Direttore: Francesco Romano UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO GIOVANNA R. GIARDINA I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Analisi critica di Aristotele, Phys. II Presentazione di PIERRE PELLEGRIN CATANIA 2006 CUECM 30 otoo oq ofqio voo c ociqcv ofo ooov Or. Ch. Fr. 108 dP In copertina: testa di Aristotele, Kunsthistorisches Museum di Vienna. Nel frontespizio: Ecate rafgurata in un amuleto (da C. Bonner, Studies in Magical Amulets, Michigan Univ. 1950). Department of Sciences of Culture, Man and Territory University of Catania Volume stampato con il contributo della Facolt di Lettere e Filosoa del- lUniversit di Catania, Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali, sede di Siracusa. Propriet letteraria riservata Catania 2006 Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero Via Quartarone 24 - Via Teatro Greco 107 - 95124 Catania E-mail: cuecm@katamail.com - www.cuecm.it Tel. e fax 095 316737-7159473 - C.c.p. 10181956 Tutti i diritti di riproduzione sono riservati. Sono pertanto vietate la conser- vazione in sistemi reperimento dati e la riproduzione o la trasmissione, an- che parziali, in qualsiasi forma e mezzo (elettronico, meccanico, incluse fo- tocopie e registrazioni) senza il previo consenso scritto delleditore. a mio glio Luciano INDICE GENERALE Prsentation (Pierre Pellegrin) p. 9 Prefazione 11 1. Gli antecedenti della dottrina della physis di Fisica II 17 1.1. La physis prima di Aristotele 19 1.2. La physis in Fisica I 33 2. La rifondazione della scienza della natura (Phys. II 1-2) 55 2.1. La natura e gli enti naturali (Phys. II 1) 57 2.2. Il sico e il suo proprio oggetto di ricerca (Phys. II 2) 93 3. La dottrina aristotelica della causalit (Phys. II 3 e 7) 135 3.1. Riessioni preliminari sullesposizione delle cause 137 3.2. Specie e modalit delle cause 165 4. La fortuna e la spontaneit sono cause alternative alle precedenti quattro? (Phys. II 4-6) 185 4.1. Lesistenza di fortuna e spontaneit secondo le dottrine dei siologi (Phys. II 4) 187 4.2. Fortuna e spontaneit: la teoria di Aristotele (Phys. II 5-6) 193 5. Il nalismo naturale e la critica del meccanicismo (Phys. II 8-9) 215 5.1. La nalit nella natura (Phys. II 8) 217 5.2. La necessit nella natura (Phys. II 9) 245 6. Epilogo 257 7. Appendice 283 7.1. Premessa 285 7.2. Testi e traduzioni 285 8. Bibliograa p. 319 8.1. Fonti 321 8.1.1. Edizioni 321 8.1.2. Traduzioni 322 8.2. Letteratura 323 9. Indici 343 Indice degli autori citati 345 Indice dei luoghi citati 349 8 INDICE GENERALE PRSENTATION Aprs son analyse critique du livre I de la Physique dAristote, publie en 2002, Giovanna R. Giardina sattaque au livre II. Le r- sultat est la fois profond et brillant. Le commentaire, au sens le plus complet et le plus noble de ce terme, de textes trs connus est un exercice extrmement difcile que peu de gens russissent. La tendance la paraphrase le dispute la tendance inverse aux g- nralisations abusives. Je pense que Giovanna R. Giardina ralise parfaitement lquilibre rare entre une attention sans faille au dtail du texte et une vision interprtative globale du livre II de la Phy- sique, qui fait que lon ressort de la lecture de son ouvrage enrichi de perspectives philosophiques nouvelles. Quand on a prsent lesprit le texte et une grande partie de la somme immense des commen- taires quil a suscits, on ne peut que trouver cette performance ad- mirable. Le signe le plus vident de la russite de cet ouvrage, cest quil peut sadresser des lecteurs trs diffrents. Ceux qui ne sont pas spcialistes de la physique aristotlicienne trouveront dans ce livre une introduction incomparable, bien que difcile, ce qui ne doit pas laisser indiffrente lenseignante quest Giovanna R. Giardi- na. Mais ceux qui ont pass de nombreuses annes en compagnie de ce texte fondateur, comme cest mon cas puisque jai rcemment tra- duit la Physique en franais, trouveront dans cette tude la fois des analyses minutieuses et de nouvelles approches de ce que Heidegger considrait comme le livre fondamental de la philosophie occiden- tale. La prochaine dition de ma traduction en portera la trace Louvrage suit de prs le texte mme du livre II, non sans re- tours sur le livre I ni sans recours aux autres textes du corpus aris- totlicien, que Giovanna R. Giardina matrise parfaitement. Elle tient aussi grand compte de la tradition exgtique grecque ancien- ne qui, comme on le sait, est particulirement importante et pr- cieuse pour la Physique. Le premier rsultat de ce parcours, cest de montrer que le livre II est en continuit avec ce qui le prcde et ce qui le suit. Il sagit l dun rsultat faussement banal, quand on connat la tendance toujours forte parmi les interprtes autonomi- ser ce livre II. Or il me semble que notre lecture de la Physique est compltement diffrente selon quon la considre comme, sinon un livre au sens moderne du terme, du moins un ensemble dtudes intgres dans une recherche unique ou comme lagrgation de traits indpendants, cette agrgation ft-elle luvre dAristote lui-mme. Lautre effet principal de la lecture minutieuse de Gio- vanna R. Giardina, cest de montrer lconomie interne du livre II, laquelle sorganise autour dune rexion sur la causalit: tutto il secondo libro si presenta come unaccurata e approfondita tratta- zione delle cause. Le fait que le livre qui se donne demble com- me celui o la physis se trouve dnie, cest--dire dlimite, en ar- rive trs vite traiter de tous les aspects de la causalit en dit long sur le projet physique dAristote. Or le problme de la causalit est sans doute lun des plus dbattus aujourdhui parmi les spcialistes de la philosophie dAristote et de la philosophie antique en gnral. Giovanna R. Giardina ne peut videmment pas traiter de tous les aspects de la causalit aristotlicienne: un gros livre ny sufrait pas. Mais en la lisant on voit ce que le texte dans lequel Aristote donne lexpos le plus complet de son tiologie permet de dire sur cette question centrale, et aussi ce quil interdit de dire. Si Giovanna R. Giardina trouve le courage et le temps de continuer son entreprise, et nit par donner une tude sur len- semble du texte de la Physique, elle fournira aux lecteurs modernes un outil de travail qui naura gure dquivalent dans la tradition exgtique. En un sens elle renouera avec la pratique un peu ou- blie des commentaires complets qui, de Philopon Pacius, ont marqu lhistoire de la lecture de ce texte. Mais comme louvrage qui nous est ici offert, tout comme le prcdent, ne se rduisent pas un commentaire, mais proposent une vritable interprtation philosophique du texte aristotlicien, le livre de Giovanna R. Giar- dina prendra aussi place dans la littrature interprtative au sens moderne et participera, de ce fait, au renouvellement toujours re- commenc de notre comprhension dAristote. Paris, CNRS Pierre Pellegrin 10 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE PREFAZIONE Dopo avere pubblicato nel 2002 per questa Collana i risultati della mia prima ricerca sulla Fisica di Aristotele (I fondamenti della Fisica. Analisi critica di Aristotele, Phys. I = Symbolon 23), e dopo avere nel 2003 offerto un ulteriore contribuito su La causa motri- ce in Aristotele, Phys. III 1-3 a un Seminario aristotelico, i cui Atti sono usciti in questa medesima Collana per la cura mia e di Lore- dana Cardullo (La Fisica di Aristotele oggi. Problemi e prospettive, Catania 2005 = Symbolon 28), continuo con il presente volume a progredire nella ricerca sulla Fisica aristotelica, affrontando lanali- si del II libro, di cui qui presento i risultati concernenti il concetto di natura e la dottrina della causalit, che si legano direttamente come il lettore avr modo di vedere alla teoria dei principi degli enti naturali del I libro. Lanalisi di questo II libro ha prodotto in me la convinzione che esso sia il libro centrale dellintero trattato aristotelico, perch in esso che Aristotele costruisce concreta- mente le premesse per lo studio di alcune strutture basilari della - sica, quali sono appunto le nozioni di movimento, innito, luogo, vuoto e tempo (libri III-IV), e del modo in cui esse interagiscono fra loro (libri V-VI), per giungere inne allo studio dei primi moto- ri e del Primo Motore Immobile (libri VII-VIII), nozioni queste ul- time che ssano quei termini dellintera trattazione sica aristoteli- ca oltre i quali ha inizio la metasica. Non un caso, allora, che proprio il II libro della Fisica sia stato in passato e continui ancora oggi ad essere oggetto privilegiato di ricerca per gli studiosi della Fisica, essendo possibile trovare in esso, per dirla con una metafo- ra, la chiave che apre molte porte per la soluzione delle problema- tiche siche affrontate da Aristotele. Mi riferisco in primo luogo al- la strutturazione teorica che nel II libro viene fornita della nozione di qtoi che viene identicata di volta in volta con la materia, con la forma e con il ne, dando luogo in tal modo come ho avuto modo di precisare in questo studio a quella tensione dialettica fra i tre principi del divenire che viene spiegata da Aristotele come un continuo intersecarsi, nel sostrato naturale (tocicvov), di priva- zione (ofcqqoi) e forma specica (cioo); mi riferisco in secondo luogo alla dottrina della causalit che nel II libro non solo ha la sua formulazione tecnica che, come Aristotele afferma pi volte in al- tri trattati rimandando costantemente a Phys. II 3 e 7, quella pi completa e precisa , ma anche pone in evidenza, attraverso la no- zione di natura, tutta la sua forza sia nel fornire una spiegazione che conduca ad una conoscenza epistemologicamente fondata del- la realt, sia nellidenticare tutti i possibili fattori di una connes- sione reale, concreta, di cose o di fatti; ma soprattutto mi riferisco alla dottrina del ne, che viene visto ora come ci in vista di qual- cosa, ora come termine ultimo o nale di ogni processo di diveni- re, distinzione che consente di dimostrare la presenza nella natura di un nalismo compatibile con la necessit (Phys. II 8-9), e quindi di un ordine e di una regolarit che, contrariamente a quanto avve- niva in Platone, costretto nel Timeo a fare ricorso allazione causale del Demiurgo, trovano adesso il loro giusto posto allinterno della stessa natura. Per tutte queste ragioni, mi si permetta che alla ne del mio la- voro io possa esprimere abbandonando per un momento il rigore del metodo di analisi e di critica dei testi tutta la mia ammirazio- ne per un pensatore di cui vado scoprendo, man mano che ne ap- profondisco i risvolti teorici, lelevato potere di penetrazione e ri- soluzione delle pi complesse problematiche in tutti i settori del- lindagine losoca e scientica, non soltanto di quella sica. In ra- gione di questo fascino che Aristotele esercita su di me, mi pro- pongo, per quanto concerne i miei futuri impegni di ricerca, due obiettivi principali, e cio quello di studiare i rimanenti libri della Fisica con il medesimo criterio che ho adottato per i primi due e, contemporaneamente, quello di fornire una nuova traduzione del- lintero trattato. Prima di licenziare questo mio lavoro per la stampa, sento di dovere esprimere la mia gratitudine a quanti, sobbarcandosi alla fatica di leggerlo in manoscritto, hanno contribuito con i loro con- sigli e le loro utilissime osservazioni a migliorarlo e a condurlo ver- so la sua veste denitiva. Mi riferisco anzitutto a E. Berti, G. Caser- 12 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE tano, F. Franco Repellini, P. Pellegrin e M. Vegetti, ai quali tutti va indiscriminatamente la mia pi viva riconoscenza. In particolare ringrazio P. Pellegrin anche per la sua puntuale ed efcace Prsen- tation, che arricchisce non poco il valore di questo volume. Inne, un ringraziamento speciale e colmo di affetto va al mio maestro, Francesco Romano, che ogni giorno incoraggia i miei stu- di e mi sostiene nel difcile cammino dellesegesi dei testi aristote- lici: con lui ho discusso innumerevoli passaggi e interpretazioni, ed ho immancabilmente trovato da parte sua piena disponibilit di tempo e di energia. La discussione con lui delle mie opinioni fon- te per me di incommensurabile arricchimento e di crescita intellet- tuale, e la tensione dialettica a cui mi costringe un esercizio pre- zioso che rende sempre pi rigoroso il mio metodo. A lui, pi che a chiunque altro, esprimo la mia innita gratitudine, pur consape- vole che non potr mai pareggiare i beneci intellettuali e morali che traggo dalla sua benevolenza. Lultimo ringraziamento va alla mia famiglia e in modo partico- lare a mio glio Luciano, al quale meritamente dedico questo libro, anche perch, nonostante la sua giovanissima et, ha gi imparato a rispettare quasi religiosamente il mio attaccamento alla ricerca e a comprendere che questa una mia esigenza profonda e irrinuncia- bile, anche se gli sottrae un poco di quellattenzione che io legitti- mamente dovrei dedicargli. Lascio quindi al giudizio, che mi auguro benevolo, dei lettori di questo mio lavoro la verica se i miei sforzi abbiano o meno conse- guito i risultati sperati, assumendomi n dora tutta la responsabi- lit di uneventuale loro inadeguatezza e promettendo di portare avanti questa specica ricerca sulla Fisica aristotelica no al suo na- turale compimento, no allo studio, cio, del suo ultimo libro. Catania, gennaio 2006 GRG PREFAZIONE 13 I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE ANALISI CRITICA DI ARISTOTELE, PHYS. II 1. GLI ANTECEDENTI DELLA DOTTRINA DELLA PHYSIS DI FISICA II 1.1. La physis prima di Aristotele In Platone, Fedone 96a-98a, apprendiamo da Socrate che da giovane era stato preso da un desiderio vivissimo di possedere quella sapienza che tutti chiamano indagine sulla natura (cqi qtocm iofoqio), 1 per cui egli si era posto tutta una serie di do- mande sulle cause di ogni cosa che si genera e si corrompe in natu- ra: quali siano i processi di generazione e corruzione degli esseri vi- venti, se sia ad esempio il sangue o laria o il fuoco lelemento con il quale pensiamo, oppure se sia il cervello ci da cui derivano la memoria, lopinione e, in denitiva, anche la scienza, e inne quali siano i fenomeni che si producono nel cielo e sulla terra. Socrate talmente confuso a proposito di questo genere di studi che crede di non poterne venire mai a capo e di non essere idoneo a un tale tipo di indagine, quando, un giorno, gli capita di sentire un tale che stava leggendo un libro di Anassagora. Socrate sente dire da costui che, secondo Anassagora sarebbe il nous, cio lintelletto, la causa ordinatrice di tutte le cose. Socrate corre allora a leggere il li- bro di Anassagora, ma ne viene profondamente deluso, perch sco- pre che, nonostante parli di intelletto come causa ordinatrice e qui Socrate cita altri suoi interrogativi e dubbi sulla natura, che pensava gli venissero risolti dalla dottrina di Anassagora, e cio perch la terra sia al centro delluniverso e ancora quale sia la ve- rit sul sole, sulla luna e sugli astri , Anassagora ricorre contrad- dittoriamente a semplici cause meccaniche per spiegare il mondo. La delusione del Socrate personaggio del Fedone platonico consi- ste, in poche parole, nel non riconoscere nel nous anassagoreo, co- me invece sperava, la causa nale di tutto ci che accade in natura, 1 Sulla nozione di qt oi nella losoa greca classica si vd., oltre al vecchio sag- gio di E. Hardy (1884), almeno gli studi di H. Patzer (1993), H. Leisegang (1941), F. Heinimann (1945, 1978 2 ). Si vd. anche J. Barnes (1982); G.S. Kirk, J.E. Raven & M. Schoeld (1983); A.A. Long cur. (1998); A. Laks & C. Louguet curr. (2002). bens una semplice causa meccanica. 2 Anassagora quindi, secondo Socrate, proponeva solo a parole lIntelletto come principio ordi- natore delle cose, ma non ne spiegava la vera natura di causa ordi- natrice e quindi nale. Dice infatti Socrate in Fedone 98a-b: Infat- ti, io non avrei mai creduto che, uno che sosteneva che queste cose erano state ordinate dallintelligenza (to vot otfo cooqo0oi), attribuisse loro altra causa che non fosse questa, ossia che il loro meglio (cfiofov) era di essere cos come sono (otfo otfm cciv cofiv mocq cci). Insomma, io credevo che Anassagora conti- nua Socrate , assegnando la causa a ciascuna cosa in particolare e a tutte in comune, avrebbe spiegato ci che il meglio per ciascu- na di esse e ci che il meglio che comune a tutte. La sola causa meccanica infatti insufciente o quantomeno inadeguata a spie- gare il perch (il oiofi di cui parler Aristotele) delle cose, limi- tandosi solo al che (lofi di cui parler Aristotele), come dire, pensa Socrate, che qualora egli chiedesse il perch del suo stare se- duto, non gli sarebbe affatto sufciente sentirsi rispondere che la causa consiste nellessere fatto di carne, di ossa e di nervi disposti in modo tale da consentire la posizione dello star seduti. Platone a questo punto ben consapevole dellimportanza della causa nale nellindagine sulla natura, al punto che in Filebo 53e5-7 scriver: [] tra le cose che sono ci sono sempre ci che in vista di qual- cosa e, viceversa, ci grazie a cui avviene sempre di volta in volta ci che avviene in vista di qualcosa (fo cv cvco fot fmv ovfmv cof oci, fo o ot oqiv coofofc fo fivo cvco ivocvov oci i- vcfoi). Su questo passo platonico ritorner quando si dovr di- scutere della dottrina delle cause in Aristotele e del nalismo che lo Stagirita riconosce nel mondo della natura, ma per il momento ci che mi interessa mettere in evidenza un altro aspetto. Da questo ampio ventaglio di questioni che Socrate mette in campo nel Fedone, noi possiamo gi comprendere che cosa gli anti- 20 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 2 In questa prospettiva platonica del meglio G. Casertano (2002) riconosce non soltanto lintroduzione di una considerazione semplicisticamente nalistica del cosmo, nel senso che sar poi di altri autori, per cui il mondo tutto e la natura sono costituiti in vista dellapparizione delluomo, e nalizzati alla sua esistenza, quanto appunto lapertura di un orizzonte etico che luomo deve necessariamente inserire nella sua visione della realt ai ni del suo agire per il meglio (pp. 24-25). chi, prima di Aristotele, ritenevano che dovesse essere di pertinenza dello studioso della natura. Il campo di indagine del sico riguarda la struttura della realt naturale, i fenomeni del cielo, ma anche le origini della vita, il mutamento degli enti, cio di tutti gli enti natu- rali, dalle piante agli animali alluomo compreso lintelletto di que- stultimo. Ebbene, esattamente lo stesso programma di ricerca sulla natura che Aristotele si proporr allinizio dei Meteorologica. A tale programma Aristotele ha mantenuto fede, se si esclude lo stu- dio delle piante che fu compiuto invece dal suo allievo Teofrasto. In Meteor. I 1, 338a20-339a9, Aristotele ci presenta lintero suo programma relativo allindagine sulla natura, programma che in parte ha gi svolto prima e che per il resto svolger dopo la scrittu- ra dei Meteorologica. 3 Il programma prevede le seguenti sezioni: 1) studio delle prime cause della natura e del movimento naturale in generale (Hcqi cv otv fmv qmfmv oifimv fq qtocm oi cqi o- oq ivqocm qtoiq), cio la Fisica; 2) studio degli astri ordinati secondo il movimento celeste e degli elementi corporei, cio il De caelo; 3) studio della generazione e della corruzione, cio il De ge- neratione et corruptione; 4) studio di quella parte di questo percor- so che tutti gli antichi chiamavano meteorologia, cio i Meteorolo- gica; 5) studio degli animali, delle piante e in generale di tutti gli es- seri viventi compreso luomo, parte che corrisponde alle opere zoologiche, botaniche e psicologiche. 4 Come si vede, si tratta degli stessi argomenti e questioni che Socrate si poneva nel Fedone. Tut- te queste parti di programma corrispondono allintero corpus degli scritti aristotelici sulla natura, che costituiscono pi della met del- lintera produzione aristotelica, mostrandoci un Aristotele sico, prima ancora che logico, metasico o altro. In altri termini Aristo- tele a parte le questioni di metodo e quindi il rinnovamento che ritiene di apportare allindagine naturalistica dei suoi predecessori concepisce il suo programma considerandosi perfettamente inte- grato in quella tradizione di studi sici da cui il Socrate del Fedone LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 21 3 Cf. J. Brunschwig (1991), pp. 25-27. 4 Questo aspetto molto ampio della qt oi, che riguarda il mondo in cui vivia- mo ma anche gli astri, gli elementi e persino luomo, lo riscontriamo anche in Pla- tone, Timeo 27a2 ss., dove appunto Crizia presenta a Socrate Timeo come sapien- te su tutte queste questioni. platonico, come abbiamo visto, era stato attratto inizialmente e per i quali si sentiva inadeguato. Aristotele stesso, con la sua consapevolezza anche se non sempre obiettiva del pensiero precedente, fa risalire la prima in- dagine sulle cause dei fenomeni naturali a Talete, il quale per, co- me sappiamo anche a proposito delle conoscenze matematiche che gli vengono attribuite, certamente doveva molto a indagini molto pi antiche di lui, sia greche che provenienti dallEgitto e dalla Me- sopotamia. Lindagine naturalistica dei Milesii, di Talete e dopo di lui di Anassimandro e di Anassimene, sebbene debitrice dei risul- tati raggiunti da coloro che li avevano preceduti e non condotta con un metodo scientico rigoroso, pu essere tuttavia considerata correttamente, come la considerava Aristotele, come la prima ri- essione losoco-scientica sulla natura. Aristotele identic in- fatti i Milesii come coloro che per primi tentarono di interpretare il mondo in modo scientico e razionale in contrapposizione alla cultura poetica delle origini, basata sui miti e su una connessione fra il naturale e il soprannaturale per cui li consider giustamente come gli scopritori della natura e i fondatori dellindagine su di es- sa. 5 Della losoa naturale milesia Aristotele riutilizza abbastanza poco, 6 anche se ne registra tutti i signicati fondamentali della qt- oi e precisamente: 1) il signicato etimologico di processo di svi- luppo delle cose che crescono; 7 2) qtoi come elemento materiale da cui ha origine lessere o lo sviluppo di ogni ente naturale; 8 3) 22 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 5 Cf. G.E.R. Lloyd (1978), pp. 17-23. 6 Scarno persino il riferimento in Phys. III 4, 203b3 ss. allinnito di Anassi- mandro, il quale fornisce in verit la prima vera e coerente caratterizzazione della qtoi dellantichit; cf. quanto dice M. Conche nella sua trad. dei frr. di Anassi- mandro. 7 Cf. Metaph. A 4, 1014b16 ss. 8 Cf. Metaph. A 4, 1014b26 ss. Gi E. Hardy (1884), pp. 13-16, aveva preso in considerazione questi due primi signicati di qtoi in Talete, sottolineando so- prattutto come in questo losofo ci fosse una sostanziale coincidenza della nozio- ne di essere e di divenire, che avrebbe in seguito incontrato lopposizione di Par- menide. Per una discussione del termine qtoi presente nei titoli delle opere dei primi siologi, cqi qtocm, cf. J. Burnet (1908), vol. VII, pp. 12 ss.; cf. contra, ma in accordo con Hardy, M.W.A. Heidel (1910), ad loc. La ragione del contendere a proposito del termine qtoi se occorra assegnare ad esso prevalentemente il si- gnicato di principio e fonte di movimento degli enti naturali oppure il signicato qtoi come materia prima, e non prima in rapporto alla materia delloggetto stesso (qo otfo ) bens prima in generale (om qmfq), cos come lacqua; 9 4) qtoi come ne della generazione, che in Aristotele coincide con la forma essenziale specica. 10 Con Eraclito la qtoi diviene oo, cio legge o principio ra- zionale delluniverso, che ad un tempo realt, verit e linguaggio, ma la riessione naturalistica greca subisce ad un tratto un gravissi- mo contraccolpo da parte della losoa eleatica, che costituisce uno di due momenti di svolta attraversati dalla losoa classica sulla na- tura. Il secondo momento sar rappresentato dalla sostica e da So- crate. Ma la svolta con cui la losoa della natura costretta a misu- rarsi a causa degli Eleati ancor pi signicativa di quella rappre- sentata dalla sostica e da Socrate e non un caso che le critiche e le confutazioni che nella Fisica Aristotele muove contro gli Eleati siano pi frequenti che non le critiche che egli muove contro i Platonici e lo stesso Platone, anche se la confutazione degli Eleati legata spes- so alla confutazione di Platone e a questo scopo Aristotele strumen- talizza spesso la polemica contro gli Eleati. In altri termini, Aristote- le sfrutta le sue risposte ai problemi posti dagli Eleati per colpire e confutare la natura di eleatismo rivisitato che egli scorgeva nella teo- ria platonica delle idee. A giudizio di Aristotele Parmenide elimine- rebbe infatti ogni possibilit di scienza della natura nel momento in cui elimina loggetto stesso di tale scienza, cio lente in divenire, stabilendo che lessere uno ed immobile. 11 Ogni movimento o mu- LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 23 di elemento stabile degli enti, dal momento che entrambi i signicati vengono ri- conosciuti da questi studiosi al termine qt oi. Queste interpretazioni qui citate so- no state praticamente ripetute da coloro che si sono occupati della qtoi nei pre- socratici nel corso del secolo scorso, si cf. R. Mondolfo in E. Zeller-R. Mondolfo (1932), pp. 27-98; H. Leisegang (1941), coll. 1130-1164. Per un quadro generale di queste posizioni si vd. poi A. Mansion (1946), pp. 59 ss. 19 Cf. Metaph. A 4, 1015a7-10. 10 Cf. Metaph. A 4, 1015a10-11. 11 L. Couloubaritsis (1997), pp. 20 ss. mette bene in evidenza che se la deon- tologizzazione della concezione aristotelica di movimento ha permesso la nascita della sica moderna, tuttavia lontologizzazione del divenire compiuta da Aristote- le stata la via che ha reso possibile la sopravvivenza della scienza sica dopo la crisi storico-teoretica in cui laveva posta Parmenide con la sua svalutazione delle nozioni di cvcoi e di qtoi in conseguenza della sua teoria dellessere uno e im- mobile. Cf. Parmenide fr. 28 B 8,38-41 DK. tamento un passaggio dallessere al non essere o dal non essere al- lessere, passaggi ambedue impossibili! Gli Eleati segnano cos una svolta nel signicato di qtoi, nel senso che considerano questulti- ma come il contrario dellessere e quindi della verit, perch essere e verit sono per loro la medesima cosa. lecito anzi affermare che, secondo Aristotele, gli Eleati, negando il divenire dellessere e quin- di la sua naturalit, eliminerebbero al contempo la possibilit di una scienza sica: parlare quindi di una losoa della natura in senso eleatico sarebbe, a rigore, un abuso di linguaggio, stando almeno al concetto aristotelico di qt oi e di scienza della natura. Secondo quanto Aristotele dice in Phys. I 2, infatti, Parmenide distrugge la possibilit stessa di discutere della natura, per cui il - sico si trova nei suoi confronti come il geometra nei confronti di chi gli tolga i principi della sua scienza. Lo scienziato a cui venisse- ro negati i principi della sua scienza sarebbe impossibilitato a di- scutere su di essa, ma le dottrine degli Eleati sono discusse a pi ri- prese nella Fisica aristotelica 12 ed Aristotele tratta Parmenide come un siologo alla stessa stregua degli altri siologi presocratici. A questo proposito, P. Pellegrin, nellIntroduction alla sua traduzione della Fisica di Aristotele fa uninteressante considerazione, dicendo che: [] les leates ne suppriment pas la physique, mais propo- sent pour elle un statut qui est inacceptable pour un aristotli- cien. 13 Questa considerazione, per la verit, pone laccento su un problema molto serio che Aristotele deve affrontare e che discute soprattutto confrontandosi con Platone, cio il problema di attri- buire alla sica uno statuto di scienza autonoma ben preciso, in quanto la sica per lui scienza diversa dalle altre due scienze teo- retiche, la losoa prima e la matematica, mentre Platone ha creato legami inaccettabili agli occhi di Aristotele fra sica e matematica, in quanto ha fortemente matematizzato la sica subordinandola al- la matematica stessa, la quale ultima appare quindi scienza di supe- riore livello teoretico. E non bisogna dimenticare che Platone erede della riessione eleatica, anche se per lui tale losoa risulta uneredit per molti aspetti scomoda, al punto che nella fase nale 24 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 12 Cf. S. Mansion (1953) e (1961). 13 P. Pellegrin (2000), pp. 14-15. della sua attivit losoca costretto a rivedere i rapporti fra lelea- tismo e la sua dottrina della idee. Infatti, la losoa naturale di Pla- tone non pu non tenere conto dellassunto fondamentale degli Eleati e cio che la vera realt deve essere immutabile e immobile, e questo in qualche modo signica una certa svalutazione della realt naturale, che non appunto n immutabile n immobile. Tuttavia la losoa naturale platonica non si risolve nellafferma- zione che lunica realt sia quella dei modelli ideali e che la realt naturale non sia quindi realt. La realt naturale, pur non essendo vera realt, tuttavia realt nella misura in cui strutturata mate- maticamente secondo Platone sulla base dei rapporti dialettici sussistenti nel mondo ideale. In altre parole, anche la matematizza- zione platonica della realt naturale, che inaccettabile per Aristo- tele, in qualche modo una conseguenza dellassunzione, derivata dalleleatismo, che la vera realt delle idee non pu essere elimina- ta come voleva Aristotele per salvare la realt della natura. al- lora perfettamente comprensibile la preoccupazione con cui Ari- stotele ritorna di continuo sulla losoa eleatica, e anzi questa preoccupazione perfettamente parallela a quella con cui ritorna continuamente su Platone e sul platonismo. Aristotele pensa che i loso post-parmenidei, Empedocle, Anassagora e gli Atomisti, si siano sforzati di restaurare, dopo le- leatismo, lindagine sulla natura, pur tenendo conto, ovviamente, della lezione degli Eleati. Empedocle, ad esempio, si sforza di ren- dere compatibile il molteplice mondo sensibile, caratterizzato da un incessante divenire, con leterna stabilit del suo principio e fondamento. Di qui una certa oscillazione del pensiero empedo- cleo tra due esigenze: luna di un discorso sui principi e laltra di un discorso sul divenire della natura. Perci Empedocle nega ogni passaggio dallessere al non essere e viceversa, ammettendo, invece, soltanto la mescolanza e la separazione degli elementi. 14 Da Empe- docle Aristotele riprende la teoria dei quattro elementi, cio dei quattro corpi semplici, 15 che gi Platone aveva tenuto in considera- zione nel Timeo, dove tuttavia, piuttosto che gli elementi veri e LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 25 14 Cf. Empedocle, frr. 31 B 8, 9, 11 e 12 DK. 15 Cf. ad esempio, Metaph. A 3, 984a8 ss. propri, Platone utilizza le gure geometriche che li identicano e che, in quanto quantit geometriche, regolano in modo preciso su- perci e corpi di tutti gli enti, per cui il Timeo appare, in n dei conti, come un trattato di sica matematica. Anassagora ha, rispetto ad Empedocle, una difcolt in pi per risolvere sempre lo stesso problema creato nellambito della loso- a della natura dalleleatismo. Questa nuova difcolt dipende dal fatto che, con lavvento della sostica, lindagine si sposta dalla na- tura alluomo. Anassagora, dunque, cerca di risolvere la crisi della losoa della natura avvicinando il discorso della stabilit dei prin- cipi eterni e molteplici al piano di una realt pi vicina alluomo, sostenendo che lunico principio della natura e della sua armonia e stabilit il nous trascendete. Tale principio uno solo e al tempo stesso ordinatore, anche se ancora legato a unattivit di tipo mec- canicistico, ma un intelletto, cio legato alluniverso antropologi- co. Questa soluzione di Anassagora comporta infatti un certo na- lismo. Nonostante questo spostamento sul piano antropologico, Anassagora, come gi Empedocle, nega il generarsi e il corromper- si delle cose come passaggi dallessere al non essere e viceversa, pensandoli invece come mescolanza e separazione degli elementi, che per Anassagora sono costituiti di particelle qualitativamente si- mili fra loro: le omeomerie. Infatti, sia Empedocle che Anassagora considerano la qtoi come linsieme di quegli elementi che, me- scolandosi e corrompendosi, comportano lapparente nascita e morte degli enti naturali. Sulla scorta della lezione di Parmenide, sia Empedocle che Anassagora considerano la qtoi come linsie- me di questi elementi regolati e ordinati da principi eterni e immu- tabili. Essi dunque si fanno promotori di una nuova sica, fondata non gi su un unico elemento che fa da materia o principio unico di tutta la natura, ma sulla mescolanza e la separazione di enti ele- mentari preesistenti. 16 Da Anassagora Aristotele riprende il proble- ma del nous che aveva gi colpito il Socrate platonico del Fedone e per lo stesso motivo: anche per Aristotele lintelletto di Anassagora sembrerebbe avere la sionomia di una causa nale, ma questa solo unillusione, perch tale intelletto si riduce solo a una causa 26 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 16 Cf. Empedocle, fr. 31 B 8 e 31 A 44 DK, Anassagora, fr. 59 B 17 DK. meccanica. Tale funzione ordinatrice, che Aristotele, come gi Pla- tone, aveva creduto di riconoscere nel nous anassagoreo, afdata nella Fisica aristotelica alla qtoi che assicura il perfetto ordina- mento teleologico del mondo naturale, poich il Primo Motore Im- mobile di Aristotele non ha, al contrario, n il compito di creare, come il Demiurgo platonico, n quello di ordinare la natura, rima- nendo invece puro pensiero di se stesso. Gli Atomisti trovarono anchessi, come abbiamo visto nel caso di Empedocle e di Anassagora, un compromesso con la losoa di Parmenide, affermando che gli atomi, che essi pongono come prin- cipi inniti delluniverso, sono eterni. Il modo che ad essi rimaneva di giusticare il mutamento e la molteplicit del mondo fenomeni- co era quindi, secondo Aristotele, quello di pensare che gli atomi si aggregano in modo del tutto casuale in uno spazio innito e in un tempo innito. 17 Aristotele che fu lunico nellantichit classica a tenere in considerazione la losoa naturale di Democrito contro lindifferenza generale che non teneva latomismo in gran conto, a causa soprattutto del meccanicismo materialistico che lo caratteriz- zava e che era ben lontano dalla sensibilit dellet di Platone verso la dimensione eidetica e verso il nalismo si accorse con grande chiarezza del nesso che legava fortemente latomismo e leleati- smo. 18 Ci che creava difcolt agli Atomisti , ancora una volta, il rapporto essere-non essere che, essendo impossibile, ha come con- seguenza la negazione stessa del mondo naturale mutevole e tran- seunte. Di qui il fatto che nel linguaggio degli Atomisti lessere di- venga il pieno e il non essere il vuoto, ma ci possibile allinterno della prospettiva eleatica secondo cui lessere, che in questo caso sono gli atomi, eterno e immutabile. Certamente la losoa ato- mista era gravida di problemi che in parte verranno ripresi e rima- neggiati dallepicureismo, 19 ma che gi sono oggetto di riessione e LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 27 17 Dal fr. di Leucippo, 67 B 2 DK apprendiamo in verit che nel suo scritto Dellintelletto Leucippo affermava che tutto si produce necessariamente. 18 Si vd., ad esempio, il fr. 67 A 7 DK. Su Democrito e latomismo antico si vedano gli utili saggi contenuti nel volume F. Romano cur. (1980). 19 Ad esempio, Democrito riteneva che gli atomi si muovessero nel vuoto di movimento vorticoso. Lepicureismo, per spiegare come potesse avvenire lincon- tro fortuito degli atomi che conducesse alla loro aggregazione, sostenne che gli di critica da parte di Aristotele. 20 Era difcile per lo Stagirita, ad esempio, sulla base del puro meccanicismo atomistico, spiegare, pur nella diversit e variet degli enti naturali, la nascita regolare di individui della medesima specie, difcolt che Aristotele risolve considerando il divenire come un processo di trasmissione di una forma specica determinata sin dallinizio. Ma la losoa della natura subisce ancora una volta, dopo la prima svolta rappresentata dalleleatismo, ad opera di Socrate per un verso e di Platone per un altro verso, un notevole rivolgimen- to. Se il Socrate del passaggio del Fedone gi citato, infatti, si pre- senta come desideroso di quella sapienza che lindagine sulla na- tura, nellApologia, invece, egli stesso afferma davanti ai suoi giu- dici di non aver mai avuto a che fare con questo settore del sapere e che Aristofane ad avergli erroneamente attribuito una compe- tenza che egli non ha. 21 Con Socrate, infatti ma dovremmo cor- rettamente dire anche con la sostica 22 , la losoa greca aveva abbandonato la via della ricerca naturalistica per farsi soprattutto ricerca del bene come ne etico (e in Platone anche politico), per cui essa si presentava come maestra di vita e salvezza per lanima. Se quindi in Metaph. A 6, 987b3 ss. Aristotele ci presenta Socrate come colui che per primo ha cercato denizioni universali, tuttavia lo Stagirita ha ben presente la lezione dellApologia platonica: De partibus animalium I 1, 642a28 ss. presenta infatti sia Socrate sia coloro che gli gravitano intorno come pensatori che hanno abban- donato completamente la losoa della natura per dedicarsi alleti- ca e alla politica. 28 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE atomi cadessero nel vuoto, concepito come spazio innito, in un tempo innito; che tale caduta era dovuta al loro peso, per cui essi percorrevano traiettorie paral- lele; e che lintervento del clinamen, cio di una deviazione iniziale e fortuita, des- se luogo allaggregazione e quindi alla nascita degli enti. 20 Ad esempio, sarebbe interessante confrontare lopposizione fra qtoi e ft- q in Democrito con quanto Aristotele dice del rapporto fra questi due termini nel II libro della Fisica. Altre interessanti relazioni che si riscontrano nei presocratici, ad esempio qtoci/fcvq o ofo qtoiv/oqo qtoiv dovrebbero essere studiate pi attentamente in rapporto al testo aristotelico. 21 Cf. Platone, Apologia 19c. 22 Allinterno della sostica, come noto, si trova lattenta riessione su qt- oi e vo o e su qtoi e fcvq, cf. soprattutto Antifonte. Aristotele, a questo punto, deve misurarsi prima con tutta la tradizione precedente, 23 prendere ci che essa gli presenta di buo- no e di utilizzabile, e poi confutare quanto gli appare in essa errato o inadeguato. Egli, inoltre, riteneva che la svolta eleatica fosse stata molto profonda e che la restaurazione della losoa della natura tentata dai loso pluralisti risultasse del tutto insufciente. Ma c qualcosa di pi: il pensiero con cui Aristotele, come vedremo, si confronta soprattutto, certamente quello di Platone, il quale a sua volta era gi stato per forza di cose erede delle riessioni prece- denti, alle quali aveva fatto prendere una via del tutto nuova. Con Platone la concezione della losoa in qualche modo si era trasfor- mata, poich egli aveva unito laspetto pratico socratico con il rigo- re scientico del metodo dialettico, trasformando la losoa in ve- ra e propria conoscenza razionale. Ma ci che a noi interessa di pi il ruolo che la losoa della natura ha nel sistema dottrinale pla- tonico secondo linterpretazione di Aristotele. 24 Il problema posto dalleleatismo alla possibilit di una scienza della natura ancora operante in Platone, dal momento che egli considera espressamen- te impossibile una scienza del mondo sensibile in divenire. Infatti, non solo nella concezione platonica della losoa, quale delinea- ta chiaramente nei libri VI e VII della Repubblica, la losoa natu- rale non trova alcuno spazio, ma, laddove Platone impegna la sua riessione sul problema della natura mi riferisco ovviamente in primo luogo al Timeo , egli privilegia il modello di spiegazione matematica del mondo naturale che inaccettabile per Aristotele, come preciser commentando Phys. II 2. Per Aristotele, infatti, le scienze teoretiche sono tre e sono ben distinte luna dallaltra, co- me ci fa vedere in Metaph. E 1, 1025b30-1026a16. Esse sono la si- ca, la matematica e la losoa prima. Ciascuna di queste tre scienze ha oggetti di indagine differenti e principi propri. Se infatti Aristo- tele accetta e fa sua la posizione platonica secondo cui loggetto della scienza deve essere eterno e sempre identico a se stesso, tutta- via cerca di conciliare questa posizione con una irrimediabile frat- LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 29 23 Cf. Ch. Kahn (1991). 24 Sui signicati metasico, sico e antropologico di qtoi in Platone riman- do a F. Romano (2004a), pp. 97-106. tura che egli opera nel sapere, dal momento che allunica scienza universale che Platone fa coincidere con la dialettica delle idee egli sostituisce una pluralit di scienze tutte autonome fra loro. Senza addentrarmi nel merito della losoa platonica, ritengo sufciente citare il Filebo e il Timeo platonici a conferma di due prospettive operanti in Platone e che sono comunemente note, cio la negazione della possibilit della scienza del divenire da una parte e, dallaltra parte, la connotazione matematica che Platone attribuisce alla dottrina pluralista della mescolanza e separazione allinterno delle sue dottrine siche. 25 In Filebo 59a-c Socrate e Protarco convengono fra loro che lindagine sulla natura, cio sugli enti che nascono, patiscono e agi- scono, cos come le indagini che si occupano di oggetti articiali, pu avvalersi solo di opinioni, perch di tali enti non si pu avere conoscenza stabile, in quanto essi non hanno stabilit, per cui non pu esistere scienza di ci che diviene. La scienza, quindi, o cono- scenza della verit, non pu essere altro che conoscenza di ci che stabile ed eterno: in altre parole, non pu esserci altra conoscen- za stabile se non delle idee. Queste, aggiunge Socrate, sono assolu- tamente prive di mescolanza e rispetto ad esse le altre cose sono se- condarie e inferiori. Ci signica, quindi, che per Platone ogni scienza della natura, pur intesa nel modo in cui la intendevano i pluralisti che tenevano conto della difcolt eleatica, cio intesa come scienza della mescolanza ed una scienza naturale di que- sto tipo che Platone stesso cerca di istituire nel Timeo impossi- bile. Lindagine sulla natura altro non , allora, che oggetto di opinione congiunta alla sensazione irrazionale, come Platone af- ferma in Timeo 28a. Del resto, occorre non dimenticare che il di- scorso sulla creazione del mondo della natura presentato da Ti- meo come un racconto verosimile 26 e che su questo argomento non c da cercare oltre il racconto mitico e la verosimiglianza, dal mo- mento che, come ci ha insegnato il Filebo, dellente in divenire possibile opinione e non scienza. Il limite stabilito da Platone nel 30 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 25 Sul genere misto nel Filebo si cf. lo studio pi approfondito di N.I. Bous- soulas (1952) e per il Timeo si vd. L. Brisson (1974). 26 Cf. Platone, Timeo 29d2. Timeo, secondo cui alla sica luomo si pu avvicinare solo con un racconto verosimile, poich di essa non c scienza, la traduzione dellimpossibilit stessa della sica in Platone. 27 La teoria aristotelica della natura si presenta allora come un ti- tanico sforzo di recuperare la nozione di qtoi come vera realt e la possibilit di una scienza della natura e, oltre a questo, si presen- ta anche come una difesa dellautonomia della losoa naturale contro la posizione platonica costituita, da un lato, dalla forte ma- tematizzazione del discorso sulla natura e, dallaltro lato, dalla pre- senza di forme trascendenti o idee. Ad esempio, nel Timeo Platone sostituisce in funzione genetica le propriet siche degli elementi (caldo, freddo, umido e secco) con strutture matematiche, a cui poi aggiunge lintelligenza demiurgica, che opera sempre sulla base di modelli matematici eterni. Se quindi Aristotele pu seguire Pla- tone quando questi considera visibile la realt divina nella geome- tria perfetta dei movimenti degli astri, tuttavia non lo segue pi quando, mettendo ancora una volta in relazione matematica e si- ca, e anzi subordinando questa seconda alla prima, Platone rintrac- cia le forme intelligibili nel mondo naturale identicandole con le forme matematiche, cio con i quattro dei cinque solidi regolari della geometria. Per Aristotele, invece, gli oggetti matematici altro non sono che astrazioni dal sensibile, che non esistono di per s, mentre il mondo reale fatto, al contrario, di sostanze, cio di cor- pi in movimento, di organismi viventi che crescono e si riproduco- no. Non pi, come nel Platone del Fedro, del Timeo e delle Leggi, lanima semovente lunico principio del movimento e quindi della LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 31 27 La conseguenza di questa posizione platonica sfocia, come noto, in una - sica dellanima in cui lanima afferma il suo primato sulla qtoi nel libro X delle Leggi. Cf. W. Wieland (1993), pp. 305 ss. Occorre precisare tuttavia che questa in- terpretazione di Platone e del Timeo in particolare basata su una lettura aristoteli- ca di Platone stesso, perch lo scopo di queste pagine quello di comprendere quali motivi teorici siano operanti, appunto, in Aristotele nel momento in cui egli si accin- ge a fondare una sua scienza sica. G. Casertano (2002), ad esempio, mostra, anche attraverso una lettura del Timeo (oltre che del Fedone), come in Platone non ci sia affatto disinteresse per la scienza della natura e come, al contrario, proprio grazie allintersezione del mondo umano con quello cosmico e allomogeneit e afnit fra il dio e luomo, si stabilisca una prospettiva che tiene saldamente uniti il piano dellanalisi scientica e quello della valutazione etica, ossia la conoscenza e lazione. vita, ma questo principio la qtoi, concepita appunto come prin- cipio di movimento e di quiete degli enti in cui essa sussiste prima- riamente e in modo non accidentale. La natura in Aristotele, tuttavia, come si scopre gi dai richiami che su di essa si trovano in Phys. I e come si comprende pi chiara- mente da Phys. II 1, non cosa completamente diversa dai principi del divenire di cui Aristotele ci parla nel I libro della Fisica, 28 in quanto essa identicata da una parte con il sostrato e dallaltra parte con la forma concepita come forma specica, ed anzi la qt- oi pi propriamente forma specica che sostrato. Questo con- sente ad Aristotele di fornire, insieme con la natura, il principio della sua visione teleologica, cio di un movimento degli enti che sempre diretto verso un ne determinato. Ci dipende dal fatto che fra i tre principi fondanti il divenire degli enti naturali (sogget- to, privazione e forma) ci che prevale la forma specica, lcioo. Essa, infatti, presente nel soggetto-sostrato, perch questo divie- ne in quanto accidentalmente privo di una forma specica a cui tende, ma, come Aristotele ci dice, anche la privazione in qualche modo forma specica, perch mancanza appunto di una forma determinata, costituendo quindi la tensione stessa del soggetto-so- strato verso quella forma specica. Questa dialettica di privazione e forma specica nel soggetto-sostrato la garanzia dellordine te- leologico della natura, la quale costituisce quindi il percorso verso lacquisizione della forma specica. Aristotele, in questo modo, non ha bisogno, per assicurarsi il nalismo del suo mondo natura- le, di ricorrere, come aveva fatto Platone, a un intelletto demiurgi- co o a modelli trascendenti: il nalismo aristotelico si situa allin- terno stesso della natura, nella forma specica che causa nale di ogni crescita e di ogni generazione. 32 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 28 Sono evidentemente in disaccordo con quanto scrive W. Wieland (1993), p. 303. Il noto studioso afferma che il lessico di Aristotele non rigido (cosa su cui mi trovo gi in disaccordo: come pu non essere rigido il lessico di chi, come Ari- stotele, articola in modo molto rigido le sue argomentazioni losoche?!) e che oqq di li. 192b14 detto della natura signica la stessa cosa di oifio, ma soprattut- to sostiene che questo oqq non pu essere scambiato con loqq sul quale ci si interroga nel primo libro della Fisica. Con questa affermazione Wieland sottoli- nea la differenza fra i principi del divenire di Phys. I e la natura di Phys. II metten- done in ombra invece la somiglianza. Ma la scienza della qtoi, ed questo un tratto veramente im- portante e innovativo rispetto a Platone, costituisce una scienza au- tonoma, che va trattata sistematicamente e coerentemente: la Fisica aristotelica , infatti, a differenza del Timeo platonico, un trattato sistematico, con la caratteristica peraltro di non esaurirsi in un trat- tato solo, ma di rimandare a tutta una serie di trattati pi particola- ri, che affrontano aspetti specici del mondo della qtoi. A questo punto risulta evidente che lo scopo di questo mio di- scorso non quello di fornire un quadro complessivo ed esauriente dei signicati che la qtoi assume nei loso presocratici e in Pla- tone, ma semplicemente quello di puntualizzare alcuni aspetti par- ticolari della loro indagine sulla natura, cos come vista da Aristo- tele, al ne di comprendere meglio quale sia nella dottrina sica aristotelica il ruolo determinante della nozione di qtoi, la cui de- nizione e i cui vari aspetti Aristotele discute in Phys. II. Ma prima di affrontare il discorso sulla qtoi del II libro della Fisica mi sem- bra opportuno dare uno sguardo ancora al libro I, limitatamente a dei passaggi in cui, a mio modo di vedere, Aristotele ci fornisce delle indicazioni preziose sulla qtoi, senza le quali la lettura di Phys. II potrebbe risultare incomprensibile o parziale. 1.2. La physis in Fisica I Allinizio di Fisica I Aristotele, fatta la premessa che la cono- scenza scientica di ogni cosa si basa sul riconoscimento dei suoi principi, cause ed elementi, annuncia di volere affrontare in questa direzione il problema, nel senso che possiamo ritenere veramente di conoscere scienticamente qualcosa quando siamo riusciti ad in- dividuarne le cause prime e i principi primi e a specicarne gli ele- menti ultimi. Questo tipo di metodologia, che parte da ci che pi noto per noi (ovvero dalle cose considerate nella loro globalit, cio nella indistinta mescolanza dei componenti) e conduce a ci che pi noto per s, cio appunto alle cause e ai principi primi, riette il procedimento di ogni tipo di ricerca scientica, e quindi anche del procedimento della scienza della natura. Per questo mo- tivo il discorso preliminare della Fisica non riguarda immediata- LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 33 mente la natura, perch il primo passo della ricerca di Aristotele in questo campo riguarda appunto la ricerca dei principi. Nel cap. 2 di questo stesso I libro, quindi, Aristotele imposta tutte le possibilit di indagine sui principi rifacendosi alle dottrine dei loso che lo hanno preceduto, stabilendo che i principi sono uno o molti: nel caso in cui il principio sia uno, potr essere in mo- vimento, come affermavano i siologi ionici, o immobile, come af- fermavano gli Eleati, Melisso e Parmenide; nel caso, invece, in cui i principi siano molti, essi potranno essere o di numero innito, co- me affermavano gli Atomisti ed Anassagora, o di numero nito. 29 La confutazione di Aristotele proceder per eliminazione: esclu- dendo di volta in volta la possibilit che dallanalisi risulter inac- cettabile, si giunger, alla ne, allunica conclusione possibile se- condo Aristotele, quella cio secondo cui i principi sono molti e di numero nito. Una volta dato questo schema generale, lo Stagirita precisa che lindagine dei loso che lo hanno preceduto non pu essere considerata eo ipso indagine sui principi degli enti naturali, ma ritiene che ci siano delle ragioni per cui, comunque, la riessio- ne di questi pensatori debba rientrare nellanalisi di chi conduce una ricerca sui principi. A proposito degli Eleati che sono il prin- cipale bersaglio di questo I libro , Aristotele ritiene, ad esempio, che le loro dottrine non siano di ordine sico, e tuttavia essi hanno formulato delle difcolt che si impongono allo studioso della na- tura, per cui Aristotele, sebbene di fronte agli Eleati si trovi nella medesima posizione in cui si trova il geometra nei confronti di chi neghi i principi della sua scienza, quella cio di non potere pi di- scutere di essa, tuttavia, se vuole fondare una scienza della natura, ugualmente costretto ad affrontare le difcolt sollevate dagli Elea- ti. Il motivo per cui gli Eleati negherebbero al sico i principi della sua scienza eliminando, ancor prima di iniziare a discutere, la pos- sibilit stessa di discutere, consiste non solo nel fatto che essi affer- mano lunicit del principio, che, in quanto uno, fallisce la sua stes- sa funzione di principio, nella misura in cui il principio deve essere per se stesso principio di qualcosa e quindi lessere almeno due e non uno, ma anche per il fatto che essi considerano la realt sica 34 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 29 Phys. I 1, 184b15 ss. Cf. G.R. Giardina (2002), pp. 46 ss. come immobile, mentre, come precisa Aristotele ritornando spes- so su questo assunto fondamentale nel corso della sua critica agli Eleati, gli enti naturali non possono non essere in movimento: Ma noi dobbiamo partire dalla premessa di fatto (qiv o tocio0m) dice Aristotele che gli enti naturali (fo qtoci), o tutti o <alme- no> alcuni (q ovfo q cvio), sono in movimento (ivotcvo civoi): e ci chiaro per induzione (oqov o c fq comq ). 30 Fin qui, possiamo dire, Aristotele esprime delle considerazioni generali sulla qtoi e sugli enti naturali, fo qtoci, impostando il discorso sui principi del divenire come un discorso preliminare a quello sulla natura e fondativo della scienza della natura. Ma allin- terno del discorso sui principi si trovano delle considerazioni sulla qtoi che mi sembra necessario presentare e discutere, perch sen- za di esse rischiano di rimanere incomprese o male interpretate al- tre considerazioni che si leggono nel libro II. Nel cap. 4 del libro I Aristotele riuta la posizione dellinnit dei principi, discutendo le diverse teorie dellorigine della moltepli- cit. Egli infatti sostiene che la molteplicit degli enti deriva, secon- do alcuni naturalisti, da un unico corpo soggiacente (c v oiq oovfc fo [ov] omo fo tocicvov 187a13) per un processo di contra- riet (rarefazione e condensazione nel caso dei Milesii e Grande e Piccolo nel caso di Platone), mentre secondo altri gi immanente nella stessa unit, per cui unit e molteplicit coesisterebbero allo- rigine e quindi la molteplicit nascerebbe dallunit per una diffe- renziazione successiva allorigine, ovvero nel processo di genera- zione. A questultimo proposito Aristotele accenna ad Empedocle e Anassagora, ma si sofferma soprattutto su questultimo. Dice in- fatti che Anassagora considera lunit originaria come ununit molteplice e quindi fa nascere la natura di ogni cosa dalla prevalen- za in questa molteplicit, di volta in volta, di uno degli elementi o qualit: ci che ciascuna cosa contiene in maggior misura, questo si ritiene essere la natura della cosa (ofot oc ciofov coofov LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 35 30 Phys. I 2, 185a12-14; cf. W. Wieland (1993), pp. 123-126. Sul ruolo dellin- duzione nella ricerca scientica in Aristotele si vd. oltre al Wieland, J.M. Le Blond (1939), ad loc.; K. von Fritz (1971); D.W. Hamlyn (1976) (trad. it. 1993); L. Cou- loubaritsis (1978-1979); Id. (1980); Id. (1986); Id. (1997), pp. 80 ss.; T. Engberg- Pedersen (1979). cci, fotfo oociv civoi fqv qtoiv fot qoofo). 31 Mi sembra signicativo questo esame soprattutto di Anassagora, perch Ari- stotele adopera il termine qtoi per indicare questa prevalenza di un elemento nella molteplicit degli elementi, che un signicato particolare che Aristotele attribuisce alla teoria di Anassagora. Cio- nonostante, Aristotele sta comunque criticando una dottrina dei principi sia che nascano dalluno, cio dal sostrato originario, sia che siano compresenti e immanenti nellunit del tutto. Una volta esclusa la possibilit sia dellunicit del principio gra- zie alla confutazione della tesi eleatica sia della pluralit innita dei principi grazie alla confutazione di Anassagora soprattutto, non re- sta che la possibilit che i principi siano molti ma non di numero in- nito, che appunto la tesi di Aristotele. Occorre tuttavia determi- nare, a questo punto, il numero esatto di tali principi e individuare quali essi siano. Nel cap. 5 Aristotele comincia a esaminare, anzitut- to, e sempre sulla base delle dottrine dei loso che lo hanno prece- duto, lipotesi secondo cui principi sono i contrari (188a19). 32 I contrari in senso primario soddisfano le caratteristiche di principi, perch in quanto in senso primario non derivano da nientaltro e in quanto contrari non derivano luno dallaltro. Ogni ente naturale, dunque, nasce e perisce a partire da contrari o da intermedi fra questi: 33 sicch tutti gli enti che si generano per natura sarebbero o dei contrari o <cose che derivano> da contrari (mofc ovf ov ciq fo qt oci ivo cvo q c vovfi o q c c vovfi mv 188b25-26). A questo punto della sua argomentazione Aristotele, per con- futare i predecessori, 34 imposta un discorso sui contrari che merita di essere approfondito, perch, come si vedr in seguito, non basta 36 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 31 Phys. I 4, 187b6-7. 32 Il consensus omnium , per Aristotele, quasi una costrizione che la verit esercita su chi lha ricercata: la verit, con la sua forte evidenza, impone se stessa a tutti o a molti, per cui unopinione universalmente accettata e professata in qual- che modo garanzia di correttezza; cf. W. Wieland (1993), pp. 126-132. 33 Un colore, ad esempio, pu derivare dai colori contrari primari, cio dal bianco o dal nero, ma anche da un colore intermedio fra questi. Non pu invece de- rivare da una cosa del tutto diversa, perch nessuna cosa diviene da qualunque cosa a caso, ma il divenire avviene sempre fra contrari o intermedi (Phys. I 5, 188a30 ss.). 34 Su queste analisi aristoteliche delle dottrine dei predecessori cf. E. Berti (1985b). dire secondo Aristotele che i principi sono i contrari, in quanto in questo modo i principi sarebbero due e non di pi, mentre nel cap. 4 ha gi inserito nel discorso un terzo elemento o principio che si identica con il sostrato. 