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Sandro Mezzadra

La condizione postcoloniale
ombre corte / culture
Storia e politica nel presente globale
Sandro Mezzadra
La condizione postcoloniale
Negli ultimi anni gli studi postcoloniali hanno arricchito la nostra com-
prensione della storia della modernit e del presente globale, portando
alla luce il ruolo costitutivo che ha giocato nella definizione di entram-
bi il progetto coloniale dellEuropa e dellOccidente. Introdotti anche nel
nostro paese attraverso un congruo numero di traduzioni di testi, auto-
ri come Dipesh Chakrabarty, Partha Chatterjee, Achille Mbembe, Ga-
yatri Chakravorty Spivak e Robert J.C. Young sono divenuti riferimenti
obbligati nei dibattiti storiografici e teorico-politici, oltre che antropo-
logici e sociologici.
Questo volume presenta il lavoro di uno degli studiosi che hanno mag-
giormente contribuito alla ricezione italiana dei temi e degli autori post-
coloniali. In una serie di saggi, lautore indaga i caratteri salienti della
condizione postcoloniale, si interroga sul ruolo che lesperienza colo-
niale ha avuto nella definizione della storia e dei concetti politici fonda-
mentali della modernit, rintraccia leredit del colonialismo nelle politi-
che europee di controllo delle migrazioni e si interroga sullapporto che
dagli studi postcoloniali pu venire per una teoria critica della politica al-
laltezza delle sfide del mondo globale contemporaneo.
Quel che ne risulta un quadro di estrema attualit sia di un settore di
studi in espansione, come quello appunto postcoloniale, sia di alcuni trat-
ti salienti del nostro presente.
SANDRO MEZZADRA insegna Studi coloniali e postcoloniali e Le frontiere della citta-
dinanza nella Facolt di Scienze Politiche dellUniversit di Bologna. Attualmente vi-
siting fellow presso il Centre for Cultural Research della University of Western Sydney.
Tra i suoi lavori: La costituzione del sociale. Il pensiero giuridico e politico di Hugo Preuss,
Il Mulino, 1999 e, come curatore, I confini della libert. Per una analisi politica delle mi-
grazioni contemporanee, DeriveApprodi, 2004. Per i nostri tipi ha pubblicato Diritto di
fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione (nuova edizione accresciuta, 2006).
Euro 16,00
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Sandro Mezzadra
La condizione postcoloniale
Storia e politica nel presente globale
ombre corte
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Prima edizione: febbraio 2008
ombre corte
via Alessandro Poerio 9 - 37124 Verona
Tel./fax: 045 8301735; e-mail: info@ombrecorte.it
www.ombrecorte.it
Progetto grafico copertina e impaginazione: ombre corte
ISBN: 978-88-95366-09-8
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Indice
7 Introduzione
20 Nota ai testi
23 CAPITOLO PRIMO. La condizione postcoloniale
1. Uno stile globale?; 2. Decentrare il globale; 3. Sulla transizione; 4. Diffe-
renze postcoloniali; 5. Afferrare il presente
39 CAPITOLO SECONDO. Immagine della cittadinanza nella crisi del-
l'antropologia politica moderna
1. Gli studi postcoloniali e la problematica della legittimazione; 2. Lantropo-
logia politica implicita nel moderno discorso della cittadinanza; 3. Progetto
coloniale e pensiero politico moderno; 4. One World. Globalizzazione e post-
colonialismo
56 CAPITOLO TERZO. Tempo storico e semantica politica nella critica
postcoloniale
1. Tra world history e Weltgeschichte; 2. Il tempo della piantagione e il silen-
zio dellarchivio; 3. Oltre lo storicismo; 4. Contro-geografie della moderni-
t; 5. Figure della soggettivit; 6. Contrappunti
73 CAPITOLO QUARTO. Il cittadino e il suddito. Una costituzione post-
coloniale per lUnione Europea?
1. Una lezione di alterit?; 2. Diritto e terrore; 3. Un nuovo mostro?; 4. Con-
fini; 5. Europa a venire
89 CAPITOLO QUINTO. Il nuovo regime migratorio europeo e la meta-
morfosi contemporanea del razzismo
1. Un nuovo nazionalismo?; 2. Razzismi; 3. Nella crisi del mercato del lavoro;
4. Cittadini europei, nuovo razzismo e nuovo antirazzismo
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106 CAPITOLO SESTO. Vivere in transizione. Verso una teoria eterolin-
guale della moltitudine
1. Capitale come traduzione; 2. Il capitale e lOccidente; 3. Tempo e spazio del
capitalismo globale; 4. Lavoro vivo in transizione; 5. Verso una teoria etero-
linguale della moltitudine
127 APPENDICE
Attualit della preistoria. Per una rilettura del capitolo 24 del pri-
mo libro del Capitale, La cosiddetta accumulazione originaria
1. Laccumulazione originaria, oggi; 2. Questioni di metodo; 3. Per la critica
delleconomia classica (e volgare); 4. Una merce diversa dalle altre; 5. Nella
transizione; 6. Alla ricerca del comune. Del comunismo
155 Bibliografia
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Introduzione
Le carte venivano tirate fuori quasi ogni notte, e quasi ogni
notte alcuni tratti di matita venivano cancellati e sostituiti
con altri. Perch con le carte di tutti e quattro gli oceani da-
vanti a s, Ahab tracciava un dedalo di correnti e di vorti-
ci, con lintento di portare a compimento il pensiero mo-
nomaniaco della sua anima
H. MELVILLE, Moby Dick (1851), XLIV
1. In questione, nelle pagine che seguono, il capitalismo con-
temporaneo. Non scontato, in un libro intitolato La condizione post-
coloniale. Altri temi dal multiculturalismo allislamofobia, dagli
scontri attorno al velo in Francia o a Kabul ai diritti degli indigeni in
Australia o in America latina sono di solito al centro delle analisi
che si richiamano alla critica postcoloniale. Non si tratta certo di pro-
blemi ignorati nei capitoli che compongono questo libro, scritti per
diverse occasioni nel corso degli ultimi anni. Ma il baricentro attor-
no a cui essi trovano una loro coerenza, almeno nelle intenzioni del-
lautore, appunto un tentativo di complicare e arricchire lanalisi
critica del capitalismo globale contemporaneo, dei rapporti sociali di
produzione su cui si fonda e della loro persistente determinazione an-
tagonistica.
Ho incominciato a occuparmi degli studi postcoloniali incalzato
dai problemi nuovi posti in Italia dalla crescente presenza e dalle lot-
te dei migranti negli anni Novanta. Non erano solo i confini del pae-
se a essere forzati e spiazzati da quella presenza e da quelle lotte, che
qualcuno si ostina a ritenere marginali, buone al pi per rimescolare
un micidiale cocktail di pauperismo lamentoso e di pietismo cri-
stiano (Bologna 2007). Era la nostra immaginazione teorica e poli-
tica, era il canone del pensiero critico al cui interno si era svolta la
mia formazione a essere sfidato dallirruzione di un mondo che ci era
in parte sconosciuto. Un insieme di percorsi collettivi, decisamente
poco inclini al lamento e allesercizio pur nobile virt della pietas, si
dipanato a partire da questa consapevolezza. Confrontandoci con
i dibattiti sulla globalizzazione, tentando di riconoscere un noc-
ciolo di verit nelle retoriche spesso stucchevoli attraverso cui si pre-
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sentavano, abbiamo proposto prime approssimazioni sul profilo di
quel mondo che sembrava essersi fatto definitivamente uno, a di-
spetto delle plateali disuguaglianze e delle linee conflittuali che lo at-
traversavano (Mezzadra, Petrillo, a cura di, 2000). Tra Seattle e Ge-
nova abbiamo colto e vissuto linsorgere di un movimento che si col-
locava pienamente nella dimensione globale e ne interpretava in ter-
mini antagonistici i processi di costituzione materiale (Mezzadra, Rai-
mondi 2001; DeriveApprodi, n.s., 1, 2, 3, 2002-2003). Negli anni
successivi abbiamo tentato di attraversare, teoricamente e politica-
mente, lo spazio europeo per declinarlo nei termini di uno spazio
globale, ancora una volta seguendo in modo privilegiato i movimen-
ti e le lotte dei migranti (DeriveApprodi, n.s., 1, 2002; Mezzadra,
Rigo 2003; Frassanito Network 2004 e 2006).
Il mio confronto con gli studi postcoloniali , come dicevo, parte
integrante di questi percorsi di ricerca e di queste pratiche politiche.
al tempo stesso un capitolo di quel tentativo di provincializzare
leffetto italiano di cui ha scritto, in un saggio importante, Brett
Neilson (2005). La pubblicazione del libro di Michael Hardt e Toni
Negri, Impero (2000), ha in effetti determinato un processo di vera e
propria globalizzazione delloperaismo italiano, la specifica tradi-
zione di pensiero critico al cui interno si svolta la mia formazione
e continua a collocarsi il mio lavoro. Per dirla con Edward Said, quel-
la tradizione ha cominciato a viaggiare, travolgendo i confini geo-
grafici e politici che ne avevano perimetrato e limitato la pur signifi-
cativa circolazione a partire dagli anni Sessanta del Novecento (e as-
sumendo spesso tratti di compattezza irrispettosi della molteplici-
t di alternative teoriche che al suo interno si sono di volta in volta
determinate). Gli studi culturali e postcoloniali, non solo nellacca-
demia anglosassone ma anche in Asia, in America latina e in Africa,
sono stati in particolare investiti dalleffetto italiano, che con il pas-
sare degli anni ha finito per estendersi alla ricezione di diverse cor-
renti teoriche, dagli scritti di Giorgio Agamben al pensiero della dif-
ferenza sessuale.
noto che Said scrisse due volte il suo saggio dedicato alla travel-
ing theory (Said 1982 e 1994), dando cos piena espressione allam-
bivalenza del processo descritto: viaggiando, la teoria critica pu cer-
to addomesticarsi, perdere la propria originaria carica di provoca-
zione, ma pu anche felicemente ibridarsi in altre costellazioni sto-
riche, geografiche e culturali, dando luogo a concatenazioni e a esiti
tanto imprevisti quanto interessanti. Il processo di globalizzazione
delleredit teorica delloperaismo italiano seguito alla pubblicazio-
8 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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ne di Impero ha verificato pienamente la correttezza di questa tesi di
Said. Cogliere ed esaltare le opportunit e le potenzialit dellibrida-
zione, individuando in esse un antidoto contro ogni neutralizzazio-
ne della radicalit teorica e politica delloperaismo stato lobiettivo
che mi sono posto negli ultimi anni: in particolare attraverso quel
confronto con gli studi postcoloniali che ha assunto una posizione
via via pi importante nella mia attivit di ricerca, traducendosi tra
laltro nellinsegnamento di un corso universitario intitolato Studi
coloniali e postcoloniali, nelledizione italiana di testi rilevanti nel-
lambito degli studi postcoloniali (Guha 1982, Spivak 1984 e Chat-
terjee 2003) e in un lavoro di scavo storico sulle diverse tradizioni del
pensiero politico anticoloniale, concentratosi in particolare su W.E.B.
Du Bois (Mezzadra 2004b e 2006b) e C.L.R. James (Mezzadra, a cu-
ra di, 2007).
2. Gli studi postcoloniali sono ormai ampiamente noti anche in
Italia. Il lavoro pionieristico condotto per anni in sostanziale solitu-
dine da studiosi come Iain Chambers e Lidia Curti allUniversit
orientale di Napoli (cfr. in particolare Chambers, Curti, a cura di,
1997) ha in qualche modo dissodato il terreno, che appare oggi ferti-
le per una ricezione pi meditata dei temi e delle acquisizioni di que-
sta eterogenea corrente di studi. Grazie soprattutto allimpegno del-
la casa editrice Meltemi, i lavori di Homi Bhabha, Dipesh Chakra-
barty, Robert Young, Achille Mbembe, Gayatri Spivak (per limitarci
ai nomi pi noti) sono oggi disponibili in traduzione italiana e stanno
diventando riferimenti obbligati nel dibattito che attraversa una plu-
ralit di discipline, dalla filosofia politica alla sociologia, dallantro-
pologia agli studi di letteratura comparata. Studi storici (cfr. ad es.
Stefani 2007) e letterari (cfr. ad es. Schiavulli, a cura di, 2007 e Ben-
venuti 2008) cominciano a sondare la produttivit dellapproccio
postcoloniale in riferimento alle specifiche vicende italiane, mentre
lappropriazione della lingua italiana da parte di una nuova genera-
zione di scrittori e scrittrici migranti (cfr. Gambari 2005) consente
anche da noi di misurare gli effetti di spiazzamento del canone lin-
guistico e letterario che si determinano quando, per citare il titolo di
un libro importante nella storia della critica postcoloniale, the Empi-
re writes back (Aschcroft, Griffiths, Tiffin 1989).
Non qui necessario ricostruire la genealogia degli studi postco-
loniali, lintreccio di discipline e di pratiche teoriche nate allinterno
dei movimenti anticoloniali, antirazzisti e femministi che ne ha de-
terminato il costituirsi in un campo accademico relativamente co-
INTRODUZIONE 9
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erente nel mondo anglosassone a partire dalla met degli anni Ot-
tanta. Miguel Mellino (2005, in specie capp. I e II) lo ha fatto in mo-
do egregio ed esaustivo, mostrando come, a partire dalla pubblica-
zione di Orientalismo di Edward Said (1978), un insieme di testi ab-
bia da una parte registrato la radicale innovazione teorica determi-
nata dalla centralit che assumeva in quel libro lanalisi critica del di-
scorso coloniale; e come, dallaltra parte, la critica postcoloniale ab-
bia messo in discussione i caratteri monolitici che il discorso colo-
niale tendeva ad assumere nel lavoro di Said, concentrandosi sui pro-
cessi di ibridazione, negoziazione e resistenza che lintervento dei
soggetti colonizzati ha iscritto fin dalle origini della modernit nella
trama di quel discorso.
Quel che importante sottolineare in questa sede piuttosto il ri-
schio implicito nella tardiva ricezione italiana degli studi postcolo-
niali. Non daltronde un fenomeno soltanto italiano: in Francia
stata necessaria la rivolta delle banlieues nellautunno del 2005 per
aprire le porte dellaccademia agli studi postcoloniali e per introdur-
li nel mercato editoriale (cfr. Mbembe 2005; Ivekovic 2006 e 2007;
Smouts, a cura di, 2007). LEuropa continentale nel suo complesso
sembra essere stata a lungo riluttante ad accogliere il contributo di
questi studi, ed questa una delle ragioni per cui, come appare chia-
ro da alcuni capitoli di questo libro (il quarto e il quinto in partico-
lare), ho collocato proprio nella dimensione europea il mio confron-
to con essi. Il punto , tuttavia, che la ricezione tardiva pare spesso
accompagnarsi allidea che il postcolonialismo sia una sorta di para-
digma unitario, da accogliere o respingere in toto, tra laltro proprio
mentre nel mondo anglosassone il campo degli studi postcoloniali sta
letteralmente implodendo, frantumandosi in una serie di ricerche
specialistiche, dopo che la sua agenda ha contribuito a riorientare
complessivamente il dibattito allinterno delle scienze umane e sociali
(Loomba et alii, a cura di, 2005). La distinzione tra condizione post-
coloniale e postcolonialismo, presentata nel primo capitolo, tenta pre-
cisamente di cogliere le opportunit implicite in questa situazione,
ponendo le basi per un uso pi libero delle categorie e delle acquisi-
zioni della critica postcoloniale nella definizione di un nuovo para-
digma del pensiero critico.
3. Gli studi postcoloniali offrono un contributo indubbiamente
molto importante al rinnovamento del nostro modo di guardare alla
modernit nel suo complesso: il secondo e il terzo capitolo del libro
sviluppano quel contributo dal punto di vista della storia del pensie-
10 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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ro politico e della storiografia. La storia globale della modernit fin
dalle sue origini (che dai libri delle elementari abbiamo del resto im-
parato a situare nel 1492, con la scoperta e lavvio della conquista eu-
ropea del nuovo mondo) deve ormai essere letta a partire da una
pluralit di luoghi e di esperienze, allincrocio tra una molteplicit di
sguardi che destabilizza e decentra ogni narrativa eurocentrica
(Ghosh, Gillen 2007). A differenza di altre correnti che sono con-
fluite in quella che oggi si definisce world history, gli studi postcolo-
niali ci insegnano poi a essere diffidenti verso ogni lettura troppo ri-
gida del rapporto tra centro e periferia, che consegnerebbe la storia
dellespansione coloniale a episodio appunto periferico, occultan-
done la funzione costitutiva nellesperienza globale della modernit
(Capuzzo 2006). Ma pur vero che, nel loro insieme, gli studi post-
coloniali hanno teso ad accentuare i tratti meramente culturali del-
la pluralit di incontri di cui intessuta la storia della modernit.
Lo stesso paradigma delle modernit alternative (Gaonkar, a cura
di, 2001), che ben descrive gli esiti di una parte consistente della cri-
tica postcoloniale, presenta certo notevoli motivi di interesse; ma nel
suo complesso finisce per esaurirsi nellindicazione delle molteplici
modalit di significazione culturale che possibile attribuire alle-
sperienza della modernit, riproducendo su scala globale la geogra-
fia immaginata dai teorici del multiculturalismo liberale e rischiando
di occultare gli scontri, i rapporti di dominio e di sfruttamento di cui
la significazione culturale pur sempre espressione (cfr. Sakai, So-
lomon 2006).
Accogliere il decentramento dello sguardo storico reso possibile
dagli studi postcoloniali mantenendo una distanza critica rispetto ad
alcuni dei loro esiti quel che tento di fare in questo libro. In questo
senso, dicevo allinizio, in questione il capitalismo contemporaneo.
Non perch mia intenzione sia opporre il piano materiale (per non
dire strutturale) dellanalisi alle derive culturalistiche e testualisti-
che che molti critici hanno rimproverato agli studi postcoloniali (cfr.
ad es. Ahmad 1995, Lazarus 1999 e Perry 2004). Mi interessa piutto-
sto riportare alla luce il rilievo materiale che la dimensione epistemi-
ca delle culture, dei discorsi, dei testi ha assunto allinterno della co-
stituzione di un modo di produzione, il capitalismo moderno ap-
punto, che rimane comunque organizzato attorno allimperativo del-
laccumulazione e alla logica dello sfruttamento. E una delle tesi che
fanno da sfondo alle analisi presentate nei capitoli successivi che il
capitalismo contemporaneo sia strutturalmente definito dal confon-
dersi dei confini infrasistemici che avevano consentito di articola-
INTRODUZIONE 11
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re nellunit di un modo di produzione dimensioni materiali e sim-
boliche, politiche, giuridiche ed economiche, sociali e culturali.
Il punto di vista privilegiato da cui cerco di guardare al capitali-
smo contemporaneo, come appare soprattutto nellultimo capitolo
del libro, quello della produzione di soggettivit (intesa nel duplice
senso di assoggettamento e soggettivazione) che si determina lungo
lintero arco dei circuiti globali dellaccumulazione. Memore in par-
ticolare delle lezioni che vengono dal femminismo postcoloniale (De
Petris 2005), cerco del resto di problematizzare continuamente la ca-
tegoria di soggettivit, di resistere a ogni tentazione di offrirne unim-
magine unitaria e omogenea, di porre in evidenza le fratture che la
costituiscono pur senza rinunciare a indicare nel terreno della sog-
gettivazione il terreno cruciale su cui deve esercitarsi oggi un pensie-
ro critico della politica: il modo in cui personalmente intendo il
concetto di moltitudine, su cui mi soffermo in particolare nel sesto
capitolo.
4. Sono cos ritornato, attraverso il riferimento al concetto di mol-
titudine, agli sviluppi delloperaismo italiano. Il confronto con gli stu-
di postcoloniali stato per me di fondamentale importanza, in questi
anni, per saggiare e ridefinire una serie di categorie (composizione
tecnica e politica di classe, tendenza, sussunzione formale e reale del
lavoro sotto il capitale, per nominarne alcune) che hanno avuto
unimportanza cruciale nel metodo e nel paradigma teorico dellope-
raismo. La critica di ogni immagine lineare e della teoria degli stadi
dello sviluppo capitalistico, elaborata da autori come Dispesh Cha-
krabarty (2000), mi ha condotto a individuarne le tracce anche allin-
terno dei concetti fondamentali delloperaismo, nella continua ricerca
del punto pi alto dello sviluppo e di un soggetto centrale attor-
no a cui definire lanalisi della composizione di classe e il progetto del-
la sua ricomposizione politica. Al tempo stesso, tuttavia, ho cercato
di far vivere anche nella mia analisi delle lotte anticoloniali unindica-
zione di metodo che gi Michael Hardt e Toni Negri avevano proiet-
tato su scala globale in Impero: il punto di vista, cio, secondo cui per
comprendere lo sviluppo bisogna guardare prima di tutto alle lotte.
Sotto questo profilo, daltro canto, gli studi postcoloniali mi han-
no offerto un insieme di chiavi daccesso al mondo non occidentale
completamente diverse da quelle del vecchio terzomondismo. Un
insieme di categorie maturate allinterno della critica postcoloniale
(da quella di ibridazione a quella di spiazzamento e decentramento)
costituiscono piuttosto utensili teorici di grande efficacia per descri-
12 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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vere linsieme dei processi che hanno condotto alla fine del Terzo
mondo e alla crisi contemporanea della divisione internazionale del
lavoro. Uno dei centri attorno a cui si organizzato il mio confronto
con gli studi postcoloniali stato precisamente il tentativo di descri-
vere il vero e proprio terremoto che i processi di globalizzazione de-
terminano nelle mappe e nella geografia politica, economica, cultu-
rale che abbiamo ereditato dalla modernit. E unimportanza cre-
scente, sia sotto il profilo analitico sia sotto il profilo medotologico,
andata assumendo nel mio lavoro degli ultimi anni il concetto di
confine, di cui indago le metamorfosi nel contesto europeo nei capi-
toli quarto e quinto del libro.
il caso di ripetere che parlare di fine del Terzo mondo e di crisi
della divisione internazionale del lavoro non significa affermare che
lo spazio globale sia uno spazio liscio, che abbiano cessato di esse-
re operativi criteri di organizzazione gerarchica articolati su scala ter-
ritoriale. Al contrario, la centralit attribuita allanalisi dei processi
globali di moltiplicazione dei confini riporta continuamente latten-
zione sulle striature dello spazio globale, individuando in esse dis-
positivi essenziali alla ridefinizione dei rapporti di sfruttamento e
dominio (nonch siti privilegiati per lanalisi dei persistenti attriti tra
il comando capitalistico e le logiche della sovranit). Il punto fonda-
mentale che si vuole tuttavia sottolineare che queste striature
hanno cessato di organizzare in modo coerente la geografia politica
ed economica planetaria distinguendo tra loro spazi internamente
omogenei e chiaramente differenziati. in questo contesto che, co-
me scrivono nella prefazione a un libro recente Jean Comaroff e John
L. Comaroff,
le postcolonie sono divenute luoghi cruciali per la produzione di teoria so-
ciale: di teoria sociale sui generis, non semplicemente di una teoria antro-
pologica riferita alle vite e ai tempi di quei mondi un tempo conosciuti co-
me secondo e terzo mondo. [...] La ragione per cui esse sono luoghi indi-
spensabili di produzione teorica sta nel fatto che molti dei grandi tsunami
del XXI secolo sembrano destinati a scatenarsi prima sulle loro coste o, se
non prima, comunque nella loro forma pi percepibile ed estesa per poi
riverberarsi nelle cosmopoli dellemisfero settentrionale (Comaroff, Co-
maroff, a cura di, 2006, p. IX).
In questione non soltanto il fatto che studiando gli slum di Cal-
cutta si possa imparare qualcosa di essenziale per comprendere quel
che accade nelle banlies di Parigi, ma anche che i piqueteros argenti-
ni possono avere molto da insegnare ai collettivi di precari che agi-
scono nelle metropoli europee. Non nel senso, sia chiaro, che i primi
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abbiano delle soluzioni da offrire ai problemi dei secondi: ma
piuttosto perch offrono un punto di vista a partire dal quale quei
problemi acquisiscono nuove e impreviste dimensioni. Pi in gene-
rale, lo sguardo postcoloniale sulla fine del Terzo mondo e sulla crisi
della divisione internazionale del lavoro, senza smarrire il senso del-
le radicali differenze tra luoghi, regioni e continenti, permette di co-
gliere leterogeneo intreccio di regimi produttivi, di temporalit e di
esperienze soggettive del lavoro che costituisce il capitalismo cinese
contemporaneo (Rocca 2002 e 2006) e che sfugge ad esempio a una
categoria come quella di fordismo periferico.
Nel momento stesso in cui obbliga a provincializzare e a cali-
brare su scale temporali eterogenee un metodo come quello operaista
della tendenza, la prospettiva postcoloniale consente anche di indi-
viduare una serie di categorie analitiche che, opportunamente tarate
sulla specificit delle diverse situazioni, possono rivendicare unuti-
lit generale nella critica del capitalismo contemporaneo. il caso ad
esempio di quella di inclusione differenziale, che proprio attorno
allanalisi delle trasformazioni che investono oggi i confini ha trovato
negli ultimi anni una definizione rigorosa, ripresa in riferimento alla
condizione dei migranti in Europa nei capitoli quarto e quinto del li-
bro. Linclusione differenziale, che ha del resto una lunga storia nel-
la modernit coloniale, ben si presta a definire alcuni dei tratti salienti
della globalizzazione capitalistica contemporanea, che opera attra-
verso una logica di connessione cos come attraverso una logica di
sconnessione, che unifica e frammenta al tempo stesso (Ferguson
2006), che imprime il proprio segno sulla vita di donne e uomini in
ogni angolo del pianeta anche quando produce catastrofici processi
di esclusione. La guerra stessa, nelle nuove forme che ha assunto
negli ultimi anni in Africa come in Iraq, pienamente interna a que-
sti processi, determina indubbiamente il ritorno sulla scena di logi-
che, forme di combattimento, dispositivi e retoriche coloniali, ma
non trova in coerenti progetti di dominio neocoloniale il proprio cri-
terio di razionalit (Mbembe 2003, pp. 30-35).
5. Nel primo e soprattutto nel sesto capitolo avanzo lipotesi che
una rinnovata attenzione alla categoria di transizione consenta di co-
gliere alcuni dei tratti salienti del capitalismo contemporaneo. Nel-
lappendice, in cui alcuni dei temi affrontati nel libro sono rivisitati
dal punto di vista di un confronto diretto con Marx, propongo una
lettura dellanalisi marxiana della cosiddetta accumulazione origina-
ria come contributo alla precisazione di alcuni aspetti di questa ipo-
14 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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tesi. In un libro importante, da poco uscito, leconomista indiano Kal-
yan Sanyal propone a sua volta unanalisi del capitalismo postcolo-
niale alla luce della categoria di accumulazione originaria, insisten-
do tuttavia al tempo stesso sulla necessit di liberare il dibattito sullo
sviluppo dallipoteca della transizione (Sanyal 2007, p. 40). Sanyal si
riferisce in realt alla grande narrazione della transizione, al suo
orientamento teleologico verso la realizzazione delle condizioni di un
pieno sviluppo capitalistico allinterno del sottosviluppo e della di-
pendenza, e in particolare al modo in cui i teorici dello sviluppo, a
partire dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno impostato il
problema del rapporto tra settore moderno e settore tradizionale
delleconomia. questa lipoteca da cui ritiene debba essere libe-
rato il dibattito sullo sviluppo, e mi pare una provocazione che vale la
pena accogliere positivamente. Pi interessante risulta in questo sen-
so considerare brevemente il modo in cui nel suo libro viene utilizza-
to il riferimento allanalisi marxiana dellaccumulazione originaria.
Nella prospettiva di Sanyal, laccumulazione originaria costituisce
un tratto essenziale e una caratteristica strutturale dello sviluppo ca-
pitalistico nel mondo postcoloniale: visto in questi termini, il capi-
tale postcoloniale non diviene mai nel senso hegeliano. [...] Come il
proverbiale Sisifo, il capitale impegnato in un lavoro che non mai
compiuto: il suo sorgere non mai completo, la sua universalit non
mai pienamente stabilita, il suo essere sempre rinviato al futuro
(ivi, p. 61). Lo sviluppo capitalistico postcoloniale procede attraver-
so una logica analoga a quella delle recinzioni descritte da Marx a
proposito dellInghilterra proto-moderna, e produce continuamen-
te, come risultato del suo stesso incedere, una terra desolata di spos-
sessati che eccede strutturalmente il fabbisogno di forza lavoro del
settore capitalistico delleconomia e ne resta dunque allesterno,
esclusa dalla possibilit stessa di entrare nei circuiti dello sfrutta-
mento su base di classe (cfr. ivi, p. 58).
Il punto maggiormente originale dellanalisi di Sanyal consiste tut-
tavia nella tesi secondo cui il capitale postcoloniale, per affermare la
propria legittimit, costretto in qualche modo a farsi carico delle-
sistenza di questa terra desolata. costretto cio ad accettare quel-
lo che leconomista indiano definisce il rovescio dellaccumulazio-
ne originaria (ivi, p. 59), acconsentendo a finanziare un flusso di ri-
sorse verso lesterno del capitale: canalizzato attraverso lazione
dello Stato, di organizzazioni internazionali e non governative, que-
sto flusso di risorse crea le condizioni per la nascita e la riproduzione
di una economia del bisogno che rimane esterna allo spazio eco-
INTRODUZIONE 15
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 15
nomico del capitale ma che gioca un ruolo essenziale nel processo
complessivo di legittimazione del capitalismo. su queste basi che
andrebbero secondo Sanyal comprese la politica dei governati e la
nascita della societ politica descritte da Partha Chatterjee in un li-
bro su cui si torner nei capitoli successivi (Chatterjee 2004).
Il lavoro di Sanyal tenta di ripensare una politica radicale attra-
verso la coniugazione della politica di classe che ha il suo luogo al-
linterno del capitale e la politica della povert che si sviluppa al
suo esterno (cfr. Sanyal 2007, pp. 260-262). Costituisce in questo sen-
so un contributo prezioso, su cui sar necessario tornare con mag-
giore ampiezza in futuro. La disarticolazione del nesso tra lavoro sa-
lariato e cittadinanza come asse attorno a cui pensare lo sviluppo
apre prospettive di grande interesse, che meriterebbero di essere son-
date ad esempio in un contesto come quello latino-americano, dove
lipoteca della transizione, nelle forme assunte dal desarrollismo,
ancora molto forte e condiziona pesantemente lazione dei nuovi go-
verni progressisti. Sotto il profilo teorico, tuttavia, Sanyal mi sem-
bra da una parte enfatizzare in modo eccessivo la specificit del ca-
pitalismo postcoloniale, identificandolo con il capitalismo delle aree
che un tempo componevano il Terzo mondo, mentre dallaltra po-
stula una distinzione troppo rigida tra i due ambiti che chiama ca-
pitale e non capitale.
Analogamente a quanto osservato da Ranabir Samaddar (2007, II,
pp. 107-137) a proposito della distinzione tra societ civile e so-
ciet politica elaborata da P. Chatterjee, non si tratta soltanto di por-
tare lattenzione sui transiti che si determinano tra i due ambiti al
di l del trasferimento di risorse dal capitale al non capitale; il
punto consiste piuttosto nella necessit di individuare nei processi di
legittimazione del dominio (o dellegemonia, come Sanyal preferisce)
del capitale sulla societ un momento chiave dello stesso concetto di
capitale, che non pu semplicemente esserne separato e ascritto al
pi generale concetto di capitalismo. Gli antagonismi e le lotte che
si determinano allinterno di quei processi sono antagonismi e lotte
interni al rapporto di capitale; e in particolare registrano la genera-
lizzazione della condizione soggettiva associata ai processi di produ-
zione della forza lavoro come merce, indipendentemente dalle diffe-
renze enormi determinate dal fatto che quella forza lavoro sia diret-
tamente sfruttata dal capitale o sia confinata nelleconomia del bi-
sogno, dove la sua stessa riproduzione affidata a fragili e aleatori
equilibri politici nonch alla straordinaria creativit e inventiva degli
spossessati.
16 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 16
6. Luso che propongo di fare della categoria di transizione per
definire alcuni tratti caratteristici del capitalismo contemporaneo si
pone oltre ogni narrazione teleologica, e al contempo non si riferisce
alla realt di singole aree del mondo. parte di un tentativo di co-
gliere i problemi di articolazione e traduzione inerenti al concetto
stesso di capitale globale. Lenfasi posta su articolazione e tradu-
zione, in particolare attraverso il confronto con il lavoro dellintellet-
tuale giapponese Naoki Sakai, costituisce nelle mie intenzioni un an-
tidoto contro ogni tentazione di proporre unimmagine monolitica
del concetto di capitale globale, puntando al contrario a evidenziare
la radicale eterogeneit dei processi di produzione e valorizzazione,
delle forme di circolazione, degli attori, delle contraddizioni che con-
fluiscono nel concetto. Al tempo stesso, tuttavia, cerco di portare lat-
tenzione sul formidabile problema della mediazione di questa etero-
geneit nellunit del capitale globale, ovvero della continua ripro-
duzione del comando capitalistico sul mondo in cui viviamo. Politica
e diritto oggi si ridefiniscono a fronte della radicalit di questo pro-
blema, articolandosi a loro volta su una molteplicit di livelli e dan-
do luogo a nuove costellazioni di autorit, diritto e territorio. Gli Sta-
ti nazionali, pur continuando a esercitare funzioni cruciali, vengono
radicalmente trasformati attraverso il loro inserimento in queste co-
stellazioni che strutturalmente li trascendono (Sassen 2006).
Il concetto di transizione, applicato a questa situazione, sottolinea
non soltanto linstabilit e laleatoriet dellunit del capitale globa-
le, ma anche la radicalit degli antagonismi che costituiscono il rap-
porto di capitale nel momento in cui le condizioni stesse della sua
possibilit devono essere continuamente riaffermate. Leggere la
transizione attraverso le pagine dedicate da Marx alla cosiddetta ac-
cumulazione originaria consente cos da una parte di evidenziare i
processi di violenta appropriazione che, in una linea di continuit con
le recinzioni nellInghilterra delle origini della modernit, non ri-
guardano oggi solo la terra, ma investono per limitarci a un paio di
esempi il terreno della produzione di conoscenza nelle reti di co-
operazione e produzione sociale (Benkler 2006) e il terreno stesso
della vita nei circuiti del biocapitale, ovvero del capitale investito
nello sviluppo delle biotecnologie e dei farmaci postgenomici (Ra-
jan 2006; Devenney 2007). E dallaltra parte indica nella produzione
di soggettivit, in una linea di continuit con lanalisi marxiana della
produzione della forza lavoro come merce in quanto condizione di
possibilit del mercato del lavoro, la dimensione cruciale su cui si
distendono oggi gli antagonismi.
INTRODUZIONE 17
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 17
unimmagine in qualche modo paradossale quella che cos
emerge: proprio nel momento in cui il capitalismo sembra avere tra-
volto ogni limite territoriale alla sua espansione, lo spazio del fuori
si allarga sulla dimensione che potremmo definire temporale; lal-
trove cede il passo allaltroquando. Il carattere strategico che tor-
na ad acquisire lappropriazione, il processo che precede listituzione
giuridica della propriet privata, e lintensit dei conflitti che si de-
terminano sul terreno della produzione di soggettivit, dove in que-
stione limposizione del tempo di lavoro come misura astratta del
valore a fronte delleterogeneit costitutiva delle temporalit che
esprimono la ricchezza del lavoro vivo contemporaneo, offrono pri-
me approssimazioni sulla densit materiale di questo fuori. Una po-
litica della moltitudine non pu che essere immaginata a partire dal-
la necessit di tradurre nella costruzione di un nuovo comune la mol-
teplicit dei linguaggi parlati dalle lotte che quotidianamente insor-
gono sui fragili confini che separano il capitale dal suo paradossale
fuori. questo il punto su cui, provvisoriamente, si conclude il
mio confronto con la critica postcoloniale.
***
Come ho ricordato allinizio di questa introduzione, i materiali
raccolti in questo libro sono nati allinterno di percorsi di ricerca col-
lettivi. Tre ambiti di discussione sono stati in particolare fondamen-
tali per la definizione e lo sviluppo del mio interesse per gli studi
postcoloniali. Vorrei qui ricordarli, ringraziando tutte e tutti coloro
che vi hanno partecipato e continuano a parteciparvi: il collettivo re-
dazionale della nuova serie di DeriveApprodi (2001-03), la rete di
Uninomade e la redazione della rivista Studi culturali.
Un debito particolare lho contratto con Federico Rahola, coau-
tore del primo capitolo del libro. stato Federico a introdurmi ai te-
mi e agli autori della critica postcoloniale, entro un rapporto di ami-
cizia e di scambio intellettuale che continua a essere uno dei pi im-
portanti per me. Maurizio Ricciardi e Gigi Roggero hanno riletto i
capitoli del libro nella versione che qui presento, offrendomi indica-
zioni e suggerimenti decisivi per migliorarli e discutendo con la pas-
sione di sempre i problemi che restano aperti. Altrettanto ha fatto
Gianfranco Morosato, il cui ruolo andato ben al di l di quello del-
leditore.
Mi difficile ricordare i nomi di tutti coloro che hanno discusso
con me precedenti versioni di questi testi. Particolarmente impor-
18 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 18
tanti, in questi anni, sono state per me le continue conversazioni sui
temi trattati nel volume con Rutvica Andrija&evic, tienne Balibar,
Raffaella Baritono, Marco Bascetta, Giuliana Benvenuti, Pietro Bian-
chi, Manuela Bojad=ijev, Maura Brighenti, Fulvio Cammarano, Pao-
lo Capuzzo, Dipesh Chakrabarty, Federico Chicchi, Sandro Chigno-
la, il Colectivo situaciones di Buenos Aires, Anna Curcio, Stefania De
Petris, Emanuela Fornari, Andrea Fumagalli, Carlo Galli, Raffaella
Gherardi, Gaia Giuliani, Giorgio Grappi, Michael Hardt, Augusto
Illuminati, Laura Lanzillo, Domenico Letterio, Christian Marazzi,
Costanza Margiotta, Miguel Mellino, Cristina Morini, Toni Negri,
Brett Neilson, Maia Pedull, Agostino Petrillo, Mario Piccinini, En-
rica Rigo, Ranabir Samaddar, Marco Santoro, Roberta Sassatelli, Pie-
rangelo Schiera, Federica Sossi, Vassilis Tsianos, Mauro Turrini, Ila-
ria Vanni, Benedetto Vecchi, Paolo Virno, Adelino Zanini. A tutti lo-
ro, e ai molti che non ho qui nominato, va il mio ringraziamento.
A Maia, infine, questo libro dedicato.
INTRODUZIONE 19
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 19
Nota ai testi
I capitoli che compongono questo libro sono stati scritti nel corso
degli ultimi cinque anni, indipendentemente luno dallaltro. Li ri-
propongo qui con qualche variazione, qualche aggiornamento bi-
bliografico e linserimento di una serie di rimandi interni. Il libro ri-
mane una raccolta di saggi, ma lauspicio dellautore che nel com-
plesso emerga una riflessione sistematica e coerente su alcuni dei te-
mi fondamentali della critica postcoloniale. Indico di seguito le sedi
in cui i singoli capitoli sono stati originariamente pubblicati, coglien-
do loccasione per ringraziare direttori di riviste e curatori di volumi
collettanei per avermi consentito di raccoglierli in volume.
Il primo capitolo, scritto insieme a Federico Rahola, stato pub-
blicato in una prima versione come editoriale della sezione mono-
grafica dedicata al postcolonialismo in DeriveApprodi, 23, 2003
(nuova serie, numero 2). Rielaborato e ampliato, uscito in inglese
nella versione che qui si propone, in Postcolonial Text, II (2006),
1. Una traduzione tedesca apparsa in in iz3w, 278-279, 2004.
Il secondo capitolo stato pubblicato in Raffaella Gherardi, Poli-
tica, consenso, legittimazione. Trasformazioni e prospettive, Carocci,
Roma 2002.
Il terzo capitolo uscito in Storica, XI (2005), 31, e, in tradu-
zione francese, in Multitudes, 26, Automne 2006.
Il quarto capitolo nasce da una relazione che ho tenuto al conve-
gno internazionale Conflicts, Law, and Constitutionalism, svoltosi
a Parigi, presso la Maison des Sciences de lHomme, dal 16 al 18 feb-
braio 2005. Vorrei ringraziare tutti i partecipanti al seminario, e in
particolare Paula Banerjee, Rada Ivekovic e Ranabir Samaddar, per
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 20
il loro contributo alla discussione. La versione originale inglese
uscita in Situations, I (2005-06), 2, e, con qualche variazione, nel
volume curato da Ranabir Samaddar e Gilles Tarabout, Conflict, Po-
wer, and the Landscape of Constitutionalism, Routledge, London-
New Dehli 2008. Una traduzione italiana stata pubblicata in Olivia
Guaraldo, Leonida Tedoldi (a cura di), Lo stato dello Stato. Rifles-
sioni sul potere politico nellera globale, ombre corte, Verona 2005.
Il quinto capitolo nasce da una relazione presentata al convegno
internazionale New Racisms: New Anti-Racisms, svoltosi presso la
University of Sydney il 3 e 4 novembre 2006. Ringrazio Ghassan Ha-
ge per avermi invitato a partecipare e per le sue osservazioni sulla mia
relazione. Il testo stato pubblicato in Studi sulla questione crimi-
nale, II (2007), 1.
Il sesto capitolo stato scritto originariamente in inglese per un
volume dedicato a Naoki Sakai, in uscita nel 2008 per la casa editri-
ce Routledge, ed stato anticipato dalla rivista Transversal (nume-
ro 11-07), http://translate.eipcp.net/transversal/1107. La traduzione
italiana che qui si presenta inedita.
Lappendice, anchessa inedita, il testo di una relazione che ho
tenuto a Roma, il 16 febbraio 2007, allatelier occupato Esc, nellam-
bito del ciclo di seminari Lessico marxiano. Dodici concetti per ri-
pensare il presente.
NOTA AI TESTI 21
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 21
3 introduzione 18-01-2008 0:15 Pagina 22
CAPITOLO PRIMO
La condizione postcoloniale
[...] la storia segreta
la storia parallela
l dove il nostro inverno
diventa primavera.
G. MANFREDI, Zombie di tutto il mondo unitevi (1977)
1. Uno stile globale?
Il nostro tempo pare essere incapace di dare di s una definizio-
ne positiva. un tempo del post, postmoderno, poststorico, post-
fordista e, recita ora un ritornello divenuto perfino stucchevole oltre
Atlantico, postcoloniale. Una transizione mai conclusa pare porsi co-
me lunico modello possibile per comprendere i caratteri salienti del
presente. A un primo sguardo, il discorso postcoloniale sembra sol-
tanto limitarsi a riflettere questa situazione. Se si guarda alla sua va-
riante maggiormente diffusa nel dibattito teorico e nel discorso pub-
blico globale, mettendo per un attimo tra parentesi la discussione
che ha coinvolto molte voci attorno alla domanda su quale sia il si-
gnificato di post in postcoloniale, non v molto a cui appassio-
narsi: ai codici binari che, descritti magistralmente da Fanon, orga-
nizzavano lo spazio, il tempo e lesperienza delle colonie, sembre-
rebbe succeduta unepoca in cui tutto sincrocia, si ibrida. Pare qui
che si determini un movimento inverso rispetto a quello di cui parla-
va Max Weber nelle ultime, memorabili pagine dellEtica protestan-
te: la gabbia dacciaio del dispotismo coloniale, ripetono in molti,
ha finito per tramutarsi in un mantello sottile, che ognuno potreb-
be buttar via
1
. Un insieme di dislocazioni avrebbe fatto del mondo
un piano di assoluta immanenza, percorso da soggetti nomadi impe-
gnati a comporre sul filo dellironia identit cangianti, attingendo
1 La citazione di Richard Baxter in Weber 1904-1905, p. 305. Il recente libro di Rey
Chow, The Protestant Ethnic and the Spirit of Capitalism (2002) offre un punto di
vista originale da cui rileggere il classico lavoro di Weber nel contesto postcolonia-
le, in specie per quel che concerne lubiquit delle retoriche etniche nel presente.
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 23
frammenti ora ai magazzini dei vecchi empori coloniali dismessi, ora
alla memoria delle lotte anticoloniali. Il meticciato si avvia cos a di-
venire uno stile globale, promosso dalle grandi corporation cos come
dalle culture giovanili, buono tanto per i sarti quanto per gli archi-
tetti e per i menu dei ristoranti.
Ancora un pensiero molle, dunque? Unennesima variante del-
lapologia del presente quella che ci viene consegnata da quegli stu-
di postcoloniali che, dopo aver conosciuto una diffusione impressio-
nante nel mondo anglosassone nel corso degli anni Novanta, stanno
cominciando a filtrare anche in Italia? il sospetto avanzato dalle tre
principali critiche, forti e circostanziate, che alla categoria di postco-
lonialismo sono state mosse negli ultimi anni (per una sintesi cfr. Chri-
sman, Perry, a cura di, 2000). In primo luogo, ha sostenuto in parti-
colare Arif Dirlik (1997 e 2000), gli studi postcoloniali promuovono
una vera e propria dissoluzione della storia, con le sue stratificazioni
e le sue opacit, in una sorta di eterno presente postmoderno, bana-
lizzando le cesure rivoluzionarie del passato e decretando limpossi-
bilit della rivoluzione nel futuro. In secondo luogo, e in modo pi
raffinato, Michael Hardt e Toni Negri (2000) hanno insistito sul fatto
che ci che molti teorici postcoloniali esaltano come esperienza di li-
berazione, libridismo e il meticciato appunto, indica in realt il ter-
reno su cui operano i dispositivi contemporanei di dominio e di sfrut-
tamento. In terzo luogo Slavoj -i=ek, confortato pi di recente da
unampia analisi di Peter Hallward (2001), ha individuato in molti
suoi interventi nel postcolonialismo, considerato una mera proiezione
globale del multiculturalismo, loperare di una logica che potremmo
definire dellindifferenza: il diritto a narrarsi in prima persona ver-
rebbe concesso allaltro, negli studi postcoloniali, dopo averlo de-
privato della sua identit, di quella ferita costitutiva che non pu es-
sere suturata dal riconoscimento ma piuttosto dalla riconquista le-
niniana di una dimensione partigiana della verit (cfr. -i=ek 2002).
Certo, i singoli studi postcoloniali vanno valutati nel merito, e non
si mancher di trovare pi di un autore o di una corrente teorica che
confermi, oltre che la validit di queste critiche, lo stesso profilo sti-
lizzato che dello stile postcoloniale abbiamo tracciato in apertura.
Ma le cose cambiano, crediamo, se si prende sul serio la condizione
postcoloniale, distinguendola, almeno in prima battuta, dal postcolo-
nialismo, e guardando a questultimo come a un foucaultiano archi-
vio, in cui continuamente si depositano immagini, concetti, parole
che consentono di ricostruire criticamente un profilo del nostro pre-
sente. allora possibile recuperare, almeno in parte, la sostanza del-
24 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 24
le critiche richiamate e ci nondimeno insistere sullopportunit di
inserire nel vocabolario del pensiero critico il termine postcoloniale
in una posizione di tutto rilievo.
Decisivo, da questo punto di vista, diviene proprio il significato
del post in postcoloniale. bene enunciare subito, in modo secco,
la nostra tesi: il tempo postcoloniale quello in cui, contemporanea-
mente, lesperienza coloniale appare consegnata al passato e, proprio
per le modalit con cui il suo superamento si realizzato, si installa
al centro dellesperienza sociale contemporanea, con il portato di do-
minazione, ma anche di insubordinazione, che la contraddistingue. Il
confinamento, la vera cifra epistemica del progetto di sfruttamento
coloniale dellOccidente
2
, e la resistenza contro di esso cessano di or-
ganizzare una cartografia capace di distinguere in modo univoco la
metropoli dalle colonie, frantumandosi e ricomponendosi di continuo
su scala globale. Quello che questa categoria di postcoloniale suggeri-
sce che lunit del mondo, lobiettivo di tanti progetti cosmopoliti-
ci, si infine realizzata in forme ambivalenti, che ne fanno da una par-
te lorizzonte materiale al cui interno tende a iscriversi la stessa identit
individuale
3
, ma dallaltra non danno alcuna garanzia sul fatto che es-
sa non sia la scena in cui si consuma definitivamente la portata eman-
cipativa di un discorso politico declinato nel linguaggio delluniversa-
le, fagocitato dalla spettrale oggettivit della merce e del denaro.
2. Decentrare il globale
Cominciamo dunque proprio da quel rapporto con la storia che,
secondo molti critici, costituisce uno dei punti dolenti del postcolo-
nialismo
4
. Dal nostro punto di vista, allinterno del grande laborato-
rio degli studi postcoloniali, la storiografia ha in realt giocato un
ruolo essenziale (si pensi al lavoro collettivo portato avanti dai cosid-
detti subaltern studies per quel che concerne lIndia), e ha in partico-
lare posto in evidenza il nesso indissolubile che stringe anticoloniali-
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE 25
2 Sia Said (1991) sia Thomas (1994) sottolineano questo punto.
3 tienne Balibar ha sostenuto che oggi stiamo facendo esperienza dellemergere di
un nuovo concetto di mondo, in cui per la prima volta nella storia lumanit, piut-
tosto che un ideale astratto, costituisce la condizione di esistenza degli individui
stessi (Balibar 1997, p. 430).
