di), The international handbook of psychopathic disorders and
the law, vol. I, John Wiley & Sons, Chichester 2007, p. 19.
21
K. Schneider, Le personalità psicopatiche cit., p. 5 (corsivo nel testo).
22
K. Schneider, Psicopatologia clinica (1959), Giovanni Fioriti, Roma 2004, pp. 1 sgg.
23
U. Fornari, Trattato di psichiatria forense (1989), UTET, Torino 2015, p. 270 (corsivi nel
testo).
24
Harvey Cleckley è stato anche l’autore, insieme a Corbett Thigpen, del libro del 1957
The three faces of Eve (La donna dai tre volti), dal quale fu tratto un famoso blockbuster hollywoo-
diano dal titolo omonimo che descrive la storia di una donna affetta da “personalità multi-

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F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

Nel suo famoso libro The mask of sanity (La maschera della salute mentale)
del 1941, lo psicopatico viene descritto come un individuo apparente-
mente normale e addirittura affascinante, un manipolatore freddo e
senza scrupoli, abile a dissimulare il suo nucleo patologico e con ten-
denza a una violenza di tipo predatorio e strumentale25.
Nella cultura anglo-americana la psicopatia è concepita, religiosa-
mente, in maniera ambivalente. Lo psicopatico è al tempo stesso temuto
e invidiato. Molti autori fanno infatti riferimento allo “psicopatico pro-
sociale” (in antitesi a quello antisociale) come a un individuo che, sfrut-
tando i tratti di freddezza e manipolazione “a fin di bene” e senza violare
apertamente le norme sociali, ottiene successo e riconoscimento26. Lo
stesso Schneider scriveva: «Il genio è uno psicopatico per la genialità.
Tuttavia il medico non è consultato che per delle personalità conflittua-
li, per gli psicopatici che soffrono o arrecano danno alla società»27.
Sulla concezione di Cleckley si basa la più utilizzata scala psicome-
trica per la psicopatia, la PCL-R di Robert D. Hare28, che elenca tra i
vari item sintomi indicativi di un narcisismo aggressivo, come la men-
zogna patologica e la manipolazione, la mancanza di empatia, rimorso
o senso di colpa, e una serie di attitudini a comportamenti devianti.
Analogo discorso si potrebbe fare per i tratti callous-unemotional (in-
sensibili, non emotivi) descritti da Paul J. Frick dopo averli osservati in
alcuni adolescenti con disturbi della condotta, che sarebbero uno dei
precursori del disturbo antisociale nell’adulto29.

pla”. Su questa descrizione romanzata, che ha contribuito a generare nel secolo scorso una
vera e propria epidemia diagnostica negli Stati Uniti, si basa il controverso e da più parti cri-
ticato “disturbo dissociativo dell’identità” del DSM. A questo proposito, cfr. A. Frances, Mul-
tiple personality . – Is it mental disorder, myth, or metaphor?, in “The Huffington Post”, 30.1.2014,
https:// www.huffingtonpost.com/.
25
H. M. Cleckley, The mask of sanity, Mosby, St. Louis (MO) 1941.
26
Cfr. P. Babiak, R. D. Hare, Snakes in suits: when psychopaths go to work, Regan Books, New
York 2006; A. J. Galang, The prosocial psychopath: explaining the paradoxes of the creative personality,
in “Neuroscience & Biobehavioral Reviews”, 34, 8, 2010, pp. 1241-1248; J. Bercovici, Why
(some) psychopaths make great CEOs, in “Forbes”, 14.7.2011, https://www.forbes.com/.
27
K. Schneider, Le personalità psicopatiche cit., p. 8.
28
R. D. Hare, La psicopatia. Valutazione diagnostica e ricerca empirica, Astrolabio, Roma 2009.
29
P. J. Frick, S. F. White, Research review: the importance of callous-unemotional traits for develop-
mental models of aggressive and antisocial behavior, in “Journal of Child Psychology and Psychia-
try”, 49, 4, 2008, pp. 359-375.

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Il sogno della farfalla 2/2019

Tali costrutti fanno riferimento a supposte alterazioni congenite,


genetiche o del funzionamento cerebrale. Questa “moderna” conce-
zione ci appare come un arretramento rispetto all’intuizione conte-
nuta nei concetti ottocenteschi della monomania e della follia mora-
le. Di fatto la psicopatia è definita in base a una concezione
moralistico-punitiva, e anche le neuroscienze sembrano riproporre
in maniera più sofisticata il concetto di “delinquente-nato” di Cesare
Lombroso30. Alla “fossetta occipitale mediana” si sono sostituite le al-
terazioni morfologiche dell’amigdala31 o i deficit funzionali delle aree
del lobo frontale ritenute sedi anatomiche dell’empatia e del senso
morale32.
Tutto questo porta a un sostanziale nichilismo terapeutico. Il rischio
concreto, peraltro già paventato da Schneider, è quello di «scivolare co-
sì in una rassegnazione fatalista del tipo “è proprio uno psicopatico”»33.
Prima dell’agito sarebbero utili solo strategie pedagogiche, di adesione
a un principio razionale e super-egoico, in modo da inibire e sublimare
le innate tendenze antisociali34; dopo il fatto criminale, solo la punizio-
ne e il controllo comportamentale. La conseguenza di questa concezio-
ne della psicopatia rende incomprensibile il motivo per cui la psichia-
tria dovrebbe occuparsi di questi soggetti. In base a tali presupposti, la

30
E. Musumeci, Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato. Devianza, libero arbitrio,
imputabilità tra antiche chimere ed inediti scenari, Franco Angeli, Milano 2012.
31
O. Contreras-Rodriguez et al., Functional connectivity bias in the prefrontal cortex of psychopaths,
in “Biological Psychiatry”, 78, 9, 2015, pp. 647-655.
32
Y. Yang et al., Localization of deformations within the amygdala in individuals with psychopathy,
in “Archives of General Psychiatry”, 66, 9, 2013, pp. 986-994.
33
K. Schneider, Le personalità psicopatiche cit., p. 57.
34
Il neuroscienziato americano James Fallon è stato protagonista, suo malgrado, di un
fatto curioso: studiando le caratteristiche morfo-funzionali e genetiche di alcuni serial killer,
ha “scoperto” per caso che lui stesso avrebbe l’imaging cerebrale e il corredo genetico “tipico”
degli psicopatici. Sarebbe però diventato uno scienziato di successo e un buon padre di fa-
miglia (family man) grazie all’educazione cattolica ricevuta dalla madre (sic!). Cfr. J. Fallon,
How I discovered I have the brain of a psychopath, in “The Guardian”, 3.6.2014, https://www.the-
guardian.com/. Sorte analoga era capitata, ironicamente, a un illustre antecedente di Fallon,
appunto Lombroso. L’autopsia effettuata all’indomani della morte dello scienziato italiano
repertò che «il peso del cervello era decisamente inferiore alla media e che era in maniera
preoccupante sovraccarico di “pieghe di passaggio”. Segnali inequivocabili che per Lombro-
so e la sua scuola avrebbero suggerito la tipica natura dell’alienato e del criminale». A. Gnoli,
Quel criminale di Cesare Lombroso, in “La Repubblica”, 15.5.1992.

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F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

loro gestione dovrebbe competere esclusivamente a chi detiene il man-


dato di controllo sociale.
Prima della sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite 9163
del 2005, la cosiddetta sentenza “Raso”35, la psichiatria forense si rifa-
ceva al precetto schneideriano per cui i disturbi di personalità, in quan-
to non considerati malattie in senso stretto, non potevano essere inclusi
fra le condizioni patologiche in grado di influire sull’imputabilità. La
sostanziale innovazione della sentenza è che, quando un disturbo di
personalità è di tale «consistenza, intensità, rilevanza e gravità» da inci-
dere concretamente sulla capacità di intendere e volere, questo può le-
gittimare un giudizio di non imputabilità. La sentenza Raso ha avuto
l’indubbio merito di far rientrare nell’ambito della non imputabilità
condizioni cliniche che prima, nonostante la loro evidente gravità, ne
erano escluse, apparentemente in linea con un principio di ispirazione
medica improntato alla cura e non alla pena.
Per giustificare questo cambio di paradigma, nelle motivazioni della
sentenza la Corte di Cassazione è entrata prepotentemente nel merito
del dibattito scientifico sulla natura dei disturbi psichici, affermando
che «non può propriamente parlarsi di crisi dell’imputabilità. In (rela-
tiva) crisi è infatti semmai il concetto di malattia mentale»36. Scrive a
questo proposito la Suprema Corte:

«Ora, è proprio sul versante dei sicuri ancoraggi scientifici che la pro-
posta questione presenta i più rilevanti aspetti di problematicità, in un
contesto in cui la dottrina parla, pressoché unanimemente, di “crisi del-
la psichiatria”, di “una crisi di identità (...) da alcuni anni attraversata”
dalla scienza psichiatrica, risultando “la classificazione dei disturbi psi-
chici quanto mai ardua e relativa, non solo per la mancanza di una ter-
minologia generalmente accettata, ma per i profondi contrasti esistenti
nella letteratura psichiatrica»37.

Se da una parte è comprensibile la difficoltà della magistratura nel-


l’orientarsi rispetto al debole “ancoraggio scientifico” della psichiatria

35
Corte di Cassazione, Sezioni unite penale, sentenza dell’8.3. 2005, n. 9163. Il testo inte-
grale della sentenza è reperibile all’indirizzo https://www.ilsole24ore.com/.
36
Ibid.
37
Ibid.

47
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Il sogno della farfalla 2/2019

contemporanea, è pur vero che la sentenza propone un punto di vista


ambiguo e contraddittorio di continuità tra caratteropatie e malattie
mentali propriamente dette, e opera in base a un pregiudizio anti-no-
sosografico e a una concezione del tutto parziale della storia della psi-
chiatria.
La sentenza, infatti, ricostruisce la storia del pensiero psichiatrico
operando un salto da Kraepelin, considerato il padre del modello bio-
logico della malattia mentale, al freudismo, come espressione del pa-
radigma psicologico. Vengono quindi citati l’antipsichiatria e il concetto
di “disturbo” come sindrome (e non malattia) del DSM. Al di là delle
discutibili semplificazioni contenute in questa ricostruzione, sembra
che per la Corte di Cassazione si possa parlare di malattia solo in pre-
senza di lesioni organiche, e che la critica mossa alla psichiatria come
scienza medica si fondi su questo presupposto. Significativa a questo
proposito ci pare la scarsa attenzione riservata dalla Suprema Corte alla
tradizione psicopatologica continentale.
Le contraddizioni della sentenza Raso risultano più evidenti se si
considerano gli aspetti clinici del caso in questione:

«Verso le ore 4 del 27 dicembre 2001 Gi. Ra., dinanzi alla porta della
propria abitazione, sul pianerottolo condominiale, esplodeva due colpi
di pistola all’indirizzo di Vi. Al. (...) provocandone la morte. [Agli]
Agenti della Polizia di Stato, prontamente intervenuti (...) questi escla-
mava (...): “Sono stato io, così ha finito di rompere”. (...) l’omicidio era
maturato in un clima di ripetuti diverbi condominiali, originati da pre-
sunti rumori dell’autoclave provenienti dall’appartamento della vittima,
posto al piano superiore rispetto a quello dell’omicida, che più volte
avevano indotto Gi. Ra. a disattivare, recandosi in cantina, l’impianto
della energia elettrica: tanto era avvenuto anche quella mattina e, risa-
lendo l’omicida (...) aveva incontrato Vi. Al. [che evidentemente si stava
recando a controllare l’origine della mancanza di elettricità]: ne era sca-
turita l’ennesima lite che si era conclusa in quella maniera tragica»38.

Occorre tuttavia aggiungere, come ricordato anche da Stefano Fer-


racuti39, che quelle circa il rumore provocato dall’autoclave erano più

38
Ibid.
39
S. Ferracuti, Imputabilità e infermità mentale, relazione presentata in occasione delle XVI

48
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F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

che semplici lamentele. L’omicida infatti, un modesto ebanista, si era


trasferito nel condominio, allora un caseggiato popolare, subito dopo
la guerra. Con il tempo si erano avvicendati nuovi inquilini, per la mag-
gior parte professionisti benestanti di estrazione borghese. Questo aveva
contribuito a far crescere nell’omicida un sentimento patologico di in-
feriorità e rivalsa, che con il tempo era esitato nella convinzione (o me-
glio nella chiara percezione, in base a quanto da lui stesso riportato)
che l’inquilino del piano superiore, un avvocato, durante la notte azio-
nasse nel suo appartamento dei macchinari che producevano un ru-
more continuo, con il preciso scopo di non farlo dormire. Per questo
motivo aveva negli anni presentato numerose segnalazioni ai carabinie-
ri, pretendendo controlli che ovviamente avevano dato un riscontro ne-
gativo. Ciò nonostante l’omicida affermava che evidentemente l’avvo-
cato riusciva a nascondere questi macchinari nelle pareti di casa in
occasione dei sopralluoghi.
A questo punto appare legittimo pensare che la sentenza si basi su
una valutazione peritale quantomeno dubbia. Il caso evidenzia in ma-
niera paradigmatica il problema, già denunciato da Domenico Fargnoli
in un articolo apparso su “Il sogno della farfalla” nel 2014, dei “falsi ne-
gativi” nella diagnosi di schizofrenia:

«La diagnosi di schizofrenia è sempre meno utilizzata in ambito forense


e accademico (...) per il fatto che si riesce a riconoscere solo le forme
disorganizzate, ricche di sintomi positivi, con evoluzione quasi demen-
ziale, mentre le altre forme, più sfumate, non vengono intercettate e
sottoposte ad adeguato trattamento»40.

Il comportamento freddo, lucido e la premeditazione (l’omicida si


era recato in cantina armato) evidentemente hanno fuorviato i periti e
i magistrati che, come molti psichiatri clinici, sembrano non concepire
la patologia mentale se non in presenza di una alterazione dell’io co-
sciente.

Giornate psichiatriche ascolane, nel 2013. La registrazione video dell’intervento è reperibile


online sul canale YouTube Psychiatry On Line Italia Videochannel, all’indirizzo https://www.you-
tube.com/watch?v=havpwoI9eXo.
40
D. Fargnoli, Schizofrenia, imputabilità e infermità mentale, in “Il sogno della farfalla”, 1, 2014,
pp. 52-53.

