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Appunti - Semiotica - Le basi della semiotica

Semiotica (Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM)

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FERDINAND DE SAUSSURE - dalla linguistica alla semiologia

1 LANGUE E PAROLE
Tutta la dottrina linguistica di Saussure nasce dall'insoddisfazione nei confronti della linguistica
dell'Ottocento, una linguistica vaga e approssimativa. Nella parte introduttiva del Cours de
linguistique générale Saussure riflette appunto su quale debba essere l'oggetto della linguistica.
Questione non semplice: Saussure dà una rappresentazione visiva del circuito della comunicazione
linguistica tra due individui A e B: il punto di partenza del circuito è nel cervello di uno dei due
individui, in cui i concetti si trovano associati alle rappresentazioni dei segni linguistici o immagini
acustiche che servono alla loro espressione; il cervello trasmette agli organi della fonazione un
impulso correlativo all'immagine; poi le onde sonore si propagano dalla bocca di A all'orecchio di B
fino a tornare al cervello di B, alla cui immagine acustica farà corrispondere un nuovo concetto.
Saussure vuole dimostrare come il linguaggio sia un oggetto estremamente complesso, tanto che
risulta impossibile studiarlo sotto parecchi aspetti contemporaneamente. In poche parole, la
linguistica – e quindi la semiotica – deve sempre costituire il proprio oggetto di studio, deve cioè
decidere ogni volta dove comincia e dove finisce.

Per cominciare a mettere ordine, Saussure propone una dicotomia fondamentale per tutta la sua
teoria linguistica: da una parte abbiamo la langue, che è la competenza collettiva e sociale che
permette di produrre e comprendere i termini linguistici, che condivide un linguaggio ovvero
condivide gli stessi significanti uniti agli stessi significati, dall'altra abbiamo la parole, intesa come
realizzazione ed esecuzione tecnica del segno linguistico (unione di significante e significato,
vedremo più avanti) e quindi atto individuale.

Tornando al circuito della comunicazione, abbiamo due processi paralleli e simultanei: nel primo A
pronuncia (e B sente) delle sequenze di suoni che sono chiamate fonie; nel secondo A trasmette
suoni che equivalgono a pensieri, descrizioni di cose o stati di cose o stati di esperienza acquisiti
dalla memoria, che si chiamano sensi. Entrambi possono essere simili ma non identici, perché se A
pronuncia la fonia "cane" in momenti diversi, avrà variazioni timbriche, di intensità o durata tali da
assicurarne una variazione a livello di pronuncia, così come la parola "paesaggio" può evocare sensi
diversi a diversi interlocutori. Inoltre, il legame stesso tra fonia e senso è molto problematico,
perché a una fonia possono corrispondere diversi sensi (àncora o ancòra), un senso può essere
espresso da più fonie (paesaggio, ambiente, panorama, veduta), e soprattutto non c'è nessun
rapporto di necessità tra specifiche fonie e specifici sensi... ovvero ai suoni che emettiamo non sono
mai immediatamente e necessariamente connessi dei sensi, non c'è alcun vincolo per così dire
'naturale'.

Quando A produce una fonia compie un atto fonatorio avendo presente un modello, un'entità astratta
che ha ricevuto dalla comunità entro la quale è cresciuto ed ha appreso la propria lingua: questo
modello è il significante e rappresenta l'immagine acustica; e allo stesso modo quando B percepisce
l'immagine acustica ricevuta e la trasmette al suo cervello, sfrutta un modello, uno schema
collettivo che serve a limitare le possibili varianti concrete dei sensi: questo modello è il significato
e rappresenta il concetto. Significanti e significati sono dunque modelli astratti, costruiti nella
collettività della langue e concretizzati in fonie e sensi da una realizzazione tecnica individuale.
Cosicché possiamo dire che significanti e significati costituiscono il dominio della langue, mentre
fonie e sensi, in quanto atti linguistici concreti, unici e irripetibili costituiscono il dominio della
parole. Cos'è che permette, dunque, all'individuo di cogliere e riconoscere le variazioni e identità
linguistiche? E' proprio la langue, cioè l'aspetto sociale, collettivo del linguaggio, l'insieme dei suoi
limiti e delle sue articolazioni. L'oggetto di studio della linguistica, secondo Saussure, dev'essere
quindi proprio la langue. E' questa la mossa rivoluzionaria del linguista ginevrino, perché fin lì la
linguistica si era concentrata prevalentemente sull'esame delle variazioni dei linguaggi, sull'analisi
delle mutazioni fonetiche.

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2 IL SEGNO LINGUISTICO
Il segno linguistico unisce un significante a un significato, ovvero un'immagine acustica (che è
un'astrazione concettuale dei nostri sensi, non il suono materiale di un'emissione) e un concetto. Il
segno è caratterizzato da due principi: l'arbitrarietà del segno e il carattere lineare del significante.
L'arbitrarietà del segno prevede che significante e significato siano uniti in un legame appunto
arbitrario, non vi sono cioè agganci naturali, necessari e motivati, tra loro (come lo dimostra
l'esistenza stessa di lingue differenti). Questa accezione è stata anche definita arbitrarietà verticale
perché le rappresentazioni visive del segno pongono convenzionalmente significante e significato in
linea verticale; c'è però una seconda accezione di arbitrarietà, legata al concetto di valore (vd
avanti), secondo la quale in un sistema linguistico sono arbitrari i rapporti tra un significante e gli
altri significanti, così come tra un significato e gli altri significati, e in questo caso si parla di
arbitrarietà orizzontale (la distinzione tra 'i' breve e 'i' lunga – a livello di significanti – non è
necessaria in tutte le lingue... l'italiano infatti non la fa; e ancora, l'italiano riconosce una distinzione
lessicale – a livello di significati – tra 'foglio' e 'foglia', che invece in spagnolo vengono entrambi
designati dallo stesso significante 'hoja'). La linearità del significante è data invece dalla
dimensione temporale entro cui si immette il significante: questo, essendo di natura auditiva, ha i
caratteri che trae dal tempo; rappresenta quindi un'estensione lineare e, come tutti i significanti
acustici, disponendo solo della linea del tempo i loro elementi si allineano uno dopo l'altro, in modo
consequenziale, e formano una catena. Altri significanti, ad esempio quelli visivi (i segnali
marittimi) possono avere simultaneità su più dimensioni, come quella spaziale.

3 IMMUTABILITA' E MUTABILITA' DEL SEGNO


Se da un lato il tempo assicura continuità e stabilità al sistema linguistico di riferimento, dall'altro
ne determina, inevitabilmente, la mutabilità. I due fatti, sottolinea Saussure, non sono contraddittori
bensì solidali. L'ipotesi è che la lingua si trasformi senza che i soggetti possano trasformarla. In altri
termini, la lingua è intangibile, non inalterabile. L'arbitrarietà lascia infatti ampi margini di scelta
dei significanti per veicolare i significati (non essendoci appunto alcun vincolo naturale) ma allo
stesso tempo assicura ai segni linguistici una forte stabilità nel tempo. Sono quattro i motivi
secondo Saussure:

– la stessa arbitrarietà dei segni è il primo principio che legittima la libertà di scelta e nello
stesso tempo è un sistema di sicurezza contro i possibili attacchi per trasformare le lingue;
del resto perché un significante cambi è necessario che ci sia una giustificazione ragionevole
– la moltitudine dei segni necessari a costituire qualsiasi lingua rende impensabile modificare
o sostituire un sistema così complesso con tanti elementi
– il carattere troppo complesso del sistema, che richiederebbe l'intervento di specialisti e
grammatici per essere modificato
– la resistenza dell'inerzia collettiva a ogni innovazione linguistica: essendo la lingua una
faccenda – quotidiana – di tutti e non di pochi individui (come i segnali militari o il
linguaggio dei sordi) questo fattore assicura l'impossibilità di una rivoluzione

4 SINCRONIA E DIACRONIA
Il tempo è dunque una variabile fondamentale degli studi linguistici. La linguistica non può fare a
meno di considerare due assi: l'asse della simultaneità e l'asse delle successioni. Due assi che
riflettono due prospettive di studio: da una parte prende forma una linguistica statica, che studia
appunto gli stati di una lingua e dall'altra una linguistica evolutiva, che focalizza l'attenzione
sull'evoluzione della lingua nel tempo. Da qui un'altra importante dicotomia del pensiero
saussuriano: sincronia e diacronia, ovvero l'analisi di uno stato dell'evoluzione, una fase ben
precisa, e l'analisi delle evoluzioni di stato, le fasi che si susseguono. La linguistica sincronica si
occupa dei rapporti logici che collegano termini coesistenti di un sistema, così come sono percepiti
dalla stessa coscienza collettiva; la linguistica diacronica studia invece i rapporti che collegano

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termini successivi che si sostituiscono gli uni agli altri senza formare sistema tra loro, non percepiti
da una medesima coscienza collettiva.

5 LINGUISTICA SINCRONICA
E' molto più difficile, sottolinea Saussure, fare della linguistica statica che della linguistica
evolutiva: i fatti evolutivi, infatti, sono molto più concreti, mentre i fatti statici possono avere un
alto grado di astrazione. Per studiare i rapporti logici tra termini coesistenti di uno stesso sistema
occorre considerare il concetto di identità di un elemento linguistico: questa identità non si
manifesta nella materialità dell'elemento in sé, ma dalle relazioni che questo intrattiene con altri
elementi del sistema, dalle posizioni che ricoprono, dalle differenze che li caratterizzano. L'identità
è data dal valore. L'identità di un elemento linguistico è data dal valore che si decide di attribuire a
quel determinato elemento, inserito in un contesto relazionale, differenziale e oppositivo con altri
elementi di un sistema. La lingua, dice Saussure, è un sistema di valori, cioè un sistema di elementi
linguistici che intrattengono relazioni. Per spiegare questo sistema Saussure prova a immaginarne la
nascita: immagina quindi uno stato primordiale, antecedente all'apparizione della lingua, in cui i
suoni (fonie) e i pensieri (sensi) sono delle nebulose del tutto prive di limitazioni; la lingua
interviene proprio per organizzare queste nebulose, articolando il piano dei suoni e il piano delle
idee confuse. In questo senso la lingua diventa il regno delle articolazioni, paragonabile a un foglio
di carta, di cui il pensiero è il davanti e il suono il dietro: non si può ritagliare l'uno senza ritagliare
nello stesso tempo l'altro. Dal che consegue che la lingua non può essere concepita come una
nomenclatura, cioè come una serie di nomi arbitrariamente selezionati e collegati da una serie di
oggetti o concetti. I linguaggi ritagliano i propri significanti e significati, collegandoli in segni. Se le
lingue fossero delle semplici nomenclature sarebbe estremamente semplice tradurre da una lingua
all'altra, e sarebbe semplice apprendere una lingua straniera. Invece non ci sono concetti universali
fissati una volta per tutte e non ci sono significanti universali: le lingue articolano suoni e concetti
in modo diverso.

6 RAPPORTI SINTAGMATICI E RAPPORTI ASSOCIATIVI


La teoria di Saussure pone dunque l'attenzione sui rapporti che si instaurano tra gli elementi
linguistici: i rapporti esistono in due sfere distinte: da un lato i rapporti basati sul carattere lineare
della lingua, e in questa dimensione gli elementi si dispongono l'uno dopo l'altro nella catena delle
parole ('ri-tentare' o 'è bel tempo' sono entrambi sintagmi). Il rapporto è dunque sintagmatico ed è
in praesentia: si basa cioè sulla presenza di due o più termini in successione e sulla funzione logica
di tipo "e...e...". I sintagmi, che possono essere parole, membri di frase o frasi intere, appartengono
al dominio della langue, perché nella maggior parte dei casi rispondono a forme e usi linguistici
difficilmente modificabili, radicalizzati in forme e locuzioni di uso comune e collettivo (come
'forzare la mano'). Abbiamo poi quegli elementi che hanno qualcosa in comune, che si associano tra
loro nella memoria ('insegnare' può collegarsi ad altre parole quali 'insegnamento' o 'didattica'). Il
rapporto è dunque associativo ed è in absentia: si basa cioè sull'associazione mnemonica virtuale di
due o più termini e sulla funzione logica di tipo "o...o...". Da questa prospettiva, un termine si pone
come il centro di una costellazione associativa con altri termini (per la presenza del radicale,
'insegna-mento' e 'insegna-nte'; per la presenza del suffisso, 'insegna-mento' e 'cambia-mento'; o
ancora per semplice analogia di significato, 'insegnamento' e 'istruzione' ed 'educazione'...).

7 LA SEMIOLOGIA
La lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e come tale è confrontabile con la scrittura,
l'alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, i segnali militari, marittimi e così via.. Ma essa è anche il
più importante dei sistemi di significazione, proprio perché per funzionare non deve essere
ricondotta, al contrario degli altri sistemi, a una lingua naturale. Secondo Saussure è quindi
auspicabile una disciplina – la semiologia – che abbia il compito di studiare i sistemi di segni, siano
essi lingue, riti, costumi o alfabeti particolari e che si ponga come 'scienza generale dei segni'. In
questo modo, Saussure prefigura il passaggio dalla linguistica alla semiotica.

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LOUIS HJELMSLEV - i fondamenti della teoria del linguaggio

1 PREMESSE TEORICHE
Hjelmslev muove dalle basi poste da Saussure e sviluppa in modo articolato alcuni aspetti del
Corso di linguistica generale. Hjelmslev si oppone al carattere 'poetico', 'vago e soggettivo' di una
certa tradizione umanistica che ha predominato nella scienza linguistica, e ritiene invece che i fatti
linguistici possano essere studiati in modo esatto e scientifico. La teoria fornisce un metodo, basato
sulla deduzione, che prevede un'ascesa dal particolare al generale: il linguista, così, non può che
partire dal testo integro e inanalizzato, deve considerare il testo come una classe e deve analizzarlo
in componenti, fino alla verifica dei componenti dei componenti e all'esaurimento dell'analisi. Si
tratta di un movimento analitico. Secondo Hjelmslev, inoltre, la teorie deve essere indipendente da
qualsiasi esperienza, non deve comprendere postulati esistenziali. Finora, il linguaggio era sempre
visto come un mezzo per arrivare a una conoscenza trascendente, mentre Hjelmslev vuole che
diventi il fine di una conoscenza immanente. Ecco come espone il suo principio di immanenza: si
tratta di concepire il linguaggio come un insieme autosufficiente e studiato in sé per sé
marginalizzando tutti gli elementi extralinguistici, come il contesto socio-culturale o la psicologia
dei parlanti e degli ascoltatori: chiudere e isolare insomma l'oggetto di analisi per tentare una
descrizione, trovare delle costanti rispetto alle variabili.

Tuttavia si tratta di una limitazione temporanea: si tratta infatti di descrivere dapprima nel modo più
semplice la struttura linguistica, per poi proiettare questa struttura sui fenomeni esterni che la
circondano. Prima dunque l'analisi delle costanti che formano il sistema linguistico, poi l'analisi
delle variabili del contesto.

