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Questo libro intende costituire una “cassetta degli attrezzi” per chi desidera

intraprendere l’analisi dell’immagine fissa: esso fornisce indicazioni metodologiche,


suggerimenti bibliografici e esempi pratici di analisi delle immagini. Vengono presi in
considerazione dipinti, affreschi, bassorilievi, illustrazioni, stampe, fotografie d’arte e
pubblicitarie. Una particolare attenzione viene dedicata alle relazioni tra l’immagine
fissa e l’immagine in movimento propria di cinema e audiovisivi.
Il metodo di analisi proposto è quello della semiotica del testo. L’immagine viene
considerata un tessuto di segni progettato per entrare in interazione con le attività
interpretative dello spettatore e con i suoi saperi culturali in modo da produrre
costrutti cognitivi a differenti livelli. A livello plastico essa si presenta come un insieme
di forme e colori disposte in uno spazio a due dimensioni. A livello figurativo l’immagine
simula una scena tridimensionale in cui sono riconoscibili elementi del mondo naturale
e un’articolazione narrativa di azioni e passioni. A livello comunicativo l’immagine
propone allo spettatore una posizione spaziale e un ruolo specifico rispetto alla scena
tridimensionale. A livello metacomunicativo infine l’immagine suggerisce allo
spettatore una riflessione sugli stessi atti del rappresentare e del guardare condotti fino
a quel momento.
Il libro si appoggia costantemente a esempi di analisi desunte dalla letteratura del
settore o appositamente realizzate. Gli apparati teorici vengono tenuti sullo sfondo
della trattazione in modo da non compromettere la comprensione del testo da parte di
un pubblico non specialistico.

Ruggero Eugeni insegna Semiotica dei media presso l’Università Cattolica


del S. Cuore di Milano e di Brescia. Si occupa di semiotica della cultura
visuale, con particolare attenzione all’audiovisivo. Oltre a numerosi
articoli ha pubblicato Il testo visibile. Teoria, storia e modelli di analisi (con
Fausto Colombo, Roma, 1996), Film, sapere, società, Per un’analisi
sociosemiotica del testo cinematografico (Milano, 1999); La relazione
d’incanto. Studi su cinema e ipnosi, Milano, 2002; Semiotica dei media (con
Andrea Bellavita, Roma 2005).

Euro 15,30
Ruggero Eugeni

Analisi semiotica
dell’immagine
Pittura, illustrazione, fotografia

Nuova edizione riveduta e aggiornata

MILANO 2004
In copertina e nel frontespizio: elaborazione grafica da una fotografia di Étienne-Jules Marey
(1890 ca.)
© 1999-2004 I.S.U. Università Cattolica – Largo Gemelli, 1 – Milano
http://www.unicatt.it/librario
ISBN 88-8311-014-5
Terza edizione aggiornata.
Stampato presso Selecta Group – Milano
Indice

INDICE

PRESENTAZIONE.................................................................................................................. 7
1. TRACCE, PROFILI, PERCORSI
1.1 L’IMMAGINE ......................................................................................................................... 9
1.2 L’ANALISI ............................................................................................................................10
1.3 LA SEMIOTICA ....................................................................................................................12
1.4 L’ANALISI SEMIOTICA DELL’IMMAGINE ........................................................................14
1.4.1 L’oggetto e il metodo ..................................................................................................14
1.4.2 L’articolazione ..........................................................................................................15
1.4.2.1 L’interpretazione dell’immagine come processo costruttivo e ciclico....16
1.4.2.2 Livelli e percorsi dell’analisi................................................................................20
1.5 LA LINEA DEL DISCORSO .................................................................................................22

2. FORME, COLORI, FIGURE


2.1 PERCEZIONE, INTERPRETAZIONE, LIVELLO PLASTICO DELL’IMMAGINE ..............25
2.2 L’INDIVIDUAZIONE DELLE COMPONENTI PLASTICHE...............................................26
2.2.1 Campo, macchia, punto e linea ..................................................................................26
2.2.2 La forma...................................................................................................................27
2.2.3 La testura .................................................................................................................28
2.2.4 Il colore .....................................................................................................................29
2.2.5 La disposizione delle forme nello spazio bidimensionale..............................................31
2.3 GLI INVESTIMENTI DI SENSO ..........................................................................................31
2.3.1 Qualificazione delle forme..........................................................................................32
2.3.2 Spazializzazione delle forme .....................................................................................32
2.3.3 Dinamizzazione delle forme ......................................................................................34
2.3.4 Collegamenti tra le forme ...........................................................................................34
2.3.4.1 Collegamenti in adiacenza..................................................................................35
2.3.4.2 Collegamenti a distanza.......................................................................................35
2.3.5 Configurazione complessiva........................................................................................36
2.4 DAL LIVELLO PLASTICO AL LIVELLO FIGURATIVO: PASSAGGI E RITORNI ..............37
2.4.1 Contrasti plastici e collegamenti semisimbolici ............................................................37
2.4.2 Rime visive e rideterminazioni plastiche del figurativo.................................................41
2.5 CONCLUSIONI: PLASTICITÀ, FIGURAZIONE, LIVELLI INTERPRETATIVI
DELL’IMMAGINE ..........................................................................................................................44

3
Analisi semiotica dell’immagine

3. MOVIMENTI, AZIONI, PASSIONI


3.1 RAPPRESENTARE IL MONDO E IL SUO MUTAMENTO ..................................................49
3.2 LA RAPPRESENTAZIONE DEL MOVIMENTO ..................................................................51
3.2.1 Problemi e vincoli ......................................................................................................51
3.2.2 Il movimento bloccato.................................................................................................51
3.2.3 Il movimento contratto ...............................................................................................53
3.2.4 Il movimento articolato ..............................................................................................55
3.3 LA RAPPRESENTAZIONE DELL’AZIONE.........................................................................57
3.3.1 L’immagine come macchina narrativa........................................................................57
3.3.2 La rappresentazione dell’azione singola .....................................................................58
3.3.2.1 L’azione puntuale..................................................................................................58
3.3.2.2 L’azione sequenziale ............................................................................................60
3.3.3 La rappresentazione dell’aggregato di azioni ..............................................................61
3.3.3.1 Il montaggio delle azioni sullo stesso soggetto .............................................61
3.3.3.2 Il montaggio delle azioni su soggetti differenti.............................................62
3.3.4 La rappresentazione del racconto ...............................................................................64
3.3.4.1 Il racconto all’interno della singola cornice....................................................65
3.3.4.2 Il racconto all’interno della singola cornice prolungata ..............................69
3.3.4.3 Il racconto mediante una sequenza di cornici...............................................70
3.4 LA RAPPRESENTAZIONE DELLA PASSIONE ...................................................................72
3.4.1 Il mutamento interiore e la sua messa in scena ...........................................................72
3.4.2 La rappresentazione della passione singola.................................................................74
3.4.3 La rappresentazione dell’aggregato di passioni ...........................................................75
3.4.4 La rappresentazione del racconto patemico.................................................................77
3.4.5 La connessione tra azioni e passioni nella rappresentazione iconica ............................81
3.5 DAL SIGNIFICATO AL SENSO FIGURATIVO: COLLEGAMENTI METONIMICI E
METAFORICI NEL RACCONTO ICONICO...................................................................................83
3.5.1 I collegamenti metonimici in presenza.........................................................................84
3.5.2 I collegamenti metonimici in assenza ..........................................................................86
3.5.3 I collegamenti metaforici in presenza ..........................................................................87
3.5.4 I collegamenti metaforici in assenza............................................................................92
3.6 CONCLUSIONI: CONFIGURAZIONE E RIFIGURAZIONE DEL TEMPO
NELL’IMMAGINE FISSA................................................................................................................95

4
Indice

4. SGUARDI, RUOLI, POSIZIONI


4.1 LA COSTRUZIONE DEL PUNTO DI VISTA E I SUOI EFFETTI ........................................97
4.2 IL MECCANISMO DI COSTRUZIONE DEL PUNTO DI VISTA ..........................................98
4.2.1 Sette passi .................................................................................................................98
4.2.2 L’istituzione del sistema di sguardo di base: lo spettatore .........................................100
4.2.3 L’istituzione dei sistemi di sguardo secondari di primo grado:
l’osservatore ..........................................................................................................................100
4.2.4 L’istituzione dei sistemi di sguardo secondari di secondo grado:
indicatori e astanti, insegne ed epigrafi...................................................................................101
4.2.5 La disposizione reciproca dei sistemi di sguardo secondari: le
posizioni nel mondo testuale ..................................................................................................102
4.2.6 L’assegnazione di attività interpretative ai soggetti di sguardo
secondari rispetto al mondo testuale: i ruoli narrativi nel mondo testuale ................................103
4.2.7 La disposizione dei sistemi di sguardo secondari rispetto al sistema
di base: la posizione dello spettatore ......................................................................................105
4.2.8 L’assegnazione allo spettatore delle relazioni interpretative tra i
soggetti secondari e il mondo testuale: il ruolo narrativo dello spettatore ..................................107
4.2.9 Riepilogo del meccanismo formale di istituzione del punto di vista
iconico: Las Meninas di Diego Velázquez..........................................................................107
4.2.9.1 Il dipinto............................................................................................................... 107
4.2.9.2 L’istituzione del sistema di sguardo di base................................................ 108
4.2.9.3 L’istituzione dei sistemi di sguardo secondari di primo grado .............. 108
4.2.9.4 L’istituzione dei sistemi di sguardo secondari di secondo grado.......... 110
4.2.9.5 La disposizione reciproca dei sistemi di sguardo secondari................... 111
4.2.9.6 L’assegnazione di attività interpretative ai soggetti di sguardo
secondari rispetto al mondo testuale........................................................................... 112
4.2.9.7 La disposizione dei sistemi di sguardo secondari rispetto
al sistema di base............................................................................................................... 114
4.2.9.8 L’assegnazione allo spettatore delle relazioni interpretative
tra i soggetti secondari e il mondo testuale................................................................ 114
4.3 LE CONFIGURAZIONI DEL PUNTO DI VISTA ...............................................................115
4.3.1 Punto di vista e coinvolgimento dello spettatore .........................................................115
4.3.2 Il distacco completo dello spettatore...........................................................................117
4.3.3 Il distacco parziale: l’impiego degli astanti e degli indicatori......................................121

5
Analisi semiotica dell’immagine

4.3.4 Il coinvolgimento parziale dello spettatore: la soggettività ..........................................130


4.3.4.1 Soggettività e interpellazione come modalità di emergenza
dell’osservatore.................................................................................................................. 130
4.3.4.2 L’angolazione anomala del punto di vista................................................... 131
4.3.4.3 La deformazione e la dinamizzazione del modello prospettico............ 133
4.3.4.4 La passionalizzazione della visione ............................................................... 136
4.3.5 Il coinvolgimento parziale dello spettatore: l’interpellazione.......................................137
4.3.6 Il coinvolgimento completo dello spettatore.................................................................144
4.3.6.1 La collocazione elastica dello spettatore...................................................... 146
4.3.6.2 La collocazione rigida dello spettatore con mezzi testuali...................... 148
4.3.6.3 La collocazione rigida dello spettatore con mezzi contestuali............... 154
4.4 PUNTO DI VISTA E TEMPORALITÀ ................................................................................157
4.5 CONCLUSIONI: PUNTO DI VISTA DELLO SPETTATORE E COSTITUZIONE
DELL’IDENTITÀ DEL SOGGETTO ............................................................................................164

5. SPECCHI, RIFLESSI, INGANNI


5.1 IL RITORNO ALLA SITUAZIONE INTERPRETATIVA
E IL CONFRONTO EPISTEMICO ................................................................................................167
5.2 L’IMMAGINE RIFLESSIVA ................................................................................................168
5.2.1 I segnali di rinvio alla situazione interpretativa........................................................169
5.2.2 Le configurazioni di rinvio alla situazione interpretativa..........................................172
5.3 IL GIUDIZIO EPISTEMICO E I SUOI TURBAMENTI .......................................................183
5.3.1 Verità e verosimiglianza del mondo e dello sguardo..................................................183
5.3.1.1 Le dinamiche del giudizio epistemico.......................................................... 183
5.3.1.2 Il giudizio epistemico e l’immagine............................................................... 186
5.3.1.3 L’immagine e l’orientamento del giudizio epistemico ............................. 187
5.3.2 I percorsi del giudizio: verità, menzogna, segreto, visionarietà....................................190
5.4 CONCLUSIONE: L’ARCHÈ DELLA FOTOGRAFIA E LA VERITÀ
DELLO SGUARDO .......................................................................................................................196
5.4.1 Ancora un autoritratto ............................................................................................196
5.4.2 La semiotica della fotografia dall’essere del segno al fare del testo..............................198
5.4.3 Ancora un autoritratto (2) ......................................................................................202

NOTE ........................................................................................................................................205

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI................................................................................233

TAVOLE...................................................................................................................................263

6
Presentazione

PRESENTAZIONE

Questo libro è un manuale di avviamento all’analisi


dell’immagine fissa di tipo rappresentativo e narrativo. E
per “manuale” intendiamo una vera e propria cassetta
degli attrezzi capace di fornire indicazioni metodologiche,
suggerimenti bibliografici e esempi pratici di analisi delle
immagini. L’analisi che proponiamo è improntata ai me-
todi della semiotica del testo visivo. E ora diciamo subito
di cosa questo libro non parla.
Primo: non parleremo di tutti i tipi di immagini.
L’immagine in movimento propria dell’audiovisivo non
rientra direttamente nel nostro orizzonte di attenzioni.
Anche vari tipi di immagine fissa (il fumetto, la videogra-
fica, l’immagine pubblicitaria, ecc.) non vengono presi in
considerazione. Ci è sembrato infatti opportuno basare il
nostro lavoro su un settore di studi ben definito: la se-
miotica della pittura, della illustrazione e della fotografia.
Secondo: più o meno per le stesse ragioni non parlere-
mo di tutti i tipi di analisi dell’immagine. Escluderemo quindi
analisi di taglio psicologico, psicanalitico, filosofico, ico-
nografico. Escluderemo inoltre (seppure a malincuore) un
approccio culturologico: il testo visivo sarà per noi il do-
cumento di un processo interpretativo che esso stesso
procura e conduce, e non il documento delle configura-
zioni dello sguardo e del visibile attestate nel contesto
culturale che lo circonda e lo ambienta. Questo non vuol
dire rifiutare un dialogo con gli studi oggi molto fiorenti
di visual culture, ma solo scegliere una posizione a partire
dalla quale desideramo condurre il dialogo1.
Terzo: non parleremo di teorie semiotiche dell’immagine. O
meglio: ne parleremo indirettamente; esse saranno costan-
temente presenti sullo sfondo delle nostre analisi ma sen-
za invadere la scena. Questo perché siamo convinti tanto
della possibilità e della utilità di un manuale che possieda

7
Analisi semiotica dell’immagine

un taglio pratico e si basi sulla esposizione di esempi con-


creti di analisi; quanto della impossibilità e della inutilità
di una analisi (soprattutto di una analisi smeiotica) scissa
da uno sfondo teorico.

Questo libro (uscito per la prima volta nel 1994) è


giunto alla terza edizione riveduta e aggiornata. Le varia-
zioni rispetto alla seconda edizione sono minime, e ri-
guardano soprattutto l’inserzione di nuove opere, articoli
o traduzioni uscite nel frattempo.
La cosa migliore che ho fatto in questi dieci anni so-
no i miei figli, Leonardo e Costanza. Per cui dedico a loro
questa nuova edizione.

8
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

1.

TRACCE, PROFILI, PERCORSI

E’ tipico della ricerca di essere progressiva,


e della semiologia di essere un lavoro di pazienza.

Christian Metz, Problemi di denotazione


nel film di finzione

1.1 L’immagine

Una rapida consultazione del dizionario della lingua


italiana ci fornisce sei accezioni principali del termine
“immagine”. Se escludiamo quella entomologica di
«l’ultimo stadio della metamorfosi degli insetti»1 e quella
arcaica e poetica di immagine per «forza immaginativa»,
restano quattro definizioni: «forma esteriore degli oggetti
corporei in quanto percepibile attraverso il senso della
vista», «la figura e l’aspetto in quanto suscettibili di ripro-
duzione o confronto», «manifestazione visibile, anche se
parziale o incompleta, di un’entità di per sé immateriale o
astratta», «configurazione attuata in ambito mnemonico,
fantastico, affettivo» (Devoto e Oli 1990).
A ben vedere, nessuna di esse soddisfa pienamente
quanto noi intenderemo per immagine in questo lavoro.
Le prime due insistono infatti sulla forma e l’aspetto este-
riori di oggetti del mondo reale, in quanto percepibili
attraverso la vista e rappresentabili mediante particolari
tecniche; la terza insiste sul rapporto tra visibilità
dell’immagine e invisibilità di ciò cui essa rinvia (o che

9
Analisi semiotica dell’immagine

simboleggia), mentre la quarta parla del risultato di una


riproduzione a livello puramente mentale. Noi siamo
interessati invece a quanto “sta in mezzo” tra le prime e
le seconde due accezioni: l’immagine come oggetto concreto,
insieme di elementi visivi fissati su un supporto mediante apposite
tecniche e pertanto disponibile ad un’attività di esplorazione visiva e
interpretazione da parte di un soggetto2. Da un lato gli elementi
visivi che compongono l’immagine così intesa possono
riprodurre alcuni aspetti della forma esteriore e visibile di
oggetti del mondo3 (relazionandosi quindi con le prime
due accezioni del lemma di dizionario). Dall’altro lato
esse possono innescare la produzione di immagini menta-
li e il rinvio simbolico a oggetti o concetti astratti (rela-
zionandosi con le altre due accezioni).
Il tipo di tecnica usata per la produzione
dell’immagine nell’accezione da noi adottata, offre d’altra
parte l’occasione per distinguere tra differenti tipi di im-
magini e permette di fornire una definizione più referen-
ziale del nostro oggetto: troveremo allora disegni, affre-
schi, dipinti, incisioni, bassorilievi, e così via, fino a foto-
grafie, film, immagini digitali, ecc.

1.2 L’analisi

Passiamo a esaminare cosa intendiamo per “analisi”.


Il lemma di dizionario pone in questo caso un significato
di base unitario, che viene poi distinto a seconda dei vari
tipi di analisi: «metodo conoscitivo che procede
dall’individuazione e dallo studio dei particolari; scompo-
sizione di un tutto organico nelle sue parti» (Devoto e Oli
1990).
L’analisi è dunque una procedura di ampliamento
della conoscenza che si fonda su un’opera di scomposizione
del proprio oggetto in parti. Possiamo completare questa
definizione dicendo che a questa fase di scomposizione
segue una fase di ricomposizione, eventualmente a partire

10
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

dalla costruzione di un modello astratto dell’oggetto di


studio. Ecco dunque cosa accade quando effettuiamo
un’analisi:
a) Scegliamo un certo oggetto di studio inteso come un
tutto organico (per esempio, considerando due oggetti
diversissimi, un orologio o una favola).
b) Assumiamo che questo oggetto possieda un certo
“funzionamento”, ovvero mediante una serie di pro-
cedure produca degli effetti riscontrabili (l’orologio se-
gna le ore, la favola qualifica alcuni comportamenti
come positivi e consigliabili, altri come negativi e da
evitare). Questo funzionamento può essere riscontrato
empiricamente in modo immediato (è il caso
dell’orologio), oppure richiede che l’oggetto venga tra-
dotto in un modello astratto (è il caso della favola, che
non si può padroneggiare fisicamente).
c) Smontiamo l’oggetto per individuarne le componenti
minime e primarie responsabili di quel funzionamento:
l’orologio viene ridotto alla serie dei suoi meccanismi;
la favola viene riportata alla rete dei personaggi, degli
ambienti, delle azioni e degli avvenimenti.
d) Cerchiamo di comprendere in che modo le compo-
nenti così individuate contribuiscono a quel certo fun-
zionamento “rimontando” le parti nel tutto, vuoi fisi-
camente (è il caso dell’orologio: la ricostituzione degli
ingranaggi permette di capire come le parti producano
la scansione delle ore), vuoi mediante la costruzione di
un modello (è il caso della favola: riconnettere le sue
parti permette di comprendere come il racconto costi-
tuisca, ad esempio, un meccanismo persuasivo).
e) Valutiamo se le conclusioni possono valere per oggetti
simili (gli orologi funzionano tutti allo stesso modo? E
le favole?).
Si osservi che l’analisi non può mai essere “innocen-
te”, ovvero priva di alcune ipotesi di partenza le quli con-
siderano gli obiettivi che, attraverso l’analisi, ci poniamo.
Inoltre, l’analisi deve fare i conti con uno sfondo teorico
più o meno organizzato ed esplicitato. Il postulare un

11
Analisi semiotica dell’immagine

certo tipo di funzionamento dell’oggetto implica già una


scelta di fondo tale da condizionare il taglio dell’analisi: se
avessimo considerato la favola non per il suo potere mo-
ralizzatore ma (poniamo) per la sua capacità di preservare
un tessuto linguistico arcaico, saremmo stati costretti a
portare la nostra attenzione su elementi differenti. Perfino
il nostro orologio può essere analizzato in termini diversi
se non è considerato sotto il semplice aspetto meccanico
(per esempio qualora occorra valutare in una expertise
l’autenticità di una preziosa “cipolla” incastonata di dia-
manti).
In sintesi, lo sfondo teorico determina tanto la distan-
za prospettica e il grado di generalità dello sguardo (Cosa com-
prendere e cosa escludere dal campo visivo? Quali oggetti
scegliere e perché? Quale grado di generalità assegnare
alle conclusioni della mia analisi? Esse varranno solo per
l’oggetto esaminato o anche per altri?), quanto la messa a
fuoco e la grana dell’oggetto (come segmentarlo in modo da
individuare le unità componenti? Quale tipo di unità risul-
tano pertinenti rispetto alla concezione che è stata adotta-
ta?).
Da considerare infine come la relazione tra analisi e
teoria sia un rapporto dialettico: se la teoria condiziona in
partenza l’analisi, essa attende a sua volta di venire con-
fermata, ampliata o confutata dai risultati dell’analisi.
L’analisi dunque non è mai innocente: nel duplice senso
che non solo rinvia a una teoria, ma è anche responsabile
delle trasformazioni, dei progressi e degli smacchi di que-
sta.

1.3 La semiotica

«La semiotica (o semiologia), dal greco semeiotikós “re-


lativo al segno”, è la scienza o dottrina che ha per oggetto
lo studio dei segni, della loro natura e funzione, della loro
produzione e interpretazione. [...] I segni sono da inten-

12
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

dere in generale come le unità comunicative che com-


pongono un messaggio; essi rinviano a qualcos’altro in
virtù di una codificazione, di un processo logico o di una
connessione naturale [...].
Oggetto di tale disciplina è [...] sia l’individuazione di
sistemi, composti di unità (segni) e di relazioni al loro
interno, sia collateralmente la spiegazione dei processi o
utilizzazioni concrete (atti di comunicazione) in cui i segni
trovano le loro esplicazioni pratiche»4.
La semiotica è dunque quella disciplina che studia i
processi implicati dagli eventi di comprensione di cui
siano responsabili materiali sensibili (suoni, elementi gra-
fici, immagini, ma anche odori, sapori e esperienze tatti-
li)5, a partire da tali materiali.
La definizione fin qui fornita è di carattere sistemati-
co. Essa va integrata con una definizione in grado di ren-
dere conto delle evoluzioni, dei progressi e delle “svolte”
della disciplina6
La semiotica dunque ha studiato anzitutto i segni, le
unità minime dei linguaggi dotate di una componente
sensibile e responsabili della comprensione. Inoltre si è
applicata a considerare in che modo i segni siano organiz-
zati in sistemi significanti, e che perciò facciano parte
della competenza di ciascun soggetto sociale in quanto
correlati con altri segni e altre conoscenze. Per esempio
se leggo la parola “lupo” so rapportarla a un certo conte-
nuto il quale ha per me senso in quanto si collega a (e si
differenzia da) altri animali (il lupo non è un cane), certe
possibili situazioni e storie-tipo (generalmente poco pia-
cevoli), richiami più specifici (dall’Uomo dei Lupi a Rin
Tin Tin).
Tuttavia la semiotica ha scoperto nel corso della sua
evoluzione che un esame del segno “lupo” in questa
chiave è riduttivo, per due ragioni correlate. In primo
luogo il segno assume il suo valore solo all’interno del
messaggio di cui fa parte. Per esempio, se incontro la
parola “lupo” all’interno della favola di Cappuccetto Ros-
so, in un dépliant del WWF e in una striscia di Lupo Al-

13
Analisi semiotica dell’immagine

berto, lo stesso segno innescherà percorsi differenti, esal-


terà alcune valenze e ne annullerà altre. E’ chiaro dunque
che occorre integrare lo studio dei segni con lo studio dei
testi, i messaggi all’interno dei quali essi appaiono.
In secondo luogo i segni vanno letti non solo in base
alla loro organizzazione all’interno della competenza a-
stratta dei soggetti, ma anche in relazione ai processi con-
creti in cui sono presi, cioè al progetto interpretativo cui il
testo è funzionale. Per esempio, un bravo narratore di
Cappuccetto Rosso ritarderà il momento dell’entrata in
scena della bestia per poi farla balzare all’improvviso da
dietro un albero, per lo sconcerto tanto di Cappuccetto
Rosso quanto dei suoi ascoltatori.
In sintesi la semiotica è passata da una considerazio-
ne dei segni all’interno dei sistemi astratti delle competen-
ze dei soggetti, a una considerazione dei segni all’interno
dei testi e in relazione al progetto interpretativo di cui il testo è
portatore.
E’ evidente che, sul piano metodologico, questa svol-
ta ha comportato una rivalutazione dell’analisi dei testi
come momento integrante del lavoro teorico7.

1.4 L’analisi semiotica dell’immagine

1.4.1 L’oggetto e il metodo

La semiotica, una volta assunta quale sfondo teorico


della nostra analisi dell’immagine, permette due acquisi-
zioni: in primo luogo consente di precisare la relazione tra
l’oggetto e il metodo, in secondo luogo porta a disegnare
l’articolazione dell’analisi.
Lo sfondo semiotico definisce anzitutto l’immagine
in quanto oggetto dell’analisi: essa viene considerata un testo
visivo, un tessuto di segni le cui conformazioni e le cui correlazioni
sono funzionali a un progetto di interpretazione rivolto allo spettato-

14
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

re. In altri termini definiremo l’immagine, in quanto testo


visivo, come un dispositivo di costruzione di relazioni tra un
soggetto spettatore e alcuni oggetti ed entità simboliche
che preciseremo più avanti.
In questo modo vengono precisate sia la distanza
prospettica da cui osservare l’immagine, sia la sua messa a
fuoco e la sua “grana”. Le immagini verranno analizzate
in funzione del più generale campo di interessi della se-
miotica: il modo in cui una particolare immagine produce
senso verrà letto quale esempio di procedure più generali
di costruzione testuale del significato. Di qui un interesse
particolare per immagini “autoteoriche”, ovvero tali da
rappresentare con mezzi visivi discorsi complessi riguar-
danti alcuni problemi della rappresentazione visiva. Un
esempio per tutti: Las Meninas, di Velázquez, che incon-
treremo nei capitoli 4 e 5.
D’altra parte ciò implica che alcuni aspetti
dell’immagine vengano portati in secondo piano (per
esempio le sue valenze storiche, antropologiche, sociolo-
giche), o ripensati in chiave semiotica (in particolare le
valenze psicologiche e percettive o quelle iconografiche).
La stessa opera di découpage degli elementi visivi risentirà
di interessi e problemi che animano il campo semiotico, e
che verranno di volta in volta esplicitati.

1.4.2 L’articolazione

Lo sfondo semiotico definisce poi l’articolazione


dell’analisi. Se infatti lo sguardo semiotico vuol rendere
conto della relazioni tra il tessuto dei segni e i processi
della loro interpretazione, l’andamento dell’analisi semiotica
dovrà rispecchiare l’andamento del processo interpretativo. In effet-
ti abbiamo fin qui parlato di interpretazione
dell’immagine in senso unitario e privo di distinzioni in-
terne. Occorre a questo punto precisare gli snodi che
articolano l’interpretazione, ciò che ci consentirà di defi-
nire il percorso dell’analisi.

15
Analisi semiotica dell’immagine

1.4.2.1 L’interpretazione dell’immagine come pro-


cesso costruttivo e ciclico
Iniziamo con il considerare un’immagine relativa-
mente semplice, come questa:

e chiediamoci che tipo di processo interpretativo essa


innesca in noi spettatori.
Nessuno di noi, credo, avrebbe difficoltà a dire che
questa immagine rappresenta due uomini che si trovano
di fronte a una mappa del mondo, uno dei quali indica
all’altro un punto preciso. Tuttavia se arriviamo ad attri-
buire questa interpretazione, è solo in base a una serie di
operazioni piuttosto complesse. In primo luogo abbiamo
“scelto” di riconoscere nell’immagine una certa scena.
Questo ha implicato che passassimo da un certo livello
percettivo e interpretativo a un altro: al primo livello
l’immagine si presentava come un tracciato di linee e pun-
ti tali da determinare delle forme (in questo caso prive di
colore8) disposte all’interno di uno spazio bidimensionale;
al secondo livello essa si presenta come la riproduzione
grafica di una scena del mondo naturale tridimensionale,
o per lo meno a due piani disposti in profondità (le figure

16
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

umane e la mappa di fondo). Si osservi tuttavia che il


primo livello non ha cessato di funzionare una volta pas-
sati al secondo, ma anzi è responsabile di questo passag-
gio. La distinzione della retinatura delle superfici (ovvero
della loro “testura”) e la differenza delle linee di contorno
(più o meno diritte o frantumate) che ci ha permesso di
distinguere tra differenti forme presenti all’interno di que-
sta immagine; è il fatto che due di queste forme fossero
più scure che ce le ha fatte in qualche modo mettere in
relazione, ponendole “in primo piano” secondo una rego-
la della competenza visiva in base alla quale generalmente
le forme più scure e di maggior “peso” visivo vanno col-
locate in primo piano rispetto a forme più chiare.
Si osservi anche che il passaggio dal primo al secondo
livello ha implicato l’intervento di conoscenze e compe-
tenze che erano in nostro possesso “prima” della visione
dell’immagine. Se abbiamo deciso che una parte delle
forme era identificabile con l’oggetto del mondo naturale
“mappa”, è perché abbiamo richiamato una nostra com-
petenza precedente relativa a una convenzione rappresen-
tativa (quella per cui i contorni delle terre emerse del glo-
bo sono rappresentate nelle carte geografiche mediante i
loro contorni) e una nostra precedente conoscenza, rela-
tiva alla forma delle terre del nostro pianeta; le due sago-
me scure sono state interpretate come figure umane in
base alla competenza relativa all’artificio figurativo della
“silhouette”, e così via.
La nostra immagine, per quanto semplice, ci ha dun-
que permesso di raggiungere alcune acquisizioni interes-
santi. Abbiamo visto che il processo interpretativo consi-
ste in un gioco a tre termini: gli stimoli grafici
dell’immagine; l’universo di conoscenze e competenze
comune a chi ha costruito l’immagine e al suo spettatore;
l’attività interpretativa dello spettatore. I tre termini sono
reciprocamente implicati e costantemente ridefiniti nel
corso del processo interpretativo.
Inoltre abbiamo osservato che questo processo pro-
cede per livelli e acquisizioni successive. In particolare,

17
Analisi semiotica dell’immagine

abbiamo potuto individuare due livelli: quello che porta


alla costruzione di una configurazione di pure linee, for-
me, testure e (eventualmente) colori disposti in uno spa-
zio bidimensionale; e quello che porta alla costruzione di
una scena rappresentativa di oggetti e spazi del mondo
naturale.
Ma andiamo avanti. Immaginiamo per un momento
che la nostra immagine faccia parte di un fumetto di
spionaggio. L’individuo sulla nostra sinistra (nome in
codice Qfwfq) sta indicando all’Agente segretissimo
Lemmy Caution il luogo della sua prossima missione.
Solo che la vignetta precedente ci ha mostrato il dott. von
Braun, scienziato ex nazista completamente pazzo e ata-
vico nemico di Caution, nell’atto di spiare mediante una
telecamera nascosta la scena. Dunque l’immagine è la
medesima che anche von Braun sta guardando: lo scien-
ziato pazzo ora sa dove Caution si recherà... E’ chiaro che
abbiamo qui raggiunto un ulteriore livello interpretativo:
l’immagine e il suo contesto, ovviamente definiscono a
questo punto una nostra posizione rispetto alla scena de-
scritta. Posizione spaziale (stiamo guardando da un preci-
so punto di vista, quello frontale della telecamera nasco-
sta), ma anche posizione narrativa (stiamo guardando e
venendo a sapere quello che vede e conosce il villain della
storia) e passionale (generalmente disforica, a meno che
non abbiamo deciso di tenere per von Braun).
Ma c’è un altro colpo di scena. Non era vero niente!
La storia era solo un fumetto che un ragazzino negro
stava leggendo (a scrocco) in un’edicola di New York! Un
fumetto nel fumetto, perché la vera storia deve ancora
arrivare: un ex supereroe paranoico sta per teletrasportare
in piena città e proprio vicino all’edicola una mostruosa
creatura polipoide appositamente generata... L’immagine
dei nostri due agenti segreti si allontana e si sfuoca pro-
gressivamente nella serie di vignette che fanno vedere la
pagina nelle mani del ragazzino, poi da dietro la sua spalla
e infine il giornaletto intero gettato da parte all’incombere
della minaccia. Eccoci giunti a un livello interpretativo

18
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

ancora successivo: l’immagine ha di nuovo definito una


nostra posizione, ma non più rispetto alla scena rappre-
sentata, quanto piuttosto in relazione alla nostra stessa
situazione di spettatori. Siamo portati a vedere noi stessi
nell’atto di guardare l’immagine, a valutare il grado di
inganno che la visione di un’immagine rappresentativa
comporta sempre, a prendere le distanze rispetto al no-
stro stesso agire di spettatori e interpreti.
Possiamo a questo punto tirare le fila del discorso e
fissare alcuni punti fermi9.
L’interpretazione dell’immagine, così come la inten-
deremo in queste pagine, non è né un tutto indifferenzia-
to né un evento immediato. Essa consiste piuttosto in un
processo dinamico che vede all’opera tre componenti: i
quadri di conoscenze e competenze visive e concettuali
previe; i materiali percettivi offerti dall’immagine; le ope-
razioni interpretative effettuate dallo spettatore.
Le tre componenti sono reciprocamente implicate.
Inoltre i quadri cognitivi e le operazioni interpretative si
modificano l’una con l’altra nel corso del processo: mano
a mano che le attività (con l’ausilio degli schemi di cono-
scenze) elaborano dei costrutti a partire dai materiali, que-
sti costrutti entrano a far parte degli schemi stessi (di ciò
che già si sa) e dunque determinano i successivi steps delle
attività e i successivi costrutti.
Il processo interpretativo è dunque ciclico e costrut-
tivo; esso viene articolato e ritmato in base a steps pro-
gressivi che corrispondono al completamento di un ciclo
e quindi alla elaborazione di costrutti cognitivi relativa-
mente autonomi. In base a quanto detto nel precedente
capoverso ogni ciclo del processo interpretativo riprende
e rielabora i costrutti del ciclo o dei cicli precedenti; i cicli
superiori implicano quindi quelli inferiori e la successione
dei cicli possiede un carattere logico.
In particolare possiamo distinguere quattro cicli: il ri-
conoscimento di una superficie di pure linee, forme, te-
sture e colori; il riconoscimento di una scena del mondo
naturale; il riconoscimento di una posizione dello spetta-

19
Analisi semiotica dell’immagine

tore rispetto a tale scena; il riconoscimento di una posi-


zione dello spettatore rispetto alla stessa situazione in cui
egli è calato. Tali cicli sono a loro volta articolati interna-
mente in sottocicli, che corrispondono alla produzione di
costrutti relativamente autonomi ma solo parzialmente
conclusi10.

1.4.2.2 Livelli e percorsi dell’analisi


A ciascuno dei cicli e sottocicli del processo di inter-
pretazione corrisponde un livello e sottolivello dell’analisi
dell’immagine. L’analisi consiste infatti in un’opera di
scomposizione e ricomposizione che cerca di compren-
dere il funzionamento dell’immagine. Per ciascuno dei
livelli, l’analisi scompone e ricompone l’immagine in fun-
zione del ruolo che essa svolge all’interno di uno specifi-
co ciclo e sottociclo. In altri termini nel passaggio da un
livello all’altro l’analisi si trova di fronte a un oggetto par-
zialmente differente: l’immagine si arricchisce infatti di
componenti mano a mano che si passa da un livello (ov-
vero da un ciclo) ai successivi11.
Possiamo recuperare a questo proposito la definizio-
ne data sopra (1.4.1.) di immagine come dispositivo di co-
struzione di relazioni tra un soggetto spettatore e alcune
entità simboliche; e specificare in cosa consistano tali
entità. Se teniamo presenti i quattro snodi dell’interpre-
tazione, diremo che l’immagine costruisce progres-
sivamente alcune serie di relazioni tra lo spettatore e:
– la propria superficie di linee, forme, testure e colori:
quest’area viene indagata dal livello plastico dell’analisi;
– una scena rappresentativa di oggetti e spazi del mondo
naturale: l’indagine occupa il livello figurativo;
– una posizione (spaziale e narrativa) nei confronti della
scena: è il dominio del livello comunicativo;
– una posizione nei confronti della stessa situazione spettatoriale:
l’indagine riguarda il livello metacomunicativo12.
Lo schema completo dei livelli e sottolivelli è riporta-
to nella tavola della pagina a fronte.

20
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

Confronto epistemico e costruzione


del giudizio di verità / verosimi-
glianza

LIVELLO
META Rinvio alla situazione di visione e interpre-
COMUNICATIVO tazione dell’immagine e al suo statuto

Individuazione di un ruolo narrativo


dello spettatore rispetto al racconto
rappresentato

Individuazione di posizione spaziale e


LIVELLO situazione temporale dello spettatore
COMUNICATIVO rispetto al mondo rappresentato

Investimento di senso figurativo: logica


metonimica e nessi metaforici

Ricostruzione del racconto di


azioni e passioni

LIVELLO Riconoscimento di oggetti figurativi,


FIGURATIVO collocati nello spazio tridimensionale in
condizione di stasi / moto

Investimento di senso plastico:


qualificazione, spazializzazione,
dinamizzazione, correlazione tra
componenti plastiche
LIVELLO
PLASTICO
Individuazione delle componenti plasti-
che: linee, forme, testure, colori, disposi-
zione nello spazio bidimensionale

Materiali
Operazioni grafici
interpretative

Conoscenze e
competenze

21
Analisi semiotica dell’immagine

1.5 La linea del discorso

I capitoli che seguono sono dedicati alla presentazio-


ne dei quattro livelli di analisi così definiti e dei relativi
sottolivelli. Il capitolo 2 esamina procedure e risultati del
riconoscimento dell’immagine come tessuto di linee, for-
me, testure e colori. Viene dunque preso in esame il livel-
lo plastico. Il capitolo 3 analizza le modalità di costituzione
della scena testuale, con particolare attenzione alla resa
della dimensione temporale nell’immagine fissa mediante
particolari accorgimenti spaziali. Esso indaga quindi il
livello figurativo. Il capitolo 4 affronta l’analisi della costru-
zione di determinati percorsi di accesso fittizio dello spet-
tatore alla scena testuale. Si tratta degli argomenti di per-
tinenza del livello comunicativo. Il capitolo 5 si sofferma
invece sulla possibilità di ritorno interpretativo dello spet-
tatore - dietro indicazioni della stessa immagine - alla
propria situazione spettatoriale. Il livello preso in esame è
quello metacomunicativo.
Come già accennato nella Presentazione, il carattere
del nostro lavoro ci costringerà a lasciare ai margini del
discorso le implicazioni teoriche che animano le analisi:
esse verranno poste nelle note e in alcuni rilanci teorici
nella conclusione di ciascun capitolo. Il lettore scuserà il
tono veloce e un po’ laconico di queste parti. Lo consoli
sapere che la loro lettura non è indispensabile per la
comprensione complessiva di questo libro. Ma neppure,
occorre aggiungere, nuocerà gravemente alla sua salute.
Qualche precisazione circa i “cenni di intesa” che ri-
volgeremo al nostro lettore. La fascia bianca sulla destra
di ogni pagina - oltre a poter essere utilizzata per appunti
e annotazioni personali - contiene tre tipi di segnalazioni:

22
Capitolo primo. Tracce, profili, percorsi

! Rinvii a (brani di) libri e articoli che sono sintetizzati ! Simbolo di


con una certa ampiezza nel passo che si sta leggendo. riferimento ad articoli
Si tratta di un richiamo particolarmente importante in o libri riassunti nel
testo
un libro come il presente, che fa spesso ricorso ad ana-
lisi altrui. Il riferimento viene fatto mediante il sistema
autore-data, con rinvio alla bibliografia finale1.
! Rinvii alle immagini che vengono analizzate nella par- " Simbolo di
te che si sta leggendo; le tavole sono poste nella parte rinvio alle tavole a
finale, e possono essere reperite in base al sistema di fine testo
numerazione progressiva.
! Rinvii (mediante la citazione di capitolo, paragrafo e # Simbolo di rinvio
sottoparagrafo) ad altre sezioni di questo libro che in- ad altre sezioni del
tegrano o comunque si collegano a quanto si sta leg- libro
gendo.

23
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

2.

FORME, COLORI, FIGURE

“Il principio della scientia della pittura è il punto, il secondo è la linea, il


terzo è la superfizie, il quarto è il corpo che si veste di tal superfizie. E
questo è in quanto a quello che si finge, cioè esso corpo che si finge, perché
in vero la pittura non s’estende più oltra che la superfizie per la quale si
finge il corpo, figura di qualonque cosa evidente”.

Leonardo da Vinci, Il paragone delle arti, Cap. 3

2.1 Percezione, interpretazione, livello plastico dell’imma-


gine

L’analisi prende anzitutto in esame le relazioni tra lo


spettatore e il tessuto di linee, forme, testure e colori che
costituisce la superficie significante dell’immagine. Par-
liamo a questo proposito di un livello plastico dell’analisi
dell’immagine.
Occorre subito dire che fin da questo livello “di ba-
se” è molto difficile distinguere quanto c’è nell’immagine e
quanto viene fatto dallo spettatore in base alle sue cono-
scenze e competenze previe. La ricerca psicologica e
fisiologica sulla percezione ha dimostrato che perfino le
primissime configurazioni percettive comportano un de-
ciso intervento del soggetto: noi “costruiamo” quello che
vediamo molto più di quanto non ci rendiamo conto1.
Fin dai livelli percettivi minimali sussiste quindi un
intervento del soggetto interpretante. Questo fatto non

25
Analisi semiotica dell’immagine

impedisce tuttavia di distinguere due fasi o sottolivelli di


crescente complessità. A un primo sottolivello avremo
l’individuazione delle componenti plastiche presenti
nell’immagine: macchie, linee, forme, testure, colori. A un
secondo sottolivello troveremo l’assegnazione a queste com-
ponenti e all’immagine complessiva quale oggetto plastico, di un
“significato plastico”; tale significato riguarda possibili rap-
porti di prossimità o distanza, stasi o movimento, coope-
razione o tensione tra le componenti.

2.2 L’individuazione delle componenti plastiche

2.2.1 Campo, macchia, punto e linea

L’entità visiva elementare (la minima opposizione al


nulla, al vuoto, all’assenza di qualsiasi elemento di signifi-
cazione) è la macchia2. Questa, nel momento in cui si pre-
senta all’occhio, produce un duplice effetto: introduce in
un campo visivo fino a quel momento neutro un elemento
di discontinuità; e permette che pervenga a coscienza lo
stesso campo visivo all’interno del quale essa si presenta.
La macchia si presenta spesso in forma di punto.
Come tale essa può essere usata in vari modi: come rinvio
a un oggetto figurativo (nello “smile” i puntini rinviano a
due occhi: ☺); oppure in campi di punti, per comporre
una testura (si pensi all’uso dei retini tipografici nella fo-
tografia e nel fumetto)3.
Un ulteriore passo verso la complessità ci porta alla
linea. La linea può essere definita e classificata in base a
diverse variabili.
! La sua lunghezza: essa può essere un segmento breve
oppure una linea lunga.
! Il suo spessore: la linea può essere spessa, evidente, op-
pure fine, appena visibile. Inoltre, in riferimento allo

26
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

spessore, essa può essere più o meno regolare: linea


omogenea nel suo spessore vs. linea irregolare, ora più
larga ora più stretta.
! Il suo andamento: retta, spigolosa, sinuosa, ecc. Anche
l’andamento può essere o meno regolare: linea conti-
nua vs. linea tratteggiata.
! La sua funzione rispetto alla definizione delle forme:
essa può costituire una forma in sé: è un caso simile a
quello del punto che in sé costituisce un rimando a un
referente. Si pensi a certe pitture rupestri primitive,
che indicavano con una linea un corpo umano o ani-
male; oppure la linea può costituire il contorno di una
forma (o di una forma complessiva, autonoma, o di
una forma inglobata all’interno della prima); o infine
può essere usata in funzione di tratteggio e costituire
quindi una testura4.

2.2.2 La forma

La definizione della forma rappresenta uno snodo


fondamentale: essa è il punto di arrivo di una serie di pro-
cessi e il punto di avvio di altri. La forma è la prima entità
autonoma e organizzata che si presenta alla percezione.
L’individuazione di tali caratteri implica un certo grado di
riconoscimento: per esempio di certi principi di simmetria
o di dissimetria; oppure di una forma tipo (il cerchio, il
quadrato, ecc.) cui ricondurre la forma osservata. In ogni
caso abbiamo un deciso intervento di conoscenze visive
previe.
Nell’individuazione delle singole forme il soggetto si
basa sulle indicazioni che gli fornisce l’immagine attraver-
so il sistema di linee di contorno, testure, colori. Alcuni
elementi grafici contribuiscono in maniera particolare a
questa identificazione, tanto che si può parlare di «ordina-
tori percettivi»: un esempio è il parallelismo delle linee5.
Alla definizione della forma contribuiscono tipica-
mente la macchia e la linea. Più aperto il rapporto con la
testura e il colore: essi talvolta definiscono la forma (in

27
Analisi semiotica dell’immagine

assenza di una linea di contorno) e talvolta si limitano a


caratterizzare alcune sue qualità (tridimensionalità, pesan-
tezza, ecc.).
Anche per le forme possiamo individuare diversi cri-
teri di descrizione e classificazione:
! andamento del contorno: diritto, curvo, spigoloso, fluido,
spesso, fine, ecc.; valgono qui i criteri già fissati per la
linea.
! caratteri geometrici bidimensionali: presenza di assi, simme-
trie interne, ecc.;
! formato: grandezza relativa alle altre forme nonché alle
dimensioni del campo di riferimento delimitato dai
bordi - cornice.
! funzione: la forma può essere mimetica o astratta, geo-
metrica o non geometrica.

2.2.3 La testura

Le macchie e le linee possono presentarsi in campi


omogenei, all’interno dei quali siano ripetuti con regolari-
tà macchie, punti o linee identici o simili. In questo caso
abbiamo un’altra entità: la testura. Essa è appunto costitui-
ta da un motivo grafico a struttura costante, formato dalla
ripetizione su una superficie di elementi base di minime
dimensioni. Un esempio molto frequente è dato dai punti
del retino tipografico.
La testura può variare a seconda della grandezza e
della configurazione della macchia o della linea. In alcuni
casi la testura contribuisce, in tutto o in parte, a definire la
forma. Per esempio il disegno al tratto rinuncia alla linea
di contorno per affidare alle testure la definizione delle
forme per contrasto. In altri casi la testura interviene sulla
forma già definita dal contorno e offre all’attività
interpretativa successiva indizi utili a determinare la
tridimensionalità delle forme e le loro qualità luministiche
ed espressive6.

28
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

2.2.4 Il colore

I colori vengono classificati in base a tre attributi7.


! Il tono o cromaticità o tinta o tonalità: è la proprietà che ci
permette immediatamente di denominare un colore e
dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione lumi-
nosa (detta dominante).
Il colore è definibile in prima istanza come una qualità
associata dall’osservatore a un fascio di luce che colpi-
sce gli organi sensibili dell’occhio; questa qualità di-
pende dalla lunghezza d’onda di tale raggio. La luce
solare è luce bianca: essa comprende tutte le lunghezze
d’onda e quindi potenzialmente tutti i colori. Esistono
tuttavia all’interno della luce bianca tre colori di base
che, una volta sommati (per esempio proiettando su
uno schermo tre fasci di luce colorati) restituiscono
completamente e perfettamente la luce bianca. Questi
tre colori sono il verde, il rosso e il blu; essi vengono
chiamati colori primari additivi e il processo di restituzio-
ne della luce bianca viene detta sintesi additiva.
E’ possibile altresì procedere per via inversa, non
sommando, ma piuttosto sottraendo alla luce bianca
alcune lunghezze d’onda. Si effettua in tal caso una sin-
tesi sottrattiva. E’ quanto si può osservare se si inseri-
scono dei filtri colorati su uno stesso fascio di luce
bianca. Nella sua forma di base la sintesi sottrattiva
consiste nel togliere dalla luce bianca uno dei tre colori
primari additivi, lasciando quindi di volta in volta una
tonalità che deriva dalla combinazione dei due colori
primari “superstiti”. Diviene centrale in questo caso il
ruolo di altri tre colori che derivano della combinazio-
ne a due a due dei colori primari additivi: si tratta del
giallo (verde + rosso), dell’azzurro cian (verde + blu) e
del rosso magenta (blu + rosso). Questi sono detti colori
primari sottrattivi (o anche colori primari intermedi).
Ogni colore primario sottrattivo, se sommato a uno
dei primari additivi, permette di ricostruire la luce
bianca che si aveva prima della sottrazione. Si parla di

29
Analisi semiotica dell’immagine

un rapporto di complementarità: il giallo è complementa-


re del blu, l’azzurro cian del rosso, il rosso magenta del
verde.
La completa sottrazione delle lunghezze d’onda, infine
dà luogo al colore nero.
Nella nostra esperienza quotidiana abbiamo normal-
mente a che fare con fenomeni di sintesi sottrattiva.
Anche nell’osservazione di una immagine colorata as-
sistiamo a questo tipo di fenomeno: la superficie
dell’immagine è ricoperta da pigmenti, cioè da sostan-
ze che attuano una selezione delle lunghezze d’onda
della luce; alcune lunghezze d’onda vengono assorbite,
mentre altre vengono riflesse. E’ per questo che le su-
perfici dell’immagine ci appaiono di diversi colori. In
base a questo processo il termine “colore” è passato a
indicare non solo le qualità del raggio di luce, ma gli
stessi pigmenti che provocano la selezione delle lun-
ghezze d’onda dei raggi. Nella nostra trattazione ci oc-
cuperemo solamente dei pigmenti; quando parliamo di
“colore” alludiamo quindi di qui in poi ai pigmenti
stessi.
! La brillanza o brillantezza o luminosità è la maggior o mi-
nor vivacità del colore e dipende dall’intensità della ra-
diazione colorata. Tale intensità dipende a sua volta
dalla percentuale di luce riflessa dal corpo colorato (nel
caso dell’immagine dal pigmento e/o dalla superficie
su cui esso è deposto), misurata rispetto a una rifles-
sione ideale del 100 per cento della luce bianca inci-
dente (bianco puro di riferimento)8.
! La saturazione è il grado di purezza della tinta, la misce-
lazione del colore con la componente acromatica gri-
gio/bianca9.
Il colore può caratterizzare sia la macchia che la linea
isolate, sia testure di macchie o di linee: famoso il caso dei
pittori pointillistes, che costruivano plaghe di colori per
sintesi additiva mediante l’accostamento in testura di pic-
cole macchie di pigmento; oppure esso può presentarsi in
campiture più larghe. In entrambi i casi il colore può co-

30
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

stituire la forma (in assenza di linee di contorno), oppure


intervenire all’interno di una forma già costituita per ca-
ratterizzarla.

2.2.5 La disposizione delle forme nello spazio


bidimensionale

Le forme, una volta definite ed eventualmente quali-


ficate da determinate testure e colori, vengono colte nella
loro disposizione all’interno dello spazio visivo.
Le forme si dispongono l’una rispetto all’altra, verso
l’alto o verso il basso, verso sinistra o verso destra. Si
tratta di scelte fondamentali in vista di una successiva
interpretazione tridimensionale dello spazio. Inoltre il
sistema di opposizioni è utilizzabile per una simbolizza-
zione di alcuni valori: si pensi a come la disposizione delle
figure nei mosaici ravennati verso destra e verso sinistra
rispetto alla figure imperiali costituisca un forte ordine
gerarchico; o si pensi a certe disposizioni degli apostoli
attorno al Cristo nell’Ultima Cena10.
La disposizione delle forme è altresì riferibile al qua-
dro di riferimento complessivo determinato dai bordi
dell’immagine. In questo senso le forme possono essere
centrali o periferiche, concentrate o disperse. Vedremo
meglio nel prossimo paragrafo le conseguenze di queste
scelte per quanto riguarda gli equilibri della configurazio-
ne complessiva.

2.3 Gli investimenti di senso

Una volta individuate, le componenti plastiche sono


disponibili ad essere investite da un significato di tipo non
figurativo. Passiamo così dal primo al secondo sottolivel-
lo plastico. Questo investimento di senso consiste
nell’assegnazione alle forme di determinate qualità; queste
derivano sia da caratteri interni delle singole forme, sia

31
Analisi semiotica dell’immagine

soprattutto dalla rete di relazioni spaziali, temporali e


cooperative o contrastive con le altre forme e lo spazio
circostante11.

2.3.1 Qualificazione delle forme

Una prima operazione di cui si rende responsabile lo


spettatore è la qualificazione delle forme. Alla forma può
essere legata una certa espressività: essa può essere mas-
siccia, leggera, tendente alla fluidità o alla solidità, ecc..
Tali qualità dipendono dalle sue caratteristiche grafiche:
conformazione, dimensioni, spessore e andamento della
linea di contorno, testura, colore.
Alcune particolari qualità possono essere collegate ai
colori, soprattutto mediante meccanismi sinestesici: per
esempio distinguendo tinte calde (rosso, giallo) e fredde
(blu, verde); o collegando un sensibilità euforica ai colori
saturi e brillanti e una disforica ai colori desaturati e opa-
chi. E’ molto difficile dire quanto queste qualificazioni
siano “naturali” e quanto dipendano dal condizionamento
di schemi culturali.

2.3.2 Spazializzazione delle forme

La distinzione delle forme si confonde parzialmente


con l’individuazione di rapporti spaziali tra esse. Questi
sono anzitutto bidimensionali: le forme sono percepite
come disposte sullo stesso piano o in un rapporto di in-
clusione reciproca. Vengono quindi i rapporti pluriplanari
o tridimensionali: vengono distinti vari piani perpendico-
lari, in particolare identificando una forma come posta
“davanti” rispetto a un’altra. La percezione della pluripla-
narità o tridimensionalità viene determinata da diversi tipi
di istruzioni e indicazioni grafiche:
! La conformazione delle forme stesse: alcune forme sono
interpretate come distorsione prospettica di altre for-
me più semplici piuttosto che come forme autonome:

32
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

ad esempio certi parallelogrammi sono visti “automa-


ticamente” come rettangoli in scorcio prospettico.
! La disposizione delle forme. Le forme possono presen-
tarsi infatti con bordi coincidenti o intersecanti, oppu-
re inglobate l’una nell’altra. Nel primo caso (bordi
coincidenti) è possibile che le due forme vengano per-
cepite o come due figure distinte posizionate su due
piani differenti, o come una figura che si staglia su uno
sfondo. I fattori che aiutano la percezione di una for-
ma come “in primo piano” sono diversi: la complessità
dei contorni della figura; la simmetria della figura e la
sua regolarità; la convessità (le figure convesse sono
lette più facilmente come figure di primo piano, le
concave come figure di sfondo: regola di Rubin). Nel
caso di figure che intersecano i loro contorni troviamo
che si tende a interpretare più facilmente il pattern visi-
vo come una sovrapposizione di figure (piuttosto che
come intarsiatura) se le giunzioni tra i segmenti di con-
torno sono a T (inducendo una tendenza al comple-
tamento di una figura “al di sotto” dell’altra figura),
mentre una giunzione a Y incoraggia un’interpre-
tazione in chiave di intarsio12. Nel caso di una forma
inglobata in un’altra, infine, troviamo che la prima è
letta più facilmente come “foro” nella seconda se que-
sta prima è di forma concava; la concavità fa infatti
percepire una figura come sfondo o come buco.
! La percezione della profondità è data inoltre da altri
tipi di indicazione: le dimensioni degli oggetti in rappor-
to alla loro disposizione: oggetti più piccoli vengono
letti come più distanti; la testura: l’opposizione coerente
di aree testurate crea effetti di tridimensionalità; il colo-
re: le forme più chiare sono percepite come più lonta-
ne; il chiaroscuro contribuisce alla percezione del rilie-
vo.

33
Analisi semiotica dell’immagine

2.3.3 Dinamizzazione delle forme

Anche alcuni aspetti dinamici e temporali vengono


afferrati immediatamente dall’occhio.
Un primo tipo di effetti interpretativi è legato alla di- # 3.2.4.
stinzione e alla spazializzazione delle forme: una serie di
forme disposte linearmente, e tali per cui tra forme adia-
centi esistano elementi similari, sono percepite come
l’evoluzione temporale di una stessa forma. Per esempio
una serie di rettangoli che progressivamente si inclinano
verso destra sono percepiti come un movimento progres-
sivo di “caduta” della stessa forma rettangolare. Si tratta
del cosiddetto effetto stroboscopico, alla cui base sta una
sorta di “trascinamento cognitivo”13.
Un secondo tipo di effetti riguarda la forma stessa e
la sua disposizione spaziale: se la forma è in posizione di
disequilibrio sia rispetto al proprio asse “naturale”, sia
rispetto al quadro di riferimento complessivo, essa viene
percepita come instabile. A livello elementare, è la linea
obliqua a dare questo senso di instabilità, rispetto alla
linea retta. Per forme più complesse, possono innestarsi
indicazioni più propriamente figurative: ad esempio le
condizioni di massima potenza del moto (il pendolo al
momento della massima altezza e slancio, il discobolo al
momento della massima torsione), sono istanti immobili
che però esprimono massimamente per l’occhio umano il
senso del movimento14.

2.3.4 Collegamenti tra le forme

Oltre al reperimento di rapporti di tipo spaziale e


temporale, è possibile anche l’individuazione di collega-
menti e richiami tra le forme stesse. Questi richiami e
collegamenti possono riguardare sia forme adiacenti sia
forme distanti; essi possono essere per similitudine o per con-
trasto. Esaminiamo più da vicino i vari casi.

34
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

2.3.4.1 Collegamenti in adiacenza


! Per similitudine. Questi collegamenti sono molto impor-
tanti perché permettono di individuare delle linee di
continuità, o linee vettoriali che collegano le diverse
forme e costituiscono degli assi costruttivi
dell’immagine complessiva. I vettori possono essere
rappresentati da linee direttrici (contorni o assi delle
forme derivanti dalla loro conformazione e dalla loro
disposizione spaziale), o anche da colori (compren-
dendo qui la luminosità: la direzione di propagazione
della luce, rappresentata dal bianco, contribuisce tal-
volta a costituire un certo orientamento vettoriale). Al-
cuni elementi figurativi si saldano su quelli plastici
contribuendo alla definizione delle linee vettoriali: co-
sì, per esempio, la direzione degli sguardi, con l’ideale
prolungamento dell’asse visivo dei soggetti interni alla
rappresentazione, diviene esso stesso elemento vetto-
riale; un altro esempio che ritroveremo di frequente: il
gesto dell’indicare (elemento vettoriale molto forte)
rinvia anzitutto a un codice plastico (la forma allungata
e orientata del braccio e del dito), ma è poi rafforzato
da un codice mimico gestuale.
! Per contrasto. Forme adiacenti possono essere contra-
stanti; conformazioni, andamenti e colori entrano in
tal caso in un rapporto di opposizione e si ha una oppo-
sizione plastica tra le forme che compongono
l’immagine. Talvolta le opposizioni o contrasti plastici
vengono connessi a opposizioni reperibili sul piano del
contenuto (ne vedremo un esempio in una delle analisi
alla conclusione del capitolo): abbiamo in tal caso la
creazione di un collegamento semisimbolico tra piano del
contenuto e piano dell’espressione15.

