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La malattia che cura il teatro

A cura di A. Porcheddu
• Antonio Viganò - Sostiene che sia il teatro a dover essere risanato e riportato alla sua essenza di verità, e la
cura è la malattia stessa. Il teatro è il luogo che fa guardare dentro le nostre malattie, quindi è di per sé un
luogo malato. La ferita (dolore) rende il teatro vivo, sano e necessario, facendolo diventare il luogo in cui diamo
senso al nostro sentirci a disagio. Oggi i teatri sono dei Non-Luoghi dove è negata ogni forma di ferita e tutti si
impegnano a fare grandi numeri dal punto di vista monetario. Quindi, come si fa per i virus, bisogna iniettare la
malattia, per creare il sistema immunitario. Il teatro non vuole essere terapeutico perché sennò si spingerebbe
ai limiti della malattia, preferisce piuttosto rimanere arte così da non avere con ni. Il teatro ha sempre avuto il
compito di raccontare una “società”, ma il nostro non lo fa perché rischia di diventare un teatro per pochi
eletti. Sarebbe comunque un rischio che dovrebbe correre in quanto è meglio scegliere un pubblico ridotto ma
incline a trasformarsi e porsi domande. Quando un teatro mette in scena la malattia proietta la diversità che
sta dentro noi e ognuno reagisce in base alla propria sensibilità. Il rischio maggiore che si corre è quello di
cadere nel plateismo, ma dall’altra parte riuscirebbe a evocare i misteri intrinsechi al teatro. Quando parliamo
di ferita del teatro, parliamo di una necessità di fare i conti con il dramma delle persone e li loro stati d’animo.
In Francia ad esempio si distingue il teatro commerciale da quello pubblico (aperto a tutti). Spesso, come nei i
reality show, la ferita del teatro diviene commercio.

• Teatro Ferito, Giacché - Ricordiamo che ogni teatro è sociale e cura ogni malattia a patto che la malattia curi il
teatro. Da Artaud in poi il teatro ricomincia da zero, un teatro dove l’uomo e le sue abitudini contano
pochissimo. Già negli anni 60-70’ il teatro si è spinto in ogni luogo sociale. Quando parliamo di ferita del teatro
parliamo di un taglio invisibile, ma sempre presente, che si pone come aggiunta al corpo del teatro. Il corpo
del teatro non è l’attore, semmai lui è un individuo che lo abita. Barba sostiene che ci si avvicina al teatro per
una necessità, intendendo il teatro quindi come il luogo in cui la ferita non guarisce, ma acquista senso. I primi
successi che questo teatro si porta a casa stanno nei laboratori, nel training, in quanto sono tutte cose che
trasformano l’uomo.

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• Di Palma - L’attore dovrebbe essere interessante riuscendo a trasformare nello spettatore la percezione
che lo porterà a scoprire qualcosa che lo riguarda, ma che nel quotidiano ha dimenticato. Se la disabilità
nella vita costituisce uno svantaggio, nel teatro deve essere un punto di forza. Peter Brook si concentrava
molto sulle relazioni umane creando una pedagogia della liberazione che poi è stata introdotta nei training
dei laboratori, che non mirano a formare l’attore ma ad attivare processi di socializzazione e cura della
persona. Di Palma mette in dubbio l’esistenza del teatro sociale perché signi ca darli una de nizione ed un
protocollo, rischiando di avere dei risultati rapidi per la presunzione di “saper fare”. Si ssano tecniche per
comodità, ma si allontana dal cuore del problema. Risulta più pro cuo consegnarsi al caos. 

Sindrome delle Fate: quando mettiamo in scena uno spettacolo sociale usiamo le stesse tecniche del
regista per far vedere che persone “diverse” hanno le stesse possibilità, ma si tratta di una pratica pericola
perché impone il convenzionale e non stimola la fantasia dei diversi. Lo spettacolo può essere di erente
solo se attraversa il caos nel quale, le persone coinvolte, dovranno trovare da sole le proprie soluzioni. Il
teatro deve per forza confrontarsi con l’altro e per questo non può chiudersi in dei Protocolli.

• Fuori Posto, Fiaschini - Dobbiamo distingue la parola curare in due accezioni (come avviene in inglese): to
cure (terapeutico) e to care (prendersi cura di sé). Con la parola fuori posto intendiamo come la malattia
spinga il teatro fuori dai propri con ni in un posto detto “della relazione”, luogo dove si può prendere una
posizione nei confronti di se stessi. La malattia rende il teatro un movimento indisciplinato, ma non vuol dire
che non ci siano regole, ma che ci si oppone al conformismo e ai protocolli. La malattia usa il teatro
attraverso il corpo e l’azione, con un gesto allontanato dalle pratiche artistiche, che risiede nella forma più
pura del teatro: il gioco. Si punta a rendere presente l’irrappresentabile, in un fuori posto dove l’attore può
agire per il semplice piacere di giocare, senza obbiettivi artistici.
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• Pedagogia teatrale, Masotti - Teatro e psicologia (pedagogia) dialogano. Il teatro è biologicamente sociale. Nel teatro
distinguiamo 3 funzioni che operano: 