2 L'ANALISI DEL TESTO


L'analisi del testo può essere definita come la scomposizione dell'oggetto linguistico d'analisi
(classe) in oggetti più piccoli (componenti), seguendo un movimento analitico deduttivo. Il primo
passo dell'analisi consiste nella scomposizione di un testo linguistico in un piano dell'espressione e
in un piano del contenuto. Il significante di Saussure diventa dunque l'espressione, mentre il
significato diventa il contenuto; quello che Saussure definiva segno (l'unione di signifcante e
significato) diventa funzione segnica.

Saussure aveva ipotizzato una 'massa amorfa' prelinguistica che proiettava le sue suddivisioni sulla
massa amorfa dei suoni e sulla massa amorfa dei pensieri. Per Hjelmslev non è pensabile che ci sia
un contenuto di pensiero ancora informe che preceda l'avvento della lingua. Concepisce piuttosto la
materia dell'espressione e la materia del contenuto come realtà che hanno già una propria
organizzazione: è su queste materie che si proietta una forma linguistica.

Hjelmslev concepisce la materia dell'espressione come il continuum sonoro non ancora formato
linguisticamente ma organizzato secondo criteri fisici (acustici). L'autore non pensa quindi a una
massa amorfa di suoni del tutto indefinita, ma a una successione di suoni che possono avere una
definizione acustica (fisica) ma non ancora fonetica (linguistica). Siamo nell'ambito delle cosiddette
'vibrazioni dell'aria' (un colpo di tosse, la pronuncia di una parola, il rumore di un tuono..). La
forma linguistica organizza questa materia prevedendo spazi fonetici (ancora virtuali) quali /a/,
/b/, /p/ ecc... In virtù di queste articolazioni si possono produrre delle sostanze linguistiche (ora
concrete)

Lo stesso discorso vale per la materia del contenuto: Hjelmslev concepisce la materia del
contenuto come la molteplice realtà esterna: su questa 'realtà' ogni lingua traccia le sue particolari
suddivisioni in zone di materia all'interno della massa amorfa del pensiero, e dà rilievo in essa a
fattori diversi in disposizioni diverse, pone i centri di gravità in luoghi diversi dando loro enfasi

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diverse. Hjelmslev confronta il gallese e l'inglese per mostrare come all'inglese green corrispondano
il gallese gwirdd o glas; a blue corrisponda glas; a gray corrisponda glas e llwyd. Il continuo del
tempo viene formato e suddiviso in molti modi: l'inglese ha un presente e un passato ma non un
imperfetto, mentre alcune lingue usano il presente per indicare il futuro, oppure altre ancora hanno
diversi tipi di passato (come francese e italiano). Una medesima zona di materia viene quindi
'pensata' in maniera diversa a seconda della lingua in analisi.

Ciascun piano deve poi essere analizzato partendo dalle parti di massima estensione per poi passare
a ulteriori segmentazioni, all'analisi dei componenti dei componenti. A tal proposito è necessario
introdurre la distinzione tra segni e figure. I segni sono elementi del linguaggio che hanno un'entità
corrispondente sul piano opposto, e sono composti da unità minime dette figure che invece non
hanno un'entita corrispondente sul piano opposto: /pero/ è un segno che ha un'entità corrispondente
sul piano opposto, cioè un contenuto ben preciso; ma il segno /pero/ è composta dalle figure /p/,
/e/, /r/, /o/ che invece non hanno entità corrispondenti sul piano opposto, non hanno cioè contenuto.
Questo ragionamento di Hjelmslev si basa sul principio di doppia articolazione, sescondo il quale
le lingue hanno unità in sé prive di significato (contenuto) che combinandosi danno luogo a unità di
livello superiore dotate di significato proprio.

Saussure aveva detto che i rapporti tra gli elementi linguistici possono essere di due tipi:
sintagmatici, quando gli elementi si dispongono unno dopo l'altro; associativi, quando tra gli
elementi si instaura un collegamento virtuale, mnemonico. Hjelmslev riprende questo suggerimento
e indica che il piano dell'espressione e il piano del contenuto vanno analizzati considerando due
assi: l'asse del processo (sintagmatico) e l'asse del sistema (associativo). L'asse del processo può
essere rappresentato da una linea orizzontale orientata verso destra, mentre l'asse del sistema può
essere rappresentato da una linea verticale che interseca la linea precedente. Sull'asse del processo
si dispongono gli elementi che formano la catena del sintagma: per esempio le parole si
concatenano per formare le frasi (/il/ + /falegname/ + /pialla/ + /la/ + /porta/) e le stesse frasi
possono concatenarsi per dare luogo a sintagmi più estesi. Questo processo può essere definito
come una gerarchia di funzioni logiche di tipo "e...e...". Si parla di gerarchia perché gli elementi
concatenati funzionano a qualsiasi livello di grandezza: lettere, sillabe, segni, frasi. L'analisi del
processo prende il nome di partizione, che porta a riconoscere le catene e a suddividerle in parti.
Sull'asse del sistema si dispiegano invece gli elementi che potrebbero stare al posto di un elemento
che è effettivamente presente in una particoalre posizione del processo. Il sistema indica le
alternative possibili ai singoli componenti della catena (/un/ potrebbe sostituire /il/, /artigiano/
potrebbe sostituire /falegname/). Questo processo può essere definito come una gerarchia di
funzioni logiche di tipo "o...o...". Anche in questo caso si parla di gerarchia perché le alternative
funzionano a qualsiasi livello di grandezza: lettere, sillabe, segni, frasi. L'analisi del sistema prende
il nome di articolazione, che porta ad articolare un sistema in categorie, composte da paradigmi,
composti a sua volta da membri. Nel caso della lingua naturale, il processo prende il nome di testo e
il sistema prende il nome di lingua. L'analista ha di fronte a sé un testo, cioè un processo
linguistico, e deve prima di tutto separare un asse dell'espressione e un asse del contenuto, che
sviluppano a loro volta un processo di partizione e articolazione. Questi due processi devono essere
analizzati separatamente; attraverso l'analisi del processo si deve poi trovare, sottostante, un sistema
che regola tutti i processi linguistici e che va studiato con metodo e analisi scientifica.

L'analisi di cui parla Hjelmslev esiste solo in virtù delle dipendenze fra certi termini di un testo:
una totalità, un insieme, non consiste di cose ma di rapporti. In altri termini, gli oggetti si possono
descrivere solo attraverso le dipendenze, unico modo per definirli e coglierli scientificamente.
L'analisi del processo e del sistema deve quindi portare alla descrizione dei rapporti tra gli elementi
linguistici. Hjelmslev propone una classificazione delle dipendenze: le dipendenze reciproche
vengono chiamate interdipendenze: dove l'interdipendenza tra i termini di un processo è chiamata
solidarietà (la solidarietà che si instaura tra morfemi di categorie diverse in modo che uno dei

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morfemi sia necessariamente accompagnato dall'altro e viceversa) mentre l'interdipendenza tra i


termini di un sistema è chiamata complementarità (come quella tra sostantivo e aggettivo, tra vocale
e consonante). Le dipendenze unilaterali, in cui un termine presuppone l'altro ma non viceversa,
vengono definite determinazioni: dove la determinazione tra i termini di un processo è chiamata
selezione o reggenza (c'è selezione tra una preposizione e ciò che segue, come nel latino sine +
ablativo, ma non viceversa) mentre la determinazione tra i termini di un sistema è chiamata
specificazione (un termine che specifica quello che segue). Le dipendenze più libere, infine, in cui i
due termini sono compatibili ma nessuno dei due presuppone l'altro, sono chiamate costellazioni:
dove si chiamano combinazioni all'interno di un processo (come ab + ablativo, coesistenza possibile
ma non necessaria) e si chiamano autonomie all'interno di un sistema. Pertanto si possono definire
l'interdipendenza come una funzione tra due costanti, la determinazione come una funzione tra una
costante e una variabile, e la costellazione come una funzione tra due variabili.

Il principio di riduzione dice che ogni analisi deve essere tale da portare alla registrazione del
numero di più basso possibile di elementi. Sulla base di questo principio l'analisi deve riuscire a
portare dalle varianti alle invarianti, cioè dai vari esemplari di un'entità linguistica all'entità in sé.
Questa riduzione si può ottenere attraverso una prova di scambio: se c'è una relazione tra una
correlazione (per esempio tra e e a in pero-pera) nel piano dell'espressione e una correlazione nel
piano del contenuto allora si tratta di due segni diversi, di due invarianti: se tale relazione manca si
tratta di due diverse varianti dello stesso segno. La prova di scambio che permette l'individuazione
delle invarianti rispetto alle varianti prende il nome di permutazione uno scambio tra elementi
linguistici nell'asse sintagmatico del processo (sintagmatico quindi, la successione di parole) che
provoca uno scambio corrispondente sul piano del contenuto (se nella frase /il falegname pialla una
porta/ si scambiano le posizioni di /pialla/ e /porta/, la frase diventerà /il falegname porta una pialla/
con uno cambio di significato del contenuto); si definisce invece commutazione uno scambio tra
elementi su un piano nell'asse associativo del sistema (per esempio /cane/ - /pane/ sul piano
dell'espressione) che provoca uno scambio sull'altro piano del contenuto. La permutazione è un
cambiamento che si verifica nell'asse del processo mentre la commutazione è un cambiamento che
si verifica nell'asse del sistema.

3 UNA TIPOLOGIA DEI LINGUAGGI: SISTEMI SEMIOTICI E SISTEMI SIMBOLICI


Hjelmslev sostiene che i sistemi linguistici abbiano tutti potenzialità diverse e Hjelmslev vuole
trovare le caratteristiche tecniche per differenziarli: esistono dunque due tipi di linguaggi: i
linguaggi ristretti ('non linguistici', come l'algebra, il linguaggio dei semafori o degli scacchi) che
possono servire solo a certi fini, e i linguaggi non ristretti ('linguistici' come la lingua naturale) che
invece si adattano dappertutto e possono tradurre gli altri linguaggi. Tutti i sistemi linguistici sono
interpretabili ma solo alcuni sono biplanari... hanno cioè due piani ben distinti tra loro. L'algebra e il
linguaggio dei semafori – ad esempio – sono monoplanari, perché a ogni elemento del piano
dell'espressione (/a/, /b/ ecc.) corrisponde un elemento del piano del contenuto ("2", "4" ecc.), così
come il /rosso/ dei semafori sta per "fermatevi", perché la corrispondenza è di tipo "uno-a-uno". La
lingua naturale invece è un esempio di linguaggio biplanare: infatti se è vero che al termine /cane/
corrisponde il significato "cane", agli elementi minori /c/, /n/ ecc.. non corrisponde nulla sul piano
del contenuto. Questi linguaggi biplanari – come i linguaggi naturali – Hjelmslev propone di
chiamarli sistemi di segni, laddove i linguaggi monoplanari saranno chiamati sistemi simbolici.
Secondo Saussure la semiologia deve essere una teoria generale dei segni, con la linguistica
subordinata quindi alla semiologia; secondo Hjelmslev, invece, un sistema di comunicazione può
essere considerato una semiotica (sistema di segni) solo se ha la stessa struttura delle lingue, solo se
è articolato in unità minime prive di significato a cui non corrisponde nulla sul piano del contenuto
e sono quindi linguaggi biplanari. In questo modo non è più la lingua a essere espressione di una
facoltà semiotica ma sono le varie semiotiche a ripetere la forma della lingua.

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4 DALLE SEMIOTICHE DENOTATIVE ALLE SEMIOTICHE CONNOTATIVE


In una semiotica denotativa l'elemento dell'espressione /casa/ denota sul piano del contenuto il
significato di "edificio di uso privato". Ma se questa parola viene pronunciata a livello di
espressione con la "c" aspirata toscana, allora contrae una seconda relazione con il contenuto
connotativo "toscanità", e quindi l'appartenenza di chi parla a una zona geografica, come in questo
caso, o a una fascia d'età o dare una informazione sulla sua provenienza socio-culturale (sono tutte
altre semiotiche). La semiotica connotativa si definisce dunque come "semiotiche il cui piano
dell'espressione è una semiotica", in opposizione alle metasemiotiche che si definiscono come
"semiotiche il cui piano del contenuto è una semiotica", come la linguistica, che è un
metalinguaggio che parla di un linguaggio a livello di contenuto. Una semiotica denotativa sarà
dunque una semiotica scientifica mentre una semiotica connotativa sarà una semiotica non-
scientifica.

JULIEN GREIMAS – la semiotica generativa

1 LA SEMANTICA STRUTTURALE
Nel libro Semantica strutturale, Greimas propone di descrivere le significazioni di una lingua
naturale qualsiasi considerata come insieme significante. Di qui anche i limiti di questo studio: ogni
ricerca relativa alle significazioni di una lingua naturale resta 'imprigionata' infatti in quel quadro
linguistico. La logica ha permesso di superare in parte questa difficoltà, attraverso la teoria della
gerarchia dei linguaggi: si distinguono pertanto due livelli diversi: la lingua-oggetto, che
costituisce l'oggetto di studio, e il metalinguaggio, in cui si collocano gli strumenti linguistici di
questa ricerca semantica. Greimas sostiene che il metalinguaggio della teoria deve essere
'scientifico'. E la semantica scientifica è possibile solo se, per analizzare una lingua-oggetto, si
tiene conto contemporaneamente di tre linguaggi, posti a tre livelli differenti: il metalinguaggio
descrittivo, il linguaggio metodologico e il linguaggio epistemologico.

Per quanto riguarda il piano dell'espressione, la fonologia aveva definito fonema come classe di
suoni che possono scambiarsi l'un l'altro senza che ciò produca cambiamento di significato (/c/ o /k/
per /cane/ o /kane/). Tuttavia, analizzando alcune coppie di parole ci si accorge che le differenze
non dipendono dai fonemi presi globalmente ma da entità subfonemiche più piccole, chiamati femi
(o tratti distintivi). Ogni fonema sarà quindi costituito da femi, che determinano la sua distinzione
(il fonema /k/ = "occlusivo", "velare", "sordo", il fonema /g/ = "occlusivo", "velare", "sonoro"... i
due fonemi si distinguono quindi per il solo tratto-fema "sordo" opposto a "sonoro"). Se la
fonologia ha postulato i femi come tratti minimali del piano dell'espressione, la semantica postula i
semi come tratti minimali del piano del contenuto. I semi sono dunque gli elementi minimali della
significazione, non hanno nulla di sostanziale e si definiscono solo in relazione ad altri semi (il
lessema "uomo" = "umano", "adulto", "maschile", il lessema "donna" = "umano", "adulto",
"femminile"... i due lessemi si distinguono per il solo tratto-sema "maschile" opposto a
"femminile"). I semi, una volta riconosciuti, rispondono tutti a una categoria semantica che li
comprende e li descrive (per "maschile" e "femminile" sarà quella della "sessualità"). E' importante
sottolineare che le denominazioni dei semi non vanno intese come parole del linguaggio naturale: si
tratta infatti di denominazioni metalinguistiche adottate nell'analisi. Infine, Greimas arriva a
suggerire una tipologia di semi: ci sono i semi figurativi, che esprimono il mondo naturale, cioè le
qualità sensibili del mondo (categorie come "verticalità/orizzontalità"), i semi astratti, che non si
riferiscono ad alcuna esteriorità ma che servono a categorizzare il mondo ("relazione/termine"), e i
semi timici che esprimono valori morali, logici ed estetici ("euforia/disforia").