2.3.4.2 Collegamenti a distanza


! Per similitudine: la conformazione di forme distanti, e/o
il loro orientamento spaziale, e/o il loro colore sono
simili o uguali: si tratta delle cosiddette rime o assonanze

35
Analisi semiotica dell’immagine

plastiche (eidetiche, testurali o cromatiche). Esse possono


suggerire, a livello di contenuto, connessioni retoriche
o narrative tra gli oggetti figurativi corrispondenti.
! Per contrasto: i caratteri delle forme sono opposti: dire-
zioni divergenti, colori in opposizione, ecc.16 In questi
casi abbiamo alcune dissonanze plastiche nell’immagine.
Nel complesso vettori, opposizioni, rime e dissonanze
compongono, nella varietà delle soluzioni possibili, il
tessuto plastico dell’immagine.

2.3.5 Configurazione complessiva

E’ infine possibile cogliere alcuni aspetti della confi-


gurazione complessiva delle immagini. L’oggetto delle
operazioni interpretative dello spettatore si è spostato a
questo punto dalle singole forme e dalla rete dei loro rap-
porti e relazioni all’impianto globale dell’immagine.
Tale configurazione può essere equilibrata (tendente
alla staticità) o squilibrata (tendente al dinamismo).
L’equilibrio (o il disequilibrio) è determinato da due
serie di fattori:
! Fattori relativi alle forme: sono qui in gioco il peso delle
forme e la loro direzione rispetto al campo visivo (cam-
po determinato dai bordi dell’immagine e in particola-
re rispetto al centro ideale dell’immagine). Il peso è de-
terminato a sua volta da una serie di fattori: colloca-
zione della forma, dimensione, grado di isolamento,
configurazione, qualità intrinseche (compattezza, ecc.),
colore. La direzione è determinata dalla posizione della
forma e dalla sua configurazione particolare (obliquità,
presenza di frecce, vettori, ecc.).
! Fattori relativi allo spazio in cui le forme sono inserite.
Lo spazio è percepito come “anisotropico”: i valori di
peso dei corpi variano a seconda della direzione e della
posizione. Così un oggetto posizionato in alto è per-
cepito come “più leggero”, mentre un oggetto posto in
basso è percepito come “più pesante”. Occorre inoltre

36
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

tenere presente l’abitudine alla lettura nell’ambito cul-


turale dell’occidente per cui l’occhio percorre
l’immagine tendenzialmente da sinistra a destra; questo
fa sì che la direzione dei soggetti rappresentati in mo-
vimento o comunque orientati da sinistra a destra si
percepisca come meno fastidiosa, più naturale. Questo
fattore sembra giocare ulteriormente sull’anisotropia
dello spazio pittorico: gli oggetti collocati a destra
sembrano più pesanti di quelli collocati a sinistra, e se
una diagonale da basso/sinistra ad alto/destra è vista
come ascendente (tendente alla leggerezza), il suo op-
posto è visto come discendente (tendente alla pesan-
tezza)17.

2.4 Dal livello plastico al livello figurativo: passaggi e


ritorni

Le pagine precedenti dovrebbero aver convinto il let-


tore della complessità del livello plastico dell’immagine.
Ci si può chiedere a questo punto come il livello plastico
si relazioni con gli altri livelli dell’interpretazione e
dell’analisi. E, in particolare, quali rapporti esso intratten-
ga con il livello figurativo. Per rispondere alla domanda
esaminiamo due esempi.

2.4.1 Contrasti plastici e collegamenti semisimbolici

Analizziamo la fotografia Nudo di Edouard Boubat. I ! Floch 1985b


caratteri plastici dell’immagine (in particolare l’oppo- " Tavola 38
sizione chiaro / scuro e le differenze di testura) permet-
tono di distinguere quattro aree all’interno di questa im-
magine:
un’area di sfondo, grigio-biancastra;
un’area di un nero intenso (corrispondente, sul piano
figurativo, alla capigliatura della modella)

37
Analisi semiotica dell’immagine

un’area molto più chiara e chiaroscurata (il busto nu-


do, visto di tre quarti da dietro)
un’area caratterizzata da una tessitura complessa (la
stoffa che copre la parte inferiore della donna).
Il “busto”18 è caratterizzato da un sistema organizza-
to di chiaroscuri (superfici chiare a sinistra, scure verso
destra) che gli conferiscono un aspetto di rilievo: possia-
mo individuare un’organizzazione spaziale tridimensiona-
le. Parliamo dunque di una superficie modellata.
La “stoffa” sfugge invece alla possibilità di tale orga-
nizzazione a causa del forte effetto della testura che la
compone. Non è quindi possibile individuare chiari rap-
porti di rilievo e tridimensionalità. Un discorso analogo
riguarda la “capigliatura”, questa volta per la componente
acromatica e priva di brillantezza data dall’intenso colore
nero. Sia nel caso della “stoffa” che in quello della “capi-
gliatura”, dovremo quindi parlare di superfici piatte.
La superficie di fondo, infine, riveste uno statuto
ambiguo: possiede sfumature di chiaro/scuro, ma queste
non sono organizzate con la sistematicità necessaria alla
costituzione di effetti di rilievo; tuttavia essa non offre
neppure l’uniformità di testura o di colore che orienti
verso l’assenza di rilievo. La superficie dello sfondo nega
dunque l’opposizione che regge la polarizzazione dei due
gruppi di superfici modellato / piatto, in quanto non è né
modellata né piatta. Possiamo rappresentare tale situazio-
ne nel seguente diagramma, modellato sul cosiddetto
«quadrato semiotico»19:

38
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

678
modellato
Area figura

piatto
(area “busto”) (aree “stoffa” e “capigliatura”

123
non-piatto non modellato

Area fondo

Trasferiamoci a questo punto al livello figurativo: le


differenti aree dell’immagine vengono a questo punto
nominate e interpretate a partire da ciò che esse rappre-
sentano. Possiamo ipotizzare che la capigliatura e la stoffa
rappresentino la attualizzazione e la copertura figurativa
di una stessa unità semantica: l’“ornamento”. Entrambe
rinviano infatti a un lavoro di preparazione, di messa in
forma (l’acconciatura, per quanto semplice dei capelli; il
tessuto, il disegno e il taglio della stoffa). A tale unità se-
mantica si oppone l’unità “nudo”, cui invece fa capo il
dorso della modella. Lo sfondo, infine, non partecipa né
all’uno né all’altro polo dell’opposizione.
L’articolazione tematica della fotografia è quindi rap-
presentabile mediante un nuovo quadrato semiotico:

39
Analisi semiotica dell’immagine

678
/nudo/
Corpo della donna

/ornato/
il busto stoffa e capigliatura

123
/non ornato/ /non nudo/

Fondo

E’ possibile procedere a un ulteriore livello di astra-


zione tematica, e ricondurre l’opposizione /nudo/ vs.
/ornato/ a quella /natura/ vs. /cultura/. La figura della
modella può essere quindi letta come una figura di me-
diazione tra natura e cultura, in quanto di entrambi i ca-
ratteri.
Ma, più ancora che queste conclusioni, ci interessa il # 3.5.3.
tipo di relazione che si è venuta delineando tra il livello
plastico e quello figurativo. I due quadrati che abbiamo
disegnato sono sovrapponibili: l’articolazione individuata
a livello plastico (a partire dall’opposizione modellato vs.
piatto) trova un parallelo e un correlato nell’articolazione
rinvenuta a livello tematico (opposizione nudo vs. ador-
nato) per il tramite del riconoscimento figurativo (dorso
vs. stoffa e capigliatura). Il corpo della modella si distacca
dal fondo sia in quanto superficie plastica in cui si inscri-
ve il contrasto modellato vs. piatto; sia come oggetto fi-
gurativo che ospita (e media) il contrasto nudo vs. ornato
e natura vs. cultura. Si tratta di un esempio di correlazione
semisimbolica tra piano dell’espressione e piano del conte-
nuto.

40
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

2.4.2 Rime visive e rideterminazioni plastiche del


figurativo

La stampa di Katsushika Hokusai La grande onda fa ! Groupe Mu


parte della raccolta Cento vedute del Fuji (1834-1835). In 1992: 352-357
questa immagine il monte Fuji-Yama è sullo sfondo, ver- " Tavola 32
so il centro dell’immagine (leggermente verso destra e in
basso). Esso quasi scompare rispetto al paesaggio marino
in primo piano, che vede onde tondeggianti alla destra del
monte e onde più aspre sulla sinistra. In particolare
un’onda in primo piano è in formazione, mentre in se-
condo piano un’onda già insorgente si alza minacciosa a
dominare la forma lontana del monte. Tra i flutti, verso la
parte di avvallamento delle onde sia a destra che a sini-
stra, si individuano tre barche.
Partiamo dalle evidenze del livello figurativo. Pos-
siamo costruire una semplice opposizione tra due catego-
rie di oggetti presenti: il “solido” (il, monte, le barche) e il
“fluido” (le onde). Gli oggetti della prima categoria rin-
viano alla stabilità, al durare, al permanere. L’acqua, inve-
ce, rinvia al perenne mutamento delle forme: ad un fluire,
appunto.
Passiamo ora al livello plastico e osserviamo che le
forme corrispondenti all’oggetto figurativo “mare” si pre-
sentano come un continuum in cui solo le opposizioni di
superfici chiare e scure permettono di identificare delle
distinzioni. Possiamo così distinguere tra l’“onda” della
parte destra e le due “onde” della parte sinistra. Nel pas-
saggio da destra a sinistra, si osserva che le forme stabili-
scono rapporti al tempo stesso di similitudine e di contra-
sto. Esaminiamo anzitutto le differenze plastiche. Il con-
torno dell’”onda” a destra forma una curva rivolta verso il
basso: #; procedendo a sinistra essa lascia il campo a una
curva posta inferiormente e rivolta verso l’alto: $. Proce-
dendo ancora verso sinistra il “ricciolo” della grande onda
insorgente costruisce una curva rivolta al tempo stesso
verso destra e verso il basso, posta in posizione superiore
rispetto alle altre curve: !. Essa presenta quindi un inizio

41
Analisi semiotica dell’immagine

di capovolgimento della situazione tra alto / basso e pie-


no / vuoto.
Una stessa linea di contorno, d’altra parte, collega
l’”onda” di destra e la grande onda di sinistra; i contrasti
di chiaroscuro inoltre indicano una continuità tra la stessa
onda di destra e l’onda di sinistra più piccola. Una serie di
rime plastiche (i contorno della “schiuma”, costituiti da
tante piccole forme curve disposte verso il basso) indica-
no infine una collegamento tra l’onda più piccola e quella
più grande di sinistra. Diviene allora possibile leggere le
tre onde come lo sviluppo di una sola onda, grazie a un
meccanismo di “trascinamento cognitivo” che innesca
una sorta di movimento stroboscopico: una stessa onda
scende dolcemente (parte a destra e in centro), comincia a
sollevarsi con movenze più aspre (onda più piccola sini-
stra) e insorge con più forza sovrastando la scena (onda
più grande) e capovolgendo l’andamento della forma.
Questo movimento fluido di ondeggiamento e capovol-
gimento ricorda da vicino il simbolo dei principi yin e
yang della concezione taoista del cosmo: ☯. Si tratta di
un simbolo che esprime la fondamentale idea taoista del
mutamento come legge che governa nel profondo gli
andamenti del mondo: legge di fluido, incessante trapasso
da una polarità all’altra.
Si può osservare che gli elementi plastici fin qui con-
siderati si sintonizzano con gli aspetti figurativi rilevati
sopra: alla fluidità figurativa si accompagna una fluidità
plastica. Vediamo ora cosa succede alle forme corrispon-
denti agli oggetti figurativi della categoria “solido”: il
monte e le barche.
Un confronto tra la forma “monte” e il contesto delle
forme equoree rende subito manifesta una forte rima
plastica: il monte sembra un’altra onda, in quanto è rappre-
sentato in modo molto simile all’onda più piccola sulla
sinistra. Entrambe possiedono una forma semitriangolare,
con l’apice rivolto verso l’alto; entrambe hanno alla
sommità una area chiara (dai contorni sfrangiati inferior-
mente) e in basso aree più scure. Sopra entrambe le for-

42
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

me inoltre aleggiano piccole macchie bianche, interpreta-


bili figurativamente sia come schiuma che come fiocchi di
neve che cadono sul monte. Non solo. Questa “quarta
onda” costituita dal monte Fuji-Hama si inserisce all’interno
del movimento stroboscopico che lega le altre onde in un unico movi-
mento fluido: esso costituisce una fase intermedia tra il de-
clinare dell’onda di destra e l’insorgere dell’onda più pic-
cola di sinistra. Anche le barche, d’altra parte, vengo as-
similate alle forme equoree e al loro andamento: con la
loro forma curvilinea, esse rimano con i profili delle onde
(in particolare nelle zone inferiori di curva verso l’alto), li
accompagnano e si confondono con essi. Anche le forme
delle barche quindi partecipano del generale fluire delle
forme all’interno dell’immagine.
In questo senso gli elementi figurativi della categoria del so-
lido sono riassorbiti a livello plastico nella categoria del fluido che
finisce pervade così per pervadere tutta l’immagine: il monte e le
barche divengono parte di un universo in perenne e fluida
trasformazione. Un universo che richiama per molti a-
spetti il cosmo taoista che trova nel già richiamato simbo-
lismo yin e yang la sua espressione: «Lo sguardo di colui
che ha riconosciuto il mutamento non osserva più le sin-
gole cose che gli fluiscono dinanzi, bensì l’eterna, immu-
tabile legge operante in ogni mutamento. Questa legge è il
Tao»20. Il Tao (il Senso, la Via) si esprime in un eterno,
costante fluire che comporta la trasformazione da uno
stato all’altro, dall’ombra (yin) alla luminosità (yang) e
viceversa: «Tutto nella Via è costantemente incostante (...)
è costante solo la mutevolezza, l’alternanza»21. Anche ciò
che sembra a prima vista solido e duraturo va dunque
sapientemente reinterpretato, superando il livello delle
apparenze, come parte di un più complessivo fluire22.
Il livello plastico dunque non si pone più (come av-
veniva nel precedente esempio) in sintonia con il livello
figurativo: esso tende piuttosto a spingere lo spettatore a
riformulare a partire dai dati plastici l’interpretazione co-
struita a livello figurativo.

43
Analisi semiotica dell’immagine

Dovremo dunque rispondere alla domanda iniziale di


questo paragrafo con l’ammettere che le relazioni tra il
livello plastico e il livello figurativo sono articolate, com-
plesse e suscettibili di soluzioni differenti. E che gli effetti
plastici influenzano non solo il livello figurativo, ma an-
che gli ulteriori livelli dell’interpretazione e dell’analisi
dell’immagine.

2.5 Conclusioni: plasticità, figurazione, livelli interpretativi


dell’immagine

Il livello plastico, protagonista di questo capitolo,


rappresenta una scoperta relativamente recente della se-
miotica del visivo.
Più ampiamente, le teorie che si sono occupate
dell’immagine hanno solitamente privilegiato la dimen-
sione rappresentativa e analogica. Un esempio sintomati-
co è costituito dal modello dell’interpretazione artistica
proposto dell’iconologo Ervin Panofsky. Panofsky pensa
che esistano tre livelli interpretativi: uno minimale, preico-
nografico, che conduce alla identificazione degli oggetti e
dei soggetti rappresentati; uno iconografico, che permette di
“dare un nome proprio” ai soggetti, riconoscere spazi,
tempi e personaggi rappresentati; e uno iconologico in cui
l’osservatore coglie i rimandi filosofici a una concezione
globale del mondo espressi dalla rappresentazione degli
oggetti e dello spazio23. Un’articolazione di questo genere
è senza dubbio molto utile, tanto da essere ripresa anche
in ambito semiotico24. Essa nasconde però due rischi:
quello di considerare il primo livello come un livello ele-
mentare, molto semplice, tale da non porre complicazioni
eccessive. E quello di considerare il primo livello come un
livello strettamente funzionale alla costituzione degli altri
due. Gli elementi espressivi vedrebbero esaurita la propria
funzione nella figurativizzazione iconica, e non possede-
rebbero alcuno spazio di azione indipendente.

44
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

E’ proprio su questi due punti che si sono appuntate


critiche e tensioni della ricerca. Esse sono riconducibili a
due paradigmi.
Il primo è di tipo “energetico”: il visibile è teatro di
tensioni, scontri ed equilibri tra forze percettive autosuffi-
cienti non figurative. Lo psicologo e teorico dell’arte Ru-
dolph Arnheim parla a questo proposito di un «pensiero
visivo» e di «significati percettivi» autonomi rispetto al
pensiero concettuale e alle significazioni presenti nella
rappresentazione25. L’orientamento di fondo del pensiero
visivo sarebbe la riduzione della tensione tra forze percet-
tive; questo implica una costante dialettica tra stasi e di-
namica, semplicità e complessità. Altri tipi di riflessione
riconducibili al paradigma energetico insistono invece
sull’attività di opposizione e disgregazione che le forze
percettive esercitano contro il livello della rappresenta-
zione. Il filosofo francese Jean François Lyotard insiste in
questo senso sull’opposizione tra figurativo (la rappresen-
tazione del reale nella sua apparente solidità) e figurale, (le
forme / forze non rappresentative)26. L’opera di alcuni
artisti (Lyotard pensa soprattutto a Cézanne, Klee, ecc.)
va intesa come una «decostruzione» del figurativo e una
liberazione del figurale. Altri artisti (è il caso di Francis
Bacon, la cui opera viene analizzata in questa chiave da
un altro filosofo, Gilles Deleuze27) giocano piuttosto sulla
messa in scena dell’irruzione disgregante del figurale
all’interno della rappresentazione figurativa.
Il secondo paradigma è invece “fenomenologico”: il
visibile artistico è luogo in cui i percetti naturali vengono
tradotti in forme originali, che vanno studiate nella loro
autonomia rispetto al reale. Si tratta di tendenze e idee
spesso influenzate dalla fenomenologia di Edmund Hus-
serl e, successivamente, dalle rielaborazioni operate da
Maurice Merleau-Ponty. In ambito presemiotico questa
concezione si ritrova nel cosiddetto «puro-visibilismo»,
una corrente teorica ampia e differenziata28.
Questo secondo paradigma ha ricevuto più del primo
un’attenzione e una riformulazione in chiave semiotica.

45
Analisi semiotica dell’immagine

In particolare la Scuola semiotica di Parigi, facente capo


all’insegnamento di Algirdas Julien Greimas, ha messo a
punto l’idea che «sia possibile considerare il piano plastico
dell’immagine come un linguaggio già significante indi-
pendentemente dall’eventuale riconoscimento delle figure
del mondo, portatore di per sé di una propria significa-
zione che si situa a un livello più profondo e più astratto,
i cui risultatipotranno essere eventualmente affiancati a
quelli derivanti da una lettura figurativa»29. Alle idee e alle
analisi maturate in questo ambito dobbiamo peraltro gran
parte delle idee esposte in questo capitolo.
Questi studiosi (in particolare Jean-Marie Floch, oltre
allo stesso Greimas) isolano una dimensione plastica dei
testi iconici bidimensionali (o «testi planari»), dimensione
autonoma rispetto all’investimento figurativo e quindi
legato alla percezione di pure forme, spazi e colori. I se-
miologi greimasiani insistono sulla necessità di considera-
re la dimensione plastica nella sua autonomia. A questo
proposito essi distinguono (in analogia con quanto avvie-
ne per la dimensione figurativa) un livello più profondo e
immanente della significazione testuale, in cui trovano
posto le categorie plastiche (topologiche, eidetiche e cromati-
che, cioè relative rispettivamente alla disposizione spazia-
le, alla conformazione delle forme e alla definizione del
colore) che componendosi danno vita a figure plastiche; e
un livello più superficiale e di manifestazione in cui è
possibile individuare dei formanti plastici (delle forme nella
loro disposizione). Questi ultimi non corrispondono ai
formanti figurativi (le forme individuate a partire dal loro
raffigurare un oggetto del mondo naturale) né quanto a
conformazione, né quanto a funzionamento testuale, né
infine quanto a procedure di riconoscimento e interpreta-
zione da parte del recettore. In altri termini “oltre” la
dimensione figurativa del testo planare esisterebbe
un’altra dimensione (un altro testo?) di tipo plastico.
Si pone a questo punto il problema del rapporto tra
livello plastico e livello figurativo. I semiologi pensano
che gli elementi del livello plastico siano comunque fun-

46
Capitolo secondo. Forme, colori, figure

zionali all’economia figurativa dell’immagine, mediante


una sovradeterminazione espressiva. Avviene nell’im-
magine quanto si ha in poesia allorché l’articolazione me-
trica sovradetermina l’articolazione delle frasi, creando
particolari effetti di senso mediante un’articolazione au-
tonoma, da leggere “in trasparenza”. Viene introdotto a
questo proposito quel meccanismo di correlazione semi-
simbolico cui abbiamo già fatto riferimento: non c’è un
rinvio immediato tra singoli elementi plastici e singoli
elementi figurativi, ma tutta una struttura plastica rinvia a
una struttura figurativa e la carica di significati ulteriori30.
Insomma: il testo iconico comunica in modi diversi,
non solo mediante “ciò che si riconosce”, ma anche me-
diante “ciò che si vede” tout court; ma tutti questi canali
di comunicazione entrano in relazione reciproca e si ar-
ricchiscono reciprocamente di senso.
A partire dalla riflessione greimasiana il problema del
livello plastico è stato posto come opposizione e relazio-
ne tra plastico e figurativo, oppure plastico e iconico, o
anche pitturale e iconico; ove i livelli sono visti ora come
nemici, ora come vicini, ora come fratelli31.
A nostro avviso una considerazione del livello plasti-
co dovrebbe salvaguardare al tempo stesso tre esigenze:
l’autonomia e lo spessore di tale livello (contro l’idea “pa-
nofskiana” di una sua irrilevanza e di una completa sot-
tomissione); l’unitarietà, pur nell’articolazione, del proget-
to interpretativo del testo (contro le idee disgreganti pro-
prie del paradigma energetico); la complessità di rinvii tra
livello plastico e livelli interpretativi e analitici ulteriori
(sviluppando le idee del paradigma fenomenologico, in
particolare nelle sue versioni semiotiche32). Quest’ultimo
punto merita un breve approfondimento.
Le idee semiotiche sono ancora influenzate dal mo-
dello del segno come unione dei due piani di espressione
e contenuto. Questo modo di rappresentare il segno vie-
ne trasferito al testo iconico e tradotto nei due livelli pla-
stico e figurativo (o plastico e iconico). Un simile modello
si è rivelato tuttavia limitato sotto due aspetti. Esso di-

47
Analisi semiotica dell’immagine

stingue tra un livello di oggetti “fisici” (il significante,


l’espressione) e un livello di oggetti mentali (il significato,
il contenuto); abbiamo visto tuttavia che perfino i primis-
simi atti interpretativi di tipo percettivo costituiscono già
eventi e costrutti mentali, e rientrano a pieno titolo nel
complesso processo della interpretazione33. D’altra parte
il modello di derivazione segnica, presentando solo i due
piani di espressione e contenuto testuali, è insufficiente a
spiegare le complesse articolazioni dei differenti cicli in-
terpretativi per i quali il testo è progettato.
Il modello di interpretazione del testo visivo che ab-
biamo presentato nel precedente capitolo e che riprende-
remo più compiutamente nelle conclusioni di questo li-
bro, cerca appunto di tener conto di tali esigenze e di
superare questi limiti. Esso, come si ricorderà, prevede la
costruzione ciclica e progressiva di oggetti cognitivi che
una volta elaborati rimangono accessibili al fine della co-
struzione di oggetti successivi. In questo modo il ciclo
plastico, primo nella successione logica dei differenti cicli,
conserva una sua autonomia ma al tempo stesso conduce
a costrutti che possono essere recuperati e sfruttati
all’interno di uno qualunque dei cicli successivi. Viene
esplicitamente ammessa la possibilità che i costrutti pla-
stici influiscano anche a livelli molto avanzati di elabora-
zione interpretativa.

48
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

3.

MOVIMENTI, AZIONI, PASSIONI

“PARSIFAL: Cammino appena, pur mi sembra


d’esser già lontano.
GURMENANZ: Vedi, figlio mio, qui il tempo
diviene spazio”.

(Wagner, Parsifal, Atto primo)

3.1 Rappresentare il mondo e il suo mutamento

Il secondo livello di analisi esamina l’immagine in


quanto capace di rappresentare1 iconicamente alcuni ele-
menti del mondo naturale. Parliamo in questo caso del
livello figurativo dell’analisi. L’immagine viene analizzata in
quanto mette in scena2 alcuni soggetti, oggetti, spazi e
articolazioni temporali in modo tale che questi siano ri-
conoscibili o ricostruibili dallo spettatore.
Se teniamo presente il modello introdotto al capitolo
1, diremo che la rappresentazione comporta da un lato
una relazione tra le indicazioni dell’immagine e le opera-
zioni interpretative dello spettatore; dall’altro un interven-
to del sapere previo dello spettatore, all’interno del quale
si ritrovano anche i costrutti cognitivi ottenuti a conclu-
sione del ciclo plastico dell’interpretazione. Di conse-
guenza gli oggetti e le relazioni plastiche non vengono
rimossi, ma al contrario intervengono attivamente nel
sostenere e nell’orientare l’interpretazione figurativa.

49
Analisi semiotica dell’immagine

I soggetti, gli oggetti, gli spazi e le articolazioni tem-


porali costituiscono il mondo testuale dell’immagine nella
loro organizzazione unitaria e nella reciproca inscindibili-
tà3. Per salvaguardare tale inscindibilità prenderemo in
esame la rappresentazione dei diversi elementi del mondo
a partire da una categoria che permetta di considerarli
nella loro mutua interdipendenza: il mutamento. Il muta-
mento coinvolge infatti soggetti e oggetti all’interno di un
certo spazio e lungo il filo di una temporalità ordinata sia
cronologicamente (prima / dopo) che logicamente (causa
/ effetto). Oggetto del capitolo sarà dunque il modo in cui
l’immagine fissa rappresenta il mutamento.
E’ possibile individuare tre aspetti del mutamento
rappresentabili nell’immagine: il movimento - lo spostamen-
to nello spazio di oggetti o soggetti -; l’azione - l’operato di
soggetti articolato in fasi a diversi gradi di complessità -;
la passione - le reazioni interiori dei soggetti espresse nei
moti dei corpi e dei volti -. A ciascuno dei tre aspetti è
dedicato un paragrafo del capitolo.
Anche il livello figurativo, come quello plastico, pre-
vede due sottocicli correlati ma relativamente autonomi
del processo interpretativo. La ricostruzione dei muta-
menti rappresentati nel mondo testuale corrisponde alla
individuazione del significato figurativo. Una volta che que-
sto viene identificato è possibile che l’immagine orienti lo
spettatore verso la percezione di un ulteriore e più pro-
fondo senso che soggiace all’insieme dei mutamenti e ne
organizza gli andamenti. L’ultimo paragrafo del capitolo
analizza i procedimenti di messa in luce del senso
all’interno dell’immagine.

50
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

3.2 La rappresentazione del movimento

3.2.1 Problemi e vincoli

L’immagine fissa deve confrontarsi con due problemi # 5.3.1


di fondo. Il movimento si manifesta in una sequenzialità
continua di trasformazioni dell’aspetto visibile dei corpi
in stato di moto. L’immagine fissa può rappresentare la
sequenzialità di queste trasformazioni, ma non la loro
assoluta continuità. Per poter essere raffigurato il movi-
mento deve quindi essere scomposto in fasi puntuali di-
scontinue: toccherà allo spettatore il compito di inferire la
continuità perduta. Ma i problemi non finiscono qui.
Nell’arte occidentale dal Rinascimento in poi l’immagine
viene considerata come “finestra sul mondo”, apertura
verosimile di una porzione di universo di fronte allo spet-
tatore; tale funzione impone alcune convenzioni rappre-
sentative e, in particolare, impedisce la rappresentazione
simultanea di fasi differenti del movimento all’interno
della stessa cornice. Non sempre quindi la resa del movi-
mento per sequenze di fasi è stata possibile.
Questo insieme di condizioni ha portato l’immagine a
elaborare tre grandi modalità di rappresentazione del mo-
vimento: la strategia del movimento bloccato, quella del movi-
mento contratto, e infine quella del movimento articolato.

3.2.2 Il movimento bloccato

Una prima modalità o strategia di rappresentazione


del movimento consiste nella resa di una fase isolata e
temporalmente puntuale del moto. In questo caso la
scomposizione del movimento in configurazioni istanta-

51
Analisi semiotica dell’immagine

nee prelude al ritaglio e all’esibizione di una sola delle


configurazioni.
Questa strategia sollecita nello spettatore alcune infe-
renze percettive e cognitive che permettano di completa-
re la sequenza del moto nella sua totalità e nella sua con-
tinuità4. Essa non pone problemi di verosimiglianza
dell’immagine: l’istantaneità in cui si colloca la fase isolata
del movimento corrisponde all’istantaneità dello sguardo
che ha colto e restituito la scena.
A livello di pura inferenza percettiva la resa del movi-
mento è collegata a due fattori: la presenza di linee vetto-
riali oblique e il complessivo squilibrio della composizio-
ne globale (risultante da una distribuzione non uniforme
né centrata dei pesi e delle direzioni visivi)5.
A livello di inferenza sia percettiva che cognitiva da parte
dello spettatore, subentrano altre indicazioni. Spesso og-
getti in movimento vengono rappresentati in una situa-
zione di momentanea e istantanea stasi. Un esempio si-
gnificativo è dato dal moto pendolare. Un oggetto in o-
scillazione esprime al meglio il movimento quando si
trova al punto culminante del percorso oscillatorio, ovve-
ro in condizione di massima energia potenziale, minima
energia cinetica e quindi minima velocità. L’iconografia
settecentesca dell’altalena ritrae i soggetti sempre al cul-
mine della corsa oscillatoria in modo da mettere in risalto
l’andamento dinamico della scena. Un esempio illustre e
significativo è I pericoli dell’altalena di Fragonard (1767)6.
Un pendolo in stato di verticalità si trova al momento
esattamente opposto: minima energia potenziale, massima
energia cinetica e dunque massima velocità. La sua rap-
presentazione esprime un senso di stasi e di assenza di
movimento. L’uovo pendente sullo sfondo della Pala di
Brera di Piero della Francesca (1472-74), riverbera
sull’intera composizione una condizione di azzeramento
temporale.
Oltre al moto pendolare, esempi analoghi si trovano
nel campo del movimento umano. Il movimento del lan-
ciatore di disco viene espresso al meglio se è colto

52
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

nell’istante di massima torsione e raccoglimento delle


forze dell’atleta, un istante prima che inizi il lancio. Si
tratta appunto della posa scelta da Mirone nella statua del
discobolo (470-440 a.C.)7.
A livello di inferenza cognitiva il moto può essere dedot-
to a partire dalle tracce che esso ha lasciato nello spazio.
Leonardo da Vinci ha scritto una serie di «invenzioni»: si
tratta di descrizioni di quadri o affreschi da realizzare8.
Nell’invenzione VII, dedicata a una scena di battaglia,
Leonardo consiglia di esprimere il moto del cavallo in
corsa mediante le nuvole di polvere sollevate: più sparse e
rade quelle lontane, più piccole e compatte le vicine9. O
ancora: talvolta i pittori (il fenomeno è osservato per pri-
mo dal Mengs a proposito di Raffaello) rivestono i propri
personaggi di vestiti dalle stoffe morbide in maniera che
esse mantengano la piega del movimento degli arti effet-
tuato negli istanti precedenti la rappresentazione, e
permettano quindi di inferirlo10.

3.2.3 Il movimento contratto

La seconda strategia consiste nella compattazione di fasi


differenti del movimento su un’unica figura.
Le inferenze sollecitate nello spettatore sono volte in
questo caso non a completare ma a sciogliere e riordinare
le fasi del moto per giungere alla sequenza nella sua con-
tinuità.
Nascono qui alcuni problemi in ordine alla verosimi-
glianza dell’immagine. Troviamo due soluzioni, la prima
interna ai criteri di verosimiglianza dell’arte rinascimenta-
le, la seconda al di fuori di essi.
La prima soluzione non modifica apparentemente la ve-
rosimiglianza della scena: la figura che lo spettatore si
trova davanti esprime il movimento senza che appaia
l’assenza di naturalità della sua posa. In realtà
l’atteggiamento fisico del soggetto rappresentato deriva
dal montaggio di due o più pose temporalmente distinte

53
Analisi semiotica dell’immagine

nell’esperienza percettiva reale. Possiamo parlare in que-


sto caso di un movimento contratto nascosto.
Un esempio illustre di movimento contratto nascosto
è dato dall’iconografia del galoppo dei cavalli. Il fotografo
americano Edward Muybridge, verso il 1870, iniziò a
fotografare numerosi soggetti a distanza di circa 0,10 se-
condi tra un’immagine e l’altra. Il risultato di queste foto-
grafie fu sconvolgente per la pittura figurativa, in quanto
rivelò che numerosi procedimenti di raffigurazione del
movimento apparentemente veritieri erano assolutamente
antirealistici. Il galoppo del cavallo nelle sue varianti ico-
nografiche si rivelò errato: delle quattro modalità indivi-
duate dall’arte occidentale per rappresentare il galoppo,
solo una è asseverata dalle immagini di Muybridge: quella
usata dagli scultori attici del V secolo a. C. nei fregi del
Partenone, rimasta in seguito praticamente sconosciuta11.
Tuttavia le altre modalità di rappresentazione del galoppo
non sono completamente prive di un legame con il mo-
vimento reale; piuttosto, esse risultano dal montaggio in
un’unica posa di fasi differenti e successive del movimento del caval-
lo12.
La seconda soluzione possibile compromette invece
la verosimiglianza della rappresentazione: la compattazio-
ne di fasi successive del movimento produce figure irreali.
Parliamo in tal caso di un movimento contratto evidente. Per
trovare alcuni esempi dovremo ricorrere all’arte delle
icone russe e segnalare i casi di soggetti con torsioni
innaturali degli arti (ad esempio in profeta Michea ritratto
con il capo girato di 180 gradi rispetto al busto)13.
Possiamo considerare anche i casi di arte primitiva in cui
il movimento viene espresso mediante un allungamento
degli arti interessati14, e in genere i casi in cui la forma
dell’oggetto tende a perdersi a favore della raffigurazione
deformante del suo spostamento15.

54
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

3.2.4 Il movimento articolato

La terza strategia di rappresentazione del movimento # 2.3.3


consiste nello scomporre il movimento in fasi e nel met-
tere in scena tali fasi accostate spazialmente l’una all’altra.
La successione temporale viene tradotta in successione
spaziale: le coordinate del tempo vengono espresse me-
diante quelle dello spazio. In questo modo lo spettatore
inferisce la continuità del movimento di una figura a par-
tire dalla duplice percezione della costanza e del muta-
mento della sua forma. Si tratta del fenomeno della confi-
gurazione stroboscopica già incontrato nel capitolo preceden-
te16.
Per quanto riguarda la verosimiglianza della configu-
razione prodotta da questa strategia, si ripete quanto det-
to a proposito della strategia precedente: anche qui tro-
viamo due soluzioni possibili.
La prima soluzione possiede un maggiore grado di
verosimiglianza. In questo caso la stroboscopia viene
occultata distribuendo le diverse fasi di uno stesso movi-
mento su soggetti differenti, in modo tale che l’unità del
movimento traspaia e sia riconoscibile attraverso la di-
stinzione delle figure. Si tratta in sostanza di un altro mo-
do di lavorare il punto temporale: vengono costruite una
temporalità e una duratività interne rispetto all’istantaneità
della raffigurazione; ciò che porta a una messa in vibrazione
dell’istante rappresentato. Parleremo in tal caso di movi-
mento articolato nascosto.
Introduciamo qualche esempio, tra i più evidenti, di
tale strategia. Nella Resurrezione di Piero della Francesca
(seconda metà del Quattrocento) i quattro soldati in bas-
so che stanno riposando sono interpretabili come un’uni-
ca figura che si dibatta in un sonno agitato. Nel Compianto " Tav. 2
sul Cristo morto di Giotto della Cappella degli Scrovegni # 3.4.2; 4.3.3
(1305-6) le quattro figure che sulla sinistra attorniano e
toccano il corpo del Cristo suggeriscono l’idea di un’unica
figura che ruota leggermente attorno al corpo e
gradatamente alza il busto e allarga le braccia in un pro-

55
Analisi semiotica dell’immagine

gresso mimico e patetico. Nella Parabola dei ciechi di Pieter


Brueghel il Vecchio (metà del 1500) le sei figure dei ciechi
che gradatamente oscillano in avanti e cadono rappresen-
ta la messa in scena di un unica azione17. Le diverse cop-
pie raffigurate nel dipinto L’imbarco per l’isola di Citera di
Watteau (1717-1718) sono in effetti la raffigurazione di
un’unica coppia colta in istanti differenti18.
Un altro esempio interessante è dato dalla Lapidazione
di S. Stefano un dipinto di Carpaccio del 1530. Il movi-
mento di sollevare il sasso, preparare il lancio ed eseguirlo
viene scomposto e assegnato alle diverse figure degli a-
guzzini. E’ interessante fare due osservazioni: i lapidatori
sono rappresentati da angolazioni differenti, a riprodurre
le rotazioni che compie la figura nell’effettuare il lancio
rispetto all’osservatore. Non c’è inoltre consequenzialità
spaziale tra le varie fasi dell’azione: «è il lettore che può
desumere sia l’ordine progressivo sia, un po’ paradossal-
mente, il percorso a ritroso del lancio»19.
La seconda soluzione abbandona i criteri di verosi-
miglianza. Le diverse fasi del movimento di una stessa
figura vengono fatte convivere all’interno di un unico
spazio. Possiamo parlare allora di un movimento articolato
evidente. Ricorriamo ancora una volta, per cercare esempi,
al mondo figurativo delle icone russe: troviamo qui il
procedimento della «traduzione complessa», in cui una
medesima figura viene ripetuta più volte nell’ambito della
stessa immagine. Ad esempio nella composizione della
decollazione di San Giovanni Battista la testa del santo è
mostrata due volte, in due momenti differenti20.
Nell’ambito dell’arte occidentale sono soprattutto le
avanguardie del primo Novecento a sperimentare metodi
di resa del movimento mediante configurazioni strobo-
scopiche. Si avverte l’influsso di alcune ricerche della fo-
tografia contemporanea che, tra Ottocento e Novecento,
si dedica all’analisi del movimento umano e animale me-
diante la sua scomposizione e ricomposizione. František
Kupka in Fanciulla che coglie i fiori (1909-10) fa sì che, se al
centro le immagini sono ben definite, con il procedere

56
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

verso i margini esse tendono a moltiplicarsi e sovrapporsi;


l’influsso più probabile è quello delle fotografie di Mu-
ybridge. Un po’ diverso il caso di Giacomo Balla, con la
sua Bambina che corre su un balcone (1912): qui le nove im-
magini del soggetto tendono a essere trasparenti e a com-
penetrarsi, grazie a una tecnica pittorica che scompone la
figura in macchie regolari di colore. Emerge in questo
caso l’influsso di un altro fotografo, Etienne Marey; que-
sti nel suo Méthode graphique, del 1885, esibiva fotografie di
soggetti in movimento vestiti di bianco su fondo scuro
effettuate su un’unica lastra, ottenendo così effetti molto
simili a quelli riprodotti da Balla21.

3.3 La rappresentazione dell’azione

3.3.1 L’immagine come macchina narrativa

Il secondo aspetto del mutamento che può essere


rappresentato nell’immagine è l’azione. Con questo termi-
ne intendiamo un processo di trasformazione degli stati di
cose del mondo testuale articolato in fasi distinte e tale da
formare un’unità significativa. Le fasi dell’azione sono
differenziate e collegate sia in termini cronologici (prima
/ dopo) sia in termini di logica causale (causa / effetto).
Possiamo distinguere tra una fase iniziale (o incoativa),
una centrale (durativa) e una finale (terminativa)22.
L’azione è dunque un’armatura logico-cronologica,
che può investire e articolare porzioni differentemente
ampie degli avvenimenti. Ad esempio può essere conside-
rata un’azione l’atto dell’eroina biblica Giuditta che deca-
pita con la spada il marito e nemico del suo popolo Olo-
ferne: abbiamo la fase iniziale del sollevamento della spa-
da, quella centrale della spada che cala, quella finale della
decapitazione. Ma per altro verso l’intera storia dello stes-
so personaggio può essere considerata un’unica grande

57
Analisi semiotica dell’immagine

azione, comprendendo una fase iniziale critica (Giuditta


accetta di sposare il re nemico Oloferne), una fase centra-
le che vede un capovolgimento (Giuditta nottetempo
decapita lo sposo) e una fase finale risolutiva e positiva (il
gesto della donna permette la vittoria di Israele).
Ovviamente il passaggio da un livello dell’azione
all’altro passa per gradi di crescente complessità. Azioni
differenti si aggregano in pacchetti di dimensioni maggio-
ri: il gesto di Giuditta che alza la spada può essere con-
comitante con quello di una vecchia che chiude una tenda
affinché il gesto resti segreto. Questi pacchetti a loro vol-
ta si aggregano in unità di ordine superiore fino all’intera
storia articolata e unitaria.
A partire da queste osservazioni possiamo distinguere
tre livelli di crescente complessità nella resa dell’azione:
! azioni pure e semplici (Giuditta che alza la spada);
! aggregati di azioni legate da relazioni di contemporaneità
cronologica, o da immediata successione cronologica e
consequenzialità logica, tali da costituire un insieme re-
lativamente compiuto (Giuditta che alza la spada + il
gesto della vecchia);
! racconti completi, derivanti dall’aggregazione di aggre-
gati di azioni (l’intera storia di Giuditta).
Esamineremo di seguito ciascuno dei tre livelli23. An-
che in questo caso dovremo tener presenti tanto i vincoli
legati alla particolare natura del significante iconico, quan-
to la pressione esercitata dalla convenzione rappresentati-
va che richiede l’unità di tempo e di luogo della scena
affinché sia rispettata la verosimiglianza della visione24.

3.3.2 La rappresentazione dell’azione singola

3.3.2.1 L’azione puntuale


La rappresentazione più semplice di una singola a-
zione è di tipo puntuale. In questo caso una delle tre fasi
che compongono l’azione viene isolata e rappresentata.

58
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

Essa implicherà le altre, permettendo allo spettatore di


ricostruire l’intera azione mediante inferenza.
Spesso viene scelta a questo scopo la fase centrale, o
durativa, che implica sia il prima (incoatività) che il dopo
(terminatività) dell’azione. Ad esempio in una delle ver-
sioni iconiche dell’episodio biblico di Giuditta e Oloferne # 3.3.3.1; 3.5.2
fornite da Giovan Battista Piazzetta nella prima metà del
Settecento (quella custodita presso la Galleria dell’Acca-
demia di San Luca a Roma), l’eroina viene raffigurata con
la spada alzata ed il busto in torsione pronta a decapitare
Oloferne25
In altri casi è la fase incoativa o quella terminativa a
muovere l’inferenza di tutta l’azione. Il filosofo tedesco
Gotthold Lessing nel suo Laocoonte (1766) suggeriva
all’artista di evitare la rappresentazione della fase centrale
e culminante dell’azione (ad esempio Medea che uccide i
figli o Aiace furente), e di orientarsi piuttosto verso la fase
iniziale (Medea in preda alla lotta tra amore materno e
gelosia) o quella finale (Aiace esausto in un paesaggio di
relitti e cadaveri)26.
Un altro esempio. In una delle già ricordate «inven-
zioni», dedicata alla descrizione del diluvio (invenzione
VI), Leonardo da Vinci consiglia di raffigurare una serie
di azioni nella loro fase terminativa; l’artista e scrittore usa
come corrispettivo linguistico il «già»: «E già li uccielli si
posavan sopra li omini e altri animali ...; già la fame, mi-
nisstra della morte, avea tolto la vita a gran parte delli
animali...»27. La forza espressiva dell’intero quadro sta
proprio nell’aspetto terminativo di quelle azioni.
Un caso particolare è dato dalla presenza di particola-
ri elementi plastici che si incaricano di orientare l’inferen-
za dello spettatore verso la ricostruzione delle fasi non
figurativizzate dell’azione. Ad esempio in un’altra delle
raffigurazioni di Giuditta e Oloferne del Piazzetta (quella di
Palazzo Corsini, Galleria nazionale dell’arte antica, a
Roma), la linea di divisione tra luce e ombra “taglia” già la
testa di Oloferne, anticipando in termini plastici la fase
terminativa dell’azione. Ancora (e per restare, diciamo

59
Analisi semiotica dell’immagine

diciamo così, in tema): nella Decollazione di San Giovanni di


Masaccio (originariamente parte del polittico di Pisa 1426,
e oggi custodita a Berlino) viene mostrato il boia con la
spada levata alla massima altezza; al tempo stesso
l’andamento di un manto rosso sullo sfondo anticipa e
disegna la traiettoria della spada, mentre una linea vertica-
le composta da una lancia di legno che prosegue in
un’apertura tra le due falde del mantello di fondo, già
mostra il taglio della testa del santo.

3.3.2.2 L’azione sequenziale


L’azione può essere altresì rappresentata disponendo
in sequenza due oppure tutte e tre le fasi che la compon-
gono. Questa soluzione sembrerebbe a tutta prima urtare
inevitabilmente con la regola dell’unità spazio-temporale
della scena verosimile; è tuttavia possibile aggirare tale
ostacolo mediante una distribuzione delle diverse fasi su
personaggi differenti della scena. In questo caso perso-
naggi adiacenti vengono raffigurati nell’atto di compiere
fasi successive di un’azione unitaria; essi possono essere
quindi analizzati come rivestimenti figurativi distinti di un
attore unico.
E’ il caso, ad esempio, dei tre malati guariti da Pietro " Tav. 6
nell’affresco San Pietro guarisce i malati con la propria ombra # 3.3.3.2
del Masaccio nella Cappella Brancacci presso la Chiesa
del Carmine a Firenze, eseguito intorno al 1427. I tre
infermi sono collocati sulla sinistra dell’immagine, adia-
centi l’uno rispetto all’altro e disposti prospetticamente.
Quello verso il fondo è raffigurato in piedi a mani giunte;
il secondo è inginocchiato con le mani incrociate sul pet-
to; l’uomo in primo piano è piegato in terra. La disposi-
zione e la posa dei tre soggetti rinviano a tre fasi di
un’unica azione di guarigione, che si esprime sia come
ergersi fisico dei soggetti che come manifestazione di una
loro condizione passionale di gratitudine. Il soggetto più
in fondo è già in piedi in atteggiamento di ringraziamento,
quello in mezzo è per il momento in ginocchio, quello in
primo piano è ancora prostrato a terra.

60
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

E’ possibile infine che la rappresentazione sequenzia-


le dell’azione non rispetti le regole della verosimiglianza
rinascimentale e presenti più volte lo stesso soggetto
nell’atto di compiere le differenti fasi della stessa azione.
Ad esempio una lastra del palazzo di Assurbanipal a Ni-
nive (650 d.C.) reca in bassorilievo tre immagini accostate
di un leone che fugge dalla gabbia (fase incoativa), si lan-
cia (fase durativa) e si scontra con lo scudo del re (fase
terminativa)28.

3.3.3 La rappresentazione dell’aggregato di azioni

La rappresentazione di aggregati composti da due o


più azioni introduce un ulteriore grado di complessità.
Subentra infatti l’esigenza di rendere manifesto il sistema
di relazioni tra le azioni coinvolte: quella serie di rapporti
causali e cronologici che il linguaggio verbale esprime
mediante congiunzioni o avverbi connettivi quali “intan-
to”, “subito dopo”, “poco prima”, “di conseguenza”, ecc.
L’immagine usa a questo proposito alcune congiunzioni
iconiche che sostituiscono a livello visivo quelle verbali.
Vengono utilizzati a questo scopo le pose mimiche dei
corpi, la disposizione spaziale dei soggetti, l’uso di linee
vettoriali (indicazioni di gesto e sguardo, linee conduttri-
ci). Vediamo meglio come ciò avviene.

3.3.3.1 Il montaggio delle azioni sullo stesso


soggetto
Una prima strategia consiste nel proiettare fasi pun-
tuali di azioni differenti su parti differenti del corpo dello
stesso soggetto agente. Il corpo del soggetto viene usato
come supporto e mezzo espressivo delle diverse azioni
nelle loro reciproche relazioni29. Il corpo viene quindi
trattato come un pentagramma, luogo e strumento di mani-
festazione di una più o meno complessa polifonia dell’a-
zione.

61
Analisi semiotica dell’immagine

Ad esempio il Piazzetta, all’interno di un’altra delle " Tav. 29


raffigurazioni da lui eseguite di Giuditta e Oloferne (quella ! Calabrese
custodita presso una collezione privata di Milano), mostra 1985b: 217-237
Giuditta in una posa particolare. La donna guarda in alto, # 3.3.2.1; 3.5.2
gli occhi rivolti al cielo per chiedere il coraggio di compie-
re il gesto di assassinio; il capo rappresenta la fase durati-
va dell’azione alzare gli occhi al cielo / guardare in alto e
prendere la decisione / abbassare gli occhi. Al tempo
stesso la sua mano già afferra la spada, esprimendo la fase
incoativa dell’azione prendere la spada / sollevarla / me-
nare il colpo di grazia. La posa della donna rimanda quin-
di contemporaneamente a due sequenze: una è dislocata
sul capo, l’altra dislocata nella mano e braccio30.
Le sequenze di azioni sovrapposte sullo stesso sog- " Tav. 24
getto possono essere anche più di due. Nel quadro di # 3.4.2; 3.4.5
Poussin Paesaggio con uomo ucciso da un serpente (1648 ca.)
viene raffigurata in primo piano sulla destra la figura di un
viandante che vede sulla sinistra l’uomo morente. Nella
posa di questo viandante si sommano tre sequenze di
azione: l’avanzare del corpo, il guardare con il capo e-
sprimendo orrore e immobilizzazione, il tendere in avanti
in posizione di fuga con le braccia31.

3.3.3.2 Il montaggio delle azioni su soggetti


differenti
Una seconda strategia di rappresentazione degli ag-
gregati di azioni prevede la distribuzione delle differenti
azioni su soggetti diversi. I soggetti sono in genere adia-
centi: la disposizione spaziale diviene funzionale
all’espressione di rapporti temporali e causali. Interven-
gono inoltre linee vettoriali a collegare i soggetti coinvolti
e le azioni di cui essi sono portatori.
Il montaggio di aggregati di azioni su soggetti diffe- " Tav. 6
renti è una strategia ampiamente usata. Alcuni esempi si
trovano in quadri che abbiamo già preso in esame a pro-
posito dell’azione. Nell’affresco San Pietro guarisce i malati
con la propria ombra del Masaccio (1452) la disposizione in
profondità delle tre figure di malati progressivamente

62
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

guariti si connette con la figura del Santo che avanza


all’interno della scena prospettica. Pietro avanza dal fon-
do al primo piano (azione durativa che presuppone incoa-
tività e terminatività), e la guarigione avviene mentre la sua
ombra tocca il malato e poiché la sua ombra tocca i malati
(azione espressa in tutte tre le fasi grazie alla dislocazione
su tre figure differenti).
Alcuni casi particolarmente interessanti a questo pro- # 3.4.5; 4.2.4;
posito sono forniti dalla presenza nell’immagine di indica- 4.3.3
tori e astanti. Avviene spesso, nella tradizione iconografi-
ca della pittura figurativa occidentale, che nell’immagine
vengano inserite alcune figure marginali rispetto all’azione
principale; queste sono dedite a indicarsi reciprocamente
gli elementi e i punti salienti di quanto avviene32. Parlia-
mo al proposito di indicatori (coloro che indicano) e a-
stanti (coloro che osservano).
Ad esempio nella Presentazione della vergine al tempio di
Giotto (1306 ca., Cappella degli Scrovegni a Padova) la
scena è imperniata sulla correlazione tra l’atto del presen-
tare (da parte di S. Anna) e quello dell’accogliere (da parte
del sacerdote). Le due azioni sono speculari da un punto
di vista mimico (il gesto delle braccia aperte dei sue sog-
getti è identico e spazialmente invertito). Inoltre l’atto del
presentare è reso dinamico dalla posa di S. Anna, in quan-
to sulla sua figura si connettono due azioni, entrambe
durative: il salire le scale del tempio (azione del corpo e
delle gambe) e il presentare vero e proprio (azione delle
braccia). Sulla destra in basso troviamo invece due figure
quasi di schiena: quella a sinistra si volge all’altra e indica
il nucleo della scena principale, l’altro di profilo guarda
nella direzione indicata. E’ un tipico caso di presenza di
indicatore e astante.
Le azioni di questi ultimi personaggi sono anzitutto
correlate reciprocamente: l’atto di indicare e quello di
guardare a seguito dell’indicazione, è un rapporto di succes-
sione e causalità tra azioni vicine. D’altra parte questo
primo aggregato viene connesso con quello principale che
occupa il centro della scena. Il gesto dell’indicatore e lo

63
Analisi semiotica dell’immagine

sguardo dell’astante correlano i due personaggi alla scena


centrale, colmando la distanza spaziale. Uno stesso alveo
di duratività viene dunque animato internamente da nessi
logico cronologici: tutto avviene nello stesso istante, ma
(è il caso di dirlo) al tempo stesso tutto accade con un
leggero sfalsamento di tempi e di nessi causali33.
Può accadere che il gioco di sguardi e richiami degli ! Marin 1978
indicatori e degli astanti si faccia molto complesso e as- # 4.3.3
sorba completamente la struttura narrativa dell’opera: il
racconto diventa allora solamente racconto di sguardi e di
indicalità. E’ quanto avviene ne I pastori di Arcadia di
Poussin (1640). Quattro pastori sono raccolti attorno a
una tomba su cui è inscritta la frase “Et in Arcadia ego”.
Uno di essi (in basso a sinistra) legge la frase e la indica
agli altri; i due in alto guardano il pastore che sta leggen-
do, mentre l’altro pastore in basso guarda un pastore in
alto e gli indica il pastore che legge. La fitta rete di indica-
zioni e sguardi rende molteplici e indecidibili i nessi di
successione e causalità. All’enigma rappresentato dalla
misteriosa scritta si sovrappone l’enigma dato
dall’impossibilità di ricostruire una connessione unica,
ordinata e progressiva delle azioni di indicazione, visione,
lettura.

3.3.4 La rappresentazione del racconto

Differenti aggregati di azioni nel loro connettersi


danno vita al racconto iconico. Per definizione si avrà
racconto iconico quando gli aggregati di azioni sono se-
parati da una sensibile distanza causale e cronologica e
riuniti all’interno di una unità logica di grado superiore.
Questo pone alcuni problemi per quanto concerne l’unità
spazio-temporale della scena e quindi la sua verosimi-
glianza; anche se, come vedremo, sono possibili strategie
di riassorbimento degli scarti.
Le esigenze poste dalla rappresentazione del racconto
richiedono la messa in opera di alcuni strumenti espressi-
vi peculiari che si aggiungono a quelli già incontrati:

64
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

! una strutturazione dello spazio funzionale a ospitare in


modo distinto e articolato i diversi aggregati di azioni.
Lo spazio viene suddiviso in sottospazi destinati alla
collocazione in essi delle diverse fasi del racconto. Tale
suddivisione avviene sfruttando sia la bidimensionalità
che la tridimensionalità dello spazio fittizio - e quindi
in base alle opposizioni le opposizioni sinistra - destra,
sopra - sotto, avanti - dietro34 -.
! Una serie di nuove congiunzioni iconiche, di tipo sia figu-
rativo che plastico, che servano a collegare gli aggrega-
ti: strutture architettoniche e spaziali; elementi naturali
e oggetti del mondo testuale quali ponti, porte, edifici,
fiumi, fulmini, ecc.35.
! Uno sfruttamento dello spazio bidimensionale dato
dalla moltiplicazione delle cornici che delimitano le immagini: si
costituisce così una narrazione sequenziale, che sfrutta
le opposizioni destra / sinistra e alto / basso.
Quest’ultima risorsa espressiva è particolarmente im-
portante. Distingueremo dunque le varie strategie di rap-
presentazione del racconto a seconda che esso abbia luo-
go all’interno di una singola cornice, oppure mediante
cornici differenti, considerando il caso intermedio di una
singola cornice prolungata.

3.3.4.1 Il racconto all’interno della singola cornice


La compresenza di aggregati di azioni cronologica-
mente separati all’interno di una stessa cornice non pro-
duce sempre e in ogni caso la rottura dell’unità spazio-
temporale della scena rappresentata.
Una prima strategia salvaguarda l’unità e la verosimi- " Tav. 37
glianza della scena sostituendo una delle fasi narrative con
un elemento scenico che permetta di inferire tale fase per
metonimia o per sineddoche. Esaminiamo per esempio
un fotogramma del film Citizen Kane (Orson Welles, USA
1941). In questo film Welles ottenne una profondità di
campo inusuale per l’epoca36, e poté quindi utilizzare al-
cune soluzioni visive e narrative proprie della pittura po-

65
Analisi semiotica dell’immagine

strinascimentale. Nel fotogramma che ci interessa il pro-


tagonista, Charles Foster Kane, scopre il tentato suicidio
della moglie Susan. L’immagine mostra in primissimo
piano e con un’illuminazione semifrontale il bicchiere con
il cucchiaino e la bottiglietta del sonnifero utilizzato dalla
donna per tentare il suicidio; in secondo piano e al buio il
corpo privo di sensi della donna; in terzo piano, con una
luce laterale più una luce posteriore e un effetto di con-
troluce, l’arrivo di Kane. L’inquadratura costruisce in que-
sto modo un racconto che il film non mostra altrimenti.
Esso è articolato nelle tre fasi dell’atto dell’avvelenamento
(il primo piano), la quasi-morte (il secondo piano), la sco-
perta e la salvezza (il terzo piano). La prima fase tuttavia
non viene mostrata: essa va inferita a partire dagli oggetti
che ne sono stati il mezzo (bottiglietta e cucchiaino); og-
getti che rinviano quindi all’azione dell’avvelenamento
grazie a un legame metonimico37.
Una seconda strategia salvaguarda l’unità e la verosi-
miglianza della scena rappresentando all’interno della
stessa cornice fasi differenti del racconto in cui tuttavia
non compaiono gli stessi personaggi.
In Paesaggio con Piramo e Tisbe di Nicolas Poussin (1648 ! Marin 1981
ca.) il primo piano della scena è occupato da Tisbe che " Tav. 25
accorre per vedere Piramo morente; in secondo piano si # 3.5.3; 3.5.4; 4.4
osserva una scena apparentemente senza legame con la
prima: un leone sta assalendo un branco di buoi.
L’osservatore, che conosce la storia raffigurata, saprà fare
in ogni caso i debiti collegamenti: Piramo si uccide per-
ché, giungendo al fatidico appuntamento con l’amata,
vede il velo di costei in terra insanguinato e pensa che ella
sia stata divorata dal leone; ma il sangue non è di Tisbe,
prontamente fuggita all’arrivo della belva: è dei buoi pre-
cedentemente uccisi dall’animale. La costruzione spaziale
- e in particolare l’uso che viene fatto della scatola pro-
spettica - è dunque decisiva per distinguere le due fasi del
racconto: il secondo piano ospita la fase precedente, il
primo piano la fase seguente.

66
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

Lo stesso quadro ci presenta inoltre un esempio di


sostituzione sineddotica di una fase dell’azione con un
elemento scenico, secondo quanto previsto dalla prima
strategia esaminata sopra. La città sullo sfondo è il luogo
in cui avviene l’abboccamento dei due giovani e matura
l’accordo dell’appuntamento. Essa sostituisce quindi la
prima fase del racconto in base a uno scambio del luogo
per l’azione che vi si è svolta.
Ne La caduta della manna (1637-1639) Poussin dispone " Tav. 23
i suoi personaggi come in una scena teatrale: a sinistra e # 3.4.2; 3.4.4;
in primo piano viene posto un gruppo di persone affama- 3.5.1; 3.5.4; 4.3.3
te e stremate, collocate in profondità verso il centro. Il
centro ospita in secondo piano il momento fondamentale
del racconto: Mosè e Aronne pregano e ottengono il mi-
racolo della pioggia del cibo provvidenziale. Un terzo
gruppo di personaggi, sulla destra e nuovamente in primo
piano, è raffigurato nell’atto di accaparrarsi il cibo; essi
sono collocati, come il primo gruppo, in profondità verso
il centro. Le tre fasi che compongono il racconto (fame e
indigenza iniziali, miracolo risolutivo centrale, prosperità
e ingordigia finali) vengono disposte da sinistra a destra.
Ma il momento centrale ribadisce il proprio ruolo
cardinale mediante la disposizione spaziale in secondo
piano e al centro della scena. Il percorso narrativo è
dunque costituito da un triangolo inserito in profondità
all’interno dello spazio virtuale del quadro. Triangolo che
reca in corrispondenza dell’angolo superiore il punto di
snodo del racconto.