Arte, con cui attraverso lo spettacolo produciamo culture etniche; 

Pedagogia, educhiamo e trasformiamo le società coinvolte; 

Cura, si innesca una dinamica terapeutica, ma NON la terapia. Il teatro permette di potenziare la parte a ettiva e cognitiva
attraverso tre cose: consapevolezza di sé, che fa percepire ogni emozione ed ogni parte del corpo; espressione del sé,
perché se i sentimenti non vengono espressi si reprimono e l’individuo perde il contatto col sé; padronanza del sé,
l’individuo è in contatto con se stesso. Il termine disabilità ha due forme: una riguarda la parte corporea e psichica ed una
riguarda lo stato di disagio come conseguenza della prima. Il teatro sociale si occupa quindi della seconda. 

Marco de Marinis sostiene che in una società come la nostra, fondata sulla maschera sociale, il teatro più utile è quello
che permette alla persona di fare contatto con se stessa. Un luogo dove siamo per come siamo. Un teatro privo di
sentimenti è privo della sua materia prima, allo stesso modo di come potrebbe esserlo un teatro narcisistico, incapace per
sua natura di accogliere il disagio.

Per fare to care è necessario non solo conoscere il teatro, ma avere anche un buon approccio pedagogico. Non esiste
ancora un percorso che legittimi questa gura pedagogico-teatrale, il teatro può solo essere uno strumento della
pedagogia. Ad ogni modo, i criteri per un buon approccio pedagogico sono: 

>Accettazione incondizionata (tutti devono essere accettati a teatro); 

>Finestra di tolleranza (ognuno di noi ha dei limiti di tolleranza che sé superati creano disagio e quindi bisogna sapere
riconoscere quando si supera questa soglia); 

>Crisi sostenibili e profezie che si auto-avverano (proporre delle crisi tollerabili che spingono la soglia un pò più in la);
>Capacità di sintonizzazione e ri-sintonizzazione (bisogna sapersi sintonizzare con l’altro e recuperare la sintonia qualora
dovesse perdersi); 

>Irrisolutezza dell’artista (anche gli operatori hanno delle ferite e bisogna prestare attenzione a non approcciarsi a questo
mondo per colmare scopi personali)
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• Olieviero Ponte di Pino - Nel teatro sociale si mettono in relazione tre gure: chi realizza lo spettacolo - chi assiste -polìs
che ospita lo spettacolo. Quello che accade prima dello spettacolo è detto drammaturgia. Stanislavkij, Mejerchol’d e poi
Barba, Grotowski, ecc. hanno messo a punto una gamma di esercizi che chiamano training e che si divide in tre parti: la
prima mette a punto le tecniche dell’IO (danno, canto, dizione, presenza scenica); la seconda mette in relazione IO-TU
(attraverso la scoperta dell’altro); la terza mette crea un NOI (compagnia con una propria identità e un proprio linguaggio).
Potrebbe anche farsi uno spettacolo senza spettatori perché prima di tutto deve rivolgersi al gruppo stesso.

Moreno inventò lo Psicodramma, ovvero far rappresentare ad un paziente una sua situazione problematica in presenza di
un equipe detta io ausiliari. Il paziente rivive sotto forma teatrale un evento traumatico del passato. In America abbiamo
una forte presenza del Playback-Theather ma anche la Gestalt Therapy, una tecnica che prevede una sedia vuota con il
quale il soggetto può intraprendere un confronto con una persona (o gruppo) immaginaria.

La Drammanalisi invece opera all’opposto, introducendo in ambito teatrale degli elementi di psicologia, rendendo più
e cace il lavoro dell’attore. Un esempio è la Biomeccanica, forma di drammanalisi che utilizza il corpo. Queste tecniche
teatrali-psicologiche ultimamente vengono usate anche a scopi commerciali nelle aziende, per la formazione dei propri
dipendenti, in quanto si ritiene che li facciano diventare più lucrativi. Nel teatro-carcere queste tecniche aiutano il recluso
a porsi nuove mete. L’importante è che vi sia sempre il riconoscimento del ruolo dell’operatore.

Mirko Artruso ci dice che non possiamo chiedere ad un normale di mettersi nei panni di un disabile perché non
capirebbe, ma possiamo creare un luogo dove si combatte una battaglia ad armi pari.

• Di Sana e Robusta Costituzione - Porcheddu: Da Artaud in poi il concetto di follia cambia ed il teatro non rappresenta più
la malattia, ma se la porta in scena. Il Sistema Fascista, grazie al certi cato di Sana e Robusta Costituzione dichiarava chi
avesse corpo-mente sano. Questo fu abolito in due passaggi: 1992 con l’introduzione del certi cato di idoneità sica e nel
1999 quando si stabilì che il certi cato non fosse più richiesto per il lavoro. 