Il lessema può essere pensato come un insieme di semi: per esempio il lessema alto può essere
descritto attraverso i semi "spazialità", "dimensionalità" e "verticalità". Il lessema è relativamente
stabile, ma non immutabile: essendo soggetto all'evoluzione storica, il lessema può, con il passare
del tempo, arricchirsi di nuovi semi o perderne alcuni.

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A questo punto Greimas prova ad analizzare il lessema testa in un certo numero di occorrenze/frasi:
il gruppo di semi "estremità" + "superiorità" + "verticalità" caratterizza il lessema testa nella frase
"la testa di un palo" o "essere alla testa della ditta"; il gruppo di semi "estremità" + "anteriorità" +
"orizzontalità" + "continuità" lo caratterizza nella frase "testa di una trave" o "stazione di testa"; il
gruppo di semi "estremità" + anteriorità" + "orizzontalità" + "discontinuità" lo caratterizza nella
frase "vettura di testa" o "testa di corteo". Questo inventario mette in evidenza due tipologie di
semi: i semi nucleari che costituiscono il nucleo semico del lessema testa e i semi contestuali (o
classemi) che si attivano a seconda del contesto della frase: negli esempi precedenti, "estremità",
"superiorità" e "anteriorità" sono i semi nucleari, mentre "orizzontalità", "verticalità", "continuità" e
"discontinuità" sono semi contestuali. L'effetto di senso complessivo si definisce semema e risulta
dalla combinazione di un Ns (nucleo semico, formato da uno o più semi nucleari) + uno o più
classemi (semi contestuali), espresso dalla seguente equazione: Sm = Ns + Cs. Pertanto il semema è
il prodotto della combinazione di almeno un sema nucleare e di almeno un sema contestuale. I semi
nucleari, i classemi e i sememi appartengono tutti al livello immanente. Essi si pongono
anteriormente alla realizzazione dell'atto linguistico.

Nel suo stato virtuale il lessema può essere concepito come una voce dizionariale, un insieme di
possibili percorsi di senso: ma il lessema si realizza solo all'interno di un contesto discorsivo, dove
il suo nucleo semico, inserendosi in un enunciato, raccoglie quei classemi che gli consentono di
costituirsi in semema, attivando in tal modo dei percorsi di senso specifici.

In un primo momento Greimas definisce l'isotopia come la ricorrenza, in un testo dato, dei classemi
che assicurano coerenza al discorso. Sarebbero dunque i semi contestuali a garantire la coesione
semantica di un testo. In un secondo momento il concetto di isotopia viene esteso: anziché
designare unicamente la ricorrenza dei classemi, esso si definisce come la ricorrenza di categorie
semiche, astratte o figurative che siano. L'isotopia garantisce quindi la coesione semantica e
l'omogeneità del discorso, e consente la disambiguazione di un enunciato. Affinché si stabilisca
un'isotopia è sufficiente che un sintagma riunisca almeno due figure semiche.

Secondo Greimas per legittimare uno studio scientifico del senso è stata necessaria una 'rivoluzione
mentale' che ha sostituito alle certezze di una descrizione dei fatti materiali del linguaggio l'idea che
la linguistica sia solo una costruzione teorica, che cerca di rendere conto di fenomeni altrimenti
insondabili. Si tratta della grande ambizione degli anni sessanta, che presto diventa però 'grande
illusione degli anni sessanta", come ha riconosciuto lo stesso Greimas. Infatti, se sul piano
dell'espressione è possibile reperire un numero limitato di elementi minimali, risulta molto più
difficile ottenere lo stesso risultato sul piano del contenuto: inoltre, pensando di descrivere in modo
esaustivo il piano del contenuto delle lingue naturali (lingua-oggetto), la linguistica
(metalinguaggio) si stava impegnando senza rendersene conto nel progetto straordinario di una
descrizione completa dell'insieme delle culture, progetto che ha le dimensioni stesse dell'umanità.

2 IL MONDO 'NATURALE' COME LINGUAGGIO


La lingua naturale è un sistema di significazione con un piano dell'espressione e un piano del
contenuto, ma come dobbiamo considerare un paesaggio, o il sibilo del vento, da un punto di vista
semiotico? Secondo Greimas la significazione si manifesta all'interno di tutte le sostanze che
circondano l'uomo, ovvero in tutti i modi sensibili attraverso i quali il mondo si manifesta nel nostro
apparato sensoriale. Se distinguiamo un paesaggio collinare marchigiano da uno toscano è perché
applichiamo dei codici culturali appresi e condivisi. Proprio perché formato culturalmente, il mondo
'naturale' va pensato come un insieme di enunciati costruiti dal soggetto umano e da lui decifrabili.
Ad esempio, i comportamenti somatici (gestuali), che possono essere intesi come elementi del piano
dell'espressione del mondo naturale, diventano elementi del piano del contenuto di una lingua
naturale nel momenti in cui se ne vuol fare una descrizione linguistica. Il senso, scrive Greimas, è
già là, nel mondo, prima di qualsiasi azione umana e sociale. Bisogna solo tradurlo in altri sistemi di

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significazione. Il senso è transcodifica: significa passare dal mondo 'naturale' alla lingua naturale,
oppure dal mondo 'naturale' al linguaggio pittorico. Per questa ragione Greimas preferisce parlare di
macrosemiotica del mondo naturale, intendendo il mondo 'naturale' come un "vasto serbatoio di
materiali da costruzione". L'altra macrosemiotica è la lingua naturale, che ha un carattere
privileggiato perché consente di tradurre gli altri sistemi di significazione.

3 SEMIOTICA: IL PERCORSO GENERATIVO DEL SENSO


Nel percorso generativo del senso bisogna prendere come unità di analisi del testo il segno
linguistico. Ma nel senso tecnico della semiotica, bisogna superare l'idea del testo-opera e pensare
che può essere testo qualsiasi materia del mondo che sia portatrice di contenuti culturali (una
partitura musicale, un quadro, un libro, uno spot, una conversazione..). Il segno linguistico indaga e
analizza il testo, il suo percorso generativo dal livello semplice al livello complesso. Bisogna poi
superare anche l'idea che il piano del contenuto possa essere descritto a partire da un inventario
limitato di tratti minimali (o semi). Lo stesso Greimas ha definito questo progetto come "la grande
illusione degli anni sessanta", quando si riteneva possibile effettuare un'analisi esaustiva del piano
del contenuto delle lingue naturali attraverso un campione limitato di tratti generali, nel tentativo di
dare una descrizione completa dell'insieme delle culture. Greimas pensa di battere un'altra strada
tentando di individuare delle strutture soggiacenti ai testi che accomunino tutti gli universi
semantici.

La struttura soggiacente ai testi è pensata da Greimas per livelli di profondità: al livello più
profondo si situano elementi di tipo logico-semantico, che si convertono in piani semantico-
sintattici più superficiali, per poi trasformarsi negli elementi discorsivi. La conversione designa
dunque l'insieme di procedure che rendono conto del passaggio da una unità di livello profondo a
una di livello superficiale: il nuovo livello più superficiale mantiene lo stesso contenuto del
precedente ma allo stesso tempo apporta un arricchimento del senso. Dice Greimas "si può prendere
un tavolo e dire com'è stato costruito". Quest'ultimo è l'atteggiamento generativo, che consiste
nell'esplicitare come una cosa è stata formata. E' un approccio empirico che si concentra sul 'come'.
L'idea di Greimas è che ci si debba concentrare sul come vengono costruiti i testi, ipotizzando un
percorso generativo che parta dal semplice e che arrivi a poco a poco al più complesso, dal più
astratto al più concreto. Questa teoria semiotica distingue tre campi autonomi: le strutture semio-
narrative, le strutture discorsive e le strutture testuali. Le prime due forme possono essere
considerate come livelli sovrapposti di profondità, mentre la testualizzazione è situata al di fuori del
percorso generativo. Nelle strutture semio-narrative Greimas pone la narratività come principio
dell'organizzazione di ogni discorso; nel livello più concreto delle strutture discorsive colloca
invece la messa-in-scena delle strutture semio-narrative. In altre parole, il senso non viene colto
nella manifestazione caotica dei segni testualizzati in superficie, ma in base alla ricostruzione
ipotetica del suo percorso che, partendo da un livello profondo si converte in piani più superficiali
fino all'incontro con i sistemi di espressione. Il percorso generativo è pertanto un modello teorico
della significazione che dispone le varie categorie secondo un'organizzazione controllata in livelli di
pertinenza, ciascuno dotato di un'organizzazione autonoma ma tutti coordinati da una logica di
presupposizione. Ne consegue che nelle analisi è fondamentale applicare il principio di
pertinenza, precisando il livello (o i livelli) in cui ci si intende situare. A maggior ragione se si
fanno analisi comparative è importante mantenere un livello comune di indagine confrontando i
testi di un corpus sulla base della medesima area di pertinenza. Infine occorre evitare un equivoco:
il percorso generativo intende descrivere un oggetto significante secondo il suo modo di produzione
e non secondo la 'storia' della sua produzione. In altri termini, il percorso generativo non ripercorre
le fasi attraverso le quali un enunciatore costruisce un testo, ma rappresenta la ricostruzione del
senso così come viene effettuata a posteriori dall'analista.

Ritornando al livello più profondo delle strutture semio-narrative, Greimas propone come esempio
di struttura il cosiddetto quadrato semiotico: con questo prova ad articolare un microuniverso

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semantico mettendo in luce una serie di relazioni differenziali. Partiamo, per esempio, dai termini
"maschile" (S1) e "femminile (S2), che costituiscono l'asse semantico della categoria "sessualità":
ciascuno dei due termini, che tra loro si pongono in relazione di contrarietà, può proiettare un
nuovo termine quale proprio contraddittorio; pertanto il sema "maschile" (S1) può proiettare il suo
contraddittorio "non maschile" (non-S1), e il sema "femminile" (S2) può proiettare il suo
contraddittorio "non femminile" (non-S2). I termini "maschile" e "femminile" differiscono, si
oppongono, ma sulla base di una somiglianza espressa dalla categoria gerarchicamente superiore
della "sessualità" (termine complesso), che si fonda sull'asserzione "e...e..." e "o...o...".
Parallelamente, la relazione tra "non maschile" e "non femminile" è detta di subcontrarietà, la cui
categoria semantica di riferimento, "non-sessualità", è definita termine neutro e si fonda
sull'asserzione "né...né...". Le relazioni tra contrari e subcontrari prendono sono collegate da assi.
Le relazioni tra "maschile" e "non maschile" e tra "femminile" e "non femminile" sono chiamate di
contraddittorietà e sono collegate da schemi. Le relazioni tra "non femminile" e "maschile" e tra
"non maschile" e "femminile" sono chiamate di complementarità (o presupposizione) e sono
collegate da deissi. Si configura in questo modo il quadrato semiotico, cioè la rappresentazione
visiva delle articolazioni logiche di una categoria semantica.

Il quadrato rappresentato dal quadrato è semantico, in quanto struttura una categoria semantica; ma
è anche un modello sintattico in quanto consente operazioni: la sintassi fondamentale infatti opera
delle trasformazioni in base alle quali un contenuto è affermato e un altro è negato: la prima
operazione è la negazione, che si effettua sul termine positivo S1 e che genera il suo contraddittorio
non-S1; la seconda operazione è l'asserzione, ovvero una volta negato S1 e ottenuto il suo
contraddittorio non-S1 si potrà asserire S2 attraverso tutto ciò che è non-S1; analogamente, una
volta negato S2 e ottenuto il suo contraddittorio, si potrà tornare tramite l'operazione di asserzione
all'S1 di partenza. Negazione e asserzione sono dunque le due operazioni che contraddistinguono la
struttura sintattica del quadrato semiotico.

Il passaggio delle unità di significazione dal livello profondo al livello di superficie è detto
conversione. La nuova unità convertita avrà un arricchimento di significazione. Il primo
meccanismo di conversione consiste nel passaggio dall'astrazione del quadrato a una narratività che
assuma forme e modalità umane, ovvero azioni e volizioni di soggetti. I valori virtuali del quadrato
vengono investiti in oggetti (oggetti di valore) che possono trovarsi in congiunzione o disgiunzione
con i soggetti: di qui le dinamiche narrative, ordinate in situazioni e azioni: la versione 'umanizzata'
di quello che era ipotizzabile a livello astratto con il quadrato semiotico. E' un presupposto
fondamentale della teoria di Greimas: il senso può essere colto solo attraverso la sua
narrativizzazione. Per queste ragioni Greimas prova a elaborare una grammatica narrativa, e per
fare questo prende ispirazione da Propp, folklorista russa con posizioni assai vicine a quelle della
Scuola formalista russa.

Comparando un corpus di un centinaio di fiabe di magia slave: lo scopo di Propp è quello di


individuare le parti componenti della favola e le loro relazioni reciproche e col tutto. Nella sua
indagine Propp trova che le unità costitutive della fiaba sono le funzioni dei personaggi, cioè le loro
azioni: infatti nelle favole cambiano i loro attributi (cioè le loro caratteristiche esteriori) ma non le
loro azioni. Il numero delle azioni-funzioni che compaiono nella favola di magia è limitato, e Propp
ne identifica trentuno: le prime sette designano funzioni preparatorie; con la funzione successiva, il
danneggiamento o la mancanza, ha inizio l'azione narrativa vera e propria. Ecco in sintesi le
funzioni: - allontanamento (1), uno dei membri della famiglia si allontana dalla casa – divieto (2),
all'eroe è imposto un divieto ("non guardare in questo ripostiglio") – infrazioni (3), il divieto è
infranto – investigazione (4), l'antagonista tenta una ricognizione – delazione (5), l'antagonista
riceve informazioni sulla sua vittima – tranello (6), l'antagonista tenta di ingannare la vittima per
impadronirsi di lei o dei suoi averi – connivenza (7), la vittima cade nell'inganno – danneggiamento
(8), l'antagonista arreca danno o menomazione a uno dei membri della famiglia (funzione che segna

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il passaggio dalla fase preparatoria della favola all'azione narrativa vera e propria) – mancanza (8a),
a uno dei membri della famiglia manca qualcosa o viene il desiderio di qualcosa – mediazione (9),
la sciagura o mancanza è resa nota ed entra in gioco l'eroe, al quale ci si rivolge con una preghiera o
un ordine – inizio della reazione (10) – partenza dell'eroe (11) – prima funzione del donatore (12)
che aiuta l'eroe – reazione dell'eroe (13) – conseguimento del mezzo magico (14) – trasferimento
nello spazio tra due reami (15) – lotta (16) – marchiatura (17) – vittoria (18) – rimozione della
sciagura o mancanza (19) – ritorno (20) – persecuzione (21) – salvataggio (22) – arrivo in incognito
(23) – pretese infondate (24) – compito difficile (25) – adempimento (26) – identificazione (27) –
smascheramento (28) – trasfigurazione (29) – punizione (30) – nozze (31).