I tre esempi introdotti sopra salvaguardano almeno in


apparenza l’unità spazio-temporale della scena rappresen-
tata. Questa precaria salvaguardia viene meno non appena
nei diversi aggregati di azioni ricorrono in maniera ripetu-
ta uno o più personaggi. Il ritorno di uno stesso soggetto
in più sottospazi all’interno della medesima cornice, di-
strugge l’unità della scena che la cornice circoscrive e
quindi la sua verosimiglianza.

67
Analisi semiotica dell’immagine

La Tabula iliaca capitolina (tardo I secolo a. C.) è una ! Brilliant 1984:


tavoletta in pietra con miniature in bassorilievo raffigu- 53-56
rante la fuga di Enea da Troia. La città viene raffigurata " Tav. 1
con un punto di vista dall’alto (è la classica prospettiva “a
spina di pesce” usata nell’antichità romana), ed è suddivi-
sa in tre registri orizzontali: in alto una prima sezione
della città, al centro una seconda parte, in basso la spiag-
gia. La fuga di Enea è rappresentata mediante la ripetizio-
ne dell’immagine dell’eroe in tre posizioni: nel registro
centrale sulla sinistra egli prende dei doni; tra il secondo e
la terzo registro al centro, esce dalla città; nel terzo regi-
stro molto in basso a destra, Enea sale sulla nave. Assi-
stiamo dunque a una progressione del racconto mediante
una disposizione dei tre aggregati di azioni da sinistra a
destra e assieme dall’alto in basso (partendo da una posi-
zione mediana). Viene così disegnata una linea diagonale
spezzata, che prosegue idealmente nella fuga in nave
dell’eroe (sempre verso destra, in base alla disposizione
dello scafo).
Il beato Agostino Novello è una tavola del 1328, dipinta ! Corrain 1987:
da Simone Martini per la chiesa di S. Agostino a Siena. 62
Essa raffigura - oltre al santo e ad altri due confratelli - " tav. 3
quattro miracoli narrati con uno stile che richiama gli ex # 3.5.1
voto. Nel Miracolo del bambino azzannato dal lupo la struttura
architettonica della città sullo sfondo conferisce alla com-
posizione una forma a triangolo isoscele. Nell’angolo in
basso a sinistra è rappresentata la disgrazia: il bambino è
azzannato, una donna lo soccorre, un’altra donna caccia il
lupo con un bastone. In alto troviamo la figura del santo
che interviene. In basso a sinistra trova posto la conclu-
sione: il bambino è risanato tra le due donne di prima più
altre due figure. L’ordinamento dei fatti è espresso dal-
l’ordinamento triangolare della composizione. Tra i tre
gruppi viene inoltre istituita una rete di collegamenti:
l’architettura di fondo collega la fase A alla fase B e que-
sta alla fase C; inoltre la fase B (il santo) e la C (la guari-
gione) sono collegati dal gesto di indicazione e dalla dire-
zione dello sguardo del santo che guarda in basso; infine

68
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

la fase A e la fase C sono collegate dai richiami cromatici


degli abiti delle donne (in particolare da quello rosso, che
stacca rispetto all’insieme cromatico dell’immagine), non-
ché dal vettore plastico rappresentato dal bastone con cui
viene cacciato il lupo nella fase A.
Osserviamo che la figura del Santo è collocata in una
posizione - il cateto superiore del triangolo - in cui la rete
di connessioni visive segna una svolta. L’intervento del san-
to è risolutore, è il punto di svolta del racconto. Come già
accadeva ne La Manna raccontare per immagini non vuo-
le dire solamente illustrare un racconto, ma piuttosto sve-
larne con mezzi visivi la logica profonda.

3.3.4.2 Il racconto all’interno della singola cornice


prolungata
Il racconto può trovare posto all’interno di una sola
cornice che viene tuttavia prolungata così da ospitare
azioni differenti e successive collocate in spazi disposti in
sequenza. Pur non essendoci un’effettiva distinzione di
cornici, alcuni espedienti possono intervenire a separare
le scene l’una dall’altra.
Un primo caso prevede una completa assenza di ! Corrain 1988
scansioni. Un esempio interessante è quello della Scala dei
buffoni della fortezza di Trausniz a Landshut (Baviera).
Alessandro Scalzi, detto il Paduano eseguì nel 1578 un
affresco che accompagna una lunga scala che attraversa
tutta la costruzione, e raffigura alcuni lazzi della Comme-
dia dell’arte. I lazzi sono collegati in continuità sfruttando
le caratteristiche aspettuali delle azioni: ad esempio Zanne
sta per molestare l’asino di Pantalone con un clistere (a-
zione incoativa), l’asino è rivolto in avanti (fase durativa
dell’azione di procedere), dove ritroviamo Zanne con un
vaso in atto di lanciarlo verso lo stesso Pantalone (nuova
incoatività). L’esempio di Trausniz mette in luce la parti-
colare natura pragmatica di un simile procedimento, che
sfrutta il movimento fisico dell’osservatore (il salire la
lunga scala) per mettere in azione la macchina narrativa38.

69
Analisi semiotica dell’immagine

Altri casi ritagliano sottospazi linearmente disposti ! Marin 1975


all’interno della cornice: è il caso della lunga predella raf-
figurante la Leggenda dell’Ostia custodita a Urbino, come
pure (in altro contesto storico) dei rilievi a estensione
laterale della basilica Emilia a Roma (I secolo a. C.), dove
storie leggendarie del passato romano sono narrate senza
soluzione di continuità e senza congiunzioni specifiche.

3.3.4.3 Il racconto mediante una sequenza di


cornici
Veniamo infine ai casi di vera e propria moltiplica-
zione delle cornici nella rappresentazione del racconto.
Troveremo in questo caso dei cicli narrativi, come ad
esempio le Storie della vita di S. Francesco dipinte ad Assisi
da Giotto all’inizio del Trecento, l’illustrazione della Pas-
sione sul retro della Maestà di Duccio di Buoninsegna
(1308-1310), la Leggenda della Croce di Piero della Francesca
ad Arezzo nella Chiesa di S. Francesco (alla metà del
1400)39 ecc. Ma troveremo anche forme successive e di-
verse, come le stampe di Hogarth, che illustrano in se-
quenza alcune storie esemplari: La carriera di un libertino
1733-1735; La carriera di una prostituta e Il matrimonio alla
moda: 1744. Con Hogarth, d’altronde, ecco affiorare altre
propaggini di questa strategia narrativa: le illustrazioni di
romanzo, e da qui la moderna narrazione a fumetti40.
Senza addentrarci troppo nell’argomento, sottoli-
neiamo quattro punti di un certo rilievo.

L’andamento ritmico complessivo del racconto rap-


presentato mediante una sequenza di cornici deriva dalla
combinazione tra la narrazione sequenziale e la narrazio-
ne interna al singolo frame. In questo senso agli stili che
sottolineano la dinamicità e l’articolazione temporale del
singolo quadro (come si può vedere ad esempio in Giot-
to) si contrappone una temporalità interna al singolo frame
istantanea, azzerata (ad esempio in Hogarth41).

70
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

L’ordine di lettura delle sequenze può seguire diffe-


renti andamenti. Esso è normalmente lineare e segue una
direzionalità da sinistra a destra e dall’alto al basso, se-
condo le consuetudini di lettura della scrittura occidenta-
le. Tuttavia sono possibili soluzioni differenti: ad esempio
il racconto della Passione sul retro della Maestà di Duccio
di Buoninsegna (1311) va sì da sinistra a destra, ma dal
basso verso l’alto; in altre culture si trova l’uso di un an-
damento bustrofedico, ovvero alternativamente da sini-
stra a destra e viceversa a seconda dei registri (è questo
l’ordine di lettura della Stele di Noriegas, Oaxa, apparte-
nente alla cultura zapoteca datata al 700-900 a.C.42).
L’ordine di lettura richiesto può essere anche non -
lineare: è possibile che l’ordine delle azioni nel discorso
narrativo iconico sia sfalsato rispetto a quello della storia
originaria, fissata intertestualmente. Vedremo un esempio
di tale sfalsamento in 3.3.5.

E’ possibile che vengano istituiti richiami figurativi e


plastici da una cornice all’altra, in modo tale da incorag-
giare una lettura trasversale del racconto. Ad esempio
nella Colonna Traiana (un grande monumento del II secolo
d. C. raffigurante la storia delle guerre di Dacia di Traiano
nel 101-106 d.C. mediante una narrazione ad andamento
elicoidale dal basso all’alto comprendente 155 cornici) si
osserva il ritorno strategicamente disposto della figura
dell’imperatore, a sottolineare il senso ideologico del mo-
numento, esaltazione politica di un uomo e delle sue im-
prese43.

La varie cornici sono normalmente delle stesse di-


mensioni. E’ tuttavia possibile che una o più di esse ac-
quisiscano una dimensione anomala, segnalando in tal
caso uno statuto particolare dell’episodio ritratto rispetto
alla sequenza degli altri. Per esempio nella Passione sul
retro della Maestà di Siena, Duccio assegna alla Crocefis-
sione una dimensione e una posizione anomala: essa è al
tempo al centro della parte superiore e occupa uno spazio

71
Analisi semiotica dell’immagine

pari in verticale a due delle normali cornici, e in orizzon-


tale pari a circa una cornice e mezzo. In questo modo
«l’occhio è continuamente riportato alla Crocifissione
centrale, come se questo fosse l’unico evento, ormai al di
fuori della storia, da cui dobbiamo guardare tutta la sto-
ria»44.

3.4 La rappresentazione della passione

3.4.1 Il mutamento interiore e la sua messa in scena

Il terzo aspetto del mutamento che può essere rap-


presentato nell’immagine è la passione. Con questo termine
intendiamo un processo di trasformazione degli stati inte-
riori dei personaggi, delle loro condizioni d’animo e del
loro sentire45.
E’ utile effettuare un confronto tra la rappresentazio-
ne della passione e quella dell’azione per individuare da
un lato analogie e differenze, dall’altro le possibili connes-
sioni all’interno dell’immagine46.
Come l’azione, la passione è articolabile in unità rap-
presentative di crescente complessità. Troveremo dunque
passioni singole, aggregati di passioni e racconti patemici.
Anche i mezzi espressivi sono sostanzialmente quelli già
incontrati: pose mimiche e fisiognomiche, dislocazione
spaziale delle figure e vettori di collegamento tra esse. La
traccia di questo paragrafo ricalcherà quindi quella del
paragrafo precedente.
Le differenze tra azione e passione sono due. In primo
luogo l’identificazione della passione da parte dello spet-
tatore si basa su un sapere culturale organizzato in forma
più rigorosa rispetto all’azione. Le passioni tendono a
costituire una lingua: un repertorio strutturato di contenu-
ti correlato a un repertorio strutturato di elementi espres-
sivi. Ogni contesto culturale elabora insomma un sistema

72
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

delle passioni, dotato sia di un piano del contenuto (le


passioni chiave selezionate tra tutti i diversi stati emotivi
possibili), sia di un piano dell’espressione (gli strumenti
espressivi di ciascuna passione, individuati selezionando e
combinando diversi tratti mimici e fisiognomici)47.
Il corpo si presenta in questo contesto come portato-
re di un «evento somatico»48 che manifesta l’emozione
interiore. Si rivelano particolarmente importanti a questo
scopo il volto (in particolare sopracciglia e bocca, ma
anche il suo colore complessivo)49, i punti di snodo (col-
lo, braccia, mani, petto, bacino e anche, gambe),
l’orientamento globale.
La seconda differenza rispetto all’azione sta nel fatto
che la rappresentazione della passione sovrappone due
registri espressivi. Il primo registro è quello
dell’articolazione logico-cronologica già incontrato a pro-
posito dell’azione: le fasi dell’evento passionale si succe-
dono l’una dopo l’altra e l’una in conseguenza dell’altra. Il
secondo registro è invece specifico della rappresentazione
passionale. I differenti atti passionali si articolano recipro-
camente in base a rapporti di intensità. Tale intensità viene
espressa dal grado di tensività degli elementi del mondo
testuale incaricati di veicolare la passione - tipicamente, il
corpo dei personaggi -. La tensività deriva dalla deforma-
zione delle forme o dei colori rispetto a uno stato di quie-
te, o grado passionale 0.
Un’importante differenza separa i due registri. Il regi-
stro logico-cronologico tende a distinguere differenti fasi
degli eventi passionali. Il registro intensivo tende al con-
trario a unire le fasi in un unico flusso che attraversi il
mondo testuale come un’onda energetica. Esso sostitui-
sce l’articolazione (che implica discontinuità) con la modu-
lazione (che implica continuità): l’onda passionale attraver-
sa i corpi dei soggetti e l’intero mondo testuale come al-
ternanza regolata e continua di tensioni e distensioni50.
Le connessioni tra azioni e passioni all’interno della
rappresentazioni sono numerose e di tipo differente. Esi-
stono varie modalità di rapporto tra azione e passione,

73
Analisi semiotica dell’immagine

nonché differenti possibilità di dosare e le due compo-


nenti nella rappresentazione del mondo e del suo muta-
mento. L’esame di questo argomento occuperà il sottopa-
ragrafo finale.

3.4.2 La rappresentazione della passione singola

La singola passione può essere espressa, come già


abbiamo visto per l’azione, in termini puntuali: una partico-
lare fase di un singolo evento passionale viene isolata e
messa in scena.
Ne La caduta della manna (1637-1639), Poussin inseri- ! Thürlemann
sce in primo piano sulla destra l’immagine di una giovane 1980
donna che offre il proprio latte alla madre anziana. A " Tav. 23
fianco di questo gruppo troviamo un personaggio ma- # 3.3.4.1; 3.4.4;
3.5.1; 3.5.4; 4.3.3
schile in una posa particolare: sopracciglia alzate, bocca
leggermente aperta, corpo appena arretrato, mani allarga-
te con le palme aperte. Tale posa esprime una passione
particolare: la meraviglia (admiration). Possediamo due
conferme di questa interpretazione: la lettera dello stesso
Poussin a M. de Chantelou, il committente dell’opera, in
cui l’autore spiega i contenuti del dipinto. E l’analisi di
Charles Le Brun, pittore e teorico contemporaneo di
Poussin e a lui molto vicino: questi in una celebre confe-
renza analizza a lungo tale posa in quanto segno della
passione di meraviglia, e in un’altra conferenza dedicata
all’espressione delle passioni mediante il volto riprende
l’aspetto dell’espressione facciale della stessa passione i
termini molto simili51.
In Paesaggio con uomo ucciso dal serpente (1648 ca.) dello " Tav. 24
stesso Poussin, il personaggio che intravede l’uomo ap- # 3.3.3.1; 3.4.5
pena ucciso dal morso del serpente ha impressi nel volto
e nel corpo (in particolare nel busto) i segni del terrore: le
sopracciglia sono aggrottate, gli occhi spalancati, la bocca
storta, il colorito livido, il petto contratto, il corpo obli-
quo, mentre le braccia e le mani respingono l’oggetto
della visione.

74
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

Come l’azione, la passione singola conosce anche " Tav. 2


forme di rappresentazione sequenziale, mediante una di- # 3.2.4; 4.3.2
stribuzione delle sue fasi su diversi personaggi. Per esem-
pio, nel Compianto sul Cristo morto di Giotto (1305-1310)
troviamo che i tre personaggi in piedi nella parte centrale
esprimono fasi differenti della passione del dolore, distinti
in base a una diversa apertura delle braccia. Al tempo
stesso gli angeli in cielo riprendono e moltiplicano i me-
desimi gesti.
Possiamo già cogliere in questo esempio la sovrappo-
sizione tra il registro logico-cronologico e quello intensi-
vo di cui abbiamo parlato nella introduzione al paragrafo.
Nell’affresco di Giotto il passaggio da un personaggio
all’altro non corrisponde semplicemente a una scansione in
fasi, ma anche e più ancora a una modulazione in gradi di
intensità passionale: il dolore cresce passando da un perso-
naggio all’altro nella zona inferiore dell’immagine; e il
grado massimo viene ulteriormente amplificato dalla moltipli-
cazione dei gesti passionali attuata dagli angeli nella zona
superiore.

3.4.3 La rappresentazione dell’aggregato di passioni

Come per le azioni, un primo montaggio delle pas-


sioni in aggregati complessi avviene all’interno del corpo
di uno stesso soggetto.
Avremo a questo proposito due strategie possibili. La
prima consiste nel rappresentare lo stato passionale pre-
cedente per sineddoche, in base alle tracce lasciate: le
lacrime in una figura presa attualmente da un trasporto di
gioia. La seconda strategia consiste nel rappresentare una
transizione passionale assegnando eventi patemici diffe-
renti alle diverse parti del corpo del personaggio. In que-
sti casi viene implicata l’idea che il corpo dei soggetti sia
attraversato da precisi tracciati di propagazione delle onde
passionali. Ad esempio le parti più vicine alla testa (occhi,
bocca e fronte) sarebbero investite per prime dal flusso

75
Analisi semiotica dell’immagine

mimico dell’emozione: questa idea permette di creare uno


sfalsamento passionale tra le parti superiori del corpo e le
altre52. Sono tuttavia possibili altri tracciati, per esempio
di tipo orizzontale.
Un esempio interessante è costituito da un altro qua-
dro di Poussin: Rinaldo e Armida (1630 ca.). La fonte
dell’opera è in questo caso letteraria: il quadro illustra un " Tav. 22
episodio della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso ! Careri 1993
(1581). Il campione della cristianità, Rinaldo, viene attira-
to dalla maga mussulmana Armida su un’isoletta per esse-
re ucciso. Tuttavia, nel vederlo addormentato, la donna si
innamora di lui e rinuncia al proposito omicida53. Il Tasso
racconta la conversione passionale di Armida in due otta-
ve; di fatto però egli non esplicita l’attimo fatale
dell’innamoramento, ma lo avvolge nell’ombra di
un’elegante ellissi temporale: «...e di nemica ella divenne
amante».
Nel rappresentare l’episodio Poussin mostra la donna
inginocchiata a fianco del guerriero dormiente. La mano
alla sinistra dello spettatore stringe un pugnale, trattenuta
da un puttino con le sue manine. La mano a destra giace
mollemente abbandonata sulla testa di Rinaldo. La luce
rimarca la linea ascendente del braccio sinistro «nemico»
fino alla testa; il petto della donna è invece in ombra,
come pure la parte superiore del braccio a destra;
dall’ombra esce il braccio «amante», in luce
dall’avambraccio fino alla mano. Le due zone luminose
individuano quindi due stati tensivi opposti: il braccio a
sinistra, omicida, è in stato di tensione; il braccio a destra è
in stato di assoluta distensione. Si tratta del punto di parten-
za e di quello di arrivo del rivolgimento passionale che si
è operato nella donna. L’onda passionale si propaga dun-
que in questo caso orizzontalmente, lungo il tracciato conti-
nuo costituito dalle braccia e le spalle di Armida; e passa
da una modulazione tensiva (l’odio) a una modulazione
distensiva (l’amore). Il punto di svolta è costituito dal
volto della donna e in particolare dalla direzione del suo
sguardo, indirizzato nella stessa direzione del braccio a

76
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

destra, verso Rinaldo. Tuttavia il flusso passionale cono-


sce un punto di interruzione - punto decisivo per il pas-
saggio dalla modalità tensiva a quella distensiva: l’ombra
che avvolge il petto e il primo tratto del braccio a destra.
Come Tasso (e questa volta letteralmente) anche Poussin
avvolge nell’ombra l’istante di capovolgimento della pas-
sione di Armida.

Il montaggio delle passioni può avvenire, oltre che su


uno stesso soggetto, tra soggetti adiacenti. Intervengono
in tal caso i mezzi di connessione già evidenziati a propo-
sito dell’azione: indicazioni reciproche, sguardi, elementi
del paesaggio che collegano le varie figure, ecc.
Ad esempio nella Cacciata dal paradiso, un altro affre-
sco di Masaccio della Cappella Brancacci (1425-1428), le
pose di Adamo ed Eva rispondono a codici mimici del
linguaggio dei monaci votati al silenzio: «è Adamo (lumina
tegens digitis) che esprime vergogna, Eva (palma premens pectu)
soltanto dolore e nella coppia si combinano due aspetti
della reazione emotiva»54.

3.4.4 La rappresentazione del racconto patemico

Gli aggregati di passioni possono essere infine collegati


all’interno di un racconto patemico. Questo può esaurirsi
all’interno di un’unica cornice oppure essere distribuito su
più cornici.
Un caso interessante del primo tipo è rappresentato ! Marin 1978
da La caduta della manna di Poussin, un quadro che abbia- " Tav. 23
mo già preso in esame. In primo piano e ai lati troviamo # 3.3.4.1; 3.4.2;
due gruppi di figure: a sinistra gli affamati, a destra i sazia- 3.5.1; 3.5.4; 4.3.3
ti. I due gruppi lasciano al centro un’area vuota, che viene
occupata dalle figure in secondo piano: al centro, Mosè e
Aronne intercedono e ottengono il miracolo; alla loro
sinistra un piccolo gruppo di Ebrei esprime gratitudine;
alla destra dei due condottieri un altro gruppuscolo e-
sprime avidità nel raccogliere la manna.

77
Analisi semiotica dell’immagine

Tra la disposizione delle figure nello spazio scenico e


la rappresentazione delle passioni che esse attuano esiste
una relazione accuratamente calcolata dall’artista. E’ lo
stesso Poussin infatti, in una lettera del 1647 al proprio
committente Monsieur de Chantelou, a richiamare
l’attenzione dello spettatore su questo punto. Occorre
prestare attenzione a due elementi, afferma l’artista: gli
intervalli spaziali tra le figure; e gli «accordi» che esse
compongono in base all’espressione fisica delle passioni -
in analogia con il modo musicale, definito appunto da
intervalli tra le note e da un accordo di base -.
Possiamo individuare anzitutto una trasformazione
passionale che sfrutta la dislocazione dei gruppi sulla di-
rettrice orizzontale: dalle passioni del disagio prima del
miracolo alle passioni dell’agio dopo il miracolo. In secon-
do luogo è possibile leggere un richiamo tra aggregati
passionali affini, sfruttando questa volta la direttrice verti-
cale dello spazio bidimensionale del quadro - direttrice
che corrisponde a rapporti tra primo e secondo piano
all’interno dello spazio fittizio tridimensionale - : affamati
e grati si dispongono a sinistra; ingordi e sazi sono dislo-
cati sulla destra.
Ma c’è di più. Poussin si preoccupa di fornire al letto-
re un punto di riferimento a partire dal quale valutare
affinità e mutamenti passionali. Riprendendo la metafora
musicale, viene introdotto nel quadro un accordo iconico
iniziale che risulta determinante per tutta l’evoluzione
della lettura del dipinto. Si tratta del gruppo di sette figure
in basso a sinistra, evidenziate dalla collocazione in pri-
missimo piano e dalla luce che le colpisce da destra. Cia-
scuna di esse raffigura un particolare stato passionale:
languimento, ammirazione, pietà, carità, necessità, deside-
rio di nutrirsi, desiderio di consolazione. «Queste sette
figure a sinistra rappresentano al tempo stesso tutte le
figure del quadro: non nel senso che tutte le altre le ri-
produrrebbero, ma nel senso che l’insieme dei segni e-
spressivi a sinistra offre la differenza modale di tutte le
figure del quadro»55.

78
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

Si comprende allora la raccomandazione che Poussin


fa al proprio committente (e lettore ideale) nella lettera
citata sopra: «Les sept figures à main gauche vous diront
tout ce qui est écrit et tout le reste de la meme étoffe: lisez
l’histoire et le tableau»56.

La fuoriuscita del racconto patemico da un’unica ! Careri 1990


cornice si evidenzia in alcune cappelle progettate da Lo-
renzo Bernini. Vediamo un esempio57.
Nella Cappella dell’Annunziata di San Lorenzo in Luci-
na (commissionata nel 1663 ma terminata probabilmente
nel 1674-75) Bernini pone sullo sfondo, sopra l’altare,
un’annunciazione. Non si tratta di un’opera originale, ma
della copia di una famosa annunciazione realizzata da
Guido Reni circa cinquant’anni prima: l’Annunciazione del
Quirinale. La posa di Maria di fronte a Gabriele è impron-
tata in a un preciso atteggiamento passionale: quello della
humiliatione. Tale stato patemico viene manifestato in par-
ticolare dalle mani premute sul petto.
Bernini costruisce anzitutto un rinvio tra l’immagine
dell’Annunciazione e la scultura del busto del donatore, il
Cardinal Fonseca, collocata in una nicchia del muro di
sinistra della cappella. A questo scopo l’artista fa uscire
dall’immagine di Reni una schiera di angioletti: questi,
ritratti bidimensionalmente nella parte superiore del di-
pinto, si prolungano in un gruppo di puttini realizzati in
stucco al di fuori della cornice del quadro: «la schiera di
amoretti dipinti da Guido [Reni] ... è composta da due
angeli che guardano la Madonna, da un terzo che guarda
Gabriele, da un quarto che dirige lo sguardo verso lo
spettatore e da un quinto che guarda verso l’alto ... La
prima schiera di “amoretti” in stucco riproduce la stessa
rosa di posizioni [di quelli dipinti] ma lo sguardo portato
all’esterno non è più diretto in avanti, verso un generico
spettatore, ma in diagonale, verso la nicchia del donatore,
che, nella cappella Fonseca, è il destinatario privilegiato
dell’Annunciazione»58.

79
Analisi semiotica dell’immagine

C’è anche un altro elemento che collega il quadro


dell’Annunciazione e il busto scolpito del donatore. La
cornice ovale del quadro è sostenuta in basso da due
grandi angeli di marmo nero. L’angelo di destra «non solo
presenta l’Annunciazione a Gabriele Fonseca, ma la rap-
presenta per lui»: la statua dell’angelo si indirizza al busto
di Fonseca e al tempo stesso mima il gesto della Madonna che
preme la mano sul petto. In tal modo la posa della Madonna -
che esprime, ricordiamolo, humiliatione - viene tradotta e
prolungata dalla bidimensionalità del quadro alla tridi-
mensionalità della scultura.
Non solo: la mimica espressa dal busto del Cardinal
Fonseca riprende a sua volta la posa della Madonna e
dell’angelo, esasperandola ulteriormente in termini di
tensività e quindi di intensità: «la postura di Fonseca oscil-
la tra la configurazione caratteristica della contrizione e
del pentimento: la palma premens pectus di Eva peccatrice, e
quella della ricezione dolorosa dei frutti della contempla-
zione (...). La tensione, assente dai corpi di Maria e del-
l’angelo, investe infatti il corpo di Fonseca (...). L’effetto
di agitazione spirituale è prodotto dalla composizione di
serie intensive di segno opposto: quella che tende alla
contrazione culmina nella mano sinistra, quella che tende
all’abbandono ha il suo apice nella bocca socchiusa»59.

Tutto il complesso della cappella si configura quindi


come il racconto di un flusso passionale che si propaga
dalla Madonna all’angelo per raggiungere infine il busto
del committente. I diversi passaggi implicano un salto:
dall’interno della cornice al suo esterno e dalla bidimensionalità
alla tridimensionalità. Essi implicano al tempo stesso una
continuità e una intensificazione: la posa di Fonseca resta
la stessa di Maria e dell’angelo, ma si carica di una tensio-
ne più forte; essa trascolora dalla tranquilla humiliatione di
Maria al combattuto dolor di Eva.
Il racconto passionale costruito è dunque il racconto
di una progressiva conformazione spirituale: l’umano si
adegua al divino mediante la meditazione contemplativa

80
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

dell’immagine sacra. In tal modo la passione umana, con


tutto il suo peso carnale, diviene veicolo di comunione
con il divino, secondo il precetto della spiritualità gesuiti-
ca.

3.4.5 La connessione tra azioni e passioni nella


rappresentazione iconica

L’espressione delle passioni si trova normalmente con-


nessa con l’espressione delle azioni. L’opportunità didat-
tica ed espositiva ci ha spinti a trattare separatamente
questi due aspetti della rappresentazione visiva del muta-
mento; ma occorre riconoscere che essi si presentano
normalmente in stretta connessione.
Le modalità della connessione tra azioni e passioni sono
molteplici. Ci limitiamo a considerare due casi in cui la
rappresentazione dell’azione viene investita da un flusso
passionale. Nel primo caso la passione si ferma ai margini
dell’azione, mentre nel secondo la percorre interamente.

Abbiamo già parlato del ruolo degli indicatori e degli ! Gauthier 1984
astanti nell’immagine: ai margini dell’azione principale # 3.3.3.2; 4.2.4;
essi indicano e osservano i punti salienti di quanto si sta 4.3.3
svolgendo. Aggiungiamo ora che questi soggetti possono
anche reagire patemicamente a quanto accade. La loro
presenza diviene in tal modo decisiva: essi introducono
una componente passionale nel racconto iconico e co-
stringono la rappresentazione a un complessivo riequili-
brio. Un buon esempio è costituito da alcune illustrazioni
che accompagnano un romanzo di avventure di Jules
Verne: Le superbe Orénoque, in Le Magasin d’éducation et de
récréation, Hetzel 1898.
Verne era un appassionato e competente lettore di
resoconti di viaggi realmente effettuati e scientificamente
documentati; egli trae quindi il materiale per il suo ro-
manzo dal memoriale di una vera spedizione effettuata
alla fine dell’Ottocento in Africa da Jean Chaffanjon.
Questi aveva accuratamente descritto il suo viaggio in

81
Analisi semiotica dell’immagine

Voyage aux sources de l’Orénoque (in Le tour du monde, tome


LVI, Paris, Hachette 1888), completando il racconto con
alcune incisioni effettuate sul posto.
Verne usa dunque i materiali del diario di viaggio per
scrivere il suo romanzo. Non solo: anche l’illustratore del
romanzo verniano riprende le incisioni del resoconto per
comporre le sue illustrazioni fantastiche. E come lo scrit-
tore romanza gli avvenimenti, così l’illustratore modifica
le immagini documentaristiche in senso narrativo: la sin-
gola scena viene inserita in una successione di
avvenimenti; gli indici paesaggistici (la foresta, la notte, il
fiume in piena, ecc.) creano atmosfere di inquietudine o
pericolo, e così via.
Uno degli espedienti usati dall’illustratore del roman-
zo consiste nel riprodurre fedelmente un’incisione del
resoconto scientifico, con l’aggiunta però di alcuni perso-
naggi che reagiscono passionalmente alla scena. In questo
modo illustrazioni apparentemente identiche assumono
una portata significativa molto differente. Ad esempio,
l’illustrazione del resoconto di viaggio raffigurante un
branco di testuggini che avanzano sulla spiaggia viene
ripresa nel romanzo abbastanza fedelmente, ma introdu-
cendo due personaggi che contemplano gli animali in
preda a forti reazioni emotive espresse da una mimica
vivaci. La didascalia cita una frase del romanzo di Verne:
«Si jamais un homme [le sgt. Martial] fut confondu dans
son incredulité...». L’avvenimento narrato non è più quel-
lo del transito degli animali, bensì quello della sorpresa
dell’uomo: a un racconto di azione si sovrappone un rac-
conto patemico in modo tale da riequilibrare il racconto
complessivo60.

Più frequentemente azioni e passioni sono distribuite su


personaggi dell’intera scena. Risulta in questo caso perti-
nente la distinzione tra i due registri di espressione
dell’azione e della passione introdotti sopra: se l’azione
segue un andamento per distinzione e articolazione logi-
co-cronologica, la passione preferisce al contrario un regi-

82
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

stro di continuità e modulazione. E’ possibile quindi che


l’espressione della passione sovrapponendosi all’azione
unifichi in un’unica onda tensiva e/o distensiva
l’articolazione discontinua del racconto di azione.

Ad esempio, nel già citato Paesaggio con uomo ucciso da ! Marin 1970
un serpente, Poussin pone in primo piano il personaggio di " Tav. 24
un viandante dominato dai segni dell’orrore nel vedere # 3.3.3.1; 3.4.2
sulla sua (e nostra) sinistra un uomo morente. La posa
corporea che esprime orrore viene ripresa dal soggetto
posto in secondo piano: una donna nell’atto di lavare i
panni. Ancora: un gruppo di pescatori sullo sfondo sono
ancora atteggiati in base alla stessa mimica - per quanto
con un grado minore di intensità -. Le azioni dei tre
gruppi sono ben distinte e disposte su tre piani prospettici
separati. Tra di esse non sussiste nessuna relazione di
causa ed effetto o di prima e dopo sul piano dell’azione. I
sintomi della paura passano al contrario fluidamente da
un personaggio all’altro, in un’onda passionale che accen-
tua la propria tensione nel passaggio dall’uomo in primo
piano alla donna in secondo piano e si distende legger-
mente nel successivo passaggio ai personaggi di sfondo.
Il racconto delle azioni viene quindi sovrastato e so-
stituito dal racconto patemico. E la discontinuità viene
superata dalla continuità del flusso passionale con la sua
modulazione in tensione e distensione.

3.5 Dal significato al senso figurativo: collegamenti meto-


nimici e metaforici nel racconto iconico

La ricostruzione del mutamento rappresentato nel mondo


testuale conclude un ciclo del processo interpretativo. A
partire dai costrutti cognitivi così ottenuti è possibile che
un ulteriore ciclo dell’interpretazione venga innescato; lo
spettatore dovrà ora cogliere il senso profondo del rac-
conto iconico: la logica sottesa alle trasformazioni o i

83
Analisi semiotica dell’immagine

rimandi concettuali implicati nella narrazione. Si delinea


così all’interno del livello figurativo un nuovo sottolivello:
dall’analisi del significato si passa a quella del senso figurativo.
Il senso viene suggerito allo spettatore mediante
l’esibizione di collegamenti tra oggetti, soggetti, azioni del
mondo testuale. Questi collegamenti possono essere di
tipo consequenziale oppure per similitudine; nel primo
caso parleremo di collegamenti metonimici, nel secondo
caso di collegamenti metaforici61. Inoltre gli elementi colle-
gati possono essere tutti presenti all’interno della scena
oppure in parte assenti; parleremo di collegamenti in pre-
senza nel primo caso, in assenza nel secondo caso. Esami-
niamo ciascuno dei quattro tipi che risultano da questa
partizione.

3.5.1 I collegamenti metonimici in presenza

L’analisi dei collegamenti metonimici all’interno della


scena rappresentata ci riconduce alle modalità di intreccio
del racconto visivo. Questo si basa infatti su una rete di
collegamenti causali e cronologici tra gli elementi del
mondo testuale.
Questa rete di relazioni d’altra parte non si limita a
raccontare: essa esprime in termini visivi una logica del
racconto. In altri termini l’immagine, mediante le caratteri-
stiche del suo intreccio, commenta ciò che viene narrato.
Lo spettatore non viene semplicemente orientato a rico-
struire gli avvenimenti narrati; egli deve altresì rileggere la
storia che ha compreso per individuarne le implicazioni
concettuali. E deve compiere tale ulteriore operazione
tenendo conto da un lato delle indicazioni che gli vengo-
no fornite dall’intreccio narrativo iconico, dall’altra della
conoscenza che egli possiede della storia indipendente-
mente dal racconto visivo.
Occorre dunque riesaminare gli strumenti di costru-
zione visiva del racconto sotto questa nuova luce. In par-
ticolare consideriamo l’ordinamento delle fasi narrative
nello spazio; la costruzione di linee vettoriali di collega-

84
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

mento tra le fasi; la costituzione di una gerarchia visiva tra


esse. Questi strumenti possono essere applicati sia all’in-
terno di una singola cornice sia nelle sequenze di cornici
differenti.
Abbiamo già messo in luce, per quanto di sfuggita, il
ruolo commentativo di questi strumenti a proposito de
La Manna e del Miracolo del bambino azzannato dal lupo. In
questi casi viene sfruttata l’opposizione sinistra / destra
per esprimere iconicamente l’articolazione precedente /
seguente e causa / effetto. Vengono così rispettate le
abitudini di lettura del testo verbale proprie della cultura
occidentale. Tuttavia è anche possibile una disposizione
delle fasi del racconto «sfalsata» rispetto a tale ordine: il
nuovo ordinamento imposto alle fasi del racconto, orien-
ta con particolare evidenza una rilettura commentativa
della storia.
Ad esempio l’affresco di Masaccio Il tributo al tempio ! Corrain 1987:
(cappella Brancacci presso la Chiesa del Carmine 1452) 64
presenta un gruppo centrale piuttosto compatto, raffigu- " Tav. 5
rante la richiesta del tributo che viene fatta a Gesù e a i
suoi discepoli da parte degli esattori del tempio. A sinistra
in secondo piano Pietro, pescato un pesce, trova nella sua
bocca la moneta necessaria per il pagamento. A destra in
primo piano lo stesso Pietro paga il tributo con la moneta
pescata. Non esistono elementi di collegamento tra le due
fasi estreme; dal gruppo centrale si dipartono al contrario
gesti indicali che rimandano tanto all’immagine di sinistra
quanto a quella di destra. L’ordinamento delle fasi del
racconto, viene così riformulato nell’immagine: la fase A
diviene centro generatore tanto della fase B che della fase
C; l’ordinamento da sinistra a destra sconvolge quindi
l’ordinamento delle fasi (B-A-C). Alla ridisposizione se-
quenziale delle azioni corrisponde una gerarchizzazione
delle azioni: l’azione centrale, che vede protagonista Ge-
sù, acquisisce uno statuto differente rispetto alle azioni
laterali con Pietro come agente principale. L’immagine,
amplificando una delle fasi dell’azione, la “topicalizza”,

85
Analisi semiotica dell’immagine

ovvero la rende l’elemento semanticamente culminante e,


dunque, la chiave di lettura dell’intero racconto.
Uno sfalsamento analogo tra ordine della storia e or- ! Brilliant 1984:
dine del racconto iconico può essere applicato a una se- 131-173
quenza di cornici. Per esempio i sarcofagi della tarda ro-
manità (I-IV secolo d. C.) riprendono il patrimonio mito-
logico della classicità, ma ne narrano nuovamente le storie
variando l’ordine delle loro fasi. Prendiamo come esem-
pio un sarcofago custodito al Louvre che illustra la storia
di Atteone. Questi, durante una battuta di caccia, vede
Diana nuda al bagno e viene perciò punito con la morte: i
suoi stessi cani lo scambiano per la preda e lo sbranano.
La storia viene raffigurata in quattro cornici: sul fianco
sinistro la preparazione alla caccia, sul frontale a sinistra la
morte di Atteone sbranato dai cani e a destra la scena
dell’uomo che vede la dea al bagno, e infine sul fianco
destro la sepoltura. L’ordine, come si nota immediata-
mente, anticipa la morte per sbranamento rispetto alla
visione della dea. In questo modo l’attenzione
dell’osservatore viene concentrata sulla scena della morte,
mentre al contempo viene espressa «la scoperta da parte
dell’uomo delle cause nascoste degli eventi» al di là della
catena del loro accadimento62. La riformulazione
dell’ordine narrativo è quindi funzionale rispetto a una
rilettura del mito in chiave morale e meditativa, tesa a
cogliere il significato nascosto, allegorico, perennemente e
presentemente valido della storia: la sua hyponoia.

3.5.2 I collegamenti metonimici in assenza

E’ possibile che alcuni aspetti commentativi vengano


suggeriti in base all’assenza di determinate fasi del raccon-
to o al limite all’isolamento di una fase rispetto alle altre.
In quest’ultimo caso risulta determinante la scelta
dell’azione o delle azioni inquadrate nella «finestra dina-
mica» della rappresentazione. Introduciamo tre esempi.
Abbiamo già osservato come Giovan Battista Piaz- # 3.3.2.1
zetta scelga diverse fasi dell’azione della decapitazione di

86
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

Oloferne da parte di Giuditta a seconda delle diverse ver-


sioni pittoriche dell’episodio biblico. Possiamo ora ag-
giungere che tali scelte corrispondono a differenti seman-
tizzazioni della storia, all’insegna ora della vendetta, ora
del sacrificio, ora dell’esecuzione, ora del perdono63.
La spiritualità quattrocentesca individuava quattro
aspetti nell’annunciazione: la Conturbatione, la Cogitatio-
ne, l’Interrogatione, l’Humiliatione e la Meritatione, corri-
spondenti ciascuno ad una fase distinta e successiva del-
l’azione svolta e rappresentata nel testo evangelico di San
Luca. Si può osservare come l’iconografia
dell’Annunciazione riprenda ora questo ora quell’aspetto
di tale partizione narrativa e semantica: il Beato Angelico
è più vicino al modo della Humiliatione, il Botticelli alla
Conturbatione; o si può sottolineare che si assiste a un
progressivo decadere di Cogitatione e Interrogatione dal
Trecento al Quattrocento64.
Meyer Schapiro segue attentamente in un suo saggio
lo sviluppo dell’iconografia relativa all’episodio biblico
della battaglia degli Ebrei contro gli Amaleciti narrata in
Esodo 17, 9-13. L’episodio è noto: il gesto delle braccia
alzate di Mosè comporta la vittoria degli Ebrei, mentre se
questi abbassa le braccia i nemici hanno la meglio. Scha-
piro osserva come, dalla cristianità del I secolo d. C. al
Seicento, si assista a una progressiva «deteologizzazione»
dell’iconografia relativa all’episodio; questo equivale al
passaggio dalla figura isolata di Mosè - orante (secondo il
modulo cristiano della preghiera, che richiede appunto le
mani alzate verso il cielo), alla compresenza di Aronne e
Ur (IX secolo), fino a respingere la figura di Mosè sul
fondo a favore della ricchezza illustrativa della battaglia65.

3.5.3 I collegamenti metaforici in presenza

I collegamenti metonimici si innestano sul racconto


visivo e sfruttano le connessioni di causa ed effetto che
ne compongono l’ossatura. I collegamenti metaforici sug-
geriscono al contrario relazioni non lineari di similitudine

87
Analisi semiotica dell’immagine

tra oggetti, soggetti e azioni del mondo testuale. Tali ele-


menti vengono sottratti ai nessi di ordine causale e crono-
logico e collocati in una rete di rinvii acronici. I collega-
menti metaforici sovrappongono quindi alla tendenza
verso la narrativizzazione degli elementi rappresentati, una
tendenza verso la denarativizzazione66.

I collegamenti metaforici possono essere istituiti anzi- ! Thürlemann


tutto all’interno di una singola cornice. Ritroviamo a que- 1981
sto proposito la costruzione di connessioni semisimboli- " Tav. 19
che, secondo i principi già messi in rilievo nel capitolo 2. # 2.4.1
Loth e le sue figlie è un dipinto della Scuola di Anversa, del-
l’inizio del XVI secolo. La fonte dell’episodio è biblica.
Sullo sfondo intravediamo la città di Sodoma distrutta
dall’ira divina e la famiglia di Loth in fuga: è la fase prece-
dente del racconto. Il primo piano è occupato dalla fase
attuale: Loth cinge le spalle della figlia prefigurando
l’incesto (fase successiva). Questa seconda area del qua-
dro contiene quattro elementi figurativi disposti in base a
una forma romboidale: nell’angolo in alto a destra c’è un
albero vivo, mentre nell’angolo in alto a sinistra abbiamo
Loth e la figlia; nell’angolo in basso a destra appare un
tronco di albero morto, in quello a sinistra la carcassa di
un animale. La disposizione suggerisce un rapporto meta-
forico tra le due coppie di elementi. Se le due coppie su-
periori sono accomunate dall’elemento semantico “vita”,
le due inferiori vengono accomunate dall’elemento oppo-
sto “morte”. Viene altresì implicata una similitudine tra
l’albero vivo e quello morto (entrambi vegetali), e tra le
due persone e la carcassa (entrambi animali). I quattro
elementi collegati dalla forma romboidale si trovano
quindi in un duplice rapporto analogico, esprimibile at-
traverso l’equazione: l’albero vivo sta a quello morto co-
me Loth e la figlia stanno all’animale morto. Di qui il
senso ulteriore che si sovrappone al racconto espresso
nell’immagine: come l’albero è destinato a morire e a sec-
carsi, così anche gli esseri umani sono destinati alla morte.

88
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

Sul peccato di Loth si proietta già l’ombra della consun-


zione.
In tal modo «le figure ... si trovano riarticolate grazie
a una codificazione semisimbolica, che consiste nel met-
tere in relazione [le opposizioni costitutive di] categorie
semantiche e [le opposizioni costitutive di] categorie pla-
stiche»67 - in particolare, nel caso esaminato, per quanto
riguarda la dislocazione delle forme nello spazio bidimen-
sionale -.

Nel caso siano presenti immagini nell’immagine, o


immagini en abyme, è possibile vengano suggerite connes-
sioni tra l’intera storia della cornice includente e l’intera
storia della cornice inclusa. Ci troviamo di fronte a casi
limite tra collegamenti metaforici all’interno della stessa
cornice e collegamenti tra immagini inserite in cornici
differenti. La metafora prende in questo senso
l’andamento dell’allegoria, o metafora prolungata: il rac-
conto nel suo insieme e ogni suo elemento in particolare
instaura collegamenti di similitudine con un altro raccon-
to e altri elementi all’insegna della comunanza di proprie-
tà68.
In una delle incisioni per La Nouvelle Heloise (1761) di Je- ! Bassy 1974
an-Jacques Rousseau, l’incisore Hubert François Bourgui-
gnon detto Gravelot introduce un elemento non previsto
dallo scrittore: sullo sfondo della stanza in cui si ambienta
«una mattinata all’inglese» spicca una stampa in cornice.
Essa illustra una favola di La Fontaine, quella dei due
piccioni. Questa storia ha una parentela allegorica con
quella dei due protagonisti del romanzo, a lungo divisi e
finalmente riuniti. Tra gli elementi dell’immagine en abyme
e l’immagine primaria si instaura quindi un duplice rap-
porto: metaforico (la storia dei due amanti è come quella
dei due piccioni, e questa è allegoria di quella) e narrativo
(la favola dei due piccioni è uno squarcio sul “prima”
rispetto alla riunione illustrata nell’immagine principale).
Tale collegamento viene sottolineato mediante una rima
plastica: sia l’immagine principale che quella en abyme sono

89
Analisi semiotica dell’immagine

costruite sull’opposizione tra una zona d’ombra e una di


luce tagliate da una stessa direttrice obliqua.

Se passiamo a esaminare i collegamenti metaforici tra


immagini inserite in cornici differenti possiamo individua-
re numerosi esempi. Come già nel caso delle immagini en
abyme troviamo qui delle allegorie, ovvero metafore pro-
lungate che rileggono in parallelo interi segmenti di rac-
conti.
Nel XIII secolo troviamo un particolare tipo di Bib- ! Schapiro 1973
bie illustrate: le cosiddette Bibbie moralizzate. La «mora-
lizzazione» consiste nel fatto che accanto al testo vengo-
no poste due illustrazioni, una superiore e una inferiore.
Quella superiore si riferisce all’episodio dell’Antico testa-
mento scritto di fianco, mentre quella inferiore
rappresenta un episodio del Nuovo testamento. Tra le
due immagini si instaura un richiamo allegorico: ad
esempio se l’immagine superiore è quella di Isacco che
porta le fascine per il proprio sacrificio, in basso si trova il
Cristo caricato della croce; inoltre tutta una serie di rime
plastiche rimandano da un’immagine all’altra.
L’accostamento invita a individuare un legame di allegoria
tra l’episodio antico e quello cristiano, e dunque a
interpretare correttamente il brano biblico che si legge di
fiancoEsempi
69. analoghi si ritrovano anche in altre forme ar-
tistiche. Per esempio i portali in bronzo del Duomo di
Hildesheim, in Germania (disegnati intorno al 1015 da
San Bernardo) sono composti da due file verticali di pan-
nelli. I pannelli sulla sinistra illustrano episodi dell’Antico
Testamento con una progressione cronologica dall’alto al
basso; quelli a destra sono invece episodi del Nuovo Te-
stamento, con una progressione dal basso all’alto. Ciascu-
no dei pannelli sulla sinistra instaura un sistema di rime
visive e di rimandi allegorizzanti con il corrispondente
pannello sulla destra: ad esempio creazione della donna /
«noli me tangere», incontro uomo donna / incontro tra le
donne e l’angelo sulla tomba del risorto, peccato originale
/ crocifissione (con il rimando iconico albero del peccato

90
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

/ croce quale albero della redenzione), scoperta del pec-


cato / «ecce homo» e condanna di Cristo70.

Nella cosiddetta Tomba François a Vulci, un sepolcro ! Brilliant 1984


etrusco della fine del IV secolo (Roma, Villa Albani, 350-
325 a. C.), troviamo un complesso programma iconogra-
fico innestato su una precisa disposizione architettonica:
sulla parte sinistra della stanza sepolcrale sono illustrati
alcuni episodi dell’antichità mitologica greca; ad essi cor-
rispondono sulla parte destra episodi analoghi,
appartenenti però alla storia etrusca. Anche qui troviamo
una serie di rime e richiami plastici tra le immagini,
rafforzati dalla disposizione omologa da un punto di vista
architettonico delle immagini corrispondenti. L’intento è
quello di leggere la storia greca come anticipazione
allegorica del presente, il quale esce evidentemente
valorizzato da questa rilettura in chiave mitografica71.
Procedimento analogo per le cosiddette «raffigura-
zioni a pendant» del I secolo dopo Cristo. Si tratta di al-
cuni gruppi di pannelli ritrovati nelle case pompeiane,
accostati in base ad associazioni di ordine tematico. Ad
esempio in un gruppo famoso (nella casa Giasone) ven-
gono raffigurati momenti della storia di Medea, di Fedra e
Ippolito, di Elena e Paride: gli episodi sono collegati da
un richiamo tematico che ne mette in luce il valore esem-
plare, antonomastico: sono tutti esempi di “amore fatale”,
di adulterio e passione che conducono alla rovina. Come
già avveniva per i miti di morte raffigurati sui sarcofagi
(cfr. 3.5.1.), il racconto classico è spinto a rivelare la pro-
pria hyponoia, il senso riposto di carattere morale72. Tale
senso non affiora però in questo caso in base alle originali
modalità dell’intreccio narrativo, ma grazie
all’accostamento fisico dei pannelli e il conseguente ri-
chiamo allegorico tra le storie che essi rappresentano.

91
Analisi semiotica dell’immagine

3.5.4 I collegamenti metaforici in assenza

I nessi metaforici possono infine collegare elementi


presenti all’interno della scena rappresentata e soggetti o
azioni assenti da essa. In questo caso l’immagine può
alludere al collegamento, ma esso è affidato principalmen-
te alle competenze e alle attività inferenziali dello spetta-
tore.
Ad esempio, alcuni elementi spaziali delle Annuncia-
zioni dal Quattrocento al Seicento si riferiscono metafori-
camente al Cristo, «colonna della fede» o «pietra angolare»,
o «porta della fede», o ancora «fiamma - luce» (la presenza
di una candela)73. Questi elementi sono posti generalmen-
te in posizione centrale, a dividere i due spazi fisici o lu-
ministici dell’angelo e della Madonna. Essi alludono in tal
modo alla posizione centrale del Cristo nella storia della
salvezza e al suo ruolo di mediazione tra il divino e
l’umano. E rendono presente sulla scena in forma meta-
forica Colui che non può esservi presente in forma narra-
tiva - Colui in riferimento al quale tutta la scena assume
senso -.

Può accadere che collegamenti metaforici in assenza ! Marin 1978


si trovino intrecciati con collegamenti metonimici in as- " Tav. 25
senza. Esaminiamo ancora una volta Paesaggio con Piramo e # 3.3.4.1; 3.5.3;
Tisbe di Poussin (1648 ca.). Mentre in primo piano si con- 4.4
suma la tragedia dei due amanti e in secondo piano ci
viene mostrata la fase precedente del racconto (il leone
che insegue gli animali), sullo sfondo vediamo una scena
di tempesta: alcuni gruppi camminano controvento, altri
si lasciano condurre dalla furia dei venti. Lo stesso Pous-
sin spiega in una lettera al suo committente, Monsieur
Stella, che la tempesta rappresenta allegoricamente la
passione amorosa: alcuni sanno resisterle, altri si abban-
donano ad essa. Ci troviamo di fornite a un collegamento
metaforico in assenza: abbiamo già detto che l’allegoria
altro non è se non una metafora prolungata e articolata.

92
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

Questa metafora si connette d’altra parte alla scena


rappresentata nella parte inferiore: la linea di un fulmine
collega sfondo e primo piano, metafora e racconto. Il
racconto rappresenta un exemplum di abbandono alla
passione amorosa e, in particolare, mette in scena i tragici
effetti di tale abbandono grazie alla strategie metonimica
seguita da Poussin, che colloca la «finestra dinamica» della
rappresentazione sulla fase conclusiva della storia.
In questo modo un asserto generale espresso per al-
legoria («la passione amorosa è come una tempesta: le si
può resistere o abbandonarsi ad essa») viene collegato a
un racconto particolare («Piramo e Tisbe, per aver seguito
la passione amorosa hanno pagato con la vita»); e questo
racconto esemplare è a sua volta portatore di un significa-
to generale («chi si abbandona alla passione paga tale er-
rore con la distruzione di sé e dell’altro»). L’allegoria della
tempesta e l’exemplum antonomastico del racconto coo-
perano in tal modo alla costruzione di un senso secondo
metaforico. La storia particolare e il suo significato gene-
rale si scambiano continuamente le carte e si nutrono di
senso a vicenda.

E’ possibile infine che collegamenti metaforici in as- ! Thürlemann


senza si saldino a collegamenti metaforici in presenza, a 1980
costituire un’unica catena di metafore. Come già sappia- " Tav. 23
mo La caduta della manna di Poussin rappresenta in basso a # 3.3.4.1; 3.4.2;
3.4.4; 3.5.1; 4.3.3
sinistra alcuni Ebrei affamati. Tra costoro distinguiamo
un gruppo particolare: una donna sfama una vecchia of-
frendole il latte del proprio seno.
Questo particolare aggregato di azioni possiede
un’interessante storia iconografica. Poussin la riprende,
probabilmente con la mediazione di una copia, da un
modello pompeiano che illustra la vicenda di Cimone e
Pero74. Cimone, un uomo anziano imprigionato e con-
dannato alla morte per fame, viene salvato dalla figlia che,
essendo puerpera, lo nutre di nascosto durante le sue
visite con il latte del proprio seno. L’episodio rinvia in-
somma a un modello esemplare di pietà filiale propria del

93
Analisi semiotica dell’immagine

mondo pagano; una pietà filiale che ha dell’eccezionale: la


legge di natura (per cui la madre nutre il figlio) viene so-
spesa a favore di una legge dell’amore (la madre nutre una
vecchia, forse la propria madre).
Questo carattere di pietà e di eccezionalità collega
metaforicamente il gruppo della donna che allatta la vec-
chia all’intero racconto del miracolo della manna: «come la
giovane donna, per salvare sua madre, si mette al di sopra
delle leggi naturali, così Dio, per salvare il suo popolo,
infrange le regole della natura e fa cadere il nutrimento
divino dal cielo»75. Troviamo quindi una connessione
metaforica in presenza.
D’altra parte esiste, nella tradizione cristiana, un altro
miracolo che vede al centro un atto di pietà, di nutrimen-
to e di superamento delle leggi di natura: il dono del nu-
trimento eucaristico mediante la transustanziazione del
pane e del vino in corpo e sangue del Cristo. La tradizio-
ne cristiana ha visto in effetti nell’episodio del dono de
La caduta della manna una prefigurazione allegorica del
dono dell’Eucarestia. Si può quindi postulare «un terzo
livello di lettura del quadro, che rinvia a un senso che
tuttavia non è rappresentato, che non è rappresentabile, il
mistero dell’Eucarestia»76.
Al collegamento metaforico in presenza si connette
quindi un collegamento in assenza: la carità romana sta
alla caduta della manna, come questa sta all’Eucarestia.
L’elemento semantico del «nutrimento pietosamente e
miracolosamente concesso» sostiene il sistema di corri-
spondenze; permette la stratificazione dei rinvii metafori-
ci; collega tre mondi storicamente e teologicamente di-
stinti - quello pagano, quello dell’Antico Testamento e
quello del Nuovo Testamento - in una tensione dal primo
verso il terzo77.

94
Capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni

3.6 Conclusioni: configurazione e rifigurazione del tempo


nell’immagine fissa

In queste conclusioni vorremmo accennare a una


possibile linea di dialogo e di scambio tra le forme di e-
sperienza del tempo fornite dall’immagine fissa e
l’esperienza del tempo che si delinea a partire dalla vita
«reale».
La rappresentazione del mutamento costituisce evi-
dentemente una sfida per l’immagine fissa: questa è chia-
mata a misurarsi con i limiti costituiti dall’assenza di dura-
ta del proprio significante. L’immagine deve dunque rap-
presentare il tempo con mezzi iconici: essa definisce per il
proprio spettatore forme di esperienza visiva del tempo78. Nasce
di qui l’interrogativo circa differenze, sintonie e scambi
tra queste forme e quelle che maturano dall’immersione
di ciascuno di noi in una condizione di scorrimento tem-
porale.
Si tratta di un punto che non è propriamente di com- # 4.4
petenza della semiotica dell’immagine, quanto piuttosto di
una disciplina che studi la relazione tra esperienza testuale
e esperienza esistenziale: ad una ermeneutica dell’immagine.
Possiamo dire che la semiotica si occupa delle configurazio-
ni temporali che vengono allestite dal testo, mentre
l’ermeneutica si occupa dei processi di rifigurazione tempo-
rale che derivano dal contatto tra testo e interprete79. Ma
dobbiamo aggiungere che non è possibile spiegare le rifi-
gurazioni senza tenere conto delle configurazioni: di tutte
quelle strategie di rappresentazione visiva del tempo che
abbiamo esaminato in questo capitolo.
Il lavoro svolto ci ha mostrato un complesso lavoro
effettuato dall’immagine sul tempo. Questo lavoro segue
due direttrici.
Per un verso assistiamo a una manipolazione dell’istante.
La cellula elementare del tempo viene lavorata

95
Analisi semiotica dell’immagine

dall’interno secondo tre aspetti: l’istante è sottratto alla


sua staticità e messo in vibrazione mediante la rappresenta-
zione del movimento; l’istante è sottratto alla sua sempli-
cità e articolato in termini complessi mediante la rappresenta-
zione del racconto di azioni; l’istante viene infine sottratto
alla sua durata /durezza e fluidificato mediante la rappre-
sentazione della passione.
Per altro verso assistiamo a una spazializazione del
tempo che implica l’individuazione della logica soggiacen-
te al mutamento. Come nella nostra memoria il
mutamento temporale viene ricondotto alla stasi e
all’organizzazione di strutture spaziali80, così l’immagine
insegna la logica del tempo: la verità profonda del mutamento
che il mutamento in sé non può rivelare a chi è preso dal
/ nel suo fluire.
Il tempo dell’immagine è dunque «un tempo rifratto
(come da un cristallo), moltiplicato, scisso - e sempre
ribattuto sul presente»81. L’immagine fissa è un cristallo
temporale; e il suo spettatore è spesso anche un veggente,
capace di osservare il tempo nella profondità dei suoi
disegni e dei suoi giochi.

96
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

4.

SGUARDI, RUOLI, POSIZIONI

I am an eye.

Philip Dick, A darkly scanner

4.1 La costruzione del punto di vista e i suoi effetti

Il terzo livello di analisi considera l’immagine in


quanto responsabile della costruzione di rapporti tra lo
spettatore e il mondo testuale. Parliamo di un livello co-
municativo dell’analisi.
I rapporti tra spettatore e mondo testuale sono di due
tipi: spaziali e narrativi. I rapporti spaziali definiscono una
posizione dello spettatore nei confronti del mondo testuale;
i rapporti narrativi definiscono un ruolo dello spettatore
rispetto a quanto viene rappresentato dall’immagine. In
altri termini lo spettatore viene indirizzato anzitutto verso
una reinterpretazione della propria collocazione spaziale
reale: questa viene riletta in quanto correlata allo spazio
fittizio messo in scena dall’immagine. Egli viene inoltre
orientato verso una reinterpretazione del proprio stesso
atto di guardare l’immagine: il suo sguardo viene qualifi-
cato rispetto alla scena osservata; lo spettatore può essere
sottratto all’anonimato di un testimone esterno per essere
coinvolto all’interno della scena rappresentata.
La definizione della posizione e quella del ruolo dello
spettatore rappresentano due aspetti distinti ma stretta-
mente correlati. Ne tratteremo dunque congiuntamente e

97
Analisi semiotica dell’immagine

parleremo della costruzione del punto di vista dell’immagine1 per


alludere a entrambi gli aspetti e alla loro connessione.
Esamineremo anzitutto in che modo viene costruito il
punto di vista dell’immagine; a questo scopo disegneremo
una procedura logica di definizione delle posizioni e dei
ruoli dello spettatore e dei soggetti di sguardo variamente
implicati nel mondo testuale (paragrafo 4.2.). Prenderemo
quindi in considerazione gli effetti della costruzione del
punto di vista; questi saranno analizzati in base alle cate-
gorie opposte di distacco vs. coinvolgimento dello spetta-
tore nella scena rappresentata (paragrafo 4.3.). Nell’ultimo
paragrafo (4.4.) metteremo a fuoco un aspetto rimasto
necessariamente da parte, che si lega agli argomenti del
capitolo precedente: il posizionamento spaziale e la defi-
nizione di ruoli narrativi implicano altresì un posizionamen-
to temporale dello spettatore rispetto al mondo diegetico.
Le conclusioni sono dedicate come sempre a qualche
contraccolpo teorico del discorso svolto.