4 Non soltanto Arif Dirlik ad aver mosso questa critica. Per una discussione di que-
sto punto, si vedano i lavori McClintock (1992) e Shohat (1992). In modo pi radi-
cale, sviluppando le tesi di Ahmad, San Juan Jr. (1998) vede nella sospensione del
tempo a cui punta la critica postcoloniale una vera e propria negazione della storia.
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 25
smo e postcolonialismo. Robert Young ha di recente dedicato a que-
sto nesso un libro molto importante (Young 2001), che ci permette
in primo luogo di rileggere alcuni classici del pensiero anticoloniale
al di fuori delle retoriche consunte del terzomondismo, ravvisando
piuttosto in essi le tracce embrionali di una consapevolezza di quan-
to la dialettica tra colonialismo e anticolonialismo abbia debordato,
nel corso del Novecento, dai confini tradizionali in cui si era andata
svolgendo nei quattro secoli precedenti. Un libro come The Black At-
lantic, di Paul Gilroy (1993), costituisce un altro brillante esempio di
questo decentramento dello sguardo storico, insistendo sulla dimen-
sione diasporica e gi globale della doppia coscienza nera, svilup-
patasi nei laboratori coloniali della modernit.
Non forse una chiara indicazione in questo senso la sicurezza
con cui, nel 1955, Aim Csaire invitava a cogliere nel fascismo una
forma di colonialismo abbattutasi sullEuropa nel momento in cui
sembravano esauriti i territori oltremare da conquistare? Ma, come
ha recentemente sottolineato Robin Kelley (2002, p. 175), Csaire si
spinse oltre, sostenendo che il vero tab infranto dal nazifascismo
consistette nel fatto di applicare direttamente a soggetti bianchi ed
europei ci che era concepibile solamente nel mondo coloniale
5
.
una valenza sinistra di postcolonialismo quella che si presenta ai no-
stri occhi seguendo questo filo di ragionamento, che del resto era sta-
to anticipato subito dopo la fine della guerra dal grande intellettuale
e attivista afroamericano W.E.B Du Bois
6
: nel momento in cui di-
spositivi di dominio originariamente forgiati nel contesto dellespe-
rienza coloniale si infiltrano nello spazio metropolitano, siamo gi in
un tempo in qualche modo postcoloniale.
certo vero che questo transito questo movimento di ibridazio-
ne per nulla emancipativo, si potrebbe dire in realt connaturato
26 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
5 Vale la pena citare per esteso il passo di Csaire: Oui, il vaudrait la peine dtudier,
cliniquement, dans le dtail, les dmarches dHitler et de lhitlerisme et de rvler
au trs distingu, trs humaniste, trs chrtien bourgeois du XX
e
sicle quil porte
en lui un Hitler qui signore quHitler lhabite, quHitler est son dmon, que sil le
vitupre, cest par manque de logique, et quau fond, ce quil pardonne pas Hitler,
[...] cest ne pas lhumiliation de lhomme en soi, cest le crime contre lhomme
blanc, cest lhumiliation de lhomme blanc, et davoir appliqu lEurope des pro-
cds colonialistes dont ne revelaient jusquici que les Arabes dAlgerie, les coolies
de lInde, et les ngres dAfrique (Csaire 1955, p. 12).
6 Si pu dire che non vi sia nessuna atrocit nazista campi di concentramento, mu-
tilazioni ed eccidi di massa, profanazione di donne e orrendi oltraggi allinfanzia
che la civilt cristiana dellEuropa non abbia praticato contro i popoli di colore in
ogni parte del mondo nel nome di una Razza superiore nata per dominare il mon-
do (Du Bois 1946, p. 23).
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 26
al colonialismo moderno: in un bel saggio del 1979, Carlo Ginzburg
lo aveva efficacemente mostrato a proposito delle origini bengalesi
delle impronte digitali
7
. Ma in questo caso il confine tra metropoli e
colonie veniva oltrepassato per meglio gestire un fondamentale con-
fine interno, quello tra classi laboriose e classi pericolose magi-
stralmente indagato nel caso di Parigi nella seconda met dellOtto-
cento da Louis Chevalier (1958). Un po come la mitragliatrice, che,
dopo aver dato una micidiale prova delle sue potenzialit distruttrici
nel corso della guerra civile americana, venne bandita dalle guerre che
si svolsero in Occidente per giocare tuttavia un ruolo decisivo nel-
lo scramble for Africa: il che non le imped di essere impiegata senza
risparmio negli Stati uniti, oltre che nelle ultime campagne contro gli
indiani, per reprimere gli scioperi operai di fine Ottocento. Quan-
do quella stessa arma fu infine utilizzata nei campi di battaglia della
Grande guerra, un decisivo salto di qualit era intervenuto: la guer-
ra totale a lungo praticata dagli europei nelle imprese coloniali co-
minciava a dilagare nello stesso continente europeo (cfr. Diner, 1999,
cap. 1). Di l a poco, un altro dispositivo di dominio tipicamente co-
loniale, il campo di concentramento, avrebbe impresso il sigillo della
catastrofe a questo movimento di displacement (Rahola 2003a).
Le parole di Csaire ci hanno dunque permesso di precisare un
aspetto decisivo del tempo storico postcoloniale: quello per cui esso
caratterizzato dal tracimare di logiche di dominio tipicamente co-
loniali al di fuori degli spazi in cui hanno avuto origine, fino a inve-
stire la metropoli. Si tratta di un movimento tuttaltro che esauri-
to, che continua a produrre i suoi effetti pi o meno catastrofici
nelle modalit di governo e di messa a valore della forza lavoro mi-
grante cos come nella riorganizzazione delle funzioni di controllo
delle cittadinanze autoctone in Occidente. Ma questo soltanto un
contributo, e forse neppure il pi importante, che il postcoloniali-
smo, una volta sottolineato il nesso che lo stringe allanticolonialismo,
pu apportare alla definizione di una genealogia del nostro presente:
laltro consiste precisamente nel porre in evidenza il carattere di ce-
sura irreversibile che le lotte anticoloniali, con la loro dimensione im-
mediatamente globale, rivestono nella storia contemporanea. Sono
quelle lotte, nonostante lo scacco clamoroso subito praticamente da
tutti i regimi politici a cui hanno dato vita, a qualificare come piena-
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE 27
7 Ha scritto recentemente a questo proposito Christian Parenti: le impronte digita-
li letteralmente migrarono dalla periferia coloniale al centro del sistema mondiale.
Negli Stati uniti le prime popolazioni a cui si presero in massa le impronte digitali
furono detenuti, piccoli criminali, soldati e nativi americani (Parenti 2003, p. 49).
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 27
mente postcoloniale il tempo in cui viviamo, nella misura in cui han-
no disarticolato una volta per tutte lidea che il tempo e lo spazio del-
le colonie fossero qualitativamente altri da quelli della metropoli.
La scoperta delluguaglianza, di cui Fanon parlava nel 1961 in una
pagina memorabile dei Dannati della terra (cfr. infra, cap. II) come
del motore dellinsurrezione anticoloniale, una splendida metafora
per indicare il lato soggettivo di un insieme di processi che hanno
materialmente immaginato e costruito, scardinando il mondo a
scomparti della situazione coloniale, lunit del mondo prima che la
globalizzazione neoliberista distendesse su di essa la propria ege-
monia. Si pu parlare di una condizione postcoloniale, dal nostro
punto di vista, soltanto se si scommette sulla persistenza, sul lavorio
carsico di questa scoperta nella filigrana della globalizzazione con-
temporanea. Abbiamo altrove argomentato la tesi secondo cui i mo-
vimenti migratori recano oggi i segni, ambivalenti, di questa scoper-
ta (Mezzadra 2006, in specie parte I, cap. 4). E siamo convinti che es-
sa stia continuando a nutrire movimenti sociali di tipo nuovo in quel-
lo che un tempo veniva definito terzo mondo, capaci di porsi con-
sapevolmente oltre lorizzonte della sconfitta storica subita dai movi-
menti che proprio dalle lotte anticoloniali erano nati.
Il tipo di studi postcoloniali che ci interessa, coerentemente con
questa impostazione, quello che permette di riprendere in mano
Fanon e Lumumba, C.L.R. James e la tradizione del black marxism,
nel tempo della globalizzazione. Non certo per trovare in essi com-
piuti modelli di azione e teoria politica: ma piuttosto per individuare
nel fallimento dei progetti a cui hanno legato il loro nome il senso di
una storia nascosta, cancellata dalla storia dei vincitori. Nel suo in-
terminabile confronto con Walter Benjamin, Theodor Adorno ebbe
una volta a notare che la conoscenza della storia deve andare oltre la
logica infausta della successione di vittoria e disfatta, e deve piutto-
sto rivolgersi a ci che non entrato in questa dinamica, a ci che
rimasto per via. proprio questo, i punti ciechi che sono sfuggiti
alla dialettica (Adorno 1951, p. 178), ci che compone leredit
postcoloniale che dobbiamo riscattare nei progetti anticoloniali.
3. Sulla transizione
Eppure la domanda persiste: perch il tempo delle colonie conti-
nua a ossessionarci? Perch il suo superamento allude contempora-
neamente a un fait accomplie e a una transizione nei fatti impossibi-
28 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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le? Gli elementi di continuit tra il presente e il colonialismo appaio-
no indiscutibili. Sanguinosa battaglia in Affghanistan: la bizzarra
ortografia suggerisce che non si tratta di un titolo tratto dai giornali
di oggi; una citazione dalla prima pagina di Moby Dick, di Herman
Melville... Limmediatezza di questa continuit rischia tuttavia di ri-
sultare fuorviante. ovvia, ad esempio, la perentoriet con cui il co-
lonialismo ha materialmente disegnato la geografia moderna e i suoi
confini: una geografia che si inaugura nel XVI secolo, proiettando il
profilo dellEuropa prima e dellOccidente poi sul mondo, e che tro-
va forse la sua espressione pi compiuta (hegelianamente, realizza il
suo concetto) nei confini africani tirati con la riga e la squadra nel
1885 a Berlino.
Lazione prolungata di quei confini risulta imprescindibile per
comprendere le radici di molte tensioni e fallimenti che pesano sul
presente. Da una parte essa contribuisce a spiegare lo stesso scacco
subito dai movimenti anticoloniali, nella misura in cui la loro imma-
ginazione politica ha finito per svolgersi allinterno dellordine del
discorso coloniale, derivandone tra laltro, per riprendere un tema su
cui ha scritto pagine molto importanti Partha Chatterjee (1986), la
forma nazionale e interiorizzandone le frontiere. Dallaltra parte, se
si guarda ai pi significativi e drammatici conflitti degli ultimi anni,
da quello israelo-palestinese alle guerre locali, tutte definite in ter-
mini rigorosamente etnici (il Ruanda e Timor est, lo Sri Lanka e la
Sierra Leone), la matrice generativa coloniale appare evidente, in un
certo senso inconfutabile.
E tuttavia non pu sfuggire la circostanza per cui questa lettura dei
conflitti attuali finisce per mostrarsi speculare a quella che, appunto
insistendo sulla loro natura etnica, ristabilisce i diritti della vecchia
formula hic sunt leones, che nelle carte geografiche della prima et
moderna contrassegnava i territori della barbarie. Ancora una volta,
in altri termini, attribuendo in modo esclusivo al colonialismo belga
o francese, o allimperialismo britannico, la responsabilit dei massa-
cri e dei genocidi del presente, si installa al centro della scena, come
unico protagonista, la soggettivit imperiale, destituendo di ogni pos-
sibilit di azione i subalterni. Assai pi produttiva politicamente, ci
pare unimmagine dei conflitti contemporanei che, pur ponendo nel
giusto rilievo il persistere in assoluto di trame verticali di domina-
zione e di sfruttamento, sottolinei il ruolo ambivalente che in essi svol-
ge il fallimento di un insieme di progetti reali, storicamente messi in
gioco, di liberazione da quella dominazione e da quello sfruttamento.
La sensazione infatti che la riproposizione di una logica di con-
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE 29
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 29
tinuit assoluta finisca per avallare e perpetuare allinfinito un mec-
canismo redentivo, autoassolutorio (nel caso dei soggetti subal-
terni) o liquidatorio (nel caso del soggetto occidentale). Liquida-
torio, nella misura in cui si sbarazza delle lotte anticoloniali come
semplice inconveniente (di segno ovviamente positivo, ma nei fatti
inconsistente) nella trama lineare di una storia di dominio e di sfrut-
tamento ininterrotti, privando cos il soggetto colonizzato che insor-
ge, il subalterno che si ribella, di ogni possibile forma di agency, di
intervento diretto sulla storia. Autoassolutorio, nella misura in cui eli-
mina dalla storia stessa ogni responsabilit diretta che non sia iden-
tificabile nellOccidente colonialista, e cio ogni atto rivoluzionario
che non appartenga allOccidente, e cos facendo trasferisce oltre al-
le responsabilit soprattutto lazione dal soggetto colonizzato alle-
terno Soggetto (neo)colonialista.
In questa prospettiva, dunque, il presente risulta come inesora-
bilmente risucchiato nel vortice del passato coloniale: come sua ri-
proposizione tout court (neocolonialismo) o come sua variante pola-
rizzata geograficamente lungo i confini che dividono il primo, il se-
condo, il terzo e il quarto mondo. La potenzialit del post cede ne-
cessariamente il passo alla logica ferrea dellancora, iterandosi nel
neocolonialismo, come affermava Kwame Nkrumah gi allindo-
mani dellindipendenza del Ghana
8
, o sciogliendosi come neve al so-
le di fronte al persistere del sottosviluppo e della dipendenza che
lega ogni sud del mondo al suo rispettivo nord.
Per essere assolutamente chiari, categorie quali neocolonialismo,
sottosviluppo e dipendenza, indipendentemente dallutilit descritti-
va che possono di volta in volta rivestire in riferimento a casi specifi-
ci, finiscono paradossalmente per rivelarsi funzionali a retoriche po-
litiche quali quelle adottate dallAfrican National Congress dopo la fi-
ne dellapartheid: cancellano gli effetti sociali devastanti delle politi-
che neoliberiste, promosse dai governi sudafricani degli ultimi an-
ni in nome dellineluttabilit e della positivit dello sviluppo, e ben
si prestano a stigmatizzare come reazionarie le straordinarie lotte
30 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
8 Discutendo il libro di Nkrumah, Neocolonialism. The Last Stage of Imperialism (la
cui prima edizione risale al 1965), Robert Young ha giustamente scritto: la sua en-
fasi sulla continuit del dominio neocoloniale presenta lo svantaggio di suggerire li-
dea di unimpotenza e di una passivit che finisce per sottovalutare quel che stato
conquistato a partire dallindipendenza, nonch gli stessi movimenti di lotta per lin-
dipendenza, riproducendo sia pure in modo simpatetico stereotipi di dispera-
zione e rafforzando lassunto dellegemonia occidentale con il Terzo mondo ritrat-
to come sua vittima eterna e omogenea. Come concetto, il neocolonialismo para-
lizzante tanto quanto lo sono le condizioni che descrive (Young 2001, pp. 48 s.).
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 30
contro quelle politiche narrate ad esempio da Ashwin Desai in We
Are the Poors (2002), che in qualche modo possono essere conside-
rate esempi paradigmatici di quella che P. Chatterjee (2004) chiama
politica dei governati, di cui mostrano anzi intera lirriducibilit ai
processi di governamentalit.
Pi in generale, alle obiezioni peraltro circostanziate sullimpossi-
bilit di un postcolonialismo, si pu ribattere che procedendo in
questo modo si finisce per smarrire in toto leredit e la continuit del-
lanticolonialismo, e quindi anche il senso profondo del suo fallimen-
to, la sua lacuna: quello che potremmo chiamare, nei termini intro-
dotti da E. Santner nella sua lettura delle Tesi sul concetto di storia di
Walter Benjamin, il suo carattere di sintomo che insiste sul presen-
te
9
. Si ricuce (sutura) la potente, radicale e sovversiva discontinuit
che le lotte anticoloniali hanno introdotto, infrangendo quel tempo li-
neare omogeneo e vuoto che Benjamin individuava come dimen-
sione costitutiva del discorso storico occidentale (e coloniale).
Per questo, parlare di una condizione postcoloniale vuol dire in-
dicare il tempo che viene problematicamente dopo le colonie, la
geografia irrisolta che succede a Berlino 1885, portando alla luce
limpossibilit di quelle linee tracciate sulla carta, il sopravvento del
territorio su quella mappa, senza negare una sola goccia del sangue
che si versato e che si continua a versare a causa di quella mappa.
Contemporaneamente, lo ripetiamo, invita a pensare la complessit
di un mondo che, grazie anche e soprattutto alle lotte anticoloniali,
si fatto davvero uno, e la cui unit continua a essere attraversata
dallo spazio sovversivo delle differenze cos come da profondissime
disuguaglianze, da plateali squilibri, da un incessante sfruttamento.
4. Differenze postcoloniali
Proprio linsistenza sul senso rinnovato che assume oggi la parola
differenza costituisce daltro canto uno dei leitmotiv del postcolonia-
lismo: la dimensione direttamente politica delle differenze, che
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE 31
9 I sintomi registrano non solo tutti i falliti tentativi rivoluzionari del passato, ma,
pi modestamente, ogni mancata risposta a una chiamata allazione o anche solo al-
lempatia per coloro la cui sofferenza appartiene alla forma di vita di cui si parte.
Occupano il posto di qualcosa che l, che insiste sulle nostre vite pur non avendo
mai raggiunto una piena consistenza ontologica. I sintomi, quindi, sono in un certo
senso archivi virtuali di lacune, o meglio, difese contro le lacune che persistono nel-
lesperienza storica (E. Santner, Miracles Happen, citato in -i=ek 2002, p. 76).
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 31
possibile portare alla luce seguendo le traiettorie della critica postco-
loniale, conduce a riconsiderare molte delle questioni che sono state
discusse negli ultimi anni sotto il titolo di politica dellidentit. Per
farla breve, ovvio che le traiettorie della differenza (materiale, po-
litica, culturale) abbiano subito con il colonialismo una deviazione ir-
recuperabile, siano state cio costrette a recitare se stesse su uno spar-
tito reso violentemente comune. Rovesciando i termini, si pu affer-
mare che semplicemente impossibile pensare la modernit, il suo
discorso sulla differenza e tutti gli strumenti concettuali di cui essa si
dotata per definirne, inquadrarne e misurarne la portata, senza
riferirsi alla violenza costitutiva, originaria, delle colonie.
esattamente questo, niente di pi e niente di meno, il senso di
ci che lantropologo francese Georges Balandier (1969) echeggia-
to, dallaltra parte della Manica, da Leach, Gluckman e da tutti gli
antropologi sociali della Scuola di Manchester definiva alla fine de-
gli anni Sessanta come situazione coloniale
10
: la datit assoluta del co-
lonialismo come contesto tout court dello stesso ordine discorsivo et-
no-antropologico. Ed sempre a tale origine assoluta che ricondu-
cono tutti i tentativi di tracciare una genealogia delle categorie con
cui il discorso sulla differenza si fissato nella scienza: razza, etnia,
cultura... Proprio su questo esercizio genealogico, che ricalca il lavo-
ro di Foucault sullepisteme moderno e al tempo stesso ne colma una
lacuna meno innocente di quanto possa apparire
11
, il contributo de-
gli studi postcoloniali appare semplicemente decisivo.
Se gi Fanon e Malcom X, e prima di loro Du Bois, affermavano
limpossibilit di pensare la razza senza lo sfondo storico concreto
dellesperienza di dominazione coloniale (indagando poi gli effetti
devastanti, di vera e propria schizofrenia, indotti dal semplice fatto
di essere rappresentati come un problema, costretti a guardarsi at-
traverso gli occhi di qualcun altro: how do you feel to be a pro-
blem?), Edward Said (1978) e Valentin Mudimbe (1988) di quel dis-
corso hanno portato alla luce i regimi di verit cristallizzati in con-
32 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 In una prefazione scritta di recente per un volume francese sugli studi postcolonia-
li, Balandier nonostante molte cautele e rilievi critici mostra di cogliere perfet-
tamente il contributo apportato da questi studi alla comprensione del presente: il
postcoloniale, scrive, designa una situazione che di fatto quella di tutti i con-
temporanei. Siamo tutti, in forme differenti, in situazione postcoloniale (Balandier
2007, p. 24).
11 Si pu ben dire che in Foucault sia allopera una sorta di rimozione dellesperienza
coloniale, il lato oscuro del processo di costruzione del soggetto moderno da lui co-
s brillantemente ricostruito. Si vedano in questo senso Chatterjee 1983, Said 1986,
Spivak 1988, Stoler 1995.
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 32
cetti come Oriente e Africa. Laddove i lavori di Jean-Loup Am-
selle e Elikia MBokolo (1985) sulla categoria (a dir poco centrale nel
discorso antropologico) di etnia rintracciavano nellesperienza co-
loniale origini politiche e di governo oggi mascherate dalla natura-
lit del suo continuo ricorrere per spiegare caratteri, ragioni e ne-
cessit di molte tensioni postcoloniali, Arjun Appadurai (1996) ha
portato alla luce il nesso diretto tra procedure di classificazione e di-
spositivi di sfruttamento, riconducendolo alle strategie enumerative
del partage coloniale, da cui neppure il calendario, e quindi lorga-
nizzazione sociale del tempo, pu considerarsi immune.
Ma gli studi postcoloniali non si limitano a ribadire levidente im-
plicazione di differenze e colonialismo. Anche se molti critici post-
coloniali si sono dedicati a rileggere le transazioni culturali costituti-
ve dello stesso colonialismo e a decostruire la narrazione mainstream
della transizione postcoloniale, il loro oggetto di analisi li sposta ine-
sorabilmente sul dopo, sullo sconfinamento globale di quella ma-
trice coloniale. Per questo, con gli occhi puntati sul presente, lo sfor-
zo teorico maggiore si consuma nel tentativo pi complesso di co-
gliere limmediato carattere politico che le differenze assumono nello
scenario globale contemporaneo: molte analisi sono state cos dedi-
cate a decifrare le specifiche strategie spesso non intenzionali
sottese alle manifestazioni di differenza, approfondendo le aporie e
le pieghe che agivano tra le righe dei discorsi ufficiali coloniali in ba-
se a una logica di sutura e di supplemento per riprendere alcune ca-
tegorie derridiane su cui ha lavorato in particolare Gayatri Spivak.
Lidea, cio, quella di forme e pratiche identitarie che continua-
no a definirsi processualmente, attraverso una serie di slittamenti
progressivi che seguono la logica descritta dalla figura retorica della
catacresi (letteralmente, una metafora di uso talmente comune da non
essere pi avvertita come tale, che interviene a colmare una lacuna
della lingua non esaurendo il processo di significazione ma esten-
dendolo e spiazzandolo: ad esempio le gambe del tavolo) e si insi-
nuano negli interstizi della polarizzazione coloniale senza approdare
a una possibile sintesi, contrapponendosi a ogni immagine semplice e
innocente sia di essenzialismo sia di sincretismo.
Non un caso che la consapevolezza della dimensione essenzial-
mente politica e processuale della differenza, nelle sue declinazioni
tanto materiali quanto di costruzione discorsiva, incontri gli sviluppi
probabilmente pi significativi nella riflessione sul pensiero di gene-
re e nella critica alluniversalit astratta di alcuni canoni del femmi-
nismo occidentali: qui, la capacit di decentrare globalmente ogni
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE 33
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 33
logica binaria e ogni discorso potenzialmente assoluto o assolutiz-
zante, conferisce al pensiero femminista postcoloniale una piega po-
litica trasversale che problematizza e arricchisce il discorso sulla dif-
ferenza sia del femminismo che del postcolonialismo. In particolare,
contro il mito della donna del terzo mondo, paradigma statico
di oppressione che ha occupato un ruolo decisivo sia nel nazionali-
smo anticoloniale sia in molto femminismo occidentale, i lavori di
Chandra Talpade Mohanty (2003), di Ania Loomba (1998) e di altre
femministe postcoloniali invitano a interpretare le differenze raz-
ziali, culturali e di genere come fattori che non si limitano ad af-
fiancarsi o a sommarsi uno sullaltro, ma interagiscono producendo
forme nuove e incomparabili di segregazione e di assoggettamento,
cos come nuove pratiche di differenza e di resistenza al patriarcato,
al razzismo e allo sfruttamento. Da questa interazione lesperienza di
genere assume una dimensione e una voce irriproducibili, e in
quanto tali sistematicamente cancellate o rappresentate come ineso-
rabilmente assenti (questa, in fondo, la risposta implicita alla do-
manda cui Spivak dedicava il proprio intervento critico del 1988 con-
tro una certa ingenuit degli studi subalterni Can the Subaltern
Speak?). Una tale rimozione appare costante e caratterizza i dibattiti
sul sati (il sacrificio rituale delle vedove indiane), sullo chador (cfr. Ri-
vera 2005), sullinfibulazione (cfr. Pasquinelli 2007): pratiche di po-
tere tradizionali che hanno aperto dialoghi interculturali inter-
minabili e non necessariamente circoscritti allinterno degli spazi
metropolitani in cui per, lo sottolinea in modo incisivo Lata
Mani (1998), le donne sono state per lo pi semplice luogo quando
non pretesto: mai, in ogni caso, soggetto, se non per la loro capacit
di sottrarsi allordine del discorso dominante e di sovertirlo.
quindi a partire da questi presupposti dinamici, marchiati alla
radice dalla dominazione coloniale e dai suoi effetti a catena (da ci
che Gregory Bateson [1972, pp. 101 ss.] definiva come schismogene-
si, come differenza prodotta dalla differenza), che lidea di differen-
za suggerita dalla critica postcoloniale si impone come prospettiva
teorica estremamente ricca, segnando un superamento a nostro avvi-
so sostanziale del discorso relativista moderno e delle sue declinazio-
ni politiche pi recenti, su tutte di quella multiculturalista. eviden-
te infatti come essa indichi la possibilit di evitare la deriva dello-
mologazione, non soltanto e non tanto in termini normativi, ma an-
che sotto il profilo analitico: contro ogni lamentosa retorica sulloc-
cidentalizzazione e sulla cocacolonizzazione del mondo, la critica
postcoloniale afferma il presente globale come incessante incubato-
34 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 34
re di differenze. Contemporaneamente, proprio per via dellinsisten-
za costante sulla irriducibile matrice coloniale di tali differenze, essa
nega recisamente ogni possibile autenticit culturale, contestando
ogni messa in scena di origini in base a una logica che Edward Said
e James Clifford definiscono di simmetria della redenzione.
Di fronte allessenzialismo dilagante nella discussione, almeno ita-
liana, sul multiculturalismo, linsistenza postcoloniale su categorie
come meticciato, sincretismo e ibridit costituisce dunque una salu-
tare boccata daria fresca. E tuttavia il campo semantico costituito da
tali concetti si rivela, come si anticipato, tanto suggestivo quanto
potenzialmente rischioso. Qui le critiche di Hardt e Negri da una
parte, di -i=ek dallaltra, colgono effettivamente nel segno. Libridit,
la tendenza a rappresentare con toni spesso apologetici una differen-
za fluttuante, libera da vincoli oppressivi e dallipoteca di unappar-
tenenza univoca, non forse limplicito, il non detto della nuova sog-
gettivit tardocapitalistica? E, daltra parte, lenfasi sulla differenza,
sul diritto a narrarsi in prima persona, non si traduce forse nella ri-
vendicazione di un diritto alla differenza che in realt nessuno vuo-
le negare e a cui anzi si continuamente ricondotti a forza?
Il rischio allora essenzialmente quello di una rimozione che
proietta un immaginifico livello discorsivo, di memoria, su tensioni e
lotte reali, e cos facendo riproduce una duplice distanza: temporale,
nella misura in cui afferma il trionfo della contingenza, e spaziale nel-
la misura in cui separa differenze ipostatizzate. Lapologia postcolo-
niale della differenza, insomma, tiene a distanza, coprendo il REA-
LE ordine del presente costruito dal dominio dellastrazione reale ca-
pitalistica: questa, in buona sostanza, la critica di -i=ek. Ed unac-
cusa diretta, anche e soprattutto se si pensa allinsistenza sulle storie
locali, sulla verit delle trame decentrate a cui molti studi post-
coloniali alludono e riconducono. Il problema per, aspetto che -i-
=ek sembra ignorare (tanto vero che la critica del postcolonialismo
di Peter Hallward, svolta attraverso unampia ripresa delle sue argo-
mentazioni, finisce per riproporre lo Stato-nazione come unico oriz-
zonte al cui interno possibile inscrivere pratiche di emancipazione),
che, sia in generale nelle lotte anticoloniali sia in particolare nella
critica postcoloniale, la posta in palio non pu pi essere locale, ed
per forza, non importa se per necessit o per scelta, da subito globale,
necessariamente e contraddittoriamente universale. E non si tratta di
ununiversalit a priori (astratta), ma delluniversalit concreta che la
violenza coloniale come discorso comune di dominio e di sfrutta-
mento ha imposto.
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE 35
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Dietro linsistenza sulle storie locali, allora, si profila il tema pi
generale della differenza storica, della pluralit di tempi su cui la-
strazione reale del capitale ha imposto il proprio dominio, disponen-
doli dapprima, con il colonialismo, in una successione stadiale, e
poi, nel presente postcoloniale, sincronizzandoli violentemente.
proprio ragionando sulla qualit del tempo storico nel nostro pre-
sente, infatti, che unulteriore e decisiva valenza del concetto di post-
colonialismo viene alla luce.
5. Afferrare il presente
Si pu forse avanzare, da questo punto di vista, unipotesi non pe-
regrina sulle ragioni sostanziali per cui il nostro presente pare incline
a definirsi attraverso un uso inflazionato del post. Si tratta di ri-
prendere e sviluppare la tesi formulata da Paolo Virno (1999) a pro-
posito della situazione post-storica come quella in cui viene in vi-
sta la stessa condizione di possibilit della Storia: ovvero come si-
tuazione in cui la tensione tra potenza e atto che fonda la possibilit
del decorso cronologico e dellordine temporale, del divenire, cessa di
agire dietro ai fenomeni e ne costituisce piuttosto lordito evidente.
Proviamo a tradurre la riflessione di Virno ricorrendo alle catego-
rie proposte da Reinhart Koselleck (1979 e 2000). Sono noti i termi-
ni generali della sua analisi della modernit: questultima definita da
unesperienza di accelerazione del tempo di cui si rende filosofica-
mente ragione attraverso un gesto originario di riduzione del plurale
delle storie tradizionali al singolare collettivo della Storia; il vettore
temporale che ne risulta assume conseguentemente caratteri di uni-
direzionalit e linearit, su cui si innesta la tensione tra orizzonte da-
spettativa e spazio desperienza. Tensione che, sotto il profilo for-
male, tiene il medesimo luogo che nel discorso di Virno occupato
da quella tra potenza e atto. Siamo qui allorigine, secondo Koselleck,
di un movimento di temporalizzazione delle categorie della politica
che trova nel concetto di progresso la propria cifra dinsieme.
precisamente su questo punto che interviene la critica postco-
loniale. Da una parte con un gesto, se si vuole tradizionale nella for-
ma, rivolto al passato: o meglio a un passato, quello della schiavit e
della violenza muta, non dialettica, del dominio coloniale, che, nella
misura in cui si nega a ogni compensazione nellordine delle aspetta-
tive, resiste ostinatamente a essere consegnato al passato, popolando
di spettri il presente. Ma dallaltra parte investendo direttamente que-
36 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
4 cap 1* 18-01-2008 0:17 Pagina 36
sto stesso presente, con una critica dello storicismo, quale ad esem-
pio quella proposta da Dipesh Chakrabarty in Provincializzare lEu-
ropa (2000), che si appunta proprio sulla possibilit di ordinare cro-
nologicamente gli strati di cui si compone il tempo globale. Detta in
altri termini: la stessa modalit con cui oggi il capitale costruisce (
costretto a costruire) la sua Storia, la temporalit omogenea e vuota
di cui parlava Benjamin, a far s che vengano continuamente in su-
perficie le storie plurali che esso ha incontrato, incorporato e travol-
to nel processo del suo farsi mondo.
Il tempo del post, in questa chiave, un tempo in cui non sono
certamente venuti meno dominio e sfruttamento, ma in cui piuttosto
appare sospesa la possibilit di individuare luoghi privilegiati per agi-
re la trasformazione ( questo il senso ultimo, ci pare, dellinsistenza
postcoloniale sul decentramento): un tempo in cui, daltra parte, ogni
giudizio sullarretratezza o sullavanzamento di una determina-
ta situazione si provincializza, nel senso che pu trovare soltanto nel
presente e non in un modello di sviluppo assunto come norma-
tivo il proprio criterio operativo.
Agisce qui un lungo lavorio teorico, a cui hanno dato il proprio
apporto tradizioni eterogenee di pensiero, che si appuntato al di
fuori dellOccidente sulla categoria di transizione (cfr. infra, cap.
VI e appendice): lo scacco subito non solo dai modelli analitici che
hanno interpretato il colonialismo attraverso unimmagine lineare
della transizione al capitalismo, ma anche e soprattutto dei progetti
politici che, partendo da categorie come sviluppo ineguale e di-
pendenza, hanno fatto perno sulle pretese virt progressive dello
sviluppo, della cittadinanza e del lavoro salariato, conduce a
individuare nella contemporanea presenza di una pluralit di tempi
storici, e dunque di forme di dominio e di pratiche di liberazione,
una caratteristica strutturale del capitalismo fuori dallOccidente, che
oggi si afferma su scala globale penetrando nello stesso spazio che un
tempo si definiva metropolitano.
La provincializzazione dellEuropa di cui parla Chakrabarty
agisce dunque in un duplice senso: da una parte mostra quanto par-
ticolare e non generalizzabile sia stata lesperienza del capitalismo eu-
ropeo (o occidentale), quanto rilevante sia stata, per riprendere i
termini usati da Yann Moulier Boutang (1998), la presenza di for-
me difformi di dominazione del lavoro nella costituzione del capi-
talismo storico come sistema mondo; dallaltra fa definitivamente del-
lEuropa (dellOccidente) una provincia nel momento stesso in cui
pare realizzarsi loccidentalizzazione del mondo, nella misura in cui
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i suoi confini si fanno porosi e attraverso di essi i codici coloniali
filtrano allinterno di quello che continua a pensarsi come centro.
questa, ci sembra, limmagine del presente che si pu estrapo-
lare dalla critica postcoloniale: un tempo in cui linsieme dei passati
che il moderno capitalismo ha incontrato sulla sua strada riemerge
disordinatamente in una sorta di esposizione universale, in cui
sussunzione formale e sussunzione reale del lavoro sotto il capi-
tale, lungi dal poter definire una tendenza lineare, si ibridano e
coesistono fianco a fianco. Una volta che il confine coloniale ha ces-
sato di organizzare in modo coerente la geografia globale, esso si dif-
fonde virtualmente ovunque, riproducendosi sulla superficie appa-
rentemente liscia del presente globale: accompagna la nuova logi-
ca delocalizzata della produzione, segna in modo brutale intere so-
ciet che furono un tempo capaci di liberarsi del giogo coloniale e so-
no oggi costrette a confrontarsi con i fallimenti delle lotte anticolo-
niali, introduce nuove radicali differenze di status e nuove forme di
apartheid nellOccidente postcoloniale, si fortifica fisicamente, con-
dannando potenzialmente a morte chiunque tenti di attraversarlo,
passando tra le recinzioni tra Tijuana e San Diego o facendo naufra-
gio nel Mediterraneo.
esattamente una simile logica di differenza che imposta e tra-
dotta dal capitale occidentale. Una logica capace di parlare il lin-
guaggio del sincretismo (come sia -i=ek sia Hardt e Negri hanno sot-
tolineato), ben disposta a concedere una determinata forma di sin-
cronicit (quella del mercato) alle diverse forme di vita che si diffon-
dono nel pianeta. Ecco perch luguaglianza continua a essere la pa-
rola pi provocatoria e scandalosa nel lessico tardo-capitalistico. Una
volta ammesso che nuovi confini e nuovi dispositivi di dominio e
sfruttamento sono allopera per implementare differenze, dobbiamo
riconoscere che essi sono anche quotidianamente sfidati (e non di ra-
do messi fuori uso) dalle pratiche di donne e uomini che lottano con-
tro di essi, o che semplicemente costruiscono le proprie vite sot-
traendosi al campo in cui si dispiega la loro azione. Oggi, la possibi-
lit della liberazione ha cessato definitivamente di essere affidata al
segreto operare di leggi storiche necessarie, per essere consegnata in-
teramente alla prassi delle donne e degli uomini che abitano nella lo-
ro irriducibile molteplicit il pianeta. A presentarsi come ibrido e
meticcio, allora, anche quel linguaggio delluniversale (dellugua-
glianza) che si tratta quotidianamente di reinventare come spartito
comune attorno a cui soltanto pu essere articolata, oltre ogni reto-
rica, una politica della moltitudine.
38 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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CAPITOLO SECONDO
Immagini della cittadinanza nella crisi
dellantropologia politica moderna
Io, che sono avvelenato del sangue di entrambi,
Dove mi volger, diviso fin dentro le vene?
Io che ho maledetto
Lufficiale ubriaco del governo britannico, come sceglier
Tra questAfrica e la lingua inglese che amo?
Tradirle entrambe, o restituire ci che danno?
Come guardare a un simile massacro e rimanere freddo?
Come voltare le spalle allAfrica e vivere?
D. WALCOTT, Un lontano grido dallAfrica (1957)
Il guaio con gli inglesi che la loro storia si svolta oltreoceano,
e loro non sanno che cosa significa. Queste parole, tratte da un fa-
moso romanzo di Salman Rushdie (1988, p. 367) e spesso citate ne-
gli studi postcoloniali anglosassoni (cfr. ad es. Bhabha 1994, p. 231),
circoscrivono in modo molto preciso, una volta che il riferimento al-
lInghilterra sia allargato a comprendere in s la vicenda storica
dellOccidente nel suo complesso, il tema a cui questo capitolo
dedicato. Riprendendo alcune sollecitazioni che vengono dal filone
di studi indicato, ci si propone infatti di esporre le linee fondamen-
tali di una ricerca sulle ripercussioni che il rapporto con laltro da s
storicamente mediato dal progetto e dallesperienza coloniale ha
avuto per la definizione dei concetti di Europa e Occidente in
et moderna
1
. E al tempo stesso si intendono indagare le modalit
con cui quel progetto e quellesperienza hanno contribuito a definire
la genealogia del mondo globale contemporaneo, segnandone il
profilo e tuttavia non potendo in alcun modo esaurire quella che pu
essere definita la sua costituzione materiale.
intanto il caso di notare che, sotto il profilo storico, non man-
cano esempi di consapevolezza europea del processo a cui fanno ri-
ferimento le parole di Rushdie. Vediamone uno, particolarmente si-
gnificativo: proprio negli anni dellapogeo dellimperialismo quan-
do questultimo si avviava a divenire in Inghilterra, nei termini im-
piegati nel 1898 da Lord Curzon, vicer e governatore generale del-
1 Particolarmente stimolanti, in questo senso, sono le considerazioni di . Balibar
(2001a).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 39
lIndia, sempre meno la dottrina di un partito, e sempre pi la pro-
fessione di fede dellintera nazione , il grande storico britannico
J.R. Seeley polemizzava nelle sue lezioni su The Expansion of England
con limmagine della storia inglese settecentesca che si era imposta
come canonica nei decenni precedenti. Questimmagine, a suo giu-
dizio, concedeva uno spazio eccessivo alle dispute parlamentari e al-
le agitazioni attorno alla libert, tutte questioni in cui il XVIII secolo
altro non fu che un pallido riflesso del precedente. Quel che i nostri
storici non colgono che in quel secolo la storia dellInghilterra non
si svolge in Inghilterra, ma in America e in Asia. E poco pi avanti
Seeley cos proseguiva: positivo o negativo che sia, con ogni evi-
denza questo il grande fatto della storia inglese moderna. E sarebbe
un errore madornale ritenere che si tratti di un fatto meramente ma-
teriale, o che non comporti conseguenze morali e intellettuali
2
.
1. Gli studi postcoloniali e la problematica
della legittimazione
Affatto diversi, come evidente, sono i presupposti delle affer-
mazioni di Rushdie e di Seeley. Ci che luno coglie nella prospetti-
va di quelle genti doltreoceano il cui silenzio, spontaneo o meno,
rappresentava una delle condizioni fondamentali del progetto colo-
niale europeo (Said 1993, p. 75), laltro rivendica dal punto di vista
esclusivo della storia dInghilterra. E tuttavia, nei brani citati di See-
ley, colpisce la lucidit con cui quella che potremmo definire le-
strinsecazione dellInghilterra, il nesso che stringe questultima (non-
ch, aggiungiamo noi, lEuropa e lOccidente nel loro complesso) ad
altri continenti, indicata come caratteristica costitutiva della sua
stessa identit storica, ben lungi dal limitare i suoi effetti al piano
meramente materiale e anzi da indagare nelle sue conseguenze
morali o intellettuali.
unintenzione analoga in fondo, per quanto espressa con diver-
so lessico e con diversi concetti, quella che si ritrova allorigine degli
studi postcoloniali contemporanei. A partire dalla pubblicazione,
nel 1978, di Orientalismo di Edward Said, questi studi hanno dato
40 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
2 Seeley 1883, pp. 9 e 13 s. La citazione di Lord Curzon tratta da Metha 1999, p. 5:
profondamente influenzato dagli sviluppi pi recenti degli studi postcoloniali, il li-
bro di Metha, a dispetto di unimpostazione teorica non sempre convincente, rap-
presenta comunque una prima esemplificazione delle sollecitazioni che da quel fi-
lone di studi possono derivare alla storiografia del pensiero politico.
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 40
infatti espressione a un tentativo di rileggere criticamente il progetto
coloniale dellOccidente indagandone non soltanto i risvolti storico-
concreti, ma anche gli effetti per cos dire epistemici, ovvero sulla
struttura dei saperi e dei concetti attraverso cui luniversalismo oc-
cidentale si confrontato con il tema della differenza storico-cultu-
rale. Una categoria fondamentale, di esplicita derivazione foucaul-
tiana, stata in questo contesto, da Orientalismo in avanti, quella di
discorso coloniale: per quanto lopera di Said sia stata da molti punti
di vista criticata, lattenzione allintreccio di sapere e potere nelle pra-
tiche della governamentalit coloniale rimasta costante negli stu-
di postcoloniali degli anni successivi. E a pi riprese questi studi si
sono confrontati con problematiche riconducibili al tema della legit-
timazione: non solo leggendo in controluce, nella filigrana teorica di
concetti come civilt e progresso, i segni di quellidea che, co-
me afferma Marlow allinizio di Cuore di tenebra di Joseph Conrad,
sola pu riscattare e giustificare la violenza bruta del colonia-
lismo, quella conquista della terra la quale significa essenzialmente il
portarla via a quelli che hanno un diverso colore di pelle, o un naso
un po pi schiacciato del nostro; ma anche lavorando su concetti
come autorit etnografica e canone, sottoponendo cio ad analisi
critica gli effetti potestativi connessi alloperare di sistemi di pensiero
e di paradigmi disciplinari che proprio al contesto coloniale devono
la propria origine
3
.
Emblematica, in questo senso, proprio la disamina, svolta da
Said, delle modalit con cui lorientalismo occidentale ha costruito e
forgiato loggetto Oriente, anticipandone e accompagnandone in
qualche modo con lappropriazione epistemica la conquista colonia-
le. Ma leffetto complessivo delle tesi di Said, come ha notato uno dei
suoi pi acuti critici, James Clifford, non tanto quello di scardina-
re la nozione di un Oriente sostanziale, ma piuttosto di rendere pro-
blematico lOccidente. Esse finiscono cio per mostrare, e negli an-
ni successivi i pi interessanti studi postcoloniali avrebbero svilup-
pato proprio questa linea di ricerca, come un movimento di ibrida-
zione culturale, al fondo del quale si ritrova il carico di muta violenza
che contraddistingue sotto il profilo storico il progetto coloniale, sia
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 41
3 Per prime introduzioni agli studi postcoloniali, si vedano Gandhi 1998, Loomba
1998, Hardt 2000 e Albertazzi, Vecchi (a cura di) 2004, nonch le seguenti antolo-
gie di scritti: Aschcroft, Griffiths, Tiffin (a cura di) 1995, Chambers, Curti (a cura
di) 1997, e Castle (a cura di) 2001. Ma imprescindibile ora il rimando a Young
2001 (pp. 383 ss. per una discussione di Orientalismo di Said) e 2003, nonch a
Mellino 2005. Sul concetto di autorit etnografica, cfr. Clifford 1988, pp. 35 ss.
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 41
costitutivo fin dalle loro origini dei moderni concetti di Europa e di
Occidente. Quelle che Clifford chiama le costruzioni ideologiche
dellesotico, ovvero le immagini della barbarie e della licenziosi-
t, ma anche della libert, dei popoli selvaggi, costituiscono in
altre parole il necessario specchio in cui si staglia, per contrasto, lim-
magine del s europeo occidentale e della sua civilt, che pro-
prio da questo confronto deriva un essenziale criterio di legittima-
zione: visto in questo modo, scrive ancora Clifford, lOccidente
stesso diventa un gioco di proiezioni, doppi, idealizzazioni e ripulse
di unalterit complessa e mutevole
4
.
Di questa indicazione si sonderanno in primo luogo, nelle pagine
seguenti, alcune implicazioni nella prospettiva disciplinare della storia
delle dottrine politiche
5
. E in questo senso si valorizzer un primo si-
gnificato del suffisso post nel termine postcolonialismo: quello cio
che indica il punto di vista dello storico che, in epoca successiva
allet degli imperi, volge il proprio sguardo alle vicende e ai dis-
corsi che ne hanno intessuto la trama. Ma nel corso degli anni No-
vanta gli studi postcoloniali, grazie al contributo di critici letterari, fi-
losofi, antropologi e sociologi, hanno rivolto in modo via via pi de-
ciso la propria attenzione al presente, applicandosi in particolare allo
studio dei regimi transnazionali di relazioni sociali che hanno pre-
so forma nel contesto dei nuovi movimenti migratori (cfr. Mezzadra
2006, in specie parte I, cap. 4). Emerge qui un secondo significato del
suffisso post, che intende denotare alcuni tratti salienti del presen-
te: su di esso si soffermer lultimo paragrafo di questo capitolo.
2. Lantropologia politica implicita nel moderno
discorso della cittadinanza
Per sviluppare la prima linea di ricerca indicata, necessario espli-
citare preliminarmente quale sia il significato attribuito allespressio-
ne antropologia politica moderna, che compare nel titolo stesso di
questo capitolo. Lungi dal riferirsi a presunte costanti antropologi-
42 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
4 Clifford 1988, p. 312. Sul concetto di ibridazione, si veda ancora Bhabha 1994.
5 Per un esempio significativo, nella storiografia italiana delle dottrine politiche, di
ricerca sulle problematiche del colonialismo, si vedano i lavori di Bari 1953 e 1972,
nonch Abbattista 1979. Utili tracce per la ricerca sullargomento si possono inoltre
rinvenire in due recenti volumi collettanei, sollecitati dal crescente interesse per la
tematica del multiculturalismo: cfr. Savard, Vigezzi (a cura di) 1999 e Cavazzoli
(a cura di) 2001.
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 42
che, che determinerebbero la politica in et moderna, essa intende
indicare i modi, complessi e articolati, corrispondenti a un movi-
mento di continua inclusione ed esclusione, con cui lindividuo sta-
to immaginato e costruito, sia sotto il profilo concettuale sia sotto il
profilo istituzionale, come cittadino a partire dal XVII secolo
6
.
bene aggiungere immediatamente che tale antropologia politica,
straordinariamente mutevole e flessibile, non qui considerata, nel
senso semplice del termine, come una mera ideologia, ma piut-
tosto come una figura materiale di mediazione della complessit dei
processi storici. Attraverso di essa, in altri termini, viene progressi-
vamente colmato il vuoto aperto nella compagine sociale dal dispie-
garsi della rivoluzione capitalistica, viene perimetrato lo spazio che
consente alla borghesia di costituirsi come soggetto storico, di orga-
nizzare la propria egemonia allinterno della societ e di ipotecare i
processi di trasformazione dei criteri di legittimazione dellordine po-
litico che linsorgenza di nuovi soggetti storici di volta in volta deter-
mina
7
.