La successione delle funzioni è sempre identica, tuttavia ogni fiaba attualizza soltanto un numero
limitato di funzioni. A questo punto Propp prova a esaminare come le funzioni si distribuiscono
secondo i personaggi. Propp ne individua 7: - sfera d'azione dell'antagonista – sfera d'azione del
donatore – sfera d'azione dell'aiutante – sfera d'azione del personaggio cercato – sfera d'azione del
mandante – sfera d'azione dell'eroe – sfera d'azione del falso eroe.

Greimas ha voluto quindi individuare nel lavoro di Propp un modello – perfezionabile – che poteva
servire come punto di partenza per la comprensione dei principi di organizzazione di tutti i discorsi
narrativi. Attraverso una riduzione delle 'sfere d'azione' del modello proppiano, Greimas arriva a
delineare gli attanti narrativi, che vanno a costituire la base della grammatica narrativa di
superficie. Gli attanti sono ruoli sintattici della narratività di carattere formale, e quindi, astratti e
privi di investimenti semantici. Il concetto di attante comprende non soltanto gli esseri umani ma
anche gli animali, gli oggetti e i concetti. Gli attanti sono 6 – soggetto/oggetto –
adiuvante/opponente – destinante/destinatario. Tra soggetto e oggetto si pone una relazione basata
sul desiderio, e quindi sulla ricerca. L'Oggetto non è considerato dal punto di vista della sua
essenza, ma in quanto luogo di investimento di valori. L'impresa del Soggetto è contornata da
circostanze favorevoli e/o sfavorevoli: queste si traducono in Adiuvanti (animati o non) e Opponenti
(animati o non: cioè persone che ostacolano l'azione, oppure ostacoli ambientali). La terza coppia di
attanti è costituita da Destinante e Destinatario: in questo coppia attanziale un Destinante deve
trasferire un Oggetto a un Destinatario e un Soggetto si incarica di realizzare questo trasferimento:
nella ricerca del Graal il Soggetto è l'eroe e l'Oggetto è il Graal, il Destinante è Dio e il Destinatario
è l'umanità. Oppure un Destinante chiede a un Destinatario di riparare al danneggiamento subìto
all'inizio e il Destinatario, che in genere coincide con il Soggetto-eroe, deve svolgere il compito che
gli è stato assegnato.

Greimas considera la sintassi del testo come una successione di enunciati narrativi elementari, che
possono essere binari o ternari. Negli enenuciati binari la funzione svolta dal predicato è quella di
creare una relazione tra un attante che compie l'azione (Soggetto) e un attante che la sopporta
(Oggetto). Negli enunciati ternari il predicato svolge invece una funzione di trasferimento o di
comunicazione: un primo attante (Destinante) trasferisce o comunica un secondo attante (Oggetto) a
un terzo attante (Destinatario). Greimas prevede due tipologie di enunciati binari: gli enunciati di
stato e gli enunciati del fare. Gli enunciati di stato stabiliscono una relazione di giunzione tra un
attante Soggetto e un attante Oggetto, che possono essere tra loro congiunti o disgiunti. L'oggetto di
cui si sta parlando può essere concreto ma anche astratto (un personaggio infelice può essere
descritto come disgiunto dalla felicità). Gli enunciati del fare provocano la congiunzione o
disgiunzione di un Soggetto rispetto a un Oggetto. La trasformazione congiuntiva può manifestarsi
nell'appropriazione, se il soggetto del fare coincide con il soggetto di stato o nell'attribuzione, se il
soggetto del fare è diverso dal soggetto di stato. La trasformazione disgiuntiva può manifestarsi
nella rinuncia, se il soggetto del fare coincide con il soggetto di stato o nella spoliazione, se il
soggetto del fare è diverso dal soggetto di stato. Pertanto vi possono essere enunciati di stato
congiuntivi o disgiuntivi, e enunciati del fare che consentono trasformazioni.

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In particolare secondo Greimas sono le tre prove – qualificante, decisiva e glorificante – a costituire
la struttura portante di molti racconti che appartengono peraltro a culture estranee tra loro e che
possono costituire quindi quello schema invariante che l'autore sta cercando. La prova qualificante
corrisponde alla fase in cui il soggetto acquisisce la competenza per portare a termine la prova
successiva; coincide con l'acquisizione del mezzo magico. La prova decisiva corrisponde alla fase
in cui il soggetto si congiunge con l'oggetto di valore cercato; è in questa fase che nelle fiabe
analizzate da Propp il soggetto deve lottare contro l'antisoggetto che gli contende l'oggeto di valore.
La prova glorificante corrisponde alla fase in cui il soggetto riceve un giudizio sul suo operato nei
termini di una sanzione; la sanzione pragmatica è una valutazione del comportamento (e quindi del
fare) del soggetto, e può essere positiva (ricompensa) o negativa (punizione); la sanzione cognitiva
è un giudizio sull'essere del soggetto, e può essere positivo (riconoscimento dell'eroe) o negativo
(disconoscimento dell'eroe, che viene confuso con il traditore). Nella loro generalità queste tre
prove costituiscono secondo Greimas "il senso della vita".

Per quanto riguarda gli enunciati ternari, la sua struttura è comune a verbi come 'dare', 'ricevere',
'comunicare', 'scambiare'. Una configurazione sintattica semplice è quella che prevede due soggetti
orientati verso un solo oggetto. La situazione prevede un soggetto disgiunto da un oggetto e
contemporaneamente un altro soggetto congiunto con il medesimo oggetto. Si può considerare
questa procedura come un atto di comunicazione: si tratta infatti di un far sapere, cioè di un fare che
produce il passaggio di un oggetto di sapere. La struttura dello scambio prevede invece la presenza
di due oggetti: l'oggetto al quale uno dei soggetti rinuncia e un altro oggetto che lo stesso soggetto
desidera ardentemente. In altri termini, Greimas ritiene che le attività umane si svolgano su due assi
principali: l'asse della produzione, rappresentato dagli enunciati binari e che riguarda l'azione
dell'uomo sulle cose, e l'asse della comunicazione, rappresentato dagli enunciati ternari e che
riguarda l'azione dell'uomo sull'uomo, creatrice di relazioni intersoggettive.

Ma sia nel caso di testi letterari o testi non letterari (conversazioni, comizi ecc.), appare evidente
che l'interesse non può essere circoscritto alle azioni, essendo fondamentale ciò che fa agire e
trasformare le situazioni. Secondo Greimas tale dimensione è descritta dalle modalità. Se
l'enunciato del fare prevede una trasformazione, ricorrendo ai verbi modali delle lingue naturali
('volere'. 'dovere', 'potere' per esempio) possiamo descrivere questa situazione con la struttura
modale del far-essere.

Viene definito programma narrativo (abbreviato PN) l'unità elementare della sintassi narrativa di
superficie, costituita da un enunciato del fare che regge un enunciato di stato. E' pertanto da
intendere come un cambiamento di stato effettuato da un soggetto qualunque su un soggetto
qualunque.

Le strutture semio-narrative ritraducono in un quadro semiotico più articolato il concetto di langue


di Saussure o di sistema di Hjelmslev. Ogni enunciatore che si accinga a produrre un discorso si
trova dunque questa base semio-culturale che gli preesiste e che egli ha il compito di attivare. Il
passaggio dal livello delle strutture semio-narrative al livello delle strutture discorsive è denominato
convocazione, proprio perché chi vuole produrre un discorso convoca una serie di conoscenze e
capacità che gli sono offerte da questi repertori narrativi che sono postulati come universali. Per
descrivere il passaggio dalla competenza semio-narrativa alle strutture discorsive è necessario
prevedere un soggetto enunciatore, cioè un'istanza individuale che prenda in carico la competenza
socio-culturale ancora virtuale e la attualizzi sotto forma di discorso. L'istanza dell'enunciazione
può essere definita come un sincretismo di 'io-qui-ora'. Al momento dell'atto di linguaggio l'istanza
dell'enunciazione proietta fuori di sè, attraverso una operazione che prende il nome di débrayage
('disinnesco'), un non-io disgiunto dal soggetto dell'enunciazione (débrayage attanziale), un non-ora
distinto dal tempo dell'enunciazione (débrayage temporale), e un non-qui che si oppone al luogo
dell'enunciazione (débrayage spaziale).

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Il débrayage attanziale (attorializzazione) ha la funzione di proiettare nel discorso la categoria del


non-io. Quando nell'enunciato compaiono i pronomi personali 'io' e 'tu' il debrayage si definisce
enunciazionale. Tuttavia nessun 'io' incontrato nel discorso può essere considerato come soggetto
enunciatore propriamente detto, e nessun 'tu' può essere considerato soggetto enunciatario: si
tratterà più precisamente di simulacri. La struttura dell'enunciazione comporta due istanze:
l'enunciatore, cioè il destinatario che produce il discorso, e l'enunciatario, cioè il destinatario della
comunicazione nonché soggetto produttore del discorso, poiché la 'lettura' è un atto di
significazione allo stesso titolo della produzione del discorso propriamente detto. E' per questo che
il termine 'soggetto dell'enunciazione' ricopre in effetti le due posizioni di enunciatore ed
enunciatario, il quale resta implicito e presupposto, che si crea nel momento stesso in cui effettua un
débrayage. Il débrayage va visto quindi come una sorta di scissione che crea simultaneamente da un
lato gli attori, i tempi e gli spazi dell'enunciato, dall'altro il soggetto, il luogo e il tempo
dell'enunciazione.

Il débrayage spaziale (spazializzazione) ha la funzione di proiettare nel discorso la categoria del


non-qui. Il débrayage spaziale produce lo spazio 'oggettivo' dell'enunciato che si può indicare come
spazio dell'altrove, rispetto al quale lo spazio dell'enunciazione rimane uno spazio virtuale.

Il débrayage temporale (temporalizzazione) ha la funzione di proiettare nel discorso la categoria


del non-ora. Il débrayage temporale produce un tempo del discorso che si può indicare come un
allora, autonomo rispetto al tempo dell'enunciazione (ora). Il tempo di allora può essere considerato
come il 'presente del racconto'. E' a partire da questa posizione che la narrazione che precede si
presenta come una anteriorità, mentre i racconti profetici o premonitori si collocano nella
posteriorità.

Se il débrayage è la proiezione, da parte dell'istanza, dell'enunciazione di attori, tempi e spazi nel


discorso, in un movimento che va dall'enunciazione all'enunciato, si può dare anche il caso di un
movimento inverso, che simula il ritorno dall'enunciato all'enunciazione: si tratta dell'embrayage,
che designa appunto l'effetto di ritorno all'enunciazione. Si ha embrayage quando si produce un
effetto di identificazione tra il soggetto dell'enunciato e il soggetto dell'enunciazione. Può essere il
caso in cui un narratore alla fine di un racconto riemerge per rivolgersi ai lettori; oppure il caso in
cui il personaggio di un film guarda nella camera creando un effetto di ritorno al contesto
dell'enunciazione filmica.

Si deve a Emile Benveniste la prima formulazione dell'enunciazione come istanza della 'messa in
discorso' della langue saussuriana: tra la langue, concepita come sistema sociale e virtuale, e la
parole, ora ridefinita come discorso (linguaggio in atto), Benveniste prevede delle strutture di
mediazione, in virtù delle quali il sistema sociale della langue può essere preso in carico dai singoli
individui. Secondo Benveniste la conversione della lingua (sociale, virtuale) in discorso
(individuale, concreto) avviene attraverso l'impiego di segni linguistici particolari come i pronomi
personali 'io' e 'tu' o i deittici 'qui' e 'ora'. E' l'impiego di questi segni in concrete situazioni di
discorso a stabilire che 'io' si riferisce a una certa persona che sta parlando in una situazione di
discorso, e che 'qui' indica un luogo appena evocato in una particolare situazione di discorso. Se
ciascun parlante fosse identificabile solo attraverso il nome proprio, avremmo tante lingue quanti
sono gli individui: invece ciascuno di noi può collocarsi nel discorso usando questi segni unici ma
mobili ('io', 'qui'..) che si agganciano alla situazione del proprio discorso.

Se la discorsivizzazione delle strutture semio-narrative può essere definita come un insieme di


procedure di attorializzazione, temporalizzazione e spazializzazione, dal punto di vista semantico i
valori delle strutture semio-narrative vengono investiti nel discorso a diversi livelli. Ora, il valore
'libertà' può essere tematizzato a livello discorsivo come un percorso di 'evasione': la
tematizzazione è dunque una procedura di conversione semantica che permette di formulare

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diversamente uno stesso valore, in maniera sempre astratta; ulteriori investimenti semantici possono
invece figurativizzare questo stesso valore rendendolo meno astratto: per esempio, attraverso, la
descrizione di un imbarco verso mari lontani. Nel discorso assistiamo quindi alla disseminazione di
temi, cioè di stereotipi specifici, e di figure, cioè di forme concrete della nostra esperienza
percettiva.

Ricapitolando, la sintassi narrativa profonda mette in luce tutte le possibili relazioni differenziali
di una specifica categoria semantica con il quadrato semiotico; la sintassi narrativa di superficie
vede le relazioni del quadrato semiotico tradotte e convertite in azioni e valori.

Per restringere l'oggetto di indagine di una semiotica visiva, Greimas decide di concentrarsi sulle
rappresentazioni planari (che impiegano un significante bidimensionale: fotografie, dipinti,
disegni), in relazione alle quali individua due livelli: un livello figurativo e un livello plastico. Il
livello figurativo consente di riconoscere le figure visive planari in quanto configurazioni del
mondo naturale, e quindi di mettere in relazione, per esempio, il disegno di un albero con l'oggetto
del mondo naturale 'albero': alla base di questa relazione c'è infatti una griglia di lettura comune che
è variabile storicamente e culturalmente e che si incarica di selezionare dei tratti visivi rendendo il
significante riconoscibile in quanto rappresentazione parziale di un oggetto del mondo naturale. Per
quanto riguarda il livello plastico, Greimas suggerisce di considerare un altro tipo di segmentazione
del significante, che consenta di riconoscere quegli elementi plastici che producono effetti di senso
solo attraverso particolari configurazioni visive (spazi, forme, colori): Greimas vuole insomma
trovare delle categorie che permettano di descrivere il piano dell'espressione del linguaggio plastico.
Il primo tipo di categorie plastiche è costituito dalle categorie topologiche (come alto/basso o
destra/sinistra o periferico/centrale). Le categorie eidetiche servono a descrivere le forme e si
possono riferire a determinate figure geometriche (come circolare, quadrato ecc..) o descrivere le
proprietà di una linea (curvilineo, continuo, spezzato) o di un contorno (frastagliato, netto). Le
categorie cromatiche servono infine a descrivere i colori.