35 Ed appunto questo terzo princi- pio, cio il sostrato, che Aristotele affronta nel cap. 6, dove ribadi- sce che, se i principi non possono essere n uno n inniti, dovran- no essere due o tre o pi di tre. Una volta dimostrato che i principi non sono n uno n inniti, bens molti ma di numero nito, ci so- no delle ragioni, dice Aristotele, che inducono a stabilire che sono pi di due, poich se cos non fosse sorgerebbero delle difcolt. Aristotele ritiene, quindi, implicitamente che la soluzione che i principi siano due contrari non sufciente. La prima difcolt questa: nessun contrario agisce sullaltro, ma semmai entrambi agi- scono su un terzo termine. qui che Aristotele accenna alla visio- ne di alcuni che considerano i principi pi di due (cvioi oc oi cim oovotoiv), e precisamente considerano principi tutti que- gli elementi a partire dai quali essi costruiscono la natura degli enti (ofooctootoi fqv fmv ovfmv qtoiv 189a26-27). Con questo accenno alla natura degli enti sembrerebbe che Aristotele sposti un po il discorso dal numero dei principi (i due contrari) verso lesi- genza di trovare un terzo principio senza il quale la dialettica dei due contrari non troverebbe supporto e questo prepara, dunque, ci che Aristotele dir in seguito, e cio che oltre ai due contrari necessario un terzo principio su cui si eserciti lazione dei due con- trari, cio privazione e forma. Ci che qui chiamato la natura de- gli enti diventer, allora, il terzo principio, cio appunto il sostrato. Infatti Aristotele aggiunge a questa prima una seconda difcolt: se non si suppone una natura diversa rispetto ai contrari ci si trova di fronte ad un problema, poich i contrari non sono sostanza di nul- la: Inoltre, se non si porr sotto i contrari una natura altra da essi (ci q fi cfcqov to0qoci foi cvovfioi qtoiv), si andr incontro a questa difcolt, perch vedremo che i contrari non sono sostan- za di nessuno degli enti, daltra parte occorre che il principio non LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 37 35 In realt Aristotele aveva parlato di un unico corpo sostrato originario dal- la cui trasformazione (condensazione rarefazione), con riferimento soprattutto ai siologi monisti, in senso contrario nascerebbero le cose naturali. sia detto di alcun soggetto (ot0cvo oq oqmcv fmv ovfmv otoiov fovovfio, fqv o oqqv ot o0 tocicvot oci cco0oi fivo), perch <in tal caso> ci sar un principio del principio, infatti il sog- getto principio e sembra essere anteriore al suo predicato (cofoi oq oqq fq oqq fo oq tocicvov oqq, oi qofcqov ooci fot ofqoqotcvot civoi). E ancora, non diciamo che una sostan- za contraria a una sostanza: come dunque una sostanza potrebbe derivare da non sostanze? o come una non sostanza potrebbe es- sere prima di una sostanza? (cfi ot civoi qocv otoiov cvovfiov otoio m otv c q otoimv otoio ov ciq q m ov qofcqov q otoio otoio ciq). 36 In questo passaggio Aristotele vuole dire semplicemente che il sostrato di per s un principio e quindi non si pu predicare di se stesso come principio: il sostrato allora principio alla stessa stregua dei contrari, cio in senso primario. In questo passaggio si delinea altres, a mio avviso in modo pi chiaro, una maniera di argomentare in cui si trovano come equiva- lenti fra loro i termini qtoi, tocicvov e otoio. Mentre i prede- cessori hanno ritenuto che la qtoi fosse un insieme di pi princi- pi, Aristotele sembra piuttosto considerare la qtoi come uno solo dei tre principi del divenire, e cio il soggetto o sostrato. Daltra parte, la sostanza (otoio) degli enti naturali intesa come qtoi coincide con il sostrato. La sostanza, infatti, non potrebbe essere uno dei principi contrari, perch non c contrario della sostanza, ed questo il senso dellespressione come dunque una sostanza potrebbe derivare da non sostanze? o come una non sostanza po- trebbe essere prima di una sostanza?. La sostanza, come ci inse- gna Aristotele nelle Categorie, non ammette contrario. 37 Scrive in- fatti lo Stagirita in Cat. 5, 3b24-27: Appartiene alle sostanze anche il fatto che di esse non c alcun contrario. Infatti, quale potrebbe essere il contrario della sostanza prima? Non c nessun contrario, ad esempio, di un uomo determinato e neppure c alcun contrario delluomo o dellanimale. Sempre partendo dalle Categorie, inol- 38 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 36 Phys. I 6, 189a28-33. 37 Cat. 6, 6a17-18: i contrari sono le determinazioni massimamente distanti entro uno stesso genere, cf. anche De interpr. cap. 14. Sui contrari cf. J.P. Anton (1957); J. Bogen (1992). tre, vediamo che Aristotele del tutto coerente con quanto sta di- cendo nella Fisica: la sostanza, pur non avendo nessun contrario, tuttavia accoglie i contrari. In Cat. 5, 4a10 ss., infatti, Aristotele scri- ve: Ma sembra essere massimamente propriet della sostanza esser capace di accogliere i contrari pur essendo qualcosa di identico e di numericamente uno. Della sostanza, di cui non esiste il contrario, esiste invece il contraddittorio: i contraddittori si hanno, come noto, quando ad una affermazione si oppone una negazione o vice- versa. 38 Sia i contrari che i contraddittori rientrano nei quattro modi dellopposizione, elencati da Aristotele in Cat. 9-10, 11b17-23, e che sono appunto la contrapposizione dei termini relativi, dei con- trari, del possesso-privazione, dellaffermazione-negazione. 39 La soluzione della seconda difcolt, per riprendere il discorso della Fisica, quella di supporre un terzo principio come afferma- no coloro che dicono che il tutto una certa natura unica (mocq qooiv oi iov fivo qtoiv civoi covfc fo ov), ad esempio lac- qua o il fuoco o ci che intermedio fra questi. 40 Lintermedio, aggiunge Aristotele, sembra preferibile, perch lacqua o il fuoco sono coinvolti nella contrariet, perci, anche, coloro che pongo- no il sostrato come <principio> diverso da questi <contrari> non lo fanno senza ragione (oio oi ot o o m oiotoiv oi fo t oci cvov cfcqov fotfmv oiotvfc). 41 Come si vede, c una certa insistenza in Aristotele nel considerare qtoi il sostrato, fo tocicvov, e nel continuare a prendere in considerazione tutti i predecessori che hanno congurato questa natura unica servendosi dei contrari, anche se poi hanno posto contrari di volta in volta diversi. Inoltre, stabilito che i principi sono quindi tre e non pi di tre, alla ne di Phys. I 6 Aristotele insiste sullidenticazione qtoi=tocicvov nel senso che, se i contrari fossero quattro e non due, egli ci dice, LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 39 38 De interpr. 6, 17a31-34: Di conseguenza evidente che ad ogni afferma- zione opposta una negazione, e ad ogni negazione unaffermazione (mofc oqov ofi ooq ofoqooci cofiv ooqooi ovficicvq oi ooq ooqooci ofoqooi). E la contraddizione (ovfiqooi) sia intesa in questo senso, ossia laffermazione e la negazione come opposte (ofoqooi oi ooqooi oi ovficicvoi). 39 Cf. anche Metaph. A 10, 1018a20 ss. 40 Phys. I 6, 189b2. 41 Phys. I 6, 189b5-6. allora le contrariet sarebbero due e occorrerebbe una natura de- terminata intermedia fra ciascuna di queste contrariet e differente per ciascuna contrariet (ocqoci mqi cofcqo toqciv cfcqov fivo cfot qt oiv): 42 in altri termini, ciascuna delle due contrariet avrebbe una natura soggiacente qtoi=tocicvov altra da essi. Passando al settimo capitolo di questo I libro si vede come Ari- stotele imposti il problema del divenire in generale, e cio come un divenire da una cosa allaltra o dal diverso al diverso (ivco0oi c oot oo oi c cfcqot cfcqov), 43 sia per quanto riguarda le cose semplici che per quanto riguarda quelle composte. Ad esempio, di- ce Aristotele, noi possiamo usare tre proposizioni diverse: a) un uo- mo diviene musico; b) un non musico diviene musico; c) luo- mo non musico diviene uomo musico, dove chiaro che Aristo- tele intende come semplice sia il diveniente (fo ivocvov) sia il divenuto (o ivcfoi) delle prime due proposizioni (nel primo caso si tratta dellente e nel secondo caso di una sua propriet), e inten- de come composto sia il diveniente sia il divenuto della terza pro- posizione. 44 Scopriamo subito, per, che solo la terza proposizione, che ha i due termini composti, quella che indica la realt in dive- nire nella sua concretezza e getta luce anche sulle altre due proposi- zioni, semplici e non concrete, 45 mostrando come ci sia sempre nel divenire qualcosa che permane e una qualche propriet che muta. Il soggetto-sostrato (fo tocicvov), infatti, permane sempre, an- che nelle proposizioni semplici in cui, linguisticamente, sembre- rebbe scomparire. In tutti e tre questi modi di dire il divenire oc- corre assumere dice Aristotele che necessario che ci che di- viene sia sempre qualcosa che soggiace (oci fi oci tocio0oi), e che questo, anche se uno per numero, tuttavia non sia uno per forma, infatti intendo per forma la stessa cosa che per denizio- 40 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 42 Phys. I 6, 189b19-21. 43 Phys. I 6, 189b32-33. 44 Le espressioni terminus a quo e terminus ad quem sono di W. Wieland (1993), p. 142 nota 68 e pp. 155 ss., che ne mette in luce anche luso scambievole che ne fa Aristotele. Si vd. anche G.R. Giardina (2002), pp. 95 ss. 45 Anche dire luomo diviene musico o il non musico diviene musico, propo- sizioni che sono corrette sul piano logico, signica concretamente dire luomo non musico diviene uomo musico. ne. 46 Effettivamente, se assumiamo come esempio lespressione luomo non musico diviene uomo musico, troviamo che il sog- getto-sostrato, pur essendo uno numericamente, dal punto di vista formale doppio, perch esprime sia lente uomo che la sua pro- priet di non musico, 47 il primo che permane e laltra, cio il non musico, che non permane, perch il non musico diviene musico mutandosi nella propriet contraria. 48 Precisando ancora di pi i caratteri di questo terzo principio che il sostrato, Aristotele dice che tutte le cose che divengono, di- vengono a partire da sostrati, per cui risulta chiaro che il diveniente sempre un composto, e precisamente composto da ci che il di- veniente diviene, cio dalla propriet che assume divenendo, nella fattispecie il musico dal non musico, e dallaltra parte dal sostrato che assume la nuova propriet dopo il divenire. Il sostrato ha un du- plice aspetto, perch da un lato identico prima e dopo il divenire e dallaltro lato diverso perch ha una propriet che mutata do- po il divenire. Scrive Aristotele: tutto ci che diviene sempre un composto, e c da una parte qualcosa che diviene (fi ivocvov) e, dallaltra parte, c qualcosa che ci che questa cosa diviene (fi o fotfo ivcfoi), e questo <qualcosa che diviene> duplice, in- fatti o il <semplice> sostrato o lopposto [scil. la propriet oppo- sta a quella che assume divenendo]. 49 Appare chiaro che Aristote- le qui intende dire che ci che diviene composto, perch sem- pre un composto di sostrato e di privazione della qualit che assu- mer, per cui nellespressione citata fi ivocvov il soggetto-so- strato e fi o fotfo ivcfoi indica la privazione, che la mancanza della forma specica che lente acquista al termine del processo del divenire, cio la privazione della qualit di musico che diviene pos- sesso della qualit positiva di musico. Tale interpretazione corro- LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 41 46 Phys. I 7, 190a14-17. 47 Ovviamente non musico la privazione, ofcqqoi, che per Aristotele essa stessa, in qualche modo, una forma specica, cioo (cf. Phys. II 1, 193b19-20), e non pura indeterminazione, come chiarir pi avanti. 48 Questo passaggio estremamente utile per comprendere, nel secondo li- bro della Fisica, quanto Aristotele dice a proposito dellespressione ofo fov oov in Phys. II 1, 193a27 ss. 49 Phys. I 7, 190b11-13. borata dal fatto che subito dopo Aristotele spiega cosa intende per opposto (fo o vficicvov), e cio intende la qualit di cui il sogget- to manca e che assumer divenendo, nella fattispecie la propriet di non musico, che opposta alla qualit di musico che il soggetto as- sumer. Per indicare questa propriet opposta Aristotele adopera non pi, come prima, la negazione della stessa propriet, cio non musico (q otoiov), ma adopera invece lo stesso termine che in- dica la propriet positiva con lo privativo, poich dice ootoov. Unaltra ragione che conforta questa mia interpretazione il fatto che Aristotele, in seguito, dice pi volte e in maniera diversa che per un verso i principi sono due e per un altro verso sono tre, inten- dendo dire che sono due quando si considera il sostrato e la forma, mentre sono tre quando si intende che la forma viene assunta anche nel suo aspetto privativo. Ciascun ente naturale, infatti, e diviene grazie a principi sulla base dei quali non sussiste accidentalit, ma ciascuna cosa detta secondo la sua sostanza per il fatto che tutto ci che diviene ha come principi del divenire il sostrato e la for- ma. 50 Questa forma, tuttavia, indicata come oqqq, da una parte forma specica, cioo, e dallaltra parte privazione, ofcqqoi. 51 In- fatti, luomo musico composto da uomo e da musico, tuttavia, al- lo stesso tempo, ci che soggiace uno numericamente, ma due per forma, perch da una parte c luomo e dallaltra parte la pri- vazione. 52 Invece la forma specica una, per cui per un verso i principi sono due (sostrato e forma) e per un altro verso sono tre (sostrato, privazione e forma). Altre volte Aristotele, per indicare i due principi a cui si aggiunge il terzo, indica i due contrari (priva- zione e forma), a cui si aggiunge il sostrato. 53 A questo punto riafora lidenticazione qtoi=tocicvov. Una volta che ci ha detto quanti e quali siano i principi, Aristotele 42 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 50 Cf. Phys. I 7, 190b17-20. 51 Sono daccordo con Couloubaritsis nel ritenere che linterpretazione tradi- zionale che unica oqqq ed cioo sotto la designazione di forma sia errata e in- sufciente, cf. L. Couloubaritsis (1997), p. 243 ss. Si vd. anche Simplicio, In Phys. 276,24 ss.; e Filopono, In Phys. 215,8 ss. Nelle pagine che seguono mostrer la di- stinzione che occorre fare fra queste due nozioni. 52 Cf. Phys. I 7, 190b20-27. 53 Cf. Phys. I 7, 190b29-191a3. continua: la natura soggiacente conoscibile per analogia (q oc tocicvq qtoi ciofqfq of ovooiov 191a7-8). Dire che la natura soggiacente pu essere conosciuta scienticamente per analo- gia signica che essa pu essere identicata soltanto in rapporto alla sostanza di una cosa determinata, che costituita dal sostrato stesso pi una certa forma specica. Lanalogia ha in Aristotele a livello lo- gico-dialettico la medesima funzione che essa ha in matematica: 54 si tratta di un tipo di proporzionalit ben preciso, perch stabilisce uguaglianza di rapporto fra coppie di termini. 55 Ci signica che, se ci nota la relazione della coppia di termini che costituisce il primo rapporto, possiamo identicare, mediante la conoscenza della rela- zione che lega i termini, il termine del secondo rapporto che non ci noto. 56 Lesempio che fa Aristotele per spiegare lanalogia relativa alla natura soggiacente questo: come il bronzo sta alla statua, come il legno sta al letto e come la materia, ovvero ci che amorfo prima di assumere la forma, 57 sta al correlativo che ha forma cio, in bre- ve, come la materia informe sta alla materia gi formata , cos sta la natura soggiacente alla sostanza intesa come ente determinato. 58 Gli esempi sono tratti dal mondo delle tecniche (come il bronzo per la statua e il legno per il letto), cosa che anticipa il rapporto ana- logico fcvq-qtoi che nel II libro della Fisica servir a farci cono- scere la qt oi nei suoi vari aspetti. Il rapporto del bronzo con la sta- tua e del legno con il letto, cos come quello della materia informe LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 43 54 Sulla analogia matematica e sulla sua utilizzazione in ambito losoco da parte di Platone e Aristotele si vd. Th. Heath (1921); A. Szab (2000); P. Auben- que (1962), pp. 202 ss. Per quanto concerne, in generale, lanalogia quale modello ermeneutico nellantichit si vd. G.R. Lloyd (1962, trad. it 1992). 55 Cf. Phys. IV 8, 215b29; EN V 6, 1131a31 ss. e V 7, 1131b12. Non un ca- so che i Neopitagorici e i Neoplatonici distinguessero anche con termini differenti lovooio, con cui intendevano soltanto la proporzione geometrica (cio A:B=C:D), dalle altre proporzioni, che essi chiamavano pi propriamente me- diet, coofqfc. Cf. G.R. Giardina (1997), pp. 46 ss. e Ead., (1999), pp. 84-87. 56 Nella proporzione A:B=C:X, X lincognita che possibile trovare ponen- do X=BxC/A. 57 Sul carattere analogico della dimostrazione di materia cf. J. Owens (1969). 58 Phys. I 7, 191a8-12. Lanalogia ha questo schema: fo ooqqov : fi fmv cmvfmv oqqqv (tq+cioo) = q tocicvq qtoi : fo fooc fi oi fo ov (otoio). A mio parere, infatti, il correlativo della natura soggiacente (tocic vq qtoi) non la pura forma, cioo, ma la sostanza. con loggetto formato, perfettamente conoscibile da parte nostra, perch qui si tratta di quel processo della conoscenza che, secondo Aristotele, si muove da ci che pi noto per noi a ci che pi no- to per s: il rapporto fra la materia informe e loggetto formato, co- me nel caso del bronzo e della statua o del legno e del letto, ci fa comprendere che qui la natura soggiacente, pur non essendo materia sica, ha tuttavia la funzione di quella. Come ho gi scritto nel mio precedente libro sulla Fisica di Aristotele, 59 e come M. Vegetti ha sottolineato nella Presentazione di quel volume, il concetto di tq che entra in gioco in questo passo, come peraltro in altri luoghi della Fisica, serve ad Aristotele per spiegare concretamente una delle con- dizioni del divenire dellente naturale e quindi non coincide perfetta- mente con il concetto di t q come principio elementare della sostan- za insieme alla oqqq , se non nel senso di un signicato posizionale- funzionale, cio come una applicazione di un concetto metasico ge- nerale nella soluzione di un problema specico che riguarda la natu- ra sica, ovvero il divenire dei concreti enti naturali. Infatti Aristote- le, oltre a t q, usa anche il termine ot oi o, ma anche questo in senso non prettamente metasico bens in senso posizionale-funzionale ri- spetto ai problemi del divenire. Come dire che le nozioni di t q e di ot oi o sono adoperati in questo contesto della Fisica aristotelica in un senso pi attinente al contesto scientico specico. E Aristotele spie- ga chiaramente perch le cose stanno nel modo che ha detto: questa materia chiamata anche natura soggiacente s un principio (io oqq) e per non lunico principio (ot otfm io otoo), n ente nel senso di ente determinato. Esistono inoltre altri due principi, che sono quello di cui si d la denizione (io oc q o oo), cio la forma specica o cioo, e la privazione di questa. I principi, allo- ra, sono sotto un certo aspetto due e sotto un altro aspetto pi di due. Ma non ancora chiaro, si preoccupa di dire alla ne di que- sto capitolo 7 Aristotele, se sia sostanza la forma specica oppure il sostrato (ofcqov oc otoio fo cioo q fo tocicvov, otm oqov). Come si vede, dunque, nella riessione aristotelica si prola un innegabile legame tra ltocicvov che qui corrisponde allt- ocicvq qtoi e la oqqq, nel senso sia positivo che privativo, 44 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 59 Vd. G.R. Giardina (2002), p. 108, nota 143. ambedue convergenti nella costituzione di quella nozione che Ari- stotele indicher come qtoi nel senso di otoio naturale. In Phys. I 6, 189a27-34 avevamo visto che i contrari non sono sostanza di nessun ente, e che tuttavia necessario che il principio non sia detto di qualcosa che gli soggiace, perch se il principio fos- se detto di un soggetto questultimo sarebbe principio del princi- pio, in quanto il soggetto principio e deve essere anteriore rispet- to a ci che ne predicato. Da qui risulta lecita la domanda che Aristotele si pone alla ne di Phys. I 7, cio se debba considerarsi sostanza il soggetto oppure la forma. Questa domanda imposta il problema se ltocicvov sia otoio. Daltra parte, Aristotele spes- so quando parla del soggetto ne parla come natura: potrebbe sem- pre dire tocicvov e invece spesso ne parla come qtoi o come tocicvq qtoi. 60 Vedremo come questa insistenza nel legare in- sieme tocicvov e qtoi si riscontri anche nel seguito di Phys. I, ma prima di esaminare questi altri passi sul rapporto tocicvov- qtoi occorre soffermarsi sulla critica agli Eleati di Phys. I 8. In questo capitolo, dopo avere ormai denito la propria dottri- na dei principi, Aristotele ritorna sulla dottrina degli Eleati, per confutarli sulla base di quanto ha acquisito. Gli Eleati, dice Aristo- tele, affermano che nessuno degli enti nasce (ot fc i vco0oi) n pe- risce (otfc q0ciqco0oi), perch, se nasce, necessario che nasca o dallessere o dal non essere (q c ovfo q c q ovfo) ed impossi- bile sia luna cosa che laltra. Infatti, lessere non nasce dallessere, perch la conseguenza sarebbe che lessere gi (civoi oq qoq), e non nasce dal non essere, perch il non essere non , e quindi nulla pu nascere dal non essere, perch ci deve essere qualcosa che fun- ga da sostrato (t oci o0oi oq fi oci v). 61 Conseguenza di questo ra- gionamento che gli Eleati affermano che i molti non esistono e LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 45 60 Si vd. almeno i passaggi discussi sopra: I 4, 187b7; I 6, 189b1 ss. e 189b21 ss.; I 7, 191a7-14. 61 Phys. I 8, 191a 27-31. Questa confutazione riguarda Parmenide, B 8, soprat- tutto li. 15-21 DK. Per la mia traduzione delle espressioni i vco0oi e fo ivo cvov rispettivamente con nascere e ci che nasce cf. G.R. Giardina (2002), pp. 150- 151. In Metaph. K 6, 1062b24 ss., Aristotele si occupa ancora del problema del non-essere in rapporto al divenire e rimanda alla trattazione dettagliata che egli fa di questo problema proprio in questo ottavo capitolo del I libro della Fisica. che esiste soltanto lessere in quanto tale. Per Aristotele questa la conseguenza del fatto che gli antichi non avevano compreso che tra i due contrari deve esistere un terzo principio che appunto il so- strato, ltocicvov. Scrive testualmente Aristotele: Io dico che lespressione divenire dallessere o dal non essere o lespressione il non essere o lessere agiscono o subiscono qualcosa o divengono qualsiasi cosa determinata in un certo senso non sono differenti (c vo c v fqo ov ot 0c v oioqc qci), oppure lespressione che il medi- co agisce o patisce qualcosa o lespressione essere o divenire qualcosa a partire dal medico <non sono differenti>, sicch, poi- ch c un duplice modo di dire questo [scil. il divenire], chiaro che <signicano la stessa cosa> anche lespressione dallessere (fo c ovfo) e lespressione lessere o agisce o patisce (fo ov q oiciv q oociv). 62 Ci che qui Aristotele sta dicendo per prepa- rare la confutazione degli Eleati non altro che un cogliere i frutti dellinsegnamento di Phys. I 7. Qui, infatti, Aristotele aveva mostra- to ampiamente che il divenire si pu dire sia con la formula qual- cosa diviene qualcosaltro, come nellesempio delluomo non mu- sico che diviene uomo musico, sia con la formula qualcosa diviene da qualcosaltro, come nellesempio secondo cui dal bronzo divie- ne una statua. Tornando al capitolo 8, il ragionamento di Aristotele il seguente: il medico che costruisce, costruisce non in quanto me- dico (ot q iofqo), ma in quanto costruttore (o q oioooo), e diviene bianco non in quanto medico (ot q iofqo), ma in quan- to nero (o q co), mentre esercita la medicina o diviene igno- 46 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 62 Phys. I 8, 191a34 ss. Il testo di Aristotele potrebbe trarre in inganno, per- ch qui non si intende che non c differenza fra le due espressioni della prima coppia da un lato e le due espressioni della seconda coppia dallaltro lato, bens che non c differenza fra la prima e la seconda espressione della prima coppia e fra la prima e la seconda espressione della seconda coppia. Quindi non c diffe- renza tra il dire: 1) divenire dallessere o dal non essere (formula: qualcosa divie- ne da qualcosa) e dire: 2) il non essere o lessere agiscono o subiscono qualcosa o divengono qualunque cosa determinata (formula: qualcosa diviene qualcosa). Allo stesso modo non differente dire: 1) il medico agisce o patisce qualcosa (for- mula: qualcosa diviene qualcosa) e dire: 2) a partire dal medico o diviene qual- cosa (formula: qualcosa diviene da qualcosa). Il divenire, quindi, come Aristote- le ha mostrato in Phys. I 7, si pu dire in duplice modo, sia con la formula: qual- cosa diviene qualcosa sia con la formula: qualcosa diviene da qualcosa. rante di medicina in quanto medico (q i ofqo ). Ogni processo di di- venire, in altre parole, legato alla forma specica che determina il processo stesso, il quale si articola secondo i tre principi gi enun- ciati da Aristotele in Phys. I 7, cio sostrato, privazione e forma spe- cica. Egli continua il suo ragionamento dicendo che appropriato dire sia che il medico agisce o patisce o diviene qualcosa in quanto medico (ad esempio quando guarisce) sia che egli agisce o patisce o diviene qualcosa in quanto non medico ma, ad esempio, costrut- tore. 63 Poich, come si detto, la formula qualcosa diviene da qualcosa non ha signicato diverso dalla formula qualcosa divie- ne qualcosa, allora, quando diciamo che qualcosa diviene dal non essere non vogliamo dire che diviene dal non essere assoluto ma dal non essere qualcosa, come nel caso del medico che, quando costrui- sce, agisce non in quanto medico ma in quanto costruttore. Gli Eleati, quindi, secondo Aristotele, sbagliavano, perch non conce- pivano il non essere relativo degli enti, che il non essere accidenta- le, cio la privazione. Questo non elimina affatto il principio eleati- co che ogni cosa o o non , ma indica una strada che rende possi- bile il divenire e la molteplicit delle cose. A causa di questa incom- prensione gli Eleati si sono allontanati dalla strada che conduce al- la generazione, alla corruzione e in generale al mutamento. Se in- fatti non avessero ignorato una tale natura, questa avrebbe dissipa- to del tutto la loro ignoranza (ot fq o q ov oq0ci oo q qt oi o ooov ctocv otfmv fqv ovoiov). 64 Dal discorso che Aristotele ha fatto in questa seconda parte di Phys. I 8 comprendiamo che la qt oi che gli Eleati hanno ignorato, per cui sono incorsi in errore, appunto la natura soggiacente priva di una specica forma. La privazione, infatti, come comprenderemo ancor meglio dalla lettura di Phys. I 9, non essere ed accidente della materia-sostrato, 65 la quale quindi non essere accidentalmente, 66 cos come il medico che co- struisce non medico accidentalmente, per il fatto che il processo in cui coinvolto non quello di curare ma quello di costruire. LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 47 63 Phys. I 8, 191b6-10. 64 Phys. I 8, 191b33-34. Scil. lignoranza riguardo alla generazione, alla corru- zione e in generale al mutamento. 65 Cf. Sh. Cohen (1984), pp. 171-194. 66 Cf. Phys. I 9, 192a3-5. Nel successivo capitolo 9 Aristotele passa a confrontare la sua dottrina dei principi con quella di Platone e dei Platonici, che aveva- no cercato prima di lui una soluzione alla difcolt posta dalla nega- zione eleatica della molteplicit degli enti. Essi, infatti, dice Aristote- le allinizio del capitolo, al contrario degli Eleati, hanno s tenuto in conto questo tipo di natura di cui ora parla Aristotele, ma in maniera insoddisfacente, perch hanno s ammesso che qualcosa, se si gene- ra, si genera dal non essere, dando in questo ragione a Parmenide, 67 ma ammettendo anche che la natura una sola anche in potenza. Al contrario, Aristotele ritiene che materia e privazione siano principi differenti e mentre la materia non essere per accidente, la privazio- ne, invece, non essere per se stessa, e mentre luna, cio la materia, prossima alla sostanza e, anzi, in un certo qual modo sostanza, laltra invece, cio la privazione, non lo in alcun modo (fqv cv c t oi ot oi ov m, fq v t qv, fq v oc ot oom ). 68 Come si vede, qui Aristotele sta parlando della materia sempre nel suo signicato posi- zionale-funzionale come condizione che consente il divenire del- lente naturale con cui labbiamo considerata gi in Phys. I 7: que- sta materia, presentata qui accanto alla privazione, uno dei principi del divenire e, nello specico, il sostrato, t oci cvov, che in Phys. I 7 e in altri passaggi indicato come natura soggiacente, t ocic vq qtoi (vd. li. 191a8). Anche Platone e i Platonici hanno posto una triade di principi, ammette Aristotele, cio lUno, il Grande e il Pic- colo, a cui si era gi accennato in Phys. I 4 a proposito dei contrari: in questultimo passo, infatti, Aristotele aveva distinto i naturalisti pi antichi, che ponevano luno come materia soggiacente e i contrari co- me forme e differenze, da Platone che poneva il Grande e il Piccolo come materia e lUno come forma. 69 La stessa considerazione ritorna in Phys. I 6, in cui Aristotele afferma che sembra essere davvero an- tica lopinione secondo cui i principi sono una triade composta dal- lUno, dalleccesso e dal difetto, anche se questa opinione stata for- 48 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 67 In effetti i Platonici, secondo Aristotele, dicendo che qualcosa si pu gene- rare dal non essere, rendevano positiva la negazione degli Eleati, i quali ammette- vano per ipotesi assurda che, se qualcosa si genera, si genera dal non essere. I Pla- tonici invece ritengono ammissibile tale ipotesi. 68 Phys. I 9, 192a3-6. 69 Cf. Phys. I 4, 187a16-20. mulata in modi diversi, perch mentre gli antichi dicevano che men- tre i due contrari agiscono luno invece patisce, alcuni loso pi re- centi chiaramente Platone e i Platonici affermano invece piutto- sto che lUno che agisce e che gli altri due principi patiscono. 70 Come si vede, Aristotele costruisce la sua dottrina dei principi del divenire, che il passo precedente e preparatorio della dottrina della natura, attraverso un reale e profondo ripensamento di tutte le dottrine losoche dai presocratici a Platone. Le riessioni con- clusive che Aristotele trae nel I libro della Fisica sono il risultato denitivo di questo ripensamento, e sono per forza di cose un ri- sultato che da un lato attinge a piene mani dalle losoe dei prede- cessori e, dallaltro lato, intende correggerle, confutarne gli errori, e presentarsi, in ultima analisi, come autentica, matura e veritiera dottrina dei principi sici. Per questo motivo Aristotele prende in considerazione nella sua analisi tutto quello che gli sembra in qual- che modo coerente con un discorso sui principi, anche per non ri- schiare di lasciare qualcosa di non discusso, perch la sua riessio- ne ha, come sempre, la pretesa o semplicemente il desiderio intel- lettuale, tutto umano di proporsi come la soluzione del problema. Aristotele, in questo, si colloca perfettamente sulla scia di Platone: essendone stato discepolo egli ha partecipato delle discussioni del- lAccademia, ha fatto propri i problemi losoci che avevano impe- gnato Platone in un continuo ripensamento delle sue teorie e, in primo luogo, della teoria delle idee; ovvio, di conseguenza, che il pensiero dominante di Aristotele, nellatto di fondare la sua scienza sica, riguardi leleatismo da una parte che era stato il motivo del- la crisi e Platone e i Platonici dallaltra parte, che costituivano il primo tentativo serio di risolvere quella crisi. Dopo larticolata con- futazione dialettica 71 degli Eleati in Phys. I 2-3, e dopo aver formu- lato la sua dottrina dei principi in Phys. I 7, egli li confuta deniti- vamente in Phys. I 8. Il passo successivo quindi la confutazione di Platone e dei Platonici, precisamente leliminazione della loro as- surda teoria della triade di principi (Uno, Grande e Piccolo). LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 49 70 Si cf. anche il noto passaggio di Metaph. A 6, 987b20-21. Si vd. Platone, Fi- lebo 24a ss. e Timeo 35a-36b. 71 Cf. E. Berti (1979) e G. Frappier (1977). La materia non non essere, secondo Aristotele, e anzi in cer- to qual modo sostanza. Il non essere entra in gioco soltanto con la privazione, che non essere di per s: attraverso la privazione, in- fatti, il non essere appartiene alla materia-sostrato nella misura in cui a questo sostrato capita accidentalmente di essere privo di una data forma. Quando alla materia si aggiunge la privazione, che tendenza allacquisizione della forma specica, la materia-sostrato pu essere concepita come non essere nel modo accidentale, secon- do la formula in quanto non . Platone e i Platonici, invece, han- no concepito la diade di Grande e Piccolo, cio di fatto la materia, come non essere, per cui la conseguenza che la loro triade dei principi del tutto diversa da questa che Aristotele ci propone. Es- si sono giunti no al punto di comprendere che necessario che ci sia una natura soggiacente (oci fivo tocio0oi qtoiv) 72 e tuttavia questa , in Platone e nei Platonici, un principio unitario, perch anche se si vuole considerare il Grande e il Piccolo come due e non come uno, ci si accorge, poi, che in realt Grande e Piccolo sono ununica cosa, cio un unico principio materiale indeterminato. 73 Che la critica di Aristotele alla nozione di materia dei Platonici si basi sul fatto che essi la intendano come unica e indeterminata un fatto innegabile. 74 tuttavia opportuno precisare che Aristotele non si ferma solo a questo aspetto, perch mostra come lindeter- minatezza della materia secondo i Platonici sia insufciente, perch non riette la duplicit del concetto di materia, cio come materia- sostrato e come privazione. Inoltre, per Aristotele, nessuno dei tre principi del divenire indeterminato in senso assoluto. In effetti, a parte lcioo che la pi piena determinazione, poich si tratta del- la forma specica che emerge dalla denizione di un ente e ci dice ci che lente , anche il sostrato quale principio del divenire an- chesso qualcosa di determinato, perch, nonostante il suo signi- cato posizionale-funzionale nella dottrina dei principi, esso pur sempre una materia determinata dalla forma, in quanto una cosa considerare il bronzo come sostrato della statua e altra cosa con- 50 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 72 Phys. I 9, 192a10. 73 Cf. Phys. I 9, 192a9 ss. Si vd. anche Phys. III 4, 203a15-16. 74 In questo ha ragione F. Franco Repellini che discute questo problema in una nota della sua traduzione di questo passo, cf. p. 74 nota 39. siderare il bronzo in quanto bronzo, che , in quanto tale, determi- nato. Anche la privazione, da ultimo, non un puro indeterminato, perch anzi, essendo privazione di una forma specica, in questo senso anchessa specica. Non a caso, in Phys. II 1, 193b19-20, Aristotele afferma che anche la privazione , in certo qual modo, una forma specica (oi oq q ofcqqoi cioo m cofiv). Quindi, nessuno dei tre principi aristotelici del divenire veramente inde- terminato, come erano il Grande e il Piccolo di Platone. In Phys. I 9, la contestazione che Aristotele fa a Platone e ai Platonici si basa, a mio modo di vedere, sul fatto che la loro diade di principi, il Grande e il Piccolo, funge in realt da unico princi- pio, cio da materia indeterminata, per cui il principio formale co- stituito dallUno agirebbe sul principio materiale costituito dal Grande-Piccolo. Questo assurdo, secondo Aristotele, il quale mostra i motivi di tale assurdit. In questo modo Platone e i Plato- nici sembrano ricadere nellerrore eleatico della dialettica essere- non essere. Lunico modo in cui la dottrina della triade dei principi pu funzionare sempre secondo Aristotele quella da lui for- mulata, e cio quella in cui i due contrari ineriscono al sostrato, che, in quanto unito alla privazione che non essere per se stessa, diviene non essere per accidente. Ma seguiamo un po pi da vici- no largomentazione di Aristotele a questo proposito. La natura che permane dice Aristotele , cio il sostrato, causa insieme con la forma degli enti che divengono, come una madre. Questultima, infatti, nella generazione dei viventi, il so- strato che patisce lazione di una causa motrice, rappresentata dal padre, che agisce nel senso che d la forma. La privazione, invece, potrebbe apparire come un fattore assolutamente negativo, cio come puro non essere. 75 Come se dicessimo ad esempio afferma Aristotele , posto che c qualcosa di divino e di buono e di desi- derabile, che c da una parte il contrario di questo, cio la priva- zione, e dallaltra parte ci che naturalmente (cqtcv) tende ad esso e lo desidera per sua propria natura (ofo fqv otfot qtoiv), LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 51 75 Non un caso che, come fa notare W. Charlton (1970), p. 82, in questo passaggio aristotelico ci sia una ripresa, secondo un registro ironico, di Platone, Timeo 49-53. cio la materia-sostrato. Nella dottrina di Platone e dei Platonici, invece, succede che il contrario desidera la sua propria distruzione e questo per Aristotele un assurdo, perch n possibile che sia la forma a tendere a se stessa, perch la forma non mancante e quindi desiderosa di se stessa, n possibile che il contrario tenda alla forma, perch i contrari sono luno la distruzione dellaltro. 76 In realt, osserva Aristotele, appunto la materia-sostrato, per via della sua unione con la privazione, che tende alla forma, come la femmina che tende al maschio, o il brutto che tende al bello, se si tiene conto per del fatto che la materia-sostrato non n la fem- mina n il brutto di per s, ma luna o laltra cosa solo accidental- mente. Ecco perch possibile dire che la materia-sostrato per un verso perisce nel divenire e per un altro verso non perisce, perch ci che perisce la materia insieme con la privazione, come nel ca- so di uomo non musico, mentre il sostrato di per s non perisce, come nel caso di uomo. Ci che effettivamente perisce allora la privazione, perch nel divenire un contrario lascia il posto allaltro contrario, ovvero la privazione lascia il posto alla forma. Se consi- derassimo questo discorso sotto il rapporto potenza-atto, potrem- mo dire che la materia considerata come potenza non perisce perch, come abbiamo gi visto, a perire solo la privazione e, in certo qual modo, la materia-privativa , e che anzi necessario che di essa non si ammetta n generazione n corruzione (o oq0oq- fov oi ocvqfov ovoq otfqv civoi). Le ragioni sono queste: 1) se la materia-sostrato generata, occorrerebbe un sostrato che la preceda (tocio0oi fi oci qmfov) dal quale, come dal suo costi- tuente interno (c ot cvtoqovfo), essa deriva, e questo la sua natura (fotfo o cofiv otfq q qtoi), sicch il sostrato esisterebbe prima ancora di nascere (mof cofoi qiv cvco0oi), perch la ma- teria deve essere intesa come il primo sostrato di ciascun ente (fo qmfov tocicvov coofm ) da cui questo nasce come da qualco- sa di immanente e non accidentale. 2) Se invece la materia-sostrato perisce, allora perviene a questo stato alla ne (ci fotfo oqicfoi 52 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 76 In questa considerazione di Aristotele potrebbe esserci una riessione del losofo sulla problematicit di alcune pagine platoniche, che risultano peraltro aporetiche, quali quelle sullamore in Liside, soprattutto 214b ss., e Simposio. coofov), sicch essa sar perita prima ancora di essere perita (cifc q0ciqcfoi, ci fotfo oqicfoi coofov, mofc cq0oqcvq cofoi qiv q0oqqvoi). 77 Quanto al principio della forma specica, compito della lo- soa prima stabilire se ce n uno o molti. Lindagine sica si occu- per soltanto delle forme naturali e periture. Stabiliti quindi quali e quanti siano i principi, venuto il momento, afferma Aristotele, di argomentare da un nuovo punto di partenza. Come si vede, in conclusione, il discorso sulla qtoi presente nel I libro della Fisica prima ancora di divenire oggetto di indagine specica del II libro. In questo I libro, infatti, Aristotele fornisce quelle preziose informazioni sulla qtoi senza le quali rischierebbe di rimanere incomprensibile o quantomeno difcilmente compren- sibile la trattazione che ne far nel II libro. Riassumendo, tali preci- sazioni del I libro sono le seguenti: il sostrato qtoi o, se voglia- mo, uno dei modi in cui possiamo intendere la qtoi quello di sostrato, tocicvov. E questo in un certo qual modo sostanza, otoio, una funzione che i principi contrari non hanno, perch i contrari non sono sostanza di nessuno degli enti, 78 ma occorre che ci sia un sostrato, in cui si avvicendino i contrari. Tale identicazio- ne di sostrato-sostanza, tocicvov-otoio, va per assunta con delle precisazioni, cio sulla base di quanto lo stesso Aristotele ci insegna quando dice che la natura soggiacente, cio il sostrato, pu essere conosciuta solo per analogia. La natura soggiacente ha infat- ti, rispetto alla sostanza, lo stesso rapporto che la materia sica ha rispetto alla sostanza sica intesa come unione di materia e forma. La funzione la medesima, ma il sostrato di cui Aristotele tratta nel I libro della Fisica, che al tempo stesso materia, tq, e natura, qtoi, anche sostanza, otoio, intesi questi tre concetti in senso posizionale-funzionale, in quanto costituiscono le condizioni che consentono il divenire dellente naturale. Di questa identicazione qtoi-tocicvov-otoio, con le pre- cisazioni che qui ho cercato di mettere in luce, dovremo tener con- to in modo particolare leggendo il II libro della Fisica. LA PHYSIS PRIMA DI FISICA II 53 77 Il passaggio in questione Phys. I 9, 192a27-34. 78 Cf. Phys. I 6, 189b32-34. 2. LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 2.1. La natura e gli enti naturali (Phys. II 1) Sin dalle prime linee della sua indagine sica (Phys. I 1, 184a10- 16) Aristotele ha impostato immediatamente linizio della ricerca come ricerca dei principi del divenire inteso quale segno distintivo degli enti naturali, 79 e quindi come ricerca dei principi della scienza sica. Ci si sarebbe aspettato, in realt, che nel dare inizio ad una indagine sulla natura, la prima cosa che lo scienziato naturalista ri- tenesse di dover fare fosse dire che cosa sia la natura e quali siano gli enti naturali, ma Aristotele riconosce lineludibile necessit di premettere alla ricerca intorno a questi temi quella sui principi del divenire, cio di partire dalle fondamenta per poi costruirvi sopra ledicio della scienza della natura. Il motivo di questo procedi- mento della ricerca risiede a mio avviso nel fatto che lindagine sul- la natura non del tutto diversa da quella sui principi del divenire, perch, come si scoprir nelle pagine che seguono, tali principi in un certo senso costruiscono o costituiscono la qtoi. Impostato quindi il discorso come ricerca dei principi del divenire inteso qua- le segno distintivo degli enti naturali, nel I libro della Fisica Aristo- tele compie unindagine che, partendo dalle diverse dottrine dei - loso che lo avevano preceduto, approda a una sua propria teoria dei principi del divenire. Questi principi del divenire degli enti na- turali sono tre: due contrari fra loro, cio la privazione, ofcqqoi, e la forma, cioo, e un terzo principio, il soggetto o sostrato, toci- cvov, che funge da ci che, permanendo nel divenire, consente lalternarsi dei due contrari che agiscono e patiscono nel sostrato. 80 79 Per questo ruolo della qtoi nella Metasica cf. Th. Buchheim (2001), pp. 208 ss. 80 La letteratura critica relativa al I libro della Fisica aristotelica e al problema dei principi del divenire vasta. Si vd. almeno gli studi di A. Mansion (1945), pp. 53-79; J.M. Le Blond (1939); W. Wieland (1993 tr. it.), pp. 63-177; T.H. Irwin (1996); L. Couloubaritsis (1997); Ch. Pietsch (1992); G. Morel (1960), pp. 487- Gi nel I libro della Fisica, come si visto, Aristotele fornisce delle indicazioni sulla qtoi, che in qualche modo sfuggono a chi legge questo libro con lo scopo di conoscere i principi del divenire, e che risultano preziose, invece, a chi cerca di comprendere in anti- cipo quanto Aristotele dir nel II libro trattando specicamente della natura. Il compito che segue immediatamente quello della fondazione dei principi, quindi, quello di denire la natura e gli oggetti della scienza che indaga la natura, o meglio gli enti naturali, ma per far questo Aristotele ritiene necessario stabilire un rapporto analogico forte fra natura e tecnica e quindi fra enti naturali ed enti prodotti dalla tecnica che il lo conduttore e lo strumento di cui lo Stagirita si serve per indagare la natura e i suoi enti. Aristotele, sin dallinizio del II libro della Fisica, distingue tutti gli enti in enti che sono per natura (qtoci) ed enti dovuti ad altre cause (oi oo oifio): gli enti per natura, come egli stesso chiari- sce subito, sono gli animali e le loro parti, le piante e i corpi semplici come la terra, il fuoco, laria e lacqua. 81 Per il momento Aristotele chiarisce con esempi soltanto questo primo gruppo di enti e non an- che il secondo, cio quello degli enti dovuti ad altre cause, rivelando subito quale sia il suo modo di argomentare: la distinzione tra enti naturali ed enti dovuti ad altre cause, che sono, come si scoprir fra breve, gli oggetti della produzione tecnica, 82 serve soltanto per indi- 58 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 511 e (1961), pp. 497-516; R. Bolton (1991). Recentemente anche io mi sono oc- cupata del I libro della Fisica e della questione dei principi del divenire nel libro I fondamenti della Fisica (2002). 81 Gli esempi qui addotti da Aristotele di cui la natura sarebbe principio di mutamento riguardano da una parte i viventi, cio enti oggetto di studio della bio- logia e, dallaltra parte, gli elementi. Secondo F. Solmsen (1960), p. 93 ss. la natura sarebbe qui indicata da Aristotele come principio di mutamento unicante della scienza biologica e di quella astronomica (vd. anche lesempio aristotelico secon- do cui luomo generato dalluomo e dal sole di Phys. II 2, 194b13). Al contrario, O. Hamelin (1931), p. 36, che segue Filopono, In Phys. 195,19 ss., e A. Mansion (1945), p. 100, tengono fede allinterpretazione del principio di mutamento quale principio formale. 82 Per la verit, nella sua parafrasi della Fisica Temistio 35,4, a proposito di questa espressione oi oo oifio afferma che Aristotele si sta riferendo qui alle attivit pratiche (qooiqcoi) e poietiche (fcvq) delluomo e alla fortuna (ftq). Una interpretazione vicina a quella di Temistio si riscontra anche in Simplicio, In Phys. 261,12 ss., e dai commentatori antichi essa passata agli interpreti moderni, viduare e denire gli enti naturali e la natura. I due gruppi di enti, quindi, non sono collocati nellargomentazione a livelli perfettamen- te equivalenti, 83 ma il parallelismo che Aristotele istituisce fra questi due gruppi di enti nalizzato alla corretta conoscenza degli enti naturali, sulla quale quella degli enti prodotti dalla tecnica pu get- tare in qualche modo luce. Aristotele stabilisce in queste pagine di Fisica II quello stretto rapporto analogico fra qtoi e fcvq 84 e LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 59 cf. ad esempio O. Hamelin (1931), p. 33; L. Couloubaritsis (1997), p. 224 nota 16 e W. Wieland (1993), p. 294 nota 2. A me sembra che Aristotele non abbia qui preoccupazione di esaustivit rispetto agli enti che non sono costituiti per natura, poich la sua preoccupazione piuttosto quella di distinguere gli enti che sono co- stituiti per natura da quelli che non sono costituiti per natura. Lespressione oi oo oifio quindi a mio avviso in qualche modo generica, cio Aristotele sta pensando piuttosto agli enti naturali e al modo di individuarli mediante una classe di enti che non sono naturali. Per questo motivo egli probabilmente ha in mente, in modo pi specico, i prodotti della fcvq, piuttosto che tutti gli enti che deriva- no da diverse cause tutte non naturali, come si comprende anche dagli esempi del- la li. 192b16, che sono il letto e il mantello. Daccordo con questa interpretazione G.A. Ferrari (1977), pp. 150-151; si vd. anche la trad. di P. Pellegrin, p. 115 nota 2. 83 Al contrario, stabilisce piena identit di natura e tecnica S. Mansion (1975). 84 Sul problema dellanalogia fcvq/qtoi in Aristotele sono ancora utili gli studi di H. Mayer (1919), pp. 85 ss.; di M. Timpanaro Cardini (1950), pp. 279- 305; di W. Theiler (1965 2 ); di K. Bartels (1965), pp. 275 ss.; di J. Owens (1968). Si vd. anche G.A. Ferrari (1977); A. Petit (1997); e lo studio recente di R.L. Cardullo (2005). Occorre segnalare a proposito del rapporto fcvq/qtoi la posizione di J.M. Le Blond (1939), soprattutto pp. 326-346 e 392-406, il quale, considerando la nalit come un concetto squisitamente tecnico, arriva a sostenere, pur attenuan- do qua e l i toni, che la tecnica sarebbe allorigine della visione aristotelica della natura. Questa di Le Blond mi sembra, per la verit, una esagerazione di un pro- cedimento metodologico di Aristotele, il cui scopo quello di sfruttare ci che pi noto per noi, la fcvq, per conoscere ci che pi noto per s, la qtoi. Que- sto ruolo accentuato riconosciuto alla fcvq da alcuni interpreti moderni deriva da una lettura troppo heideggeriana di Aristotele, nella quale caduto anche P. Au- benque (1962), il quale evita luso della nozione di nalit nella sua interpretazio- ne di Aristotele, cf. p. 441. Sulla relazione fra nalit e fcvq si vd. anche B. Sou- chard (2003), pp. 73-79. Lo studio di M. Isnardi Parente (1966), soprattutto pp. 97-202, mette in luce lintero percorso del tema della fcvq in Aristotele e sottoli- nea come il procedimento tecnico sia interamente controllabile in ogni sua fase e attraverso questa controllabilit ci fornisca la chiave per penetrare i procedimenti naturali. Interessanti le pagine di F. Solmsen (1960), pp. 92-117, in cui questi stu- dia lanalogia natura/tecnica del II libro della Fisica di Aristotele a partire dalle Leggi e dal Timeo di Platone si vd. anche F. Solmsen (1963) , argomento sul quale si vd. anche G.S. Claghorn (1954), pp. 121-136. quindi fra enti di natura ed enti prodotti articialmente 85 che consente a chi ascolta le lezioni di sica di apprendere, attraverso ci che gli pi noto e familiare, ci che gli meno noto e meno familiare. Come fa notare L. Couloubaritsis nel suo libro La Physi- que dAristote, 86 la fcvq utilizzata da Aristotele quale procedi- mento metodologico che corrisponde a quel percorso della ricer- ca scientica di cui Aristotele aveva parlato nel I libro della Fisica: qui Aristotele aveva inteso determinare qual il procedimento del conoscere scientico nel senso di un conoscere che va da ci che pi noto per noi a ci che lo per natura. 87 Infatti, il percorso naturale (cqtc) della conoscenza scientica, afferma Aristote- le, parte dalle cose di cui noi abbiamo una conoscenza pi chiara (ooqcofcqmv), che ci sono pi note (vmqimfcqmv qiv), per ap- 60 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 85 Sottolinea giustamente G.A. Ferrari (1977), p. 153, che dal punto di vi- sta della dignit ontologica gli enti naturali e gli oggetti articiali si trovano sul- lo stesso piano (cf. Phys. II 1, 193a31-33), sulla base del fatto che per Aristote- le vale il principio per cui le cose esistono a pieno titolo. Nonostante ci e con- tro lopinione del Ferrari (vd. anche p. 153 nota 16 e pp. 154-157), a me sem- bra che la superiorit della natura sulla tecnica, che scaturisce anche dal fatto che la tecnica imitazione della natura (Phys. II 2, 194a21-22 e II 8, 199a15) e non viceversa, sia una superiorit ontologica (che il Ferrari riconosce allottica di Platone ma nega a quella di Aristotele, vd. p. 158) e non soltanto una supe- riorit di valore, cio gerarchica. In altri termini, tra enti naturali ed enti articia- li c effettivamente una superiorit ontologica e non solo gerarchica, per cui a mio avviso sbaglia anche J.M. Le Blond (1939), passim, il quale sostiene il paral- lelismo perfetto fra natura e tecnica sottovalutandone la distinzione e la subor- dinazione delluna allaltra. Gli enti prodotti dalla tecnica presuppongono lesi- stenza degli enti naturali, che quindi hanno ontologicamente un valore fondativo rispetto a quelli. 86 L. Couloubaritsis (1997), pp. 81 ss. 87 Questa impostazione dellargomentazione non deve tuttavia essere assunta in modo troppo semplicistico, dal momento che, come si vedr, il rapporto natu- ra/tecnica non simmetrico e Aristotele, a seconda dellopportunit del suo di- scorso, assumer ora i parallelismi e ora le differenze fra questi due diversi campi del divenire, quello naturale e quello tecnico. Si vd. anche A. Mansion (1945), pp. 228 ss. Tuttavia, alcuni studi moderni hanno messo in rilievo come lanalogia na- tura/tecnica debba a giusto titolo essere considerata fra quei procedimenti meto- dologici di cui Aristotele si avvale per sviluppare di volta in volta la sua scienza, accanto al linguaggio, alle opinioni comunemente condivise e allanalisi delle dot- trine dei predecessori, cf. J.M. Le Blond (1939), passim, G.E.L. Owen (1961); W. Wieland (1993), pp. 52-110; M. Isnardi Parente (1966), passim e il commento di M. Vegetti al De part. anim., p. 557 nota 11. prodare a quelle che sono pi chiare e pi note per natura (fq qtoci). 88 La fcvq, in quanto riguarda lambito della produzione umana, risulta appunto pi familiare alluomo e i processi che la ri- guardano sono, quindi, meglio noti. La fcvq offre allora allo Sta- girita uno strumento valido per individuare e chiarire nozioni me- no note e di pi difcile comprensione per luomo, anche se si trat- ta di un momento iniziale del percorso scientico atto a condurre verso ci che meno noto per noi, come nel caso del II libro della Fisica la nozione di natura. 89 La fcvq, precisa inoltre ancora Couloubaritsis, presenta il vantaggio di implicare di per s il dive- nire, poich essa costituisce un sapere che ha come scopo la produ- zione, la oiqoi, 90 cio un far venire allessere (cvcoi) enti arti- ciali. Per questo motivo esempi tratti dal mondo della fcvq sono ampiamente utilizzati nel libro I della Fisica, in quanto cio il dive- nire tecnico analogico ed omonimico rispetto al divenire natura- le. Il compito di Aristotele , a questo punto, quello di distingue- re fcvq e qtoi allo scopo di individuare la qtoi attraverso il suo rapporto analogico con la fcvq. Gli enti naturali continua Aristotele appaiono differenti da quelli che non sono costituiti per natura (q qtoci otvcofmfo); 91 perch ciascuno di essi [scil. degli enti naturali] possiede in se stesso un principio di movimento e di quiete (cv cotfm oqqv cci LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 61 88 Cf. Phys. I 1, 184a15-17. Per questa proposizione aristotelica per cui la conoscenza passaggio (q ooo) dalle cose pi note e pi chiare per noi (c fmv vmqimfcqmv qiv oi ooqcofcqmv) alle cose pi note e pi chiare per natura (ci fo ooqcofcqo fq qtoci oi vmqimfcqo), vd. W. Wieland (1993), pp. 85- 106. Aristotele esprime questa stessa posizione in altri scritti, soprattutto in Metaph. Z 3, 1029b3-12; APo. I 2, 71b33-72a5 e I 3, 72b28 ss.; De an. II 2, 413a 11 ss. 89 La fcvq quale strumento metodologico per la conoscenza di nozioni me- no note trova non a caso largo impiego nella losoa aristotelica, non solo si- ca, ma anche etica e politica. Sullargomento si vd. anche A. Mansion (1945), pp. 228 ss. 90 Cf. EN VI 4. 91 Questo termine, otvcofmfo, mi sembra voler connotare in modo ontologi- camente forte gli enti naturali e gli enti non naturali. Il discorso di Aristotele cio riguarda la struttura ontologica di enti, quelli naturali, che si differenziano da altri modi di essere, ad esempio dallessere degli oggetti articiali, e che sono descritti da strutture quali la qtoi e il divenire causalmente ordinato. ivqocm oi ofoocm), 92 gli uni secondo il luogo, altri secondo ac- crescimento e diminuzione, altri ancora secondo alterazione (Phys. II 1, 192b13-16). Con il dire che gli enti naturali hanno in se stessi il principio del movimento e della quiete Aristotele, oltre a distinguere gli enti naturali da tutti gli altri enti, anticipa anche la denizione di natura, che viene fornita qualche linea dopo. 93 In quanto poi parla di principio di movimento e di quiete, Aristote- le specica i tre modi secondo cui pu esserci movimento, cio se- condo il luogo come traslazione, secondo la quantit come accre- scimento e diminuzione e secondo la qualit come alterazione. 94 Gli oggetti che derivano dalla produzione tecnica, 95 invece, come ad esempio un letto o un mantello, continua Aristotele, non hanno alcun impulso connaturato (oqqv cqtfov) al mutamento, ma nel- la misura in cui accade che tali oggetti siano fatti di pietre o di ter- ra o di una qualche mescolanza di enti naturali, possiedono un tale impulso. 96 Tale impulso, infatti, altro non che la presenza imma- nente del principio naturale nellente. 97 In altri termini, Aristotele 62 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 92 Questa presenza della quiete nella denizione di natura ha creato limba- razzo dei commentatori antichi per il fatto che il quinto elemento, letere, non ha di fatto principio di quiete. La quiete, del resto, assente in altre denizioni ari- stoteliche della natura: si potrebbe ritenere, nel caso di Phys. II 1, che Aristotele abbia in mente in modo specico la realt del mondo sublunare. Per una trattazio- ne dettagliata di questa questione rimando ad A. Mansion (1945), p. 98 nota 11. 93 I commentatori antichi avevano gi notato che Aristotele constata la diffe- renza fra gli enti naturali e gli enti non naturali allo scopo di individuare e denire la natura, cf. Filopono, In Phys. 195,19 ss., Temistio, In Phys. 157,15 e Simplicio, In Phys. 264,6 ss. 94 Cf. Phys. III 1, 201a9-15. 95 Nel corso di queste pagine traduco il termine qtoi con natura e il ter- mine fcvq con tecnica per ragioni di comodit: non ignoro la difcolt di tra- durre in italiano questi due termini, i quali, in realt, sono stati usati nei secoli con diverse accezioni e hanno acquisito diverse sfumature di signicato che rendono difcile una traduzione adeguata in una lingua moderna. Tali termini andrebbero, quindi, contestualizzati di volta in volta, ma ritengo che in questo II libro della Fi- sica tradurre natura e tecnica renda comunque sufcientemente intelligibile il discorso aristotelico che li pone qui in un rapporto analogico particolarmente atto a condurci alla conoscenza della natura attraverso esempi tratti dal mondo della produzione tecnica. 96 Cf. S. Waterlow (1982), pp. 1-47. 