49
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Il sogno della farfalla 2/2019

Ha scritto Andrea Masini:

«Ed è proprio questo che sconcerta più di ogni altra cosa, questa lucidi-
tà, questa coscienza (...). Di fronte a soggetti con disturbo antisociale di
personalità si prova spesso l’angosciosa sensazione di fronteggiare qual-
cuno che “lo fa apposta”, lo fa per fare male, si comporta da delinquen-
te. Potremmo dire che compiono le loro azioni in piena coscienza, pur
non avendo mai quella che si chiama coscienza di malattia. Ma questa
affermazione apre il problema se è possibile una malattia che è “coscien-
te”, anche se non nel senso di consapevole»41.

L’assenza di un contenuto delirante manifesto non sarebbe peraltro


sufficiente a escludere la diagnosi di schizofrenia, specie di fronte ad
agiti senza motivo (ohne Anlass): secondo Henri Ey, l’antisociale si avvi-
cinerebbe allo psicotico nella misura in cui «il passaggio all’atto sosti-
tuisce l’elaborazione delirante»42.
Il problema delle diagnosi misconosciute deriva anche, a nostro av-
viso, dalla concezione dominante sulla psicopatia. Al di là delle mani-
festazioni comportamentali, la maggior parte degli studiosi identifica
in tre aspetti nucleari il vero core della psicopatia: deficit di empatia, co-
gnitività ipertrofica e presenza della maschera43. Tradotti in una pro-
spettiva psicopatologica, si dovrebbe più correttamente concettualizzarli
come tre dei sintomi “patognomonici” delle schizofrenie semplici e
paucisintomatiche: rispettivamente anaffettività, razionalismo morboso
e manierismo44.

41
A. Masini, «Coloro che fanno soffrire...». Riflessioni sul disturbo antisociale di personalità, in “Il
sogno della farfalla”, 3, 1995, p. 74.
42
H. Ey, P. Bernard, C Brisset, Manuale di psichiatria (1979), cit. in A. Masini, «Coloro che
fanno soffrire...» cit., p. 63.
43
La ruminazione di marca paranoide e il narcisismo “predatorio”, così come descritto da
Otto Kernberg, più che l’impulsività “evacuativa” mista a sentimenti di colpa tipica del “bor-
derline”, rappresenterebbero la cifra caratteristica dello psicopatico. Cfr. C. Maffei, Il disturbo
borderline di personalità (2005), cit. in U. Fornari, Trattato di psichiatria forense cit., p. 271. L’im-
pulsività rabbiosa del borderline non deve essere confusa con gli agiti violenti e imprevedibili
attraverso i quali si può palesare istantaneamente la percezione delirante. Su questo tema
cfr. D. Fargnoli, Il mutamento del mondo, in “Il sogno della farfalla”, 4, 2012, pp. 81-112, e Id.,
Schizofrenia, imputabilità e infermità mentale cit.
44
«Il manierismo si rivela come una modalità attiva di mimare dei sentimenti estranei al-
l’azione nell’azione». F. Barison, Il manierismo schizofrenico (1948), cit. in D. Fargnoli, Schizo-
frenia, imputabilità e infermità mentale cit., p. 34. Sul legame tra anaffettività e manierismo schi-

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F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

Nella sua celebre monografia, Eugen Bleuler acutamente notava a


proposito della forma simplex di schizofrenia:

«I malati introducono l’incertezza nel mondo sotto la bandiera della


psicopatia, della degenerazione, della moral insanity, dell’alcolismo, e
forse, ancora più frequentemente, sotto quella della salute [mentale]»45.

Ha scritto lo psichiatra Massimo Fagioli ne La marionetta e il burattino:

«La realtà non materiale dello schizofrenico semplice, così accuratamen-


te nascosta, è il contenuto più latente, più invisibile della malattia men-
tale. Il pensiero puro. (...) il vero schizofrenico semplice, anche nella
rabbia, anche nell’odio, anche nell’omicidio, è indifferente, perché è
anaffettivo. Non riesce a ritrovare il corpo, non riesce a ritrovare l’odio
e la rabbia, l’umano di sé. Uccide e recita. Gestisce l’odio, la rabbia come
se fossero cose inanimate, maschere inanimate. Recita per non essere
sempre completamente indifferente. Raptus strano. Sembra arrabbiato e
non è vero, sembra odiare e non è vero. È scena. Ma è pericoloso»46.

Tutto questo ci impone di non limitarci a prendere in considerazio-


ne ai fini diagnostici esclusivamente il comportamento, ma di andare a
ricercare caso per caso il “nucleo generatore” dell’agito criminale.
Afferma ancora Fagioli in un’intervista del 2001, a commento di al-
cuni fatti di cronaca riguardanti delitti inspiegabili commessi da indivi-
dui apparentemente normali:

zofrenico (e sulla differenza tra questo e la teatralità isterica) cfr. A. Cantini, Il manierismo
schizofrenico. Un’introduzione storica, in “Il sogno della farfalla”, 3, 1997, pp. 3-9. Il «razionalismo
morboso» interviene a compensare quello che Eugène Minkowski considerava il «disturbo
essenziale della schizofrenia», cioè la perdita del «contatto vitale [affettivo, non riflessivo]
con la realtà». E. Minkowski, La schizofrenia. Psicopatologia degli schizoidi e degli schizofrenici
(1953), Einaudi, Torino 1998, pp. 46 sgg. A Minkowski fanno esplicito riferimento Louis
Sass e Josef Parnas con i loro concetti di “iperriflessività” e “diminuita presenza del sé”. L. A.
Sass, J. Parnas, Schizophrenia, consciousness, and the self, in “Schizophrenia Bulletin”, 29, 3, 2003,
pp. 427-444. Per una rivisitazione critica del concetto di schizofrenia semplice, cfr. D. Far-
gnoli, P. Bisconti, F. Fargnoli, La schizofrenia simplex e il delirio: aspetti storici e concezioni attuali,
in “Il sogno della farfalla”, 1, 2015, pp. 9-57.
45
E. Bleuler, Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie (1911), Polimnia Digital Editions,
Sacile (PN) 2017, p. 230.
46
M. Fagioli, La marionetta e il burattino (1974), L’Asino d’oro edizioni, Roma 2011, pp. 76-
77.

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Il sogno della farfalla 2/2019

«Noi psichiatri dobbiamo smettere di considerare che la malattia men-


tale è solamente un’alterazione del comportamento, un’alterazione del-
la coscienza; c’è qualcosa sotto questa coscienza e questo comportamen-
to che è stato perfetto fino a questo punto»47.

Per come è definito attualmente, secondo diversi autori il concetto


di psicopatia sarebbe riduttivo e non funzionale a una corretta inter-
pretazione del comportamento violento48. Per Dorothy Otnow Lewis:

«La concezione e la conseguente reificazione della diagnosi di “psico-


patia” hanno (...) ostacolato la comprensione della criminalità e della
violenza. (...) Secondo Hare, in molti casi non è necessario neanche in-
contrare il paziente. Basta rovistare tra i documenti [che lo riguardano]
per trovare gli item che sembrano adattarsi [alla descrizione di psico-
patia]. Questo non ha senso. Nell’opinione di chi scrive, psicopatia e i
suoi sinonimi (per esempio sociopatia e personalità antisociale) sono
diagnosi pigre»49.

A nostro avviso certi agiti criminali, che per le loro caratteristiche di


violenza e efferatezza si configurano come un quid novi, quid pluris ri-
spetto alla storia e al contesto di vita del soggetto, dovrebbero quanto-
meno far supporre la presenza di una processualità psicotica.
Secondo Domenico Fargnoli l’omicidio in questi casi «assume un si-
gnificato “apofanico”»:

«esso appare improvvisamente, come per una rivelazione, una necessità


assoluta e inderogabile cui è demandata la soluzione di un problema
che solo il soggetto agente vede. (...) in quanto agire imperativo che ac-
ceca l’individuo che deve portarlo a termine a ogni costo, provoca una
“rottura” irreparabile con il mondo-ambiente. Percezione delirante e
azione sono presenti contemporaneamente, in un’istantanea correla-
zione ideomotoria, come due facce della stessa medaglia. L’azione ha il
carattere dell’autismo “povero” di Minkowski, una sorta di delirante stra-

47
M. Fagioli, Normalità assassina, in “Il sogno della farfalla”, 3, 2001, p. 31.
48
G. D. Walters, The trouble with psychopathy as a general theory of crime, in “International Jour-
nal of Offender Therapy and Comparative Criminology”, 48, 2, 2004, pp. 133-148.
49
D. Otnow Lewis, Adult antisocial behavior, criminality, and violence, in B. J. Sadock, V. A. Sa-
dock, P. Ruiz (a cura di), Kaplan & Sadock’s comprehensive textbook of psychiatry (1967), Walter
Kluwer, Philadelphia 2017, pp. 6191-6192 (traduzione nostra).

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4. Fargnoli F_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 53

F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

tegia “terapeutica” che va contro la realtà umana e si risolve in un an-


nientamento dell’altro»50.

Per quanto detto finora la psichiatria contemporanea, oscillando tra


il riduzionismo degli organicisti e l’anti-nosografia del pensiero debole,
perde di credibilità51 e si trova impreparata ad affrontare le difficili sfide
che si impongono nel trattamento di questo tipo di pazienti. Fare una
diagnosi corretta, fondata su solide fondamenta psicopatologiche e su
una precisa teoria del funzionamento della mente umana, è il primo
passo per ipotizzare la possibilità di una cura anche in questi casi con-
siderati a priori intrattabili52.
Rimane un dato di realtà affermare che vi sono patologie che, per la
loro gravità, hanno una prognosi infausta e dove anche il controllo far-
macologico del comportamento ha dei limiti evidenti. Per questi casi
selezionati occorre pensare a contesti comunitari dove, pur garantendo
la sicurezza dei pazienti e del personale sanitario, non si confonda la se-
gregazione con la cura. Mentre il legislatore e la politica sembrano voler
surrettiziamente attribuire alla psichiatria un compito di difesa della si-
curezza sociale, con tutti i rischi di deriva reazionaria che questo com-
porta, i clinici dovrebbero piuttosto rivendicare il loro ruolo medico e
terapeutico53. Con l’organizzazione attuale dei servizi di salute mentale
il pericolo è quello che, sotto la spinta del ricatto del controllo sociale,
i percorsi di “cura” siano improntati unicamente al contenimento com-
portamentale, attraverso collocazioni residenziali che di fatto sembrano
configurarsi come una strisciante manicomializzazione di ritorno54.

50
D. Fargnoli, Schizofrenia, imputabilità e infermità mentale cit., p. 50.
51
«La psichiatria sopravvivrà come attività terapeutica perché i pazienti non spariranno.
Tuttavia, la psichiatria che nega le proprie fondamenta psicopatologiche (...) rischia di scom-
parire come disciplina medica». J. Parnas, The RDoC program: psychiatry without psyche?, in
“World Psychiatry”, 13, 1, 2014, p. 47 (traduzione nostra).
52
In contrasto a quanto sostenuto dalla psichiatria di ispirazione basagliana che rifugge
dalla diagnosi in quanto “stigmatizzante”, sul «carattere terapeutico della nozione di schizo-
frenia» cfr. E. Minkowski, La schizofrenia cit., pp. 157 sgg.
53
Cfr. l’intervista a Massimo Fagioli apparsa su “Left” in occasione della chiusura degli
OPG: D. Coccoli, Il problema è la cura. Non le mura, in “Left”, 28.2.2015, pp. 40-43.
54
M. Di Fiorino, F. Ungaretti dell’Immagine, R. F. Marin, Il bisogno di un luogo per la cura, La Vela,
Viareggio 2018. Sulla mentalità penitenziaria e il concetto della “pena” alla base dell’istituzione
manicomiale e del carcere cfr. D. Fargnoli, Carceri senza giustizia, in “Left”, 19.1.2018, pp. 20-22.

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4. Fargnoli F_Sogno1 11/03/19 10:41 Pagina 54

Il sogno della farfalla 2/2019

In termini più psicoterapici si delineano a nostro avviso due ordini


di problemi. Il primo è relativo alla non adeguata formazione personale
dei giovani psichiatri e degli operatori della salute mentale (infermieri,
educatori, riabilitatori eccetera) che li espone in questi casi a tutte le
insidie derivate dalla cattiva gestione delle dinamiche controtransfera-
li55. Il secondo problema riguarda il setting non libero in cui vengono
trattati i pazienti cosiddetti psicopatici nelle istituzioni, in quanto è dif-
ficilmente concettualizzabile una psicoterapia coatta in un contesto di
privazione della libertà o finalizzata, più o meno apertamente, al con-
trollo sociale e non alla cura.
Contribuiscono a limitare fortemente le possibilità di un trattamento
efficace in questo campo le condizioni disumane in cui versa il sistema
penitenziario, dove di fatto si trovano molti di questi pazienti, che trop-
po spesso agisce come un moltiplicatore di patologia mentale e recidiva
criminale56.
Come abbiamo cercato di dimostrare, a causa della confusa situazio-
ne istituzionale sviluppatasi in seguito alla chiusura degli OPG, la psi-
chiatria territoriale, impreparata in termini di personale, apparato teo-
rico e strutture adeguate, rischia di essere travolta da questa verità
negata: la malattia mentale esiste, non è una variante abnorme della
normalità e, in casi particolari, se non correttamente riconosciuta e af-
frontata può portare a comportamenti violenti anche molto gravi.

55
Cfr. O. Kernberg, Disturbi gravi della personalità (1984), Bollati Boringhieri, Torino 1997,
pp. 300 sgg.
56
G. Nicolò, S. Ferracuti, F. Veltro, Rems/1. Il carcere per malati di mente autori di reato non è la
soluzione per “liberarle”, in “Quotidiano Sanità”, 13.3.2017, https://www.quotidianosanita.it/; D.
Fargnoli, Carceri senza giustizia cit.