4.2 Il meccanismo di costruzione del punto di vista

4.2.1 Sette passi

La costruzione del punto di vista è il risultato di una


procedura complessa, all’interno della quale è possibile
individuare sette steps logicamente correlati.
La logica che governa questo meccanismo consiste
nell’istituire e posizionare in modo opportuno alcuni sog-
getti vicari dello spettatore direttamente o indirettamente
implicati nel mondo testuale. Si tratta di soggetti “vicari”
in quanto svolgono operazioni di sguardo analoghe a
quelle in cui è impegnato lo spettatore stesso. Questi sog-
getti vicari svolgono una funzione di mediatori tra lo spet-
tatore e il mondo testuale2.

98
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

I sette steps sono logicamente correlati in forma pro-


gressiva: ciascuno di essi presuppone i precedenti. Ne
forniamo una lista sintetica per poi analizzarli separata-
mente:
a. Istituzione di un sistema guardante - guardato di base avente
per protagonista lo spettatore.
b. Istituzione di sistemi guardante - guardato secondari di primo
grado, aventi per protagonisti i soggetti vicari dello
spettatore (soggetti di sguardo) implicati dalla scena
rappresentata. Parliamo a questo proposito di soggetti
osservatori.
c. Istituzione di sistemi guardante - guardato secondari di secondo
grado, aventi per protagonisti i soggetti vicari dello
spettatore rappresentati all’interno della scena figurati-
va. Ritroviamo le figure degli indicatori e degli astanti nel
caso la rappresentazione sia diretta , mentre parleremo
di insegne ed epigrafi nel caso si tratti di una rappresenta-
zione metaforica.
d. Assegnazione ai sistemi guardante - guardato secondari di posi-
zioni definite dalla disposizione spaziale reciproca all’interno del
mondo testuale in base alla possibilità di coincidenza, an-
golazione, frontalità. Tanto l’osservatore quanto gli in-
dicatori e gli astanti (nonché le insegne ed epigrafi) ri-
cevono posizioni spaziali definite reciprocamente.
e. Assegnazione ai soggetti di sguardo secondari di un ruolo narra-
tivo in base alla loro attività di interpretazione: tanto
l’osservatore quanto gli indicatori e gli astanti vengono
investiti di un rapporto non semplicemente percettivo
con la scena osservata, ma cognitivo (essi comprendo-
no di quanto viene visto) e passionale (essi reagiscono
emotivamente a quanto viene compreso).
f. Disposizione dei sistemi guardante - guardato secondari rispetto
al sistema - base: l’assegnazione di una posizione reci-
proca viene estesa dai soggetti vicari dello spettatore
allo spettatore stesso.
g. Trasmissione dei ruoli narrativi dei soggetti secondari allo spetta-
tore: i rapporti di ordine interpretativo (il percepire, il

99
Analisi semiotica dell’immagine

conoscere il patire) vengono estesi dai soggetti vicari


dello spettatore allo spettatore stesso.

4.2.2 L’istituzione del sistema di sguardo di base: lo


spettatore

Il primo step consiste nell’istituzione di un sistema guar-


dante - guardato di base che coinvolge lo spettatore e
l’immagine. Si tratta di determinare distanza e angolazio-
ne dello spettatore rispetto all’immagine, sia in senso o-
rizzontale che verticale.
Questo avviene mediante la scelta della taglia e della
collocazione dell’immagine. Ad esempio una cupola dipinta
presuppone uno sguardo perpendicolare dal basso e da
una certa distanza; essa istituisce una posizione ben diffe-
rente da una pala di altare, il cui presupposto è invece uno
sguardo dal basso obliquo e una distanza più ravvicinata;
ancora più differente sarà la posizione presupposta da
una piccola pala per l’esercizio privato della devozione
che prevede uno sguardo frontale, molto ravvicinato, e
così via.
Ovviamente questa posizione dello spettatore non è
rigida: l’immagine raramente costringe lo spettatore a un
punto fermo; per lo più essa costituisce un campo di pos-
sibilità, una zona elastica di percorsi potenziali plurimi
(per quanto non infiniti).

4.2.3 L’istituzione dei sistemi di sguardo secondari di


primo grado: l’osservatore

Il secondo step consiste nell’istituzione di sistemi guardan-


te - guardato secondari di primo grado, tali da coinvolgere sog-
getti presenti nella scena in base a un principio di implicazione.
Parliamo a questo proposito dell’istituzione di un soggetto
osservatore3.
L’osservatore, abbiamo detto, viene implicato dall’im-
magine: egli non viene dunque rappresentato in forma
esplicita e pienamente figurativa. L’implicazione dell’os-

100
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

dell’osservatore nella scena rappresentata avviene in due


modi.
Da un lato l’osservatore viene richiamato in quanto
destinatario delle pose dei personaggi figurativizzati: per e-
sempio in un ritratto i personaggi sono normalmente
rivolti verso il fronte del dipinto, nell’atteggiamento di
mostrarsi a “qualcuno” che non viene mostrato, ma il cui
sguardo viene comunque implicato4.
Dall’altro lato l’osservatore viene reso presente in
quanto principio ordinatore dello spazio figurativo: è quanto
avviene in modo particolarmente evidente nella prospet-
tiva rinascimentale e postrinascimentale. Per esempio,
nella raffigurazione di una piazza rinascimentale eseguita
mediante le leggi geometriche della prospettiva centrale, il
“punto di fuga” verso cui convergono le linee perpendi-
colari al piano di raffigurazione rinvia alla presenza dello
sguardo di un soggetto posto frontalmente e centralmente
rispetto alla scena e alla tela.

4.2.4 L’istituzione dei sistemi di sguardo secondari di


secondo grado: indicatori e astanti, insegne ed epi-
grafi

Il terzo step consiste nell’istituzione di sistemi guardante - # 3.3.3.2; 3.4.5;


guardato secondari di secondo grado, tali da coinvolgere sogget- 4.3.3
ti presenti nella scena in base a una rappresentazione diretta
oppure metaforica. Si osservi che parliamo di un “primo” e
di un “secondo” grado a proposito dei soggetti vicari
distinguendo due differenti livelli di esplicitazione di tali
soggetti rispetto alla scena rappresentativa.
I soggetti di sguardo possono essere rappresentati di-
rettamente. Ritroviamo qui il caso già introdotto nei capi-
toli precedenti degli astanti e degli indicatori personaggi
presenti sulla scena impegnati a guardare o indicare
l’azione centrale. Ma gli sguardi che si posano sull’azione
possono essere anche rappresentati metaforicamente me-
diante oggetti ed elementi spaziali quali specchi, ritratti,

101
Analisi semiotica dell’immagine

finestre e porte semiaperte, raggi di luce naturale o artifi-


ciale. Parleremo in questo caso di insegne o epigrafi5.

4.2.5 La disposizione reciproca dei sistemi di sguar-


do secondari: le posizioni nel mondo testuale

Il quarto step consiste nel disporre l’uno rispetto


all’altro i sistemi guardante - guardato secondari che sono
stati appena introdotti. In tal modo i differenti soggetti di
sguardo in vario modo presenti (osservatore, indicatori,
astanti, insegne) ricevono uno posizione all’interno dello
spazio del mondo testuale; e ciascuna di tali posizioni è
definita in relazione alle altre.
Le disposizioni possibili sono sostanzialmente tre.
Il primo caso è quello della coincidenza di sistemi di
sguardo differenti: è possibile raffigurare al tempo stesso
un astante che rivolge lo sguardo verso un certo oggetto,
e lo stesso oggetto raffigurato dal punto di vista dell’a-
stante stesso: per esempio un santo che guarda verso il
cielo, e alcune figure sacre viste dal basso (è quanto
avviene ne L’estasi di S. Cecilia di Raffaello, del 1515-1516
ca.). In questo caso il punto di vista di un osservatore
viene fatto coincidere con quello di un astante. Ugual-
mente, il raggio di luce può entrare nel quadro (e posarsi
sul soggetto principale) dal davanti, cioè dallo stesso pun-
to in cui il sistema delle linee prospettiche colloca
l’osservatore: è un caso di coincidenza tra il sistema di
sguardo implicito dell’osservatore e quello figurativo -
simbolico di un’epigrafe. O ancora: un astante può affac-
ciarsi da una finestra da cui entra la luce: la coincidenza
riguarda in questo caso astanti ed epigrafi. Ovviamente al
fattore angolazione va integrato il fattore distanza rispetto
all’oggetto osservato, e dunque l’ampiezza dell’angolo
visuale: sistemi coincidenti quanto ad angolazione posso-
no non coincidere quanto ad angolo visivo, definendo
quindi una relazione del tipo inglobante - inglobato. Così,
per esempio , possiamo trovare un astante posto di spalle
rispetto all’osservatore, e nell’atto di guardare lo stesso

102
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

spettacolo, ma ad una distanza più ravvicinata e quindi


con un angolo di visione minore.
Il secondo caso è quello della rotazione di un sistema
di sguardo rispetto a un altro: i sistemi non coincidono
più, ma l’uno è ruotato (più o meno, e comunque tra 1 e
179 gradi, a destra o a sinistra) rispetto all’altro. E’ il caso
di astanti raffigurati di profilo, come la figura dell’angelo
in buona parte dell’iconografia delle Annunciazioni (rota-
zione del sistema dell’astante rispetto a quello implicito
dell’osservatore); di raggi di luce e finestre aperte lateral-
mente (rotazione del sistema delle epigrafi rispetto a quel-
lo implicito dell’osservatore); ecc.
Il terzo caso è quello della frontalità di un sistema di
sguardo rispetto a un altro: i due sistemi, ruotati di 180
gradi l’uno rispetto all’altro, si fronteggiano e si saldano
reciprocamente: un soggetto guarda un altro soggetto che
a sua volta lo guarda. Si tratta del caso di sguardi rivolti
verso l’osservatore da uno o più astanti (come avviene
frequentemente nel ritratto); di porte aperte di fronte
all’osservatore (come nel caso del tempio della città ideale
urbinate), o di specchi posti di fonte a lui (come ne Las
Meninas), ecc.

4.2.6 L’assegnazione di attività interpretative ai


soggetti di sguardo secondari rispetto al mondo
testuale: i ruoli narrativi nel mondo testuale

Il quinto step consiste nell’assegnazione ai soggetti di


sguardo secondari di un’attività interpretativa rispetto a quanto
viene guardato6. Di conseguenza, essi vengono investiti di
un ruolo narrativo all’interno del mondo testuale.
I soggetti di sguardo fin qui introdotti e posizionati
reciprocamente erano semplici soggetti scopici, ancora
incapaci (parlando ovviamente all’interno del nostro dise-
gno di progressione logica) di interpretare quanto visto. A
questo punto invece, il “guardare” diventa un “vedere”: il
soggetto percepisce, cioè organizza a un primo livello cogni-
tivo i dati visivi; in base a questa percezione mostra di

103
Analisi semiotica dell’immagine

venire a conoscere quanto percepisce e di reagire passionalmente


rispetto a quanto vede e sa. I soggetti di sguardo vengono
dunque investiti da una attività interpretativa nei confronti
del mondo testuale o di alcune sue porzioni specifiche.
Questa attività è articolata nelle tre aree correlate del per-
cepire, del conoscere e del patire7.
Ciascuna di queste tre sottoattività fa sì che si instau-
rino dei rapporti tra il soggetto di sguardo e il mondo
testuale. L’interpretazione è infatti transitiva: è sempre
interpretazione di qualche cosa; essa implica dunque la
costruzione e/o la trasformazione di relazioni. Più preci-
samente all’attività percettiva corrisponde un rapporto di
tipo visivo e prossemico, una relazione tra soggetto e oggetto
dello sguardo definita a partire dalla distanza visiva tra i
due; all’attività della comprensione corrisponde una relazione
di tipo cognitivo, definita a partire da quanto il soggetto che
osserva sa o comprende dell’oggetto osservato; all’attività
passionale corrisponde una relazione di tipo patemico,
definita a partire da quanto il soggetto “sente” nei con-
fronti dell’oggetto. Ovviamente i tre tipi di attività e le
corrispondenti relazioni non sono rigidamente separate,
ma al contrario interferiscono continuamente l’una con
l’altra.
I soggetti di sguardo risultano dunque non sempli-
cemente inseriti nel mondo testuale o giustapposti al rac-
conto che in esso si svolge. Piuttosto, essi sono ora in
rapporto con questo mondo e questo racconto.
L’assegnazione di attività interpretative definisce quindi
un ruolo narrativo dei soggetti di sguardo secondari.
L’assegnazione di attività interpretative e la definizio- # 4.3.4; 4.3.5
ne di ruoli narrativi conosce modi e mezzi differenti a
seconda del tipo di soggetto di sguardo. Per quanto con-
cerne l’osservatore, la relazione interpretativa con il mondo
testuale viene espressa per implicazione. Sono principal-
mente gli elementi di distorsione del mondo osservato e i
rinvii mimici dei soggetti in scena rivolti verso
l’osservatore a permettere inferenze in proposito. Per
esempio una scena di incubo dipinta a tinte fosche, con
pennellate sfilacciate, ecc. indica una partecipazione dello

104
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

stesso osservatore al clima di sconcerto; parleremo in


questo caso di una configurazione soggettiva. Oppure, se il
soggetto in scena è una donna nuda che si ritrae pudica-
mente allo sguardo dell’osservatore, viene implicato un
atteggiamento passionale di desiderio da parte di
quest’ultimo; parleremo di una configurazione interpellati-
va.
La relazione interpretativa degli astanti viene espressa
iconicamente, mediante il gioco di pose, espressioni, mi-
mica, fisiognomica, ecc. Per esempio, sempre nel caso di
una scena di incubo, possiamo immaginare un personag-
gio ritratto nell’atto di ricacciare da sé alcuni soggetti mo-
struosi, manifestando così un atteggiamento di paura ri-
pulsiva. Più complesso definire la relazione interpretativa
delle epigrafi; questa, quando è presente, deriva da partico-
lari connotazioni simboliche: per esempio i rimandi dei
colori dei raggi di luce che si posano sui soggetti in scena,
ora freddi e taglienti, ora caldi e avvolgenti.

4.2.7 La disposizione dei sistemi di sguardo secon-


dari rispetto al sistema di base: la posizione dello
spettatore

Il sesto step consiste nello stabilire la posizione reciproca


tra i sistemi di sguardo secondari e il sistema di base avente per
protagonista lo spettatore. Un rilievo particolare è riservato
alla relazione spaziale tra il sistema implicito dell’osser-
vatore e quello dello spettatore.
Le alternative che si presentano a questo proposito
ricalcano quelle già incontrate poco sopra a proposito del
rapporto tra sistema dell’osservatore e sistema degli astan-
ti.
Il primo caso è quello della coincidenza tra i sistemi di
sguardo: l’angolazione dell’osservatore rispetto al mondo
testuale è la stessa dello spettatore rispetto all’immagine.
Ad esempio il mondo rappresentato nell’affresco di una
cupola possiede un punto di vista dell’osservatore dal
basso, che simula e si sovrappone a quello dello spettato-

105
Analisi semiotica dell’immagine

re sottostante. Ancora: l’osservatore di una pala di altare


viene posizionato leggermente al di sotto rispetto alle
figure, con una nuova coincidenza di sistemi. In effetti i
casi appena introdotti sono casi estremi, in cui vengono
fatte coincidere non solo l’angolazione ma anche la di-
stanza (e quindi l’angolo di visuale) tra osservatore e
mondo da un lato e spettatore e immagine dall’altro. In
questi casi si ha una perfetta coincidenza dei due sguardi,
e dunque una loro possibile omologazione: lo spettatore,
guardando l’immagine nel punto a lui assegnato, vede -
per così dire - esattamente quello che vedrebbe se avesse
di fronte una scena reale, piuttosto che un’immagine di
quella scena. Il sistema osservatore - mondo testuale ten-
de quindi a coincidere perfettamente con quello spettato-
re - immagine e quasi ad assorbirlo: lo spettatore diviene
anche osservatore del mondo, la superficie della tela di-
viene una trasparenza impercettibile e quindi lo spazio
reale entra in continuità con quello finzionale.
Tuttavia è pure possibile che, pur coincidendo
l’angolazione tra i due sistemi di sguardo, non coincida
affatto il loro angolo visuale. Ad esempio molti quadri
posizionano l’osservatore frontalmente rispetto allo spet-
tacolo del mondo fittizio, nella stessa posizione in cui si
trova lo spettatore rispetto al dipinto; ma l’angolo visivo
dell’osservatore rispetto al mondo è più ampio (ad esem-
pio nel caso di panorami), o più ristretto (nel caso venga-
no rappresentati dettagli visivi) rispetto a quello dello
spettatore nei confronti dell’immagine.
Il secondo caso possibile è quello della lateralità di un
sistema di sguardo rispetto all’altro. In questo caso l’os-
servatore viene posto lateralmente rispetto al mondo
osservato, con scorci più o meno arditi, e in posizioni che
lo spettatore potrebbe assumere solo con difficoltà rispet-
to all’immagine. Un caso limite a questo proposito è dato
dall’anamorfosi. Ovviamente si può sempre pensare che
lo spettatore acquisisca anch’egli un punto di vista laterale
spostandosi dalla propria frontalità rispetto all’immagine,

106
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

recuperando in questo modo una (almeno parziale) coin-


cidenza8.
Il terzo caso è quello della frontalità di un sistema di
sguardo rispetto all’altro: l’osservatore è posizionato spe-
cularmente rispetto allo spettatore. Si tratta di un caso
limite che troviamo in alcuni accorgimenti dell’arte delle
icone russe (la cosiddetta «prospettiva rovesciata»), di cui
non ci occuperemo in questa sede9.

4.2.8 L’assegnazione allo spettatore delle relazioni


interpretative tra i soggetti secondari e il mondo
testuale: il ruolo narrativo dello spettatore

I sistemi di sguardo sono anche, abbiamo visto, dei


supporti per lo stringersi di relazioni interpretative: osser-
vatori, astanti ed epigrafi possono entrare in relazione con
il mondo testuale e partecipare alle sue dinamiche narrati-
ve. Deriva da qui il settimo e ultimo step: l’assegnazione allo
spettatore delle relazioni interpretative che i soggetti di sguardo se-
condari intrattengono con il mondo testuale. In questo modo
viene offerta allo spettatore la possibilità di stringere con
il mondo testuale le stesse relazioni interpretative che si
sono create tra i soggetti dello sguardo e il mondo testua-
le. Di conseguenza lo spettatore trova di fronte a sé uno
o più ruoli narrativi che gli permettono un accesso guidato
alla scena rappresentata.

4.2.9 Riepilogo del meccanismo formale di istituzio-


ne del punto di vista iconico: Las Meninas di Diego
Velázquez

4.2.9.1 Il dipinto
Ripercorriamo i sette steps del meccanismo di costru- " Tav. 26a
zione del punto di vista sulla base di un’immagine precisa: # 5.3.2
Las Meninas, di Diego Velázquez. Questo procedimento
ci consentirà di calare in pratica gli argomenti trattati e di

107
Analisi semiotica dell’immagine

chiarire (ci auguriamo) eventuali interrogativi sorti duran-


te la lettura dei precedenti paragrafi.
Las Meninas è stato concluso da Velázquez nel 1656.
Il dipinto è una tavola a olio conservata al Museo del
Prado a Madrid e rappresenta un ritratto di gruppo:
l’infanta Margherita è al centro, attorniata dalle sue dami-
gelle di compagnia Augustina di Sarmiento, Isabel de
Velasco. Sono presenti alla scena i due nani di corte Mari-
Bàrbola e Nicolasito Pertusato, posti in primo piano
all’estrema destra. In secondo piano troviamo anche Mar-
cela de Ulloa, addetta al servizio delle damigelle, e Diego
Ruiz de Azcona. Nel vano di una porta sul fondo si intra-
vede affacciarsi il maresciallo di palazzo, José Nieto Velá-
zquez. Sulla sinistra, di fronte a una grande tela di cui
vediamo una parte del retro, sta il pittore stesso. Uno
specchio sul fondo della sala riflette la coppia reale, Ma-
rianna d’Austria e Filippo IV. Lo spazio è una sala im-
mersa nel buio, in cui si intravedono alcuni quadri. La
luce proviene da una finestra in primo piano sulla destra,
che illumina il gruppo in primo piano con l’Infanta e la
tela; e dalla porta di fondo aperta, che illumina l’intera
scena dalla parte posteriore.

4.2.9.2 L’istituzione del sistema di sguardo di base


Il primo step consiste nell’istituzione del sistema di
sguardo di base, avente per protagonista lo spettatore,
mediante la scelta di dimensioni, taglia e posizionamento
dell’immagine. Nel caso de Las Meninas troviamo una
dimensione molto ampia, praticamente a misura naturale
(la tela misura 318 x 276 cm.). L’effetto di dimensione
naturale è accentuato dalla collocazione ad altezza d’uo-
mo cui la tela era destinata.

4.2.9.3 L’istituzione dei sistemi di sguardo secon-


dari di primo grado
Il secondo step consiste nella costituzione del sistema
di sguardo dell’osservatore. I mezzi per individuare l’os-

108
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

servatore e la sua posizione sono dati dalle pose e dagli


sguardi dei personaggi in scena e dal sistema prospettico
dell’immagine.
In Las Meninas il gioco delle pose e degli sguardi è
decisamente ambiguo. La parte sinistra del quadro offre
una composizione che pone l’osservatore spostato leg-
germente verso sinistra rispetto all’immagine: a lui sono
rivolti gli sguardi del pittore; verso di lui sono posizionate
la damigella a sinistra dell’Infanta e il busto della stessa
Infanta. Infine, su di lui si posa lo sguardo speculare dei
regnanti dal fondo della sala. Chiamiamo questo primo
possibile osservatore “A”.
La parte destra del dipinto offre invece indicazioni
per un posizionamento dell’osservatore leggermente spo-
stato verso la destra. La figura Infanta costituisce in que-
sto senso una figura cerniera: il suo busto e il suo sguardo
sono rivolti verso l’osservatore A, ma il suo volto è rivol-
to verso il secondo osservatore “B”. Stessa direzione di
sguardo e corpi per la damigella di destra e la nana di
corte, sempre a destra.
L’organizzazione prospettica dello spazio conferma il " Tav. 26b
posizionamento dell’osservatore B, collocato leggermente
a destra rispetto al centro dell’immagine: il punto di fuga
dell’immagine è situato infatti sull’avambraccio del mare-
sciallo collocato sulla porta in fondo a destra. Eppure non
viene del tutto propriamente smentita la presenza
dell’osservatore A. Chiunque, a prima vista, collochereb-
be il punto di fuga delle linee prospettiche in corrispon-
denza dello specchio. E non a caso: «La prospettiva in
Las Meninas non è affatto ovvia; essa va ricercata. [...] In
Las Meninas Velázquez ha fatto molto per distogliere la
nostra comprensione da ciò che stiamo vedendo. [In par-
ticolare] il dipinto in lavorazione sulla tela [...] ci impedi-
sce di vedere - o forse più correttamente ci fa dimenticare
- la parete sinistra della sala, nascosta dietro di essa [...].
Abolendo ogni possibilità di dare uno sguardo alla parte
di sinistra, Velázquez ha eliminato uno fra gli indizi prin-
cipali per scoprire il centro di proiezione»10.

109
Analisi semiotica dell’immagine

In sintesi possiamo affermare che questa immagine pone


due possibili soggetti osservatori: il primo (A) è posizionato
verso la sinistra e il suo sguardo incontra quello dei re-
gnanti sullo specchio posto di fronte a lui. Il secondo (B)
è posto sulla destra e lo sguardo raggiunge il gomito del
maresciallo di palazzo su cui cade il punto di fuga pro-
spettico11.

4.2.9.4 L’istituzione dei sistemi di sguardo secon-


dari di secondo grado
Passando all’esame dei soggetti astanti, possiamo di-
stinguere cinque sistemi di sguardo.
Un primo sistema è orientato simultaneamente alla
tela presente nell’immagine (quella che sta dipingendo il
pittore e di cui vediamo solo il retro) e alla scena intera
vista da dietro: sta guardando tali elementi il maresciallo
che appare nella porta sul fondo da una posizione distan-
te, leggermente volto sulla sua destra.
Un secondo sistema è orientato vero la tela e ha co-
me soggetto di sguardo il personaggio di Diego Ruiz de
Azcona: anch’egli è posto obliquamente, ma più ravvici-
nato, dunque con un angolo visuale più ristretto, e inoltre
posto verso la sinistra della tela di cui noi vediamo il re-
tro.
Un terzo sistema ha come oggetto guardato l’Infanta:
il soggetto astante è la damigella di sinistra posta di profi-
lo, simile a un angelo in un’Annunciazione.
Un quarto sistema di sguardo reperibile mediante le
figure di astanti è orientato verso la scena che ha luogo
frontalmente verso sinistra: sguardi del pittore e
dell’Infanta, nonché dei regnanti dallo specchio di fondo.
Un quinto sistema di sguardi è orientato anch’esso
verso la scena invisibile che ha luogo sul “davanti” della
tela ma verso destra: la damigella di destra e la nana di
corte hanno lo sguardo rivolto verso questa direzione.
Venendo infine alle insegne o epigrafi notiamo la pre-
senza dello specchio sul fondo, della porta semiaperta, e
soprattutto della finestra sulla destra della tela. Porta e

110
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

finestra veicolano la luce che irrompe nella scena, e si


prestano in questo senso a costituire una metafora del
soggetto di sguardo. Si osservi a questo proposito che le
aperture sono orientate sia verso la tela dipinta (posta
quasi frontalmente rispetto alla porta sul fondo e lateral-
mente rispetto alla finestra), sia verso la scena intera: in
particolare, la luce proveniente dalla finestra sulla destra si
posa sull’Infanta al centro del dipinto esaltandone la pre-
senza.

4.2.9.5 La disposizione reciproca dei sistemi di


sguardo secondari
Il quarto step consiste nella disposizione reciproca dei
diversi sistemi di sguardo secondari. Ne Las Meninas due
dei sistemi di astanti reperiti si saldano a quelli degli os-
servatori: il sistema dell’osservatore A si salda con quello
dei regnanti riflessi nello specchio, del pittore e
dell’Infanta; il sistema dell’osservatore B si salda con se-
micerchio di astanti a destra. Inoltre l’ingresso della luce
dalla porta di fondo coincide con il sistema di sguardo
avente per protagonista il maresciallo di palazzo (che ap-
punto si affaccia dalla porta).
Se teniamo conto di questi accorpamenti possiamo
individuare in sostanza sei sistemi di sguardo complessivi
(indichiamo con un freccia l’orientamento del sistema da
osservatore a osservato):
i. osservatore A &' Regnanti (e specchio epigrafico) /
pittore / sguardo dell’Infanta;
ii. osservatore B &' volto dell’Infanta, damigella di
destra / nana di corte;
iii. Maresciallo di palazzo e raggio di luce epigrafico dal
fondo ' tela dipinta + scena complessiva vista dal re-
tro;
iv. Diego de Azcona ' tela dipinta;
v. damigella di sinistra ' Infanta;
vi. raggio di luce epigrafico da destra ' Infanta e tela
dipinta.

111
Analisi semiotica dell’immagine

L’architettura degli sguardi che affiora dalla disposi-


zione reciproca di questi sistemi, presenta un asse oriz-
zontale dato dai sistemi iv. e v.: questi sono in posizione
reciproca di frontalità (la damigella guarda l’Infanta da
sinistra, il raggio di luce la colpisce da destra). Rispetto a
questo asse i due sistemi coinvolgenti l’osservatore (i. e ii.)
sono in un rapporto di corrispondenza con i sistemi iii. e
iv.: i due personaggi dal fondo guardano la scena rappre-
sentata all’interno della tela «finta» da due posizioni diffe-
renti, e queste corrispondono alle due posizioni rispetto
alla scena rappresentata nel quadro «reale» assunte dai due
osservatori A e B12.
Rispetto a questa architettura i due sistemi i. e ii.,
coinvolgendo i due osservatori A e B, rivestono una fun-
zione portante.

4.2.9.6 L’assegnazione di attività interpretative ai


soggetti di sguardo secondari rispetto al mondo
testuale
Il quinto step consiste nell’assegnazione ai soggetti
dello sguardo di attività interpretative, con la conseguente
instaurazione di una rete di relazioni con il mondo testua-
le.
In Las Meninas le azioni interpretative sono prepon-
deranti, fino a saturare quasi completamente il mondo
narrato. Questo fatto rende particolare la situazione del
quadro, che ci offre quasi solamente delle correlazioni tra
più azioni interpretative interdipendenti e depriva quelle
pragmatiche: tutti guardano e dunque interpretano,
l’unica azione pragmatica è quella del pittore che sta di-
pingendo. Mancano inoltre moti passionali: guardare chi
sta solamente guardando non muove passioni particolar-
mente violente; c’è solo la sospensione di uno sguardo
ripetuto, molteplice, circolante.
Riprendiamo ora i sistemi di sguardo enucleati nel
paragrafo precedente per osservare come si innestano su
di essi le azioni e relazioni interpretative.

112
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

Il sistema i. coinvolge come abbiamo detto


l’osservatore A; questi incrocia il suo sguardo con i due
regnanti, con il pittore e in parte con l’Infanta. La relazio-
ne prossemica riguarda in questo caso principalmente il
pittore (unico ad agire sia interpretativamente che prag-
maticamente). L’osservatore viene qui investito del ruolo
narrativo di colui che viene ritratto, entrando in un rapporto
di identificazione con le figure dei regnanti.
Il sistema ii., fa capo all’osservatore B, guardato dal
gruppo di astanti disposti a semicerchio in primo piano in
centro e verso destra. Troviamo un rapporto prossemico
diretto con queste figure, in particolare con l’Infanta col-
pita dal raggio di luce. Le pose dei personaggi indicano
qui non tanto un voler guardare quanto un voler essere guardati
e un voler essere ritratti (o anche un sapere di essere ritratti). I
soggetti in scena insomma sono in posa per un dipinto in
atto, e l’autore del dipinto è lo stesso osservatore che li
sta osservando. In questo modo il sistema delle pose de-
termina un ruolo narrativo per l’osservatore B diametral-
mente opposto a quello dell’osservatore A: non più sog-
getto ritratto ma soggetto ritraente, non più regnante ma
pittore. Non a caso la posizione di B coincide con il pun-
to di fuga del quadro, ovvero con la posizione del pittore
che ha guardato e riprodotto l’intera scena.
Gli altri sistemi coinvolti rinviano in vario modo a
una funzione spettatoriale rispetto ai due sistemi portanti
ritraente - ritratto introdotti. Il Maresciallo di palazzo e
Diego de Azcona (sistemi iii. e iv.) guardano da due posi-
zioni differenti la tela rappresentata all’interno del quadro:
essi esercitano un’azione interpretativa nei confronti di
un’immagine, la stessa immagine che il pittore sta dipin-
gendo e i cui soggetti sono i regnanti identificati con
l’osservatore A. La damigella (sistema v.) guarda, da vici-
no e da sinistra, l’Infanta, così come il raggio di luce (si-
stema vi.) colpisce la bambina da destra: entrambi sono
orientati verso il soggetto protagonista dell’immagine che
il pittore invisibile, identificato con l’osservatore B, sta
dipingendo. Il raggio di luce colpisce inoltre (a media

113
Analisi semiotica dell’immagine

distanza e da destra) sia l’Infanta che la tela: essa sintetiz-


za quindi i due aspetti precedenti spostando a un livello
metaforico l’atto dell’interpretazione13.
In sintesi, la tela racconta la storia di due rappresen-
tazioni pittoriche in atto: l’una ha per oggetto i due re-
gnanti e assegna all’osservatore il ruolo di colui che viene
ritratto; l’altra ha per oggetto le damigelle di corte e asse-
gna all’osservatore il ruolo di colui che ritrae.

4.2.9.7 La disposizione dei sistemi di sguardo se-


condari rispetto al sistema di base
Il sesto step consiste nella disposizione dei sistemi di
sguardo secondari (che hanno per protagonisti i soggetti
vicari dello spettatore) rispetto al sistema di base (che ha
per protagonista lo spettatore stesso).
Ne Las Meninas, i sistemi dei due osservatori A e B
coincidono entrambi facilmente con due posizione spa-
ziali dello spettatore definito nel primo step. Resta un cer-
to margine di manovra dello spettatore che, per rendere il
gioco perfetto, deve posizionarsi ora leggermente sulla
destra, ora sulla sinistra rispetto alla tela14.
A partire da questa posizione lo spettatore individua
gli altri quattro sistemi di sguardo e ne valuta la diversa
angolazione rispetto a quelli dell’osservatore e dunque
anche rispetto al proprio: il Maresciallo, De Azcona, la
damigella, il raggio di luce.

4.2.9.8 L’assegnazione allo spettatore delle rela-


zioni interpretative tra i soggetti secondari e il
mondo testuale
Il settimo e ultimo step consiste nella proposta allo
spettatore delle relazioni costituite tra soggetti vicari e
mondo testuale, e dunque dei ruoli narrativi definiti nel
quinto step.
Ne Las Meninas questa offerta di canali di accesso al
mondo testuale avviene anzitutto attraverso la mediazio-
ne dei due soggetti osservatori. Condividendo la posizio-

114
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

ne dei due osservatori, lo spettatore è invitato a sposarne


anche i ruoli narrativi rispettivamente di ritratto e di ritraen-
te. La coincidenza dei sistemi di sguardo dello spettatore e
degli osservatori rende dunque lo spettatore egli stesso
personaggio della scena dipinta, come lo è l’osservatore:
personaggio molteplice e contraddittorio, rivestito di due
ruoli opposti.
Inoltre, egli riceve da astanti ed epigrafi una serie di
indicazioni aggiuntive circa cosa guardare e come guarda-
re: il Maresciallo, de Azcona, la damigella e il raggio di
luce funzionano come altrettanti rinvii allo stesso atto
spettatoriale.
Nel complesso la posizione e il ruolo dello spettatore
de Las Meninas sono ambigui, oscillanti, fluidi. Lo spetta-
tore è costantemente rinviato da una posizione all’altra,
da un ruolo all’altro, grazie a un gioco calcolato di «so-
vrapposizione instabile di forme diverse di invisibilità»15.

4.3 Le configurazioni del punto di vista

4.3.1 Punto di vista e coinvolgimento dello spettato-


re

Il meccanismo di costruzione del punto di vista defi-


nisce dunque un rapporto tra il mondo testuale e lo spet-
tatore; questo rapporto è fondato sulla posizione spaziale
e sul ruolo narrativo che vengono proposti allo spettato-
re. L’analisi de Las Meninas ci ha permesso di osservare la
costruzione di un rapporto di forte coinvolgimento dello
spettatore nel mondo testuale: allo spettatore veniva pro-
posta un’identificazione con due precisi ruoli narrativi
della scena e ciascuno di essi era dotato di una posizione
“reale” nello spazio di fronte alla tela. Tuttavia è impor-
tante osservare che non tutti i rapporti con il mondo te-
stuale sono uguali: in altri casi il punto di vista definisce

115
Analisi semiotica dell’immagine

all’opposto un distacco tra mondo testuale e spettatore; e


tra le due alternative sono possibili diversi gradi interme-
di. Dovremo quindi studiare in che modo il meccanismo
di costruzione del punto di vista funziona nel definire
differenti gradi di coinvolgimento o distacco tra spettato-
re e mondo testuale.
Il meccanismo di costruzione del punto di vista gra-
dua il coinvolgimento o il distacco dello spettatore me-
diante l’attivazione di tre ordini di variabili.
La prima variabile è la coincidenza spaziale tra il sistema
di sguardo dell’osservatore implicito e quello dello spettatore. Lo
sfalsamento rappresenta un fattore di distacco. La coinciden-
za, al contrario, è un fattore di coinvolgimento.
La seconda variabile è l’esibizione delle attività interpreta-
tive dell’osservatore. L’occultamento rappresenta un fattore di
distacco. L’esibizione costituisce un elemento di coinvol-
gimento.
La terza variabile è la presenza di astanti e/o indicatori
(ed eventualmente di epigrafi) e delle loro attività inter-
pretative. L’assenza costituisce un fattore di distacco. La
loro presenza rappresenta invece un fattore di coinvolgi-
mento.
A partire da queste variabili è possibile costruire una
matrice di diverse possibili configurazioni, ciascuna delle
quali è dotata di un diverso grado di coinvolgimento dello
spettatore:

116
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

coincidenza esibizione presenza di


dei sistemi dell’attività astanti e
osservatore / interpretativa indicatori
spettatore dell’osserva- (o epigrafi)
tore
A - - - MASSIMO
DISTACCO
B - - + (

C - + -

D - + +

E + - -

F + - +

G + + -
)
H + + + MASSIMO
COINVOL-
GIMENTO

Analizziamo i diversi casi (da A ad H) mediante vari


esempi tratti dalla letteratura di analisi semiotica del testo
iconico.

4.3.2 Il distacco completo dello spettatore

Consideriamo anzitutto alcuni casi di completo di-


stacco dello spettatore (caso A della tabella in 4.3.1.). a-
vremo dunque:
! sfalsamento tra il sistema di sguardo dell’osservatore e
quello dello spettatore;
! occultamento delle attività interpretative dell’osservatore;
! assenza di astanti e indicatori (o epigrafi).

117
Analisi semiotica dell’immagine

La perspective amoureuse di René Magritte (1935) mostra ! Geninasca


fin dal titolo il proprio interesse per il sistema di posizio- 1991
namento dello spettatore dell’immagine mediante lo
strumento prospettico. In effetti possiamo descrivere
questo quadro distinguendo tre livelli di profondità: il
primo è costituito da un breve impiantito di assi longitu-
dinali, in primissimo piano in basso, che si esaurisce con-
tro un muro con una porta chiusa. Quest’ultima è trafora-
ta da una sagoma vagamente a forma di albero, che dà su
un paesaggio anomalo (secondo livello): su un declivio si
trovano un albero piatto, che ricorda una foglia, e una
casa disposta a circa 45 gradi rispetto a muro e porta. Il
fondo infine (terzo livello) è un paesaggio marino piatto e
sfumato.
A seconda che percorriamo l’immagine dal primo al
terzo livello o viceversa, noi possiamo osservare sostan-
zialmente il dissolversi o l’affiorare della prospettiva clas-
sica, con il punto di fuga delle linee unico e ben determi-
nato. Il primo piano è costruito infatti in base ai criteri
della prospettiva centrale, a trompe-l’œil. Il varco nella porta
introduce a un mondo dalle nuove leggi prospettiche:
l’albero è completamente piatto, bidimensionale; la casa
possiede un allineamento prospettico anomalo, anche
perché è posta su un declivio che rende le leggi prospetti-
che piuttosto precarie. Il terzo livello rappresenta infine
un annullamento completo della prospettiva: il paesaggio
marino è assolutamente piatto.
In questo senso l’articolazione dell’immagine nei tre
livelli descritti può essere letta come un percorso prepara-
to per lo spettatore: da un rassicurante principio di realtà
(il primo livello), attraverso un transito nell’area
dell’immaginario (il secondo livello), si arriva a un’idea
della percezione diretta e contemplativa del bello, in cui
«il significato non passa più attraverso la mediazione del
sapere sulle figure del mondo, ma si compie nell’evidenza
degli stati vissuti del soggetto»16. L’immagine rappresente-
rebbe insomma una sorta di “educazione sentimentale”

118
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

alla visione puramente estetica e patemica del paesaggio,


un progressivo aiutare lo spettatore a svincolarsi dei le-
gami della visione razionale (identificata con il regime
prospettico tradizionale), per lasciarsi assorbire e trascina-
re da un tipo di visione differente, in cui gli stati interiori
trovano una rappresentazione immediata nel paesaggio e
nelle figure, fino ad annichilire la componente prospettica
e figurativa: «nell’amore si scoprono le prospettive più
grandi», dice lo stesso Magritte commentando il proprio
quadro17.
In ogni caso, quello che ci interessa maggiormente in
questa sede (e che giustifica l’inserimento in posizione
“introduttiva” di questa analisi) è la messa in luce di due
elementi. In primo luogo osserviamo che il dipinto di
Magritte, accostando in maniera surreale sistemi di rap-
presentazione prospettici e non prospettici, porta alla luce
un presupposto molto importante del criterio di ordina-
mento delle configurazioni che stiamo seguendo: esso si
regge sulla presenza dell’osservatore implicito, garantita dall’uso
dello strumento prospettico. In assenza di prospettiva (cioè di
un posizionamento situato dell’osservatore rispetto al
mondo) non può essere verificata una coincidenza tra
sistema dell’osservatore e sistema dello spettatore, e dun-
que si giungerà automaticamente a un distacco di
quest’ultimo.
In secondo luogo è interessante notare la possibilità,
mostrata da Magritte alle sue estreme conseguenze, di
montare all’interno di un’unica immagine dei sistemi di
visione differenti; l’artista costruisce in questo modo
un’immagine straniante, apparentemente analoga ma in
effetti sottilmente distante dall’esperienza visiva cui siamo
abituati.

Castrovalva di Mauritius Cornelius Escher (1930) è " Tav. 35


una litografia che rappresenta un paesaggio montuoso in
Abruzzo. Sulla sinistra si vede un dirupo molto scosceso,
ritratto in scorcio, in cima al quale troviamo il paese che
dà il nome all’opera, anch’esso presentato in scorcio. A

119
Analisi semiotica dell’immagine

destra il dirupo continua verso la vallata, in fondo alla


quale si nota un altro paese. L’effetto per lo spettatore è
non solo di vertigine, ma anche di straniamento. Uno
sguardo attento permette di cogliere i motivi di tale stra-
niamento: l’immagine incastra due sistemi prospettici
differenti, e sfrutta per far questo l’espediente figurativo
del declivio. Il paese a valle risulta infatti ulteriormente
rimpicciolito e appiattito in quanto visto da un punto
spostato lateralmente e in altezza rispetto a quello di vi-
sione di Castrovalva, sulla sinistra.
Ritroviamo dunque il meccanismo del montaggio di
differenti sistemi di visione, già emerso nell’analisi de La
perspective amoureuse, ma questa volta si tratta di due sistemi
entrambi prospettici: l’immagine presenta più di un punto di
fuga, più di un nucleo di organizzazione della visione.
L’espediente dell’incastro di sistemi prospettici differenti
(e dunque dei criteri di resa in angolazione e in scala di-
versi) è un esempio interessante di distacco dello spetta-
tore. Escher in realtà non inventa, ma riscopre alcuni
caratteri della figurazione quattrocentesca. Lo storico
dell’arte Pierre Francastel ha notato come la regola nella
pratica pittorica quattrocentesca sia non l’adozione com-
pleta e complessiva della prospettiva legittima, centrale e
regolatrice, quanto piuttosto un suo uso solo locale (so-
prattutto nella resa degli edifici architettonici) all’interno
di una pluralità di scale e sistemi: Questa modalità per un
verso lascia spazio alla sopravvivenza di sistemi prospetti-
ci anomali (come la prospettiva laterale, ad es. in Paolo
Uccello) e per altro verso permette l’incastro di sistemi
prospettici differenti all’interno della stessa immagine. Per
esempio lo stesso Piero della Francesca quando dipinge il
ritratto dei duchi di Urbino (seconda metà del Quattro-
cento) usa l’espediente di distanziarli dal paesaggio di
fondo assumendo per quest’ultimo una scala e un’an-
golazione prospettiche differenti18. Un altro esempio di
innesto di un sistema di sguardo su di un altro è dato dalla
sovrapposizione delle figure dei donatori nelle pale e in
quadri di devozione privata; nel dipingere queste figure

120
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

infatti l’artista non tiene conto dei criteri di dimensioni e


scala che aveva seguiti nel costruire l’immagine sacra19.
Ancora: una costruzione spaziale simile viene adottata da
alcuni degli artisti otto-novecenteschi che avviano la di-
struzione dello spazio prospettico tradizionale, come per
esempio Vincent Van Gogh20.

4.3.3 Il distacco parziale: l’impiego degli astanti e


degli indicatori

La seconda configurazione delineata (caso B della ta-


bella in 4.3.1.) conserva i primi due punti della preceden-
te, ma introduce le figure di astanti, indicatori ed epigrafi.
Avremo quindi:
! sfalsamento tra il sistema di sguardo dell’osservatore e
quello dello spettatore;
! occultamento delle attività interpretative dell’osserva-
tore;
! presenza di astanti e indicatori (o epigrafi).

I personaggi qualificati come indicatori e astanti sono # 3.3.3.2; 3.4.5;


già stati esaminati nel capitolo precedente sotto l’aspetto 4.2.4
del loro agire e del loro patire all’interno del mondo te-
stuale. Possiamo ora cogliere la loro funzione nella co-
struzione dei rapporti tra spettatore e mondo testuale:
indicatori e astanti mettono in scena azioni di interpreta-
zione rivolte al mondo testuale; in tal modo essi costitui-
scono una guida e un’indicazione per lo spettatore su cosa
guardare e su come guardarlo.
A questo proposito è utile precisare in cosa consi-
stono le azioni interpretative messe in scena. Da un pun-
to di vista logico possiamo distinguere tre azioni interpre-
tative tipiche proprie della figura dell’indicatore e tre corri-
spondenti azioni interpretative tipiche dell’astante; chiame-
remo queste azioni tipiche funzioni interpretative dell’indica-
tore e dell’astante. Esse sono:

121
Analisi semiotica dell’immagine

INDICATORE (Ind) ASTANTE (Ast)

1 Ind 1: guardare un Ast 1: guardare chi sta


altro soggetto (un indicando, mostrando
astante o di aver raccolto il
l’osservatore) per richiamo di attenzio-
attrarre la sua atten- ne.
zione.
2 Ind 2: indicare a costui Ast 2 volgere lo sguardo
l’azione da interpreta- verso l’azione indicata
re. percependo e cono-
scendo tale azione.
3 Ind 3: mostrare a costui Ast 3: reagire patemica-
(solitamente in forma mente a quanto visto e
abbozzata) le reazioni conosciuto.
patemiche più oppor-
tune.

Queste diverse funzioni possono non essere tutte


presenti, oppure possono essere ripartite su più perso-
naggi. Al contrario, uno stesso personaggio può accorpa-
re funzioni distinte sia dell’indicatore che dell’astante. Per
esempio quando Leon Battista Alberti nel De Pictura con-
siglia agli artisti di introdurre nelle loro opere alcune figu-
re di “commentatori”, li descrive come «coloro che ci
avvertono e ci indicano che cosa accade: oppure che ci
esortano a vedere con la mano, o ci minacciano con una
faccia incollerita e gli occhi scintillanti al punto che nes-
suno osa avvicinarli, oppure segnalano qualche pericolo o
qualche prodigio; o, ancora, ci invitano a piangere o a
ridere con loro». L’Alberti sta descrivendo in realtà una
figura che accorpa le tre funzioni dell’indicatore (il guar-
dare il soggetto, l’indicare la scena, il mostrare la reazione
passionale) con alcune proprie dell’astante (il guardare
egli stesso la scena e il reagire passionalmente in modo
soggettivo, non più semplicemente mimico-mostrativo).

122
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

Ricordiamo infine che la presenza di indicatori e a-


stanti può combinarsi con quella di epigrafi: la presenza
di sguardi viene rappresentata non direttamente ma trami-
te metafore; la principale di queste è data da raggi di luce
che cadono sulla scena.

L’opera di Giotto presenta molti spunti interessanti


per quanto riguarda l’articolazione delle funzioni interpre-
tative di astanti e indicatori. Vediamone un esempio.
Nel Compianto sul Cristo morto (facente parte del ciclo " Tav. 2
di affreschi presso la Cappella degli Scrovegni a Padova # 3.2.4; 3.4.2;
1304-1306) non esiste una vera e propria azione centrale:
al centro dell’immagine troviamo il corpo inerte del Cri-
sto morto, dunque impossibilitato ad agire sia pragmati-
camente che cognitivamente. In compenso questo corpo
è circondato da un flusso vario e complesso di azioni
interpretative da parte dei diversi personaggi presenti.
Questi possono essere suddivisi in tre gruppi. Anzitutto
troviamo i soggetti che circondano direttamente il corpo;
essi fissano il proprio sguardo su tre punti nodali: il capo,
le mani e i piedi; e manifestano reazioni passionali di va-
rio tipo e grado, con due punti culminanti nelle due figure
quasi speculari sulla sinistra e sulla destra del gruppo. In
secondo luogo, troviamo i due soggetti maschili sulla
destra, che guardano al tempo stesso il Cristo e il gruppo
sopra descritto, in atteggiamento più distaccato. In terzo
luogo c’è il gruppo di angeli in cielo, i cui atteggiamenti
patemici sono particolarmente accentuati con varie “rime
patemiche”, ripetizioni di atteggiamenti mimici di dispe-
razione da un soggetto all’altro.
Nel complesso quindi ritroviamo nell’immagine una
folta schiera di astanti, i quali delineano vari atteggiamenti
interpretativi offerti indirettamente allo spettatore. Per un
verso viene offerta la possibilità di osservare nei punti
opportuni il corpo di Gesù: il capo, il costato, i piedi; la
cosa non è di poca importanza: individuare i giusti luoghi
del corpo di Cristo da contemplare significa mettersi in
grado di ripercorrere le tappe della sua passione per me-

123
Analisi semiotica dell’immagine

tonimia, ovvero mediante le tracce che ciascuna stazione


di quel racconto di sofferenza ha impresso su quel corpo,
fino alla morte. Sono soprattutto le figure che attorniano
il corpo, con la direzione dei propri sguardi, a fornire allo
spettatore queste istruzioni di ordine prioritariamente
cognitivo. Alle indicazioni cognitive si saldano immedia-
tamente, per altro verso, le indicazioni passionali: median-
te i diversi personaggi vengono suggeriti e offerti diversi
atteggiamenti patemici, da un grado massimo di coinvol-
gimento emotivo (le due donne attorno al corpo, gli ange-
li), a un grado massimo di distacco contemplativo (i due
uomini sulla destra).

L’opera di Domenico Ghirlandaio si svolge prevalen-


temente a Firenze nella seconda metà del Quattrocento e
testimonia una raggiunta padronanza della prospettiva
come strumento di organizzazione del mondo visivo.
Ghirlandaio è un narratore brillante, che fissa nelle sue
opere scene e personaggi della Firenze del suo tempo. La
composizione tipo pone al centro l’azione principale, e
dispone lateralmente una grande folla di astanti, nei quali
vengono raffigurati i reali personaggi della Firenze del
tempo e talvolta l’autore stesso. Ci limitiamo anche in
questo caso a un solo esempio, che offre la possibilità di
osservare una variante un po’ particolare della configura-
zione che stiamo studiando.
Nella Vocazione di S. Pietro e S. Andrea (un affresco
nella Cappella Sistina in Vaticano del 1481), troviamo
l’azione al centro, in primo piano. Sullo sfondo
(all’interno di un paesaggio dipinto in prospettiva con
l’apporto della prospettiva aerea, ovvero con un graduare
prevalere di tinte chiare) sono riprodotte le fasi preceden-
ti della storia (la chiamata dalla riva e la pesca miracolosa).
A sinistra e a destra sono posti due gruppi di astanti; ma
mentre il gruppo sulla destra ha gli occhi posti sulla scena
centrale in maniera sostanzialmente omogenea, diversa è
la situazione del gruppo sulla sinistra. Qui, mentre alcuni
guardano e altri fanno cenno a costoro (interazione di

124
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

astanti e indicatori), un gruppetto sul lato estremo non sta


guardando, ma bensì ascoltando qualcosa da un soggetto
posto di spalle, incappucciato. Si tratta di un espediente
interessante: la proiezione nel mondo testuale dello spet-
tatore non avviene in base alle funzioni di indicatore e
astante, ma piuttosto in base alle azioni del narrare ver-
balmente da un lato e dell’ascoltare la narrazione
dall’altro. L’enunciazione si specchia e si proietta nel
mondo testuale enunciato sotto forma di verbalizzazione,
racconto orale, e non più come connessione tra indica-
zione e sguardo21.

Nicolas Poussin non ha lasciato solo numerosi dipin- ! Marin 1986


ti, ma anche alcuni disegni per arazzi delle tappezzerie
reali. In alcuni di questi la presenza di astanti e indicatori
è molto evidente e permette di analizzare dal vivo la di-
stribuzione sui personaggi in scena delle funzioni inter-
pretative22.
In un arazzo raffigurante l’incontro tra Luigi XIV e
Filippo IV Re di Spagna sulla frontiera dei Pirenei, tro-
viamo: la figura di Monsieur, fratello del re, a sinistra che
guarda l’osservatore (funzione Ind 1 dell’indicatore); una
figura anonima, di schiena, sempre a sinistra, che indica
l’episodio centrale (funzione Ind 2 dell’indicatore); una
figura che guarda la scena, a destra, di profilo (funzione
Ast 2 dell’osservatore).
E’ interessante notare come i diversi soggetti svolga-
no diversamente un’operazione unitaria: quella di cattura-
re l’attenzione dello spettatore e orientarla verso il centro
della scena. Si può sottolineare inoltre l’assenza di passio-
ni esibite (assenza quindi sia della funzione Ind 3 che
della funzione Ast 3), e quindi la prevalenza del puro
sguardo depassionalizzato23: allo spettatore è chiesto solo
di guardare, di assistere quale testimone imparziale e so-
vrano (di una sua tutta particolare sovranità dello sguar-
do) all’evento storico.
Un altro arazzo mostra l’entrata di Luigi XIV a Dun-
kerque, il 2 dicembre 1662. Qui troviamo: la figura del

125
Analisi semiotica dell’immagine

sovrano stesso, al centro, che guarda l’osservatore e indi-


ca la città, esprimendo per metonimia la sua conquista
(funzioni Ind 1 e Ind 2 dell’indicatore, con la particolarità
che il gesto è compiuto dallo stesso protagonista, e sosti-
tuisce per così dire l’azione); la figura di Monsieur, che
guarda l’osservatore senza indicare (funzione Ind 1
dell’indicatore); la figura di un contadino su un albero che
guarda la scena e esprime ammirazione mediante i codici
mimici e fisiognomici dell’epoca. (funzioni Ast 2 e Ast 3
dell’astante).
In questo caso possiamo individuare un duplice per-
corso di coinvolgimento dello spettatore: mediante
l’interpellazione del re e mediante l’interpellazione di
Monsieur + l’atteggiamento del contadino. Nel primo
caso c’è un rapporto diretto con il personaggio centrale,
nel secondo il rapporto è indiretto; tuttavia solo nel se-
condo caso emerge l’elemento passionale, la meraviglia
per l’impresa reale. I due percorsi tendono quindi a con-
giungersi: al rapporto diretto con il re, indicatore - attore
eroico e apatico, lo spettatore è invitato a reagire con la
passione base della meraviglia.

Torniamo su un altro dipinto di Poussin che ormai ! Marin 1986;


dovremmo conoscere bene: La caduta della Manna (1637 Thürlemann 1980
ca.). Già sappiamo che, al di là del racconto, il quadro " Tav. 23
innesca un triplice riferimento metaforico: tra il gruppo # 3.3.4.1; 3.4.2;
3.4.4; 3.5.1; 3.5.4
della Carità romana in primo piano a sinistra e la scena
centrale della caduta della Manna (metafora in presenza:
miracoli di pietà nutritiva) e tra questi e l’invisibile dono
della Eucaristia (metafora in assenza).
In questo senso «la “Carità Romana” può ... a buon
diritto essere considerata come una mise en abyme
dell’enunciato, o ancora ... come un esordium ad rem, che pre-
para lo spettatore alla comprensione della scena principa-
le»24. Comprensione che richiede un doppio passaggio di
livello interpretativo: dal racconto alla metafora in pre-
senza, e da questa alla metafora in assenza. E’ legittimo
chiedersi se lo stesso gruppo della Carità romana non

126
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

offra una qualche indicazione che orienti lo spettatore


verso questi salti interpretativi da un livello all’altro.
La risposta sta nel recupero di un altro elemento del
gruppo della Carità romana, già in parte esaminato per
quanto concerne il suo atteggiamento passionale: l’uomo
a sinistra del gruppo che guarda questa piccola scena e
reagisce manifestando la passione della meraviglia25. Si
tratta evidentemente di una tipica figura di astante; più in
particolare essa assomma su di sé le funzioni Ast 2 e Ast
3: il guardare e il reagire patemicamente mediante la mera-
viglia.
Occorre tuttavia considerare la particolare natura che
questa passione rivestiva per gli uomini del periodo. Per
Cartesio (sulla cui classificazione delle passioni si basa la
codificazione della fisiognomica passionale dell’epoca,
codificata da in una celebre conferenza dal pittore e teori-
co Charles le Brun), la meraviglia costituisce una passione
di base, antecedente a investimenti di valore: «l’effetto
passionale [della meraviglia] si produce nel momento
della congiunzione del soggetto con un oggetto di sapere
che supera le sue attese o mette in difetto le sue cono-
scenze precedenti». Si tratta dunque di una passione par-
ticolare, strettamente innervata sul procedere degli atti
cognitivi dell’interpretazione; più in particolare, rispetto
all’atto interpretativo cognitivo la meraviglia si colloca come
punto di snodo, alla fine di un primo circuito dell’interpretazione, e
all’inizio di un secondo circuito: il soggetto ha percepito una
certa realtà, ha compreso che non sa comprenderla del
tutto, che deve avviare un nuovo atto di interpretazione
più approfondito, e manifesta tale atteggiamento nella
passione della meraviglia.
D’altra parte lo stesso Poussin (in una lettera del
1642) distingue tra due operazioni interpretative
dell’immagine dipinta: quella dell’«aspetto», più immedia-
ta, superficiale, e legata a elementi e mezzi naturali, e
quella del «prospetto», o considerazione più attenta, ope-
razione di ragione che richiede l’intervento di mezzi cul-
turali. Si può osservare (anche eseguendo un confronto

127
Analisi semiotica dell’immagine

filologico tra il testo di Cartesio e quello di Poussin) che


la meraviglia va intesa come il punto di snodo tra aspetto e prospet-
to: starebbe allora al pittore suscitare meraviglia (e allo
spettatore reagire con meraviglia all’immagine) affinché si
possa passare dal significato primo e immediato al signifi-
cato o ai significati ulteriori e più riposti26.
A questo punto possediamo tutti gli elementi per
giungere a qualche conclusione. Abbiamo detto che il
quadro richiede allo spettatore un salto da un livello in-
terpretativo all’altro; possiamo ora dire: un passaggio
dall’«aspetto» al «prospetto». Affinché questo salto avven-
ga, occorre che lo spettatore passi attraverso lo stato pas-
sionale della meraviglia. Ecco dunque rivelata la funzione
dell’astante del gruppo della Carità romana: costui rappre-
senta la proposta e l’istruzione rivolta allo spettatore circa
l’atteggiamento passionale e cognitivo da assumere di
fronte alla scena rappresentata.
In questo senso, come il gruppo della Carità romana
rappresentava una mise en abyme dell’enunciato, così
l’astante rappresenta a sua volta una «mise en abyme
dell’enunciazione, e più in particolare della posizione dell’e-
nunciatario» dell’intero dipinto. «Con la scelta di [questo]
motivo particolare, [Poussin] non provoca solo la
meraviglia dello spettatore, in più lo obbliga [noi direm-
mo: lo invita, lo istruisce] a effettuare certe precise opera-
zioni cognitive che portano sul soggetto globale della
rappresentazione. [...] L’effetto passionale della meraviglia
gli serve come strumento nel processo di costituzione
della significazione per condurre lo spettatore da un livel-
lo di senso che gli è prossimo fino a un livello di senso
che appartiene alla sfera del mistero»27.

Abbiamo lasciato in ombra la connessione tra astanti ! Marin 1978


e indicatori da un lato, epigrafi dall’altro. Riprendiamo a # 3.3.2
questo proposito un altro dipinto di Poussin: I pastori di
Arcadia (chiamato anche Et in Arcadia Ego, del 1640 ca.).
Come avevamo sottolineato nel capitolo precedente
questo dipinto moltiplica i gesti di indicazione e di sguar-

128
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

do, e depriva nel contempo l’oggetto dell’interpretazione.