Il vuoto aperto nella compagine sociale dal dispiegarsi della rivo-
luzione capitalistica, si detto. Non ve n una migliore rappresenta-
zione, a mio giudizio, del fulminante capitolo XIII del Leviatano di
Thomas Hobbes, Of the Naturall Condition of Mankind, as concer-
ning their Felicity, and Misery. Qui, in un testo in cui intensissimo
per altro leffetto specchio nel rapporto tra lEuropa e il nuovo
mondo scoperto al di l dellAtlantico
8
, lindividuo si presenta al
tempo stesso come lindiscusso protagonista soggettivo della scena
politica moderna e come figura di un problema radicale. Ponendosi
come matrice della critica di ogni rapporto di dominazione che pre-
tenda di valere in ragione della propria naturalit, luguaglianza tra
gli individui costituisce una sfida alla possibilit stessa dellordine po-
litico. Lindividuo moderno, considerato attraverso le pagine del Le-
viatano, nasce in altri termini nudo, e la soluzione hobbesiana consi-
ste notoriamente nel salto dallo stato di natura al Commonwealth, le-
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 43
6 Il riferimento fondamentale, a questo riguardo, a Santoro 1999 e a Costa 1999-
2001. Di notevole interesse anche Castel, Haroche 2001. Per un ulteriore svilup-
po del ragionamento, cfr. Mezzadra 2004.
7 Riprendo e sintetizzo qui molti spunti derivanti dal dibattito svoltosi allinterno del-
la Scuola di Francoforte negli anni Trenta tra F. Borkenau e H. Grossmann, docu-
mentato in Schiera (a cura di) 1978. Sotto il profilo storico tali spunti hanno trova-
to un proficuo sviluppo, in Italia, in particolare nei lavori di A. Negri su Descartes
(1970), e dello stesso Schiera su scienza e politica nellOttocento tedesco (1987).
8 Cfr. Landucci 1972, pp. 114 ss. e Galli 2001, in specie p. 41. Ma su Hobbes si ten-
ga presente, in generale, Piccinini 1999.
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 43
gittimato dal riconoscersi una volta per tutte dellindividuo nellim-
magine specchiata della sua soggettivit politica che il sovrano pro-
duce attraverso la propria azione rappresentativa.
Ricostruire lantropologia politica implicita nel moderno discor-
so della cittadinanza significa indagare le spesse vesti di cui questo
individuo, nato nudo, si andato successivamente ricoprendo.
attraverso questi passaggi che vengono introdotte le mediazioni che
consentono, restando allinterno delle logiche del contrattualismo, di
ammorbidire gradualmente la secchezza del salto tra stato di natu-
ra e stato civile, nonch, pi in generale, di rendere maggiormente di-
namico quello spazio politico che in Hobbes appariva bloccato nel
suo dipanarsi tra i due poli della libert privata dellindividuo e del
potere assoluto del sovrano. Ma al tempo stesso la costruzione di una
nuova immagine dellindividuo come cittadino corrisponde allistitu-
zione di precisi confini della cittadinanza.
Decisiva, da questo punto di vista, risulta lopera di Locke. Qui,
con modalit che avrebbero esercitato durevoli influenze sullintero
pensiero politico successivo, la propriet a porsi come baricentro
della nuova antropologia politica. Ma la propriet, in Locke, in pri-
mo luogo propriet della propria persona (Secondo trattato sul gover-
no, 27), cifra complessiva di quellauto-conservazione che per il fi-
losofo inglese costituisce al tempo stesso un diritto e un dovere di
ciascun individuo, ponendosi come matrice che regola lo stesso di-
scorso complessivo sui diritti
9
. La propriet, in quanto property in his
own person, si specifica conseguentemente in capacit di sottoporre a
disciplinamento i propri impulsi, condizione fondamentale di quella
disposizione dellindividuo al lavoro che rappresenta a sua volta il
presupposto dellappropriazione di beni materiali. Si legga a questo
proposito un brano tratto dal Saggio sullintelletto umano: lo spiri-
to ha il potere di tenere in sospeso lesecuzione di un atto e la soddi-
sfazione di un suo qualunque desiderio. [...] Esso pu tenerli in so-
speso tutti, uno dopo laltro; libero di considerare gli oggetti, di esa-
minarli da ogni lato e di pensarli in rapporto ad altri (Locke 1690,
vol. II, p. 231).
questa specifica capacit di auto-disciplinamento a costituire il
contrassegno antropologico fondamentale dellindividuo che Locke
immagina e costruisce come cittadino. Solo la sua vera libert, se-
gnata da precisi confini che la distinguono da quella illusoria del fol-
44 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
9 Cfr. a questo proposito Costa 1999-2001, vol. I, pp. 285 ss. Ma si tenga presente an-
che Costa 1974 (su Locke in particolare pp. 111 ss. e 182 ss.).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 44
le: se libert, vera libert, si legge poco pi avanti nel Saggio,
spezzare i vincoli che ci legano a una condotta ragionevole, e man-
care di quel freno dellesame e del giudizio che ci impedisce di sce-
gliere e di fare il peggio, allora solo i pazzi e gli incoscienti sono libe-
ri (ivi, p. 234)
10
. La figura del folle, a cui corrisponde, negli scritti
sulla tolleranza, quella dellateo, diviene, nel rapporto sulla questio-
ne della povert presentato da Locke nel 1698 al Board of Trade
and Plantation, quella del povero indisciplinato, colpevolmente in-
capace, per via della corruzione dei costumi, del vizio e della
pigrizia (idleness), di provvedere al proprio sostentamento attra-
verso il lavoro (Locke 1697, p. 447)
11
. Sono gli anni di quello che
Foucault ha definito il grande internamento, che appare a questo
punto come il rovescio speculare dei processi attraverso cui il mo-
derno spazio della cittadinanza, nonch lantropologia politica in es-
so implicita, si andato costituendo fin sotto il profilo concettuale:
folli e poveri indisciplinati sono i soggetti destinati a essere reclusi in
manicomi e workhouses, a essere messi ai lavori forzati sulle grandi
navi della marineria atlantica dove trovano la propria definizione ar-
chetipica alcuni dei tratti costitutivi della disciplina di fabbrica (cfr.
Linebaugh, Rediker 2000).
Il duplice significato assunto in Locke dalla propriet (propriet
di s e propriet di beni materiali) agisce in profondit, lo si gi det-
to, come confine della cittadinanza nei decenni successivi: i due prin-
cipali argini che i liberali difenderanno lungo tutto larco dellOtto-
cento di fronte alla progressiva estensione del suffragio, appunto
propriet e cultura, possono essere considerati una rielaborazione
di quel duplice significato. Qui interessa tuttavia porre in evidenza
come un ulteriore confine della cittadinanza, quello di genere, trovi
la propria originaria formulazione allinterno del medesimo paradig-
ma antropologico. Questo vale innanzitutto per lo stesso Locke: di
contro alla radicalit e alla coerenza con cui Hobbes aveva negato ca-
ratteri di naturalit al rapporto di subordinazione della donna al-
luomo, Locke deduce che nella natura ci sia un fondamento per
quel rapporto dal semplice fatto della soggezione in cui le donne
normalmente si trovano nei confronti del marito (Primo trattato sul
governo, 47, c.n.); e considerato che il marito e la moglie hanno in-
telligenze differenti, ritiene ancora una volta naturale che la de-
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 45
10 Particolarmente rilevante, nella prospettiva qui seguita, appare il discorso sul rap-
porto tra melancolia e disciplina svolto nella terza parte di Schiera 1999.
11 Su questo punto si veda Bohlender 2000, in specie pp. 103 ss. Sulla figura dellateo
negli scritti lockeani sulla tolleranza, si veda Lanzillo 2002, pp. 88 s.
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 45
cisione ultima nella famiglia, cio a dire il governo, [...] sia dalla
parte delluomo in quanto pi capace e pi forte
12
.
evidente come la donna, e anche sotto questo profilo ci trovia-
mo di fronte a una questione ben lungi dal riguardare il solo Locke,
sia considerata naturalmente predisposta alla soggezione proprio in
quanto non condivide (o condivide in misura minore delluomo)
quella capacit di auto-disciplinamento che abbiamo visto rappre-
sentare la qualit fondamentale dellindividuo come cittadino. A di-
stanza di oltre un secolo, in un contesto filosofico totalmente diver-
so, uno schema non molto distante sarebbe stato proposto da Hegel:
incapace di scindersi dallethos della famiglia (la sua destinazione
sostanziale, come si legge nel 166 dei Lineamenti di filosofia del di-
ritto) e dunque di attingere quelluniversalit per la quale luomo di-
venta cittadino, la donna di cui parla Hegel finisce per essere conse-
gnata a un principio femminile, che rende eterna e ancora una
volta naturale la condizione di passivit storicamente prodotta dal-
la dominazione patriarcale
13
. Cos stando le cose, avrebbe chiosato
ironicamente John Stuart Mill qualche decennio pi tardi, gli uomini
potevano continuare a ritenere che la soggezione femminile non si
fondasse, come nel caso degli schiavi, sulla paura, ma sui sentimenti
(cfr. Mill 1869, pp. 89 s.).
3. Progetto coloniale e pensiero politico moderno
Assai pi che nella prospettiva suggerita dalle problematiche del-
la politica di potenza, il moderno progetto coloniale europeo me-
rita di essere indagato, nella scia delle sollecitazioni che vengono da-
gli studi postcoloniali, proprio come luogo strategico di applicazio-
ne, e di definizione, dellantropologia politica sinteticamente rico-
struita. Resta inteso, daltro canto, che parlando di un progetto co-
loniale europeo non si intende ridimensionare il rilievo delle diffe-
renze tra le diverse esperienze coloniali, sia di quelle relative ai mo-
delli di amministrazione adottati dalla metropoli e alle tipologie di
insediamento, sia di quelle determinate dalle concrete esigenze di
far fronte alla resistenza (o alle strategie di adattamento) delle popo-
lazioni sottoposte a dominio coloniale. Linsistenza sui caratteri am-
bivalenti e complessi del colonialismo moderno, sullimpossibilit di
46 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
12 Fondamentale sullinsieme di queste problematiche il libro di C. Pateman sul
contrato sessuale (1988).
13 Si leggano (o si rileggano) a questo proposito le pagine di Carla Lonzi (1974).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 46
definirlo se non come insieme flessibile di pratiche e di discorsi in ri-
ferimento a esperienze situate con precisione nel tempo e nello spa-
zio, contraddistingue anzi alcuni degli studi pi rilevanti pubblicati
di recente sullargomento (cfr. ad es. Thomas 1994, pp. 11 ss. e
Young 2001, pp. 15 ss.). Di un progetto coloniale si potr dunque par-
lare soltanto a proposito di quei tratti che, su un piano certo molto
astratto, individuano complessivamente le potenze europee (e poi, a
partire dalloccupazione statunitense delle Filippine, occidentali)
come le uniche titolate a intraprendere una politica coloniale in
grande stile, legittimando al tempo stesso questultima nella prospet-
tiva di una storia della civilt che, fuoriuscendo dalla propria ori-
ginaria perimetrazione continentale, si avvia a farsi storia del mondo.
evidente come, da questo punto di vista, la storia del progetto
coloniale europeo debba essere indagata quantomeno a partire dal-
let delle scoperte geografiche, e come in particolare essa non pos-
sa essere disgiunta dalla storia di quel modo di produzione capitali-
stico che, proprio per la sua proiezione fin dalle origini globale, co-
stituisce il vero elemento distintivo della civilt occidentale
14
. Non
mancano daltronde studi di ampio respiro, ad esempio, sulla nascita
dellantropologia come ideologia coloniale nei due secoli successivi
alla scoperta del nuovo mondo
15
. Qui, tuttavia, si intende dare
qualche esempio di come il problema che ci occupa possa essere svi-
luppato in riferimento a unet successiva, ovvero allet dellapogeo
dellimperialismo europeo. Sotto il profilo delle retoriche coloniali,
questet caratterizzata, come ha mostrato in un libro molto im-
portante Nicholas Thomas, dallesaurimento della tematica religiosa
della conversione, e dalla sua sostituzione con un modello centra-
to sullessenzializzazione delle differenze tra popoli e nazioni,
di derivazione naturalistica e orientato a culminare nella costruzione
di precise gerarchie razziali (Thomas 1994, pp. 71 ss.). Nella misura
in cui lEuropa si avviava a comprendere nella propria sfera di in-
fluenza la totalit delle terre emerse, il riferimento alla razza costitui-
va lapice di un discorso che puntava a restringere al vecchio conti-
nente il campo dapplicazione di alcuni standard caratteristici della
modernit, senza per questo escludere la possibilit che allinterno di
questo stesso campo si aprissero conflitti laceranti, e a configurare le
societ e i popoli altri come meri oggetti di dominio.
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 47
14 un punto su cui ha insistito in modo particolarmente convincente A. Dirlik (1997
e 2000).
15 A partire dal classico lavoro di Gliozzi (1977).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 47
Si tratta di un discorso che avrebbe segnato in profondit gli stes-
si sviluppi dellantropologia novecentesca: in particolare, il presup-
posto dellincommensurabilit tra le diverse culture, per quanto
molto spesso formulato con intenzioni progressiste, avrebbe itera-
to quel gesto dellallontanamento dal tempo dellosservatore delle
societ altre che aveva governato lepisteme delle scienze colo-
niali ottocentesche, tra cui lantropologia aveva del resto svolto un
ruolo di primissimo piano (cfr. Fabian 1983). Ancorch i testi di que-
ste scienze non figurino tra i classici del pensiero politico, una pri-
ma direzione di ricerca che gli studi postcoloniali sollecitano a svi-
luppare proprio quella che si riferisce ai concetti e ai metodi da es-
se impiegati. il caso di aggiungere, daltra parte, che tali studi im-
pongono allo storico del pensiero politico una continua problema-
tizzazione del concetto di fonte del suo lavoro, nella misura in cui
essi pongono in evidenza la complessit della governamentalit co-
loniale (Thomas 1994, pp. 105 ss.), lintreccio di sapere e potere e
lincrocio di sguardi di cui questultima espressione: la produzione
di oscuri uffici periferici delle amministrazioni coloniali e i diari di
viaggio di funzionari ed etnografi possono avere valore di fonte,
per la definizione dei concetti fondamentali su cui si articola il pro-
getto coloniale europeo, al pari di un romanzo di Flaubert o della
scultura di Picasso
16
. Assai pi che una limitazione a priori dei testi
che possono legittimamente essere assunti come fonti dallo stori-
co del pensiero politico, converr allora assumere come criterio di-
sciplinare proprio la centralit dei concetti politici, che si tratter di
indagare nella loro costituzione materiale attingendo a testi anche
radicalmente eterogenei.
Si prenda ad esempio il diritto coloniale. Uno dei pi importanti
corsi tenuti allinizio del Novecento in Italia in questa branca della
giurisprudenza, quello di Santi Romano, mostra bene, nella costru-
zione del sistema rigidamente dualistico dei rapporti giuridici che
hanno come proprio centro rispettivamente i cittadini e gli indi-
geni, alcuni presupposti comuni al progetto coloniale europeo ne-
gli anni considerati. In primo luogo, laddove riconduce il fatto che,
per i sudditi coloniali, le condizioni della naturalizzazione sono
pi gravi di quelle normalmente richieste per gli stranieri alla cir-
costanza che i primi sono spesso di razza non europea, mentre per
48 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
16 Ricco di spunti a questo riguardo, pur allinterno di una polemica con la storiogra-
fia postmoderna che coinvolge anche alcuni esiti del postcolonialismo, il lavoro
di C. Ginzburg (2000).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 48
gli stranieri della medesima razza la loro incorporazione nello Stato
pi facile (Romano 1918, p. 126). Ma altrettanto rilevante linsi-
stenza di Santi Romano sulla diversit della civilt prevalente nella
metropoli e nelle colonie, che rende inapplicabile a queste ultime la
speciale figura di governo, detta governo costituzionale, e impone
piuttosto di costruire il rapporto tra metropoli e colonia secondo il
principio dello Stato patrimoniale, che vigeva prima dello Stato co-
stituzionale e che aveva il suo tratto saliente nel configurare lo Stato,
almeno secondo unopinione molto diffusa, come oggetto di domi-
nio della potest del monarca (ivi, p. 104)
17
.
Seguendo le stesse controversie giuridiche sulle questioni pi tec-
niche del diritto internazionale a proposito delle colonie, si daltra
parte naturalmente ricondotti ai problemi che si sono in precedenza
discussi a proposito della moderna antropologia politica. La Con-
ferenza di Berlino del 1885 determin ad esempio la riapertura del
dibattito, tra i teorici del diritto internazionale, su quale fosse il tito-
lo che rendeva legittima lacquisizione di un possedimento coloniale
da parte di una potenza europea
18
. Nella sostanza venne riproposta
quella che era stata la tesi canonica del giusnaturalismo, che a partire
da Grozio, in riferimento a un territorio che appariva come res nul-
lius, aveva indicato tale titolo nelloccupazione. Nel determinare in
quali condizioni territori abitati da trib selvagge potessero essere
definiti res nullius, la dottrina prevalente di fine Ottocento riprese
largomentazione che oltre un secolo prima, alle origini del moderno
diritto delle genti, era stata sviluppata dal giurista svizzero Eme-
rich de Vattel. Secondo la prospettiva adottata da questultimo, i con-
trassegni della civilt erano la coltivazione delle terre e la sedenta-
riet della popolazione, che costituivano al tempo stesso precisi ob-
blighi imposti alluomo dalla natura. Coloro che si sottraevano a ta-
li obblighi, nella misura in cui mettevano a rischio la sopravvivenza
di un genere umano che si era troppo moltiplicato per poter vivere
in condizioni di nomadismo, meritavano a giudizio di Vattel di es-
sere sterminati come bestie feroci e nocive
19
. E in ogni caso non po-
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 49
17 Sul diritto coloniale italiano, cfr. Sag 1988. Ma molto stimolante anche lanalisi
svolta da B. Srgoni (1998). Pi in generale, su diritto coloniale europeo, si tengano
presenti i saggi raccolti nel vol. 33/34 (2004/2005) dei Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno nonch in Mazzacane (a cura di) 2006.
18 Cfr. Mannoni 1999, pp. 103 ss. e Costa 1999-2001, vol. III, pp. 476 ss. (ma tutto il
cap. X del volume, Lo Stato-potenza e la missione civilizzatrice dellEuropa, di
grande interesse per i temi qui trattati).
19 De Vattel 1758, vol. I, p. 78 (I, VII, 81). Sulla funzione di mito politico nella le-
gittimazione della conquista coloniale di unimmagine delle popolazioni indigene
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 49
tevano porsi come proprietari esclusivi del territorio su cui vivevano,
che si presentava dunque aperto alla conquista da parte degli euro-
pei: questi ultimi, richiudendo i selvaggi in limiti pi ristretti,
non solo non contravvenivano infatti ad alcuna legge di natura, ma
ne confermavano piuttosto la pi intima essenza (De Vattel 1758, p.
195 [I, XVIII, 208]).
Si tratta di un argomento di cui non pu sfuggire la derivazione
da Locke, che nel quinto capitolo del Secondo trattato aveva insistito
a pi riprese sia sul fatto che il lavoro costituisce per luomo un ob-
bligo imposto da Dio sia sul fatto che solo lagricoltura sedentaria e
limprovement delle condizioni naturali danno luogo a diritti di pro-
priet. Non un caso che Locke stesso avesse impiegato questo ar-
gomento per legittimare la conquista del nuovo mondo
20
. Ma pi
rilevante porre in evidenza come il riferimento allesterno si mo-
stri qui costitutivo dellorigine di un modello di antropologia politica
destinato, come si detto, a condizionare a lungo il pensiero politi-
co europeo: quel modello nasce in altri termini segnato da un rap-
porto con laltro da s connotato in termini di dominio, secondo
una modalit concettuale per cui lesterno gi compreso allin-
terno del modello stesso come suo essenziale momento di definizio-
ne. Vale qui un discorso analogo a quello fatto da G.Ch. Spivak a
proposito della Critica del giudizio di Kant, e dunque di un altro fon-
damentale (nonch assai insidioso) terreno di precisazione della mo-
derna antropologia politica: quello della teoria estetica. Mostrando
la funzione costitutiva di un riferimento agli aborigeni australiani e
agli abitanti della Terra del Fuoco nellanalitica di quel sublime che
per luomo rozzo (dem rohen Menschen) semplicemente terribile
(Kant 1790, 29, p. 116), Spivak ha insistito sul fatto che il soggetto
in quanto tale appare in Kant geopoliticamente differenziato, spor-
gendosi tuttavia necessariamente sul bordo di un mondo che non pu
in alcun modo limitarsi allEuropa, abitato da donne e uomini che
non possono essere soggetti di discorso e di giudizio nelluniverso
della Critica e che sono per in esso strutturalmente implicati (Spi-
vak 1999, pp. 50 s.).
50 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
che ne riduce sistematicamente limportanza demografica e morale, cfr. Stannard
1992, pp. 37 ss. Stannard ricorda in particolare, in riferimento al nuovo mondo,
che i popoli che lo abitavano non diventarono nomadi fino a quando non furono
spinti dagli eserciti invasori dei colonizzatori europei (ivi, pp. 45 s.). Un luogo es-
senziale di applicazione coloniale della figura giuridica della terra nullius stata
lAustralia: cfr. Neilson 2003 e Moreton-Robinson 2005.
20 Cfr. Tully 1993 (in specie pp. 167 s. per linfluenza esercitata da Locke su Vattel).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 50
Rileggendo dunque nella prospettiva indicata dagli studi postco-
loniali testi classici del pensiero politico e della filosofia europei, ed
questa la seconda direzione di ricerca che si vuole qui suggerire, il
confine di razza o di civilt appare altrettanto costitutivo del-
la moderna antropologia politica di quelli segnati dalla propriet e dal
genere. Ma al tempo stesso, e analogamente a quanto accade con gli
altri due confini indicati, i soggetti costruiti come esterni allo spazio
europeo della cittadinanza (della civilt) appaiono fin da principio
del tutto interni al lavorio teorico e pratico che produce quello stes-
so spazio. Si gi osservato come il concetto di razza, nel corso del-
lOttocento, funzioni precisamente, per i problemi che qui interessa-
no, nella prospettiva di perimetrare lambito della civilt e di legit-
timare la sua proiezione al di fuori dei confini dellEuropa. Ma anche
in autori estranei alla storia del razzismo, il progetto coloniale mostra
una cifra segregazionista, ricapitolata nella posizione di un duplice e
intransitabile confine segnato lungo le due dimensioni dello spazio
e del tempo tra la metropoli e le colonie. Ed questo duplice con-
fine a consentire quella dialettica tra interno ed esterno che costitui-
sce il tratto saliente, nonch il limite, del processo di distensione su
scala globale dei circuiti della produzione e della valorizzazione capi-
talistica determinato dal colonialismo nellet degli imperi.
Vediamo un esempio di confine spaziale. In piena coerenza con la
storia dello jus publicum europaeum narrata da Carl Schmitt nel No-
mos della terra, il raffinato Alexis de Tocqueville, di fronte alla rivol-
ta anti-francese dellemiro Abd el-Kader in Algeria, trovava perfetta-
mente normale nel 1841 limpiego contro gli arabi di strumenti di
guerra, come bruciare i raccolti, vuotare i silos, devastare il paese,
impadronirsi come prigionieri degli uomini inermi, delle donne, dei
bambini, inconcepibili in Europa, dove in generale si fa la guerra
ai governi e non ai popoli
21
. qui appunto lo spazio coloniale ad
apparire connotato in termini qualitativamente diversi rispetto allo
spazio metropolitano, tanto da rendere necessario il riferimento a
norme giuridiche ed etiche diverse da quelle usuali allinterno di
questultimo. Ma ancora pi significativo quello che si definito il
confine temporale, che si gi in qualche modo incontrato nel corso
di diritto coloniale di Santi Romano e che pu essere utilmente esem-
plificato a proposito di John Stuart Mill. Nel capitolo XVIII delle Con-
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 51
21 Tocqueville 1839-1852, p. 364 (la citazione tratta dal Travail sur lAlgrie, scritto
da Tocqueville nel 1841). Su Tocqueville e lAlgeria rimando al bel saggio di Lette-
rio 2005 (e ora soprattutto 2008).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 51
siderazioni sul governo rappresentativo del 1861, intitolato Lo Stato
libero e il governo delle colonie, egli concedeva di buon grado la ne-
cessit di applicare i principi del governo rappresentativo nei posse-
dimenti coloniali inglesi in America e in Australia, la cui civilt (pur
costruita sul genocidio delle popolazioni indigene, che egli evitava di
menzionare) analoga a quella del paese conquistatore; ma sotto-
lineava come ci non potesse valere per altre colonie (prima fra tutte
lIndia), che ancora non sono pervenute a questo livello e che ri-
chiedono di essere governate dal paese dominante o da qualche suo
delegato (Mill 1861, pp. 235 e 241). evidente come sia qui allo-
pera un presupposto storicistico, che attraverso la formula not yet
(non ancora) confina i territori non europei in una sorta di immagi-
naria sala dattesa della storia, in un perenne ritardo rispetto a que-
gli standard europei a cui essi non possono che ambire ad adeguarsi
(cfr. Chakrabarty 2000). In un tempo altro da quello della civilt.
Si tratta daltronde di un problema esplicitamente menzionato dal
grande giurista britannico Henry Maine che, nominato nel 1862 con-
sigliere giuridico per lIndia, rimase per sette anni in quel paese
22
. In
una prolusione tenuta a Cambridge nel 1875, quasi ricapitolando le
sue esperienze di uomo direttamente coinvolto nello straordinario
esperimento del governo britannico dellIndia, il governo virtual-
mente dispotico un popolo libero su di una sua colonia, lautore di
Ancient Law affermava che i governanti britannici dellIndia sono
come uomini costretti a far funzionare i propri orologi su due fusi
orari contemporaneamente (Maine 1875, pp. 33 e 37). Ci nondi-
meno, proseguiva Maine, questa posizione paradossale deve essere
accettata, per poter governare un progresso che coinvolge lInghil-
terra e lIndia in ununica storia pur mantenendo tra di esse un con-
fine invalicabile, temporale non meno che spaziale, amministrato nel
segno del puro dominio.
4. One world. Globalizzazione e postcolonialismo
Si gi detto del rilievo che assumono, quantomeno in alcune
correnti degli studi postcoloniali, la resistenza e le strategie di adat-
tamento dei soggetti colonizzati per la definizione stessa della gover-
namentalit coloniale. Gli storici indiani che hanno contribuito allo
52 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
22 Su Maine si veda in generale Piccinini 2003 (nonch, pi in generale sulle temati-
che del governo delle colonie nellOttocento britannico, 2005).
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 52
sviluppo del progetto dei subaltern studies hanno in particolare sot-
tolineato, ad esempio, come la storia dellIndia britannica non si li-
miti ai rapporti tra le autorit coloniali e le elite dominanti allinterno
della societ indigena, ma sia piuttosto incomprensibile senza te-
nere nel debito conto i movimenti autonomi delle masse subalter-
ne dentro e contro il sistema di dominio coloniale (cfr. in particola-
re Guha 1982). Si apre qui un campo di studi estremamente vasto,
relativo alle forme di espressione politica assunte dai movimenti an-
ti-coloniali: e a proposito dellIndia molto lavoro stato gi fatto, nel
campo di tensione che si determina tra la tendenza del nazionalismo,
in particolare a partire dagli anni Venti del Novecento, a riarticolare
in forma derivata lessenzialismo e i criteri di autorit propri del
discorso coloniale e il tentativo, messo in atto sia dalle elite sia dai
soggetti subalterni, di ibridare la modernit importata attraver-
so il dominio coloniale recuperando al suo interno frammenti di cul-
ture tradizionali (cfr. in particolare Chatterjee 1986 1993 e Cha-
krabarty 2000).
Il punto su cui vale la pena di richiamare conclusivamente lat-
tenzione tuttavia di carattere pi generale, e attiene al rapporto
complessivo che stringe il postcolonialismo, inteso come concetto ca-
pace di definire alcuni tratti salienti del presente, con la storia del
pensiero e dei movimenti anti-coloniali. Gi lo si detto nel primo
capitolo: questo rapporto, laddove sia assunto come elemento costi-
tutivo della stessa politica del discorso su cui si articolano gli studi
postcoloniali, consente di neutralizzare la validit delle critiche che,
non sempre senza fondamento, sono state rivolte ad alcune correnti
di questi ultimi, accusati di indugiare in una mera apologia estetiz-
zante dei caratteri nomadi e ibridi delle identit prevalenti nel no-
stro tempo, del tutto inconsapevole della perdurante asprezza dei
rapporti di dominio e di sfruttamento. Una volta che il colonialismo
sia stato concettualizzato nei termini epistemici che si sono indica-
ti, in altri termini, il semplice conseguimento formale dellindipen-
denza da parte delle colonie non autorizza in alcun modo a conside-
rare esaurite le coazioni da esso esercitate sotto il profilo politico, cul-
turale e finanche psicologico (cfr. ad es. Nandy 1983): ma pro-
prio la rottura determinata dalle lotte anti-coloniali nel corso del XX
secolo a far s che si possa parlare di postcolonialismo, nella misu-
ra in cui esse hanno sfidato vittoriosamente i presupposti impliciti su
cui il progetto coloniale dellOccidente si fondava primi fra tutti il
silenzio delle popolazioni colonizzate e la duplice cifra segregazioni-
sta, articolata sulle dimensioni del tempo e dello spazio.
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 53
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 53
Conviene riprendere, a questo proposito, una delle descrizioni pi
efficaci della situazione coloniale che siano state proposte negli an-
ni successivi alla seconda guerra mondiale, quella di Frantz Fanon.
Quello coloniale, scriveva Fanon, un mondo a scomparti, [...] un
mondo scisso in due, che si fonda su una strutturale asimmetria e
su un costitutivo manicheismo (Fanon 1961, p. 5)
23
. Quale miglio-
re rappresentazione di quella che si definita cifra segregazionista
del moderno progetto coloniale? Il punto , tuttavia, che Fanon, in
una pagina dal respiro quasi hobbesiano, mostra anche il punto de-
finitivo di crisi di tale progetto. infatti la scoperta del mero fatto
delluguaglianza, si legge nei Dannati della terra, ci che fa saltare il
sistema coloniale: quando il colonizzato si avvede che la sua vita, il
suo respiro, i battiti del suo cuore sono gli stessi di quelli del colo-
no, ci introduce una scossa essenziale nel mondo (ivi, p. 11). La
tesi che qui si intende adombrare che, complessivamente conside-
rato, il XX secolo sia caratterizzato dalla scoperta di questa ugua-
glianza fondamentale, che ha determinato una soglia irreversibile nel
processo di unificazione del pianeta proprio in quanto ha posto sot-
to lipoteca di una radicale crisi di legittimit quel principio del con-
finamento spazio-temporale che costituiva al tempo stesso il codice
fondamentale e il limite interno del progetto coloniale.
bene chiarire un punto fondamentale, approfondendo un dis-
corso gi fatto nel primo capitolo: il tempo che definiamo della glo-
balizzazione espone in piena luce le sue diverse genealogie, tra cui ri-
entra certamente il colonialismo moderno, cosicch il principio di
confinamento, lungi dallessere messo definitivamente fuori gioco, si
scompone in una pluralit di processi di segregazione, che investono
le stesse metropoli occidentali. Ma ci che entrato in crisi, appunto
sotto la spinta delle lotte anti-coloniali, la possibilit di assumere
come scontato il confinamento, e di organizzare attorno ad esso un
modello univoco di governo dei processi politici e produttivi, non-
ch uno stabile assetto dei confini, siano questi intesi in senso geo-
politico o in senso identitario. Per dirla con una battuta: il fonda-
mentalismo del mercato di matrice occidentale e il fondamentali-
smo islamico esprimono entrambi, per quanto in modi molto di-
versi, una nostalgia per un assetto appunto stabile di confini che ri-
sulta quotidianamente sfidato dai processi di ibridazione e di decen-
54 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
23 Lintroduzione di L. Ellena alla nuova edizione italiana dei Dannati della terra (Co-
munit, 2000) d conto della ripresa di interesse per lopera di Fanon determinata
dallo sviluppo degli studi postcoloniali.
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 54
tramento su cui si fonda in buona misura la stessa produzione della
ricchezza nel mondo globale (cfr. Hardt, Negri 2000). Non detto
che luno o laltro non possano riportare pi o meno effimere vitto-
rie; ma se ci accadr, enormi saranno i prezzi da pagare in termini
di violenza e di secca riduzione delle potenzialit inscritte nel nostro
presente.
Considerata sotto langolo visuale offerto dal postcolonialismo, la
globalizzazione risulta dunque un formidabile campo di tensione, in
cui gli stessi concetti di Occidente e di modernit sono posti in dis-
cussione dal progressivo emergere di un nuovo concetto di mondo,
che per la prima volta nella storia, come ha scritto tienne Balibar, fa
dellumanit non un semplice ideale, o unidea regolativa della ra-
gione, ma la condizione di esistenza degli individui umani stessi
(Balibar 1997, p. 238)
24
. La sfida che ne deriva per il pensiero politi-
co attiene fondamentalmente, secondo la prospettiva qui seguita, al-
la ridefinizione dello statuto delluniversale. Lumanit contempo-
ranea, infatti, assume la propria figura complessiva nella cornice del
definitivo farsi mondo delle astrazioni reali il denaro e la merce
che costituiscono la filigrana delluniversalismo occidentale. Sono
queste astrazioni reali a sussumere sotto di s, e a mettere a valore, i
processi di ibridazione e di decentramento che si sono richiamati.
a questa altezza che si ridefiniscono i rapporti di sfruttamento e di
dominio: nuove figure della cittadinanza e della democrazia possono
essere materialmente costruite soltanto a partire dalla critica di tali
rapporti riscoprendo la natura strutturalmente ambigua della stes-
sa nozione di universale, che proprio in quanto forma vuota si
presta a essere diversamente qualificata in termini politici, e incardi-
nandone il portato critico nelle istanze di libert e di uguaglianza che
emergono dal mondo globale
25
.
IMMAGINI DELLA CITTADINANZA 55
24 Per unanalisi delle ricadute che la condizione postcoloniale ha sui concetti di Oc-
cidcente e di modernit, cfr. Appadurai 1996 e Chakrabarty 2000.
25 Per un ripensamento in questo senso del concetto di universale, cfr. ancora Bali-
bar 1997, pp. 231 ss. nonch -i=ek 2000, pp. 171 ss.
5 cap 2* 18-01-2008 0:19 Pagina 55
CAPITOLO TERZO
Tempo storico e semantica politica
nella critica postcoloniale
...while memory holds a seat/ In this distracted globe.
[...finch avr un seggio la memoria/ in questo globo im-
pazzito].
W. SHAKESPEARE, Hamlet, I, 5.
1. Tra world history e Weltgeschichte
Lomogeneit dello spazio, del tempo e del valore, ha scritto di re-
cente il filosofo tedesco Peter Sloterdijk, ha a lungo rappresentato lo
stile logico della Weltgeschichte, la grande narrazione che a partire
dal Settecento ha accompagnato e scandito il processo materiale di
unificazione del pianeta (Sloterdjik 2005, p. 28). Considerata da que-
sto punto di vista, la condizione contemporanea decisamente spae-
sante. Da una parte quella omogeneit pare trionfare, farsi mondo
appunto, nel contesto dei processi di globalizzazione. Dallaltra,
proprio per la forma che quei processi hanno assunto, il nostro sguar-
do tende piuttosto a fissarsi, per citare ancora Sloterdijk, sulle crepe,
le turbolenze, le irregolarit che recalcitrano a ogni semplificazio-
ne geometrica (Sloterdjik 2001, p. 15)
1
.
precisamente nella tensione tra queste due polarit della nostra
esperienza contemporanea che si situa il contributo che gli studi
postcoloniali possono offrire alla stessa storiografia. Nel contesto del
fruttuoso lavoro di ridefinizione delle mappe disciplinari che negli
ultimi anni, a partire dalla consapevolezza della crisi delle storiogra-
fie nazionali, si in particolare prodotto attorno alla categoria di
world history
2
, la critica postcoloniale consente di operare una mos-
1 Al lavoro di Sloterdjik si pu utilmente accostare la critica della ragione cartogra-
fica proposta da F. Farinelli (2003 e 2005), nonch la riflessione su temi cartogra-
fici in Accarino (a cura di) 2007.
2 Cfr. Gozzini 2004. Per un confronto tra world history e studi postcoloniali, cfr. lin-
troduzione dei curatori (Europa in einer postkolonialen Welt) in Conrad, Randeria,
a cura di, 2002, pp. 9-49.
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 56
sa che potremmo definire kantiana, investendo direttamente e
rinnovando in profondit le modalit di rappresentazione del tem-
po e dello spazio che articolano la narrazione storica. In questo capi-
tolo mi limito a presentare, in forma di esemplificazione stilizzata, al-
cune considerazioni preliminari al riguardo. Quel che in gioco, in
fondo, la nostra stessa comprensione della modernit, mentre la
problematizzazione della dimensione soggettiva dellesperienza sto-
rica, che costituisce uno dei centri di gravitazione degli studi postco-
loniali, chiama in causa questioni di rilievo a mio giudizio cruciale per
un pensiero critico del presente.
Dalla world history torniamo alla Weltgeschichte, da cui abbiamo
preso le mosse. Ranajit Guha, il fondatore della scuola storiografica
indiana dei subaltern studies
3
, ha mostrato in un impegnato con-
fronto critico con la filosofia della storia di Hegel come la rappre-
sentazione del processo di mondializzazione dello spirito che costi-
tuisce per il filosofo tedesco il criterio di razionalit della storia stes-
sa si fondasse nella sua opera sullistituzione di un confine assoluto,
parimenti temporale e spaziale. La linea di separazione tra storia e
preistoria era in altri termini al tempo stesso la linea di separazione
tra lo spazio della civilt (lEuropa) e lo spazio della barbarie (i con-
tinenti gi colonizzati o in procinto di esserlo cfr. Guha 2002, in
specie p. 43). Questo confine assoluto costituiva tuttavia per Hegel
il motore della Weltgeschichte, ne assicurava la dinamicit nelle for-
me di una lotta titanica della storia contro la preistoria, ovvero del-
lEuropa, attraverso i suoi Stati, contro i popoli senza storia (cfr.
Wolf 1982): il confine era cio costruito come assoluto precisamente
per essere oltrepassato. Lespansione coloniale risulta cos inscritta
negli stessi presupposti epistemici della modernit europea.
Non v, evidentemente, molto di nuovo fin qui. Ma quello che la
critica postcoloniale mette in discussione la possibilit di articolare
3 Definito da Amrtya Sen il pi creativo storico indiano del XX secolo, Guha ha in-
segnato in diverse universit in India, Gran Bretagna, Australia e Stati uniti. Gi il
suo primo lavoro, unaccurata ricostruzione delle origini intellettuali della riforma
attuata nel 1793 dal Governatore generale del Bengala Lord Cornwallis che, isti-
tuendo il cosiddetto sistema del permanent settlement, si era proposta di creare in
India una classe indigena di proprietari terrieri sul modello degli squires inglesi e di
mettere ordine nel sistema delle imposte, aveva anticipato quel ruolo decisivo del
sapere coloniale che sarebbe divenuto successivamente uno dei temi centrali de-
gli studi postcoloniali (cfr. Guha 1963). stato il curatore dei primi sei degli undi-
ci volumi della collana Subaltern Studies usciti tra il 1982 e il 2000 (gli indici di
tutti i volumi si possono consultare alla pagina web http://www.lib.virginia.edu/
area-studies/subaltern/ssmap.htm). Per unintroduzione ai subaltern studies, si
veda Chakrabarty 2004.
TEMPO STORICO E SEMANTICA POLITICA NELLA CRITICA POSTCOLONIALE 57
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 57
58 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
attorno a questo vettore spazio-temporale della Weltgeschichte
unimmagine lineare e progressiva del tempo storico. Centrale, da
questo punto di vista, il concetto di stadio di sviluppo (cfr. Guha
2002, p. 26 e soprattutto Chakrabarty 2000), secondo cui, una volta
catturati nel movimento della storia universale, gli spazi non euro-
pei sarebbero stati destinati a ripetere il percorso evolutivo afferma-
tosi in Europa. Prima in Europa e poi nel resto del mondo, in-
somma, per riprendere la formulazione offerta da Dipesh Chakra-
barty nella sua fondamentale critica dello storicismo moderno
(Chakrabarty 2000, p. 22): mettendo in discussione questa formula,
la critica postcoloniale determina uno spiazzamento della storia mo-
derna che appare assai pi radicale e interessante di ogni semplice
critica culturalista alleurocentrismo. Nel momento stesso in cui
si riconosce nellassoluto confine temporale e spaziale di cui si det-
to a proposito di Hegel un presupposto affatto reale del moderno
progetto coloniale europeo, su cui si sono retti concrete imprese di
conquista e concreti sistemi di dominazione, si rintraccia anche, alla
sua stessa origine, un movimento di ibridazione (termine chiave nel
lessico postcoloniale, che si vorrebbe qui sottrarre a ogni uso inge-
nuamente apologetico) che ne mostra in fondo limpossibilit (cfr.
Bhabha 1994).
Se la modernit il tempo della Weltgeschichte, lo scontro tra
storia e preistoria la tensione tra omogeneit ed eteroge-
neit da cui siamo partiti parlando del presente ne costituisce fin
dal principio il tema dominante, entro coordinate spaziali che non
possono essere pensate altrimenti che come globali. Quel che la
critica postcoloniale mette in discussione precisamente la possibi-
lit di risolvere questa tensione e questo scontro entro una narrazio-
ne lineare, allinsegna del progressivo distendersi di un insieme di
norme di sviluppo dal centro del sistema mondo in formazione
verso le periferie (cfr. Capuzzo 2006).
Si badi: questa narrazione lineare, secondo cui la costituzione del
sistema mondo viene appunto svolgendosi unilateralmente dal cen-
tro verso le periferie, sostanzialmente condivisa sia dalle ricostru-
zioni apologetiche del colonialismo, che ne sottolineano il portato di
civilizzazione, sia da molte ricostruzioni critiche, che ne enfatizza-
no al contrario il carico di violenza e sopraffazione. Gli studi postco-
loniali, o almeno alcuni studi postcoloniali, invitano a complicare lo
stesso quadro analitico, considerando le colonie veri e propri labora-
tori della modernit (cfr. Stoler, Cooper 1997), e dunque affinando il
nostro sguardo sul movimento inverso, che retroagisce dalle colo-
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 58
nie stesse sul centro del sistema (sullEuropa prima, sullOcciden-
te poi), mostrandone appunto il carattere costitutivamente ibrido.
Si tratta di una lezione che ha precise conseguenze sia in termini
storiografici sia in termini teorici. Valutare nel suo giusto peso quel-
lo che si definito il movimento di retroazione dalle colonie sulla me-
tropoli significa lavorare sulla base dellipotesi che, contro ogni teoria
degli stadi di sviluppo, si possano rintracciare vere e proprie an-
ticipazioni coloniali nella storia di dispositivi economici, sociali, po-
litici che hanno giocato un ruolo essenziale nella definizione della
modernit. Significa, per limitarci a un solo esempio, prendere sul se-
rio lorigine coloniale del moderno sistema di fabbrica, sviluppando
le fondamentali analisi di Sidney W. Mintz (1985) sulla piantagione
di canna da zucchero nelle Indie occidentali tra Cinque e Seicento, e
al tempo stesso riconsiderare la funzione essenziale che la schiavit e
le varie forme di lavoro coatto nelle colonie hanno svolto nel proces-
so di costituzione del lavoratore salariato libero in Europa
4
.
2. Il tempo della piantagione e il silenzio dellarchivio
Restiamo alle Indie occidentali. Robert Young (2001) ha sottoli-
neato il nesso strettissimo tra postcolonialismo e anticolonialismo, in-
sistendo da una parte sullimportanza fondamentale che le lotte anti-
coloniali, indipendentemente dalle vicissitudini dei regimi a cui hanno
dato origine, hanno avuto nella genealogia del nostro presente glo-
bale, dallaltra, come si accennava nel primo capitolo, sullopportu-
nit di tornare a leggere, al di fuori di ogni mitologia terzomondista,
alcuni testi classici nati allinterno di quella esperienza storica.
Si fatto precedentemente cenno alla critica di Dipesh Chakra-
barty allo storicismo moderno: si tratta di una critica assai raffina-
ta, costruita attraverso un confronto serrato con motivi marxiani e
heideggeriani, su cui torneremo in seguito. Ma la fondamentale fonte
di ispirazione del lavoro di Chakrabarty, molto presente in generale
negli studi postcoloniali, la critica corrosiva rivolta da Walter Ben-
jamin sul finire degli anni Trenta del Novecento al concetto di pro-
gresso e al suo necessario correlato, allidea cio che la storia proce-
4 Si veda in questo senso limportante lavoro di Y. Moulier Boutang (1998). Nella
prospettiva di una rilettura di alcuni testi classici prodotti allinterno dei movimen-
ti anti-coloniali, conviene segnalare il vivace dibattito attorno alle tesi avanzate da
Eric Williams negli anni della seconda guerra mondiale: cfr. Cateau, Carrington (a
cura di) 2000.
TEMPO STORICO E SEMANTICA POLITICA NELLA CRITICA POSTCOLONIALE 59
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 59
60 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
da percorrendo un tempo omogeneo e vuoto
5
. Lo stato di eccezio-
ne stava effettivamente avviandosi a divenire la regola in Europa, e
lo sguardo di Benjamin, ebreo e marxista tedesco in fuga dal nazismo,
non poteva che essere particolarmente sensibile a quella compresen-
za di progresso e catastrofe nella storia che era stata del resto uno dei
temi fondamentali della sua riflessione negli anni precedenti.
Pi o meno negli stessi anni, il marxista nero C.L.R. James, tra-
sferitosi da Trinidad in Inghilterra, avviava un formidabile percorso
di militanza politica e di ricerca storica che lo avrebbe condotto a di-
venire una delle voci pi autorevoli del movimento panafricanista e
un punto di riferimento fondamentale nel dibattito che attravers i
movimenti anticoloniali negli anni successivi
6
. interessante leggere
quanto James scriveva nel 1962, tracciando un provvisorio bilancio
dei suoi lavori sulle Indie occidentali: il processo storico si configura
in questarea, fin dalle origini della modernit, in un concatena-
mento di periodi non preordinati di lenta deriva, alternati a sprazzi
di rivolta, a balzi in avanti e a catastrofi.
James riconduceva questo ritmo sincopato della storia, cos di-
verso dal lineare progresso immaginato dal mainstream della filoso-
fia moderna, proprio al prevalere in quellarea del mondo del siste-
ma della piantagione di canna da zucchero, che ha avuto sullo svi-
luppo delle Indie occidentali linfluenza pi civilizzatrice e pi cor-
ruttrice che si possa immaginare
7
. Pi civilizzatrice e al tempo stes-
so pi corruttrice, scriveva James: una compiuta modernit coloniale
aveva gi nel Settecento reso possibile la contemporaneit di moder-
nit e catastrofe, in cui aveva fatto irruzione sul finire del secolo la
novit storica assoluta di una vittoriosa rivoluzione di schiavi. A quel-
la rivoluzione e al suo principale protagonista, Toussaint Louvertu-
re, James aveva dedicato nel 1938 un fondamentale volume, The
Black Jacobins, divenuto rapidamente un classico allinterno del mo-
vimento panafricanista ma a lungo sostanzialmente ignorato dalla sto-
riografia europea.
Nel 1790, pochi mesi prima dellinizio dellinsurrezione a Santo
Domingo, un colono francese scriveva alla moglie a Parigi, per rassi-
5 Benjamin 1997, p. 45. Nella ormai sconfinata letteratura sulle Tesi di Benjamin, si
segnala il prezioso volumetto di Lwy 2001.
6 Sullopera storiografica di James, cfr. Robinson 1983, pp. 241-286. Pi in generale,
si vedano i saggi raccolti in Farred (a cura di) 1996, nonch la sezione monografica
a lui dedicata, a cura di chi scrive, in Studi culturali, IV (2007), 2.
7 C.L.R. James, Da Toussaint Louverture a Fidel Castro (1962), pubblicato in appen-
dice a James 1938, pp. 321 s.
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 60
curarla a proposito delle condizioni di tranquillit in cui si viveva ai
tropici: non v alcun movimento tra i nostri Negri. [...] Non ci pen-
sano neppure, sono assolutamente tranquilli e obbedienti. Una rivol-
ta tra loro impossibile. Sono parole che si potrebbero commenta-
re ironicamente, immaginando lo sbalordimento del colono di l a po-
co, di fronte al fatto dellinsurrezione degli schiavi. A me pare, tutta-
via, pi fruttuoso seguire largomentazione di Michel-Rolph Trouil-
lot, uno dei maggiori storici haitiani, da tempo residente negli Stati
uniti, che invita alla cautela: quando la realt non coincide con con-
vinzioni profondamente radicate, scrive Trouillot in un libro molto
importante, Silencing the Past, gli esseri umani tendono a produrre
schemi interpretativi che riconducono a forza la realt allinterno di
queste convinzioni. Escogitano formule che consentono loro di re-
primere limpensabile e di ricondurlo allinterno del discorso accet-
tato (Trouillot 1995, p. 72).
Trouillot aggiunge che affermazioni come quella citata del colono
francese non si basavano tanto sullosservazione empirica, quanto
su una vera e propria ontologia, unorganizzazione implicita del
mondo e dei suoi abitanti (ivi, p. 73): la convinzione che gli schiavi
africani non fossero neppure in grado di immaginare la libert, po-
tremmo aggiungere, era una perfetta espressione di quel duplice con-
fine spaziale e temporale attorno a cui di l a poco Hegel avreb-
be articolato la propria filosofia della storia universale. Non prima,
del resto, di avere attinto ai fatti di Haiti per coniare una delle figure
emblematiche della filosofia occidentale: la dialettica tra servo e si-
gnore (cfr. Buck-Morss 2000).