Ora, mentre la significazione degli elementi figurativi dipende dalla loro capacità di rinviare a
oggetti del mondo naturale, come si possono descrivere le significazioni degli elementi plastici? Il
primo meccanismo di significazione del linguaggio visivo plastico è quello del simbolismo
(all'interno di una certa cultura, un valore plastico può essere stabilmente legato a un significato:
nella pittura occidentale medievale, il colore oro era simbolicamente collegato al contenuto 'sacro').
Il secondo meccanismo di significazione del linguaggio visivo plastico è quello semisimbolico:
mentre nel simbolismo abbiamo il collegamento tra un elemento isolato dell'espressione plastica e
un elemento isolato del contenuto (/oro/ "sacro"), in un sistema semisimbolico "i due termini
opposti che costituiscono una categoria dell'espressione (alto/basso nel linguaggio plastico,
sordo/sonoro nel linguaggio musicale) diventano i significanti di due termini opposti del piano del
contenuto (bene/male, vita/morte.. o il codice gestuale del sì e del no col capo).

A lungo la semiotica aveva escluso ogni prospettiva psicologizzante, considerando gli attanti come
puri agenti, senza caratteri. Gradualmente Greimas si rende conto però che questa esclusione è una
limitazione: le azioni narrative dipendono dalla passionalità, e una teoria semiotica deve rendere
conto anche di questo livello. Appare chiaro come il fattore passionale agisca a monte della
comprensione: non c'è mera comprensione, ma aggiustamento patemico, il fidarsi e il diffidare. I
soggetti sono per definizione soggetti inquieti. Nel quadro della grammatica narrativa di superficie
le passioni vengono definite come dispositivi modali, che si manifestano attraverso le
modalizzazioni dell'essere (che modificano lo statuto dell'oggetto di valore in congiunzione o
disgiunzione con l'oggetto di stato). Le passioni concernono quindi l'essere del soggetto e non il suo
fare. Come esempio si immagini un diario personale in cui un autore anziano e sfiduciato manifesta
tutta la sua stanchezza per la vita: è malato, depresso, non ha più energie. Gli anni migliori sono
passati e non ha più voglia di ricordarli. Attende la morte, anzi, decide di andarle incontro

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smettendo di mangiare. Volendo descrivere il percorso generativo del senso di questo testo, nel
livello profondo metteremmo senz'altro la categoria "vita" vs "morte". Ma l'atteggiamento del
nostro autore dipende dalla proiezione della categoria timica su quel quadrato, in virtù della quale la
deissi della vita viene investita in modo disforico, mentre la deissi della morte in modo euforico.
"Vita" e "morte" diventano valori assiologici, con la "vita" valorizzata in modo negativo e la
"morte" in modo positivo. Ora, i valori emersi sono virtuali: affinché si attualizzino, diventando
valori per qualcuno, è necessaria la loro conversione al livello superficiale della grammatica
narrativa. I valori si possono dire convertiti quando sono investiti negli oggetti, e quando gli oggetti
entrano in congiunzione con i soggetti. L'Oggetto di valore, potendo essere o in stato di
congiunzione o disgiunzione con il Soggetto di stato, determina l'esistenza modale di quest'ultimo,
nel senso che lo "stato d'animo" del soggetto dipende dalla modalità che caratterizza gli oggetti con
cui entra in relazione. Ritornando all'esempio del signore anziano e sfiduciato che vuole togliersi la
vita rifiutando il cibo, questo rifiuto dell'Oggetto-cibo in quanto nocivo determina l'esistenza
modale del Soggetto di stato e quindi il suo stato passionale (sfiduciato e triste).

Nel volumetto Dell'imperfezione il tentativo di Greimas è quello di rendere conto, attraverso gli
strumenti e il metodo semiotici, di quell'"indicibile" estetico che non può essere reso esplicito con il
linguaggio comune. La sua ipotesi è che l'esperienza estetica possa essere descritta semioticamente
in quanto esperienza innanzitutto estesica: si tratta di un'esperienza che sfugge al dominio del
cognitivo. Il Robinson di Michel Tournier, di fronte a una goccia d'acqua che rimane sospesa quasi a
"invertire il corso del tempo", vacilla come a causa di un abbaglio, e addirittura riesce a immaginare
"un'altra isola dietro quella dove soffriva in solitudine, più fresca, calda e fraterna". Quella che si
verifica, secondo Greimas, è una presa estetica eccezionale, cioè una relazione particolare che si
stabilisce tra soggetto e oggetti di valore. Una vera e propria frattura tra la dimensione della
quotidianità e questo momento eccezionale. In seguitom il soggetto può solo tentare di ricostruire
l'accaduto, provando nostalgia per quell'effetto percettivo durato un tempo non quantificabile. Ecco
come Greimas definisce il fenomeno della presa estetica: "a un tratto accade qualcosa, non
sappiamo cos'è: né bello, né buono, né vero, ma tutte queste cose insieme. E neppur questo: accade
un'altra cosa, cognitivamente inafferabile, questa frattura della vita quotidiana è suscettibile, a
posteriori, di ogni tipo di interpretazione: essa fa nascere la speranza di una vita vera, di una fusione
totale del soggetto e dell'oggetto. Insieme al sapore dell'eternità ci lascia un fondo di imperfezione."

ROLAND BARTHES – la semiologia come critica sociale

1 MITOLOGIE DELLA SOCIETA' DI MASSA


Mythologies (1957) è una raccolta di interventi pubblicati nella seconda metà degli anni '50: in
questi interventi Barthes analizza articoli di giornale, fotografie, film, mostre, assumendo così il
ruolo di etnologo della società di massa. Si tratta di svelare il modo in cui la società borghese tende
a far passare come 'naturale' ciò che è 'storico' e 'culturale'. Quelle che analizza Barthes sono le
mitologie della società piccolo borghese (il matrimonio come finalità 'naturale' dell'accoppiamento';
i giocattoli come imitazione del microcosmo degli adulti, che forma bambini-utenti e non bambini-
creatori ecc...). In questi esempi risulta evidente un tratto comune: la storicità di certi fenomeni
viene fatta passare come naturale; la società borghese tende a far passare come naturale ciò che è
essenzialmente culturale. Questo meccanismo di 'mascheramento' è ciò che Barthes chiama
semiologicamente mito: questo è un sistema di comunicazione, che Barthes spiega in termini
saussuriani: un segno, cioè, l'unione di significante e significato (una parola, una fotografia, un rito),
diventa a un secondo livello il significante che veicola un altro significato, ovvero mito. Questo
secondo segno, che Barthes definisce significazione, è mitico, nel senso che svuota il primo segno e
ne impone una seconda lettura aggiunta. Il secondo segno è parassitario, impoversisce il primo, lo
allontana pur tenendolo a disposizione, in una sorta di stand-by. Questa sospensione è necessaria
perché il mito deve in qualche misura nascondersi nel primo livello; deve essere, per così dire,
ambiguo. Le foto dei matrimoni (segni di primo livello) vengono riprese dalla stampa per

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comunicare mitologicamente che il matrimonio è l'esito naturale dell'accoppiamento (secondo


livello). Prende così corpo il progetto di Barthes, "che pensa alla possibilità che la semiologia sia
una disciplina capace di distruggere e decostruire quell'insieme di connotazioni culturali, sociali e
ideologiche che la borghesia ha calato sulla lingua. L'idea è quella di liberare un grado zero della
lingua, una forma che evidentemente è legata, in quel periodo, al progetto di una società libera,
senza ideologia, senza classi."

2 ELEMENTI DI SEMIOLOGIA: DENOTAZIONI E CONNOTAZIONI


Il "ribaltamento di Saussure" consiste nel considerare la semiologia come una parte della linguistica
e non viceversa. Barthes sostiene la centralità della lingua naturale rispetto agli altri sistemi di
significazione. In altri termini, un oggetto (indumento, spazio, paesaggio) significa perché
interviene una lingua che ne nomina il significante e il significato. La lingua naturale diventa così il
sistema di significazione supremo all'interno del quale è possibile tradurre gli altri sistemi di
significazione. Per Saussure: linguistica parte della semiologia. Per Barthés: semiologia parte della
linguistica. Il secondo punto su cui soffermarsi sono le connotazioni, le quali secondo Barthés sono
sensi aggiunti: un'opera può connotare il significato "letteratura", dei messaggi francesi possono
connotare il significato "francese". Questi significati hanno a che fare con la cultura, il sapere, la
storia, e "in avvenire non potrà non imporsi una linguistica della connotazione, giacché la società
sviluppa continuamente dei sistemi secondi di senso.

3 SISTEMA DELLA MODA: RETORICA E IDEOLOGIA


A più riprese Barthés prova ad applicare le categorie semiologiche al campo della moda. Prendendo
come oggetto di analisi il vestito, Barthés pensa sia possibile distinguere il costume, che
corrisponderebbe alla langue di Saussure, e l'abbigliamento, che potrebbe corrispondere alla parole.
Nel caso del costume-langue siamo nella dimensione istituzionale e sociale, sganciata dall'individuo
(come le forme, sostanze, colori ritualizzati, la distribuzione regolata degli elementi accessori): nel
caso dell'abbigliamento-parole siamo nella dimensione individuale, ciò che conta è l'atto del vestirsi
attraverso il quale l'individuo concretizza le norme generali del 'costume' (come le dimensioni
individuali del vestito, il grado di usura, disordine, carenza parziale di indumenti..).

Secondo la prospettiva di Barthés, nell'analisi della moda , come nella linguistica saussuriana, deve
prevalere la dimensione sociale, la langue. L'indumento deve essere descritto a livello della società:
secondo Barthés non ci si deve limitare ad analizzare i gusti individuali ma si deve inventariare,
spiegare le costrizioni e le interdizioni. Oltre alla dicotomia langue/parole, Barthés riprende anche
quella che vede opposte la sincronia alla diacronia. Da un lato è certamente importante il sistema
della moda, inteso in senso sincronico, perché una manifestazione vestimentaria individuale ha
senso se inserita e osservata in un microuniverso fatto di relazioni e opposizioni; dall'altro è
essenziale porre grande attenzione al problema della temporalità (dimensione diacronica): i
cambiamenti della moda sono fenomeni regolari e ciclici e vanno studiati.

Sebbene sia estremamente difficile determinare i significati degli indumenti, che possono essere di
tipo sessuale, antropologico, economico e simili, è certo, dice Barthés, che la significazione del
costume indica il grado di inserimento di un individuo nelle regole sociali, la sua partecipazione più
o meno totale ai codici vestimentari che la società gli impone. Tuttavia la definizione dei significati
è complessa, ed è forse proprio questa difficoltà che spinge Barthés a concentrarsi sulla moda
scritta: la moda scritta offre aiuti rilevanti al semiologo, perché lessicalizza i significati, descrivere
i vestiti indicando con le didascalie quelli che dovrebbero essere i contenuti evocati. I significati
lessicalizzati (un abito d'autunno, un tailleur delle cinque pomeridiane, ecc.) possono sembrare
irreali e un po' onirici, però ci permettono di osservare la significazione in atto, "al rallentatore".
E' il senso che fa vendere, dice Barthés, e gli oggetti che popolano l'immaginario collettivo
dipenderanno sempre più dalla semantica. In tal modo la moda diventa racconto, organizzando le
sue strutture narrative a livello denotativo, e aprendosi al mondo esterno a livello connotativo.

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4 RETORICA DELL'IMMAGINE: LE CONNOTAZIONI VISIVE


Secondo Barthés anche le immagini funzionano come i miti: naturalizzano delle ideologie
attraverso stereotipi, tecniche, abitudini percettive. L'immagine non copia la realtà, produce semmai
"effetti di realtà". Barthés si chiede in che modo sia possibile descrivere l'immagine da un punto di
vista semiotico. Per ragioni di semplificazione decide di concentrarsi solo sull'immagine
pubblicitaria perché se l'immagine contiene dei segni, in pubblicità questi segni sono pieni, formati
in vista della migliore lettura possibile: l'immagine pubblicitaria è franca, o perlomeno enfatica. Nel
visual si vedono dei pacchi di pasta, una scatola, un sacchetto, dei pomodori, delle cipolle, il tutto
all'interno di una borsa a rete semiaperta. Barthés ritiene che il primo messaggio sia costituito dal
testo verbale, che svolge una funzione di ancoraggio: serve cioè a vincolare la liberta dei significati
dell'immagine. Tuttavia Barthés ci invita a lasciare temporaneamente da parte gli aspetti linguistici
della foto, cioè la didascalia e le etichette, per concentrarci sul secondo messaggio, cioè
sull'immagine, per coglierne i segni discontinui. La borsa semiaperta che lascia scivolare i prodotti
'sconfezionati' veicola un significato di freschezza relativo ai prodotti. La tinta tricolore del
manifesto veicola un significato di italianità: vi si scorgerà dunque, oltre al messaggio linguistico,
un secondo messaggio, di natura iconica.

Il funzionamento di questi segni è reso possibile, secondo Barthés, da un sapere culturale più
profondo, fondamentale per la comprensione dell'annuncio. In questo modo, Barthés introduce quel
livello letterale dell'immagine, contrapposto al livello "simbolico" precedente, che costituisce il
terzo messaggio. Nei termini di Barthés, l'immagine letterale è denotata, mentre l'immagine
simbolica è connotata. Abbiamo così un messaggio linguistico, un messaggio iconico non codificato
(l'immagine letterale denotata) e un messaggio iconico codificato (l'immagine simbolica connotata).
L'immagine denotata naturalizza il messaggio simbolico, rende innocente l'artificio semantico,
molto denso (soprattutto in pubblicità), della connotazione.

5 L'ANALISI DEL RACCONTO


Nella sua 'fase semiologica' Barthés prova ad applicare il metodo strutturale anche all'analisi
letteraria. Sulla scorta di Propp, l'intento di questi studiosi è quello di trovare delle costanti
narrative, cioè degli elementi ricorrenti che permettano di descrivere e classificare le narrazioni
letterarie. Barthés distingue tre livelli di senso: le funzioni, le azioni, la narrazione. Le funzioni
cardinali costituiscono delle vere e proprie cerniere del racconto, aprono alternative per il
prosieguo della storia, inaugurano o concludono delle situazioni incerte. Le catalisi invece colmano
lo spazio narrativo che separa le funzioni cardinali (momenti del racconto in cui la storia proseguirà
in ogni caso seguendo una via precisa). Oltre ai nuclei e alle catalisi, Barthés prevede altre due
funzioni: gli indizi, che contribuiscono a delineare la psicologia di un personaggio o a descrivere
delle atmosfere; gli informanti, che sono dati puri e immediatamente significato (per esempio, l'età
esatta di un personaggio).