Al centro non c’è infatti un’azione, ma l’enigmatica scritta
«et in Arcadia ego» incisa su una sorta di tomba - altare.
Attorno a questo monumento si trovano quattro pastori:
il primo a sinistra (chiamiamolo A) sta in piedi e guarda
(funzione Ast 2 dell’astante) un secondo pastore sempre a
sinistra inginocchiato (B) che indica la scritta mentre la
legge (funzioni Ind 2 dell’indicatore + funzione Ast 2
dell’astante); un terzo pastore a destra, curvo (C), indica il
secondo pastore inginocchiato a una quarta pastora men-
tre la guarda (funzioni Ind 1 e Ind 2 dell’indicatore); la
quarta pastora (D) guarda a sua volta il secondo pastore
inginocchiato (funzione Ast 2 dell’astante).
In altri termini abbiamo qui una sorta di mise en abyme
dell’agire interpretativo di astanti e indicatori: a un primo
livello abbiamo il pastore B che indica e legge la scritta; a
un secondo livello abbiamo una rete di indicazioni e
sguardi scambiati tra gli altri tre personaggi in scena che si
indirizzano verso lo stesso B e il suo atto interpretativo: B
da indicatore diventa indicato, da astante in sguardo di-
venta osservato.
Non solo. Proseguendo in questo “inscatolamento”
possiamo individuare anche un terzo livello. Tutta la sce-
na descritta in effetti non è frontale rispetto alla posizione
dell’osservatore, ma leggermente spostata di lato, messa
in scorcio. Pure, sussiste uno sguardo frontale rispetto alla
scena: è quello rappresentato metaforicamente dal raggio
della luce solare che, entrando da sinistra rispetto
all’osservatore e frontalmente rispetto alla scena, colpisce
e avvolge i pastori che indicano, il lettore - indicatore
centrale, l’ara e la scritta stessa. La presenza dell’epigrafe
del raggio di luce laterale permette quindi di individuare
un terzo livello di “inscatolamento” del gioco di figurati-
vizzazioni.
In sintesi, I pastori di Arcadia costruisce i percorsi in-
terni di sguardi in una struttura a vortice, convergente ver-
so e culminante nell’enigmatica scritta centrale, la quale
implica a sua volta un “salto” dal visibile al leggibile. In

129
Analisi semiotica dell’immagine

questo disegno sono coinvolti non solo indicatori e astan-


ti, ma anche un’epigrafe (il raggio di sole semifrontale).

4.3.4 Il coinvolgimento parziale dello spettatore: la


soggettività

4.3.4.1 Soggettività e interpellazione come modalità


di emergenza dell’osservatore
La terza e la quarta configurazione delineate nella ta-
bella in 4.3.1. (casi C e D) introducono rispetto alle pre-
cedenti l’esibizione dell’attività interpretativa del soggetto
osservatore implicito. Avremo quindi:
! sfalsamento tra il sistema di sguardo dell’osservatore e
quello dello spettatore;
! esibizione di attività interpretative dell’osservatore;
! assenza (caso C) o presenza (caso D) di astanti e indi-
catori (o epigrafi).
Si tratta di un ulteriore passo avanti verso un pieno
coinvolgimento dello spettatore: costui trova ora esibita
l’attività interpretativa dell’osservatore e quindi una sua
precisa relazione con il mondo testuale. Il principale ele-
mento di distacco è costituito dall’impossibilità per lo
spettatore di far collimare la propria posizione spaziale di
fronte all’immagine con quella del soggetto osservatore
rispetto alla scena ritratta. Il soggetto osservatore può
indifferentemente essere assunto dallo spettatore come
“io” oppure come “egli”.
Circa le configurazioni C e D è necessario fare # 4.2.3; 4.2.6
un’importante precisazione introduttiva. L’osservatore è,
come sappiamo, il soggetto implicito della visione; egli non
è dunque figurativizzabile. Di conseguenza l’attività inter-
pretativa dell’osservatore non potrà essere rappresentata
direttamente (come accade per gli indicatori e gli astanti);
essa deve essere inferita dallo spettatore a partire da alcuni
indizi testuali. Più precisamente troviamo due percorsi
inferenziali possibili.

130
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

Il primo percorso procede dall’effetto alla causa: vengo-


no raffigurati gli effetti dell’attività interpretativa dell’osser-
vatore affinché lo spettatore possa risalire alla loro cau-
sa28. L’inferenza messa in atto sarà quindi di tipo diagnosti-
co29. In questo caso alcuni elementi della scena rappresen-
tata costituiscono la trascrizione in termini grafici e pitto-
rici del risultato dell’attività interpretativa dell’osservatore:
ad esempio una distorsione più o meno pronunciata della
visione “normale” in termini di angolazione, messa a fuo-
co di forme e colori, ecc. Parleremo a questo proposito di
una configurazione di soggettività. Dal momento che essa
non richiede di per sé la presenza di astanti, possiamo
assimilarla al caso C della nostra tabella: ne tratteremo nel
seguito di questo paragrafo.
Il secondo percorso procede invece al contrario,
permettendo di desumere i possibili effetti dell’attività
interpretativa a partire dalle sue cause30. L’inferenza mes-
sa in atto dallo spettatore sarà quindi di tipo prognostico31.
L’attività interpretativa dell’osservatore viene qui inferita
a partire da quanto la suscita e la indirizza: ad esempio le
pose dei soggetti in scena, i loro sguardi, gli inviti, le rea-
zioni, ecc. Parleremo di una configurazione di interpella-
zione. Dal momento che essa richiede nella quasi totalità
dei casi la presenza di indicatori e/o astanti, consideriamo
tale configurazione come assimilabile al caso D della ta-
bella: ne tratteremo nel prossimo paragrafo.

4.3.4.2 L’angolazione anomala del punto di vista


La configurazione della soggettività si basa, abbiamo
detto, sulla rappresentazione delle conseguenze, degli
effetti dell’attività interpretativa dell’osservatore. Occorre
anzitutto considerare a questo proposito che il meccani-
smo prospettico in sé implica automaticamente la trascri-
zione degli effetti dell’attività scopica di un osservatore;
esso infatti si regge sull’installazione di un sistema di
sguardo facente capo a un soggetto virtuale, monoculare
e fisso, e sulla trascrizione di quanto tale soggetto vede
mediante metodi e artifici grafico - geometrici. Tuttavia si

131
Analisi semiotica dell’immagine

comprendono facilmente i limiti di tale attività: il soggetto


resta un “puro occhio” impersonale, unico e fisso, privo
di reazioni passionali. Nel momento in cui si passa a rap-
presentare un’attività interpretativa più complessa del
soggetto osservatore, si fanno strada altri artifici grafici
miranti ad arricchire e a forzare i limiti del meccanismo
prospettico tradizionale. Questi mezzi e artifici sono so-
stanzialmente di tre tipi.
Il primo gruppo di artifici consiste nel variare
l’angolazione tridimensionale del punto di vista dell’os-
servatore rispetto al mondo testuale osservato, in modo
da individuare scorci anomali rispetto a quello frontale,
centrale e ad altezza d’uomo.
Abbiamo già visto come in alcuni degli esempi consi- " Tav. 34
derati venisse scelto un punto di vista dall’alto che evi-
denziava una posizione superiore dell’osservatore rispetto
al mondo osservato (per esempio in Piramo e Tisbe); una
simile angolazione verticale può essere ulteriormente esa-
sperata. Esaminiamo per esempio La torre di Babele, una
xilografia di Maurits Cornelis Escher del 1928. Il punto di
vista dell’osservatore viene posizionato in alto: la scena è
vista “a volo di uccello”, oltre la cima incompiuta della
torre e in un certo senso all’altezza del suo ipotetico e
irraggiungibile punto di compiutezza. Di conseguenza la
linea di orizzonte del mondo testuale e quella del piano di
sguardo non coincidono più: in particolare il punto di
fuga non si colloca più sull’orizzonte del mondo testuale,
ma piuttosto verso il suolo di tale mondo, verso il Nadir
(il punto ideale posto perpendicolarmente verso il basso
di soggetti e oggetti del mondo testuale32).
Ma il punto di vista potrebbe anche rovesciarsi, di
modo che il mondo testuale venga visto non più dall’alto,
ma dal basso: in una xilografia del 1947 per un ex libris
Escher pone l’osservatore in fondo a un pozzo, dal basso
verso l’alto; due mani si aggrappano a una scala che sale
verso l’esterno: di tale esterno si vedono la carrucola, il
cielo, un albero, una casa. Il titolo, Ne verremo fuori, allude
alla faticosa risalita dal baratro della guerra. Il punto di

132
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

fuga coincide in questo caso con lo Zenit del mondo te-


stuale, il punto diametralmente opposto al Nadir colloca-
to sulla calotta sferica del cielo33.

4.3.4.3 La deformazione e la dinamizzazione del


modello prospettico
Un secondo gruppo di artifici volti a esprimere
l’attività interpretativa dell’osservatore lavora sull’espli-
citazione delle “aberrazioni della visione”, cioè sulle di-
storsioni che l’occhio effettua naturalmente rispetto alla
visione impersonalmente ordinata e chiara dal modello
prospettico tradizionale. Si tratta di elaborare nuovi artifi-
ci grafici capaci di esprimere tali distorsioni; alcuni di que-
sti si integrano nel dispositivo prospettico di base, mentre
altri tendono a forzarne i limiti. Assistiamo qui non più
solamente a una collocazione particolare del sistema di
sguardo prospettico tradizionale, quanto piuttosto
all’innestarsi su questo sistema di una vera e propria atti-
vità interpretativa (per ora solamente di tipo percettivo):
l’osservatore non solo “guarda” ma “vede”, e l’immagine
riproduce i risultati di questo vedere.

Esaminiamo anche in questo caso un’immagine di " Tav. 33


Escher: Divisione spaziale cubica, una litografia del 1952
(ripresa in Profondità, silografia del 1955). La litografia
riproduce semplicemente un reticolo tridimensionale cu-
bico: ai punti di giunzione delle travi è posto un cubo
solido. L’immagine suggerisce potentemente un effetto di
tridimensionalità, e questo è dovuto in particolare a due
espedienti.
In primo luogo troviamo qui l’impostazione già esa-
minata per La torre di Babele: vi sono due punti di fuga
laterali verso cui convergono le linee perpendicolari o
semiperpendicolari al piano di sguardo, più un punto di
fuga collocato in basso, verso cui convergono le linee
verticali (dato, quest’ultimo, dalla collocazione del punto
di vista verso l’alto rispetto al reticolo raffigurato)34. In
secondo luogo troviamo un elemento nuovo: mano a

133
Analisi semiotica dell’immagine

mano che si rimpiccioliscono verso il fondo, travi e cubi


sono rappresentati meno ricchi di contrasto, più sfumati:
Escher applica qui la prospettiva aerea, consistente nello
sfumare verso il fondo oggetti e paesaggi come se vi fos-
sero strati di aria di colore chiaro mano a mano più spes-
si.
Osserviamo un altro esempio: la metà superiore della " Tav. 36
litografia Su e giù (1947). Possiamo notare che, oltre al già
esaminato punto di vista dall’alto, rintracciamo qui un
altro aspetto di soggettività: le linee verticali non sono più
rette - bensì curve; e tale curvatura tende ad accentuarsi
verso i lati. Abbiamo in questo caso l’uso di un altro tipo
di prospettiva, noto con il termine di «prospettiva curva».
Esempi di prospettiva curva si ritrovano in varie epoche e
contesti storici: basti citare alcune celebri miniature di
Jean Fouquet (seconda metà del 1400).

L’Annunciazione di Leonardo da Vinci (1475 ca., Fi- ! Corrain 1984


renze, Uffizi) presenta una struttura compositiva origina- " Tav. 9
le, che si distacca intenzionalmente dalla costruzione pro-
spettica tradizionale. Al centro della tavola in senso oriz-
zontale e leggermente verso l’alto in senso verticale tro-
viamo il punto di fuga; a partire da esso è possibile trac-
ciare un cerchio che rappresenta la sezione del cono otti-
co della visione monoculare dell’osservatore. Sulla stessa
linea di orizzonte e in corrispondenza dei margini laterali
della tavola (equidistanti dunque dal centro) sono presenti
due punti di distanza, verso cui convergono le linee orien-
tate a meno di 90 gradi rispetto al piano frontale, e che
quindi funzionano come punti di fuga ausiliari. Leonardo
riprende qui alcuni elementi costruttivi della «prospettiva
laterale», ma con alcune particolarità interessanti: egli
sdoppia i due punti di distanza usati come punti di fuga, e
li pone all’interno della cornice, equidistanti dal punto di
fuga principale (grazie al particolare formato “allungato”
dell’immagine, che misura cm. 98 x 217). Anche a partire
da questi due punti ausiliari è possibile tracciare dei cerchi

134
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

(che saranno dei semicerchi) della stessa ampiezza di


quello centrale che si intersecano in parte con quello.
Qual è il motivo di una simile invenzione? Seguendo
l’analisi di Corrain 1984, possiamo dire che l’artista tenta
qui di ristrutturare il sapere enciclopedico otti-
co/prospettico dell’epoca. Nei suoi scritti teorici Leonar-
do manifesta vari elementi di insoddisfazione rispetto ai
dettati della prospettiva tradizionale; in particolare ne
rifiuta due assiomi fondamentali. Il primo è quello della
puntualità della visione: secondo l’artista e scienziato non è
solo un punto, ma l’intera superficie dell’occhio a essere
coinvolta nella visione: il cono ottico è più ampio dei 60
gradi prescritti dai prospettici, e sussiste una differenza tra
percezione ben definita dell’area centrale (che Leonardo
chiama «conoscere») e percezione meno definita dell’area
laterale (che Leonardo chiama «vedere»). Il secondo as-
sioma rifiutato dall’artista è quello dell’immobilità
dell’occhio: anche se la testa dell’osservatore resta immo-
bile, l’occhio è soggetto a piccoli movimenti che gli per-
mettono di ampliare il campo di sguardo.
E’ appunto a partire da queste posizioni teoriche che
va spiegata l’invenzione prospettica leonardesca dei due
punti di fuga ausiliari laterali, equidistanti: «I punti di di-
stanza, oltre a stabilire la scansione delle rette parallele al
piano di proiezione (nella loro funzione, appunto, di pun-
ti di distanza), stabiliscono i luoghi in cui l’enunciatore si
è spostato per simulare una visione più simile al vero»35.
Essi riproducono dunque lo spostamento dell’occhio
sull’asse dell’orizzonte, cioè di quel movimento oculare
che permette di ampliare il cono visivo e distinguere tra
area del conoscere (il cono centrale) e area del vedere (i
semi coni laterali). In ogni caso essi indicano, in tensione
tra loro e con il punto centrale, i termini di un percorso
dell’occhio; trascrivono dunque un ulteriore aspetto
dell’attività interpretativa di ordine percettivo dell’osser-
vatore: il movimento del suo occhio.

135
Analisi semiotica dell’immagine

Pioggia, vapore e velocità di William Turner (1844) mo- ! Corrain 1987:


stra un treno su un ponte che procede verso l’osservatore, 108
in mezzo a un paesaggio campestre. Tanto la campagna " Tav. 31
quanto il treno possiedono forme quasi del tutto indefini-
te e appena riconoscibili.
Questa mancata definizione può essere spiegata in
due modi, entrambi riconducibili a una forte esibizione
della soggettività dell’osservatore. In primo luogo essa
corrisponde all’indefinitezza dello spazio aereo infinito,
così come appare all’occhio di chi guarda36. L’artificio
turneriano riprende ed esaspera in questo senso i dettami
della prospettiva aerea, ormai svincolata da finalità comu-
nicative, e legata del tutto all’espressione della soggettività
della visione interpretativa dell’osservatore.
Ma possiamo anche spiegare l’indefinitezza in
un’altra chiave: «Il lettore della tela “ingloba”, contempo-
raneamente, il ruolo di osservatore interno e esterno al
treno»37; in questo caso la mancata definizione di treno e
paesaggio sarebbero dovute al tipo di percezione che
consegue al movimento relativo tra soggetto percepente e
oggetto percepito: l’osservatore esterno coglie il passare
fugace e pertanto indefinito del treno; quello interno al
treno stesso coglie il passare fugace e pertanto indefinito
della campagna. L’indefinitezza deriva dunque dalla velo-
cità, dalla riproduzione del movimento relativo tra due
sistemi di sguardo (l’uno mobile, l’altro statico).
Come già nell’esempio leonardesco abbiamo una
manipolazione del modello prospettico tradizionale dovu-
ta all’assegnazione di una certa mobilità all’occhio
dell’osservatore. Nel caso dell’Annunciazione il movi-
mento dell’occhio dell’osservatore era reso attraverso la
riproduzione dei punti estremi del percorso dello sguar-
do; nell’esempio turneriano il movimento è reso mediante
l’indefinitezza delle forme percepite cui esso dà luogo38.

4.3.4.4 La passionalizzazione della visione


L’esempio di Turner ci introduce al terzo gruppo di
mezzi volti a esprimere nell’immagine l’attività interpreta-

136
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

tiva dell’osservatore. Con Turner infatti viene registrata


non semplicemente un’interpretazione percettiva e cogni-
tiva, ma anche un’interpretazione passionale di oggetti e
paesaggi a opera dell’osservatore; si potrebbe dire che il
paesaggio, considerato dalla concezione rinascimentale e
postrinascimentale come luogo del non-io, dell’oggettività
in quanto opposta alla soggettività, si carica ora di valori
soggettivi e patemici: «ci sono delle figure linguistiche che
aderiscono a certi stati del mondo codificati dalla semioti-
ca del mondo naturale, e che contemporaneamente aderi-
scono a quella che...[si può] denominare una ‘semiotica del mon-
do interiore’»39.
Troviamo insomma all’interno di questo terzo grup-
po di espedienti una passionalizzazione del paesaggio, e
dunque l’esplicitazione dell’aspetto patemico dell’attività
interpretativa dell’osservatore. Tale trasformazione pas-
sionale del paesaggio conosce metodi differenti. Può trat-
tarsi di mezzi plastici: si pensi a certi paesaggi di van
Gogh, dove le tracce della pennellata tormentosa dissol-
vono la compattezza degli oggetti figurativi e caricano di
tensioni emotive il mondo testuale40. I mezzi possono
essere altresì figurativi: ad esempio l’uso del salto propor-
zionale rispetto alle scale normali usato da Caspar David
Friedrich in certi paesaggi romantici per dare l’idea della
dilatazione senza limiti dei confini41; o il montaggio di
situazioni luministiche differenti usato da Magritte nella
serie L’empire des lumières; fino alla figurativizzazione di
elementi del mondo testuale immaginifici e grotteschi di
certi incubi di Füssli o Goya.

4.3.5 Il coinvolgimento parziale dello spettatore:


l’interpellazione

La seconda configurazione che pone in gioco


l’esibizione dell’attività interpretativa dell’osservatore è,
come abbiamo detto, quella dell’interpellazione, assimilabile
al caso D della tabella presentata in 4.3.1. Il percorso infe-
renziale richiesto allo spettatore procederà in questo caso

137
Analisi semiotica dell’immagine

dalle cause agli effetti: l’immagine presenta elementi che si


possono leggere come cause dell’attività interpretativa
dell’osservatore, e che consentono quindi di inferire tale
attività quale loro conseguenza. Troveremo tra questi
elementi le pose, la mimica e gli sguardi dei soggetti in
scena42.
Seguiremo a questo punto una pista di analisi specifi-
ca: una possibile tipologia del ruolo narrativo dell’osserva-
tore nei quadri di nudo femminile nel Quattro e Cin-
quecento. Partiremo da immagini catalogabili come casi
di massimo o parziale distacco dello spettatore (caselle A
e B della nostra tabella), per poi giungere a casi di parziale
coinvolgimento mediante interpellazione43.

Osserviamo anzitutto come il nudo rinvii immedia- ! Calabrese


tamente a implicazioni morali, e dunque non solo a un 1985b: 196-216
corpo svestito, ma a una serie di azioni che su e attorno a
questo corpo si intrecciano. Si tratta in primo luogo di
azioni del corpo nudo stesso, espresse attraverso una
fisiognomica e una mimica del corpo nudo come in grado
di concentrare delle micronarrazioni: «il nudo non è solo
un’entità a sé stante, ma contemporaneamente è un corpo
che raffigura certe azioni: e sono le azioni (e la narrazioni)
di cui è la possibile espansione che determinano il valore
morale»44. In secondo luogo, tuttavia, si tratta anche di
azioni riferite non più al corpo nudo, ma a chi guarda tale
corpo e reagisce passionalmente a tale visione. La mimica
di sguardi e pose del corpo nudo rinvia in altri termini a posizioni e
atteggiamenti dell’osservatore, e permette dunque di inferire tali
atteggiamenti. E’ appunto da qui che nasce l’innesto di un
giudizio morale.
Più in particolare il corpo nudo (ma il discorso è vali-
do in certa misura anche per il corpo vestito, come ve-
dremo più avanti) effettua tale operazione esprimendo un
volere, un sapere di, un potere e un dovere (o un non volere, un
non sapere di, un non potere e un non dovere) guardare e un vole-
re, un sapere di, un potere e un dovere (o un non volere, un non
sapere di, un non potere e un non dovere) essere guardato.

138
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

Fatta questa premessa, passiamo a osservare alcuni


casi possibili.

La Venere di Dresda di Giorgione (inizi del Cinquecen- " Tav. 15


to) avvia la tradizione iconografica della donna dormiente
allungata su un prato; in questo caso Venere non guarda
l’osservatore (è appunto addormentata, ha gli occhi chiu-
si): troviamo dunque un non voler non guardare e un non voler
non essere guardata, un sapere di essere guardata (la posa l’offre
allo sguardo), e dunque un’indifferenza allo sguardo
dell’osservatore che non viene eccessivamente tematizza-
to. Ci troviamo in altri termini all’interno di un tendenzia-
le distacco dell’osservatore, un caso molto vicino a (per
non dire coincidente con) casi di non tematizzazione, di
distacco45. Il corpo nudo parla mimicamente solo in par-
te; o meglio: non accende tensioni passionali riferite allo
sguardo dell’osservatore.

Susanna e i vecchioni, di Lorenzo Lotto (anch’esso " Tav. 16


dell’inizio del Cinquecento) narra un celebre caso di
sguardo passionale di origine biblica: i vecchi spiano Su-
sanna al bagno e la concupiscono. La mimica del corpo
nudo è molto eloquente e tensiva: Susanna sa di essere
guardata ma non vuole essere guardata (respinge lo sguardo
con la mano, si copre, ecc.), così come non vuole guardare,
non vorrebbe instaurare alcun rapporto visivo e prosse-
mico con i vecchi (volge lo sguardo). La mimica del cor-
po nudo rinvia dunque a precisi atteggiamenti non solo
dello stesso soggetto denudato in quanto guardato, ma
anche del soggetto o dei soggetti che lo stanno guardan-
do. Questi soggetti d’altra parte sono presenti in scena,
essi stessi figurativizzati: è il gruppo di vecchioni che -
alcuni astanti, altri indicatori - vogliono e possono guar-
dare, come le pose e la direzione degli sguardi manifesta-
no (anzi: possono e vogliono anche far guardare, indicandosi a
vicenda il corpo nudo). Il corpo nudo si manifesta quindi
come portatore implicito di una reazione di chi lo sta
osservando; ma tale reazione non resta implicita, bensì

139
Analisi semiotica dell’immagine

viene figurativizzata mediante la posizione delle figure dei


vecchioni astanti e indicatori. Da questo gioco di sguardi
resta invece escluso l’osservatore, posto leggermente in
alto, con uno sguardo onnisciente, e quindi a un livello da
cui non può interagire direttamente con i personaggi. In
altri termini abbiamo che le possibilità della mimica del
corpo nudo vengono sfruttate all’interno di una configu-
razione di distacco parziale dello spettatore: costui trova il
proprio punto di accesso al mondo testuale non tanto
nella posizione dell’osservatore, quanto in quella degli
astanti.

La Bethsabea al bagno di Hans Memling (seconda metà " Tav. 13


del Quattrocento) narra un’altra storia biblica di visione
passionalizzata: il re David si innamora della donna (già
sposata) vedendola fare il bagno senza che lei se ne ac-
corga. Nella raffigurazione troviamo in secondo piano
un’ancella che porge il telo in cui la donna protagonista si
infila: ella sa di essere guardata dall’ancella, ma questo le è
indifferente (non vuole non essere guardata).
Fin qui il rapporto tra corpo nudo guardato e sogget-
to guardante rientra nel caso precedente: è rapporto tra
un personaggio e un astante, cioè tra due soggetti com-
presenti sulla scena, entrambi figurativizzati. Tuttavia
troviamo in questo caso un elemento nuovo. La scelta del
punto di vista dell’osservatore - non più “onnisciente”,
ma allo stesso livello della donna - sposta il rapporto dalla
relazione con il solo astante alla relazione con lo stesso
osservatore; in questo senso troviamo nella mimica una
manifestazione di pudore calcolata per essere indirizzata
verso l’osservatore: Bethsabea si copre il pube e si infila
nel telo asciugamano, esprimendo un voler non essere guarda-
ta; eppure nulla manifesta la consapevolezza di essere
guardata: c’è quindi un non sapere di essere guardata. «Dun-
que [Bethsabea] è in una posizione ‘costretta’ dalle circo-
stanze: [l’osservatore] “spia” Bethsabea sapendo di non
essere veduto. Mentre dunque Bethsabea è in una posi-
zione di “ingenuità”, noi [in quanto osservatori] siamo in

140
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

quella di “guardoni”, esattamente come David nella storia


biblica»46.
La particolare disposizione del sistema dell’osser-
vatore fa dunque sì che i rinvii della posa del corpo nudo
alle attività interpretative di chi lo sta osservando, coinvolga
questa volta lo stesso, invisibile osservatore; le reazioni di costui
non sono visibili, eppure esse sono inferibili a partire
dalla posa del corpo nudo. Si osservi lo stacco rispetto al
caso precedente: «invece di mettere in relazione un volere
attivo e un volere passivo [di colui che guarda e di colui
che è guardato - come nel precedente caso della Susanna
di Lotto], possiamo e dobbiamo sovrapporre in un unico
soggetto (impersonato dall’attore ... rappresentato nel
quadro) i due voleri ... [In questo modo] la loro sovrap-
posizione in un unico soggetto non solo definisce
l’atteggiamento del personaggio ritratto, ma prefigura
anche un atteggiamento, iscritto nel testo, di colui che
guarda: il ritratto attraverso il confronto dei due voleri,
attivo e passivo, implica per il riguardante [per il soggetto
osservatore implicito] un dover essere. Cioè: mentre defi-
nisce il ruolo del ritratto, nel contempo stabilisce il ruolo
[dell’osservatore]»47. Questa volta siamo dunque di fronte
a un caso di vera e propria interpellazione: la mimica dei
soggetti in scena rinvia in base a una sineddoche dalla
causa all’effetto alle reazioni interpretative del soggetto
osservatore, reazioni altrimenti non figurativizzabili.

Susanna al bagno di Jacopo Tintoretto (seconda metà ! Fontanille


del Cinquecento)48 ripropone l’episodio che abbiamo già 1989: 98-104
esaminato nella versione di Lorenzo Lotto. Qui Susanna " Tav. 18
(ovviamente nuda) si sta specchiando, è rapita dalla con-
templazione della propria immagine in uno specchio;
inoltre essa è spiata da due vecchioni, di cui soprattutto
uno è semivisibile sulla sinistra in basso. L’osservatore
viene collocato spostato sulla sinistra e piuttosto in basso,
“fianco a fianco” (al di fuori dell’immagine) con il vec-
chio spione.

141
Analisi semiotica dell’immagine

Osserviamo anzitutto che, come e più che nel caso


precedente, la disposizione del sistema dell’osservatore lo
pone quale destinatario delle pose e degli atteggiamenti
del corpo nudo: in particolare la donna non sa di essere
guardata e vuole non essere guardata (dall’osservatore) il che
ripropone la situazione di Bethsabea ponendo l’osser-
vatore in posizione di spione.
Tuttavia la situazione è in questo caso più complessa,
e tale complessità si fonda sulla presenza di diverse figure
di astanti ed emblemi.
In primo luogo, infatti, l’atteggiamento spionistico
dell’osservatore trova un’immediata figurativizzazione nel
personaggio del vecchione: costui vuole guardare ma non
può guardare del tutto (è nascosto dietro uno schermo di
rami e foglie che gli impediscono la visuale piena), mentre
l’osservatore possiede una visuale più piena della scena:
vuole e può vedere. All’induzione dell’attività interpreta-
tiva dell’osservatore derivante dal sistema delle pose del
soggetto guardato si innesta dunque un’induzione deriva-
ta dalle pose e dagli atteggiamenti di un soggetto astante.
Una simile identificazione di atteggiamenti è peraltro in-
coraggiata dalla vicinanza “fisica” tra il vecchio e il punto
di posizionamento dell’osservatore: «se la donna non sa di
essere guardata e noi sappiamo che lei non sa che la guar-
diamo, allora stiamo assumendo il ruolo di ‘indiscreti’ di
‘guardoni’»49.
Ma c’è di più. Susanna, abbiamo detto, si sta spec-
chiando; così, questo personaggio «si scinde in realtà in
due soggetti: il soggetto che è guardante attivo e il sogget-
to passivo. La tematizzazione è in realtà quella del narcisi-
smo: vuole guardare e vuole essere guardata, ma da se
stessa; sa di essere nuda e sa di essere guardata da se stes-
sa»50. Osserviamo in questo senso che la donna non si
specchia semplicemente, ma si protende verso lo spec-
chio con il busto, costruendo una forte vettorialità con le
braccia verso la superficie riflettente. In altri termini tro-
viamo un altro soggetto astante, e troviamo un rapporto
di sguardo e di desiderio reciproco tra tale soggetto e la

142
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

donna: questo secondo astante è la donna stessa, nel suo


rapporto narcisistico con lo specchio. L’osservatore trova
così ulteriormente e diversamente prefigurata la storia del
proprio sguardo e del proprio desiderio: alla prima serie
di induzioni se ne sovrappone una seconda, che parte
dalla figura della donna come auto - astante. Alla storia di
sguardi desiderosi impossibili da ricambiare tra l’osser-
vatore (e con lui il vecchione) e la donna viene dunque
sovrapposta e intrecciata un’altra storia di sguardi deside-
rosi ricambiati: una di quelle narrazioni ipotetiche di desi-
derio ricambiato che lo stato di desiderio inevitabilmente
secerne e di cui si nutre.
Infine dovremo considerare un terzo “sguardo” su
Susanna: quello “emblematico” del raggio di luce dorato
che piove dolcemente dall’alto, e suggerisce per lo spetta-
tore un atteggiamento differente, quieto e contemplativo,
quasi a riequilibrare il sistema troppo acceso e patemica-
mente sbilanciato fin qui descritto.
Nel complesso, dunque, abbiamo in questo caso una
configurazione di base di tipo interpellativo, su cui si in-
nestano percorsi plurimi di accesso al mondo testuale dati
dalle figure di astanti o emblemi: uno di questi (il vec-
chione che spia Susanna) rafforza il rapporto interpellati-
vo osservatore - personaggio, mentre gli altri due (Susan-
na che contempla narcisisticamente se stessa e il raggio di
luce dall’alto sulla scena) completano coerentemente
l’accesso interpellativo.

La Venere di Urbino di Tiziano (prima metà del Cin- " Tav. 17


quecento) riprende il motivo della donna nuda sdraiata di
Giorgione, ma lo trasforma sostanzialmente; in tal modo
Tiziano traccia un altro percorso possibile della configu-
razione interpellativa rispetto a quelli esaminati nei due
esempi precedenti.
In questo caso la posa del corpo è improntata a un
sapere di essere guardata e un volere essere guardata: c’è insom-
ma un atteggiamento di offerta verso un osservatore posto
frontalmente e alla sua altezza, che si desume desideroso

143
Analisi semiotica dell’immagine

di guardare: «il frontale del tronco, per esempio, stavolta è


rivolto verso di noi, come dimostra la leggera torsione e
la maggiore distanza fra i seni, dei quali uno visto di faccia
... il braccio sinistro è sempre mollemente disteso, ma non
è in riposo totale. Anzi, come la gamba destra, è in legge-
rissimo movimento. L’offerta è completata dalla posizio-
ne vagamente inarcata del collo, e dal morbido appoggio
sul braccio destro, nonché dai capelli sciolti sulle spalle»51.
Al contrario tuttavia della Venere di Giorgione, in
questo caso la dea è sveglia e guarda l’osservatore negli occhi:
ella non solo esprime un voler essere guardata, ma anche un
voler guardare. Viene così costituito, proprio per mezzo di
questo sguardo, una relazione diretta io-tu tra il perso-
naggio e l’osservatore: come nel rapporto solipsistico
della Susanna di Tintoretto c’è un protendersi verso qual-
cuno, ma qui questo qualcuno non è più un astante (un
auto - astante), ma lo stesso osservatore direttamente
coinvolto. Tra personaggio e osservatore si costituisce un
rapporto diretto, intimo: contribuisce a un simile effetto di
intimità la stessa struttura spaziale che isola la donna in
primo piano (dunque verso l’osservatore) rispetto allo
sfondo (dove si trovano due ancelle vestite) mediante il
velame del baldacchino. Siamo ormai prossimi alla situa-
zione del ritratto, che esamineremo nel prossimo paragra-
fo.

4.3.6 Il coinvolgimento completo dello spettatore

Le ultime quattro configurazioni disegnate nella


tabella in 4.3.1. (casi da E a H) sono tutte caratterizzate
dalla coincidenza tra il sistema di sguardo secondario
dell’osservatore e quello di base dello spettatore. Ci tro-
viamo quindi nell’area di massimo coinvolgimento di
quest’ultimo nel mondo testuale; coinvolgimento comun-
que graduabile mediante lo sfruttamento delle altre varia-
bili. Avremo quindi:
! coincidenza tra sistema di sguardo dello spettatore e
sistema dell’osservatore;

144
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

! occultamento (casi E e F) o esibizione (casi G e H)


dell’attività interpretative dell’osservatore;
! assenza (casi E e G) o presenza (casi F e H) di astanti
e indicatori (o epigrafi).

La disposizione coincidente dei due sistemi di sguar-


do rappresenta il frutto di precise operazioni strategiche.
Possiamo distinguere a questo proposito due serie di ope-
razioni, imperniate l’una sugli spazi, l’altra sui soggetti.
Per quanto riguarda gli spazi, l’operazione messa in
atto consiste nella costituzione di una (illusoria) continui-
tà tra spazio testuale e spazio contestuale e nella conse-
guente omologazione tra i due spazi. I principali artifici
usati a questo scopo sono la scala 1:1: tra spazio conte-
stuale e spazio testuale viene istituito un rapporto di iso-
metria; l’aggetto: all’interno dell’immagine le superfici del
pavimento vengono verso lo spettatore e sono interrotte
a filo del bordo della cornice, oppure vengono costruite
cornici fittizie su cui i personaggi si appoggiano; il trompe-
l’œil: la resa illusoria di oggetti pitturati inseriti in ambienti
reali, come nelle tarsie dello studiolo di Urbino; lo scorcio; le
architetture dipinte.
Circa i soggetti sono possibili tre operazioni strategi-
che.
La prima strategia consiste in una deprivazione
dell’osservatore e in una conseguente collocazione elastica dello
spettatore. In questo caso viene ridotta la determinazione
del punto di vista dell’osservatore: questo avviene tipica-
mente annullando o deprivando la costruzione prospetti-
ca. La posizione virtuale del punto di vista dell’osserva-
tore nello spazio prospiciente l’immagine resta di con-
seguenza elastica e non risulta troppo vincolante per lo
spettatore: questi nei suoi spostamenti spaziali rimane
libero di assumere posizioni fisicamente differenti senza
che venga meno una coincidenza con il punto di vista
dell’osservatore.
L’offerta di un luogo di collocazione rigidamente determinato
per lo spettatore con mezzi testuali: In questo caso il sistema di

145
Analisi semiotica dell’immagine

sguardo dell’osservatore viene posto in maniera rigida,


contando sul fatto che questi si collochi più o meno esat-
tamente nello stesso punto all’interno spazio contestuale.
Lo spettatore viene invitato da alcuni elementi testuali a
mettersi a una certa distanza e in un certo punto: ad e-
sempio la struttura luministica del quadro richiede una
giusta distanza per discernere i contenti della scena.
L’offerta di un luogo di collocazione rigidamente determinato
per lo spettatore con mezzi contestuali. Questa tattica è analoga
alla precedente, ma l’effetto viene ottenuto con
l’intervento di mezzi esterni all’immagine. In particolare
risulta funzionale a questo scopo l’inserimento
dell’immagine all’interno di strutture architettoniche, ac-
compagnato da effetti illusionistici appropriati.
Le operazioni di ordine spaziale intervengono ad ap-
poggiare indistintamente le tre strategie di collocazione
dello spettatore. Esaminiamo dunque vari casi possibili
prendendo come filo conduttore le tre operazioni imper-
niate sulla disposizione dei soggetti.

4.3.6.1 La collocazione elastica dello spettatore


La natura morta si configura fin dalle sue origini (che ! Calabrese
si situano in Spagna, all’inizio del Seicento) come un ge- 1985b: 144-156;
nere particolare. Tale particolarità risalta anzitutto dalla Calabrese 1993a,
Corrain e Fabbri,
costruzione dello spazio. «Il formato del dipinto è di di- 2001
mensioni relativamente piccole; la scala degli oggetti rap-
presentati si avvicina ad un rapporto 1:1 con gli oggetti
‘reali’»52. Tali espedienti possiedono d’altra parte una pre-
cisa finalità: essi mirano a suggerire una «contiguità fra
interno e esterno del dipinto, contiguità che giunge alla
forma più estrema con il trompe-l’œil, ma che altri artifici
servono a supportare53 Con il trompe-l’œil, infatti, «lo spa-
zio del quadro sostituisce bidimensionalmente
un’apertura tridimensionale, come una nicchia, un vano o
una rientranza»54; una funzione simile è quella dell’aggetto
«che già aveva cominciato a essere usato nei ritratti cin-
quecenteschi con l’espediente del davanzale dietro cui sta
il ritratto, che però tocca il davanzale stesso ‘entrando’

146
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

nello spazio dello spettatore. L’aggetto significa


penetrazione del quadro dentro lo spazio dello spettatore,
ma anche l’inverso, penetrazione dello spettatore nello
spazio del quadro, eliminando la discontinuità tra i due»55.
Le modalità di costruzione spaziale della natura morta
rientrano insomma all’interno di quelle operazioni di
omologazione di spazio interno ed esterno del dipinto
che abbiamo esaminato nell’introduzione di questo
paragrafo.
Non solo. Se il suggerimento di una continuità e con-
tiguità tra spazio testuale e spazio contestuale è il primo
elemento della costruzione spaziale della natura morta
che salta agli occhi, occorre osservarne immediatamente
un altro non meno importante. Gli strumenti prospettici sono
praticamente negati, in particolare mediante l’eliminazione della
profondità; questo avviene sia mediante la scelta del punto
di vista ravvicinato («è come se la piramide prospettica
fosse tagliata, fino a farne restare una sezione ristrettissi-
ma»56), sia mediante l’eliminazione del fondo come spazio
infinito (vuoi geometricamente mediante velami o fondi
scuri che negano la possibilità della “costruzione legitti-
ma”, vuoi luministicamente mediante un oscuramento
della scatola prospettica che impedisce ogni possibilità di
prospettiva aerea). Questo comporta che il sistema di sguar-
do dell’osservatore venga fortemente deprivato, dal momento che
vengono quasi del tutto annullati i mezzi legati al suo
emergere (quelli della costruzione prospettica della “sca-
tola” spaziale).
Possiamo leggere a questo punto le due serie di ope-
razioni come convergenti nella costruzione di un forte
coinvolgimento dello spettatore rispetto al mondo testua-
le. La natura morta, infatti, rinunciando alla profondità
prospettica costruisce un sistema di sguardo
dell’osservatore meno rigido e vincolante di quello pro-
spettico, e perciò più aperto e disponibile alla sovrapposi-
zione con il sistema dello spettatore; lo spettatore viene
dotato di una certa elasticità nella propria collocazione
spaziale: qualunque posizione acquisisca, all’interno di
una gamma relativamente ampia, scoprirà una coinciden-

147
Analisi semiotica dell’immagine

za tra il proprio sistema di sguardo e quello


dell’osservatore implicito. Per altro verso la natura morta
suggerisce una continuità e contiguità tra spazio testuale e
contestuale (e dunque un’omologazione tra spazio
dell’osservatore e spazio dello spettatore) mediante taglia,
formato, mezzi illusionistici (aggetto, trompe-l’œil, ecc.)57.

4.3.6.2 La collocazione rigida dello spettatore con


mezzi testuali
I «quadri a lume di notte» rappresentano scene not- ! Corrain 1991b
turne all’interno delle quali una o più porzioni o fram- Corrain 1996: 102-
menti vengono illuminati da una fonte di luce: una fiam- 115
ma, un astro oppure una luminescenza di emanazione " Tavola 21
divina. Si tratta di un genere nato a Roma negli ultimi
anni del Cinquecento a opera di Caravaggio, e successi-
vamente diffuso in tutta Italia grazie ad alcuni maestri
nordici, soprattutto olandesi. Una particolare variante del
genere è data dalle «annunciazioni a lume di notte»: tra
queste, esaminiamo quella di Matthias Stomer (1632 ca.).
La fonte di luce che rende visibile la scena è costituita
dalla fiamma di una candela al centro della scena: alla sua
sinistra vediamo Maria, alla destra l’angelo. Entrambe le
figure sono rappresentate in posizione ravvicinata, in
modo da cogliere circa tre quarti del loro corpo. Abbiamo
già sottolineato la portata metaforica (in assenza) di que-
sta candela: essa rappresenta il Cristo, luce del mondo e
mediatore tra spazio umano (Maria) e divino (l’Angelo).
Occorre ora sottolineare la rilevanza di questa fiamma
sotto l’aspetto della costruzione dello spazio. La presenza
della luce di candela piuttosto che di quella naturale pro-
voca un annullamento dello spazio prospettico
tradizionale: da uno spazio «itinerante» si passa a uno
spazio «radiante»58; la struttura di quest’ultimo non si
regge sulle coordinate tridimensionali, ma piuttosto su
un’opposizione tra «due differenti tipi di spazio: uno in-
globato, nel quale domina la visibilità e la tridimensionalità
dello spazio rappresentato, e uno inglobante, nel quale re-

148
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

gna sovrana l’indistinzione e la superficie dello spazio di


rappresentazione»59.
La conseguenza immediata di questa particolare strut-
tura è una riduzione di portata del sistema di sguardo
dell’osservatore. La tridimensionalità prospettica ha effet-
to solo all’interno del cerchio incerto di luce. Ritroviamo
quindi quella deprivazione prospettica di cui abbiamo già
osservato gli effetti circa la collocazione elastica dello
spettatore. Ma c’è di più.
La struttura spaziale determinata dalla fiamma attira
lo spettatore e lo porta ad assumere una precisa distanza
rispetto all’immagine: la distanza necessaria a procurare la
giusta visibilità dell’immagine dello spazio inglobato. «Un
quadro a lume di notte, infatti, non assegna all’osserva-
tore un luogo percettivo dal quale procedere con finalità
esplorative; egli è piuttosto sollecitato dalla richiesta di
avvicinamento che lo stesso taglio dell’inquadratura e la
particolare luminosità richiedono. Solo grazie alla posi-
zione ravvicinata potrà essere in una condizione di visibi-
lità. E la responsabilità di ciò va attribuita proprio alla
particolarità della luce»60.
In questo modo un mezzo testuale quale la luce della
scena rappresentata opera la collocazione dello spettatore
nel punto di vista dell’osservatore. Al tempo stesso la
coincidenza tra i due sistemi di sguardo e di spazio viene
incoraggiata dagli elementi che mirano a stabilire
un’illusoria continuità e contiguità tra spazio testuale e
spazio contestuale: scala 1:1 e dimensioni piuttosto ampie
(cm. 113 x 166) del dipinto.
E’ interessante osservare un’implicazione di questa si-
tuazione per quanto concerne il ruolo narrativo
dell’osservatore e dello spettatore, in particolare sotto il
profilo passionale: «(lo spettatore) per essere completa-
mente investito dalla luce che si diffonde nella sua dire-
zione, dovrà guadagnare una posizione prossemica ravvi-
cinata. Solo così si realizzerà quella cattura che lo metterà
in rapporto di intimità con il rappresentato»61. Tale rap-
porto di intimità viene costruito in questo caso con la

149
Analisi semiotica dell’immagine

figura di Maria, più direttamente investita della luce della


candela e partecipe dello stesso cerchio di visibilità in cui
viene coinvolto lo spettatore. Non è forse fuori luogo a
questo proposito il recupero del collegamento metaforico
tra la candela e il Cristo: Gesù, nella sua assenza corporea
e nella sua presenza metaforica, è operatore di visibilità
nei confronti della scena: per questa via egli opera altresì
una congiunzione passionale di intimità meditativa tra lo
spettatore e sua Madre.

Il Compianto sul Cristo morto di Andrea Mantegna ! Thürlemann


(1480 ca.) è una tavola molto nota, soprattutto per l’au- 1989
dace scorcio usato dall’artista per riprodurre il corpo del " tav. 11
Cristo, con i piedi in primo piano e la testa verso il
fondo. Oltre al corpo, steso su un tavolo, troviamo tre
figure piangenti sulla sinistra, tagliate dal bordo: quella di
Maria è la più visibile.
Il coinvolgimento dello spettatore avviene anche in
questo caso mediante alcune mosse complementari. Per
un verso lo scorcio prospettico del corpo morto pone
chiaramente e rigidamente il punto di vista dell’osservato-
re. Al tempo stesso lo spazio simulato vede la propria
profondità drasticamente ridotta dalla tenda posta dietro
il tavolo di marmo; inoltre lo stesso scorcio del corpo del
Cristo allinea l’asse longitudinale di tale corpo con l’asse
prospettico della profondità. Ne deriva un forte richiamo
per lo spettatore a fare proprio il punto di vista dell’osser-
vatore, e quasi un’impossibilità a vedere il quadro in altro
modo se non “entrando” in questo punto di vista: «L’oc-
chio [dello spettatore] non ha vie di fuga: rimane bloccato
sull’immagine del corpo di Cristo ... Il corpo rappre-
sentato risulta come “legato” allo sguardo. L’immagine in
scorcio assume così un potere ipnotico, avvertito talvolta
[dallo spettatore] come a sensazione di “essere seguito”
dal soggetto rappresentato»62. Per altro verso lo scorcio,
assieme a un forte effetto di trompe-l’œil e alla scala 1:1 del
dipinto incoraggia la contiguità - continuità tra spazio
testuale e spazio contestuale: «il fatto che il bordo anterio-

150
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

il bordo anteriore verticale della lastra di marmo coincida,


in tutta la sua estensione, con il margine inferiore del
quadro, fa sì che i piedi del Cristo sembrino sfondare il
limite ideale del dipinto ed invadere lo spazio [dello spet-
tatore]»63
In altri termini il Compianto per un verso pone un os-
servatore specificandone l’attività interpretativa nei con-
fronti del corpo di Cristo; e per altro verso costruisce
degli espedienti per legare in maniera non equivoca lo
sguardo dello spettatore a quello dell’osservatore, in mo-
do da rendere lo stesso spettatore partecipe di queste
attività interpretative. Ovviamente il dipinto può contare
solo su una strumentazione testuale per ottenere tale ri-
sultato: essendo una tavola a olio e non un affresco non
può presupporre in maniera rigida una collocazione spa-
ziale dello spettatore, ma deve catturarlo e posizionarlo
con mezzi “interni” all’immagine.
Anche in questo caso, come già avveniva nell’Annun-
ciazione a lume di notte, il coinvolgimento dello spettatore
tocca anche l’aspetto patemico. Si osservi in particolare
che la posizione spaziale di osservatore e spettatore mette
costoro in un rapporto prossemico contraddittorio con il
corpo di Cristo: per un verso c’è una forte vicinanza al
corpo di Cristo, e dunque il rinvio a una possibilità di
comunicazione, di interazione propria del “tu per tu”; per
altro verso tale comunicazione è impossibile, come mette
in evidenza l’allontanamento del capo di Cristo dall’osser-
vatore: «In altre parole la comunicazione ... è possibile a
livello corporeo, come sguardo delle piaghe e dei segni
della sofferenza; nello stesso tempo, però, non si attua né
un vero dialogo umano, né una giustificazione nei con-
fronti del sofferente»64.
I codici delle pose e delle distanze definiscono dun-
que un ruolo (un’attività interpretativa) per l’osservatore
che viene proposto anche allo spettatore. Ma non è tutto.
Lo spettatore vede figurativizzata e sviluppata questa
posizione prossemica e passionale attraverso le figure di
astanti sulla sinistra: anch’esse non possono comunicare con

151
Analisi semiotica dell’immagine

la figura del Cristo morto, pur desiderandolo (il corpo del


Cristo è leggermente sbilanciato dalla loro parte, ma il
capo è volto dalla parte opposta): viene dunque riprodot-
ta, con una rotazione di circa 90 gradi, la situazione pros-
semica dell’osservatore - spettatore65.
Lo spettatore si trova così determinato da una rete
molteplice di indicazioni patemiche, provenienti sia dalla
figura implicita dell’osservatore che da quelle esplicite
degli astanti: un non poter comunicare con il Cristo, un voler
comunicare, un poter comunicare solamente con il suo corpo
martoriato (le mani e i piedi, visti dall’osservatore e dallo
spettatore; il costato, visto dagli astanti). Di qui una soffe-
renza, figurativizzata negli astanti e proposta allo spetta-
tore, che è duplice: sofferenza “simpatetica” per la storia
di sofferenze che il corpo mostra metonimicamente me-
diante le impronte lasciate su di esso (la storia della Pas-
sione che ha lasciato i segni delle ferite proprio sulle parti
che “vanno incontro” a osservatore e astanti: piedi, mani
e costato); e sofferenza per la possibilità di contemplare
quella storia solo indirettamente e senza avere accesso alla
comunicazione “faccia a faccia” con il suo protagonista66.

Se il Cristo del Mantegna non guarda l’osservatore, ! Calabrese


diversamente avviene in genere nella ritrattistica. Notia- 1985b: 136-142
mo anzitutto che anche nel caso del ritratto possiamo
individuare alcuni espedienti già incontrati volti a omolo-
gare sistema di sguardo dell’osservatore e dello spettatore
suggerendo continuità - contiguità tra i due sistemi spa-
ziali: uso di superfici aggettanti (esemplare il bordo della
finestra su cui si appoggia il ritratto), misure e taglia 1:1,
ecc. L’aspetto tipico del ritratto sta tuttavia altrove: sta
appunto nello sguardo rivolto dal soggetto ritratto verso
l’osservatore; questo sguardo per un verso contribuisce a
determinare una posizione precisa dell’osservatore, e per
altro verso chiama lo spettatore a porsi in questa posizio-
ne assumendo il ruolo di interlocutore67. In questo senso
il ritratto è inseribile tra le immagini che attuano un posi-

152
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

zionamento rigido dello spettatore con mezzi puramente


testuali.
Ora, come già sappiamo, la presenza di un soggetto
che fronteggia l’osservatore possiede un’altra conseguen-
za: la possibilità di inferire (a partire dalle pose e dagli
sguardi del personaggio in scena e in base a un meccani-
smo metonimico che risale dalla causa all’effetto) alcuni
aspetti dell’attività interpretativa dell’osservatore; si tratta
delle dinamiche proprie dell’interpellazione. L’omologa-
zione dei sistemi di osservatore e spettatore tipica del
ritratto comporta allora un coinvolgimento calcolato dello
stesso spettatore nelle dinamiche dell’interpellazione: lo
spettatore non è solamente invitato ad assumere il “punto
di vista” dell’osservatore, ma è altresì chiamato a calarsi
nel ruolo che l’osservatore riveste all’interno delle intera-
zioni interpretative con il ritratto. Lo spettatore viene
insomma preso nel gioco di relazioni prossemiche faccia
a faccia che hanno luogo tra osservatore e soggetto ritrat-
to, e che è possibile leggere a partire da pose, sguardi e
mimica di quest’ultimo68.
Più in particolare possiamo formulare le varie possi-
bilità di relazione incrociando le diverse modalità del (non)
voler (non) guardare e del (non) voler (non) essere guardato del
soggetto ritratto. I vari incroci possibili danno luogo a 16
posizioni elementari. Esaminiamo rapidamente le solu-
zioni principali:
! nel voler essere guardato + voler guardare si avrà l’esibizione
frontale del corpo e lo sguardo rivolto verso l’osserva-
tore - spettatore;
! nel non voler essere guardato + non voler guardare il corpo
esprime al contrario riservatezza, pudore: sottrae allo
sguardo porzioni di se stesso, mentre lo sguardo evita
di indirizzarsi allo spettatore e di incontrare lo sguardo
di costui;
! nel voler essere guardato + non voler guardare troviamo una
contraddizione tra sguardi e gesti: il corpo è offerto,
quasi come sfida, ma è esplicitamente negato lo sguar-
do allo spettatore;

153
Analisi semiotica dell’immagine

! nel non voler essere guardato + voler guardare abbiamo un


corpo che si nega e uno sguardo che cerca, «quasi sor-
preso di incontrare lo sguardo di qualcuno. E’ la situa-
zione dell’imbarazzo»69.
Esistono inoltre casi intermedi ugualmente frequenti:
! nel volere essere guardato + non voler non guardare la posa
indica che il soggetto si considera degno di sguardo,
ma il proprio sguardo è rivolto verso qualcosa che non
è lo spettatore: «E’ la situazione tipica della parata, con
sguardi del ritratto verso una posizione frontale o late-
rale, ma irrigidimento del corpo in una posizione di of-
ferta»70;
! nel non voler non essere guardato + non voler non guardare lo
sguardo è orientato verso lo spettatore, ma è vuoto,
assente, indifferente (come nel famoso autoritratto di
Dürer datato falsamente 1500).

4.3.6.3 La collocazione rigida dello spettatore con


mezzi contestuali
Abbiamo visto finora casi di immagini che cercano o
di annullare un punto di vista dell’osservatore rigidamente
posto (collocazione elastica dello spettatore), oppure di
ancorare rigidamente la posizione dello spettatore a quella
dell’osservatore con mezzi interni al testo iconico (collo-
cazione rigida dello spettatore con mezzi testuali). In ogni
caso, l’immagine non può prevedere le effettive posizioni
spaziali dello spettatore. Tale aleatorietà è ridotta nel caso
di immagini che vengono costruite in previsione di una
precisa collocazione spaziale, come avviene per esempio
per gli affreschi. In questo caso la posizione dello spetta-
tore diviene almeno in parte calcolabile, e dunque le pos-
sibilità di omologazione di sistemi di sguardo e di spazi si
arricchiscono di possibilità e sicurezza. Un caso esempla-
re di omologazione tra spazio testuale e spazio contestua-
le è dato dall’uso di “architetture dipinte”, che riprendono
sulla superficie bidimensionale le strutture tridimensionali

154
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

circostanti, e collocano in esse le figure delle storie dipin-


te.

E’ molto interessante notare che un primo esempio " Tav. 4


di architettura dipinta si ritrova all’origine stessa della
prospettiva rinascimentale, con La Trinità di Masaccio
(Firenze, S. Maria Novella 1426-27 ca.) primo esempio di
applicazione degli esperimenti prospettici di Brunelle-
schi71, che presenta appunto alcuni elementi architettonici
dipinti.
L’affresco pone in basso un altare dipinto con la figu-
ra di uno scheletro sdraiato nell’urna sottostante; in alto
abbiamo una serie di piani prospettici scalari: un arco tra
due lesene con un cornicione in alto immette in una galle-
ria; davanti alle lesene sono posti due oranti; all’interno
della galleria verso di noi vi sono Maria e Giovanni; più
indietro e in posizione centrale Dio Padre, su un piedi-
stallo, regge e offre la croce con il Cristo. Il punto di vista
è dal basso: l’osservatore vede quindi il tetto della galleria,
mentre per esempio non vede i piedi di Maria e Giovanni.
La posizione dell’osservatore è quindi fissata rigida-
mente. Ebbene: si può osservare come questo punto di
vista dal basso dell’osservatore possa essere riferito a un
ideale spettatore inginocchiato di fronte all’altare dipinto:
«La restituzione prospettica (ha individuato) il punto di
distanza a m. 6,12. [...] Esiste [inoltre] una fascia spaziale
che si estende lungo la linea di orizzonte fino a m. 3,85
dalla superficie del muro, in cui è possibile la percezione
complessiva dell’affresco; e la differenza fra l’altezza della
stessa linea d’orizzonte (m. 1,71) e l’estremità inferiore
delle colonnine (che reggono l’altare) è pari a poco più di
un metro (m. 1,06) che, da misure antropometriche, cor-
risponde all’altezza degli occhi di un uomo alto m. 1,70
inginocchiato su una pedana alta quanto il basamento
delle colonne dipinte. Si può dedurre allora che se all’in-
terno di questo spazio di specifica percezione fosse stato
posto un altare autentico, alla stessa altezza di quello
verosimilmente dipinto, la Trinità sarebbe stata perfetta-

155
Analisi semiotica dell’immagine

mente e completamente percepibile da un ideale offician-


te inginocchiato»72. I mezzi testuali (la struttura prospetti-
ca, le architetture dipinte) operano quindi sinergicamente
con quelli contestuali (la collocazione, le strutture fisiche
quali la pedana di legno, ecc.) per determinare rigidamen-
te la posizione dell’osservatore in un punto ben determi-
nato dello spazio antistante il dipinto e per orientare la
collocazione dello spettatore esattamente in questo pun-
to.

Le architetture dipinte trovano comunque la loro più


estesa applicazione nella seconda metà del Cinquecento e
fino alla fine del Settecento. Si tratta del cosiddetto feno-
meno del quadraturismo, diffuso in area veneta, emiliana e
romana. Le due principali figure di inizio sono quella di
Giulio Romano e di Andrea Mantegna a Mantova, e quel-
la di Baldassarre Peruzzi a Roma. Costoro, anche per una
serie di scambi tra pittura, architettura e scenografia tea-
trale73, attuano con grande consapevolezza lo sfondamen-
to di superfici bidimensionali mediante effetti illusori e
quindi il collegamento tra spazio testuale e spazio conte-
stuale per mezzo di architetture dipinte. Il fenomeno e-
sploderà nel Seicento, per esempio con certi soffitti e
volte di cupola dipinti delle chiese barocche.
Facciamo un solo esempio, molto famoso: la Camera " Tav. 12
degli sposi affrescata da Mantegna nel Palazzo Ducale di
Mantova (opera terminata nel 1474). Qui l’artista sovrap-
pone allo spazio reale uno spazio completamente imma-
ginario: «Mantegna ha immaginato un padiglione quadra-
to, coperto da una volta a vele con al centro un’apertura,
poggiante su dodici pilastri. Lo spazio tra i pilastri è oc-
cupato da tendaggi, che sono tirati in corrispondenza
delle pareti opposte a quelle che ospitano i due episodi
storici della corte74, mentre in queste ultime essi sono
scostati per lasciar vedere lo spettacolo che si svolge al di
là»75.
Di particolare interesse, per i nostri fini, il famoso lo-
culo sul soffitto. Questo finto loculo apre una visione dal

156
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

basso verso l’alto di una balaustra dipinta in scorcio, da


cui si sporgono dei puttini, alcune persone, un pavone.
Troviamo dunque un esempio di uso dello Zenit come
punto di fuga, e quindi un caso di posizione anomala del
punto di vista dell’osservatore con un conseguente emer-
gere della sua attività interpretativa: è il caso già osservato
a proposito dell’ex libris di Escher Ne verremo fuori. Rispet-
to al caso dell’ex libris subentra però un nuovo elemento
fondamentale: qui il punto di vista anomalo dell’osserva-
tore viene predisposto per essere fatto coincidere con il
punto di vista dello spettatore (cosa impossibile per l’ex
libris): la strutturazione dello spazio architettonico con-
testuale, la collocazione dell’immagine e le sue dimensioni
1:1 infatti rendono possibile e incoraggiano che il sistema
di sguardo dello spettatore si sovrapponga a quello
dell’osservatore; e la stessa anomalia del punto di vista è
in questo senso finalizzata a catturare lo sguardo dello
spettatore, mediante l’omologazione del suo sistema di
sguardo a quello dell’osservatore76.

4.4 Punto di vista e temporalità

Nel corso del capitolo abbiamo analizzato la costru-


zione del punto di vista in termini di posizioni e di ruoli
narrativi. In tal modo abbiamo esplicitamente privilegiato
la dimensione dello spazio su quella del tempo. Questa
scelta è stata dettata dal fatto che lo spettatore accede al
mondo testuale dell’immagine fissa attraverso la media-
zione di alcuni sistemi di sguardi definiti in termini priori-
tariamente spaziali. Tuttavia occorre considerare che i
sistemi di sguardo - e il rapporto tra lo spettatore e il
mondo testuale risultante dallo loro connessione - possie-
dono anche un carattere temporale. Il punto di vista è dun-
que anche inserito nel tempo; e questo tempo risulta da
una mediazione tra quello della scena rappresentata, quel-

157
Analisi semiotica dell’immagine

lo dell’osservatore della scena e quello dello spettatore


dell’immagine.
Il presente paragrafo esaminerà alcune forme di co-
struzione del punto di vista temporale nell’immagine fis-
sa. Motivi di spazio e di opportunità ci consigliano di
prendere in esame solamente alcuni casi estremi: vedremo
quindi un esempio di forte distacco e quattro esempi di
forte coinvolgimento dello spettatore. Al nostro lettore il
piacere di riconsiderare sotto l’aspetto temporale altri
esempi intermedi già presentati nel capitolo.