Trouillot non uno studioso postcoloniale in senso stretto, ma
le domande che pone sono perfettamente coerenti con alcuni dei te-
mi pi importanti che lo sviluppo della critica postcoloniale ha solle-
vato negli ultimi anni, e in particolare con linsistenza di questultima
sulla dimensione epistemica del moderno progetto coloniale euro-
peo, sulla vera e propria conoscenza coloniale che ne costituisce un
elemento di strategica importanza
8
. Quel che era impensabile per i
coloni francesi allinizio del 1790, afferma Trouillot, stato efficace-
mente silenziato dagli storici, attraverso molteplici strategie di rimo-
zione o trivializzazione della rivoluzione di Haiti: lanalisi di opere
cos diverse come il Penguin Dictionary of Modern History e lEt del-
8 Decisivo, da questo punto di vista, stato, come gi si detto, il libro di E.W. Said,
Orientalismo (1978). Ma si tengano presenti almeno i saggi raccolti in N.B Dirks (a
cura di) 1992 e, specificamente sulla storiografia dellIndia britannica, il lavoro
di Guha 1997.
TEMPO STORICO E SEMANTICA POLITICA NELLA CRITICA POSTCOLONIALE 61
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 61
62 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
le rivoluzioni di E.J. Hobsbawm consente in altri termini allo storico
haitiano di mostrare come la storiografia abbia continuato a interio-
rizzare e a riprodurre il confine coloniale su cui si basava lontolo-
gia spontanea dei coloni francesi a Santo Domingo. E dunque lo
conduce a offrire un perfetto esempio di quelle persistenze coloniali
ben oltre let delle indipendenze nella cui analisi consiste il punto
donore della migliore critica postcoloniale (cfr. Shohat 1992, nonch
supra, cap. I).
Il riferimento alla dimensione epistemica del moderno colo-
nialismo, lenfasi posta fin dal principio di questo capitolo sulle ca-
tegorie formali di spazio e tempo, perdono qui ogni astrattezza e
investono direttamente la pratica storiografica, dialogando con una
pluralit di approcci che, dallinterno dei dibattiti disciplinari, hanno
quantomeno problematizzato il preteso carattere oggettivo delle
fonti: a venire in primo piano lordine del discorso e dei silenzi
che, espressione di precisi rapporti di forza e di potere, organizza
larchivio storico. Non si tratta necessariamente di derivarne il ca-
rattere meramente retorico della storiografia e di interrompere una
volta per tutte il rapporto di questultima con la realt storica
9
. Si
tratta tuttavia, ancora con Trouillot, di essere consapevoli del fatto
che, nelle stesse modalit di produzione di un evento in quanto even-
to storico, sono in gioco strategie di occultamento e di silenziamen-
to: qualcosa sempre tralasciato mentre qualcosa viene registrato.
Non c una perfetta chiusura dellevento, comunque i confini di
quellevento vengano definiti. Dunque, ogni cosa che diviene un fat-
to lo diviene con le sue costitutive assenze, che sono proprie del suo
stesso processo di produzione. In altri termini, i meccanismi stessi
che rendono possibile la registrazione storica assicurano al tempo
stesso che i fatti non vengano creati uguali. Essi riflettono un diver-
so controllo sui mezzi di produzione storica al momento stesso della
prima iscrizione che trasforma un evento in un fatto (Trouillot
1995, p. 49).
Il contributo che la critica postcoloniale pu apportare alla sto-
riografia attraverso la ridefinizione delle sue coordinate spazio tem-
porali si colloca proprio su questo terreno, che anche il campo di
battaglia per il potere storico (ibidem).
9 Per una critica di questo esito, certo non estraneo ad alcuni esponenti degli studi
postcoloniali, cfr. Ginzburg 2000. Considerazioni analoghe si trovano del resto in
Trouillot 1995, pp. XVIII s. e 12 ss.
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3. Oltre lo storicismo
Questo campo di battaglia si determina precisamente, per ripren-
dere un tema classico, nel punto in cui le res gesta, la storia intesa nel-
la sua materialit processuale, si incontrano con la historia rerum ge-
starum, con la storiografia. Tra questi due piani esistono contempo-
raneamente una distinzione e una sovrapposizione irriducibili, in ul-
tima istanza perch lo scarto tra quanto accaduto e quanto viene
raccontato esso stesso storicamente determinato (ivi, pp. 3 s.): ha
cio a che fare con quei rapporti di forza e di potere che regolano li-
scrizione degli eventi nellarchivio e dunque la possibilit di rac-
contarli.
Gli studi postcoloniali hanno contribuito in modo assai significa-
tivo, negli ultimi anni, a riaprire produttivamente questo problema
classico della teoria storiografica. Il punto non consiste tanto (o sol-
tanto) nella rivendicazione di nuovi spazi per una serie di storie mi-
nori, in un tentativo di democratizzare in chiave multiculturale il
canone storiografico, o magari di giocare le storie contro la Sto-
ria. Non mancano certamente, allinterno degli studi postcoloniali,
posizioni di questo genere (cfr. ancora le critiche di Dirlik 1997 e
2000). Decisamente pi interessante, a mio parere, tuttavia la ri-
flessione di quanti hanno rinvenuto proprio nella tensione tra la Sto-
ria e le storie un carattere strutturale della storia moderna, che nel-
la condizione coloniale si staglia con particolare precisione e che non
pu comunque essere risolto giocando un termine contro laltro.
questa la via seguita da Dipesh Chakrabarty, in particolare nel-
limpegnato capitolo di Provincializzare lEuropa dedicato a un con-
fronto con la categoria marxiana di lavoro astratto, che costituisce
anche un bilancio del suo lavoro di storico della classe operaia in
Bengala (Chakrabarty 1989). Qui il problema del rapporto tra astra-
zione e differenza storica viene presentato come un problema ge-
nerale della transizione al capitalismo (ma si potrebbe aggiungere:
della modernizzazione in generale), in una prospettiva che tutta-
via, e qui sta il punto decisivo, considera quella transizione mai con-
clusa, destinata per cos dire a ripetersi ogni giorno.
Per dirla nei termini pi semplici possibili: capitalismo e moder-
nit, nelleconomia come nella politica, sono contraddistinti dal pri-
mato dellastrazione. Gli individui, scriveva Marx, sono ora domi-
nati da astrazioni, mentre prima essi dipendevano luno dallaltro
(Marx 1857-1858, vol. I, p. 107). Questo primato tuttavia, nella cui
istituzione consiste il momento genetico di capitalismo e modernit,
TEMPO STORICO E SEMANTICA POLITICA NELLA CRITICA POSTCOLONIALE 63
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 63
64 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
deve essere sempre riaffermato. La critica dello stesso storicismo
marxiano, in particolare per quel che concerne il rapporto tra sus-
sunzione formale e sussunzione reale del lavoro sotto il capitale
(cfr. Chakrabarty 2000, pp. 74 s.), trova in fondo qui il suo punto di
condensazione concettuale: lungi dal poter essere narrata linearmen-
te, ad esempio nei termini di un passaggio dato una volta per tutte
dalla sussunzione formale alla sussunzione reale del lavoro, la
storia del capitale continuamente interrotta dal violento riproporsi
del problema della sua origine (cfr. infra, cap. VI e appendice).
La categoria di lavoro astratto (lastratta generalit dellattivit
produttrice di ricchezza, considerata nella sua indifferenza verso il
lavoro determinato Marx 1857-1858, vol. I, pp. 31 s.), da questo
punto di vista, deve essere interpretata come una categoria pratica,
performativa: organizzare la vita sotto il segno del capitale significa
agire come se si potesse astrarre il lavoro da tutti i tessuti sociali in cui
esso si trova sempre incastonato e che rendono concreta ogni forma
particolare di lavoro compreso anche il lavoro di astrazione (Cha-
krabarty 2000, p. 80). Il processo attraverso cui il lavoro astratto vie-
ne prodotto come norma del modo di produzione capitalistico, che
essenzialmente un processo di disciplinamento, non pu mai con-
cludersi una volta per tutte, e questo fa s che la resistenza opposta
allastrazione dalla concreta molteplicit del lavoro vivo si installi
al cuore del concetto e della logica del capitale, come lAltro del di-
spotismo in essi implicito (ivi, p. 87).
Questa rilettura del concetto marxiano di lavoro astratto ha in
realt implicazioni che vanno oltre le categorie di capitale e lavoro.
Essa offre piuttosto a Chakrabarty un vertice prospettico a partire dal
quale rileggere la struttura del tempo storico nella modernit nel suo
complesso. E questa struttura si presenta costitutivamente scissa:
quella che Chakrabarty stesso chiama storia 1, il tempo omogeneo
e vuoto posto dal capitale, necessariamente, in ognuno dei presen-
ti la cui concatenazione costituisce il passato, interrotta nella sua li-
nearit dal movimento di appropriazione della storia 2, delle tem-
poralit plurali che sono proprie non solo del lavoro vivo ma an-
che della merce e del denaro (ivi, pp. 93 s.). Le conseguenze che ne
derivano sono a mio giudizio di grande importanza per spiazzare la
stessa alternativa tra relativismo e universalismo: nessun capitale
globale (o locale) potr mai rappresentare la logica universale del ca-
pitale, poich ogni forma storicamente disponibile di capitale un
compromesso provvisorio costituito da una modificazione della sto-
ria 1 per mano delle storie 2 di qualcuno. In quel caso luniversale
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 64
pu esistere solo come casella vuota (place holder), che viene conti-
nuamente usurpata da un particolare storico che tenta di proporsi co-
me universale (ivi, p. 101).
Si tratta, come si accennava, di una posizione di grande rilievo dal
punto di vista teorico, da cui possono venire spunti di notevole inte-
resse per una riqualificazione del concetto e del lessico delluniversa-
le (si veda in questo senso Fornari 2005). Ma contemporaneamente
lanalisi di Chakrabarty ha precise implicazioni per la pratica storio-
grafica. Invita a fare del movimento di riduzione del plurale delle sto-
rie al singolare della storia, in cui Reinhart Koselleck ha classicamen-
te indicato il tratto peculiare del moderno concetto di storia (cfr. Ko-
selleck 1979, pp. 110-122), un fatto esso stesso storico. Non solo un
concetto come quello di classe operaia, ma anche concetti come cit-
tadinanza e nazione, sono attraversati nel loro stesso statuto logico
dagli scontri, dalle contraddizioni e dagli squilibri che quel movi-
mento produce. La violenza della conquista e della dominazione co-
loniale non fa che intensificare un problema inerente, per citare an-
cora Koselleck, a ognuno dei singolari collettivi che formano tanta
parte delle parole della storia, portandone alla luce e imponendo
come specifico oggetto di ricerca storica il movimento di costitu-
zione.
Se questo ordine di riflessioni invita a problematizzare, come si
detto, il lessico delluniversalismo (e dunque i canoni storiografici che
su di esso si sono materialmente costruiti), mi sembra che daltra par-
te costituisca un sano antidoto alla proliferazione di una mera apolo-
gia delle differenze. Mai definitivamente compiuta, la transizione
che ha inaugurato nel segno della conquista la storia moderna come
storia globale, ha tuttavia caratteri di irreversibilit: proprio la vio-
lenza dellorigine ha imposto un linguaggio comune che annulla
per sempre ogni esperienza di differenza che non sia stata mediata
dalle relazioni di potere coloniali e dalla logica globale del capitale
(Rahola 2003b, p. 163). Non si tratta, da questo punto di vista, di ri-
scoprire ancestrali tradizioni da contrapporre storiograficamen-
te cos come politicamente alla modernit occidentale. Si tratta
piuttosto di lavorare alla costruzione di un quadro pi complesso
della stessa modernit, di aprirsi certamente al riconoscimento di una
pluralit di modernit determinata dalle diverse forme assunte in di-
versi contesti storici e geografici dallincontro/scontro tra storia 1 e
storie 2, per riprendere i termini di Chakrabarty, ma al contempo di
valorizzare la cornice globale e unitaria al cui interno questa stessa
pluralit si fin da principio fattualmente collocata.
TEMPO STORICO E SEMANTICA POLITICA NELLA CRITICA POSTCOLONIALE 65
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 65
66 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
4. Contro-geografie della modernit
La critica allo storicismo proposta da Chakrabarty non ha dun-
que come suo esito una liquidazione semplice del problema del pro-
gresso e della sua specifica temporalit. Il tempo omogeneo e vuo-
to di cui parlava Benjamin piuttosto riconosciuto come uno dei
vettori fondamentali attorno a cui si articola la storia della moderni-
t, materialmente incardinato nellazione di precise potenze storiche
(il capitale, gli Stati, gli Imperi). Ma la sua stessa affermazione non
possibile se non in un movimento di continua ibridazione con al-
tre temporalit, strutturalmente eterogenee e piene. Un discorso
analogo pu essere fatto per le coordinate spaziali della storia mo-
derna: se lo spazio globale costituisce il necessario ambito di svolgi-
mento della storia 1, la produzione di questo spazio non pu esse-
re pensata in termini lineari, ponendosi piuttosto come una cornice
al cui interno continuamente rideterminato il senso dei luoghi
che sono coinvolti in quel processo di produzione.
Gli studi postcoloniali, da questo punto di vista, ci invitano a pro-
blematizzare i confini che organizzano le stesse mappe mentali degli
storici. Portano alla luce movimenti diasporici e fitte trame di in-
trecci a un tempo locali e globali che collegano in modo impre-
visto spazi apparentemente distanti tra loro, disegnando una vera e
propria contro-geografia della modernit (cfr. Clifford 1997, in
specie cap. 10, Diaspore). Dove la stessa storiografia radicale ve-
de processi chiaramente perimetrati da stabili confini nazionali (la
formazione della classe operaia inglese, per riprendere il titolo del-
la classica opera di E.P. Thompson), la critica postcoloniale intrave-
de le tracce di un placido nazionalismo culturale, che ha condot-
to ad esempio, nel caso della history from below britannica, a rimuo-
vere la dimensione atlantica in cui quegli stessi processi si sono di-
panati
10
.
Proprio il lavoro di Paul Gilroy sullAtlantico nero come con-
trocultura della modernit in questo senso esemplare. Segnato in
modo indelebile dalla catastrofe del middle passage, lo spazio atlanti-
co non stato tuttavia per i neri soltanto spazio di sofferenza e di
morte. Con tipica mossa postcoloniale, Gilroy ricostruisce piuttosto
le modalit complesse con cui quello spazio stato percorso a ritro-
so e letteralmente reinventato dai neri stessi, come marinai e co-
10 Cfr. Gilroy 1993, p. 51 nonch Mellino 2004. Ma si tenga presente anche Line-
baugh, Rediker 2000.
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 66
me viaggiatori. Le culture nate allinterno dellAtlantico nero portano
lo stigma della violenza e della schiavit, ma esprimono anche sia
pure in modo frammentario un anelito di liberazione irriducibile ai
codici chiusi di qualsiasi visione assolutista o comunque costrittiva
delletnicit (Gilroy 1993, p. 244).
Nello spazio di circolazione dellAtlantico, insomma, la moderni-
t ha precocemente mostrato il suo volto pi catastrofico e ha con-
temporaneamente registrato il sorgere di radicali pratiche cosmopo-
lite. Ancora una volta forzando gli archivi, queste ultime cominciano
a essere fatte oggetto di ricerca storiografica, ad esempio in lavori co-
me quello di Peter Linebaugh e Marcus Rediker (2000) sullAtlan-
tico rivoluzionario, modificando le stesse coordinate geografiche al
cui interno viene letta una vicenda come la stessa rivoluzione di Hai-
ti, ricostruita ora nei termini di uno scontro sul significato della mo-
dernit in cui hanno avuto un peso fondamentale le pratiche dellan-
ti-schiavismo radicale maturate proprio nello spazio atlantico (si veda
il fondamentale lavoro di Fischer 2004).
5. Figure della soggettivit
Al centro del rinnovamento delle coordinate spazio-temporali del-
la storia moderna che gli studi postcoloniali determinano sta eviden-
temente una questione ulteriore, ovvero la questione della concet-
tualizzazione e della rappresentazione delle figure soggettive che han-
no fatto esperienza della modernit in posizione subordinata e anta-
gonista. Si ricordata la critica di Gilroy nei confronti della ricostru-
zione della storia della classe operaia inglese proposta da E.P.
Thompson. Ma lo stesso lavoro di Chakrabarty sul tempo storico af-
fonda le proprie radici nella polemica fondativa per lintera espe-
rienza dei subaltern studies di Ranajit Guha contro la caratterizza-
zione del banditismo e delle rivolte rurali come fenomeni pre-poli-
tici proposta da E.J. Hobsbawm sul finire degli anni Cinquanta (cfr.
Guha 1983a, in specie pp. 5-13): era una concezione lineare della
transizione al capitalismo quella che consentiva allo storico marxista
inglese di ascrivere il monopolio della politica alle figure del cittadi-
no e del proletario rivoluzionario, condannando allirrilevanza rivol-
te e figure sociali, non ancora pervenute a quel grado di maturit
storica. Il contesto coloniale costituiva evidentemente un severo ban-
co di prova per questa concettualizzazione della politica e dei suoi
soggetti, e gli storici dei subaltern studies ne derivarono alcune con-
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6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 67
68 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
seguenze di grande rilievo. La contemporaneit del non contempo-
raneo (gli elementi arcaici messi in gioco dalle rivolte contadine
nello sfidare il dominio esercitato dal pi moderno impero che la
storia avesse conosciuto) diventava un problema teorico fondamen-
tale. E lavorare attorno a questo problema consentiva di articolare
una critica corrosiva delle stesse modalit con cui tempo storico e po-
litica si erano saldate attorno a una specifica idea di progresso nel
marxismo occidentale.
La rivendicazione da parte di Guha della radicale politicit delle
insurrezioni contadine nellIndia coloniale poneva laccento da una
parte sul fatto che quelle insurrezioni costituivano risposte puntuali
agli specifici rapporti di potere su cui si fondava il Raj britannico,
dallaltra sul fatto che la stessa trasformazione delle strategie e delle
tecniche di governo adottate dalle forze dominanti (lamministrazio-
ne coloniale, ma anche i proprietari terrieri e le altre componenti del-
le elite indigene) non poteva essere intesa se non considerandola
anche come specifica reazione alla persistenza di un movimento in-
surrezionale nelle campagne. La scoperta di un autonomo campo
della politica subalterna nellIndia coloniale ha dato un contribu-
to fondamentale al rinnovamento della storiografia in materia, modi-
ficando profondamente, per fare un solo esempio, il modo di consi-
derare il nazionalismo indiano
11
.
Quel che mi interessa qui discutere brevemente tuttavia il signi-
ficato stesso dei termini subalterni e subalternit, di diretta
ascendenza gramsciana
12
. Conviene sottolineare che, fin dal primo
volume della collana subaltern studies, i termini in questione hanno
svolto una funzione essenzialmente polemica, denotando linsieme
dei soggetti la cui azione stata a lungo disconosciuta da una storio-
grafia che, nelle sue varianti coloniali, nazionaliste e marxiste, ha
mantenuto secondo Guha una caratterizzazione marcatamente eliti-
sta (cfr. in specie Guha 1982). Utilizzati in riferimento al contadino
protagonista delle rivolte anti-coloniali nelle campagne indiane del-
lOttocento, i termini in questione vedono confermata la loro radice
negativa, privativa per cos dire: la sua identit, scrive Guha del
contadino indiano, consisteva nella somma della sua subalternit. In
altri termini egli imparava a riconoscersi non per via delle propriet e
degli attributi della sua propria esistenza sociale, ma per via di una
11 Si veda ad esempio oltre ai fondamentali e gi richiamati lavori di P. Chatterjee
(1986 e 1993) il libro di S. Amin (1995).
12 Per una discussione del significato di questi concetti in Gramsci, in aperta polemi-
ca con luso fattone dai protagonisti dei subalter studies, cfr. Green 2002.
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diminuzione, se non di una negazione, di quelli dei suoi superiori
(Guha 1983a, p. 18).
La ricostruzione dei movimenti di soggettivazione, di conquista
di soggettivit, messi in atto da figure sociali definite in questi termi-
ni assolutamente negativi, non poteva che porre un gran numero di
problemi sotto il profilo metodologico e teorico. Daltro canto, fa-
cendo della fine della subalternit il motivo dominante delle lotte an-
ticoloniali, Guha ci offre un punto di vista particolarmente efficace
per focalizzare uno dei caratteri politicamente salienti della condizio-
ne postcoloniale: il fallimento storico della nazione nel creare se
stessa, che i subaltern studies si proponevano originariamente di stu-
diare nel subcontinente indiano (Guha 1982, p. 39), trova nella ri-
produzione di condizioni di subalternit di negazione radicale di
parola e agency politica ben oltre la fine formale del colonialismo il
proprio terreno privilegiato di verifica.
un problema ben lungi dal riguardare soltanto i territori che so-
no stati storicamente sottoposti a dominio coloniale. A me pare anzi
che il problema della subalternit si stia riaprendo anche allinterno
di quelle che furono le metropoli, come mostrano ad esempio i di-
battiti degli ultimi anni sullunderclass o sulla biopolitica (tema di
cui sarebbe interessante ricostruire la genealogia coloniale, sorpren-
dentemente rimossa come si notato nel primo capitolo dallo
stesso Foucault). in fondo un altro dei molteplici modi attraverso
cui, per riprendere il titolo di un testo che ha avuto un grande im-
patto sullo sviluppo degli studi postcoloniali, the empire strikes back
(Center for Contemporary Cultural Studies 1982). Quelle che sono
state a lungo le norme attorno a cui stata pensata e praticata la stes-
sa politica emancipativa per semplificare: la cittadinanza e la classe
operaia sono investite da potenti movimenti di decentramento e di
ibridazione che paiono metterne in scacco la portata progressiva.
Una genealogia del presente che, come quella a cui alludono gli stu-
di postcoloniali, mostri lintensit delle battaglie che si sono combat-
tute attorno alla condizione di subalternit, pu allora rivelarsi unim-
presa di valore tuttaltro che meramente antiquario.
6. Contrappunti
Ci che mio, scriveva nel 1939 il grande poeta martinicano
Aim Csaire nel Cahier dun retour au pays natal, un uomo solo
imprigionato di bianco/ un uomo solo che sfida le urla bianche del-
TEMPO STORICO E SEMANTICA POLITICA NELLA CRITICA POSTCOLONIALE 69
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70 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
la morte bianca/(TOUSSAINT, TOUSSAINT LOUVERTURE) (Csaire 1939,
p. 61).
A distanza di un solo anno dalla pubblicazione del libro di C.L.R.
James sulla rivoluzione haitiana, il nome di Toussaint Louverture ir-
rompeva (letteralmente) in un altro testo destinato a esercitare una
grande influenza nei movimenti panafricanisti e anticoloniali degli
anni successivi. Vale la pena soffermarsi brevemente a considerare gli
aspetti formali del brano citato. La parentesi e le lettere maiuscole in-
dicano chiaramente come soltanto un brusco cambiamento di ordi-
ne discorsivo possa interrompere la linearit di una narrazione che fa
di Toussaint un uomo solo imprigionato di bianco. Il riferimento
di Csaire alla cella del Castello di Joux, nelle montagne del Giura
francese, in cui il console nero, imprigionato per ordine di Napo-
leone, trov la morte nellaprile del 1803, pochi mesi prima della ca-
pitolazione dei francesi di fronte al generale Dessalines e della pro-
clamazione dellindipendenza di Haiti
13
. Ma la prigione bianca an-
che, pi in generale, la prigione di una storia in cui la voce dellin-
sorto anti-coloniale, pur potente (letteralmente maiuscola), anche
sempre elisa, posta tra parentesi appunto.
I versi di Csaire diventano cos una straordinaria anticipazione
poetica di quel metodo contrappuntistico con cui nel 1993 Edward
Said invitava a rileggere il canone letterario e storiografico dominan-
te (larchivio della cultura), per portare alla luce narrazioni alter-
native o nuove. Si trattava per Said di accostarsi alle fonti occiden-
tali con la percezione simultanea sia della storia metropolitana che
viene narrata sia di quelle altre storie contro cui (e con cui) il discor-
so dominante agisce (Said 1993, p. 76). Valorizzare questa indica-
zione metodologica significa da una parte assumere come punto di
partenza la convinzione che gli archivi e le fonti coloniali, nonostan-
te la logica imperiale che ne governa la costituzione, rechino comun-
que inscritta la parola dei subalterni; dallaltra parte significa ri-
nunciare alla possibilit di ascoltare direttamente quella parola, di re-
stituire limpida la voce dei subalterni stessi. Quando questultima
non infatti silenziata, essa comunque disconosciuta, rintraccia-
bile attraverso i sintomi che la logica del disconoscimento residua nel-
lordine del discorso dominante (si veda ancora Fischer 2004).
In un saggio ormai celebre del 1984, Gayatry Chakravorti Spivak
rimprover a Guha, e in generale ai primi studi prodotti dal colletti-
13 Su Toussaint Louverture si veda la ricca e accurata introduzione di Sandro Chignola
alla raccolta di scritti politici di Toussaint da lui curata nel 1997 (pp. IX-LIII).
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vo dei subaltern studies, precisamente uningenua fiducia nella pos-
sibilit di recuperare la voce dei subalterni dallinterno degli ar-
chivi coloniali, facendo giocare le provocazioni della decostruzione
contro quello che le appariva un residuo di umanesimo (cfr. Spi-
vak 1984). Sviluppando ulteriormente questa critica attraverso una-
nalisi del sati (il sacrificio rituale delle vedove, dichiarato illegale dal
governatore generale Lord Bentinck nel 1829, con il plauso di intel-
lettuali indiani illuminati come Ram Mohan Roy), Spivak giunse
anzi almeno in un primo momento a dare una risposta negativa
alla domanda se il subalterno o meglio la subalterna possa parla-
re (cfr. Spivak 1988). La violenza epistemica su cui si fonda la domi-
nazione coloniale, contaminandosi nel momento stesso in cui le sot-
topone a critica con le tradizioni locali, finisce per cancellare ef-
ficacemente lo spazio della libera volont, della agency del soggetto
sessuato come femminile (Spivak 1999, p. 248).
Il tentativo di Guha, condotto attraverso strumenti metodologici
derivati dalla linguistica strutturalistica (e in particolare dai primi la-
vori di Roland Barthes), era stato in realt precisamente di leggere in
modo contrappuntistico quella che lui definiva la prosa della con-
troinsurrezione (ovvero gli archivi e le fonti coloniali) per rintrac-
ciarvi gli indizi di una presenza altra e perturbante rispetto a quella
inevitabilmente imperiale dellio narrante (si veda in particolare
Guha 1983b). Il suo lavoro resta a mio giudizio un contributo fon-
damentale, di cui andrebbe anzi rivendicata la classicit, sia sotto il
profilo metodologico sia sotto il profilo della pratica storiografica. Le
considerazioni critiche di Spivak, tuttavia, ci aiutano a individuarne
un limite effettivo: proprio mentre Guha poneva in discussione le
modalit canoniche di rappresentazione storiografica delle soggetti-
vit subalterne, finiva per recuperare dalla stessa storia dei movi-
menti anticoloniali indiani un presupposto romantico-populistico
che lo conduceva a sovrapporre un soggetto (e una coscienza) sempre
gi formati al campo di battaglia sulle forme stesse della soggettivit
che la sua stessa analisi portava alla luce.
Dipesh Chakrabarty, che ha individuato recentemente in questa
radice romantica e populistica uno degli errori fondamentali dei
subaltern studies, ha altres sostenuto che esso contiene la possibilit
di un nuovo inizio per chi voglia dedicarsi a scrivere una storia del
soggetto di massa della politica oggi (Chakrabarty 2004, pp. 243 s.).
A meno di non voler concedere al discorso coloniale, come ha scritto
Lata Mani (1992, p. 403), ci che in realt non ha mai ottenuto, ov-
vero la cancellazione delle donne, questo nuovo inizio non pu
TEMPO STORICO E SEMANTICA POLITICA NELLA CRITICA POSTCOLONIALE 71
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 71
72 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
tuttavia collocarsi nello spazio che sembrerebbe aperto da una lettu-
ra unilaterale dei saggi di Spivak precedentemente richiamati. Lo
stesso dibattito femminista postcoloniale, al cui interno il contributo
di Spivak ha svolto un ruolo fondamentale, ha avuto del resto negli
ultimi anni come proprio tema fondamentale, ricco di implicazioni
tanto dal punto di vista teorico quanto dal punto di vista storiografi-
co, proprio la critica di una rappresentazione stereotipata delle don-
ne subalterne del terzo mondo come mere vittime di di-spositivi di
assoggettamento e riduzione al silenzio: la scoperta della complici-
t dello stesso femminismo emancipazionista occidentale nel defini-
re questa rappresentazione ancora una volta letta come indice di un
ritardo storico rispetto allOccidente ha costituito la condizione a
partire dalla quale altre esperienze, altre voci e altre parole hanno
guadagnato spazio nel dibattito femminista internazionale.
limplicazione della soggettivit dei subalterni in un campo di
tensione in cui gli stessi dispositivi di assoggettamento e riduzione al
silenzio sono sempre costretti a fare i conti con una molteplicit di
pratiche che possiamo provvisoriamente definire di soggettivazione
(pratiche di rivolta certo, ma anche di sottrazione, di fuga, di mi-
metismo, di negoziazione) il problema fondamentale che gli studi
postcoloniali consegnano sia alla teoria politica sia alla storiografia.
Il punto di vista che ne risulta non necessariamente in contraddi-
zione con laccento posto da altre correnti di studi sui caratteri si-
stemici che la storia moderna assume fin dagli inizi in quanto storia
globale: ci consente piuttosto, per riprendere una suggestione benja-
miniana, di spazzolare quella stessa storia contropelo (Benjamin
1997, p. 31), di sovvertirne il canone, o meglio ancora di indagare i
laboratori al cui interno quel canone stato (e continua a essere) ma-
terialmente prodotto.
6 cap 3* 18-01-2008 0:21 Pagina 72
CAPITOLO QUARTO
Il cittadino e il suddito
Una costituzione postcoloniale per lUnione Europea?
Ma ripartire per dove? Per lAlgeria? Perch lAlgeria?
A. DJOUDER, Dsintgration (2006)
1. Una lezione di alterit?
In molti suoi interventi recenti, tienne Balibar ha sottolineato il
rilievo strategico di un confronto con la storia dellespansione colo-
niale (o meglio, con quello che il compianto Edward Said ha definito
il progetto coloniale) per ogni riflessione critica sulla questione della
cittadinanza e della costituzione europea. Il confronto di cui parla
Balibar non ha come suo luogo esclusivo di svolgimento le aule uni-
versitarie: in primo luogo la presenza sempre pi massiccia, e sem-
pre pi legittima malgrado le discriminazioni che subiscono, di po-
polazioni di origine coloniale allinterno delle vecchie metropoli a
farne uno dei temi di fondo della stessa vita quotidiana in Europa.
dunque un confronto incalzato da nuove tensioni e nuove violen-
ze, e che tuttavia iscrive potenzialmente nella filigrana della cittadi-
nanza europea quella che Balibar stesso definisce una lezione di alte-
rit: ovvero il riconoscimento da parte dellEuropa dellalterit co-
me componente indispensabile della sua stessa identit, della sua vir-
tualit, in pratica della sua potenza (Balibar 2003, pp. 38 s.).
Al centro di questo capitolo precisamente questa ambivalenza
delleredit coloniale. Il punto di vista scelto per riflettere su alcune
delle sfide politiche fondamentali che caratterizzano il presente eu-
ropeo quello offerto dal concetto di cittadinanza, inteso come spa-
zio contraddittorio e conflittuale al cui interno le figure soggettive
dellappartenenza e dellesperienza politica si incrociano con le di-
mensioni oggettive a cui fanno riferimento concetti tutti eviden-
temente essenziali per la definizione dello Stato moderno quali so-
vranit e costituzione (cfr. Mezzadra 2004). Il percorso seguito sar
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 73
in prima battuta, sia pure necessariamente solo per accenni, storico:
riprendendo e sviluppando alcuni aspetti dellanalisi svolta nel se-
condo capitolo, si cercher di mostrare come il discorso europeo del-
la cittadinanza intrattenga fin dalle sue origini un rapporto strettissi-
mo con il progetto coloniale. Successivamente ci si concentrer su
quel processo di costituzionalizzazione dellUnione europea che rap-
presenta oggi uno dei laboratori fondamentali al cui interno la crisi e
la trasformazione dello Stato devono essere indagate. Il tentativo sa-
r quello di far emergere alcuni caratteri fondamentali della situazio-
ne costituzionale europea contemporanea, sottolineando al tempo
stesso la rilevanza della peculiare condizione dei migranti per com-
prendere lo sviluppo complessivo della nuova cittadinanza europea
in formazione.
bene del resto anticipare una delle tesi fondamentali di questo
capitolo: le caratteristiche della situazione costituzionale europea qui
evidenziate sono destinate a condizionare strutturalmente gli svilup-
pi politici in Europa, indipendentemente dalle vicissitudini del Trat-
tato costituzionale, respinto nella primavera del 2005 nei referendum
che si sono tenuti in Francia e in Olanda e ampiamente modificato
fino a perdere il gi controverso carattere costituzionale (Ziller
2007, cap. II) dal Trattato di Lisbona del 2007. Questo non signifi-
ca, naturalmente, che tali referendum non siano a loro volta destina-
ti ad avere conseguenze profonde, per quanto ambivalenti e del tutto
aperte, dal punto di vista politico e costituzionale: sia una reazione na-
zionalistica al progredire dellintegrazione, sia quello che Slavoj -i=ek
ha chiamato il ritorno della politica vera e propria (ovvero una ra-
dicale reinvenzione del progetto e dello spazio politico europeo) so-
no possibili nellimmediato futuro. Ma gli elementi costituzionali su
cui si porta lattenzione in questo capitolo sono parte integrante di ci
che, seguendo una sezione assai influente della dottrina giuridica eu-
ropea del Novecento (cfr. Mezzadra, Ricciardi 1997), si pu definire
la costituzione materiale che ha preso forma nella cornice del proces-
so di integrazione europea. Ogni opzione politica, nei prossimi anni,
sar costretta a fare i conti con questi elementi. Ed mia convinzio-
ne che anche il dibattito sullo stato e sul futuro dello Stato debba
trovare nel confronto con i processi di costituzionalizzazione in atto
in Europa uno dei suoi luoghi privilegiati di esercizio.
74 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 74
2. Diritto e terrore
Torniamo dunque alle questioni poste da Balibar, da cui siamo
partiti. evidente come esse pongano immediatamente una serie di
domande ulteriori. Prima di tutto: che cosa c di nuovo nella lezio-
ne di alterit di cui parla il filosofo francese? Negli studi postcolo-
niali, lalterit comunemente riconosciuta come un elemento es-
senziale dellidentit europea sin dalle origini della modernit. Nel-
la stessa esperienza coloniale, ci hanno insegnato autori come Homi
Bhabha e Gayatri Spivak, vive contraddittoriamente un movimento
di contaminazione, di transiti e di traduzione (di mtissage) che in
qualche modo anticipa il presente postcoloniale. Ed importante
sottolineare che, dal punto di vista degli studi postcoloniali, il rap-
porto tra lEuropa e i suoi altri non riducibile a una semplice op-
posizione (che potrebbe essere descritta in termini di esclusione).
Quella relazione deve semmai essere ricostruita, per riprendere il ter-
mine lacaniano utilizzato da Gayatri Spivak (ad es. 1999), ricondu-
cendola a un movimento di forclusione. Cerchiamo di semplificare il
lessico spesso un po esoterico di molti critici postcoloniali, distillan-
done gli elementi teoricamente fondamentali: dal momento che lim-
magine dellEuropa e della sua civilt, fin dal XVI secolo, prende
forma entro un movimento di costante comparazione con le immagi-
ni della barbarie (ma anche della libert) delle genti selvagge
che abitano gli spazi aperti alla conquista europea, quelle genti non
sono confinate a marcare il limite esterno dellEuropa. Esse sono
piuttosto da principio implicate nel lavorio teorico e pratico che pro-
duce lunit dello spazio europeo nonch i concetti attraverso cui
quellunit trova articolazione.
Il concetto e il discorso della cittadinanza, nel nesso strettissimo
che li stringe alla vicenda storica dello Stato moderno e al suo con-
cetto, non fanno eccezione a questa regola. Negli scorsi anni abbia-
mo imparato ad esempio da Immanuel Wallerstein che non possi-
bile comprendere la storia del modo di produzione capitalistico sen-
za considerarlo fin dalle origini un sistema-mondo. Sviluppando al-
cune indicazioni di Carl Schmitt, abbiamo compreso che lo sviluppo
dello jus publicum europaeum (ovvero, al tempo stesso, del moderno
sistema europeo degli Stati) non pu essere a pieno ricostruito senza
assumere la dimensione globale che fu inerente a esso dal punto di
vista concettuale e istituzionale fin dalla scoperta e dalla conquista
del nuovo mondo. mia convinzione che un simile approccio pos-
sa e debba essere applicato anche allo studio del concetto e delle isti-
IL CITTADINO E IL SUDDITO 75
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 75
tuzioni della moderna cittadinanza europea, sottolineandone appun-
to la dimensione costitutivamente globale fin dal principio della loro
storia.
A partire da John Locke, nel tardo diciassettesimo secolo, un in-
sieme di confini ha definito non soltanto lesperienza giuridica e po-
litica del cittadino, ma anche quella che nel secondo capitolo ho pro-
posto di definire lantropologia politica implicita nel moderno di-
scorso della cittadinanza, ovvero le modalit con cui lindividuo sta-
to immaginato e costruito come cittadino. Conosciamo limportanza
del rapporto tra cittadinanza e propriet introdotto da Locke, a par-
tire da un concetto antropologico di propriet, radicato cio in una
determinata concezione della natura umana. Esso indica in primo
luogo, come si visto, la propriet della propria persona, la capacit
di un individuo di controllare razionalmente le proprie passioni e di
disciplinarsi in vista di quel lavoro che costituisce a sua volta il fon-
damento di ogni propriet materiale. Solo questo individuo pro-
prietario di s in grado di divenire un cittadino, e immediatamen-
te questa figura dellindividuo istituisce i suoi propri confini, produ-
ce cio una serie di figure destinate a essere altre da quella del cit-
tadino: la donna (che per Locke, contrariamente a quanto avviene in
Hobbes, naturalmente destinata a subordinarsi allautorit maschi-
le allinterno della famiglia), lateo, il folle, il povero pigro e vi-
zioso, e lindigeno americano (cfr. supra, cap. II).
opportuno insistere sulla violenza epistemica (Spivak 1988,
pp. 281 s.) e materiale implicita in questa originaria demarcazione dei
confini della cittadinanza europea, che appare in modo particolar-
mente evidente in riferimento al progetto coloniale. Se ne dato
qualche esempio in precedenza, discutendo ad esempio il modo in
cui Emerich de Vattel riprese argomenti lockeani, a met del XVIII se-
colo, per legittimare lespansione coloniale europea fino a contem-
plare la necessit dello sterminio dei nativi se si opponevano al su-
periore diritto europeo di conquista (Vattel 1758, I, VII, 81, p. 78).
Si tratta, evidentemente, di una caratteristica cruciale del coloniali-
smo europeo, del punto in cui la violenza epistemica in esso implici-
ta si rovescia in origine di una assoluta violenza materiale. Ranabir
Samaddar (2007, I, cap. 2), tra gli altri, ha mostrato che terrore e vio-
lenza non si limitarono ad accompagnare il momento della conqui-
sta, ma improntarono piuttosto di s lintera storia costituzionale del
colonialismo moderno, definendola come la storia di uno stato dec-
cezione permanente.
Al tempo stesso, tuttavia, terrore e violenza sono soltanto un lato
76 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 76
della storia e del progetto coloniali europei. Come ha sottolineato Ra-
najit Guha, lavorando sullo stesso caso indiano descritto da Samad-
dar, la prospettiva del conquistatore lasci spazio molto presto,
nella conoscenza cos come nella governamentalit coloniale
nellIndia britannica, alla prospettiva del legislatore (Guha 1997,
p. 77). questo cambiamento di prospettiva ci che crea lo spazio al
cui interno la distinzione tra il cittadino metropolitano e il suddito
coloniale, che ho utilizzato per il titolo di questo capitolo, pu ope-
rare. Una volta di pi, non siamo qui di fronte a una semplice rela-
zione di esclusione. Se il suddito coloniale laltro del cittadino
metropolitano, il loro rapporto, per dirla brevemente, non pu esse-
re concettualizzato nello stesso modo in cui possiamo ad esempio
comprendere il rapporto tra i barbari e i cittadini dellantica polis
greca. La netta demarcazione tra cittadini e sudditi nello spazio im-
periale, come ha recentemente sottolineato per il caso francese E.
Saada, non ci parla solo delle contraddizioni del colonialismo, ma ri-
vela piuttosto un insieme di tensioni che ineriscono alla stessa defi-
nizione della cittadinanza metropolitana, e dunque a caratteri essen-
ziali della vicenda dello Stato moderno in Europa (Saada 2004, p.
194). E daltro canto il carattere pedagogico del colonialismo eu-
ropeo moderno (cfr. ad es. Metha 1999, e ora soprattutto Seth 2007),
che emerge nel modo pi chiaro ad esempio dagli scritti di Macau-
lay, finisce per implicare la stessa definizione ed esperienza del sud-
dito coloniale nello spazio e nella logica del discorso della cittadi-
nanza. questa implicazione che vive al cuore del progetto coloniale
europeo, e che contribuisce a spiegare la dimensione peculiarmente
contraddittoria del diritto coloniale, del costituzionalismo coloniale
e della governamentalit coloniale (cfr. ad es. Plamenatz 1960,
Thomas 1994 e Mezzadra, Rigo 2006): di dimensioni costitutive del-
la storia dello Stato moderno, come ha mostrato in modo particolar-
mente efficace Partha Chatterjee (1993, p. 18), che tuttavia solo ra-
ramente vengono indagate nei dibattiti teorici su di esso.
Restiamo al caso dellIndia britannica. Certo, in prima battuta
quel che emerge guardando alla storia dellOttocento in India lu-
biquit del terrore nella sua dimensione fisica: guerre, conquiste,
esecuzioni, massacri, devastazioni, siccit, epidemie, rivolte e ammu-
tinamenti. E non certo inutile enfatizzare questo aspetto, indivi-
duando in esso laltra faccia di quella che in Europa si soliti defini-
re la pace dei centanni. Ma non questo il punto decisivo: piutto-
sto, si tratta di comprendere il nesso tra leccezione permanente e il
diritto, ovvero di sottolineare come lubiquit del terrore si legasse a
IL CITTADINO E IL SUDDITO 77
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 77
doppio filo, nellesercizio della governamentalit coloniale, a quella
che lo stesso Ranabir Samaddar definisce una specifica volont di le-
giferare: appunto allesigenza stringente di combinare il terrore con
il diritto e con la legge, che mise capo alla definizione di un vero e
proprio costituzionalismo coloniale, il cui primo outlaw, come una
sorta di nemesi del terrore, si costituisce nella figura del terrorista, al-
la cui definizione lamministrazione e la legislazione coloniale inglese
dedicarono non a caso una attenzione quasi ossessiva (cfr. Samaddar
2007, I, capp. 1 e 2).
Fin da principio in ogni caso, anche per la grande influenza che
ebbero in India autori come Jeremy Bentham e James Mill (cfr. Sto-
kes 1982, Guha 1997, Metha 1999; ma ora in particolare Giuliani
2007 e 2008), diritto e legge pretesero di esercitare una specifica fun-
zione di educazione e di riforma, obliterando leccezione nella produ-
zione di una specifica normalit coloniale. un punto esemplificato
nel modo pi preciso dalla pubblicazione della History of British India
(1817) di James Mill, che consente di cogliere precisamente il passag-
gio dallapproccio mercantilistico alla storia dellIndia, prevalente
nei decenni precedenti in Inghilterra e incentrato sulla conquista, a
quello propriamente coloniale, appunto incentrato sulla legislazione.
Nella prospettiva inaugurata da Mill, che rester a lungo dominante
anche e soprattutto nel campo della storiografia giuridica, si tratta di
criticare la storia indiana precedente la conquista inglese proprio per
creare il vuoto in cui possano operare le leggi e i codici. Ed assai si-
gnificativo che Mill, secondo una logica che pare anticipare le teorie
della modernizzazione in voga negli anni Sessanta del Novecento
(con linsistenza che le caratterizzava, e che condusse a legittimare i
peggiori regimi dittatoriali nel terzo mondo, sui prerequisiti per il
decollo, ovvero sulla necessaria rottura della staticit della societ
tradizionale per avviare lo sviluppo) valuti positivamente linvasione
islamica, individuando in essa una salutare rottura della stasi hind
e appunto una precondizione della mobilitazione determinata dai
britannici (cfr. in particolare Guha 1997, pp. 73-79).
Come la teoria di Walt W. Rostow (1960) indicava quale ultimo
stadio della modernizzazione laccesso dei paesi sotto-sviluppati ai
consumi di massa, il liberalismo inglese dellOttocento non mancava
del resto di immaginare un percorso di sviluppo politico e costitu-
zionale che avrebbe potuto condurre gli indiani alla maturit e infi-
ne allindipendenza. possibile, afferm ad esempio Macaulay in
un famoso discorso tenuto il 10 luglio del 1833 di fronte ai Comuni,
che lo spirito pubblico indiano (the public mind of India) possa cre-
78 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 78
scere sotto il nostro sistema fino a fuoriuscire da esso; che con il no-
stro buon governo educhiamo i nostri sudditi facendo loro acquisire
la capacit di meglio governarsi; che essendo stati istruiti nella cultu-
ra europea possano rivendicare in una qualche et futura istituzioni
europee. Non so se un tal giorno mai verr. Ma non far mai alcun-
ch per scongiurarlo o per ritardarlo: se verr, sar il giorno di cui es-
sere pi orgogliosi nellintera storia inglese (Macaulay 1898, vol. XI,
pp. 585 s.).
Permanentemente abitata dai fantasmi del terrore e di una so-
vranit esercitata per via sostanzialmente amministrativa, la governa-
mentalit coloniale al pari del discorso coloniale, in tutte le sue va-
rianti, non ultima evidentemente quella giuridica (sul cui ruolo co-
stitutivo per il discorso coloniale, cfr. Dirks 1992) si mostra dun-
que altres, alla luce dellesempio indiano, strutturalmente squilibra-
ta dalloperare in essa di imperativi contraddittori: stabilire confini
intransitabili per delimitare gli spazi in cui si muovono, nella colonia,
i cittadini e i sudditi, gerarchizzare il corpo collettivo apparentemen-
te amorfo composto da questi ultimi, delineare strategie di incor-
porazione degli stessi sudditi coloniali (cfr. Thomas 1994, p. 142).
Altri esempi, in particolare tratti dallesperienza africana, andreb-
bero discussi per arricchire e complicare la genealogia della distin-
zione coloniale tra citizen e subject (cfr. Mamdani 1996 e Mbembe
2001, cap. 1). In ogni caso, se da una parte la distinzione e la con-
temporanea esistenza del cittadino metropolitano e del suddito co-
loniale corrispondevano ad altre distinzioni che rendevano possibile
una gerarchizzazione dello spazio della cittadinanza allinterno della
stessa metropoli (in particolare, alla distinzione tra cittadini attivi
e passivi), esse ponevano dallaltra peculiari problemi al pensiero
politico e giuridico europeo. Sotto il profilo della dottrina, si trattava
cio di render conto in modo coerente della contemporanea esisten-
za del governo rappresentativo nella metropoli e del dispotismo
nelle colonie. Si visto in precedenza (supra, cap. 2), attraverso alcu-
ni esempi tratti dai lavori di John Stuart Mill e di Santi Romano, che
tali problemi sono stati in buona parte risolti attraverso lo sviluppo
di una logica del non ancora (cfr. Chakrabarty 2000): i popoli di
origine non europea sottoposti a dominio coloniale erano cio con-
siderati ad esempio da Mill non ancora maturi per il governo
rappresentativo. E si anche visto come questa logica corrispondes-
se allistituzione di uno specifico confine temporale, definito nei ter-
mini di una fondamentale distinzione nella qualit del tempo storico
in cui le colonie vivevano.