6 LA FASE SEMIOLOGICA: CONNOTAZIONE E IDEOLOGIE


Nel caso dei miti, l'intento di Barthés è quello di demistificare quelle pratiche borghesi attraverso le
quali si fa passare come naturale ciò che è costruito culturalmente e storicamente: tali pratiche sono
ideologiche e devono essere svelate dal semiologo. Nel caso della moda, le significazioni del
linguaggio scritto diventano forme retoriche attraverso le quali le riviste veicolano significati
ideologici: visioni del mondo, pratiche di consumo, caratteri psicologici dei consumatori. Nel caso
delle immagini fotografiche, le ideologie sono naturalizzate attraverso tecniche particolari o
strategie percettive: un lettore non si accorge subito che determinati colori connotano l'italianità o
che certi prodotti sono organizzato plasticamente per connotare freschezza. Per spiegare queste
procedure di mascheramento Barthés ricorre al concetto semiologo di connotazione. Ma la grande
lezione di Barthés, al di là delle strumentazioni semiologiche adottate, risiede nel suo
interessamento per qualsiasi evento dell'universo capace di significazione "Questo irritava tanto i
filosofi del linguaggio di formazione anglosassone, che lo accusavano, per esempio, di applicare

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all'arte culinaria le categorie della linguistica e di leggere come linguaggio ciò che non era stato
prodotto linguisticamente. Il semiologo è colui che quando va in giro per la strada, laddove altri
vedono fatti ed eventi, scorge, fiuta significazione. Questa è stata l'eredità di Barthés.

UMBERTO ECO – la semiotica interpretativa

1 LAVORI PRESEMIOTICI: OPERA APERTA E APOCALITTICI E INTEGRATI


In Opera aperta, Eco rileva una certa tendenza nelle poetiche di quel periodo e nota come alcune
opere d'arte abbiano come caratteristica comune l'ambiguità, la pluralità di significati, la
molteplicità di letture, insomma l'apertura. L'opera d'arte contemporanea si apre a molteplici
possibilità interpretative, e il lettore è indotto a una serie di letture sempre variabili. E' importante
notare, quindi, come l'autore non prenda in considerazione solo l'opera, ma il rapporto di
collaborazione tra l'opera e il suo fruitore. Se da un lato Eco è interessato al fatto che l'opera sia
aperta a differenti interpretazioni, non dimentica che il testo è retto da leggi strutturali che in
qualche modo pongono vincoli e direzioni di lettura: se da un lato l'opera può essere aperta, nel
senso che può essere intepretata in molti modi, dall'altro è "una forma compiuta e chiusa nella sua
perfezione di organismo perfettamente calibrato".

Eco non crede che la cultura si possa rappresentare secondo livelli rigidi (high, middle, low):
l'oggetto di analisi è la cosiddetta cultura di massa, intorno alla quale si sono sviluppati due
atteggiamenti che l'autore intende criticare. Per chi concepisce la cultura in modo 'aristocratico',
cioè come 'gelosa coltivazione, assidua e solitaria' la cultura di massa è anticultura. Questo
fenomeno è visto da costoro in modo apocalittico. Gli apocalittici sostengono che i mass media,
rivolgendosi a un pubblico vasto ed eterogeneo, devono livellare i propri prodotti ed evitare
soluzioni originali: in questo modo sviluppano una visione conformista dei consumi, dei valori
culturali; i mass media incoraggiano una visione passiva e acritica del mondo, e scoraggiano lo
sforzo personale; i mass media sono sottomessi a un circuito commerciale e quindi devono
rispondere a criteri economici. La risposta degli integrati consiste nel constatare che i mezzi di
comunicazione mettono i beni culturali a disposizione di tutti, e questo consente un proficuo
allargamento dell'area culturale. Gli integrati sostengono che la massa è ormai la protagonista della
storia, e che la sua cultura sia un fatto positivo. E' vero che i mass media sviluppano soprattutto
spettacoli di intrattenimento e che si produce un certo livellamento del gusto, ma questo
contribuisce ad attenuare le differenze sociali. Inoltre i mezzi di comunicazione di massa
introducono nuovi modi di parlare, nuovi stilemi percettivi. Senza demonizzare la nuova 'civiltà di
massa', Eco suggerisce la necessità di uno studio scientifico che ne sveli le caratteristiche e ne
permetta una comprensione più analitica in relazione al contesto socio-politico in cui nasce e si
sviluppa. Il contesto sociale vede l'ascesa delle classi subalterne alla fruizione dell'informazione e
dei beni culturali. In Apocalittici e integrati, Eco invoca uno studio scientifico dei mass media, ma
non ha ancora gli strumenti teorici per condurre questo tipo di analisi, e in questo senso si può dire
che questo libro apre all'autore la strada degli studi semiotici.

2 LA STRUTTURA ASSENTE: METODOLOGIA VS ONTOLOGIA


La struttura assente è il primo lavoro di Eco interamente dedicato alla semiotica. Eco si sofferma
sui concetti di informazione, comunicazione, segno, segnale, insomma sui concetti base di una
prima semiologia generale. A seguire, l'autore dedica ampio spazio alla comunicazione visiva, dai
segnali marittimi ai visual pubblicitari alle strutture architettoniche. Secondo Eco, la funzione di un
metodo strutturale è quella di reperire omologie formali tra diversi fenomeni culturali: di fronte a
oggetti culturali diversi si cerca di desumere una griglia strutturale comune. La struttura può essere
intesa come modello strutturante, cioè come griglia astratta di relazioni. Eco ripercorre la strada
tracciata dai più importanti strutturalisti: Saussure benché non usi mai il termine "struttura", afferma
chiaramente che la lingua è un sistema di valori, cioè di opposizioni e di differenze. Egli dice che
dobbiamo considerare gli elementi del linguaggio nelle relazioni che intrattengono con altri

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elementi del sistema linguistico. Hjelmslev si pone in linea di continuità con Saussure. In questia
autori, la struttura è uno schema, un modello strutturante. Appare chiaro a Eco che per lo
strutturalismo 'ortodosso' la struttura è un modello, inteso come sistema di differenze, trasponibile
da fenomeno a fenomeno, che serve per descrivere oggetti concreti. L'oscillazione da cui siamo
partiti sembra così risolta. Tuttavia alcuni strutturalisti hanno messo in discussione la valenza
esclusivamente operativa della struttura, ipotizzando una sua realtà ontologica. Da cui un'altra
oscillazione: la struttura è uno strumento operativo o una realtà ontologica? Come strumento
operativo, la struttura è un modo per ridurre a uno schema omogeneo oggetti e fenomeni difformi.
Tuttavia, Eco registrava altre posizioni più ambigue: per esempio Lèvi-Strauss sembra passare da
uno strutturalismo operativo e metodologico a uno strutturalismo ontologico. L'antropologo trova
codici, regole, strutture per spiegare fenomeni difformi, e Lèvi-Strauss sottolinea che si tratta di
operazioni di laboratorio per costruire una intelligenza investigativa (strutturalismo operativo e
metodologico, quindi); ma ecco che immediatamente fa capolino, dietro lo scienziato, il filosofo:
aver mostrato come funzioni l'applicazione di codici uguali a fenomeni diversi, non dimostrerà
forse l'esistenza di meccanismi universali del pensiero, e dunque l'universalità della natura umana? I
codici, dunque, fanno riferimento a un Ur-codice, una struttura delle strutture, che si identifica con i
meccanismi universali della mente. Lèvi-Strauss non rinuncia a ribadire l'operatività dei modelli
strutturali, ma parallelamente arriva a sostenere l'identità fra le leggi del mondo e quelle del
pensiero.

Eco nota che Lacàn, da psicanalista dell'inconscio (inteso come linguaggio), si pone nella
prospettiva di uno strutturalismo radicalmente ontologico: uno strutturalismo destinato al
fallimento, però, perché a forza di cercare strutture definitive si arriva a qualcosa che non può più
essere strutturato. L'impressione che ha Eco, insomma, è che la ricerca di strutture ultime porti alla
scoperta di qualcosa che non può più essere strutturato ("l'essere", "l'altro, "l'inconscio"..) ed è di
fronte a queste aporie dello strutturalismo ontologico che Eco arriva a sostenere la funzionalità di
uno strutturalismo operativo e metodologico. La struttura, conclude Eco, è assente: nega dunque la
struttura in quanto 'codice dei codici' ma sostiene l'importanza delle descrizioni strutturali, e del
resto l'analista riduce la realtà a strutture per comprenderla e spiegarla.

3 IL TRATTATO DI SEMIOTICA GENERALE: DAI CODICI ALLA PRODUZIONE SEGNICA


Il Trattato di semiotica generale (TSG) viene pubblicato in Italia nel 1975, e rappresenta forse
l'opera più importante tra quelle che hanno caratterizzato il percorso semiotico di Eco.
Nell'introduzione Eco chiarisce subito gli obiettivi, ovvero esplorare le possibilità teoriche e le
funzioni sociali di uno studio unificato di ogni fenomeno di significazione e comunicazione. Si ha
significazione ogni volta che qualcosa di materialmente presente e percepibile sta per qualcosa
d'altro: un albero può stare per l'idea di natura, un libro può attivare l'idea di cultura. La
significazione è una relazione di rinvio del tutto astratta, nel senso che può sussistere
indipendentemente dal fatto che un destinatario la attivi. La comunicazione, invece, è un processo
tra esseri umani che presuppone dei sistemi di significazione e li attiva: è il momento in cui gli
esseri umani si servono delle significazioni per veicolare messaggi. Nel TSG Eco riconosce due
domini della disciplina semiotica: una teoria dei codici e una teoria della produzione segnica.

Per quanto riguarda la teoria dei codici, Eco definisce codice come una regola che associa una serie
di leggi combinatorie interne con una serie di stati/situazioni con una serie di risposte
comportamentali del destinatario. L'introduzione del concetto di codice serve a Eco per definire
meglio la funzione segnica: si ha dunque funzione segnica quando una espressione è correlata a un
contenuto. Ma i segni sono risultati provvisori, stabiliscono correlazioni transitorie poiché ciascun
elemento può contrarre funzione segnica con altri elementi: ad esempio, l'espressione piano può
essere correlata ai contenuti "livello", "progetto", "lentamente", "strumento musicale". A questo
punto, seguendo le indicazioni di Hjelmslev e di Barthés, Eco passa a considerare un'altra
possibilità, quella della superelevazione di codici: è il caso in cui, oltre a un primo codice che

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stabilisce un significato, entra in funzione un secondo codice che veicola un secondo significato. Il
primo codice è la denotazione, il secondo la connotazione.

Il sistema semantico si configura pertanto come un insieme di unità che si definiscono a partire
dalle loro posizioni, dalle loro opposizioni e dalle loro differenze. Nello stesso tempo Eco fa notare
come l'unico modo di definire un significato in quanto unità culturale sia quello di ricorrere ad altre
unità culturali, cioè altri segni, e in quest'ottica la categoria-chiave diventa quella di interpretante,
così come è stata elaborata da Peirce. Secondo lui, la semiotica studia la semiosi, cioè un processo
che coinvolge un segno, un oggetto e un interpretante, in modo tale che questa triade non sia
riducibile a un rapporto tra due di questi elementi. In altre parole, i tre termini devono sempre essere
compresenti. Il punto di partenza è l'oggetto, inteso in senso ampio come realtà esterna. Per rendere
conto degli oggetti della realtà esterna noi abbiamo bisogno di segni: il segno – che deve entrare in
relazione con l'oggetto e scaturire nella mente del soggetto una rappresentazione mentale –
costituisce quindi il fulcro della semiosi, in quanto media fra l'oggetto e l'interpretante, viene
determinato dall'oggetto e genera un interpretante; l'interpretante è una porzione di materia mentale,
un'idea o un pensiero che interpreta il segno e lo collega all'oggetto. Peirce usa il termine
representamen nel senso di significante, e parla di oggetto immediato per indicare il contenuto di
un segno. Ma com'è possibile cogliere l'oggetto immediato nella sua interezza, ovvero il pieno
contenuto di un significante? Peirce ci dice che sono possibili solo conoscenze parziali, e quindi per
spiegare il significato del representamen /cane/ occorre utilizzare diversi interpretanti (diremo che è
un animale con certe caratteristiche, faremo vedere una foto, lo disegneremo ecc..). L'oggetto
immediato è dunque l'insieme di tutti gli interpretanti di un certo segno. La semiosi è quindi
illimitata, perché il ricorso agli interpretanti è appunto potenzialmente infinito. Secondo Eco,
pertanto, i significati possono essere definiti solo attraverso la catena dei loro interpretanti quali
sono dati in una determinata cultura.

Per quanto riguarda la teoria della produzione segnica, Eco cambia prospettiva e si concentra sul
lavoro compiuto nel produrre e nell'interpretare i segni. Si sofferma sulla correlazione tra il piano
dell'espressione e il piano del contenuto, introducendo la distinzione tra ratio facilis e ratio difficilis.
Si hanno segni prodotti per ratio facilis quando una occorrenza espressiva si accorda al proprio tipo
espressivo: è il caso delle parole o dei segnali stradali. Si ha ratio difficilis quando non c'è un tipo
espressivo preformato e l'occorrenza espressiva viene direttamente accordata al proprio contenuto: è
il caso degli indici gestuali, la cui produzione dipende dall'organizzazione del contenuto
corrispondente (movimento direzionale ecc.).

4 LECTOR IN FABULA: LA COOPERAZIONE INTERPRETATIVA


Lector in fabula analizza l'attività cooperativa che porta il destinatario a collaborare con il testo,
traendo da essoanche quel che non dice. Così, se nei decenni precedenti si era affermato il punto di
vista strutturalistico, che privilegiava l'analisi del testo in quanto oggetto chiuso, ora Eco può
volgere l'attenzione al ruolo svolto dal destinatario nell'interpretazione di un testo. Prospettiva
nettamente diversa rispetto a quella greimasiana: l'attenzione non è posta sull'organizzazione
semiotica che presiede alla generazione del testo, bensì sulla ricezione/interpretazione del testo da
parte dei destinatari. Eco usa molto il concetto di inferenza, così come lo presenta Peirce: secondo
Peirce, l'uomo, nella sua attività conoscitiva, fa dei ragionamenti, cioè delle inferenze. Gli elementi
che entrano in gioco in qualsiasi processo inferenziale sono tre: un caso, una regola e un risultato.
Dalla combinazione dei tre elementi emergono tre tipi di inferenza, di ragionamento: le deduzione,
l'induzione e l'abduzione. La deduzione vede quest'ordine: regola – caso – risultato (se un uomo è
un governatore, allora riceve grandi onori; quest'uomo è un governatore; quest'uomo riceve grandi
onori sicuramente). Il ragionamento deduttivo, come si vede, non comporta alcun rischio, ci si
limita a calcolare una conseguenza logica. L'induzione vede quest'ordine: caso – risultato – regola
(quest'uomo è un governatore; quest'uomo riceve grandi onori; se quest'uomo è un governatore,
allora riceve grandi onori, forse). In questo caso la regola ha un margine di rischio ed è posta per

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ultimo passaggio, e l'unico modo per confermarla sarebbe quello di verificare sperimentalmente che
tutti i governatori ricevano effettivamente grandi onori; tuttavia il rischip dell'induzione è ancora
piuttosto limitato. L'abduzione vede infine quest'ordine: risultato – regola – caso (quest'uomo
riceve grandi onori; se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori; quest'uomo è
governatore, forse). In questo caso si fa una vera scommessa. Secondo Peirce, le forme della
conoscenza, da quelle più automatiche (le percezioni) a quelle più complesse (le scoperte
scientifiche) hanno tutte la forma inferenziale dell'abduzione.