Riprendiamo in esame Piramo e Tisbe di Nicolas Pous- " Tav. 25


sin. Il sistema di sguardo dell’osservatore è unico e ben # 3.3.4.1; 3.5.3;
determinato: il dipinto obbedisce alle regole della 3.5.4
prospettiva. Tuttavia questo sistema non può essere
condiviso dallo spettatore: lo sguardo dell’osservatore
rimane comunque “altro” rispetto a quello dello
spettatore, racchiuso nei limiti della cornice e valido solo
in quell’ambito. Inoltre questo osservatore resta un puro
punto di visione, senza che venga esibita alcuna sua azio-
ne interpretativa: l’occhio dell’osservatore implicito resta
al di fuori e (anche “fisicamente”) al di sopra del paesag-
gio e dell’episodio in esso contenuto: guarda il paesaggio
senza esservi inserito, guarda la storia senza parteciparvi,
guarda le passioni senza patire. Infine, osserviamo che
non troviamo neppure figure particolarmente pronunciate
di astanti o di indicatori: anche questa forma di accesso
indiretto dello spettatore all’interno della scena è preclu-
so77.
Da un punto di vista spaziale, dunque, il quadro di
Poussin è un esempio di configurazione A della nostra
tabella in 4.3.1.: i sistemi di sguardo di osservatore e spet-
tatore sono sfalsati; l’attività interpretativa dell’osservatore
viene occultata; indicatori o astanti sono assenti. Si tratta
di un caso di massimo distacco dello spettatore dalla sce-
na: il quadro offre un punto di vista impersonale con il
quale non è possibile un’identificazione completa. In que-
sto modo esso «mette lo spettatore, se costui sa descriver-

158
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

lo correttamente, cioè contemplarlo, nella posizione del


saggio, o di Dio»78: una posizione di distacco dalla scena e
dal tumulto passionale che in essa imperversa79.
Passiamo ora a un’analisi della dimensione temporale
del dipinto. Possiamo individuare all’interno di Piramo e
Tisbe tre diversi sistemi temporali, corrispondenti ai tre
sistemi spaziali di cui abbiamo parlato: il mondo testuale,
l’osservatore e lo spettatore. Possiamo parlare di sistemi
(e quindi di soggetti, spazi e tempi) rispettivamente espli-
citi, impliciti e presupposti.
In primo luogo abbiamo la temporalità esplicita del
mondo testuale, all’interno del quale accadono alcuni
mutamenti concomitanti: la tempesta infuria, mentre un
leone attacca il gregge, mentre Tisbe scopre il corpo di
Piramo morente. Troviamo quindi una temporalità sin-
cronica, cioè tale da ospitare nel fluire del tempo linee nar-
rative differenti.
In secondo luogo c’è la temporalità implicita dell’os-
servatore, soggetto statico che coglie istantaneamente la
scena in un attimo saliente. Lo sguardo è fulmineo (il suo
tempo è quello della folgore che attraversa l’immagine):
esso preleva e isola dal flusso temporale un frammento
temporale. La temporalità è quindi a-cronica: un atomo di
tempo sottratto al fluire.
In terzo luogo abbiamo la temporalità presupposta dello
spettatore: il tempo necessario per percorrere con lo
sguardo le linee vettoriali, dal basso verso l’alto e da sini-
stra a destra; per ricostruire cognitivamente la storia co-
gliendo le implicazioni e i significati morali forniti dal
gioco retorico della tempesta sullo sfondo; per compren-
dere il gioco delle passioni in esso contenuto e conquista-
re il necessario distacco passionale: per passare (usando i
termini dello stesso Poussin a proposito de La Manna),
dall’«aspetto» al «prospetto». Questa temporalità è artico-
lata e progressiva: è una temporalità diacronica.
Sin-cronia, a-cronia, dia-cronia: le tre temporalità ri-
spettivamente esplicita, implicita e presupposta sono
dunque autonome l’una rispetto all’altra e irriducibili l’una

159
Analisi semiotica dell’immagine

all’altra. In questo modo lo spettatore non può in alcun


modo omologare la propria temporalità con quella
dell’osservatore e, mediante questa, con la temporalità del
mondo testuale: il distacco spaziale si conferma piena-
mente al livello temporale. E anche in questa assegnazio-
ne di una temporalità differente e più comprensiva rispet-
to a quella dei personaggi sta quella “saggezza” dello spet-
tatore che, come osservavamo, costituisce una delle chiavi
del dipinto.

La natura morta costituisce un primo caso di coin-


volgimento completo dello spettatore. Essa tende a de-
privare il punto di vista dell’osservatore affinché lo spetta-
tore possa sentire lo sguardo sulla scena come “suo” con
una certa libertà di dislocazione spaziale.
Abbiamo osservato come sia fondamentale a questo ! Calabrese
proposito l’annullamento della profondità spaziale e di 1985b: 144-156;
Calabrese 1993a,
tutti i suoi indici. Dobbiamo ora portare l’attenzione su Corrain e Fabbri,
un altro annullamento, parallelo e collegato: quello del 2001
tempo. Tutti gli elementi e le indicazioni di dinamizzazio-
ne del mondo testuale (le tracce di movimento e di rac-
conto, esposte nel precedente capitolo) vengono nella
natura morta accuratamente cancellati. In questo modo
essa «mentre seleziona ... un ‘istante’ [dal continuum tem-
porale del mondo testuale], nello stesso momento ne an-
nulla la temporalità, lo azzera»80.
D’altra parte, così facendo, la natura morta conferma
e rafforza la deprivazione dell’osservatore: annullando
l’articolazione temporale del mondo testuale annulla anche il tempo
dell’osservatore che fissa tale mondo. Uno sguardo istantaneo
possiede infatti una funzione e una ragion d’essere solo
rispetto a un mondo in divenire, quale fattore che blocca
e congela il flusso temporale; venuto meno il flusso, lo
sguardo istantaneo dell’osservatore implicito si eclissa. Il
risultato è una temporalità del mondo testuale azzerata,
privata di coordinate e di aspettualità; una temporalità
che, proprio per questo, diviene essa stessa elastica, malleabile,
modellabile in base al terzo sistema temporale, quello dello spettato-

160
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

re: «la scena è tale mentre la si guarda e in rapporto al tem-


po nel quale la si guarda»81, che è appunto il tempo dello
spettatore.

L’intervento di un messaggio verbale può innestarsi


sulla situazione appena descritta per la natura morta e
rendere il gioco testuale più complesso. Proponiamo a
questo proposito un piccola deviazione dal percorso pit-
torico fin qui seguito: esamineremo l’annuncio pubblici- ! Eugeni 1989
tario a stampa di alcuni gioielli De Beers. L’immagine " Tav. 40
pubblicitaria contemporanea infatti permette di cogliere
in maniera particolarmente evidente l’interazione tra mo-
delli della rappresentazione visiva e inserzioni verbali.
La parte visual dell’annuncio, che riempie completa-
mente la doppia pagina, rappresenta in primissimo piano
alcuni gioielli adagiati sullo sfondo di stoffe bianche in-
trecciate a materiali da ricamo. Al centro, non troppo
invadente, spicca la head line: «Hai sognato diamanti. Per-
ché tacerlo?». In alto a destra la body copy recita: «Dicono
che i sogni fatti all’alba si avverano. Ma ... certo tacerli li
costringe a restare sogni per sempre. Te la senti di rinun-
ciare a un anello con diamanti come questi? [...] Coraggio,
diglielo. Ogni sogno taciuto è un sogno perduto». Segue
in caratteri più piccoli l’illustrazione di caratteristiche e
prezzi di ciascun gioiello esposto. In basso a destra chiu-
de l’annuncio il pay off delle campagne De Beers: «Un
diamante è per sempre».
L’immagine proposta al lettore / spettatore è molto
simile a una natura morta: si ritrovano in essa
l’annullamento delle coordinate spaziali e temporali non-
ché una dimensione ravvicinata molto vicina alla scala
1:1. Il registro verbale rafforza il coinvolgimento del let-
tore / spettatore sotto due aspetti. Da un lato viene usata
la seconda persona verbale: il lettore, in quanto “tu”, vie-
ne chiamato all’interno del discorso di parole così come
lo sguardo sui diamanti lo rende direttamente partecipe
della scena rappresentata. D’altro canto la presenza insi-
stita di forme verbali di presente atemporale (il presente

161
Analisi semiotica dell’immagine

acronico dei proverbi: «i sogni si avverano... il sogno taciuto


è perduto...un diamante è per sempre») rafforza la atem-
poralità della scena.
In definitiva il lettore / spettatore è invitato ad assu-
mere il ruolo di un diretto partecipante alla visione dei
gioielli. Spazio e tempo della lettura vengono trasfigurati
in luoghi e istanti senza tempo di una visione incantata
del prodotto.
Fin qui la strategia del registro verbale coopera con
quella visiva nella costruzione di un punto di vista molto
simile a quello delle nature morte. Tuttavia occorre con-
siderare che le parole compiono un’operazione ulteriore.
Non tutti i verbi sono al presente: c’è anche un passato
prossimo. Il testo verbale articola una successione tempo-
rale di stati, un racconto: i diamanti vengono dapprima
sognati (passato prossimo), poi rivisti mentalmente (al
presente: un’immagine che rischia di essere rimossa e
persa, esattamente come la pagina pubblicitaria rischia di
essere sfogliata e dimenticata) e infine esaminati con cura
come in una vetrina o in una esposizione di gioielliere (è il
senso del minuto elenco dell’ultima parte della body copy e
del suo salto di tono espressivo).
Inoltre il testo verbale determina un personaggio al
centro di questo racconto: colui che ha sognato la scena;
che la rivede mentalmente e rischia di perderla; che infine
la trasforma in un esame più concretamente interessato.
Questo personaggio è il “tu” dell’head line: il lettore / os-
servatore della scena atemporale.
In definitiva quindi lo stato di sospensione temporale
caratteristico della natura morta viene dapprima moltipli-
cato in stati differenti, quindi riarticolato in un racconto
organico: racconto di tre contemplazioni fuori dal tempo
che si collegano in una successione logica e cronologica.
Un sogno è sempre fuori dal tempo; un acquisto non lo è
mai.

La Testa della Medusa di Caravaggio (1595 ca.) offre un ! Marin 1978


esempio di costruzione del punto di vista simile a quello " Tav. 20

162
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

dei ritratti e delle architetture dipinte. In questi casi il for-


te coinvolgimento è ottenuto mediante un’appropriata
collocazione dello spettatore attuata con mezzi testuali o
contestuali. Esaminiamo se si può parlare di un parallelo
coinvolgimento di ordine temporale.
Sarà bene ricordare brevemente il racconto che sta al-
la base del dipinto. La Medusa è un mostro che uccide le
sue vittime pietrificandole con il proprio sguardo. Perseo
riesce a ucciderla rivoltando contro di lei il suo stesso
potere: egli avanza verso il mostro tenendo il proprio
scudo capovolto davanti al volto come fosse uno spec-
chio; allorché la Medusa vede la propria immagine riflessa
nello scudo si auto - pietrifica. L’eroe può quindi tagliarle
la testa e appenderla sul davanti dello scudo esponendola
alla visione del pubblico.
L’immagine della testa della Medusa è dipinta da Ca-
ravaggio su un piccolo scudo da torneo in legno: il colore
del fondo simula il colore bronzeo di uno scudo in metal-
lo. La testa, mozzata e grondante sangue, sembra sospesa:
infatti la superficie reale dello scudo è convessa, mentre
l’effetto di colore e forma simula una profondità, una
forma concava. Lo sguardo è frontale, ma la particolare
deformazione lo fa volgere verso il basso a sinistra. Il
volto è caratterizzato da una smorfia di orrore bloccata al
punto massimo di espressione.
Confrontando il racconto con la raffigurazione cara-
vaggesca ci accorgiamo che la temporalità del mondo testuale
dell’immagine può ricevere una duplice accezione: l’artista
può aver ritratto l’istante di autopietrificazione del mostro
(effetto di specchio, concavità illusoria), oppure lo scudo
dipinto può rappresentare il tempo indefinitamente pro-
lungato di esibizione al pubblico (la testa è mozzata, e lo
scudo è anche convesso).
D’altra parte, a seconda dell’una o dell’altra accezio-
ne, anche la temporalità dell’osservatore implicito viene diver-
samente qualificata in termini di durata e narrazione.
L’osservatore è infatti, di volta in volta, nella posizione
spaziale e temporale della Medusa stessa che si auto -

163
Analisi semiotica dell’immagine

pietrifica istantaneamente, oppure in quella di uno spetta-


tore che ammira senza vincoli temporali l’impresa osser-
vando la testa recisa.
Ma il gioco è ancora più complesso e completo,
coinvolgendo (questo è per noi il punto cruciale) anche la
spazialità e la temporalità dello spettatore presupposto. Lo scudo
è infatti un “vero” scudo, a misura originale: si tende
dunque a un’omologazione tra il sistema spazio - tempo-
rale dell’osservatore e quello dello spettatore. Di conse-
guenza la situazione dello spettatore può essere qualifica-
ta in termini narrativi e finzionali: egli diviene la stessa
Medusa, e allora ogni istante del tempo di visione diventa
l’istante della pietrificazione. Oppure diviene spettatore
dell’impresa compiuta, e allora il tempo di visione
dell’opera diventa il tempo di contemplazione dello spet-
tacolo della “vera” testa recisa82.
Gli ultimi due esempi illustrano bene il risultato ulti-
mo di una strategia di coinvolgimento dello spettatore in
termini sia spaziali che temporali: la situazione spettatoriale
tende a essere finzionalizzata. L’atto dello sguardo, nei suoi
parametri di distanza dalla scena guardata e di tempo im-
piegato per l’osservazione, viene risucchiato nel gioco
finzionale della rappresentazione. L’immagine trasfigura
allora la propria visione e, nel raccontare una storia, rac-
conta assieme la finzione dello sguardo che si posa su di
essa.

4.5 Conclusioni: punto di vista dello spettatore e costitu-


zione dell’identità del soggetto

La costruzione del punto di vista è stata analizzata nel


corso del capitolo come definizione di posizioni spaziali,
situazioni temporali e ruoli narrativi del soggetto spettato-
riale rispetto alla scena rappresentata. Si profila in questo
modo sullo sfondo una questione complessa: il problema

164
Capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni

dei meccanismi di costituzione dell’identità del soggetto e, più am-


piamente, il problema della «genealogia del soggetto»83.
Ancora una volta tocchiamo uno dei punti limite del-
la disciplina semiotica e, insieme, uno dei punti di scam-
bio tra semiotica e altre discipline. Le analisi di ordine
semiotico cedono il campo a riflessioni di tipo ermeneuti-
co, etico e ontologico. Non solo: esse si agganciano a
problematiche dibattute in termini psicologici e psicanali-
tici (l’identificazione e la costituzione dell’io mediante le
procedure del simbolico e dell’immaginario), o macro e
micro-sociologici (la costituzione dell’identità sociale e di
quelle micro-identità dell’apparenza che sono i “ruoli”
assunti nelle situazioni di vita quotidiana).
Ci limitiamo in questa sede a indicare una direzione
di riflessione che deriva dal lavoro svolto. A prima vista
l’identità dei soggetti (a cominciare da quella dello spetta-
tore) sembrerebbe definita dalla rete di relazioni instaura-
te con altri soggetti e oggetti: gli indicatori e astanti sono
definiti da una posizione rispetto alla scena guardata;
l’osservatore è tale in quanto centro di organizzazione
visiva della scena; lo spettatore può assumere o meno il
punto di vista dell’osservatore. In ogni caso l’identità pro-
cede da un processo di identificazione che è di tipo sostan-
zialmente statico. Affiora qui l’idea di identità come «me-
desimezza»: lo spettatore è il ruolo che l’immagine defini-
sce per lui; e tale è destinato a restare finché permane
nello spazio di senso dell’immagine stessa. Prevale in que-
sto senso la radice del termine dal latino idem84.
A ben vedere, tuttavia, le cose stanno diversamente.
Lo spettatore trova di fronte a sé non un unico punto di
vista, ma piuttosto una serie articolata di posizioni, situazioni e
ruoli narrativi. Sia perché gli osservatori possono essere
molteplici; sia perché l’apparato di astanti, indicatori ed
emblemi moltiplica gli accessi al mondo testuale: il caso
de Las Meninas da cui siamo partiti è esemplare di en-
trambe le possibilità. La «proiezione» dello spettatore
all’interno dell’immagine mediante le sue figure vicarie

165
Analisi semiotica dell’immagine

andrebbe piuttosto letta come una rifrazione: un moltipli-


carsi di offerte di sguardo e quindi di effetti di senso.
L’immagine offre in questo senso non un’unica iden-
tificazione, ma la possibilità di identificazioni e de-
identificazioni, di assunzioni e abbandoni di posizioni,
situazioni e ruoli. Un gioco che ha qualcosa della macchi-
na teatrale e molto del racconto letterario. L’immagine -
ogni immagine - «non [...]si limit[a] a tollerare tali variazio-
ni, ess[a] le genera, le ricerca. In questo senso
[l’immagine] si presenta come un vasto laboratorio per
delle esperienze di pensiero in cui le risorse di varianza
dell’identità narrativa vengono messe alla prova del rac-
conto»85.
Il problema dell’identità si pone allora in termini dif-
ferenti: non più come ciò che permane staticamente, an-
corato a una serie di relazioni univoche; ma, piuttosto,
identità come ciò che permane dinamicamente attraverso il gioco
delle identificazioni e dei ruoli. Provando le diverse “masche-
re” che il testo gli porge, lo spettatore impara a capire e a
dirsi “chi” egli è. Identità dunque come «ipseità», recupe-
rando l’altra radice latina del temine (l’ipse oltre all’idem).
Il processo interpretativo consiste dunque, al livello
comunicativo, nel calzare delle maschere e
nell’impersonare dei ruoli. Ma, occorre osservare in con-
clusione, la sequenza di personificazioni non è casuale e
smemorata, ma piuttosto responsabile e ordinata sul filo
di un racconto. Ed è appunto per questo che
l’interpretazione testuale si può considerare (anche, forse)
una grande metafora del processo di costituzione
dell’identità personale.

166
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

5.

SPECCHI, RIFLESSI, INGANNI

Non c’è niente di misterioso che non divenga evidente, e viceversa tutto ciò
che è evidente nasconde in sé un mistero.

Pavel Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte

5.1 Il ritorno alla situazione interpretativa e il confronto


epistemico

Il quarto livello di analisi prende in esame l’immagine


in quanto responsabile della costruzione di rapporti tra lo
spettatore e la stessa situazione di visione e interpretazione di cui lo
spettatore è protagonista. L’immagine orienta l’interpretazione
verso se stessa; lo spettatore è invitato a recuperare la
consapevolezza della propria presenza di fronte ad un
testo visivo e rappresentativo.
La prima conseguenza di questo ritorno dello spetta-
tore alla propria situazione interpretativa è la possibilità di
effettuare una valutazione circa il grado di verità e di ve-
rosimiglianza di quanto l’immagine presenta. Tale valuta-
zione richiede infatti un confronto tra la scena rappresen-
tativa del mondo testuale e quanto c’è e accade nel mon-
do reale in cui ha luogo la visione e l’interpretazione
dell’immagine. Il rinvio alla situazione spettatoriale
all’interno della rappresentazione si lega dunque alla costi-
tuzione di un giudizio epistemico dello spettatore circa il
rappresentato, giudizio che l’immagine prevede e orienta.

167
Analisi semiotica dell’immagine

Il rinvio alla situazione interpretativa e l’orientamento


del giudizio epistemico costituiscono gli oggetti di inte-
resse e i sottolivelli del livello metacomunicativo
dell’analisi. Li esamineremo separatamente in
quest’ultimo capitolo. Le conclusioni saranno dedicate a
un tipo di immagine che mostrerà nel corso del capitolo
alcuni caratteri particolari: la fotografia.

5.2 L’immagine riflessiva

L’immagine rinvia alla situazione interpretativa me-


diante una serie di segnali che affiorano con maggiore o
minore evidenza all’interno della rappresentazione1. Molti
di questi segnali sono gli stessi elementi che abbiamo
visto all’opera nella costituzione del punto di vista: ad
esempio la presenza di astanti è leggibile anche come
rinvio alla situazione di visione dello spettatore; e lo è con
tanta più evidenza se l’astante viene rappresentato a guar-
dare non una scena ma un quadro nel quadro. Questa
identità di elementi non deve tuttavia ingannare: essi sono
funzionali alla costituzione di una relazione tra spettatore
e immagine di direzione opposta a quella esaminata nel pre-
cedente capitolo. Alla relazione di tipo transitivo tra spetta-
tore e immagine, subentra ora una relazione di tipo riflessi-
vo: la scena rappresentata si rivela anche, in vario modo e
misura, uno specchio per lo spettatore, rinviandogli
l’immagine della propria stessa attività2.
Si noti tuttavia la duplice valenza del termine “riflet-
tere”. Nel rinviare al proprio spettatore l’immagine ri-
manda a se stessa, ai processi materiali e simbolici che
hanno determinato la propria costituzione oltre che il
proprio consumo e al tessuto di idee e concezioni che
hanno presieduto a quei processi. In altri termini
l’immagine riflette su se stessa; instaura un discorso avente
per oggetto ciò che essa è; allaccia su questi argomenti un

168
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

dialogo intertestuale con altre immagini; e, in definitiva, si


pone come un oggetto autoteorico di ordine visivo3.

5.2.1 I segnali di rinvio alla situazione interpreta-


tiva

Il rinvio alla situazione di interpretazione si basa


dunque su una serie di segnali che, all’interno del mondo
rappresentato, rimandano all’attività dello spettatore. Cer-
cheremo anzitutto di stabilire una tipologia di questi se-
gnali; osserveremo successivamente in che modo essi si
saldano in configurazioni più complesse.
Abbiamo detto sopra che il rinvio all’attività spettato-
riale può avvenire mediante la messa in scena di (o
l’allusione a) differenti fasi del processo di costituzione e
visione dell’immagine. Parleremo a questo proposito di
un “ciclo dell’immagine”, articolato in tre fasi: la fase in-
coativa della costruzione dell’immagine, la fase durativa
della sussistenza dell’immagine in sé, e la fase terminativa
della sua visione / interpretazione. Benché solo l’ultima fase
rimandi direttamente all’attività spettatoriale, le altre at-
tuano comunque un rinvio indiretto e metonimico. Il
primo criterio della tipologia dei segnali è quindi costitui-
to dalla fase del ciclo dell’immagine che viene presentata.
Questa presentazione può avvenire d’altro canto a
differenti livelli della rappresentazione. A livello di figura-
tivizzazione esplicita l’immagine mette in scena personaggi
che creano o guardano immagini; a livello implicito
l’immagine instaura un osservatore che rimanda tanto
all’atto di guardare la scena che ha dato origine
all’immagine quanto all’atto di guardare l’immagine che
conclude il ciclo; a livello di presupposizione l’immagine
presenta tracce dell’autore e dello spettatore effettivi. Il
secondo criterio della tipologia dei segnali è quindi costi-
tuito dal livello di rinvio alle varie fasi del ciclo
dell’immagine.
Dall’incrocio dei due criteri deriva la seguente tipolo-
gia:

169
Analisi semiotica dell’immagine

fase del ciclo livello del rinvio


dell’immagine
) )
esplicito implicito presupposto

costruzione ! pittore ! punto di fuga ! reticolo pro-


! firma spettico
! indicatore ! tocco pennella-
ta
sussistenza ! quadro nel
quadro
! trompe-l’oeil
! finestre, porte,
specchi
interpretazione ! spettatori ! punto di fuga ! linee vettoriali
! astanti di orientamento
! epigrafi: raggi di dei percorsi di
luce sguardo

A livello figurativo esplicito possiamo reperire all’interno


della rappresentazione tutte e tre le fasi del ciclo
dell’immagine.
La costruzione dell’immagine, anzitutto. Nella forma più
elementare e al massimo grado di iconicità, il pittore ritrae
se stesso o un altro artista nell’atto di dipingere. Il rinvio
all’atto del dipingere può essere effettuato anche con altri
mezzi, il cui grado di iconicità è minore: per esempio con
la firma, eventualmente completata con frasi che attesta-
no la data dell’esecuzione e l’effettiva presenza dell’artista
sul luogo rappresentato al momento del dipingere. In altri
casi il realizzatore dell’immagine può non apparire diret-
tamente, ma indirettamente, per esempio mediante tracce
e indizi costituiti da riflessi e ombre4. Si consideri infine la
possibilità di personaggi indicatori che non costruiscono
fisicamente l’immagine ma che, indicando gli elementi da
guardare agli astanti oppure all’osservatore, contribuisco-

170
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

no per così dire alla costruzione mentale che se ne fanno


costoro.
La presenza dell’immagine nell’immagine. La casistica è
molto ampia5: si va dalle scene di atelier, con quadri semi-
finiti, a scene di interni o di mostre con dipinti completi6.
Un caso limite di quadro nel quadro è costituito dal sug-
gerimento che l’intera immagine sia inserita in se stessa:
per esempio mediante il raddoppiamento della cornice con
artifici di trompe-l’œil (davanzali di finestre, ecc.), oppure il
porre tendaggi in primo piano, ecc. All’immagine si può
però alludere in altri modi, in maniera meno iconica e più
metaforica: ad esempio ponendo all’interno del mondo
testuale elementi quali finestre, porte aperte, specchi e più
in generale superfici incorniciate, come fa spesso la pittu-
ra fiamminga7.
Infine, l’atto di contemplazione e di interpretazione del dipin-
to: anche qui troveremo, al massimo grado di iconicità, la
presenza di personaggi che ammirano il quadro nel qua-
dro; ma potremo avere anche degli astanti, cioè perso-
naggi che guardano la scena che si sta svolgendo; e po-
tremo trovare anche degli emblemi, sostituti metaforici
dell’osservatore e (indirettamente) dello spettatore: tipi-
camente, il raggio di luce che esprime lo sguardo.
Venendo al livello della raffigurazione implicita degli atti
di produzione e osservazione dell’immagine, notiamo che
la posizione del punto di vista dell’osservatore costituisce
già di per sé una traccia di questo tipo, rinviando sia al
soggetto che ha visto il mondo testuale, sia a quello cui
questo sguardo è offerto al momento della visione del
quadro. Queste attività possono essere esplicitate nel
momento in cui si mette in luce l’attività interpretativa
dell’osservatore: vuoi mediante l’interpellazione (un astan-
te del mondo testuale guarda negli occhi l’osservatore
dell’immagine), vuoi mediante la soggettività (l’immagine
presenta le tracce di una distorsione soggettivante).
Passando infine al livello della presupposizione, rinviano
all’atto del produrre l’immagine elementi quali le tracce
della costruzione del reticolo geometrico che sta alla base

171
Analisi semiotica dell’immagine

della prospettiva. E’ vero infatti che questo reticolo viene


ricoperto dall’immagine figurativa, ma è anche vero che
di esso restano alcune tracce, in particolare nella geome-
tria dei pavimenti o di certe architetture. Altri elementi di
rinvio all’atto del costruire l’immagine sono il tocco e la
traccia della pennellata. Anche l’attività spettatoriale pre-
supposta conosce una possibile manifestazione, soprattut-
to nelle linee vettoriali che, a livello plastico, orientano i
percorsi dello sguardo costituendo la matrice delle possi-
bili interpretazioni.8

5.2.2 Le configurazioni di rinvio alla situazione


interpretativa

I segnali che rinviano alla situazione di interpretazio-


ne si presentano congiunti in particolari configurazioni
complessive. Ad esempio l’autoritratto presenta sia la
figurativizzazione dell’atto di dipingere da parte dell’arti-
sta che uno sguardo rivolto verso l’osservatore (e dunque
l’esplicitazione dell’attività interpretativa di costui); in una
normale scena in prospettiva non troviamo invece nessu-
na figurativizzazione dell’atto di dipingere o guardare un
dipinto, ma potremo trovare personaggi astanti, la
posizione del punto di vista centrale, l’esibizione del
reticolo prospettico (e dunque del lavoro presupposto
dell’artista) mediante le linee e i riquadri della
pavimentazione; e così via.
Le diverse configurazioni possiedono un particolare
“peso” all’interno dell’economia complessiva della rap-
presentazione; in base a tale peso un’immagine può rin-
viare in modo più o meno evidente alla propria situazione
interpretativa. Questo peso è funzione di due fattori. Il
primo è l’evidenza intrinseca di ciascun segnale che compone la
configurazione: i segnali di tipo esplicito “pesano” di più
di quelli del livello implicito o presupposto; ad esempio il
richiamo di una scena di quadro nel quadro con uno spet-
tatore presente è più forte di quanto non lo sia la sempli-
ce presenza del punto di vista centrale nella prospettiva

172
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

tradizionale. Il secondo fattore è dato dal numero di segnali


che compongono la configurazione; ad esempio una sce-
na biblica o di storia civile con un grande numero di a-
stanti e di indicatori presenta un richiamo alla situazione
interpretativa più forte di una scena povera di astanti.
Il peso delle configurazioni è in ogni caso relativo ri-
spetto alla consistenza della scena del mondo testuale da
osservare e interpretare. Uno stesso numero di astanti e
indicatori “pesa” poco se la scena da indicare e osservare
è particolarmente ampia e complessa, mentre “pesa” mol-
to se la scena è povera o addirittura inesistente. Ad esem-
pio (assumendo due esempi poussiniani già incontrati) ne
La caduta della manna ci sono vari gruppi di astanti, ma il
loro peso è controllato dalla prevalenza visiva e tematica
della scena centrale del miracolo. Al contrario nei Pastori
d’Arcadia le azioni di indicazione e sguardo occupano
completamente la scena assumendo un peso estremo.
Esaminiamo alcune configurazioni di rinvio alla si-
tuazione interpretativa. Partiremo da casi di peso minore
(per quanto relativamente elevato) fino a casi di particola-
re consistenza ed evidenza dei richiami.

La città ideale è un dipinto su tavola di forma allungata ! Damisch 1987


della seconda metà del Quattrocento, che ha fatto discu- " Tav. 10
tere non poco gli studiosi per stabilire attribuzioni, ascen-
denze e datazioni9. Esso appartiene al genere delle «vedu-
te urbane dipinte»; più in particolare è accostabile a due
tavole di soggetto simile, una custodita a Baltimora e l’al-
tra a Berlino. Nella tavola urbinate possiamo osservare
una piazza, cinta da due file di edifici laterali e con al cen-
tro un tempio rotondo. La prospettiva è centrale10: il pun-
to di fuga cade sulla porta del tempio, che è semiaperta e
lascia vedere uno spiraglio scuro. La scena è assolutamen-
te deserta.
Come osserva Damisch 1987 (che ha sottoposto la
tavola ad una minuta e appassionata disamina) «nel cam-
po della pittura, la vitalità della rappresentazione classica
si scopre nel suo dispositivo stesso e nella disgiunzione

173
Analisi semiotica dell’immagine

che esso implica tra i due momenti dell’operazione nella


quale si riassume il compito del pittore: pittore al quale
tocca aprire in un primo tempo il campo dell’istoria, e
costruire, istituire la scena con i mezzi della costruzione
legittima, per introdurvi poi le figure della favola o del
racconto. Le prospettive dette “urbinati” propongono
l’immagine, in qualche modo enigmatica, di questa di-
sgiunzione preliminare»11.
Una scena senza storia, dunque. Deriva di qui una
conseguenza importante. Come sappiamo la scena spazia-
le prospettica rinvia implicitamente al soggetto osservato-
re; il sottrarre all’immagine la componente dinamica della
storia comporta allora l’assegnare all’implicito un peso
anomalo all’interno dell’economia espressiva
dell’immagine. Svaniti tutti gli altri possibili soggetti,
l’osservatore - per definizione invisibile - rimane l’unico
soggetto dominante. D’altra parte il portare alla luce la
dimensione implicita dell’osservatore in quanto origine
invisibile della rappresentazione, equivale a rappresentare
figurativamente la «forma stessa della raffigurazione» che
«l’immagine non può dipingere, raffigurare, ma solo mo-
strare, esibire, perfino - come in questo caso - mettere in
scena»12. La tavola allestisce insomma una rappresentazione della
rappresentazione stessa, nella forma paradigmatica dell’impianto
prospettico.
Non è allora casuale che le linee prospettiche conver-
gono verso la porta semiaperta del tempietto centrale,
«all’altezza dell’occhio di un osservatore che fosse stato lì,
mezzo nascosto dietro il battente chiuso della porta»13: la
porta (ripresa e moltiplicata con diversa angolazione dalle
finestre dei palazzi, anch’esse semiaperte e senza apparen-
ti segni di vita) diventa insomma un emblema dell’osser-
vatore, una figurativizzazione metaforica dello stesso
soggetto14.
Infine, andrà osservato come la costruzione legittima
e la geometria delle architetture e del pavimento portino
alla luce un altro aspetto di esibizione dell’immagine e
della sua costituzione: le tracce del lavoro compositivo e

174
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

del reticolo di base necessario alla raffigurazione prospet-


tica da parte dell’artista; reticolo che il velo della pittura
normalmente nasconde, ma che alcuni elementi figurativi
(e in particolare i tracciati dei pavimenti lastricati) talvolta
rivelano.
In sintesi, dunque, l’enigmatica figura del La città idea-
le rivela un peso relativamente elevato di rimandi alla si-
tuazione interpretativa dello spettatore. La sua particolari-
tà è quella di assumere una veduta di città quali quelle in
cui tipicamente, nel Rinascimento, venivano ambientate
scene di racconto, privando però tale veduta degli ele-
menti dinamici e narrativi. In questo modo viene offerto
uno spazio inusuale all’affiorare della figura implicita
dell’osservatore quale principio organizzatore dello spazio
scenico, figurativizzato metaforicamente in porte e fine-
stre semiaperte; inoltre la stesa deprivazione narrativa
mostra più apertamente del solito la geometria di pavi-
mentazione e architetture, che rinvia all’istanza presuppo-
sta di costruzione dell’immagine.

Nel Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck (1434) ! Corrain 1987:
i due protagonisti sono raffigurati in figura intera, colloca- 226; Butor 1980
ti verso il primo piano della stanza da letto. Sulla parete di " Tav. 7
fondo, al centro dell’immagine e tra i due coniugi, è col-
locato uno specchio; la sua forma è bombata: esso distor-
ce l’immagine e al tempo stesso abbraccia un angolo vi-
suale più ampio del normale. In esso sono dunque riflessi
sia le parti della stanza che l’osservatore vede (ovviamente
dalla parte non visibile da costui), sia la parte invisibile
dell’immagine. Tramite lo specchio possiamo dunque
vedere la porta della stanza, collocata sul versante
dell’osservatore e di fronte ai soggetti ritratti: due figure si
affacciano dalla porta e guardano la scena.
Questa immagine installa dunque tre potenti segnali
di rinvio alla situazione interpretativa. Il primo è lo spec-
chio, figura dell’immagine stessa e anzi forte metafora
dello stesso potere “riflessivo” di questa. Lo specchio è
inoltre un forte elemento di riflessività per un altro moti-

175
Analisi semiotica dell’immagine

vo: esso duplica la presenza di astanti, nel caso venga


posto in senso longitudinale rispetto al piano di osserva-
zione (ne abbiamo visto un esempio in Susanna al bagno di
Giorgione)15, o addirittura mostra astanti altrimenti invi-
sibili, nel caso venga posto frontalmente rispetto al piano
di osservazione16. Appunto questa posizione frontale
rispetto al piano di osservazione è quanto ritroviamo ne-
gli Arnolfini: la posizione degli astanti all’interno dello
specchio - coincidenti con la posizione dell’osservatore -
è il secondo elemento di rinvio alla situazione interpreta-
tiva contenuto nell’immagine.
C’è poi un terzo elemento. Sopra lo specchio pos-
siamo leggere una scritta: «Johannes de Eyck fuit hic». Si
noti che la collocazione di questa firma17 è incerta: essa
può essere intesa come dipinta sul muro della parete di
fondo su cui è appeso lo specchio, oppure immaginaria-
mente sospesa nell’aria, o dipinta sulla superficie bidi-
mensionale della tela.
Proprio la presenza simultanea di specchio e firma
all’interno di questa particolare configurazione18 apre
peraltro la possibilità di particolari interpretazioni: «Se la
firma è sul muro, l’autore intende evidentemente segnala-
re la propria esistenza lì, cioè nello specchio. Se è sospesa
si intenderà piuttosto che l’autore era davvero presente
all’avvenimento. Se è sulla superficie, l’artista esiste nella
fattura del dipinto»19.
In sintesi, dunque, anche gli Arnolfini presentano un
peso relativamente elevato di rimandi al rinvio alla situa-
zione interpretativa dello spettatore. Se nel caso della
Città ideale la consistenza dei rimandi si basava su una
tecnica di deprivazione di elementi, qui troviamo piuttosto
una tecnica di accumulo: lo specchio, emblema della rap-
presentazione pittorica e della sua stessa riflessività, isti-
tuisce la presenza di astanti nella stessa posizione
dell’osservatore e si accompagna alla presenza della firma
dell’artista. Gli esempi che seguiranno continueranno a
esaminare casi di accumulo di invii alla situazione spetta-
toriale20.

176
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

L’autoritratto al cavalletto di Rembrandt (1669) porta al ! Corrain 1987:


centro della scena lo stesso pittore all’opera: l’artista è 234
posto di tre quarti, di fronte a una tela di cui vediamo, al " Tav. 27
margine destro, una parte del bordo posteriore; la scena
tende da un punto di vista luministico all’indistinzione
dell’ombra e del buio; solo una luce dorata, entrando dal-
l’angolo superiore destro, colpisce il pittore sul capo
mettendone in risalto la testa e in particolare lo sguardo,
rivolto verso l’osservatore. Troviamo dunque immedia-
tamente due segnali di rinvio al rinvio alla situazione in-
terpretativa dello spettatore: la figurativizzazione del pit-
tore all’opera, e il suo sguardo rivolto verso l’osservatore,
a sollecitare ed esplicitare la sua presenza di fronte alla
tela.
C’è però anche un terzo elemento, meno immedia-
tamente percepibile. Un indizio ci conduce verso la sua
scoperta: lo sguardo dell’artista è uno sguardo particolare,
deviato da un leggero strabismo; infatti l’occhio alla de-
stra dell’osservatore si dirige verso l’osservatore stesso,
mentre quello a sinistra sembra guardare leggermente
oltre, verso la sinistra e in alto, quasi a trapassare e supe-
rare lo sguardo dell’osservatore. L’osservatore è quindi al
tempo stesso guardato e non guardato. Perché? La rispo-
sta sta nel tipo di ritratto stesso: non ritratto ma, appunto,
autoritratto. L’autoritratto è eseguibile solamente con
l’aiuto di uno strumento particolare: lo specchio, che fa
nuovamente la sua comparsa. Autoritratto e specularità
sono dunque strettamente legati: non è un caso che il
primo autoritratto indipendente della storia della pittura
sia stato dipinto direttamente su uno specchio, da Jean
Fouquet21. Ma allora Rembrandt non sta guardando,
nell’ambito del dipinto considerato, un osservatore ester-
no: sta piuttosto guardando se stesso in uno specchio; e
lo specchio non è più posto né longitudinalmente né
frontalmente rispetto al piano di osservazione: lo spec-
chio è il piano di osservazione.

177
Analisi semiotica dell’immagine

Questa particolare situazione non è senza conse-


guenze per quanto concerne il ruolo attribuito all’osserva-
tore: costui è situato al posto dello specchio, in luogo del
riflesso virtuale dell’artista “dentro” lo specchio invisibile.
L’osservatore è l’artista, è il riflesso, la riproduzione
speculare dell’artista. Alla base c’è senza dubbio una
rivendicazione del ruolo di “artista”, che Rembrandt per-
segue attraverso la propria opera mediante la ripetizione
del proprio autoritratto; egli «rivendica giorno per giorno
la propria figura di artista, e anzi l’inserisce in una specie
di strategia, quella di rappresentare il proprio volto nel
corso del tempo»22: di lui ci restano ben 43 autoritratti certi,
nelle diverse età e nello scorrere del tempo. Una tale ri-
vendicazione però non è compiuta solamente con i mezzi
intertestuali della ripetizione del ritratto, ma anche a livel-
lo testuale mediante un gioco quale quello esaminato, che
abbassa l’osservatore a semplice riflesso di una figura, ma
al tempo stesso lo innalza, perché questa figura è la figura
dell’artista stesso.
In sintesi, con l’Autoritratto al cavalletto il soggetto del
quadro diventa lo stesso atto del dipingere e lo stesso atto
di contemplare il dipinto: atti di per sé disgiunti, ma che la
particolare configurazione dell’autoritratto, mediante la
posizione dello specchio in luogo del piano di osserva-
zione, permette di congiungere. Possiamo parlare in que-
sto senso di un peso molto forte della configurazione di
rinvio al rinvio alla situazione interpretativa: tale configu-
razione occupa completamente la scena mediante segnali
numerosi ed espliciti. Le fasi del ciclo dell’immagine non
vengono semplicemente alluse ma esplicitamente dichia-
rate, poste al centro della rappresentazione e - grazie al
gioco di specchi - fatta coincidere con essa.

Rembrandt guarda dall’immagine sia se stesso ! Stoichita 1993:


nell’atto di ritrarsi che lo spettatore nell’atto di osservare il 255-264
risultato dell’operazione. Se facciamo compiere all’artista " Tav. 28
in scena un ideale giro di 90 o addirittura 180 gradi pas-
siamo dall’autoritratto a un altro genere: lo “scenario di

178
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

produzione”. Questo «si differenzia dall’autoritratto per il


fatto di mettere a fuoco non la figura del produttore di
immagini, bensì il loro essere prodotte»23. Un esempio
estremo e conclusivo di scenario di produzione è L’arte
della pittura di Vermeer da Delft (1665).
Un drappo di tessuto in primo piano sulla sinistra è
sollevato e lascia vedere l’atelier dell’artista. Il pittore è in
secondo piano, al cavalletto, le spalle allo spettatore; sulla
tela intravediamo le prime linee del dipinto in fieri. Più in
fondo a sinistra la modella è in posa; al centro si staglia la
parete bianca e, più in alto, una grande carta geografica.
La luce entra da una finestra da sinistra e coinvolge la
modella, le pieghe della carta geografica, la tela del pitto-
re.
Si può immediatamente osservare che la scena è af-
follata di superfici verticali più o meno ricoperte di segni.
La parete bianca sullo sfondo è una superficie non segni-
ca, una sorta di grado zero della raffigurazione. La carta
geografica che la ricopre è una prima superficie di segni
visivi; essa richiama senza dubbio la pittura come attività
di trascrizione del reale in termini visivi; ma presenta al
tempo stesso uno scarto nei metodi del passaggio dalla
visione alla riproduzione: la proiezione cartografica e la
proiezione prospettica si manifestano al tempo stesso
apparentate ma distinte24.
Passando dal fondo al primo piano troviamo un’altra
superficie ricoperta di segni: il drappo sollevato sulla sini-
stra. Ma un’osservazione attenta ci rivela che non si tratta
propriamente di un drappo, quanto del rovescio di un araz-
zo. Il caos e l’indistinzione segnica che ci appaiono altro
non sono che il rovescio e il complemento di
un’immagine ordinata e distinta che tuttavia non ci è dato
vedere. Dal davanti dell’immagine siamo portati al dietro:
all’intreccio di fili che costituisce il tessuto ordinato di
segni (il “testo”, appunto) ma che, di per sé, non ha alcun
senso.
Infine, al centro dell’immagine, si colloca la superficie
della tela del quadro che l’artista ha appena iniziato a di-

179
Analisi semiotica dell’immagine

pingere. La posizione centrale (in senso di profondità)


della tela è sintomo della sua centralità concettuale: il tito-
lo del dipinto rinvia appunto a un discorso su L’arte della
pittura. Tuttavia questa definizione del dipingere, in base a
quanto detto fin qui, si profila non in positivo, ma grazie
a un gioco di confronti e contrasti: la pittura si definisce
non per quello che è, ma per quanto essa non è.
La centralità della tela dipinta prelude a un confronto
con le altre superfici di segni presenti nel quadro: la su-
perficie dipinta non è più una superficie candida e insignifi-
cante come la parete a calce ad essa tangente nella parte
inferiore. La tela non sarà mai la carta geografica sullo
sfondo, che tocca nella parte superiore. La tela sarà anche
ma non sembrerà mai il proprio retro invisibile e privo di
senso (e, più ampiamente, sarà anche un lavoro di tessitu-
ra di segni di cui non resterà traccia nell’elaborato finale).
C’è infine un ultimo confronto da effettuare; un con-
fronto che implica un salto di livello: la tela dipinta rinvia
alla tela reale, posta di fronte agli occhi dello spettatore.
L’esibizione pittorica della scena viene peraltro sottolinea-
ta dall’evidente scostamento dell’arazzo in primo piano
che esibisce l’indiscreta penetrazione dello sguardo
dell’osservatore nell’atelier dell’artista. Quest’ultimo salto
è decisivo per capire cosa è l’arte della pittura rispetto a
tutte le altre forme di rappresentazione visiva: è l’arte in
grado di comprendere in sé tutte le altre. Grazie alla sua capacità
di trasformare il visibile (qualunque porzione del visibile,
comprese le immagini) in immagine, la pittura «è in grado
di inglobare la rappresentazione dell’atto pittorico insieme
ai suoi limiti metaforici: la carta geografica e l’arazzo. Se
vi riesce, ciò è dovuto al fatto che tutto il quadro è strut-
turato sulla base di un codice di rappresentazione supe-
riore sia a quello della cartografia sia all’arte del tessitore:
il codice della prospettiva»25.

Se, giunti a questo punto, riportiamo davanti agli oc- " Tav. 26 a e 26b
chi Las Meninas di Velázquez (1656) possiamo renderci # 4.2.9
conto che questo quadro si presenta come una summa esplicita dei

180
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

differenti segnali e configurazioni di rinvio al “ciclo dell’immagine”


fin qui emerse. Vediamo con ordine26.
Il primo piano ci presenta una situazione di ritratto e
di posa, cioè le due posizioni complementari del dipinge-
re: il pittore di fronte alla tela (che vediamo dal dietro,
come avveniva nell’autoritratto di Rembrandt) guarda
l’osservatore in quanto soggetto in posa; le fanciulle guar-
dano in posa l’osservatore in quanto pittore. Si tratta
quindi di un particolare «scenario di produzione» ricco di
riferimenti alla costruzione dell’immagine (fase incoativa del
ciclo dell’immagine).
Non mancano poi i riferimenti, oltre che al dipingere
e all’essere dipinti, al guardare l’immagine (fase terminati-
va del ciclo): uno dei due personaggi in secondo piano
assieme al Maresciallo sulla porta del fondo osservano la
scena intera, e più in particolare la tela che il pittore viene
dipingendo; anche il raggio di luce dalla destra, allusione
metaforica e simbolica allo sguardo dell’osservatore, è
orientato sulla medesima tela.
Infine sono numerosi i rinvii all’immagine in sé, nel
suo sussistere (fase durativa del ciclo): in particolare sul
fondo della stanza troviamo ricapitolati i tre motivi fon-
damentali del quadro nel quadro, della porta o finestra
semiaperta e dello specchio.
Nel complesso dunque, se seguiamo lo sviluppo degli
elementi figurativi in senso orizzontale, da sinistra a de-
stra, ci accorgiamo che «questa conchiglia elicoidale offre
l’intero ciclo della rappresentazione: lo sguardo, la tavo-
lozza e il pennello, la tela innocente di segni (vale a dire
gli strumenti materiali della rappresentazione), i quadri, i
riflessi, l’uomo reale (vale a dire la rappresentazione ulti-
mata ma come redenta dai suoi contenuti illusori o veri
che le sono giustapposti); poi la rappresentazione si scio-
glie: ormai se ne vedono solo le cornici e la luce che dal-
l’esterno impregna i quadri»27.
La rappresentazione riceve dunque ne Las Meninas
una rappresentazione piena e completa. C’è però ancora
qualcosa da osservare. A ben vedere Las Meninas non si

181
Analisi semiotica dell’immagine

limita a disegnare il tragitto completo della rappresenta-


zione classica, ma pronuncia un giudizio su tale rappre-
sentazione, ne traccia un elogio. Gli elementi pertinenti a
questo proposito sono due. In primo luogo occorre con-
siderare il contenuto dei quadri nel quadro presenti sulla
parete di fondo «[...] si tratta di due copie eseguite da
Martìnez del Mazo imitate da Pallade e Aracne di Rubens,
da Apollo e Marsia di Jordaens, due illustrazioni della puni-
zione meritata dall’artista “inferiore”, dunque due tele
scelte per esaltare indirettamente la vera pittura. Ancora
una volta, la loro presenza basta a suggerire che il conte-
nuto della scena è più sottile di quanto sulle prime non lo
si crederebbe. La chiave intellettuale de La Meninas è pro-
prio lì. La scena apparentemente fortuita si rivela una
composizione senza incrinature. Il quadro di genere rac-
chiude un “elogio della pittura”»28.
Il secondo elemento pertinente è di nuovo lo spec-
chio. La corretta collocazione del punto di vista sul gomi-
to del personaggio nella porta di fondo impone una ri-
considerazione dell’immagine riflessa nello specchio. Essa
non può più essere identificata con quanto è posto di
fronte al quadro: lo specchio riflette in realtà la tela che il pittore
sta dipingendo all’interno del quadro e di cui vediamo il retro
in primo piano. Qualunque sia l’interpretazione precisa di
questa scelta29, è certo che essa esibisce la sovrapposizio-
ne e l’identificazione nel centro «concettuale»
dell’immagine di due meccanismi di potere ciascuno dei
quali si autogiustifica perfettamente: quello dei regnanti
sulla società e quello della pittura sul visibile.

182
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

5.3 Il giudizio epistemico e i suoi turbamenti

5.3.1 Verità e verosimiglianza del mondo e dello


sguardo

Il rinvio alla situazione spettatoriale crea un salto e


uno sfalsamento tra il mondo rappresentato e il contesto
in cui si svolge l’interpretazione. Questo sfalsamento dà
l’avvio a un ulteriore ciclo interpretativo dello spettatore:
egli può ora giudicare se e quanto ciò che ha visto e vede
nell’immagine sia “vero”. Lo spettatore è messo in grado
di emettere un giudizio30 epistemico sull’immagine.
L’immagine d’altra parte prevede la costruzione di un
simile giudizio e contribuisce a orientarla. Le modalità
testuali in base alle quali viene orientato il giudizio epi-
stemico dello spettatore costituiscono l’oggetto di interes-
se del secondo sottolivello metacomunicativo dell’analisi
dell’immagine.

5.3.1.1 Le dinamiche del giudizio epistemico


Il giudizio epistemico non concerne soltanto la rela-
zione tra lo spettatore e l’immagine: ad esempio ogni vol-
ta che in una conversazione ci viene raccontata una storia
dobbiamo decidere se e quanto essa è vera. La costruzio-
ne di un qualsiasi giudizio epistemico può essere descrit-
to, in sintesi estrema, come consistente in due operazioni
distinte e collegate.
La prima consiste nell’attribuzione a una data por-
zione della propria esperienza di un certo statuto ontologico,
cioè di una determinata modalità di esistenza: per esem-
pio distinguiamo tra immagini del sogno ed esperienza
diretta nella veglia, tra rappresentazione e realtà, ecc. Si
può dire che un soggetto stabilisce a quale “mondo” ap-

183
Analisi semiotica dell’immagine

partiene l’oggetto della propria esperienza sottoposto al


giudizio e quale rapporto sussiste tra questo mondo e
quello in cui egli stesso è calato. Questa prima fase consi-
ste quindi nella determinazione di diversi mondi e dei
rapporti tra di essi, assumendo come sistema di riferimen-
to base il mondo dello stesso soggetto del giudizio31.
La seconda operazione consiste nel valutare quale cor-
rispondenza sussista tra soggetti, spazi, avvenimenti, leggi
di comportamento, ecc. di un mondo rispetto agli altri, e
in particolare tra il mondo “secondo” e il mondo di rife-
rimento di base. Noi effettuiamo una simile valutazione
in base a due procedimenti, variamente graduati a secon-
da delle circostanze: un procedimento di comparazione tra
quanto di nuovo viene accolto e quanto già si sa e si cre-
de; e un procedimento di accettazione fiduciaria del nuovo
qualora non possediamo elementi tali da effettuare la
comparazione.
D’altra parte, comunque venga individuata, la corri-
spondenza tra mondi può essere di due tipi. Essa può
essere puntuale ed effettiva, cioè riguardare una certa situa-
zione attuale, concreta e situata sia spazialmente che tem-
poralmente degli oggetti del mondo. Ad esempio nel rac-
conto di un amico riconosco perfettamente un avveni-
mento preciso cui anche io avevo preso parte; si avrà in
questo caso un giudizio di verità (o di non verità: posso
anche riconoscere che l’amico sta mentendo).
La corrispondenza tra mondi può essere però sola-
mente potenziale, non realizzata e dunque non localizzata
nello spazio e nel tempo. In altri termini la corrisponden-
za può sussistere tra condizioni generali probabili piutto-
sto che singoli fatti effettivamente conclusi. Ad esempio
quando ascolto un racconto di invenzione posso valutare
soltanto se le leggi che governano il mondo narrativo
sono le stesse che ritroverei nel mio mondo. Avremo in
questo caso un giudizio di verosimiglianza (o di non verosi-
miglianza)32. Naturalmente i due tipi del giudizio episte-
mico (quello di verità e quello di verosimiglianza) posso-
no sovrapporsi: se un amico mi racconta essere andato a

184
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

cena con una nota attrice la cosa mi apparirà sia falsa


(giudicando il particolare episodio) sia inverosimile (giu-
dicando le leggi generali che regolano gli eventi nel mio
mondo e in quello dell’amico)33.
Occorre inoltre considerare che i criteri di assegna-
zione del giudizio epistemico possono essere sia assoluti
che relativi. Nel primo caso si assume come universo di
riferimento il mondo reale in cui è calato il soggetto giu-
dicante; nel secondo caso si assume come riferimento un
altro mondo, tipicamente un mondo testuale. In effetti è
tipico della fruizione di testi di finzione una locale “so-
spensione del giudizio epistemico”; questo non va tutta-
via inteso nel senso che il lettore o spettatore cessa di
giudicare vero o verosimile quanto gli viene riferito: piut-
tosto, egli cessa di rapportarlo al proprio mondo di base e
accetta di effettuare il confronto con quanto sa dello stes-
so mondo testuale. Ad esempio se leggendo un giallo mi
accorgo che un testimone sta mentendo, posso giudicare
“falso” quanto egli dice, ma questo giudizio ha senso solo
rispetto a quanto mi è stato precedentemente riferito cir-
ca gli eventi svoltisi nel mondo testuale.
Un ultimo tratto del giudizio epistemico da mettere
in luce è il suo carattere dinamico e intersoggettivo. La ricerca
della verità è progressiva: il giudizio epistemico procede
per tentativi e confronti, smentite e conferme. Tali con-
fronti riguardano non solo la realtà da un lato e il mio
universo di conoscenze e credenze dall’altro, ma altresì il
mio universo di credenze e quello di altri soggetti. Questa
costante dinamica di ricerca e questi confronti intersog-
gettivi fanno sì che il giudizio epistemico si esprima nei
termini di scarti e coincidenze tra l’essere e l’apparire. Quel-
lo che appare può non essere, e viceversa; solo la coinci-
denza di essere e apparire comporta un giudizio di verità.
Considerando i possibili incroci avremo quattro possibili-
tà34:

185
Analisi semiotica dell’immagine

verità

678
{ 123}
essere apparire

segreto menzogna

non apparire non essere

falsità

5.3.1.2 Il giudizio epistemico e l’immagine


Passiamo dal giudizio epistemico in generale a quello
che ci riguarda direttamente: il giudizio di verità e di vero-
simiglianza che lo spettatore esprime nei confronti del-
l’immagine. Tutto quanto detto sopra si applica eviden-
temente anche all’interpretazione dell’immagine, con
un’importante precisazione: in questo caso l’oggetto del
giudizio si duplica. Lo spettatore può infatti giudicare veri o
verosimili sia la scena del mondo testuale che viene rappresen-
tata esplicitamente, sia lo sguardo implicito che ha colto
quella scena.
A livello esplicito l’immagine apre di fronte allo spet-
tatore un mondo testuale considerato autonomamente dalle
attività che ne hanno prodotto la rappresentazione; il
mondo testuale considerato in sé sarà dunque il primo
oggetto del giudizio epistemico dello spettatore. Ad e-
sempio se mi trovo di fronte alla raffigurazione di una
piazza rinascimentale, potrò identificare in essa Piazza
della Signoria a Firenze come appare nel Medioevo e nel
Rinascimento; valuterò allora quanto la raffigurazione ha
rispettato o tradito lo stato di cose effettivo, così come
emerge da altri documenti: emetterò quindi un giudizio di
verità. In altri casi mi limiterò a vedere nella piazza raffigu-

186
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

rata una piazza indeterminata e formulerò un giudizio di


verosimiglianza: la piazza de La città ideale di Urbino non
esiste realmente, ma è verosimile; al contrario, nel caso di
certe piazze metafisiche di De Chirico mi accorgo che si
tratta di paesaggi puramente immaginari, che contraddi-
cono alcune leggi della mia esperienza normale del reale e
che dunque appaiono non verosimili.
Il secondo oggetto del giudizio epistemico dello spet-
tatore è costituito dalle attività di visione e registrazione della
scena testuale cui l’immagine implicitamente rinvia. Potrò decide-
re in tal caso che lo sguardo sulla scena è vero: l’immagine
deriva in questo caso dalla cattura, ben definita nello spa-
zio e nel tempo del mio mondo, della porzione di realtà
che essa attualmente esibisce. E’ l’atto fotografico a ga-
rantire in assoluto la verità dello sguardo produttore, ma
anche alcuni tipi di immagine pittorica e di disegno de-
nunciano la “presa diretta” dell’autore sul reale. In altri
casi la produzione dell’immagine non è identificabile con
un episodio reale. Lo sguardo dell’osservatore sarà in tal
caso più o meno verosimile: lo spettatore deciderà se
l’immagine, mediante i suoi strumenti grafici, riproduce e
procura un’esperienza percettiva e di interpretazione visi-
va strutturalmente simile all’esperienza reale. Così, di
fronte al dipinto della piazza rinascimentale, valuterò se -
mediante un’applicazione convincente delle regole pro-
spettiche - l’immagine sia paragonabile a un’esperienza
percettiva diretta della scena35.

5.3.1.3 L’immagine e l’orientamento del giudizio


epistemico
Incrociamo i due tipi di giudizio epistemico (di verità
e di verosimiglianza) e i due oggetti cui lo spettatore ap-
plica tale giudizio (la scena testuale e lo sguardo riprodut-
tore); otterremo in questo modo una tabella a quattro
posizioni. Per ciascuno dei quattro casi l’immagine mette
in atto strumenti atti a orientare il giudizio epistemico
dello spettatore:

187
Analisi semiotica dell’immagine

Oggetto Tipo di
del giudi- giudizio Verità Verosimiglianza
zio *
)
Mondo testuale ! Indicazioni conte- ! Rispetto delle regole
stuali e cotestuali: di funzionamento
didascalie, titoli, ecc. del mondo reale e
! Indicazioni testuali in particolare
a oggetti, personag- dell’unità spazio
gi o luoghi cono- temporale della sce-
sciuti e riconoscibili na

Sguardo ! Riferimenti a una ! Procedure di simu-


compresenza fisica lazione e dissimula-
tra soggetto / di- zione del lavoro di
spositivo di ripro- riproduzione / in-
duzione e scena ri- venzione della scena
prodotta

Il giudizio di verità circa il mondo testuale può essere o-


rientato mediante indicazioni di genere. Ad esempio si
suppone che un reportage fotografico di guerra aderisca a
regole di verità, ciò che non si suppone né si richiede a un
fumetto di avventure. Vari caratteri dell’immagine richia-
mano il genere cui esse appartengono: in una fotografia
gli elementi di imprecisione e di mancata nitidezza pos-
sono rimandare a un’immagine rubata nel vivo di
un’azione di guerra, mentre la pulizia un po’ artificiosa
delle immagini da fotoromanzo rinviano a un mondo
testuale eventualmente verosimile, ma di certo non ve-
ro36. Anche indicazioni cotestuali quali titoli e didascalie
di foto e disegni possono essere usate per determinare il
grado di verità di determinate immagini: banali fotografie
di piatti da cucina sospesi in aria possono essere spacciati
per rare immagini di UFO, o embrioni di maiale gabellati
per embrioni umani all’intera comunità scientifica37. In
altri casi infine è il minuto rinvio puramente testuale a
oggetti, personaggi o eventi che si suppongono conosciuti
a connotare la verità della scena: per esempio i quadri nel
quadro de Las Meninas permettono d individuare la “ve-
ra” sala della reggia del Prado in cui è ambientato il dipin-
to.