IL CITTADINO E IL SUDDITO 79
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 79
Torniamo per un attimo alla lecture tenuta nel 1875 da Henry
Sumner Maine, su cui pure ci siamo soffermati nel secondo capitolo,
alla sua insistenza sul fatto che i governanti britannici dellIndia so-
no come uomini costretti a far funzionare i propri orologi su due fu-
si orari contemporaneamente. A me pare che questa sia una buona
definizione, seppure su un livello di elevata astrazione, della peculia-
rit e delle contraddizioni del moderno progetto coloniale europeo e
dellesperienza a cui esso ha dato luogo, una definizione cio che ben
si presta a essere applicata al di l del caso britannico e indiano. Li-
stituzione di un confine assoluto (una sorta di metaconfine), tem-
porale e spaziale, ovvero il presupposto logico della distinzione fra
suddito coloniale e cittadino metropolitano, era al tempo stesso con-
cettualmente e storicamente implicita nellistituzione dei confini tra
gli Stati-nazione europei, e dunque nella produzione degli spazi al cui
interno la moderna storia della cittadinanza si iscritta ed venuta
svolgendosi. Concetti come quelli di ibridazione e mimetismo,
proposti ad esempio da Homi Bhabha, fanno riferimento alle con-
traddizioni implicite in questa esperienza nella misura in cui nel
momento stesso in cui il confine spazio-temporale veniva affermato
come assoluto e intransitabile gli spazi e i tempi da esso divisi do-
vevano essere articolati in una medesima storia progressiva.
Ma se le cose stanno cos, sempre muovendoci su un piano di ele-
vata astrazione, possiamo vedere nella sfida posta dalle lotte e dai
movimenti anticoloniali allesistenza stessa di quel metaconfine,
una delle pi importanti radici del nostro presente e delle stesse
trasformazioni che hanno investito negli ultimi decenni la forma Sta-
to. Indipendentemente dalle molteplici delusioni e sconfitte che han-
no contraddistinto la storia della decolonizzazione, questa sfida ri-
sultata in ultima istanza vittoriosa, ed per questo che soltanto sot-
tolineando il nesso con lanti-colonialismo ha senso definire la nostra
condizione attuale una condizione postcoloniale (Young 2001). Al
tempo stesso, tuttavia, e precisamente per le modalit con cui la fine
formale del colonialismo si prodotta, il termine postcoloniale de-
nota una situazione in cui certamente il metaconfine tra metropo-
li e colonie ha cessato di organizzare una stabile cartografia del pia-
neta, ma in cui data la possibilit che esso si riproduca, in modo
frammentato, allinterno del territorio stesso di quelle che furono le
metropoli (cfr. supra, cap. I). sullo sfondo di questa definizione di
postcolonialismo che vorrei ora passare ad analizzare alcuni aspetti
della costituzione europea.
80 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 80
3. Un nuovo mostro?
in primo luogo necessario illuminare alcune caratteristiche ge-
neralissime della costituzione europea, nella prospettiva di compren-
dere qual la relazione che essa intrattiene con i concetti e con la
prassi del costituzionalismo moderno. Vi sono evidentemente im-
portanti elementi di continuit, ma la mia ipotesi che questi ele-
menti siano collocati allinterno di una cornice generale per molti
aspetti nuova nella sua essenza, tanto da dare espressione a una rela-
tiva cesura con lesperienza dello Stato moderno. Se cerchiamo di
analizzare la costituzione europea nei termini dei concetti fonda-
mentali che sono stati forgiati allinterno di questa esperienza stori-
ca, in altri termini, rischiamo di ricavarne la medesima impressione
che Samuel Pufedorf, nel tardo diciassettesimo secolo, ebbe di fron-
te al Sacro Romano Impero di Nazione Germanica: la costituzione
europea potrebbe cio assumere ai nostri occhi la forma di una crea-
tura mostruosa. Con la differenza tuttaltro che irrilevante che Pu-
fendorf aveva un obiettivo ben preciso: stabilire come unica norma
di organizzazione politica, dopo la pace di Vestfalia, lo Stato territo-
riale sovrano, e condannare definitivamente al tramonto le forme po-
litiche del passato che, come lImpero, risultavano difformi da quel-
la norma. Mentre la costituzione europea, lungi dal rappresentare
una reliquia del passato, a tutti gli effetti parte della nuova costel-
lazione politica che viene contraddittoriamente formandosi nel con-
testo dei processi di globalizzazione.
La prima anomalia della costituzione europea, dal punto di vista
della comprensione tradizionale del costituzionalismo, risiede nel fat-
to che qui abbiamo a che fare non tanto con una costituzione intesa
come documento formale che fissa la cornice dello sviluppo politico e
giuridico allinterno degli stabili confini di una determinata unit po-
litica, ma piuttosto con un processo costituzionale. A me pare che
questa non sia una situazione provvisoria, destinata a essere stabiliz-
zata con lapprovazione finale di un documento costituzionale (am-
messo e non concesso che a tale approvazione si giunga), ma rappre-
senti piuttosto una caratteristica strutturale della costituzione europea.
Per dirla in sintesi: la costituzione europea per definizione una costi-
tuzione in divenire per una forma politica essa stessa in divenire. Lu-
nico termine di comparazione possibile nella storia moderna da
questo punto di vista lesperienza della costituzione americana (ovve-
ro, sia detto di passaggio, con una costituzione profondamente in-
fluenzata dallesperienza coloniale): e non un caso che essa venga
IL CITTADINO E IL SUDDITO 81
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 81
spesso richiamata nei dibattiti sulla costituzione europea (cfr. ad es.
Moulier Boutang 2003). Ma nel caso europeo, la flessibilit non ri-
guarda soltanto i confini dellunit politica, rappresentando piuttosto
un carattere fondante della stessa costituzione in senso formale.
Parlare della costituzione europea come di un processo costitu-
zionale significa registrare una radicale ridefinizione del rapporto tra
alcuni dei concetti fondamentali sviluppati allinterno della tradizio-
ne del costituzionalismo moderno. Prendiamo ad esempio i concetti
di potere costituito e di potere costituente (su cui cfr. Negri 1992).
Nel pensiero giuridico europeo moderno, il rapporto tra questi due
concetti sempre stato costruito come rapporto temporale: prima
cera lespressione del potere costituente, destinato poi a essere ri-
dotto al silenzio allinterno della cornice costituzionale istituita attra-
verso la sua azione. Ora, come stato ampiamente sottolineato, que-
sto modello non funziona se applicato al caso europeo, che appare
piuttosto caratterizzato da una logica incrementale ed evolutiva
(Fioravanti 2002, p. 292). Per dirla in breve: nel processo costituzio-
nale europeo il potere di innovazione implicito nel concetto di pote-
re costituente sembra essere esso stesso frammentato e disperso su
una pluralit di livelli, in permanente tensione con lassetto dei pote-
ri costituiti. Questo significa, da una parte, che la costituzione euro-
pea effettivamente aperta alla sua continua trasformazione, con-
sentendo potenzialmente di immaginare in modo nuovo lo stesso
rapporto tra movimenti sociali e istituzioni. Ma daltra parte, il ca-
rattere aperto del processo costituzionale determina una situazione
in cui la stessa azione dei poteri guadagna nuovi margini di libert e
arbitrariet, in cui la transizione dal paradigma del governo al para-
digma della governance (cfr. Borrelli, a cura di, 2004) apre lo spazio
per nuove forme e nuove tecniche di governamentalit, non necessa-
riamente pi miti di quelle che abbiamo fin qui conosciuto.
un insieme di questioni che possiamo analizzare anche assu-
mendo unaltra prospettiva analitica, quella suggerita dai concetti di
costituzione formale e costituzione materiale, elaborati come gi
si ricordato da unimportante sezione della dottrina costituzionali-
stica europea nel ventesimo secolo. Il rapporto tra questi due con-
cetti sembra ancora una volta porsi, nel contesto del processo costi-
tuzionale europeo, nei termini di una tensione non destinata a iscri-
versi in una cornice fissa. E ancora una volta ci troviamo qui di fron-
te allambivalenza del carattere aperto del processo costituzionale
europeo: il concetto di costituzione materiale porta da una parte in-
fatti in primo piano la rilevanza costituzionale del conflitto sociale e
82 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 82
politico; ma dallaltra illumina limportanza strategica di un insieme
di processi e di attori (amministrativi, dal punto di vista della dottri-
na giuridica classica) relativamente liberi di operare indipendente-
mente dalla regolazione formale della Costituzione.
Limpressione che, tra gli interpreti e i commentatori del pro-
cesso costituzionale europeo, questo punto sia stato colto in partico-
lare da quanti hanno sottolineato limportanza della costituzione eu-
ropea che esiste gi, ovvero secondo una prospettiva a cui si fatto
riferimento allinizio di questo capitolo indipendentemente dalla
ratifica attraverso un atto formale. Nelle analisi di autori come Die-
ter Grimm, Joseph H.H. Weiler, Ingolf Pernice e Franz Meyer, a es-
sere sottolineata precisamente la sovrapposizione di cerchie e livel-
li costituzionali di diversa portata che concretamente informa di s
lo spazio costituzionale europeo, registrando e spingendo innanzi la
disarticolazione (ovvero, la crisi e la trasformazione) della nozione
classica di ordine costituzionale (cfr. ad es. Meyer, Pernice 2003).
Ma come possiamo definire in termini pi precisi il tipo di spa-
zio politico che emerge nella cornice del processo costituzionale eu-
ropeo? Tra la letteratura recente sullargomento, particolarmente sti-
molante appare il lavoro di Ulrich Beck ed Edgar Grande, Das ko-
smopolitische Europa (2004), per quanto non necessariamente condi-
vida lo specifico entusiasmo europeistico che contraddistingue la lo-
ro prospettiva. In un capitolo chiave del loro libro, Beck e Grande
tentano di applicare alla struttura politica dellUnione europea il con-
cetto di impero cosmopolitico. Muovendo dalla constatazione che lU-
nione europea non n un superstato, n uno Stato federale, n
una Confederazione di Stati (ivi, p. 83), essi propongono di utiliz-
zare per definirne le peculiarit il concetto di impero, e pongono
subito laccento su ci che a loro giudizio costituisce la principale dif-
ferenza tra questultimo e lo Stato: lo Stato tenta di risolvere i pro-
blemi che attengono alla sicurezza e al benessere stabilendo confini
fissi, mentre lImpero li affronta precisamente attraverso la variabili-
t e la mobilit dei suoi confini, attraverso lespansione verso lester-
no (ivi, p. 91).
Da una parte, lenfasi posta sullespansione (certo, attraverso il
consenso nellanalisi di Beck e Grande) come carattere costitutivo
dellUnione europea fa emergere la rilevanza strategica del processo
di allargamento verso est, nel senso che esso diviene lo specchio in
cui possibile vedere lo spazio europeo riflesso in alcune delle sue
pi rilevanti determinazioni (cfr. in questo senso Rigo 2005). Dallal-
tra parte, importante sottolineare che alla variabilit dei confini del-
IL CITTADINO E IL SUDDITO 83
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 83
lUnione europea corrisponde linterna eterogeneit del suo spazio.
Il persistere degli Stati-nazione stessi allinterno dellUnione europea,
che non sono destinati a essere superati con il procedere del proces-
so costituzionale, ma piuttosto ad ampliare alcuni dei loro poteri (ve-
dendone al contempo drasticamente ridotti altri) e a divenire co-
munque articolazioni fondamentali dellimpero cosmopolitico
(Beck, Grande 2004, pp. 114-119), parte integrante di questa ete-
rogeneit. Inoltre, come gli stessi Beck e Grande sottolineano nel lo-
ro lavoro, a livello sia di analisi costituzionale sia di analisi territoria-
le, possibile distinguere unarea di piena integrazione, unarea di
cooperazione approfondita, unarea di cooperazione limitata e
unarea di influenza estesa (ivi, pp. 101 s.). precisamente nel con-
testo di questa eterogeneit dello spazio politico e della costituzione
dellUnione europea che va a mio parere sviluppata laffermazione di
Beck e Grande secondo cui lUnione europea anche [...] lEuropa
postcoloniale (ivi, p. 58).
4. Confini
Partiamo dalla questione del confine, ovvero da un altro degli isti-
tuti fondamentali nella storia dello Stato moderno. Sembra esserci un
ampio consenso, nella letteratura sul tema, sul fatto che le funzioni e
listituto stesso del confine stanno esperendo profonde trasformazio-
ni nel contesto dei processi di globalizzazione. Particolarmente rile-
vanti, dal nostro punto di vista, sono le trasformazioni che attengo-
no alle questioni della cittadinanza e delle migrazioni. Coerentemen-
te con la tesi avanzata da Beck e Grande, sembra che ci troviamo di
fronte a un superamento, sia pure in termini niente affatto lineari, del
modello che sotto questo profilo ha preso forma nellesperienza del-
lo Stato moderno. Mentre in esso lesistenza di confini stabili, e dun-
que la chiara distinzione fra interno ed esterno, erano le condizioni
dello sviluppo della cittadinanza, oggi assistiamo a un processo che
stato descritto nei termini di una deterritorializzazione del con-
fine (si vedano la letteratura discussa in Mezzadra 2006, parte II, cap.
4 e i saggi raccolti nella prima parte di Mezzadra, a cura di, 2004). Ed
importante precisare che il termine deterritorializzazione non si
riferisce a una situazione in cui spazio e territorio non giocano pi al-
cun ruolo nelloperare dei confini, ma piuttosto a una situazione in
cui questultimo non pu essere ridotto a un luogo dato, ovvero al li-
mite territoriale di ununit politica.
84 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 84
Il nuovo regime di controllo dei confini che ha preso forma in Eu-
ropa nella cornice dellaccordo di Schengen sembra rappresentare un
perfetto caso di studio per questo processo (cfr. ad es. Walters 2002).
Per dirla ancora una volta in breve: ci che Beck e Grande descrivo-
no come variabilit dei confini sembra corrispondere a un processo
simultaneo di scomposizione e ricomposizione dei confini stessi. Da
una parte le frontiere esterne dellUnione europea proiettano la lo-
ro ombra ben al di l del limite territoriale della stessa Unione, co-
involgendo ad esempio nel loro controllo paesi come il Marocco, la
Tunisia, la Libia o lUcraina. Dallaltra parte, esse tendono a rein-
scriversi allinterno della polis europea, come diviene particolar-
mente chiaro (per quanto non sia in alcun modo a ci limitato) nel-
lesistenza di centri di detenzione amministrativa per migranti (ovve-
ro di un istituto peculiare del nuovo regime di controllo dei confini)
nella maggior parte degli Stati europei.
Questo processo di scomposizione e di ricomposizione dei confi-
ni si andato dispiegando contemporaneamente alla formazione e al-
lo sviluppo della nuova cittadinanza europea, e credo che sia neces-
sario interrogarsi sulle conseguenze di questa coincidenza. La mia
ipotesi che la stessa cittadinanza europea venga costruendosi come
spazio eterogeneo, ed precisamente questa eterogeneit della citta-
dinanza europea che crea le condizioni per il riemergere postcolo-
niale della distinzione tra cittadino e suddito allinterno della costi-
tuzione europea. Lo stesso trattato costituzionale, del resto, aveva
sancito anche formalmente leterogeneit della cittadinanza europea
costruendola come una cittadinanza di secondo grado, che dipen-
de dalla cittadinanza nazionale regolata dai singoli Stati membri (art.
I-10).
Possiamo ora ritornare al nostro punto di partenza, riprendendo
lanalisi di tienne Balibar. Muovendo precisamente da questa spe-
cifica regolazione della cittadinanza europea, Balibar ha infatti sotto-
lineato come la regolazione nazionale dei meccanismi di inclusione
della cittadinanza finisca ora per essere totalizzata a livello euro-
peo, trasformando lo straniero non comunitario, ovvero il mi-
grante proveniente dallesterno dellUnione europea, in un escluso
dallinterno, in un cittadino di seconda classe (Balibar 2001a, p. 191).
Vorrei aggiungere che questo processo, in cui Balibar individua la ra-
dice di una ri-colonizzazione delle migrazioni (ivi, p. 78), si deter-
mina in una situazione in cui le politiche migratorie nazionali sono
definite sempre pi sotto la pressione delle direttive europee, e in
particolare del nuovo regime di controllo dei confini che ho breve-
IL CITTADINO E IL SUDDITO 85
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 85
mente descritto in precedenza. Leffetto di questultimo finisce per
essere un movimento di inclusione selettiva e differenziale dei mi-
granti, che corrisponde alla produzione permanente di una pluralit
di status (il cui limite la condizione del migrante clandestino, de-
stinato a divenire un abitante stabile dello spazio politico europeo) e
dunque alla disarticolazione della figura universale e unitaria della
cittadinanza moderna. Questo processo si pone al centro delle tra-
sformazioni complessive che stanno investendo la cittadinanza: lungi
dal riguardare soltanto i migranti, in altre parole, tende a investire le-
sistenza di quote crescenti di popolazione autoctona in Europa, at-
traverso la frammentazione e la precarizzazione dei diritti determi-
nate dalle politiche neoliberali. Inoltre, esso pare costituire una
delle caratteristiche fondamentali della trasformazione del mercato
del lavoro in Europa, sempre pi determinata da ci che unagenzia
autorevole e ufficiale come lo European Monitoring Centre on Ra-
cism and Xenophobia di Vienna ha definito nel suo rapporto annuale
del 2001 la divisione etnico-razziale del lavoro in Europa.
In queste condizioni, leterogeneit della cittadinanza europea
corrisponde alleterogeneit dei regimi di governamentalit che re-
golano le popolazioni e gli spazi europei. Sempre pi soggetti, in cui
possiamo vedere riaffiorare le figure definite da Locke come altre
da quella del cittadino moderno, non sembrano abitare lo spazio so-
ciale che corrisponde allespansione dei diritti di cittadinanza, ovve-
ro la societ civile. Le loro vite sono piuttosto in misura crescente
i bersagli di quelle tecniche di governamentalit che definiscono
quello che Partha Chatterjee ha recentemente definito lo spazio ete-
rogeneo della societ politica, e che spesso precedono lo Stato-na-
zione, in particolare dove lesperienza del dominio coloniale europeo
durata a lungo (Chatterjee 2004, p. 52).
Una nuova forma di politica, definita domopolitica da William
Walters, interseca la razionalit delleconomia politica liberale nel go-
verno della mobilit. Il termine domopolitica fa contemporanea-
mente riferimento al sostantivo latino domus e al verbo latino doma-
re, usato anche metaforicamente per indicare latto di conquistare e
sottomettere uomini e comunit (Walters 2004, p. 241). precisa-
mente questo atto di conquista, con la sua impronta coloniale e am-
mantato della retorica della sicurezza nella casa europea, che si ri-
trova inscritto nel divenire della cittadinanza europea se la analizzia-
mo dal punto di vista delle politiche migratorie. E come Walters, che
ha coniato il termine domopolitica nel contesto di unanalisi del
documento Secure Borders. Secure Havens, un testo programmatico
86 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 86
sulla gestione dei flussi migratori pubblicato dal governo britannico
nel 2002, ritengo che il governo della mobilit prefigurato dalla pe-
culiare sintesi di domopolitica ed economia politica liberale, che
sembra improntare le politiche migratorie europee, non punta ad
arrestare la mobilit, ma piuttosto a domarla. Non punta cio a
produrre condizione di immobilit generalizzata, ma a un uso stra-
tegico dellimmobilit in casi specifici unito alla promozione di (de-
terminati tipi di) mobilit (ivi, p. 248). Punta in altri termini a pro-
muovere quello che ho precedentemente chiamato un processo di in-
clusione selettiva e differenziale dei migranti e del lavoro migrante al-
linterno dello spazio della cittadinanza europea.
5. Europa a venire
Una postilla per concludere. I concetti di societ politica e di
domopolitica si riferiscono a specifiche tecniche coloniali di go-
vernamentalit e potere che intersecano la costituzione multilivello
europea, rivelando alcune conseguenze poco piacevoli della sua na-
tura postcoloniale. Ma daltra parte, questa stessa natura presenta an-
che altri aspetti, riconducibili in buona sostanza a quella presenza
sempre pi massiccia, e sempre pi legittima dei migranti (di po-
polazioni di origine coloniale) in Europa sottolineata da Balibar nel
passo da cui siamo partiti. Laccento deve essere qui posto sullag-
gettivo legittima. A me pare che la legittimit della presenza dei mi-
granti in Europa, indipendentemente dal loro status giuridico, possa
e debba essere compresa nei termini di una radicale re-interpretazio-
ne del concetto di cittadinanza. Secondo questa re-interpretazione,
attenta a sottolineare il nesso storico strettissimo che lega il concetto
di cittadinanza alla vicenda della stuatualit ma al tempo stesso a co-
gliere le tensioni che ospita al suo interno, la cittadinanza non pu
mai essere ridotta alla sua definizione formale, istituzionale. C un
secondo lato della cittadinanza, che ha precisamente a che fare con
le pratiche sociali e politiche che sfidano la definizione formale della
cittadinanza, forzandone precisamente i confini (cfr. Mezzadra 2004,
Sassen 2006, Rigo 2007).
Ragionando dal punto di vista offerto da questa concezione della
cittadinanza, possiamo vedere gli stessi movimenti migratori come at-
traversati e costituiti da un insieme di comportamenti e pratiche so-
ciali che esercitano una pressione crescente sulla definizione formale
della cittadinanza. In questo senso, i movimenti migratori stanno
IL CITTADINO E IL SUDDITO 87
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 87
dando forma sul piano della quotidianit a uno spazio europeo e a
una cittadinanza europea assai diversi da quelli che siamo venuti ana-
lizzando. Stanno indicando perlomeno la possibilit, si potrebbe di-
re, di unEuropa globale, capace di farsi realmente carico della le-
zione di alterit iscritta nella costituzione europea dalleredit colo-
niale. Abbiamo visto come questa lezione possa nutrire pratiche ete-
rogenee di dominazione. E tuttavia, in quanto spazio politico, lEu-
ropa inscritta nel nostro futuro: non data a mio giudizio, n au-
spicabile, la possibilit di un ritorno al tempo degli Stati nazionali.
Sta allora allazione politica trasformare il processo aperto della co-
stituzione europea in uno spazio di pratiche eterogenee di libert e
uguaglianza. I movimenti migratori postcoloniali del nostro tempo
portano in questo senso una sfida non solo ai confini della cittadi-
nanza europea, ma anche ai confini della nostra immaginazione po-
litica.
88 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 cap 4* 18-01-2008 0:22 Pagina 88
CAPITOLO QUINTO
Il nuovo regime migratorio europeo
e le metamorfosi contemporanee del razzismo
Cela [la race] nexiste pas. Cela produit pourtant des morts.
Produit des morts et continue assurer larmature de syst-
mes de discrimination froces [...]. Non la race nexiste pas.
Si la race existe. Non certes, elle nest pas ce quon dit quel-
le est, mais elle est nanmoins la plus tangible, relle, bru-
tale des ralits.
C. GUILLAUMIN, Je sais bien mais quand mme, ou les
avatars de la notion de race (1981)
1. Un nuovo nazionalismo?
Eravamo in pochi a chiamare patria lItalia. Oggi siamo la mag-
gioranza. Ricordate lo slogan di Alleanza nazionale durante la cam-
pagna elettorale della primavera 2006? Non una provocazione af-
fermare che questo slogan come ogni pronunciamento ideologico
efficace contiene un nucleo di verit. Negli ultimi anni, in Italia,
lappartenenza nazionale stata in effetti riscoperta non soltanto a
destra come valore pubblico fondamentale. La presidenza Ciampi,
da questo punto di vista, ha dato impulso e autorevole legittimazio-
ne a un processo che era gi ampiamente in atto. Come non ricorda-
re, in questo senso, il crescendo di retoriche patriottiche che ha ac-
compagnato il coinvolgimento delle forze armate italiane in missioni
di guerra nel corso degli anni Novanta? Lenfasi sullinteresse na-
zionale come criterio di orientamento nella politica estera, le racco-
mandazioni di realismo nelle relazioni internazionali e la preoccu-
pazione per la posizione dellItalia nel mondo non sono certo ap-
pannaggio della chiassosa pattuglia di neocons nostrani. Si pu anzi
dire che attorno a questi elementi si sia andato costituendo soprat-
tutto a partire dalla dimostrazione di fedelt atlantica offerta dal
governo DAlema in occasione della guerra del Kosovo un vero e
proprio consenso bipartisan sul piano delle retoriche politiche e del
discorso pubblico, indipendentemente dal diverso giudizio sulluni-
lateralismo statunitense dopo l11 settembre.
A me pare che sia a partire da questo nuovo nazionalismo, di
cui mi sono limitato a indicare schematicamente alcuni tratti, che de-
ve essere impostato il ragionamento critico sulle metamorfosi del raz-
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 89
zismo contemporaneo, a cui dedicato questo capitolo. Non un fe-
nomeno limitato allItalia, del resto: un fenomeno a tutti gli effetti
europeo, che deve essere a sua volta collocato nel contesto delle for-
me assunte dal processo di integrazione a partire dallinizio dello
scorso decennio. La mia tesi che il nuovo nazionalismo ci parli
non sembri un paradosso della crisi e delle trasformazioni dello Sta-
to nazione. importante in questo senso sottolineare che il dibattito
in proposito ha ormai preso congedo dalle ipotesi e dalle retoriche
che lo hanno a lungo caratterizzato, dallidea cio che alla globaliz-
zazione corrispondesse un lineare superamento una sorta di
estinzione dello Stato nazione (cfr., per fare un unico esempio,
Ohmae 1995). Appare sempre pi chiaro, in altri termini, che gli Sta-
ti nazionali (alcuni pi di altri, ovviamente) sono stati attori fonda-
mentali nellavviare i processi di globalizzazione (di de-nazionaliz-
zazione), e continuano oggi a giocare un ruolo di decisiva impor-
tanza nel suo contraddittorio governo. Al tempo stesso, tuttavia, essi
vengono articolando la propria azione con altri livelli di potere, fino
a configurare un assemblaggio di autorit, territorio e diritti radi-
calmente diverso da quello che ha contraddistinto la secolare storia
della forma-Stato moderna (Sassen 2006).
Questa acquisizione del dibattito recente sulla globalizzazione di-
segna un perfetto parallelo con limmagine della costituzione mate-
riale europea che emerge dagli studi pi autorevoli in argomento e
che ho discusso nel precedente capitolo. Anche in questo caso a cor-
reggere gli entusiasmi che allinizio degli anni Novanta circolavano a
proposito dellesito linearmente post-nazionale del processo di in-
tegrazione si andata cio imponendo, in particolare nel dibattito
giuridico, la tesi che il processo di scambio e dislocazione di compe-
tenze tra Stati e Unione europea non un gioco a somma zero, in cui
cio alla crescita e al consolidamento di livelli post-nazionali di
esercizio del potere corrisponda un proporzionale ridimensiona-
mento dei livelli nazionali (cfr. Weiler 2003, in specie p. 74 e Beck,
Grande 2004). Parafrasando Marx, si potrebbe certamente dire che
la costituzione europea, al pari del resto dellantica costituzione mi-
sta a cui viene di tanto in tanto accostata (cfr. MacCormick 1999, p.
288), una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di
capricci teologici: nel senso che, come ha messo in evidenza tra gli al-
tri Weiler, lUnione europea , in un certo senso, i suoi Stati mem-
bri e, allo stesso tempo, ne completamente separata. E, come te-
stimoniano duemila anni di teologia cristiana, ci risulta a volte di
difficile comprensione (ivi, p. 202).
90 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 90
Da questi processi, in atto con specificit che non vanno dimen-
ticate tanto a livello globale quanto a livello europeo, discendono tra-
sformazioni profondissime degli spazi politici e giuridici (cfr. ad es.
Galli 2001, Balibar 2005, Ferrarese 2006), che sembrano prendere
congedo da quel presupposto dellomogeneit territoriale che corri-
spondeva alla logica moderna della sovranit. I confini si fanno mo-
bili e porosi, nuovi spazi laterali interrompono la continuit giuri-
dica e politica dello stesso territorio statuale, ad esempio nelle zone
di produzione per lesportazione che sorgono un po ovunque nel
Sud globale o attraverso le zoning technologies che rappresentano
una delle grandi leve dello sviluppo cinese; lesercizio della sovrani-
t si fa articolato e graduato, confondendo continuamente la linea
che separa la norma e leccezione (cfr. in particolare Ong 2006). Lo
stesso nuovo nazionalismo di fronte a cui ci troviamo in Italia e in
Europa deve essere compreso allinterno di queste trasformazioni,
guardando cio alla sua articolazione con i nuovi assemblaggi che
stanno emergendo al di l dellordine nazionale. E in particolare
mi pare opportuno considerarlo da una parte come un sintomo dei
limiti (delle patologie) dello stesso processo di integrazione europea
e in particolare della cittadinanza europea in formazione (cfr. Me-
lossi 2005 nonch supra, cap. IV); dallaltra parte come uno degli ele-
menti fondamentali del contesto in cui una nuova forma di razzismo,
compiutamente postanzionale, postcoloniale e postmoderna, sta
emergendo.
2. Razzismi
Naturalmente esistono molti punti di vista a partire dai quali il
razzismo pu e deve essere analizzato, ed esistono del resto molte
forme di razzismo. Il dibattito sul tema stato molto ricco negli ulti-
mi anni, ha posto al proprio centro la dimensione processuale del raz-
zismo, la sua mobilit, la sua duttilit nelladattarsi a mutevoli con-
giunture storiche. E ne ha indagato le metamorfosi sotto il profilo
cognitivo oltre che sociale e politico, soffermandosi in particolare
sui temi dellidentit e della rappresentazione
1
. Si tratta di un di-
battito da cui sono derivate importanti acquisizioni, di cui terr con-
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 91
1 Cfr., per una sintesi efficace, Siebert 2003; ma si tengano presenti anche, nella scon-
finata letteratura sul tema, i saggi raccolti in Bojad=ijev, Demirovic (a cura di) 2002.
Sulla questione, assai importante, delle tonalit culturaliste ed etniciste del razzi-
smo contemporaneo, molto efficace il lavoro di Gallissot, Kilani, Rivera 2001.
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 91
to anche in quanto segue. Ai fini dellanalisi qui proposta, tuttavia,
conviene muovere da una definizione politica del razzismo, che si pu
riprendere dai lavori di Michel Foucault e soprattutto di tienne Ba-
libar.
Foucault, nella sua analisi della transizione dalla guerra delle raz-
ze al razzismo di Stato, insisteva sulla necessit di concentrare lat-
tenzione sul momento in cui il razzismo si inserito come meccani-
smo fondamentale del potere, esattamente cos come viene esercitato
negli Stati moderni. E ci ha fatto s che non vi sia stato alcun modo
di funzionamento moderno dello Stato che, a un certo punto, a un
certo limite e in certe condizioni, non sia passato attraverso il razzi-
smo (Foucault 1975, p. 220). E aggiungeva: ci che costituisce la
specificit del razzismo moderno non infatti collegato a delle men-
talit, a delle ideologie, alle menzogne del potere, ma legato piut-
tosto alla tecnica del potere, alla tecnologia del potere (ivi, p. 223).
Mi sembrano affermazioni molto importanti, sia per il nesso strettis-
simo che istituiscono tra storia del razzismo e storia della statualit,
sia per lenfasi posta sul fatto che non dobbiamo analizzare (e criti-
care) il razzismo contrapponendolo, magari come sua verit, alle
menzogne del potere. Attualizziamo immediatamente questo se-
condo punto: assumendo la prospettiva indicata da Foucault, pos-
siamo senza alcuna contraddizione affermare che le politiche migra-
torie europee hanno una matrice profondamente razzista senza per
questo ritenere mera retorica i programmi contro la discriminazione,
lanti-razzismo e linsistenza sulla coesione sociale che contraddi-
stinguono il discorso delle istituzioni europee.
Consideriamo dunque il razzismo in relazione con le mutevoli
configurazioni del rapporto tra Stato, sovranit e cittadinanza nella
storia moderna, e teniamo presente il ruolo essenziale giocato in que-
ste configurazioni dal nazionalismo, a partire dal momento in cui
tra il XVIII e il XIX secolo la nazione si appunto imposta come
giuntura fondamentale di quellarticolazione. in questo senso che
risulta particolarmente importante unindicazione di tienne Balibar,
secondo cui il razzismo costituisce un supplemento interno al na-
zionalismo, sempre in eccesso rispetto a esso, ma sempre indispensa-
bile alla sua costituzione e tuttavia ancora insufficiente per portare a
termine la formazione di una nazione, o il progetto di nazionalizza-
zione della societ (in Balibar, Wallerstein 1991, p. 66). subito il
caso di aggiungere, del resto, che neppure la nazione, evidentemente,
una forma fissa e statica: e sono proprio le sue trasformazioni tra
laltro indistricabili dalle vicende dellespansione coloniale e impe-
92 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 92
rialista europea a offrirci una chiave interpretativa estremamente
efficace per comprendere le trasformazioni del razzismo.
Una volta di pi, vi sono molteplici punti di vista a partire dai qua-
li le metamorfosi della forma nazione possono essere analizzate. Quel-
lo che a me pare particolarmente utile in questa sede il tipo di rap-
porto di dominio che la nazione istituisce e intrattiene con il proprio
spazio, facendone il proprio territorio. Di questi termini bene sotto-
lineare la complessit semantica, utilizzandoli almeno in una duplice
chiave. Da una parte, occorre tenere presente il modo in cui il con-
cetto di territorio stato elaborato e formalizzato dalla grande scien-
za giuridica europea tra Otto e Novecento, fino a trovare una provvi-
soria sistemazione nella definizione kelseniana, secondo cui il territo-
rio lambito di validit del singolo ordinamento statuale (Kelsen
1932, p. 29). Dallaltra parte, questa accezione del territorio pu e de-
ve a mio giudizio essere fatta produttivamente interagire con la defi-
nizione dello spazio (colto nella sua distinzione dal luogo) offer-
ta da Michel de Certeau: si ha uno spazio, scrive questultimo, dal
momento in cui si prendono in considerazione vettori di direzione,
quantit di velocit e la variabile del tempo. Lo spazio un incrocio
di entit mobili. in qualche modo animato dallinsieme dei movi-
menti che si verificano al suo interno (De Certeau 1980, pp. 175 s.).
Torner pi avanti sulla definizione di de Certeau. Per intanto, so-
vrapporre le due accezioni di territorio e spazio richiamate mi con-
duce a sottolineare che listituzione di un territorio nazionale (e il
tracciato dei suoi confini), come vengono definiti giuridicamente dal-
la costituzione materiale di uno Stato, ha sempre avuto a che fare
con lintersezione nello spazio di corpi in movimento, con il governo
della mobilit. E a sua volta il governo della mobilit, come stato po-
sto in evidenza da una serie di studi recenti sul capitalismo storico,
gioca un ruolo essenziale nella produzione della forza lavoro come
merce, ovvero nella costituzione storica del mercato del lavoro (cfr.
Moulier Boutang 1998 e Mezzadra 2006, parte I, cap. 2). Che questo
processo sia tuttaltro che idilliaco appare chiaramente laddove si
consideri il lungo e contraddittorio processo che ha condotto il lavo-
ro salariato libero a porsi (provvisoriamente, dovremmo forse ag-
giungere oggi) come norma contrattuale attorno a cui si organizza il
rapporto di impiego nellOccidente capitalistico tra la fine dellOtto-
cento e linizio del secolo scorso. Una nuova corrente di storia del di-
ritto del lavoro in Inghilterra e negli Stati uniti, ben rappresentata dai
lavori di Robert J. Steinfeld (1991, 2001), ha in questo senso sottoli-
neato come lungo tutto lOttocento il lavoro salariato fosse tuttaltro
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 93
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 93
che libero da coazioni extra-economiche e in particolare da limiti
alla mobilit del lavoro (secondo limmagine ancor oggi prevalente
della libert contrattuale), e come linvenzione del lavoro libero
sia stata lesito di intensissime lotte operaie, a cui corrisposero primi
esperimenti di legislazione economica e sociale che imposero preci-
samente, a cavallo tra i due secoli, dei limiti alla libert contrattuale.
Nel complesso si pu affermare che il mercato del lavoro reso
possibile da un insieme di dispositivi politici e giuridici che puntano
tra laltro a determinare una peculiare miscela di mobilit e immobi-
lit del lavoro (dei corpi), e che anche questa miscela storicamente
mutevole: da questo punto di vista, il territorio nazionale si affer-
mato, nel diciannovesimo e ventesimo secolo in Europa e negli Stati
uniti, come lo spazio allinterno del quale la forza lavoro come merce
veniva prodotta e il mercato del lavoro poteva funzionare ordinata-
mente, allinterno della divisione internazionale del lavoro. Il raz-
zismo stato anche (sia chiaro: non certo soltanto, nel senso che il raz-
zismo stato anche molte altre cose, e alcune forme di razzismo, in
primo luogo lantisemitismo, non sono certo spiegabili in questo mo-
do) il supplemento interno a questo processo di costituzione del
mercato del lavoro, particolarmente virulento nei momenti della sua
crisi e della sua trasformazione.
Si tratta di unaffermazione che potrebbe essere agevolmente
esemplificata in riferimento alle vicende statunitensi (molte indica-
zioni in questo senso si possono rinvenire nellimportante lavoro di
David Roediger 2005). Ma credo che anche per quel che riguarda il
caso italiano abbia la sua validit ai fini di una ricostruzione della sto-
ria del razzismo. Si potrebbe ad esempio leggere in questo senso la
vicenda del razzismo anti-meridionale che accompagn i primi de-
cenni dello Stato unitario, quando la stessa esistenza di un mercato
nazionale del lavoro in Italia era in discussione (cfr. Teti 1993). Ed
interessante notare che, in questo contesto, si diffuse una preoccu-
pazione per la qualit specifica dello stock razziale italiano che mo-
bilit antropologi e criminologi di gran nome e che, in un singolare
transito al di l dellAtlantico, fin per avere ripercussioni sulla con-
dizione degli italiani meridionali negli Stati uniti di inizio Novecen-
to. Basti ricordare la tesi presentata da Alfredo Niceforo in Italiani
del nord e del sud (1901), secondo cui in Italia esistevano due raz-
ze, una ariana e caucasica nel Nord e una negroide nel Sud,
che fu ripresa e utilizzata dai funzionari del censimento statunitense
per negare (o quanto meno per mettere in dubbio) la bianchezza
degli italiani del Sud, ed entr cos a far parte dei dispositivi di raz-
94 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 94
zializzazione ed etnicizzazione della cittadinanza e del mercato del la-
voro oltre Oceano (cfr. Guglielmo, Salerno, a cura di, 2003). Il razzi-
smo coloniale che culmin nella guerra di sterminio condotta dal re-
gime fascista in Etiopia (1935-1936) e il violento anti-semitismo che si
espresse nelle leggi anti-ebraiche del 1938, che una nuova generazio-
ne di studiosi ha cominciato a studiare congiuntamente
2
, possono a
loro volta essere interpretati come lestremizzazione di trend gi ben
presenti nellItalia liberale: di trend che tuttavia divennero partico-
larmente virulenti proprio nel momento in cui la divisione interna-
zionale del lavoro, in seguito alla crisi del 29, era stata terremotata.
Ora, evidente che anti-semitismo e razzismo coloniale, per quel
che riguarda lItalia (ma naturalmente lItalia rappresenta da questo
punto di vista una variante di una vicenda pi generalmente euro-
pea), restano ancora oggi ricchi archivi i cui frammenti retorici si
ritrovano nel discorso pubblico contemporaneo nelle pi diverse
strategie di stigmatizzazione dei migranti (cfr. ad es. Dal Lago 1999,
in specie cap. 5; Dal Lago, Quadrelli 2003, cap. 6). Ma larticolazio-
ne complessiva di Stato-nazione, sovranit e cittadinanza di cui essi
rappresentarono il supplemento (in forme evidentemente diverse
nel periodo liberale e durante il regime fascista) fu nei fatti spezzata
dalla resistenza e dalla nascita della Repubblica. La forma di Stato
sociale (e) nazionale, per utilizzare ancora una volta una definizio-
ne di tienne Balibar (2003, p. 128), che la Costituzione del 48 con-
traddittoriamente istitu, ospit tuttavia ben presto nel processo
materiale del suo svolgimento una nuova costellazione del razzi-
smo, direttamente legata a una trasformazione profonda e tuttaltro
che pacifica del mercato del lavoro. Nel contesto degli spettacolari
processi di industrializzazione e modernizzazione degli anni Sessanta,
il razzismo anti-meridionale, ancora una volta recuperando in un di-
verso contesto frammenti retorici da precedenti epoche storiche,
non aveva pi la funzione di segnare la differenza tra Nord e Sud
del Paese, bens quella di contribuire a governare lingresso del Sud
dentro il Nord. Esso si pose cio come supplemento funzionale al
governo alladdomesticamento, si potrebbe dire delle migra-
zioni interne, di una traumatica esperienza di mobilit che cambi in
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 95
2 Vale qui la pena di ricordare la mostra La menzogna della razza, realizzata a Bo-
logna nel 1994, di cui si pu vedere la presentazione del compianto Riccardo Bo-
navita (2006). Se la vicenda del razziosmo coloniale italiano ha oggi cessato di esse-
re un tab, lo si deve del resto in buona misura allimpegno encomiabile di Angelo
Del Bocca, di cui va ricordato almeno uno degli ultimi lavori, Italiani brava gente?
(2005).
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 95
modo radicale non solo la composizione della classe operaia nel no-
stro Paese, ma pi in generale il suo paesaggio sociale e culturale.
Si tratta di un fenomeno che ha precisi riscontri in altre realt eu-
ropee
3
. E in Italia come in Europa questa nuova costellazione del
razzismo fu sfidata e sconfitta dalle formidabili lotte operaie della fi-
ne degli anni Sessanta, che posero in discussione lassemblaggio ge-
nerale di Stato nazionale, sovranit e cittadinanza sociale al pari del
complesso intreccio di relazioni economiche e sociali che siamo or-
mai abituati a definire fordista.
3. Nella crisi del mercato del lavoro
Di qui dobbiamo ripartire. In primo luogo sottolineando che la
presenza crescente dei migranti in Italia stata, dai primi anni Ot-
tanta, uno degli elementi fondamentali dellinsieme di trasformazio-
ni sociali ed economiche collegate alla crisi del fordismo. Del re-
sto, fin dalla crisi dei primi anni Settanta, le migrazioni cominciaro-
no a esibire tratti decisamente innovativi rispetto al passato sul livel-
lo globale, mentre in Europa la fine del reclutamento dei lavoratori
ospiti in molti Paesi avvi una nuova epoca nella storia delle migra-
zioni e dei tentativi del loro governo nel vecchio continente. I carat-
teri di turbolenza che le migrazioni transnazionali assumono in mo-
do sempre pi marcato unitamente a significativi cambiamenti nel-
la loro composizione, e in particolare a processi di intensa femmi-
nilizzazione esprimono da una parte, con un segno profondamen-
te contraddittorio in cui occorre tuttavia sottolineare la dimensione
soggettiva delle nuove pratiche di mobilit, una tendenziale disarti-
colazione della divisone internazionale del lavoro; mentre dallaltra
pongono sfide radicali ai modelli classici di governo delle migrazio-
ni, in qualche modo anticipando i dibattiti contemporanei sulla ne-
cessit di individuare schemi pi flessibili di management e gover-
nance della mobilit (cfr. Papastergiadis 2000; Castles, Miller 2003;
Castles 2004; Mezzadra 2006, Parte II, cap. 5).
Il caso italiano registra linsieme di questi elementi, innestandoli
allinterno di una situazione in cui come in molti altri Paesi euro-
pei le pratiche di mobilit e di rifiuto del lavoro che si erano deter-
minate sullonda lunga delle lotte operaie e dei movimenti sociali de-
gli anni Sessanta e Settanta, avevano minato in profondit lordine
96 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
3 Cfr. ad esempio, per la Germania, laccurato studio di Bojad=ijev 2005.
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 96
nazionale del mercato del lavoro. La pressione crescente esercitata
dai movimenti migratori da Est e dal Sud globale si incroci cos
con i processi di ristrutturazione economica e sociale che rappresen-
tarono una risposta alle pratiche sociali a cui si fatto cenno: il nuo-
vo regime di accumulazione flessibile che cominci a delinearsi a par-
tire dai distretti industriali della terza Italia nella seconda met de-
gli anni Settanta pose le condizioni per un inserimento crescente del
lavoro migrante in settori economici di rilievo cruciale
4
.
allinterno di questa situazione che anche in Italia, come nota-
va per la Francia tienne Balibar verso la fine degli anni Ottanta, il
termine immigrazione diventato per eccellenza il nome della raz-
za (in Balibar, Wallerstein 1991, p. 230). un punto che possiamo
approfondire e precisare seguendo lindicazione di un altro filosofo
francese, Jacques Rancire: in un libro molto importante, La Msen-
tante (1995, pp. 161 s.), egli poneva in evidenza il fatto che a essere
razzializzati e stigmatizzati razzialmente erano gli immigrati
in quanto tali. Non che, come si del resto gi detto, allinterno del
fordismo i lavoratori immigrati non subissero pratiche di discri-
minazione anche particolarmente dura sotto il profilo giuridico, so-
ciale e culturale. Ma la stessa definizione di lavoratori immigrati
indicava almeno un riconoscimento subordinato della loro presenza,
nei termini di Rancire il fatto che occupassero un luogo, che aves-
sero una parte nellordine legittimo delle cose: in quella che vor-
rei chiamare la struttura complessiva, affatto materiale, della citta-
dinanza sociale che del fordismo disegnava, come si accennato,
la contraddittoria cornice costituzionale (Mezzadra, Ricciardi 1997).
La circostanza che le retoriche e le pratiche razziste assumessero
come proprio oggetto un significante vuoto e fluttuante (per ri-
prendere i termini proposti da Stuart Hall, 1997), ovvero gli immi-
grati, segnalava il fatto che lo stesso ordine legittimo delle cose, la
stessa struttura complessiva della cittadinanza, stava diventando
vuota e fluttuante. Gi ho accennato che questa vera e propria cri-
si di cittadinanza (che siamo ben lungi dallesserci lasciata alle spal-
le) non pu essere ricondotta esclusivamente e linearmente ai pro-
cessi di ristrutturazione capitalistica e allavvio in Europa di politiche
neoliberali. Deve essere cio sottolineato, ancora una volta, il se-
gno soggettivo impresso su di essa dai movimenti degli anni Sessanta
e Settanta, dalle rivendicazioni di una flessibilit agite come richiesta
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 97
4 Si veda in questo senso laccurata analisi di Gambino 2003; ma ricchi di indicazio-
ni sono anche i lavori di Ricciardi, Raimondi (a cura di) 2004 e di Sacchetto 2004.
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 97
di libert e non come tecnica di comando sul lavoro
5
, nonch dalle
nuove pratiche di mobilit in cui quelle rivendicazioni si sono tra-
dotte. Considerare questa crisi di cittadinanza secondo il punto di vi-
sta offerto dalle migrazioni conduce a coglierne un lato spesso sotta-
ciuto: ovvero il fatto che, come esito delle grandi trasformazioni che
cominciano a manifestarsi sia allinterno dellEuropa e dellOcciden-
te sia sul livello globale a partire dai primi anni Settanta, lordine
nazionale del mercato del lavoro (come cellula costitutiva della di-
visione internazionale del lavoro) a essere posto vieppi in discus-
sione. Gi lo si detto, ma vale la pena indicarne tutte le conseguen-
ze: la produzione della forza lavoro come merce, il presupposto del
funzionamento del mercato del lavoro, a non avvenire pi in modo
soddisfacente nella cornice del territorio nazionale.
Una nuova miscela di mobilit e immobilit del lavoro doveva es-
sere a questo punto prodotta, e le politiche migratorie hanno cercato
precisamente di affrontare questo problema, in Italia come in altri
Paesi europei. Attraverso il protagonismo crescente di diverse istan-
ze e agenzie europee si contemporaneamente andato definendo,
quanto meno nei suoi tratti pi generali, un vero e proprio nuovo
regime migratorio europeo
6
. su questo nuovo regime migratorio
che occorre portare lattenzione per comprendere le metamorfosi del
razzismo contemporaneo. Ed il caso di aggiungere che esso costi-
tuisce in generale un punto di vista privilegiato per studiare il dive-
nire e le trasformazioni dellistituzionalit europea: suo elemento co-
stitutivo infatti lemergere di nuove tecnologie di controllo dei
confini esterni europei, che segnalano mutamenti profondi inter-
venuti nello stesso istituto del confine, ancora una volta in sintonia
con processi che si verificano in altre aree del globo (cfr. la letteratu-
ra discussa in Mezzadra 2006, parte II, cap. 4).
Ho insistito nei capitoli precedenti sul nesso che, tanto sotto il
profilo storico quanto sotto il profilo teorico, stringe il concetto di
cittadinanza con listituto del confine. Questo nesso diviene eviden-
temente di particolare importanza nel momento in cui, come accade
oggi in Europa, una nuova cittadinanza in formazione, e si pone
dunque il problema di tracciare confini che circoscrivano il suo spa-
zio, al tempo stesso regolando lazione dei dispositivi di inclusione ed
esclusione che ogni figura della cittadinanza assume tra i propri pre-
98 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
5 molto importante, in questo senso, lanalisi di Boltanski, Chiapello 1999.
6 Cfr. Karakayali, Tsianos 2005 e la rappresentazione cartografica delle politiche
migratorie europee elaborata allinterno del progetto Transit Migration: http://
www.transitmigration.org/migmap/.
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 98
supposti. Sotto questo profilo il nuovo regime di controllo dei confi-
ni che sta emergendo in Europa attorno a quelle nuove frontiere (ap-
punto le frontiere esterne dellUnione europea) istituite dallAc-
cordo di Schengen e poi dalle successive Convenzioni applicative, fi-
no allincorporamento dellacquis di Schengen nel Trattato di Am-
sterdam del 1997, segnala alcuni tratti specifici del rapporto che lU-
nione europea intrattiene con il proprio spazio.