54
4. Fargnoli F_Sogno1 13/03/19 10:22 Pagina 55

F. Fargnoli, V. Zanobini, S. Belli, La psicopatia in ambito giuridico, diagnostico e clinico-terapeutico

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Psychopathy in the legal, diagnostic and clinical-therapeutic field


Over the last few years legal and clinical issues have arisen in Italy, stimulating a debate on the
real nature of psychopathy. The implementation of law n. 81 (2014) determined the final closure
of the OPG (judicial psychiatric hospitals) with the objective of realizing an equal treatment for
mentally ill patients charged for crimes as for the other psychiatric patients. However, many authors
believe that the so-called psychopathic patients, who since the verdict of Court of Appeal Sezioni
Unite “Raso” in 2005 cannot be considered imputable, would be better managed in a penitentiary
environment or in high security facilities rather than in the existing REMS (residencies for safety
measure executions). Paradoxically law n. 81, which is ideologically in line with law n. 180
(1978), leads the psychiatrist back to the role of vigilant and caretaker as it was before Basaglia’s
reform. By critically tracing the historical evolution of the concept of psychopathy, the authors pro-
pose a different perspective retrieving classical psychopathology and diagnosis as the basis of a psy-
chiatry model not willing to abdicate its medical role.
Correspondence to Dr. Francesco Fargnoli: francescofargnoli@hotmail.it

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5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 57

Adolescenza e psicopatia

Maria Gabriella Gatti

“La banalità del male”: con queste parole Hannah Arendt descrive i
crimini del terzo Reich e afferma:
«Il guaio, nel caso di Eichmann, è che uomini come lui ce ne erano tanti
e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono
tutt’ora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni
giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più atroce di tutte
le atrocità messe insieme, poiché implica (...) che questo nuovo tipo di
criminale (...) commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli im-
pediscono di accorgersi o di sentire che agisce male».

«Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che


quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la le-
zione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile, banalità del male»1.

Quindi “il male” per la filosofa è come una sorta di stato mentale in
cui si accede per circostanze tali da oscurare la coscienza, la vista, il pen-
siero e il sentire. È un elemento connaturato agli esseri umani ed emer-
ge nella sua banale normalità quando viene meno la razionalità, o
meglio, quando si modifica l’assioma razionale per l’influenza di circo-
stanze sociali, come sostiene lo psichiatra Zimbardo con la teoria situa-
zionalistica2. La cura proposta da questo psichiatra consiste in “alcune

1
H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 2013, pp. 259
e 282.
2
P. Zimbardo, The Lucifer effect. Understanding how good people turn evil, Random House,
New York 2007.

Il sogno della farfalla 2/2019 pp. 57-65


5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 58

Il sogno della farfalla 2/2019

regole d’oro” che dovrebbero aiutarci a resistere alle influenze sociali


indesiderate e promuovere la resilienza personale e la virtù civica.
Come può il pensiero razionale curare se stesso? Né la Arendt né
Zimbardo hanno tenuto conto della realtà non cosciente propria del-
l’essere umano, che dà senso alla vita e ai rapporti. Essa è la sola che
può comprendere il gelo che si impossessa dei cuori quando si annul-
lano i propri simili, ed è la sola ad avere la scienza per curarli, attraverso
la ricerca sulla malattia mentale e la scoperta della pulsione di annulla-
mento.
Quasi ogni giorno vengono annunciati dai media omicidi efferati,
violenze fisiche o psicologiche entro le mura domestiche. In assenza,
da parte della mente cosciente, di una spiegazione a questa fredda bru-
talità si fa riferimento a influenze demoniache. In realtà, nella maggior
parte dei casi, il volto, o meglio la maschera, dell’apparente normalità
che si nasconde dietro questi episodi è proprio quello di uno psicopa-
tico.
Capire e prevenire questa malattia mentale è importante perché ha
notevoli implicazioni fisiche, psicologiche e sociali per la collettività. I
soggetti psicopatici creano, infatti, elevati costi alla società sia in termini
di criminalità, sia emozionali rispetto alle persone che incontrano e che
ne sono vittime. Nonostante rappresentino solo una minoranza, circa
il 15-30%, della popolazione carceraria, essi commettono una percen-
tuale più alta di crimini e sono più propensi a commettere atti violenti
e delitti di vario genere3.
Secondo Nigel Blackwood, uno dei principali psichiatri forensi del
King’s College di Londra, i soggetti adulti possono essere trattati o ge-
stiti, ma difficilmente curati, mentre la sfida con i bambini che hanno
sintomi prodromici potrebbe non essere impossibile4. Curare la psico-
patia in età adulta è considerata una sfida difficile, quindi comprendere
come e quando essa inizia a svilupparsi è una parte importante della ri-
cerca psichiatrica, che può indicare cosa possano fare i genitori, gli in-

3
S. D. Hart, R. D. Hare, Psychopathy and antisocial personality disorder, in “Current Opinion
in Psychiatry”, 9, 1996, pp. 129-132.
4
S. Gregory et al., Punishment and psychopathy: a case-control functional MRI investigation of
reinforcement learning in violent antisocial personality disordered men, in “The Lancet Psychiatry”,
2, 2, 2015, pp. 153-160.

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5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 59

M. G. Gatti, Adolescenza e psicopatia

segnanti e le istituzioni per prevenire il rischio che i bambini crescendo


si ammalino: l’unico strumento possibile sembra quello di cogliere i
primi sintomi durante l’infanzia.
Se ci rivolgiamo alla letteratura psichiatrica corrente, vediamo che
per raggiungere lo scopo di una diagnosi precoce molti studiosi hanno
preso in considerazione il disturbo oppositivo-provocatorio (DOP, nato
come disordine di personalità oppositiva e provocatoria nel 1955, secon-
do la terminologia adottata dal Group for the Advancement of Psichia-
try) e il disturbo della condotta (DC). Entrambi descritti nella sezione
dei “Disturbi da comportamento dirompente” (DCD) del DSM-IV 5, sono
attualmente tra le patologie psichiatriche per le quali, con più frequen-
za, viene richiesta una consultazione nei servizi di neuropsichiatria in-
fantile.
Nello sviluppo del bambino ci sono periodi durante i quali è nor-
male opporsi alla volontà degli altri per realizzare la propria identità.
Tale processo si verifica in una prima fase tra i 18 e i 36 mesi e succes-
sivamente in maniera più definita e identitaria durante l’adolescenza,
quando è essenziale un distacco dai genitori per la formazione di un’au-
tonomia individuale.
Un certo grado di comportamento negativistico e oppositivo è un
normale aspetto dello sviluppo; viene considerato patologico quando è
esasperato: il bambino reagisce in modo rabbioso, ostile, sfida continua-
mente gli adulti, le situazioni pericolose e colpevolizza gli altri dei propri
errori. La diagnosi viene applicata se la sintomatologia causa un’altera-
zione clinicamente significativa nella vita affettiva, sociale e scolastica.
Il disturbo oppositivo-provocatorio può precedere in alcuni casi il
disturbo di condotta, che rappresenta un problema psichiatrico critico
perché interferisce con lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti6. Si

5
American Psychiatric Association, DSM-IV. Diagnostic and statistical manual of mental disor-
ders, APA, Washington D.C. 1994. Cfr. anche D. M. Levy, Oppositional syndromes and oppositional
behavior, in P. H. Hoch, J. Zubin (a cura di), Psychopathology of childhood, Grune & Stratton,
New York 1955, pp. 204-226.
6
J. D. Burke, R. Loeber, B. Birmaher, Oppositional defiant and conduct disorder: a review of the
past 10 years, II, in “Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry”, 41,
2002, pp. 1275-1293; R. Loeber, D. P. Farrington, Youth children who commit crime: epidemiology,
developmental origins, risk factors, early interventions, and policy implications, in “The Development
of Psychopathology”, 12, 2000, pp. 737-762.

59
5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 60

Il sogno della farfalla 2/2019

distingue una forma più lieve, con frequenti episodi di assenze scolasti-
che, fughe da casa, fare tardi la sera senza avvisare i genitori, e una for-
ma più grave caratterizzata da aggressività e violenza. Il diminuito inte-
resse per l’attività scolastica può portare molto spesso all’abbandono
dell’iter educativo, con conseguente emarginazione sociale. In ambito
familiare si può avere una conflittualità verbale fino ad agiti aggressivi.
L’ingresso in gruppi con condotte di devianza può portare a furti, atti
di vandalismo, bullismo e a uso di sostanze. La violenza può arrivare al
punto di far commettere stupri e aggressioni di vario genere. L’insor-
genza dei sintomi in un’età precoce conduce con più frequenza alla
cronicizzazione e a una maggiore gravità delle manifestazioni7.
Nella letteratura internazionale, i disturbi di condotta sono descritti
come entità cliniche relativamente stabili in quanto possono evolvere
dopo l’adolescenza nel disturbo antisociale di personalità. Gli autori
del DSM e degli studi cui fanno riferimento le varie categorie di classi-
ficazione patologica8 si limitano a elencare le manifestazioni coscienti
senza alcun approfondimento interpretativo del non cosciente e della
psicopatologia. Le cause sono attribuite ad alterazioni organiche del
cervello, a modificazioni genetiche o a un’educazione poco efficace e
non adeguata.
I bambini e gli adolescenti con disturbi di condotta, così come sono
descritti dal DSM, rappresentano in realtà un gruppo troppo eteroge-
neo dal punto di vista della psicopatologia, in quanto includono diffe-
renti tipologie e severità prognostiche che comportano risposte tera-
peutiche molto differenziate.
Per la necessità di identificare all’interno di questo ampio gruppo i
bambini con prognosi peggiore, sono stati individuati dai ricercatori
dei tratti definiti callous-unemotional (insensibile, non emotivo)9 che, se

7
R. Loeber, K. Keenan, Interaction between conduct disorder and its comorbid conditions: effects
of age and gender, in “Clinical Psychology Review”, 14, 6, 1994, pp. 497-523.
8
J. Biederman, S. V. Faraone, Further evidence of a bidirectional overlap between juvenile mania
and conduct disorder in children, in “Journal of American Academy of Child and Adolescent
Psychiatry”, 38, 1999, pp. 468-476; P. Cohen, M. Flory, Issues in the disruptive behavior disorders:
attention deficit disorder without hyperactivity and the differential validity of oppositional defiant and
conduct disorder, in American Psychiatric Association, DSM-IV cit., pp. 455-463.
9
L’espressione callous-unemotional viene riferita dai ricercatori a una sintomatologia di

60
5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 61

M. G. Gatti, Adolescenza e psicopatia

presenti fin dall’età scolare, associati al disturbo della condotta possono


essere in grado di predire la psicopatia in adolescenza e in età adulta10.
Molti studi evidenziano una stretta associazione tra esordio precoce
di comportamenti antisociali e tratti callous-unemotional 11. Questa sinto-
matologia è stata riscontrata nel 28% circa dei bambini che giungono
all’attenzione dei clinici per problemi di condotta a esordio precoce12;
se presente in età prescolare essa è predittiva di comportamenti aggres-
sivi entro i 6 mesi successivi, mentre i bambini con problemi di condot-
ta, ma senza questo tratto, mostrano un’aggressività soprattutto reatti-
va13.
Ricerche condotte su adolescenti hanno evidenziato la correlazione
tra la presenza del sintomo callous-unemotional, la gravità degli atti ag-
gressivi commessi e la scarsa risposta al trattamento14. Questi studi han-
no permesso di aggiungere il sintomo, all’interno del DSM-5, nel di-
sturbo di condotta15, inserito in una sezione modificata rispetto al
DSM-IV. In quest’ultimo erano già presenti la mancanza di rimorso e
di senso di colpa, l’assenza di empatia e di preoccupazione per le pro-
prie performance in ambito scolastico o in altre attività, iper-razionalità
e premeditazione calcolata. Il bambino così rappresentato è capace di
mentire con una spudoratezza sconcertante riguardo ad atti violenti,
spesso premeditati, come possono essere la sottomissione fisica e psi-
cologica di un coetaneo.

tipo cosciente. Va quindi fatta la differenza con il termine “anaffettivo” utilizzato dallo psi-
chiatra Massimo Fagioli in relazione alla ricerca sulle dinamiche non coscienti.
10
P. J. Frick et al., The association between anxiety and psychopathy dimensions in children, in “Jour-
nal of Abnormal Child Psychology”, 27, 5, 1999, pp. 383-392.
11
R. T. Salekin et al., Psychopathy and comorbidity in a young offender sample: taking a closer look
at psychopathy’s potential importance over disruptive behavior disorders, in “Journal of Abnormal
Psychology”, 113, 3, 2004, pp. 416-427.
12
R. Christian et al., Psychopathy and conduct problems in children, II. Implications for subtyping
children with conduct problems, in “Journal of the American Academy of Child and Adolescent
Psychiatry”, 36, 2, 1997, pp. 233-241.
13
P. J. Frick et al., Callous-unemotional traits and conduct problems in the prediction of conduct pro-
blem severity, aggression, and self-report of delinquency, in “Journal of Abnormal Child Psychology”,
31, 4, 2003, pp. 457-470.
14
Ivi.
15
American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders. DSM-5,
American Psychiatric Publishing, Washington D.C. 2013.

61
5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 62

Il sogno della farfalla 2/2019

Sebbene la prognosi di questi ragazzi risulti spesso negativa se com-


parata a quella di coetanei con altre problematiche16, intervenire il più
precocemente possibile potrebbe rendere l’intervento terapeutico più
efficace. In quest’ottica è fondamentale il ruolo delle famiglie e delle
scuole, che hanno la responsabilità di identificare e segnalare i com-
portamenti sospetti.
L’adolescenza è una tappa fondamentale, caratterizzata da un note-
vole cambiamento fisico che definisce l’identità sessuale permettendo
una trasformazione psichica: mente e corpo fusi insieme per la realiz-
zazione del rapporto uomo-donna che coinvolge il primo anno di vita
indefinito e irrazionale. Se le relazioni affettive degli anni precedenti
sono state fallimentari non ci sarà alcuna fusione ma una dissociazione
con un’impossibilità trasformativa e la comparsa di malattia.
I disturbi di condotta negli adolescenti non sfidano soltanto la psi-
chiatria ma coinvolgono anche le istituzioni giuridiche. I tribunali e le
procure minorili devono essere formati e specializzati a trattare con i
minori, competenze che si ottengono con la continuità dell’esperienza
e con la collaborazione di psicologi, pedagogisti e servizi sociali terri-
toriali. Le procure e i tribunali minorili italiani, pur tra molte difficoltà,
sia nel penale che nel civile hanno come fine la prevenzione e lo svi-
luppo sano dei ragazzi e non la repressione: sono stati presi come
esempio dal Parlamento europeo per la compilazione della direttiva
europea del “Giusto processo penale minorile”, ancora in fase di rea-
lizzazione17.
L’articolo 97 del codice penale stabilisce che non è imputabile chi
non ha compiuto 14 anni, mentre è imputabile chi ha un’età tra i 14 e
i 18 anni se ha capacità di intendere e volere. Naturalmente, la capacità
di intendere e volere non è subordinata a uno stato patologico, come
avviene per l’età adulta, ma è connessa alle caratteristiche dell’età del
minore. A questo proposito la giurisprudenza ha coniato il concetto di
“immaturità”, una condizione di inadeguato sviluppo che porta all’im-
punibilità. Per attestare l’immaturità del soggetto sono prese in consi-

16
P. J. Frick, E. Viding, Antisocial behavior from a developmental psychopathology perspective, in
“Development and Psychopathology”, 21, 4, 2009, pp. 1111-1131.
17
G. Sambuco, Cultura penale e spirito europeo, in “Archivio penale”, 2016, pp. 1-3.