188
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

Il giudizio di verosimiglianza sul mondo testuale viene o-


rientato in base al rispetto delle regole del mondo reale
all’interno di quello testuale. In particolare risulta impor-
tante il principio dell’unità di spazio e di tempo della sce-
na. Abbiamo già esaminato questo argomento al capitolo
3 parlando delle strategie di rappresentazione del muta-
mento; rinviamo quindi a quella trattazione per i problemi
implicati dal rispetto della verosimiglianza sotto questo
aspetto.
Il giudizio di verità sullo sguardo produttore viene orientato
mediante vari riferimenti che denuncino una compresen-
za fisica del soggetto produttore e/o degli apparati di
produzione dell’immagine da un lato e della scena ripro-
dotta dall’altro lato nell’atto della riproduzione. L’imma-
gine fotografica implica automaticamente queste circo-
stanze di produzione in base a un sapere sociale con-
diviso38. In altri casi l’immagine può esibire simili circo-
stanze di produzione o mediante mezzi testuali (il tratto
di certi schizzi rinvia alla presa diretta) o mediante mezzi
cotestuali (le didascalie che, ad esempio, mi assicurano
che alcuni acquarelli di scene giudiziarie sono stati dipinti
sul luogo essendo stato proibito l’accesso all’aula ai foto-
reporter).
Il giudizio di verosimiglianza circa lo sguardo produttore è o-
rientato mediante due mosse correlate: la simulazione e la
dissimulazione.
Le procedure di simulazione consistono nel disporre
elementi grafici e plastici che stimolino nello spettatore
percezioni e atteggiamenti interpretativi analoghi a quelli
del reale. Troviamo in questo senso una stretta parentela
tra simulazione e significazione visiva: «Significare è, in-
fatti, “signum facere”, è produrre un significante materia-
le che possa rinviare, nel caso della simulazione, a un
progetto o a un modello o a un’icona capace di sollecitare
impatti percettivi analoghi a quelli prodotti dalle forme
referenziali - nel caso in cui esistano - o comunque credi-
bili e utilizzabili in virtù della loro verosimiglianza o della

189
Analisi semiotica dell’immagine

loro adeguatezza all’istanza che ha dato origine alla speci-


fica produzione di senso»39.
Le procedure di dissimulazione consistono invece nel
cancellare le tracce dell’attività di produzione dell’imma-
gine in modo tale da fingere un’autonomia del mondo
testuale rispetto alle procedure legate alla rappre-
sentazione di questo mondo: cancellazione della traccia
della pennellata, del disegno preparatorio, dei margini
fisici, ecc.40.
La graduale combinazione delle due mosse di simula-
zione e dissimulazione porta a differenti regimi di vero-
simiglianza. Il grado massimo è costituito dalla riprodu-
zione estrema, per quanto consentito dai mezzi pittorici,
delle strutture visive del reale e dal massimo occultamen-
to dell’attività produttiva e comunicativa: si pensi a un
paesaggio rinascimentale classico. Il grado minimo è dato
invece da una riproduzione parziale e/o da una distorsio-
ne delle strutture del percepire e, insieme, dall’esibizione
di pennellata, disegno ecc.: si pensi ad artisti quali van
Gogh, agli espressionisti, ecc.

5.3.2 I percorsi del giudizio: verità, menzogna,


segreto, visionarietà.

Il giudizio epistemico, abbiamo detto, è dinamico: es-


so procede per tentativi, confronti, slittamenti. La mag-
gior parte delle immagini mira a stabilizzare il giudizio, a
farlo giungere in breve tempo a una formulazione sicura.
Altri tipi di immagine giocano invece a rendere il giudizio
instabile, a prolungarne il dinamismo e a metterne in crisi
gli andamenti. In questi casi, senza dubbio i più interes-
santi, l’immagine esibisce un conflitto e uno slittamento
tra l’essere e l’apparire del proprio mondo testuale e dello
sguardo che l’ha colto; e il giudizio si presenta come un
percorso inarrestabile tra le differenti modalità epistemi-
che: verità, falsità, segreto e menzogna41.

190
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

Nella parte superiore del Polittico di S. Antonio di Pe- ! Martone 1991


rugia (seconda metà del Quattrocento) Piero della Fran- " Tavv. 8a e 8b
cesca raffigura una Annunciazione: a sinistra vediamo
l’Angelo, a destra la Madonna; dietro di loro una struttura
architettonica: tra le due figure una galleria di archi fugge
verso il fondo, mentre Maria è racchiusa in un’edicola -
porticato; in alto, nella porzione di cielo rimasta libera, lo
Spirito in forma di colomba irradia la donna.
In apparenza dunque, la posizione delle figure tra lo-
ro e rispetto alla struttura architettonica non presenta
nulla di anormale. Tuttavia le cose cambiano se, seguendo
le numerose indicazioni fornite dalla struttura architetto-
nica (le colonne, le loro basi, il disegno geometrico a qua-
dri del pavimento), passiamo dal “guardare” puro e sem-
plice al “guardare contando”, al prendere possesso visi-
vamente dello spazio del mondo testuale mediante
un’operazione di visione e di calcolo.
In primo luogo, contando le colonne del profondo
porticato sullo sfondo, ci accorgiamo che esso non è poi
così profondo: si tratta di sole dieci colonne; l’effetto di
compressione prospettica lo rende, a prima vista e a di-
stanza, un camminamento molto profondo, ma la realtà è
diversa dall’apparenza.
Ma c’è di più. Maria, si è detto, è inserita in un’edi-
cola, un breve porticato che prolunga verso il davanti
sulla parte destra la palazzina. Una serie di elementi ci
confondono circa la reale profondità e struttura di tale
portico: per esempio le doppie colonnine che ne sorreg-
gono in primo piano gli archi sono intercalate di porfido
nero, e sembrano confondersi con la porta scura dello
sfondo, deprivando una percezione “corretta” della pro-
fondità; la stessa forma della cornice lignea dell’immagine
suggerisce a prima vista un’equivalenza di profondità tra
piano avanzato di questo portico perpendicolare e piano
indietreggiato del portico che corre in orizzontale sul
fondo; questo fa sì che a prima vista la posizione della
Vergine sembra incerta, e saremmo quasi tentati di collo-
carla fuori del portico, in avanti. In effetti, se calcoliamo

191
Analisi semiotica dell’immagine

la posizione di Maria in base ai quadrati regolari del dise-


gno sul pavimento, ci accorgiamo che ella è posta tra il
primo e il secondo quadrato a partire dal fondo (dalla
parte della palazzina). L’angelo le è di fronte, anch’egli
posto tra il primo e il secondo quadrato a partire dal fon-
do (il muretto del portico orizzontale, posto sulla stessa
linea della palazzina). Ma attenzione: se ora contiamo le
basi delle colonne che sostengono il portico perpendico-
lare in cui si trova la Vergine, ci accorgiamo che anche
una delle colonne del portico (semi-invisibile in quanto
schiacciata dalla prospettiva) cade tra la prima e la secon-
da piastrella. In altri termini tra la Vergine e l’angelo si trova
in effetti una colonna, ed è impossibile che l’angelo possa osservare la
Vergine.
Possiamo dunque concludere che questa immagine
indirizza lo spettatore verso la costruzione di due confi-
gurazioni visive distinte del mondo testuale, la prima delle
quali è basata sul puro vedere, mentre la seconda è basata
su un vedere intellettuale, di ordine matematico. Le due
configurazioni sono successive, nel senso che il passaggio
dalla prima alla seconda implica un percorso. Eppure esse
non si elidono: la prima impressione visiva rimane viva
anche una volta conquistata la configurazione puramente
intellettuale e matematica.
In altri termini il confronto valutativo proprio del
giudizio epistemico non avviene qui tra mondo testuale e
mondo di riferimento dello spettatore, ma piuttosto tra
due configurazioni differenti del mondo testuale, corrispondenti a
due operazioni interpretative dello spettatore stesso. Me-
diante tale confronto lo spettatore distingue tra una situa-
zione di apparenza priva di essere (quanto non è ma appare)
a una situazione di essere priva di apparenza (quanto è ma
non appare). Il percorso disegnato dall’immagine è quindi il
passaggio da un regime di inganno alla scoperta del segreto,
dell’ordine matematico reale ma nascosto. In questo mo-
do l’interpretazione dell’opera riproduce e sintetizza un
processo di cammino spirituale: il passaggio dalle appa-
renze sensibili alle verità della fede che si possono coglie-

192
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

re e contemplare intellettualmente. In questo cammino di


maturazione lo spettatore raggiunge infine la posizione
ideale dell’angelo raffigurato nel dipinto: come lui, egli ha
imparato a vedere grazie all’occhio dello spirito e
dell’intelletto42.

Gli Ambasciatori, di Hans Holbein il Giovane (1533) ! Calabrese


colpisce immediatamente per due motivi: la precisione 1985b: 53-77
della raffigurazione dei due dignitari di corte, ritratti a " Tav. 14
figura intera in una stanza colma di oggetti43; e l’anomalia
di un oggetto in primo piano: una specie di grande penna
di uccello o roccia inclinata obliquamente verso destra in
modo anomalo, che resta indecifrabile e fa resistenza a
qualsiasi tentativo di interpretazione figurativa. Come
risolvere l’enigma che cela questa figura? Solo se si sposta
lateralmente lo spettatore comprende la verità. La strana
figura in primo piano è dipinta in anamorfosi: essa è dun-
que interpretabile solo da un punto di osservazione for-
temente angolato. Qui essa appare come la figura di un
teschio (o meglio, in uno sfoggio di virtuosismo
dell’autore: di un teschio più grande con un altro teschio
più piccolo posto in un’orbita).
Come nel caso precedente la prima interpretazione
visiva si rivela inadeguata rispetto alla seconda e più com-
pleta visione; anche in questo caso viene quindi predispo-
sto per lo spettatore un meccanismo di confronto valuta-
tivo tra differenti prodotti dell’interpretazione visiva. Tut-
tavia in questo caso il secondo termine del confronto
(l’immagine anamorfica interpretata) non deriva da uno
sguardo intellettuale e matematico, ma da uno sguardo
spostato spazialmente rispetto al primo; il passaggio av-
viene quindi da quanto è ma non appare (la strana figura
allungata e enigmatica) a quanto è e appare (la figura del
teschio): dal segreto alla verità.
Ma c’è di più: la particolare modalità di questo pas-
saggio (cioè lo spostamento fisico dello spettatore che
deve far coincidere il proprio sguardo con quello
dell’osservatore anamorfico) induce lo spettatore a spo-

193
Analisi semiotica dell’immagine

stare il confronto valutativo da due configurazioni visive


riferite entrambe al mondo testuale al rapporto tra l’intera
immagine testuale e la realtà del mondo contestuale in cui
egli è calato In questo modo lo spettatore viene spinto a
valutare l’intera immagine rappresentativa come illusoria,
viene invitato a confrontare ciò che appare senza essere (il
mondo testuale illusorio) e ciò che è e appare (l’immagine
nella sua concretezza di oggetto del mondo “reale”): dal-
l’inganno alla verità. Lo spostamento laterale necessario per
interpretare la figura anamorfica rappresenta quindi il
punto di snodo tra due percorsi epistemici: quello dal
segreto alla verità della figura anamorfica e quello dalla men-
zogna alla verità dell’intera immagine.
Indubbiamente i due passaggi e le due verità cui essi
giungono possiedono uno statuto differente: la prima è
puramente interna al mondo testuale e alla sua interpreta-
zione; la seconda riconduce lo spettatore al proprio mon-
do di riferimento e riporta l’immagine al suo statuto onto-
logico di pura rappresentazione44. Tuttavia i due processi
di giudizio epistemico vengono riassorbiti all’interno di
uno stesso gioco metaforico: la vita non è che inganno,
cioè pura apparenza di lusso e splendore, esattamente
come è inganno e illusione sensoriale la rappresentazione
pittorica; ma la scena del mondo nasconde un segreto, in
quanto “dietro” e “sotto” di essa è occultata sempre la
morte, esattamente come è segreta l’immagine anamorfica
del teschio sulla tela. Lo splendore della vita appare senza
realmente essere; la morte non appare ma pure, comun-
que, è; la vita, come la pittura è dunque maschera, strumen-
to assieme di segreto e di inganno45.

Johann Heinrich Füssli è un pittore svizzero natura- ! Corrain 1987:


lizzato inglese che vive e opera tra Settecento e Ottocen- 172
to e predilige temi fantastici e visionari. In particolare " Tav. 30
Füssli ama il motivo del sogno misterioso e inquietante. Il
quadro L’incubo, del 1790-91, è ripreso altre volte con
alcune varianti. Esaminiamo il primo dipinto della serie.

194
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

Una donna in primo piano giace nel sonno, distesa su


un divano in una posa scomposta, il busto e il capo ab-
bandonati all’indietro; sul fondo si apre una tenda scura,
da cui fuoriescono una figura gotica e ghignante di co-
boldo (un folletto o spirito della casa della mitologia tede-
sca) e una giumenta spettrale dagli occhi mostruosamente
sporgenti (è la night-mare, la giumenta notturna su cui se-
condo la tradizione popolare inglese cavalca l’incubo).
Lo spettatore vede quindi posti all’interno dello stes-
so mondo e senza segnali di distinzione, soggetti che la
propria esperienza gli suggerisce appartenere a mondi
possibili differenti; l’assenza di segnali testuali di distin-
zione tra quanto appare senza essere e quanto appare ed è
rende omogeneo e incerto il livello di esistenza dei sog-
getti all’interno del mondo testuale. Verità e menzogna coe-
sistono all’interno di un medesimo spazio di apparenza. I
mostri sono la raffigurazione dell’incubo della donna, ma
sono anche la loro materializzazione: essi sono “veramen-
te” presenti nel mondo finzionale; la violenta luce da sini-
stra colpisce ugualmente i mostri e la donna; essa stessa
giace in atteggiamento mostruosamente scomposto.
Si riproduce dunque in termini visivi quanto si stava
producendo nello stesso periodo in termini letterari nel
romanzo gotico: anche qui la distinzione tra oggettivo e
soggettivo, visionarietà e sua materializzazione è annichi-
lita, o per lo meno «è resa oltremodo ardua mettendo i
personaggi in situazioni impossibili e isolate, dove non
hanno più alcun valore i criteri convenzionali di spiega-
zione», in un processo che ha il suo culmine nella pazzia
visionaria46.
Il problema posto dalla visionarietà non è dunque
quello di un confronto tra differenti mondi per stabilire lo
scarto tra ciò che appare e ciò che è, ma piuttosto
l’impossibilità di tale confronto, l’indiscernibilità dello
statuto dei diversi elementi del mondo testuale: uno spae-
samento epistemico che nella modernità e poi nella contem-
poraneità conoscerà una storia lunga, ramificata e com-
plessa.

195
Analisi semiotica dell’immagine

5.4 Conclusione: l’archè della fotografia e la verità dello


sguardo

5.4.1 Ancora un autoritratto

In questo capitolo, più che nei precedenti, sono e-


mersi alcuni caratteri specifici dell’immagine fotografica.
Nelle conclusioni approfondiremo questo punto, osser-
vando in che modo i differenti approcci della semiotica
alla fotografia abbiano messo a fuoco le particolarità di
questo tipo di immagine. Vorremmo partire però da un
esempio particolare: l’autoritratto fotografico Authoriza-
tion di Michael Snow (1969).
L’immagine riprodotta nella tavola in questo libro
! Dubois 1990
rende conto solo in parte di quest’opera che non è in
" Tav. 39
effetti una semplice fotografia ma piuttosto
un’installazione. Nella sala della Galleria nazionale del
Canada a Ottawa, dove è esposta, troviamo uno specchio
sul quale sono incollate al centro quattro fotografie a svi-
luppo istantaneo incorniciate da nastro adesivo. Una
quinta fotografia è incollata nell’angolo superiore sinistro.
Se guardiamo le quattro fotografie al centro ci accorgia-
mo che esse raccontano la genesi dell’opera stessa: Snow
ha incollato al centro dello specchio un rettangolo di na-
stro adesivo, quindi ha posto la macchina fotografica di
fronte a tale cornice nella cornice e ha scattato una prima
fotografia. Ha incollato questa fotografia all’interno del
rettangolo di nastro adesivo e ha scattato una seconda
fotografia, e così via fino a riempire la cornice interna.
L’ultima foto (la cornice interna è ormai piena di fotogra-
fie) è posta in alto a sinistra. Si noti che la messa a fuoco
delle fotografie non è sulla superficie dello specchio ma
sul fotografo che effettua gli scatti. Il nastro adesivo e le
foto già incollate sullo specchio appaiono quindi sfuocate.

196
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

Il lavoro di Snow richiama alcuni caratteri


dell’autoritratto con specchio, quale quello di Rembrandt
analizzato sopra. Anche in questo caso la superficie su cui
l’immagine viene esibita allo spettatore è la stessa in cui
l’immagine ha preso corpo per l’autore; lo spettatore si
trova così posto nello stesso punto di visione ricoperto
dal fotografo al momento della produzione dell’imma-
gine. Tuttavia almeno due caratteri distintivi dell’auto-
ritratto fotografico saltano all’occhio. Anzitutto la cattura
dell’immagine è puntuale e istantanea; qui viene piuttosto in
mente un altro specchio incontrato nelle nostre analisi: lo
scudo di Perseo che determina e fissa l’istantanea auto -
pietrificazione di Medusa. Questa puntualità permette la
successione delle pose (al contrario che nel quadro di
Rembrandt) e la costruzione della storia della rappresen-
tazione come racconto progressivo.
Ma c’è di più. La cornice di nastro adesivo che ve-
diamo rappresentata nelle foto è la stessa che le circonda
realmente; e lo specchio che vediamo nella foto (alla cui
ulteriore cornice quella di nastro rinvia sinedotticamente)
è lo specchio effettivamente presente di fronte allo
spettatore nella installazione di Ottawa. Quello che è
rappresentato nelle immagini (la costruzione dell’intero
dispositivo) è realmente accaduto di fronte a quello stesso
specchio e a quelle stesse fotografie, in un altro tempo e
all’interno di un altro spazio. L’evento della produzione
dell’immagine è “vero”, nel senso che abbiamo introdotto
sopra: esso costituisce un evento preciso e puntuale che
ha avuto luogo all’interno dello stesso mondo di riferi-
mento dello spettatore.
Si crea in questo modo una tensione molto forte tra
situazione dello spettatore e situazione dell’autore. Lo
spettatore è chiamato a ricoprire una posizione, una si-
tuazione e un ruolo che sono fatalmente distanti nel tem-
po e nello spazio. L’indicazione finzionale («tu sei
l’autore») è smentita dalla potenza autotestimoniale della
fotografia che attesta in modo incontrovertibile l’«è stato»
della propria produzione («l’autore è stato qui di fronte,

197
Analisi semiotica dell’immagine

nessuno potrà sostituirlo»). Lo spettatore viene dapprima


chiamato a impersonare l’autore, ad assumerne la ma-
schera, ad aiutare l’autore a superare il tempo e a sconfig-
gere il suo scorrere. Ma si tratta di una illusione: l’attimo
catturato dalla fotografia non torna; il volto dell’autore
che scompare gradatamente dietro la facciata sfuocata
della propria opera non potrà essere indossato da nessun
altro corpo.
Non si può non rimarcare, in questa chiave, il tono
ironico del titolo: nessuno è realmente autorizzato a rico-
prire il ruolo dell’autore.

5.4.2 La semiotica della fotografia dall’essere del


segno al fare del testo

L’opera di Snow pone vari quesiti interessanti a una


teoria semiotica. Vediamo come le varie letture della fo-
tografie tentate dalla semiotica si sintonizzano o meno
con la nostra analisi.
La semiotica della fotografia ha spostato nel corso # 1.3
della sua evoluzione (in sintonia con lo sviluppo e le svol-
te complessive della disciplina) le proprie cornici teoriche
e gli apparati concettuali. Tale spostamento coinvolge due
aspetti47.
Da un lato si è avuto il passaggio da un interesse per la fo-
tografia in quanto segno a una considerazione della fotografia in
quanto testo. Il segno è un’entità teorica minimale, non
ulteriormente scomponibile. Il testo al contrario è - come
una delle etimologie del termine lascia intendere - un
“tessuto”, un intreccio di elementi significanti che godo-
no di un relativo grado di autonomia e che nel testo si
trovano combinati secondo un progetto specifico. Alcuni
studiosi guardano alla fotografia principalmente in quanto
segno (Roland Barthes, René Lindekens, Jacques Dubois),
altri principalmente quale testo (Jean-Marie Floch, Jean
Marie Schaeffer)48.
D’altro canto la semiotica è passata da un interesse per
quello che la fotografia è a quello che la fotografia fa: da una defi-

198
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

nizione dell’essenza della fotografia e di ciò che la distin-


gue da altre forme espressive, si è passati a studiare la
fotografia in relazione con i contesti comunicativi in cui è
calata e in cui opera. Alcuni degli autori considerati cer-
cano chiaramente di capire cosa la fotografia è (Dubois),
mentre altri sembrano più decisamente orientati a model-
lizzare cosa essa fa (Schaeffer). Altri si collocano a metà
strada, ovvero cercano di definire il proprium dell’imma-
gine fotografica a partire dai particolari effetti che essa
dispone per o comunque causa nell’osservatore (Barthes,
Lindekens).
Di fatto i due aspetti sono stati spesso incrociati in
modo da produrre due cornici teoriche di approccio alla
fotografia: quando la fotografia è stata vista in quanto
segno ci si è chiesti che tipo di segno essa sia, quali aspetti
la definiscano rispetto ad altri tipi di manifestazioni e
strumenti comunicativi. Quando essa è stata letta quale
testo ci si è chiesti invece cosa essa faccia, ovvero di quale
specifico tipo di progetto interpretativo essa sia portatri-
ce. Pur con varie oscillazioni, la cornice teorica di tipo
segnico è stata quella dominante nella discussione; solo
più recentemente la cornice teorica di tipo testuale pragma-
tico ha spinto a reimpostare i problemi oggetto della di-
scussione.
Sullo sfondo di questo spostamento degli strumenti
concettuali, il dibattito semiotico sulla fotografia ha af-
frontato in modo ricorrente due problemi, reciprocamen-
te correlati.
Il primo problema è quello del grado di codificazione o di
convenzionalità dell’immagine fotografica. Nell’ambito di una
semiotica del segno fotografico questo aspetto ha dato vita
a vari interrogativi: in che misura e in quali ambiti inter-
viene, nella definizione del segno fotografico, la rete di
regole convenzionali che guidano e disciplinano ogni
scambio comunicativo? E’ possibile individuare un livello
dell’attività espressiva della fotografia tale da non richie-
dere l’intervento di codici e convenzioni? Ad esempio
questi punti di fuga dalla convenzione sono rinvenuti

199
Analisi semiotica dell’immagine

nella pura denotazione dal primo Barthes; oppure negli


aspetti shockanti dell’immagine fotografica, eventualmen-
te collegati alla relazione tra fotografia e tempo messa in
luce dal secondo Barthes; o anche nell’aspetto di pura
visibilità dell’immagine fotografica, secondo Lindekens.
Ma c’è anche chi ha pensato, al contrario, che tutti gli
ambiti della fotografia sono sottoposti alla norma e al
condizionamento culturale (Metz).
Lo spostamento dal paradigma segnico a quello te-
stuale pragmatico implica due novità nell’impostazione di
questo dibattito. In primo luogo non si nega che possano
esserci effetti non calcolabili a priori dell’immagine foto-
grafica; sono tali ad esempio le reazioni emotive persona-
li, private e spesso inesprimibili che proviamo nel vedere
la fotografia di una persona cara, come accade a Barthes
con la foto della madre morta. Il punto è che tali effetti
personali e privati non rientrano nell’orizzonte di osser-
vazione della teoria, la quale in tal modo confessa in par-
tenza i propri limiti e le proprie competenze. La semiotica
si interessa alla fotografia e alla sua interpretazione in
quanto essa è sottoposta a regole e convenzioni. In se-
condo luogo la semiotica testuale pragmatica non è tanto
interessata ai meccanismi complessivi del riconoscimento
degli oggetti fotografati (ciò che costituisce piuttosto
l’interesse di una semiotica generale), quanto piuttosto ai
particolari meccanismi di regolazione degli atteggiamenti
cognitivi, epistemici e passionali del recettore di fronte ai
singoli testi fotografici. Tali regole comunque non risie-
dono nella singola fotografia: esse sono diffuse a livello
sociale e funzionano da orizzonte comune a chi produce
e a chi guarda l’immagine fotografica.
Il secondo problema ricorrente nel dibattito semioti-
co riguarda il ruolo e il peso a livello teorico dell’origine tecnologica
dell’immagine fotografica, ovvero la sua produzione meccani-
ca e la presenza effettiva dell’oggetto ritratto di fronte
all’obiettivo e alla pellicola al momento dello scatto. La
semiotica del segno fotografico ha spesso sottolineato
con varie accentuazioni la pertinenza e la rilevanza di

200
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

questo punto: qui sta il noema della fotografia, l’essenza


dei suoi effetti passionali (Barthes); qui sta l’origine della
visibilità del senso all’interno dell’immagine fotografica
(Lindekens); qui risiede la natura di indice della fotografia
(Dubois), la sua arché (Schaeffer). In alcuni casi questo
aspetto è sembrato anzi prevalente (Dubois), o fonda-
mentale (Lindekens) rispetto a quello iconico; o comun-
que tale da ricondurre la fotografia alla propria origine più
autentica, “prima” degli investimenti culturali, inevitabil-
mente “addomesticanti” e tali da ridurre la sua potenziale
follia (Barthes).
Anche in questo caso un’ottica testuale pragmatica
(vicina all’impostazione di Schaeffer) permette di rifor-
mulare il problema in termini nuovi. L’origine tecnica
dell’immagine fotografica viene letta in tal caso sul versante
della fruizione: essa rappresenta non un fatto ma un sapere
sociale previo del recettore; sapere che, in relazione al testo
fotografico, possiamo qualificare come un sapere tecnico
metatestuale. Tale sapere, che sussiste a livello sociale, viene
attivato grazie al fatto che l’origine dell’immagine fotogra-
fica viene resa visibile all’interno della fotografia stessa49.
La sua attivazione può essere esplicita o implicita, effet-
tuata in misura maggiore o minore. In ogni caso, tale atti-
vazione del sapere tecnico entra in combinazione con gli
altri saperi convocati dall’immagine contribuendo a costi-
tuire - in sintonia con le regole sociali di uso della foto-
grafia - particolari e differenziati effetti interpretativi.
Il punto di incrocio e correlazione dei due problemi è
rappresentato dalla questione della relazione tra fotografia e
realtà. Il problema è centrale per la semiotica del segno
fotografico: a differenza del segno verbale, completamen-
te codificato - ovvero del tutto sottoposto a convezioni
culturali - il segno iconico sembra implicare un ruolo del
reale nella propria determinazione, grazie alla “somiglian-
za” che esso ha con l’oggetto cui si riferisce. Più ancora,
la costruzione automatica del segno fotografico che carat-
terizza la sua origine sembrerebbe assicurare un’irruzione
diretta (per quanto momentanea) della realtà all’interno

201
Analisi semiotica dell’immagine

dell’universo dei segni nella forma dell’impronta luminosa


che impressiona la pellicola. All’interno della semiotica
del segno questo aspetto ha costituito il terreno di scon-
tro tra “realisti” (Barthes, Dubois50) e “convenzionalisti”
(Eco, Metz, Lindekens), essendo questi ultimi impegnati a
riportare la fotografia completamente nell’ambito della
convenzione.
Anche su questo punto la semiotica testuale pragma-
tica tende a reimpostare la questione. Nei suoi termini
non si pone un problema di relazione diretta tra fotogra-
fia e realtà, quanto piuttosto un problema di verità che a
sua volta rinvia all’attività comunicativa: al dire-il-vero e al
far-credere-il-vero di cui la fotografia è veicolo. Non è
dunque in causa direttamente una relazione tra testo e
realtà, ma l’impegno intersoggettivo all’interno del quale
avviene la comunicazione della fotografia. Si pensi, ba-
nalmente, a come il taglio dell’inquadratura, l’esclusione
di determinati elementi dalla rappresentazione, l’accosta-
mento di immagini, le didascalie di accompagnamento
possano ridefinire completamente il senso della scena
ritratta fotograficamente. L’attivazione del sapere tecnico
indicale relativo all’origine dell’immagine fotografica può
funzionare in tal senso quale elemento veridittivo e per-
suasivo; ma l’indicalità della fotografia non è di per sé
garanzia automatica di verità di quanto rappresentato: di
qui una responsabilizzazione degli attori della comuni-
cazione, ovvero di chi mostra l’immagine fotografica e,
più complessivamente, il discorso in cui essa è inserita (il
cosiddetto enunciatore) e di colui cui questo discorso è di-
retto (l’enunciatario) 51.

5.4.3 Ancora un autoritratto (2)

La riflessione semiotica di taglio testuale pragmatico


è quella che meglio si sintonizza con la nostra analisi di
Authorization. L’installazione di Snow non si limita ad
attivare il metasapere tecnico circa l’archè della fotografia e
ad intrecciarlo ad altri saperi: essa mette in scena questa

202
Capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni

origine e ne fa l’unico sapere del dispositivo testuale52. In


questo modo il giudizio epistemico dello spettatore e
l’attività passionale collegata alla visione non va “oltre”
l’immagine, ma torna riflessivamente sullo stesso atto
spettatoriale - e lì rimane -. Questa fotografia riporta de-
finitivamente lo spettatore alla propria situazione e chiude
così il viaggio del suo sguardo.

203
Note

NOTE

Note alla Presentazione.


1 Una disamina del problema richiederebbe alcune precisazioni più accurate
circa il problema della relazioni tra testi visivi e ambiente culturale che qui non
possiamo condurre. Ci permettiamo di rinviare al nostro Eugeni, 1999b. Per
una panoramica sulla visual culture e il suo dialogo (non sempre facile) con la
semiotica del visivo si vedano Baetens, 1999; Carani, 1998; Evans e Hall, 1999,
in part. la sezione I.

Note al capitolo primo. Tracce, profili, percorsi.


1 Per quanto, almeno a livello metaforico, una qualche parentela è reperibile:
anche l’immagine come rappresentazione visiva a fini comunicativi rappresenta
lo stadio finale di un processo di costruzione e generazione complesso, da uno
stato embrionale a uno di piena maturità.
2 Devoto e Oli 1990 accennano molto velocemente a questo significato come
corollario della seconda accezione, quasi una sua estensione metonimica. Per le
diverse accezioni e implicazione dell’immagine”, soprattutto in ambito semioti-
co, cfr. Caprettini 1980: 83-113.
3 Ma non si tratta di un requisito necessario: si pensi alle immagini astratte.
4 Caprettini 1997: 3-8.
5 Cfr. Eugeni, 1999.
6 Cfr. Fabbri, 1998.
7 Sul legame tra teoria e analisi in semiotica e sulla conseguente responsabilità
teorica dell’analisi cfr. Calabrese, 1993: 18-19 e Fabbri, 1998: 95-97.
8 Ma si osservi che anche l’opposizione tra bianco e nero e le differenti grada-
zioni di grigio introducono in ogni caso nella nostra immagine anche indicazio-
ni cromatiche.
9 Il modello che presentiamo è ispirato alle teorie cognitiviste e costruttiviste
della percezione, in part. a Neisser, 1976: 40-44. Il nostro modello tende tutta-
via a rendere ragione anche dei livelli superiori dell’interpretazione e, in tal sen-
so, modifica sia l’idea neisseriana di “schema” (includendovi tutte le possibili

205
Analisi semiotica dell’immagine

conoscenze e competenze previe, compresi i costrutti mano a mano elaborati),


sia quella di “esplorazione” (includendovi attività di ordine cognitivo rispetto
alla semplice “scannerizzazione” pragmatica dello stimolo). Per un tentativo di
integrare vari modelli cognitivi dell’interpretazione dell’opera d’arte visiva (e
bibliografia relativa) rinviamo a Argenton, 1996, in part. pp. 43-59.
10 Si osservi che questo stato di cose crea un’ambiguità nel termine “immagi-
ne”: esso allude sia alle tracce grafiche da cui prende l’avvio il processo inter-
pretativo, sia ai costrutti via via elaborati e “sovrapposti” a quelle tracce. In altri
termini quando parliamo di “immagine” all’interno di ciascuno dei cicli dob-
biamo intendere i materiali grafici di partenza più i costrutti cognitivi elaborati fino a quel
momento. Ad esempio l’immagine in quanto oggetto figurativo può raccontare
una storia grazie alla connessione di azioni mediante linee vettoriali; questo
implica che sia stato già concluso un ciclo precedente e che questo ciclo abbia
prodotto una configurazione dell’immagine quale oggetto plastico: l’immagine
partecipa alla costruzione figurativa del racconto in quanto oggetto plastico
precedentemente definito.
11 Si parla in tal senso anche di livelli dell’immagine. Nell’uso di una simile termi-
nologia occorre tuttavia tenere presente che non è l’oggetto di analisi a posse-
dere diversi livelli: è l’analisi che procede per livelli, livelli che sono modellati a
loro volta sui cicli costruttivi del processo di interpretazione. La dizione “livelli
dell’immagine” potrà quindi essere adoperata solo a patto di tenere ben presen-
te la sua origine metonimica.
12 E’ ovvia che nell’arrestare l’analisi al momento del giudizio epistemico fis-
siamo un limite arbitrario all’analisi. Non è forse possibile che l’interpretazione
proceda oltre il livello metacomunicativo? In particolare, non è necessario pen-
sare che al giudizio epistemico seguano altri tipi di giudizio, per esempio un
giudizio estetico, uno etico e ideologico, ecc. ? Per limitarci agli aspetti estetici,
pensiamo alla distinzione tra il suscitare reazione estetica (propria di un qualun-
que oggetto artefatto o naturale) e il perseguire tale reazione (propria di opere
d’arte testuali) su cui riflette Genette 1997: i testi sono chiamati a costruire una
relazione non semplicemente estetica (come farebbe un qualunque oggetto) ma
specificatamente artistica; questo implica una intenzionalità che si traduce in
termini visibili (per esempio nella esibizione del regime autografico del testo).
Per una disamina sistematica dei rapporti tra semiotica ed estetica si vedano
Basso, 2002 e Marrone 1995. Circa i confini e i rapporti tra semiotica del visivo
ed estetica vedi Constantini (a cura di) 1996; Cornu 1989, Mounin 1993, de
Oliveira 1993. Vari spunti utili a una riflessione circa la relazione tra semiotica
ed estetica in Diodato, 1994 e 1997.
A parziale motivazione del limite posto, possiamo ipotizzare che senz’altro il
processo interpretativo “vada avanti”, ma che tenga conto sempre meno delle
strutture e delle configurazioni interne dell’oggetto iconico: dell’immagine, in-
somma, considerata quale testo visivo. In altri termini mano a mano che la spirale

206
Note

dell’interpretazione sale, il peso svolto dall’immagine nella determinazione delle


dinamiche interpretative si fa più lieve; o, se si preferisce una metafora di ordi-
ne visivo, l’immagine si allontana e si sfoca. Al di là di una certa linea d’ombra -
che vorremmo fissare, con un certo margine di convenzionalità, nel giudizio
estetico- l’oggetto visivo e i costrutti cognitivi che si sono applicati ad esso e lo
hanno sovradeterminato divengono meno pertinenti nella determinazione dei
fenomeni di uso e consumo sociale dell’immagine.
1 Alcuni manuali di introduzione all’analisi dell’immagine di stampo semiotico
sono Appiano, 1997 (con particolare attenzione all’immagine pubblicitaria);
Appiano, 1996 (basato su un confronto tra differenti approcci teorico analitici);
Aumont, 1990 (presentazione molto completa di differenti approcci e proble-
mi); Branzaglia, 2003 (attento soprattutto ai problemi del design), Fresnault-
Deruelle 1993 (molte analisi di tipi svariati di immagine condotti con metodi di
semiotica e retorica dell’immaigne); Gervereau, 2004 (ampio e completo su vari
aspetti); Joly, 1993 (guida sintetica molto attenta all’immagine pubblicitaria),
1994 (sintesi di taglio maggiormente teorico degli approcci semiotici
all’immagine) e 2002 (opera di sintesi di taglio intepretativistico); Lazotti 1987
(che costruisce un modello di analisi dell’opera d’arte vicino a quello che Eco
1979 aveva elaborato per il testo scritto); Vilches, 1988 (attento in particolare
agli usi dell’immagine nella stampa quotidiana e periodica e in televisione).
Tra i manuali di taglio più didattico segnaliamo Berger, 1972 e R. Eco, 1986.
Sul metodo semiotico all’interno dei possibili metodi di analisi dell’arte cfr.
Sciolla, 2001.
Per una introduzione agli sfondi teorici della semiotica dell’immagine riman-
diamo alle mappe disegnate da Corrain, 1999 (in part. alle pp. XV- XXIII) e da
Basso, 2001.

Note al capitolo secondo. Forme, colori, figure.


1 Due veloci esempi. La percezione che abbiamo dei contorni degli oggetti
sarebbe molto meno netta senza l’intervento della «inibizione laterale», un mec-
canismo psicologico e fisiologico che “trucca” la percezione onde permetterci
una più chiara distinzione dei margini. Secondo esempio: la percezione del co-
lore risulta da una complessa catena di eventi biochimici ed elettrici a livello
neurologico in cui i giochi di latenze e ritardi nella trasmissione degli stimoli (e
quindi la variabile temporale piuttosto che quella spaziale) riveste un ruolo
chiave. «In questa catena di avvenimenti la variabile fisica di partenza [...], ossia
la lunghezza d’onda del fotone, gioca un ruolo relativamente non importante
[...]. E’ la fovea (aiutata dal cervello e dal resto della società) a costruire i colori:
letteralmente a “farli”» (Pierantoni 1996: 444 e 16). Per una panoramica aggior-
nata sulla ricerca circa la percezione visiva rinviamo ai testi e alle indicazioni
bibliografiche di Pierantoni 1996 e Argenton 1996.

207
Analisi semiotica dell’immagine

2 Odin 1976.
3 Cfr. Bertin 1967.
4 Arnheim 1974: 276 ss. Sulla linea come «tratto» cfr. Damisch 1994
5 Cfr. Massironi 1989: 41 ss.
6 Sull’importanza della testura a livello plastico insiste il Groupe Mu 1992: 70-
72; 197-209; 331-337. Vedi anche il contributo di Caivano 1990.
7 Per un esame delle diverse teorie sul colore cfr. AA.VV., 2001; Appiano 1993:
126-164; Aumont 1994; Barberis 1991; Groupe Mu 1992: 228-250.
8 Una teoria semiotica della luce e della luminosità nei testi visivi è sviluppata da
Fontanille 1995.
9 Una chiara e aggiornata sistemazione della materia è in Frova 1994. Il modello
attualmente usato per rappresentare la mappa dei colori è il diagramma di cromati-
cità della CIE (Commission Internationale de l’Eclairage), che perfeziona precedenti
modelli (atlante di Munsell, triangolo di Maxwell, ecc.). Esso consiste in una
sorta di triangolo con la punta superiore arrotondata, i cui tre vertici corrispon-
dono ai colori primari additivi (verde, rosso e blu), mentre alla metà circa dei
lati si collocano i primari sottrattivi (giallo, cian e magenta). Al centro c’è il
bianco. La disposizione lungo i lati determina quindi la cromaticità, mentre la
collocazione rispetto al centro determina per un verso la saturazione e per altro
verso la luminosità.
10 Schapiro 1970: 493; per lo sfruttamento della disposizione destra-sinistra a
fini significativi nelle icone russe, cfr. Uspenskij 1973, 1975 e 1976.
11 Su tali problemi cfr. l’ottima sintesi di Aumont 1990.
12 Massironi 1989: 138 ss., e bibliografia ivi riportata.
13 Massironi 1989: 265.
14 Arnheim 1974: 41-54, Pierantoni 1986: 409; Pierantoni 1996: 54-119.
15 Nel caso di una correlazione semisimbolica «i contrasti plastici [...] possono
realizzare una sovrasegmentazione significante di cui non rende conto la sem-
plice lessicalizzazione della dimensione figurativa» (Greimas e Courtés 1986:
voce «Sémi-symbolique (système, langage, code ~)», p. 204. Il brano è dovuto a
Jean Marie Floch). In pratica i contrasti plastici suggeriscono significati ulteriori
rispetto all’immediato riconoscimento da cui prende le mosse il livello figurati-
vo. Rinviamo all’esempio riportato in 2.4.1.
16 Pensiamo in particolare alle “leggi” di opposizione dei colori primari sottrat-
tivi. Si è detto che i tre colori primari sottrattivi sono il giallo, il magenta e il
cian. Ora, questi possono amalgamarsi a coppie creando un’opposizione rispet-
to al terzo escluso; ne deriva la seguente serie di opposizioni: blu vs. arancione
(magenta + giallo); giallo vs. porpora (magenta + blu); magenta vs. verde (giallo
+ cian). Si tratta in effetti di leggi soprattutto operative, scoperte empiricamente
da alcuni artisti e poi più o meno codificate; ad esempio le tre opposizioni
espresse sopra sono scoperte da Delacroix in un appunto del 1832: cfr.
Arnheim 1974: 291. Su teorie e problemi relativi a una sintassi del colore cfr.

208
Note

1974: 291. Su teorie e problemi relativi a una sintassi del colore cfr. Groupe
Mu: 242-249.
17 Arnheim 1974: 48-49; vedi anche Arnheim 1982. Sulla configurazione com-
plessiva nell’opera d’arte può essere esercitato il potere organizzativo della com-
posizione geometrica, studiata dal classico Bouleau 1963.
18 Le virgolette sono imposte dal fatto che al livello plastico ci riferiamo in
effetti all’area dell’immagine che, a livello figurativo, viene interpretata come
busto; lo stesso vale per il nostro modo di nominare le altre aree.
19 «Si intende per quadrato semiotico la rappresentazione visiva
dell’articolazione logica di una categoria semantica qualunque» (Greimas e
Courtés 1979, voce «Quadrato semiotico», p. 275 ed. it.). L’articolazione è data
da una opposizione elementare tra due termini contrari (per esempio essere vs.
apparire), completata dalla opposizione di due termini subcontrari che rappre-
sentano i contraddittori dei due contrari primari (non apparire vs. non essere).
20 Richard Wilhelm, “Introduzione”, in I Ching, il libro dei mutamenti, Milano,
Adelphi, 1991 (ed. originale dell’introduzione 1923), p. 45.
21 Duyvendak J.J.L., «Introduzione», in Tao-tê-ching. Il libro della Via e della Virtù,
Milano, Adephi, 1973, p. 20 (ed. originale dell’introduzione 1953).
22 Su alcuni punti, e in particolare su questa interpretazione finale, ci siamo
distaccati dall’analisi del Groupe Mu da cui abbiamo preso spunto.
23 Panofsky 1955.
24 Bonerba 1982; Floch 1985a; non concordiamo comunque con la identifica-
zione compiuta da quest’ultimo tra le categorie di Panofsky e quelle di Barthes
1964b.
25 Arnheim 1969.
26 Lyotard 1971.
27 Deleuze 1981.
28 I rapporti tra teorie artistiche della pura visibilità e semiotica plastica sono al
centro del lavoro di Lancioni 2001; cfr. Corrain 1996: 41-48.
29 Corrain, 2004: 7.
30 Cfr. Floch 1981 e 1985a; Greimas 1983a; Marrone 1995: 113-131; Thürle-
mann 1982; Valenti 1991. Una riflessione semiotica più direttamente legata al
paradigma “energetico” della Gestalt è quella della semiotica topologica canade-
se: cfr. Carani 1987 e Saint-Martin 1987. Vedi anche Odin 1976, che esprimeva
già concetti vicini parlando di «isotopie minimali dell’immagine». L’idea di un
funzionamento non successivo, ma simultaneo e sinergico dei due procedimen-
ti di significazione potrebbe collegarsi all’idea propria di alcuni psicologi della
percezione che esista una “doppia realtà percettiva delle immagini”, tale per cui
i dati della percezione bidimensionale non solo sopravviverebbero nel momen-
to in cui scatta una percezione tridimensionale dell’immagine, ma sosterrebbero
e rinforzerebbero la percezione tridimensionale: cfr. Pirenne 1970, Aumont

209
Analisi semiotica dell’immagine

1990: 44. Resta ovviamente la differenza che, per i semiologi, il livello plastico
rimane autonomo rispetto a quello figurativo nella determinazione dei propri
formanti.
31 Si veda la rapida disamina di Groupe Mu 1992: 113-119. E’ importante non
identificare le produzioni artistiche “astratte” con lo sfruttamento del livello
plastico (omologando l’opposizione plastico / figurativo a quella astratto /
figurativo): l’astrazione è una strategia rappresentativa che può coinvolgere
differenti livelli dell’immagine. Cfr. Régis (a cura di) 1987 e Floch 1993.
32 Per una critica ai limiti del concetto di semisimbolismo (che rischia di confi-
gurarsi come una semplice ridondanza del plastico rispetto al figurativo, e dun-
que in una nuova versione della svalutazione del livello plastico) cfr. Sonesson
1989.
33 Su questo spostamento della «soglia inferiore» della semiotica fino ad abbrac-
ciare i processi percettivi cfr. Eco 1997.

Note al capitolo terzo. Movimenti, azioni, passioni.


1 Il termine “rappresentazione” è stato oggetto di diverse discussioni all’interno
della semiotica. Per un quadro dei problemi e degli apporti suscitati dal concet-
to di rappresentazione e dalle semiotiche della rappresentazione rinviamo a
Bettetini 1985: 35-59. Sulla rappresentazione pittorica si vedano Constantini e
Carani (a cura di) 1996; Marin 1994, in particolare 303-376.
2 Per una formalizzazione semiotica del concetto di «messa in scena» cfr. Bette-
tini 1975
3 Sul concetto di “mondo possibile” cfr. Eco 1979: 122-173, Segre 1985: 123-
124 e riferimenti contenuti in questi due testi.
4 Sui meccanismi psico-fisiologici di percezione del movimento e la loro rela-
zione con la rappresentazione del moto cfr. Aumont 1990: 31-34; Pierantoni
1986: 135-137; Pierantoni 1996: 80-119.
5 Arnheim 1974, che riprende varie osservazioni di artisti, in particolare di
Kandinsky .
6 Pierantoni 1986: 409.
7 Arnheim 1974: 343 ss.; Pierantoni 1986: 130.
8 Sulle «invenzioni» leonardesche - in alcuni casi vere e proprie tavole di
montaggio cinematografiche - cfr. Ejzenstejin 1940; Gombrich 1963; Segre
1979.
9 Segre 1979: 147
10 Cit. in Lessing 1766: 199. La strategia del movimento bloccato funziona da
supporto per l’espressione di un ulteriore parametro del moto: la sua durata.
Troviamo a questo proposito due strategie espressive. Le durate di movimenti
passati possono essere inferite dallo spettatore a partire da alcune tracce che
essi hanno lasciate nello spazio: tracce di animali nella neve, nei dipinti rupestri

210
Note

di Cueva Remigia; nuvolette di polvere sollevate dai cavalli, in una delle «inven-
zioni» di Leonardo già menzionata (Cfr. Pierantoni 1986: 22). Inoltre le durate
di movimenti futuri possono essere inferite a partire dagli spazi da percorrere e
dal loro ritmo. Per esempio nell’iconografia cinque e seicentesca della Presenta-
zione della Vergine al tempio, la bambina è indirizzata verso l’altare da sinistra a
destra, ove l’attende il sacerdote; la strutturazione dello spazio, e in particolare
la lunghezza della scala che la fanciulla sta per percorrere o sta percorrendo (cfr.
soprattutto Tiziano e Tintoretto) comunica anche un senso di ritmo e di durata
dell’azione (Cfr. Gombrich 1982: 54). In altri termini la durata e il ritmo del
movimento (sia esso già effettuato o da effettuare) sono resi sfruttando non più
la posa della figura, ma la spazialità circostante; proprio il senso della durata
evidenzia dunque il legame tra tempo e spazio iconici nella resa del mutamento
(uno sfruttamento dello spazio, si badi bene, differente da quello che ritrove-
remo parlando delle strategie di resa del racconto).
11 Arnheim 1974; Jaffe 1983; Pierantoni 1986; Reinach 1900-1901.
12 Viene qui implicato il problema delle «invarianti percettive», cioè di quei pun-
ti di riferimento relativamente stabili nel flusso variabile della visione che, se-
condo alcuni psicologi della visione (in particolare J. J. Gibson) svolgerebbero
un ruolo importante nell’organizzazione delle configurazioni percettive; cfr.
Pierantoni 1986: 91-92 e Pierantoni 1996: 54-119.
13 Uspenskij 1973.
14 Pierantoni 1986: 55.
15 Kepes (a cura di) 1968. Vedi anche Maltese 1973.
16 Da un punto di vista percettologico la capacità di cogliere il movimento a
partire da una sequenza di questo tipo sembra derivare dal modo in cui perce-
piamo normalmente il movimento: in maniera sostanzialmente puntiforme,
costruendo microinferenze istantanee tra punti differenti: cfr. Massironi 1989 e
rinvii alla nota 4 di questo capitolo.
17 Gli esempi sono tratti da Arnheim 1974: 87; 352-54.
18 Pierantoni 1986: 416- 17; cfr. anche Ejzenstejin 1940.
19 Cfr. Corrain 1987: 90.
20 Uspenskji 1973: 355.
21 Pierantoni 1986: 504-508. Osserviamo infine che sono possibili casi interme-
di tra la soluzione verosimile e quella non verosimile. Un esempio in proposito
è rappresentato da quella forma parziale di stroboscopia che è l’uso di linee
cinetiche, diffuse soprattutto nei fumetti: cfr. Gombrich 1982, Barbieri 1991.
22 La narratologia, branca della semiotica che studia il racconto, distingue tra gli
avvenimenti e le azioni: nel primo caso l’agente delle trasformazioni non sarebbe
umano, mentre nel secondo sì. In effetti in termini più astratti si può prescinde-
re da questa distinzione, che concerne le personificazioni dei ruoli narrativi e
non i ruoli stessi: un danno può essere provocato tanto da un fiume che strari-

211
Analisi semiotica dell’immagine

pa quanto da un re malvagio. Cfr. le sintesi di Casetti e di Chio 1991: 164-213, e


Prince 1987: voce “enunciato narrativo” e collegate. Il concetto di azione come
totalità logicamente e cronologicamente strutturata deriva dalla Poetica di Ari-
stotele: 1450b 1451a.
23 In effetti occorre considerare che l’immagine figurativa rappresenta un rac-
conto anche solo mettendo in scena un’azione o un aggregato di azioni (esat-
tamente come rappresenta un’azione sia che metta in scena una singola fase sia
che rappresenti più fasi). Occorrerebbe quindi distinguere tra racconto puntuale
e racconto articolato. Ma non vorremmo affollare troppo di termini e defini-
zioni la nostra trattazione.
24 Per alcune trattazioni relative alle specifiche modalità di una sintassi narrati-
vo-visiva cfr. Aumont 1989: 73 ss.; Calabrese 1985b: 226 ss.; Calabrese 1987a;
Marin 1975 e 1978; Segre 1979. Il parallelo tra montaggio del racconto nell’im-
magine e montaggio nel cinema, proposto da Aumont, è già sviluppato tra gli
altri da Ejzenstejin 1940.
25 Calabrese 1985b: 217- 237.
26 cfr. Lessing 1766, soprattutto introduzione e capp. III, XV, XVI e XVIII.
Per una lettura semiotica dell’oera cfr. Parrett, 2000.
27 Cit. in Segre 1979: 148.
28 Cfr. Pierantoni 1986: 86.
29 Cfr. Magli 1980.
30 Calabrese 1985b: 228-230. Un caso simile si ritrova in alcune delle «invenzio-
ni» di Leonardo. Ad esempio, nell’invenzione X (che in parte è diventato l’af-
fresco dell’Ultima cena presso S. Maria delle Grazie a Milano), si descrive l’atto
di uno dei commensali che al tempo stesso posa il bicchiere e si volta seguendo
un richiamo: nuovamente una sfasatura / sovrapposizone tra la sequenza di
azioni compiuta dal corpo e quella compiuta dal capo. Segre 1979: 146.

31 Cfr. Marin 1970.


32 Questo procedimento ha probabilmente un’origine teatrale: cfr. spunti in
Bassy 1974; Baxandall 1972: 75 ss.; Gombrich 1982.
33 Gombrich 1982: 53-55.
34 Lo spazio, sia nella sua dimensione plastica bidimensionale sia nella sua di-
mensione figurativa tridimensionale, si presenta dunque anzitutto come una
condizione della rappresentazione del mutamento narrativo. Cfr. Aumont 1990:
189-192; Calabrese 1985; Marin 1978. Una prova a contrario è costituita dal fatto
che l’abolizione dello spazio prospettico corrisponde a una crisi nella articola-
zione del racconto visivo. Questo è appunto quanto ha tentato Caravaggio - e
dopo di lui la «pittura a lume di notte» - lavorando soprattutto sulla dimensione
luministica dello spazio. La prospettiva rinascimentale possiede infatti sostan-
zialmente due aspetti: un aspetto geometrico, che riguarda le forme e le dimen-

212
Note

sioni delle figure; e un aspetto luministico che riguarda i colori e in particolare


la loro saturazione, ovvero la percentuale di bianco. L’assunto è che, col pro-
gredire della distanza fittizia dal primo piano allo sfondo aumenta la massa di
aria, espressa con il bianco e quindi a maggior distanza corrisponde maggior
bianchezza del colori. Ebbene: Caravaggio colloca i propri soggetti all’interno di
scatole nere, li sposta in primo piano e qui proietta un fascio di luce laterale. Il
risultato è che la possibilità di articolazione logica e cronologica dell’istante è
bruscamente annichilita. Non a caso secondo Nicolas Poussin - grande
manipolatore dell’istante mediante lo sfruttamento della dislocazione spaziale
dei soggetti - Caravaggio era venuto al mondo «pour détruire la peinture». Cfr.
Marin 1978; vedi anche Corrain 1996.
35 Cfr. Calabrese 1985b: 167-193. Noteremo più avanti, sempre con Calabrese,
come questi motivi possono fungere da congiunzioni retoriche e non solo nar-
rative tra elementi raffigurati. Per l’elemento della porta sfruttato a fini sintatti-
co-narrativi cfr. Gandelman 1984; Stoichita 1993: 54-64.
36 La profondità di campo fu ottenuta grazie all’uso di nuove tecnologie cine-
matografiche: pellicole ultrasensibili, lenti antiriflesso, illuminazione a incande-
scenza. Tuttavia è stato scoperto di recente che Welles fece anche uso di tradi-
zionali trucchi cinematografici: matte painting, doppia esposizione, background
projection (o rear projection), ecc. Anche il fotogramma in esame deriva da un pro-
cedimento di sovrimpressione della pellicola. Questa scoperta è interessante ai
fini del nostro discorso in quanto mostra che la tensione alla profondità di
campo e ai suoi usi espressivi non è effetto, ma eventualmente causa dell’uso
delle tecnologie. Cfr. Bordwell 1997: 224. Per una panoramica sui confronti tra
spazio pittorico e spazio cinematografico attuati in sede teorica rinviamo
all’esauriente trattazione di Costa 1991: 91-142; cfr. anche Costa, 2002.
37 Anche la struttura luministica è importante: l’alternanza luce / ombra / luce
porta a un’equivalenza della morte come zona di ombra dell’immagine. E’ signi-
ficativo in tal senso che Kane sia una silhouette, partecipi cioè tanto della natu-
ra di luce che di quella di ombra e, successivamente, attraversi lo spazio in pro-
fondità portandosi dalla zona di luce a quella di ombra. Il contrasto plastico tra
luce e ombra è dunque al servizio di una ulteriore determinazione di senso del
racconto, in base alla dinamica della codificazione semisimbolica già esaminata
alla fine del capitolo 2: vedremo altri esempi di tale procedimento in 3.5.
38 Per una lettura dello stesso testo iconico in chiave di simulazione, cfr. Bette-
tini 1991.
39 Cfr., tra le molte analisi di “cicli”, Calabrese 1985b: 241-261 e Lindekens
1979 sul ciclo di Piero della Francesca; Corrain 1987: 45-59 per vari esempi.
40 Su alcuni aspetti semiotici di tale passaggio cfr. l’analisi di Gauthier 1984;
sulla narrazione sequenziale nel fumetto cfr. le analisi e i rimandi di Barbieri
1991.