Enrica Rigo, in un libro importante (Europa di confine, 2007), ha
studiato questo rapporto, discutendo i risultati a cui pervenuta una
gran mole di letteratura e ponendo in evidenza come esso si configu-
ri in un modo molto diverso rispetto a quello che aveva nel suo com-
plesso caratterizzato la relazione dei moderni Stati nazionali con i
propri territori. Basandomi essenzialmente sul lavoro di Rigo, vor-
rei proporre di seguito tre punti fondamentali in cui questa differen-
za si esprime.
In primo luogo, nel controllo delle nuove frontiere esterne del-
lUnione europea stanno emergendo modelli di interazione, che pos-
sono a tutti gli effetti essere definiti post-nazionali, tra diverse
istanze, agenzie e soggetti. Sono modelli ibridi, nel senso attribuito a
questo termine da Toni Negri e da Michael Hardt in Impero (2000,
parte III, cap. V), nella misura in cui gli Stati membri cooperano al lo-
ro interno con agenzie come i Comitati Schengen e Frontex (la nuo-
va Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa al-
le frontiere esterne), con la Commissione europea, con lAcnur e
lOrganizzazione internazionale per le migrazioni, nonch con alcune
organizzazioni non governative. E cos facendo gli Stati membri del-
lUnione condividono una delle competenze chiave nella definizione
della sovranit moderna, confermando che, se la logica della sovra-
nit ben lungi dallessere in procinto di scomparire nel nostro pre-
sente globale, i soggetti, i modi e gli spazi del suo esercizio stanno
subendo radicali trasformazioni (Sassen 2006, p. 415).
In secondo luogo, i confini europei, resi porosi dalla spinta dei mo-
vimenti migratori, sono costretti a spostarsi continuamente verso sud
e verso est, facendosi mobili e coinvolgendo Stati vicini e lontani nel
loro controllo. Come stato notato recentemente, ad esempio, men-
tre le rotte attraverso il Sahara stanno diventando rotte migratorie
globali (seguite cio non soltanto da migranti subsahariani, ma anche
asiatici e perfino latino-americani), lEuropa punta a esportare o
delocalizzare le proprie contraddizioni: tentando di trasformare lin-
tero Maghreb in un limes [...], recluta i Paesi del Maghreb come pro-
prie avanguardie, trasferendo su di essi lonere di fungere da dighe
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 99
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 99
per arginare la marea della migrazione africana (Bensad 2006, pp.
13 e 16). Pi in generale, come si pu vedere studiando il processo
dellallargamento verso est, le frontiere esterne europee non se-
gnano pi in alcun modo il margine esterno dellambito di validit
dellordinamento giuridico europeo, ma articolano piuttosto la sua
proiezione verso lesterno, stabilendo anche in questo senso diversi
gradi di internit ed esternit allo spazio europeo. Nel complesso, si
pu dunque a giusto titolo parlare di un processo di progressiva de-
territorializzazione del confine.
In terzo luogo, le frontiere esterne europee sono oggi giunture
essenziali nellarticolazione (e ancora una volta nella proiezione ver-
so lesterno e verso linterno) di tecniche di governamentalit speci-
ficamente indirizzate ai migranti, molto diverse da quelle che siamo
abituati a collegare allo Stato di diritto e alla cittadinanza: tecniche
di governamentalit che assegnano i migranti a uno spazio altro da
quello della societ civile, analogo piuttosto a quello che un teori-
co postcoloniale come Partha Chatterjee (2004) ha definito societ
politica. Gi lo si visto nel precedente capitolo, a proposito del
concetto di domopolitica proposto da William Walters. In una re-
cente ricerca sul controllo delle frontiere esterne europee nello
spazio dellEgeo, Efthimia Panagiotidis e Vassilis Tsianos approfon-
discono il punto. Lungi dal funzionare come il muro di unipotetica
fortezza, il confine mostra intera nellEgeo la sua natura di dispo-
sitivo di governo, freno e canalizzazione della mobilit. Gli stessi
campi di detenzione di cui lEgeo disseminato appaiono stazioni
di transito: essi costituiscono il tentativo spazializzato, di domina-
re temporaneamente determinati movimenti, ovvero di amministra-
re vie e rotte per rendere produttiva una mobilit regolata (Pana-
giotidis, Tsianos 2007, p. 79). Sempre pi spesso, nellEgeo il sog-
giorno in un campo costituisce anzich lantedente dellespulsio-
ne il biglietto di ingresso nello spazio europeo (ivi, p. 71). Il con-
fine non si limita cos a striare lo spazio: incide nei corpi dei mi-
granti una specifica temporalit, quella del transito e dellattesa, de-
stinata a segnarne il movimento e le condizioni lungo lintero arco
della permanenza in Europa; a produrre, per riprendere lefficace
espressione di Federica Sossi (2007, p. 34), vere e proprie biografie-
confine o biografie al confine. Anche il confine temporale costituti-
vo dellesperienza coloniale (cfr. supra, capp. II e IV) finisce cos per
essere nuovamente tracciato allinterno dello spazio europeo, contri-
buendo a definirne la cifra di eterogeneit postcoloniale.
100 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 100
4. Cittadini europei, nuovo razzismo e nuovo antirazzismo
Possiamo ora tornare alla definizione di spazio proposta da Mi-
chel de Certeau, su cui ci siamo in precedenza soffermati, per nota-
re che i processi schematicamente descritti sembrano mettere in di-
scussione la possibilit di distinguere in modo netto, secondo le mo-
dalit proposte dallo storico e antropologo francese, lo spazio stes-
so dal luogo. Vediamo la definizione di questultimo offerta da de
Certeau (2001, p. 175): un luogo lordine (qualsiasi) secondo il
quale degli elementi vengono distribuiti entro rapporti di coesistenza.
[...] Vale qui la legge del luogo proprio: gli elementi considerati so-
no gli uni a fianco degli altri, ciascuno situato in un luogo autonomo
e distinto che esso definisce. Un luogo dunque una configurazione
istantanea di posizioni. Implica una indicazione di stabilit.
Ora, questa definizione di de Certeau ben si presta a essere messa
in relazione con il concetto di polizia elaborato da Rancire (1995,
pp. 51 ss.), inteso cio come distribuzione e conto delle parti su
cui poggia uno specifico regime di organizzazione di una collettivit:
come qualcosa di molto simile a quella che definirei la cornice istitu-
zionale e giuridica della cittadinanza. Ma quel che accade in Europa
oggi precisamente il fatto che la mobilit dei confini finisce per dis-
articolare la stabilit della legge del luogo proprio, riaprendo
continuamente, nellagire stesso delle istituzioni e nel dispiegarsi dei
processi di governance, il movimento della sua produzione. Anche la
definizione del sistema di posizioni che definisce la cittadinanza eu-
ropea dipende in altri termini, per riprendere una delle tesi fonda-
mentali del citato lavoro di Enrica Rigo, dal modo in cui lo spazio
di circolazione europeo viene governato.
Saskia Sassen (2006, p. 293) ha scritto recentemente che, cos co-
me la cittadinanza costituisce un punto di vista privilegiato attraver-
so cui guardare alla trasformazione della struttura e alla qualit dei
diritti, la migrazione una lente che ci permette di comprendere le
tensioni e le contraddizioni che si scaricano sullappartenenza nazio-
nale. Lesperienza europea consente di dare un significato affatto pe-
culiare a queste affermazioni: essa mostra cio come i movimenti dei
migranti, espressione di complesse trasformazioni che investono ap-
punto il piano dellappartenenza e determinano il sorgere e il mol-
tiplicarsi di nuovi spazi sociali transnazionali (cfr. ad es. Pries, a cu-
ra di, 2001), entrino direttamente a determinare linsieme dei pro-
cessi attraverso cui viene quotidianamente prodotta la filigrana della
nuova cittadinanza europea in formazione. Da una parte, essi ne sfi-
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 101
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 101
dano continuamente i confini, costringendo la governance e il mana-
gement delle migrazioni a mimarne limprevedibilit, la flessibilit e
la turbolenza; dallaltra parte, come si mostrato nel precedente
capitolo, il nuovo regime migratorio europeo finisce per re-inscrive-
re il confine allinterno dello stesso spazio della cittadinanza, pro-
muovendo un processo di inclusione selettiva e differenziale dei mi-
granti (e del lavoro migrante) in quello stesso spazio. Quel che ne ri-
sulta la produzione di una molteplicit di posizioni giuridiche e di
una nuova stratificazione gerarchica, attorno a cui si riorganizzano
contemporaneamente, in Europa, la cittadinanza e il mercato del la-
voro e che trova il proprio limite nella presenza strutturale di mi-
granti illegali: di soggetti che, ancora con Saskia Sassen (2006, pp.
294-296), possiamo definire non autorizzati, ma riconosciuti.
Si potrebbe proseguire a lungo nellanalisi del nuovo regime mi-
gratorio europeo, che ha come propri cardini oltre alle tecniche di
controllo dei confini di cui si parlato da una parte il sistema del-
la detenzione amministrativa, che dallinterno dellEuropa si sta de-
localizzando ben oltre i suoi confini
7
, dallaltra il nesso tra permes-
so di soggiorno e contratto di lavoro, che limita strutturalmente la
mobilit sociale e spaziale dei migranti assegnandoli nei fatti a una
posizione subordinata allinterno del mercato del lavoro. Si potreb-
be ad esempio menzionare la circostanza che, negli ultimi anni, sem-
bra profilarsi in modo abbastanza netto la tendenza a gestire in modo
diverso la frontiera esterna orientale e quella meridionale dellU-
nione europea, favorendo processi di apertura selettiva della prima e
di chiusura della seconda (cfr. Gambino, Sacchetto 2007, pp. 35 s.).
E a questa tendenza, le cui motivazioni sono certo molto complesse
ma che produce come proprio effetto il privilegio di migrazioni
bianche rispetto a migrazioni di colore, corrisponde evidente-
mente una diversa posizione in Europa (allinterno dello spazio della
cittadinanza europea) dei migranti provenienti dalle due frontiere.
Ma proprio questa osservazione consente di tornare, in conclu-
sione, al tema delle metamorfosi del razzismo. A me pare evidente
che questo tema debba essere affrontato sullo sfondo dei processi che
si sono sommariamente descritti. Come portato di questi processi, la
linea del colore sta inscrivendosi, in fondo per la prima volta nella sto-
ria almeno per quel che riguarda il nostro Paese (mentre diverso ov-
102 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
7 Si veda, per una provvisoria mappa dei campi che a tutti gli effetti possono definir-
si europei http://www.migreurop.org/rubrique45.html. Per un inquadramento
teorico della problematica dei campi, cfr. Rahola 2006.
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 102
viamente il discorso per Paesi come la Gran Bretagna e la Francia),
allinterno della societ italiana ed europea, dando luogo al riemer-
gere, in condizioni pienamente postcoloniali, di forme di vero e
proprio apartheid e della distinzione, ben nota ai manuali di diritto
coloniale, tra cittadino e suddito (Balibar 2001; Balibar, Mezza-
dra 2006; supra, cap. IV). Lo stesso nuovo nazionalismo di cui si
parlato in apertura, colto nella sua articolazione con i livelli transna-
zionali emergenti di potere, finisce per legittimare e per assecondare
nelle sue ricadute quotidiane, indipendentemente dalle intenzioni
dei suoi proponenti, questi processi. E per aprire lo spazio in cui
opera il suo supplemento interno, il razzismo.
Le nuove fantasie di bianchezza, per citare uno splendido libro
di Ghassan Hage (1998) sulla realt australiana, che circolano in Ita-
lia e in Europa, lenfasi sulle radici storiche esclusive della civilt eu-
ropea, rilanciata nello scenario del post 11 settembre e della guer-
ra al terrorismo, non si limitano a produrre unimmagine mistifica-
ta della stessa storia europea, la cui spazialit stata per secoli deter-
minata da una complessa rete di transiti e scambi con altre terre e ci-
vilt, fino a divenire nella modernit inseparabile dalla violenza che
ha contraddistinto il progetto e le pratiche coloniali: mentre legitti-
mano imprese militari al di fuori (o ai margini) del territorio euro-
peo, segnano anche lo spazio al cui interno nuove retoriche e nuove
pratiche razziste si diffondono (cfr. Amin 2004).
Limitiamoci a un unico esempio, sottolineando tuttavia che esso
sintetizza tendenze e retoriche molto diffuse: ovvero al discorso di
Marcello Pera, tenuto al meeting di Comunione e Liberazione del
2005, contro i rischi del meticciato e dellibridismo, che minac-
cerebbero appunto di contaminare, per via della presenza crescente
di migranti di religione non cristiana, le radici italiche ed europee
della civilt. Si sarebbe tentati di rispondere a Pera con lironia di
Antonio Gramsci, che in una lettera scritta a un amico dal carcere di
San Vittore nel 1927, cos commentava il tanto strombazzato libro
di Henri Massis, Dfense de lOccident (1927), uno dei molti lamen-
ti sul declino dellEuropa pubblicati negli anni tra le due guerre, sul-
la scia del successo dei lavori di Oswald Spengler: ci che mi fa ri-
dere il fatto che questo egregio Massis, il quale ha una benedetta
paura che lideologia asiatica di Tagore e di Gandhi non distrugga il
razionalismo cattolico francese, non saccorge che Parigi diventata
una mezza colonia dellintellettualismo senegalese e che in Francia si
moltiplica il numero dei meticci. Si potrebbe, per ridere, sostenere,
che se la Germania lestrema propaggine dellasiatismo ideologico,
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 103
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 103
la Francia linizio dellAfrica tenebrosa e che il jazz-band la pri-
ma molecola di una nuova civilt eurafricana! (Gramsci 1988, vol. I,
pp. 95 s.).
Una straordinaria anticipazione gramsciana dei toni e dei temi
della critica postcoloniale degli ultimi anni, non c che dire. Il pun-
to consiste tuttavia, a mio giudizio, nel fatto che uomini come Pera
sono perfettamente consapevoli che nessuna metropoli europea po-
trebbe esistere, produrre, perfino essere competitiva sul mercato
mondiale, al di fuori della composizione ibrida e meticcia della
sua popolazione, della sua cultura, dei suoi stili di vita e natural-
mente del suo mercato del lavoro. Sta qui il punto cruciale, a mio giu-
dizio: le nuove configurazioni del razzismo con cui siamo costretti a
confrontarci oggi in Italia e in Europa non puntano ad assegnare po-
polazioni diverse a diversi spazi; sono piuttosto funzionali a sostene-
re (come loro supplemento interno) politiche migratorie che si
propongono di regolare la convivenza gerarchicamente ordinata di
corpi diversi allinterno di un medesimo territorio, fino a legittimare
vere e proprie forme di segregazione.
Non certo questo lunico angolo visuale a partire dal quale ana-
lizzare il razzismo contemporaneo in Europa: ma ricondurlo ai pro-
cessi di crisi e trasformazione dellordine nazionale del mercato del
lavoro e della divisione internazionale del lavoro, assumerlo come esi-
to (e ancora una volta come supplemento) di un regime migrato-
rio europeo che determina processi di inclusione selettiva e differen-
ziale dei migranti, da una parte illumina alcuni luoghi e alcune con-
dizioni della sua produzione; mentre dallaltra consente di ancorare
materialmente la stessa analisi dei dispositivi di stigmatizzazione e di
rappresentazione in cui si esprime e delle forme non certo esclusiva-
mente istituzionali (popolari) in cui si articola. E fornisce a mio av-
viso indicazioni fondamentali sui modi in cui combatterlo.
Proprio in quanto riguarda le condizioni complessive della citta-
dinanza europea in formazione (e dunque nulla ha di marginale e di
settoriale), la lotta anti-razzista non pu prescindere oggi dal pro-
tagonismo e dalle lotte dei migranti e delle migranti, dalle concrete
pratiche di cittadinanza che essi promuovono (preziose indicazioni in
proposito possono rinvenirsi ancora nei lavori di Sassen 2006, cap. 6,
e di Rigo 2007). Sono queste lotte e queste pratiche che stanno quo-
tidianamente decentrando e provincializzando lEuropa, aprendola al-
la scoperta delle potenzialit della condizione postcoloniale; e che
pongono le basi perch la crisi di cittadinanza sul cui sfondo agisce
il nuovo razzismo sia occasione di un profondo ripensamento delle
104 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 104
forme e delle norme della vita associata, a partire da una radicale
reinvenzione della sintesi di libert e uguaglianza. Lungi dal poter es-
sere presentata come lobiettivo da raggiungere, che consentirebbe la
soluzione dei problemi dei migranti e delle migranti, la cittadinan-
za europea appare cos assai pi un terreno di lotta, su cui una poli-
tica anti-razzista allaltezza dei tempi non pu evitare di porsi, arti-
colandosi su una molteplicit di livelli. Dentro e contro lo spazio di-
segnato dalle politiche migratorie europee, una nuova politica anti-
razzista pu essere elemento decisivo nellinvenzione di un nuovo
spazio europeo, attraversato da pratiche di lotta e di cooperazione ca-
paci di tenere strutturalmente aperta la critica permanente dei confi-
ni istituzionali della sua cittadinanza.
IL NUOVO REGIME MIGRATORIO EUROPEO 105
8 cap 5* 18-01-2008 0:25 Pagina 105
CAPITOLO SESTO
Vivere in transizione
Verso una teoria eterolinguale della moltitudine
The capitalist and the capitalist system have the aim of li-
mitless capital accumulation. In the realization of this aim,
capitalism stamps its products and its means of production
with the seal of market approval price. Only by transla-
ting all the varied qualities that constitute its products and
means for creating them into one common language, that
of currency, can the generator of capitalisms vitality, the
market, operate.
M.T. TAUSSIG, The Devil and Commodity Fetishism
in South America (1980)
1. Capitale come traduzione
impossibile cancellare le conseguenze della storia dellimpe-
rialismo, per quanto intensamente si possa desiderare che essa non
abbia mai avuto luogo. Prendiamo le mosse da questa affermazione
piuttosto generica dellintellettuale giapponese Naoki Sakai (1997, p.
18) per procedere a una ricognizione delle condizione specifiche in
cui la sua teoria della traduzione punto di riferimento tra laltro di
un progetto editoriale innovativo e importante come quello della col-
lana Traces
1
pu offrire strumenti utili al tentativo di stabilire
nuove basi per una teoria critica della politica. Analizzer queste con-
dizioni in primo luogo dal punto di vista del significato che assume
la dimensione globale in formazione di fronte ai nostri occhi entro
un processo di transizione che non sembra prossimo a concludersi.
Lungi dallessere caratterizzata da omogeneit, la dimensione globa-
le profondamente eterogenea sia per quel che concerne la sua co-
stituzione spaziale sia per quel che concerne la sua costituzione tem-
porale. Al cuore stesso dei processi attraverso cui i rapporti di pote-
re sono ridefiniti nel presente e attraverso cui il capitale globale af-
1 Attualmente pubblicati dalla Hong Kong University Press, i volumi della collana
fino a oggi ne sono stati pubblicati quattro escono contemporaneamente in in-
glese, cinese, giapponese e coreano. Traces intesa come una radicale sfida alla
differenza coloniale che secondo Naoki Sakai continua a organizzare la produ-
zione e la circolazione del sapere e si presenta come spazio transnazionale e trans-
linguistico di elaborazione critica consapevole della propria collocazione geografica
nellAsia orientale ma aperto a contributi provenienti da altre realt. Per una pre-
sentazione del progetto, si veda http://www.arts.cornell.edu/traces/index.htm
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VIVERE IN TRANSIZIONE 107
ferma il proprio dominio si pongono essenziali problemi di articola-
zione della molteplicit di spazi e tempi che compongono la dimen-
sione globale.
Nei dibattiti degli ultimi anni, il concetto di articolazione stato
ampiamente utilizzato in particolare nella influente variante propo-
sta a met degli anni Ottanta da Ernesto Laclau e Chantal Mouffe
sulla base della loro specifica lettura di Gramsci. A loro giudizio, la
pratica dellarticolazione [...] consiste nella costruzione di punti no-
dali che fissano parzialmente il significato; e il carattere parziale di
questa fissazione del significato deriva dalla strutturale apertura del
sociale, a sua volta da considerare un esito del fatto che ogni discor-
so ecceduto dallinfinitezza del campo della discorsivit (Laclau,
Mouffe 2001
2
, p. 113). Nonostante i rilievi critici di Stuart Hall a que-
sto proposito (Hall 1986), la definizione di articolazione proposta da
Laclau e Mouffe sostanzialmente coerente con luso che lui stesso
ha fatto del concetto. Hall si riferisce attraverso di esso allemergere
di una nuova forza storica o, per essere pi precisi, allemergere di
una nuova serie di soggetti politici e sociali attraverso una connes-
sione non-necessaria tra questa forza storica e nuove costellazioni
ideologiche. sulla base di simili autorevoli posizioni che il concetto
di articolazione divenuto un punto di riferimento essenziale in nu-
merose proposte di ripensamento della politica dei movimenti socia-
li, spesso orientate nel senso di una politica delle identit.
Dal mio punto di vista, il problema essenziale a proposito di que-
ste posizioni teoriche consiste nel fatto che esse non sembrano fare i
conti fino in fondo con il fatto che larticolazione un momento stra-
tegico nello stesso concetto di capitale. Se questo vero in generale
al livello della categoria logica di capitale basti ricordare il classico
problema della mediazione delle singole frazioni di capitale nellu-
nit di quello che Marx definisce capitale complessivo (Kapital im
allgemeinen) la questione dellarticolazione diviene tanto pi cru-
ciale nel nostro presente globale. Articolare livelli geografici, politi-
ci, giuridici, sociali e culturali radicalmente eterogenei nella dimen-
sione globale dei circuiti contemporanei dellaccumulazione uno
dei problemi cruciali di fronte a cui si trova il capitalismo contem-
poraneo. E anche dal punto di vista del capitale, larticolazione con-
siste nella costruzione di punti nodali che si distendono sullintera
dimensione globale. Ma il significato di questi punti nodali capitali-
stici (per fare qualche esempio: le grandi borse globali, agenzie di ra-
ting e di servizi per gli investimenti come Moodys, studi legali trans-
nazionali, attori internazionali e statuali impegnati nella promozione
9 cap 6 18-01-2008 0:28 Pagina 107
108 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
della globalizzazione neoliberale, e cos via lungi dallessere solo
parzialmente fissato. piuttosto fissato in modo assoluto, e costi-
tuisce un limite radicale a quel che Laclau e Mouffe definiscono
lapertura del sociale. E nondimeno, come sostiene Stuart Hall
(1986), larticolazione funziona effettivamente come un linguaggio.
Pi precisamente: funziona come un linguaggio quando si trova di
fronte a una pluralit di altri linguaggi che devono essere ridotti al
suo codice.
Articolazione significa dunque traduzione, e una delle tesi di fon-
do di questo capitolo che la traduzione costituisca oggi uno dei mo-
di essenziali di funzionamento del capitale globale. Il capitale come
traduzione sta costruendo la sua propria dimensione globale: il lin-
guaggio del valore (valore di scambio nella sua pura forma logica)
la struttura semantica, e soprattutto la grammatica, di questa dimen-
sione, che si riproduce attraverso una variante intensificata di quel
che Naoki Sakai ha definito homolingual address, indirizzo omolin-
guale (Sakai 1997, pp. 3 ss.). In questa modalit di comunicazione,
il soggetto dellenunciazione si rivolge ai destinatari del proprio dis-
corso assumendo la stabilit e lomogeneit tanto della propria lin-
gua quanto di quella di chi lo ascolta; anche quando le due lingue dif-
feriscono, il locutore parla come se gli interlocutori appartenesse-
ro alla sua stessa comunit linguistica, assegnando alla traduzione il
compito di rendere trasparente la comunicazione e riproducendo co-
s il primato la vera e propria sovranit della sua lingua. Si pu
aggiungere che questo indirizzo al tempo stesso uninterpellazio-
ne, per riprendere i termini proposti da Louis Althusser: la moltepli-
cit dei linguaggi (ovvero di forme di vita, di relazioni sociali, di cul-
ture) che il capitale incontra nel distendere e nel codificare le sue
eterogenee catene di valore (Spivak 1999, pp. 117-128) vengono
investite da un indirizzo e da uninterpellazione che veicolano lim-
perativo di conformarsi al linguaggio del valore.
Un alto grado di ibridismo e una molteplicit di differenze pos-
sono essere tollerati e perfino promossi dal capitale, come stato ef-
ficacemente mostrato da Michael Hardt e Toni Negri (2000, parte II,
cap. 4): ma la sua struttura semantica rimane omolinguale nella mi-
sura in cui dominata dal linguaggio del valore. E nondimeno, an-
che considerando questa struttura secondo la prospettiva suggerita
dal concetto di traduzione, essa si conferma profondamente antago-
nistica. La traduzione stessa pu essere uno strumento analitico estre-
mamente utile per sviluppare unanalisi degli antagonismi che con-
traddistinguono il capitalismo globale. Questi antagonismi devono
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VIVERE IN TRANSIZIONE 109
essere colti al livello stesso di quella che, riprendendo linterpreta-
zione di Marx proposta da Jason Read, possiamo chiamare produzio-
ne di soggettivit (Read 2003, p. 153). Il capitale come traduzione si
rivolge ai suoi soggetti (li interpella), a un livello evidentemente mol-
to astratto, prescrivendo forme di soggettivit le cui pratiche e i cui
linguaggi possano essere tradotte nel linguaggio del valore.
La produzione di valore, nel tempo globale, tende sempre pi a
identificarsi con questo genere di traduzione. Come ha mostrato in
modo particolarmente convincente Christian Marazzi, nelleconomia
capitalistica contemporanea il linguaggio e la comunicazione attra-
versano strutturalmente e contemporaneamente sia la sfera della pro-
duzione e distribuzione di beni e servizi, sia la sfera finanziaria (Ma-
razzi 2002, p. 10). La mediazione (larticolazione) tra i differenti li-
velli di produzione di valore nellunit del capitale pu essere essa
stessa considerata una mediazione linguistica, in buona sostanza una
traduzione. Da questo punto di vista, appare particolarmente impor-
tante ricordare che, come affermano Naoki Sakai e Jon Solomon, la
traduzione indica in primo luogo una relazione sociale, le cui forme
permeano lattivit linguistica complessivamente intesa, piuttosto che
designare una situazione secondaria o eccezionale (Sakai, Solomon
2006, p. 9).
Il concetto stesso di sfruttamento deve essere ridefinito e appro-
fondito in queste condizioni. E sono convinto che in ci consista uno
dei compiti essenziali di fronte a cui il pensiero critico si trova oggi.
Gli studi culturali e postcoloniali, come esplicitamente affermato da
Stuart Hall (1992), si sono trovati molto pi a proprio agio nel con-
centrarsi sul potere piuttosto che sullo sfruttamento. E conseguente-
mente hanno teso ad articolare la propria dimensione politica nei ter-
mini di una critica dei rapporti di potere piuttosto nei termini di una
critica dello sfruttamento, che implicherebbe una ricognizione della
sua mutata geografia nonch della sua intensificazione. Per quanto
lenfasi foucaultiana sulla natura produttiva del potere abbia giocato
un ruolo essenziale negli studi culturali e postcoloniali degli ultimi
anni, questa enfasi unilaterale sul potere ha finito per riprodurre una
sorta di primato logico (e di esteriorit) del potere rispetto ai mo-
vimenti e alle pratiche dei soggetti.
Tornando alla tesi di Jason Read, il caso di ricordare che alla
base del modo di produzione capitalistico c produzione di sogget-
tivit nel doppio senso del genitivo: la costituzione della soggettivit,
di un particolare comportamento soggettivo, e daltra parte la po-
tenza produttiva della soggettivit, la sua capacit di produrre ric-
9 cap 6 18-01-2008 0:28 Pagina 109
110 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
chezza (Read 2003, p. 153). Per dirla in un modo schematico (e non
senza correre il rischio di una eccessiva semplificazione), possiamo
affermare che il concetto di potere rende conto delle modalit con
cui si produce la costituzione della soggettivit, mentre il concetto
di sfruttamento si riferisce agli scontri e alle lotte che si producono
sul terreno della riduzione della capacit soggettiva di produrre ric-
chezza alla norma del lavoro astratto, presupposto della sua tradu-
zione nel linguaggio del valore. Questi scontri e queste lotte non si
determinano soltanto nella produzione di ricchezza materiale, ma
anche nella produzione di beni immateriali come cultura, struttu-
re linguistiche e simboliche, conoscenza e immaginari. Segnano, co-
me ha mostrato ad esempio in modo particolarmente brillante Brett
Neilson (2004), la stessa produzione delle astrazioni reali che ren-
dono possibile lindirizzo omolinguale e il regime di traduzione del
capitale.
Dobbiamo guardare allo sfruttamento dal punto di vista del lavo-
ro vivo che viene investito e catturato dal capitale attraverso mo-
dalit molteplici ed eterogenee, che convergono tutte verso la pro-
duzione della sua dimensione globale. La composizione del lavoro vi-
vo contemporaneo attraversata e segnata da questa molteplicit del-
le modalit della sua cattura da parte del capitale. E se questulti-
mo articola la propria dimensione globale attraverso la traduzione nel
linguaggio del valore, il nostro compito consiste nel pensare la costi-
tuzione di un soggetto collettivo capace di porsi come soggetto di tra-
sformazione radicale a partire dagli antagonismi e dai conflitti che
contraddistinguono ogni singolo momento di cattura. quasi su-
perfluo aggiungere che nessuno di questi momenti pu essere inteso
come meramente individuale, considerato che tutti investono reti di
cooperazione sociale che a loro volta producono forme di soggettivi-
t. Nellultimo paragrafo del capitolo si tenter di applicare il con-
cetto di indirizzo eterolinguale proposto da Naoki Sakai ai proble-
mi della costituzione di un nuovo soggetto politico come processo at-
traverso cui la politica della liberazione deve essere ripensata oggi.
Ma prima necessario render conto della citazione da cui abbia-
mo preso le mosse. Perch la storia del colonialismo e dellimperiali-
smo moderni cos importante per comprendere la situazione con-
temporanea? Nel prossimo paragrafo cercher di mostrare che il ca-
pitale come traduzione riproduce in condizione pienamente post-
coloniali una delle caratteristiche di fondo del progetto coloniale
dellOccidente.
9 cap 6 18-01-2008 0:28 Pagina 110
VIVERE IN TRANSIZIONE 111
2. Il capitale e lOccidente
Fin dal suo inizio, la storia del capitale storia mondiale. Come
Marx afferma in modo perentorio nei Grundrisse, la tendenza a
creare il mercato mondiale data immediatamente nel concetto di ca-
pitale. Ogni limite (Grenze) si presenta qui come ostacolo da supera-
re (Marx 1857-58, vol. II, p. 9). La storia del capitale non pu esse-
re compresa se non la si intende anche nei termini della costruzione
di questa scala geografica senza precedenti (Guha 2002, pp. 35 e 43).
Il tempo e lo spazio del capitale sono strutturalmente intrecciati lu-
no con laltro nel progetto della modernit. Come Walter Mignolo e
Anibal Quijano hanno sottolineato dal punto di vista latino-america-
no, ci di cui abbiamo bisogno una ricostruzione di questo nesso
strutturale tra tempo e spazio allinterno della storia del capitale che
sia in grado di spiazzare limmaginario stesso prodotto dal capitale
come sistema mondo nel corso del suo sviluppo. La sconnessione
tra due diverse forme di modernit la modernit imperiale e la mo-
dernit coloniale vive al cuore della definizione della modernit in
generale, nella costituzione del mondo gerarchico e non democrati-
co del capitale. Una volta di pi, siamo di fronte a un problema di
articolazione. La storia del capitale non pu essere disgiunta dal fatto
che entrambe le forme di modernit sono legate a un indice comu-
ne, il valore normativo dellOccidente (Sakai, Solomon 2006, p. 21).
Questo indice comune articola sia al livello materiale sia al livello epi-
stemico la storia del capitale come storia mondiale.
Nel momento stesso in cui dobbiamo riconoscere lefficacia di
questa articolazione, dobbiamo anche ricordare che essa ha operato
attraverso il dominio e la violenza, e che fin dalle origini della mo-
dernit dominio e violenza hanno dovuto fare i conti con molteplici
forme di resistenza. La storia mondiale del capitale essa stessa frat-
turata da una sorta di doppio movimento, e dobbiamo rendere conto
di questo doppio movimento in ogni tentativo di ricostruirla. Da una
parte abbiamo un processo di espansione del capitale che produce la
sua specifica geografia, dando luogo in particolare a peculiari rela-
zioni tra centro e periferia; dallaltra parte abbiamo forme e pratiche
di resistenza che spiazzano questa stessa geografia. Da una parte ab-
biamo un immaginario costruito attorno alla centralit dellEuropa e
dellOccidente; dallaltra parte abbiamo limmaginario conflittuale
che emerge da e con la differenza coloniale (Mignolo 2001, p. 57).
Questa scissione si inscrive allinterno del concetto stesso di Occi-
dente, e deve essere posta in evidenza quando si analizzano le varie
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112 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
serie di opposizioni che lOccidente ha prodotto per rendere conto
degli incontri coloniali che costituiscono la storia moderna in storia
mondiale: lAsia e lOccidente, the West and the Rest, e cos via.
da questo punto di vista che, come ha scritto Naoki Sakai, la
modernit non pu essere compresa se non in riferimento alla tra-
duzione (Sakai 2000a, p. 797). Lunit del tempo storico moderno
(che echeggia nella sua struttura omogenea e vuota quella che
Marx ha definito loggettivit spettrale del capitale) sempre sta-
ta necessariamente prodotta attraverso una sorta di violenta sincro-
nizzazione di una pluralit di tempi eterogenei. E questa violenta sin-
cronizzazione essa stessa un atto di traduzione. Vale la pena di sot-
tolineare che questo problema particolarmente acuto nel momen-
to della transizione al capitalismo, in quel processo di accumulazio-
ne originaria in cui si tratta di produrre le condizioni di esistenza del
capitalismo (cfr. infra, appendice). Come scrive Dipesh Chakrabarty,
il problema della modernit capitalistica non pi interpretabile co-
me semplice fenomeno sociologico di transizione storica [...] poich
esso si presenta anche come problema di traduzione (Chakrabarty
2000, pp. 34 s.). Il punto che, considerata in questi termini, la trans-
izione al pari del resto dellaccumulazione originaria (Perelman
2000; De Angelis 2007, pp. 136-141) non soltanto una categoria
storica; al tempo stesso una categoria logica che opera al cuore stes-
so del concetto di capitale.
Possiamo anche porre la questione in questi termini: la transizio-
ne equivale alla produzione delle condizioni di possibilit della tra-
duzione, attraverso il regime di indirizzo omolinguale che rende a
sua volta possibile il capitale. E mi pare evidente che, se guardiamo
da questo punto di vista al concetto di transizione, proprio la trans-
izione nei contesti coloniali a rivelare nel modo pi nitido il problema
di fondo che contraddistingue la transizione al capitalismo. Marx ha
tentato di cogliere questo problema attraverso il concetto di modo
di produzione asiatico, che proprio per questa ragione continua a
meritare unattenta analisi indipendentemente dai suoi limiti e dalle
distorsioni da esso prodotte nellanalisi di situazioni storiche e cultu-
rali particolari (Spivak 1999, pp. 98 e 115): lo specifico tipo di etero-
geneit che il capitalismo ha incontrato nei contesti non europei rese
la difficolt generale di stabilire le condizioni della sua traduzione nel
linguaggio del valore ancor pi acuta di quanto non fosse nellEuro-
pa occidentale (dove comunque, come sappiamo dallanalisi marxia-
na della cosiddetta accumulazione originaria, richiese un formida-
bile impiego di violenza). Quel che va aggiunto che il problema del-
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VIVERE IN TRANSIZIONE 113
la transizione riemerge in ogni momento storico in cui le condizioni
della traduzione devono essere ristabilite su nuove basi. La mia tesi
precisamente che il capitalismo globale contraddistinto dal fatto
che il capitale come traduzione costretto ad affrontare il problema
della produzione delle condizioni di possibilit della traduzione al li-
vello stesso del suo operare quotidiano. Accumulazione primitiva e
transizione (ci che Marx definiva la preistoria del capitale) sono
gli spettri che ritornano a ossessionare il capitale al livello pi alto del
suo sviluppo storico.
Naoki Sakai ha posto brillantemente in evidenza che il concetto
di modernit non pu mai essere compreso senza riferirsi alla cop-
pia moderno/premoderno E ha sottolineato il fatto che questa cop-
pia strutturalmente legata a una comprensione geopolitica dellOc-
cidente come spazio della modernit e del non-Occidente come spa-
zio della premodernit. La relazione tra questi due spazi stata arti-
colata dalla grande narrazione della modernizzazione, che ha assun-
to la forma di diverse teorie degli stadi dello sviluppo storico (cfr.
supra, cap. III). Il concetto di Occidente esso stesso emerso storica-
mente nel pieno dellinterazione con lAltro da s, ponendosi co-
me il terreno comune su cui le differenze storiche e culturali do-
vevano essere rese commensurabili. Luniversalismo moderno in ef-
fetti impensabile al di fuori di questa continua opera di traduzione:
come scrive Sakai, lOccidente in se stesso particolare, ma costi-
tuisce anche il punto di riferimento in relazione al quale gli altri si
riconoscono come particolarit. In questo senso, lOccidente si pen-
sa nella forma dellubiquit (Sakai 1997, pp. 154 s.). Limpronta co-
loniale delluniversalismo moderno consiste precisamente in questo
movimento di traduzione (cfr. Adamo 2007, pp. 197 s.), e c da que-
sto punto di vista una strutturale affinit elettiva tra luniversalismo
moderno e il capitale.
importante sottolineare, riprendendo gli sviluppi della critica
postcoloniale, che questo movimento di traduzione non ha mai fun-
zionato in modo liscio, dato che stato interrotto, sfidato e conti-
nuamente ibridato dai molteplici interventi dei soggetti non occi-
dentali. Ma egualmente necessario non dimenticare lefficacia
dellindirizzo omolinguale dellOccidente nel suo tentativo di im-
prontare contemporaneamente una topografia del sapere e una geo-
politica del potere. Lenfasi posta da Naoki Sakai sulle rivendica-
zioni di simmetria ed eguaglianza, sul rapporto imitativo con lOc-
cidente che ha caratterizzato attraverso una logica di co-figura-
zione la nascita e la storia del pensiero giapponese moderno (Sakai
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114
1997, pp. 48 e 68; cfr. anche Sakai 2000b), una buona esemplifica-
zione di questa efficacia. Al tempo stesso, la sua critica della retorica
dei valori asiatici, in cui non vede altro che un semplice rovescia-
mento del culturalismo eurocentrico (Sakai 2000a, p. 800), ci ricor-
da che lOccidente continua a esercitare una grande influenza nel
presente globale.
Ci nondimeno, vale la pena di considerare lipotesi che il nostro
tempo sia caratterizzato dal venire a maturazione della lunga crisi del-
le strutture di potere che hanno storicamente articolato e incanalato
lindirizzo omolinguale occidentale allinterno di uno specifico re-
gime di traduzione. Linstabilit del capitale globale trova qui una
delle sue radici pi importanti: per metterla ancora una volta in ter-
mini molto astratti, ogni atto di traduzione capitalistica almeno po-
tenzialmente costretto a confrontarsi con il problema di riaffermare
le condizioni che rendono quella traduzione possibile. I movimenti e
le lotte anticoloniali hanno vittoriosamente sfidato e disarticolato il
metaconfine che separava il tempo e lo spazio metropolitani da
quelli coloniali, costringendo il capitale e lOccidente stesso a misu-
rarsi con una geografia del potere assai pi complessa, postcoloniale
(cfr. supra, cap. I). una geografia attraversata e fratturata da linee
di conflitto e da rapporti di potere, da una molteplicit di confini a
cui corrispondono grandi squilibri nella distribuzione della ricchezza.
Ma la sua crescente complessit rende sempre pi difficile interpre-
tarla utilizzando categorie rigide, fisse, di centro e periferia, Nord e
Sud del mondo. Modernit non pi sinonimo di Occidente, e la
sconfitta dellunilateralismo statunitense in Iraq dovrebbe pur sug-
gerire qualcosa a proposito della crisi del tradizionale imperiali-
smo. Il capitale globale stesso non pi necessariamente occiden-
tale nella sua composizione. Ma quel che rimane potente, e ancora ri-
chiede di essere provincializzato e disarticolato, sicuramente lOc-
cidente (non solo lEuropa) come figura immaginaria (Chakrabarty
2000, p. 16) che continua a indirizzare la propria interpellazione ai
soggetti che abitano il presente globale.
A me pare che questa persistente influenza dellOccidente come
figura immaginaria sia elemento costitutivo del durevole dominio
del capitale su scala mondiale. precisamente la profonda affinit tra
lindirizzo omolinguale dellOccidente e il regime di traduzione at-
traverso cui opera il capitale ci che garantisce la riproduzione di
quella figura immaginaria ben al di l della retorica dello scontro
di civilt e della guerra al terrore. Concordo con Naoki Sakai e
Jon Solomon sul fatto che, in queste condizioni, la critica delleuro-
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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VIVERE IN TRANSIZIONE 115
centrismo tende a divenire una buona retorica per le elite, la cui sog-
gettivit si forma in parte in una competizione con lOccidente re-
sa possibile dallaccumulazione (di classe) di valore prodotto dal la-
voro di coloro che sono socialmente sottoposti a quelle stese elite
(Sakai, Solomon 2006, p. 21). Non questa la via che mi interessa se-
guire. In qualche modo penso che si debba accettare il pieno dispie-
gamento della logica del capitale, che si debba perfino accettare per
metterla in termini provocatori il divenire mondo dellOccidente
sotto il dominio del capitale, che si debbano cartografare con scru-
polosa attenzione i nuovi antagonismi che segnano questo processo.
E che si debba muovere in direzione della ricerca di un nuovo regi-
me di traduzione, capace di interrompere e disarticolare lindirizzo
omolinguale del capitale e di aprire nuovi spazi di libert e ugua-
glianza. Spazi in cui un nuovo mondo possa essere inventato: un
mondo al di l di the West e al di l di the Rest.
3. Tempo e spazio del capitalismo globale
Tempo e spazio sono stati al centro del dibattito sulla globalizza-
zione fin dal suo inizio. Limmagine della compressione spazio-tem-
porale, originariamente proposta da David Harvey (1989), diven-
tata una sorta di luogo comune nella letteratura contemporanea sul-
largomento. Ritengo che sia necessario andare oltre questo luogo co-
mune e assumere come oggetto di ricerca trasformazioni molto pi
profonde nellarticolazione di spazio e tempo, che sembrano prefigu-
rare modalit di esperienza politica, economica, sociale e culturale as-
sai diverse da quella associata al cronotopo, per riprendere une-
spressione di Michail Bachtin, che ha caratterizzato la modernit. Per
dirla nei termini pi semplici possibili: la figura retorica della com-
pressione spazio-temporale sembra assumere come scontata lunit
di tempo e spazio, e tende quindi a produrre unimmagine della di-
mensione globale contemporanea che paradossalmente finisce per ri-
sultare una sorta di specchio del modo in cui spazio e tempo sono
immaginati dal capitale: ovvero, come dimensioni lisce, omoge-
nee e vuote, mere coordinate dei processi di accumulazione. E so-
prattutto non affronta il problema cruciale della produzione di que-
ste dimensioni e di queste coordinate.
Qualcosa di simile pu essere detto anche a proposito delluso
dellimmagine dei flussi per descrivere il paesaggio dellet globa-
le: come Anna Tsing ha efficacemente posto in evidenza, anche que-
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116
sta immagine conduce troppo spesso a ignorare la cesellatura dei ca-
nali e la continua ridefinizione delle mappe e delle possibilit della
geografia che rendono questi flussi possibili (Tsing 2000, p. 327; ma
si veda anche Ferguson 2006, p. 47), limitando, bloccando e addo-
mesticando altri flussi (in modo particolare i movimenti dei e delle
migranti). Mentre limmagine dei flussi tende a circoscrivere lanalisi
della condizione globale al livello della circolazione, ci di cui vi ur-
gente necessit una volta di pi una critica dei rapporti di produ-
zione che sono celati al disotto della superficie della circolazione,
per usare la metafora suggerita da Marx: ma dobbiamo al tempo stes-
so essere consapevoli del fatto che questi rapporti di produzione non
hanno a che fare soltanto con i rapporti di lavoro intesi in senso tra-
dizionale, riferendosi piuttosto pi in generale al processo di fab-
bricazione degli oggetti e dei soggetti che circolano, dei canali della
circolazione e degli elementi di contorno, paesaggistici, che delimi-
tano e danno forma a questi canali (Tsing 2000, p. 337).
Guardiamo alle trasformazioni dello spazio da un punto di vista
politico, riprendendo e sviluppando alcuni elementi analitici propo-
sti nel precedente capitolo. Sovranit e diritto, si visto, sono stati in
et moderna i due criteri fondamentali di definizione di uno spazio
politico nellesperienza europea (Galli 2001): un territorio era defi-
nito nella sua unit come ambito geografico di validit di una parti-
colare sovranit statale e di un particolare ordinamento giuridico (na-
zionale). Oggi, mentre assistiamo allemergere di un diritto globale
centrato su una molteplicit di regimi globali ma parziali che ri-
spondono ai bisogni di settori specializzati, la sovranit rimane una
propriet sistemica, ma la sua localizzazione istituzionale e la sua ca-
pacit di legittimare e assorbire tutto il potere, di essere la fonte del
diritto, sono divenute instabili (Sassen 2006, pp. 242 e 415). A me
pare che limmagine di una costituzione mista dellImpero, propo-
sta da Hardt e Negri (2000, parte III, cap. 5), sia particolarmente ef-
ficace nel rendere conto della situazione che emerge da queste com-
plesse trasformazioni. Ma dobbiamo sempre ricordare che questa im-
magine al pari del resto dello stesso concetto di Impero va utiliz-
zata a partire da unaccentuata consapevolezza della sua natura ten-
denziale, e non come unimmagine capace di riflettere un modello
fisso, gi pienamente dispiegato. Questo significa prendere seria-
mente in considerazione, come elemento che definisce il concetto
stesso e non come occasionale perturbazione, la possibilit che su
ogni livello di articolazione della costituzione mista si producano
scontri e conflitti. E al tempo stesso conduce a considerare la stessa
LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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produzione dello spazio che corrisponde alla costituzione mista co-
me un processo dinamico e costantemente in evoluzione.
Da questo punto di vista, un concetto che trovo particolarmente
rilevante e produttivo quello di spazi laterali, o latitudini, pro-
posto da Aihwa Ong proprio nel contesto di una discussione critica
di alcune tesi di Impero. Anche se, a mio parere, Ong tende a sem-
plificare eccessivamente largomentazione di Hardt e Negri, il con-
cetto di latitudini pu essere di grande utilit per approfondire la-
nalisi delle trasformazioni che stanno ridefinendo la geografia politi-
ca ed economica sotto il segno del capitale globale. In buona sostan-
za, Ong sottolinea il fatto che lespansione su scala planetaria dei
mercati non corrisponde a una omogeneizzazione delle modalit di
controllo sul lavoro e delle forme di organizzazione del lavoro stes-
so. Piuttosto, siamo di fronte allemergere di spazi striati di produ-
zione, che combinano differenti tipi di regime lavorativo e, contra-
riamente allidea di una transizione lineare da forme disciplinari a
modalit regolative di controllo, le reti contemporanee di produ-
zione si distendono su modi carcerari di disciplina lavorativa (Ong
2006, pp. 121 e 124).
Mentre lunit stessa degli spazi nazionali nel Sudest asiatico e in
Cina disarticolata dalloperare del neoliberalismo come eccezio-
ne e da vere e proprie zoning technologies che aprono e delimitano
gli spazi in cui la norma del calcolo mercantile viene introdotta nel-
la gestione delle popolazioni (ivi, p. 3), spazi laterali ed enclave ri-
producono su una scala transnazionale condizioni di segregazione del
lavoro che tendono a essere etnicizzate. Questo concetto di latitu-
dini, che sarebbe opportuno accostare allanalisi delle enclave mi-
nerarie in Africa recentemente proposta da James Ferguson (2006,
pp. 13 s., 34-38 e 194-210), consente di precisare limmagine delle-
terogeneit dello spazio globale del capitalismo. Ma al tempo stesso
d unidea della struttura complessa del tempo globale: ricostruendo
larchitettura delle reti di produzione di sistemi elettronici gestite da
manager asiatici, che esibisce una peculiare compenetrazione di al-
ta tecnologia e di tecniche etnicizzate di vera e propria incarcerazio-
ne del lavoro, Ong osserva che la distensione geografica delle eco-
nomie di rete spesso accompagnata a una sorta di distensione tem-
porale, da quel che appare una regressione a pi antiche forme di
disciplinamento del lavoro, la cui epitome costituita dallo sweat-
shop ad alta tecnologia (Ong 2006, p. 125).
un problema che possiamo tentare di affrontare utilizzando la
distinzione marxiana, pi volte richiamata nei capitoli precedenti, tra
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sussunzione formale e sussunzione reale del lavoro sotto il capi-
tale, a cui corrisponde quella tra plusvalore assoluto e plusvalo-
re relativo. Cruciale, in questa distinzione, precisamente un pro-
blema di diversi tempi storici: non nel senso, come spesso si tende a
mio giudizio erroneamente a pensare, che le due modalit di sus-
sunzione si limiterebbero a definire due diversi stadi nello svi-
luppo del modo di produzione capitalistico, ma piuttosto nel senso
che esse si riferiscono a due diverse modalit di rapporto del capita-
le con il tempo. Mentre la sussunzione reale indica una situazione in
cui il capitale stesso organizza direttamente le modalit di lavoro e di
cooperazione, producendo una sorta di sincronia tra il tempo del-
laccumulazione capitalistica e il tempo della produzione, la sussun-
zione formale si riferisce a una diversa situazione: a una situazione
cio in cui il capitale incontra (Marx usa il verbo vorfinden) forme di
organizzazione e disciplinamento del lavoro gi esistenti (Marx
1857-58, vol. II, p. 136, c.n.); e si limita a incorporarle (e a sfruttarle)
nel suo processo di sviluppo. La sussunzione formale indica dunque
una situazione in cui una specifica sconnessione temporale si inscrive
nella struttura stessa del capitale.