62
5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 63

M. G. Gatti, Adolescenza e psicopatia

derazione condizioni psicologiche di carenza affettiva relativa a proble-


matiche familiari; ultimamente è stata considerata anche la deprivazione
sociale riscontrabile in famiglie disgregate e con difficoltà economiche
dovute alla disoccupazione o all’immigrazione.
Il reo minore sotto ai 14 anni non è imputabile, ma può essere sot-
toposto a misure amministrative, cioè rieducative, e a misure di sicurez-
za, che consistono nell’inserimento in una comunità, se ne viene accer-
tata la pericolosità sociale, ossia che possa commettere altri reati. Alle
stesse misure può essere sottoposto il minore di 18 anni se prosciolto.
I ragazzi tra i 14 e i 18 anni che vengono giudicati colpevoli possono
essere condannati a una pena detentiva diminuita di un terzo.
Più frequentemente il giudice può decidere, in base al nuovo codice
di procedura penale del 1988, l’utilizzo dell’articolo 9 (D.P.R. 448/48),
che prescrive l’adozione della misura “della messa alla prova”, pensata
per coinvolgere maggiormente il minore in un processo di responsabi-
lizzazione. Alcuni magistrati non condividono questa nuova visione del
processo minorile, considerandola troppo repressiva e poco attenta alla
necessità di mettere in atto un processo di cura che fornisca al minore
gli strumenti senza i quali non sarebbe in grado da solo di ricostruire
la propria sanità18. Essi sostengono che il reato del minore non possa
essere giudicato come un evento a sé stante, ma debba essere collocato
nelle complesse dinamiche relazionali e sociali in cui il ragazzo vive.
Un adolescente che arriva in tribunale per un reato ha spesso una
famiglia non adeguata. A volte il suo comportamento è una richiesta di
attenzione e di rapporto, ma potrebbe anche rappresentare il manife-
starsi di un sintomo psichiatrico importante che va attentamente rico-
nosciuto e curato. Poter individuare la malattia mentale ai suoi primi
sintomi può significare la possibilità di guarigione anche di patologie
gravi prima che si cronicizzino.
Concepire un percorso di ricostruzione della personalità di chi ha
commesso un crimine dovrebbe prevedere un investimento di risorse
da parte dello Stato che può essere pensato solo a partire da un cam-
biamento di mentalità o addirittura da un vero e proprio salto culturale.

18
G. Giostra, Il processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, Giuffrè, Milano 2016.

63
5. Gatti_Sogno1 21/03/19 14:25 Pagina 64

Il sogno della farfalla 2/2019

Si pensa erroneamente che scontare la pena sia “l’espiazione” di una


colpa, attraverso la quale si dovrebbe favorire una catarsi e un rinnova-
mento, ma quest’ultimo non può avvenire senza uno specifico processo
di cura.

Bibliografia

Arendt H., La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 2013.
Biederman J., Faraone S. V., Further evidence of a bidirectional overlap between juvenile mania and
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past 10 years, II, in “Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry”,
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Christian R. et al., Psychopathy and conduct problems in children, II. Implications for subtyping chil-
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64
5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 65

M. G. Gatti, Adolescenza e psicopatia

Adolescence and psychopathy


Psychopathy is an expression of mental illness which comprises physical, social and psychological
traits. The cure of psychopathy can be a challenging treatment in adult life. Therefore identifying
the modalities of onset of this mental disease represents a relevant question for psychiatric research.
Recognizing prodromal symptoms during childhood can provide valuable indications. Oppositional
behaviour in childhood is considered pathological when it is exasperated, representing a challenge
for parents facing dangerous situations. Researchers identified the callous-unemotional traits: these
might be relevant to predict psychopathy in adolescence and adulthood if present during school age
along with conduct disorders. Legal institutions are also involved in adolescent’s conduct disorders.
Tribunals and minors public prosecutors should be trained to acquire specific tools for the treatment
of minor aged cases. It is commonly thought that penalty is the expiation of a guilt: children’s and
adolescents’ transformation is possible only if psychosocial treatments are accompanied by specific
treatments aimed at the cure.
Correspondence to Dr. Maria Gabriella Gatti: m.g.gatti@hotmail.it

65
5. Gatti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 66
6. Tulli_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 67

La pericolosità sociale e i mass media

Federico Tulli

Le parole sono importanti. Ricostruire con cura e precisione fatti


accaduti, “laicamente”, senza pregiudizi, è il compito e dovere di ogni
cronista. La necessità di fare un titolo suggestivo, di essere sintetici, di
stimolare la curiosità del lettore può comportare però l’uso di una ter-
minologia che – malgrado l’attenzione e l’impegno del giornalista –
non corrisponde alla realtà di quanto accaduto. Quando poi la notizia
è di cronaca, con sfumature drammatiche più o meno marcate, la ten-
denza a semplificare concetti prende a volte la mano di chi fa informa-
zione per professione, finendo per banalizzare dinamiche complesse.
L’esempio più immediato riguarda l’impiego di termini pseudo-psi-
chiatrici. Parole come “raptus”, “ansia”, “panico”, “delirio” fanno parte
del nostro gergo quotidiano ma raramente le utilizziamo in maniera
pertinente per descrivere un particolare stato d’animo. Poco male, a
meno che non siamo medici. O giornalisti. Così come uno psichiatra
nel fare una diagnosi deve essere preciso, altrettanto deve esserlo un
giornalista nel descrivere un fatto. Altrimenti si rischia di fare disinfor-
mazione. Eppure i luoghi comuni appena elencati sono quelli che più
di frequente leggiamo sui giornali, quando la notizia ruota intorno a
un’emergenza o a un crimine più o meno grave.
Se un giornalista parla di “raptus passionale”, raccontando vicende
efferate come l’assassinio di una donna da parte del partner, mette il
lettore completamente fuori strada, lasciando intendere che il desiderio
possa in certi casi portare a uccidere. L’espressione “delitto passionale”,
a ben vedere, è un ossimoro: ciò che spinge a uccidere il partner come
può essere definito amore? Chi fa informazione per professione non

Il sogno della farfalla 2/2019 pp. 67-74


6. Tulli_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 68

Il sogno della farfalla 2/2019

può non tenerne conto. Peraltro, quando un giornalista chiama per


convenzione “raptus” oppure “momento di follia” un omicidio, tende
a far credere che il responsabile fino a un momento prima fosse una
persona “normale”, come tutti, che improvvisamente impazzisce. C’è
forse dietro l’idea, falsa, che di fondo siamo tutti potenziali assassini?
In realtà, invece, quel “momento” non è che l’esito violento e dramma-
tico di un processo patologico in atto da tempo in chi arriva a compiere
delitti del genere.
Proviamo a vedere alcuni esempi concreti. A metà estate del 2004, a
Roma, un uomo di 35 anni uccise con 40 coltellate una donna di 38
che conosceva a malapena, decapitandola dopo la morte con una man-
naia. Il sito di Rainews24, il canale all news della Rai, così descrisse nei
titoli il delitto, sulla base di un video che gli investigatori avevano reso
disponibile dieci giorni dopo il fatto:

«Delitto dell’Eur, video mostra il raptus di Leonelli. Voleva accoltellare


i pompieri. Dal primo esame dei filmati che hanno ripreso l’aggressione
emerge che quello di Leonelli è stato un raptus. Le immagini mostrano
anche i vigili del fuoco uscire dall’ingresso del monolocale inseguiti da
Leonelli armato di coltello»1.

Ed ecco cosa si legge nell’incipit dell’articolo:

«Un improvviso raptus di follia ha provocato il terribile omicidio del-


l’Eur. È quanto emerge dal primo esame dei filmati che hanno ripreso
l’aggressione alla colf ucraina Oksana Martseniuk, 38 anni, uccisa lo
scorso 24 agosto nel quartiere romano. La donna è stata accoltellata
mortalmente e poi decapitata da Federico Leonelli, 35 anni, a sua volta
colpito e ucciso dalla polizia durante il tentativo di fuga. La sequenza
del delitto è durata due-tre minuti. Le immagini ritraggono Leonelli nei
locali sottostanti alla villa mentre a colpi di coltello distrugge tessuti mes-
si ad asciugare su uno stenditore. Forse richiamata dai rumori la donna
scende nei locali e dopo aver visto Leonelli cerca di fuggire. Viene però
inseguita dall’uomo che la raggiunge in giardino e la colpisce più volte
con il coltello che impugna. Successivamente la trascina nei locali sot-
tostanti dove la decapita».

1
Delitto dell’Eur, video mostra il raptus di Leonelli. Voleva accoltellare i pompieri, in rainews.it,
5.9.2014.

68
6. Tulli_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 69

F. Tulli, La pericolosità sociale e i mass media

Il 25 agosto, giorno dell’omicidio, il quotidiano romano “Il Messag-


gero” aveva ricostruito con precisione la storia. A quanto pare la fami-
glia di Leonelli circa quaranta giorni prima dell’omicidio aveva chiesto
l’intervento dei servizi sociali per sottoporre il trentacinquenne a un
trattamento sanitario obbligatorio. Non era la prima volta ma la richie-
sta era stata sempre respinta:

«I genitori e la sorella lo sapevano, e avevano provato a fermarlo, quan-


do, ancora a casa, Federico aveva dato in escandescenze o tutte le volte
che aveva litigato con la moglie poi deceduta per un aneurisma cere-
brale. In più di un’occasione, avevano chiamato i servizi sociali chieden-
do un trattamento sanitario obbligatorio, sempre respinto perché il caso
non era “abbastanza grave”. Stessa risposta dai Centri di igiene menta-
le»2.

Anche la versione online di “Il Fatto quotidiano”, il giorno dopo, si


soffermò sullo stato di salute mentale dell’omicida, rilanciando quanto
rivelato da “Il Messaggero”:

«Federico Leonelli era una bomba a orologeria, pronta ad esplodere da


un momento all’altro. Per questo la famiglia lo convinse a farsi curare
in una struttura privata. E fino a prima dell’estate 2014 il 35enne era se-
guito da uno psichiatra di fiducia. Ma poi il medico gli disse di inter-
rompere per un po’ con le medicine: “Possono causarti delle allucina-
zioni”»3.

Forse questo è uno dei casi in cui malattia mentale e pericolosità so-
ciale coincidono? Ed è corretto parlare di “raptus improvviso” riguardo
a un caso del genere?
Le parole sono importanti, dicevamo all’inizio. Il dilagare sui media
di alcuni termini usati in modo inappropriato o superficiale può cau-
sare un vero e proprio cortocircuito della comunicazione, alterando la
realtà. Non siamo nel campo di quelle che chiamano fake news, ma poco
ci manca. Quantomeno l’utilizzo di termini impropri determina con-

2
Decapita una donna all’Eur, la famiglia: «Lo psichiatra gli sospese le medicine», in ilmessaggero.it,
25.8.2014.
3
Federico Leonelli, la famiglia: «Lo psichiatra gli disse di sospendere i farmaci», in ilfatto.it,
26.8.2014.

69
6. Tulli_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 70

Il sogno della farfalla 2/2019

fusione in chi legge; o addirittura può contribuire ad alimentare ten-


sione sociale pur in assenza di un pericolo reale.
Pensiamo alla definizione dell’“emergenza immigrazione”. La leg-
giamo e la sentiamo pronunciare dai politici da molto tempo, in pratica
dal 1998 quando, con la legge Turco-Napolitano sull’immigrazione,
vennero introdotti i Centri di permanenza temporanea per stranieri
sottoposti a provvedimenti di espulsione e/o di respingimento con ac-
compagnamento coattivo alla frontiera4, e poi più frequentemente do-
po l’entrata in vigore della legge Bossi-Fini del 2002, inasprita nel 2008
e nel 2009 dai due “pacchetti sicurezza” del ministro Maroni che hanno
introdotto il reato di clandestinità5. “Emergenza immigrazione”: nulla
di più falso in sole due parole. “Emergenza” sottintende l’idea di un fe-
nomeno improvviso (più o meno come “raptus”). Ma l’essere umano
emigra da quando esiste, si muove “per natura” alla ricerca delle mi-
gliori condizioni di vita possibile. E in Europa ciò avviene da circa
130.000 anni, da quando i primi africani si mossero dalla valle del Nilo
verso Nord per arrivare nell’attuale Europa attraverso la penisola araba.
Se invece vogliamo rimanere al nostro tempo guardando all’Italia, l’at-
tuale popolazione è composta solo per l’8,3% da stranieri6, molto meno
rispetto a paesi come la Germania (11,2%), la Spagna (9,5%), la Svezia
(8,4%) e il Regno Unito (9,2%)7. “Emergenza immigrazione” non solo
è una definizione falsa, ma instaura nell’opinione pubblica l’idea che

4
Legge 6 marzo 1998, n. 40.
5
Il decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza
pubblica, è stato approvato in via definitiva al Senato il 23 luglio 2008 e convertito con legge
24 luglio 2008, n. 125. Il provvedimento consente, secondo quanto dichiarato dal ministro
Maroni, «un contrasto più efficace dell’immigrazione clandestina, una maggiore prevenzio-
ne della microcriminalità diffusa, attraverso il coinvolgimento dei sindaci nel controllo del
territorio, e una più incisiva lotta alla mafia, grazie alla norma che prevede l’aggressione ai
patrimoni dei boss» (http: //www1.interno.gov.it). L’anno dopo la legge 125/2008 è stata ina-
sprita con l’approvazione della legge 15 luglio 2009, n. 94, «Disposizioni in materia di sicu-
rezza pubblica», http://www.parlamento.it.
6
Secondo i dati Istat, al 1o gennaio 2017 gli stranieri residenti in Italia erano 5.047.028,
pari all’8,3% della popolazione. Di questi, circa 1,5 milioni provenivano da altri paesi del-
l’Unione europea, mentre i cosiddetti extra-comunitari erano 3,5 milioni circa (5,8% della
popolazione).
7
Cfr. Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat), Statistiche sulle migrazioni interna-
zionali e sulle popolazioni di origine straniera, marzo 2018, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-
explained/pdfscache/15226.pdf, p. 11.