97 Che questo impulso sia un principio immanente agli enti sottolineato da Simplicio, In Phys. 265,15, il quale scrive giustamente che <Aristotele> ha chia- afferma che gli oggetti prodotti dalla tecnica possiedono un impul- so connaturato al mutamento accidentalmente e soltanto nella mi- sura in cui una parte di ci che li costituisce per natura, cio nella misura in cui sono fatti di materia naturale, 98 perch ed ecco la denizione di natura la natura un certo principio o causa del muoversi e del rimanere fermo di ci in cui esiste primariamente (toqci qmfm) per se stessa e non per accidente (o0 otfo oi q ofo otcqo). 99 Gli enti prodotti tecnicamente possiedo- no, quindi, in se stessi un principio naturale perch e nella misura in cui sono fatti di materia naturale quali pietre o terra eccetera, anche se tale possesso del principio naturale limitato non solo al fatto che essi sono costituiti di materia naturale ma, soprattutto ed questo su cui punta maggiormente la sua attenzione Aristote- le , al fatto che una condizione accidentale a differenza degli en- ti naturali. Negli oggetti articiali la qtoi del componente mate- riale e la fcvq che li costituisce sono compresenti accidentalmen- te. La differenza fra tali enti prodotti tecnicamente e gli enti di na- tura, in altre parole, consiste non tanto nel fatto che i primi non LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 63 mato impulso propriamente il principio interno del movimento (oqqv oc tqim fqv cvoo0cv oqqv cococ fq ivqocm). A questo proposito il Wieland, riet- tendo evidentemente sul principio di movimento e sulla causa motrice, ritiene che la natura non sia un principio di movimento autosufciente, perch occorre una causa motrice esterna afnch un ente naturale si muova, per cui la natura sarebbe piuttosto una capacit intrinseca di muoversi dellente qualora si verichino delle condizioni esterne. Ad esempio, animali e piante crescono e si riproducono, ma solo a determinate condizioni ambientali, nutrizionali eccetera. Questo discorso, per, riguarda laspetto diciamo cos relazionale dellente naturale, mentre quello che interessa ad Aristotele in Phys. II vedere lente naturale in se stesso, per cui semmai la differenza fra principio motore e causa motrice si individua nel fatto che nella generazione assoluta necessario che agisca la causa motrice, ad esempio il padre che genera il glio, mentre nel mutamento naturale sufciente loperare del principio motore interno che la natura. 98 Si tratta di una limitazione della naturalit degli oggetti prodotti dalla tecnica, espressa dalle parole ofo fooot fov di li. 192b20. La spiegazione di tale li- mitazione espressa dalla denizione di natura introdotta da m sempre alla li. 20. 99 Phys. II 1, 192b21-23. Questa denizione viene ripresa da Aristotele in pi luoghi delle sue opere, si vd. ad esempio Phys. III 1, 200b12; VIII 3, 253b5 e VIII 4, 254b16; De caelo I 2, 268b16; III 2, 301b17; De gen. anim. II 1, 735a3 e II 4, 740b37; Metaph. E 1, 1025b20, O 8, 1049b8-9, A 3, 1070a7-8; EN VI 4, 1140a15; De an. II 1, 412b16. hanno impulso connaturato (oqqv cqtfov) al mutamento mentre i secondi hanno tale principio connaturato che coincide con la na- tura che esiste primariamente (toqci qmfm) 100 in essi perch scopriamo che anche gli enti prodotti tecnicamente possono avere un tale impulso connaturato al mutamento grazie ai loro compo- nenti immanenti naturali , quanto soprattutto nel fatto che, men- tre gli enti prodotti tecnicamente hanno un tale impulso connatura- to al mutamento accidentalmente (vd. il otcqcv di li. 192b19), gli enti naturali, invece, hanno un tale principio, cio la natura, in modo non accidentale (q ofo otcqo), ma essenziale. 101 Limportanza di questa differenza subito sottolineata da Aristote- le, che si preoccupa di chiarire lespressione fo q ofo ot- cqo, perch sospetta che il carattere accidentalmente naturale delloggetto articiale possa dare limpressione che fcvq e qtoi siano connesse cos strettamente da far perdere i loro rispettivi si- gnicati concettuali specici, come accade nellesempio che se- gue immediatamente del medico che torna sano, in cui la fcvq medica e la qtoi del processo di guarigione dellindividuo sono compresenti accidentalmente. Lo scopo di Aristotele , invece, quello di sfruttare lanalogia fcvq/qtoi conservandone le diffe- renze in vista della conoscenza scientica della qtoi. Lespressione non per accidente (fo q ofo otcqo) viene spiegata da Aristotele con lesempio del medico: pu accade- re, egli dice, che un tale, che medico, sia egli stesso responsabile della guarigione di se stesso. Aristotele adopera qui il termine oifio, il quale ha indubbiamente un certo signicato di causalit, in quanto indica la responsabilit di qualcuno che produce qualco- sa, nella fattispecie il medico che produce la sua stessa guarigione, 64 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 100 Limpulso connaturato al mutamento, oqqv cfooq cqtfov, che viene negato agli oggetti articiali la medesima cosa del principio naturale inteso come principio di movimento e di quiete delle li. 192b13-14. Si scopre poi che tale im- pulso si riscontra accidentalmente anche negli oggetti articiali, li. 192b19-20, ma a questa accidentalit si oppone lessenzialit (o0 otfo oi q ofo otcqo) della natura come principio. Ad oqqv cfooq cqtfov negato agli oggetti arti- ciali si oppone invece il fatto che la natura to qci qm fm nellente di cui prin- cipio, cio sussiste nellente quale condizione necessaria e primaria. 101 Infatti ci che appartiene a una cosa o0 otfo essenziale alla cosa, per cui o0 otfo lopposto di ofo otcqo . tuttavia non pu essere inquadrato in una pi ampia teoria della causalit, perch Aristotele non ha ancora teorizzato la sua dottrina delle cause, cosa che far in Phys. II 3. Quindi qui oifio, che laggettivo appartenente alla stessa famiglia di oifiov e oifio, non ha tuttavia ancora il senso pieno di causa, ma serve solo a spiegare razionalmente il fatto che la fcvq unita alla qtoi produce certi effetti allinterno di un ente che accidentalmente al tempo stesso articiale e naturale. In altri termini, lesempio che Aristotele ad- duce qui serve a spiegare ci che egli aveva detto precedentemente, e cio che in certi casi fcvq e qtoi sono compresenti nellente ar- ticiale, con la differenza che la qtoi nellente naturale presente per se stessa, mentre nellente articiale presente accidentalmen- te. Con questo esempio del medico Aristotele vuole, quindi, ribadi- re quanto ha detto alle li. 192b19-20, e cio che anche negli enti ar- ticiali si pu trovare un impulso connaturato al mutamento come negli enti naturali, con la differenza, naturalmente, che nel caso de- gli enti articiali tale impulso immanente non naturale ma acci- dentale. Questo stesso discorso ribadito subito dopo da Aristotele, che scrive: non in quanto guarito possiede larte medica, inten- dendo dire che i due aspetti dellente, cio lessere medico e lesse- re uomo guarito, sono distinti fra loro e compresenti solo acciden- talmente. Il medico, infatti, normalmente esercita la sua arte sugli altri ed un fatto del tutto accidentale che egli la eserciti su se stes- so. Nel caso comune in cui il medico e luomo malato che torna sa- no sono due enti diversi, il malato non torna sano perch possiede larte medica, infatti egli non affatto medico, quindi anche nel ca- so del medico che torna sano non in quanto guarito possiede lar- te medica ma, al contrario, in quanto possiede larte medica gua- rito da malato che era. Quindi lavere larte medica non dipende dal fatto che guarito, ma al contrario il fatto che guarito dipen- de dallessere egli un medico che ha curato se stesso. In questa guarigione del medico sono accidentalmente compresenti la natura del processo di guarigione e la tecnica medica. In conclusione di tutto questo discorso, Aristotele sostiene che, pur ammettendo che nellente articiale ci sia talvolta oltre alla fcvq anche la qtoi, tuttavia occorre non fare confusione fra i LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 65 due aspetti. Al capitolo 8 di questo II libro, inoltre, e precisamente alle li. 199b28-32, Aristotele torna sullesempio del medico che guarisce se stesso, ma questa volta lo fa in ragione di un discorso sulla causa nale con la quale viene identicata la natura stessa. Di- ce infatti Aristotele che se nella tecnica c la causa nale, allora c anche nella natura e questo risulta soprattutto evidente nel caso di chi si cura da se stesso, perch a costui che somiglia la natura. Dunque conclude Aristotele , chiaro che la natura causa e lo nel senso della causa nale. 102 In questo passaggio lesempio del medico serve ad Aristotele non tanto per spiegare, come abbiamo detto, la compresenza accidentale nelloggetto articiale di fcvq e di qtoi, quanto invece per mostrare che, se nella tecnica c una causa nale questo dovuto al fatto che essa agisce come la natura, che , per se stessa, causa come causa nale. Il concetto che abbia- mo visto espresso dal termine oifio nellesempio del medico qui assume un pieno signicato causale e viene utilizzato, infatti, il ter- mine oifi o. Tornando al discorso di Phys. II 1, Aristotele, dopo aver preci- sato laccidentalit della compresenza di natura e tecnica per cui nello stesso uomo ci sono larte medica e lessere guarito, e avere quindi chiarito che, in virt della accidentalit, questi due aspetti possono anche essere separati fra loro, 103 come nel caso in cui il medico cura non se stesso ma un altro malato, aggiunge: allo stes- so modo <si comporta> ciascuna delle altre cose prodotte (ooim oc oi fmv omv coofov fmv oiotcvmv), perch nessuna di esse possiede in se stessa il principio della produzione (cci fqv oqqv cv cotfm fq oiqocm), ma le une ad esempio una casa e ciascu- no degli altri manufatti , <hanno tale principio> in altre cose ed esterne (cv ooi oi cm0cv), mentre le altre <hanno tale princi- pio> in se stesse, ma non per se stesse (cv otfoi cv o ot o0 otfo), e sono quelle che potrebbero essere cause per se stesse ac- cidentalmente (ooo ofo otcqo oifio cvoif ov otfoi) 66 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 102 Phys. II 8, 199b30-33. 103 Per Aristotele accidentale una causa che priva di una connessione re- golare con leffetto, cf. Metaph. E 2, 1026b31-33; Phys. II 8, 198b34-36; APo. I 4, 73b10-16. In questo caso puramente accidentale che luomo sia medico e tor- ni sano. (Phys. II 1, 192b27-32). A questo punto, come si vede, entrato in campo il concetto della produzione e quindi lanalogia tra natura e tecnica si trasferisce sul piano del movimento naturale in rapporto alla produzione tecnica. Fin qui la relazione/distinzione fra gli enti naturali e quelli pro- dotti dalla tecnica pu essere cos schematizzata: 1) la natura principio e causa di movimento e di quiete degli enti naturali, per se stessa e non per accidente; 2) la natura si trova anche nelloggetto articiale, come materia naturale, e quindi principio e causa di movimento e di quiete de- gli enti articiali accidentalmente; 3) gli oggetti articiali non hanno un principio e causa di muta- mento o di quiete per se stessi (192b18-19); 4) gli oggetti articiali possono avere un principio e causa di mutamento o di quiete accidentalmente, in quanto fatti di materia naturale. A questo punto Aristotele ritiene di aver spiegato che cosa sia la qtoi, che egli ha denito appunto come un principio di movi- mento o di quiete essenzialmente immanente agli enti naturali, e dice infatti che la natura quindi ci che si detto (192b32), per cui il suo discorso prosegue nel mostrare che cosa siano gli enti na- turali, che egli qui chiama cose che hanno natura (192b32-33) e che quindi hanno un tale principio. Successivamente spiegher co- sa sia ci che secondo natura e ci che per natura (192b35- 193a2). Per quanto concerne la spiegazione delle cose che hanno natura, tuttavia, ci troviamo di fronte a un passaggio che presenta qualche difcolt, al punto che non tutti lo interpretano allo stesso modo. Io tuttavia ritengo che la difcolt sia solo apparente, come cercher di mostrare qui di seguito. Scrive infatti Aristotele: oi cofiv ovfo fotfo otoio tocicvov oq fi, oi cv tocicvm cofiv q qtoi oci 192b33-34. 104 Questo passaggio viene comune- mente tradotto in questo modo: E tutte queste cose sono sostan- LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 67 104 Questo passo segue la punteggiatura proposta dal Laas, il quale, basando- si sulla interpretazione di Temistio e di Filopono, pone una virgola dopo il fi af- nch lespressione tocicvov oq fi vada letta insieme con la precedente, cio oi cofiv ovfo fotfo otoio. A. Mansion (1945), p. 100 nota 15, propone addirit- tura una pausa pi forte: il punto e virgola anzich la virgola. za: perch sono un certo sostrato, e la natura sempre in un sostra- to, 105 cio viene tradotto nel senso che tutte queste cose, ossia le cose che hanno natura di cui Aristotele ha detto subito prima intendendo gli enti naturali, sono sostanza (otoio), perch sono un sostrato. Tale interpretazione in linea con quanto si apprende dalla parafrasi di Temistio e dal commento di Filopono, 106 che in- terpretano nel modo seguente: Temistio spiega lespressione aristo- telica e tutte queste cose sono sostanza dicendo che sono com- poste da materia e da forma (otv0cvfo oq qoq c tq oi cioot cofiv) e prosegue dicendo che la natura ha (cci) un certo so- strato ed (cofi v) in un sostrato. Egli qui usa prima il verbo ave- re e poi il verbo essere lasciando sospettare che attribuisca lessere sostrato non alla natura, ma allente naturale che ha natura. Questa interpretazione confermata in modo pi chiaro da quanto affer- ma poco dopo, e cio quando fa il discorso della propriet che ap- partiene al fuoco di portarsi verso lalto, propriet a proposito del- la quale Temistio afferma che non ha natura per il fatto che lo- perativit (cvcqcio) non un certo sostrato, da cui si ricava la cor- rispondenza avere natura=essere sostrato. Filopono, a sua volta, per spiegare che gli enti che hanno la natura sono sostanze, lo spiega dicendo che ciascuno di tali enti un sostrato e che nessuno degli accidenti, ma appunto soltanto la sostanza sostrato. Il ragio- namento di Filopono alquanto semplicistico, anche se giusticato dal fatto che pu apparire assurdo a una prima occhiata affermare contemporaneamente che la natura sostrato ed in un sostrato, in quanto le due cose possono apparire contrastanti fra loro. Filo- pono ragiona in questo modo: se la natura in un sostrato, allora ci che ha natura (che egli ha prima identicato con il sostrato) funge da sostrato; il sostrato sostanza, quindi ci che ha natura sostanza. Inoltre, che la natura sia in un sostrato mostrato dalla stessa denizione di natura, che afferma che essa principio di mo- vimento o di quiete di ci in cui (cv m) esiste primariamente e 68 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 105 Mi riferisco a Hardie & Gaye, Ross, Carteron, Hamelin, Charlton, Franco Repellini, Pellegrin, Zanatta, Wicksteed & Cornford. Carteron non segue la pun- teggiatura proposta dal Laas e tuttavia non si discosta dagli altri per il senso che attribuisce alla frase. 106 Temistio, In Phys. 36,24-37,2; Filopono, In Phys. 204,16-23. per se stessa. Questa spiegazione del passaggio aristotelico in di- scussione, diffusa fra gli interpreti, sembra inoltre aderire alla pi volte ripetuta indicazione di sostanza che ci viene fornita da Aristo- tele nelle Categorie, in cui lo Stagirita afferma che la sostanza pri- ma soggetto e non pu essere detta di un soggetto n pu essere in un soggetto, mentre la sostanza seconda (specie e generi) non pu essere n soggetto n in un soggetto, ma si pu dire di un sog- getto. 107 chiaro, per, che questo discorso sulla sostanza che si trova nelle Categorie ha un contesto del tutto diverso da quello di cui stiamo discutendo nella Fisica, perch l si tratta di sostanza in- tesa come soggetto o meno di predicazione. 108 Ora, a me sembra che non abbia in realt senso far dire ad Aristotele che ogni ente naturale sostanza, perch un certo sostrato, e in effetti possia- mo vedere che gi i commentatori antichi si erano interrogati mol- to sul signicato di questo passaggio aristotelico anche in relazione al fatto che Aristotele parla di sostanza e non di sostanze. Filo- pono, ad esempio, cita Aristotele scrivendo che tutte queste cose sono sostanze (cioi fotfo ovfo otoioi), 109 e Simplicio pure ipotizza che Aristotele intenda dire questa stessa cosa. 110 Tuttavia, se prendiamo il commento che di questo passaggio aristotelico fa Simplicio troviamo le ragioni della difcolt di una tale traduzione. Si prola in Simplicio la possibilit di interpretare lespressione ari- stotelica che tutte queste cose sono sostanze considerando come spiegazione la frase tocicvov oq fi oi cv tocicvm cofiv q qt oi o ci, in cui q qt oi sarebbe soggetto sia di t oci cvov fi che di cv tocicvm. Sulla base del commento di Simplicio e in pole- mica con esso, inoltre, Couloubaritsis, seguito in questa sua inter- pretazione da A. Stevens, 111 intende il passo aristotelico in questo secondo modo che a me sembra corretto, e cio nel senso appun- LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 69 107 Cf. Cat. 5, 2a11-3a6. Di seguito a questo passaggio Aristotele sottolinea che proprio di ogni sostanza, sia prima che seconda, il non essere in un soggetto, cosa che invece nel passaggio della Fisica in esame detto della qt oi. 108 Cf. anche Metaph. A 8, 1017b24. 109 Filopono, In Phys. 204,14-15. 110 Simplicio, In Phys. 270,11. 111 Cf. L. Couloubaritsis (1991) e A. Stevens (1999), ad loc. Entrambi tradu- cono otoio con essenza. to che lintera espressione tocicvov oq fi oi cv tocicvm cofiv q qtoi oci costituisce la spiegazione del fatto che tutte queste cose sono sostanza, per cui la frase di Aristotele signiche- rebbe: E tutte queste cose sono sostanza: infatti sempre la natura un certo sostrato ed in un sostrato. Couloubaritsis considera in altri termini tocicvov fi come predicato di q qtoi. In effetti mi sembra, come dicevo prima, che fare dire ad Ari- stotele che ogni ente naturale sostanza, perch un certo sostrato, sia una banalizzazione del testo aristotelico, mentre se si interpreta come fa Couloubaritsis e come ha ipotizzato Simplicio, e cio che tutti gli enti naturali sono sostanza, perch la natura un certo so- strato ed in un sostrato, mi sembra che possiamo disporre di una interpretazione che non solo trova ampio fondamento testuale in quanto abbiamo gi visto a proposito del I libro della Fisica, in cui Aristotele parla della qtoi come sostrato (tocicvq qtoi) 112 e come sostanza, ma che anche pi coerente con il discorso che Aristotele svilupper in seguito in questo stesso primo capitolo del II libro. Ma vediamo che cosa propriamente scrive Simplicio, In Phys. 269,27-270,22: [] tutto ci che naturale (fo qtoiov ov) una sostanza composta (otoio cofi otv0cfo) che da un la- to ha un certo sostrato, quello in cui la natura (cotoo cv fi tocicvov fo cv m cofiv q qtoi), se vero che la natura prin- cipio o causa di ci in cui per se stessa, ma che dallaltro lato ha anche qualcosa in un sostrato e cio la natura stessa (cotoo oc oi c v t ocic vm fi fq v qt oiv ot fq v). 113 Fin qui Simplicio sta sempli- cemente presentando il discorso di Aristotele: egli intende corretta- mente le cose che sono sostanza, di cui parla Aristotele, come gli enti naturali (fo qtoiov ov) e spiega che sono sostanza composta da un certo sostrato e dalla natura che in esso. Anticipando quin- di quanto Aristotele dir alle li. 192b9 ss. a proposito della natura intesa sia come materia sia come forma, Simplicio continua: Perci come conseguenza di queste cose (oio m ooot0ov fotfoi) <Ari- 70 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 112 Cf. ad esempio Phys. I 7, 191a7. 113 Che questa sia la traduzione corretta risulta da quanto dice Simplicio, In Phys. 269,30-270,2, in cui precisa che Aristotele dice che ci che ha natura composto dal sostrato che ha <la natura> e dalla natura che in quello. stotele> ragionando per induzione dice che, essendo lente natura- le composto (otv0cfot ovfo fot qtoiot), alcuni dicono che il so- strato la natura, da cui nascono le cose che divengono come da qualcosa di immanente (fivo cv fo tocicvov cciv fqv qtoiv c ot ivcfoi fo ivocvo cvtoqovfo), mentre altri dicono che la forma specica <la natura> (fivo oc fo cioo) e si pone come arbitro fra ambedue questi ragionamenti e distingue ci che ha na- tura da ci che secondo natura (oioqici oc fo qtoiv cov oi fo ofo qtoiv) dicendo che ci che ha natura sostanza composta da un sostrato che ha <la natura> (c tocicvot fot covfo) e dal- la natura che in quello (fq cv ccivm qtocm), perch ci che ha natura un certo sostrato e la natura in un sostrato (fo oq cov qt oiv t oci cvo v fi c ofi oi q c v t ocic vm qt oi). E tutti questi enti che hanno natura sono sostanze (cioi ovfo fotfo fo covfo qtoiv otoioi), anche perch sostanza in qualche modo si dicono da una parte sia la materia sia il sostrato in senso primario, ma so- stanza <si dice> dallaltra parte ci che in un sostrato, cio la forma specica. Ma nel suo senso pi proprio sostanza luna co- sa e laltra insieme. Ci dimostra dunque il fatto che gli enti che hanno natura sono sostanze, cio il sostrato e ci che nel sostra- to (fo covfo qtoiv otoio civoi fo tocicvov fi civoi oi cv tocicvm), ma ciascuno sostanza e ancor pi lo sono luna cosa e laltra insieme. In questo passaggio linterpretazione di Simpli- cio sostanzialmente in linea con quella di Temistio e di Filopono, perch, come si vede, egli considera lente naturale, chiamato al modo in cui lo indica Aristotele come ci che ha natura, come una sostanza composta e precisamente composta dal sostrato e dal- la natura che in esso. Con sostrato, ci dice Simplicio, si intende la materia ovvero il sostrato nel suo senso primario, mentre la natura che in un sostrato sarebbe la forma. Luna e laltra cosa, cio sia il sostrato sia la forma, sono sostanza, e tuttavia sostanza in senso pi proprio si intende il sostrato e la forma insieme, per cui propria- mente risulta che le cose che hanno natura, cio gli enti naturali, sono sostanze. In altri termini, linterpretazione n qui data con- duce Simplicio, in linea con Filopono, a pensare che sia corretto parlare di enti naturali come sostanze, otoioi, non come sostan- za, otoio, a proposito della frase aristotelica oi cofiv ovfo fotfo LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 71 otoio. Simplicio per continua a riettere sulla frase di Aristotele sempre nella versione secondo cui tutte queste cose sono sostan- za, evidentemente per cercare di capire perch Aristotele parli di sostanza e non di sostanze e scrive: Oppure, lespressione e tutte queste cose sono sostanza (ovfo fotfo otoio) deve intendersi nel senso che sostanza sia ci che ha natura, cio il sostrato, sia la natura (fo cov qtoiv, fotfcofi fo tocicvov, otoio cofi oi q qtoi otoio) ed chiaro che ancor pi luna cosa e laltra insieme sono sostanza, perch <la natura> 114 un certo sostrato ed in un sostrato (cofi oq tocicvov fi oi cv tocicvm). Questa ri- essione non si discosta sostanzialmente dalla precedente, perch Simplicio continua a considerare sostrato ci che ha natura, cio lente naturale, e pi propriamente il sostrato insieme con la natura che nel sostrato, cio la forma, tuttavia la novit consiste nel fatto che si potrebbe comprendere come ragione del fatto che Aristotele parli di sostanza e non di sostanze il fatto che sia il sostrato sia ci che nel sostrato sono natura, di cui egli dice proprio in questo passaggio che sostanza. Ma la riessione di Simplicio non si fer- ma qui ed egli continua riprendendo, stavolta, la versione secon- do cui tutte queste cose sono sostanze, per cui scrive: Oppure <Aristotele>, dicendo che tutte queste cose sono sostanze, cio sia il sostrato sia ci che in un sostrato (cioi ovfo fotfo otoioi, fotfcofi fo fc tocicvov oi fo cv tocicvm ), mostra ci per mezzo della natura (oio coq fq qtocm), dicendo che sempre la natura un certo sostrato ed in un sostrato (q qtoi toci- cvov fi oi cv tocicvm cofiv oci ). Se dunque la natura so- stanza e il sostrato natura e ci che in un sostrato natura, cio la materia e la forma specica, tutte queste cose potrebbero essere sostanza (ci otv q qtoi otoio, fo oc tocicvov qtoi oi fo cv tocicvm qtoi, fotfcofiv q tq oi fo cioo, otoio ov cicv fotfo ovfo). E sembra che a questa nozione <di natura-sostan- za> si accordi anche ci che viene ricercato poco dopo, se la natura 72 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 114 Qui sottintendo la natura non solo perch essa lunico soggetto che si trova nella medesima frase in Aristotele, ma anche perch non pu sottintendersi la sostanza, dal momento che sappiamo dalle Categorie che la sostanza non mai in un soggetto. la materia ovvero il sostrato oppure la forma specica ovvero ci che in un sostrato (oi fotfq ooci fq cvvoio otvoociv oi fo cf oiov qfotcvov, ofcqov q tq oi fo tocicvov cofiv q qtoi q fo cioo oi fo cv tocicvm). In questa ulteriore consi- derazione a noi interessa il fatto che Simplicio, come del resto si compreso anche da ci che ha detto prima, non ha difcolt a identicare la natura sia con il sostrato sia con ci che nel sostra- to. E non c contraddizione in questo, perch natura non deve in- tendersi nel medesimo signicato in entrambi i casi, dal momento che la natura come sostrato la materia, ci dice Simplicio, mentre la natura intesa come ci che in un sostrato la forma. La ries- sione di Simplicio tuttavia differente rispetto alle precedenti per- ch egli sta ipotizzando che lespressione aristotelica tutte queste cose sono sostanze potrebbe signicare che tutte queste cose sono la natura-sostrato e la natura-che in un sostrato e non gli en- ti naturali. Ovviamente egli non favorevole a questa soluzione, ed infatti conclude: Migliore la prima spiegazione sia per via delle argomentazioni successive sia perch, essendo due il sostrato e ci che nel sostrato, Aristotele non li avrebbe chiamati tutti (ot ov fo tocicvov oi fo cv tocicvm oto ovfo ovfo o Aqiofofc q c o ci), egli che nel De caelo ha scritto queste parole: infatti due cose le chiamiamo entrambe e due <individui> li chiamiamo luno e laltro, tuttavia non li chiamiamo tutti, ma adoperiamo questa denominazione a partire dal tre (o c cv fq Hcqi otqovot fooc cqoqc "fo oq oto oqm cv cocv oi fot oto oqofcqot, ovfo oc ot cocv, oo ofo fmv fqimv fotfqv fqv ofqoqiov qocv qmfov"). Simplicio ha ragione nel- laffermare che la prima spiegazione la migliore, poich tutte le cose che sono sostanza sono quelle che hanno natura, cio gli enti naturali, ed ha motivo anche di ritenere che sarebbe pi corretto che Aristotele parlasse di sostanze e non di sostanza, ma egli ci fornisce altres la possibilit di interpretare la frase aristotelica tocicvov oq fi oi cv tocicvm cofiv q qtoi oci nel senso che sempre la natura un certo sostrato ed in un sostrato. Io ritengo che questa interpretazione, secondo cui sempre la natura un certo sostrato ed in un sostrato, anche se conigge con le interpretazioni dei pi, sia la pi corretta, non solo per le ragioni LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 73 che ho spiegato leggendo il commento di Simplicio, ma anche per- ch si visto ampiamente da quanto ho detto a proposito del libro I che la natura, chiamata spesso natura soggiacente (tocicvq qtoi), il sostrato, 115 mentre ci che in un sostrato deve essere considerata la forma. Tale espressione aristotelica intesa in questo modo, che perfettamente coerente con la lezione di Phys. I, risul- ta cos non solo la spiegazione del fatto che gli enti che hanno na- tura sono sostanza (o sostanze), 116 ma anche una signicativa anti- cipazione di quanto Aristotele dir in seguito a proposito dellinda- gine sulla natura intesa sia come materia-sostrato sia come forma, nel corso della quale egli, oltre tutto, chiamer sostanza la natura. Una volta chiarito sia che cosa sia qtoi sia che cosa sia ci che ha natura (fo cci qtoiv), cio lente naturale, Aristotele si soffer- ma brevemente a chiarire altre due espressioni, e precisamente che cosa sia ci che secondo natura (ofo qtoiv) e che cosa sia ci che per natura (qtoci). Sono secondo natura (ofo qtoiv), dice Aristotele alle li. 192b35 ss., sia gli enti naturali, ovvero le cose che hanno natura e sono sostanze, sia le propriet essenziali di tali enti. Ad esempio dice Aristotele , <la propriet> del fuoco di portarsi verso lalto, perch questa n natura n ha natura (fotfo oq qtoi cv ot cofiv oto cci qtoiv), ma per natura e secondo natura (qtoci oc oi ofo qtoiv cofiv). 117 Aristotele sta elencando quattro espres- sioni: qtoi, cciv qtoiv, qtoci, ofo qtoiv, di cui solo le ultime due si possono attribuire alla propriet essenziale del fuoco di por- tarsi verso lalto. Nella frase successiva, 193a1-2, Aristotele afferma di averci detto che cosa sia la natura (qtoi), che cosa il per na- tura (qtoci) e che cosa secondo natura (ofo qtoiv): lo Stagiri- ta non sente pi il bisogno di citare lcciv qtoiv, ovvero ci che 74 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 115 Per inciso, si ricorder che in Phys. I 7, 190b10-12 Aristotele ha affermato che il diveniente sempre un composto, e precisamente composto da ci che il diveniente diviene, cio dalla propriet che assume divenendo o forma, nella fatti- specie il musico dal non musico, e dallaltra parte dal sostrato che assume la nuova propriet dopo il divenire. 116 Io ritengo che la lezione otoi o sia corretta, per le ragioni che spiego in Ap- pendice (vd. passaggio n. 13). 117 Phys. II 1, 192b36-193a1. Cf. S. Waterlow (1982), pp. 48 ss. ha natura, perch questo rientra nella categoria secondo natura (ofo qtoiv). Inoltre, i due termini per natura e secondo natu- ra, qtoci e ofo qtoiv, in questo contesto coincidono, perch Aristotele ha appena detto che la propriet essenziale del fuoco di portarsi verso lalto sia per natura che secondo natura. 118 Pi avanti si scoprir, per, che queste due ultime espressioni, per na- tura e secondo natura, non coincidono sempre, infatti, i mon- stra, ad esempio, sono pur sempre per natura (qtoci), ma lo so- no contro natura (oqo qtoiv) e non secondo natura (ofo qtoiv). 119 La condizione per natura (qtoci), di conseguenza, pi ampia di quella secondo natura, perch contiene sia leve- nienza secondo natura (ofo qtoiv) sia levenienza contro na- tura (oqo qtoiv). Ci implica che quando noi diciamo secondo natura (ofo qtoiv) diciamo anche per natura (qtoci), ma non viceversa. In conclusione, allora, gli enti naturali hanno natura (cciv qtoiv) e sono secondo natura (ofo qtoiv), per cui anche sono per natura (qtoci), mentre le propriet essenziali degli enti naturali sono secondo natura (ofo qtoiv), per cui anche sono per natura (qtoci), ma non hanno natura. La qtoi consente tutti questi modi: cciv qtoiv, qtoci, ofo qtoiv. 120 Aristotele a questo punto ritiene di aver detto che cos la na- tura come gi riteneva alla li. 192b32 e che cos per natura e secondo natura in cui rientra ci che ha natura. 121 Il discorso, perci, prosegue con il problema dellesistenza della natura: cerca- re di dimostrare che la natura esiste (qt oi cofiv) continua infatti Aristotele quindi ridicolo, perch questo chiaro a partire dal fatto che esistono molti enti naturali. La coerenza logica del discor- so aristotelico evidente. Aristotele ha appena denito la qtoi, quindi passa a sottolineare che essa esiste: dimostrare lesistenza della natura ridicolo, perch dimostrare le cose evidenti per mez- LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 75 118 Cf. Phys. II 1, 193a2, in cui i due modi qtoci e ofo qtoiv sono giusta- mente connessi. 119 Cf. Phys. II 6, 197b32 ss. 120 Alle li. 197b32 ss., la natura ci grazie a cui possibile anche il modo oqo qt oiv. 121 Lespressione fi fo qtoci oi ofo qtoiv di li. 193a2 mette giustamente insieme qt oci e ofo qtoiv. zo di quelle che non sono evidenti proprio di chi non capace di giudicare ci che conoscibile per s e ci che, al contrario, non lo . Tuttavia non impossibile che un fatto simile accada, cio che si debba dimostrare che esista una cosa di per s evidente, infatti questo il caso di un cieco che si metta a fare sillogismi sui colori: chiaramente un cieco che faccia ci ragiona solo sulla base di nomi e non ha nulla in mente, perch non ha mai avuto esperienza sensi- bile dei colori. In questo esempio una cosa che facilmente cono- scibile, come i colori, poich tutti sin da piccoli abbiamo esperien- za sensibile dei colori che quindi conosciamo percettivamente, da parte di un cieco risulta conoscibile solo attraverso ragionamenti complessi, cio solo grazie a sillogismi. 122 Detto questo, il discorso riprende focalizzandosi sulla qtoi e lidenticazione qt oi=ot oi o diviene lelemento chiave della prose- cuzione del discorso aristotelico. Nel discorso che segue trova spie- gazione, come ho gi detto, lanticipazione che Aristotele aveva fat- to alla li. 192b34 dicendo che sempre la natura un certo sostra- to ed in un sostrato (tocicvov oq fi oi cv tocicvm cofiv q qtoi oci ). Si tenga presente che lespressione tocicvov fi, in ragione della presenza del pronome indenito, attribuisce a tocicvov una certa dose di indeterminatezza, 123 per cui possia- mo intendere che la natura in certo qual modo, in un certo senso sostrato. Si tratta della medesima indeterminatezza con cui in Phys. I Aristotele ha pi volte detto che la materia-soggetto in certo qual modo sostanza. 124 Ma seguiamo il testo aristotelico. I pensatori che lo hanno preceduto ritenevano che la natu- ra ovvero la sostanza delle cose che sono per natura (q qtoi oi q otoio fmv qtoci ovfmv) 125 il primo costituente interno di 76 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 122 Il modo di procedere di Aristotele qui contraddice le indicazioni che egli fornisce in APo. II 2, 89b34-90a9, in cui afferma che occorre prima cercare lesi- stenza di una cosa e poi cercare la sua essenza. Cf. O. Hamelin (1931), p. 42. 123 Come nel caso gi discusso di fi oifio di li. 192b24. 124 Cf. ad esempio Phys. I 6, 189b32-34 e I 9, 192a3-6. 125 Questo passo avvalora il fatto che la lezione pi corretta di 192b33 sia ot- oio e non otoioi e risponde perfettamente allidenticazione qtoi=otoio. Ad esempio, F. Franco Repellini traduce questa frase correttamente Alcuni ritengo- no che la natura, nel senso della sostanza delle cose che sono per natura ..., forse sulla base di quanto dice A. Mansion (1946), p. 102. Tuttavia tale traduzione non ciascuna cosa, per s del tutto privo di congurazione (fo qmfov cvtoqov coofm, oqqt0iofov o0 cotfo ): 126 Aristotele fa allu- sione in modo evidente alla teoria di alcuni fra i suoi precursori, se- condo cui ogni ente naturale deriva da una materia originaria che si trasforma negli enti determinati. Ad esempio, la qtoi del let- to sarebbe il legno e la qtoi della statua sarebbe il bronzo. 127 Si tratta, come si vede, degli stessi esempi e dello stesso discorso che Aristotele ha gi fatto in Phys. I 7, 191a8-12, in cui lanalogia ci permetteva di conoscere che cosa fosse la natura soggiacente (tocicvq qtoi) e ci permetteva di conoscere la sua relazione con lotoio. In quel passaggio, come anche in questo, ci che in questione una qtoi che funge da soggetto del divenire e che sta alla sostanza come la materia amorfa sta a ci che possiede compiu- tamente la forma (oqqq). Un indizio, in Phys. II 1, 193a13-18, di questa identicazione della natura con il componente materiale che esiste in modo primario e immanente negli enti naturali continua Aristotele fornito da Antifonte, 128 il quale afferma che se si sot- terrasse un letto e questo marcisse no a germogliare non si genere- rebbe un letto, bens legno: infatti lessere il legno un letto un fatto accidentale, perch il legno ha assunto una certa disposizione secon- do una regola darte: c in questo esempio una concomitanza di fcvq e qtoi come avveniva nel caso del medico che torna sano di cui si gi parlato. Nel caso del letto che, sotterrato e marcito, ger- moglia come legno e non come letto, solo la natura principio di movimento e di divenire. Qui la natura-sostanza il sostrato mate- riale, che quello che permane (oiocvci) nonostante le continue modicazioni che subisce nel divenire, ed chiaro che qui Aristotele sta parlando della sostanza non nel senso che egli chiarisce nelle Ca- tegorie, ma nel senso su cui ha insistito pi volte no a questo punto LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 77 avrebbe senso se non si sapesse gi, sulla base dellinsegnamento di Phys. I, che la qt oi otoio. 126 Phys. II 1, 193a11-12. 127 Lanalogia natura/tecnica consente ad Aristotele di fare, come di consue- to, un esempio tratto dal mondo della tecnica che vale a maggior ragione per gli enti naturali. 128 Cf. 87 B 15 DK. Sulla vexata quaestio dei due o dellunico Antifonte, cf. F. Decleva Caizzi ed., Antiphontis Tetralogiae, Milano-Varese 1969, passim; M. Narcy (1989), passim. e che viene richiamato dal verbo oiocvci, cio come sostrato. Se poi ciascun costituente dovesse risultare esso stesso una modicazio- ne del medesimo tipo rispetto ad unaltra cosa, cio se ciascun costi- tuente dovesse rivelarsi secondario rispetto ad un costituente ancor pi primario, ovvero una sostanza che permane pur subendo conti- nue modicazioni, come lacqua, la terra e simili, allora sar questul- tima cosa ad essere sostanza come principio. 129 Da ci derivano le di- verse identicazioni del principio degli enti naturali con questo o con quellelemento da parte dei siologi che lo hanno preceduto. 130 Come si vede, in tutto questo passaggio Aristotele sta parlando della sostanza ritenendo di parlare della natura, cosa che egli non potreb- be fare se non ritenesse di avere in qualche modo identicato prece- dentemente natura e sostanza. Inoltre, chiamando in causa i preso- cratici, egli sta mostrando delle opinioni relative alla natura-sostanza che viene identica-ta con lelemento che permane (oiocvci, 193a17) pur subendo ininterrottamente delle modicazioni, per cui questa natura-sostanza sarebbe un sostrato, t oci cvov. Dopo aver discusso in questo modo della sostanza, Aristotele pu concludere, quindi, che in un modo, dunque, la natura si dice la materia prima soggiacente in ciascuna cosa fra quelle che hanno in se stesse il prin- cipio del movimento e del mutamento (cvo cv otv fqoov otfm q qtoi ccfoi, q qmfq coofm tocicvq tq fmv covfmv cv ot foi o qq v ivq ocm oi cfooq ), in un altro modo, per, <na- tura> la forma ovvero la forma specica secondo la denizione (o ov oc fqo ov q oqqq oi fo ci oo fo ofo fo v o ov). 131 Aristotele si impegna a questo punto a spiegare questultima espressione che ha usato per dire la natura, e cio q oqqq oi fo 78 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 129 Cf. Metaph. A 4, 1015a7-10. 130 Phys. II 1, 193a10-28, si vd. anche Metaph. A 4, 1014b32 ss. 131 Phys. II 1, 193a28-31. Aristotele adesso ha aggiunto un elemento in pi, dicendo non pi che la natura principio del movimento e della quiete, cio del contrario del movimento, ma principio del movimento e del mutamento, che non il contrario ma qualcosa di diverso e di pi completo del movimento (cf. G.R. Giardina (2002), pp. 33 ss. e 119-144). Questo gli consentito perch ha introdot- to il mutamento nel passo precedente in cui, parlando dei presocratici, ha detto che gli elementi che questi hanno identicato come principi degli enti naturali so- no eterni perch non sono per se stessi causa di mutamento da se stessi (ot oq civoi cfooq v ot foi c otfm v). cioo fo ofo fov oov. Per la verit, neanche questo un concet- to nuovo, perch Aristotele ha gi chiarito nel libro I che per forma specica deve intendersi quella che emerge dalla denizione di un ente. A proposito di Phys. I 7, 190a14-17, infatti, avevo gi sottoli- neato che da tutte le formulazioni con le quali si pu dire il diveni- re, per Aristotele occorre assumere che necessario che ci che diviene sia sempre qualcosa che soggiace (oci fi oci tocio0oi), e che questo, anche se uno per numero, tuttavia non sia uno per forma, infatti intendo per forma la stessa cosa che per denizio- ne (fo oq cioci cm oi om fotfov). Assumendo come esem- pio il caso delluomo non musico che diviene uomo musico, si tro- va che il soggetto-sostrato, che uno numericamente, dal punto di vista eidetico sia uomo sia non musico: luna forma specica, cio uomo, permane, mentre laltra, cio non musico, non permane. Lespressione q oqqq oi fo cioo fo ofo fov oov ci viene spiegata da Aristotele nel modo seguente: come si dice tecnica sia ci che secondo la tecnica (fo ofo fcvqv) sia ci che tecnico (fo fcviov) per noi forse pi comprensibile il ra- gionamento se traduciamo fcvq con arte, per cui si dice arte sia ci che conforme allarte sia ci che artistico , allo stesso modo si dice natura (qtoi) sia ci che secondo natura (fo ofo qtoiv) sia ci che naturale (fo qtoiov). Qui Aristotele stabili- sce un procedimento analogico che interessa, ancora una volta, fcvq e qtoi. Per Aristotele sono la medesima cosa, da una parte, ci che conforme allarte (fo ofo fcvqv) e ci che artisti- co (fo fcviov), e, dallaltra parte, ci che secondo natura (fo ofo qtoiv) e ci che naturale (fo qtoiov). La propor- zione qui la seguente: larte sta a ci che conforme allarte ov- vero a ci che artistico come la natura sta a ci che secondo na- tura (o conforme alla natura) e che naturale. Questo comporta che, come noi non potremmo dire che conforme allarte (ofo fcvqv) n che arte (fcvq), ad esempio, un letto che tale sol- tanto in potenza e che non ha ancora la forma specica del letto (fo cioo fq ivq), allo stesso modo non possiamo dire che sono conformi alla natura o naturali gli enti naturali che sono tali solo in potenza e che non hanno ancora acquisito la propria forma speci- ca, che risulta essere cos la loro natura: la carne o le ossa non han- LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 79 no ancora la propria natura (otf cci m fqv cotfot qtoiv) n so- no per natura (otfc qtoci cofiv) 132 prima di avere acquisito la forma specica secondo la denizione (qiv ov oq fo cioo fo ofo fov oov), ovvero quella forma specica che noi esprimiamo quando, denendo ad esempio la carne o le ossa, diciamo che co- sa siano (fi cofi) la carne o le ossa. Da tutto ci si conclude che un altro modo in cui si pu dire la natura degli enti che hanno in se stessi il principio del movimento la forma, oqqq, intesa nel sen- so di forma specica, cioo, che non separabile dallente reale ma ci dice propriamente ci che lente reale secondo la denizione (mofc oov fqoov q qtoi ov ciq fmv covfmv cv otfoi ivqocm oqqv q oqqq oi fo cioo, ot mqiofov ov o q ofo fov oov). Se lente reale privo di questa forma-natura, cioo-qtoi come avviene nel caso in cui lente sia ancora nel suo stato potenziale pri- vativo oppure nel caso in cui la qtoi come forma viene separata razionalmente dalla qtoi come sostrato non pu essere pi con- siderato come un ente naturale reale. 133 A me sembra, a proposito dellespressione aristotelica q oqqq oi fo cioo fo ofo fov oov, che Aristotele intenda dire questo: 80 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 132 Quindi la carne e le ossa in potenza n hanno natura (cci qtoiv) n sono per natura (otfc qtoci cofiv): Aristotele sta omologando ancora una volta i quat- tro modi che aveva distinto della natura, poich la qtoi ancora una volta si confonde con lavere natura qtoi-cci qtoiv e il secondo natura con il per na- tura, cio ofo qtoiv-qtoci. P. Pellegrin traduce come sinonimi le coppie del passo precedente, cio 193a31-33, per cui fcvq sarebbe fo ofo fcvqv ovvero fo fcvio v, cos come la qtoi sarebbe fo ofo qt oiv ovvero fo qtoio v. Infat- ti Pellegrin traduce: ce qui est selon lart, cest--dire larticiel, est appel art, de mme aussi ce qui est selon la nature, cest--dire le naturel, est appel nature. 133 P. Pellegrin a questo punto traduce: non comme tant sparables, si ce nest par la raison. Egli cio attribuisce lespressione mqiofo v ov a entrambi i ter- mini, oqqq ed cioo, e traduce lespressione gi usata da Aristotele, ofo fov oov non pi secondo la denizione, come egli stesso ha tradotto precedente- mente, ma secondo la ragione, cercando di chiarire lespressione ofo fov oov nel senso che qui si tratterebbe di astrazione razionale. Mi sembra che tradurre qui secondo la denizione non cambi il senso del discorso, perch denire una cosa , come si sa, lesprimerla secondo ragione. A questo proposito utile leggere Metaph. A 8, 1017b23 ss., in cui Aristotele dice che la sostanza (otoio) si intende secondo due signicati, di cui il secondo ci che, essendo qualcosa di determi- nato, potrebbe essere anche separabile (o ov fooc fi ov oi mqiofov q ): siffatta la forma e la specicit di ciascuna cosa (foiotfov oc coofot q oqqq oi fo cioo). sia oqqq che cioo indicano la forma di un ente naturale, ma cioo vuole essere una specicazione di oqqq e indica la forma specica che fa di quello specico ente esattamente quello che , che poi ci che si esprime nella denizione dellente stesso nella sua realt concreta. 134 Se noi abbiamo, infatti, un letto in potenza, nel caso del prodotto della tecnica, o carne e ossa in potenza, nel caso di enti naturali, non abbiamo ancora realmente n lente articiale n lente naturale, perch non abbiamo ancora una forma specica che fa di quellente ci che esso , quindi non abbiamo ancora fo cioo fo ofo fov oov. Aristotele pu concludere, allora, che c un altro modo di dire la natura oltre a quello di materia (tq) ovve- ro sostrato (tocicvov), e cio dirla come forma intesa nel senso di forma specica (q oqqq oi fo cioo) degli enti che hanno in se stessi un principio di movimento, che non separata realmente dallente ma separabile solo razionalmente. La distinzione fra oqqq ed cioo, del resto, si chiarisce alla ne di questo stesso capi- tolo, quando Aristotele dice che la oqqq che egli ha fornito come signicato di natura si pu intendere in due modi, cio come priva- zione (ofcqqoi) e come specicit (cioo). Ci che invece composto da materia e forma seguita Aristo- tele , cio la sostanza in senso proprio, che natura come sostrato e insieme natura come forma che nel sostrato, come ad esempio luomo, non una natura ma per natura (fo o c fotfmv qtoi c v ot c ofiv, qtoci oc, oiov ov0qmo). 135 Natura, come ci ha inse- gnato Aristotele in questo primo capitolo di Phys. II, non il com- posto di materia e forma, perch natura la materia-sostrato ed natura la forma specica, mentre il composto materia-forma la sostanza naturale che per natura ma non natura. In Metaph. A 4, 1015a6-7 Aristotele ribadir questo concetto scrivendo: Dun- que per natura (qtoci) ci che composto dalluna e dallaltra [scil. da materia e forma], ad esempio gli animali e le loro parti. Ma, come Aristotele continua a dire nella Fisica, E questa [scil. la LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 81 134 Gi i commentatori antichi distinguevano la differente sfumatura di signi- cato fra oqqq ed cioo, cf. Simplicio, In Phys. 276,24 ss. e Filopono, In Phys. 215,8 ss. 135 Phys. II 1, 193b5-6. forma] pi natura della materia (oi oov otfq qtoi fq tq), 136 perch ciascun <ente naturale> allora detto <tale> quando in entelechia pi che quando in potenza (coofov oq fofc ccfoi ofov cvfcccio q, oov q ofov otvoci) 193b6- 8. A me sembra che otfq si riferisca alla forma, oqqq probabil- mente intesa nel senso di cui Aristotele ha appena detto alle li. 193b4-5, cio la forma specica secondo la denizione (cioo ofo fov oov), oppure intesa nel suo senso globale di forma come spe- cicit e come privazione (oqqq=cioo oi ofcqqoi) , ed essen- doci nella frase aristotelica un rapporto di maggioranza, essa si do- vr intendere nel senso che la forma pi natura della materia, 137 come del resto mi sembrano intendere la maggior parte degli inter- preti. La spiegazione che viene fornita dallo stesso Aristotele, e cio perch ciascuna cosa allora si dice <ente naturale> quando sia in entelechia piuttosto che quando in potenza, per molto problematica, perch mette in campo una nozione n troppo di- scussa e non ancora interamente compresa quale quella di entele- chia, che verr utilizzata da Aristotele in modo sistematico solo a partire da Phys. III 1-3, nellambito dellindagine specica sul mo- vimento. 138 Vediamo di comprendere lessenziale ricorrendo ap- punto a quanto Aristotele ci dice dellentelechia nel libro III della Fisica. Allinizio di Phys. III 1 Aristotele enuncia quattro assiomi (li. 200b26 ss.) tramite i quali il discorso sul movimento viene impo- stato sulla base delle coppie potenza-entelechia e privazione-forma e, di conseguenza, viene presentato come un processo che conduce lente dallo stato di privazione della forma allo stato di possesso compiuto della forma: sotto questo prolo il movimento si presen- ta come un passaggio fra due determinazioni contrarie. Di seguito 82 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 136 P. Pellegrin, nella sua traduzione della Fisica intende questo passaggio nel senso che <la forma> natura della materia. Si vd. Appendice ad. loc. 137 Cf. anche Metaph. A 4, 1014b26-1015a19. 138 Per una trattazione dettagliata di questo problema rimando ai miei se- guenti studi: G.R. Giardina (2002), pp. 28 ss., e soprattutto (2005). Questultimo conferma il senso dellentelechia come realizzazione che avevo gi proposto nel la- voro del 2002. Su Phys. III 1-3 si vd. anche B. Besnier (1997); M.L. Gill (1980) e L. Couloubaritsis (1985b). Aristotele fornisce la prima delle quattro denizioni di movimento che egli propone, via via in modo sempre pi specico e articolato, nel corso di Phys. III 1-3. Questa prima denizione la seguente: movimento lentelechia di ci che in potenza in quanto tale (q fot otvoci ovfo cvfcccio, q foiotfov, ivqoi cofiv). 139 Tale concetto di entelechia se seguiamo gli esempi che Aristotele fa per farci comprendere di cosa si tratti , si distingue da quello di atto, che Aristotele indica con il termine cvcqcio e che signica la com- piuta realizzazione della forma di un ente e cio lo stato in cui non c pi movimento per la realizzazione della forma e quindi non c pi entelechia. 140 Lcvfcccio implica per Aristotele il movimento e cio un processo in cui lente non pi nel suo stato di pura po- tenza, ma non ancora arrivato al compimento del suo atto che cvcqcio: di fatto, come ci dice lo stesso Aristotele, lcvfcccio al- tro non che una cvcqcio ofcq, 141 cio un atto incompiuto, ed incompiuto perch ancora presente il potenziale, il otvofov, co- me nellesempio del costruibile, poich ci che si costruisce pu essere costituito dai materiali da costruzione in fase di costruzione oppure dalla casa, ma quando c compiutamente la casa non c pi alcuna traccia dello stato potenziale del costruibile, mentre nel- la fase di realizzazione della casa, cio nelloioooqoi, c ancora il costruibile, loioooqfov. 142 Inoltre, come Aristotele sottolinea in Phys. III 1, 201b5-7, non solo si ha movimento a certe condizio- ni dellentelechia, ma non c movimento n prima n dopo che ci sia lentelechia. 143 LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 83 139 Phys. III 1, 201a10-11, cf. J.L. Ackrill (1965), pp. 121-141; M.Th. Liske (1991); D.W. Graham (1988) e, sul signicato cinetico di entelechia, in questo passaggio aristotelico, si vd. Chung-Hwan Chen (1958), p. 14 nota 1. Cf. anche Metaph. K 9, 1065b33, in cui si legge: q fot otvofot oi q otvofov cvfcccio ivqoi c ofiv. 140 Si vd. L.A. Kosman (1969) e (1984). Contro questa interpretazione del- lentelechia si vd. M.L. Gill (1980). Sulla base di Metaph. O 8, 1050a21-23, E. Ber- ti (1990b), ritiene che cvfcccio abbia lo stesso signicato di cvcqcio, e cio quello di atto compiuto. Sulla connessione fra queste nozioni e il problema della teleologia cf. A. Capecci (1978), pp. 165 ss. 141 Phys. III 2, 201b31. 142 Phys. III 1, 201b5-15. 143 Per una pi dettagliata discussione della nozione di entelechia e del suo ruolo nella denizione del movimento si vd. G.R. Giardina (2005), pp. 116-122. Questa lettura del movimento come entelechia ci fa compren- dere bene anche laffermazione di cui si detto di Phys. II 1, 193b7-8, secondo cui ciascuna cosa allora si dice <ente naturale> quando sia in entelechia piuttosto che quando in potenza. Ci che Aristotele ha costantemente in mente come abbiamo visto dallanalisi di qtoi sia nel libro I che in questo primo capitolo del libro II la tensione dialettica fra i tre principi del divenire, sog- getto (tocicvov) e forma (oqqq), questultima intesa come pri- vazione (ofcqqoi) e come forma specica (cioo) secondo la de- nizione. Ora, la qtoi secondo Aristotele in un modo materia-so- strato (193a28-30) e in un altro modo forma specica. Sotto en- trambi questi aspetti la qtoi sostanza, otoio, perch come so- stanza si intende sia la materia-sostrato sia la forma specica, men- tre qtoi non mai la sostanza concepita come composto di mate- ria-forma, che sono invece gli enti naturali, i quali non sono natura, qtoi, ma sono per natura, qtoci. In quanto tali, allora, enti natu- rali sono quelli che hanno in s stessi la qtoi, che principio o causa di movimento o di quiete, nella misura in cui qtoi costi- tuita dai tre principi del divenire dialetticamente articolati fra loro. In altri termini, la qtoi, pur identicandosi con ciascuno dei prin- cipi del divenire, si presenta come tensione dialettica fra di essi, e cio come continuo scambio nel sostrato naturale fra privazione e forma specica. Se vero quindi che un ente naturale una certa sostanza, cio un soggetto che possiede in modo compiuto una for- ma specica e quindi possiede in atto questa forma (cvcqcio ), tut- tavia si trova nella condizione di divenire qualche cosa daltro e cio di realizzare unaltra forma, e in questo senso in entelechia e non in atto, per cui in movimento. La presenza della qtoi negli enti naturali , quindi, allorigine del movimento inarrestabile che in tali enti. per questo che la natura pu essere intesa nel senso della generazione e della crescita, come Aristotele ci insegna in Phys. II 1, 193b12, ma anche in Metaph. A 4, 1014b16 ss. e 1015a16-17. 144 Ma, 84 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 144 La nozione di qtoi ha, come noto, la sua origine nel pensiero presocra- tico, in quanto deriva dalla riessione dei loso delle origini sulla nascita e sulla crescita degli enti naturali. In Metaph. A 4, 1014b16 ss. Aristotele avvia il discorso sulla qtoi su queste basi presocratiche, sottolineando una presunta etimologia del termine. dtoi e cvcoi sono quindi concetti analoghi, perch entrambi signi- al contrario di quanto avviene negli enti prodotti dalla tecnica, ne- gli enti naturali esiste un rapporto della natura con la natura stessa nel senso che qtoi sia il soggetto sia la forma, nel senso cio che la natura sia nello stato iniziale di ogni processo di divenire, sia durante, sia nello stato nale del medesimo processo. La conse- guenza di questo ragionamento ci conduce a pensare che la natura intesa come forma sia privazione sia forma specica acquisita dal- lente secondo la denizione, che sono i due sensi della oqqq. La stessa riessione fa esplicitamente Aristotele, che un poco pi avanti, alle li. 193b18-21, ci avverte che sia oqqq sia qtoi si dico- no in due modi, aggiungendo: anche la privazione, infatti, in certo qual modo una forma specica. Aristotele lascia tuttavia in sospeso, per il momento, se la privazione costituisca un contrario anche per quanto concerne la generazione assoluta. Ritornando ora alla nozione di entelechia negli enti naturali, possiamo vedere che, se prendiamo ad esempio il caso di un bam- bino, non possiamo dire che il bambino non abbia natura, solo che quando il bambino percorre la sua crescita no allet adulta cio no allet in cui la forma uomo si pienamente realizzata , in questa condizione troveremo pi natura che nella condizione di bambino: il percorso della natura conduce alla crescita verso let adulta. Il bambino allora, visto come stato privativo dellessere adulto, certamente forma e natura, ma visto come adulto ancor pi forma e natura. In ogni momento del suo processo di divenire, che si esprime come una crescita verso let adulta, c natura e c percorso verso la natura. Questo discorso viene chiarito meglio da ci che segue, perch Aristotele non solo dice in che senso ciascu- na cosa allora si dice <ente naturale> quando sia in entelechia piut- tosto che quando in potenza, ma fa capire anche che lanalogia fcvq/qtoi a un certo punto non pi possibile. I passaggi che seguono sono infatti importanti precisazioni, cio aggiunte che Aristotele ritiene indispensabili per determinare il discorso sulla natura in modo completo e perfetto (avvia infatti LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 85 cano la generazione e lo sviluppo (divenire) degli enti naturali. Non un caso che nel linguaggio presocratico (si vd. ad esempio Senofane, ma anche Empedo- cle), i verbi qtco0oi e ivco0oi siano utilizzati spesso come sinonimi. tali precisazioni con la congiunzione cfi, e ancora, li. 193b8 e li. 193b12). Egli introduce inaspettatamente, nel discorso sulla realiz- zazione della forma, un altro concetto importante, cio quello di causa motrice, dicendo che il processo di divenire ad esempio av- viene da uomo a uomo un uomo genera un uomo , ma non da letto a letto, perch un letto non genera un letto, ed proprio per questo motivo che alcuni sostengono che non sia in questo caso la gura del letto la sua natura, bens il legno, perch se un letto ve- nisse seppellito e germogliasse si genererebbe legno e non letto. 145 Dunque la generazione di un ente naturale diversa da quella di un ente articiale, nel senso che nella prima, ad esempio nel caso delluomo che genera un uomo, la generazione riguarda la natura in quanto forma, mentre nella generazione dellente articiale la generazione pu riguardare soltanto il sostrato, in questo caso il le- gno, quindi non la forma del letto, ma solo la forma del legno. Ne- gli enti naturali, allora, se il legno che materia-sostrato natura, a maggior ragione natura la forma dellente naturale, come in que- sto caso luomo. 146 E ancora (cfi), la natura detta nel senso di generazione scri- ve Aristotele percorso verso la natura (c fi o q qtoi q coc vq m cvcoi ooo cofiv ci qtoiv). Infatti non accade come si dice nel caso dellesercizio della medicina, che non percorso verso larte medica bens verso la guarigione (ot oq mocq q iofqctoi ccfoi ot ci iofqiqv ooo o ci ticiov): necessario, infat- ti, che lesercizio della medicina parta dallarte medica e non <pro- ceda> verso larte medica (ovoq cv oq oo iofqiq ot ci iofqiqv civoi fqv iofqctoiv), tuttavia le cose non stanno cos nel caso del rapporto della natura con la natura, ma ci che cresce na- turalmente procede da qualcosa verso qualcosa in cui avviene la crescita. Ebbene, che cosa il crescere? non certo ci da cui <muove la crescita> ma ci verso cui <procede la crescita>. Di conseguenza la forma natura (ot otfm o q qtoi cci qo fqv 86 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 145 Aristotele riprende lesempio di Antifonte gi citato in Phys. II 1, 193a13 ss. Questa una prova contro la possibilit di identicare la forma con la causa motrice, tant che un letto non nasce da un letto. 