Lungi dallessere un residuo del passato, la sussunzione formale
si riproduce e interseca la sussunzione reale nel tempo del capitale
globale. Inoltre, come mostra lesempio della produzione di sistemi
elettronici proposto da Ong, la distinzione tra sussunzione formale e
sussunzione reale non pu essere assunta come criterio attorno a cui
organizzare un tentativo di cartografare la geografia del capitale glo-
bale, come se fosse possibile porre il Nord globale come spazio
della sussunzione reale e il Sud globale come spazio della sussun-
zione formale. Una volta di pi, il problema che si presenta quello
di rendere conto dellarticolazione tra le due diverse forme di sus-
sunzione, della loro traduzione nel linguaggio unitario del valore.
Pi in generale, proprio la radicale eterogeneit del tempo e del-
lo spazio globali che rende articolazione e traduzione momenti stra-
tegici nel concetto stesso di capitale globale, una volta che si inter-
preti questo concetto come epitome della determinazione capitalisti-
ca del mondo in cui viviamo. A me pare che uno degli operatori lo-
gici fondamentali di articolazione e traduzione possa essere identifi-
cato nel confine. In vari scritti, tienne Balibar ha sostenuto che il
confine, lungi dallessere un elemento marginale, tende oggi a inscri-
versi al centro della nostra esperienza politica, sociale e culturale.
LEuropa stessa, secondo Balibar, si sta trasformando in un border-
land, in una terra di frontiera (Balibar 2005; cfr. Balibar, Mezzadra
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2006). Ma quel che occorre aggiungere che oggi i confini sono in-
vestiti da profondissime trasformazioni, da trasformazioni che ride-
finiscono il concetto stesso di confine. Riprendendo unampia lette-
ratura sul tema (cfr. Mezzadra 2006, parte II, cap. 4; Rigo 2007; Cut-
titta 2007), si pu affermare che i confini stanno diventando mobili
senza cessare di produrre meccanismi di chiusura anche estrema-
mente rigidi, tendono a deterritorializzarsi senza cessare di inve-
stire luoghi determinati.
Come gi si visto nei due precedenti capitoli, lesperienza euro-
pea particolarmente significativa da questo punto di vista. Se si con-
siderano congiuntamente il cosiddetto processo di allargamento e il
nuovo regime di controllo delle migrazioni che sta emergendo a li-
vello di Unione europea, la mobilit dei confini pu essere analizza-
ta sia considerandoli dispositivi strategici nel determinare larticola-
zione dello spazio europeo con gli spazi adiacenti (nonch la tradu-
zione del diritto europeo allinterno di altri ordinamenti), sia consi-
derandoli vere e proprie tecniche biopolitiche (nel senso che si visto
in Walters 2002): tecniche che, possiamo aggiungere ora, iscrivono
allinterno della cittadinanza europea spazi laterali attorno a cui
possono essere riorganizzati i mercati del lavoro. Enrica Rigo ha mo-
strato efficacemente come in Europa stiano emergendo nuove gerar-
chie al livello stesso della regolazione giuridica, e come esse stiano
disarticolando la tradizionale omogeneit formale della cittadinanza
moderna. E mentre queste nuove gerarchie stanno penetrando nella
struttura dei mercati del lavoro, tracciando veri e propri confini di
produzione (Rigo 2007, pp. 191-197), si vanno definendo anche una
serie di confini temporali, come risultato della varie sale dattesa
apprestate per i migranti sia sulle rotte da essi seguite nel viaggio ver-
so lEuropa sia allinterno dello spazio europeo: la condizione giuri-
dica dei migranti finisce per essere regolata secondo una transito-
riet destinata, per, a protrarsi indefinitamente (ivi, p. 214).
A me pare che valga la pena di collegare questo concetto di con-
fini temporali, di cui si vista in precedenza la rilevanza allinterno
del moderno progetto coloniale europeo e occidentale (cfr. supra, in
specie cap. II), con i problemi determinati dallarticolazione tra sus-
sunzione formale e sussunzione reale del lavoro sotto il capitale,
e di assumere i confini temporali come dispositivi cruciali nel pro-
durre le necessarie giunture tra diversi tipi di regimi e di disciplina-
mento del lavoro, che sembrano in effetti appartenere a diversi tem-
pi storici. Se torniamo alla categoria di latitudini da questo punto
di vista, possiamo affermare che esse sono costituite e delimitate da
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120 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
una complessa serie di confini: confini geopolitici che articolano il
loro carattere transnazionale, confini giuridici che limitano la mobi-
lit e i diritti dei migranti, confini di produzione, confini temporali
che separano diversi tempi storici rendendo al tempo stesso possibi-
le la loro traduzione nel linguaggio unitario del valore. E se questi
confini giocano un ruolo essenziale in quello che Achille Mbembe
(2000, p. 260) ha definito laddomesticamento del tempo mondia-
le dal punto di vista del capitale, dobbiamo tuttavia considerarli co-
me costantemente in via di ridefinizione, dato che sono costretti a fa-
re i conti con una serie di pratiche, comportamenti e immaginari sog-
gettivi che pongono sfide radicali alla loro tenuta. Sono queste sfide
a rendere i confini stessi rapporti sociali, attraversati e fratturati dal-
le molteplici tensioni tra processi di rafforzamento e di attraver-
samento (Vila 2000): i movimenti e le lotte che si sviluppano attor-
no a essi, in particolare movimenti e lotte che coinvolgono le que-
stioni della migrazione e della mobilit, rivestono in questo senso
unimportanza fondamentale per ogni tentativo di pensare diverse
modalit di addomesticamento del tempo mondiale, diversi tipi di
articolazione e traduzione capaci di porre radicalmente in discussio-
ne il dominio del capitale (cfr. Mezzadra 2006).
4. Lavoro vivo in transizione
Movimenti migratori e pratiche di mobilit sono del resto ele-
menti decisivi nellinsieme delle trasformazioni che stanno ridefinen-
do la composizione del lavoro vivo. Uso evidentemente il concetto di
composizione ricollegandomi agli sviluppi delloperaismo italiano
a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Ma al tempo stesso il ri-
ferimento al lavoro vivo tiene conto delle considerazioni su questo
concetto marxiano svolte da Dipesh Chakrabarty in un capitolo di
Provincializzare lEuropa, su cui mi sono gi soffermato in preceden-
za (cfr. supra, cap. III). Chakrabarty propone in realt un punto di vi-
sta molto originale sul problema classico del rapporto tra lavoro
astratto e lavoro concreto, in qualche modo sostituendo questul-
timo concetto con quello di lavoro vivo, utilizzato da Marx in par-
ticolare nei Grundrisse. Il punto cruciale, scrive infatti Chakrabarty,
che il lavoro che viene reso astratto nel processo di ricerca, da par-
te del capitale, di una misura comune per lattivit umana lavoro vi-
vo (Chakrabarty 2000, p. 88). Il processo stesso di astrazione del la-
voro vivo dalla molteplicit di differenze che costituiscono la vita
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inteso da Chakrabarty come un processo di traduzione (ivi, p. 102):
un processo di traduzione che al tempo stesso un rapporto sociale
profondamente antagonistico.
Disciplina, violenza e dispotismo sono le modalit essenziali at-
traverso cui il capitale si indirizza al lavoro vivo nel suo tentativo di
tradurlo nel codice del lavoro astratto. Per essere pi precisi: sono
queste le modalit essenziali che definiscono il rapporto del capitale
con il lavoro vivo in particolare nei processi di transizione, quando la
norma del lavoro astratto ovvero, la chiave interpretativa della gri-
glia con cui il capitale ci chiede di osservare il mondo (ivi, p. 82)
deve essere imposta a fronte della radicale eterogeneit della vita.
Uno dei problemi pi rilevanti posti dalla transizione al capitalismo
la costituzione politica e giuridica del mercato del lavoro. Per rende-
re possibile lesistenza stessa del mercato del lavoro, deve essere pro-
dotta una merce assolutamente particolare, ovvero la forza lavoro,
un concetto pienamente sviluppato da Marx soltanto nel Capitale.
a mio giudizio necessario introdurre questo concetto per sviluppare
ulteriormente lanalisi proposta da Chakrabarty del rapporto tra la-
voro astratto e lavoro vivo. Come stato sottolineato da Paolo Virno
(1999, pp. 121-130), il concetto di forza lavoro si riferisce esso stes-
so direttamente alla vita, considerato il fatto che esso definito da
Marx come linsieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esi-
stono nella corporeit, ossia nella personalit vivente di un uomo
(Marx 1867, pp. 201 s.). Ci che rende particolarmente importante
nel contesto del nostro discorso questa definizione che essa fa
emergere il processo necessario di separazione (di astrazione) di que-
ste attitudini dal loro contenitore (la corporeit, la persona-
lit vivente di un uomo) che logicamente precede il rapporto capi-
talistico di produzione, costituendone la condizione di possibilit.
Questo processo di separazione la produzione della forza lavoro
come merce ovvero la produzione di specifici soggetti costretti a
vendere la loro forza lavoro per riprodursi. questo il problema fon-
damentale che Marx analizza nello scenario della cosiddetta accu-
mulazione originaria (cfr. infra, Appendice). Da una serie di ricer-
che storiche recenti, che si sono richiamate nel precedente capitolo,
sappiamo che la soluzione non poteva consistere contrariamente a
molte affermazioni dello stesso Marx nellaffermazione lineare del
lavoro salariato libero come modalit normale di sussunzione del
lavoro sotto il capitale: altre forme di cattura del lavoro, al contra-
rio, erano (e sono) strutturalmente necessarie per rendere disponibi-
le la forza lavoro come merce. Un alto grado di violenza (una serie di
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122 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
pressioni non pecuniarie per costringere al lavoro, che vanno dal-
la schiavit alla servit a contratto a specifici status giuridicamente
differenziati per i lavoratori e le lavoratrici migranti) stato e conti-
nua a essere necessario per assicurare la continuit dellaccumulazio-
ne capitalistica e la continuit di quel che Marx chiamava lincon-
tro tra capitale e forza lavoro (Marx 1867, p. 202; cfr. Althusser
1982). questa la ragione fondamentale per cui laccumulazione ori-
ginaria non pu essere considerata meramente un momento storico:
deve piuttosto essere assunta come una sorta di riserva di potenziali
eccezioni (a quella che Marx chiamava la silenziosa coazione dei
rapporti economici, 1867, p. 907) che possono essere attivate in
ogni fase dello sviluppo capitalistico quando il funzionamento ordi-
nario del mercato del lavoro viene messo in discussione e bloccato.
Penso che valga la pena considerare la situazione globale con-
temporanea da questo punto di vista. La radicale eterogeneit dei re-
gimi di controllo e di organizzazione del lavoro non solo a livello
globale ma anche su ogni livello locale, rapporti di lavoro mobi-
li e flessibili, lo stesso problema di articolare quelli che Ong defini-
sce spazi laterali di produzione con i circuiti globali dellaccumula-
zione compongono uno scenario in cui il capitale si trova continua-
mente di fronte alla possibilit del rifiuto da parte del lavoro vivo di
sottomettersi alla norma del lavoro astratto. Ed il caso di aggiunge-
re che questo problema si pone anche quando in gioco lesigenza
di assicurare quelle condizioni di stabilit di cui necessita il funzio-
namento dei mercati finanziari globali: anche la vita degli abitanti del
pianeta degli slum cos efficacemente descritto da Mike Davis
(2006) soggetta alla norma del lavoro astratto, indipendentemente
dal fatto che la loro forza lavoro resti al di fuori del mercato del la-
voro. proprio la produzione di questa subordinazione del lavoro
vivo al lavoro astratto a costituire uno dei problemi cruciali della
transizione, non solo nel mondo della produzione ma anche pi ge-
neralmente come problema di assetto societario complessivo.
per questo che dovremmo prendere seriamente lidea di un la-
voro vivo in transizione. Il fatto stesso che la norma del lavoro astrat-
to non possa essere assunta come scontata e debba essere piuttosto
continuamente riaffermata dal capitale lungo lintero arco delle sue
eterogenee catene di valore rende obsoleta limmagine tradizionale
della classe operaia, intesa come soggetto collettivo disciplinato (e re-
so politico) dal capitale attraverso la sua organizzazione della coope-
razione lavorativa. Non si tratta di unaffermazione sociologica, e
non ne costituisce dunque una smentita il fatto che continuino a esi-
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stere enormi masse operai di fabbrica. Il punto fondamentale risiede
piuttosto nel fatto che la costituzione e la composizione del lavoro
vivo sono oggi processi aperti, sia dal punto di vista del capitale sia
dal punto di vista delle soggettivit che costituiscono lo stesso lavoro
vivo.
Dato che il capitale costretto a imporre il lavoro astratto come
comune misura dellattivit umana, esso ha bisogno di una figura uni-
taria del lavoro in generale: ma la radicale eterogeneit delle modali-
t contemporanee di cattura del lavoro rende questa rappresenta-
zione capitalistica dellunit del lavoro problematica, un processo con-
tinuo di traduzione assai pi che uno stabile presupposto dello svi-
luppo un processo di traduzione che si muove senza sosta dalla
produzione alla circolazione alla finanza, dove, come si detto, lap-
parenza dello scambio di capitale con capitale non pu liberarsi del
bisogno di assicurare la continua riproduzione su scala globale di
rapporti sociali organizzati attorno alla norma del lavoro astratto.
Daltra parte, dal punto di vista di quella che Jason Read chiama la
potenza produttiva della soggettivit, leterogeneit del lavoro non
corrisponde soltanto a una pluralit di gerarchie che attraversano e
fratturano la sua composizione. Esprime anche la molteplicit di fa-
colt umane, di pratiche di cooperazione che spesso si sviluppano al
di fuori del comando diretto del capitale, di forme di vita che com-
pongono quella potenza produttiva.
5. Verso una teoria eterolinguale della moltitudine
In questa molteplicit dobbiamo saper riconoscere limpronta di
una storia complessa di lotte e di movimenti del lavoro che hanno dis-
articolato limmagine tradizionale della classe operaia e le sue rap-
presentazioni politiche. il caso di ribadire che il concetto di molti-
tudine, introdotto negli ultimi anni allinterno della tradizione dello-
peraismo italiano (Hardt, Negri 2000 e 2004; Virno 2004), si propone
in primo luogo di cogliere questa genealogia complessa del lavoro
vivo contemporaneo. Ci sono almeno due fraintendimenti molto dif-
fusi nel dibattito internazionale e italiano che vanno preliminarmente
affrontati. In primo luogo, il concetto di moltitudine non punta a op-
porre il lavoro come molteplicit al capitale come Uno: tenta piutto-
sto di far emergere la specifica modalit di articolazione tra unit e
molteplicit che vive al cuore del concetto di capitale e di aprire uno
spazio teorico in cui approfondire la ricerca di un diverso modo di ar-
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124 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
ticolazione tra i due elementi, a partire dalla costruzione di un nuovo
comune (di un nuovo Uno) che possa essere la base di un nuovo re-
gime di cooperazione e di produzione. In secondo luogo, anche se il
concetto di moltitudine si pone in modo critico rispetto alle rappre-
sentazioni tradizionali della classe operaia, esso non una sorta di
icona mistica o estetizzante. ed ben possibile che questo aspet-
to non sia stato sufficientemente sottolineato nella discussione un
concetto di classe. Ci significa che un concetto determinato, co-
struito attorno le variegate ed eterogenee forme di sfruttamento che
contraddistinguono il capitalismo contemporaneo ed , al pari di
quello di classe, un concetto parziale e di parte (Mezzadra 2007).
Il concetto di moltitudine evidenzia la circostanza che leteroge-
neit della composizione del lavoro vivo corrisponde a una moltepli-
cit di lotte, di pratiche di resistenza e rifiuto che non pu essere li-
nearmente unificata e rappresentata da organizzazioni tradizionali co-
me partiti e sindacati. Il problema della comunicabilit e della tra-
ducibilit di queste lotte e di queste pratiche necessariamente parziali
diventa cos il problema politico fondamentale di una teoria della
moltitudine. In modo necessariamente schematico, possiamo dire che
mentre il capitale pone il suo elemento di unit (il linguaggio del va-
lore) come presupposto del suo indirizzo omolinguale, immagina-
re un processo di soggettivazione politica della moltitudine significa
pensare la produzione del comune come una sorta di work in pro-
gress, come risultato in termini di istituzioni, risorse e spazi condi-
visi di un movimento capace di reinventare continuamente quella
che tienne Balibar (1992) ha definito galibert, lunit indissolubi-
le di uguaglianza e libert.
Non si tratta di un progetto utopico: mentre sottolinea la neces-
sit di inventare e costruire nuove istituzioni, nuove reti organizza-
te (Rossiter 2006), il concetto di moltitudine fornisce anche un cri-
terio generale che consente di valutare lazione delle istituzioni tra-
dizionali, che possono essere rese interne al processo di soggettiva-
zione della moltitudine nella misura in cui sono in grado di aprire e
di consolidare elementi comuni: punti nodali che fissano parzial-
mente il significato, per tornare a Mouffe e Laclau. Siamo in effetti
vicini, da questo punto di vista, allorizzonte della democrazia radi-
cale; ma allinterno di questo orizzonte tentiamo di interpretare (e
dunque di mantenere viva) leredit fondamentale della critica co-
munista della democrazia nella misura in cui poniamo al centro del
nostro lavoro critico la potenza materiale della moltitudine, la sua ca-
pacit, in quanto soggetto parziale e di parte, di produrre il comune.
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Al tempo stesso, se da una parte limportanza strategica che ricono-
sciamo alle migrazioni e alle pratiche di mobilit nella composizione
del lavoro vivo contemporaneo ci conduce a sottolineare di questul-
tima la dimensione globale, il concetto di moltitudine non sfocia in
qualche astratta teorizzazione di una nuova democrazia globale. In-
dica piuttosto la possibilit di radicare progetti politici di trasfor-
mazione radicale allinterno di spazi determinati, dal livello locale a
quello continentale, sviluppando in modo creativo le possibilit del-
la geografia a cui allude Anna Tsing e rendendo concreto un nuovo
cosmopolitismo.
Lungo queste linee di ragionamento, libert e uguaglianza diven-
tano esse stesse caselle vuote, place holders (Chakrabarty 2000, p.
101), luoghi di comunicazione e traduzione il cui contenuto aper-
to a una continua trasformazione. E mentre questa importanza es-
senziale riconosciuta ai concetti di libert e uguaglianza distingue il
progetto della moltitudine da una semplice critica delleurocentri-
smo, essi stessi devono essere pensati come in transizione e dun-
que in traduzione. Libert ed eguaglianza non sono condizioni tra-
scendentali della politica, non preesistono come universali, per ri-
prendere i termini di Judith Butler, a movimenti sociali particolari:
occorre assumere la possibilit stessa dellesistenza di nozioni con-
flittuali di universalit, che richiedono una pratica di traduzione piut-
tosto diversa da quella implicita nel concetto tradizionale di egemo-
nia (Butler 2000, pp. 162-169; ma si veda anche Balibar 2006). Li-
bert e uguaglianza finiscono cos per porsi, nel senso attribuito al
termine da Jacques Derrida, come tracce, come negazione potenzia-
le del dominio e dello sfruttamento: sono i movimenti e le lotte con-
tro di essi, i processi di costituzione soggettiva a cui danno luogo, a
rendere attuale questa negazione potenziale. Il concetto di moltitu-
dine tenta di cogliere leterogeneit di queste lotte e di questi movi-
menti radicando la loro convergenza in pratiche di cooperazione so-
ciale capaci di produrre un nuovo comune.
Dato che il comune non preesiste a questi movimenti e a queste
lotte, a queste pratiche di cooperazione, la moltitudine una co-
munit non aggregata di stranieri: ovvero, come ha scritto Naoki Sa-
kai, una comunit al cui interno ci rivolgiamo luno allaltro attra-
verso lattitudine dellindirizzo eterolinguale (Sakai 1997, p. 9).
Lungi dal preesisterle, anche la lingua di una comunit non aggre-
gata di stranieri il suo comune emerge soltanto da una comuni-
cazione che assume lessere straniero di tutte le parti coinvolte come
punto di partenza indipendentemente dalla loro lingua natia. La
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126 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
traduzione qui la lingua di un soggetto in transito. Radicalmente cri-
tico a fronte dellidea di una normalit della comunicazione reci-
proca e trasparente, ma assumendo piuttosto che ogni enunciato
pu fallire sotto il profilo comunicativo perch leterogeneit pro-
pria di ogni medium, linguistico o meno, lindirizzo eterolinguale
chiaramente implica che la traduzione deve essere infinita. Esso
pone dunque radicalmente in discussione i confini che, attraverso
laffiliazione nazionale, etnica o linguistica (ivi, p. 8), definiscono
comunit commensurabili come condizioni dellindirizzo omolin-
guale e del suo ideale trasparente di comunicazione. lidea stessa
di comunit che abbiamo ereditato dalla storia e dal pensiero mo-
derni, che continua a funzionare come luogo strategico di accumu-
lazione originaria per la costruzione dei soggetti maggioritari del do-
minio, di corpi dotati di autorit e di forme di rapporto regola-
te secondo i confini apparentemente naturali tra lindividuo e il suo
corollario, il collettivo, a risultare cos disarticolata e spiazzata (Sa-
kai, Solomon 2006, pp. 20 s.).
Lungi dallessere limitata al compito, comunque fondamentale, di
immaginare nuove forme di pratica teorica transnazionale negli studi
culturali e postcoloniali, questa critica dellidea di comunit che so-
stiene il regime omolinguale di traduzione ci aiuta a problematizzare
ogni concetto semplice del Noi a cui ci riferiamo nelle nostre pra-
tiche politiche. Ma al tempo stesso conduce a intensificare la ricerca
di un nuovo terreno comune capace di rendere la vita sociale pi ric-
ca, pi libera e uguale. Come scrive Meaghan Morris, limpostazione
di Naoki Sakai muove dalla domanda su che cosa effettivamente ac-
cada in ogni sforzo di traduzione, piuttosto che cominciare con un
ideale presupposto o un racconto gi accettato di come sarebbe o do-
vrebbe essere un mondo senza il bisogno della traduzione senza la
polvere creata dalla differenza linguistica e dalla materialit testua-
le, senza faglie di incommensurabilit e senza il deposito dellincom-
prensione, in breve un mondo senza linguaggio (Morris 1997, pp.
XIII s.). Possiamo rispondere in modo piuttosto semplice: quel che
accade in uno sforzo di traduzione eterolinguale che una nuova
condizione comune viene prodotta precisamente nello stesso mo-
mento in cui dallincommensurabilit emerge la differenza. Mi pare
un buon modo di descrivere il tipo di comune che abbiamo in men-
te quando parliamo delle eterogenee lotte e pratiche sociali che co-
stituiscono la moltitudine.
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APPENDICE
Attualit della preistoria
Per una rilettura del capitolo 24 del primo libro
del Capitale, La cosiddetta accumulazione originaria
For why should he that is at libertie make himself bond?
Sith then we are free borne,
Let us all servile base subjection scorne.
E. SPENSER, Complaints: Mother Hubbards Tale (1591)
I primi capitalisti sono come degli uccelli da preda che
aspettano. Aspettano di incontrare il lavoratore, che arriva
attraverso le fughe del sistema precedente. Questo anche
il senso preciso di ci che chiamiamo accumulazione pri-
mitiva.
G. DELEUZE, Sul capitalismo e il desiderio (1973)
1. Laccumulazione originaria, oggi
Il capitolo sullaccumulazione originaria del primo libro del Capi-
tale, il testo fondamentale su cui qui ci concentreremo, ci conduce a
ritroso nel tempo, verso lInghilterra dei primi secoli moderni. Log-
getto del capitolo , secondo lespressione usata dallo stesso Marx, la
preistoria del modo capitalistico di produzione (K, I, p. 881) *. Sia-
mo dunque di fronte a un testo (e a un tema) di interesse puramente
storico, antiquario?
Cos non , e le pagine marxiane sullaccumulazione originaria so-
no state negli ultimi anni lette a pi riprese, e in diversi contesti, co-
* Abbreviazioni dei testi marxiani citati:
Furti di legna = K. MARX, Dibattiti sulla legge contro i furti di legna (1842), in ID.,
Scritti politici giovanili, Einaudi, Torino 1975.
Miseria della filosofia = K. MARX, Miseria della filosofia. Risposta alla Filosofia del-
la miseria del signor Proudhon (1847), Editori Riuniti, Roma 1993.
G = K. MARX, Lineamenti fondamentali della critica delleconomia politica (1857-
1858), 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1978.
TM = K. MARX, Storia delle teorie economiche (1861-1863), 3 voll., Einaudi, Tori-
no 1954.
Salario, prezzo, profitto = K. MARX, Salario, prezzo, profitto (1865), Editori Riuniti,
Roma 1977.
K, I = K. MARX, Il capitale, libro primo (1867), Einaudi, Torino 1975.
MEW = K. MARX, F. ENGELS, Werke, 39 Bde. und 2 Erg.Bde., Dietz, Berlin 1958-71.
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 127
me un contributo decisivo alla critica del presente. Nellautunno del
1990, in particolare, usciva un numero della rivista statunitense
Midnight Notes (il 10) significativamente intitolato New Enclosu-
res. Mentre imperversavano le retoriche idilliache (nel senso uti-
lizzato da Marx nel capitolo 24) del nuovo ordine mondiale, i com-
pagni di Midnight Notes proponevano lattualit di alcuni concet-
ti e di alcuni temi tratti dal capitolo del Capitale sullaccumulazione
originaria (in particolare quello delle recinzioni) per interpretare
criticamente la grande trasformazione del modo di produzione capi-
talistico in atto dalla met degli anni Settanta. Leggiamo qualche pas-
so dalleditoriale del numero:
oggi, ancora una volta, le recinzioni sono il denominatore comune delle-
sperienza proletaria a livello globale. Nella pi grande diaspora del secolo,
in ogni continente milioni di donne e uomini vengono sradicati dalle loro
terre, dai loro lavori, dalle loro case da guerre, carestie, epidemie e svalu-
tazioni disposte dal Fondo Monetario Internazionale (i quattro cavalieri
dellApocalisse moderna) e vengono dispersi ai quattro angoli del pianeta.
[...] Le Nuove Recinzioni sono il nome della riorganizzazione su larga sca-
la dellaccumulazione avviata a partire dalla met degli anni Settanta. Lo-
biettivo fondamentale di questo processo consistito nello sradicare i la-
voratori e le lavoratrici dal terreno su cui erano stati costruiti il loro potere
e la loro organizzazione, in modo che, come gli schiavi africani trapiantati
in America, essi fossero costretti a lavorare e lottare in un ambiente estra-
neo, dove le forme di resistenza possibili a casa non sono pi disponibili.
Ancora una volta dunque, come allalba del capitalismo, la fisionomia del
proletariato mondiale quella dellindigente, del vagabondo, del crimina-
le, del mendicante, del venditore ambulante, del rifugiato che lavora in uno
sweatshop, del mercenario, del povero (ivi, pp. 1 e 3).
Due punti in particolare vanno valorizzati nellanalisi proposta dal
collettivo editoriale di Midnight Notes. Il primo consiste nel fatto
che il processo descritto (recinzioni, espropriazione, etc.) non ri-
guarda soltanto il Sud del mondo, ma investe lo spazio globale del
capitalismo contemporaneo, ridisegnandone continuamente la geo-
grafia (le diverse forme da esso assunte sono definite aspetti di un
singolo processo unitario: le Nuove Recinzioni, che devono operare
in modi diversi, discreti, anche se sono totalmente interdipendenti):
secondo la logica dellaccumulazione capitalistica in questa fase, per ogni
fabbrica che viene privatizzata in una zona di libero commercio in Cina e
venduta a una banca commerciale di New York, o per ogni acro di terra
recintato da un progetto di sviluppo della Banca mondiale in Africa o in
Africa come parte di un piano di aggiustamento strutturale presentato con
128 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 128
lo slogan un debito per lequit, una recinzione corrispondente deve de-
terminarsi negli Stati uniti e in Europa occidentale (p. 2).
Il secondo punto riguarda il rilievo strategico che oggi, cos come
nelle condizioni dellaccumulazione originaria descritte da Marx, as-
sume la questione della mobilit, da leggere sullo sfondo del grande
problema della produzione della merce forza lavoro e dunque del-
la costituzione politica (in cui sempre implicata la violenza) del mer-
cato del lavoro. Leggiamo un ultimo passo delleditoriale del numero
10 di Midnight Notes: le Nuove Recinzioni fanno del lavoro mo-
bile e migrante la forma dominante di lavoro. Siamo oggi la forza la-
voro pi mobile dallavvento del capitalismo (p. 4).
Gli esempi dellattualit delle condizioni dellaccumulazione ori-
ginaria potrebbero essere moltiplicati a piacere, guardando a quanto
avviene nelle campagne del Sud del mondo, allo scontro tra nuo-
ve recinzioni e continua riappropriazione di spazi comuni allin-
terno delle reti informatiche, al tentativo di governo delle migrazio-
ni globali e ai molteplici dispositivi predisposti dalle grandi corpora-
tion per costringere i lavoratori e le lavoratrici cognitivi a vendere
la propria forza lavoro. Voglio ricordare un unico esempio ulteriore,
per introdurre un testo di cui torner a parlare in conclusione. Anna
Lowenhaupt Tsing, unantropologa che insegna alla University of Ca-
lifornia di Santa Cruz, ha recentemente pubblicato un volume estre-
mamente suggestivo sullinsieme dei conflitti determinati dal tentati-
vo effettuato nel corso degli anni Novanta del Novecento da grandi
corporation giapponesi di aprire (sia posto in corsivo questo verbo, ri-
cordando le parole di Rosa Luxemburg: il capitalismo nasce e si svi-
luppa storicamente in un ambiente sociale non-capitalistico. [...] Al-
linterno di questambiente, il processo di accumulazione del capita-
le si apre una strada, Luxemburg 1913, p. 363) al mercato capitali-
stico del legname le grandi foreste pluviali indonesiane (Tsing 2005).
Ritroviamo molti dei processi di attacco ai diritti comuni sulla ter-
ra in nome del diritto privato di propriet descritte da Marx nel ca-
pitolo 24 del primo libro del Capitale in primo luogo le enclosures.
Ma dallanalisi di Tsing deriviamo intanto unulteriore indicazione
concettuale: laccumulazione originaria istituisce negli spazi che in-
veste condizioni di frontiera di una frontiera che si pone al tempo
stesso come frontiera selvaggia (savage) nella misura in cui la sua pri-
ma legge quella della violenza, e come frontiera di salvataggio
(salvage frontier) nella misura in cui la distruzione delle condizioni
sociali tradizionali finisce per presentare il capitalismo (specifici
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 129
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 129
capitalisti) come gli unici agenti possibili di uno sviluppo dai carat-
teri di emergenza (ivi, pp. 27 ss.).
2. Questioni di metodo
Ragioniamo dunque, attraverso la problematica dellaccumula-
zione originaria, sui primi secoli dellet moderna e sul presente.
Dobbiamo valorizzare questo cortocircuito temporale, che dice mol-
to sulla concezione marxiana della storia o comunque su una con-
cezione della storia che possiamo costruire oggi a partire dalle pagine
marxiane. daltro canto un cortocircuito connaturato al metodo
marxiano della Darstellung, ben illustrato a rovescio (rispetto al pro-
blema che qui ci occupa) da una nota boutade tratta dalla cosiddetta
Introduzione del 57: lanatomia delluomo una chiave per lanato-
mia della scimmia (G, I, p. 33). Come noto, il problema metodo-
logico fondamentale della critica marxiana delleconomia politica
quello della dialettica di astratto e concreto (cfr. Ilenkov 1960), che
conduce a formulazioni tra le pi impegnative filosoficamente di
Marx (il concreto concreto perch sintesi di molte determina-
zioni, cio unit del molteplice, G, I, p. 27) e in generale il pun-
to che qui maggiormente ci interessa a tenere continuamente aper-
to, ad assumere come intrinsecamente problematico il rapporto tra
ordine logico e ordine storico dellesposizione (cfr. Janoska et alii
1994).
Si tratta proprio lIntroduzione del 57 lo afferma con forza di
un problema metodologico storicamente determinato, imposto cio
dalle caratteristiche fondamentali (uniche) del modo di produzione
capitalistico. Al fondo, nellIntroduzione del 57 (e in particolare nel
suo 3, Il metodo delleconomia politica), Marx lavora alla ricerca
di un metodo capace di venire a capo della natura di totalit stori-
camente determinata delleconomia politica, di illuminare critica-
mente le condizioni del sorgere delle astrazioni concettuali su cui si
costruisce il discorso degli economisti non semplicemente ricondu-
cendole a concreti processi storici, ma assumendo piuttosto come
principio regolatore il riconoscimento della potenza sociale delle
astrazioni reali (capitale, valore, denaro, etc.) nella trama dei rap-
porti che costituiscono il modo di produzione capitalistico.
Il capitolo 24 del Capitale, concentrandosi sullorigine (Ursprung)
del modo di produzione capitalistico, si propone dunque di studiare
le condizioni in cui, per la prima volta, un insieme di astrazioni
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reali si incarnano nella storia, divengono potenze reali e finisco-
no, mi si consenta di giocare con il lessico kantiano, per determinare
le condizioni a priori della stessa esperienza sociale. Ma precisa-
mente questo cortocircuito tra astratto e concreto che deve ripetersi
ogni giorno, lo ha mostrato in modo particolarmente chiaro Dipesh
Chakrabarty nella sua analisi del rapporto tra lavoro astratto e la-
voro vivo in Marx (Chakrabarty 2000, cap. 2), perch il modo di
produzione capitalistico continui a esistere e a riprodursi: laccu-
mulazione, scrive del resto Marx, rappresenta semplicemente co-
me processo continuo ci che nellaccumulazione primitiva appare
come un processo storico particolare (TM, III, p. 295; si veda sul
punto Rosdolsky 1968, pp. 327-329).
Ogni giorno, dunque, deve logicamente ripetersi quanto accadde
per la prima volta allorigine della storia del capitalismo: questo
apparente paradosso che impedisce di considerare come meramente
lineare e progressivo (omogeneo e vuoto, secondo i termini utiliz-
zati da Benjamin nella sua critica dello storicismo) il tempo storico
caratteristico del modo di produzione capitalistico. E che propone
piuttosto accanto allattualit dellorigine il grande tema chiara-
mente formulato per la prima volta da Balibar nel suo contributo a
Leggere il Capitale (1965) e poi ripreso negli ultimi quindici ven-
tanni da una parte consistente della critica postcoloniale (cfr. lin-
troduzione alla nuova edizione in Young 1990): la sconnessione, par-
ticolarmente evidente proprio studiando la transizione al capitalismo
nelle condizioni coloniali, nella struttura della temporalit propria
delle societ capitalistiche tra quelle che egli definiva la loro diacro-
nia e la loro dinamica (Balibar 1965, p. 324), ovvero il grande pro-
blema teorico dellinserzione dei diversi tempi gli uni negli altri
(ivi, p. 317). La contemporaneit del non contemporaneo, nei ter-
mini di Ernst Bloch.
Lo stesso Balibar, nella sua analisi delle pagine marxiane sullac-
cumulazione originaria, parlava di una genealogia degli elementi che
costituiscono la struttura del modo di produzione capitalistico (ivi,
p. 300). Mi pare sia possibile riprendere questo riferimento alla ge-
nealogia per complicare ulteriormente il discorso sul metodo di
Marx, e per determinarlo ulteriormente a proposito della specifica
analisi che ci occupa. Ursprngliche Akkumulation, a volte tradotto
con accumulazione primitiva (e in inglese, ad esempio, sempre re-
so con primitive accumulation), vale propriamente accumulazione
originaria. Laggettivo deriva dal sostantivo tedesco Ursprung ap-
punto origine e possiamo ben dire che nelluso marxiano ricom-
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 131
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 131
prende in s le valenze, su cui ha scritto pagine fondamentali Michel
Foucault, che nella genealogia nietzscheana saranno attribuite a ter-
mini come Entstehung ed Herkunft. Dicevamo precedentemente, nei
termini della seconda delle nietzscheane Considerazioni inattuali, che
linteresse marxiano per la storia (per la preistoria) del modo di
produzione capitalistico nulla ha di antiquario. Marx, come Nietz-
sche, guarda con disprezzo a una storia che avrebbe la funzione di
raccogliere, in una totalit rinchiusa in s, la diversit infine ridotta
dal tempo; una storia che ci permetterebbe di riconoscerci dovunque
e di dare a tutte le trasformazioni del passato la forma della riconci-
liazione: una storia che getterebbe dietro di s uno sguardo da fine
del mondo (Foucault 1971, p. 42).
Ferma restando la specificit del metodo marxiano, non sar dun-
que fuori luogo dire della funzione dellorigine nel capitolo 24 quan-
to Foucault dice della funzione dellemergenza (Entstehung) in
Nietzsche: essa consente di rappresentare lentrata in scena delle
forze, il balzo con il quale dalle quinte saltano sul teatro, ciascuna col
vigore, la giovinezza che le propria (ivi, p. 39). E daltronde per
definire queste forze, i protagonisti del dramma che costituisce la
trama storica del modo di produzione capitalistico, ovvero il com-
pratore e il venditore di forza lavoro, Marx utilizza notoriamente un
concetto di derivazione teatrale, che gi Hobbes (nel cap. XVI del Le-
viatano) aveva caricato di valenze politiche: quello di Charakterma-
ske, originariamente la maschera indossata dallattore sulla scena per
impersonare il proprio ruolo (cfr. Haug 1995).
3. Per la critica delleconomia classica (e volgare)
Abbiamo fin qui visto, sia pure in modo un po obliquo, tre gran-
di questioni che possiamo leggere in una luce particolare attraverso
il capitolo 24 del Capitale: questioni kantiane, potremmo dire ancora
celiando, nella misura in cui investono le dimensioni dello spazio e
del tempo del capitalismo. Ma ogni formalismo qui escluso dalla ri-
levanza strategica che assume su entrambe le dimensioni, nellanali-
si svolta da Marx, il problema della produzione della merce forza la-
voro: una produzione che incide i corpi e modifica le anime, una pro-
duzione che investe e stravolge in modo assolutamente concreto e
determinato il terreno stesso della vita.
Mi si consenta tuttavia unaltra considerazione per dir cos preli-
minare. Quello di accumulazione originaria, in Marx, non un con-
132 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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cetto. Fin dal titolo (La cosiddetta accumulazione originaria), il ca-
pitolo si muove sul filo di una tagliente ironia (un registro stilisti-
co molto caro a Marx), rafforzata dal riferimento teologico al pec-
cato originale:
nelleconomia politica questaccumulazione originaria fa allincirca la stes-
sa parte del peccato originale nella teologia: Adamo dette un morso alla me-
la e con ci il peccato colp il genere umano. Se ne spiega lorigine raccon-
tandola come un aneddoto del passato. Cera una volta, in una et da lun-
go tempo trascorsa, da una parte una elite diligente, intelligente e soprat-
tutto risparmiatrice, e dallaltra cerano degli sciagurati oziosi che sperpe-
ravano tutto il proprio e anche pi. Per la leggenda del peccato originale
teologico ci racconta come luomo sia stato condannato a mangiare il suo
pane nel sudore della fronte; invece la storia del peccato originale econo-
mico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto bisogno di fa-
ticare (K, I, p. 879).
Naturalmente il riferimento teologico va al di l dellironia. Che
cosaltro c al centro del Genesi se non il problema della spiegazio-
ne e della legittimazione della maledizione del lavoro? Ma lironia
forte, e segnala lintento polemico del ragionamento svolto da Marx
nel capitolo 24, la critica radicale delleconomia politica classica (e in
questo caso, prima di tutto, di Adam Smith e della sua analisi della
previous accumulation of stock): questultima, come risolve la tra-
ma delle relazioni economiche sul piano giuridico-formale (di su-
perficie) dellequivalenza, racconta con toni idilliaci le origini del
modo di produzione capitalistico (fondamentali, sulla critica marxia-
na delleconomia classica e delleconomia volgare, sono ora le con-
siderazioni di Zanini 2006, in specie pp. 139-148; specificamente sul
tema dellaccumulazione originaria nelleconomia classica, cfr. Perel-
man 2000). La realt dello sfruttamento (della sua origine storica e
del suo statuto concettuale) larcano velato dalleconomia classi-
ca: in queste pagine, secondo il metodo della Darstellung e, lo ripe-
tiamo, con unanticipazione potente del metodo genealogico, linda-
gine della sua origine svela qualcosa di essenziale sul suo stesso sta-
tuto concettuale.
Al centro dellanalisi marxiana dellaccumulazione originaria
non dunque, contrariamente a quel che accade nelleconomia clas-
sica, una precedente concentrazione di una provvista di merci co-
me capitale nelle mani del compratore di lavoro (TM, III, p. 292),
ma la violenta produzione (nonch loriginaria accumulazione) del-
le condizioni di possibilit del rapporto capitalistico di produzione,
dellincontro (K, I, p. 202) tra compratore e venditore di forza la-
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 133
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 133
voro: ovvero, come si legge nei Grundrisse, in quella sezione sulle
Forme che precedono la produzione capitalistica che deve sempre
essere tenuta presente leggendo il capitolo 24, la produzione di capi-
talisti e di operai salariati, [...] un prodotto fondamentale del proces-
so di valorizzazione del capitale. Leconomia volgare, che vede sol-
tanto le cose prodotte, dimentica completamente questo fatto (G,
II, p. 145). La stessa accumulazione di denaro (di un patrimonio
monetario, che considerato in s e per s assolutamente improdut-
tivo, in quanto scaturisce soltanto dalla circolazione e a essa soltanto
appartiene, ibidem) nulla dice della formazione originaria del ca-
pitale: questultima avviene invece semplicemente per il fatto che il
valore esistente come patrimonio monetario, attraverso il processo
storico della dissoluzione del vecchio modo di produzione, viene
messo in grado, da un lato di comprare le condizioni oggettive del la-
voro, dallaltro di ottenere in cambio di denaro lo stesso lavoro vivo
degli operai divenuti liberi (ivi, p. 137).
Nessun idillio, dunque, ma un processo che dovrebbe essere
chiamato come leggiamo in Salario, prezzo, profitto (1865) espro-
priazione primitiva, seguendo il quale si scopre che la cosiddetta ac-
cumulazione primitiva non significa altro che una serie di processi sto-
rici i quali si conclusero con la dissociazione dellunit primitiva fra il
lavoratore e i suoi mezzi di lavoro. Continua Marx: la separazione
del lavoratore e degli strumenti di lavoro, una volta compiutasi, si
conserva e si rinnova costantemente a un grado sempre pi elevato,
finch una nuova e radicale rivoluzione del sistema di produzione la
distrugge e ristabilisce lunit primitiva in una forma nuova (Sala-
rio, prezzo, profitto, p. 75).
Esplicitiamo a questo punto qual la prospettiva in cui il capito-
lo 24 del Capitale deve essere a mio giudizio letto, coerentemente con
quanto affermato in precedenza a proposito del metodo marxiano:
lUrsprung come uno specchio concavo restituisce limmagine del
modo di produzione capitalistico nel suo complesso, ne illumina, co-
me leccezione benjaminiana (assai pi di quella schmittiana), alcuni
caratteri fondamentali, e tuttavia celati, del funzionamento norma-
le. Collocato alla fine del primo libro (e prima dellultimo, quello su
La teoria moderna della colonizzazione, che del capitolo sullac-
cumulazione originaria costituisce una sorta di appendice), il capito-
lo 24 impone di rileggere a ritroso lintero tracciato analitico propo-
sto nel libro, interrompendo e riaprendo continuamente in parti-
colare lanalisi presentata nel capitolo 23, La legge generale del-
laccumulazione capitalistica. Per dirla nei termini proposti da An-
134 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 134
tonio Negri quasi trentanni fa: il capitolo 24 un esempio di quella
ricerca (Forschung) che interviene a rinnovare il terreno dellespo-
sizione (Darstellung) imponendo o comunque rendendo possibi-
le una nuova esposizione, una neue Darstellung (Negri 1979, pp.
23-26).
Norma ed eccezione sono concetti che vanno utilizzati e va-
lorizzati in senso determinato leggendo il testo marxiano. Questo si-
gnifica che non vanno soltanto applicati al rapporto tra lorigine, la
storia e il presente del modo di produzione capitalistico, ma devono
essere fatti lavorare se necessario oltre Marx per decostruire
criticamente la stessa immagine di un capitalismo normale. Non
che non vi siano norme di funzionamento del modo di produzio-
ne capitalistico: ma ogni norma include al proprio interno tanto
logicamente quanto storicamente una costellazione di eccezioni,
che rientrano tra le sue condizioni di possibilit ma al tempo stesso
costituiscono una sorta di riserva di opzioni che possono essere sem-
pre attualizzate. su questo terreno che possiamo, dobbiamo a mio
giudizio, incrociare ricerche e proposte teoriche tra le pi interessanti
presentate negli ultimi anni, quali il lavoro di Yann Moulier Boutang
(1998) sulle forme difformi di sottomissione del lavoro al capitale
(difformi dalla norma del rapporto salariale) e il progetto di pro-
vincializzazione dellEuropa di Dipesh Chakrabarty.
Cospicue tracce di riflessione in questo senso si ritrovano per altro
anche in Marx. Significativi, in questo senso, non sono soltanto il ri-
lievo strategico assegnato alla colonizzazione e la ricchezza di riferi-
menti al tema della schiavit, che legittimano una ricostruzione della
storia del capitalismo quale quella proposta da molti protagonisti del
Black Marxism (Robinson 1983), che ne rintraccia le origini in Afri-
ca, nelle Indie occidentali e nello spazio atlantico assai pi che in In-
ghilterra. Si tratta anche di valorizzare una serie di spunti presenti ne-
gli scritti tardi sulla Russia (cfr., nella letteratura recente, Burgio
2000, cap. IV), in cui leccezionalit del caso inglese su cui si basa
in buona sostanza lanalisi proposta nel capitolo 24 esplicitamente
affermata mentre viene con forza respinto ogni tentativo di dedur-
re da tale analisi un modello di filosofia della storia (cfr. K. Marx,
Brief an die Redaktion der Otetschestwennyje Sapiski [1877], MEW,
19, in specie p. 111). Lineluttabilit storica del movimento de-
scritto nel capitolo sullaccumulazione originaria, scrive ad esempio
Marx in una lettera a Vera Iwanowa Sassulitsch dell8 marzo del
1881, espressamente limitata ai Paesi dellEuropa occidentale
(MEW, 35, p. 166).
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 135
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 135
La transizione al capitalismo, un punto su cui ha ancora una vol-
ta molto insistito negli ultimi anni la critica postcoloniale, non segue
dunque norme prestabilite, pu determinarsi secondo modalit sto-
ricamente differenti. E se guardiamo al capitalismo valorizzandone il
carattere di sistema-mondo fin dalle origini, queste modalit diffe-
renti non costituiscono eccezioni periferiche, entrando piuttosto a
determinare (nel duplice senso sopra indicato: come condizioni di
possibilit e come riserva di opzioni sempre attualizzabili) la strut-
tura del modo di produzione capitalistico nel suo complesso. Torne-
remo in conclusione sul concetto di transizione e su alcune delle pro-
blematiche a esso connesse. Ma origine (transizione) termine che ri-
manda comunque sempre alla violenza, definita da Marx con celebre
espressione messianica, ripresa poi da Engels nellAnti-Dhring,
levatrice della storia, [...] essa stessa potenza (Potenz) economi-
ca proprio nel capitolo 24 del primo libro del Capitale (K, I, p.
923). Ecco un altro grande tema propostoci dal testo su cui stiamo
soffermandoci, quello per dirla in termini molto generali del ruo-
lo della violenza nella storia. tienne Balibar, redigendo la voce Ge-
walt per lo Historisch-Kritisches Wrterbuch des Marxismus, ha pro-
posto recentemente considerazioni molto stimolanti su questo pun-
to (Balibar 2001c).