213
Analisi semiotica dell’immagine

41 Cfr. Pierantoni 1986: 425.


42 Cfr. Pierantoni 1986: 60.
43 Brilliant 1984: 91-128.
44 Eco 1987: 16
45 Il problema delle passioni e della loro rappresentazione è al centro di interes-
si e studi della semiotica contemporanea. Rimandiamo ai panorami di Pezzini
1991 e 1998. Si veda anche il quadro di sintesi e rilancio della ricerca in Fabbri
1998: 39-57.
46 Per alcuni approcci a questo punto si vedano Panofsky 1955, che distingue
tra soggetto fattuale e soggetto espressivo; Gombrich 1983, che differenzia il
gesto utilitaristico dal gesto espressivo (leggermente diversa la distinzione tra
segni formali - la disposizione dei soggetti - e segni espressivi - la loro postura -
di Marin 1978).
47 Gombrich 1982: 64-82 distingue a questo proposito tra gesti e pose «sinto-
matologici» e gesti e pose «simbolici»: i primi sarebbero (o sarebbero percepiti
come) dotati di origine “naturale”, mentre i secondi verrebbero prodotti da
meccanismi e circostanze “culturali”. Si apre a questo proposito l’interessante
questione dei meccanismi che, all’interno di una società, sono maggiormente
deputati a determinare il linguaggio gestuale delle passioni. Alcuni autori hanno
evidenziato il ruolo del teatro: Lotman 1982; Pierantoni 1986: 422; Minnone
1979. Gombrich 1982 sottolinea il ruolo svolto dalla ritualità. Secondo Baxan-
dall 1972 nelle pose di Adamo ed Eva ritratti da Masaccio nella cappella Bran-
cacci si ritrovano codici mimici del linguaggio dei monaci votati al silenzio.
Barasch 1987 ha dimostrato come Giotto, nel momento in cui assume alcuni
gesti fortemente convenzionali sia dall’ambiente religioso della Chiesa che da
quello laico della corte, dona a tali gesti una nuova connotazione tematico-
emozionale.
48 Calabrese 1985b: 200-201
49 Cfr. l’ampia rassegna su corpo e passione in Magli 1980 e quella più specifica
su volto e passione in Magli 1995. Sul volto vedi anche Barasch 1976 e 1991;
Courtine e Aroche 1988; Giuntini 1990; Giurisatti 1989; Rodler 1989; Rogerson
1953. Stoichita, 1995, osserva che nel caso della messa in scena del corpo veg-
gente nella pittura mistica spagnola seicentesca, intervengono altri codici sociali:
«l’arte sacra […] ha dovuto riscoprire, riassimilare e riadattare la sola grammati-
ca corporale esistente nella cultura occidentale […] che non concerne il corpo
in generale ma soltanto il comportamento del corpo in preghiera» (p. 224 trad.
it.). Il paradigma teatrale sarebbe dunque preceduto e forse fondato dal para-
digma della preghiera come grammatica del corpo appassionato.
50 Gombrich 1982: 88-98 disegna un rapido excursus su alcuni momenti chiave
di svolta del gusto e delle convenzioni relative alla rappresentazione delle pas-
sioni; egli pone in luce le oscillazioni dei registri patemici tra stilizzazione, reali-

214
Note

smo e richiamo al decorum. Cfr. anche la disamina di Bordini 1990 e di Chastel,


1987.
51 Le Brun 1698, sul quale vedi Spallanzani 1993.
52 Cfr. Gombrich 1982: 38-39. E’ il Settecento a teorizzare e praticare una simi-
le strategia. Ad esempio il conte Lord Anthony Earl of Shaftesbury, nel suo
Characteirsticks of men, Manners, Opinion, Times (1714) individua a livello teorico
alcuni strumenti per esprimere il passaggio passionale senza compromettere
l’assioma del “punctum temporis”, strumenti che consistono sostanzialmente
nelle strategie appena descritte. Per esempio il pittore Anne Louis Girodet
Trioson (1767-1824), citato da Pierantoni 1986: 421, teorizza e pratica
l’espressione del «demi-chemin» di una passione: «Girodet ha l’ambizione di
mostrare il “cammino intermedio” non come azione scenica esterna ma come
evento interno, endogeno, quasi fisiologico. Le azioni visibili mostrano il mo-
mento critico in cui a una passione se ne sostituisce un’altra». Ad esempio nel
suo Giuseppe riconosciuto dai fratelli troviamo passaggi dalla «sudditanza e umilia-
zione» alla «speranzosa attesa», ecc.
53 L’episodio è in Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, Canto XIV, ottave 57-
67
54 Baxandall 1972: 69.
55 Marin 1978: 97.
56 Cit. in Marin 1978.
57 Careri riprende nelle sue analisi berniniane alcuni termini e concetti introdotti
dal regista e teorico del cinema russo S.M. Ejzenstejin; a quest’ultimo, in parti-
colare, è dovuto originariamente il termine di «montaggio passionale» che anche
noi abbiamo ripreso nel corso di questo paragrafo. (cfr. Ejzenstejin 1964). Oc-
corre comunque precisare che il montaggio passionale così come lo intendono
il regista russo prima e poi (almeno in parte) Careri, presenta due aspetti che nel
nostro discorso sono state lasciati in ombra. In primo luogo il passaggio da uno
stato passionale all’altro avviene dialetticamente, per salti: la continuità sottende
un divenire dialettico. In secondo luogo tale progressione avviene nel passaggio
da un materiale espressivo all’altro: da immagini a grafismi in Ejzenstejin, da
immagine bidimensionale dipinta a immagine scolpita in Bernini analizzato da
Careri. Cfr. Careri 1990: 104-116.
58 Careri 1990: 40.
59 Careri 1990: 52
60 Un aspetto particolarmente interessante della correlazione azione - reazione
passionale è stato messo in luce da Calabrese 1991b. L’Autore parte dalla con-
statazione dell’irrapresentabilità della morte nel sistema figurativo postrinasci-
mentale: le azioni vengono infatti rese o puntualmente o in sequenza (cfr. so-
pra); ma l’azione del morire, in quanto “trapasso”, è al tempo stesso puntuale e
processuale: è un istante che contiene un divenire. L’istante della morte non è

215
Analisi semiotica dell’immagine

dunque rappresentabile in sé, ma solo mediante la fase precedente (la tensione


dell’agonia) e quella seguente (il rilassamento della morte ormai avvenuta), e-
ventualmente compresente nella mimica del morente (ad esempio
nell’iconografia della Crocifissione). Diversa la situazione per quanto concerne
la reazione passionale alla morte da parte degli astanti (ad esempio Marta, Ma-
ria, San Giovanni e la Maddalena sotto la croce): «mentre nel morente devono
essere compresenti la tensione e la lassità, perché il momento supremo non può
che rappresentarsi come approssimazione, sia pure infinitesimale, dei due con-
trari, negli spettatori della morte avviene l’inverso. C’è solo una passionalità
crescente che diventa esplosione puntuale nel momento esatto del trapasso, e
questa esplosione ha una precisa rappresentazione topologica e gestuale» (107).
Ecco dunque che la reazione passionale si carica di una particolare funzione
narrativa: essa sostituisce metonimicamente la rappresentazione dell’azione - in questo
caso l’azione del morire - in sé irrappresentabile. Il tema della rappresentazione
sostitutiva della passione in luogo dell’azione che l’ha prodotta meriterebbe più
attenzione, per esempio con riferimento al “fuori campo” del quadro o alla
raffigurazione volutamente marginale dell’azione.
61 Ricordiamo che la metonimia consiste nella «designazione di un’entità qual-
siasi mediante il nome di un’altra entità che stia alla prima come la causa sta
all’effetto e viceversa...». La metafora è invece definibile come «sostituzione di
una parola con un’altra il cui senso letterale ha una qualche somiglianza col
senso letterale della parola sostituita» (Mortara Garavelli 1988: 149 e 160).
62 Brilliant 1984: 189.
63 Calabrese 1985b: 236
64 Baxandall 1972: 60-64.
65 Shapiro 1973.
66 La bibliografia sul rapporto immagine e metafora, e più in generale sulla reto-
rica dell’immagine è molto ampia. Ci limitiamo a rinviare ai numerosi riferimen-
ti in Groupe Mu 1992.
67 Thürlemann 1981: 63.
68 Dovremmo parlare più precisamente di «allegorismo», forma di metafora
prolungata e continua: cfr. Mortara Garavelli 1988: 184.
69 Schapiro 1973.
70 Pierantoni 1986: 170.
71 Brilliant 1984: 30-32.
72 Brilliant 1984: 53 ss.
73 Arasse 1984, Calabrese 1992, Corrain 1991b.
74 La storia è trasmessa da Valerio Massimo nei suoi Factorum et dictorum memora-
bilium libri IX (I secolo d.C.) e possiede diverse testimonianze iconografiche nel
mondo classico (in particolare sono stati ritrovati tre affreschi sul tema a Pom-
pei, la copia di uno dei quali doveva essere stato visto da Poussin).

216
Note

75 Thürlemann 1980: 118. Sott. nostra.


76 Thürlemann 1980: 119.
77 Un rinvio analogo - per lo meno dal mondo pagano a quello dell’Antico
Testamento - si ha in un altro quadro di Poussin che faceva pendant con La
caduta della manna: la Peste di Azoth. Qui nella scena della peste inviata da Dio
come punizione viene inserito un bassorilievo che illustra Nettuno emergente
dal mare per punire l’esecuzione di un sacrificio.
78 Alcune riflessioni utili in questo senso sono in Corrain (a cura di) 1987;
Lamblin 1985.
79 Ci riferiamo alla linea di ricerca aperta da Ricoeur 1983-1985 e 1986. Secon-
do il filosofo francese la semiotica prende in considerazione «le leggi interne
dell’opera letteraria, senza occuparsi di ciò che è a monte e a valle del testo. E’,
per contro, compito dell’ermeneutica ricostruire l’insieme delle operazioni gra-
zie alle quali un’opera si eleva sul fondo opaco del vivere, dell’agire e del soffri-
re per essere data dall’autore ad un lettore che la riceve e in tal modo muta il
suo agire» Ricoeur 1983-1985: volume 1, p. 92. Una simile spartizione di campo
non prelude ovviamente a una divisione ma a un dialogo tra le discipline: cfr.
Ricoeur e Greimas, 2000.
80 Questa idea è sviluppata in Arnheim 1978 e 1986.
81 Aumont 1990: 189. L’autore riprende a proposito dell’immagine fissa il
concetto di «immagine cristallo» di Deleuze 1985: in part. 55-56 e 82-112.
Deleuze, rielaborando la riflessione di Bergson e incentrando la propria
riflessione sul cinema (in particolare alle caratteristiche del cinema cosiddetto
moderno), nota come un certo tipo di immagine cinematografica si avvicini al
«cristallo temporale», luogo di coesistenza di istanti temporali differenti:
«l’immagine-cristallo è proprio il punto di indiscernibilità di due immagini
distinte, l’attuale e la virtuale, mentre nel cristallo si vede il tempo in persona,
un frammento di tempo allo stato puro, la distinzione stessa tra le due
immagini che non finisce più di ricostituirsi». In questo senso potremmo dire
che l’immagine fissa è ancora più vicina - diremmo “costituzionalmente vicina”
- al cristallo temporale.
Note al capitolo quarto. Sguardi, ruoli, posizioni.
1 Il problema del punto di vista collega l’analisi semiotica dell’immagine a quella
di testi scritti o audiovisivi. Due panoramiche ragionate sui problemi legati al
punto di vista nel racconto scritto sono Meneghelli 1998 e Pugliatti 1985. Una
rassegna veloce delle principali posizioni è in Prince 1987 alla voce «punto di
vista» e collegate. Il punto di vista al cinema ha conosciuto numerosi interventi,
tra cui ricordiamo: per l’Italia Casetti 1985 (dal quale riprenderemo vari spunti
per il nostro discorso applicato all’immagine fissa); per la Francia autori quali
Jacques Aumont, François Jost, Michel Marie, i cui interventi più significativi

217
Analisi semiotica dell’immagine

sono tradotti e riuniti in Cuccu e Sainati (a cura di) 1987; per gli USA Bordwell
1985 e Branighan 1984.
2 E’ possibile considerare questi soggetti quali “proiezioni” all’interno del mon-
do testuale del soggetto del sistema di sguardo di base, cioè dello spettatore
stesso. Emittente e recettore, cioè autore e spettatore dell’immagine divengono
così entità testuali, reperibili attraverso il tessuto dei segni. La semiotica testua-
le, riprendendo a questo proposito una terminologia linguistica, parla di enuncia-
tore ed enunciatario per indicare emittente e recettore del testo considerati in quanto
origine di queste proiezioni testuali, istanze astratte (e di per sé “invisibili”) che oc-
corre postulare in quanto punto di partenza e di riferimento dei riflessi simula-
crali contenuti nel testo. Su immagine ed enunciazione la bibliografia è molto
vasta; richiamiamo solamente: per una sintesi dei problemi su pittura ed enun-
ciazione Calabrese 1985b: 37-47; su enunciazione e figuratività cfr. Tamba
Mecz 1981. Due sintesi sulla teoria dell’enunciazione in generale sono Manetti
1993 e (con particolare attenzione alla dimensione visiva) Bettetini e Giaccardi
1994.
3 Esso si differenzia ovviamente rispetto allo spettatore, che viene non implicato
ma presupposto dall’immagine. La distinzione tra presupposizione e implicatura è
uno dei problemi centrali della logica, della linguistica e della pragmatica; rin-
viamo alla sintesi di Bertuccelli Papi 1993: 167-244. Osserviamo che nel sogget-
to osservatore è possibile ritrovare sia un riflesso dell’enunciatore in quanto
istanza responsabile dello sguardo che ha prodotto l’immagine; sia un riflesso
dell’enunciatario, in quanto istanza cui quello sguardo è destinato per essere
“ricalcato”. Sul ruolo della costruzione prospettica in questo processo vedi una
sintesi in Colombo e Eugeni 1996; vedi anche la riflessione in chiave fenome-
nologica di Spinnici 1997.
4 Potremmo parlare a questo proposito di una «prospettività» quale strumento
complementare alla prospettiva nella determinazione del sistema di sguardo
dell’osservatore: cfr. Corrain 1996: 87-88.
5 Riprendiamo il termine da Damisch 1987. Queste possono essere riferite o
all’enunciatario (qualora prevalga il legame semantico del “vedere”) o all’enun-
ciatore (qualora prevalga il richiamo al “far vedere”, cioè al mostrare), e più
spesso a entrambi. Osserviamo che le tre modalità di proiezione testuale dei
soggetti dell’enunciazione rinviano almeno in parte alla tipologia dei segni di
origine peirciana: gli indici (corrispondenti ai segnali dell’osservatore), le icone
(gli astanti/indicatori) e i simboli (le epigrafi o insegne). In effetti la corrispon-
denza non è perfetta, in quanto tutte e tre i rinvii lavorano all’interno di una
dimensione iconica.
6 Con il termine “interpretazione” intendiamo di seguito non le attività svolte
dallo spettatore nei confronti dell’immagine, ma quelle svolte da indicatori,
astanti e osservatori nei confronti del mondo testuale - e quindi proposte allo
spettatore nei confronti degli stessi oggetti e personaggi rappresentati -.

218
Note

7 L’immagine non sempre innesca o sviluppa del tutto la rappresentazione


dell’attività interpretativa dei soggetti dello sguardo: è possibile per esempio che
venga esibito solo il percepire, senza mettere in luce alcuna reazione patemica
(come nel caso di un astante che osserva senza mostrare segni di reazione
passionale).
8 Parliamo sempre di disposizioni relative tra i due sistemi di osservazione. Così,
se abbiamo un punto di vista dell’osservatore sul mondo angolato lateralmente
e anche la posizione dello spettatore rispetto all’immagine è forzatamente late-
rale (per esempio si presuppone che lo spettatore trovi l’immagine al proprio
lato al termine di una scala) avremo non un caso di lateralità, ma di coincidenza.
9 Cfr. Uspenskij 1973.
10 Snyder 1985: 123-124.
11 I due sistemi sono, da un punto di vista ottico, inconciliabili: la scoperta della
giusta prospettiva (sistema dell’osservatore B) implica che lo specchio non pos-
sa effettivamente riflettere i regnanti posti di fronte (sistema dell’osservatore
A). In realtà all’interno del sistema prospettico del quadro lo specchio riflette il
contenuto della tela che il pittore in scena sta dipingendo. I regnanti riflessi non sono
dunque quelli presenti “fisicamente” sulla scena in posizione di invisibilità, ma
quelli rappresentati in effigie sulla tela di cui vediamo il retro. Su questo punto
torneremo in 5.2.2.
12 Più in dettaglio la posizione di Diego de Azcona corrisponde a quella
dell’osservatore A (verso la sinistra della tela); la posizione del Maresciallo di
Palazzo coincide con quella dell’osservatore B (verso la destra della tela).
13 In particolare alcuni segnali orientano verso l’interpretazione della luce dalla
finestra come figura dello spettatore e dell’atto finale di interpretazione
dell’immagine: se seguiamo lo sviluppo degli elementi figurativi in senso oriz-
zontale, da sinistra a destra, ci accorgiamo che «questa conchiglia elicoidale
offre l’intero ciclo della rappresentazione: lo sguardo, la tavolozza e il pennello,
la tela innocente di segni (vale a dire gli strumenti materiali della rappresenta-
zione), i quadri, i riflessi, l’uomo reale (vale a dire la rappresentazione ultimata
ma come redenta dei suoi contenuti illusori o veri che le sono giustapposti); poi
la rappresentazione si scioglie: ormai se ne vedono solo le cornici e la luce che
dall’esterno impregna i quadri» (Foucault 1966: 25).
14 L’altezza dello spettatore dovrebbe essere media: tra 1.50 e 2 metri; l’angolo
visuale rimane comunque coincidente, se lo spettatore accetta una posizione
normale a una distanza di un metro o due dalla tela.
15 Foucault 1966: 28-29.
16 Geninasca 1991: 78.
17 Citato in Geninasca 1991: 65.
18 Francastel 1970: 170.
19 Chastel 1978: 191-200.

219
Analisi semiotica dell’immagine

20 Francastel 1970: 191-246.


21 Altrove troviamo altri esempi di tale variante in altri pittori-narratori: per
esempio in Carpaccio, che pone lateralmente all’episodio dell’Arrivo degli Amba-
sciatori nel Ciclo di S. Orsola (Venezia) la figura dello scrivano che sta raccon-
tando per iscritto quanto viene mostrato. Nel presente contesto è importante
sottolineare come si tratti di un altro mezzo - ancora più indiretto - per coin-
volgere lo spettatore nel mondo testuale: in particolare risulteranno pertinenti le
reazioni di interesse, stupore, ecc. degli astanti - uditori (o, secondo un termine
narratologico, “narratari”, in quanto opposti alla figura del “narratore”) del
racconto verbale. Cfr. l’analisi di Damisch 1987: 416-434, e le osservazioni
collegate
22 Seguiamo in questa parte Marin 1986 il quale ha analizzato in che modo le
diverse funzioni di indicatore e di astante si ritrovano scomposte e ricomposte
tra diversi personaggi in due arazzi disegnati da Poussin. In effetti,
nell’impostazione del suo articolo, Marin parte dalla figura del commentatore
albertiano per osservare come Poussin scomponga e rigiochi le funzioni di
questo soggetto. Nell’impostazione da noi seguita lo stesso commentatore al-
bertiano nasce da un particolare accorpamento di funzioni di indicatore e astan-
te, per cui non stupisce che esse si ritrovino diversamente configurate in Pous-
sin, come in altri autori. Molto interessanti peraltro alcune espressioni di Marin
circa la figura del commentatore albertiano, estendibili a tutte queste figure
liminari tra enunciato ed enunciazione: il commentatore è una «metafigura della
ricezione ... essa è parte del contenuto rappresentato; rappresenta la ricezione di questo
contenuto; presenta la relazione tra il contenuto rappresentato e la struttura di ricezione di
questo contenuto: essa raffigura l’interpretazione della rappresentazione». E ancora: «Es-
sa articola il gesto di mostrare una parte (la parte essenziale) di quanto è rappresentato e
il gesto di guardare lo spettatore e lo fa con un segno passionale che è azione (movimen-
to) in rapporto al rappresentato e reazione (movimento) in rapporto allo spettatore» (28).
Sulla figura dell’astante vedi anche Introvini 1990. La figura dell’indicatore e le
possibili tipologie del gesto di indicazione vengono sviluppati da Chastel, 1980.
23 Questa de-passionalizzazione si collega secondo Marin con un effetto veridit-
tivo proprio della narrazione di un episodio storico, “vero”, quindi non sotto-
posto a perturbazioni passionali.
24 Thürlemann 1980: 118.
25 Secondo il codice fisiognomico dell’epoca, fissato da Charles Le Brun; è lo
stesso Le Brun peraltro a soffermarsi su questo aspetto nella sua conferenza su
quest’opera.
26 Si dovrà osservare che la definizione che Poussin dà del prospetto è
strettamente ottico - geometrica: esso è fatto dipendere da occhio, raggio visivo
e distanza dell’occhio dall’oggetto; questo non per confutare l’interpretazione di
Thürlemann, ma per sottolineare come la dimensione visiva sia strettamente e

220
Note

inestricabilmente congiunta a quella puramente visiva: il vedere a fondo dipende


dal vedere bene, dall’instaurazione di un occhio dell’osservatore appropriatamen-
te posto, di un punto di vista giusto: d’altra parte abbiamo già visto quanto sia
importante la posizione del «punto di vista di Dio, o del saggio» in Poussin ; se
non si parte da qui non si potrà avere nello spettatore il collegamento cognitivo
e concettuale cui il pittore aspira.
27 Thürlemann 1980: 112-120.
28 Ricordiamo che la metonimia «tradizionalmente è stata fatta corrispondere
nella designazione di un’unità qualsiasi mediante il nome di un’altra entità che
stia alla prima come la causa sta all’effetto o viceversa» (Mortara Garavelli 1988:
149). Una prima direzione del legame metonimico va appunto dall’effetto alla
causa: «Si designa la causa per mezzo dell’effetto quando si parla, per esempio,
di gioia per ‘persona o cosa che dà gioia’, di fortuna o rovina per ‘circostanze o
persone ritenute causa di fortuna o rovina’ e via dicendo» (Mortara Garavelli
1988: 150).
29 Cfr. Eco 1984: 38.
30 Incontriamo qui la seconda direzione del legame metonimico (rispetto a
quella esaminata nella nota 28), che procede dalla causa all’effetto. Esempi di
metonimia di designazione dell’effetto per mezzo della causa sono: l’autore per
l’opera, il produttore per il prodotto, il proprietario per la cosa posseduta, il
patrono per la chiesa, la divinità mitologica per i suoi attributi o sfera di in-
fluenza (Cfr. Mortara Garavelli 1989: 150).
31 Cfr. Eco 1984: 38.
32 Cfr. Ernst 1978: 43.
33 Alle angolazioni anomale sull’asse verticale andranno aggiunte quelle sull’asse
orizzontale: è noto come tutta una tradizione tardo cinquecentesca (famose le
angolazioni laterali del Tintoretto) e poi novecentesca (ad es. Degas) abbia lavo-
rato su questo aspetto.
34 Escher utilizzò per la composizione enormi fogli da disegno in modo da
calcolare esattamente il posizionamento di tali punti.
35 Corrain 1984: 49-50.
36 Secondo Calabrese 1991a è proprio di Turner aver reinterpretato l’infinito
come “indefinito”.
37 Corrain 1987: 108.
38 Il discorso svolto in questo paragrafo completa quanto dicevamo in 3.2. circa
l’espressione del movimento nel mondo testuale. Ci basavamo in quel caso sul
presupposto che il movimento rappresentato dall’immagine riguardasse
solamente il mondo messo in scena. Il punto di vista che coglie la scena restava
invece assolutamente immobile. Recuperiamo ora la possibilità che l’immagine
renda conto non semplicemente del movimento interno al mondo testuale, ma
altresì del movimento relativo tra mondo osservato e punto di vista dell’osservatore. Do-

221
Analisi semiotica dell’immagine

vremmo anzi dire che, in effetti, ogni tipo di rappresentazione del movimento
rimanda a una tensione tra due sistemi: il sistema osservato e il sistema dell’osser-
vatore - anche quando il sistema dell’osservatore è statico, ovvero solidale con
lo spazio osservato: cfr. Calabrese 1985b: 42.
Possiamo confrontare le possibili espressioni del movimento dell’osservatore
con quanto dicevamo in 3.2. circa le strategie espressive del movimento dei
personaggi e degli oggetti in scena. Ci accorgeremo allora che questo nuovo
settore della messa in scena del movimento non introduce nuove strategie di
rappresentazione. Esso riprende piuttosto le soluzioni già evidenziate nel para-
grafo precedente.
Il movimento bloccato comporta in questo caso l’esibizione di punti di vista poco
equilibrati e instabili. Un esempio interessante è quello di Edgar Degas che,
suggestionato probabilmente da alcune istantanee fotografiche, dipinge alcune
immagini con tagli anomali, non perfettamente centrati sul soggetto, tali da
esprimere una frammentazione dello spazio. Il taglio dell’inquadratura pittorica
rinvia in tal modo a un osservatore immerso nel tempo, che “getta lo sguardo”
sul reale e non è più capace di costruire composizioni organiche e totalizzanti.
Un osservatore flâneur sintonizzato con i ritmi percettivi della moderna metro-
poli (Francastel 1951: 124 ss.; Francastel 1970: 211; Gombrich 1982: 59).
Nel caso del movimento contratto le differenti configurazioni visive derivanti dallo
spostamento del punto di vista vengono compattate sulla figura oggetto
dell’osservazione. Non esiste una soluzione verosimile (sul modello del movi-
mento contratto nascosto), ma solo una soluzione non verosimile. Questa si
ritrova nelle icone russe, e in particolare nella «prospettiva rovesciata». La figu-
ratività orientale parte infatti dal presupposto della mobilità del punto di vista; la
somma delle impressioni visive prodotte dal dislocamento del punto di vista
produce la deformazione, la frattura e il frastagliamento delle figure: ad esempio
le forme cilindriche (come un trono) sono rappresentate come l’innestarsi di
strati ogivali concentrici (Uspenskji 1973: 345-346). Anche nelle avanguardie
del primo Novecento troviamo procedimenti simili: famosi gli esempi cubisti,
le cui forme “astratte” sono in effetti la sommatoria di impressioni visive di
uno stesso oggetto esaminato da più punti di vista differenti (Francastel 1970:
246).
Nel caso del movimento articolato la successione dei punti di vista dà luogo a una
sequenza distesa di impressioni visive. E’ possibile in questo caso una soluzione
verosimile: diversi soggetti sono riconducibili ad una stessa figura che è in stasi,
ma che al tempo stesso viene osservata da punti di vista differenti. E’ il caso del
Martirio di San Sebastiano del Pollaiolo (1473), in cui i sei arcieri che saettano il
Santo sono in effetti il prodotto di una rotazione di 160 gradi sul proprio asse
di sole tre figure; queste vengono quindi rappresentate come se fossero viste in
uno specchio a destra e a sinistra (cfr. Pierantoni 1986: 226 ss.; l’autore collega
il fenomeno per un verso all’uso di modelli tridimensionali nella costruzione di

222
Note

uno spazio pittorico misurabile; per altro verso ad alcune tendenze percettive
relative al riconoscimento visivo di un oggetto mediante appunto la sua rota-
zione). E’ possibile anche una soluzione non verosimile: nell’iconografia orien-
tale delle icone russe possiamo trovare una stessa figura mostrata contempora-
neamente da più parti senza che vengano prodotti effetti di compattazione
(Uspenskji 1973).
39 Calabrese 1991b: 62.
40 Cfr. l’analisi di Fontanille 1989: pp. 77-81.
41 Corrain 1987: 202
42 Riprendiamo il termine “interpellazione” da Casetti 1985, adattandolo tutta-
via al nostro discorso. Il termine viene qui assunto in un senso “largo” per certi
versi e “ristretto” per altri. E’ assunto in senso largo perché non comporta solo
un rapporto diretto tra astante e osservatore, un “guardarsi negli occhi”, ma si
estende a una casistica più ampia caratterizzata dal particolare percorso inferen-
ziale di ricostruzione dell’attività interpretativa dell’osservatore. Più “ristretto”
perché parliamo qui solo del rapporto tra astante e osservatore, non compren-
dendo (per il momento) il rapporto con lo spettatore.
43 Per una analisi in questa chiave delle pose dei soggetti nelle immagini
fotografiche pubblicitarie, si veda Landowski 1997.
44 Calabrese 1985b: 199.
45 Il distacco viene inoltre accentuato dall’assenza di astanti o emblemi.
46 Calabrese 1985b: 213.
47 Calabrese 1985b: 138.
48 Seguiamo su questo punto i suggerimenti di Fontanille 1989: 98-104, adat-
tandoli in alcuni punti e congiungendoli con le osservazioni di Calabrese 1985b,
riferite alla Venere di Velazquez (anch’essa nell’atto di specchiarsi).
49 Calabrese 1985b: 211.
50 Calabrese 1985b: 210.
51 Calabrese 1985b: 210.
52 Calabrese 1985b: 147.
53 Calabrese 1985b: 148.
54 Calabrese 1985b: 148.
55 Calabrese 1993: 110-111.
56 Calabrese 1993: 110.
57 Da cui, peraltro, un possibile accostamento tra natura morta e specchio,
messo in luce da Corrain e Fabbri, 2001.
58 Floch 1983.
59 Corrain 1991b: 47.
60 Corrain 1991b:47. Vedi anche l’analisi di Cristo davanti ad Anna di Gerrit van
Hontohorst (1616-1617) in Corrain 1996: 86-102.

223
Analisi semiotica dell’immagine

61 Corrain 1991b: 48, sott. nostra.


62 Thürlemann 1989: 89.
63 Thürlemann 1989: 89.
64 Thürlemann 1989: 89.
65 Lo stesso fatto che le figure siano tagliate sottolinea la loro natura mediato-
ria, il loro collocarsi in una sorta di zona liminare tra spazio testuale e spazio
contestuale.
66 Thürlemann nota nel proprio articolo come Mantegna riprenda e rigiochi in
questo dipinto le nuove possibilità espressive offerte dalle pale per la devozione
privata che si diffondono in Italia nella seconda metà del 1400; queste si basano
(cfr. Ringbom 1984) sulla narrativizzazione del ritratto sacro mediante l’intro-
duzione di diverse figure a mezzo busto a fianco di quella del Cristo, nonché su
una nuova concezione prossemica del rapporto tra raffigurato e spettatore (da-
to da taglia, taglio dell’immagine, ecc.) - ovviamente all’interno di una nuova
forma di spiritualità e di devozione di cui le nuove condizioni spaziali costitui-
scono al tempo stesso causa e effetto.
67 Qui il nostro concetto di interpellazione investe, tramite l’osservatore e data
la coincidenza dei due sistemi di osservazione, anche allo spettatore. In tal sen-
so si avvicina maggiormente all’idea di Casetti 1985.
68 E’ un caso simile a quello incontrato nel Compianto di Mantegna, ma lì il fac-
cia a faccia era negato, e l’interpellazione era data da tutto intero il corpo del
Cristo con la sua posizione in aggetto.
69 Calabrese 1985b: 141.
70 Calabrese 1985b: 140.
71 Lo stesso Brunelleschi collaborò peraltro a costruire la parte dell’architettura
dipinta in prospettiva.
72 Pacciani 1980: 86-87; l’articolo riassume anche le circostanze storiche di pro-
duzione dell’affresco e il dibattito sui modelli iconografici. E’ interessante os-
servare il mancato rispetto delle regole prospettiche per le figure dei Dio Padre
e del Cristo: in base alla restituzione prospettica questi risultano sbilanciati in
avanti, in modo da mantenere un’innaturale frontalità rispetto all’osservatore -
spettatore (non si sa se per un sottile significato teologico e simbolico, o per
una più banale immaturità tecnica di Masaccio e Brunelleschi nel maneggiare il
nuovo strumento prospettico: cfr. Angeli e Zini 1980: 129-130). Per il nostro
discorso è interessante notare il recupero di una frontalità rispetto a un pubbli-
co di spettatori meno rigidamente collocati nello spazio contestuale.
73 In particolare il Peruzzi è anche scenografo, e d’altra parte la scenografia è
presa in un dibattito interno relativo alla determinazione del punto di vista dello
spettatore.
74 Si tratta di due tempi di una stessa vicenda, collocati nello stesso giorno (il
primo dell’anno del 1462): l’arrivo a corte di una lettera di Bianca Maria Viscon-

224
Note

ti, in cui la duchessa di Milano richiede urgentemente la presenza di Lodovico


Gonzaga a Milano dato l’aggravarsi dello stato di salute del marito, Francesco
Sforza; e l’incontro, sulla strada per Milano, tra Ludovico e il figlio Francesco,
appena nominato cardinale per interessamento dello stesso Sforza.
75 Mulazzani 1980: 177.
76 Si noti che il cielo è libero, per cui non si pone troppo rigidamente la colloca-
zione spaziale dell’osservatore, rendendo plausibile la visione dello spettatore
da punti di collocazione spaziale differenti. Si tratta di un espediente largamente
ripreso nei soffitti dipinti: un esempio classico è la volta della cupola della Chie-
sa di S. Ignazio a Roma, opera di Andrea Pozzo, con il trionfo del Santo in
paradiso (alla fine del 1600).
77 E’ pur vero che la figura di Tisbe che accorre a vedere Piramo morente svol-
ge anche una funzione di astante, ma tale funzione è solo parziale, riassorbita in
un agire principalmente pragmatico del soggetto.
78 Marin 1981: 80.
79 Questo posizionamento trova un corrispettivo iconico - simbolico in
Paesaggio con Piramo e Tisbe: si tratta del lago al centro del quadro, calmo e
tranquillo nonostante l’imperversare della tempesta: questo «joue dans le
tableau un autre personnage que ceux qui coopèrent au destin ou y resistent, un
personnage autre, qui n’est plus un personnage du tableau mais le grand œil du
spectateur, du sage que la réprésentation de l’irrepresentable de la tempête et
des passions humaines a ramené à soi, figure d’un regard ramené, renvoyeé a
son œil, après toutes les parcours et toutes les lectures des lieux, des espaces et
des figures du tableau» (Marin 1981: 83). Il lago insomma rappresenta un em-
blema dell’osservatore, che mantiene qui una non identificazione personale, utile
alla strategia di posizionamento dello spettatore come distaccato, “messo a
distanza” rispetto allo spettacolo mostrato nel dipinto. Marin sintetizza e svi-
luppa il problema dell’interazione tra temporalità interne all’immagine,
temporalità dell’autore e temporalità dello spettatore in Marin 1990.
80 Calabrese 1985b: 145.
81 Calabrese 1985b: 148.
82 Esattamente come davanti a Las Meninas lo spettatore era al tempo stesso
spettatore, regnante in atto di essere ritratto e artista in atto di ritrarre.
83 Marrone 1986, che pone il problema in riferimento a una teoria semiotica del
personaggio.
84 Riprendiamo termini e concetti di Ricoeur 1990. Il problema dell identità del
soggetto osservatore e spettatoriale è stata più recentemente reimpostata, anche
sfruttando indicazioni ricoeriane, in termini fenomenologici con un recupero
della dimensione plastica e sensibile in relazione alla costruzione di strutture e
frontiere del sé. Cfr. Lupien e Ouellet, 2000 e il più ampio e complessivo Fon-
tanille, 2004.

225
Analisi semiotica dell’immagine

85 Ricoeur 1990: 240. Il brano è riferito in origine al racconto letterario ma,


riteniamo, applicabile anche all’immagine. La trattazione di questo punto si
aggancia esplicitamente alla riflessione di Ricoeur (in particolare il quinto e il
sesto studio di Ricoeur 1990) e a quella di Taylor 1989 (in particolare il cap. 2,
pp. 41-77). I due autori sono accomunati dal tentativo di rilanciare il problema
dell’identità del soggetto in termini di narrazione; in tal modo essi cercano di
evitare le crisi e le aporie tanto delle teorie “forti” di stampo cartesiano, quanto
di quelle “deboli” di marca postmodernista.

Note al capitolo quinto. Specchi, riflessi, inganni.


1 Questa tematica è stata trattata all’interno degli studi semiotici (compresi ov-
viamente quelli di semiologia dell’immagine) facendo ricorso alla rete di concet-
ti e di termini propri della teoria dell’enunciazione, già introdotta in alcune note
del capitolo precedente. Si parlerà quindi di enunciazione enunciante (o enunciazio-
ne tout court) da un lato e di enunciazione enunciata dall’altro, e si distinguerà tra
enunciati enunciativi (che cancellano le marche dell’enunciazione) da un lato e di
enunciati enunciazionali (o enunciati tout court, tali da esibire o comunque non
cancellare le marche dell’enunciazione) dall’altro (Cfr. Greimas e Courtés 1979,
voci “enunciato”, “enunciazione” e collegate). Nel campo cinematografico la
valenza metadiscorsiva della prassi dell’enunciazione è stata evidenziata da Metz
1991; una riflessione circa l’ampliamento delle proposte metziane al dibattito
complessivo sull’enunciazione è Fontanille 1994.
2 E’ possibile esprimere l’opposizione e la complementarietà tra i due registri
del rapporto tra lo spettatore e l’immagine in altro modo: il punto di vista tende
a costituire un regime di trasparenza della rappresentazione e un accesso dello
spettatore al mondo testale. Il rinvio alla situazione spettatoriale, al contrario, fa
riaffiorare le istanze della macchina rappresentativa, e in tal modo inquina la
trasparenza introducendo un velo più o meno pronunciato di opacità (cfr. Marin
1989).
3 Sulla autoreferenzialità dell’immagine cfr. (oltre alle indicazioni che forniremo in
seguito) Whiteside 1988 e Withalm 1988. La metafora dello specchio quale
metafora pittorica della pittura possiede d’altra parte una propria storia: essa ha
concorso a lungo tempo (risultando infine vincente) con altre metafore, e in
particolare con quella dell’ombra: cfr. Stoichita, 1997.
4 Cfr. le numerose analisi di Stoichita, 1997.
5 Cfr. Chastel 1978: 151-169.
6 Il montaggio intertestuale di quadri nelle scene dipinte di “cabinet d’amateur” è
stata studiata da Stoichita 1993: 110-151. Una tipologia di modelli rappresenta-
tivi di quadro nel quadro è tratteggiata (soprattutto in forma di progetto di
ricerca) da Beyaert-Geslin 1998.

226
Note

7 Cfr. ancora Chastel 1979, e per gli specchi Chastel 1969: 120-122; vedi anche
la ripresa in termini semiotici del motivo della porta in Gandelman 1984. Più in
generale per le superfici in cornice Stoichita 1993 (in particolare 41-72) e ri-
mandi ivi contenuti. Per la tematica dell’immagine nell’immagine cfr. Kerbrat
Orecchioni 1979.
8 Altri riferimenti all’autore presupposto giocano sui richiami intertestuali tra le
opere, e consistono quindi in tutti quei giochi di citazioni, omaggi, ecc. che
lasciano trasparire una operazione realizzativa dell’immagine. Cfr. per esempio
il caso dei ritratti e autoritratti “indiretti” di Manet e Degas analizzati da
Stoichita, 2002.
9 Cfr. un esame delle varie discussioni in proposito in Damisch 1987: 177 ss.
10 Benché la centralità non sia perfetta: cfr. ancora Damisch 1987.
11 Damisch 1987: 234.
12 Damisch 1987: 277.
13 Damisch 1987: 351.
14 Il discorso di Damisch è comunque più complesso: egli osserva infatti come
la riflessività di questa immagine si può cogliere mediante due serie di rimandi
intertestuali Per un verso c’è un rinvio all’esperimento di Brunelleschi che segna
l’avvio della prospettiva: anche in quel caso c’era un osservatore sulla porta del
Duomo di Firenze, e anche in quel caso l’oggetto dell’osservazione era un tem-
pietto se non circolare per lo meno poligonale, come il Battistero del Duomo.
Per altro verso c’è un rinvio alle altre due tavole apparentate, cui questa è legata
da un gioco accorto di sintomatiche riprese e variazioni di una costellazione di
elementi plastici e figurativi.
15 Si tenga conto del fatto che non sempre lo specchio è posto esplicitamente
come tale: talvolta sono delle superfici lucide - per esempio le armature o gli
scudi - a svolgere funzioni speculari.
16 E anzi per così dire attua una figurativizzazione dello stesso osservatore, una
sua trasposizione nel mondo testuale, l’assegnazione al punto di osservazione di
un ruolo di personaggio: cfr. Marin 1975, che analizza un cartone per tappezze-
ria di Le Brun raffigurante l’incontro tra Luigi XIV e Filippo IV di Spagna, nel
1660 all’Île des Faisants, all’interno del quale lo specchio posto frontalmente
rispetto all’osservatore viene lasciato intenzionalmente vuoto.
17 La firma dell’artista è un altro elemento di rinvio alle modalità di produzione
del dipinto, sia che venga posta sulla superficie bidimensionale della tela, sia che
venga tradotta in figura per esempio mediante scritte scolpite su pietra o carti-
gli. Uno, molto famoso, è quello sul pavimento dello studio di S. Agostino nella
Visione di s. Agostino di Carpaccio (1502), a Venezia, Ciclo di S. Giorgio degli
Schiavoni, con scritto «Victor Carpathius fingebat»). Cfr. Calabrese 1985b: 47.
18 E, occorre aggiungere, di un avverbio di luogo come l’«hic» all’interno
dell’espressione di firma.

227
Analisi semiotica dell’immagine

19 Corrain 1987: 226.


20 Sull’importanza di questo quadro quale precedente dell’artificio seicentesco
dello specchio in pittura cfr. Stoichita 1993: 196 ss.
21 Chastel 1969: 121. Sul problema del rapporto tra autoritratto e specularità,
cfr. Calabrese 1985b:129-133; Stoichita 1993: 216 ss. (che indica come antece-
dente prossimo dell’autoritratto allo specchio quello del Parmigianino 1524, e
sottolinea l’inserzione di questo motivo e alcune nature morte). Sulle figure
dell’autore nell’opera vedi anche Arasse 1997.
22 Corrain 1987: 234.
23 Stoichita 1993: 226.
24 La giustapposizione è simboleggiata dalle due figure raffigurate accanto al
cartiglio della legenda all’interno della mappa: la Geografia e la Pittura. Su que-
sto punto cfr. il distacco tra le posizioni di Stoichita e quelle di Alpers 1983, che
sottolinea invece il richiamo reciproco di cartografia e pittura nel Seicento o-
landese.
25 Stoichita 1993: 264.
26 E’ appunto in questo senso che, come osserva Foucault, «vi è forse, in que-
sto quadro di Velázquez una sorta di rappresentazione della rappresentazione
classica e la definizione dello spazio che essa apre» (Foucault 1966: 30). Non
solo, aggiungiamo noi, nel senso della raffigurazione, ma anche in quello della
realizzazione del sistema del punto di vista. E questo avviene non solo per l’uso
del paradigma prospettico, ma per il sistema di scarti calcolati tra i diversi punti
di vista che esso introduce e sui cui lavora. «Tutto così si riconduce all’illusione
della pittura. Las Meninas non dicono nulla di più, nulla di meno» (Chastel 1978:
205). In questo senso ci sembra utile riprendere alcuni concetti di Damisch
1987, secondo il quale il punto chiave è costituito dallo scarto tra
«l’organizzazione geometrica del quadro e la sua struttura immaginaria» (449),
cioè dallo sdoppiamento del centro prospettico in un centro prospettico geo-
metrico (la convergenza delle linee di fuga sull’avambraccio del maresciallo) e di
un centro prospettico immaginario (lo specchio, che riporta alle origini mitiche
del dispositivo prospettico, cioè all’esperimento di Brunelleschi); noi abbiamo
esteso questo concetto di scarto calcolato che ci sembra estremamente produt-
tivo.
27 Foucault 1966: 25.
28 Chastel 1978: p 162-163.
29 Per due interpretazioni differenti della tela riflessa ne Las Meninas cfr. Snyder
1985 e Stoichita 1986 (parzialmente rifluito in 1993).
30 Chiariamo che cosa intendiamo per “giudizio”. Il termine comprende quattro
accezioni: esso è infatti definibile come «(a) la facoltà di distinguere e valutare, o
(b) il prodotto o (c) l’atto di questa facoltà, o (d) l’espressione di essa» (Abba-
gnano 1971: voce «giudizio»); noi siamo interessati soprattutto alle accezioni (b)

228
Note

e (c): il giudizio come atto di discernimento e come risultato o prodotto di tale


atto.
31 Il termine di “mondo”, da noi già assunto per parlare del “mondo testuale”
viene qui ripreso nell’accezione propria di “mondo possibile” degli studi di
logica della finzionalità; per alcuni fondamentali rinvii bibliografici al proposito
cfr. Segre 1985: 121-124.
32 Una riflessione sull’opportunità di recuperare questo senso «forte» dell’eikòs
aristotelico è in Bettetini e Fumagalli 1998: 49 ss.
33 Da quanto appena detto risulta che il giudizio epistemico implica un forte
richiamo di conoscenze previe del soggetto: si tratta di conoscenze sia partico-
lari che generali, variamente connesse con l’esperienza del soggetto e con la sua
condizione culturale.
34 Riprendiamo i termini e i concetti introdotti da Greimas a proposito del
quadrato di veridizione: cfr. Greimas e Courtés 1979 (voce «Veridittive (moda-
lità~)») e Greimas 1983b: 70-71. Si tenga presente che la stessa scuola greima-
siana ha peraltro messo in luce alcune intrinseche debolezze del quadrato di
veridizione: cfr. Greimas e Courtés 1986, alle voci «Carré sémiotique» e «Véridi-
tion», redatte da Jacques Fontanille.
35 La distinzione tra verità e verosimiglianza del mondo testuale e verità e vero-
simiglianza dello sguardo dell’osservatore emerge in varie forme all’interno
delle riflessioni sull’immagine. Per esempio possiamo citare la distinzione tra tre
possibili effetti dell’immagine: effetto di reale concernente la verità (o la verosimi-
glianza) del mondo testuale; effetto di realtà concernente la verosimiglianza dello
sguardo dell’osservatore; effetto di presenza concernente la verità dello stesso
sguardo (Cfr. Oudard 1971; Aumont 1990: 79 ss.; Calabrese 1993a). In altra
chiave, cfr. la differenza tra simulazione simulata (concernente il mondo testuale)
e simulazione simulante (concernente la rappresentazione e quindi lo sguardo) di
Bettetini 1991.
36 Queste indicazioni sono depositate all’interno dell’enciclopedia socialmente
diffusa, e spesso ne sono portatrici particolari istituzioni sociali (per esempio la
stampa, o l’apparato informativo audiovisivo, ecc.). Tocchiamo qui alcuni temi
focalizzati dall’impostazione semio-pragmatica di Roger Odin a riguardo del
testo cinematografico (ma lo stesso Odin riconosce i propri legami con altri
studiosi, in particolare con Schaeffer nel suo studio sulla fotografia): cfr. Odin
1983. Vedi anche il paragrafo di conclusioni del capitolo.
37 Sul legame tra didascalie e strategie di «veridizione» dell’immagine cfr. Gom-
brich 1960: 81-82. Da recuperare anche le osservazioni di Barthes 1961 e
1964b.
38 Ovviamente tali elementi collaborano in sinergia l’uno con l’altro: per esem-
pio, nel caso della fotografia, gli elementi testuali e co-testuali possono contare
su un sapere previo dello spettatore, depositato a livello sociale, e riguardante

229
Analisi semiotica dell’immagine

l’archè, il principio di origine dell’immagine fotografica, tale da richiedere la


compresenza originaria di apparato di riproduzione e di oggetto riprodotto.
Cfr. su questo punto la discussione sullo statuto semiotico dell’immagine foto-
grafica riportata nelle conclusioni al capitolo. Si osservi che proprio questa
presenza abbondante di segnali di veridizione crea il presupposto di maggiori
possibilità di contraffazione e di falso.
39 Bettetini 1991: p 35-36. Si può osservare che l’uso delle procedure di simula-
zione pone lo spettatore in una condizione percettiva e interpretativa comples-
sa, organizzabile per compresenza di due coppie di percezioni differenti: da un
lato egli percepisce e interpreta i grafismi e le forme plastiche significanti, e al
tempo stesso percepisce e interpreta il mondo testuale cui tali forme danno
luogo nell’immagine rappresentativo-narrativa; dall’altro lato egli percepisce e
interpreta tale mondo, e al tempo stesso richiama le proprie condizioni della
visione per effettuare il confronto valutativo. La percezione-interpretazione del
mondo risulta quindi il termine medio di due confronti paralleli e contempora-
nei: non è allora un caso che termini come simulazione e simultaneità abbiano una
stessa radice etimologica: lo spettatore la centro della simulazione è il soggetto
costretto a più atti percettivo-interpretativi simultanei, e guidato simultanea-
mente a giudicare del loro grado di verità. Sui problemi della simulazione cfr.
oltre a Bettetini 1991, gli Atti del convegno del 1991 dell’Associazione Italiana
di studi Semiotici, pubblicati in AA.VV. 1993; in particolare vedi Calabrese
1993a. In questo senso si comprende come la prospettiva, restituendo alcuni
elementi strutturali della percezione visiva, sia stato inteso da subito come un
potente mezzo di simulazione. A queste osservazioni vanno connesse quelle
dedicate alla natura morta da Lotman 1988: 51-62, che vede in questo genere
pittorico il sintomo di una (feconda) crisi tra portato linguistico e visibilità degli
oggetti del mondo naturale: l’oggetto, non coincidendo più perfettamente con
la parola che lo designa, si fa esso stesso parola di una lingua ancora sconosciu-
ta e allusiva.
40 Cfr. Calabrese 1993a.
41 Una sintetica panoramica delle procedure di illusione erronea procurata
dall’immagine allo spettatore è in Appiano 1993: 102-125
42 Come lo era stato circa cinquant’anni prima un altro angelo annunciatore:
quello della Pala di altare di Ghent dipinto da van Eyck, che riusciva a vedere,
grazie a un espediente prospettico analogo, attraverso un asciugamano appeso
tra lui e Maria.
43 Si tratta peraltro di tutti oggetti sintomatici, che spingono a un riconoscimen-
to inferenziale delle due figure anonime.
44 In un certo senso è un «percorso all’indietro», se teniamo presente la dinami-
ca propria del giudizio epistemico così come l’abbiamo ricostruita: la distinzio-

230
Note

ne tra mondi differenti definiti da consistenze ontologiche diverse e successi-


vamente la valutazione della loro corrispondenza.
45 E’ quanto avviene anche in alcune nature morte, che sul retro hanno dipinte
immagini di morte: cfr. Calabrese 1985b: 154-156.
46 David Punter, Storia della letteratura del terrore. Il gotico dal Settecento a oggi, Roma,
Editori Riuniti, 1985 (ed. originale 1980).
47 Per una rapida disamina dello sviluppo della semiotica della fotografia cfr.
Scalabroni, 2003.
48 Alludiamo ai seguenti studi, che costituiranno i punti di riferimento del para-
grafo: Barthes 1961, 1964b, 1980; Dubois 1990; Floch 1985b; Lindekens 1971;
Metz 1970; Prieto 1991; Floch, 1986; Schaeffer 1987; Sonesson 1998. Per una
sintesi delle teorie sulla fotografia vedi Bauret 1992 e Marra (a cura di), 2001.
49 Cadono qui pertinenti (benché in una chiave di lettura differente rispetto alle
loro formulazioni originali) sia le intuizioni di Lindekens circa il visibile fotogra-
fico quale riserva di “senso”, sia soprattutto le osservazioni di Dubois e le rela-
tive messe a punto critiche di Sonesson 1997: la fotografia è “indice” non solo
di un oggetto, ma di una interazione tra oggetto e dispositivo tecnico di ripresa
(distanza, obiettivo, pellicola, ecc.). Si osservi che una simile impostazione è
destinata a una radicale ripensamento alla luce delle nuove modalità di produ-
zione e manipolazione dell’immagine digitale; cfr. per un primo inquadramento
Colombo 1990, Sonesson 1998 e rimandi ivi contenuti.
50 Occorre tuttavia precisare che Dubois si sottrae alla polemica, ritenendo che
una considerazione della fotografia in quanto indice superi le posizioni iconiche
e convenzionalista.
51 Su questi aspetti cfr. Bettetini 1985.
52 Si tratta anche (benché espressa in termini differenti) della conclusione
dell’analisi di Dubois 1990: 15.

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259
Analisi semiotica dell’immagine

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dell’arte dell’Università di Bologna, n. 2, Bologna, Editri-
ce Compositori, poi come « Gli (auto)ritratti di Manet e
Degas. Evaporazione e/o centralizzazione» in Corrain (a
cura di), 2004, pp. 169-192.

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sguardo. A proposito della Manna di Poussin», in Pezzini
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1981 «La double spatialité en peinture: espace simulé et
topologie planaire», in Actes sémiotiques (Bulletin), n. 20, pp.
34-46 («La doppia spazialità in pittura: spazio simulato e
topologia planare. A proposito di Loth e le figlie», in Cor-
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L’Age d’Homme (traduzione parziale: «Paul Klee: analisi
semiotica di Blumen-Mythos - 1918», in Corrain e Valenti
(a cura di) 1991, pp. 107-131)
1989 Mantegnas Mailander Beweinung. Die Konstitution des Betrachter
Durch das Bild, Konstanz («Il Compianto di Mantegna della
Pinacoteca di Brera o: il quadro fa l’osservatore», in Cor-
rain e Valenti (a cura di) 1991, pp. 81-98)

Uspenskij Boris A.
1973 «Per l’analisi semiotica delle antiche icone russe», in Lot-
man e Uspenskij (a cura di), pp. 337-378
1975 «Left and Right in Icon Painting», in Semiotica, n. 13, pp.
33-39 («’Destra’ e ‘sinistra’ nella raffigurazione delle ico-
ne», in Uspenskij, 1996, pp. 63-69 poi in Corrain (a cura
di), 2004, pp. 137-143)
1976 The Semiotics of Russian Icons, Lisse, Peter de Ridder
1996 Linguistica, semiotica, storia della cultura, Bologna. Il Mulino.

261
Analisi semiotica dell’immagine

Valenti Mario
1991 «Dal figurativo all’astratto», in Corrain e Valenti (a cura
di), pp. 7-30

Vilches Lorenzo
1988 La lectura de la imagen. Prensa, cine, televisión, Barcelona -
Buenos Aires - México, Paidós Comunicación, 3a edizione
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México, Paidós Comunicación, 2a edizione.

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1988 «Verbal icons and self-reference», in Semiotica, n. 69, pp.
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Withalm Gloria
1988 «Depictions - reflections - perspective: Some remarks on
the self-referential discourse on/in semiotics», in Semiotica,
n. 69, pp. 149-178

262
7$92/(
Tavole

Tav. 1.
Teodoro, Tabula iliaca
capitolina, tardo I secolo
a.C., bassorilievo su pie-
tra, cm. 25 x 42, Roma,
Musei Capitolini. Dise-
gno della parte centrale
con evidenziata la figura
di Enea (da Brilliant
1984).

Tav. 2.
Giotto, Compianto
sul Cristo Morto,
1305-1310 ca.,
affresco, cm. 200 x
185, Padova, Cap-
pella degli Scrove-
gni.

265
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 3
Simone Martini, Il
beato Agostino Novel-
lo, 1328, tempera su
tavola, cm. 198 x
257, Siena, Museo
della città. Partico-
lare: Miracolo del
bambino azzannato
dal lupo.

Tav. 4
Masaccio, La Trinità,
1426-27, affresco, cm.
317x489, Firenze, Chiesa
di Santa Maria Novella

266
Tavole

Tav. 5
Masaccio, Il tributo al tempio, 1452, affresco, cm. 598 x 255, Firenze, Chiesa del
Carmine, Cappella Brancacci

Tav. 6 Tav. 7
Masaccio, S. Pietro guarisce i malati con Jan Van Eyck, Ritratto dei coniugi
la sua ombra, 1452, affresco, cm. 162 Arnolfini, 1434, olio su tela, cm. 82 x
x 230, Firenze, Chiesa del Carmine, 59,5, Londra, National Gallery
Cappella Brancacci

267
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 8a
Piero della Francesca,
Polittico di S. Antonio,
Annunciazione, 1470
ca., olio su tavola, cm.
230 x 338, Perugia,
Galleria Nazionale

Tav. 8b
Piero della Francesca,
Polittico di S. Antonio,
Annunciazione, Rico-
struzione dello spazio
da un punto di vista
obliquo (da Martone
1991)

268
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 9
Leonardo da Vinci, Annunciazione, 1475 ca., olio su tavola, cm. 217 x 98, Firenze,
Uffizi

Tav. 10
Anonimo, La città ideale, seconda metà del 1400, olio su tavola, cm. 239,5 x 67,5,
Urbino, Galleria nazionale delle Marche

269
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 11
Andrea Mantegna,
Cristo morto, 1480 ca.,
olio su tavola, cm. 66
x 81, Milano, Brera

Tav. 12
Andrea Mantegna,
La Camera degli sposi:
la volta, terminata nel
1474, affresco, altez-
za della volta al cen-
tro cm.695, Mantova,
Palazzo ducale

270
Tavole

Í!HansTav.Memling,
7DY 
13
Bethsa-
Ï
" Tav. 14
7DY 
Hans Holbein il LOgio-
+DQV 0HPOLQJ $GVJUC +DQV +ROEHLQ *LR
bea, 1485 ca., olio su
DGC CN DCIPQ  FD vane,
YDQH Gli
)NKambasciatori,
CODCUEKCVQ

tavola, cm 191,5 x
ROLR VX WDYROD FP  1533, olioROLR
TK  su tavola,
VX WDYROD

[84,5,
Stoccarda,
6WRFFDUGDStaa-
6WDD cm
FP206
x [209,
Lon-
/RQ

tsgalerie
WVJDOHLUH dra,
GUDNational
1DWLRQDO Gallery
*DOHU\

Tav. 15
7DY 
Giorgio
*LRUJLR daGD Castelfranco
&DVWHOIUDQFR detto il *LRUJLRQH
GHWWR LO Giorgione,.C
La8GPGTG
Venere FK
di Dresda,
&TGUFCinizi
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GHO1500,

olio
ROLR su
VX tela,
WHOD cm
FP108,5
 x
[ 175, Dresda, *HPlOGHJDOHULH
 'UHVGD Gemäldegalerie

271
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 16
Lorenzo Lotto, Susanna
e i vecchioni, 1517, olio Tav. 18
su tela, cm 50 x 60, Jacopo Robusti detto il Tintoretto, Susanna al
Firenze, Collezione bagno, 1557, olio su tela, cm 146,6 x 193,6, Vienna,
Contini Bonacossi Kunsthistorisches Museum

Tav. 17
Tiziano Vecellio, La Venere di Urbino, 1538, olio su tela, cm 119 x 165, Firen-
ze, Uffizi

272
Tavole

Tav. 19 Tav. 20
Disegno da un particolare di Luca Michelangelo Merisi detto il Cara-
da Leida (?), Loth e le sue figlie, prima vaggio, La testa di Medusa, 1596-
metà del XVI secolo, tavola, cm. 58 1598, scudo da torneo in legno
x 34, Parigi, Louvre dipinto, Firenze, Uffizi

Tav. 21
Matthias Stomer, Annunciazione, 1632 ca., olio su tela, cm. 112 x 165, collezione
privata

273
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 22
Nicolas Poussin, Rinaldo
e Armida, 1630 ca., olio
su tela, cm. 80 x 107,
Londra, Dulwich College

Tav. 23
Nicolas Poussin, La caduta della Manna, 1637-1639, olio su tela, cm. 149 x
200, Parigi., Louvre.

274
Tavole

Tav. 24
Poussin Nicolas, Paesaggio con uomo ucciso da un serpente, 1648 ca., olio su
tela, cm. 119 x 198,5, Londra, National Gallery.

Tav. 25
Poussin Nicolas, Paesaggio con Piramo e Tisbe, 1651, olio su tela, cm. 192,5
x 273,5, Francoforte sul Meno, Städelsches Kunstinstitut.

273
275
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 26a
Diego Velázquez, Las
Meninas, 1656, olio su
tela, cm. 318 x 276, Ma-
drid, Prado.

Tav. 26b !
Diego Velázquez, Las
Meninas, ricostruzione
dello spazio prospettico
(da Snyder1985)

276
Tavole

Tav. 27 Tav. 28
Rembrandt van Rijn, Autoritratto al Vermeer da Delft, L’arte della pittura, 1665
cavalletto, 1660, olio su tela, cm. 111 x ca., olio su tela, cm. 120 x 100, Vienna,
85, Parigi, Louvre. Kunsthistorisches Museum

Tav. 29
Giovan Battista
Piazzetta, Giuditta
e Oloferne, prima
metà del 1700,
olio su tela, Mila-
no, collezione
privata

277
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 30 Tav. 31
Johann Heinrich Füssli, L’incubo, William Turner, Pioggia, vapore e velocità, 1844,
1790-1791, olio su tela, cm. olio su tela, cm. 91x122, Londra, National
76x63, Francoforte, Goethe Gallery
Museum

Tav. 32
Katsushika Hoku-
sai, La grande onda,
stampa, 1834-
1835

278
Tavole

Tav. 34
Tav. 33
Maurits Cornelis Escher, La
Maurits Cornelis Escher, Divisione spaziale
torre di Babele, 1928, silografia
cubica, 1925, litografia, cm. 26,5 x 27

Tav. 35 Tav. 36
Maurits Cornelis Escher, Castro- Maurits Cornelis Escher, Su e giù
valva, 1930. litografia, cm. 42 x 53 (parte superiore), 1947, litografia,
cm. 20,5 x 50,5

279
Analisi semiotica dell’immagine

Tav. 37
Fotogramma da Citizen Kane (Orson Welles,
USA, 1941)

Tav. 39
Tav. 38
Michael Snow, Authorization, installazione
Edouard Boubat, Nudo, fotogra-
con fotografie, Ottawa, Galerie Nationa-
fia
le du Canada, 1969

Tav. 40
“Hai sognato diamanti, perché tacerlo?”,
annuncio pubblicitario su doppia pagina,
1994, Cliente: De Beers; agenzia: JWT;
prodotto: “Collection” di sette produttori
orafi italiani. Responsabile creativo: Alber-
tina Bassi; contact: Franca Invernizzi;
fotografo: Maria Vittoria Corradi

280
Questo libro intende costituire una “cassetta degli attrezzi” per chi desidera
intraprendere l’analisi dell’immagine fissa: esso fornisce indicazioni metodologiche,
suggerimenti bibliografici e esempi pratici di analisi delle immagini. Vengono presi in
considerazione dipinti, affreschi, bassorilievi, illustrazioni, stampe, fotografie d’arte e
pubblicitarie. Una particolare attenzione viene dedicata alle relazioni tra l’immagine
fissa e l’immagine in movimento propria di cinema e audiovisivi.
Il metodo di analisi proposto è quello della semiotica del testo. L’immagine viene
considerata un tessuto di segni progettato per entrare in interazione con le attività
interpretative dello spettatore e con i suoi saperi culturali in modo da produrre
costrutti cognitivi a differenti livelli. A livello plastico essa si presenta come un insieme
di forme e colori disposte in uno spazio a due dimensioni. A livello figurativo l’immagine
simula una scena tridimensionale in cui sono riconoscibili elementi del mondo naturale
e un’articolazione narrativa di azioni e passioni. A livello comunicativo l’immagine
propone allo spettatore una posizione spaziale e un ruolo specifico rispetto alla scena
tridimensionale. A livello metacomunicativo infine l’immagine suggerisce allo
spettatore una riflessione sugli stessi atti del rappresentare e del guardare condotti fino
a quel momento.
Il libro si appoggia costantemente a esempi di analisi desunte dalla letteratura del
settore o appositamente realizzate. Gli apparati teorici vengono tenuti sullo sfondo
della trattazione in modo da non compromettere la comprensione del testo da parte di
un pubblico non specialistico.

Ruggero Eugeni insegna Semiotica dei media presso l’Università Cattolica


del S. Cuore di Milano e di Brescia. Si occupa di semiotica della cultura
visuale, con particolare attenzione all’audiovisivo. Oltre a numerosi
articoli ha pubblicato Il testo visibile. Teoria, storia e modelli di analisi (con
Fausto Colombo, Roma, 1996), Film, sapere, società, Per un’analisi
sociosemiotica del testo cinematografico (Milano, 1999); La relazione
d’incanto. Studi su cinema e ipnosi, Milano, 2002; Semiotica dei media (con
Andrea Bellavita, Roma 2005).

Euro 15,30

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