146 questo il senso della frase: ci o oqo fotfo qtoi, oi q oqqq qtoi ivcfoi oq c ov0qmot o v0qmo (Phys. II 1, 193b11-12). qtoiv, oo fo qtocvov c fivo ci fi cqcfoi q qtcfoi. fi otv qtcfoi oti c ot , o ci o. q o qo oqqq qtoi). 147 Ci sono in questo discorso delle distinzioni cos sottili che la traduzione italiana ha difcolt a metterle in evidenza. Aristotele gioca con i termini iofqctoi, che lesercizio dellarte medica, e iofqiq, che larte medica in quanto tale, e con il loro rapporto, che inverso rispetto a quello che qtoi ha con qtoi. Stavolta non possiamo pi formulare il rapporto analogico iofqctoi sta a iofqiq come qtoi sta a qtoi, perch lanalogia non funziona pi. Infatti, lesercizio dellarte medica parte dallarte medica ma non in vista dellarte medica bens in vista della guarigione: un uo- mo prima medico in quanto possiede larte medica e poi esercita la sua arte, che ha come scopo la guarigione. La natura, invece, una continua tensione da qualcosa verso qualcosa, che sem- pre natura, e se vero che c natura allinizio del processo di dive- nire pur tuttavia c natura e, anzi, c ancor pi natura, in ci ver- so cui si dirige il processo di generazione naturale, cosa che chia- ra quando di natura si prende il suo signicato primitivo di cresci- ta. Troviamo qui un discorso che mette in guardia sul signicato preciso dei termini e che rinvia ad alcuni discorsi che Aristotele fa in altri libri della Fisica. In Phys. III 1, 201a15 ss., ad esempio, Aristotele, dopo aver fornito la sua prima denizione di movimento (201a9-11) e aver fatto lesempio del costruibile, ci avverte che possiamo dare la stes- sa denizione ad altri movimenti, ad esempio allapprendimento (o0qoi), allesercizio dellarte medica (iofqctoi), alla rotazione (tioi), al salto (ooi), alla crescita (ooqtvoi) e allinvecchia- mento (qqovoi): tutti termini che hanno la desinenza -oi, la quale indica la processualit, dal momento che lo Stagirita non di- ce, ad esempio, iofqcio, che signica pure arte medica, bens io- fqctoi, che signica esercizio dellarte medica, cio larte medica nel suo farsi, e cos non dice qqo, che signica la vecchiezza nel suo stato compiuto, ma dice qqovoi, che signica processo di in- vecchiamento. Allo stesso modo la o0qoi il processo di appren- dimento mentre la o0qfcio lapprendimento come compiuta LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 87 147 Phys. II 1, 193b12-13. istruzione. Sulla base di queste distinzioni semantiche dei termini possiamo formulare con Aristotele uno specico tipo di movimen- to dicendo in questo modo: quando chi capace di apprendere, cio colui che noi diciamo capace di apprendere in quanto tale, si trovi in entelechia, allora sta apprendendo, e questo processo lo chiamiamo apprendimento, o0qoi (e non o0qfcio). Lentelechia che entra in gioco nella denizione del movimento, allora, non , come si vede anche da qui, atto nel senso dellcvcqcio, cio nel senso della compiutezza di un ente che ha completato lacquisizio- ne di una forma determinata, poich quando c lcvcqcio non c pi movimento e quindi non c pi entelechia. 148 E ancora, alla ne di questo I capitolo di Phys. II, Aristotele uti- lizza espressioni quali c ot ed ci o , con riferimento ad un soggetto, che ricorrono in Phys. V 1-2, dove egli parla del movimento come mutamento da sostrato a sostrato. Se leggiamo Phys. V 1, infatti, tro- viamo tre termini che spiegano il movimento di un mobile: ci che si muove, ovvero fo c v o [ivci foi], ci a partire da cui si muove, ov- vero fo o c ot , e ci verso cui si muove, ovvero fo o ci o . 149 Aristo- tele precisa alle li. 224b7-8 che Si applica il nome mutamento pi a ci verso cui (ci o) che a ci da cui (c ot) avviene il movi- mento. Nei termini in cui si pu parlare del divenire, ivco0oi, il fo cv o il sostrato, il fo o ci o il contrario a cui tende la cosa che diviene, cio lcioo, e il fo o c ot il contrario da cui diviene la cosa che diviene, cio la ofcqqoi. 150 Abbiamo cos due contrari fra loro, fo o c ot e fo o ci o , e un sostrato, fo cv o. In Phys. V 5, 229a30-b2 leggiamo ancora: Poich il mutamento diverso dal movimento (perch movimento il mutamento da un sostrato a un sostrato q c fivo oq tocicvot ci fi tocicvov cfooq ivqoi cofiv), allora il movimento che va da contrario a contrario contrario a quello che va da <questultimo> contrario al <primo> contrario (q c cvovfiot ci cvovfiov fq c cvovfiot ci cvovfiov ivqoi cvovfio), ad esempio quello che va dalla salute alla malat- 88 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 148 Cf. G.R. Giardina (2005), pp. 117-118. 149 Vd. Phys. V 1, 224b3 ss. 150 Non a caso in Phys. V 1, 225b3 ss. Aristotele scrive: infatti si ponga che anche la privazione un contrario, e in Phys. V 2, 226a10 ss. scrive: Inoltre, sia a ci che si genera sia a ci che muta deve sottostare una materia. tia < contrario> a quello che va dalla malattia alla salute (oiov q c ticio ci vooov fq c vooot ci ticiov). 151 Si scopre cos che ivqoi e cfooq, movimento e mutamento, pur essendo diversi fra loro sono entrambi dei processi e di essi la ivqoi propriamen- te attua il passaggio da un sostrato come punto di partenza a un so- strato come punto di arrivo, cio consente il passaggio di un sostra- to (o) da un punto di partenza, c ot, a un punto di arrivo, ci o. Tuttavia, mentre la nozione di movimento implica lc ot e lci o come termini di pari valore, perch indispensabili al ne che il so- strato si muova, invece la nozione di mutamento d pi valore al- lci o che non allc ot. 152 Tutto questo ha un rapporto stretto con il ivco0oi del libro I, perch questultimo appare, come ho gi scritto altrove, 153 pi fondativo rispetto a questi concetti di movi- mento e di mutamento. Ma adesso scopriamo che anche la natura implica la stessa prevalenza dellci o sullc ot, come avviene nel mutamento, nella misura in cui essa presente nel termine c ot, ma il suo un percorso ci o : il processo naturale del crescere pi verso qualcosa che da qualcosa, in quanto indica un movimen- to orientato allacquisizione di una forma che realizzi in modo per- fetto il processo di divenire, mentre il sostrato (fi) indica la cosa che acquisisce pienamente la sua forma naturale, qtoi-cioo, al posto della sua forma come privazione. Aristotele pu affermare al- lora, a buon diritto, che la oqqq qtoi, cosa che non vale nel mondo della fcvq. A questo punto mi sembra opportuno trarre qualche provvisoria conclusione su quanto ho detto a proposito di Phys. II 1 e sui rapporti di questo capitolo con il I libro della Fisica. LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 89 151 Lo stesso esempio si ritrova in Phys. V 2, 225b13-25. 152 La nozione di mutamento implica quella di ivqoi, perch anche il muta- mento (cfooq) avviene da qualcosa verso qualcosa: i termini necessari afn- ch esso avvenga, ovvero i conni entro i quali esso avviene, sono sempre lc ot e lci o, e tuttavia il mutamento si visualizza, da un lato, nellc ot e nellci o, in quanto non pu esserci mutamento se non c prima una cosa che diversa da co- me sar dopo che mutata, e, dallaltro lato, pi nellci o che nellc ot, dal mo- mento che ci si accorge che una cosa mutata dopo che essa mutata e non pri- ma, quindi il mutamento pi visibile nel momento nale che nel momento inizia- le del processo di movimento. 153 Di questi argomenti mi sono gi occupata diffusamente in G.R. Giardina (2002). Nel suo libro La Physique dAristote [=Couloubaritsis (1997)], lautore inizia il suo capitolo intitolato eloquentemente La conscra- tion dune science de la nature con un paragrafo dal titolo altret- tanto eloquente Physique II ou le nouveau dpart, titolo che prende spunto ovviamente dalla frase che chiude il libro I della Fisica, cio oiv o oqv oqqv oqocvoi cmcv, inteso comunemente nel senso che, esaurito largomento dei principi del divenire, largomen- tazione di Aristotele prende una nuova strada, cio quella dellinda- gine sulla natura. Questo discorso richiama con s tutti gli innume- revoli problemi che riguardano la trasmissione del testo della Fisica, la possibile libert di manipolazione del testo operata da Andronico nella sua edizione del Corpus aristotelico, le varie liste di antichi au- tori relative alle opere di Aristotele le quali, a proposito della Fisica, elencano in modi differenti le une dalle altre singoli trattati o singoli gruppi di trattati sici che di volta in volta si cerca di identicare con questo o con quel libro della Fisica. Si tratta di problemi di propor- zioni direi insormontabili, n mia intenzione discuterli in questa sede; mi sembra tuttavia che da quanto emerso dalla lettura con- dotta n qui del testo aristotelico si possano trarre informazioni im- portanti anche a questo riguardo. 154 Couloubaritsis inizia il suo para- grafo Physique II ou le nouveau dpart con lesprimere unopinione che condivido in pieno: Une fois quon prend conscience que le but principal du livre I de la Phys. est de rendre possible une science physique et dtablir les conditions de sa scienticit, en montrant notamment que ltant en devenir, le devenant, est effectivement objet possible de science, il nous semble quen dpit de quelques r- ticences traditionnelles, la continuit entre les livres I et II ne fait au- cun doute. Certes, il est possible que le livre I, dans la mesure o il navait pas t sufsamment compris ft considr comme un livre part, consacr uniquement au problme des principes, comme en t- moigne sufsamment la doxographie. Mais cest l mconnatre le caractre principiel de lensemble du trait de Physique. 155 Sulla ba- 90 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 154 Per i problemi relativi alla trasmissione del testo aristotelico e alle liste an- tiche si vd. principalmente P. Moraux (1951), J. Brunschwig (1991). Sui medesimi problemi, relativamente al libro I della Fisica, cf. A. Mansion (1946), pp. 53 ss., L. Couloubaritsis (1997), p. 219 nota 3. 155 L. Couloubaritsis (1997), p. 219. se, infatti, di quanto ho mostrato a proposito del discorso che Ari- stotele fa nel I libro sulla qtoi, direi che possiamo intendere la frase che chiude questo I libro (oiv o oqv oqqv oqocvoi cmcv) non nel senso che quanto seguir un nuovo punto di partenza, senza relazione con la dottrina dei principi trattata in Phys. I, ma nel senso che occorre affrontare la questione, che ri- guarda sempre la scienza della natura, assumendola da unaltra an- golazione. 156 In altri termini, nel libro II si abbandona il discorso generale sui principi del divenire con i quali la natura si identica e si affronta il problema della natura che, pur non essendo altra rispetto a quei principi del divenire, viene questa volta assunta per se stessa e cio come identica di volta in volta a questo o a quellal- tro principio, in quanto struttura stessa e principio degli enti natu- rali. Il discorso sui principi di Phys. I un punto di partenza neces- sario, e questo spiegato da quel collegamento che ho mostrato fra linizio del libro II e la chiusa del libro I. 157 Infatti, la natura, cos come presentata in Phys. II, non sarebbe comprensibile senza tutte quelle precisazioni e anticipazioni che Aristotele fa nel libro I, soprattutto nei capitoli 7-9, nei quali egli prima acquisisce una sua originale e matura dottrina dei principi che nasce dal ripensamento di tutta la losoa precedente e poi utilizza questa dottrina per spazzare via gli ultimi dubbi che riguardano gli Eleati, Platone e i Platonici, allo scopo di mostrare, in n dei conti, piuttosto gli erro- ri in cui sono incorsi questi ultimi, cio Platone e i Platonici. Nel mio libro su I fondamenti della Fisica avevo gi sottolineato la gran- de coerenza del discorso aristotelico, per cui non mi sembrava op- LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 91 156 Nella prima linea di Phys. II 1, 192b8, Ross ha espunto dalla sua edizione del testo un oq che egli stesso dice che registrato dal codice E, e che testimonia il collegamento con la ne del I libro. Nelledizione Carteron, infatti, il oq non omesso. 157 Non sono affatto daccordo con Wieland, quindi, il quale, pur parlando dei libri I e II della Fisica aristotelica come di due impostazioni che si legittimano reciprocamente e interpretando la frase di chiusura del libro I come un invito di Aristotele a considerare loggetto della ricerca (cio il medesimo oggetto della ri- cerca) in un altro modo, pur tuttavia afferma che la ricerca sulla natura, che occu- pa il libro II della Fisica non poggia sui risultati del I libro ma , nellimpostazio- ne e nella realizzazione, una trattazione perfettamente autonoma, cf. W. Wieland (1993), p. 294. portuno separare il I libro della Fisica dagli altri libri, 158 e facevo questa considerazione sulla base dellanalisi in cui mettevo in rela- zione il divenire del I libro con il movimento di Phys. III 1-3 e il mutamento di Phys. V 1-2. Ora, questa coerenza e questa conti- nuit vengono confermati dal legame forte che collega i libri I e II a proposito della teoria aristotelica della natura cos come emerso da quanto si detto n qui. In conclusione, quindi, il libro II si inserisce in perfetta linea di continuit con ci che lo precede e con ci che lo segue pur nella sua specicit argomentativa, dal momento che Aristotele mostra in modo pi concreto, attraverso la nozione di natura, quanto ave- va dato per assodato nel libro I, e cio che gli enti naturali sono in movimento, e mostra che la natura coincide con i principi del dive- nire degli enti naturali. A sua volta, il libro III prender il suo avvio proprio da questo libro II, perch lo stesso Aristotele dice in Phys. III 1, 200b12-15: poich la natura principio di movimento e di mutamento e la nostra ricerca riguarda la natura, occorre che non resti nascosto che cosa sia movimento, perch ignorando questo si ignora necessariamente anche la natura. Cos, anche la parte na- le di Phys. II 1, che ci presenta la qtoi come percorso verso qualcosa e che chiama in causa lentelechia, trover la sua trattazio- ne dettagliata nel libro III sul movimento. Allo stesso modo, come dicevo, nellanalisi che Aristotele fa della natura nel libro II, egli utilizza da un punto di vista pi specico il contenuto del libro I, poich nel II libro della Fisica lo Stagirita prende ad oggetto parti- colare di studio la natura e lente naturale, mentre il divenire di cui si parla nel libro I, anche se riferito spesso agli enti naturali, pur tuttavia riguardava gli enti in generale, in quanto tutti gli enti, sia naturali che articiali, divengono in qualche modo secondo la stes- sa dinamica, ovvero sulla base dellarticolazione dialettica dei prin- cipi di cui Aristotele parla in Phys. I 7. La nozione di qtoi propria del II libro quindi pi specica di quella di cvcoi propria del I libro in quanto Aristotele conduce la sua analisi della natura sul campo specico del divenire naturale. 92 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 158 Come fa, ad esempio, A. Mansion (1946), pp. 54-55. 2.2. Il sico e il suo proprio oggetto di ricerca (Phys. II 2) Dopo aver determinato in quanti modi si dice la natura dice lo Stagirita allinizio del secondo capitolo di questo libro II oc- corre indagare in che cosa differisca il matematico dal sico. 159 Il lettore della Fisica potrebbe rimanere sorpreso dal fatto che il di- scorso immediatamente successivo alla denizione di natura sia co- stituito dallindagine sulla differenza fra la ricerca che conduce il - sico e quella che conduce il matematico. Aristotele cerca subito di motivare questa articolazione improvvisa. Ma prima di seguire le argomentazioni con cui Aristotele spiega la differenza fra il mate- matico e il sico, mi sembra utile riprendere alcune osservazioni fatte in precedenza in cui si trovano le ragioni dellimpostazione del discorso aristotelico a questo proposito. Dico subito che il modo in cui Aristotele articola la sua tratta- zione della natura quale oggetto proprio del sico una risposta adeguata, a mio avviso, al percorso storico-teoretico che lo stesso Stagirita aveva attribuito alla losoa della natura dei suoi prede- cessori e che rendeva opportuno, a suo modo di vedere, una rifon- dazione della scienza sica. Come ho gi detto, infatti, Aristotele si considera erede della tradizione precedente, che egli rivisita per renderla funzionale ai suoi scopi di ricerca, come dimostra il suo impegno nellanalisi delle dottrine dei predecessori sullargomento che prende di volta in volta in esame. Ebbene, nel caso della loso- a della natura a lui precedente, Aristotele si trova a dover fare i conti anzitutto con quella negazione di ogni possibilit e verit del- la ricerca sulla natura operata dagli Eleati, in primo luogo da Par- menide, per superare la quale i loso pluralisti, Empedocle, Anas- sagora e Democrito, avevano tentato, ma in modo che appare ad Aristotele insufciente, di dare delle soluzioni. Fra tali tentativi di soluzione della svolta eleatica si colloca quello operato da Platone e dai Platonici, con i quali Aristotele costretto a confrontarsi di- rettamente. LA RIFONDAZIONE DELLA SCIENZA DELLA NATURA (PHYS. II 1-2) 93 159 Su questo argomento cf. anche A. Mansion (1945), pp. 143-186. Sul pro- blema di quale sia lambito di indagine del sico si vd anche De part. anim. I 1, 641a-b. 3. LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 3.1. Riessioni preliminari sullesposizione delle cause Quella della causalit senza dubbio una delle dottrine princi- pali della losoa di Aristotele: 243 su di essa da sempre e ancora og- gi si discute molto senza, per la verit, che si sia giunti a una com- prensione completa e sicura. Tale dottrina si trova ripetuta e riba- dita da Aristotele, in effetti, sotto una forma o unaltra, non soltan- to in passaggi fondamentali, quali Phys. II 3 e 7, Metaph. A 3-10, e De part. anim. I 1, 639b6 ss., ma anche in numerosi altri passag- gi, fra i quali occorre certamente citare Metaph. B 2, 996a17-b25, dove Aristotele si chiede se sia compito di una sola scienza o di pi scienze indagare i vari generi di cause; 244 Metaph. A 2, che ri- prende quasi alla lettera Phys. II 3; 245 Metaph. H 4, 1044a34b1 ss., che ripete i quattro sensi in cui si dicono le cause; Metaph. A 4, 1070b16 ss., che mette a confronto le cause e i principi, stabilen- 243 Contro questa valutazione della dottrina delle cause, che peraltro comu- nemente condivisa, cf. R. Brague (1988), soprattutto pp. 556-560: lo studioso ritie- ne che la nozione di causalit in generale e, in particolare, quella di causa nale, non abbiano unimportanza decisiva nel pensiero di Aristotele. 244 La prima possibilit, cio che sia compito di una sola scienza, viene negata da Aristotele con le ragioni che ho esposte nel 2.2. La seconda possibilit, inve- ce, cio se sia compito di pi scienze conoscere tutti i generi di cause, implica il problema di quale sia la scienza che Aristotele sta ricercando. Per uno stesso ente, egli dice, possono in effetti esserci tutte e quattro le cause, come nel caso della ca- sa e, stando ai caratteri che egli ha precedentemente determinato e sulla base dei quali possibile denominare la sapienza, si scopre che la scienza di ciascuna causa, nel caso in cui ci sia una scienza differente per ciascuna causa, ha qualche ragione per pretendere la denominazione di sapienza. La conclusione di questo capitolo della Metasica, secondo cui sembrerebbe essere oggetto di una diversa scienza lo studio delle diverse cause, una conclusione retorica, nel senso che Ari- stotele sospende il suo ragionamento, che qui non pu essere risolto, per riprende- re altrove la soluzione. 245 Metaph. A 2 praticamente identico a Phys. II 3, dove ci sono in pi le li. 194b16-23 di apertura e le li. 195b21-30 di chiusura. dina e regola i processi naturali. Resta quindi come punto fermo che, nonostante le cause aristoteliche fossero state tutte in qualche modo anticipate, soprattutto dalla riessione platonica, nondimeno la dottrina delle quattro cause come tale fu uninvenzione propria di Aristotele e come tale venne avvertita nei secoli della Scolastica, che la assunse come pietra angolare del suo sistema losoco sico e metasico. Fatte tutte queste precisazioni preliminari sullesposizione della dottrina della causalit in Phys. II 3, possiamo senzaltro ritornare al testo aristotelico. 3.2. Specie e modalit delle cause Nel paragrafo precedente ho approttato dellesposizione che Aristotele fa delle quattro specie di cause materiale, formale, mo- trice e nale per fare alcune precisazioni, di tipo sia storiograco sia teorico, che interessano il discorso di Aristotele in Phys. II. Ora, in questo discorso Aristotele, come si visto, dopo avere esposto quali siano le diverse specie di causalit, aveva sentito il bisogno (o aveva percepito lopportunit) di fare delle precisazioni, esatta- mente tre, sulle quali bene tornare ancora un momento per trar- ne tutte le possibili conseguenze teoriche. Con la prima precisazione Aristotele invitava il lettore a tenere conto del fatto che, stabilito che le cause si dicono in quattro modi, pu accadere che della stessa cosa ci siano pi cause, e non in mo- do accidentale, ma in modo essenziale: della statua, ad esempio, sono causa sia larte della scultura sia il bronzo, e ciascuna di que- ste cause non affatto causa della statua vista secondo modi diver- si, bens proprio in quanto una statua, anche se non sono cause allo stesso modo, perch larte statuaria causa motrice della sta- tua, il bronzo ne invece causa materiale (195a4-8). La seconda precisazione riguardava il fatto che esistono anche cause reciproche: ad esempio, fare sforzo sico (fo ovciv) causa della robustezza (fq ctcio) del corpo e la robustezza causa del fatto che si fa sforzo sico. Queste, tuttavia, non sono cause allo stesso modo (o ot fov otfov fqoov), bens luna, cio la robu- LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 165 stezza, causa nale del fare sforzo sico (fco), mentre laltra, fare sforzo sico, causa motrice della robustezza (m oqq ivq- ocm 195a8-11). Con la terza precisazione Aristotele avvertiva che una stessa co- sa pu essere causa dei contrari (fo otfo fmv cvovfimv cofiv). In- fatti, se una cosa che presente causa di qualcosa, quando essa assente, diciamo che causa del contrario: ad esempio, lassenza del timoniere causa (oifio) della rovina di una nave, mentre la sua presenza causa della salvezza della nave stessa, dove si vede appunto che rovina e salvezza sono dei contrari. Metaph. A 2, 1013b16-17 contiene questo stesso esempio con laggiunta per della seguente osservazione: ma entrambe, sia la presenza sia la privazione, sono cause in quanto cause motrici (oqm oc, oi q o- qotoi o oi q ofcqqoi, oi fio m ivot vfo). 308 Fatte queste tre precisazioni Aristotele torna a ribadire le quat- tro specie di cause di cui ha parlato, facendo degli esempi (195a16 ss.). Sono cause materiali, cio cause come ci da cui (fo c ot), le lettere rispetto alle sillabe (ofoicio fmv otomv), 309 il mate- riale rispetto agli oggetti fabbricati (q tq fmv octoofmv), il fuo- co e simili elementi rispetto ai corpi (fo tq oi fo foiotfo fmv omofmv), le parti rispetto allintero (fo cqq fot oot), le premes- 166 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 308 Mi sembra che questo esempio rientri nel discorso pi generale che Ari- stotele ha fatto in Phys. II 3, 195a3 ss., secondo cui le cause non sono tutte allo stesso modo, fov otfov fqoov. Infatti, poco dopo (II 3, 195b12 ss.) Aristotele di- ce che sebbene siano quattro i modi, fqooi, pi evidenti in cui le cause si manife- stano, ci non toglie, tuttavia. che ci siano dei fqooi, in cui ciascuna specie di causa pu essere vista sotto angolazioni diverse a seconda dellapplicazione che se ne fa allinterno dello stesso ente, come si chiarito nel paragrafo precedente a proposito dei sei modi in cui si pu presentare ciascuna causa, particolare, genera- le, accidentale, potenziale e cos via. 309 Cf. anche Metaph. A 3, 1014a25-31. Le lettere delle sillabe, che sono gi materia di esempio in Democrito e in Platone, Politico e Filebo, vengono utilizzate qui da Aristotele perch, essendo allo stesso tempo ci di cui la sillaba si compone e ci in cui essa si divide in modo ultimo, esse appaiono come enti specicamente ultimi, che possono risultare parti ultime di un intero. Come appare gi da Filebo 14d-16a, si tratta di una problematica che riguarda lUno e il Multiplo ovvero il Limite e lIllimitato. Si vd. a questo proposito le discussioni di L. Couloubaritsis (1992) sul carattere enologico dellelemento, del principio e della causa in Aristo- tele. Cf. anche L. Couloubaritsis (1997), pp. 93 ss. Sul problema dellenologia Couloubaritsis torna anche nello studio del (1999). se rispetto alla conclusione (oi to0coci fot otcqooofo). Di queste cause alcune sono dette come sostrato (tocicvov), come ad esempio le parti, mentre altre lo sono come essenza (m fo fi qv civoi), ad esempio lintero nel senso di composizione e di forma specica (fo fc oov oi q otv0coi oi fo cioo). 310 Sono cause motrici, invece, tutte quelle da cui deriva il principio del muta- mento o della stasi [o del movimento] (ovfo o0cv q oqq fq cfooq q ofoocm [q ivqocm]), ad esempio il seme, 311 il medi- co, chi delibera e in generale ci che agisce (om fo oiotv). 312 Altre cause sono quelle nali, cio quelle che si dicono come ne (fco) e bene (foo0ov), dal momento che, afferma Aristotele, ci in vista di cui (ot cvco) coincide con il meglio ovverosia con il ne (cfiofov oi fco). Non fa qui alcuna differenza, aggiunge lo Stagirita, che si tratti del bene in s o di ci che appare come bene (otfo oo0ov q qoivocvov oo0o v). 313 Le cause, dunque, sono queste e di tante specie (fotfo oi fo- ootfo cofi fm cioci) cio quattro conclude Aristotele (195a26 ss.), ma i loro modi (fqooi) sono in gran numero (oqi0m cv cioi ooi), anche se, esposti in maniera riassuntiva (cqooiotcvoi), si riducono (c o ffot). La distinzione per specie (fm ci oci) riman- LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 167 310 Sono daccordo con P. Pellegrin, vd. trad. ad loc. e nota 1, secondo cui qui Aristotele intende la disposizione o struttura che fa del tutto un intero, per cui composizione e forma sono spiegazioni del signicato di intero. 311 In Metaph. Z 7, 1032a28-32 leggiamo, in un contesto in cui si discute di fortuna e spontaneit, che fra gli enti naturali alcuni nascono da un seme e altri senza seme; in Hist. anim. V 1, 539b7-9 troviamo il caso di animali prodotti dalla spontaneit e in De gen. anim. I 1, 715b26-27 leggiamo di piante prodotte da una natura spontanea. il caso di ricordare tuttavia che fortuna e spontaneit sono co- munque per Aristotele cause motrici, cf. Phys. II 6, 198a2-6. 312 Phys. II 3, 195a21-23. In questo passo, Aristotele prima della sua trattazio- ne di Phys. III, mette in relazione fo oiotv con fo ivotv, ci che agisce con ci che muove, vd. G.R. Giardina (2005), pp. 130 ss. 313 Cf. anche De an. II 11, 423a28, De motu anim. 700b28; Reth. I 10, 1369a2 e b18. O. Hamelin, trad. cit., p. 93, ritiene che bene reale e bene apparente siano variet della causa nale, cos come lettere, parti e premesse sono variet della causa materiale, e che lautore di una decisione e il medico siano variet della cau- sa efciente. Egli non spiega, tuttavia, la differenza, in termini di nalit, del bene reale e di quello apparente. Interessante la notazione di M. Vegetti (2005), p. 30 a proposito di questa frase di Aristotele che indicherebbe, invece, il carattere sog- gettivo del bene che Aristotele mutuerebbe dal linguaggio storiograco. da qui certamente alla distinzione delle quattro cause, le quali sono appunto i quattro modi di dire la causa. Il numero stragrande dei fqo oi indica, invece, con ogni probabilit i diversi modi di applica- zione di ciascuna specie di causa in rapporto alla natura dellente di cui si tratta, come si vedr fra poco a partire da 195b12 ss. Del resto lo stesso Aristotele aveva indicato alle li. 195a3 un numero approssi- mativo (ocoo v) dei modi di dire la causa. 314 La stessa specie di cau- sa, quindi, comporta pi modi di essere detta causa: ci pu essere, ad esempio, un prima e un dopo; 315 ad esempio, della salute sono causa il medico e colui che possiede larte, cos come del diapason lo sono il doppio, cio il rapporto di 2 a 1, e il numero (nel caso del medico questultimo causa motrice della salute e nel caso del dia- pason il doppio causa formale), e c sempre questo rapporto fra le cause che comprendono e quelle particolari che sono comprese (fo cqicovfo qo fo o0 coofov). Aristotele qui in verit non dice quale causa, fra il medico e colui che possiede larte e il doppio e il numero, sia prima e quale dopo. Forse non lo dice perch luna causa anteriore per natura e laltra anteriore per noi. 316 Simplicio, In Phys. 322,31, che si pone questa domanda, suppone invece che siano anteriori le cause particolari e posteriori quelle pi generali, per cui il medico causa anteriore rispetto a colui che possiede lar- te e il doppio causa anteriore rispetto al numero che lo esprime. E ancora aggiunge Aristotele , ci sono cause come accidente e i generi di queste cause accidentali: ad esempio, causa della sta- tua in un certo qual modo Policleto (cio luomo che egli ) e, in un altro modo, lo scultore (che egli ), perch accade che lo sculto- re sia lo stesso Policleto. E ancora, sono cause quelle che compren- dono le cause accidentali (fo cqicovfo oc fo otcqo), ad esempio luomo causa della statua, ma in termini generali causa della statua lanimale, cio il genere che comprende la causa acci- dentale. Inoltre, fra le cause accidentali 317 alcune sono prima e pi 168 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 314 Alla li. 195a15 la lezione fqoot (anzich foot delled. Carteron) si tro- va bene attestata, oltre che in due manoscritti, anche in Temistio, In Phys. 172,3, Simplicio, In Phys. 319,18 e Filopono, In Phys. 246,22-25. 315 Cf. Cat. 5, 2b7 ss. 316 Per tale distinzione si vd. APo. I 2, 71b33 ss. e Phys. I 1, 184a16. 317 Sulle cause accidentali cf. D. Frede (1992). vicine di altre rispetto al causato, 318 e questo caso diviene chiaro se diciamo che luomo bianco o luomo musico sono causa della sta- tua. Tutte le cause, sia quelle dette in senso proprio sia quelle dette in senso accidentale, sono dette le une come cause potenziali (fo cv m otvocvo) e le altre come cause attuali (fo o m cvcqotvfo), cio attualmente operative, ad esempio del costruire una casa causa potenziale il costruttore, cio luomo che pu costruirla, mentre causa attuale il costruttore che la sta costruendo (oiov fot oiooocio0oi oiiov oioooo q oiooomv oioooo). 319 Lo stes- so discorso vale anche per le cose di cui sono cause le cause, ovve- ro per i loro effetti, ad esempio posso dire questa statua oppure la statua, oppure, pi in generale, limmagine, e ancora posso dire questo bronzo, oppure il bronzo, oppure, pi in generale, la mate- ria; e la stessa cosa vale anche per gli effetti accidentali di cause ac- cidentali. E ancora, si potranno dire le cause sia come combinate che come separate: ad esempio, non diremo causa n semplicemen- te Policleto n semplicemente lo scultore, ma lo scultore Policleto. Tutti quanti questi modi appena elencati, tuttavia, possono riassumersi in sei soli modi, i quali possono dirsi in maniera dupli- ce. In altri termini si tratta di sei coppie di modi in cui possono riassumersi le cause: il discorso di Aristotele, come si vede, volto a sistematizzare e compendiare i molti modi (fqooi) in cui si presentano le quattro cause. I sei modi sono i seguenti: 1) causa co- me particolare; 2) causa come genere; 3) causa come accidente; 4) causa come genere dellaccidente; 5) causa come queste cose dette in connessione; 6) causa come queste cose dette in modo semplice. Tutti questi modi possono essere cause attualmente operative (c- vcqotvfo) oppure cause in potenza (ofo ot voiv) (195b12-16). 320 LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 169 318 Simplicio, In Phys. 323,28 ss. intende oqqmfcqov ed ctfcqov nel senso di oiciofcqov e ovoiciofcqov, cio nel senso che, delle cause accidentali dello stesso rango, le une sono pi proprie e le altre meno proprie rispetto alle cause per s. Spiega perci lesempio del bianco e del musico, ritenendo che musico sia pi proprio alla causa per s in quanto appartiene alluomo di cui attributo per s, mentre bianco meno proprio alla causa per s in quanto appartiene anche a molti esseri diversi dalluomo. 319 Phys. II 3, 195b5-6. 320 A questo proposito gli esempi forniti da Ross nella sua trad. del 1936, p. 513, sono questi: 1) causa individuale propria: uno scultore; 2) genere di una cau- Tutte queste cause continua Aristotele differiscono nella misura in cui (foootfov) quelle attualmente operative e quelle par- ticolari esistono oppure non esistono contemporaneamente con le cose di cui sono causa: ad esempio, colui che sta operando la guari- gione esiste insieme con colui che viene guarito e colui che sta co- struendo una casa esiste insieme con la casa che viene costruita; in- vece per le cose che sono in potenza non sempre cos, perch la casa e il costruttore non periscono contemporaneamente. In altri termini, la causa e leffetto in atto sono simultanei, mentre per quanto concerne gli enti potenziali la simultaneit non sussiste, co- me nel caso della casa e del costruttore che non periscono nello stesso tempo. 321 Questo passo importante perch, mettendo lac- cento sulloperativit delle cause, consente di vedere un rapporto diretto fra il motore e il mobile nel movimento: se c una causa che sta operando e quindi c un movimento, c un motore con- temporaneamente a ci che mosso. Se il motore non sta operan- do in atto, ma solo un motore in potenza, allora non c contem- poraneit fra motore e mosso e non c movimento. Per indicare per la causa e leffetto in potenza, Aristotele non usa la nozione di operativit nella forma di denizione per negazione di un altro concetto, ma utilizza la nozione di perire, che un subire una pri- vazione di forma, anche se il subire anchesso, in certo qual mo- do, movimento. La casa e il costruttore non periscono contempo- raneamente, perch non sono legati luna allaltro da un rapporto causale operante in atto, nel senso che, se il costruttore ha nito di costruire la casa, anche se questa casa quella costruita da questo costruttore, in verit la casa non sta subendo il movimento della costruzione, perch immobile come casa in atto e, allo stesso mo- do, il costruttore non sta operando la costruzione, quindi immo- bile costruttore in atto ovvero, anche se dal punto di vista del mo- vimento specico delloperare come motore-costruttore, egli co- struttore in potenza (195b16-21). 170 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE sa individuale propria: un artista; 3) causa individuale per accidente: Policleto; 4) genere di una causa individuale per accidente: un uomo; 5) combinati insieme i punti 1 e 3: uno scultore, Policleto; 6) combinati insieme i punti 2 e 4: un uomo artista. 321 Cf. Simplicio, In Phys. 325-326. Occorre poi ricercare di ciascuna cosa, aggiunge Aristotele, la causa pi elevata (fo oifiov coofot fo oqofofov qfciv), 322 cio quella che sta pi a monte nella catena delle cause: ad esempio, in una scala gerarchica progressiva e ascendente abbiamo luomo, il co- struttore di case, larte del costruire case, 323 e questultima chiara- mente la causa anteriore, perch per costruire una casa occorre non un generico uomo, ma un costruttore e costui non tale se non in virt del possesso di una tecnica delle costruzioni. Questo discorso non riguarda ci che Aristotele ha detto precedentemente a proposi- to delle cause di nozioni pi ampie e generali che abbracciano quelle pi particolari, cio dei fo cqic ovfo, per i quali ha fatto gli esempi del diapason, di cui sono causa il doppio e il numero, e della statua di cui sono causa luomo e il vivente. Il numero concetto pi generale di doppio, e vivente pi generale di uomo o di scultore. Qui Aristo- tele non sembra riferirsi per nulla ai fo cqic ovfo se sta facendo questo esempio di uomo-costruttore/case-tecnica delle costruzioni di case, perch uomo pi generale di costruttore di case e la tecnica delle costruzioni di case pi generale di costruttore di case, ma non pi generale di uomo. Sembra invece che Aristotele ragioni nel modo seguente: la tecnica delle costruzioni di case una causa pi specica di uomo in ordine alla costruzione di una casa e, in questo senso, una causa pi appropriata e che, perci, ci fornisce una risposta del per- ch della costruzione della casa molto pi adeguata di quanto non possa fare luomo. Se si guarda cio alla costruzione della casa e si cerca la causa in ordine a questa, cercando di risalire alla causa pri- ma, luomo causa della costruzione della casa, ma in quanto questo uomo costruttore questo ci spiega meglio il perch della casa. Ma ancora, questuomo costruttore in virt della tecnica delle costru- zioni, quindi, questultima ci spiega meglio dei due termini preceden- ti, uomo e costruttore, il perch della costruzione della casa. 324 LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 171 322 Sul signicato di fo oqofofov oifiov nei commentatori cf. O. Hamelin, trad. cit., pp. 98-105. 323 Sono tutte cause motrici. 324 Aristotele pi volte, nelle sue opere, afferma che la causa motrice sia chi opera il movimento sia la tecnica per la quale costui competente. Si cf. ad esem- pio, Metaph. B 2, 996b6-7, in cui lesempio ancora una volta la casa, di cui sono cause motrici la tecnica delle costruzioni e il costruttore. F. Franco Repellini, 325 nel discutere questo passaggio, fa una ri- essione interessante: la causalit riguarda la cosa, nello specico della Fisica riguarda la sostanza naturale come sua componente, di- ciamo cos, interna, e questo vero nella misura in cui la trattazio- ne aristotelica della causalit riguarda il discorso pi ampio sulla qtoi. Al contrario, la causa motrice, che implica un motore ester- no necessario per innescare il processo di movimento nellente na- turale, stabilisce una relazione fra due cose, ci che capace di muovere (ivqfiov) e ci che mobile (ivqfo v). 326 In realt, per, in questo passo, contrariamente a quello che ci aspetteremmo, larte di costruire la casa che viene addotta come causa motrice pi elevata e primaria, e non uomo o costruttore. Quindi sarebbe la tecnica, ossia la forma che tecnicamente si fornisce alla casa, leffet- tiva causa motrice. Lo stesso Aristotele, per, in Phys. II 8, 199b28 precisa che la tecnica non delibera, ma semplicemente presup- pone una forma che viene realizzata tramite un processo che un motore deve trasmettere. In altri termini, nel caso della tecnica supponiamo che un artista che vuole produrre una statua trasmet- ta alla materia quella forma che ha in mente di scolpire, quindi la forma che viene acquisita dalla materia e quella che lartista ha in mente sono s la medesima forma, ma tale forma nella men- te dellartista in quanto artista, ovvero in quanto possiede larte della statuaria, per cui causa motrice sar di fatto questarte, men- tre lartista sar solo colui che trasmette la forma. Analogamente, nel caso della generazione naturale, il padre una sostanza natu- rale che possiede una forma specica, quella di uomo, quindi egli causa motrice del glio nella misura in cui trasmette al glio ta- le forma specica che preesiste alla sua trasmissione, ma, sotto un altro aspetto, la forma specica di uomo pi causa motrice del glio di quanto non lo sia il padre. Questo ragionamento con- durrebbe la dottrina aristotelica della causalit verso il primato del- la forma. 327 Io per ritengo che questo discorso vada considerato 172 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 325 Cf. trad. cit., pp. 94-95. 326 Cf. G.R. Giardina (2005), pp. 115 ss. 327 Una tale concezione, dice Franco Repellini, fondamentale per gli scritti di biologia, che Aristotele avrebbe gi in mente nel momento in cui egli si impe- gna nella fondazione generale della dottrina della qtoi. Alcune difcolt per una insieme ad alcune precisazioni, perch mi sembra che il fatto che la causa formale abbia una particolare attitudine a combinarsi con le altre cause non debba indurci a disconoscere che essa co- munque concettualmente distinta dalle altre cause al punto che, nellesposizione delle quattro cause che si legge in pi luoghi de- gli scritti aristotelici, la troviamo annoverata insieme con le altre, diciamo cos, allo stesso titolo. Non mi sembra possibile, in bre- ve, identicare causa formale e causa motrice anche se in pi luo- ghi Aristotele afferma che la causa motrice sia chi opera il mo- vimento sia la tecnica per la quale costui competente se non facendo delle precisazioni. Prover a fare qualche riessione in proposito. In Phys. V 1, 224a34-b8, nel momento in cui Aristotele si pre- para a trattare il problema del mutamento e ne discute in relazione al movimento, egli sottolinea che la qualit, il luogo e la quantit non sono n motori n mossi. Riettendo in un mio studio prece- dente su questo importante passaggio, ho cercato di chiarire per quale motivo Aristotele affermi che c s mutamento della sostan- za, ma non movimento della sostanza, concludendo che, dal mo- mento che la qualit, la quantit e il luogo n agiscono n subisco- no il movimento, mentre ad agire o subire il movimento la so- stanza, cio lente concreto, occorre differenziare le due nozioni di mutamento e di movimento anche per il fatto che c mutamento della sostanza, mentre c movimento non della ma nella so- stanza. 328 Questo passaggio della Fisica utile per comprendere meglio anche la parte nale di Phys. III 2, cio le li. 202a9-12, in cui la causa motrice, che Aristotele rende esplicita come relazione fra un motore e un mosso, ci viene ulteriormente chiarita con que- ste parole: ma ci che muove (fo ivotv) recher sempre una cer- ta forma (cioo oc oci oiocfoi fi), cio o qualcosa di determinato, o una qualit, o una quantit (qfoi fooc q foiovoc q fooovoc), che LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 173 simile concezione della causalit, tuttavia, sorgono sia nel campo dellazione uma- na, in cui la causazione non trasmissione di forma, sia nellambito della meccani- ca, dove fenomeni quali spinte e trazioni non rispondono a una simile sistematiz- zazione. Altre difcolt sorgerebbero anche nelleventuale uso teologico della cau- sa motrice. 328 Cf. G.R. Giardina (2002), soprattutto pp. 133-134. sar principio e causa del movimento (o cofoi oqq oi oifiov fq ivqocm), qualora <il motore> muova (ofov ivq ), ad esempio luomo in entelechia genera un uomo dalluomo che in potenza (oiov o cvfcccio ov0qmo oici c fot otvoci ovfo ov0qmot ov0qmov). Questo passaggio ci interessa nella misura in cui ci fa comprendere che, per un certo verso, il motore, fo ivotv, causa motrice, perch ci che trasmette una certa forma, cioo fi. Cia- scuna forma trasmessa detta da Aristotele oqq oi oifiov fq ivqocm, principio e causa del movimento, ma a condizione che il motore muova, di conseguenza il motore, fo ivotv, risulta es- sere ci da cui deriva il principio del mutamento (o0cv q oqq fq cfooq), ovvero come ci da cui deriva il movimento (o0cv q ivqoi), espressioni con cui Aristotele denisce spesso la causa motrice in Phys. II 3. La forma trasmessa principio e causa del movimento perch, in quanto principio, la forma specica di cui lente potenziale privo, e, in qualit di causa, la causa nale del movimento. Ma laccortezza di Aristotele sta nel dire che que- sto avviene qualora il motore muova, cio in presenza di una causa motrice in atto. Del resto, lo stesso Aristotele ci ha detto del- la causa motrice che, in generale, ci che agisce, fo oiotv, nel senso di soggetto agente. 329 contestabile, quindi, a mio avviso, asserire che la forma causa motrice basandosi sul fatto che Ari- stotele ci dice che il motore trasferisce sempre un cioo fi, che esso stesso principio e causa di movimento, oqq oi oifiov fq ivqocm, dal momento che in tal modo si identicherebbero due termini che indicano cose diverse, cio fo ivotv e cioo fi, pro- prio in virt di un fraintendimento dellespressione oqq oi oifiov fq ivq ocm. In Phys. II 7, 198a24-26, Aristotele ci avverte che tre delle quattro cause spesso si riducono ad una sola (cqcfoi oc fo fqio ci [fo] cv ooi), perch da una parte il che cos, cio la causa formale, e il ci in vista di cui, cio la causa nale, sono una sola causa, e dallaltra parte il ci da cui come primo deriva il movimento, ossia la causa motrice, per specie identico a queste due (fo o o0cv q ivqoi qmfov fm cioci fotfo fotfoi); infatti 174 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 329 Cf. Phys. II 3, 195a22. afferma Aristotele un uomo genera un uomo. 330 Ora, lidentit di causa formale e causa nale vera no a un certo punto e lo stesso Aristotele ci mette in guardia da identicare tout court queste cau- se. In pi luoghi dei suoi scritti egli utilizza infatti termini che at- tenuano questa idea di identit: in De gen. anim. I 1, 715a5-6 egli afferma che la causa formale e la causa nale dovrebbero essere considerate quasi (ocoov) una sola causa; e ancora in Metaph. H 4, 1044b1 ribadisce che queste due cause sono verosimilmente (iom) una medesima causa. Come ho gi detto, del resto, se la for- ma fosse sufciente in s a dar ragione di ci che il diveniente di- viene (o ivcfoi) e di ci verso cui il diveniente diviene (ci o ivcfoi) nel caso degli enti naturali, allora sarebbero sufcienti tre cause e non avremmo necessit di averne quattro, in quanto la forma sarebbe sia causa formale sia causa nale, mentre il duplice signicato di ne (fco) come termine ultimo e come ci in vi- sta di cui ci obbliga a distinguere la forma specica (causa forma- le) attualmente acquisita dallente naturale e la forma vista come - ne (causa nale) in vista di cui avviene il movimento, cio come termine presente costantemente nel processo di movimento no al termine nale della completa acquisizione della forma. 331 Ma ci che soprattutto mi interessa sottolineare in questo ragionamento, secondo cui tre cause si riducono ad una sola, il fatto che la causa motrice appare s specicamente identica ad ambedue le cause, formale e nale, ma questo non signica che tutte e tre tali cause coincidano, perch il motore che agisce nella generazione il pa- LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 175 330 Phys. II 7, 198a24-26: Tre <di tali cause> spesso convergono in una sola. Infatti il che cos (fo cv oq fi cofi) e ci in vista di cui (fo ot cvco) sono ununica cosa, e ci da cui come primo deriva il movimento (fo o o0cv q ivqoi qmfov) specicamente identico a questi (fm cioci fotfo fotfoi), infatti un uo- mo genera un uomo. Lidentit formale (o specica) delle tre cause sarebbe ve- ra anche nel caso dellanima, che da sola svolge le tre funzioni causali, in quanto causa motrice, causa nale e causa formale dellessere vivente a cui appartie- ne, cf. De an. II 4, 415b10-28. Sullapparente identicazione in Aristotele di causa formale e causa nale si vd. anche De gen. et corr. II 9, 335b6 e De gen. anim. I 1, 715a4-6, 8-9. 331 Anche nel caso del Primo Motore Immobile, che causa nale del primo cielo, occorre notare che esso non la forma che viene attuata dal primo cielo, bens ci in vista di cui il cielo attua la propria forma, per cui restano ben distin- ti la forma e il ne; cf. Metaph. A 7, 1072b1-4. dre, mentre lente che viene generato tramite la trasmissione della forma il glio: 332 padre e glio sono identici analogicamente e vi- sti in universale, perch luno e laltro corrispondono alla forma uomo, ma sono diversi numericamente e individualmente. 333 In Metaph. A 4, 1070a31 ss., Aristotele afferma che i principi e le cause sono in un senso diversi per le cose diverse (oo omv), ma in un altro senso sono identici per ogni cosa (fotfo ovfmv) se detti in universale e per analogia (ov o0oot cq fi oi of ovo- oiov). 334 Si potrebbe, infatti, porre il problema se siano diversi o identici i principi e gli elementi per le sostanze e per i relativi (fmv otoimv oi fmv qo fi), e questo vale ugualmente per ciascu- na delle altre categorie. Ma identici per tutte le categorie sarebbe assurdo (ofoov), perch in questo caso dagli stessi principi (o ele- menti) deriverebbero i relativi e la sostanza. Ma quale sarebbe, dunque, questo elemento comune? Al di l della sostanza e delle altre categorie, infatti, non esiste niente che ad esse sia comune, e daltra parte lelemento in quanto elemento precede <ci di cui elemento>. N continua Aristotele si potrebbe dire che le ca- tegorie siano elementi luna dellaltra e, daltra parte, nessun ele- mento pu essere identico a ci di cui elemento: ad esempio <le lettere> B o A <non possono essere identiche> alla sillaba BA (cf. 176 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 332 Cf. Metaph. A 3, 1070a4-20. 333 Alcuni interpreti moderni della Fisica aristotelica talvolta avanzano lopi- nione secondo cui la forma sarebbe causa motrice, in quanto sono inuenzati, io credo, soprattutto dalle discussioni di Simplicio (a sua volta inuenzato da Ales- sandro di Afrodisia), secondo cui la vera causa efciente sarebbe la forma della- gente (cf. Simplicio, In Phys. 312). interessante citare a questo proposito unipo- tesi di G.A. Ferrari (1977), p. 165, secondo cui possibile che lanalogia natu- ra/tecnica operi positivamente nel tenere ben distinte le quattro cause. Nellambi- to tecnico, infatti, invece di ridursi ad unit, le cause motrice, formale e nale si distinguono nettamente tra loro, poich designano rispettivamente lartigiano che costruisce, la forma che egli fa assumere ad una data materia e la funzione a cui destinato loggetto articiale. Si vd. anche J.M. Le Blond (1939), pp. 300-346. La distanza che intercorre fra causa nale e causa motrice, peraltro, sottolineata da Aristotele in Metaph. A 3, 983a30-32 e B 2, 996b22-24, in cui il ne presentato come opposto al movimento: in questa opposizione appare anche, a mio avviso, la correlazione fra queste due forme di causalit, che apparir meglio nella discussio- ne sulla necessit a proposito degli ultimi due capitoli di Phys. II. 334 Cf. E. Berti (2004), pp. 390 ss. e 536-537. li. 1070a31-b6), Dunque gli elementi non sono identici per tutte le cose. Oppure, come dicevamo, in un senso lo sono e in un altro senso no, ad esempio dei corpi sensibili <si potrebbe dire> forse che da un lato c come forma (cioo) il caldo e, per altro verso, il freddo, che privazione (ofcqqoi) <del caldo>, dallaltro lato c una materia (tq) che anzitutto per se stessa (qmfov o0 otfo ) in potenza queste due propriet <cio il caldo e il freddo> (li. 1070b9-13). Secondo Aristotele, quindi, privazione, forma e mate- ria sono da considerarsi, in un senso principi identici in tutte le co- se sensibili, qualora siano intesi in universale e analogicamente, in un altro senso, invece, qualora siano intesi come principi delle sin- gole cose, sono diversi, ad esempio, nel colore, questi principi sono il bianco, il nero e la supercie, e, nel caso del giorno e della notte, sono, invece, la luce, la tenebra e laria. 335 Se principi e cause si considerano sul piano non analogico e universale, ma individuale e particolare, allora principi e cause sono diversi nelle diverse cose, come dire, ad esempio, che la causa motrice del glio il padre e la causa motrice della casa il costruttore, mentre se si considerano principi e cause sul piano analogico e universale, allora causa e principio delluomo luomo e causa e principio della casa la tec- nica delle costruzioni, cio, in ultima analisi, la forma e non lente concreto. Sul piano analogico, allora, possiamo stabilire la relazio- ne proporzionale fra cause e principi secondo cui la causa motrice sta alla privazione come la causa nale-formale sta allacquisizione compiuta di una forma specica: tale rapporto analogico mette in evidenza lopposizione-correlazione che esiste fra causa motrice e causa nale nei processi del divenire naturale. In ultima analisi, quindi, io ritengo che Aristotele consideri la tecnica delle costru- zioni come causa pi elevata (fo oifiov fo oqofofov) nel senso come egli stesso indica della priorit (qofcqov fo oifiov), per- ch in effetti il costruttore non tale se prima non ha acquisito la tecnica delle costruzioni. 336 Tuttavia, secondo Aristotele, la causa LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 177 335 Cf. Metaph. A 4, 1070b16-21. 336 Occorre dire, tuttavia, che i commentatori antichi, pur con qualche diver- genza, hanno inteso la causa pi elevata, oqofofov, nel senso di causa pi appro- priata alloggetto, tqimfofov. Si vd. per tutti Simplicio, In Phys. 326,15 ss. motrice vera e propria lente motore (fo ivotv), 337 come si com- prende bene da ci che Aristotele spiegher in Phys. III 1-3: tale causa motrice , come ci spiega anche Simplicio, In Phys. 321,3 ss., in accordo con Alessandro di Afrodisia, esterna al mobile (fo ivq- fov). 338 Discuter fra breve un altro passaggio, precisamente Phys. II 7, 198a35-b5, che mi sembra altrettanto signicativo in ordine al fatto che la forma non da considerarsi tout court causa motrice. 339 Ma prima di far questo, occorre sottolineare che Aristotele distin- gue nettamente, fra le realt in divenire, quelle per spiegare le quali occorre la causa nale, e quelle, al contrario, per le quali basta solo la causa motrice. Dico intanto che in Metaph. Z 17, 1041a27-32 Aristotele scrive: evidente, dunque, che si ricerca la causa (cio 178 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 337 Mi d ragione W. Wieland (1993), pp. 336-337, il quale, sottolineando co- me le cause aristoteliche siano cause di cose e solo in un secondo momento cau- se di processi, mostra come la causa motrice sia la cosa che suscita il movimento in questione. E ci che in questo caso viene causato non propriamente il movi- mento stesso, ma di nuovo la cosa che costituisce il risultato di questo movimento. Naturalmente Aristotele applica occasionalmente lo schema causale anche ai puri e semplici processi. Ma anche allora resta come guida lidea che si tratti di proces- si di cose. 338 Ritengo che occorrerebbe studiare pi attentamente il problema della causa motrice in Aristotele per cercare di comprendere in che modo essa agisca talvolta dallesterno e talvolta dallinterno del mobile. Lanalisi di Phys. III 1-3, che lanalisi principale del movimento e della causa motrice a cui deve ricondur- si ogni altro discorso sico sulla causa motrice, indica senza ombra di dubbio che tale causa esterna al mobile. Tuttavia, ci possono essere dei casi in cui, se consi- derata sotto un aspetto differente, la causa motrice risulta in qualche modo inter- na. Ad esempio, in De gen. anim. II 1, 723b23-734b19, sembrerebbe che la causa motrice che opera perch nellembrione si formino gli organi sia interna allem- brione stesso, nella misura in cui essa non pu essere un organo interno al seme che causa motrice degli altri organi, ma tutti gli organi derivano dal seme. In un certo senso, quindi, la qtoi interna allembrione funge da causa motrice nella mi- sura in cui opera quale impulso interno di movimento, ma, in senso proprio, la causa motrice il seme, e quindi il padre che ha agito sul mobile. 339 Una possibile interpretazione formalistica non solo della causa nale ma anche della causa motrice, almeno nei processi di generazione degli esseri viventi, interpreta il padre come causa motrice che trasmette una forma specica con il se- me in quanto possiede in atto la medesima propriet formale che egli trasmette, cio appunto la forma uomo ad esempio nel caso degli esseri umani. In questa mi- sura e con queste limitazioni la causa motrice converge, come dice Aristotele, con le cause formale e nale (Phys. II 7, 198a26-27). Cf. a questo proposito P. Pel- legrin (2002). lessenza, per parlare in chiave logica), la quale in alcuni casi cau- sa nale, come per esempio nel caso della casa oppure del letto, mentre in altri casi ci che ha impresso il primo movimento (fi civqoc qmfov), perch anche questo una causa (oifiov oq oi fotfo). Tuttavia, mentre la causa motrice si ricerca nel caso di ci che si genera e si corrompe (ci fot ivco0oi qfcifoi oi q0ciqco0oi), laltra causa invece [scil. quella nale] si ricerca anche nel caso di ci che (0ofcqov oc oi c i fot ci voi). In questo pas- saggio Aristotele sta spiegando gli esempi del tuonare e della casa che ha fatto poco prima: allorch ci si domanda perch tuona, cio perch un certo rumore si produce fra le nuvole, si ricerca di fatto la causa motrice o efciente del detto fenomeno, mentre, quando ci si domanda perch queste cose qui, ad esempio pietre e mattoni, costituiscono una casa, si ricerca piuttosto la causa nale. I due esempi sono ripresi negli Analitici Posteriori, in cui si legge che nel caso di un fenomeno meteorologico, ad esempio il tuonare, la spie- gazione una causa motrice, 340 mentre nel caso di un prodotto del- la tecnica, ad esempio una casa, si prende come causa la funzione alla quale destinata, cio il suo ne, poich la casa costruita per proteggere le suppellettili. 341 Nel passaggio di Metaph. Z 17 riportato sopra, sia la causa nale sia la causa motrice si identica- vano con lessenza in virt del loro rapporto analogico con i princi- pi di cui ho gi detto prima: se sul piano analogico la relazione proporzionale fra cause e principi mostra che la causa motrice sta alla privazione come la causa nale sta allacquisizione compiuta di una forma specica, allora sia luna che laltra esprimono lessenza, che si presenta ora come privazione di forma e ora, invece, come acquisizione di forma; tuttavia la causa motrice e la causa nale ri- mangono ben distinte tra loro e anzi si fronteggiano reciprocamen- te nel processo del divenire naturale. Tuttavia, come dicevo allinizio di questo discorso, la causa for- male sembrerebbe avere una particolare attitudine a combinarsi con le altre cause, al punto che sembrerebbe che essa non si possa collocare allo stesso livello teorico delle altre cause. Gi L. Robin e LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 179 340 Vd. APo. II 8, 93b8. 