Vale la pena di segnalare, in ogni caso, che il problema della vio-
lenza si pone su almeno due diversi piani nellanalisi dellaccumula-
zione originaria: da una parte esso rinvia al ruolo cruciale della vio-
lenza concentrata e organizzata dalla societ ovvero del potere del-
lo Stato, che proprio nella transizione assume la forma di macchina
nel determinare la transizione al capitalismo. Marx ricorda il ruolo
del sistema coloniale, del sistema del debito pubblico e del sistema
tributario e protezionistico moderno (K, I, p. 923): un punto su cui
ha molto insistito nei suoi scritti degli anni Settanta Mario Tronti (cfr.
in particolare Tronti 1977, pp. 212 ss.). Le tesi trontiane vanno com-
prese e discusse tenendo conto del loro contesto, ovvero dellela-
borazione sullautonomia del politico: ma la complicazione (sotto il
profilo storico non meno che sotto il profilo logico) del rapporto tra
politica, diritto ed economia (a partire da quella che Marx chiama la
genesi extraeconomica della propriet, G, II, pp. 113 s.) che Tronti
derivava dalla lettura del capitolo 24 resta in ogni caso unacquisi-
zione preziosa.
Dallaltra parte, lagire della violenza viene analizzato da Marx
non guardando alla macchina statuale, alla concentrazione appun-
to della violenza, ma ai suoi effetti diffusi, sociali, dove in particolare
136 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 136
si tratta di portare alla luce il ruolo cruciale giocato dallo Stato, dalla
legislazione e dal diritto dapprima nel determinare le condizioni di
esistenza della forza lavoro come merce, poi nel regolare il salario e
la giornata lavorativa (K, I, p. 907). da questo secondo punto di vi-
sta che Marx scrive pagine magistrali, quali quelle sulle enclosures e
sulla legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio quasi uni-
versale che, Marx lo aveva affermato gi nel 1847, nella Miseria del-
la filosofia (pp. 90 s.), precedette la creazione della fabbrica (e la na-
scita della classe operaia) nei primi secoli moderni: veri e propri mo-
delli di storia sociale riscoperti come tali nel corso degli anni Ses-
santa del Novecento, a partire dai grandi lavori di E.P. Thompson
(tra cui non si pu non ricordare, ovviamente, Rivoluzione industria-
le e classe operaia in Inghilterra, 1963).
4. Una merce diversa dalle altre
Una considerazione a questo proposito. Sotto il profilo storiogra-
fico, un compito importante consiste nellevidenziare maggiormente
di quanto Marx non faccia nel capitolo 24 il carattere duramente con-
flittuale dei processi sociali e delle condizioni complessive in cui lac-
cumulazione originaria si articola. Si tratta cio, da una parte, di por-
re in risalto che la crisi dellautorit feudale nelle campagne non vie-
ne prodotta da questi processi, che si inseriscono piuttosto in una
condizione segnata da rivolte e da vere e proprie guerre contadi-
ne che disarticolano il tessuto feudale dal suo interno (cfr. Docks
1980; ma si tenga anche presente, sulla lunga durata dellinsubordi-
nazione contadina, Blickle 2003). Come ha scritto ad esempio in un
libro molto importante Theodore W. Allen, stata la continuit di
questo movimento di insubordinazione, che si distende tra la cosid-
detta Wat Tylers Rebellion del 1381 in Inghilterra e le guerre con-
tadine degli anni Venti del Cinquecento in Germania, e non la bor-
ghesia a far saltare il sistema feudale (Allen 1997, pp. 14 s.). E lo stes-
so Allen ha richiamato lattenzione sul ruolo delle proteste popolari
contro le recinzioni nel determinare, tre anni dopo la sua promulga-
zione, labolizione della legge inglese del 1547 che introduceva la
schiavit come pena per il vagabondaggio (1 Edw. VI 3), e che avreb-
be posto le basi per listituzione di un sistema schiavistico nella stes-
sa Inghilterra (ivi, pp. 20-22).
Dallaltra parte si tratta di enfatizzare, lo hanno fatto tra gli altri
in modo particolarmente convincente Peter Linebaugh e Marcus Re-
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 137
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 137
diker (2000; ma si tenga presente anche Linebaugh 1993), la plurali-
t delle forme in cui si espressa, molto spesso traducendosi in pra-
tiche e concrete rivendicazioni di mobilit, la resistenza dei subal-
terni alla proletarizzazione (alla loro trasformazione in portatori
di forza lavoro). Da questo punto di vista, del resto, non mancano
precise indicazioni marxiane. Basti pensare a un noto passo dei
Grundrisse: la massa dei soggetti espulsi dalle campagne si trov, scri-
ve Marx, ridotta a trovare lunica fonte di guadagno nella vendita
della sua forza-lavoro, oppure nella mendicit, nel vagabondaggio,
nella rapina. constatato storicamente che essi hanno tentato in un
primo momento questa seconda via, e che da questa sono stati per
spinti, mediante la forca, la berlina, la frusta, sulla stretta via che
conduce al mercato del lavoro (G, II, p. 138).
Ancora una volta si tratta di una questione di rilievo tuttaltro che
meramente antiquario: basta pensare allimpatto dei programmi di
aggiustamento strutturale sullorganizzazione sociale ed economica
delle campagne di molti Paesi africani negli anni Ottanta dello scor-
so secolo (alle New Enclosures da essi determinati) e alle migrazioni
transnazionali contemporanee per comprenderlo. La mobilit del la-
voro del resto, gi lo si sottolineato, uno dei temi centrali nella
scena dellaccumulazione originaria costruita da Marx. E davvero va-
le la pena di ribadire che non c capitalismo senza migrazioni (cfr.
Mezzadra 2006, in specie parte II, cap. 5).
I movimenti dei subalterni (utilizzando questa categoria in ter-
mini rigorosi, per riferirsi a soggetti dominati che non sono ancora
stati catturati nel processo di proletarizzazione) sono dunque ele-
mento fondamentale del processo attraverso cui si determina la pro-
duzione della forza lavoro come merce (ovvero del processo di pro-
letarizzazione): ne definiscono il carattere antagonistico. Ed impor-
tante sottolineare che questo antagonismo va distinto concettual-
mente dallantagonismo tra lavoro e capitale (che presuppone lav-
venuta produzione della forza lavoro come merce).
Ci detto, a me pare che non sia del tutto convincente la propo-
sta di Beverly Silver, in un libro del resto molto bello (Silver 2003),
di distinguere due tipi di insubordinazione nella storia dei movimen-
ti del lavoro, denominando il primo quello che si determina a fron-
te dei processi di espropriazione e di proletarizzazione il tipo
Polanyi e il secondo quello che si determina a fronte dei processi
di sfruttamento il tipo Marx. Si tratta di formule, riconducibi-
li ai lavori di David Harvey (cfr. ad es. Harvey 2003, su cui si vedano
il simposio in Historical Materialism, XIV, 2006, 4, e le pertinen-
138 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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ti osservazioni critiche di Robinson 2007), che sono circolate ampia-
mente nel marxismo radicale statunitense degli ultimi anni, non di ra-
do conducendo a contrapposizioni analitiche che non mi paiono par-
ticolarmente produttive: al contrario, lattenzione dovrebbe oggi con-
centrarsi sulle condizioni in cui i due tipi di conflitto tendono a so-
vrapporsi, riproponendo violentemente loriginaria articolazione, lo-
gica e storica, appunto di espropriazione e sfruttamento.
E questo accade in particolare proprio quando il mercato del la-
voro (linsieme delle condizioni sociali, istituzionali, giuridiche, an-
tropologiche e spaziali che regolano lo scambio di forza lavoro con-
tro salario) viene messo in tensione fino a saltare, attraverso processi
che ripropongono in tutta la sua problematicit ci che il mercato del
lavoro stesso assume come presupposto: ovvero, la continuit e la
normalit della produzione della forza lavoro come merce. Fissia-
mone le conseguenze in termini a noi familiari: la riapertura sem-
pre duramente conflittuale del problema della produzione della
forza lavoro come merce non ha ricadute esclusivamente sulle condi-
zioni della classe operaia (cfr. Perelman 2000, p. 33), ma entra piut-
tosto a determinarne la composizione. , per molti aspetti, la situa-
zione in cui ci troviamo oggi.
Uno dei temi fondamentali del capitolo 24 in effetti proprio la-
nalisi critica del processo di costituzione politica e giuridica del mer-
cato del lavoro. Il ruolo strategico giocato dalla violenza in questo
processo svolge ancora una volta una funzione polemica nei con-
fronti delleconomia classica, che aveva costruito le relazioni di mer-
cato proprio come relazioni non solo libere dalla violenza ma a essa
concettualmente contrapposte, e finisce per disarticolare la stessa ca-
tegoria di mercato del lavoro. Nulla v di naturale, ci dice Marx,
nel fatto che una classe di individui sia costretta, per riprodurre la
propria esistenza, a vendere la propria forza lavoro, la merce ap-
punto scambiata sul mercato del lavoro.
un punto da evidenziare in particolare sullo sfondo dei dibatti-
ti contemporanei su salario e reddito: non per svolgere una critica
volgare delle ipotesi di lotta sul reddito, evidentemente, ma per
mostrare intera la complessit di queste ipotesi, che insistono su un
terreno strategico per la stessa esistenza del modo di produzione ca-
pitalistico. Questultimo non pu esistere, concettualmente, senza le-
lemento di coazione al lavoro di cui Marx traccia la genealogia nel ca-
pitolo sullaccumulazione originaria. La storia del capitalismo, sotto
la spinta incessante delle lotte operaie e proletarie, ha registrato lat-
tivazione di molteplici dispositivi di mitigazione di questo elemen-
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 139
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 139
to di coazione, di cui lo stesso Marx ci d un saggio nellanalisi, an-
cora una volta metodologicamente magistrale, della giornata lavora-
tiva proposta nel capitolo 8 del primo libro del Capitale (si veda in
proposito Balibar 1993, pp. 101-103). Ma di mitigazione occorre
parlare, e non di annullamento (come avverrebbe in alcune ipotesi di
reddito di esistenza), poich lannullamento della coazione al la-
voro comporterebbe, molto semplicemente, la fine del modo di pro-
duzione capitalistico.
Volgiamoci ora, brevemente, a un altro testo recente che ha insi-
stito sul fatto che lanalisi marxiana dellaccumulazione originaria
consente di leggere il passato come qualcosa che sopravvive nel pre-
sente: mi riferisco al libro di Silvia Federici, Caliban and the Witch.
Women, the Body and Primitive Accumulation (2004, p. 12 per la ci-
tazione). Il libro di Federici parte di uno sviluppo interno al mar-
xismo contemporaneo che, muovendo dalle posizioni delloperaismo
rivoluzionario, venuto concentrandosi sulla tematica dei commons
(si vedano ad esempio la rivista The Commoner, http://www.com-
moner.org.uk e i lavori di Massimo de Angelis e di Gorge Caffentzis).
Tematica di grande rilievo, evidentemente, che tuttavia spesso de-
clinata in termini non del tutto soddisfacenti, come lo stesso libro di
Federici a mio giudizio mostra. Torner brevemente in conclusione
sul punto. Ma intanto il riferimento a Caliban and the Witch ci con-
sente di introdurre unaltra questione decisiva per lanalisi del pro-
cesso di produzione della forza lavoro come merce: il problema su
cui prevista una relazione allinterno di questo stesso ciclo semina-
riale (cfr. supra, Nota ai testi) e su cui vale la pena di rileggere al-
cuni testi classici del femminismo radicale degli anni Settanta (basti
qui ricordare i nomi di Selma James, Mariarosa Della Costa, Leopol-
dina Fortunati e Alisa del Re) del rapporto tra produzione e ripro-
duzione della forza lavoro.
Sotto il profilo storiografico, Silvia Federici insiste sullimportan-
za delle molteplici forme di criminalizzazione, culminate nella caccia
alle streghe (ivi, pp. 163 ss.), dei tentativi da parte delle donne sub-
alterne di porre sotto controllo la propria funzione riproduttiva nel-
la crisi demografica che segu la grande epidemia di peste del XIV se-
colo (ivi, pp. 40 ss.). Siamo qui di fronte a unaltra dimensione es-
senziale (e duramente conflittuale) dellaccumulazione originaria, in
effetti trascurata da Marx: al processo (occorre aggiungerlo? Decisa-
mente non idilliaco...) di razionalizzazione capitalistica della ses-
sualit attraverso cui prende forma una divisione sessuale del lavoro
che assegna alle donne la funzione prioritaria di riproduttrici della
140 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 140
forza lavoro. La condanna dei maleficia, dellaborto e della contrac-
cezione segna come un basso continuo questo processo (ivi, p. 144),
al culmine del quale il corpo femminile costruito letteralmente co-
me macchina per la riproduzione: non stata la macchina a vapo-
re, scrive Federici, e neppure lorologio, la prima macchina, bens
il corpo umano (ivi, p. 146).
Il libro di Silvia Federici importante anche per unaltra ragione:
analogamente al lavoro di Yann Moulier Boutang, anche Caliban and
the Witch contesta ancora una volta: storicamente e concettual-
mente lidentificazione marxiana tra modo di produzione capitali-
stico e lavoro salariato libero (ovvero, per citare un passo celebre,
presenza di venditori della propria forza lavoro, di operai liberi
nel duplice senso che essi non fanno parte direttamente dei mezzi di
produzione come gli schiavi, i servi della gleba ecc., n ad essi ap-
partengono i mezzi di produzione, come al contadino coltivatore di-
retto ecc., anzi ne sono liberi, privi, senza, K, I, p. 880). Il punto
ancora una volta decisivo, in particolare laddove si intenda davvero
prendere seriamente linvito a provincializzare lEuropa e a consi-
derare la dimensione globale in cui si sviluppa fin dalle sue origini il
modo di produzione capitalistico: facendo questo, come gi si ac-
cennato, la transizione al capitalismo presenta una pluralit di for-
me di lavoro coatto che appunto provincializzano e dislocano la
norma del rapporto salariale.
La proposta di Yann Moulier Boutang di sostituire il concetto di
lavoro dipendente a quello di lavoro salariato come condizione
effettivamente necessaria allo sviluppo del modo di produzione ca-
pitalistico (e di ricomprendere il secondo come variante del primo,
di cui si tratta di studiare le peculiari condizioni storiche, sociali e
giuridiche) pare a me da accettare: essa salva infatti un aspetto es-
senziale dellenfasi di Marx sul lavoro salariato libero (ovvero lin-
sistenza, proprio nel capitolo 24, sul fatto che il capitale va inteso e
criticato come un rapporto sociale e non come una cosa, cfr. K, I,
p. 941), e consente al tempo stesso unanalisi maggiormente accurata
e flessibile sia delle diverse forme assunte dalla transizione sia delle
diverse forme di sottomissione del lavoro al capitale che contraddi-
stinguono il nostro presente globale.
Non casualmente, in questo senso, accennavo in precedenza al-
limmagine marxiana dellincontro tra il proprietario di denaro e il
proletario sprovvisto di tutto, salvo che della propria forza lavoro. A
partire da questa immagine ha scritto come noto, in un testo del
1982, pagine molto suggestive (ma anche piuttosto enigmatiche)
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 141
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 141
Louis Althusser (1982, in specie pp. 106 ss.). In queste pagine ben
presente, daltronde, il riferimento allanalisi marxiana dellaccumu-
lazione originaria, che Althusser arriva a definire lautentico nu-
cleo del Capitale (ivi, p. 109). La semantica di questo incontro an-
drebbe studiata con cura, a partire da unanalisi scrupolosa delle im-
plicazioni del verbo utilizzato da Marx nel passo citato sopra, ovvero
vorfinden (cfr. MEW, 23, p. 181, mentre in un passo del capitolo 24,
concettualmente equivalente, Marx scrive gegenber und in Kontakt
treten, cfr. ivi, p. 742) un incontrare che presuppone la presenza
previa di ci che si incontra, una storia precedente dunque, ap-
punto una Vorgeschichte.
A me pare, in ogni caso, che lavorando sullimmagine dellin-
contro si possa recuperare la sostanza di obiezioni e integrazioni
dellanalisi marxiana quali quelle proposte da Silvia Federici e Yann
Moulier Boutang. La preistoria dellincontro, per dirla con una
battuta, pu svolgersi in molte forme, e tra queste la tratta atlantica
non necessariamente uneccezione rispetto alle enclosures. Come
gi si detto, del resto, che tra i due processi esistessero cospicue
analogie era ben chiaro a Marx: gi in un articolo del 1853, pubbli-
cato nella New York Daily Tribune e, per la parte che qui ci inte-
ressa, nel giornale cartista scozzese The Peoples Paper, aveva irri-
so le simpatie abolizioniste della duchessa di Sutherland. Costei, se-
condo i metodi consueti dellaccumulazione originaria, aveva tra-
sformato in pastura per le pecore lintera sua contea, determinando
tra il 1814 e il 1820 lespulsione e lo sterminio sociale di oltre
15000 abitanti (la sostanza dellanalisi presentata nel 1853 incor-
porata nel capitolo 24 del primo libro del Capitale: cfr. K, I, pp. 898
s.): i nemici della schiavit salariale inglese, concludeva Marx,
hanno il diritto di condannare e maledire la schiavit dei negri; ma
una duchessa di Sutherland, un duca di Atholl, un signore del coto-
ne di Manchester mai! (K. Marx, Die Herzogin von Sutherland und
die Sklaverei, MEW, 8, p. 505).
Lincontro, dunque, pu ben avvenire in una battuta di caccia,
o magari di pesca per riprendere il riferimento di Marx al destino di
una parte degli aborigeni (e si potrebbero proporre molte consi-
derazioni su questa scelta terminologica) espulsi dalle loro terre dal-
la duchessa di Sutherland gettata sulla riva del mare e che cerc
di vivere di pesca: divennero anfibi e vissero, come dice uno scrit-
tore inglese, met sul mare e met sulla terra, e con tutto ci trasse-
ro dalluno e dallaltro solo di che vivere a met (K, I, p. 899; cfr. K.
Marx, Die Herzogin von Sutherland und die Sklaverei, MEW 8, p.
142 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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503). Quel che rimane costante tuttavia, e di cui il capitolo sullaccu-
mulazione originaria studia la genealogia, la radicale differenza dei
due soggetti che si incontrano e il cui rapporto costituisce il ca-
pitale. In un altro libro recente in cui centrale la tematica della ac-
cumulazione originaria, molto influenzato sia da Althusser sia dal-
loperaismo italiano, Jason Read ha molto insistito sulla produzione
di soggettivit (ricordiamo quanto abbiamo letto nei Grundrisse:
produzione di capitalisti e di operai salariati) come elemento chia-
ve per il modo di produzione capitalistico: produzione di soggetti-
vit nei due sensi del genitivo; da una parte la costituzione della sog-
gettivit, di un particolare comportamento soggettivo, e dallaltra la
potenza produttiva della soggettivit stessa, la sua capacit di pro-
durre ricchezza (Read 2003, p. 153).
un punto sviluppato in modo particolare da Read nellanalisi
del capitolo 24 del primo libro del Capitale, che gli serve tra laltro
per riprendere e approfondire la distinzione (althusseriana) tra eco-
nomia e modo di produzione capitalistici. Leggiamo un altro bra-
no del libro di Read: vi una produzione di soggettivit necessaria
alla costituzione del modo di produzione capitalistico. Perch un
nuovo modo di produzione, quale quello del capitale, sia istituito,
non sufficiente che esso formi semplicemente una nuova economia,
deve istituirsi nelle dimensioni quotidiane dellesistenza deve dive-
nire abitudine (ivi, p. 36). La polemica di Marx contro la rappre-
sentazione idilliaca della accumulazione originaria proposta dalle-
conomia classica si presenta cos nella sua piena luce, specificandosi
come un capitolo della pi generale polemica da lui ingaggiata contro
limmagine astorica della natura umana assunta dai classici delle-
conomia politica a fondamento delle loro analisi. E a ragione Read
sottolinea che in questione non solo un problema di antropologia
filosofica (e politica), ma anche il problema pi pratico del luogo oc-
cupato nella storia dai desideri, dalle motivazioni e dalle credenze
umane (o dalla soggettivit): il problema delle loro condizioni, dei lo-
ro limiti e dei loro effetti (ivi, p. 20).
Desideri, motivazioni, credenze si presentano radicalmente scissi
nel modo di produzione capitalistico, secondo una linea che taglia la
soggettivit distribuendo gli individui nelle due classi (sia qui in-
tanto concesso di utilizzare questo termine cos impegnativo nel suo
semplice significato logico) dei possessori di denaro e dei possessori
di forza lavoro: il capitolo sullaccumulazione originaria traccia la ge-
nealogia di questa scissione, che conoscer molteplici metamorfosi
nella storia del capitalismo ma che sar destinata a riprodursi conti-
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 143
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 143
nuamente, rendendo vano ogni discorso sulla natura umana che
pretenda appunto di richiamarsi a un astratto e disincarnato univer-
salismo. Fino a oggi.
5. Nella transizione
Oggi, ieri, laltro ieri; il presente, la storia, la preistoria. Venia-
mo cos allultima grande questione che abbiamo annunciato di vo-
ler trattare muovendo dallanalisi marxiana dellaccumulazione ori-
ginaria: la transizione. un tema di formidabile rilievo e complessi-
t, che da molti segni sembra stia tornando di attualit: lultimo libro
di Saskia Sassen (2006), ad esempio, fondamentalmente uno studio
della transizione dagli assetti politici e giuridici nazionali agli as-
setti politici e giuridici globali, che ricostruisce la transizione dal-
lordine medievale allordine moderno per guadagnare una prospet-
tiva comparativa sul presente. Varrebbe la pena da questo punto di
vista, e lo si dovr fare per meglio inquadrare e per sviluppare il no-
stro ragionamento, di ricostruire almeno tre grandi dibattiti nove-
centeschi sul tema della transizione: quello che vide contrapposti al-
linizio degli anni Trenta, allinterno della Scuola di Francoforte,
Franz Borkenau e Henryk Grossmann (cfr. Schiera, a cura di, 1978),
la polemica tra Paul Sweezy e Maurice Dobb che prese avvio sulle
pagine della rivista statunitense Science and Society negli anni Cin-
quanta (si veda per una, sintesi, Tronti 1977, pp. 207-227) e il dibat-
tito avviato dalla pubblicazione nel 1976, nella rivista Past and Pre-
sent, di un articolo di Robert Brenner (Agrarian Class Structure and
Economic Development in Pre-Industrial Europe), dibattito che rifor-
mul molti dei temi centrali nella controversia tra Dobb e Sweezy co-
involgendo anche storici non marxisti (i testi fondamentali del dibat-
tito sono raccolti in Ashton, Philpin, a cura di, 1985).
Riattraversare questi dibattiti sarebbe utile in particolare per pre-
cisare linsieme delle questioni al centro dellanalisi della transizione
al capitalismo: dal rapporto tra struttura e sovrastruttura a quel-
lo tra agricoltura, commercio, manifattura e industria. Qui ci con-
centreremo preliminarmente soltanto su un paio di punti, lultimo
dei quali decisamente eccentrico rispetto ai dibattiti classici. Non
prima tuttavia di avere sottolineato una questione ulteriore: ovvero il
fatto che il problema della transizione, da un punto di vista marxista,
riconduce s continuamente alla preistoria del Capitale. Ma una
volta di pi ci strappa allo studio meramente storiografico per proiet-
144 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 144
tarci nel presente. E nel futuro: lanalisi della transizione al capitali-
smo cio sempre, contemporaneamente, un ragionamento sulle for-
me della transizione al comunismo, a partire dallesigenza di com-
prendere se il rapporto tra le due transizioni un rapporto di omo-
logia o se piuttosto occorre assumere lipotesi di una radicale dis-
continuit tra di esse.
Lavoriamo qui sul tema della transizione a partire dal capitolo 24
del primo libro del Capitale. Segnaliamo di sfuggita che, anche sol-
tanto per meglio inquadrare le questioni di seguito indicate, sarebbe
necessario convocare una serie di altre fonti marxiane: sarebbe al-
meno necessario, in particolare, fare un uso meno rapsodico di quel-
lo qui fatto della sezione sulle Forme che precedono la produzione
capitalistica dei Grundrisse (cfr. Negri 1979, pp. 116-122, Carandi-
ni 1979 e Dussel 1998, pp. 240-243) e soprattutto, considerato il ri-
lievo che nella nostra analisi assume la questione del rapporto tra co-
lonialismo e transizione al capitalismo, linsieme dei testi dedicati da
Marx al cosiddetto modo di produzione asiatico (il riferimento fon-
damentale continua a essere su questo problema il vecchio libro di
Sofri 1973; ma varr la pena di riprendere criticamente anche alcune
osservazioni di Spivak 1999, pp. 91-126).
Riservando a un successivo approfondimento lanalisi di questi te-
sti, limitiamoci dunque, qui, a vedere tre grandi questioni collegate
alla transizione che il capitolo 24 del primo libro del Capitale ci con-
sente di impostare in modo particolarmente originale. Cominciamo
intanto da una conferma, relativa al tema del rapporto tra transizione,
borghesia e rivoluzione borghese. Lultima categoria stata al cen-
tro di un ampio dibattito negli ultimi anni, che ne ha mostrato intera,
molto spesso con unintenzione polemica proprio contro la storio-
grafia marxista, la problematicit. Non dobbiamo temere di recepi-
re alcune delle acquisizioni fondamentali di questo dibattito. Proprio
le pagine dedicate da Marx allaccumulazione originaria mostrano in-
tera la correttezza di unaffermazione di Antonio Negri, in un saggio
del 1978 dedicato a una rilettura del dibattito tra Borkenau e Gros-
smann a cui si in precedenza fatto cenno: la mia convinzione di
fondo era e resta, scriveva Negri ricordando il suo Descartes politico,
o della ragionevole ideologia (1970: il volume da poco uscito in tra-
duzione inglese con una nuova introduzione, che si pu leggere in
italiano in Scienza & Politica, 2004, 31), quella che in generale
non si possa parlare di rivoluzione borghese ma si debba parlare di
rivoluzione capitalistica (nella accumulazione originaria, manifattu-
riera, industriale e poi socialista), che la categoria della borghesia
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 145
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 145
come classe sia estremamente ambigua (Negri in Schiera, a cura di,
1978, p. 139).
A me pare estremamente importante questo riferimento allambi-
guit della categoria di borghesia come classe. Non solo perch in
qualche modo anticipa gli sviluppi successivi della storiografia sulla
borghesia, che hanno da una parte mostrato la complessit delle me-
diazioni (politiche, giuridiche, ideologiche, culturali e scientifiche)
necessarie perch la borghesia possa costituirsi in soggetto unitario
(cfr. ad es. J. Kocka, a cura di, 1987 e soprattutto Schiera 1987) men-
tre dallaltra hanno insistito sulla lunga durata quantomeno fino
alla Grande guerra del rapporto simbiotico tra borghesia e nobilt
che costituisce uno dei temi di fondo dellanalisi marxiana dellaccu-
mulazione originaria (cfr. Mayer 1981). Ma anche perch, mi sembra,
ci restituisce il concetto di classe libero da una serie di incrostazioni
sociologiche che su di esso si sono depositate nel tempo. E ci con-
sente di riappropriarcene nel suo originario significato marxiano, un
significato tutto politico (cfr. Mezzadra, Ricciardi 2002).
Veniamo a una seconda questione: il rapporto tra sussunzione
formale e sussunzione reale del lavoro al capitale. Laccumula-
zione originaria, scrive Marx, non pu che essere caratterizzata dalla
sottomissione (Unterordnung) formale del lavoro al capitale, e
dunque dallestrazione di plusvalore assoluto (di un plusvalore ot-
tenuto con la continua estensione della giornata lavorativa): il mo-
do di produzione capitalistico non aveva ancora carattere specifica-
mente capitalistico (K, I, p. 907), viveva appunto della sussunzione
formale (del dominio e dello sfruttamento) di modi di lavoro e for-
me di produzione non direttamente organizzati e rivoluzionati dal
capitale.
ben nota limportanza che il rapporto tra sussunzione formale
e sussunzione reale ha avuto allinterno della nostra discussione e del-
la nostra tradizione teorica. Per ragioni in primo luogo politiche, si
a lungo trattato di insistere sulla qualit specifica della sussunzio-
ne reale (nonch dellestrazione di plusvalore relativo). In tal mo-
do, tuttavia, un residuo di storicismo e di progressismo si insi-
nuato nei nostri discorsi (uso i due concetti nel senso di D. Chakra-
barty, che in Provincializzare lEuropa si soffermato sul problema di
cui stiamo discutendo), finendo spesso per rendere troppo lineare
quel metodo della lettura della tendenza che rimane comunque tra le
acquisizioni pi preziose delloperaismo italiano. Per quel che con-
cerne specificamente il rapporto tra sussunzione formale e sussun-
zione reale, ci ha finito per esprimersi in un common sense secondo
146 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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cui i due concetti indicherebbero semplicemente due diverse epo-
che del modo di produzione capitalistico, destinate a succedere (ap-
punto linearmente) luna allaltra.
Certo, Marx fa uso dei due concetti anche per descrivere trasfor-
mazioni (transizioni) interne al modo di produzione capitalistico:
e si possono ben leggere in questo senso testi giustamente famosi, co-
me il capitolo 13 del primo libro del Capitale (Macchine e grande
industria), il Frammento sulle macchine dei Grundrisse, e lo stes-
so capitolo VI inedito del primo libro del Capitale (Risultati del pro-
cesso di produzione immediato), dove le categorie di sussunzione
formale e di sussunzione reale sono discusse con grande ampiez-
za e originalit. Ma proprio in questultimo testo leggiamo che la sus-
sunzione formale costituisce al tempo stesso la forma generale di
qualunque processo di produzione capitalistico (K, I, p. 1237). Mi
pare un punto di grande importanza, che proprio lanalisi dellaccu-
mulazione originaria consente di valorizzare pienamente.
Cerchiamo di proporre una sintesi di alcune delle cose fin qui det-
te, di portarle al concetto come dicono i tedeschi. E facciamolo te-
nendo presenti le questioni dello storicismo e del progressismo.
In che senso abbiamo intitolato questo testo Attualit della preisto-
ria? La preistoria del capitale, la sua storia precedente (Vorge-
schichte) e al tempo stesso non storia del capitale. Marx lo affer-
ma con assoluta chiarezza in un passo della sezione dei Grundrisse
sulle Forme che precedono la produzione capitalistica: una serie
di condizioni fondamentali del rapporto di produzione capitalistico
(una certa abilit di mestiere, lo strumento come mezzo di lavoro,
ecc.), in questo periodo iniziale o primo periodo del capitale, esso
la trova gi esistente. [...] Il processo storico [della sua produzione]
non il risultato, ma un presupposto del capitale (G, II, pp. 135 s.).
Daltro canto, questa peculiare struttura temporale (per cui il tempo
del capitale vive in un rapporto di dipendenza con altri tempi storici,
che non sono suoi propri) contraddistingue nel suo complesso la
sussunzione formale, nella misura in cui i modi di lavoro e le for-
me di produzione che la contraddistinguono non sono direttamente
organizzati dal capitale (e dunque sono anchessi trovati gi esisten-
ti dal capitale stesso). Lo aveva del resto perfettamente colto gi
Rosa Luxemburg, allinizio dello scorso secolo, sottolineando che il
capitalismo ha bisogno, per la sua esistenza e per il suo sviluppo, di
un ambiente costituito da forme di produzione non-capitalisti-
che (Luxemburg 1913, p. 363). Ma se prendiamo sul serio laffer-
mazione precedentemente citata, secondo cui la sussunzione for-
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 147
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 147
male anche la forma generale di qualunque processo di produ-
zione capitalistico, la sconnessione temporale di cui stiamo parlando
si inscrive al cuore stesso del concetto di capitale, determinandone
logicamente la struttura.
Questa sconnessione in fondo riconducibile proprio al rapporto
tra storia e preistoria del capitale. Gi lo abbiamo detto: questo
rapporto si riapre continuamente nello sviluppo capitalistico, nel suo
quotidiano funzionamento. Ora possiamo aggiungere: progressismo
e storicismo sono s inscritti nel codice temporale del capitale (e la
critica deve renderne conto), ma ne costituiscono soltanto un vettore
(in fondo letteralmente e profondamente utopico), continuamente in-
terrotto dalla violenta (catastrofica, se vogliamo giocare con i termini
benjaminiani) riapertura del problema dellorigine. Ovvero dal con-
tinuo ripetersi della transizione, termine che oltre a designare il mo-
mento storico appunto dellorigine del capitalismo ben si presta a in-
dicare alcuni tratti fondamentali del suo quotidiano funzionamento,
che balzano in superficie in modo particolare nei grandi momenti di
trasformazione del capitalismo stesso.
Considerato nella sua lunga durata storica e nella sua dimensione
di sistema mondo, il capitalismo del resto strutturalmente caratte-
rizzato dalla compresenza di sussunzione formale e di sussunzione
reale, di plusvalore assoluto e di plusvalore relativo. A me pare che il
capitalismo contemporaneo porti alle estreme conseguenze questa
compresenza, proprio nella misura in cui, come ha scritto in modo
efficacissimo alcuni anni fa Paolo Virno, uno dei suoi tratti costituti-
vi consiste nel determinare una sorta di esposizione universale dei
modi di lavoro e delle forme di produzione che hanno segnato la sua
storia. E si badi: tanto pi intenso il riemergere di sussunzione for-
male e di plusvalore assoluto (con il carico di violenza che a essi
connaturato) laddove si riapre la questione della produzione della
forza lavoro come merce, laddove cio questultima non pu pi es-
sere assunta come presupposto scontato e regolato del mercato
del lavoro. Non a caso, il concetto di sussunzione formale stato
riproposto, nella nostra discussione degli ultimi anni, da quanti han-
no ragionato sui dispositivi di cattura e sfruttamento del lavoro
cognitivo (cfr. Vercellone 2006, in specie pp. 55 s.) e da quanti han-
no assunto come tema di ricerca il lavoro migrante e le forme del suo
dominio (cfr. Ricciardi, Raimondi, a cura di, 2004, Mezzadra 2006 e
Rigo 2007).
Non si derivi daltro canto da questo accostamento (n dallacco-
stamento ampiamente circolante tra lavoro precario e lavoro mi-
148 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 148
grante) lidea che le condizioni di una ricomposizione tra le figure
soggettive del lavoro a cui questi concetti fanno riferimento sia qual-
cosa di automatico e spontaneo. Il ragionamento svolto sulla com-
presenza di sussunzione formale e sussunzione reale conduce piutto-
sto a evidenziare la radicale eterogeneit delle figure e delle posizio-
ni soggettive che compongono oggi il lavoro vivo, eterogeneit che
costituisce al tempo stesso un elemento di ricchezza e un problema
politico. Da qui deve a mio giudizio ripartire il dibattito sulla cate-
goria di moltitudine.
Daltro canto, opportuno sottolineare che la compresenza di
sussunzione formale e sussunzione reale, fin qui analizzata nei termi-
ni delle strutture della temporalit, ha importanti implicazioni anche
per un ragionamento su quelle che possiamo definire le coordinate
spaziali del capitalismo contemporaneo. Per dirla in breve: mentre in
altre fasi dello sviluppo capitalistico sussunzione formale e sussun-
zione reale si distribuivano tendenzialmente allinterno di diversi spa-
zi (seguendo la distinzione tra centro e periferia, primo e ter-
zo mondo), oggi insiste allinterno di ogni area capitalistica. Di nuo-
vo: non ne consegue certo lirrilevanza delle differenze tra i diversi
spazi, ma i confini tra essi come hanno messo in evidenza Mi-
chael Hardt e Antonio Negri in Impero (2000) si fanno mobili e po-
rosi. E ne conseguono decisive implicazioni.
Mi limito a un unico esempio: mentre precedenti fasi dello svi-
luppo capitalistico sono state caratterizzate dal predominio di una
particolare branca della produzione, di un particolare ciclo di pro-
dotto (prima il tessile, poi lautomobile), attorno a cui si definivano
gli equilibri interni al capitale complessivo e i rapporti gerarchici
tra le diverse aree del sistema mondo capitalistico, oggi risulta estre-
mamente difficile applicare questo modello, centrale nellintera teoria
del sistema mondo e in particolare nella variante dei cicli delle ege-
monie proposta da Giovanni Arrighi (ad es. 1994). esemplare a
questo riguardo la conclusione a cui perviene Beverly Silver, piena-
mente interna a questa scuola, nel libro citato in precedenza. Nel
tentare di individuare il ciclo di prodotto che imprime il proprio
segno al capitalismo contemporaneo, Silver ne rintraccia almeno tre:
lindustria dei semiconduttori (a cui si collega nel suo complesso il
lavoro cognitivo), i servizi ai produttori e i servizi alla persona
(Silver 2003, pp. 103-123). facile far notare che la semplice circo-
stanza che i cicli di prodotto individuati siano ben tre segnala una
trasformazione piuttosto radicale rispetto a precedenti cicli. Ma il
punto fondamentale a mio giudizio che questi tre cicli di prodot-
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 149
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 149
to attraversano il capitalismo contemporaneo nellinterezza della sua
articolazione spaziale: e a variare sono piuttosto le interne propor-
zioni dellarticolazione tra di essi, nonch della loro articolazione con
altri settori delleconomia.
Ma torniamo alla questione della temporalit, per affrontare un
terzo e ultimo problema collegato al tema della transizione. Il dis-
corso precedentemente sviluppato sulla sconnessione temporale in-
scritta allinterno del concetto stesso di capitale si svolto sul filo del
confronto oltre che con alcune intuizioni di tienne Balibar ricor-
date nel secondo paragrafo con lanalisi del rapporto tra lavoro
astratto e lavoro vivo proposta da Dipesh Chakrabarty nel secon-
do capitolo di Provincializzare lEuropa. Non si tratta di assumerla in
toto, daltro canto. A me pare, in particolare, che il ragionamento di
Chakrabarty non faccia sufficientemente i conti con linsieme dei
problemi di cui qui si trattato a proposito della produzione di quel-
la merce assolutamente peculiare che la forza lavoro, limitandosi a
svolgere la questione (del resto assolutamente fondamentale) del ne-
cessario processo di disciplinamento del lavoro vivo ovvero del-
la sua riconduzione alla norma del lavoro astratto. Il contributo
di Chakrabarty resta tuttavia di grande importanza: le due storie del
capitale da lui distinte luna (la Storia 1) interamente dominata
dalla temporalit omogenea e vuota del lavoro astratto, laltra (la
Storia 2) costretta a registrare leterogeneit costitutiva del lavo-
ro vivo consentono di approfondire e precisare molte delle tesi qui
presentate.
In un saggio scritto con Federico Rahola (supra, cap. I), ho in par-
ticolare cercato di porre in relazione il discorso di Chakrabarty da
una parte con lanalisi del rapporto tra il singolare collettivo Sto-
ria e il plurale delle storie sviluppata da Reinhart Koselleck nella sua
storia concettuale della modernit, dallaltra con lanalisi della strut-
tura del tempo storico proposta da Paolo Virno nel suo Il ricordo del
presente (1999). Quel che ci stava a cuore affermare era in buona so-
stanza che anche la tensione tra la Storia e le storie (risolta nella
transizione alla modernit) sembra oggi riaprirsi nella quotidianit
del funzionamento del capitalismo globale, nella misura in cui esso
costretto a fare delleterogeneit costitutiva dei tempi storici che in-
contra il terreno strategico su cui si ridefinisce la valorizzazione del
capitale. E in questo modo, finisce per venire in superficie quella ten-
sione tra potenza e atto che, appunto secondo lanalisi di Virno, sta
al fondo della stessa possibilit dellesperienza storica.
Non torno qui su questo punto, per quanto sia ben consapevole
150 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 150
della necessit di una sua maggiore articolazione. Vorrei soltanto fa-
re due ulteriori considerazioni muovendo dal testo di Chakrabarty.
La prima riguarda il carattere cruciale, per una ricerca sulla trans-
izione al capitalismo e sullaccumulazione originaria, del confronto
con il colonialismo. Nel capitolo 24 del primo libro del Capitale il ri-
ferimento al colonialismo ben presente, ma in buona misura resta
interno a una rappresentazione del colonialismo stesso come impre-
sa di rapina e non guarda alla specificit dei rapporti sociali da es-
so prodotti al di fuori dellEuropa (mentre il capitolo successivo, de-
dicato come si detto alla Teoria moderna della colonizzazione, si
concentra essenzialmente sul colonialismo settler).
Assumere pienamente il punto di vista coloniale sul tema della
transizione, al contrario, conduce da una parte a ridisegnare la sua
stessa geografia, ponendo in discussione ogni rapporto lineare tra
centro e periferia del sistema mondo capitalistico fin dalla sua au-
rora (ho cominciato a sviluppare questo problema supra, cap. III);
mentre dallaltra lo ha rilevato ad esempio Partha Chatterjee, un al-
tro protagonista, come Chakrabarty, dello sviluppo dei Subaltern
Studies, intervenendo nel dibattito Brenner (Chatterjee 1983)
pone di fronte a situazioni in cui leterogeneit storica e culturale
delle condizioni in cui si determina il violento avvio dello sviluppo
capitalistico a fronte della storia 1 del capitale ancora maggiore
rispetto allEuropa occidentale, imponendo soluzioni anchesse ra-
dicalmente eterogenee (ovvero una combinazione di dispositivi di
dominio e di sfruttamento di diversa natura e di diversa origine).
La seconda considerazione consiste nel segnalare il fatto, seguen-
do ancora lanalisi di Chakrabarty, che proprio per questultima ra-
gione nelle condizioni del dominio coloniale emerge in modo parti-
colarmente chiaro il nesso che stringe transizione e traduzione (Cha-
krabarty 2000, pp. 34 s. e 102; ma si veda anche supra, cap. VI). Po-
niamo questo nesso nei termini pi semplici possibili: perch si de-
termini la transizione al capitalismo necessario che le condizioni
storicamente e culturalmente eterogenee che il capitale incontra e
sussume sotto di s siano tradotte nei codici che governano la Sto-
ria 1 del capitale, e in particolare nel codice del lavoro astratto,
inteso come la chiave interpretativa della griglia con cui il capitale
ci chiede di osservare il mondo (ivi, p. 82). Ma se quanto si affer-
mato precedentemente a proposito della peculiare qualit del tem-
po storico nel capitalismo globale ha una qualche plausibilit, le-
gittimo fare un passo ulteriore: e affermare che questo nesso tra
transizione e traduzione, ancora una volta particolarmente evidente
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10 appendice 18-01-2008 0:29 Pagina 151
allorigine del modo di produzione capitalistico, designa uno dei fon-
damentali modi di operare del capitalismo contemporaneo.
Mi pare unacquisizione di una certa importanza, nella misura in
cui ci consente di guadagnare una prospettiva particolarmente effi-
cace a partire dalla quale guardare alla centralit assunta oggi dal te-
ma della traduzione nei dibattiti di teoria culturale e di teoria politi-
ca. Cos ridefinita, la traduzione si mostra intera da una parte nella
sua natura affatto materiale, perdendo ogni aura culturalista, dal-
laltra nella sua ambivalenza (cfr. Adamo 2007, p. 205): terreno fon-
damentale di lavoro per la costruzione di pratiche politiche e di pro-
gettualit alternative (come ben sa, banalmente, chiunque abbia
partecipato a unassemblea di migranti), essa altres cruciale nella
continua ricomposizione e trasformazione dei dispositivi di dominio
e di sfruttamento. Lungi dallappartenere allempireo di una ideale
comunit habermasiana della comunicazione, essa intrattiene cospi-
cue relazioni proprio con la levatrice della storia con la violenza.
Per tornare a un libro che abbiamo menzionato allinizio del testo,
quello di Anna Lowenhaupt Tsing che pure insiste sul nesso tra
transizione al capitalismo e traduzione (cfr. Tsing 2005, p. 31) e che
mostra come lo scontro tra i partigiani e gli oppositori dei progetti
delle grandi corporation giapponesi nelle foreste pluviali indonesiane
si sia giocato tra laltro proprio sul terreno della traduzione (cfr. ivi,
pp. 211 s.), sar bene prestare particolare attenzione allambivalenza
delle frizioni (o meglio ancora degli attriti) che il nesso indicato de-
termina.
6. Alla ricerca del comune. Del comunismo
Una postilla per concludere. Una postilla davvero stenografica per
indicare ancora una volta un grande tema che lanalisi marxiana
dellaccumulazione originaria ci consegna. il tema, che gi abbia-
mo del resto annunciato, dei commons, di quelle terre e di quei dirit-
ti comuni su cui, allorigine del modo di produzione capitalistico,
operano le recinzioni, ritagliando istituendo violentemente lo
spazio della propriet privata. Marx se nera occupato gi giovanissi-
mo, in una serie di articoli sulla legge contro i furti di legna scritti
nellautunno del 1842 per la Gazzetta renana. Anche questi testi
sono stati riscoperti negli anni Sessanta, nella grande stagione della
history from below (cfr. in particolare Thompson 1975, p. 258, no-
ta 61): per quel che ci riguarda, ci limitiamo a segnalare lestremo in-
152 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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teresse delle riflessioni qui svolte da un Marx impegnato nel con-
fronto critico con la Scuola storica del diritto a difesa dei diritti con-
suetudinari della plebe che, a differenza di quelli della nobilt (de-
finiti, con lessico hegeliano, consuetudini contro il concetto del di-
ritto razionale), sono diritti contro la consuetudine del diritto po-
sitivo (Furti di legna, p. 187). Di un diritto positivo che sanzio-
nando appunto in nome della propriet privata la consuetudine
popolare di raccogliere legna nei boschi attacca una delle basi fon-
damentali della riproduzione dei poveri nelle campagne: trionfino
gli idoli di legno, scrive Marx anticipando i toni del capitolo 24 del
primo libro del Capitale, e cadano le vittime umane! (ivi, p. 180).
Non si pu dire dunque che Marx sia insensibile di fronte allat-
tacco portato ai diritti e alle terre comuni nel contesto dellaccumu-
lazione originaria. E gli scritti tardi sulla Russia, che gi abbiamo ri-
cordato, lasciano ampio spazio allipotesi politica che le lotte a difesa
dei commons tradizionali (in questo caso il riferimento alla obscina,
la comunit rurale russa) possano aprire imprevisti scenari di trans-
izione diretta al comunismo. Ma nellinsieme il giudizio di Marx,
sprezzante nei confronti della ricostruzione apologetica dellorigine
del capitalismo offerta dalleconomia classica e volgare, si tiene a di-
stanza di sicurezza dai toni nostalgici ad esempio di un Sismondi che,
nella sua filantropia ipocondriaca, preoccupato soltanto di con-
servare il passato e distoglie lo sguardo dallantagonismo che segna il
presente (traggo la citazione da K. Marx, Flchtingsfrage Wahlbe-
stechung in England Mr. Cobden, MEW, 8, p. 544). Negazione del-
la negazione: la figura dialettica, per quanto consunta, ben si presta
a indicare il punto di vista marxiano.
Ecco, ho limpressione che nel dibattito contemporaneo sul tema
dei commons, precedentemente richiamato, i toni nostalgici (la fi-
lantropia ipocondriaca) tendano al contrario troppo spesso a pre-
valere, come se appunto i beni comuni rigorosamente declinati
al plurale fossero esclusivamente qualcosa di dato e appunto da
conservare. sintomatico, in questo senso, il libro di Silvia Federici,
Caliban and the Witch, che pure ho per altri versi valorizzato: muo-
vendo dalla sacrosanta enfasi posta sui comportamenti autonomi e
sulla resistenza delle donne nelle campagne tra medioevo e prima et
moderna ai tentativi di porre sotto controllo la loro sessualit, Fede-
rici finisce infatti per proporre una rappresentazione a tratti idillia-
ca, e decisamente insostenibile, del feudalesimo europeo!
Quello dei commons, su cui concludiamo la nostra analisi del ca-
pitolo sullaccumulazione originaria del primo libro del Capitale, in
ATTUALIT DELLA PREISTORIA 153
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ogni caso lo ripetiamo un tema al tempo stesso cruciale e com-
plesso. Coinvolge evidentemente questioni del tutto pratiche (si pen-
si, per fare un paio di esempi tra loro eterogenei, allacqua, ai servizi
pubblici, ai diritti di propriet intellettuale) e si collega daltra parte,
in termini filosofici e politici, alla stessa semantica della comunit, su
cui circolano nel dibattito degli stessi movimenti semplificazioni spe-
culari a quelle indicate a proposito dei commons. Non solo non lo
esaurir, ma non lo svolger neppure in questa sede. Basti un cenno,
che al tempo stesso unindicazione per una ricerca necessariamen-
te collettiva: occorre prendere congedo da unimmagine dei commons
come qualcosa di esclusivamente gi dato ed esistente, e lavorare al-
lipotesi che il comune sia qualcosa che deve essere prodotto, co-
struito da un soggetto collettivo capace, nel processo della sua stessa
costituzione, di distruggere le basi dello sfruttamento e di reinventa-
re le condizioni comuni di una produzione strutturata sulla sintesi di
libert e uguaglianza. Che cosaltro il comunismo, il sogno di una
cosa che dobbiamo tornare finalmente a sognare?
154 LA CONDIZIONE POSTCOLONIALE
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