70
6. Tulli_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 71

F. Tulli, La pericolosità sociale e i mass media

si debba sempre e comunque avere paura di chi emigra. Se poi all’emer-


genza si aggiunge la parola “invasione”, altra falsità che da un paio di
anni è entrata di prepotenza nel gergo politico, ecco che il cerchio si
chiude.
Ma torniamo al tema della pericolosità sociale e della malattia men-
tale, e al modo in cui i mass media approcciano argomenti così delicati.
Il 3 febbraio 2018 a Macerata Luca Traini ferì, colpendole a caso per
strada, sette persone che avevano la sola colpa di avere la pelle nera. Il
28enne, vicino a Forza nuova e a CasaPound e con un passato da can-
didato della Lega alle comunali di Corridonia, è tornato a far notizia il
9 giugno seguente. Leggo questo titolo dal sito di “Il Resto del Carlino”:
«Omicidio di Pamela Mastropietro8, nigeriani scagionati. Scoppio d’ira
di Luca Traini. Testate e pugni contro la parete della cella. Il 29enne è
stato bloccato dalle guardie e si è ferito»9. L’articolo di cronaca recita
così:

«Un raptus di rabbia incontrollabile avrebbe avuto Luca Traini in car-


cere, giovedì: a scatenarlo, le ultime notizie sulle indagini per l’omicidio
di Pamela Mastropietro. A quanto sembra giovedì mattina il maceratese
29enne, in carcere dal 3 febbraio per la sparatoria in città, avrebbe sen-
tito dal telegiornale gli sviluppi: due dei nigeriani accusati per la morte
della diciottenne romana sono stati scagionati dall’accusa di omicidio
dalla procura, alla luce del fatto che su di loro non sono emersi elementi
che consentano di ritenerli colpevoli di quel misfatto. Sentendo questo,
però, stando a quanto trapelato, Traini avrebbe avuto uno scoppio di
rabbia e avrebbe iniziato a colpire prima con i pugni e poi con la testa
le pareti della stanza, senza alcun controllo, ferendosi in maniera poco
grave, ma evidente. Poi subito gli agenti della polizia penitenziaria sono
intervenuti per bloccarlo, poi sono stati chiamati gli psichiatri che fanno
assistenza nel carcere di Montacuto, perché si prendessero cura di lui.

8
Il 31 gennaio 2018 nelle campagne di Macerata venne trovato in due trolley il corpo
smembrato di Pamela Mastropietro, una ragazza diciottenne originaria di Roma. Le indagini
si concentrarono subito su tre nigeriani e fu questo a far “scattare” la vendetta stragista di
Traini. Due di loro, Lucky Awelima e Desmond Lucky, dopo pochi mesi uscirono dall’in-
chiesta. Il terzo, Innocent Oseghale, che abitava nella casa dove Pamela morì, è stato rinviato
a giudizio e il 13 febbraio 2019 a Macerata ha preso il via il processo in Corte d’Assise nei
suoi confronti. È accusato di avere ucciso e fatto a pezzi la ragazza.
9
Omicidio di Pamela Mastropietro, nigeriani scagionati. Scoppio d’ira di Luca Traini, http:
//www.ilrestodelcarlino.it, 9.6.2018.

71
6. Tulli_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 72

Il sogno della farfalla 2/2019

Il maceratese dunque avrebbe avuto una nuova esplosione d’ira simile


a quella che lo avrebbe travolto il 3 febbraio quando, come raccontato
da lui stesso durante l’interrogatorio, sentendo alla radio le notizie sugli
orrori fatti alla diciottenne romana, avrebbe deciso di uscire per vendi-
carla».

Stando a quel che si legge in questo articolo, sparare a caso a sette


persone che passeggiano per strada e prendere il muro a testate è in
entrambi i casi “uno scatto d’ira”. Il giornalista prosegue descrivendo il
modo in cui Traini aveva deciso di vendicarsi «sparando a caso tra la
gente in strada, per colpire i giovani immigrati che incrociava».

Per via dei Velini, alla stazione, in corso Cairoli e in altri punti fino a Ca-
sette Verdini, dove si era fermato per accendere un cero con l’immagine
di Mussolini e dire una preghiera nel posto in cui erano stati trovati i
trolley [con i resti di Pamela Mastropietro], Traini aveva fatto fuoco dal
finestrino ferendo sette persone, ma rischiando di fare una strage. Di
questo reato, oltre che di tentato omicidio, aggravati dall’odio razziale,
è sotto processo. Ora su Traini sta completando la perizia lo psichiatra
nominato dalla Corte d’assise, Massimo Picozzi. I risultati dell’accerta-
mento saranno consegnati il 23 agosto, e il 12 settembre ripartirà il pro-
cesso, con il rito abbreviato. Per ora, il professor Giovanni Camerini,
psichiatra consulente nominato dal difensore Giancarlo Giulianelli, ha
dichiarato il maceratese parzialmente capace di intendere e di volere, e
pericoloso socialmente».

Altro che “scatto d’ira”. Così il vocabolario Treccani definisce l’ira:

«Sentimento per lo più improvviso e violento, che, provocato dal com-


portamento di persone o da fatti, circostanze, avvenimenti, tende a sfo-
garsi con parole concitate, talvolta con offese, con atti di rabbia e di ri-
sentimento, con una punizione eccessiva o con la vendetta, contro chi,
volontariamente o involontariamente, lo ha provocato. L’ira funesta del
Pelide Achille nel proemio dell’Iliade, provocata dal crudele Agamen-
none. Nella dottrina cristiana, intesa come disposizione colpevole oltre
che come manifestazione è considerata uno dei sette peccati capitali.
Può esprimere però anche il giusto risentimento che esige la punizione
dell’offensore»10.

10
www.treccani.it/vocabolario/ira.

72
6. Tulli_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 73

F. Tulli, La pericolosità sociale e i mass media

Pensavano forse i giornalisti di “Il Resto del Carlino” che quello di


Traini fosse “giusto risentimento”?
Chiudo con un terzo esempio sul complicato rapporto dei mass me-
dia italiani con il concetto di pericolosità sociale: la tragedia di Franca-
villa del 20 maggio 2018. Tutti ricordiamo le immagini di Fausto Filip-
pone, l’uomo che, dopo aver ucciso la figlioletta gettandola dal viadotto
dell’autostrada A25, è stato per diverse ore in bilico sul vuoto e alla fine
si è lasciato cadere. Ricordo che, mentre seguivo quei drammatici mo-
menti e vedevo le riprese dell’uomo aggrappato alla rete metallica, un
titolo scorreva in basso sullo schermo della tv. Si sapeva che aveva già
ucciso la figlia (ancora non era noto che aveva ucciso anche la moglie)
e la frase riportata era questa: «La polizia: “Non è un malato di mente”».
Confesso di essere rimasto molto perplesso. Mi chiedo cosa altro debba
fare una persona per essere considerata affetta da un problema psichia-
trico, sia dal tutore dell’ordine che ha rilasciato quella incauta dichia-
razione, sia dal giornalista che altrettanto incautamente l’ha ripresa e
rilanciata senza filtro critico, e senza neanche proporre il parere di un
esperto, cioè di uno psichiatra. Anche così si fa falsa informazione, ep-
pure quella frase veniva riproposta con leggerezza in continuazione:
“Non è un malato di mente”. Ma c’è di più. Il giorno dopo il tragico
epilogo, i media hanno riportato alcuni passaggi della conferenza stam-
pa della polizia di Chieti che aveva tentato di dissuadere l’uomo dal sui-
cidio. Ecco cosa titola, per esempio, “Il Fatto quotidiano”: Tragedia di
Chieti, «Fausto Filippone non aveva problemi psichici». Indagini sul foglio che
ha lanciato dal cavalcavia. E l’articolo ancora una volta inizia così: «“Non
aveva nessun tipo di problema psichico”, ma la sua vita era stata desta-
bilizzata dalla morte della madre, avvenuta di recente»11. Certamente
la morte di un genitore è sempre causa di sofferenza, ma è possibile
che una reazione del genere venga raccontata come fosse un fatto nor-
male? Fausto Filippone era sano, come si continuava a ripetere, oppure
è anche questo uno dei casi in cui malattia mentale e pericolosità so-
ciale coincidono?

11
www.ilfattoquotidiano.it, 21.5.2018.

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Il sogno della farfalla 2/2019

Social dangerousness and mass media


This article analyzes how inappropriate terminology adopted by mass media can alter the accuracy
in reporting crimes, thus determining a false perception of the facts by the public opinion. The ex-
amples mentioned by the author particularly focus on the meaning of some recurrent words used
in the title and description of crime news.
Correspondence to Dr. Federico Tulli: federico.tulli@left.it

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7. Bisconti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 75

Appunti su percezione delirante


e teoria della nascita

Paola Bisconti

Massimo Fagioli fin dagli inizi della sua attività psichiatrica, come ha
più volte raccontato lui stesso, ha focalizzato la sua ricerca sulla perce-
zione delirante, elemento psicopatologico fondamentale per la com-
prensione della malattia mentale e in particolare della psicosi. La spie-
gazione di ciò si può trovare nell’articolo che egli scrisse nel 2011 a
proposito dei termini Materia energia pensiero:

«Accennavo alla memoria dell’inizio dell’attività psichiatrica, perché le


tre parole volevano presentarsi come punto d’arrivo di una realizzazione
continua che, forse, era andata incontro a trasformazioni, perché aveva
ricreato la nascita ovvero l’origine del pensiero... senza memoria-fantasia
dell’esperienza vissuta»1.

L’attività psichiatrica di Fagioli ebbe inizio prima a Venezia e subito


dopo a Padova, dove scrisse l’articolo Alcune note sulla percezione delirante
paranoicale e schizofrenica 2. La motivazione che spinse Fagioli, giovane
psichiatra, a lasciare presto i lidi veneziani la spiega lui stesso quando
scrive:

«E non conoscevo il senso del movimento che lasciava la comodità ve-


neziana per scrivere di percezione delirante. Si può pensare che era

1
M. Fagioli, Left 2011, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2014, p. 151.
2
M. Fagioli, Alcune note sulla percezione delirante paranoicale e schizofrenica (1962), in “Il sogno
della farfalla”, 3, 2009, pp. 9-22.

Il sogno della farfalla 2/2019 pp. 75-83


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Il sogno della farfalla 2/2019

l’identità medica che, avendo mosso la sua attività mentale, faceva ricer-
ca su un sintomo che rivelava, con certezza, una patologia mentale:
un’identità che non pensava la parola inconoscibile»3.

Fu quindi l’identità medica che lo spinse a muovere non solo il cor-


po ma anche il pensiero, per andare a vedere cosa fosse quella altera-
zione, per tentare di fare «psichiatria sul serio»4.
Nell’articolo scritto a Padova, Fagioli spiegava come nella percezione
delirante, o Wahnwahrnehmung, la percezione della realtà sia integra e
la coscienza di significato abnorme faccia parte della percezione e in
particolare sia sincretica ad essa: egli riteneva la percezione normale e
alterato il pensiero che insieme ad essa insorge. Il delirante percepisce
cose ordinarie con un preciso nuovo significato che si manifesta nel
momento stesso in cui la percezione è vissuta, e tale significato delirante
si aggiunge agli altri, usuali, che vengono mantenuti. Dopo aver definito
cosa fosse la percezione delirante, egli differenziava inoltre quella pa-
ranoicale dalla schizofrenica, attribuendo a quest’ultima un carattere
non di incomprensibilità, ma di stranezza5.
Fagioli si differenzia dagli illustri psichiatri del tempo, compreso Fer-
dinando Barison, il cui interesse per la percezione delirante rimaneva
nel campo della psicopatologia. Bisogna ricordare, infatti, che la per-
cezione delirante era già presente storicamente nell’approccio psico-
patologico. Esistevano due correnti interpretative principali: una, che
faceva capo a Karl Jaspers e poi a Kurt Schneider e a Barison6, riteneva
che nella percezione delirante la percezione fosse normale; l’altra, che
aveva i suoi rappresentanti in Paul Matussek e Klaus Conrad7, conside-

3
M. Fagioli, Left 2011 cit., p. 202.
4
M. Fagioli, Materia energia pensiero. Lezioni 2011, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2016, p.
35.
5
M. Fagioli, Alcune note sulla percezione delirante paranoicale e schizofrenica cit., pp. 10-11.
6
K. Jaspers, Psicopatologia generale (1913), Il Pensiero scientifico, Roma 2008; K. Schneider,
Psicopatologia clinica (1959), Giovanni Fioriti, Roma 2005; F. Barison, La coscienza di significato
delirante nella percezione. Lo smarrimento cosiddetto schizofrenico, in “Archivio di psicologia, neu-
rologia e psichiatria”, 19, 1958, pp. 347-356.
7
P. Matussek, Studies in delusional perception (1952), in The clinical roots of the schizophrenia
concept, a cura di J. Cutting e M. Shepherd, Cambridge University Press, Cambridge 1987,
pp. 89-103; K. Conrad, La schizofrenia incipiente (1958), Giovanni Fioriti, Roma 2012.

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P. Bisconti, Appunti su percezione delirante e teoria della nascita

rava la percezione alterata. Secondo quest’ultima corrente, un’altera-


zione primaria della percezione porterebbe a ritenere la Wahnwahrneh-
mung simile al vissuto onirico (conclusione molto vicina alla concezione
freudiana). Nel grado di percezione delirante più grave, che si lega al
vissuto apocalittico, Conrad proponeva una stretta analogia fra delirio
e sogno. Fagioli affermerà invece che una delle caratteristiche essenziali
della percezione delirante è l’essere un’attività mentale della veglia e
non del sogno.
Nella prima lezione tenuta a Chieti nel 2011 Fagioli racconta che
formulare un’autonomia del pensiero dalla realtà biologica fu la grande
scoperta che gli permise di prendere le distanze dall’organicismo: non
c’era una lesione organica e quindi mancava il nesso con l’alterazione
del pensiero8. Infatti nella percezione delirante la percezione è esatta,
il funzionamento del corpo e nella fattispecie dei cinque sensi perfetto,
persino il rapporto della coscienza e della veglia con la realtà è inecce-
pibile: la razionalità funziona. L’alterazione è il pensiero, e più preci-
samente il pensiero sulla realtà umana; andando ancora più a fondo:
«Non sulla realtà umana fisica (...), è sul voler sapere, sull’essere certi
della realtà mentale dell’altro. (...) C’è questa alterazione del pensare
l’invisibile della realtà umana»9.
Nell’articolo Il pensiero dell’immagine Fagioli scrive:

«Nella percezione delirante il malato afferma, convinto: “So che è Giu-


seppe ma, in verità, io so che è Camillo”. Come fossero due saperi: quel-
lo della percezione cosciente e quello... del pensiero che riesce a “ve-
dere” ciò che non è percezione della veglia. (...) Si dice delirante
perché non è sapere ma credere ciò che, in verità, non è: non è vero
che è Camillo. È più esatto dire che non c’è nessun Camillo. (...) Ov-
vero è delirio perché credere nell’esistenza di qualcosa o “qualcuno” o
di “altro” che... non esiste: non è. E non c’è neppure un “fare” il nulla;
c’è una impossibilità di vedere (intuire, sentire, pensare) e sapere. C’è
una mancanza che si deve chiamare anaffettività del pensiero senza co-
scienza»10.