341 Vd. APo. II 9, 94b9. J.M. Le Blond, 342 mettendo signicativamente in relazione i due versanti principali dellepistemologia aristotelica, e cio lapodittica e leziologia, hanno sostenuto che il cardine del sillogismo scienti- co costituito dalla causa formale. In un articolo del 1990, in cui si occupa della spiegazione causale nella biologia aristotelica, P. Pelle- grin ci mostra mettendo a confronto la sua lettura delle opere bio- logiche e una riconsiderazione attenta di APo. II 11 che en se combinant avec une autre cause, la cause formelle transforme piste- mologiquement cette autre cause, cest--dire lui donne la possibilit dun destin logique et donc scientique 343 nella misura in cui questa altra causa, proprio perch si combina con quella formale, pu fun- gere da termine medio nelle premesse di un sillogismo scientico. 344 In questa possibilit della causa nale e delle cause meccaniche di combinarsi con la causa formale Pellegrin riconosce alla biologia aristotelica la condizione di sfuggire sia al meccanicismo sia ad un troppo rigido nalismo. 345 La ricerca sica in generale e biologica in particolare, allora, secondo Pellegrin formalistica prima che nalistica nella misura in cui essa pretende di avere lo statuto di scienza, e non solo la nalit pu trovare il suo posto nella scienza attraverso il ltro della formalit ma, cosa forse ancora pi signica- tiva, attraverso la possibilit di combinarsi con la causa formale an- che le due cause meccaniche trovano un posto irriducibile che spie- ga bene come in Aristotele, nonostante il considerevole nalismo che si riscontra in natura, la necessit operi anchessa a giusto titolo. A questo punto per ritornare al testo della Fisica Aristotele conclude il capitolo II 3 dicendo che i generi sono causa dei gene- ri e le cose particolari sono causa delle cose particolari. Ad esem- pio, mentre un certo scultore causa di una certa statua, invece questo scultore qui causa di questa statua qui. Daltra parte le co- se potenziali sono causa delle cose possibili 346 mentre le cose at- 180 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 342 L. Robin (1942), pp. 423-485; J.M. Le Blond (1939), pp. 96 ss. 343 P. Pellegrin (1990), p. 217. 344 Cf. APo. I 33, 89a16. 345 Cf. largomentazione di P. Pellegrin (1990), pp. 209-219, ma anche (2002). 346 A proposito di questa considerazione secondo cui fo cv otvoci fmv ot- vofmv i commentatori antichi (cf. Simplicio, In Phys. 326,34 ss. e Filopono, In Phys. 254,15 ss.), sulla base di quanto dice Alessandro di Afrodisia, ritengono che tualmente operanti sono cause delle cose attualmente operate. Quante dunque siano le cause conclude Aristotele e quale sia il modo in cui sono cause stato da me determinato a sufcienza (li. 195b28-31). Concluso il discorso sulle quattro cause, Aristotele inizia una lunga e fondamentale analisi delle nozioni di fortuna e di sponta- neit, prima indagando a questo proposito le opinioni comuni e quelle dei predecessori e poi fornendo la sua opinione sulluna e sullaltra nozione, per metterle inne a confronto fra loro: questa analisi occupa i capitoli 4-6 del libro II della Fisica ed fondamen- tale, come dicevo, per il fatto che fortuna e spontaneit sembrereb- bero sottrarre al quadro eziologico appena descritto da Aristotele nel capitolo 3 alcuni tra i fenomeni e gli enti, nel senso che ci sa- rebbero cose che, pur essendo naturali, tuttavia sfuggono allambi- to della qtoi. Dopo di ci lo Stagirita riprende brevemente, in Phys. II 7, le la del discorso che ha fatto sulle cause. Di questo ca- pitolo tralascio ci che ripete quanto Aristotele ha gi detto in Phys. II 3 e su cui ho quindi esposto precedentemente. Mi limiter dunque a fare soltanto alcune osservazioni. Alle li. 198a22-24 Aristotele scrive: Poich le cause sono quat- tro, compito del sico avere conoscenza di tutte e, richiamandosi a tutte <e quattro le cause>, cio la materia, la forma specica, ci che ha mosso, ci in vista di cui, egli fornir il perch (fo oio fi ooomoci) secondo il criterio della scienza della natura (qtoim). Aristotele in questo passaggio mostra chiaramente di intendere co- me causa tutti i fattori che devono essere tenuti in considerazione per spiegare come una cosa nasca o divenga, quindi tutti quei fat- tori che spiegano lesistenza di una cosa o di un fenomeno. In ef- fetti, quando ci si chiede perch una casa esiste occorrer fornire ben quattro risposte, sulla base appunto delle quattro cause, per esaurire in modo completo la spiegazione della sua esistenza e for- LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 181 essa fornirebbe la soluzione del problema che Aristotele pone in Cat. 7, 7b22-33 e che il seguente: non per tutte le cose relative c simultaneit, perch ad esempio lo scibile anteriore alla scienza, tant vero che noi abbiamo scienza di cose che preesistono, e, daltra parte, se viene soppresso lo scibile si sopprime anche la scienza, mentre se si sopprime la scienza non detto che non ci sia pi anche lo scibile. nire tutti i fattori che hanno partecipato concretamente alla sua co- struzione: la casa esiste in virt del costruttore, che ne la causa motrice, dei materiali da costruzione, che ne sono la causa materia- le, della forma di casa che essa ha acquisito, che ne la causa for- male, e della funzione di proteggere beni e animali, 347 che ne la causa nale. Questo non signica per che il sico, per dare spie- gazione del perch degli enti naturali, debba individuare sempre e comunque tutte e quattro le cause, perch possibile che alcune cose o fenomeni non abbiano fra i loro fattori causali tutte e quat- tro le cause. 348 Anche lasciando da parte gli enti matematici, che aristotelicamente non fanno parte dellambito della natura, una guerra, ad esempio come abbiamo gi visto alle li. 198a19 ss. , ha una causa motrice (perch erano stati depredati delle loro ric- chezze), oppure una causa nale (per dominare). vero che una guerra potrebbe avere entrambe queste cause, ma anche vero che potrebbe averne solo una delle due. In ogni caso un fenomeno naturale come uneclissi di luna non ha causa materiale. Il sico, quindi, secondo Aristotele, deve sempre cercare la spiegazione del perch delle cose naturali sulla base di tutte e quattro le cause, e tuttavia non pu essere sempre sicuro di trovarle tutte. Alle li. 198a27-31 Aristotele annuncia poi un importante di- scorso. Le cose della natura muovono e si muovono e in generale muovono in quanto si muovono (om ooo ivotcvo ivci), men- tre tutte le cose che non si comportano in questo modo non sono oggetto della scienza sica, perch non muovono in quanto hanno in se stessi movimento o principio di movimento, ma in quanto so- no immobili. Questo discorso consente ad Aristotele di annunciare tre studi distinti fra loro: 1) lo studio di ci che muove pur essendo immobile, cio del Primo motore immobile; 2) lo studio di ci che si muove ma incorruttibile, cio degli enti del mondo sopraluna- re; 3) lo studio di ci che si muove ma corruttibile, cio degli enti del mondo sublunare. Tali studi saranno possibili grazie allanalisi 182 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 347 Cf. Metaph. H 2, 1043a16-17 e il gi citato APo. II 9, 94b9. Cf. gli esempi in Temistio, In Phys. 188,27 ss. 348 Cf. J. Follon (1988), pp. 329 ss. La stessa posizione ha W. Charlton, cf. trad. pp. 113-114. del movimento di Phys. III 1-3, che render esplicita e pi chiara la differenza fra questi tre tipi di enti. Poich in Phys. II 7 Aristotele intende denire il campo di indagine del sico determinando la sua conoscenza delle cause, oltre a ribadire in che cosa consista ta- le conoscenza causale Aristotele delimita anche il campo di compe- tenza del sico, stabilendo che la sua indagine non riguarda ci che muove senza muoversi esso stesso. Ci implica che, nonostante la trattazione del Primo motore immobile in Phys. VIII, in realt lin- dagine su tale Primo motore non compete al sico, ma oggetto di studio di unaltra scienza, cio della Metasica. Questo principio che muove senza muoversi principio del movimento naturale, ma non un principio naturale (198a35-b1): sono enti di tale natura, afferma Aristotele, sia ci che assolutamente immobile, cio ap- punto il Primo motore immobile, sia lessenza, cio la forma (fo fi cofi oi q oqqq 198b3), <questa > infatti ne e ci in vista di cui, sicch, poich la natura in vista di qualcosa, occorre conosce- re anche questa (fco oq oi ot cvco mofc cci q qtoi cvco fot, oi fotfqv ciocvoi oci 198b3-5). Questo passaggio particolarmente interessante in ordine al problema che si affrontato qualche pagina indietro, quello cio della forma come causa motrice. Qui Aristotele propone la for- ma, insieme al Primo motore immobile, come esempio di principi (non cause) immobili di movimento. In Phys. III 2-3, 202a3-b29, dopo aver denito il movimento e aver chiarito tutte le parti del- la sua denizione, Aristotele passa a mostrare come il movimento nasca concretamente da una relazione fra motore e mosso e scrive: ma si muove anche, come si detto, ogni motore (ivcifoi oc oi fo ivotv ov), che <quindi> in potenza mobile (fo otvoci ov ivqfov) e la cui assenza di movimento quiete (oi ot q oivqoio qqcio cofiv) (perch lassenza di movimento quiete per ci a cui appartiene il movimento m oq q ivqoi toqci, fotfot q oivqoi o qqci o). 349 In effetti, lagire sul mobile in quanto mobile il muovere in quanto tale (fo oq qo fotfo cvcqciv, q foiotfov, otfo fo ivciv cofi); questo poi [scil. il motore] agisce per con- tatto, sicch contemporaneamente anche patisce (fotfo oc oici LA DOTTRINA ARISTOTELICA DELLA CAUSALIT (PHYS. II 3 E 7) 183 349 Cf. G.R. Giardina (2005), p. 130 nota 36. 0ici, mofc oo oi ooci), perci il movimento entelechia del mobile, in quanto mobile, ma questo avviene per contatto con ci che capace di muovere, sicch <questultimo> contempo- raneamente anche patisce (oio q ivqoi cvfcccio fot ivqfot, q ivqfov, otoivci oc fotfo 0ici fot ivqfiot, mo0 oo oi ooci). 350 In questo passaggio, che mette in evidenza soprattutto il ruolo della causa motrice, Aristotele asserisce che loperare specico del motore il muovere e che questo operare comporta una compre- senza di azione e passione nel motore. In altri termini, ogni motore naturale che muove provoca e al tempo stesso subisce movimento, cio muove ed mosso. 351 La stessa cosa non pu dirsi dellessenza e della forma citate in Phys. II 7, 198b1-5, dove erano annoverate fra i principi che muovono senza muoversi (ivci q ivotcvov). E subito dopo lappena citato passaggio III 2, 202a3-9 segue nel testo il passaggio Phys. III 2, 202a9-12 discusso sopra e in cui loperare del motore si chiarisce nei termini della trasmissione di forma spe- cica da parte della causa motrice. Ma la forma resta esclusa, come si visto, dalla possibilit di essere causa motrice. Del resto, come Aristotele sottolinea in Phys. II 7, 198b4-5, la forma causa nale e poich la natura in vista di qualcosa, cio regolata e ordinata - nalisticamente, di questa causa che dobbiamo occuparci, cio ap- punto della causa nale. Con ci Aristotele intende sottolineare il ruolo e limportanza della causa nale nei processi naturali, nel momento in cui si sta preparando a presentarci in modo organico e completo la sua teo- ria della teleologia naturale. Ed questa, appunto, che venuto qui il momento di esaminare, non prima per di avere attraversato lanalisi delle nozioni di fortuna e spontaneit. 184 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 350 Phys. III 2, 202a3-9. 351 Lo stesso concetto ribadito in Phys. III 2, 202a7-9. 4. LA FORTUNA E LA SPONTANEIT SONO CAUSE ALTERNATIVE ALLE PRECEDENTI QUATTRO? (PHYS. II 4-6) 4.1. Lesistenza di fortuna e spontaneit secondo le dottrine dei - siologi (Phys. II 4) I capitoli 4-6 del II libro della Fisica, come ho gi detto, so- no dedicati a una lunga e dettagliata analisi delle nozioni di ftq e otfoofov: Aristotele in primo luogo indaga le opinioni comuni e quelle dei predecessori e poi fornisce la sua teoria sulluna e sullal- tra nozione; inne le mette a confronto fra loro. Lanalisi delle no- zioni di ftq e di otfoofov fondamentale per spiegare il fatto che fenomeni ed enti che parrebbero originarsi dalla fortuna o dal- la spontaneit sembrerebbero sfuggire alla dinamica esplicativa delle quattro cause di cui Aristotele ha ampiamente parlato in Phys. II 3, con la conseguenza che ci sarebbero cose che, pur essendo na- turali, tuttavia sfuggono allambito ordinato della qtoi. 352 Prima di iniziare il nostro discorso su questi capitoli 4-6 di Phys. II, tutta- via, occorre sottolineare una difcolt di traduzione dei termini ft- q e otfoofov, assumendo come punto di partenza alcune tradu- zioni moderne della Fisica. Nella traduzione francese delledizione di H. Carteron, la cui prima edizione del 1926, ftq tradotto con il termine fortune, in italiano fortuna, e otfoofov con il termine hasard, che in ita- liano corrisponde a caso. La stessa cosa troviamo nella traduzio- ne di O. Hamelin del 1931 e nel noto libro di A. Mansion, Intro- duction la Physique dAristote, che del 1945. In traduzioni fran- 352 Gi in Platone, Leggi X, 888e4 ss. che peraltro riferisce ad altri questa opinione , sono indicate come cause del divenire la natura (qtoi), la tecnica (fcvq) e la fortuna (ftq), di cui si dice che natura e fortuna sono cause del cielo e degli enti naturali del nostro mondo, mentre la tecnica, prendendo a modello la natura, costruisce realt inferiori a quelle naturali. Evidentemente Aristotele ri- prende dal patrimonio culturale e scientico a lui precedente il punto di partenza secondo cui cause del divenire sono natura, caso (in Aristotele distinto nelle due nozioni di otfoofov e ftq) e tecnica, ma sviluppa il suo discorso in modo total- mente autonomo e originale. cesi pi recenti si preferisce tradurre invece ftq con hasard (vd. L. Couloubaritsis, A. Stevens e P. Pellegrin), per cui otfoofov viene tradotto spontanit, cio spontaneit, come fa Pellegrin, oppure con lespressione mouvement spontan come fanno Cou- loubaritsis e la Stevens. Hardie & Gaye che traducono otfoofov spontaneity, cio spontaneit, usano il termine chance, cio ca- so, per tradurre ftq. Fra le traduzioni italiane, F. Franco Repel- lini traduce ftq con fortuna e otfoofov con spontaneit, mentre Russo, Zanatta e Laurenza traducono ftq con fortuna e otfoofov con caso. Come si vede, le scelte sono diverse fra lo- ro, soprattutto perch si attribuisce un medesimo signicato allu- no o allaltro dei due termini, per cui con il termine che corrispon- de allitaliano caso si traduce ora ftq ora otfo ofov. In effetti, noi abitualmente traduciamo il termine ftq con for- tuna. Nel contesto di Phys. II 4-6 ftq indica appunto la sorte, ci che avviene fortuitamente, e in effetti questo signicato conte- nuto nel termine italiano fortuna, che ha molteplici signicati dovuti anche allevoluzione che ha subito nel tempo: fortuna tra- dizionalmente la causa di circostanze razionalmente inesplicabili e, in et umanistica, stata concepita come quel complesso di eventi favorevoli che, sfruttati opportunamente e con intelligenza, posso- no condurre a un esito positivo. Ma fortuna nelluso linguistico medio-alto e letterario non ha solo signicato positivo, bens anche signicato negativo, poich oltre ad essere una sorte favorevole e vantaggiosa signica anche una circostanza che capita, appunto, fortuitamente, e che in quanto tale pu essere anche una sventu- ra. 353 Scegliendo di tradurre ftq con fortuna, quindi, intendo rife- rirmi a un evento, positivo o negativo che sia, che sembra sfuggire al corso ordinato e causalmente determinato della qt oi. Tradurre invece otfoofov con caso comporta il rischio di non riconoscere una caratteristica semantica del termine che si conserva nel nostro termine automatico 354 (il quale tuttavia ha 188 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 353 Cf. Phys. II 5, 197a25 ss. 354 Omero, Il. 18,376, ad esempio, adopera lattributo otfoofoi per indicare le ruote auree di cui Efesto muniva i piedistalli dei tripodi perch questi fossero semoventi e potessero entrare da soli, cio automaticamente, nellassemblea de- gli di. acquisito nel tempo un signicato attinente alla tecnica che estra- neo, ovviamente, a questo contesto della Fisica aristotelica che stia- mo discutendo), e cio il fatto che fo otfoofov opera da s, semovente. Per questi motivi mi sembra opportuno tradurre i ter- mini ftq e otfoofov rispettivamente con fortuna e sponta- neit che, pur non rendendo in modo fedelissimo i corrispettivi vocaboli greci, tuttavia mi sembrano i pi adatti a darci unidea di ci che Aristotele intende signicare. Luna e laltra nozione, sia quella di ftq che quella di otfoofov, si riferiscono infatti a feno- meni e circostanze che avvengono casualmente, cio non secondo una regolarit naturale. Detto questo possiamo senzaltro entrare in medias res. In Phys. II 4 Aristotele imposta subito il problema: la fortuna e la spontaneit sono o no due possibili aspiranti al ruolo di cause, costituiscono o no cio un modo di causazione indipendente e al- ternativo a quello stabilito attraverso la dottrina delle quattro cau- se? Se s, la dottrina delle quattro cause di Phys. II 3 sarebbe in- completa e insufciente e, cosa anche pi importante, sarebbe ina- deguata. Alle li. 195b30-35 Aristotele si chiede se o, meglio, in che modo (fivo otv fqoov) fortuna e spontaneit siano da annoverarsi fra le cause, 355 stabilendo che bisogna anche determinarle in modo specico per comprendere se siano la stessa cosa. Una volta impo- stato il problema, egli inizia subito a esaminare la questione sulla base come al solito delle opinioni dei suoi predecessori, sottoli- neando lassurdit di certe loro posizioni. Alcuni, egli dice, negano lesistenza della fortuna e della spon- taneit, perch ritengono che di ogni cosa ci sia sempre una causa determinata. Ad esempio, se un tizio va in piazza per un caso for- tuito (oo ft q) e incontra una persona che avrebbe voluto incon- trare ma che non pensava di incontrare, la causa di questa circo- stanza risiede nel fatto che costui voleva andare in piazza (196a3- 5). Allo stesso modo, per altre circostanze che sembrerebbero esse- LA FORTUNA E LA SPONTANEIT SONO CAUSE ALTERNATIVE? 189 355 Simplicio, In Phys. 333,23 ss. ritiene che lespressione aristotelica fivo otv fqoov cv fotfoi cofi foi oifioi q ftq oi fo otfoofov signichi che occor- re comprendere se fortuna e spontaneit siano cause materiali, formali, efcienti o nali. re frutto della fortuna, sempre possibile trovare una causa deter- minata che non affatto la fortuna. Se la fortuna esistesse, sarebbe veramente strano, perch nessuno degli antichi sapienti, che pure hanno indagato sulle cause della generazione e della corruzione, cio sulle cause del divenire naturale, ha mai determinato qualcosa a proposito della fortuna, e anzi al contrario gli antichi ritenevano che la fortuna non esistesse. Tuttavia anche questo silenzio aggiunge Aristotele un fatto sorprendente, perch, pur negando lesisten- za di fortuna e spontaneit, tuttavia gli antichi sono stati poi costret- ti ad ammettere che alcune cose sembrano provenire dalla fortuna, per cui essi avrebbero dovuto pur dire qualcosa a questo proposito. Ci che veramente fa meraviglia secondo Aristotele il fatto che gli antichi, pur menzionando la fortuna, non ne abbiano tentata alcuna trattazione. Gli antichi dice infatti Aristotele non pensavano che la fortuna fosse una delle loro cause, come lAmore e lOdio o lIn- telletto o il Fuoco , ma talvolta hanno fatto uso della fortuna. Em- pedocle, ad esempio, sostiene che laria si separa nel luogo pi alto non sempre, ma fortuitamente (om ov ftq ), e dice che la mag- gior parte delle parti dei viventi generata dalla fortuna (oo ftq cvc o0oi). 356 Come si vede, Aristotele vuole mettere in luce linsuf- cienza e lincoerenza delle dottrine che sulla causalit propongono i presocratici, non solo perch costoro negano lesistenza di fortuna e spontaneit senza tuttavia dire che cosa esse signichino, ma anche e soprattutto perch continuano a utilizzare tali nozioni pur renden- dosi conto che esse non possono essere identicate con quelle che essi pensano siano le cause. I bersagli principali di questa critica, stando alle cause che vengono citate, sono s i naturalisti pi antichi sulla base, ad esempio, della citazione del Fuoco ma soprattutto Anassagora ed Empedocle, il quale ultimo citato esplicitamente. Come si vede, prima di analizzare se la fortuna e la spontaneit siano nozioni identiche o differenti tra loro e di stabilire se appar- tengano allambito delle cause, Aristotele sfrutta la sua critica dei predecessori per trattare dellesistenza stessa di fortuna e sponta- neit. Il riuto comune della loro esistenza infatti del tutto com- 190 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 356 Aristotele si riferisce al frammento di Empedocle, 31 B 53 DK. Cf. M.R. Johnson (2005), pp. 95-104. prensibile, perch sia le azioni sia gli enti sembrano ai presocratici avere delle cause ben determinate. La questione importante per- ch, sebbene egli sia sensibile a questo argomento del riuto delle- sistenza di fortuna e spontaneit, tuttavia, come scopriremo pi avanti, Aristotele ritiene, al contrario, che esse esistano e si sforzer di conciliarle con le quattro cause valorizzando al massimo la sua nozione di accidente. Quando si parla di fortuna e di spontaneit, infatti, cio in generale di fenomeni casuali, si pu sempre trovare unaltra causa alla quale possiamo ricondurre ci che avvenuto casualmente. Nellesempio del tizio che va in piazza, ad esempio, e vi incontra una persona che non pensava di incontrare, la causa consiste nella deliberazione di costui di recarsi in piazza, magari a svolgervi i propri commerci: a questa causa si accidentalmente aggiunto il fatto, del tutto casuale, che egli incontri un suo debito- re. Ci signica che il fatto casuale non esime il losofo dal cercare la causa specica nellambito di quelle quattro cause che ben cono- sciamo da Phys. II 3. A ci si aggiunge il fatto che lo stesso evento poteva presentarsi in modo non casuale, perch il tizio in questio- ne, se avesse saputo che andando in piazza vi avrebbe incontrato un suo debitore, vi sarebbe andato proprio con questo ne e non casualmente, ma a ragion veduta, cio con intelligenza di ci che voleva e faceva. La fortuna e la spontaneit, infatti, pur essendo cause accidentali, tuttavia determinano eventi, scrive Aristotele, di cui pu essere causa lintelletto o la natura (fo otfoofov oi q ftq oifio mv ov q vot cvoifo oifio q qtoi). 357 In questo mo- do, come vedremo, Aristotele costringer fortuna e spontaneit dentro lambito della causalit regolare, cio delle quattro cause. Accettando lesistenza di fortuna e spontaneit Aristotele si collo- ca, ancora una volta, anche se in contrasto con essa, allinterno di una consolidata tradizione alla quale appartiene anche Platone: questultimo ha aggirato il problema dellesistenza di fortuna e spontaneit spiegando i fenomeni sulla base dellauto-movimento dellanima, che egli attribuisce sia allindividuo sia alluniversale. 358 Aristotele, al contrario, affronta la questione del divenire casuale in LA FORTUNA E LA SPONTANEIT SONO CAUSE ALTERNATIVE? 191 357 Cf. Phys. II 6, 198a5-6. 358 Cf. W. Wieland (1993), pp. 305 ss. modo diretto e, dopo aver fatto le sue considerazioni sulla fortuna, passa, sempre in questo capitolo 4, ad esaminare la nozione di spontaneit. Ci sono poi taluni, egli dice, che pongono come causa di questo cielo e di tutti i mondi la spontaneit (cioi oc fivc oi oi fotqovot fotoc oi fmv oomv ovfmv oifimvfoi fo otfoofov), dicendo che dalla spontaneit nato il vortice, cio il movimento che ha compiuto la separazione degli elementi e che ha avuto come conse- guenza lordinamento attuale delluniverso intero. Chiaramente qui Aristotele lancia uno strale contro il meccanicismo democriteo: dal punto di vista aristotelico, come abbiamo visto, in un sistema rego- lare e ordinato quale la natura (cio nellambito dei fenomeni che avvengono sempre o perlopi) 359 lordine dato dalla opposizione- correlazione fra causa motrice e causa nale, per cui il movimento degli enti naturali sempre nalisticamente orientato, sin dallazio- ne della causa motrice che nalizzata allacquisizione di una for- ma specica. Il fco, come si potuto dimostrare, sempre pre- sente in ogni fase del movimento di un ente al quale assicura ordine e regolarit. Se quindi spontaneo , invece, agli occhi di Aristotele, quel processo in cui si realizza un esito che solo apparentemente il ne del movimento, perch in realt non presente come ne nel- lazione della causa motrice, risulta chiaramente assurdo il discorso di Democrito, che fa nascere dalla spontaneit proprio il cielo e tut- ti i mondi, cio quella parte della natura in cui la regolarit e lordi- ne sono massimamente presenti. Il colmo della meraviglia consiste poi nel fatto che per gli Atomisti le singole cose naturali hanno una loro causa, quale appunto la natura o il Nous, mentre il cielo e le cose pi divine fra quelle visibili avrebbero come causa la sponta- neit e non avrebbero una causa quale si ammette per gli animali e per le piante. Democrito, quindi, attribuirebbe, secondo Aristotele, un ordine nalistico ad un settore della natura, quello sublunare, che di minore perfezione rispetto a quello celeste o sopralunare. La semplice osservazione dei fenomeni ci mostra, in realt, proprio il contrario, perch nulla nel mondo sopralunare nasce dalla spon- taneit e alcune cose, invece, del mondo sublunare nascono dalla 192 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 359 Cf. Phys. II 5, 196b10-11 ed EN III 4, 1112a21-26. Cf. L. Judson (1991b). fortuna e dalla spontaneit, proprio al contrario di ci che sostiene Democrito. Ma, in verit, la sica democritea, come si sa, una si- ca meccanicistica e non tiene in nessuna considerazione il nalismo che Aristotele sta cercando di delineare in queste pagine di Phys. II: la critica che Aristotele muove a Democrito, allora, ha unorigine interna al pensiero stesso dello Stagirita, per il fatto che il suo pun- to di vista completamente diverso da quello di Democrito. Alla ne del capitolo 4, Aristotele cita alcuni (cioi oc fivc) i quali credono che la fortuna sia una causa, che tuttavia resta oscu- ra alla ragione umana in quanto qualcosa di divino e di sovruma- no. Come si vede, Aristotele nel corso del suo discorso non solo propone le posizioni dei predecessori, ma mescola anche le due nozioni di ftq e di otfoofov. Una volta impostato il problema, quindi, e dopo aver passato in rassegna le opinioni dei predecesso- ri ponendo particolare attenzione al fatto che si sono serviti della nozione di caso pur negandone lesistenza e senza darne nessuna spiegazione, Aristotele sottolinea, concludendo il capitolo 4, che occorre esaminare singolarmente ciascuna delle due nozioni, la for- tuna e la spontaneit, per comprendere se siano la stessa cosa op- pure cose diverse e come eventualmente ricadano fra le cause di cui ha gi discusso in Phys. II 3. 4.2. Fortuna e spontaneit: la teoria di Aristotele (Phys. II 5-6) Allinizio di Phys. II 5, sulla base dellimpostazione del proble- ma della fortuna e della spontaneit che ha fornito nel capitolo precedente, Aristotele fa immediatamente un passo avanti e anzi, direi, decisivo, perch ci introduce nel cuore della sua propria teo- ria di ftq e otfoofov, non solo ammettendo la loro esistenza, ma analizzandole anche sulla base dei suoi concetti di nalismo e acci- dentalit. In primo luogo, egli dice, poich delle cose in divenire alcune divengono sempre allo stesso modo e altre perlopi al- lo stesso modo, chiaro che di queste cose non causa la fortuna n ci che proviene dalla fortuna: 360 la fortuna e i suoi effetti non LA FORTUNA E LA SPONTANEIT SONO CAUSE ALTERNATIVE? 193 360 Cf. De gen. et corr. II 6, 333b4-19 e APo. I 30, 87b20-21. sono causa n di ci che sempre n di ci che perlopi. 361 Ma, se vero che il caso 362 non va cercato fra le cose che divengono sempre o perlopi, pur tuttavia oltre alle cose che si comportano in questo modo ce ne sono altre che derivano dal caso, 363 per cui chiaro conclude Aristotele che fortuna e spontaneit esistono (qovcqov ofi cofi fi q ftq oi fo otfoofov). 364 Qui si stabilisce, quindi, che fortuna e spontaneit, al contrario di quel che pensano alcuni, esistono e vanno ricercate fra le cose che divengono in mo- do diverso rispetto a quelle che divengono sempre o perlopi allo stesso modo; quindi vanno ricercate fra le cose che sembrano sfug- gire allambito della regolarit e dellordine naturale. 365 Detto que- sto lo Stagirita chiarisce subito che la regolarit e lordine di ci che sempre o perlopi sono quelli spiegati dal nalismo. Delle 194 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 361 Il testo di Phys. II 5, 196b10-13 il seguente: Hqmfov cv otv, ccioq oqmcv fo cv oci mootfm ivocvo fo oc m ci fo ot, qovcqov ofi otocfcqot fotfmv oifio q ftq ccfoi otoc fo oo ftq, otfc fot c ovoq oi oici otfc fot m c i fo ot . O. Hamelin, a proposito di questo passaggio, propone una pic- cola correzione di punteggiatura, sulla base del fatto che egli distingue la ftq, che considera causa, e gli effetti della fortuna, fo oo ftq, che invece non sarebbero causa. Egli propone quindi di inserire una virgola fra ccfoi e otoc. La frase, con questa diversa punteggiatura, signicherebbe che evidente che la fortuna non detta causa n delle cose che divengono sempre n di quelle che divengono perlo- pi e che gli effetti della fortuna non sono n fra i fatti necessari e costanti n fra quelli che si producono perlopi. Non segue la punteggiatura proposta da Hame- lin, ma ne segue il signicato Carteron. Anche Hardie & Gaye traducono collo- cando la virgola come propone Hamelin: It is clearly of neither of these that chance is said to be the cause, nor can the effect of chance be identied with any of the things that come to pass by necessity and always, or for the most part. In questa interpretazione si colloca meglio, forse, la frase otfc fot c ovoq oi oici otfc fot m ci fo ot , che tuttavia pu ugualmente essere compresa come una precisazione del precedente otocfcqot fotfmv. P. Pellegrin, invece, considera fo o o ft q come una specicazione di q ft q, perch traduce le hasard, cest-- dire ce qui arrive par hasard. 362 Ricordo qui che con caso intendo in maniera indifferenziata sia la fortu- na che la spontaneit in quanto ambedue, secondo Aristotele, cause accidentali. 363 Cf. Metaph. E 2, 1027a16-17: cofiv oqo fi oqo fotfo fo oofcq cftc oi ofo otcqo . 264 Phys. II 5, 196b10-15. 365 Si ricordi che in APo. I 30, 87b19-27 Aristotele esclude ci di cui causa la fortuna come oggetto di scienza dimostrativa, poich la dimostrazione riguarda ci che sempre o perlopi. cose che divengono continua Aristotele alcune divengono in vi- sta di qualcosa, mentre altre no (fmv oc ivocvmv fo cv cvco fot ivcfoi fo o ot ); di queste ultime poi le une sono dovute a deliberazione e le altre non sono dovute a deliberazione (fotfmv oc fo cv ofo qooiqcoiv, fo o ot ofo qooiqcoiv), entrambe per rientrano fra le cose che sono in vista di qualcosa (oqm o cv foi cvco fot), sicch chiaro che anche nelle cose che sono al di l del necessario e del perlopi ce ne sono alcune per le quali si am- mette che ci sia ci che in vista di qualcosa (mofc oq ov ofi oi c v foi oqo fo ovooiov oi fo m ci fo ot cofiv cvio cqi o cvoccfoi toqciv fo cvco fot). E sono in vista di qualcosa le cose che sono state prodotte sia dal pensiero razionale sia dalla na- tura (cofi o cvco fot ooo fc oo oiovoio ov qo0ciq oi ooo oo qtocm 196b17-22). Gli interpreti moderni di questo passaggio intendono comune- mente il fotfmv oc della li. 196b18 nel senso di tra le prime/delle prime, cio lo riferiscono soltanto agli enti che divengono in vista di qualcosa (fo cv cvco fot ivcfoi) e non a quelli che non di- vengono in vista di qualcosa (fo o ot). I traduttori sembrerebbero autorizzati a intendere la frase in questo modo perch, in effetti, Aristotele dice che entrambi i gruppi di enti, cio quelli dovuti a deliberazione e quelli non dovuti a deliberazione, rientrano fra le cose che sono in vista di qualcosa. A me, per, sembra strano che Aristotele dica semplicemente fotfmv oc per indicare il primo membro della frase precedente, soprattutto dal momento che il oc fa sempre pensare, di primo acchito, piuttosto a ci che nella frase precede immediatamente, per cui a me sembra pi logico che Ari- stotele, dicendo fotfmv oc, o si riferisca a entrambe le categorie di enti citati prima cio a quelli che divengono in vista di qualcosa e a quelli che non divengono in vista di qualcosa , oppure, pi pro- babilmente, solo alla seconda. Inoltre, attribuendo il fotfmv oc agli enti che divengono in vista di qualcosa, non si comprende, a mio avviso, la consequenzialit del ragionamento. Cosa vuol dire, infat- ti, che gli enti che divengono in vista di qualcosa sono dovuti alcu- ni a deliberazione e altri no sicch (mofc) chiaro che anche nelle cose che sono al di l del necessario e del perlopi ce ne sono alcu- ne per le quali si ammette che ci sia lin vista di qualcosa? Se am- LA FORTUNA E LA SPONTANEIT SONO CAUSE ALTERNATIVE? 195 mettiamo per un momento che il fot fmv oc si riferisca ad entrambe le categorie di enti citati prima, cio sia a quelli che divengono in vista di qualcosa sia a quelli che non divengono in vista di qualco- sa, si dovr concludere che degli uni e degli altri alcuni divengono per deliberazione e altri no, ma Aristotele dice che gli uni e gli altri (oqm oc ) rientrano comunque fra le cose che sono in vista di qual- cosa. Sembra in effetti che, intendendo in questo modo Aristotele si contraddica. Io ritengo, invece, che possibile che qui Aristotele stia facendo unanticipazione di quanto spiegher in dettaglio suc- cessivamente, per cui egli riferisce, a mio modo di vedere, lespres- sione fotfmv oc soltanto agli enti che non divengono in vista di qualcosa. Il passaggio aristotelico, in altri termini, signicherebbe questo: degli enti in divenire alcuni divengono in vista di qualcosa e altri, invece, no; di questi ultimi (fot fmv oc ), gli uni sono dovuti a deliberazione e vedremo infatti che sono quelli che avvengono a causa della fortuna , e gli altri non sono dovuti a deliberazione e vedremo che sono infatti quelli che avvengono a causa della spon- taneit. Gli uni e gli altri, tuttavia, rientrano ugualmente fra gli enti che sono nalisticamente ordinati. Lespressione cv foi cvco fot non ha infatti, a mio avviso, lo stesso valore dellespressione fo cv cvco fot ivcfoi della li. 196b17, perch Aristotele qui potrebbe voler dire semplicemente che le cose che avvengono a causa della fortuna e della spontaneit (ftq e otfoofov) non sono cose che avvengono in vista di qualcosa (fo o ot), perch in tal caso appar- terrebbero agli ambiti del sempre o del perlopi, tuttavia rientrano ugualmente fra le cose che sono in vista di qualcosa (cv foi cvco fot), sicch diviene chiaro che anche per esse occorre ammettere lin vista di qualcosa, anche se sfuggono agli ambiti del necessario e del perlopi (mofc oqov ofi oi cv foi oqo fo ovooiov oi fo m ci fo ot cofiv cvio cqi o cvoccfoi toqciv fo cvco fot). 366 In questo modo la consequenzialit introdotta da mofc perfettamente evidente. La differenza di interpretazione non di poco conto, perch Aristotele qui stabilirebbe subito che anche ci che proviene dalla fortuna e dalla spontaneit, pur sfuggendo al- lordine e alla regola del nalismo naturale, in realt rientra ugual- 196 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 366 Phys. II 5, 196b19-21. mente nellambito di questo nalismo. Semmai gli rimane da spiega- re come questo sia possibile. La frase seguente (li. 196b21-22), E sono in vista di qualcosa le cose che sono state prodotte sia dal pen- siero razionale sia dalla natura, riguarda a mio avviso gli enti nali- sticamente ordinati e infatti Aristotele dice chiaramente cofi o cvco fot eccetera ma anchessa si riveler signicativa anche per gli enti causati da fortuna o da spontaneit, giacch scopriremo che gli enti causati dalla fortuna sono dovuti a deliberazione e dipendo- no dal pensiero razionale, mentre quelli causati dalla spontaneit non sono dovuti a deliberazione e non dipendono dal pensiero ra- zionale: gli uni e gli altri per rientrano nellordine nalistico della natura. 367 Questa interpretazione , a mio avviso, confermata da quanto Aristotele dice successivamente. Inoltre, nelle opere aristote- liche si riscontra spesso una certa insistenza sullopposizione fra ci che naturale e nalisticamente ordinato e ci che invece arbitra- rio, indeterminato, ovvero causato dalla spontaneit, cio casuale. Si conferma cos la casualit sia come opposizione alla natura in testi come De caelo II 8, 289b25-27 e III 2, 301a11 ss., De gen. et corr. II 6, 333b4-7, De part. anim. I 1, 641b20-23, Rhet. I 10, 1369a32-b5, EE VII 14, 1247a31-33 sia come opposizione specica alla regola- rit nalistica in testi come De gen. et corr. II 6, 333b7-10, De part. anim. I 1, 641b23-28 e I 5, 645a23-25, Rhet. I 10, 1369a32-34, APo. II 11, 95a8 ss. Ma seguiamo il testo aristotelico. Per spiegare che ci sono enti che divengono casualmente, Ari- stotele introduce il concetto di divenire accidentale, dicendo che quando le cose di questo tipo (fo oq foiotfo) 368 divengono acci- dentalmente (ofo otcqo cvqfoi) noi diciamo che derivano dalla fortuna. Del resto, anche in Metaph. E 2, 1026b27-33 Aristo- tele spiega che ci sono enti che esistono allo stesso modo sempre e necessariamente o perlopi, mentre ve ne sono altri che non esisto- no sempre e necessariamente o perlopi, che sono appunto quelli LA FORTUNA E LA SPONTANEIT SONO CAUSE ALTERNATIVE? 197 367 Ci sono anche delle ragioni dipendenti dal linguaggio che Aristotele utiliz- za qui che fanno propendere per questa interpretazione, cf. Appendice ad loc. 368 Con questa espressione fo oq foiotfo Aristotele intende, io credo, le cose che vengono fatte a partire dal pensiero razionale e quelle che vengono fatte dalla natura, per le quali si ammette lin vista di qualcosa sebbene non appartengano n allambito del sempre e necessario n a quello del perlopi. accidentali, dei quali, come dice poco prima alle li. 1026b4-5, non si occupa nessuna scienza. 369 In effetti, continua Aristotele nel no- stro passaggio della Fisica, come ci sono cose per s o per acciden- te (mocq oq oi ov cofi fo cv o0 otfo fo oc ofo otcqo), cos ci sono cause per s e cause per accidente 370 e fa lesempio del- la casa, di cui causa per s ci che capace di costruire (fo oio- ooiov), mentre sono cause accidentali ci che bianco o ci che musico (fo ctov q fo otoiov), che sono accidenti di chi ca- pace di costruire. Questa distinzione di cause per s e cause per ac- cidente pu essere proposta anche come distinzione fra cause de- terminate, che sono le cause per s (fo cv otv o0 otfo oifiov mqiocvov), e cause indeterminate, che sono le cause accidentali (fo oc ofo otcqo ooqiofov), le quali ultime sono innite per ununica e medesima cosa. 371 A questo punto Aristotele aggiun- ge: Come si detto, dunque, quando avviene questo nellambito delle cose che divengono in vista di qualcosa, allora diciamo che <questo derivato> dalla spontaneit e dalla fortuna (ofov cv foi cvco fot ivocvoi fotfo cvqfoi, fofc ccfoi oo fotfoo - fot oi oo ftq), la cui differenza Aristotele annuncia che chia- rir successivamente, mentre per il momento sia chiaro questo, e cio che entrambi sono fra le cose in vista di qualcosa (vt v oc fot fo cofm qovcqov, ofi oqm cv foi cvco fot cofiv). Come si vede, in questo passaggio Aristotele d per scontato che ci che proviene dalla fortuna e dalla spontaneit appartenga allambito delle cose che sono in vista di qualcosa, cosa che egli non ha stabilito alle li. 196b23-29, in cui ha solo introdotto laccidentalit come condizio- ne specica di queste due cause: se Aristotele d per acquisita lap- partenenza di fortuna e spontaneit allambito delle cose che sono in vista di qualcosa, evidentemente lo fa perch egli ritiene di aver- lo detto prima, cio appunto alle li. 196b17-22, cosa che si com- prende solo se si interpreta quel passaggio nel modo che ho propo- sto. Oltre tutto, Aristotele usa la stessa identica espressione di 198 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 369 Cf. anche Metaph. E 2, 1027a20 ss., K 8, 1064b17-1065a6; APo. I 30, 87b19-27. 370 Cf. Metaph. E 2, 1027a7-8. 371 Phys. II 5, 196b23-29. 196b19 alla li. 196b33, e cio oqm cv foi cvco fot cofiv. Lap- partenenza di fortuna e spontaneit allambito delle cose che sono in vista di qualcosa data per scontata sin dalla prima frase, in cui Aristotele dice: quando avviene questo nellambito delle cose che divengono in vista di qualcosa, intendendo quando la causa di natura accidentale. Riassumendo quindi tutto questo discorso di Aristotele, pro- viamo a fare le seguenti distinzioni: I a) ci che avviene sempre e necessariamente o perlopi (196b10-11) b) ci che non avviene n sempre e necessariamente n per- lopi (196b11-13) II a) avvenimenti nalizzati (196b17) b) avvenimenti non nalizzati (196b18) III a) ci che avviene per deliberazione (196b18) b) ci che non avviene per deliberazione (196b18-19) IV a) cause per s (196b24-27) b) cause per accidente (196b24-27) V a) cause determinate (che sono le cause per s 196b27-28) b) cause indeterminate (che sono le cause per accidente 196b28). 372 In tali distinzioni esistono ovviamente alcune corrispondenze: gli avvenimenti nalizzati, cio ordinati sulla base di una causa - nale, della seconda distinzione, corrispondono nella prima distin- zione a ci che avviene sempre e necessariamente o perlopi, men- tre, di converso, gli avvenimenti non nalizzati corrispondono a ci che non avviene n sempre e necessariamente n perlopi. Cos le cause degli avvenimenti nalizzati, che avvengono sempre e ne- cessariamente o perlopi, sono le cause per s della quarta distin- zione, ovvero le cause determinate della quinta distinzione, mentre le cause degli avvenimenti non nalizzati, che non avvengono n sempre e necessariamente n perlopi, sono cause accidentali, ov- vero cause indeterminate. Dopo aver detto quindi che sia ftq che otfoofov rientrano in qualche modo nellambito del nalismo, Aristotele fa il seguente LA FORTUNA E LA SPONTANEIT SONO CAUSE ALTERNATIVE? 199 372 Cf. Phys. II 5, 197a8-21. 5. IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO (PHYS. II 8-9) 5.1. La nalit nella natura (Phys. II 8) Nei capitoli 4-6 del II libro della Fisica, come si visto, Aristo- tele tratta diffusamente della fortuna e della spontaneit perch, dopo aver messo in campo la sua dottrina della causalit in Phys. II 3, diviene necessario spiegare il ruolo che occorre assegnare al ca- so, inteso come qualcosa che si distingue dalla causalit e che, anzi, si contrappone ad essa introducendo uninterruzione nel processo ordinato e regolare di causazione. Tale causalit casuale come ho chiamato complessivamente la causalit che ha alla sua origine la fortuna o la spontaneit , in realt, come ha mostrato ampiamen- te Aristotele, apparente, nel senso che essa non esiste come causalit veramente alternativa rispetto al quadro eziologico primario (quello delle quattro cause, per intenderci), perch, al contrario, essa comprensibile, secondo Aristotele, solo allinterno dellordine ezio- logico descritto in Phys. II 3 e 7. Se la pietra cade e uccide qualcu- no, pu sembrare che essa sia caduta allo scopo di uccidere solo perch interpretiamo quellevento, che deriva dalla spontaneit, tra- mite lo schema causale delle quattro cause, precisamente secondo quella causa nale che si ritiene insita in quellevento. Allo stesso modo, se un tale si reca in piazza, presso la quale non si reca n sempre n perlopi, e qui gli capita di incontrare un suo debitore che non credeva di incontrare perch lo scopo del suo recarsi in piazza era stato altro , e cos pu fortuitamente riscuotere il suo credito, a noi sembra che lazione del creditore di recarsi in piazza a seguito di una deliberazione razionale da individuo adulto sia stata guidata dal ne di riscuotere il suo credito, perch leggiamo la realt tramite le sue strutture eziologiche effettive, nella fattispecie secondo la causa nale, che per non era affatto quella di riscuotere il credito (evento, questultimo, che ha avuto invece come causa la fortuna di avere incontrato per caso il debitore). Per questo moti- vo, dopo aver trattato diffusamente di fortuna e di spontaneit, nel capitolo 7, come si pure visto, Aristotele riprende e ribadisce la sua dottrina delle quattro cause, aggiungendo qualche notazione in pi, della quale ho pure discusso nel terzo capitolo di questo studio. Tutto il discorso n qui fatto da Aristotele, cio tutto quello che egli dice successivamente a Phys. II 3, in realt una preparazione necessaria ad affrontare il problema della nalit e della necessit nel divenire naturale, la cui trattazione occupa i capitoli 8 e 9. In questi due capitoli i discorsi che lo Stagirita ha fatto precedentemente indu- cono a riconoscere senza difcolt allambito della natura un divenire teleologicamente ordinato. Lanalisi della causazione derivante dalla fortuna o dalla spontaneit, da una parte, 396 e la distinzione fra ci che avviene sempre o perlopi e ci che sfugge a questo ambito, non- ch lanalogia tecnica/natura, dallaltra parte, 397 sono tutti strumenti argomentativi che servono a condurre il lettore verso il riconoscimen- to del nalismo naturale. In questi due capitoli nali di Phys. II, quin- di, la nalit fronteggia la necessit, la quale non scompare affatto dallambito della natura, anzi vi trova il suo giusto ruolo e la sua cor- retta collocazione. Questi due punti sono messi in evidenza da Ari- stotele stesso allinizio del capitolo 8, in cui egli afferma che occorre dire prima di tutto (qm fov) perch la natura appartiene alle cause che sono in vista di qualcosa (oio fi q qt oi fm v c vco fot oi fimv) e, secondariamente (c cifo), che occorre discutere del necessario, per individuare in che modo e in che misura esso trovi il suo posto fra gli enti di natura (cqi fot o vooi ot, m c ci c v foi qtoioi ). 398 Questa impostazione che Aristotele d alla sua argomentazione ha lo scopo di tenere legati insieme i capitoli 8 e 9 di questo II li- bro, cos come appare altrettanto interessante, a mio avviso, il fatto che, a dispetto di una distribuzione di argomentazioni che Aristo- tele ha annunciato, per cui dovrebbe parlare prima del nalismo e solo dopo della necessit, la questione della nalit del capitolo 8 invece affrontata a partire dallimpostazione che i loso presocra- 218 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 396 Sulla trattazione aristotelica della teleologia naturale in relazione allanalisi di fortuna e spontaneit si cf. W. Wieland (1993), pp. 325 ss. Sulla necessit-spon- taneit legate alla dottrina di Democrito e la teleologia di Aristotele cf. M.R. John- son (2005), pp. 104 ss. 397 Cf. W. Wieland (1993), pp. 340 ss. 398 Phys. II 8, 198b10-12. tici hanno dato del problema della necessit: nelle dottrine di co- storo, infatti, la necessit ha un ruolo di primo piano. Seguiamo passo passo, come di consueto, il testo aristotelico. Tutti afferma Aristotele riconducono le cose e i fenomeni al- la necessit come causa, dal momento che, poich il caldo per na- tura tale e il freddo anchesso per natura tale e cos ciascuna delle cose di questo tipo, allora siffatte cose sono e divengono necessaria- mente. E infatti, se alcuni di coloro che adducono come causa il ne- cessario parlano di unaltra causa uno, ad esempio, parla di Ami- cizia e Contesa e un altro dellIntelletto , in realt sorano appena il problema di questa causa diversa dalla necessit per poi trascurar- lo. 399 Il riferimento qui , ovviamente, ad Empedocle e ad Anassa- gora, del quale ultimo, in Metaph. A 4, 985a18, Aristotele dice che ricorre allIntelletto solo quando non dispone di spiegazioni di tipo meccanicistico. Limpostazione del discorso non qui molto diver- sa da ci che si legge in De part. anim. I 1, da cui apprendiamo che le spiegazioni meccanicistiche fornite dai siologi presocratici sono del tutto valide ma insufcienti, dal momento che devono essere completate con la conoscenza della forma e del ne. 400 Con questa introduzione Aristotele presenta quella teoria mec- canicistica del divenire naturale sostenuta dai suoi predecessori, che egli imposta in modo pi preciso nelle linee che seguono. 401 La dif- colt (o oqi o) che si presenta, infatti, questa: che cosa impedisce che la natura agisca non in vista di qualcosa n perch il meglio (fqv qtoiv q cvco fot oiciv qo ofi cfiov), bens cos come Zeus fa piovere, e cio non afnch il grano cresca, bens per neces- sit (c ovoq)? Ci che si sollevato in alto, infatti, deve (oci) raffreddarsi e ci che si raffreddato, divenuto acqua, deve ricade- re: quando avviene questo accade (otoi vci) che il grano cresca. 402 Come si vede, con i verbi deve (oci) e accade (otoivci) Ari- stotele sta legando linterpretazione meccanicistica del divenire na- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 219 399 Phys. II 8, 198b12-17. 400 Cf. anche De gen. anim. II 1, 731b20-23. 401 Cf. Phys. II 8, 198b17 ss. 402 A proposito della spiegazione attraverso la causalit efciente dei fenome- ni meteorologici si vd. anche Meteorologica II 9; APo. II 8, 93b8-14; Metaph. Z 17, 1041a24-25. turale, che spiega con la causalit necessaria il mutamento degli en- ti, con la casualit degli effetti di questa causa necessaria: la pioggia un fenomeno che deve prodursi, cio che si produce per neces- sit, ma da tale causa necessaria deriva un effetto che casuale, cio accade che il grano cresca. Similmente continua Aristote- le, insistendo sul legame necessit/casualit , se il grano di qual- cuno marcisce sullaia a causa della pioggia, tuttavia non piovuto in vista del fatto che il grano marcisse, ma semmai accaduto (ot- cqcv) che, per effetto della pioggia, il grano sia marcito. 403 A questo primo esempio Aristotele ne aggiunge un secondo, quello dei denti: sicch, afferma lo Stagirita, che cosa impedisce che si comportino in questo modo anche le parti della natura, ad esempio che per necessit (c ovoq) i denti davanti spuntino aguzzi e adatti a tagliare, mentre i molari spuntino piatti e utili a masticare il cibo e che questo avvenga non in vista del fatto che siano adatti a tali operazioni (ot fotfot cvco cvco0oi), ma soltanto in modo 220 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 403 Questo primo esempio di divenire necessario si legge in Phys. II 8, 198b17- 23. P. Pellegrin (2002), p. 312, fa notare giustamente che se Aristotele fosse convinto che la pioggia avesse come ne quello della crescita del grano saremmo di fronte a un caso in cui un fenomeno orientato verso il bene di unaltra cosa, appunto la crescita del grano, mentre la teleologia aristotelica agisce allinterno di un medesimo ente o fenomeno, nel senso che ciascun ente o fenomeno naturale nalizzato in relazione a se stesso e non ad altro. Ora, il fatto che Aristotele estenda il caso della pioggia che fa crescere il grano alle parti dei viventi, che nello specico dellesempio successivo so- no i denti adatti gli uni, cio i molari, alla masticazione e gli altri, cio incisivi e cani- ni, alla lacerazione dei cibi, induce in effetti a ritenere il fenomeno della pioggia come nalisticamente orientato alla crescita del grano. Questa conclusione tuttavia inge- nua e si rivela errata. Nonostante ci non mi sento di aderire allopinione di Pelle- grin, il quale ritiene che i fenomeni meteorologici, anche se appartengono allambito di ci che accade sempre o perlopi, non possano essere considerati come processi diretti verso/da un ne: Aristotele ci chiarisce a pi riprese, al contrario, che ci che appartiene allambito del sempre e del perlopi nalisticamente ordinato (cf. Phys. II 5) e che ci che appartiene alla natura, cos come il caso dei fenomeni meteorolo- gici, anchesso nalisticamente ordinato (Phys. II 8, 199a7-8). La pioggia, allora, non certamente in vista della crescita del grano, ma rientra nel nalismo della natu- ra in quanto appartiene allambito del sempre o del perlopi, poich essa a parte i casi in cui si verichino fenomeni meteorologici eccezionali quali piogge frequenti destate o caldo dinverno si comporta con una certa regolarit. Quale sia il ne della pioggia Aristotele qui non lo dice perch non gli interessa ai ni del suo discor- so, ma chiaro che non la crescita del grano! A favore dellinterpretazione bio- centrica sono J. Cooper (1982) e D. Furley (1985), contro cui vd. L. Judson (2005). casuale (oo otcociv)? Questo discorso vale anche per altre parti della natura per le quali sembra che sussista ci che in vi- sta di qualcosa (cv oooi ooci toqciv fo cvco fot). Aristotele scrive ooci toqciv fo cvco fot, 404 sollevando la questione, quindi, se il divenire nalisticamente ordinato sia solo apparenza (ooci), se cio siamo noi, arbitrariamente, ad attribuire un certo signicato nalistico ad un divenire che, invece, solo necessa- rio. 405 Come si vede, limpostazione argomentativa sulla base della quale Aristotele sta indagando un esatto ribaltamento di quella che egli ha usato nelle pagine precedenti: nei cap. 3-7 di Phys. II, infatti, il divenire casuale, frutto di fortuna o di spontaneit, era un divenire apparente, mentre il divenire vero e proprio, entro il quale tra laltro era possibile spiegare la casualit, era proprio il divenire teleologicamente ordinato. Qui, invece, dove Aristotele presenta le posizioni dei presocratici, il divenire legato a una legge di neces- sit, mentre gli effetti del divenire sono cose o eventi casuali che derivano per da causa necessaria, il che appare gi di per s una contraddizione. Come possibile infatti che dal necessario derivi lassolutamente non necessario? Ma qui Aristotele dissimula una tale domanda e semplicemente aggiunge unargomentazione che mette in ridicolo la dottrina meccanicistica. Dice infatti, prose- guendo la sua argomentazione sulla base delle teorie presocratiche, che tutte le cose che casualmente sono divenute come se fossero in vista di qualcosa (oovfo otvcq mocq ov ci cvco fot civcfo), sono sopravvissute (fotfo cv com0q oo fot otfoofot otofovfo cifqocim), in quanto si erano costituite in modo conveniente alla loro sopravvivenza, anche se derivavano da causa spontanea, men- tre sono perite e periscono quante non sono divenute come se fos- sero in vista di qualcosa, in quanto non si sono costituite in modo conveniente alla loro sopravvivenza, come nel caso dei vitelli dalla faccia umana di cui ci riferisce Empedocle. 406 Laspetto singolare IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 221 404 Phys. II 8, 198b28-29. 405 Phys. II 8, 198b23-29. 406 Phys. II 8, 198b29-32. Per quanto concerne Empedocle si cf. il fr. 31 B 61 DK. In questa impostazione del problema da parte di Aristotele, Ross nella sua trad. del 1936, p. 78, ha visto una brillante anticipazione della teoria evoluzionisti- ca di Darwin; cf. . Gilson (1971) e anche il recente saggio di D. Depew (1997). di questa argomentazione consiste nel fatto che il meccanicismo presocratico deve ammettere il come se, in quanto nellaffermare un divenire necessario deve connetterlo almeno ad un nalismo apparente, perch sono sopravvissute e sopravvivono soltanto quelle cose che, divenute a causa della spontaneit e quindi casual- mente, tuttavia avevano determinazioni teleologiche, cio sono di- venute come se fossero in vista di qualcosa. La presentazione della teoria meccanicistica sostenuta dai pre- socratici cos inciata sin dallinizio, e sin dallinizio Aristotele ha fatto in modo di impostare la questione sulla base delle argomenta- zioni che egli aveva sviluppato nei capitoli precedenti, e cos la con- futazione del meccanicismo ne consegue facilmente. Vediamo infat- ti i termini in cui si articola il discorso n qui fatto, cio i termini con i quali Aristotele ha impostato la dottrina del meccanicismo na- turale alle li. 198b17-32: in contrapposizione al divenire in vista di qualcosa viene proposta lopzione della causalit per necessit, q c vco fot (198b18) - c o vo q/oci (198b19), che viene subito col- legata ad effetti casuali, otoivci (198b21), otcqcv (198b23), otcociv (198b27), i quali quindi, con un passaggio ardito di Ari- stotele, hanno la spontaneit, oo fot otfoofot (198b30), come loro causa o, almeno, come causa concomitante. 407 Gli enti che di- vengono in questo modo e sopravvivono sono comunque strutturati secondo una teleologia apparente, cio secondo una teleologia del sembra o del come se, ooci (198b28), mocq ov ci (198b29). Detto questo, Aristotele subito pronto a sferrare il suo attac- co al meccanicismo, perch nel presentare laporia egli ha contem- poraneamente aflato le sue armi. Largomento che segue imme- diatamente, infatti, e che il primo di quattro argomenti a favore del nalismo naturale da cui poi vengono tratte le conseguenze, non potrebbe essere presentato in modo cos diretto se Aristotele non ritenesse a buon diritto di aver mostrato in seno al problema del meccanicismo naturale il ruolo che in esso occupa il caso sot- 222 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 407 In Phys. II 6, infatti, Aristotele ha mostrato che fortuna e spontaneit sono cause diverse, ma che la fortuna rientra nel campo pi vasto della spontaneit, che quindi la comprende. Parlare qui di enti o di avvenimenti che derivano dalla spon- taneit signica, quindi, indicare in generale il caso come causa. to forma di spontaneit che il lettore della Fisica ben conosce dai capitoli 4-6. Largomento con cui qualcuno potrebbe sollevare difcolt, egli dice, questo (otfo) cio quello spiegato con gli esempi della pioggia e dei denti e concluso con largomentazione secondo cui sembrerebbe che ci sia stata una sorta di selezione naturale fra gli enti e che si siano conservati soltanto quelli conformi a una - nalit apparente o qualche altro dello stesso genere (fi oo foiotfo), ma in realt impossibile che le cose stiano in questo modo. Infatti continua Aristotele controbattendo il meccanici- smo naturale con il suo primo argomento , tutte le cose che sono per natura divengono in un modo determinato o sempre o perlo- pi, mentre nessuna delle cose che derivano dalla fortuna o dalla spontaneit diviene sempre o perlopi in un modo determinato. 