L’accesso ai disabili in teatro fu una lotta paragonabile alla lotta di classe, in quanto i nostri teatri erano principalmente
aperti alla borghesia mediamente acculturata. C’erano sempre pochi posti in platea per i disabili e gli altri dovevano
arrangiarsi e non potevano pensare di fare gli artisti perché non potevano salire sul palco.
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Parte II - Teatro Nella Pratica
• Non Scuola delle Albe - parliamo di non-scuola in quanto non ci pre ggiamo di formare attori. Le
Albe crearono Ravenna Teatro il cui direttore è Argnani. Non si accontentarono degli spettacoli ma
svilupparono un gioco anarchico dove misero in relazione l’ignoranza dei ragazzi con le tradizioni
ed i classici, attraverso una guida, che può essere un regista come no. L’obbiettivo è sempre stato
formare uno spazio vivo dove sia possibile emozionarsi, ridere, urlare e piangere. Si possono
strapazzare gli autori, ma deve emergere la vita degli adolescenti. L’etica ci dice che teatro e scuola
non possono accoppiarsi, ma la non-scuola scommette invece proprio su questa coppia. Nella non
scuola si recita come marionette nel senso che si ri uta ogni tipo di naturalismo.

• Corpo come oggetto psichico - Michela Lucenti è una regista che lavora sul campo e ritiene che
il corpo sia la centralità del lavoro perfomativo. Un ex ospedale psichiatrico li ospita nel proprio
teatrino a patto che tengano le porte sempre aperte così che i passanti possano guardare. Il suo
metodo prevede il prendersi cura dell’altro che a sua volta innesca una crescita personale che
porta alla guarigione. Non volevano fare sconti ai disabili sulla scena, ma piuttosto creare un posto
in cui si lavora alla pari, fatto ad hoc. Il sistema teatrale è cosparso di tecniche, ma queste non
fanno altro che creare “isole di saperi” ed etichette, mentre il teatro per disabili cerca una verità che
parli a chiunque, un disabile che danzando riesca a dire qualcosa di universale. Purtroppo in Italia è
ancora problematico sporcare la danza con l’hip-hop, guriamoci con la disabilità.
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• Berardi/Casolari: teatro dei cechi - Nella nostra società sembra che tutti siano disposti a fare solo ciò che sta nelle
proprie competenze senza mai collaborare. La stessa cosa succede al teatro e lo porta a isolarsi nei generi. Ma in
realtà sappiamo che tutti i teatri sono terapeutici e sociali. La gente lotta ogni giorno col giudizio che spesso porta a
non seguire le proprie pulsioni. Ad esempio lo stesso Berardi, se non fosse rimasto cieco, non si sarebbe mai
avvicinato al teatro e questo perché, quando tutte le illusioni vengono distrutte, si incontrano nuove possibilità. Nel
2019 è nato lo spettacolo I gli della frettolosa che tratta il tema della cecità e evidenzia come perdere la vista signi ca
a darsi ad una tradizione emanata oralmente. Una donna ceca, ad esempio, grazie al teatro è riuscita ad accettare
l’idea di dover portare un bastone.

• Gherzi - La ferita è la nostra qualità primaria, ma non accentandola, l’attribuiamo agli altri. La malattia del teatro è
proprio quella di aver perso i contatti con la ferita. Gli attori sono sempre più concentrati sulla propria immagine e il
pubblico vuole vedere ciò che già conosce. È diventato un teatro-sistema. Eppure il teatro vuole dire al pubblico:
questo ti riguarda, vuole aprire la ferita e non chiuderla. Se una casa brucia, da quell’atto impareremo qualcosa
sull’educazione ambientale: solo tramite questa via la ferita riesce a curare il teatro, a patto che non si riduca a
protocolli e didattica.

• Morelli - Ci concentriamo sull’aspetto neurone come processo essenziale. Quando il maestro De Filippo fu invitato a
salire sul palco da Delia Scala, nel suo negarsi, automaticamente entrò nella parte di un ubriaco con una bottiglia in
mano. Quella bottiglia non c’era, eppure tutti se la ricordano: questo processo di chiama risonanza incarnita. Con il
termine materia incandescente invece si concentra su cosa accade nel momento in cui un’attore ha la battuta pronta
ma non l’ha ancora detta facendo subentrare la nozione di neuroni specchio, che ci dicono che una cosa o la si guarda
o la si fa, attiva gli stessi procedimenti cerebrali. Quando si è abbassata la laringe e sviluppata la neo-corteccia siamo
stati anche capaci ad immaginare e concepire ciò che ancora non c’è. Avete mai visto una Sirena? Eppure sappiamo
tutti di cosa parliamo. Su un’altra dimensione ancora possiamo dire che il nostro corpo si muove in una erto modo
sentendo una certa musica.
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