8
M. Fagioli, Materia energia pensiero cit., pp. 32-35.
9
Ivi, p. 36.
10
M. Fagioli, Left 2009, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2012, p. 65.

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Il sogno della farfalla 2/2019

Secondo Fagioli, “Camillo” è un’invenzione sine materia, la ripeti-


zione di parole udite nel loro significato letterale, ossia senza senso.
Non avendo l’attività della fantasia senza coscienza, colui che delira
non può trasformare le parole udite. Si ha l’“invenzione” del linguag-
gio che non nasce dalla trasformazione dell’immagine, ma è pensiero
puro, frutto della perdita della capacità di immaginare e non simbo-
lizzazione della ricreazione della fantasia di sparizione alla nascita.
Quindi credere, senza pensare e sapere, nell’esistenza di una realtà
mentale che non esiste; credere di conoscere una realtà inesistente;
credere, con certezza, nell’esistenza di una realtà non umana nascosta
in un essere umano, anche se viene pensata con l’aspetto di un essere
umano.
Fagioli approfondisce ulteriormente la ricerca differenziando la per-
cezione delirante dalla proiezione, dalla negazione e dall’interpreta-
zione delirante. La proiezione è legata all’introiezione, cioè a mettere
qualcosa dentro di sé, e rimanda al rapporto con il seno, quindi con
un altro essere umano. Nella percezione delirante, invece, per effetto
della pulsione di annullamento rivolta verso l’altro, si crea un’idea solo
dentro di sé, un’idea a priori non sulla singola persona, ma sull’uma-
nità in generale. La negazione è un pensiero che altera la realtà espri-
mendosi anche mediante le immagini oniriche, mentre la Wahnwa-
hrnehmung – come si è detto prima – è un’attività della coscienza. Infine,
l’interpretazione delirante è un pensare “dopo” la percezione e in qual-
che misura è accessibile alla discussione. A testimonianza della sua inar-
restabile ricerca sulla malattia mentale, Fagioli ha ulteriormente ap-
profondito la differenza fra percezione e interpretazione delirante,
precisando:

«La percezione delirante si determina nel rapporto interumano. Dare


un movimento, uno spirito, una realtà non materiale alle cose inanimate
è sempre interpretazione delirante, mai percezione. Esse, infatti, non
hanno realtà mentale. La percezione delirante non si ha nel rapporto
con gli animali perché essi hanno soltanto il ricordo cosciente. Si ha ne-
gli esseri umani perché è un rapporto con la realtà interiore dell’uno e
dell’altro. “Vedere” una realtà non umana in un essere umano – “è Sa-
tana” – è malattia della percezione. È un’idea astratta che non ha rap-
porto con la verità dell’essere umano. Perché il malato ha perduto

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P. Bisconti, Appunti su percezione delirante e teoria della nascita

l’identità della memoria-fantasia dell’esperienza biologica avuta. È men-


te cosciente che percepisce soltanto la realtà materiale»11.

Esiste una differenza quindi fra dire “è Satana” e “Satana è in lui”:


quest’ultima affermazione è interpretazione delirante perché avviene
dopo, in un tempo anche infinitesimale e si estrinseca nel linguaggio.
Nella percezione delirante il malato “vede” solo la realtà materiale del-
l’altro, non riesce a cogliere la dimensione psichica latente e quindi la
percezione, pur fisiologicamente intatta, non è vera, non è autentica,
come se non fosse possibile distinguerla dal pensiero12.
Nella stessa lezione citata in precedenza, Fagioli racconta che a Pa-
dova i malati iniziarono a raccontargli i sogni e lui li interpretò, con-
vinto che dessero «una conoscenza che la coscienza, il comportamento,
la classificazione delle malattie mentali non mi dava»13.

«E mi sono occupato di inconscio, per cercare però, senza rinnegare la


percezione delirante, di vedere cos’era la percezione delirante rispetto
a questo pensiero profondo che poi non veniva alla coscienza»14.

Sappiamo anche che a Padova cominciò la psicoterapia di gruppo


con giovani pazienti schizofrenici molto gravi15. Inizia così, o forse do-
vremmo dire si approfondisce, quella ricerca sul latente che lo porterà
pochi anni dopo alla formulazione della pulsione di annullamento.

«E allora è venuto fuori che la pulsione di annullamento è parente...


della percezione delirante. O no, è uno studio, oltre la clinica, della per-
cezione delirante (...) a livello inconscio un andare a vedere con che
cosa si lega, che cosa c’è dietro questa percezione delirante, ed è la pul-
sione di annullamento che è sincretica alla percezione, è simultanea alla
percezione stessa»16.

11
M. Fagioli, Left 2011 cit., p. 204.
12
D. Fargnoli, Il mutamento del mondo. Considerazioni su alcuni aspetti storici del problema della
diagnosi di schizofrenia, in “Il sogno della farfalla”, 4, 2012, pp. 99-101.
13
M. Fagioli, Materia energia pensiero cit., p. 40.
14
Ivi, p. 39.
15
M. Fagioli, Insulinoterapia e psicoterapia di gruppo: valore psicoterapeutico del “senso della schi-
zofrenicità” (1963), in “Il sogno della farfalla”, 1, 2010, pp. 11-21.
16
M. Fagioli, Materia energia pensiero cit., p. 44.

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Il sogno della farfalla 2/2019

Nove anni fa Fagioli ha scritto che forse agli inizi, a Padova, non sa-
peva dei possibili sviluppi di quello studio sul sintomo schizofrenico17.
Lo sapeva invece nel 1993 quando, intervenendo all’Aula magna del-
l’Università “La Sapienza” di Roma parlò di percezione delirante del
poeta, colui che usa le parole per dire di cose che non si percepiscono
ma esistono, che pensa e vede una realtà umana non percepibile ai cin-
que sensi. Quando lo psichiatra interpreta i sogni fa la percezione de-
lirante del poeta, trasformando la propria mente che ascolta la voce al-
trui in linguaggio verbale che non è linguaggio imparato. A differenza
del malato che fa la percezione delirante e ha un rapporto visivo con
l’altro, nell’interpretazione c’è un rapporto uditivo. Scrive Fagioli nel
2009:

«Lo psichiatra ascolta la descrizione di un sogno e sa che non è Giusep-


pe è... altro: “Camillo”. Sa perché riceve la voce che racconta e intende
il linguaggio delle immagini oniriche oltre il suono della voce. Può com-
prendere bene e giustamente, può comprendere male e rispondere con
una interpretazione sbagliata: non è percezione delirante perché c’è un
rapporto con l’altro, perché lo psichiatra ascolta ovvero riceve uno sti-
molo e ha una reazione. Il malato che crede che sia altro rispetto a ciò
che vede ed ascolta, ha un’assenza a priori che rende impossibile rece-
pire lo stimolo della comunicazione altrui. Inventa un’immagine che
non esiste neppure nella sua mente; (...) è delirio, ovvero pensiero puro
senza rapporto e... senza percezione. Si disse, cinquant’anni fa, “il signi-
ficato sta nella percezione stessa”... che, quindi non è percezione del-
l’oggetto per quello che è, non è vedere la realtà dell’altro»18.

Lo psichiatra, reagendo immediatamente alla percezione uditiva del


racconto del sogno, «non fa pulsione di annullamento come il malato
di mente che inventa una realtà inesistente, ma crea un pensiero ver-
bale che è fantasia senza ricordo»19.
Ma la percezione delirante del poeta è anche pensare che ciò che è
andato perduto nell’essere umano a causa della pulsione di annulla-
mento possa ricomparire attraverso l’interpretazione, anche se adesso

17
M. Fagioli, Left 2010, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2013, p. 65.
18
M. Fagioli, Left 2009 cit., p. 66.
19
M. Fagioli, Left 2011 cit., p. 205.

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P. Bisconti, Appunti su percezione delirante e teoria della nascita

non c’è. E non è delirio, ma essere certi della capacità umana di elimi-
nare dall’altro il disumano. Tale certezza Fagioli l’ha maturata perché,
non convinto della naturalità del “Male” nell’uomo, aveva perseguito
l’idea di trasformazione degli esseri umani: ciò che non era umano era
malattia e si poteva curare.
La percezione delirante del poeta verrà sostituita da Fagioli, sempre
nel 2011, con il concetto di percezione-fantasia. L’interpretazione dei
sogni ha, infatti, il suo punto di partenza nell’ascoltare con fantasia e
recettività, cogliendo la realtà interna dell’altro senza alterarla e andan-
do oltre il linguaggio cosciente. Si può pensare che l’interpretazione
dei sogni presupponga che percezione e fantasia siano legate dalla pa-
rola “simultaneo”? Al contrario della percezione delirante, dove la si-
multaneità fra percezione e coscienza abnorme di significato determina
una perdita di senso nel rapporto interumano e quindi un minus, la si-
multaneità fra percezione e fantasia nell’interpretazione dei sogni crea
un pensiero nuovo, un plus creativo, che è conoscenza profonda della
realtà mentale dell’altro.
L’incessante e inesauribile ricerca di Fagioli lo porta, successivamen-
te, nel 2015, in occasione del convegno all’Aula magna della “Sapienza”
per i 40 anni dell’Analisi collettiva, a introdurre il nesso fra percezione
cosciente e fantasia nel momento in cui il bambino vede il proprio volto
allo specchio e si riconosce20:

«Il bambino, quando ha 7-10 mesi di vita, con la percezione cosciente


della figura allo specchio disegna la linea intorno al proprio volto e co-
nosce sé stesso. Ed è creazione perché prima, alla nascita, non c’era. È
ricreazione della nascita perché è separazione dal primo anno di vita,
ma è creazione della capacità di fare la linea che alla nascita era soltanto
possibilità... capacità che non c’era»21.

Dunque si potrebbe ipotizzare che anche l’interpretazione dei sogni


non sia soltanto ricreazione della nascita ma presupponga la capacità
di fare la linea. Fagioli scrive che la dinamica che sta alla base della crea-

20
Cfr. Ricerca sulla verità della nascita umana. 40 anni di Analisi collettiva, L’Asino d’oro edi-
zioni, Roma 2016, pp. 265-272.
21
M. Fagioli, Nuovo è il silenzio della linea d’estate, in “Left”, 23.7.2016.

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Il sogno della farfalla 2/2019

zione della linea allo specchio non può essere compresa se non si pensa
al termine verbale “simultaneo” per le parole percezione cosciente, fan-
tasia, linea, senso, volto22. Non può infatti esistere la sola percezione co-
sciente separata dalle altre parole.
E allora, concludendo, potremmo pensare che sia questa la proble-
matica alla base della percezione delirante? Percepire coscientemente
senza fantasia, ovvero non vedere più la linea attorno al proprio volto
e perdere il senso profondo del rapporto interumano? Così, come so-
stiene Fagioli, il pensare diventa un credere a priori che nell’essere
umano ci sia il “Male”. L’unione fra uguale e diverso non esiste più.
L’altro essere umano è soltanto diverso e per tale motivo deve essere
fatto sparire. Il cardine del rapporto interumano, invece, è lasciarsi an-
dare con un essere umano uguale e diverso cercando la massima rea-
lizzazione. Scriveva Fagioli: «Il tuo volto è la mia immagine interiore»23.
L’essere umano diverso è la propria realtà del pensiero senza coscienza
del primo anno di vita. Il volto diverso è il proprio che riconoscemmo
a sette-dieci mesi di vita davanti allo specchio.

22
M. Fagioli, Percezione cosciente, fantasia, linea, senso, volto, in “Left”, 2.7.2016.
23
M. Fagioli, Teoria della nascita e castrazione umana (1975), L’Asino d’oro edizioni, Roma
2012, p. 12.

Bibliografia

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nicità” (1963), in “Il sogno della farfalla”, 1, 2010, pp. 11-21.
Fagioli M., Teoria della nascita e castrazione umana (1975), L’Asino d’oro edizioni, Roma 2012.

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7. Bisconti_Sogno1 11/03/19 10:42 Pagina 83

P. Bisconti, Appunti su percezione delirante e teoria della nascita

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Schneider K., Psicopatologia clinica (1959), Giovanni Fioriti, Roma 2005.