408 Noi non riteniamo, infatti, che derivi da fortuna o da mera coinci- denza (oo ftq oto oo otfmofo) il fatto che piove spesso dinverno, ma lo pensiamo se piove destate, 409 n riteniamo che derivi da fortuna o da mera coincidenza il fatto che fa caldo desta- te, ma lo penseremmo se facesse caldo dinverno. Se quindi le op- zioni di scelta che Aristotele ci suggerisce sono due, e cio che le IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 223 408 Nella sua traduzione commentata del II libro della Fisica, O. Hamelin, pp. 149-150, suggerisce di scomporre questo argomento in tre ragionamenti successi- vi: 1) le produzioni e le operazioni della natura sono costanti; nulla di ci che co- stante accidentale o fortuito, di conseguenza, nessuna delle produzioni e opera- zioni della natura accidentale o fortuita (198b34=199a3); 2) le produzioni della natura sono o fortuite o nali; le produzioni della natura non sono fortuite, di conseguenza, le produzioni della natura sono nali; 3) le produzioni della natura sono nali, le parti degli animali e altri oggetti analoghi sono produzioni della na- tura (come ritengono anche i negatori della nalit), di conseguenza, le parti degli animali eccetera sono nali. Il cuore dellintero argomento risiede evidentemente nel secondo ragionamento, in cui Aristotele afferma che le produzioni della natura non possono essere che fortuite o nali. Una tale affermazione ci mostra il legame fra lidea di nalit e quella di regolarit, intesa come ci che si genera sempre o perlopi. Implicitamente, infatti, si trova rigettata una terza possibilit, che consi- sterebbe, per le produzioni della natura, di essere costanti o regolari senza per essere nali. Se Aristotele rigetta questa possibilit senza dubbio perch, fra la causa nale e il caso, non ci potr essere, ai suoi occhi, un terzo termine, per la semplice ragione che non c nulla oltre allordine e al disordine come contrari. 409 A proposito di una possibile contraddizione fra questo passaggio e quanto Aristotele ha affermato alle li. 198b18 ss. discuter pi avanti. cose o sono frutto di coincidenza oppure sono in vista di qualcosa e, come abbiamo visto per gli esempi fatti, escludiamo la possibilit che i fenomeni menzionati siano frutto di coincidenza o di sponta- neit, perch essi avvengono regolarmente sempre o perlopi, resta soltanto laltra opzione, e cio che i fenomeni menzionati avvengo- no in vista di qualcosa. Inoltre, tutti gli esempi che sono stati ad- dotti da Aristotele riguardano fenomeni naturali, come riterrebbe- ro anche i meccanicisti, per cui ne consegue che ci in vista di cui appartiene anche alle cose che divengono e sono per natura. 410 Detto questo Aristotele passa al secondo argomento contro il meccanicismo naturale: E ancora, nelle cose in cui c un termine ultimo, ci che viene prima e ci che viene dopo sono compiuti in vista di esso (cfi cv oooi fco cofi fi, fotfot cvco qoffcfoi fo qofcqov oi fo cqcq). Orbene, ciascuna cosa come viene compiuta cos diviene naturalmente e come diviene naturalmente cos viene compiuta se nulla lo impedisce (ototv m qoffcfoi, otfm cqtc, oi m cqtcv, otfm qoffcfoi coofov, ov q fi cooiq). 411 Ma <ci che viene compiuto> viene compiuto in vista di qualcosa, quindi diviene in vista di qualcosa anche ci che divie- ne naturalmente (qoffcfoi o cvco fot oi cqtcv oqo cvco fot). 412 Ad esempio, se una casa fosse una delle cose che divengo- no per natura, essa sarebbe divenuta cos come ora compiuta per opera della tecnica (oiov ci oiio fmv qtoci ivocvmv qv, otfm ov civcfo m vtv to fq fcvq), mentre se le cose naturali di- venissero non soltanto ad opera della natura, ma anche ad opera della tecnica, esse diverrebbero allo stesso modo in cui divengo- no per natura. Quindi luna cosa in vista dellaltra (ci oc fo qtoci q ovov qtoci oo oi fcvq ivoifo, mootfm ov ivoifo q cqtcv. cvco oqo 0ofcqot 0ofcqov). 413 Occorre a questo punto spendere qualche parola per rendere pi chiaro ci che Aristotele dice in questo secondo argomento, che occupa le li. 199a8-15: in primo luogo, quando dice che nelle cose in cui c un ne ci che viene prima e ci che viene dopo so- 224 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 410 Phys. II 8, 198b32-199a8. 411 Phys. II 8, 199a8-11. 412 Phys. II 8, 199a11-12. 413 Phys. II 8, 199a12-15. no compiuti in vista di quel ne, Aristotele sta mettendo in campo il doppio signicato di fco che ci ha insegnato in Phys. II 2, 194a27 ss., poich i termini ci che viene prima e ci che viene dopo, fo qofcqov oi fo cqcq, hanno senso soltanto allinter- no di un nalismo processuale, allinterno cio di un divenire che in ogni momento del movimento che lo realizza determinato na- listicamente, e quindi fco ci in vista di cui che diviene ter- mine ultimo, coofov, nello stato di perfetto compimento del pro- cesso. Questa precisazione diviene chiara attraverso la lettura dei commentatori: sia Temistio che Simplicio hanno inteso fco nel senso di termine ultimo, cio nel senso di coofov indicatoci da Aristotele in Phys. II 2, per cui Simplicio accusa Aristotele di avere proposto un argomento tautologico. 414 In realt, invece, soltanto dove c processualit c un antecedente e un susseguente, come qui indica Aristotele. Detto questo Aristotele scrive: ototv eccete- ra. Questo termine, come fa ben notare P. Pellegrin, 415 non indica la conseguenza della frase precedente, ma indica che, una volta de- limitato il campo di pertinenza di questa seconda argomentazione tramite la frase precedente, largomentazione vera e propria pu essere messa in atto ed la seguente: si stabilisce una relazione re- ciproca fra il divenire articialmente e il divenire naturalmente, qoffcfoi/cqtc, per cui, siccome lessere compiuto, il qof- fcfoi, in vista di qualcosa (cvco fot), la conseguenza che an- che il divenire naturalmente, il cqtc, in vista di qualcosa. Que- sta relazione fra essere compiuto ed essere per natura di fat- to la medesima relazione che sussiste fra il divenire tecnico e il di- venire naturale, 416 ma si scopre che, come Aristotele chiarisce alle li. 199a13-15, questa relazione non biunivoca, perch se gli og- getti prodotti dalla tecnica divenissero ad opera della natura essi sarebbero prodotti dalla natura allo stesso modo in cui sono pro- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 225 414 Cf. Simplicio, In Phys. 375,15 ss. e Temistio, In Phys. 60,15 ss. 415 Vd. la trad. di P. Pellegrin, p. 151 nota 3. 416 In Phys. III 1-2 Aristotele stabilisce una chiara relazione fra oiqoi e ivqoi (cf. G.R. Giardina (2005), pp. 115 ss.) a cui occorre aggiungere certamen- te larea semantica di qoffm. Occorrerebbe uno studio approfondito che eviden- ziasse in modo puntuale la relazione fra questi tre termini almeno negli scritti principali di Aristotele. dotti dalla tecnica e, allo stesso modo, gli enti naturali, se divenis- sero tecnicamente, diverrebbero allo stesso modo in cui divengono per natura ma con laccorgimento e Aristotele non manca di sot- tolinearlo che questo avverrebbe se le cose naturali divenissero non soltanto ad opera della natura ma anche ad opera della tecni- ca, il che non accade. La conseguenza quindi che luna cosa in vista dellaltra (cvco oqo 0ofcqot 0ofcqov), a mio avviso, nel senso che il divenire tecnico un divenire di tipo teleologico in virt del fatto che il divenire naturale teleologico 417 e non vicever- sa, perch la tecnica trae dalla natura il modello della sua operati- vit, cio il divenire tecnico improntato sul divenire naturale e non viceversa. Se quindi nel percorso metodologico della cono- scenza scientica noi partiamo da ci che meglio conosciuto per noi e, quindi, dal divenire tecnico teleologicamente strutturato pos- siamo dedurre che il divenire naturale anchesso teleologicamente strutturato. Tuttavia, secondo ci che meglio conosciuto per na- tura e quindi scienticamente le cose stanno al contrario, cio il divenire tecnico di tipo nalistico perch di tipo nalistico il di- venire naturale che gli fa da modello. Che Aristotele qui voglia dire esattamente questo si evince dal passaggio che segue, in cui egli ri- badisce chiaramente questo stesso concetto: alle li. 199a15-20 418 226 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 417 P. Pellegrin traduce: Donc lantrieur est en vue du postrieur e allo stesso modo intende anche Carteron. Pellegrin, evidentemente, recupera la frase di Aristotele delle li. 199a8-9, cio cfi cv oooi fco cofi fi, fotfot cvco qoffcfoi fo qofcqov oi fo cqcq, che forse gli appare isolata nel caso in cui non la si ri- prendesse in questo luogo, anche se ripresa alle li. 199a18-20. In realt, a me sembra che quella frase sia un primo passo dellargomentazione aristotelica, che si svolge secondo queste sequenze: 1) nel divenire tecnico, qoffcfoi, c una pro- cessualit nale fatta di termini antecedenti e termini susseguenti, cio fatta di mo- menti o movimenti consecutivi (198b8-9); 2) fra il divenire tecnico e il divenire na- turale c relazione reciproca (qoffcfoi/cqtc 198b9-11), quindi il nalismo relativo al divenire tecnico appartiene anche al divenire naturale (198b11-12); 3) il divenire tecnico e il divenire naturale non sono della stessa qualit o valore, per- ch il divenire tecnico ha il suo modello nel divenire naturale e non viceversa (198b15). Per un pi ampio commento di questa espressione aristotelica rimando allAppendice. 418 Questo passaggio non costituisce quindi unargomentazione nuova (vd. ad esempio la trad. di Carteron che, sulla scorta di A. Mansion (1945), p. 256, lo ri- tiene essere una nuova argomentazione) rispetto alla precedente a favore del nali- smo naturale, ma solo il completamento della seconda argomentazione. Aristotele scrive infatti: In generale la tecnica, da un lato realizza le cose che la natura incapace di produrre, ma dallaltro lato la imita (om oc q fcvq fo cv cifcci o q qtoi ootvofci ocqo- ooo0oi, fo oc icifoi). 419 Se dunque gli oggetti articiali sono in vista di qualcosa, chiaro che lo sono anche gli enti naturali, per- ch i susseguenti e gli antecedenti stanno fra loro allo stesso modo nel caso degli oggetti articiali e nel caso degli enti naturali (ci otv fo ofo fcvqv c vco fot, oqov o fi oi fo ofo qt oiv o oi m o q cci qo oqo cv foi ofo fcvqv oi cv foi ofo qtoiv fo tofcqo qo fo qofcqo). A proposito di Phys. II 1 ho gi mo- strato, spero sufcientemente, che il rapporto analogico tecni- ca/natura, che funzionale ad Aristotele per denire e compren- dere la natura, non tuttavia un rapporto biunivoco: 420 la tecnica infatti una derivazione dalla natura, perch soltanto un procedi- mento che gli uomini traggono dal modello naturale che imitano, e non viceversa. Ora, io non credo che Aristotele in questo passaggio di Phys. II 8 voglia dire che la tecnica, che ha questo rapporto di imitante-imitato con la natura, addirittura porti a compimento (cifcci), come qualcuno intende, ci che la natura non ha la ca- pacit di produrre pienamente (ootvofci ocqoooo0oi), credo in- vece che egli, coerentemente con il discorso che ha condotto n qui, intenda dire che la tecnica esegue i suoi oggetti secondo una procedura nalisticamente ordinata che conduce no al termine ultimo, cio no allacquisizione della forma artistica il verbo cifcciv composto da ci e fccm, e signica quindi mandare ad effetto, eseguire cio no al termine ultimo, realizzare il fco inteso quale processualit che si compie no in fondo , e che que- sti suoi oggetti sono quelli che la natura non ha capacit di portare IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 227 419 Su questo punto alcuni critici moderni di Aristotele hanno sostenuto che egli sarebbe vittima di pregiudizzi antropomorci, sulla base dei quali ha assimila- to le produzioni della natura a quelle della tecnica umana. Contro laccusa di an- tropomorsmo si gi diffusamente soffermato a mostrarne linfondatezza A. Mansion (1945), pp. 261 ss. La questione affrontata anche da J. Follon (1988), passim. 420 L. Couloubaritsis (1991), pp. 142-143, sottolinea anche a proposito di questo passaggio, come lanalogia tecnica/natura, al di l del ruolo metodologica- mente efcace che Aristotele riconosce alla tecnica al ne di conoscere la natura, non affatto simmetrica. a compimento, perch non sono enti naturali. Se riprendiamo le- sempio della casa che Aristotele ha fatto prima, non avremo dif- colt ad ammettere che la natura non ha affatto capacit (o otvofci ) di eseguire la costruzione di una casa, cio di un oggetto articiale, ma se potesse lo farebbe come lo fa la tecnica che infatti imita- zione della natura , cio in modo nalisticamente ordinato. A questo punto Aristotele ha ragione di dire che chiaro (oqov) che c nalit nella natura cos come c nella tecnica, poich sia nel caso del divenire tecnico sia nel caso del divenire naturale le se- quenze processuali di ogni tipo di movimento hanno la medesima processualit consequenziale. Per riepilogare, allora: nella prima argomentazione Aristotele si avvalso del sempre e del perlopi in contrapposizione al divenire casuale al ne di mostrare che i fenomeni menzionati rientrano perfettamente nellordinamento teleologico, dopo di che, sottoli- neando che tali fenomeni sono naturali, ne ricava che il divenire naturale nalisticamente ordinato. Nella seconda argomentazione Aristotele si avvale invece dellanalogia natura/tecnica, per mostra- re che il divenire tecnico nalisticamente determinato e, poich il divenire tecnico ha come suo modello il divenire naturale, la conse- guenza che c nalismo anche nel divenire naturale. In entrambe le argomentazioni la conclusione sempre la stessa: c nalismo nel divenire naturale. La terza argomentazione occupa le li. 199a20-32: 421 il nalismo naturale appare chiaro soprattutto, dice Aristotele, se si osservano gli animali diversi dalluomo, i quali non agiscono n per tecnica, n perch hanno condotto una ricerca, n perch hanno delibera- to. A partire da qui, cio dal fatto che comunemente agli animali diversi dalluomo non viene riconosciuta attivit razionale, si spie- ga come taluni si pongano il problema se i ragni e le formiche e gli animali del genere operino in virt dellintelligenza o in virt di qualcosaltro. Inoltre, a chi si spinge un po pi avanti su questa ri- essione apparir chiaro che anche per quanto concerne le piante si producono fenomeni convenienti al ne: ad esempio, le foglie 228 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 421 Per A. Mansion (1945), p. 257, queste linee costituirebbero la quarta ar- gomentazione di Aristotele. hanno come ne la protezione del frutto, sicch, afferma Aristote- le, se la rondine fa il suo nido e il ragno fa la ragnatela in vista di un ne, e le piante fanno le foglie in vista dei frutti e le radici rivol- te non verso lalto ma verso il basso in vista del nutrimento, allora chiaro che nelle cose che divengono e che sono per natura la causa di questo tipo, cio una causa nale. E poich la natura dupli- ce, 422 da un lato materia e dallaltro lato forma (oqqq), ma que- stultima il ne (fco o otfq), mentre le altre cose sono in vista del ne (fot fcot oc cvco foo), <allora> la <natura come for- ma> sar la causa in vista di cui (otfq ov ciq q oifio, q ot cvco), cio la causa nale. 423 A partire dalla li. 199a33 Aristotele espone il suo quarto argo- mento a favore del nalismo naturale, cio largomento degli erro- ri tecnici e di natura, ovverosia dei monstra. Errori, dice lo Stagiri- ta, ne avvengono anche nel caso degli oggetti articiali: chi sa scri- vere non ha scritto correttamente (oq0m); il medico ha sommini- strato un farmaco non correttamente, sicch chiaro (mofc oqov) che errori sono ammessi anche nel caso degli enti naturali. Se dun- que ci sono oggetti articiali per i quali il correttamente in vi- sta di qualcosa (fo oq0m cvco fot) e ci sono oggetti articiali nei quali presente lerrore, perch erano stati intrapresi in vista di un ne determinato ma questo ne stato mancato, similmente po- trebbero stare le cose per quanto concerne gli enti naturali ed i mostri sono errori rispetto al ne determinato che il processo ave- va in vista. 424 Questa impostazione di discorso permette di dare una risposta alla dottrina di Empedocle, a cui Aristotele aveva fatto riferimento in seno allesposizione del meccanicismo sico dei presocratici, cio alle li. 198b29-32, che aggiungeva allimpostazione meccanici- stica largomento della selezione naturale: a partire da 199b5 Ari- stotele precisa che, per quanto concerne gli enti che si sono costi- tuiti nella fase iniziale (cv foi c oqq oqo otofoocoi), se i vitelli IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 229 422 Cf. Phys. II 1, 193a28-31. 423 Phys. II 8, 199a30-32. Queste linee non costituiscono, come qualcuno le considera, un argomento diverso dal precedente, ma sono il completamento del terzo argomento a favore del nalismo naturale. 424 Cf. De gen. anim. IV 3, 767b6 ss. dalla faccia umana non furono capaci di andare verso un termine determinato (qo fivo oqov oi fco otvofo qv c0civ), cio ver- so un ne inteso come acquisizione perfetta della forma di cui il soggetto era privo allinizio del processo di divenire, questo avve- nuto per la corruzione del principio specico (oioq0ciqocvq ov oqq fivo civcfo), cos come ora (vtv) cio ai tempi attuali in cui scrive Aristotele in contrapposizione alla fase iniziale della co- stituzione degli enti avviene nel caso del seme che si corrotto. 425 E ancora (cfi), aggiunge Aristotele, necessario che il seme stia prima, ma che i viventi non seguano subito; lespressione empedo- clea liniziale indifferenziato naturale, precisa Aristotele, signica appunto seme. 426 Questa aggiunta di Aristotele, come ha ben no- tato il Ross, costituisce una critica supplementare ad Empedocle che non si integra in modo consequenziale con largomento appe- na svolto: essa potrebbe signicare che inaccettabile che la for- mazione originaria degli esseri viventi derivi da una materia che non contiene in s un principio nalisticamente orientato verso una generazione determinata, tuttavia, come fa notare Simplicio, In Phys. 382,12 ss., probabile che qui Aristotele stia piuttosto obiet- tando ad Empedocle che, in conseguenza della sua dottrina, egli obbligato a sostenere che il seme preceda il vivente, una posizione che evidentemente inammissibile dal punto di vista aristotelico. E ancora (cfi), aggiunge Aristotele, rincarando la dose contro Empe- docle, anche nelle piante presente ci in vista di cui, anche se in modo meno articolato che fra gli animali, quindi, analogamente ai vitelli dalla faccia umana, dovevano originarsi anche viti dalla- spetto di ulivi: si tratta evidentemente di unassurdit, ma se avve- niva fra gli animali loriginarsi di mostri, allo stesso modo si deve supporre che avvenisse nel caso delle piante. Peraltro anche i semi stando a quanto dice Empedocle dovevano originarsi in modo casuale (om cftcv). A questo punto lo Stagirita ha il quadro completo e pu trarre le sue conseguenze conclusive. 230 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 425 Questo argomento del seme corrotto, che produce mostri per il fatto che il seme maschile non riesce a dominare la materia femminile, si riscontra in De gen. anim. IV 4, 770b21 ss. 426 Cf. il fr. di Empedocle 31 B 62 DK. In generale, egli dice, chi parla in questo modo elimina sia gli enti naturali sia la natura, perch sono per natura tutte quelle cose che, essendo mosse in maniera continua da un certo principio che in esse, pervengono a un certo ne (om o ovoiqci o otfm cmv fo qtoci fc oi qtoiv qtoci oq, ooo oo fivo cv otfoi oqq otvcm ivotcvo oqivcifoi ci fi fco): da ciascun principio non nasce per la stessa cosa in ciascun caso particolare, n nasce una cosa qualsiasi, ma sempre ciascuna cosa tende verso il medesi- mo ne, se nulla lo impedisce (oq coofq oc ot fo otfo coofoi otoc fo ftov, o ci cvfoi ci fo otfo , o v q fi c ooioq ). 427 In tal modo Aristotele fornisce una spiegazione chiarissima del suo nalismo naturale: gli enti naturali sono dotati di un principio interno che appunto la natura, come abbiamo appreso da Phys. II 1, 192b13-14 e 20-23 , dal quale proviene il loro movimento continuo, che una processualit che conduce sempre verso un - ne determinato, cio verso un punto di arrivo determinato. Quan- do poi Aristotele afferma che da ciascun principio non nasce la stessa cosa in ciascun caso particolare, egli potrebbe voler dire, ad esempio, che da ciascun seme umano non nasce n sempre lo stes- so uomo, n un ente qualsiasi a caso, perch nasce comunque luo- mo, in quanto sempre ciascuna cosa tende verso il medesimo ne, cio il seme umano tende sempre verso la generazione delluomo, ovviamente se nulla lo impedisce. Ci in vista di cui, cio il ne, e ci che in vista di questo ne, cio i mezzi (fo oc ot cvco, oi o fotfot cvco) continua Aristo- tele per riepilogare il suo discorso potrebbero divenire anche a partire dalla fortuna (oi oo ftq), come ad esempio quando di- ciamo che lo straniero venuto fortuitamente e se ne andato do- po aver liberato il prigioniero (toocvo), 428 perch costui avreb- be agito come se fosse venuto in vista di questo, mentre non era ve- nuto in vista di questo. Ma un esito di questo tipo accidentale, IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 231 427 Phys. II 8, 199b14-18. 428 Questo termine, accolto sia da Ross che da Carteron, ha diverse varianti, come si pu riscontrare dai relativi apparati critici, di cui una, otoocvo, pure attestata da Simplicio, In Phys. 384,13. Io ho considerato qui che toocvo signi- chi liberare il prigioniero, ma qualcuno traduce dopo aver pagato, cf. la trad. di F. Franco Repellini, p. 108. perch la fortuna, come si gi detto precisa Aristotele , appar- tiene alle cause accidentali. Quando per un fatto avviene sempre o perlopi, allora non sussiste accidentalit, cio n fortuna n spontaneit, e nelle cose e negli avvenimenti della natura tutto av- viene, appunto, sempre o perlopi, se nulla lo impedisce. Di conse- guenza, si potrebbe aggiungere, nelle cose e negli avvenimenti del- la natura tutto avviene secondo un ordine teleologico. Inne, as- surdo afferma Aristotele che non si creda nel divenire nalisti- camente ordinato per il fatto che non si possa osservare ci che muove nellatto di deliberare. Di certo neppure la tecnica delibera, e infatti se la tecnica di costruzione navale fosse interna al legno es- sa agirebbe in modo simile a come agisce la natura. Questo mo- strato in modo massimamente chiaro, aggiunge Aristotele, nelle- sempio del medico che guarisce se stesso, perch la natura simile a costui (fotfm o q coicv q qt oi). 429 Quando Aristotele afferma che assurdo che non si creda nel divenire nalisticamente ordinato per il fatto che non si possa os- servare ci che muove nellatto di deliberare, egli ci d chiara per- cezione del fatto che il dominio privilegiato della spiegazione cau- sale tramite la causa nale quello delle azioni e delle produzioni umane. In questo egli tiene evidentemente conto dellopinione tra- dizionale e del pensiero presocratico che, come ho gi detto allini- zio di questo studio, avverte la nalit come qualcosa che non ap- partiene tanto allambito della natura quanto allambito dellazione umana. Mentre per gli antichi siologi hanno ignorato pressoch totalmente la causalit nale, ricorrendo al contrario alle sole cause materiale ed efciente, nelluniverso antropologico, invece, la causa nale svolge un ruolo privilegiato, trovando largo spazio sia nel- lambito delletica che in quello della tecnica. Platone, che si im- pegnato a fondo in questioni etico-politiche ed ha molto riettuto sul ruolo e sul valore della tecnica, 430 ci ha fornito esempi di causa- lit nale vista o come il bene immanente allazione umana, sia in- 232 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 429 Ritengo che il senso di questultimo inciso aristotelico sia questo: nel caso del medico che cura se stesso, il soggetto che agisce lo stesso che loggetto su cui agisce, come dire che la natura, cio luomo che viene curato, e luomo medico, cio il tecnico che lo cura, coincidono. 430 Cf. non solo G. Cambiano (1980); Id. (1991), ma anche M. Vegetti (1998). dividuale che collettiva, oppure come una perfezione estetico-ma- tematica che costituisce lordine delluniverso, anche se in modo estrinseco. Egli, come ho gi sottolineato, ha considerato la nalit o come interna allagire umano o come esterna alluniverso sico. Al contrario di ci che si riscontra sia nei loso presocratici sia in Platone, Aristotele dimostra, sulla base della struttura della natura che ha cominciato a delineare a partire dai suoi fondamenti nel li- bro I della Fisica, che il nalismo qualcosa di immanente alla na- tura, ch anzi la natura stessa la causa nale. Tuttavia, egli ha percezione del fatto che, sia nellopinione comune sia nel pensiero losoco dei suoi predecessori, la causa nale considerata tipica della sfera etico-politica e della tecnica e, per questo motivo, sente lesigenza di sottolineare che assurdo che si neghi la nalit della natura soltanto perch non si vede deliberare il principio motore, cio la natura stessa. 431 Anche la tecnica del resto che conside- rata ambito privilegiato della causa nale non delibera. Non un caso, come si pu notare, che Aristotele abbia istitui- to sin dallinizio di Phys. II un rapporto analogico della tecnica con la natura, analogia che appare strumentalmente utile alla sua argo- mentazione: se la tecnica ambito privilegiato della spiegazione tramite la causa nale, lanalogia fcvq/qtoi era destinata sin dal- linizio a condurre allargomento del nalismo naturale. E in effetti non si vede come nel campo della tecnica si possa sfuggire alla spiegazione di tipo nalistico. Non potremmo, ad esempio, spiega- re lesistenza di una statua adducendo come causa solo il movimen- to delle mani dello scultore che lha creata, poich chiaro che i prodotti dellarte umana, cos come i movimenti di coloro che li producono, sono sempre in vista di qualcosa. Cos, se domando a IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 233 431 A questo proposito interessante ci che dice P. Pellegrin (2002), pp. 318-319: molti passaggi aristotelici potrebbero far ritenere che la natura delibera, perch essa sceglierebbe ad esempio di fare a certi animali i denti anzich le corna per conseguire un ne, quale quello della difesa dai nemici. In realt, sottolinea il Pellegrin, tutti i termini che potrebbero indurre a ritenere che la natura delibera sono metaforici, perch, se la generazione naturale nalisticamente determinata grazie al fatto che esiste un individuo in atto che funge da generante e che possie- de la medesima propriet formale di ci che viene generato, allora non esistono soluzioni diverse e possibili n incertezze relative a quel processo generativo e quindi non pu esserci deliberazione. qualcuno perch il mio vicino fa una passeggiata ogni pomeriggio, non mi contenter di una risposta secondo cui la causa di quella passeggiata sia un certo numero di tensioni muscolari nelle gambe dellinteressato, o che le gambe siano strutturate in modo che tali tensioni muscolari si rendano possibili, cio non mi contenter di una semplice spiegazione meccanica; al contrario, la mia curiosit sar ben soddisfatta se mi si risponder ad esempio che la persona in questione passeggia quotidianamente per mantenere la sua salu- te o per tornare sano. Come Aristotele stesso ha insegnato introdu- cendo la causa nale in Phys. II 3, 194b33-35, la salute il ne del passeggiare, per cui alla domanda perch passeggia? (oio fi oq cqiofci) rispondiamo: per essere sano (ivo tioivq), e dicen- do cos riteniamo di aver fornito la causa (fo oifiov). Si tratta, co- me si ricorder, di una considerazione che avevamo sentito fare gi al Socrate del Fedone platonico a proposito dello stare seduto. 432 Ora, per Aristotele del tutto lecito passare dalla spiegazione tra- mite la causa nale propria del dominio delle azioni umane alla medesima spiegazione nel dominio della natura, perch, dal mo- mento che la tecnica imita la natura, questultima dovr compor- tarsi necessariamente allo stesso modo della tecnica che la imita. Se vero che la tecnica imita la natura, quindi, come ho gi detto, al- lora la tecnica mutua dalla natura la struttura causale che ordina il mondo naturale. Ci che imitato, ovviamente, presupposto e sta prima di ci che imita, quindi la natura precede la tecnica, che da essa trae la sua struttura causale. E ancora, in Phys. II 8 esatta- mente questo il signicato che si attribuito al passaggio 199a15- 20 in cui Aristotele scrive che la tecnica da un lato realizza le cose che la natura incapace di produrre, ma dallaltro lato la imita. 433 234 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 432 Platone, Fedone, 97b-99d, cf. Timeo 47e-48a. 433 A questo proposito J. Follon (1988), p. 335, fa un esempio che rende faci- le comprendere questo discorso: coloro che costruiscono laereo con il ne che questo voli lo costruiscono imitando gli uccelli che volano, per cui danno allaereo una forma aerodinamica nonch le ali, come nel caso degli uccelli che ne costitui- scono il modello naturale. Ma se le ali dellaereo sono fatte perch questo voli, co- me si potrebbe negare che le ali delluccello siano fatte perch voli esso pure? Non si sarebbe mai avuta lidea di costruire le ali dellaereo perch questo voli se non si fosse avuta prima lidea che le ali delluccello servissero per questo ne. Allora, se nella tecnica c nalit, anche nella natura, che la tecnica imita, c nalit. Dal fatto poi che la tecnica non delibera, Aristotele ha tratto, come si visto, la conseguenza che, se la tecnica di costruzione na- vale fosse interna al legno, essa agirebbe in modo simile a come agisce la natura, e che questo mostrato in modo massimamente chiaro nellesempio del medico che guarisce se stesso, perch la na- tura simile a costui. In altri termini, Aristotele ci sta rimandando a un discorso che egli ha gi fatto in Phys. II 1, 192b12 ss. In quel passaggio Aristotele, infatti, aveva detto che gli enti naturali sono differenti da quelli che non sono costituiti per natura, per il fatto che gli enti naturali hanno un principio di movimento e di quiete che loro immanente. Alla ne di Phys. II 8, infatti, il problema consiste ancora in questa distinzione fra enti naturali ed enti pro- dotti dalla tecnica, perch se questi ultimi avessero il principio del divenire in se stessi allora agirebbero allo stesso modo della natura, come nellesempio specico della tecnica di costruzione di navi qualora questa fosse dentro il legno. 434 In Phys. II 1, tuttavia, come si ricorder, il pericolo di confusione fra enti naturali ed artefatti consisteva nel fatto che agli artefatti accade di avere un principio interno di divenire, precisamente un impulso connaturato di mu- tamento (oqqv cfooq cqtfov), nella misura in cui sono fatti di materia naturale, motivo per cui Aristotele sente la necessit di dover precisare laccidentalit della presenza interna allartefatto di questo impulso al divenire. Aristotele cerca di precisare tale acci- dentalit attraverso lesempio del medico che torna sano. In Phys. II 8 il medico che torna sano un esempio massimamente chiaro, dice Aristotele, ma solo in rapporto allesempio del caso in cui la tecnica di costruzione navale fosse interna al legno: in questultimo caso il principio produttivo, cio appunto la tecnica di costruzione navale, agirebbe da principio interno di mutamento e quindi agi- rebbe in modo simile a come agisce la natura (ma questo non acca- de, come si visto, tanto vero che se si pianta il legno di cui fat- to un letto, non nasce un letto, ma una pianta dello stesso legno). Nel caso del medico che torna sano la tecnica, nella fattispecie la tecnica medica, sembrerebbe agire da principio interno di muta- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 235 434 Degli artefatti, in Phys. II 1, 192b18-19, Aristotele ha detto che non hanno alcun impulso connaturato al mutamento, otociov oqqv cci cfooq cqtfov. mento producendo la guarigione per cui anche in questo caso la tecnica agirebbe in modo simile a come agisce la natura. Ma la natura, dice Aristotele, , in questo caso, simile al medico, e infatti essa principio interno di movimento e di quiete, impulso con- naturato al mutamento. In conclusione, quel che conta che la na- tura non pu non essere che causa nale. Scrive infatti Aristotele chiudendo questo capitolo 8 alle li. 199b32-33 : chiaro dun- que che la natura una causa e lo nel modo di ci che in vista di qualcosa (ofi cv otv oifio q qtoi, oi otfm m cvco fot, qovcqov). La natura quindi, nel modo pi evidente possibile, causa nale degli enti naturali. A questo punto, e prima di passare al capitolo 9, mi sembra utile fare alcune riessioni o, se si vuole, precisazioni. Alle li. 198b36-199a5 Aristotele ha sottolineato che noi non crediamo che sia dovuto a fortuna o a mera coincidenza il fatto che piova spesso dinverno, al contrario lo crediamo se ci accade de- state, n crediamo che sia dovuto a fortuna o a mera coincidenza il fatto che faccia caldo destate, ma al contrario lo crediamo se ci accade dinverno. E poich il discorso ammetteva che le cose o so- no frutto di mera coincidenza oppure sono in vista di qualcosa, se non sono frutto di mera coincidenza, come sembra, allora devono essere frutto di una causa nale (cvco fot ov ciq). Questo argo- mento a favore del nalismo, che si avvale dellesempio della distri- buzione regolare del fenomeno meteorologico della pioggia o del caldo, sembrato a qualcuno 435 in contraddizione con quanto lo stesso Stagirita ha affermato prima, alle li. 198b18 ss., sempre a proposito della pioggia, per la quale ha fornito come spiegazione la sola causa motrice, cio il fatto che laria che si sposta in alto neces- sariamente si raffredda e ricade gi sotto forma di pioggia (198b19- 20). Tuttavia, la frequenza delle piogge dinverno e la loro rarit destate suggerisce che questo fenomeno non governato dal caso, ma al contrario avviene con regolarit, cio sulla base del sempre o del perlopi. Ci mostra che esiste nella natura un certo ordine e dunque una certa nalit. Qualora, infatti, si cercasse di spiegare anche la distribuzione regolare delle piogge tramite una causa mo- 236 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 435 Si cf. ad esempio la trad. di W. Charlton, pp. 120 ss. trice, non si arriverebbe ad una conclusione diversa, perch trat- tandosi di una causa motrice che la stessa natura occorrerebbe alla ne ammettere comunque che la natura ha come sua prerogati- va quella di divenire sempre o perlopi, cio ordinatamente. I feno- meni che avvengono nellambito del sempre o del perlopi stabili- scono quellordine che ci costringe a pensare, secondo Aristotele, che ciascuna cosa della natura, quale che essa sia, abbia un suo po- sto preciso, una sua funzione, una sua ragion dessere, in una parola un suo ne, anche se, ovviamente, nel mondo sublunare lordine della natura lontano dallessere perfetto, ed anzi per questo che pu capitare anche che piova spesso destate e faccia caldo spesso dinverno, cosa che d luogo a stagioni sfortunate per i coltivatori. Secondo Aristotele, allora, la spiegazione di una realt naturale tra- mite la sua causa nale si aggiunge alla spiegazione di tale realt na- turale tramite la causa motrice, senza tuttavia che questultima ven- ga meno a causa della presenza della spiegazione causale di tipo - nale. Causa motrice e causa nale, nel divenire degli enti e dei feno- meni della natura, si richiamano a vicenda come principio e ne di ogni divenire e sono entrambe necessarie anche se non entrambe sempre indispensabili alla spiegazione epistemologica di un fatto. J. Follon 436 cita un passaggio degli Analitici Posteriori che ri- chiama esplicitamente la possibilit della compresenza di causa motrice e causa nale, mostrando il rapporto fra nalit e neces- sit. Si tratta di APo. II 11, 94b27-34: qui Aristotele ammette aper- tamente la possibilit che un medesimo oggetto possa sussistere tanto in vista di qualcosa quanto per necessit. Lesempio il pas- saggio della luce attraverso una lanterna, fenomeno dovuto al fatto che un corpo le cui parti sono pi piccole dei pori di un altro cor- po attraversa necessariamente questaltro corpo (se vero che la luce si propaga attraversando altri corpi), ma al tempo stesso que- sto passaggio della luce attraverso una lanterna si verica anche sulla base di una spiegazione causale di tipo nale, cio afnch noi non facciamo dei passi falsi. Allora, si interroga Aristotele, se un oggetto pu sussistere per lintervento di ambedue queste cau- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 237 436 J. Follon (1988), pp. 341-342. Sul medesimo problema si vd. M.R. John- son (2005), pp. 56 ss. se, anche un fenomeno pu vericarsi per lintervento di queste due cause? Il vericarsi del tuono, ad esempio, pu essere dovuto a una causa meccanica, cio perch una volta estinto il fuoco nelle nubi risulta necessario il prodursi di un sibilo e di un fragore, ma al tempo stesso anche a una causa nale, cio al ne, come affermano i Pitagorici, di minacciare coloro che sono nel Tartaro, perch essi rimangano atterriti? I fenomeni di questo genere sono moltissimi, avverte Aristotele, e si vericano soprattutto nel dominio della na- tura. Infatti scrive Aristotele eloquentemente , la natura pro- duce da un lato in vista di qualcosa e, dallaltro lato, per necessit (q cv oq cvco fot oici qtoi, q o c ovoq). 437 Lo stesso Follon cita a questo proposito anche altri passaggi, tratti soprattut- to dal De partibus animalium, in cui si trovano altri esempi di com- presenza, nella natura, di causa nale e causa meccanica, ovverosia materiale e/o motrice. Per esempio, da De part. anim. II 14, 658b2- 7 apprendiamo che se negli uomini la testa la parte pi pelosa, questo avviene per necessit a causa dellumidit del cervello e delle suture <del cranio> (c ovoq cv oio fqv tqofqfo fot ccqoot oi oio fo qoqo), ma anche nalisticamente, a scopo di protezione (cvccv oc oq0cio), afnch i capelli proteggano la testa dal freddo e dal caldo. Cos, da De part. anim. III 2, 663b10- 14 apprendiamo che se il cervo perde le corna, questo si spiega con una causa nale, perch gli utile essere alleggerito (cvccv cv mqccio otqiocvov), ma anche per necessit, a causa del peso delle corna stesse (c o voq oc oio fo oqo). 438 Secondo Follon, 439 in questi passaggi si troverebbe la spiegazio- ne nalistica accanto a quella meccanicistica non perch Aristotele avrebbe ritenuto la spiegazione tramite la necessit incompleta o insufciente, bens perch il punto di vista a partire dal quale si ri- cerca la causalit dei fenomeni sarebbe differente. Se si guarda cio alle parti di viventi addotte da Aristotele negli esempi citati del De partibus animalium dal solo punto di vista della loro costituzione 238 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 437 APo. II 11, 94b36-37. 438 Cf. De part. anim. III 2, 663b22-664a11. Su questo capitolo del De part. anim. cf. P. Pellegrin (2002), pp. 302-306. 439 Cf. J. Follon (1988), pp. 343 ss. materiale, allora si pu dire che la loro formazione si spiega intera- mente tramite le loro cause necessarie, materiali e motrici, che so- no il caldo, il freddo e i loro movimenti. Ma se si guarda alle stesse parti da un punto di vista pi generale, cio come parti di un esse- re vivente, ossia dal punto di vista del posto che occupano e del ruolo che giocano nellente naturale di cui fanno parte, allora non si pu pi spiegare la loro esistenza tramite la sola necessit mate- riale e meccanica. La stessa impostazione di queste argomentazioni aristoteliche Follon la riconduce anche al caso di fenomeni meteo- rologici, come quello della pioggia di Phys. II 8. In altri termini, se ci si domanda perch la pioggia esiste vedendo la pioggia come un fenomeno isolato, dal solo punto di vista della sua costituzione ma- teriale, sufciente, per spiegarla, fornire le cause materiale e mo- trice, ma se ci si domanda perch la pioggia esiste nelleconomia generale della natura, cio dal punto di vista del ruolo che essa gio- ca in questo insieme organizzato che il mondo ovvero se ci si chiede perch piove molto dinverno e poco destate , non si po- tr rispondere se non richiamando la causa nale, e si dir ad esempio che se non fosse piovuto mai o pochissimo la terra sareb- be stata deserta, mentre se fosse piovuto sempre o moltissimo tutto sarebbe stato sommerso: in entrambi i casi ogni forma di vita sa- rebbe stata impossibile sulla terra. Allora, lalternanza delle stagio- ni secche e di quelle umide sembra spiegabile soltanto ricorrendo a una causa nale che si aggiunga alla causa motrice, cio essa ha co- me ne lesistenza della vita di piante e animali sulla terra. A questo proposito apro qui una breve parentesi Follon lancia una provocazione che occorre vagliare bene alla luce della trattazione aristotelica del Primo Motore Immobile. Largomento sarebbe questo: non c dubbio che per Aristotele esiste una na- lit generale della natura presa come un tutto, cos come esiste una nalit per ciascun ente naturale particolare. Ma per Aristotele la nalit generale della natura non potr essere che naturale, cio incosciente, alla maniera della nalit particolare inerente alle pro- duzioni degli animali diversi dalluomo. La natura non delibera, vero, ma agisce in vista dei ni, seppure senza alcuna intenzione. Come poteva del resto essere diversamente, dal momento che per lo Stagirita il mondo non creato da un demiurgo n governato IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 239 da una divina provvidenza, come credevano Socrate e Platone, e daltra parte dio non che un Primo Motore Immobile e non il creatore n larchitetto delluniverso? Allora ci si pu chiedere, af- ferma Follon, se una simile concezione della nalit della natura sia coerente in se stessa, perch se si parte dallidea che esiste un certo ordine nella natura non si vede come si possa sfuggire alla conse- guenza che questordine sia stato stabilito da una intelligenza supe- riore. 440 Con questa riessione Follon ribadisce il dualismo del - nalismo aristotelico ammesso da diversi studiosi, per cui non ci sa- rebbe conciliabilit tra una nalit interna allente naturale, rap- presentata dalla forma che si realizza, e la nalit esterna, rappre- sentata da dio. Ma Follon non coglie, o quantomeno trascura a mio avviso , il fatto che su questo punto Aristotele si contrappone ancora una volta a Platone e allintera tradizione losoca che lo ha preceduto. Nel Timeo, infatti, Platone ritiene che lordine della natura e del mondo in generale sia spiegabile soltanto attraverso lammissione dellesistenza del demiurgo, quale artece, appunto, del mondo. Il demiurgo platonico, in altri termini, crea consape- volmente e sulla base di modelli ideali e matematici eterni e stabili. Aristotele, al contrario, si impegna a descrivere un ordine naturale che prescinda completamente da ogni attivit demiurgica, da ogni intelligenza ordinatrice e che si basi su un nalismo interno allente naturale. 441 Contro Platone egli ritiene, infatti, che un ordine logico della natura non obblighi a fare ricorso a una mente che labbia, se non altro, progettato. La teleologia teologica del Timeo platonico, inoltre, non unistanza nuova o isolata nel pensiero greco, ma anzi radicata nel mito. Il nalismo aristotelico, invece, che non ri- corre ad alcuna azione demiurgica n ad alcuna intelligenza divi- na, 442 come ho detto, si oppone sia a tale prospettiva platonica sia, in seconda istanza, alla posizione opposta dei loso pluralisti, che, non utilizzando alcun nalismo, non hanno saputo dare spiegazio- ne adeguata della realt naturale. 240 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 440 Cf. J. Follon (1988), pp. 345 ss. 441 Cf. E. Berti (2005b), p. 50. 442 Non a caso Wieland parla di teleologia non teologica di Aristotele. Si vd. anche M. Vegetti, Il mondo come artefatto. Cosmo e caos nel Timeo di Platone (inedito). Riassumendo in breve la posizione di Follon, quindi, potrem- mo dire che secondo questo studioso le cause materiale e motrice sono sufcienti a spiegare le cose e i fenomeni se questi sono visti per se stessi, individualmente, e non inseriti nel contesto naturale di cui sono parte integrante. Al contrario, il ricorso alla causa nale diviene necessario quando lanalisi si sposta possiamo dire dalla parte al tutto, cio quando la singola cosa o il singolo fenomeno viene inserito nel mondo naturale di cui parte integrante. Cos sufciente spiegare il fenomeno della pioggia, visto per se stesso, tramite la sola necessit, cio tramite le cause materiale e motrice, ma se si osserva il medesimo fenomeno meteorologico inserendolo nel contesto naturale generale, allora occorrer ricorrere alla na- lit per comprendere la sua frequenza maggiore in certe stagioni piuttosto che in altre. Questo problema dei rapporti fra meccanicismo e nalismo nella sica aristotelica affrontato da P. Pellegrin nel suo saggio Le ruses de la nature et lternit du mouvement, in riferimento ad al- cuni problemi che lo stesso Follon ha posto in rilievo nel suo stu- dio della causalit aristotelica (ad esempio quello di De part. anim. III 2 relativo al fatto che i cervi sono dotati di corna e che in alcuni casi essi perdono tali attributi; oppure quello sul fenomeno della pioggia interpretata ora secondo necessit e ora teleologicamente). In questo saggio nel quale egli ridimensiona molto il ruolo del - nalismo nel mondo naturale aristotelico rispetto a quanti hanno in- vece assunto una posizione estrema, secondo cui solo la causa na- le sarebbe esplicativa del mondo naturale, mentre le cause materia- le e motrice costituirebbero soltanto le condizioni necessarie o suf- cienti , Pellegrin analizza e confronta fra loro due gruppi (o fa- miglie, come egli le chiama) di passaggi aristotelici. Dal primo gruppo lo studioso trae le seguenti osservazioni sul rapporto di ci che egli indica come natura necessaria e natura secondo lessen- za: 1) le leggi della natura necessaria non possono essere violate e la teleologia interviene a spiegare, una volta che le caratteristiche necessarie sono date, ladattamento delle parti o delle funzioni dei viventi alle loro caratteristiche materiali (il cammello ha, ad esem- pio, la lingua carnosa per potersi nutrire di piante spinose tipiche dei luoghi in cui vive cf. De part. anim. III 14); 2) la natura se- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 241 condo lessenza interviene su un dato che le imposto, nel senso che la natura necessaria data e la natura secondo lessenza trae vantaggio nalisticamente di ci che esiste necessariamente, per cui ci sarebbe priorit logica della materia rispetto al ne (ad esempio, il cervo ha le corna a causa di un eccesso di materia terrosa, ed esso utilizza tali corna per difendersi, ma non accade al contrario che, a causa del fatto che il cervo debba difendersi tramite le corna ci sia eccesso di materia terrosa cf. De part. anim. III 2); 3) non c un legame necessario fra la natura necessaria e luso che ne fa la natura secondo lessenza, perch la natura secondo lessenza sia pu per- seguire pi scopi con il medesimo dato ad esempio i denti posso- no servire a masticare o a difendersi sia pu perseguire il medesi- mo ne con pi dati ad esempio la difesa tramite le corna, o la velocit, o una grande dimensione; 4) larticolazione delle spiega- zioni meccanicistiche e nalistiche avviene in attinenza alla medesi- ma cosa o fenomeno e sono molto rari in Aristotele i testi in cui si riscontra la teleologia di una cosa o di un fenomeno al ne di unal- tra cosa. 443 Questi risultati sono tuttavia ripresi alla luce dellanalisi di un secondo gruppo di passaggi relativi alla generazione degli es- seri viventi, tratti principalmente dal De generatione animalium. La spiegazione teleologica sembrerebbe essere indiscutibilmen- te prioritaria nella sica e nella biologia aristoteliche, ed ricorrente in effetti laffermazione secondo cui il sico deve conoscere soprat- tutto la forma e il ne degli enti e dei fenomeni naturali. 444 Questa insistenza di Aristotele abbastanza comprensibile, per il fatto che in un processo ordinato il ne fattore determinante: Pellegrin uti- lizza a questo proposito uninteressante espressione, cio un pro- cessus dirig vers/par une n, espressione da cui emerge, a mio av- viso, il fatto che il ne non soltanto il termine ultimo del processo, ma anche quellelemento eziologico che dirige il processo sin dalli- nizio accompagnandolo in ogni sua fase no al compimento. Il secondo gruppo di testi che Pellegrin prende in esame attira lattenzione sui rapporti fra potenza-atto e quindi sul movimento: in De part. anim. III 6 leggiamo che il polmone, considerato per 242 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 443 Cf. P. Pellegrin (2002), pp. 301-312. 444 Cf. Phys. II 9, 200a30-34 e De part. anim. I 1, 641a ss. ci che esso , un organo dotato di natura spongiosa e pieno di sangue. Apprendiamo anche che negli ovipari il polmone pi pic- colo, mentre pi grande nei vivipari, che sono organismi per na- tura pi caldi rispetto agli ovipari: ci ha relazione con la nalit, perch il polmone, mediante la respirazione, consente il raffredda- mento, per cui esso pi grande negli organismi pi caldi e che hanno perci bisogno di un maggiore raffreddamento. Mentre quindi la strutturazione materiale del polmone semplicemente data, quando il polmone considerato come parte di un organismo vivente allora la materia polmonare acquista un ruolo teleologico, quello cio di raffreddare lorganismo. Tuttavia, perch esiste un organismo in atto con funzione di generante che trasmette la forma a un altro organismo che in questultimo il polmone si former cos come e come deve essere afnch lorganismo a cui appartiene possa sopravvivere. In altri termini, solo perch esiste gi un or- ganismo in atto che agisce come motore che si generer un altro organismo strutturato precisamente allo stesso modo. E infatti il seme considerato chiaramente da Aristotele non causa materiale, ma causa motrice dellembrione. Dire quindi che un organo cos come signica da un lato riconoscere la necessit della sua mate- ria e dei movimenti che in essa si imprimono ma, dallaltro lato, si- gnica anche ammettere limprescindibile esistenza di un organi- smo in atto che possiede, in termini di forma e ne, linformazione genetica possiamo dire che trasmette con il suo seme. Ripren- dendo quindi i risultati della lettura del primo gruppo di testi alla luce dellanalisi di questo secondo gruppo ne conseguono questi ri- sultati: 1) le leggi della natura necessaria non sono affatto violate, ma la natura secondo lessenza, cio la forma paterna, si serve della materia per realizzare i suoi ni; 2) viene rimessa in causa la prio- rit logica della materia perch, se il cervo pu difendersi perch dotato di corna ma non viceversa, tuttavia esso dotato di tali pro- priet formali non in virt della materia, ma perch gli sono stati trasmessi da un individuo in atto dotato formalmente allo stesso modo; 3) non c un legame necessario fra la natura necessaria e la natura secondo lessenza (ad esempio potrebbero accoppiarsi fra loro animali diversi per specie), ma non solo una materia femmini- le specicamente determinata appropriata a ricevere i movimen- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 243 ti del maschio della stessa specie, cosa che assicura il perpetuarsi delle specie, ma la materia femminile stessa tale in virt di una precedente trasmissione di forma e questo crea un legame neces- sario fra la materia e la forma di un individuo, cio appunto fra la natura necessaria e la natura secondo lessenza; 4) se da un lato vero che la teleologia aristotelica interna a un individuo, Aristo- tele crede tuttavia nelleternit e invariabilit del mondo sico, per cui il mondo contiene permanentemente tutte le specie che esso contiene. 445 Secondo il modo di vedere di Pellegrin, in ultima analisi, non corretto assegnare un ruolo eccessivo alla teleologia in Aristotele, perch semmai occorre riconoscere alla scienza aristotelica della natura una struttura eziologica bipolare per riprendere une- spressione che egli usa nel suo saggio del 1990 in cui da una par- te gli enti e i fenomeni sono spiegabili in termini meccanici, cio nei termini delle loro propriet sico-chimiche (i potenziali ele- mentari di A. Gotthelf), 446 ed anzi assurdo parlare di viventi spiegabili solo teleologicamente, mentre dallaltra parte la teleolo- gia che riguarda i viventi e le loro parti spiegabile attraverso la forma trasmessa dallorganismo in atto che genera. Questa inter- pretazione ha a mio avviso il merito non solo di mettere corretta- mente in relazione le cause materiale e motrice da una parte e le cause formale e nale dallaltra, mostrando chiaramente il rapporto fra necessit e nalit nel mondo naturale di Aristotele, ma consen- te anche di comprendere altre posizioni teoriche che lo Stagirita esprime a pi riprese. Mi riferisco in primo luogo al legame che unisce la forma e il ne (Phys. II 7, 198a25-26), poich Pellegrin pu intrepretare la teleologia nel modo che ho brevemente descrit- to proprio in virt dellafnit del ne con la forma; in secondo luogo al rapporto ne-causa motrice reso possibile dallinterpreta- zione formalistica della losoa aristotelica: il ne si riscontra nei movimenti che lente motore o generante imprime nella materia per trasmettere la forma, e in questo modo diviene pi intelligibile il fatto che la causa motrice, che appartiene al dominio della spie- 244 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 445 Cf. J.M. Cooper (1987), pp. 249-250. 446 Cf. A. Gotthelf (1976), p. 212 ss. gazione meccanicistica, nel caso dei processi generativi lesempio infatti luomo che genera luomo sembra convergere con le cau- se formale e nale (Phys. II 7, 198a24-27); e ancora al fatto che il - nalismo come tendenza al meglio non in Aristotele tendenza al perfezionamento degli enti naturali nel senso di miglioramento del- la specie, ma tendenza alla realizzazione degli enti cos come so- no, cio generazione di enti uguali formalmente a quelli gi in atto, poich nellinterpretazione formalistica i ni sono gi dati in atto e quindi la perfezione consiste nella compiutezza stessa dellente se- condo la sua propria natura. Il discorso n qui fatto, in conclusione, ci introduce in realt nel cuore stesso della problematica aristotelica della causalit, che quello del rapporto fra nalit e necessit, fra la prospettiva di una nuova sica, rispetto a quella platonico-accademica, e lopi- nione degli antichi che riconducevano tutto alle sole cause mecca- niche. Si apre cos il capitolo conclusivo di Phys. II, in cui la neces- sit trova denitivamente la sua collocazione e la giusta dimensione allinterno del mondo della natura, cos come appare, almeno, agli occhi di Aristotele. 5.2. La necessit nella natura (Phys. II 9) In Phys. II 8 Aristotele ha mostrato con seri argomenti che la necessit, a differenza di ci che avevano ritenuto i presocratici, non sufciente a spiegare il divenire naturale. Le argomentazioni con le quali Aristotele presenta la natura come causa nale (cf. II 8, 199b32-33) oltre che come causa materiale e causa formale (cf. II 1, 193a28-31), non comportano tuttavia come loro conseguenza quella di eliminare la necessit naturale: questultima certamente presente nel mondo in divenire, ma si tratta adesso di stabilire qua- le tipo di necessit quella che concerne la natura e quale ruolo es- sa occupi nel quadro generale della causalit. 447 IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 245 447 Linterpretazione in chiave prevalentemente teleologica della Fisica aristo- telica sostenuta da alcuni studiosi moderni mette in ombra il valore che Aristotele giustamente attribuisce alla necessit nellambito della natura come anche in altri ambiti scientici. Negli Analitici, ad esempio, la necessit logica garanzia della Sin dallinizio di Phys. II 9, alle li. 199b34-35, Aristotele distin- gue una necessit assoluta da una necessit ipotetica 448 o, pi preci- samente, si chiede se il necessario (fo o c ovoq) sussista in di- pendenza da unipotesi (c to0cocm toqci) oppure in senso assoluto (om). A proposito di questa distinzione egli cita esempi che ritiene esplicativi delle opinioni consolidate al suo tempo 449 sempre in relazione alle dottrine dei loso naturalisti che lo ave- vano preceduto. 450 In altri termini, come se il confronto dottrina- le con i suoi predecessori costituisca, per Aristotele, un dibattito attuale sul problema del nalismo e della necessit nella natura. Ci che necessario nel divenire naturale viene concepito, dice Aristotele, come se un tale ritenesse che un muro sia venuto su ne- cessariamente per il fatto che le cose pesanti per natura si portano in basso e quelle leggere in cima, per cui le pietre che costituiscono le fondamenta di tale muro si porterebbero in basso, mentre la ter- ra, che pi leggera, salirebbe in alto e i legni in cima, perch sono i pi leggeri fra tutti questi materiali. Nondimeno scrive Aristo- tele , sebbene <il muro> non sia venuto su in assenza di questi materiali (ot ovct cv fotfmv covcv), tuttavia non venuto su a causa di essi eccetto che come sua <causa> materiale (ot cvfoi oio fotfo qv m oi tqv), ma per preservare e salvaguardare certe cose. Similmente poi anche in tutte le altre cose in cui c ci che in vista di qualcosa, <esse divengono> non senza le cose che hanno la natura necessaria (ot ovct cv fmv ovooiov covfmv 246 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE validit della dimostrazione e quindi del ragionamento scientico. Le premesse di un sillogismo, infatti, comportano necessariamente che le conclusioni non possano essere diverse da quello che sono (cf. anche Metaph. A 5, 1015b6-9). In questo ca- pitolo 9 della Fisica, dove cerca di individuare il ruolo e il valore che la necessit ha nel mondo della natura, Aristotele non sta prendendo in considerazione le di- stinzioni di signicato della nozione di necessit che leggiamo in Metaph. A 5, poi- ch egli sta soltanto assumendo, in modo generale, ci che necessario nellambi- to della qtoi facendo esplicito riferimento soltanto alla distinzione fra necessit assoluta e necessit ipotetica. 448 Sulla necessit ipotetica cf. anche De part. anim. I 1, 642a. 449 Il vtv della li. 199b35 indica, a mio avviso, la contemporaneit dellopinio- ne che Aristotele sta riferendo. 450 Quando alla li. 199b35 Aristotele scrive oiovfoi, certamente si riferisce ai naturalisti indicati con lespressione ovfc in II 8, 198b12; cf. la trad. di P. Pelle- grin, p. 156 nota 4. fqv qtoiv), ma di certo non a causa di queste, eccetto che come lo- ro materia, bens in vista di qualcosa (ot cvfoi c oio fotfo o q m tqv, o cvco fot). 451 Come si vede, lesempio del muro mette subito in evidenza quanto sia ridicolo ammettere una necessit assoluta del divenire naturale: questa impostazione del discorso aristotelico rilevante per il fatto che lo stesso Aristotele, oltre che attribuire la necessit assoluta al Primo Motore Immobile 452 e agli astri, 453 la attribuisce anche ai fenomeni costanti, quelli che appartengono allambito del sempre o del perlopi, per i quali, nelle pagine precedenti di Phys. II, ha individuato una spiegazione di tipo nalistico. 