Eco definisce il testo come una catena di artifici espressivi che devono essere attualizzati dal
destinatario. Un esempio: Giovanni entrò nella stanza. "Sei tornato, allora!", esclamò Maria,
raggiante. In questo caso, Eco mostra come il lettore debba fare una serie di movimenti cooperativi,
dal momento che il testo non dice, ad esempio, che Giovanni e Maria sono nella stessa stanza, o che
Maria si sta rivolgendo a Giovanni; è il lettore che 'riempie' il testo attraverso una serie di inferenze.
Ne consegue che chi produce un testo cerca strategicamente di prevedere le mosse interpretative del
proprio destinatario. Per organizzare la propria strategia testuale un autore deve quindi, secondo
Eco, prevedere un lettore modello, che cooperi all'attualizzazione testuale così come egli – cioè
l'autore – pensava. Il lettore modello è un riferimento strategico al quale adeguare le proprie scelte
testuali. I mezzi per prevedere un lettore modello sono molti: la scelta della lingua, la scelta di un
tipo di enciclopedia, la scelta di un certo patrimonio lessicale e stilistico. Nello stesso tempo, in un
testo si profila anche la figura dell'autore modello, che non corrisponde all'autore empirico del
testo (cioè allo scrittore) ma che conduce il gioco guidando il lettore, invitando all'osservazione,
proponendo correlazioni. Autore e lettore modello sono quindi strategie testuali, e non vanno
confusi con gli individui che corrispondono all'autore e ai lettori.

L'unica costrizione del modello è costituita dal punto di partenza: la cooperazione interpretativa non
può non partire, infatti, dalla manifestazione espressiva del testo. Il lettore si trova dunque una
manifestazione espressiva e comincia ad applicare dei codici per correlare alle espressioni dei
contenuti. Nella comunicazione verbale si ricevono dalle circostanze di enunciazione varie
informazioni extralinguistiche circa la natura dell'atto comunicativo, mentre quando si legge un
testo il riferimento alle circostanze di enunciazione è più complesso e risponde implicitamente a un
ragionamento di questo tipo: "qui c'è (c'era) un individuo umano che ha enunciato il testo che sto
leggendo in questo momento e che chiede (o non chiede) che io assuma sta parlando del mondo
della nostra comune esperienza".

Il lettore deve assumere transitoriamente una identità tra il mondo evocato dal testo e il mondo della
propria esperienza. Se procedendo nella lettura si scoprono discrepanze tra il mondo dell'esperienza
e il mondo testuale, allora il lettore sarà costretto a fare operazioni estensionali più complesse. Se
andando avanti nella lettura un individuo inizia a volare, ecco che il lettore dovrà fare operazioni
estensionali più complesse, perché evidentemente il mondo del testo non ha le stesse proprietà del
mondo reale di riferimento. Quindi il lettore assume l'identità tra mondo narrativo e mondo reale,
mettendola in un certo senso tra parentesi, da cui l'espressione estensioni parentetizzate, in attesa
di altre tracce testuali che confermino o disattendano tale assunzione.

Nell'atto interpretativo il lettore confronta la manifestazione lineare con il sistema di codici e


sottocodici provvisti dalla lingua. Innanzitutto, egli fa ricorso a un dizionario di base per
individuare le proprietà semantiche elementari del lessico. Le proprietà fornite dal dizionario di
base sono molte, ma a questo livello il destinatario ancora non sa quali dovranno essere attualizzate,
nel senso che l'universo di discorso verrà precisato nel prosieguo della comunicazione. Inoltre il
lettore, secondo Eco, è in grado di decodificare facilmente testi ipercodificati. E' il caso
dell'interpretazione di espressioni "fatte", saldamente registrate dalla tradizione retorica e stilistica.
Per esempio, di fronte a un'espressione come "c'era una volta", il lettore-destinatario sarà in grado
di stabilire automaticamente che (i) gli eventi di cui si parla si localizzano in una indefinita epoca

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non storica, (ii) essi non sono da intendere come 'reali', (iii) l'autore vuole raccontare una storia
immeginaria ai fini di divertimento. La procedura più interessante dal punto di vista interpretativo è
quella che prevede il ricorso a sceneggiature o frames. A volte basta un gesto, una mano che si alza
verso un'altra persona, e noi siamo già in grado di fare molte interpretazioni sulla base della
sceneggiatura "litigio violento". Il frame è un concetto molto empirico. Eco individua nelle
sceneggiature intertestuali un'altra modalità di organizzazione dei frames: sono i casi in cui i testi
vengono interpretati grazie all'esperienza che il destinatario ha di altri testi, cioè grazie alla
competenza intertestuale. Sappiamo anticipare i risvolti di un giallo perché conosciamo il genere
giallo, cioè abbiamo una competenza intertestuale sedimentata.

Il destinatario, nel corso dell'attività interpretativa, seleziona e attiva solo alcune delle proprietà
enciclopediche di un termine. Se qualcuno ci racconta una storia in cui un signore misterioso si
aggira per la città di New York, noi attiviamo alcune proprietà necessarie, per esempio che c'è un
essere vivente che ha la facoltà di camminare, ma ne manteniamo molte altre a uno stato virtuale,
per esempio che questo signore ha un fegato, due braccia, due mani ecc.. Ma che cosa ci aiuta a
orientare questa selezione? Le selezioni si realizzano alla luce di una ipotesi circa i topic testuali,
che consistono nello stabilire di che cosa si sta parlando, la scelta di un tema. Il topic serve a
disciplinare la semiosi riducendone lo spettro illimitato.

La distinzione tra fabula e intreccio nasce dalla constatazione che, a parte rari casi molti elementari
come le fiabe, nelle narrazioni l'ordine cronologico dei fatti e l'ordine del racconto non coincidono.
La fabula è l'ordine cronologico degli eventi, l'intreccio è la storia come di fatto ci viene
raccontata, come appare in superficie. Quando noi percepiamo una narrazione – un romanto, un
racconto, un film – ci confrontiamo sempre con un intreccio fatto di disclocazioni temporali, flash-
back, anticipazioni, pause...

Vi sono dei punti della fabula in cui si producono cambiamenti rilevanti nello stato del mondo
narrato, e si introducono così nuovi corsi di eventi. Questi importanti "snodi" narrativi sono di solito
introdotti da segnali di suspence (fine di capitolo ecc..) e inducono il lettore a prevedere quale sarà
il nuovo corso di eventi. Nel fare queste previsioni il lettore "esce dal testo", e con questa metafora
Eco vuole spiegare come il lettore, durante la lettura, ricorra a sceneggiature comuni e intertestuali
per interpretare certe situazioni e per prevedere i cambiamenti di stato. Eco chiama tali fuoriuscite
dal testo passeggiate inferenziali: una metafora che serve a Eco per "mettere in risalto il gesto
libero e disinvolto con cui il lettore si sottrae alla tirannia del testo".

Pensare un testo narrativo come un mondo possibile significa concepirlo come un insieme di
individui forniti di proprietà: più precisamente, essendo alcune di queste proprietà delle azioni, un
mondo possibile è da considerarsi come un corso di eventi. Un mondo possibile narrativo prende in
prestito i propri individui e le loro proprietà dal mondo reale di riferimento, ma Eco specifica che,
se il mondo possibile è un costrutto culturale, deve essere inteso come un costrutto culturale anche
il mondo 'reale' di riferimento. Se cambiamo enciclopedia di riferimento, l'effetto sarebbe diverso, e
infatti il lettore antico che leggeva di Giona che sopravvive nonostante sia stato divorato da un
pesce non trovava questo evento in disaccordo con la sua enciclopedia. Non dobbiamo però
dimenticare che i mondi della finzione, pur essendo parassiti del mondo reale, mettono tra parentesi
molte cose che sappiamo su di esso, e costruiscono un mondo finito, conchiuso, molto più povero e
limitato di quello reale.

Nel volume I limiti dell'interpretazione, Eco torna sulla questione della libertà interpretativa del
lettore per prendere le distanze da quelle teorie (come il decostruzionismo) che sostenevano la
libertà pressoché totale dell'interprete rispetto all'opera. La posizione del decostruzionismo è che
ogni interpretazione vale un'altra a seconda del punto di vista prescelto dal lettore. Per contro, la
posizione di Eco è che il testo non ammette di essere interpretato in qualunque modo. In molti casi i

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confini tra uso e interpretazione possono essere sfumati, e se decidiamo di interpretare in totale
libertà un testo allora lo stiamo usando e non interpretando. Per chiarire meglio la sua posizione,
l'autore riprende una tricotomia discussa nell'ambito degli studi ermeneutici, cioè quella fra
interpretazione come ricerca dell'intentio auctoris (la ricerca, cioè, di quello che voleva dire
l'autore empirico), interpretazione come ricerca dell'intentio operis (la ricerca di ciò che il testo
vuole dire in riferimento alla propria coerenza testuale) e l'interpretazione come ricerca dell'intentio
lectoris (la ricerca di ciò che il lettore fa dire al testo in riferimento ai propri sistemi di
significazione e ai propri desideri, pulsioni, credenze ecc..). Un'interpretazione, se a un certo punto
di un testo pare plausibile, può essere accettata solo se essa verrà riconfermata da un altro punto del
testo: che Il nome della rosa sia una sorta di giallo filosofico è confermato dal testo (intentio operis)
praticamente in ogni sua parte, indipendentemente dalle intenzioin dell'autore empirico. Nell'uso,
invece, si sovrappone e diventa prevalente l'intentio lectoris, per ragioni personali si può assumere
che un film comico sia drammatico, ma questa linea interpretativa non è confermata dal testo.
Questo è un esempio di uso, in cui il lettore fa prevalere un suo orizzonte di aspettative
disattendendo le indicazioni e i vincoli testuali.

5 DAL MODELLO SEMANTICO DIZIONARIALE AL MODELLO ENCICLOPEDICO

Nel saggio Dizionario vs enciclopedia, Eco torna a occuparsi del piano del contenuto di una lingua.
Un tentativo di descrizione di questo piano, come sappiamo, lo aveva fatto Hjelmslev. Come è
possibile identificare degli elementi minimali (figure) del piano dell'espressione, allo stesso modo si
possono isolare degli elementi minimali (figure) del piano del contenuto. Patrizia Violi ha tracciato i
caratteri fondamentali delle semantiche dizionariali, dette anche semantiche a tratti, che sono
costituite da elementi linguistici che devono definire altri elementi linguistici e non prendono in
considerazione la cosiddetta conoscenza del mondo. Esse si basano sull'idea che i termini sono
scomponibili in ulteriori unità di significato più generali. Viola riporta il seguente esempio di analisi
componenziale di uomo, donna, bambino, bambina: uomo = ANIMATO + UMANO + MASCHIO
+ ADULTO; bambina = ANIMATO + UMANO + NON MASCHIO + NON ADULTO

Violi riassume tre ordini di problemi: - la natura dei tratti: che tipi di oggetti sono i tratti semantici
quali UMANO, ADULTO e simili? - il problema dei primitivi: fino a che punto deve arrivare la
scomposizione in tratti? Esistono componenti di significato 'ultimi' a cui l'analisi può fermarsi? - la
struttura della rappresentazione: quale e quanta informazione deve essere rappresentata e
scomposta in tratti?

Per quanto riguarda il problema della natura dei tratti, essi vengono considerati come costrutti
teorici che appartengono al metalinguaggio della descrizione: in quanto tali, essi sono distinti dal
linguaggio-oggetto che devono descrivere, anche se poi vengono rappresentati da termini
linguistici, poiché non possediamo altri mezzi per parlare dei significati linguistici se non il
linguaggio stesso. Per quanto riguarda il problema dei primitivi, risulta evidente come la ricerca dei
primitivi sul piano del contenuto non possa avere lo stesso esito della ricerca dei primitivi sul piano
dell'espressione, che ha avuto ottimi risultati con la fonologia. Questa è la ragione per cui Hjelmslev
può solo fornire un piccolo esempio di figure del contenuto (primitivi) che descrivono alcuni
significati, ma non può nè estendere il modello, nè tanto meno arrivare alla definizione di un
inventario limitato di primitivi valido per l'intero piano del contenuto. Per quanto riguarda la
struttura della rappresentazione, il problema è capire quale e quanta informazione può entrare nella
rappresentazione di un significato. Alla base di queste teorie vi è l'ipotesi che la nostra conoscenza
si basa su due repertori differenti: da una parte le conoscenze della lingua, di natura appunto
linguistico-concettuale, dall'altra le conoscenze del mondo, che provengono dall'esperienza
empirica. I sostenitori delle semantiche a tratti pensano che il significato sia di principio separabile
dalla conoscenza del mondo, e sia possibile isolare in modo preciso un insieme ristretto di
componenti che circoscrivono solo la nostra conoscenza linguistico-dizionariale. La distinzione fra

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conoscenze dizionariali e conoscenze del mondo è difficile da stabilire teoricamente. Se


consideriamo il significato di mucca, i tratti 'animale', 'bovino' e 'mammifero' sarebbero proprietà
linguistico-concettuali, mentre le proprietà 'avere quattro zampe', 'muggire' e 'produrre latte'
deriverebbero dalla conoscenza del mondo. Tuttavia risulta assai difficile individuare i criteri su cui
basare questa distinzione. L'altra notevole difficoltà teorica delle semantiche a tratti è data
dall'impossibilità di cancellare un tratto, tanche che una sedia imbottita, o con una gamba centrale
invece di quattro, o senza schienale, cioè senza uno dei tratti definitori costitutivi, non potrebbe
essere definita 'sedia'. Proprio dalla constatazione dell'inconsistenza delle semantiche dizionariali,
Eco arriva a sostenere la necessità della semantica a enciclopedia. Se dobbiamo spiegare il termine
/cane/ a un bambino, possiamo mostrargli la foto di un cane, disegnarlo, possiamo dargli una
definizione una definizione, possiamo indicargli un cane che passa per strada. Questi sono tutti
interpretanti che contribuiscono a delineare il significato di /cane/. Gli interpretanti sono dati
oggettivi, nel senso che sono collettivamente verificabili. Gli interpretanti sono registrati
collettivamente e vanno a costituire, appunto, l'enciclopedia. Che un gatto sia non solo un felino
domestico, ma anche l'animale adorato dagli egiziani, un infingardo amante della casa che non
muore di inedia sulla tomba del padrone, l'animale prediletto delle streghe e così via.. sono tutte
interpretazioni dell'espressione /gatto/. In una semantica a interpretanti non ci sono quindi entità
metalinguistiche e universali semantici: in questa prospettiva, il significato di /uomo/ comprenderà
certamente alcuni tratti come 'maschio', 'adulto', 'umano' ma anche i suoi aspetti anatomici (gambe,
braccia..) i suoi aspetti sociali, la sua dimensione psicologica, le illustrazioni che lo rappresentano,
le pitture ecc. Si noti che, mentre nel modello dizionariale si restava nell'ambito delle informazioni
linguistiche, nel modello enciclopedico si sconfina nella dimensione più complessa delle
conoscenze del mondo. Se possiamo postulare l'enciclopedia in quanto competenza globale, bisogna
valutare i livelli di possesso dell'enciclopedia, ovvero le enciclopedia parziali (di gruppo, di setta,
etniche). Dall'astrazione indefinitamente vasta dell'enciclopedia globale si passa quindi alle
enciclopedie locali, porzioni di sapere da individui o gruppi. Eco è convinto che sia possibile
prevedere un ventaglio di usi comunicativi di una parola, e che quindi la descrizione semantica
dovrebbe essere capace di prevedere i contesti, le circostanze e le situazioni nelle quali una parola
assumerebbe significati specifici.