Note on delusional perception and the Human Birth Theory


In this article the author analyzes the concept of delusional perception according to the Human
Birth Theory formulated by the psychiatrist Massimo Fagioli. Delusional perception is a key element
in order to comprehend and cure psychosis. Contrary to Matussek and Conrad, Fagioli claims that
this symptom is not related to any perceptive disorder but instead it should be considered as a thought
disorder. In particular Fagioli affirms that the cause should be identified in human relationships
when the mentally ill loses the “capability to imagine”. Therefore the patient becomes unable to see,
sense and think for a lack of affection of the non-conscious thought.
Correspondence to Dr. Paola Bisconti: xpaolabisconti@hotmail.it

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Recensioni, note e commenti


a cura di Maria Chiara Aliquò e Beniamino Gigli

Hans Saner
Nascita e fantasia. La naturale dissidenza del bambino
Morcelliana, Brescia 2017, pp. 220, € 18,00

Il titolo suona interessante: Nascita e fantasia. Intrigante il sottotitolo: La naturale


dissidenza del bambino. Si comincia a leggere dall’introduzione, ma dopo poco la let-
tura si fa faticosa: è un riassunto dell’opera, salvo poche note iniziali. Si passa allora
al saggio vero e proprio, e le domande affiorano, la curiosità monta: questo libro
richiede un lavoro parallelo di indagine. Chi è l’autore? L’introduzione chi l’ha
scritta? E la casa editrice italiana?
L’autore è Hans Saner, filosofo e pubblicista svizzero. Il suo pensiero e la sua ri-
cerca catturano, il testo si fa leggere, la lingua, perlomeno quella tradotta, è piana,
raramente involuta in dissertazioni solipsistiche. L’autore sa porsi delle domande
cui non sempre trova risposte, ma il filo della sua ricerca è proprio nel suo do-
mandare.
Nato nel 1934 e scomparso nel 2017, autore di confine, originale allievo di Jaspers,
del quale è stato assistente personale dal 1962 al 1969, si definiva un anarchico si-
lenzioso. Era un pensatore che si faceva capire, un personaggio scomodo nella
Svizzera dell’Ordine. Ha fatto della natalità (Geburtlichkeit) il centro del suo ragio-
namento – il nascere come opposto del morire –, critico verso la tradizione filoso-
fica che, ignorando la nascita, è diventata, come annota l’autore stesso, «necrofila
e necromane» (p. 59). Filosofo indipendente, si è espresso su questioni filosofiche
e politiche del suo tempo, si è impegnato nella politica sociale.
La sua filosofia non era di stampo accademico, ma rivolta in modo mirato a un
pubblico più vasto. «Non abitava nell’astratto», costruiva un legame tra pensieri
esistenziali e vita quotidiana. «Discute sulle nostre domande, parla una lingua che
noi capiamo, ci apre le porte di nuovi cammini di cui noi possiamo appropriarci e
fare noi stessi delle nuove scoperte»: così Moritz Leuenberger, socialista, in occa-
sione dei 70 anni di Saner.

Il sogno della farfalla 2-2019 pp. 85-94


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Il sogno della farfalla 2-2019

L’introduzione, 37 pagine su poco meno di 200 totali, che praticamente ripete il


libro, salvo poche informazioni aggiuntive, è scritta da Silvano Zucal, accademico
a Trento di Filosofia delle religioni e Filosofia teoretica. Nel 2017, Zucal ha dato
alle stampe un testo imponente, Filosofia della nascita, in cui ha raccolto in maniera
sistematica contributi sul tema, dall’antica Grecia all’Antico Testamento, dallo gno-
sticismo al pensiero cristiano medievale, fino ad arrivare al Novecento. Zucal ha
individuato nella nascita un concetto con una potenzialità filosofica. Annotiamo
che entrambi gli autori, Saner e Zucal, sono curiosamente pubblicati dalla Mor-
celliana, casa editrice cattolica che, fin dalle sue origini, «si è impegnata a promuo-
vere una cultura di ispirazione cattolica tesa ad intercettare le più brillanti tendenze
del pensiero moderno», come leggiamo sul sito dedicato.
La filosofia della nascita propriamente intesa, ambito sconosciuto nella filosofia
in generale, ha cominciato a godere di particolare attenzione nel contesto filoso-
fico di area e di lingua tedesca, tra Germania e Svizzera. Battistrada in questa te-
matica è stata Hannah Arendt, che ha introdotto la categoria della natalità nel
pensiero filosofico, trattandone però in maniera discontinua e frammentata nei
suoi testi. Anche il suo primo marito, Günther Anders, ha ragionato sul tema;
mentre Arendt ha messo in risalto l’aspetto straordinario e positivo della nascita –
«gli uomini non sono nati per morire ma per cominciare» –, Anders di converso
ne ha sottolineato gli aspetti negativi e traumatizzanti. Arendt, in contrapposizione
a Heidegger, ha proposto una concezione nuova del nascere, inteso come una
sorta di libera autoaffermazione e non come l’inizio di un esserci in quanto essere
per la morte: ciò che la filosofa voleva superare era l’affinità tra la filosofia e la
morte.
Saner, tramite Jaspers, ha potuto conoscere personalmente Arendt, dalla quale ha
preso il concetto di natalità (Natalität), sviluppato in modo originale nella versione
tedesca della Geburtlichkeit. I filosofi, ci dice Saner, nonostante il ruolo centrale che
la nascita e l’essere bambino rivestono nei miti, nella poesia, nelle religioni, li igno-
rano e interpretano la vita e l’umano Esserci solo a partire dalla sua maturità e dal-
l’inesorabilità della sua fine. La possibilità per l’uomo di non avere possibilità (Sar-
tre) era per i filosofi la vera cifra dell’esistenza, che la qualificava come un essere
per la morte (Heidegger). Saner è quindi autore del primo vero testo sul tema, in
cui espone una tesi articolata e, a tratti, teoricamente raffinata. Il libro, tradotto in
Italia nel 2017, è stato pubblicato nel 1985 a Basilea. Come ci racconta lo stesso
autore, i contributi che compongono il volume sono stati elaborati e proposti nel-
l’arco di vari anni.
Interrogarsi sulla nascita umana pone una serie di problemi che costituiscono di
fatto i capitoli del volume: dal significato filosofico della nascita, all’inizio della vita
e quindi al ruolo sociale del feto e al problema dell’interruzione di gravidanza,
alla nascita intesa come ingresso nel mondo sociale e oggettivo, e al rapporto degli
adulti con l’essere-bambino non più definito come il non-essere-ancora-adulto (p. 61).
Gli ultimi due capitoli, l’infanticidio a Betlemme e la naturale dissidenza del bam-
bino, appassionano il lettore che, anche se non in totale accordo con l’autore, ne
apprezza la pugnace divergenza, di cui possiamo rintracciare le radici nella rottura,

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Recensioni, note e commenti

in adolescenza, di Saner con i genitori, rigidi anabattisti che non tolleravano alcuna
libertà di pensiero e di comportamento al di fuori dei loro precetti.
Torniamo al titolo: Nascita e fantasia. La nascita, in tedesco Gebur, è un evento so-
ciale, strutturante del soggetto. L’autore ne esplora il significato antropologico,
quell’onnipresenza del memento nasci; il compleanno (der Geburstag), infatti, è l’uni-
ca festa che dura tutta la vita (p. 63). La definisce un salto qualitativo, un cambia-
mento da una forma vitale a un’altra, un salto nell’Esserci: «L’uomo non sarà mai
più un iniziatore come accade alla nascita» (p. 94). E se è vero che non solo gli es-
seri umani ma anche altri mammiferi sono partoriti, solo l’uomo può e deve rela-
zionarsi al fatto del suo essere nato.
Perché, si domanda l’autore, la filosofia si è “dimenticata” di riportare alla dimen-
sione natale la sua attività speculativa? «In considerazione di questa interpretazione
ostile alla vita, si è tentati di porre alla storia della cultura le seguenti domande:
non hanno forse antichissime tabuizzazioni, vergogna e timore, bloccato l’accesso
alle questioni della procreazione e della nascita? Alcuni millenni di cultura del pa-
triarcato, le tendenze omofile di molti filosofi antichi e la vita monastica dei pen-
satori propriamente cristiani sono stati forse sufficienti ad estromettere dalla ri-
flessione filosofica il fatto della nascita, derubricato a mero “affare” delle donne e
dei bambini? Il disprezzo spiritualistico della corporeità e della sessualità e il loro
intrecciarsi al peccato in ambito cristiano sono così influenti?» (p. 66).
La fantasia per Saner è «l’umano per eccellenza», capacità originaria dell’essere
umano, la più «inesplorata e inesplorabile di tutte le forze dell’uomo». Il bambino
fa domande, ha un’apertura esplorativa, il bambino «è un genio», possiede una
genialità nella percezione, nella creazione di forme che è di fatto universale nel-
l’età infantile, ma che il mondo degli adulti congiura per disconoscere. La fantasia
è attiva non solo nel dominio della realtà e a partire da questo, ma ha una profon-
dità che, anche quando investe l’elemento razionale, non si risolve mai compiuta-
mente in esso. È variegata e approfondita la disamina dell’autore sulla fantasia, di
cui individua una necessità esistenziale, ma ci piace riportare qui alcune conside-
razioni sui motivi dell’ostile ambiguità, della distruzione, dell’addomesticamento
esercitati su di essa: «Le persone fantasiose sono scomode: quasi mai soddisfatte
di ciò che hanno raggiunto, esigenti, con lo sguardo volto sempre al di là dell’esi-
stente, irrequiete, difficili da inquadrare (…). Di fronte alla fantasia si prova un
certo timore... vi rientrano infatti i fenomeni psichici patologici e l’incontrollato
fantasticare, e poiché ogni uomo incontra tutto questo nei sogni… vorrebbe sal-
varsi nella veglia, nell’apparente affidabilità della razionalità e degli ordinamenti
ragionevoli» (p. 173). E, ancora, egli sostiene che chi ha la fantasia, manifestazione
adeguata che l’essere natale dà di sé, ha il potenziale creativo per progettare un
contromondo in cui ogni uomo possa essere ciò che è a partire dalla sua nascita:
«Un essere che produce, che crea, che diviene, modificando se stesso e il mondo».
Questa potenzialità è controllata dalla politica e, nella lotta tra fantasia e potere,
sembra che la prima debba sempre sottostare al secondo ma «Qualcosa in ogni
uomo riesce a scampare a questi agguati, nella misura in cui l’uomo è e rimane un
essere iniziale e iniziante» (p. 174).

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La dissidenza evocata nel sottotitolo del libro, che etimologicamente significa “es-
sere dall’altra parte”, porta il bambino a essere al di là delle demarcazioni di quel-
l’umano che la cultura ha fissato; il bambino in quanto “iniziante”, dotato di fan-
tasia, è in grado di andare oltre la semplice e pedissequa ripetizione, porta nel
mondo una differenza rispetto a ciò che esisteva prima di lui. È questa la sua dissi-
denza, «nel carattere esuberante dell’espressione della propria vita in rapporto a
ciò che la cultura ha fino a lui normato». Egli è «un inventore eccentrico ed inno-
vatore, fin quando vive prevalentemente di fantasia il bambino è un essere creativo,
imprevedibile, esplosivo e dissidente» (p. 190), ed è proprio per queste sue carat-
teristiche che l’adulto lo teme. Ed è anche per questo che la società commette, co-
me lo definisce Saner, «un omicidio senza uccisione», inventa l’educazione, la di-
sciplina per strappare il bambino alla sua dissidenza naturale vincolandolo ai valori
culturali e ai comportamenti correnti della società di riferimento, dall’originario
dover-chiedere a un letargico non-voler-più-chiedere.
Nella lettura del testo, pur evidenziandone i limiti – il restare nel dominio filosofico
della coscienza – emerge una qualità preziosa dell’autore, quella cioè di aver man-
tenuto l’originario saper domandare, il poter ricominciare sempre di nuovo, poi-
ché, rubando a Schiller, «all’inizio del percorso l’infinità è aperta».

(Mariapia Albrizio)

Jean M. Twenge
Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno
felici e del tutto impreparati a diventare adulti
Einaudi, Torino 2018, pp. 388, € 19,00

Il testo di Jean Twenge si inserisce nell’ampio dibattito relativo ai cambiamenti cui


stiamo assistendo, determinati dall’attuale rivoluzione culturale legata alla diffu-
sione dei media digitali. L’autrice, docente di psicologia alla San Diego University,
è da tempo impegnata in ricerche che cercano di individuare le differenze tra le
diverse generazioni di giovani degli ultimi decenni. Tali ricerche si avvalgono di
sondaggi rivolti, nel corso degli anni, a campioni di migliaia di giovani statunitensi
ai quali sono stati proposti questionari con centinaia di domande. La descrizione
della popolazione giovanile così delineata è strettamente riferita alla realtà ameri-
cana, ma può comunque essere utile per riflessioni estendibili ad altre aree geo-
grafiche.
L’attuale generazione di adolescenti viene denominata dalla Twenge “iGen”, pa-

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Recensioni, note e commenti

rola che fa precedere l’abbreviazione di “Generation” dalla “i” di internet, richia-


mando la similitudine con la genesi dei termini “iPhone” e “iPad”, per indicare
una generazione che non ha ricordo di un mondo senza smartphone. Nel lungo
sottotitolo (Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto
impreparati a diventare adulti), sono già sintetizzati quegli aspetti che il testo mette
in evidenza come caratterizzanti la generazione in osservazione. Se consideriamo
questo sottotitolo come una domanda, una sintetica risposta sta proprio nel titolo
del testo: questi ragazzi trascorrono molto tempo connessi in rete.
L’autrice afferma di non voler applicare etichette, che rischiano di non riuscire a
cogliere la complessità dei mutamenti nel percorso evolutivo in atto, la cui causa
non è mai una sola, e sostiene inoltre che non ci sia motivo di pensare che ogni
cambiamento sia negativo. A queste dichiarazioni non fa però seguire né un ap-
profondimento – sicuramente non semplice da affrontare – della natura delle pos-
sibili concause dei fenomeni descritti, né, soprattutto, l’indicazione di quali aspetti
del mutamento siano da considerarsi positivi e quindi da promuovere.
L’indice è ben strutturato in capitoli tematici, ma la stessa organicità non sempre
si ritrova nel testo, che perde talvolta di efficacia e di chiarezza per una certa ten-
denza a riferire argomentazioni simili a fenomeni diversi. A volte, inoltre, si evi-
denzia una visione parziale nell’interpretazione di alcuni fenomeni e soprattutto
sono carenti ipotesi di lavoro che possano stimolare adeguate riflessioni. Riteniamo
infatti che la complessità della realtà caratterizzata dalle possibilità offerte dai me-
dia digitali, che assume le caratteristiche di una vera e propria rivoluzione cultu-
rale, richieda una profonda riflessione sulla realtà del nostro essere umani, per af-
frontare la sfida che tale rivoluzione ha messo in atto, in quanto sono e saranno le
nostre scelte a determinarne l’esito.
Ci chiediamo, ad esempio, se sia del tutto pertinente inserire nel capitolo «Imma-
turità: crescere con lentezza» il fatto che i giovani iGen consumano meno alcol
delle generazioni precedenti: questa tendenza non potrebbe essere invece indice
di maggiore consapevolezza? E ci chiediamo anche se in questo non aver fretta di
crescere, che emerge dai comportamenti dei ragazzi, non si possa intravedere an-
che una non condivisione dei modelli proposti dagli adulti. Forse è tempo di pen-
sare che la realtà del mondo degli adulti, caratterizzata da dilagante disumanità,
sopraffazione e violenza, non può essere una proposta di “maturità”. Sicuramente
i giovani non si ribellano più scendendo in piazza (anche se negli ultimissimi anni
sembrano arrivare segnali diversi), ma forse deve essere messa in discussione l’idea
di identificare l’essere adulti con l’acquisire “responsabilità” e rinunciare ai “pia-
ceri”. Forse è tempo di proporre, come percorso del diventare adulti, una ricerca
che non attribuisca valore soltanto alla soddisfazione di bisogni materiali (“piace-
ri”) ma consideri invece le esigenze di realizzazione personale e quindi riconosca
in questa la “responsabilità” di ognuno nei confronti di sé stessi e degli altri.
Un tema affrontato nel testo è quello della salute mentale. Le indagini descrivono
una popolazione iGen nella quale diminuisce il numero dei ragazzi che si dichia-
rano “molto felici” e cresce il numero di quelli che manifestano atteggiamenti de-
pressivi. La valutazione dei sintomi depressivi, risultante dalle risposte ai questio-