454 Tuttavia, se spiegare il divenire delle cose mediante una necessit assoluta ri- dicolo, Aristotele puntualizza subito che questo non signica esclu- dere dalla spiegazione del divenire delle cose la necessit, poich il muro non venuto su senza queste cose (ovct cv fotfmv), cio senza quei materiali che sono dotati di natura necessaria (ovct cv fmv ovooiov covfmv fqv qtoiv), cos come natura necessaria delle pietre, in virt della loro pesantezza, di stare in basso, ed natura necessaria del legno, in virt della sua maggiore leggerezza, di stare in alto. Le propriet necessarie di questi materiali determi- nano di fatto, in modo necessario, la struttura di un edicio o di una parte di esso come in questo caso il muro. Questo tuttavia IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 247 451 Phys. II 9, 200a5-10. Questo esempio del muro discusso da P. Pellegrin (2002), pp. 299-301: applicando i risultati dellesempio del muro che consistono nel fatto che necessariamente i suoi costituenti devono essere collocati in un certo modo e non in un altro ad un altro termine che sia un ente naturale si ricava che la sola cosa che rende impossibile la generazione di un ente naturale, ad esempio una parte di un animale, che il suo processo generativo vada contro le leggi si- co-chimiche dei suoi costituenti. Daltra parte, il motivo per cui si costruisce un muro perch si ha bisogno di un riparo: laver bisogno di un riparo causa nale della costruzione del muro, ma la costruzione del muro non in alcun modo causa dellaver bisogno di un riparo. Questo esempio, cos come molti altri che Pellegrin trae dagli scritti biologici, mostrano come in Aristotele non ci sia affatto un mo- nopole explicatif de la nalit (p. 301). 452 Cf. Metaph. A 7, 1072b7-8. 453 Cf. soprattutto De gen. et corr. II 11, 338a17 ss. 454 Fa notare A. Mansion (1945), p. 284 e nota 8, che Aristotele spesso, nelle sue opere, per indicare i fenomeni costanti ricorre a espressioni che indicano fatti necessari. non implica che tali materiali siano lunica causa delloggetto che diviene, di cui costituirebbero quindi la ragione ontologica ed epi- stemologica in conseguenza della quale il divenire delloggetto avrebbe una struttura assolutamente necessaria, perch in realt si tratta semplicemente di cause materiali delloggetto, il quale divie- ne in vista di qualcosa, cio secondo un processo teleologicamente ordinato. Ci implica, quindi, che Aristotele escluda la necessit assoluta dal divenire naturale ma ammetta una necessit relativa, che vedremo essere la necessit ipotetica. Ci chiarito dallesem- pio della sega che segue immediatamente. Alla domanda perch la sega cos com? (oio fi o qimv foioooi) noi rispondiamo per far questo e in vista di questo (om fooi oi cvco fotoi ). La domanda perch (oio fi), come si ricorder, riguarda la ricer- ca delle cause. Tuttavia, ci spiega Aristotele, impossibile che si produca ci in vista di cui la sega se la sega non di ferro. La conseguenza che la sega deve essere necessariamente di ferro se occorre che ci siano la sega e le sue operazioni. 455 Il se che bisogna utilizzare in questi ragionamenti indica che ci che necessario, come in questo caso il fatto che la sega debba essere di ferro, di- pende da unipotesi (c to0cocm oq fo ovooiov) e non fun- ge da ne (o ot m fco), perch il necessario nella mate- ria, mentre ci in vista di cui nella denizione (cv oq fq tq fo ovooiov, fo o ot cvco cv fm om ). 456 Al contrario, funge da - ne lipotesi che rende necessaria una determinata condizione: ad esempio, anzich dire se occorre che ci siano la sega e le sue ope- razioni (ipotesi), la sega deve essere necessariamente di ferro (il ne- cessario), possiamo dire afnch ci siano la sega e le sue opera- zioni (ipotesi), la sega deve essere necessariamente di ferro (il ne- cessario). Tali condizioni necessarie, che non sono ne ma sono in dipendenza dal ne, condizionano negativamente il ne, nella mi- sura in cui questo non pu realizzarsi senza di quelle. Nonostante ci, la prospettiva aristotelica capovolge le posizioni presocratiche, perch mentre il determinismo dei naturalisti presocratici afferma- va una necessit assoluta, nella misura in cui quei loso riteneva- 248 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 455 Cf. anche De part. anim. I 1, 642a9-11. 456 Phys. II 9, 200a14-15. no che tutti gli enti e tutti i fenomeni naturali erano il risultato di cause materiali necessitanti, Aristotele, al contrario, ammette nella natura una necessit, quella ipotetica, che dipende dal ne che ne costituisce lipotesi. Tutto questo discorso mostra un Aristotele impegnato a deni- re il ruolo che la necessit ha nellambito della qtoi sotto un aspetto diverso da quello che egli ha affrontato in Phys. II 8. Anche in quel capitolo, come ho gi detto, Aristotele si era impegnato a mostrare che esiste una nalit nella natura a partire dal concetto di necessit e dal modo in cui lo avevano affermato i presocratici. In Phys. II 8 tuttavia, come si gi visto, il problema del nalismo si misurava con una nozione di necessit concepita come causa ef- ciente: non a caso le argomentazioni confutatorie che Aristotele utilizza ricorrono alle nozioni di ftq e di otfoofov di cui Ari- stotele ha detto che sono cause motrici nonch allanalogia fcvq/qtoi. In questo capitolo 9 conclusivo del secondo libro, in- vece, la necessit indagata come componente materiale degli enti naturali e, anche in questo caso, Aristotele mostra che il nalismo in qualche modo la guida, anche se in misura pi limitata di quan- to non avvenisse per la necessit quale causa efciente. In Phys. II 8, infatti, ogni divenire che abbia come sua causa il caso apparen- te perch rientra completamente nel divenire nalisticamente ordi- nato, mentre la causa motrice tecnica contiene gi il ne della sua azione e, in quanto essa agisce analogamente alla natura che ne co- stituisce il modello, lambito della qtoi appare come il mondo in cui il divenire sempre indirizzato verso un ne. In Phys. II 9, in- vece, la necessit ipotetica, senza la quale non esiste divenire natu- rale, s in dipendenza dal ne ma, allo stesso tempo, imbriglia il ne nella misura in cui il divenire non pu avvenire senza di essa. Se un architetto deve costruire un edicio utilizzando pietre e terra e legni, egli lo far con lo scopo di custodire i beni, ma non potr non tenere conto, se vuole realizzare il suo scopo, che deve utiliz- zare i materiali tenendo in considerazione le loro rispettive qualit, che condizionano la costruzione stessa. Se larchitetto ponesse, in- fatti, i materiali pi leggeri in basso e quelli pi pesanti in alto, ot- terrebbe fondamenta fragili e coperture cos pesanti da minacciare la riuscita e la sopravvivenza della costruzione stessa e se ci vero IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 249 nel caso dellambito tecnico analogamente e a maggior ragione sar vero nellambito della natura. Cos, se da un lato la necessit con- dizionata dalla nalit che ne costituisce lipotesi, dallaltro lato la necessit lega con la sua presenza tale nalit condizionandola. Ci diviene ancora pi chiaro dal discorso che segue immediatamente e in cui Aristotele mette in relazione il necessario nelle matemati- che con il necessario nella natura. Il confronto fra la necessit nelle matematiche e la necessit nellambito della natura alquanto complesso, ma illuminante cir- ca il rapporto fra necessit e nalit. Qui di seguito cercher di schematizzare il discorso di Aristotele per tentare di renderlo quanto pi chiaro possibile. A partire dalla li. 200a15, Aristotele afferma che la necessit che presente nelle matematiche e quella che presente nel dive- nire naturale si rivelano allincirca allo stesso modo (fqoov fivo oqoqoim) e, per mostrarci tale strettissima somiglianza, lo Sta- girita scandisce i termini del suo discorso differenziandoli in ante- cedente e conseguente. Il primo momento dellargomentazione ri- guarda le matematiche: 1) antecedente: poich il retto cos com (cci oq fo ct0t fooi c ofiv); 2) conseguente: necessario che il triangolo abbia la somma degli angoli uguali a due angoli retti (ovoq fo fqimvov oto oq- 0oi ioo cciv). Come si pu vedere, nel caso delle matematiche la formula : poich lantecedente allora il conseguente: la necessit si tro- va nel conseguente ed una condizione necessariamente determi- nata dallantecedente, nel senso che il triangolo ha gli angoli uguali a due angoli retti poich (cci) il retto cos com. Linverso, dice Aristotele, non si verica, ossia non accade che poich (cci) il conseguente allora lantecedente cio, nel caso dellesempio che stiamo trattando, non accade che poich il triangolo ha la somma degli angoli uguale a due angoli retti, allora necessario che il retto sia cos com. Tuttavia importante sottolineare que- sto, e cio che: 3) se il conseguente non , allora non neppure lantecedente, cio, nel caso dellesempio che stiamo trattando, se non si d che il 250 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE triangolo abbia la somma degli angoli uguale a due angoli retti neppure si d il retto. 457 Il secondo momento dellargomentazione riguarda le cose che divengono in vista di qualcosa; qui Aristotele si riferisce sia al di- venire tecnico che al divenire naturale, anche se comunque il suo scopo quello di chiarire questultimo. Nel divenire nalistica- mente ordinato, come egli ci spiega in questo passaggio, accade il contrario (ovooiv) di ci che abbiamo visto a proposito delle matematiche: 1) conseguente: se il ne sar o (ci fo fco cofoi q cofi), ad esempio potremmo dire noi riprendendo un esempio di Ari- stotele , se ha da esserci la sega e le sue operazioni; 2) antecedente: anche lantecedente sar o (oi fo c qoo0cv cofoi q cofiv), ad esempio, allora la sega deve essere di ferro. Come si vede c uninversione tra antecedente e conseguente, poich nel caso delle matematiche avevamo prima lantecedente e poi il conseguente, mentre qui abbiamo prima il conseguente e poi lantecedente. Tuttavia per entrambi i casi abbiamo coincidenza del terzo punto, ovverosia del rapporto negativo: 3) come nel caso delle matematiche, anche nel caso del diveni- re nalisticamente ordinato, infatti, se il conseguente non , allora non neppure lantecedente, o meglio, per seguire le parole di Ari- stotele, se la conclusione non allora non sar neanche il principio (q o vfo fot otcqooofo q oqq ot c ofoi). Qui Aristotele fornisce uninteressante spiegazione di questo terzo punto: in questo caso, cio nel caso del divenire nalistica- mente ordinato, tale principio (oqq) dice lo Stagirita il ne inteso come ci in vista di cui (oi cvfot0o fo fco oi fo ot cvco) perch anche questo, cio anche il ne, principio, non dellazione ma del ragionamento, mentre per quanto riguarda le matematiche il ne soltanto principio del ragionamento in quan- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 251 457 Cf. Phys. II 9, 200a15-19. Lespressione fo ct0t tradotta da alcuni li- nea retta (Hardie & Gaye straight line) e da altri angolo retto (Russo). Poi- ch nello stesso contesto Aristotele indica al femminile langolo retto (oto oq0oi con qooi sottinteso), io ho preferito tradurre al neutro, nel senso che al- tamente probabile che Aristotele voglia indicare con fo ct0t la nozione stessa di retto. to non ci sono azioni (cci oc 458 fot oioot qoci oq ot cioiv). A questo punto mi sembra opportuna una breve riessione. Come ho gi detto in occasione della presentazione di un re- cente volume, 459 una lettura del divenire di cui Aristotele tratta nel I libro della Fisica si deve impostare, a mio avviso, in questo modo: nel divenire espresso, ad esempio, con la formula un uomo non musico diviene uomo musico, la forma, cio musico, compare sia nel momento iniziale in cui si presenta come privazione, sia nel momento nale in cui si presenta come attualmente acquisita. Il principio formale, quindi, tradotto nei termini delle cause, si pre- senta sia come causa formale sia come causa nale. Sembrerebbe, perci, che tre delle quattro cause aristoteliche si possano collocare fra i principi del divenire, e cio la causa materiale nel sostra- to/soggetto, la causa nale nella privazione e negli altri momenti del processo di divenire in cui non si ancora raggiunto il pieno e perfetto possesso della forma specica da parte dellente (secondo il doppio signicato di fco che Aristotele ci insegna in Phys. II 2, 194a27 ss.) e la causa formale nella forma compiutamente acqui- sita. Il collocare la causa nale nella privazione signica non solo individuare nel punto di partenza del processo lorientamento del processo stesso, ma anche stabilire che linizio contiene gi la ne, che inizio e ne si toccano circolarmente. 460 In effetti, in queste li- nee di Phys. II 9 Aristotele sembrerebbe dire proprio che la causa nale sta gi allinizio del processo di divenire e che quindi, in qualche modo, principio oltre che ne. proprio in virt di questa presenza come principio che la nalit condiziona la necessit stes- sa, non solo perch la necessit sussiste solo se sussiste il ne (se il conseguente, cio il ne, sar o , allora anche lantecedente sar o ) e per converso non sussiste se non sussiste il ne, ma anche per 252 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 458 Questa espressione cci oc della li. 200a23, riferita alle matematiche, correlativa a oi cvfot0o della li. 200a22, riferito invece allambito del divenire - nalisticamente ordinato. 459 Si tratta del libro di F. Lo Piparo (2003); la mia recensione, a cui faccio qui riferimento, in corso di stampa su Orpheus 2004. 460 Non mi sembra troppo lontano da questa impostazione A. Code (1997), il quale sostiene una priorit della causa nale sulla causa efciente sulla base del fatto che la causa efciente agisce in vista di un ne. il fatto che il ne funge da principio del processo di divenire come privazione di forma e quindi come orientamento determinato verso lacquisizione di una forma specica. In questo modo la nozione di necessit ipotetica, fortemente dipendente dal ne che presente nel divenire come ne e come principio, in qualche modo riassor- bita nel ne stesso e assume un ruolo subordinato al ne, una su- bordinazione che tuttavia, come vedremo fra breve, viene subito riequilibrata. Nel divenire, per, il ne, come precisa Aristotele, principio non dellazione, bens del ragionamento (fot oioot) perch in effetti la causa nale non attiva il movimento, in quanto la causa motrice che attiva il divenire e la causa nale non certa- mente causa motrice , e tuttavia principio del ragionamento nel senso che sta al principio di quel processo che giunge no allac- quisizione da parte dellente della forma specica secondo la de- nizione (fo cioo fo ofo fov oov). 461 Il condizionamento reciproco tra necessit e nalit nel diveni- re spiegato da Aristotele con lesempio che troviamo alle li. 200a24 ss.: sicch afferma Aristotele se ci sar una casa ne- cessario che vengano realizzate o che sussistano queste sue condi- zioni (fotfo), o che in generale ci sia la materia in vista di qualcosa (fqv tqv fqv cvco fot), ad esempio mattoni e pietre, trattandosi della casa. Con lespressione la materia in vista di qualcosa (fqv tqv fqv cvco fot) Aristotele intende mostrare come il ne condi- zioni gli aspetti materiali necessitanti, 462 poich la stessa materia appare essere nalisticamente disposta, e Aristotele aggiunge che di certo il ne non a causa di queste condizioni materiali, cio il ne non a causa del materiale della casa se non come sua materia, cio come supporto per la sua realizzazione (ot cvfoi oio fotfo cofi fo fco o q m tqv, oto cofoi oio fotfo). 463 Il ne, insiste Aristotele, non ha cause materiali: in generale, se non ci sono i ma- teriali cio se non ci sono le pietre per la casa e il ferro per la sega non ci saranno di certo n la casa n la sega, ovvero se non ci so- no gli antecedenti non ci sono i conseguenti e, nel caso delle mate- IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 253 461 Cf. Phys. II 1, 193a31. 462 Cf. Ch. Byrne (2002). 463 Phys. II 9, 200a26-27; cf. anche 200a9-10. matiche, non ci sono pi i principi se non c, relativamente alle- sempio fatto, il triangolo che ha la somma degli angoli uguale a due angoli retti, cio, in termini generali, non ci sono gli antecedenti se non ci sono i conseguenti. Questo discorso, come ho anticipato prima, riequilibra il rap- porto necessit-nalit, perch la soluzione che viene trovata qui, e che vale sia nel caso delle matematiche che nel caso del divenire tecnico e naturale, lesatto contrario di quello che ho indicato so- pra come punto 3 della relazione necessit-nalit in termini di an- tecedenti-conseguenti e che valeva anchesso sia nel caso delle ma- tematiche che nel caso del divenire tecnico e naturale. Questo ri- baltamento della relazione necessit-nalit in termini di antece- denti-conseguenti espressione chiarissima del condizionamento reciproco della necessit e della nalit, 464 perch mentre l aveva- mo trovato che se il conseguente (cio il ne) non , allora non neppure lantecedente (cio la necessit), qui troviamo che se lantecedente (cio la necessit) non , allora non neppure il con- seguente (cio il ne). Nonostante abbia riequilibrato la relazione necessit-nalit, tuttavia, Aristotele, traendo le la del suo discor- so, si pronuncia in termini valoriali stabilendo un certo primato della nalit sulla necessit nel mondo della natura, 465 in linea, del 254 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 464 Come ho gi detto nel corso di questo lavoro, sono daccordo con P. Pelle- grin (1990) sul fatto che sebbene tutte e quattro le cause siano operative a diverso titolo nel divenire degli enti naturali e possano raggrupparsi in modi differenti, tut- tavia leziologia aristotelica mostra una tendenza spiccata ad articolarsi in due poli esplicativi, cio in un modello causale che vede da una parte le cause formale-nale e dallaltra parte le cause materiale-efciente. R. Bolton (1997), pp. 97-123, ha ten- tato di mostrare che la causa materiale sarebbe invece la causa ultima (egli la chiama primitiva) nella causazione degli enti naturali. Egli ricorre alla teoria aristotelica della dimostrazione di APo. II 11, in cui il termine medio la causa fondamentale, la causa che non spiegata da nessunaltra causa ma che, al contrario, quella a partire dalla quale tutte le altre sono spiegate. Prendendo poi una serie di brani ari- stotelici egli utilizza passaggi tratti da Phys. II 9 e De part. anim. I 1, ma anche da De somno e Metaph. H 4, oltre che da De an. II 4 Bolton mostra che questa causa fondamentale , appunto, la causa materiale. Egli non contesta, ovviamente, la fun- zione causale della causa nale, ma nega che la causa materiale, e con essa anche la causa efciente, siano dedotte necessariamente dalla causa nale. Per una discussio- ne critica di questo studio di Bolton cf. M.R. Johnson (2005), pp. 50 e 191-193. 465 Una affermazione della superiorit della causalit nale sulla spiegazione mediante la necessit si trova in De gen. anim. II 1, 731b20 ss. resto, con ci che ha insegnato in questo secondo libro della Fisica a proposito della materia e della forma quali signicati della qtoi. chiaro, dice Aristotele, che ci che necessario negli enti sici detto come materia e come movimento di questa, nel senso che la necessit risiede nella causa materiale e nella causa motrice, la pri- ma oggetto di analisi di Phys. II 9 in rapporto al nalismo e la se- conda oggetto di analisi di Phys. II 8 sempre in rapporto al nali- smo. Spetta al sico trattare di entrambe queste cause, ma ancor pi suo compito ricercare la causa nale, perch mentre ci in vista di cui, cio il ne, causa della materia, la materia invece non causa del ne (oifiov oq fotfo fq tq, o ot otfq fot fcot). 466 E il ne ci in vista di cui, ovverosia il principio che deriva dalla denizione o concetto (oi fo fco fo ot cvco, oi q oqq oo fot oqioot oi fot oot), come negli oggetti arti- ciali: poich la casa tale occorre che tali cose divengano e sussi- stano necessariamente (cci q oiio foiovoc, fooc oci cvco0oi oi toqciv c ovoq) e, poich la salute questo, occorre che ta- li cose divengano e sussistano necessariamente (oi cci q ticio fooi, fooc oci cvco0oi c ovoq oi toqciv). Allo stesso mo- do stanno le cose nel divenire naturale: se luomo questo, allo- ra sono necessarie queste determinate cose, e se esistono queste de- terminate cose, allora sono necessarie queste altre determinate cose (otfm oi ci ov0qmo fooi , fooi ci oc fooi , fooi ). Questa precisa- zione era necessaria, perch del ne noi sappiamo in virt della sua identicazione con la forma specica, che Aristotele ha spesso indicato in Phys. II come forma specica secondo la denizione (fo cioo fo ofo fov oov) che conforme alla denizione, ma oc- correva che Aristotele specicasse che ci in vista di cui princi- pio che deriva dalla denizione o concetto, perch ci in vista di cui pu essere considerato principio in senso proprio, dal momen- to che esso non principio di movimento, bens privazione di for- ma e, quindi, orientamento verso lacquisizione nale della forma specica. Detto questo, ecco di nuovo riaffacciarsi la necessit, perch Aristotele, concludendo, aggiunge: ugualmente poi anche nella denizione c il necessario, perch a chi denisca il segare IL FINALISMO NATURALE E LA CRITICA DEL MECCANICISMO 255 466 Phys. II 9, 200a33-34. come il compiere una data divisione risulta che questa operazio- ne non ci sar se la sega non avr un certo tipo di denti, e questi non saranno tali se non sono di ferro, perch anche nella denizio- ne ci sono alcune parti che sono come la materia della denizione. Lesempio che qui Aristotele propone riconduce esattamente al ca- so da lui esposto a proposito del divenire nalisticamente ordinato, per il quale si era stabilito che se ci devono essere la sega e le sue operazioni, allora la sega deve essere di ferro, che in termini gene- rali si traduce in questi termini: se ci devessere il conseguente, che il ne, allora ci devessere anche lantecedente, cio la neces- sit. A chi, quindi, cerchi di denire il conseguente, in questo ca- so loperazione della sega, che quella di dividere, apparir imme- diatamente la necessit dellantecedente, cio della dentatura della sega, per cui la necessit si riscontrer implicitamente anche nella denizione, cio anche l dove sembrava si dovesse trovare solo lambito privilegiato della nalit. Senza contare, poi, che la deni- zione stessa ha parti materiali e, quindi, anche nella materia di tipo puramente logico-linguistico, si riscontra sempre e comunque il necessario. 256 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 6. EPILOGO 7. APPENDICE 7.1. Premessa In uniformit al criterio adottato nel mio precedente studio, I fondamenti della Fisica. Analisi critica di Aristotele, Phys. I, Catania 2002, anche in Appendice a questo secondo studio raccolgo, nella loro successione testuale, i principali passaggi della Fisica e degli altri scritti aristotelici (Metasica, Categorie, De Interpretatione, Analitici Posteriori, De anima, De partibus animalium) che ho tra- dotto, analizzato e discusso nel corso del mio lavoro. Ritengo, in- fatti, che questa parte del libro possa servire al lettore quale stru- mento utile per reperire agevolmente i luoghi aristotelici sui quali maggiormente si soffermata la mia analisi e che costituiscono la trama da cui emerge la mia ricostruzione complessiva dei temi af- frontati in questo lavoro. Inoltre, intendo mettere a disposizione di chi legge una traduzione che tiene s conto delle traduzioni prece- denti (quelle di cui si trover indicazione nella Bibliograa), ma che, allo stesso tempo, se ne discosta alquanto, e in molti casi note- volmente, per cui ritengo giusto che il lettore ne sia consapevole. La traduzione preceduta dal testo greco tratto dalledizione oxoniense di Aristotele, con qualche eventuale variazione di cui dar spiegazione di volta in volta. L dove ho ritenuto necessario fornire ulteriori chiarimenti, la traduzione seguita da note in cui cercher di giusticare le mie scelte interpretative. 7.2. Testi e traduzioni 1) Phys. I 2, 185a12-14: qiv o tocio0m fo qtoci q ovfo q cvio ivotcvo civoi oqov o c fq comq . Ma noi dobbiamo partire dalla premessa di fatto che gli enti na- turali, o tutti o <almeno> alcuni, sono in movimento: e ci chiaro per induzione. 2) Phys. I 4, 187b6-7: ofot oc ciofov coofov cci, fotfo oociv civoi fqv qtoiv fot qoofo. Ci che ciascuna cosa contiene in maggior misura, questo si ri- tiene essere la natura della cosa. 3) Phys. I 5, 188b25-26: [] mofc ovf ov ciq fo qtoci ivocvo q cvovfio q c cvov- fi mv. [] sicch tutti gli enti che si generano per natura sarebbero o dei contrari o <cose che derivano> da contrari. 4) Phys. I 6, 189a27-33: qo oc fotfoi cfi ov fooc fi ooqqocicv, ci q fi cfcqov to0qoci foi cvovfioi qtoiv ot0cvo oq oqmcv fmv ovfmv otoiov fovovfio, fqv o oqqv ot o0 tocicvot oci cco0oi fivo. cofoi oq oqq fq oqq fo oq tocicvov oqq, oi qofcqov ooci fot ofqoqotcvot civoi. cfi ot civoi qocv otoiov cvovfiov otoio m otv c q otoimv otoio ov ciq q m ov qofcqov q otoi o ot oi o ciq Inoltre, se non si porr sotto i contrari una natura altra da essi, si andr incontro a questa difcolt, perch vedremo che i contrari non sono sostanza di nessuno degli enti, daltra parte occorre che il principio non sia detto di alcun soggetto, perch <in tal caso> ci sar un principio del principio, infatti il soggetto principio e sem- bra essere anteriore al suo predicato. E ancora, non diciamo che una sostanza contraria a una sostanza: come dunque una sostanza potrebbe derivare da non sostanze? o come una non sostanza po- trebbe essere prima di una sostanza? 5) Phys. I 6, 189b2-3: [] mocq qooiv oi iov fivo qtoiv civoi covfc fo ov, oiov tomq q t q q fo cfot fotfmv. [] come affermano coloro che dicono che il tutto una certa natura unica, ad esempio lacqua o il fuoco o ci che intermedio fra questi. 286 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 6) Phys. I 6, 189b5-6: oio oi ot oom oiotoiv oi fo tocicvov cfcqov fotfmv oiot vfc []. Perci, anche, coloro che pongono il sostrato come <princi- pio> diverso da questi <contrari> non lo fanno senza ragione []. 7) Phys. I 7, 190a13-17: oimqiocvmv oc fotfmv, c oovfmv fmv ivocvmv fotfo cofi ociv, cov fi cicq mocq cocv, oci fi oci tocio0oi fo ivocvov, oi fotfo ci oi oqi0m cofiv cv, o cioci c ot cv fo oq cioci cm oi o m fot fo v. Fatte queste distinzioni, a partire da tutte quante le cose che divengono occorre assumere questo, se le si considera come noi di- ciamo, e cio che necessario che ci che diviene sia sempre qual- cosa che soggiace, e che questo, anche se uno per numero, tutta- via non sia uno per forma, infatti intendo per forma la stessa co- sa che per denizione. 8) Phys. I 7, 190b10-13: mofc oqov c fmv ciqqcvmv ofi fo ivocvov oov oci otv- 0cfov cofi, oi cofi cv fi ivocvov, cofi oc fi o fotfo ivcfoi, oi fotfo oiffov q oq fo tocicvov q fo ovficicvov. Sicch dalle cose dette risulta chiaro che tutto ci che diviene sempre un composto, e c da una parte qualcosa che diviene e, dallaltra parte, c qualcosa che ci che questa cosa diviene, e questo <qualcosa che diviene> duplice, infatti o il <semplice> sostrato o lopposto [scil. la propriet opposta a quella che assume divenendo]. 9) Phys. I 8, 191a34-b4: qci oc cocv ofi fo c ovfo q q ovfo ivco0oi, q fo q ov q fo ov oiciv fi q oociv q ofiotv fooc ivco0oi, cvo cv fqoov ot0cv oioqcqci q fo fov iofqov oiciv fi q oociv q c iofqot civoi fi q ivco0oi, mof ccioq fotfo oim ccfoi, oq ov ofi oi fo c ovfo oi fo o v q oici v q o ociv. Io dico che lespressione divenire dallessere o dal non essere o lespressione il non essere o lessere agiscono o subiscono qual- APPENDICE 287 cosa o divengono qualsiasi cosa determinata in un certo senso non sono differenti, oppure lespressione che il medico agisce o patisce qualcosa o lespressione essere o divenire qualcosa a par- tire dal medico <non sono differenti>, sicch, poich c un du- plice modo di dire questo [scil. il divenire], chiaro che <signica- no la stessa cosa> anche lespressione dallessere e lespressione lessere o agisce o patisce. 10) Phys. I 8, 191b33-34: ot fq o q o v o q0ci oo q qtoi o ooov c tocv ot fmv fq v o voiov. Se infatti non avessero ignorato una tale natura, questa avrebbe dissipato del tutto la loro ignoranza. 11) Phys. II 1, 192b13-16: fot fmv c v o q c oofov c v cotfm o qqv c ci ivqocm oi ofo- ocm, fo cv ofo foov, fo oc of otqoiv oi q0ioiv, fo oc of o oimoiv. Infatti ciascuno di essi [scil. degli enti naturali] possiede in se stesso un principio di movimento e di quiete, gli uni secondo il luogo, altri secondo accrescimento e diminuzione, altri ancora se- condo alterazione. 12) Phys. II 1, 192b21-23: [] otoq fq qtocm oqq fivo oi oifio fot ivcio0oi oi q qcci v c v m t o qci qm fm o0 otfo oi q ofo otcqo []. [] la natura un certo principio o causa del muoversi e del rimanere fermo di ci in cui esiste primariamente per se stessa e non per accidente []. 13) Phys. II 1, 192b27-193a1: ooim oc oi fmv omv coofov fmv oiotcvmv otocv oq otfmv cci fqv oqqv cv cotfm fq oiqocm, oo fo cv cv ooi oi cm0cv, oiov oiio oi fmv omv fmv ciqoqfmv coofov, fo o cv otfoi cv o ot o0 otfo, ooo ofo otcqo oifio c- voif ov otfoi. qtoi cv otv cofi fo qq0cv qtoiv oc cci ooo foiotfqv cci oqqv. oi cofiv ovfo fotfo otoio a tocicvov oq fi b oi cv tocicvm cofiv q qtoi oci. ofo qtoiv oc fotfo 288 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE fc oi ooo fotfoi toqci o0 otfo, oiov fm tqi qcqco0oi ovm fotfo oq qtoi cv ot cofiv oto cci qtoiv, qtoci oc oi ofo qtoiv cofi v. Allo stesso modo <si comporta> ciascuna delle altre cose pro- dotte, perch nessuna di esse possiede in se stessa il principio della produzione, ma le une ad esempio una casa e ciascuno degli altri manufatti , <hanno tale principio> in altre cose ed esterne, men- tre le altre <hanno tale principio> in se stesse, ma non per se stes- se, e sono quelle che potrebbero essere cause per se stesse acciden- talmente. La natura quindi ci che si detto. E tutte queste cose sono sostanza: infatti sempre la natura un certo sostrato ed in un sostrato. Secondo natura sono tali cose e quante appartengono ad esse per se stesse, ad esempio <la propriet> del fuoco di por- tarsi verso lalto, perch questa n natura n ha natura, ma per natura e secondo natura. a) Nei commentatori antichi si trova la variante otoioi: lamento che tale variante non sia stata registrata da Ross nel suo appar. ad loc. Pur seguendo ledizione di Ross, traduce sostanze e non sostanza P. Pellegrin, che per non ne d giusticazione in nota. Io ritengo che sia indifferente leggere otoio o otoioi in questo passaggio, perch per Aristotele qui si tratta di un fatto non numericamente ma teoreti- camente considerevole. La lezione otoio, quindi, a mio avviso del tutto legittima e anzi mi sembra confermata da quanto Aristotele dice alle li. 193a9-10. In ogni caso, che si tratti di un sostantivo al singolare o al plurale, ci che conta mi sembra essere il fatto che otoio venga tradotto e inteso come sostanza e non come essenza. Questultimo si- gnicato viene adottato nella traduzione di L. Couloubaritsis e in quella di A. Stevens, che hanno forse risentito dellinuenza di A. Mansion (1945), p. 102 e nota 22. Questultimo, infatti, proprio in ri- ferimento alle li. 193a9-10 che io ho qui chiamato in causa a sostegno della lezione otoio anzich otoi oi, sottolinea che natura in Aristote- le sinonimo di essenza. A me sembra, invece, che il discorso che Ari- stotele fa poco prima, alle li. 192b33-34, spieghi che sulla base delli- dea secondo cui la natura intesa come principio sia considerata da Aristotele ora come materia ora come forma o essenza, ogni ente na- turale altro non possa signicare se non sostanza, ovverosia sinolo di materia e forma. Daltra parte, tra i due signicati di natura quale principio, e cio natura come materia e natura come forma, Aristotele ritiene che questultimo signicato sia quello prevalente, nel senso APPENDICE 289 che la vera natura di un ente naturale pi la forma o essenza che non la materia (cf. infra testo 17). b) Ledizione di Ross dopo il fi ha una virgola, perch segue la punteggiatura proposta dal Laas e basata sullinterpretazione di Te- mistio e di Filopono. Questultimo, ad esempio, In Phys. 204,19 ss., dopo aver letto otoioi alla li. 192b33 di Aristotele, aggiunge: Da do- ve poi abbia tratto induttivamente che siano sostanze lo ha ricordato tramite le parole che aggiunge, perch dice che ciascuna di queste <sostanze> un sostrato (o0cv o ofi otoioi, oio fq qoo0qq t- cvqocv cimv ofi tocicvov fi cofi fotfmv coofov). Filopono ritiene quindi che lespressione aristotelica tocicvov oq fi vada letta insieme con la frase precedente, cio oi cofiv ovfo fotfo ot- oio (in Filop. otoioi). A. Mansion (1945), p. 100 nota 15, propone di mettere dopo il fi una pausa ancora pi forte, cio il punto e virgola anzich la virgola. Questo intervento sul testo ha provocato una im- mediata conseguenza nellinterpretazione del passo, perch quasi tut- ti i traduttori hanno inteso questo passaggio nel senso che tutte le co- se che hanno natura, cio tutti gli enti naturali, sono sostanza o so- stanze , perch sono un sostrato (anche Carteron, che non segue Ross nel mettere la virgola dopo il fi , tuttavia intende in questo stesso modo). Come ho spiegato diffusamente nel 2.1., trovando peraltro conforto in Simplicio, a me sembra che questa lettura sia una indebita semplicazione del testo aristotelico, che invece va inteso, a mio avvi- so, nel senso che gli enti naturali sono sostanza (o sostanze) perch la natura che ne principio sostrato, nel senso che materia-sostrato, ed in un sostrato, nel senso che forma specica. Questo conferma il discorso secondo cui Aristotele, parlando della natura quale princi- pio, la intende sia come materia sia come forma. 14) Phys. II 1, 193a11-12: ooci o q qtoi oi q otoio fmv qtoci ovfmv cvioi civoi fo qmfov cvtoqov coofm, oqqt0iofov ov o0 cotfo, oiov ivq qtoi fo tov, ovoqiovfo o o oo . Sembra ad alcuni che la natura ovvero a la sostanza delle cose che sono per natura sia il primo costituente interno di ciascuna co- sa, per s del tutto privo di congurazione, b come ad esempio il le- gno natura del letto e il bronzo della statua. a) Traduco oi con ovvero in senso non disgiuntivo ma espli- cativo: commentando il concetto di qtoi nel II libro della Fisica ari- stotelica e risalendo peraltro a quanto Aristotele dice sulla qtoi gi 290 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE nel I libro, ho mostrato diffusamente lidenticazione delle nozioni di qtoi e di otoio attraverso il concetto di tocicvov, per cui mi sembra che qui Aristotele usi oi semplicemente per introdurre un elemento, cio otoio, che meglio determina e quindi spiega il primo, cio qtoi. Alla nota 22 di p. 102 A. Mansion (1945) sottolinea che i due termini, qtoi e otoio, sono qui legati, come anche alla li. 193a20, da un oi che ha evidentemente il signicato di q, tanto che alle li. 193a17 e 25 si trova solo otoi o. b) Laggettivo oqqt0o, accentuato dalla forma superlativa, adoperato qui da Aristotele, a mio avviso, per sottolineare il fatto che il costituente di un ente naturale visto dai siologi, come dimostra- no anche gli esempi del legno per il letto e del bronzo per la statua, come costituente naturale di un ente articiale, che perderebbe quin- di la sua natura se fosse privo della congurazione data dallartigiano. chiaro, quindi, che Aristotele non daccordo con costoro, perch essi perdono di vista che anche senza la forma articiale acquisita dal- la sostanza naturale, in questo caso il legno o il bronzo, lente naturale ha sempre una sua natura ovvero una sua forma o essenza naturale. Se costoro avessero ragione occorrerebbe ritenere anche che il legno non ha natura perch non ha la congurazione del letto o che il bron- zo non ha natura perch non ha la congurazione della statua. 15) Phys. II 1, 193a28-31: cvo cv otv fqoov otfm q qtoi ccfoi, q qmfq coofm tocicvq tq fmv covfmv cv otfoi oqqv ivqocm oi cfo- oq, oov oc fqoov q oqqq oi fo cioo fo ofo fo v oov. In un modo, dunque, la natura si dice la materia prima soggia- cente in ciascuna cosa fra quelle che hanno in se stesse il principio del movimento e del mutamento, in un altro modo, per, <natura> la forma ovvero la forma specica secondo la denizione. a a) Ho tradotto il oi che unisce q oqqq e fo cioo con un espli- cativo ovvero, perch ritengo che qui cioo sia appunto una speci- cazione di oqqq (cf. Simplicio, In Phys. 276,24 ss. e Filopono, In Phys. 215,8 ss.). Infatti, in Phys. I 7, 190a14-17 sia oqqq che ci oo in- dicano la forma di un ente naturale, ma cioo vuole essere una speci- cazione di oqqq e indica la forma specica che emerge dalla deni- zione di un ente. La distinzione fra oqqq ed cioo, del resto, si chia- risce alla ne di Phys. II 1, perch Aristotele afferma che oqqq , che uno dei signicati di qtoi, si pu intendere in due modi, cio come privazione (ofcqqoi) o come specicit (cioo). APPENDICE 291 16) Phys. II 1, 193b3-5: mofc oov fqoov q qtoi ov ciq fmv covfmv cv otfoi ivq- ocm oqqv q oqqq oi fo cioo, ot mqiofov ov o q ofo fov oov. Sicch, in un altro modo, la natura degli enti che hanno in se stessi un principio di movimento potrebbe essere la forma nel sen- so di specicit a che non separata se non secondo la denizione. a) Si vd. quanto ho scritto a proposito del passaggio precedente. 17) Phys. II 1, 193b6-8: oi oov otfq qtoi fq tq coofov oq fofc ccfoi ofov cvfcccio q , o ov q o fov otvo ci. E questa [scil. la forma] pi natura della materia, a perch cia- scun <ente naturale> allora detto <tale> quando in entelechia pi che quando in potenza. a) Ho qui inteso lespressione oi oov otfq qtoi fq tq nel modo in cui essa viene comunemente tradotta. Mi sembra che questa traduzione possa essere confortata anche da Metaph. A 4, 1014b26- 1015a19. Ho perci scartato linterpretazione di Pellegrin, il quale traduce Ou mieux: <la forme> est nature de la matire, ritenen- do che linterpretazione tradizionale sia grammaticalmente pi dif- cile (cf. p. 120 nota 4). In effetti, le parole che Aristotele scrive subi- to dopo mostrano in modo abbastanza evidente che, essendo lente naturale inteso come tale quando in entelechia piuttosto che quan- do in potenza, cio quando si trova nel suo processo di realizzazio- ne della forma, risulta evidente che la forma sia natura pi che la materia. 18) Phys. II 1-2, 193b12-26: c fi o q qt oi q coc vq m c vcoi o oo c ofiv ci qt oiv. ot o q mocq q iofqctoi a ccfoi ot ci iofqiqv ooo o ci ticiov ovoq cv oq oo iofqiq ot ci iofqiqv civoi fqv iofqctoiv, ot otfm o q qtoi cci qo fqv qtoiv, oo fo qtocvov c fivo ci fi cqcfoi q qtcfoi. fi otv qtcfoi oti c ot, o ci o. q oqo oqqq qtoi. q oc oqqq oi q qtoi oim ccfoi oi oq q ofcqqoi ci oo m c ofiv. ci o c ofiv ofc qqoi oi cvovfi ov fi cqi fq v oqv cvcoiv q q c ofiv, tofcqov c iocfc ov. 292 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Eci oc oimqiofoi ooom q qtoi, cfo fot fo 0cmqqfc ov fi vi oioqcqci o o0qofio fot qtoiot (oi oq cicoo oi ofcqco cci fo qtoio omofo oi qq oi ofio, cqi mv ooci o o- 0qofio) cfi ci q o ofqooi o cfc qo q cqo fq qtoiq . E ancora, la natura detta nel senso di generazione percorso verso la natura. Infatti non accade come si dice nel caso delleserci- zio della medicina, che non percorso verso larte medica bens verso la guarigione: necessario, infatti, che lesercizio della medi- cina parta dallarte medica e non <proceda> verso larte medica, tuttavia le cose non stanno cos nel caso del rapporto della natura con la natura, ma ci che cresce naturalmente procede da qualcosa verso qualcosa in cui avviene la crescita. Ebbene, che cosa il cre- scere? non certo ci da cui <muove la crescita> ma ci verso cui <procede la crescita>. Di conseguenza la forma natura. Ma la forma e la natura si dicono in modo duplice, perch anche la pri- vazione in certo qual modo una forma specica. Tuttavia, se ci sia oppure non ci sia privazione nel senso di un contrario determi- nato anche nel caso della generazione assoluta occorrer esaminar- lo in seguito. Dopo aver distinto in quanti modi si dice la natura, occorre teorizzare in che cosa differisca il matematico dal sico (anche per- ch i corpi naturali possiedono superci e volumi e lunghezze e punti, sui quali indaga il matematico). E ancora, <occorre teorizza- re> se lastronomia b sia una scienza diversa dalla sica oppure sia una sua parte. a) Qui iofqctoi signica esercizio dellarte medica (traduce correttamente Pellegrin le traitement mdical) e non, come spesso si traduce assumendo laltro signicato del termine, guarigione. propriamente lesercizio dellarte medica, infatti, che parte dallarte medica e non procede verso di essa. b) Il termine oofqooio va tradotto qui con astronomia. Tale termine non si trova in Platone e in Plotino, ma ha largo uso in Ari- stotele, nel quale esso sinonimo di oofqovoio: cf. oltre a Phys. II 2, 193b26 e 194a8, anche APr. I 30, 46a19-21, Apo. I 10, 76b11; De cae- lo, II 10, 291a32, II 11, 291b21, II 14, 297a4: Metaph. A 8, 989b33, B 2, 997b16 e 35, B 3, 998a5. Senofonte nei Memorabili usa indifferen- temente sia oofqooio che oofqovoio per indicare la medesima scienza. Simplicio, In Phys. 293,10 e Filopono, In Phys. 222,17 preci- APPENDICE 293 sano che, mentre al loro tempo i termini oofqovoio e oofqooio erano adoperati con diverso signicato, la stessa cosa non avveniva presso gli scrittori pi antichi. 19) Phys. II 2, 193b34-35: mqiofo oq fq voqoci ivqocm cofi, oi otocv oioqcqci, otoc ivcfoi ctoo mqiovfmv. Sono infatti separabili in virt del pensiero dal movimento, e il fatto che vengano separate non fa nessuna differenza n produce alcuna falsit. 20) Phys. II 2, 194a31-33: [] oio oi o oiqfq coim qoq0q ciciv "cci fcctfqv, qocq otvc ccvcfo" otcfoi oq ot ov civoi fo coofov fc- o oo fo cfiofov. [] Perci anche il poeta fu indotto a dire in modo ridicolo ha quella ne in vista di cui nato; perch non ogni termine ulti- mo pu essere un ne, ma <solo> il <termine ultimo> migliore. 21) Phys. II 2, 194a35-36: oim o q fo ot cvco ciqqfoi o c v foi cqi qioooqi o. Infatti ci in vista di cui si dice in due modi, come si gi detto nello scritto Sulla losoa. 22) Phys. II 2, 194b9-22: cqi oq ooot fov qtoiov oci ciocvoi fo cioo oi fo fi cofiv q mocq iofqov vctqov q oco oov, cqi fot fivo oq a cvco coofov, oi cqi fotfo o cofi mqiofo cv cioci, cv tq oc ov0qmo oq ov0qmov cvvo oi qio. m o cci fo mqiofo v oi fi cofi, qioooqi o cqov oioqiooi fq qmfq. Aimqiocvmv oc fotfmv ciocfcov cqi fmv oifimv, oio fc oi ooo fov oqi0ov cofiv. cci oq fot ciocvoi oqiv q qoo- fcio, ciocvoi oc ot qofcqov oioc0o coofov qiv ov omcv fo oio fi cqi coofov (fotfo o cofi fo ociv fqv qmfqv oifiov), oqov ofi oi qiv fotfo oiqfcov oi cqi cvcocm oi q0oqo oi ooq fq qtoiq cfooq []. 294 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Ma no a che punto il sico deve conoscere la forma ovvero lessenza? Forse come il medico deve conoscere il tendine o il fab- bro il bronzo, perch <deve conoscere> no a ci in vista di cui ciascuna cosa, e circa ci che s separabile per la forma, ma che immanente alla materia? Infatti un uomo genera un uomo, come pure il sole. In che modo poi esista ci che separato e che cosa esso sia, questo compito della losoa prima denirlo. b Una volta denite tali cose occorre indagare sulle cause, quali siano e anche quante siano di numero. Poich infatti il <presente> trattato riguarda il sapere, e noi non possiamo ritenere di sapere al- cunch prima di avere acquisito il perch su ciascuna cosa (cio prima di averne acquisito la causa prima), chiaro che dobbiamo fare questo anche per quanto concerne la generazione e la corru- zione e ogni tipo di mutamento naturale []. a) Integro qui il oq che Ross ha espunto a mio avviso a torto , perch lespressione cqi fot fivo oq cvco coofov, oi cqi fotfo o cofi mqiofo cv cioci, cv tq oc , proprio in virt del oq, la spiegazione della domanda precedente, esemplicata dal medico che deve conoscere il tendine e dal fabbro che deve conoscere il bronzo. Luno e laltro conoscono i loro oggetti quando ne conosco- no le nalit. Come loro, il sico deve conoscere il ne dellente natu- rale e deve conoscerne la forma che separabile dalla materia ma che pur sempre nella materia. b) Sulla base di quanto ho detto nel 2.2. a proposito della di- stinzione delle tre scienze teoretiche in Metasica, ritengo che qui sia in gioco ancora una volta un discorso che, se prioritariamente deve ri- spondere allesigenza di distinguere sica e matematica, tuttavia pre- senta il problema, di cui pure ho parlato, della distinzione fra mate- matica pura e losoa prima in ordine al fatto che entrambe queste scienze sembrerebbero occuparsi di enti immobili e separati. Tuttavia occorre dire che interessante lopinione di P. Pellegrin, cf. p. 127 e nota 3, secondo il quale questo passo aristotelico non rimanderebbe alla Metasica, come comunemente si pensa e come ritenevano anche i commentatori antichi (cf. Filopono, In Phys. 233,4 e 239,25), ma in- tenderebbe stabilire ancora una volta un contrasto fra sica e mate- matica. Il brano certamente complesso e a complicare la situazione hanno indubbiamente contribuito i commentatori antichi, come do- cumenta anche O. Hamelin (1931), pp. 76 ss. APPENDICE 295 23) Phys. II 3, 194b33-195a8: oio fi oq cqiofci qocv "ivo tioivq", oi ciovfc otfm oioc0o ooocomcvoi fo oifiov. oi ooo oq ivqoovfo oot c- fot ivcfoi fot fc ot, oiov fq t ici o q iovooi o q q o 0oqoi q fo qoqoo q fo oqovo ovfo oq fotfo fot fcot cvco cofiv, oioqcqci oc oqmv m ovfo fo cv cqo fo o oqovo. fo cv otv oifio ocoov foootfom ccfoi, otoivci oc oom cocvmv fmv oifimv oi oo fot otfot oifio civoi, ot ofo otcqo, oiov fot ovoqiovfo oi q ovoqiovfooiiq oi o oo, ot o0 cfcqov fi o q ovoqio, o ot fov otfov fqoov, oo fo c v m t q fo o m o0cv q ivqoi. Perch passeggia? rispondiamo: per essere sano, e dicendo cos riteniamo di aver fornito la causa. E quelle cose che sono inter- medie fra qualcosa di diverso che ha prodotto il movimento e il ne <di questo>, come nel caso della salute il dimagrimento, oppure la purgazione, o i medicamenti o gli strumenti <chirurgici>: tutte que- ste cose, infatti, sono in vista del ne, cio la salute, e differiscono fra loro in quanto le une sono operazioni e le altre invece strumenti. Questi sono pressoch tutti i modi in cui si dicono le cause, ma, poich le cause sono dette in molti modi, accade che ci siano molte cause della medesima cosa, e non in modo accidentale: ad esempio della statua sono causa sia larte della scultura sia il bron- zo, e non in virt di qualcosaltro rispetto alla statua, bens proprio in quanto una statua, per queste non sono cause allo stesso mo- do, poich luna causa della statua come materia e laltra come ci da cui prende avvio il movimento. 24) Phys. II 3, 195a21-23: fo oc ocqo oi o iofqo oi o otctoo oi om fo oiotv, ovfo o0cv q oqq fq cfooq q ofo ocm [q ivq ocm]. Il seme, il medico, chi delibera e in generale ci che agisce so- no tutte cose da cui deriva il principio del mutamento o della stasi [o del movimento]. 25) Phys. II 3, 195b28-31: o oo c v ot v fo oi fio oi o v fqo ov oi fio, c ofm q i v oimqioc vo iovm. 296 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Quante dunque siano le cause e quale sia il modo in cui sono cause stato da me determinato a sufcienza. 26) Phys. II 5, 196b17-22: fm v oc ivocvmv fo c v c vco fot i vcfoi fo o ot fot fmv oc fo cv ofo qooiqcoiv, fo o ot ofo qooiqcoiv, oqm o cv foi cvco fot, a mofc oqov ofi oi cv foi oqo fo ovooiov oi fo m c i fo ot c ofiv c vio cqi o c voc cfoi t o qciv fo c vco fot. c ofi o cvco fot ooo fc oo oiovoio ov qo0ciq oi ooo oo qtocm. Delle cose che divengono alcune divengono in vista di qualco- sa, mentre altre no (di queste ultime b poi le une sono dovute a deli- berazione e le altre non sono dovute a deliberazione, entrambe per rientrano fra le cose che sono in vista di qualcosa), sicch chiaro che anche nelle cose che sono al di l del necessario e del perlopi ce ne sono alcune per le quali si ammette che ci sia ci che in vista di qualcosa. E sono in vista di qualcosa le cose che sono state prodotte sia dal pensiero razionale sia dalla natura. c a) Seguo qui il testo proposto da Carteron, che diverso da quel- lo di Ross solo per i segni diacritici. Ross, infatti, non mette il punto e virgola dopo ot di li. 196b18, perch pone fra parentesi a mio avviso a torto lintera espressione fotfmv oc-cvco fot delle li. 196b18-19. b) Le traduzioni correnti riferiscono il fotfmv oc al primo gruppo di enti, indicato nella frase precedente con lespressione fo cv cvco fot ivcfoi. Come ho gi spiegato nel 4.2., io ritengo invece che fot fmv oc sia da riferire al secondo gruppo di enti, indicato nella frase precedente con lespressione fo o ot, cio a quegli enti che non di- vengono tout court nalisticamente o, meglio, che non divengono se- condo una regolare teleologia, quella cio determinata dalla causa - nale. Qui, a mio avviso, Aristotele sta impostando con unanticipazio- ne il complesso discorso su ftq e otfoofov, affermando che degli enti che non divengono secondo il regolare nalismo che si pu os- servare in natura, gli uni, cio quelli di cui causa la fortuna, sono dovuti a deliberazione, e gli altri, cio quelli di cui causa la sponta- neit, non sono dovuti a deliberazione, ma entrambi cio sia gli enti di cui causa la fortuna sia gli enti di cui causa la spontaneit rientrano sempre fra gli enti che divengono nalisticamente. In que- sto modo si spiega la consequenzialit (sicch dice Aristotele) del ragionamento aristotelico secondo cui risulta chiaro che alcuni enti che sfuggono alla regolarit del sempre e del perlopi sono comun- APPENDICE 297 que in vista di qualcosa, cio rientrano nel nalistismo. Questa inter- pretazione mi sembra confermata dalle espressioni linguistiche che Aristotele usa e che discuter qui di seguito al brano 27. c) Vd. anche a questo proposito il brano 27. 27) Phys. II 5, 196b29-33: o0ocq otv cc0q, ofov cv foi cvco fot ivocvoi fotfo cvqfoi, fofc ccfoi oo fotfoofot oi oo ftq (otfmv oc qo oqo fqv oioqoqov fotfmv tofcqov oioqiofcov vtv oc fot fo cofm qovcqov, ofi o qm c v foi cvco fot cofiv). Come si detto, dunque, quando avviene questo nellambito delle cose che divengono in vista di qualcosa, allora diciamo che <questo derivato> dalla spontaneit e dalla fortuna. (Successiva- mente occorrer precisare la differenza fra queste due <nozioni>, mentre per il momento sia chiaro questo, e cio che entrambe sono fra le cose in vista di qualcosa). a a) Nel 4.2. ho sottolineato che le due espressioni usate da Ari- stotele rispettivamente alla li. 196b17, fo cv cvco fot, e alla li. 196b19, cv foi cvco fot, hanno valore differente, dal momento che non la stessa cosa dire che un ente o un fenomeno in vista di qualcosa e dire che rientra fra gli enti o i fenomeni che sono in vista di qualcosa. La seconda espressione d limpressione di un livello, diciamo cos, indebolito di nalismo, nel senso di enti o fenomeni che, pur non avendo diritto a essere considerati a giusto titolo nali- sticamente ordinati, tuttavia acquisiscono ugualmente un tale diritto. Alla li. 196b21 Aristotele torna a parlare degli enti o fenomeni cvco fot, suddividendoli in due gruppi, quelli prodotti (qo0ciq) dal pen- siero razionale, oo oiovoio, e quelli prodotti dalla natura, oo qt- ocm: egli si riferisce agli enti che divengono in modo nalisticamente regolare e tuttavia questa suddivisione gli sar utile anche per gli enti che sono causati da fortuna o spontaneit, dei quali i primi sono do- vuti al pensiero razionale e i secondi no. Infatti, alla li. 196b23 si di- scute degli enti che divengono accidentalmente, ofo otcqo cvqfoi, e la cui causa indenita (cf. li. 196b28). Alla li. 196b29-30 Aristotele pu affermare quindi che, come si detto (o0ocq otv cc0q), quando avviene questo, fotfo cvqfoi, cio quando si veri- ca laccidentalit nel processo di divenire, nellambito delle cose che divengono in vista di qualcosa, cv foi cvco fot ivocvoi, allora si dice che un ente o un fenomeno derivato dalla spontaneit e dalla 298 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE fortuna (oo fotfoofot oi oo ftq) e che per il momento chia- ro che sia spontaneit che fortuna rientrano fra le cose che sono in vi- sta di qualcosa (oqm c v foi c vco fot c ofiv). I richiami linguistici che si possono osservare nel testo sono questi: 1) oqm o c v foi cvco fot li. 196b19 2) oqm c v foi c vco fot li. 196b33 La prima volta in cui ricorre lespressione cos come anche la se- conda volta sulla base della mia interpretazione , Aristotele si rife- risce a enti e a fenomeni dovuti a fortuna e spontaneit (mentre nel- linterpretazione tradizionale la prima volta Aristotele si riferirebbe a enti o fenomeni nalisticamente ordinati e la seconda volta, ovvia- mente, a enti o fenomeni dovuti a fortuna e spontaneit). La prima volta Aristotele sta anticipando ci che dimostrer nei capp. 5-6, cio il fatto che comunque ci di cui sono causa la fortuna o la spontaneit rientra nel nalismo naturale, mentre la seconda volta, pur non aven- do ancora dimostrato che il nalismo abbraccia anche gli enti e i fe- nomeni di cui fortuna e spontaneit sono cause, tuttavia ha introdotto un elemento decisivo della sua argomentazione, cio laccidentalit, il ofo otcqo. La ripetizione dellespressione oqm cv foi cvco fot mediata da questi altri richiami linguistici: 3) ooo fc oo oiovoio oi ooo o o qtocm li. 196b22 4) oo fotfoofot oi oo ftq li. 196b30-31 Alla li. 196b22 ci che nalisticamente ordinato (c vco fot) risul- ta o o o oiovoi o o o o qt ocm. Alle li. 196b30-31 troviamo invece o o fot foo fot oi o o ft q perch intervenuta frattanto laccidentalit: 5) ofo otcqo c vqfoi li. 196b23 6) fotfo cvqfoi li. 196b30 Questa accidentalit trasforma ci che normalmente cvco fot in enti e fenomeni che sono c v foi cvco fot. 28) Phys. II 6, 198a5-9: cci o cofi fo otfoofov oi q ftq oifio mv ov q vot cvoifo oifio q qtoi, ofov ofo otcqo oifiov fi cvqfoi fotfmv otfmv, otocv oc ofo otcqo cofi qofcqov fmv o0 otfo, oqov ofi otoc fo ofo otcqo oifiov qofcqov fot o0 otfo. Poich la spontaneit e la fortuna sono cause di ci di cui pu essere causa lintelletto o la natura quando uno di questi ultimi sia causa accidentalmente, a e tuttavia nulla di ci che accidentale prima di ci che per se stesso, chiaro che neppure la causa acci- dentale prima della causa per s. APPENDICE 299 a) Qui si conferma quanto ho gi chiarito commentando il passo 27, e cio che, anche se alle li. 196b21-22, quando parla di enti o fe- nomeni causati dal pensiero razionale, oo oiovoio, o dalla natura, o- o qtocm, Aristotele si riferisce agli enti o fenomeni cvco fot, tutta- via questa suddivisione vale anche per gli enti che sono causati da for- tuna o spontaneit. Qui infatti, la distinzione che alle li. 196b21-22 era oo oiovoio/oo qtocm diviene q vot/q qtoi, senza sostan- ziale differenza di signicato, e riguarda per la causalit di sponta- neit e fortuna quando interviene laccidentalit, ofo otcqo. Si tratta, come si pu notare, del medesimo discorso che ho esaminato prima. 29) Phys. II 7, 198a16-27: q oq ci fo fi cofiv ovocfoi fo oio fi coofov, cv foi oivq- foi (oiov cv foi o0qooiv ci oqioov oq fot ct0co q otc- fqot q oot fivo ovocfoi coofov), q ci fo ivqoov qmfov (oiov oio fi cocqoov ofi cotqoov), q fivo cvco (ivo oqm- oiv), q cv foi ivocvoi q tq. ofi cv otv fo oifio fotfo oi foootfo, qovcqov cci o oi oifioi fcffoqc, cqi oomv fot qt- oiot ciocvoi, oi ci ooo ovomv fo oio fi ooomoci qtoim, fqv tqv, fo cioo, fo ivqoov, fo ot cvco. cqcfoi oc fo fqio ci [fo] cv ooi fo cv oq fi cofi oi fo ot cvco cv cofi, fo o o0cv q ivqoi qmfov fm cioci fotfo fotfoi ov0qmo oq ov0qmov cvvo . Infatti il perch ultimo si riconduce o allessenza, nelle cose im- mobili (come ad esempio nel campo delle matematiche, perch il perch ultimo si riconduce alla denizione del retto o del commen- surabile o di unaltra cosa), oppure al motore primo (come ad esempio perch fecero guerra? perch li avevano depredati); oppure in vista di che cosa? (per dominare); oppure nelle cose che divengono <il perch > la materia. Che dunque le cause siano tante e tali risulta evidente. Ma poi- ch le cause sono quattro, compito del sico averne conoscenza di tutte e, richiamandosi a tutte <e quattro le cause>, cio la mate- ria, la forma specica, ci che ha mosso, ci in vista di cui, egli for- nir il perch secondo il criterio della scienza della natura. Tre <di tali cause> poi convergono spesso in una sola. Infatti il che cos e ci in vista di cui sono ununica cosa, e ci da cui come primo 300 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE deriva il movimento specicamente identico a questi, infatti un uomo genera un uomo. 30) Phys. II 7, 198b3-5: fco oq oi ot cvco mofc cci q qtoi cvco fot, oi fotfqv ciocvoi oci []. <La forma > infatti ne e ci in vista di cui, sicch, poich la natura in vista di qualcosa, occorre conoscere anche questa []. 