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nari, descrive i principali fattori di rischio che possono condurre a una depressione
conclamata. Negli ultimi anni è salito in modo vertiginoso il numero di ragazzi
che, secondo le indagini riportate nel testo, hanno sottoscritto affermazioni del ti-
po “sento di non riuscire a fare niente nel modo giusto”, “la mia vita non è utile”,
“non amo la vita”. Si può ipotizzare che la frequentazione dei social, dove prevale
lo standard di mostrare di sé solo gli aspetti che contribuiscono a delineare una
immagine di successo, possa far pensare che solo ad alcuni giovani capiti di trovarsi
in difficoltà, con un conseguente vissuto di inadeguatezza. Elemento determinante
è anche il fatto che nei gruppi di coetanei si viene sempre a conoscenza delle esclu-
sioni sociali e sappiamo quanto peso abbiano queste per gli adolescenti. Dal 2007
al 2015 il numero di ragazzi che afferma di sentirsi escluso e solo è ampiamente
cresciuto. Questo aspetto è interessante perché ci fa capire che la possibilità di es-
sere sempre in contatto telematico con gli amici e di essere aggiornati continua-
mente sulle loro attività non aiuta a lenire il senso di solitudine. Dai dati si evince
un’alta correlazione tra il tempo trascorso davanti a uno schermo e il sentirsi infe-
lici, ma non si può dedurre che sia tale abitudine a rendere infelici, anzi è possibile
che proprio gli adolescenti che si sentono più infelici frequentino maggiormente
la rete. È interessante osservare che, comunque, i ragazzi più socievoli lo sono sia
nella vita online che nelle interazioni faccia a faccia.
Quanto detto ci fornisce anche elementi per la comprensione dell’incremento dei
suicidi in età adolescenziale: secondo i dati riportati nel testo la percentuale di sui-
cidio nel 2015 è aumentata del 46 per cento rispetto al 2007; è necessario mettere
in evidenza che il fenomeno del cyberbullismo ha un ruolo determinante in questa
tendenza.
Tra i molteplici aspetti della vita dei giovani descritti nel testo citiamo, infine, la ri-
cerca di “spazi protetti”, che non si riferisce soltanto a una maggiore ricerca di si-
curezza fisica ma addirittura a quella di una “sicurezza emotiva”, per cui si nota
una tendenza a proteggersi non solo da relazioni umane troppo coinvolgenti, ma
anche da idee diverse dalle proprie. Questo ci deve far riflettere sull’importanza
per i giovani di non nascondersi in rete ma di affrontare il disagio che può pre-
sentarsi nei rapporti reali, per non perdere la ricchezza della relazione umana.
D’altra parte, è necessario promuovere nei contesti educativi le complesse capacità
di comprensione, di riflessione e di argomentazione che si sono affievolite a causa
della frammentazione della conoscenza tipica dell’approccio digitale.

(Assunta Amendola)

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Valeria Schimmenti, Giuseppe Craparo (a cura di)


Violenza sulle donne. Aspetti psicologici, psicopatologici e sociali
Franco Angeli, Milano 2014, 20162, pp. 205, € 26,00

«La “naturale“ inferiorità della donna rispetto all’uomo. Nessun’altra tesi trova
d’accordo in maniera tanto appassionata personalità come Buddha, Rousseau,
Nietzsche, Confucio, Freud e Hitler» (p. 138). L’osservazione, formulata da Tama
Starr1, è ripresa da Merete Aimann Gainotti nel suo contributo al volume curato
da Valeria Schimmenti e Giuseppe Craparo. Merito principale del libro, nel suo
insieme, è quello di affrontare il gravissimo tema della violenza sulle donne in ma-
niera complessa e multifocale, sia sul piano psicologico che su quelli antropologico
e sociologico, senza risparmiare dure critiche alla cultura misogina che ha attra-
versato l’intera umanità in tutte le epoche storiche. Si tratta di un problema di di-
mensioni preoccupanti, simili a quelle del terrorismo internazionale, leggiamo,
ma per il quale purtroppo non vengono ancora adottate le stesse adeguate pre-
cauzioni e interventi. Nei diversi saggi che compongono il volume il fenomeno
della violenza è studiato non come una questione individuale, ma in modo più
complesso e su più livelli, e vengono sollevate critiche attente sia alle istituzioni
che alle ideologie occidentali, in particolare a quelle religiose.
La prima cosa che colpisce è la meticolosa raccolta di dati epidemiologici, alcuni
non recentissimi, ma che mostrano bene l’enormità del problema e quanto esso
sia in realtà sottovalutato. «Secondo il Consiglio d’Europa “la prima causa di morte
delle donne è la violenza subita in famiglia dal padre, dai fratelli, dal fidanzato,
dal marito”», scrivono ad esempio Irene Petruccelli, Chiara Simonelli e Simona
Grilli nel loro contributo sulla violenza di genere (p. 15).
Oltre alla suddetta raccolta di dati, un altro elemento di forza del testo è la loro
interpretazione, che in alcuni punti sfocia in una forte denuncia nei confronti
delle istituzioni governative. Ad esempio, dopo aver citato i dati del rapporto del
2013 dell‘Eures, in cui si afferma che in Italia la media annua delle donne vittime
di omicidio è pari a 171, ovvero una ogni due giorni, di cui «l’89 per cento sono
italiane, come lo sono la maggior parte degli autori di tale omicidi, il 73%» (p.
37), gli autori del saggio sul femminicidio, Filippo Petruccelli, Myriam Santilli e
Laura Iannucci, evidenziano che «in Italia non si sono registrati sostanziali miglio-
ramenti nella condizione delle donne. È stato addirittura rilevato il disinteresse da
gran parte del mondo istituzionale per il sempre crescente aumento di violenze
domestiche terminate in femminicidi, cui si è aggiunta la strumentalizzazione po-
litica degli stupri commessi dagli stranieri in luoghi pubblici (un’esigua percen-
tuale rispetto a quelli commessi tra le mura domestiche) al fine di approvare leggi
in materia di immigrazione ulteriormente repressive» (p. 40). Il modo in cui viene
affrontato il tema del femminicidio è condivisibile e interessante anche perché

1
T. Starr (a cura di), La naturale inferiorità delle donne, Sperling & Kupfer, Milano 1993.

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Il sogno della farfalla 2-2019

esso non è visto come un semplice fatto privato, ma come un fenomeno di portata
sociale, un crimine che si estende in maniera trasversale e globale, una «violenza
sulle donne in tutte le sue forme miranti ad annientare la soggettività sul piano
psicologico, simbolico, economico, e sociale, che solitamente precede o può por-
tare al femminicidio» (p. 35). Tale definizione comprende «tutte le morti di donne
per mani misogine anche per conto delle istituzioni (per esempio aborti forzati,
interventi chirurgici non necessari come l’isterectomia, sperimentazioni sul loro
corpo) o di pratiche sociali patriarcali (mutilazioni genitali) o culturali che portano
a lasciar morire le figlie femmine di fame, per privilegiare la cura del figlio maschio
come purtroppo accade ancora almeno vistosamente in alcune regioni della Cina
e dell’India» (ibid.).
Anche quando si tratta di smantellare un’“istituzione d’oro” come la famiglia, gli
autori non si tirano indietro. Isabella Merzagora dedica il suo saggio alla violenza
domestica, sottolineando che «la violenza in famiglia è una costante nel panorama
criminale italiano», fino ad affermare che essa «sarebbe prescritta piuttosto che
proscritta» (p. 49). Interessante, nello stesso capitolo, è «la domanda più contur-
bante» posta dall’autrice, ossia «se non sia (...) il concetto di Normalità quello da
rivisitare» (p. 52). Questa riflessione emerge a proposito dei casi di figli che hanno
trucidato i genitori, come Pietro Maso, «il ragazzo di “buona famiglia” priva di par-
ticolari eclatanti sintomi psichiatrici, con amici altrettanto “normali”» (p. 50), o
Erika, che veniva da un’altra famiglia «con tanto di iscrizione al Rotary del padre
e al golf club di tutta la famiglia: le ambizioni di molti, le insegne della emancipa-
zione dalla condizione piccolo-borghese» (p. 51).
Nel capitolo Maltrattamenti e violenze subite in gravidanza: un lato oscuro della violenza
sulle donne, Gainotti smaschera fin da subito il grave pregiudizio culturale presente
in Occidente, dove parlare di violenza in gravidanza è un vero e proprio tabù, e
sottolinea che la violenza non solo non risparmia le donne in tale stato, ma pare
spesso inasprirsi proprio in questo periodo: sembra infatti che «una donna su quat-
tro nel corso della vita sia stata vittima di violenza in gravidanza» (p. 131). Il libro
ha il merito di parlare di tale inquietante fenomeno, spesso negato dalla nostra so-
cietà, che considera la nascita un luogo sacrale e intoccabile.
In questo come in altri capitoli uno dei principali fattori della violenza contro la
donna è individuato nelle influenze misogine della cultura occidentale e dei suoi
più illustri esponenti, dai filosofi ai teorici dell’Illuminismo (Rousseau) fino ai rap-
presentanti del pensiero psicoanalitico, ritenuti responsabili di aver teorizzato
un’inferiorità naturale della donna. Con una critica severa e incisiva si sottolinea
inoltre la responsabilità principale delle religioni monoteistiche – per lo più quella
cristiana e, in Italia in particolare, cattolica – nel determinare tale ideologia.
Le violenze sulle donne avvengono in alta percentuale alla fine di una relazione:
«il 60% di questi eventi tragici accadono all’interno di una relazione intima tra vit-
tima e autore in corso o conclusa. Nel 25 % dei casi le donne erano in procinto di
chiudere la relazione o l’avevano già fatto» (p. 37), osserva ancora Merzagora, che
si propone di studiare in maniera più approfondita questi dati importanti, ma si
limita ad affermare che l’uomo, sentendosi minacciato nella sua immagine con-

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venzionale di pater familias da una donna ormai emancipata e fuori dagli schemi
sociali, in taluni casi e in presenza di una patologia sottostante reagirebbe con la
violenza.
Alle motivazioni che porterebbero uomini violenti ad agire contro le donne sono
dedicati due capitoli: Uomini violenti verso le partner: tra patologia psichiatrica e sindrome
culturalmente caratterizzata, di Chiara Camerani, e Gli autori della violenza: chi sono e
perché lo fanno, di Simona Galasso, Viviana Langher e Maria Elisabetta Ricci. In par-
ticolare nel secondo la sindrome culturale individuata alla base della violenza si
discosta giustamente dal paradigma femminista della società patriarcale, noto co-
me “modello di genere”, secondo il quale gli uomini «sono violenti perché violenta
è la loro natura, e vengono allevati ad usare la violenza contro le donne per tenerle
in una condizione di subordinazione» (p. 185). Le autrici confutano con decisione
questa colpevolizzazione della figura dell’uomo in quanto tale, e affermano che la
violenza è sempre legata alla compresenza di una causa psicopatologica.
Nel capitolo Da Filomela alle donne di oggi: tra mito e clinica, Francesca Picone affronta
l’enorme questione delle caratteristiche psicologiche che differenziano il genere
maschile dal femminile e delle dinamiche che intercorrono nella relazione psico-
logica tra uomo e donna. La sua analisi tuttavia contraddice le critiche alle teoriz-
zazioni freudiane avanzate nei capitoli precedenti e prosegue riallacciandosi al
pensiero di Jung, unito a considerazioni mitologiche, simboliche, filosofiche e an-
tropologiche che conferiscono al testo un tono astratto ed esoterico che sconfina
a tratti nel mistico, generando una confusione di livelli teorici che finisce per met-
tere sullo stesso piano il pensiero dei filosofi con la prassi di esperimenti scientifici
condotti in anni di importanti ricerche. Al mito di Filomela, che descrive il tragico
fallimento del rapporto uomo-donna ed è presentato come un esempio di patolo-
gia disfunzionale, è contrapposto il mito di Eros e Psiche narrato da Apuleio. Pi-
cone afferma che la favola di Apuleio può «rappresentare nel suo insieme la storia
della crescita e della maturazione umana» nel rapporto uomo-donna (p. 182), ma
non approfondisce il tema e si limita a citare in proposito poche righe di Erich
Neumann2. La contrapposizione fra i due miti non risulta quindi adeguatamente
argomentata, e non è compresa dall’autrice l’identità di donna proposta da Apu-
leio e colta da Massimo Fagioli, il quale più volte ha indicato nella favola di Amore
e Psiche l’espressione della reale sessualità umana – in antinomia alla tragedia di
Edipo proposta da Freud – e, soprattutto, della realizzazione dell’identità della
donna3.
In conclusione, il testo svolge bene la sua funzione di denuncia, ben documentata
e argomentata in particolare per ciò che concerne i dati statistici, sensibile e netta
nell’affrontare la cultura misogina in tutte le sue forme e sedi. Può rappresentare
dunque un importante stimolo alla ricerca, sebbene si possa lamentare in generale

2
E. Neumann, Amore e Psiche. Un’interpretazione nella psicologia del profondo, Astrolabio, Roma 1989.
3
Cfr. ad esempio M. Fagioli, La marionetta e il burattino (1974), L’Asino d’oro edizioni, Roma
2011, p. 11.

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Il sogno della farfalla 2-2019

una certa carenza nell’approfondimento degli aspetti psicopatologici inconsci e


nella ricostruzione, anche sul piano bibliografico, dei percorsi che a partire dalle
ipotesi cliniche hanno portato a sviluppare determinate tesi.

(Alessandra Carlotto)

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