31) Phys. II 8, 199a8-20: cfi cv oooi fco cofi fi, fotfot cvco qoffcfoi fo qofc- qov oi fo cqcq. ototv m qoffcfoi, otfm cqtc, oi m c- qtcv, otfm qoffcfoi coofov, ov q fi cooiq. qoffcfoi o cvco fot oi cqtcv oqo cvco fot. oiov ci oiio fmv qtoci ivocvmv qv, otfm ov civcfo m vtv to fq fcvq ci oc fo qtoci q ovov qtoci oo oi fcvq ivoifo, mootfm ov ivoi- fo q cqtcv. cvco oqo 0ofcqot 0ofcqov. om oc q fcvq fo cv cifcci o q qtoi ootvofci ocqoooo0oi, fo oc icifoi. ci otv fo ofo fcvqv c vco fot, oqov o fi oi fo ofo qt oiv o oi m o q cci qo oqo cv foi ofo fcvqv oi cv foi ofo qtoiv fo t ofcqo qo fo qofcqo. E ancora, nelle cose in cui c un termine ultimo, ci che viene prima e ci che viene dopo sono compiuti in vista di esso. a Orbe- ne, b ciascuna cosa come viene compiuta cos diviene naturalmente c e come diviene naturalmente cos viene compiuta se nulla lo impe- disce. Ma <ci che viene compiuto> viene compiuto in vista di qualcosa, quindi diviene in vista di qualcosa anche ci che diviene naturalmente. Ad esempio, se una casa fosse una delle cose che di- vengono per natura, essa sarebbe divenuta cos come ora com- piuta per opera della tecnica, mentre se le cose naturali divenissero non soltanto ad opera della natura, ma anche ad opera della tecni- ca, esse diverrebbero allo stesso modo in cui divengono per natura. Quindi luna cosa in vista dellaltra. d Insomma la tecnica da un lato realizza le cose che la natura incapace di produrre, ma dal- laltro lato la imita. Se dunque gli oggetti secondo la tecnica sono in vista di qualcosa, chiaro che lo sono anche gli enti secondo na- tura, perch i susseguenti e gli antecedenti stanno fra loro allo stes- APPENDICE 301 so modo nel caso degli oggetti secondo la tecnica e nel caso degli enti secondo natura. a) Queste li. 199a8-20, con cui Aristotele svolge il suo secondo argomento contro il meccanicismo naturale e a favore di una visione teleologica, sono particolarmente complesse e pongono tutta una se- rie di problemi. Il primo di questi, gi affrontato dai commentatori antichi, riguarda la determinazione del signicato di fco. Simplicio, In Phys. 377,13 ss., ad esempio, riportando anche lopinione di Ales- sandro di Afrodisia, riferisce una lezione di 199a8 diversa da quella che troviamo nel testo di Ross, e cio cfi cv oi fco cofi fo cvco fot, che egli peraltro confessa di non riscontrare nei manoscritti di cui dispone, e accusa Aristotele di fare un ragionamento tautologico. Lerrore di Simplicio consiste nel prendere in considerazione un solo signicato di ne, perch fco e fo ot cvco signicherebbero la stessa cosa, e cio termine ultimo. Io ho gi dimostrato, per, che al termine fco Aristotele d un doppio signicato, quello di termine ultimo, corrispondente a coofov, e quello di ne, che Aristotele in- dica con lespressione fo ot cvco. A mio avviso qui fco ha il signi- cato di termine ultimo (cos lo intendono O. Hamelin e P. Pellegrin, cf. anche Temistio, In Phys. 193,1 e Simplicio, In Phys. 375,15), poi- ch il ragionamento di Aristotele, il quale mette in campo un antece- dente e un susseguente di un movimento continuo, pone laccento sulla processualit del divenire, sia tecnico che naturale, che deve ave- re un termine, un punto di arresto, che consiste nella forma a cui ten- de lente in movimento e raggiunta la quale cessa il divenire dellente stesso. Tradurre fco con termine ultimo, tuttavia, non vuol dire negare il senso teleologico di ne al ne di evitare la critica di Sim- plicio secondo cui, se si intende teleologicamente il termine, Aristote- le andrebbe accusato di tautologia, perch entrambi i signicati di fc- o che ho indicato rientrano nella visione teleologica di Aristotele che, peraltro, ancora in discussione proprio in queste li. 199a8-20, in cui Aristotele mette in parallelo, ancora una volta, natura e tecnica. b) Come ho gi sottolineato nel 5.1. e come peraltro ha preci- sato gi P. Pellegrin (p. 151 nota 3) contro O. Hamelin (pp. 152- 153) , ototv non indica la conseguenza della frase precedente, ma indica che, una volta delimitato il campo di pertinenza di questa se- conda argomentazione tramite la frase precedente, largomentazione vera e propria pu essere messa in atto. c) Troviamo il termine cqtc alla li. 199a10 (cqtcv li. 199a10 e 11) che io ho inteso nel senso di divenire per natura. Hcqtc, in- fatti, non indica qui che la nalit appartiene alla natura essenzial- 302 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE mente e non accidentalmente o casualmente, ma che il divenire natu- rale sta in rapporto con qoffcfoi, cio con il divenire tecnico. Que- sta interpretazione confermata dal fatto che, nelle linee seguenti, Aristotele utilizza esplicitamente il verbo ivooi sia unitamente a qtoi (199a12 e 13-15) sia unitamente a fcvq (199a13-14). O. Ha- melin traduce quindi correttamente la nature produit [] (allo stesso modo Carteron), e P. Pellegrin traduce [] arrive naturelle- ment, mentre mantengono la traduzione letterale nel signicato di per natura, Couloubaritsis, Stevens, Charlton, Franco Repellini e Zanatta. d) Lespressione cvco oqo 0ofcqot 0ofcqov, letteralmente quin- di luna cosa in vista dellaltra, intesa dai commentatori antichi e moderni in modi differenti. Simplicio, In Phys. 377,5-7, la spiega nel senso che ci che sta prima del ne in vista di questo, e quindi affer- ma che cvco oqo 0ofcqot 0ofcqov signica cvco fot fcot fo qo otfot. La stessa interpretazione si trova in Filopono, In Phys. 316,17- 18, il quale scrive: cvco oqo 0ofcqot 0ofcqov. fotfcofiv cvco fot fcot fo qo fot fcot. Sulla base dei commentatori antichi O. Ha- melin ritiene che lespressione rimandi precisamente a quanto Aristo- tele ha detto alle li. 199a8-9, e cio che, quando c un movimento continuo, ci che viene prima e ci che viene dopo (fo qofcqov oi fo cqcq) sono in vista del termine ultimo, per cui traduce: Par consquent, lun [des moments de la chose, cest--dire les antc- dents, serait produit] en vue de lautre, [cest--dire du terme nal] (cf. anche il suo commento alle pp. 152-153 in cui Hamelin richiama esplicitamente Simplicio a supporto della sua interpretazione). P. Pel- legrin ritiene anchegli che lespressione cvco oqo 0ofcqot 0ofcqov si riferisca precisamente a fo qofcqov oi fo cqcq della li. 199a9, per cui traduce Donc lantrieur est en vue du postrieur. Altri tradutto- ri della Fisica si limitano a tradurre alla lettera lespressione aristotelica, senza dare alcuna indicazione sul suo signicato. Ora, in verit, alla li. 199a8-9 Aristotele afferma precisamente che ci che viene prima e ci che viene dopo [cio le varie unit di movimento che si susseguo- no nel processo di divenire] sono in vista del termine ultimo e non di- ce affatto che ci che viene prima in vista di ci che viene dopo. In ogni processo di divenire, cio, lantecedente non tende al suo susse- guente, ma luno e laltro, antecedente e susseguente, tendono al com- pimento perfetto del processo che il loro ne comune. Anche quan- do, alle li. 199a18-20, Aristotele afferma che sia nel caso di oggetti arti- ciali sia nel caso di enti naturali il rapporto reciproco di susseguenti e antecedenti lo stesso, tale rapporto si stabilisce sulla base del fatto che gli uni e gli altri tendono al termine ultimo, mentre Aristotele non APPENDICE 303 dice mai che gli antecedenti tendono ai susseguenti. Invece, dopo ave- re affermato che ci che viene prima e ci che viene dopo, fo qo fcqov oi fo cqcq, tendono al fco, proprio su questultimo concetto che si appunta lattenzione di Aristotele che mette in campo, ancora una volta, il rapporto fcvq/qtoi. Infatti, attraverso il rapporto fra il divenire tecnico e il divenire naturale (qoffcfoi/cqtc), si scopre, partendo dal divenire tecnico che di tipo nalistico, che anche il di- venire naturale dello stesso tipo. Ma, e questo ancora pi impor- tante ai ni della validit della mia ipotesi interpretativa, la relazione fra divenire tecnico e divenire naturale presentata qui da Aristotele in un modo che potrebbe indurre a pensare a una possibile recipro- cit o, meglio, convertibilit fra natura e tecnica, per cui la natura sa- rebbe una sorta di tecnica. Infatti Aristotele alle li. 199a9-10 scrive m qoffcfoi, otfm cqtc, oi m cqtcv, otfm qoffcfoi coofov. E ancora, lo Stagirita fa lesempio della costruzione della casa afferman- do che se essa fosse annoverata fra gli enti naturali sarebbe compiuta cos come lo ad opera della tecnica e, corrispondentemente, gli enti naturali, se divenissero ad opera della tecnica e non solo ad opera del- la natura, diverrebbero allo stesso modo, appunto, in cui divengono per natura. Ma lesempio dimostra che la convertibilit non reale, perch Aristotele dice se gli enti naturali divenissero ad opera della tecnica, cosa che non realt. Non c reciprocit, ma solo il dato che sia il divenire tecnico che il divenire naturale avvengono in vista di un ne. a questo punto, cio dopo aver messo in correlazione divenire tecnico e divenire naturale, che Aristotele dice quindi luna cosa in vista dellaltra, intendendo quindi, a mio avviso, letteralmente che il divenire tecnico in vista del divenire naturale, nel senso che occorre non lasciarsi ingannare dallapparente convertibilit di rapporto fra divenire tecnico e divenire naturale convertibilit che anzi Aristote- le ha presentato a favore del divenire tecnico, poich sembrerebbe che il nalismo naturale abbia euristicamente nel divenire tecnico il suo punto di partenza. Invece, come Aristotele ha chiarito pi volte, lanalogia fcvq/qtoi possibile nella misura in cui sussiste un reale rapporto di somiglianza in ordine al modo in cui si realizzano i rispet- tivi processi, poich sia il divenire tecnico che quello naturale necessi- tano di una processionalit ordinata, fatta cio di unit cinetiche e temporali tendenti a un termine ultimo. Ma, se per conoscere il nali- smo naturale noi partiamo da ci che ci meglio noto, e cio dal na- lismo della tecnica, tuttavia questultimo sussiste in virt di quello e il divenire nalisticamente della tecnica rimanda al divenire nalistica- mente della natura. Il divenire tecnico, quindi, un divenire di tipo teleologico in virt del fatto che il divenire naturale teleologico. 304 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Questa lettura mi sembra corroborata da ci che Aristotele dice subi- to dopo, quando cio egli sente il bisogno di chiarire che la tecnica prende a modello la natura. Poich lordine teleologico, quindi, ap- partiene cos alla natura come alla tecnica di cui quella costituisce il modello, i susseguenti hanno con gli antecedenti [si badi che Aristo- tele non dice gli antecedenti stanno ai susseguenti, come avrebbe dovuto dire nel caso in cui avesse inteso che gli antecedenti hanno nei susseguenti il loro ne] un uguale rapporto nel divenire, rispettiva- mente, degli oggetti articiali e degli enti tecnici. 32) Phys. II 8, 199a30-32: oi cci q qtoi oiffq, q cv m tq q o m oqqq, fco o otfq, fot fcot oc cvco foo, otfq ov ciq q oifio, q ot cvco. E poich la natura duplice, da un lato materia e dallaltro lato forma, ma questultima il ne, mentre le altre cose sono in vista del ne, <allora> la <natura come forma> sar la causa in vista di cui. 33) Phys. II 8, 199b14-18: o m o o voiqci o ot fm c mv fo qt oci fc oi qt oiv qt oci o q, ooo oo fivo cv otfoi oqq otvcm ivotcvo oqivcifoi ci fi fco oq coofq oc ot fo otfo coofoi otoc fo ftov, oci cvfoi ci fo ot fo , o v q fi cooioq . In generale, chi parla in questo modo elimina sia gli enti natu- rali sia la natura, perch sono per natura tutte quelle cose che, es- sendo mosse in maniera continua da un certo principio che in es- se, pervengono a un certo ne: da ciascun principio non nasce per la stessa cosa in ciascun caso particolare, n nasce una cosa qualsiasi, ma sempre ciascuna cosa tende verso il medesimo ne, se nulla lo impedisce. 34) Phys. II 8, 199b32-33: ofi c v ot v oi fio q qtoi, oi otfm m c vco fot, qovcqo v. chiaro dunque che la natura una causa e lo nel modo di ci che in vista di qualcosa. 35) Phys. II 9, 200a5-10: o om ot ovct cv fotfmv covcv, ot cvfoi oio fotfo qv m oi tqv, o cvco fot qtfciv offo oi omciv. ooim APPENDICE 305 oc oi cv foi ooi ooiv, cv oooi fo cvco fot cofiv, ot ovct cv fmv ovooiov covfmv fqv qtoiv, ot cvfoi c oio fotfo o q m tqv, o c vco fot []. Nondimeno, sebbene <il muro> non sia venuto su in assenza di questi materiali, tuttavia non venuto su a causa di essi, eccetto che come sua <causa> materiale, ma per preservare e salvaguarda- re certe cose. Similmente poi anche in tutte le altre cose in cui c ci che in vista di qualcosa, <esse divengono> non senza le co- se che hanno la natura necessaria, ma di certo non a causa di que- ste, eccetto che come loro materia, bens in vista di qualcosa []. 36) Phys. II 9, 200a14-15: c v o q fq tq fo ovooi ov, fo o ot cvco c v fm om. Infatti il necessario nella materia, mentre ci in vista di cui nella denizione. 37) Phys. II 9, 200a24-26: mof ci cofoi oiio, ovoq fotfo cvco0oi q toqciv, q civoi [q] om fqv tqv fqv cvco fot, oiov iv0ot oi i0ot, ci oiio. Sicch se ci sar una casa necessario che vengano realizzate o che sussistano queste sue condizioni, o che in generale ci sia la ma- teria in vista di qualcosa, ad esempio mattoni e pietre, trattandosi della casa. 38) Phys. III 1, 200b12-15: Eci o q qtoi cv cofiv oqq ivqocm oi cfooq, q oc c0ooo qiv cqi qtocm cofi, oci q ov0ovciv fi cofi ivqoi ovooi ov o q o vootcvq ot fq ovoci o0oi oi fq v qt oiv. Poich la natura principio di movimento e di mutamento e la nostra ricerca riguarda la natura, occorre che non resti nascosto che cosa sia movimento, perch ignorando questo si ignora neces- sariamente anche la natura. 39) Phys. III 1, 201a10-11: [] q fot otvoci ovfo cvfcccio, q foiotfov, ivqoi cofiv. [] movimento lentelechia a di ci che in potenza in quan- to tale. 306 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE a) Il termine cvfcccio tradotto in due modi diversi dai tra- duttori moderni, cio come atto e come entelechia. In questultimo modo lo traducono ad esempio H. Carteron (che tuttavia talvolta lo traduce atto), L. Couloubaritsis, A. Stevens, P. Pellegrin. Hardie & Gaye utilizzano un termine corrispondente, e cio fullment. Tra- durre cvfcccio con atto crea confusione fra due termini utilizzati da Aristotele, cvfcccio ed cvcqcio, che taluni traduttori rendono ambedue con atto, mentre da moltissimi luoghi aristotelici si le- gittimati a intendere i due termini in modo differenziato e precisa- mente, secondo il mio modo di vedere, cvfcccio con attualizzazio- ne, nel senso che un ente in divenire si trova coinvolto in un proces- so di acquisizione di forma che non ancora compiuto, ed cvcqcio con atto, nel senso di compiuta acquisizione di forma da parte di un ente in divenire (W.D. Ross, ad esempio, ritiene che cvfcccio si- gnichi attualizzazione ed cvcqcio attualit). Si tratta di due ter- mini su cui molto si discusso e ancora oggi si discute, come ho gi sottolineato nel 2.1. indicando la relativa letteratura critica, ma a me sembra chiaro quanto Aristotele afferma in Phys. III 2, 201b31 ss., in cui dice che lcvfcccio altro non che una cvcqcio ofcq, cio un atto incompiuto. Tale incompiutezza data dalla presenza della- spetto potenziale dellente, che scomparir solo quando la forma sar compiutamente acquisita. Riettendo sulla base di queste indicazioni aristoteliche non mi sembra corretto ci che afferma Simplicio: lanti- co commentatore da una parte distingue i due termini, cvfcccio ed cvcqcio, e anzi accusa gli altri commentatori (Alessandro di Afrodi- sia, Porrio e Temistio) di confonderli ingiustamente, ma dallaltra parte ritiene che sia cvcqcio il termine che indica lincompiutezza del processo di divenire e che quindi debba essere chiamato in causa per denire il movimento, per cui in In Phys., 414,15 ss. invita a cor- reggere questo passaggio aristotelico scrivendo: fqv fot otvoci ovfo cvcqciov, q foiotfov c ofi, c m ivqoiv ci voi. 40) Phys. III 2, 202a3-12: ivcifoi oc oi fo ivotv mocq ciqqfoi ov, fo otvoci ov ivqfov, oi ot q oivqoio qqcio cofiv (m oq q ivqoi toqci, fotfot q oivqoio qqcio). a fo oq qo fotfo b cvcqciv, q foiotfov, otfo fo ivciv cofi fotfo oc oici 0ici, mofc oo oi ooci oio q ivqoi cvfcccio fot ivqfot, q ivqfov, otoivci oc fotfo 0ici fot ivqfiot, mo0 oo oi ooci. cioo oc oci oiocfoi fi fo ivotv, qfoi fooc q foiovoc q fooovoc, o cofoi oqq APPENDICE 307 oi oifiov fq ivqocm, ofov ivq, oiov o cvfcccio ov0qmo oici c fot otvo ci o vfo ov0qmot ov0qmov. Ma si muove anche, come si detto, ogni motore, che <quin- di> in potenza mobile e la cui assenza di movimento quiete (perch lassenza di movimento quiete per ci a cui appartiene il movimento). In effetti, lagire sul mobile in quanto mobile il muovere in quanto tale; questo poi [scil. il motore] agisce per con- tatto, sicch contemporaneamente anche patisce, perci il movi- mento entelechia del mobile, in quanto mobile, ma questo avvie- ne per contatto con ci che capace di muovere, sicch <questul- timo> contemporaneamente anche patisce. Ma ci che muove re- cher sempre una certa forma, cio o qualcosa di determinato, o una qualit, o una quantit, che sar principio e causa del movi- mento, qualora <il motore> muova, ad esempio luomo in entele- chia genera un uomo dalluomo che in potenza. a) Queste li. III 2, 202a3-5, presentano qualche difcolt, tant vero che Ross e Carteron, nelle loro rispettive edizioni della Fisica, adottano una punteggiatura differente. Le traduzioni correnti attri- buiscono lespressione fo otvoci ov ivqfov al motore, per il fatto che Aristotele, dicendo mocq ciqqfoi alla linea precedente, si riferi- sce evidentemente a qualcosa che ha gi detto, che potrebbe essere identicato verosimilmente con le li. III 1, 201a23-24, e cio con le- spressione fo ivotv qtoim ivqfov. Inoltre, dire del motore che in potenza mobile signica spiegare quanto Aristotele ha appena affer- mato, e cio che il motore si muove esso stesso: ci che si muove , in effetti, mobile in potenza. In questo passaggio che conclude il cap. III 2, c tuttavia un discorso diverso rispetto a quanto Aristotele ha det- to precedentemente, perch egli sta preparando largomento che vie- ne sviluppato nel cap. 3, e cio quello del rapporto tra il motore e il mobile, per cui, da questo momento in poi, il motore e il mobile sa- ranno nettamente distinti e il motore in potenza verr sempre indica- to come ci che capace di muovere e non pi come il mobile. Il motore in potenza sar quindi ivqfio v e non pi ivqfo v. Non a ca- so, infatti, Aspasio propone di cambiare, anche in questo passaggio che stiamo analizzando, il ivqfov della li. 202a4 in ivqfiov. Le- spressione che Aristotele ha usato in Phys. III 1, 201a23-24 invece, cio fo ivotv qtoim ivqfov, ha un senso in quello specico conte- sto, perch Aristotele ha bisogno l di distinguere un motore mobile da un motore che, pur essendo motore, tuttavia immobile, mentre 308 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE nel contesto che stiamo analizzando, cio III 2, 202a3-4, come ho det- to Aristotele ha interesse a mettere in evidenza il rapporto che sussi- ste tra il motore e il mobile. b) Con lespressione qo fotfo, Aristotele esprime bene la con- dizione del secondo assioma sul movimento, di cui si occupa da que- sto momento in poi, e cio che il movimento nasce da una relazione. Quindi, qo fotfo indica lagire del motore sul mobile, cio su ci con cui il motore deve essere in relazione per avviare il movimento. 41) Phys. V 1, 224b7-8: oov oq ci o q c ot ivci foi ovoocfoi q cfooq . Si applica il nome mutamento pi a ci verso cui che a ci da cui avviene il movimento. 42) Phys. V 1, 225b3-4: oi o q q ofc qqoi cio0m cvovfiov. Infatti si ponga che anche la privazione un contrario. 43) Phys. V 2, 226a10-11: cfi tqv oci tcivoi oi fm ivocvm oi fm cfoo ovfi. Inoltre, sia a ci che si genera sia a ci che muta deve sottostare una materia. 44) Phys. V 5, 229a30-b2: cci oc oioqcqci cfooq ivqocm (q c fivo oq tocic- vot ci fi tocicvov cfooq ivqoi cofiv), q c cvovfiot ci cvovfiov fq c cvovfiot ci cvovfiov ivqoi cvovfio, oiov q c t ici o ci vo oov fq c vooot ci t iciov. Poich il mutamento diverso dal movimento (perch movi- mento il mutamento da un sostrato a un sostrato), allora il movi- mento che va da contrario a contrario contrario a quello che va da <questultimo> contrario al <primo> contrario, ad esempio quello che va dalla salute alla malattia < contrario> a quello che va dalla malattia alla salute. 45) Metaph. A 1, 981a28-30: oi cv oq cciqoi fo ofi cv ioooi, oiofi o ot ioooiv oi oc fo oiofi oi fq v oifi ov vmqiotoiv. APPENDICE 309 Infatti gli empirici sanno il che, ma non sanno perch <qualcosa >, mentre coloro che possiedono larte sanno il per- ch e conoscono la causa. 46) Metaph. A 3, 983a26-b6: fo o oifio ccfoi fcfqom, mv iov cv oifiov qocv civoi fqv otoiov oi fo fi qv civoi (ovocfoi oq fo oio fi ci fov oov coofov, oifiov oc oi oqq fo oio fi qmfov), cfcqov oc fqv tqv oi fo tocicvov, fqifqv oc o0cv q oqq fq ivqocm, fcfoqfqv oc fqv ovficicvqv oifiov fotfq, fo ot cvco oi foo0ov (fco oq cvcocm oi ivqocm ooq fotf cofiv), fc0cmqqfoi cv otv iovm cqi otfmv qiv cv foi cqi qtocm, om oc oqoomcv oi fot qofcqov qmv ci ciociv fmv ovfmv c0ovfo oi qi- oooqqoovfo cqi fq oq0cio. oqov oq ofi ocivoi cotoiv oqo fivo oi oifio cc0otoiv otv cofoi fi qotqot fq c0oom fq vtv q oq cfcqov fi cvo ctqqoocv oifio q foi vtv coc voi oov iofctoocv. Ora, le cause si dicono in quattro sensi. In un primo senso, di- ciamo che causa la sostanza ovvero lessenza (infatti, il perch si riduce, in ultima analisi, alla denizione: e il primo perch ap- punto causa ovvero principio); in un secondo senso, diciamo che causa la materia intesa come sostrato; in un terzo senso, poi, di- ciamo che causa ci da cui ha principio il movimento; in un quar- to senso, inne, diciamo che causa quella opposta a questultima, ossia ci in vista di cui e il bene: (infatti, questultimo il ne di ogni generazione e movimento). Queste cause sono state da noi teorizzate adeguatamente nella Fisica, tuttavia dobbiamo prendere in esame anche coloro che prima di noi hanno affrontato lo studio degli enti ed hanno losofato intorno alla verit. chiaro, infatti, che anchessi parlano di certi principi e di certe cause. Ebbene, il rifarsi ad essi sar certo di vantaggio alla presente indagine, perch o troveremo qualche altro genere di causa, oppure acquisteremo maggiore ducia sulle cause di cui ora si detto. 47) Metaph. A 10, 993a11-16: Ofi cv otv fo ciqqcvo cv foi qtoioi oifio qfciv coiooi ovfc, oi fotfmv cfo otociov coicv ov ciciv, 310 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE oqov oi c fmv qofcqov ciqqcvmv o otoqm fotfo, oi fqoov cv fivo oooi qofcqov ciqqvfoi fqoov oc fivo otoom. ciocvq oq coicv q qmfq qioooqio cqi ovfmv, ofc vco fc oi of oqo ot oo. Dunque, da ci che sopra si detto, risulta evidente che tutti i loso sembrano aver ricercato le cause da noi stabilite nella Fisica, e che non potremmo parlare di alcunaltra causa allinfuori di queste; ma essi hanno parlato di queste cause in maniera confu- sa. E, in un certo senso, tutte da loro sono state menzionate, men- tre in un altro senso non sono state affatto menzionate. La losoa primitiva, infatti, sembra che balbetti su tutte le cose, essendo essa giovane e ai suoi primi passi. 48) Metaph. B 2, 997b15-998a6: mof ccicq q oofqooio io fotfmv cofiv, cofoi fi oi otqovo oqo fov oio0qfov otqovov oi qio fc oi ocqvq oi foo ooim fo ofo fov otqovov. [] ooim oc oi cqi mv q ofiq qoofctcfoi oi q cv foi o0qooiv oqoviq oi oq fotfo ootvofov civoi oqo fo oio0qfo oio fo otfo oifio []. ooqqocic o ov fi oi cqi oio fmv ovfmv oci qfciv fotfo fo ciofqo. ci oq fotfm oioioci fq cmooioio q cmcfqio ovov, ofi q cv fotfmv cofiv mv oio0ovoc0o q o ot oio0qfmv, oqov ofi oi oq iofqiqv cofoi fi ciofqq oi oq coofqv fmv omv cfot otfq fc iofqiq oi fqooc fq iofqiq []. oo oc otoc fotfo oq0c, m q cmooioio fmv oio0qfmv cofi cc- 0mv oi q0oqfmv cq0ciqcfo oq ov q0ciqocvmv. -oo qv otoc fmv oio0qfmv ov ciq cc0mv otoc cqi fov otqovov q oofqooio fovoc. otfc oq oi oio0qfoi qooi foiotfoi cioiv oio cci o cmcfqq [], ot0 oi ivqoci oi cic fot otqovot ooioi cqi mv q oofqooio oicifoi fot oot, otfc fo oqcio foi oofqoi fq v ot fq v cci qtoiv. Sicch, dal momento che lastronomia una di queste <scienze matematiche>, ci sar per conseguenza anche un certo cielo oltre il cielo sensibile, e anche un altro sole e unaltra luna, e lo stesso per tutti gli altri corpi celesti. [] La stessa cosa vale anche per ci su cui indaga lottica e per ci su cui indaga larmonica matematica. Infatti anche impossibile che queste esistano oltre i sensibili, per APPENDICE 311 le medesime ragioni. [] Qualcuno poi potrebbe anche porre il problema su quali enti occorra che tali scienze indaghino. Se infatti la geometria differisce dalla geodesia solo per il fatto che questul- tima verte intorno a cose sensibili, mentre laltra verte intorno a co- se non sensibili, chiaro che ci sar una certa scienza intermedia fra la medicina in s e la medicina sensibile e che questo vale sia per la medicina sia per ciascuna delle altre scienze []. Ad un tempo, nemmeno questo vero: cio che la geodesia riguardi gran- dezze sensibili e corruttibili, perch, corrompendosi queste, essa stessa si corromperebbe. Daltra parte, nemmeno lastronomia po- trebbe riguardare le grandezze sensibili, n questo cielo sensibile. Infatti, n le linee sensibili sono quali le intende il geometra [], n i movimenti e le rivoluzioni del cielo sono identici a quelli di cui parla lastronomia, n i punti hanno la stessa natura degli astri. 49) Metaph. A 2, 1013b15-16: oqm oc, oi q oqotoi o oi q ofc qqoi, oi fio m ivotvfo. Ma entrambe, sia la presenza sia la privazione, sono cause in quanto cause motrici. 50) Metaph. A 4, 1015a6-7: qtoci cv otv fo c oqofcqmv fotfmv cofiv, oiov fo mo oi fo oqio ot fm v. Dunque per natura ci che composto dalluna e dallaltra [scil. da materia e forma], ad esempio gli animali e le loro parti. 51) Metaph. A 8, 1017b24-25: [] oi o ov fooc fi ov oi mqiofov q foitfov oc coofot q oqqq oi fo cioo. <Sostanza (otoio) > [] anche ci che, essendo qualcosa di determinato, potrebbe essere anche separabile: siffatta la forma e la specicit di ciascuna cosa. 52) Metaph. Z 17, 1041a27-32: qovcqov foivtv ofi qfci fo oifiov fotfo o cofi fo fi qv civoi, m ciciv oim, o c cvi mv c v c ofi fi vo c vco, oi ov iom c oiio q ivq, c cvimv oc fi civqoc qmfov oifiov oq oi 312 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE fotfo. oo fo cv foiotfov oifiov ci fot ivco0oi qfcifoi oi q0ciqco0oi, 0ofcqov oc oi c i fot civoi. evidente, dunque, che si ricerca la causa (cio lessenza, per parlare in chiave logica), la quale in alcuni casi causa nale, come per esempio nel caso della casa oppure del letto, mentre in altri ca- si ci che ha impresso il primo movimento, perch anche questo una causa. Tuttavia, mentre la causa motrice si ricerca nel caso di ci che si genera e si corrompe, laltra causa invece [scil. quella - nale] si ricerca anche nel caso di ci che . 53) Metaph. A 4, 1070a33-b3: ooqqocic oq ov fi ofcqov cfcqoi q oi otfoi oqoi oi ofoicio fmv otoimv oi fmv qo fi, oi o0 coofqv oq fmv ofqoqimv ooim. o ofoov ci fotfo ovfmv c fmv otfmv oq cofoi fo qo fi oi oi otoioi. fi otv fotf cofoi oqo oq fqv otoiov oi foo fo ofqoqotcvo otocv cofi oivov, qofcqov oc fo ofoiciov q m v ofoiciov. Si potrebbe, infatti, porre il problema se siano diversi o identici i principi e gli elementi per le sostanze e per i relativi, e questo vale ugualmente per ciascuna delle altre categorie. Ma identici per tutte le categorie sarebbe assurdo, perch in questo caso dagli stessi principi (o elementi) deriverebbero i relativi e la sostanza. Ma qua- le sarebbe, dunque, questo elemento comune? Al di l della so- stanza e delle altre categorie, infatti, non esiste niente che ad esse sia comune, e daltra parte lelemento in quanto elemento precede <ci di cui elemento>. 54) Metaph. A 4, 1070b9-13: ot cofiv oqo ovfmv fotfo ofoicio. -q mocq cocv, cofi cv m, cofi o m ot, oiov iom fmv oio0qfmv omofmv m cv cioo fo 0cqov oi oov fqoov fo tqov q ofcqqoi, tq oc fo otvo- ci fotfo qm fov o0 ot fo []. Dunque gli elementi non sono identici per tutte le cose. Op- pure, come dicevamo, in un senso lo sono e in un altro senso no, ad esempio dei corpi sensibili <si potrebbe dire> forse che da un lato c come forma il caldo e, per altro verso, il freddo, che pri- vazione <del caldo>, dallaltro lato c una materia che anzitutto APPENDICE 313 per se stessa in potenza queste due propriet <cio il caldo e il freddo> []. 55) Metaph. A 7, 1072b1-3: ofi o cofi fo ot cvco cv foi oivqfoi, q oioiqcoi oqoi cofi oq fivi fo ot cvco oi fivo, mv fo cv cofi fo o ot cofi. Che poi ci in vista di cui si trovi fra le cose immobili, lo mo- stra la distinzione <dei suoi signicati>, c infatti ci in vista di cui a vantaggio di qualcosa/qualcuno <e ci in vista di cui> di qualcosa/qualcuno, a dei quali luno <cio il secondo> <fra le co- se immobili> mentre laltro <cio il primo> non lo . a) Cf. De an. II 4, 415b2-3, che il passo n. 65 in questa Ap- pendice. 56) Metaph. M 2, 1076b39-1077a8: cfi ocq oi cv foi ooqqooiv cq0ocv m cvoccfoi tciv cqi o oq q oofqooio cofiv, ooim cofoi oqo fo oio0q- fo oi cqi o q cmcfqio civoi o otqovov oi fo oqio otfot m otvofov, q oo ofiotv cov ivqoiv ooim oc oi fo ofio oi fo oqovio cofoi oq qmvq fc oi oi oqo fo oio0qfo oi fo o0 coofo, mofc oqov ofi oi oi ooi oio0qoci oi fo oo oio0qfo fi oq o ov fo oc q fo oc E ancora, come possibile risolvere le difcolt che abbiamo esposte nel libro delle aporie? Infatti, gli oggetti di cui si occupa lastronomia esisteranno a parte da quelli sensibili cos come gli og- getti di cui tratta la geometria. Ma come possibile che <oltre il cielo sensibile e le sue parti> ci sia un altro cielo e parti di esso, o altre cose che hanno movimento? Allo stesso modo per gli oggetti dellottica e dellarmonica: ci saranno infatti una voce e una vista oltre quelle sensibili e particolari, sicch chiaro che <la stessa co- sa dovr valere> anche per le altre sensazioni e per gli altri sensibi- li: infatti, perch mai dovrebbe valere per quelli e non per questi? 57) Metaph. M 3, 1078a3-5: [] ot fmv oio0qfmv coovfoi oi o0qofioi ciofqoi, ot cvfoi ot oc oqo fotfo o mv cmqiocvmv. 314 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE [] le scienze matematiche non saranno scienze di cose sensi- bili, ma non saranno neppure scienze di altri oggetti separati dai sensibili. 58) Metaph. M 3, 1078a14-17: ot ocfc qo o q q o i q q qmvq 0cmqci , o q qooi oi o qi0oi (oi ci o c vfoi fot fo o 0q c ci vmv), oi q qoviq oc m ootfm []. Lo stesso discorso vale anche per larmonica e per lottica, per- ch nessuna delle due considera il proprio oggetto in quanto vista o in quanto suono, ma lo considerano in quanto linee e in quanto numeri (questi, infatti, sono propriet peculiari di quelle). E la stessa cosa vale anche per la meccanica []. 59) Cat. 5, 3b24-27: toqci oc foi otoioi oi fo qocv otfoi cvovfiov civoi. fq oq qmfq otoio fi ov ciq cvovfiov oiov fm fivi ov0qmm otocv cofiv cvovfiov, otoc c fm ov0qmm q fm mm otocv cofiv cvovfiov. Appartiene alle sostanze anche il fatto che di esse non c alcun contrario. Infatti, quale potrebbe essere il contrario della sostanza prima? Non c nessun contrario, ad esempio, di un uomo deter- minato e neppure c alcun contrario delluomo o dellanimale. 60) Cat. 5, 4a10-11: o iofo oc i oiov fq ot oi o ooci ci voi fo fotfo v oi c v o qi0m ov fmv c vovfi mv civoi ocfiov. Ma sembra essere massimamente propriet della sostanza esser capace di accogliere i contrari pur essendo qualcosa di identico e di numericamente uno. 61) APo. I 13, 78b39-79a2: ocoov oc otvmvtoi cioiv cvioi fotfmv fmv ciofqmv, oiov oofqooio q fc o0qofiq oi q votfiq, oi oqoviq q fc o0qofiq oi q ofo fq v o oqv. Alcune di queste scienze, poi, sono per cos dire sinonime. Ad esempio <viene chiamata> astronomia sia <lastronomia> matema- tica sia l<astronomia> nautica, e <viene chiamata> armonica sia l<armonica> matematica sia l<armonica> basata sulludito. APPENDICE 315 62) APo. I 13, 79a7-10: fo oq o0qofo cqi cioq cofiv ot oq o0 tocicvot fi- vo ci oq oi o0 tocicvot fivo fo cmcfqio cofiv, o ot q c o0 t ocic vot. Infatti, le scienze matematiche vertono intorno alle forme, per- ch non si predicano di un qualche soggetto. Infatti, anche se le proposizioni geometriche si predicano di un qualche soggetto, tut- tavia non sono geometriche in quanto si predicano di un soggetto. 63) APo. II 1, 89b23-35: fo qfotcvo cofiv ioo fov oqi0ov ooocq ciofoc0o. qfotcv oc fcffoqo, fo ofi, fo oiofi, ci cofi, fi cofiv. ofov cv oq ofcqov fooc q fooc qfmcv, ci oqi0ov 0cvfc, oiov ofcqov cci ci o q io q ot , fo ofi qfot cv. oqciov oc fotfot ctqovfc o q o fi c ci ci cot c0o oi co v c o qq ci om cv o fi c ci ci, ot qfotcv ofcqov. ofov oc ciomcv fo ofi, fo oiofi qfotcv, oiov cioofc ofi ccici oi ofi ivcifoi q q, fo oiofi ccici q oiofi ivcifoi qfotcv. fotfo cv otv otfm, cvio o oov fqoov qfotcv, oiov ci cofiv q q cofi cvfotqo q 0co fo o ci cofiv q q om cm, o ot ci cto q q. vovfc oc ofi cofi, fi cofi qfot cv, oi ov fi ot v c ofi 0co, q fi c ofiv o v0qmo Le cose che cerchiamo sono uguali numericamente a quelle che conosciamo. Quattro cose cerchiamo, che una cosa , perch , se , che cosa . Quando infatti cerchiamo se una cosa sia questo o questaltro, introducendo una pluralit numerica di termini, per esempio se il sole subisca o no eclissi, cerchiamo il che. Ne se- gno il fatto che, con la scoperta che subisce eclissi, cessiamo la ri- cerca e che, se n dallinizio avessimo saputo che subisce eclissi, non avremmo cercato. Ma quando sappiamo che una cosa , cer- chiamo il perch: per esempio, essendo a conoscenza che il sole su- bisce eclissi e che la terra si muove, cerchiamo perch <quello> su- bisce eclissi e perch <questa> si muove. Queste cose noi le cer- chiamo in questo modo; altre, invece, diversamente, per esempio se c o non c un centauro o una divinit. Intendo dire se o non semplicemente e non se o no bianco. E saputo che , cerchiamo che cosa , per esempio: che cos dunque la divinit o che cos luomo? 316 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 64) APo. II 11, 94b36-37: q c v o q cvco fot oici qtoi, q o c ovoq. Infatti la natura produce da un lato in vista di qualcosa e, dal- laltro lato, per necessit. 65) De an. II 4, 415b2-3: fo o ot c vco oiffov, fo c v ot , fo oc m . Ci in vista di cui duplice, da un lato ci di cui e dal- laltro lato ci a vantaggio di cui. a a) Le espressioni fo cv ot, fo oc m, che indicano il duplice signi- cato di fo ot cvco, si chiariscono benissimo se raffrontate con Metaph. A 7, 1072b1-3 (passo n. 55 in questa Appendice), in cui fo ot cvco spiegato da Aristotele nel suo duplice signicato con le- spressione cofi oq fivi fo ot cvco oi fivo, cio c infatti ci in vista di cui a vantaggio di qualcosa/qualcuno <e ci in vista di cui> di qualcosa/qualcuno. Come si vede, lintera espressione fo ot cvco nella Metasica legata una volta con il dativo fivi, che funge da dativo di vantaggio, e una volta con il genitivo fivo. Allo stesso modo, quindi, ritengo che in questo luogo del De anima fo cv ot si debba intendere fo ot cvco ot e fo oc m si debba intende- re fo ot cvco m quindi lintera espressione fo ot cvco si leghe- rebbe una volta al genitivo ot e una volta al dativo m, che funge da dativo di vantaggio nel senso che c, da un lato, e precisamente nel caso in cui lespressione si lega al genitivo, ci in vista di cui che signica propriamente ci che ha in questo il suo ne e, dallaltro lato, e precisamente nel caso in cui lespressione si lega al dativo, ci in vista di cui che signica propriamente ci che ha a vantaggio di questo il suo ne. Non ritengo quindi plausibile, come potrebbe pensarsi, n che sia soltanto la preposizione cvco e non lintera espressione fo ot cvco che regge ora il dativo ora il genitivo, n che il dativo m nel De anima e fivi nella Metasica stia al posto dellin- tera espressione fo ot cvco. cvco, infatti, una preposizione (peral- tro detta impropria, perch non si compone con i verbi) che regge sempre e per sua natura il genitivo, per cui il dativo non pu dipen- dere da essa. 66) De part. anim. II 14, 658b3-4: c ovoq cv oio fqv tqofqfo fot ccqoot oi oio fo qoqo. APPENDICE 317 Per necessit a causa dellumidit del cervello e delle suture <del cranio>. 67) De interpr. 6, 17a31-34: mofc oqov ofi ooq ofoqooci cofiv ooqooi ovficicvq oi ooq ooqooci ofoqooi. oi cofm ovfiqooi fotfo, ofo - qooi oi ooqooi oi o vficicvoi. Di conseguenza evidente che ad ogni affermazione opposta una negazione, e ad ogni negazione unaffermazione. E la contrad- dizione sia intesa in questo senso, ossia laffermazione e la negazio- ne come opposte. 318 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE 8. BIBLIOGRAFIA 8.1. Fonti 8.1.1. Edizioni Anaximandre, Fragments et tmoignages, Texte grec, Trad., Introd. & Commentaire par M. Conche, Paris 1991. Antiphontis Tetralogiae, ed. F. Decleva Caizzi, Milano-Varese 1969. Aristote, Physique, d. trad. intr. par H. Carteron, Paris 1996 (I re d. 1926). Aristotelis, Fragmenta selecta, edidit W.D. Ross, Oxford 1955. Aristotelis, Metaphysica, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. Jaeger, Oxford 1985 8 (1957 1 ). Aristotelis, Categoriae et De Interpretatione, recognovit L. Minio-Paluello, Oxford 1980. Aristotelis, Physica, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W.D. Ross, Oxford 1982. Aristotles Physics. A Revised Text with Introduction and Commentary by W.D. Ross, Oxford 1936. Aristotles posterior analytics, ed. by J. Barnes, Oxford 1994 2 (1975 1 ). 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Berti E., 12, 36n, 49n, 83n, 127n, 129n, 153n, 154n, 159n, 160n, 176n, 210n, 240n, 259n, 267n, 268 e n, 280 e n. Besnier B., 82n. Bogen J., 38n. Bolton R., 58n, 99n, 152, 156n, 254n. Bonitz H., 126, 157. Boussoulas N.I., 30n. Bradie M., 265, 266 e n, 268, 270. Brague R., 137n. Brandwood L.A., 156. Brisson L., 30n. Brunschwig J., 21n, 90n. Buchheim Th., 57n. Burnet J., 22n. Byrne Ch., 253n, 269 e n. Cambiano G., 232n. Cameron R., 263n, 264n, 265n, 267n, 268n. Capecci A., 83n, 264n. Cardullo R.L., 11, 59n, 143n. Carteron H., 68n, 91n, 124, 168n, 187, 194n, 209n, 211, 225n, 226n, 231n, 290, 297, 303, 307, 308. Cartesio, 147 e n, 158. Casertano G., 20n, 31n. Cattanei E., 94n. Chantraine P., 154n. Charles D., 268n, 269 e n, 270 e n. Charlton W., 51n, 68, 153 e n, 182n, 236n, 303. Chung-Hwan Chen, 83n. Claghorn G.S., 59n. Code A., 252n. Cohen Sh., 47n. Conche M., 22n. Cooper J.M., 220n, 244n, 264 e n, 265 e n, 268n, 270n, 278. Cornford F.M., 68n, 209n. Couloubaritsis L., 23n, 35n, 42n, 57n, 58n, 60 e n, 61, 69 e n, 70, 82 e n, 90 e n, 129 e n, 138n, 139n, 152n, 166n, 188, 210, 227n, 290, 303, 307. 346 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Crisippo, 147. Crizia, 21n. Cunot L., 150n. Darwin Ch., 150n, 221n. De Gandt F., 96n. Decleva Caizzi F., 77n. Delcomminette S., 157n. Democrito, 27 e n, 28n, 93, 122 e n, 161, 166n, 192, 193, 212, 218n, 262. Depew D., 221n. Des Places ., 154n. Diogene di Apollonia, 161. Eleati, 23, 24, 25, 34, 35, 45, 46, 47, 48 e n, 49, 91, 93, 273, 274. Empedocle, 25 e n, 26 e n, 27, 35, 85n, 93, 95n, 122 e n, 161, 162, 190 e n, 219, 221 e n, 229, 230 e n. Engberg-Pedersen T., 35n. Eraclito, 23, 161. Euripide, 126n. Ferrari F., 164n. Ferrari G.A., 59n, 60n, 176n. Filopono Giovanni, 42n, 58n, 62n, 67n, 68 e n, 69 e n, 71, 81n, 94n, 98n, 126n, 127n, 140n, 143n, 151, 168n, 180n, 205n, 207n, 279, 290, 291, 293, 295, 303. Follon J., 148n, 159 e n, 182n, 227n, 234n, 237 e n, 238 e n, 239, 240 e n, 241. Franco Repellini F., 13, 50n, 68n, 78n, 94n, 108n, 109 e n, 124n, 129n, 172 e n, 188, 210, 231n, 264n, 303. Frappier G., 49n. Frede M., 147n, 154n, 156 e n, 157n, 159 e n. Frede D., 168n. Freeland C.A., 159n. Fritz von K., 35n. Fronterotta F., 144n, 157n. Furley D., 159 e n, 220n, 264 e n, 265 e n. Galilei G., 158, 262n. Gaye R.K., 68n, 124n, 188, 194n, 251n, 307. Giardina G.R., 9, 10, 34n, 40n, 43n, 44n, 45n, 78n, 82n, 83n, 88n, 89n, 94n, 97n, 125n, 138n, 143n, 167n, 172n, 173n, 183n, 225n, 273n, 279n. Gill M.L., 82n, 83n, 264n, 267n, 268, 279n. Gilson ., 221n. Globot ., 150n. Gotthelf A., 244 e n, 264 e n, 266 e n, 267 e n, 268, 270. Graeser A., 96n. Graham D.W., 83n. Guroult M., 161n. Guthrie W.K.C., 161n. Hamelin O., 58n, 59n, 68n, 76n, 125n, 126n, 127n, 140n, 143n, 167n, 171n, 187, 194n, 223n, 295, 302, 303. Hamlyn D.W., 35n. Hankinson R.J., 159 e n. Hardie R.P., 68n, 124n, 188, 194n, 251n, 307. Hardy E., 19n, 22n. Hartmann N., 261n. Heath Th., 43n, 108n. Heidel M.W.A., 22n. Heinimann F., 19n. Hocutt M., 148n, 159 e n. Hume D., 144n, 147 e n, 148, 158. Hussey E., 96n. AUTORI CITATI 347 Immerwahr H.R., 156n. Ioppolo A.M., 147n. Irwin T.H., 57n, 150 e n, 154 e n, 264 e n, 265 e n. Isnardi Parente M., 59n, 60n. Johnson M.R., 150n, 190n, 218n, 237n, 254n. Judson L., 192n, 220n. Kahn Ch., 29n. Kirk G.S., 19n. Kirkwood G., 156n. Kosman L.A., 83n. Laas E., 67n, 68n, 290. Laks A., 19n. Laudisa F., 147n. Le Blond J.M., 35n, 57n, 59n, 60n, 176n, 180 e n, 263n. Lear J., 96n. Ledbetter G.M., 156 e n, 157n. Leisegang H., 19n, 23n. Lennox J.G., 267n, 268, 269, 270. Leucippo, 27n, 161. Lewis F.A., 269 e n, 270e n. Liske M.Th., 83n. Lloyd G.E.R., 22n,43n, 108n. Lo Piparo F., 252n. Long A.A., 19n. Louguet C., 19n. Lucchetta G., 96n. MacDonald S., 263n. Mansion A., 23n, 57n, 58n, 60n, 61n, 62n, 67n, 76n, 90n, 92n, 93n, 96n, 97n, 98n, 146n, 187, 226n, 227n, 228n, 247n, 261 e n, 262, 289, 290, 291. Mansion S., 24n, 59n, 123n. Matthen M.E., 264 e n, 266 e n. Mayer H., 59n. Melisso, 34. Meyer S.S., 270 e n. Milesii, 22, 35. Miller F.D., 265, 266 e n, 268, 270. Modrak D.K., 98n. Mondolfo R., 23n. Moraux P., 90n. Moravcsik J.M.E.,141n, 159 e n. Morel G., 57n. Mourelatos A.P.D., 108n. Mller I., 96n. Mure G.R.G., 148n. Nagel E., 142n. Narcy M., 77n. Natali C., 150n, 157n, 159 e n, 264n. Neopitagorici, 43n, 94. Neoplatonici, 43n. Nicomaco di Gerasa, 94n. Nussbaum M.C., 263 e n, 264 e n. Oehler K., 159n. Omero, 188n. Owen G.E.L., 60n. Owens J., 43n, 59n, 206n. Parmenide, 22n, 23 e n, 24, 26, 27, 34, 45n, 48, 93. Paty M., 148n. Patzer H., 19n. Pellegrin P., 7, 10, 13, 24 e n, 59n, 68n, 80n, 82n, 102 e n, 124n, 151n, 167n, 178n, 180 e n, 188, 194n, 200n, 209n, 211n, 220n, 225 e n, 226n, 233n, 238n, 241, 242 e n, 244, 246n, 247n, 254n, 261n, 280, 281 e n, 289, 292, 293, 295, 302, 303, 307. Petit A., 59n, 122n. Pietsch Ch., 57n. 348 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Pitagorici, 118n, 162, 238. Platone, 12, 19, 20, 21n, 23, 24, 25, 26, 27, 28 e n, 29 e n, 30 e n, 31 e n, 32, 33, 35, 43n, 48, 49 e n, 50, 51 e n, 52, 59n, 60n, 91, 93, 94 e n, 95 e n, 101, 106 e n, 107, 108 e n, 109, 113n, 114, 116, 118n, 144n, 151, 153, 154 e n, 156 e n, 157n, 158, 160, 162, 163, 164 e n, 166n, 187n, 191, 232, 233, 234n, 240 e n, 261n, 274, 276, 293n. Platonici, 23, 48 e n, 49, 50, 51, 52, 91, 93, 100, 101, 102, 103, 104, 113, 114, 115, 121n, 162. Porrio, 307. Prantl K., 209. Quarantotto D., 95n, 264n, 268n. Raven J.E., 19n. Robin L., 179, 180n. Romano F., 13, 27n, 29n. Ross W.D., 68n, 91n, 124, 126n, 131 e n, 152, 169n, 209n, 211, 221n, 230, 231n, 289, 290, 295, 297, 302, 307, 308. Schoeld M., 19n, 159n. Sealy R., 156n. Sedley D., 127n, 144n, 157n. Senofonte, 107, 293. Sesto Empirico, 147. Simplicio, 42n, 58n, 62n, 69 e n, 70 e n, 71, 72, 73, 74, 81n, 124, 127n, 140n, 143n, 151, 168 e n, 169n, 170n, 176n, 177n, 178, 180n, 189n, 205n, 209n, 225 e n, 230, 231n, 261n, 279, 290, 291, 293, 302, 303, 307. Socrate, 19, 20, 21 e n, 23, 26, 28, 30, 106, 107, 108, 157n, 162, 163, 234, 240. Solmsen F., 58n, 59n. Sorabji R., 159 e n, 263, 264 e n. Souchard B., 59n. Spinoza, 147, 158. Stevens A., 69 e n, 188, 289, 303, 307. Stevenson J.G., 161n. Stoici, 140n, 147. Szab A., 43n. Talete, 22 e n, 154, 161. Temistio, 58n, 62n, 67n, 68 e n, 71, 127n, 168n, 182n, 225 e n, 290, 302, 307. Teofrasto, 21. Theiler W., 59n, 127n, 261n. Timpanaro Cardini M., 59n. Torstrik A., 209n. Veatch H.B., 206n. Vegetti M., 13, 44, 60n, 108n, 144n, 154 e n, 155, 159 e n, 167n, 232n, 240n. Vitrac B., 97n. Vlastos G., 108n, 156 e n, 157n. Waterlow S., 62n, 74n. Wicksteed P.H., 68n, 209n. Wieland W., 31n, 32n, 35n, 36n, 40n, 57n, 59n, 60n, 61n, 63n, 91n, 122n, 126n, 131n, 142n, 147n, 153 e n, 159n, 178n, 191n, 218n, 240n, 260n, 262 e n, 263 e n, 272n Zanatta M., 68n, 188, 303. Zeller E., 23n, 261n. Zenone di Cizio, 147. Anassagora 59 B 17 DK: 26n. Antifonte 87 B 15 DK: 77n. Archita 47 B 1 DK: 118n. Aristotele APr. I 30, 46a19-21: 293. APo. I 2, 71b33 ss.: 168n. I 2, 71b33-72a5: 61n. I 3, 72b28 ss.: 61n I 4, 73b10-16: 66n. I 9, 76a9-13: 112n. I 10, 76b11: 293. I 13 : 110, 112, 142. I 13, 78b35 ss.: 119n. I 13, 78b35-39: 111n. I 13, 78b39-79a2: 111n, 315. I 13, 79a7-10: 112n, 316. I 13, 79a8-10: 113. I 30, 87b19-27: 194n, 198n. I 30, 87b20-21: 193n I 33, 89a16: 180n. II 1, 89b23-35: 141n, 316. II 2, 89b34-90a9: 76n. II 8, 93b8: 179n. II 8, 93b8-14: 219n. II 11: 180, 254n. II 11, 94a36-b1: 148. II 9, 94b9: 179n, 182n. II 11, 94b27-34: 237. II 11, 94b36-37: 238, 317. II 11, 95a8 ss.: 197. II 16, 98b16-19: 148. Cael. I 2, 268b16: 63n. II 8, 289b25-27: 197. II 10, 291a32: 293. II 11, 291b21: 293. II 14, 297a2-6: 118n. II 14, 297a4: 293. III 2, 301a11 ss.: 197. III 2, 301b17: 63n. Cat. 5, 2a11-3a6: 69n. 5, 3b24-27: 38, 315. 5, 4a10 ss.: 39. 5, 4a10-11: 315 6, 6a17-18: 38n. 7, 7b22-23: 181n. 9-10, 11b17-23: 39. 12, 14b11-13: 148. An. I 5, 410a1: 122n. II 1, 412b16: 63n. II 2, 413a11 ss.: 61n. II 4, 415b2-3: 127, 314, 317. II 4, 415b10-28: 175n. II 4, 415b20-21: 149. II 11, 423a28: 167n. INDICE DEI LUOGHI CITATI 350 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE EE II 8, 1224a28 ss.: 207n. VII 14, 1247a31-33: 197. EN I 1, 1094a1-3: 139n. I 5, 1097a18-19: 139n. III 4, 1112a21-26: 192n. VI 4: 61n. V 6, 1131a31 ss.: 43n. V 7, 1131b12: 43n. VI 4, 1140a15: 63n. GA I 1, 715a4-6: 175n. I 1, 715a5-6: 175, 278n. I 1, 715a8-9: 175n. I 1, 715b26-27: 167n. II 1, 723b23-734b19: 178n. II 1, 731b20 ss.: 254n. II 1, 731b20-23: 219n. II 1, 735a3: 63n. II 4, 740b25-36: 266. II 4, 740b37: 63n. IV 3, 767b6 ss.: 229n. IV 3, 767b10-770b17: 210n. IV 4, 770b21 ss.: 230n. V 1, 778a29-b1: 265. GC II 6, 333b4-7: 197. II 6, 333b4-19: 193n. II 6, 333b7-10: 197. II 9, 335b6: 175n. II 11, 337b14 ss.: 268n. II 11, 338a17 ss.: 247n. HA I 1, 487a1 ss.: 122n. V 1, 539b7-9: 167n. Int. 6, 17a31-34: 39n, 318. cap. 14: 38n. MA X, 700b28: 167n. Meta. A 1, 981a28-30: 128n, 319. A 1, 981a30-b6: 128n. A 2, 982b9-10: 139. A 3-10: 95n, 137, 160, 162. A 3, 983a26-32: 139. A 3, 983a26-b6: 310. A 3, 983a30-32: 176n. A 3, 983a33: 139n. A 3, 983a33-b6: 161. A 3, 984a8 ss.: 25n. A 4, 985a18: 219. A 6, 987b3 ss.: 28. A 6, 987b20-21: 49n. A 8, 989b33: 293. A 10, 993a11-16: 161, 310. B 2: 116, 132, 279. B 2, 996a17-b25: 132, 137. B 2, 996a21 ss.: 95n. B 2, 996a27-29: 132. B 2, 996b6-7: 171n. B 2, 996b22-24: 176n. B 2, 996b24-25: 146n. B 2, 997a34 ss.: 113. B 2, 997a34-b3: 113n. B 2, 997b15-18: 114n. B 2, 997b15-998a6: 311. B 2, 997b16: 293. B 2, 997b20-30: 114n. B 2, 997b32-998a6: 115n. B 2, 997b35: 293. B 3, 998a5: 293. A 2: 137 en. A 2, 1013a32-35: 148. LUOGHI CITATI 351 A 2, 1013b15-16: 312. A 2, 1013b16-17: 166. A 3, 1014a25-31: 166n. A 4, 1014b16 ss.: 22n, 84 e n. A 4, 1014b16-18: 275n. A 4, 1014b26 ss.: 22n. A 4, 1014b26-1015a19: 82n, 292. A 4, 1014b32 ss.: 78n. A 4, 1015a6-7: 81, 312. A 4, 1015a7-10: 23n, 78n. A 4, 1015a10-11 : 23n. A 4, 1015a16-17: 84. A 5, 1015b6-9: 246n. A 8, 1017b23 ss.: 80n. A 8, 1017b24: 69n. A 8, 1017b24-25: 312. A 10, 1018a20 ss.: 39n. E 1, 1025b20: 63n. E 1, 1025b30-1026a16: 29, 98. E 1, 1026a11-16: 100n. E 1, 1026a25-27: 119n. E 2, 1026b4-5: 198, 203n. E 2, 1026b5: 203. E 2, 1026b21: 203n. E 2, 1026b27-33: 197. E 2, 1026b31-33: 66n. E 2, 1027a7-8: 198n. E 2, 1027a16-17: 203n. E 2, 1027a20 ss.: 198n, 203n. Z 3, 1029b3-12: 61n. Z 7: 122n, 211. Z 7, 1032a28-32: 167n. Z 17: 122n, 179. Z 17, 1041a24-25: 219n. Z 17, 1041a27-32: 178, 312. H 2, 1043a16-17: 182n. H 4: 254n. H 4, 1044a34-b1 ss.: 137. H 4, 1044b1: 175, 278n. O 8, 1049b8-9: 63n. O 8, 1050a21-23: 83n. K 3, 1061a28 ss.: 113n. K 6, 1062b24 ss.: 45n. K 8, 1064b17-1065a6: 198n. K 9, 1065b33: 83n. A 3, 1070a4-20: 176n. A 3, 1070a7-8: 63n. A 4: 138n, 277n. A 4, 1070a31 ss.: 176. A 4, 1070a31-b6: 177. A 4, 1070a33-b3: 313 A 4, 1070b9-13: 177, 313. A 4, 1070b16 ss.: 137. A 4, 1070b16-21: 138n, 177n. A 4, 1070b22 ss.: 144n. A 4, 1070b28: 146n. A 5, 1071a13-17: 144n. A 7, 1072b1-3: 127, 149, 314, 317. A 7, 1072b1-4: 175n. A 7, 1072b7-8: 247n. M2-3: 116. M 2, 1076b39-1077a8: 117n, 314. M3, 1078a3-5: 117n, 314. M3, 1078a14-17: 118n, 315. M4, 1078b19 ss.: 122n. Mete. I 1, 338a20-339a9: 21. II 9: 219n. IV 12: 265. PA I 1, 639b3-641b10: 112. I 1, 639b6 ss.: 137. I 1, 639b7-10: 118n. I 1, 639b26-30: 268n. I 1, 641a ss.: 242n. I 1, 641a-b: 93n. I 1, 641b20-23: 197. I 1, 641b23-28: 197 I 1, 642a: 246n. I 1, 642a9-11: 248n. 352 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE I 1, 642a24 ss.: 122n. I 1, 642a28 ss.: 28. I 5, 645a23-25: 197. II 1, 646a25-b2: 149n. II 14, 658b2-7: 238. II 14, 658b3-4: 317. III 2: 241, 242. III 2, 663b10-14: 238. III 2, 663b22-664a11: 238n. III 14: 241. III 14: 241. Phys. I 1, 184a10-16: 57. I 1, 184a12-14: 138n. I 1, 184a15-17: 61n. I 1, 184a16: 141, 168n. I 1, 184b15 ss.: 34n. I 2, 185a12-14: 35n, 285. I 2, 187a13: 35. I 4, 187a16-20: 48n. I 4, 187b6-7: 36n, 286. I 4, 187b7: 45n. I 5, 188a19: 36. I 5, 188a30 ss.: 36n. I 5, 188b25-26: 36, 286. I 6, 189a26-27: 37. I 6, 189a27-33: 286. I 6, 189a27-34: 45. I 6, 189a28-33: 38n. I 6, 189b1 ss.: 45n. I 6, 189b2: 39n. I 6, 189b2-3: 286. I 6, 189b5-6: 39n, 287. I 6, 189b19-21: 40n. I 6, 189b21 ss.: 45n. I 6, 189b32-33: 40n, 54n. I 6, 189b32-34: 76n. I 7, 190a13-17: 287. I 7, 190a14-17: 41n, 79, 291. I 7, 190b10-12: 74n. I 7, 190b10-13: 287. I 7, 190b11-13: 41n. I 7, 190b17 ss.: 273. I 7, 190b17-20: 42n. I 7, 190b20-27: 42n. I 7, 190b23 ss.: 273. I 7, 190b29-191a3: 42n. I 7, 191a6-7: 273. I 7, 191a7: 48, 70n. I 7, 191a7-14: 45n. I 7, 191a7-8: 43. I 7, 191a8: 48. I 7, 191a8-12: 43n, 77. I 8, 191a27-31: 45n. I 8, 191a34 ss.: 46n. I 8, 191a34-b4: 287. I 8, 191b6-10: 47n. I 8, 191b33-34: 47n, 288. I 9, 192a3-5: 47n. I 9, 192a3-6: 48n, 76n. I 9, 192a9 ss.: 51n, 70. I 9, 192a10: 50n. I 9, 192a27-34: 54n. II 1, 192b8: 91n. II 1, 192b9 ss.: 70. II 1, 192b12 ss.: 235. II 1, 192b13-14: 64n, 231. II 1, 192b13-16: 62, 288. II 1, 192b14: 32n. II 1, 192b16: 59n. II 1, 192b18-19: 67, 235n. II 1, 192b19: 64. II 1, 192b19-20: 64n, 65. II 1, 192b20: 63n. II 1, 192b20-23: 231. II 1, 192b21-23: 63n, 288. II 1, 192b24: 76n. II 1, 192b27-32: 67. II 1, 192b27-193a1: 288. II 1, 192b32: 67, 75. II 1, 192b32-33: 67. LUOGHI CITATI 353 II 1, 192b33: 76n, 290. II 1, 192b33-34: 67, 289. II 1, 192b34: 76. II 1, 192b35 ss.: 74. II 1, 192b35-193a2: 67. II 1, 192b36-193a1: 74n. II 1, 193a1-2: 74. II 1, 193a2: 75n. II 1, 193a9-10: 289. II 1, 193a10-30: 274n. II 1, 193a10-28: 78n. II 1, 193a11-12: 77n, 274n, 290. II 1, 193a13 ss.: 86n. II 1, 193a13-18: 77. II 1, 193a17: 78, 291. II 1, 193a20: 291. II 1, 193a25: 291. II 1, 193a27 ss.: 41n. II 1, 193a28-30: 84. II 1, 193a28-31: 78n, 103n, 120n, 229n, 245, 291. II 1, 193a30 ss.: 274n. II 1, 193a31: 253n. II 1, 193a31-33: 60n, 80n. II 1, 193b3-5: 131n, 292. II 1, 193b4-5: 82, 121n. II 1, 193b5-6: 81n. II 1, 193b6-8: 82, 292. II 1, 193b7-8: 84, 274. II 1, 193b8: 86, 123, 140n, 274. II 1, 193b11-12: 87n. II 1, 193b12: 84, 86, 274. II 1, 193b12-13: 87n. II 1, 193b12-18: 275. II 1-2, 193b12-26: 292. II 1, 193b18-21: 85. II 1, 193b19-20: 41n, 51. II 2, 193b22-26: 96n. II 2, 193b24: 102. II 2, 193b25-26: 105. II 2, 193b25-30: 104, 106. II 2, 193b26: 293. II 2, 193b27-28: 102. II 2, 193b31-33: 104. II 2, 193b32-33: 102. II 2, 193b33-194a1: 104. II 2, 193b34-35: 98n, 294. II 2, 193b35-36: 101n. II 2, 193b35-194a1: 121n. II 2, 193b36-194a1: 102n. II 2, 194a1-7: 105. II 2, 194a7-8: 104, 106. II 2, 194a7-12: 105. II 2, 194a8: 293. II 2, 194a11-12: 120. II 2, 194a15 ss.: 121n. II 2, 194a15-18: 121n. II 2, 194a20: 122n. II 2, 194a20-21: 122n. II 2, 194a21-22: 60n. II 2, 194a21-23: 130. II 2, 194a23: 122n. II 2, 194a27 ss.: 131, 225, 252, 276, 277. II 2, 194a27-28: 123 e n. II 2, 194a27-b8: 123n. II 2, 194a27-b9: 141. II 2, 194a27-b10: 140n. II 2, 194a28-29: 123. II 2, 194a29-30: 124. II 2, 194a31-33: 294. II 2, 194a32-33: 126, 146. II 2, 194a33: 124. II 2, 194a33-b8: 129n. II 2, 194a35-36: 294. II 2, 194a36-b2: 128. II 2, 194b6-7: 126n. II 2, 194b7-8: 129. II 2, 194b9-10: 130. II 2, 194b9-22: 294. II 2, 194b12-13: 101n, 119n. II 2, 194b13: 58n. 354 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE II 3, 194b16-17: 140n. II 3, 194b16-23: 137n. II 3, 194b17 ss.: 141. II 3, 194b17-23: 142n. II 3, 194b32-35: 148. II 3, 194b33-35: 144n, 234. II 3, 194b33-195a8: 296. II 3, 194b35-195a2: 145n. II 3, 195a3 ss.: 150, 151, 166n, 168. II 3, 195a4-8: 165. II 3, 195a8-11: 166. II 3, 195a15: 168n. II 3, 195a16 ss.: 166. II 3, 195a21-23: 167n, 296. II 3, 195a22: 174n. II 3, 195a23 ss.: 262. II 3, 195a26 ss.: 167. II 3, 195a29: 153. II 3, 195b5-6: 169n. II 3, 195b12 ss.: 166n, 168. II 3, 195b12-16: 151n, 169. II 3, 195b16-21: 170. II 3, 195b21-30: 137n. II 3, 195b28-31: 181, 296. II 4, 195b30-35: 189. II 4, 196a3-5: 189. II 5, 196b10-11: 192n, 199. II 5, 196b10-13: 194n. II 5, 196b10-15: 194n. II 5, 196b11-13: 199. II 5, 196b17: 196, 199, 298. II 5, 196b17-22: 195, 198, 200, 297. II 5, 196b18: 195, 199, 297. II 5, 196b18-19: 199, 297. II 5, 196b19: 199, 298, 299. II 5, 196b19-21: 196n. II 5, 196b21: 298. II 5, 196b21-22: 197, 300. II 5, 196b22: 201, 299. II 5, 196b23: 298, 299. II 5, 196b23-29: 198 e n. II 5, 196b24-27: 199. II 5, 196b27-28: 199. II 5, 196b28: 199, 298. II 5, 196b29-30: 298. II 5, 196b29-33: 298. II 5, 196b30: 299. II 5, 196b30-31: 299. II 5, 196b33: 199, 299. II 5, 196b33-36: 200n. II 5, 196b34: 200n. II 5, 196b35-36: 200n. II 5, 197a5-6: 202n. II 5, 197a6-8: 204. II 5, 197a6-8: 201, 202. II 5, 197a8: 202n. II 5, 197a8-21: 199n, 202, 203. II 5, 197a10: 202n. II 5, 197a10-11: 202n. II 5, 197a11-12: 202n. II 5, 197a14: 203n, 204. II 5, 197a18-21: 204. II 5, 197a21-25: 205. II 5, 197a25 ss.: 188n. II 5, 197a25-32: 205. II 6, 197a36-b1: 207. II 6, 197a36-b13: 207. II 6, 197b13-22: 208. II 6, 197b22-29: 209n. II 6, 197b23: 209n. II 6, 197b29-30: 209n. II 6, 197b32 ss.: 75n. II 6, 197b32-37: 210n. II 6, 197b32-198a1 II 6, 197b34: 210. II 6, 197b36: 210. II 6, 198a2-6: 167n, 212. II 6, 198a5-6: 191n. II 6, 198a5-9: 299. II 7, 198a14-15: 152n. II 7, 198a15-21: 152. II 7, 198a16-27: 300. LUOGHI CITATI 355 II 7, 198a19 ss.: 182. II 7, 198a22-24: 181. II 7, 198a24 ss.: 265. II 7, 198a24-26: 175 e n, 244, 278n. II 7, 198a24-27: 245, 280. II 7, 198a25-26: 244. II 7, 198a26-27: 178n. II 7, 198a27-31: 182. II 7, 198a35-b1: 183. II 7, 198a35-b5: 178. II 7, 198b1-5: 184. II 7, 198b3: 183. II 7, 198b3-5: 183, 301. II 7, 198b4-5: 184. II 7, 198b8-9: 226n. II 7-8, 198b9-11: 226n. II 8, 198b10-12: 218n. II 8, 198b11-12: 226n. II 8, 198b12: 246n. II 8, 198b12-17: 219n. II 8, 198b15: 226n. II 8, 198b17 ss.: 219n. II 8, 198b17-23: 220n. II 8, 198b17-32: 222. II 8, 198b18 ss.: 222, 223n, 236. II 8, 198b19: 222. II 8, 198b19-20: 236. II 8, 198b21: 222. II 8, 198b23: 222. II 8, 198b23-29: 221n. II 8, 198b27: 222. II 8, 198b28: 222. II 8, 198b28-29: 221n. II 8, 198b29: 222. II 8, 198b29-32: 221n, 229. II 8, 198b30: 222. II 8, 198b32-199a8: 224n. II 8, 198b34: 223n. II 8, 198b34-36: 66n. II 8, 198b36-199a5: 236. II 8, 199a3: 223n. II 8, 199a7-8: 220n. II 8, 199a8: 224n, 302. II 8, 199a8-9: 226n, 278n, 303. II 8, 199a8-11: 224n. II 8, 199a8-15: 224. II 8, 199a8-20: 301, 302. II 8, 199a9: 303. II 8, 199a9-10: 304. II 8, 199a10: 302. II 8, 199a11: 302. II 8, 199a11-12: 224n. II 8, 199a12: 303. II 8, 199a12-15: 224n. II 8, 199a13-14: 303. II 8, 199a13-15: 225, 303. II 8, 199a15: 60n. II 8, 199a15-20: 226, 234. II 8, 199a18-20: 226n, 303. II 8, 199a20-32: 228. II 8, 199a30-32: 229n, 305. II 8, 199a33: 229. II 8, 199b5: 229. II 8, 199b14-18: 231n, 305. II 8, 199b28: 172. II 8, 199b28-32: 66. II 8, 199b30-33: 66n. II 8, 199b32-33: 236, 245, 305. II 9, 199b34-35: 246 e n. II 9, 199b35: 246n. II 9, 200a5-10: 247n, 305. II 9, 200a9-10: 253n. II 9, 200a14-15: 248n, 306. II 9, 200a15: 250. II 9, 200a15-19: 251n. II 9, 200a22: 252n. II 9, 200a23: 252n. II 9, 200a24: 253. II 9, 200a24-26: 306. II 9, 200a26-27: 253n. II 9, 200a30-34: 242n. II 9, 200a33-34: 255n. 356 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE III 1, 200b12: 63n. III 1, 200b12-15: 92, 306. III 1, 200b26 ss.: 82. III 1, 201a9-11: 87. III 1, 201a9-15: 62n. III 1, 201a10-11: 83n, 306. III 1, 201a15 ss.: 87. III 1, 201a23-24: 308. III 1, 201b5-7: 83. III 1, 201b5-15: 83n. III 2, 201b31 ss.: 83n, 307. III 2, 202a3-4: 309. III 2, 202a3-5: 308. III 2, 202a3-9: 184 e n. III 2, 202a3-12: 307. III 2-3, 202a3-b29: 183. III 2, 202a4: 308. III 2, 202a7-9: 184n. III 2, 202a9-12: 173, 184. III 4, 203a15-16: 50n. III 4, 203b3 ss.: 22n. IV 8, 215b29: 43n. V 1, 224a34-b8: 173. V 1, 224b3 ss.: 88n. V 1, 224b7-8: 88, 309. V 1, 225b3 ss.: 88n. V 1, 225b3-4: 309. V 2, 225b13-25: 89n. V 2, 226a10 ss.: 88n. V 2, 226a10-11: 309. V 5, 229a30-b2: 88, 309. VII 3, 246a15 ss.: 126n. VII 3, 246b4: 122n. VIII 3, 253b5: 63n. VIII 4, 254b16: 63n. Pr. I 29, 862b27: 122n. Protr. fr. 11 Ross: 126n. Rh. I 10, 1369a2: 167n. I 10, 1369a32-34: 197. I 10, 1369a32-b5: 197, 202n. I 10, 1369b18: 167n. Bacone De dignitate et augmentis scientia- rum III 5: 147n. Cartesio Principia philosophiae I 28: 147n. Empedocle 31 A 44 DK: 26n. 31 B 8 DK: 25n, 26n. 31 B 9 DK: 25n. 31 B 11 DK: 25n. 31 B 12 DK: 25n. 31 B 53 DK: 190n. 31 B 61 DK: 221n. 31 B 62 DK: 230n. Euclide Elem. V def. 13: 105n. Filopono Giovanni In Phys. 195,19 ss.: 58n, 62n. 204,14-15: 69n. 204,16-23: 68n. 204,19 ss.: 290. 215,8 ss.: 42n, 81n, 291. 222,17: 293. 233,4: 295 223,26 ss.: 98n. 236,6: 126n. 239,25: 295. 241,3 ss.: 140n, 279. LUOGHI CITATI 357 241,17 ss.: 151. 244,27 ss.: 143n. 245,15 ss.: 143n. 246,22-25: 168n. 254,15 ss.: 180n. 278,25: 205n. 287,3 ss.: 207n. 316,17-18: 303. In Nicom. I 30-31: 94n. Hume D. Trattato sulla natura umana libro I parte III: 147n. Leucippo 67 A 7 DK: 27n. 67 B 2 DK: 27n. Nicomaco di Gerasa Introd. arithm. 7,21-8,7 Hoche: 94n. Omero Il. 18,376: 188n. Parmenide 28 B 8,15-21 DK: 45n. 28 B 8,38-41 DK: 23n. Platone Ap. 19c: 28n. Crat. 405d: 106n. 413a3-4 : 160. Grg. 451b-c: 106n. 451c8: 106 492d-500d: 164n. Hp. Mi. 367a-368a: 106n. Lg. VII, 817e-822c: 106n. X, 888e4 ss.: 187n. X, 903c: 163. Lys. 214b ss.: 52n. Phd. 96a9: 144n. 96a-98a: 19. 97b-99d: 162, 163, 234n. 98a-b: 20, 162. 98-99: 156n, 157n. 99a-b: 164n. Phdr. 268e: 106n. 274c-d: 106n. Phlb. 14d-16a: 166n. 20d: 163. 24a ss.: 49n. 26e6-8: 144n. 53e: 163 53e5-7: 20, 163. 59a-c: 30, 94. 358 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA CAUSALIT NATURALE Prt. 318e: 106n. Rp. 527d-e: 107. 529a1-2: 107. 529a-c: 108n. 529c-d: 108. 529c7-d5: 108n. 530c: 109 Smp. 188b6: 106. Tim. 27a2 ss.: 21n. 28a: 30, 94. 29d ss.: 163. 29d2: 30n. 30b: 164n. 35a-36b: 49n. 47e-48a: 234n. 49-53: 51. Senofonte Mem. IV 7,4-5 Simplicio In Phys. 261,12 ss.: 58n. 264,6 ss.: 62n. 265,15: 62n. 269,27-270,22: 70. 269,30-270,2: 70n. 270,11: 69n. 276,24 ss.: 42n, 81n, 291. 293,10: 293. 302,18: 124. 309,2 ss.: 140n, 279. 310,1 ss.: 143n. 312: 176n. 314,23: 143n. 314,31 ss.: 143n. 316,22 ss.: 151 316,22-23: 151 316,23-26: 151 319,18: 168n. 321,3 ss.: 178. 322,31: 168. 323,28: 169n. 325-326: 170n. 326,15 ss.: 177n. 326,34 ss.: 180n. 333,23 ss.: 189n. 342,32 ss.: 205n. 349,5 ss.: 209n. 375,15 ss.: 225n, 302. 377,5-7: 303. 377,13 ss.: 302. 382,12 ss.: 230. 384,13 ss: 231n. 414,15 ss.: 307. Temistio In Phys. 35,4: 58n. 36,24-37,2: 68n. 60,15 ss.: 225n. 157,15: 62n. 172,3: 168n. 188,27 ss.: 182n. 193,1: 302. Finito di stampare nella tipograa A.&G. di Lucia Amara, tel. 095 7315352 in Catania nel mese di marzo 2006 per conto della Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero via Quartarone 24 - via Teatro Greco 107 - 95124 Catania E-mail: cuecm@katamail.com - www.cuecm.it tel. e fax 095 316737-7159473 Composizione e pellicole: , di Pietro Marletta Misterbianco (CT), tel. 095 7141891