6 IL DIBATTITO SULL'ICONISMO

Fin dall'inizio delle sue ricerche semiotiche, Eco ha riflettuto molto sullo statuto segnico delle
immagini, e quindi sui segni iconici, partecipando da protagonista al cosiddetto dibattito
sull'iconismo che attraversa la semiotica per un decennio a partire dalla metà degli anni '60. Il
dibattito sull'iconismo inizia nel 1964, quando esce il n.4 della rivista Communications che ha in
appendice gli Elements de semiologie di Roland Barthés. Peirce aveva individuato tre tipi
principali di segni: i simboli, gli indici e le icone. Il simbolo è un segno non-motivato, ha un
rapporto arbitrario con l'oggetto che rappresenta (i segni del linguaggio naturale, della matematico,
del codice della strada...); l'indice è un segno fisicamente o casualmente connesso con il proprio
oggetto (la firma, la bandierina che indica la direzione del vento, il dito puntato verso qualcosa...);
l'icona – dice Peirce – è correlata al suo oggetto in virtù di un carattere di similarità (illustrazioni,
ritratti, suoni onomatopeici...). Ne La struttura assente, Eco si trova ad affrontare proprio questi
problemi: anzitutto egli critica l'idea che qualunque sistema semiotico debba essere dotato di doppia
articolazione, ma poi soprattutto mette in discussione la 'naturalità' del segno iconico. Peirce aveva
definito le icone come quei segni che hanno una sorta di 'nativa somiglianza' con l'oggetto
rappresentato. Ecco la replica di Eco: cosa significa dire che il ritratto della Regina Elisabetta ha le
stesse proprietà della Regina Elisabetta? Il buon senso risponde: perché ha la stessa forma degli
occhi, del naso, della bocca, stesso colorito... ma cosa vuol dire la stessa forma del naso? Il naso ha
tre dimensioni, mentre l'immagine del naso solo due; il naso ha pori e protuberanze minuscole, la
sua superficie non è liscia ma ineguale a differenza del naso del ritratto. Con Eco la somiglianza tra
segni iconici e i loro referenti viene messa in discussione e a questo punto si delineano due

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posizioni a proposito dell'iconismo: i sostenitori della naturalità dell'immagine (come Barthés),


chiamati iconisti, e i sostenitori della sua totale arbitrarietà, chiamati iconoclasti (come Eco). Eco
pensa che ogni volta che rappresentiamo la realtà dobbiamo ricorrere a degli schemi e dei modelli:
l'idea di rappresentazione pura che riproduca esattamente e fedelmente ciò che si vede è insomma
solo un mito. Così bisogna tenere presente che ne La struttura assente vengono discussi due ordini
di problemi che a tratti si sovrappongono: il primo problema è la percezione della realtà che ci
circonda: secondo Eco riconosciamo oggetti del mondo grazie a schemi mentale: tali schemi
attivano codici di riconoscimento che ci permettono di selezionare gli aspetti che consideriamo più
importanti. Ma in modo più radicale sostiene che questi schemi influenzino la nostra percezione
della realtà, ci inducano cioè a vedere le cose in un certo modo: se c'è somiglianza questa sussiste
non tra il segno iconico e il referente ma tra il segno iconico e lo schema mentale. La somiglianza
non è tra significante e significato ma fra significante e percezione del significato. Il secondo
problema riguarda lo statuto di questa somiglianza: Eco sostiene che di fronte alla silhouette di un
cavallo noi possiamo certamente riconoscere un cavallo ma dal disegno non provengono stimoli
uguali a quelli del cavallo reale. E quindi: "i segni iconici riproducono alcune condizioni della
percezione dell'oggetto ma dopo averle selezionate in base a codici di riconoscimento e averle
annotate in base a convenzioni grafiche". Eco insiste molto sulla convenzionalità sia dei codici di
riconoscimento (schemi mentali di percezione) sia dei codici iconici (sia delle icone stesse).

JURIJ M. LOTMAN – la semiotica della cultura

1 LA DEFINIZIONE SEMIOTICA DI CULTURA


Secondo Lotman, oltre ai bisogni naturali, le collettività umane hanno bisogno di cultura. Se da un
lato l'uomo è un consumatore di valori materiali, dall'altro è un accumulatore di informazioni: dal
punto di vista biologico è sufficiente il primo processo, ma la vita sociale li presuppone entrambi.
Lotman definisce la cultura come memoria di quanto è già stato vissuto dalla collettività: la
cultura può includere, testi scritti, immagini, strutture architettoniche, spazi urbani ecc.. La cultura
funziona sullo sfondo della non-cultura, che indica uno spazio culturale altro, dotato di codici
diversi. Qui entra in gioco il meccanismo di appropriazione culturale della realtà: l'attività
culturale consiste nel tradurre una certa porzione di realtà in una delle lingue della cultura,
trasformandola in testo, e introdurre questa nuova informazione nella memoria collettiva. Il
meccanismo di appropriazione si può basare su due presupposti: (i) il mondo è un testo, cioè un
messaggio dotato di senso, quindi l'uomo si appropria del mondo decifrandone il testo relativo e
traducendolo in una lingua che gli è accessibile; (ii) il mondo non è un testo, e in questo caso
l'appropriazione si realizza trasformando un non-testo in testo (cioè ad esempio introdurre le
strutture culturali della società in un non-testo alieno come quello del mondo barbaro). Nei suoi
aspetti dinamici, la cultura assimila testi, li traduce nei suoi linguaggi, dialoga continuamente con la
non-cultura producendo nuova informazione.

Dal punto di vista semiotico la cultura è definita come un sistema modellizzante secondario,
laddove la lingua naturale è un sistema modelizzante primario, che funge da mezzo e modello per
tutti gli altri linguaggi culturali: da mezzo perché con la lingua naturale parliamo dell'arte,
dell'architettura, della danza ecc.; da modello perché noi pensiamo l'arte, l'architettura e altri sistemi
culturali come linguaggi, e siamo quindi inclini a pensare che questi linguaggi funzionino come la
lingua. Pensando la cultura come modello a matrice linguistica, Lotman sta pensando a forme
culturali artistiche (letteratura, pittura ecc.) o forme culturali testualizzate (testi mistici, artistici,
folklorici, religiosi ecc.), le quali basandosi sulla lingua naturale vanno a costruire una sorta di
'lingua di secondo grado'.

2 LA SEMIOTICA DELLA CULTURA


Lotman intende inaugurare uno studio semiotico della cultura . Fino allora, i formalisti russi
avevano rifiutato metodi psicologici, sociologici o filosofici, e non si soffermavano sui dati

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biografici dello scrittore, né sul contesto sociale dell'opera. I semiologi della cultura decidono di
studiare i meccanismi strutturali e tipologici che caratterizzano i fenomeni culturali. L'ipotesi di
partenza è che la cultura sia un vasto spazio in cui coesistono molti sistemi di significazione: la
scrittura, la moda, le arti visive, la religione, i giochi, i miti ecc. Secondo gli studiosi della Scuola
di Tartu, un sistema di significazione isolato non può costituire cultura perché la condizione
minima è che sussista almeno una coppia di sistemi correlati, per esempio un testo in lingua
naturale e un disegno. La semiotica è quindi la disciplina che studia proprio la correlazione tra i
diversi sistemi segnici che costituiscono la cultura. Lotman prova ad analizzare il comportamento
dei decabristi, rivoluzionari di estrazione nobiliare che, nel dicembre del 1825, alla morte dello zar
Alessandro I, parteciparono ai movimenti insurrezionali a Pietroburgo. Ogni loro gesto è altamente
simbolico, ogni azione significativa, e quindi da parte del decabrista c'è una certa tendenza alla
teatralità, ma non in senso negativo.

Ne consegue un'amplificazione di tutto il comportamento, una distribuzione di maschere letterarie


caratteristiche tra persone reali, l'idealizzazione dei luoghi e degli spazi dell'azione. E' per questa
ragione, secondo Lotman, che il comportamento dei decabristi può essere oggi decodificato
attraverso l'interpretazione letteraria, ed è in questo senso che la semiotica può studiare la
correlazione tra diversi sistemi segnici. Parlare di 'poetica del comportamento' significa assumere
che i comportamenti sono orientati secondo le norme dei testi artistici, e vissuti in modo estetico: è
la semiotizzazione del comportamento quotidiano, che porta alla creazione degli stili
comportamentali: "il modo di parlare, camminare, di vestirsi indicava senza possibilità di errore il
posto occupato dalle persone nel sociale".

In linea con le altre tradizioni semiotiche, il testo è considerato l'unità di base da analizzare, e i
semiotici della cultura non applicano il concetto di testo solo ai messaggi in lingua naturale, ma
anche a qualsiasi veicolo di un significato globale (rito, opera d'arte figurativa, composizione
musicale ecc.). Inoltre in una semiotica della cultura è centrale il concetto di traduzione: ci sono,
infatti, testi di altre culture che vengono tradotti e cominciano a circolare ricodificati, testi della
tradizione che vengono ritradotti e aggiornati, testi appartenenti a un sistema di significazione che
vengono tradotti in un altro sistema di significazione (dalla letteratura alle arti visive, dal teatro alla
moda..).

3 TIPOLOGIA DELLA CULTURA


Un modo efficace per dare una caratterizzazione tipologica alla cultura è valutare il modo in cui
essa si definisce da sé, cioè il modo in cui si autovaluta. E' determinante pertanto la capacità della
cultura stessa di individuare dei testi auto-modelizzanti, introducendo nella propria memoria una
concezione di sé. Ecco come la cultura si divide in tipologie differenti: alcune culture si
rappresentano come un insieme di testi, altre come sistemi di regole. Una cultura testualizzata si
basa sulla consuetudine, sull'analisi dei casi e delle regole precedenti e orientata prevalentemente
sull'espressione (Common Law); una cultura grammaticalizzata si basa sulla legge, sull'analisi
minuziosa delle regole e norme esistenti, e orientata prevalentemente sul contenuto (diritto romano).
Solo le culture che hanno un sistema del contenuto altamente segmentato possono basarsi su un
sistema grammaticale molto articolato, mentre le culture che non hanno sufficientemente
differenziato i propri contenuti si affidano a formule espressive da imitare. Lotman cita l'esempio
delle regole del duello e dell'onore nella cultura aristocratica rusa del Settecento e primo Ottocento:
in assenza di norme esplicite, si impone la figura del 'custode della tradizione', il quale conosce le
consuetudini e può assumere il ruolo di codificatore. Non si può insomma parlare di superiorità
della regola o della consuetudine.

Un'altra caratterizzazione tipologica può essere data attraverso la distinzione tra culture orientate
verso il pensiero mitologico e culture orientate verso il pensiero non mitologico. La differenza
consiste sostanzialmente nel modo in cui si può descrivere il mondo: la cultura mitologica tende

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verso la lingua-oggetto rimanendo entro il suo perimetro, mentre la cultura non mitologica elabora
un metalinguaggio descrittivo servendosi di una lingua astratta. La descrizione mitologica è
monolinguistica: gli oggetti di questo mondo vengono descritti attraverso lo stesso mondo. La
descrizione non mitologica è polilinguistica, poiché si ricorre a un metalinguaggio che di fatto è
un'altra lingua. Ne consegue che la comprensione dei testi mitologici implica un riconoscimento,
un'identificazione, una semplice trasformazione di oggetti; la comprensione dei testi non mitologici
implica una traduzione (da una lingua a un'altra).

Un altro parametro per tipologizzare le culture è quello che considera le modalità comunicative. Si
possono, infatti, distinguere le culture con una comunicazione di tipo "IO-EGLI", e le culture con
una comunicazione di tipo "IO-IO". La comunicazione "IO-EGLI" rappresenta il caso più tipico:
c'è un soggetto della trasmissione ("IO") che possiede l'informazione e c'è un destinatario ("EGLI")
che aspetta di ricevere il messaggio. Nel caso della comunicazione "IO-IO", invece, il soggetto
trasmette un messaggio a se stesso (un esempio può essere rappresentato dalle annotazione
diaristiche, fatte non tanto per fissare un ricordo quanto per chiarire un certo stato d'animo a se
stessi). Secondo Lotman, nel sistema "IO-IO" il depositario dell'informazione non cambia, mentre il
messaggio si modifica e acquista nuovo senso. Ha luogo una trasformazione qualitativa
dell'informazione, e di conseguenza un riorientamento dello stesso "IO". Nella comunicazione "IO-
EGLI" abbiamo a che fare con un'informazione data in anticipo, che viene trasferita da una persona
all'altra, con codice stabile all'interno del processo comunicativo; nella comunicazione "IO-IO"
abbiamo un aumento dell'informazione attraverso l'introduzione di nuovi codici: mittente e
destinatario coincidono, e ha luogo una riorganizzazione della personalità che può avere importanti
funzioni culturali, dalla costruzione del senso dell'identità alla psicoterapia. Le culture orientate
sulla comunicazione "IO-EGLI" hanno un carattere dinamico e tendono a un rapido aumento delle
conoscenze; per contro la verità viene concepita come un messaggio bell'e pronto e da ricevere con
sostanziale passività. Le culture orientate sulla comunicazione "IO-IO" tendono, invece, a
sviluppare la dimensione spirituale.

Secondo Lotman è necessario creare un sistema metalinguistico uniforme che in nessuna parte
coincida con la lingua dell'oggetto: va in questa direzione il tentativo di costruire un
metalinguaggio spaziale per la descrizione delle culture, utilizzando quindi l'apparato della
topologia. Ma occorre delineare un testo della cultura, cioè un testo che rappresenti l'invariante di
tutti i testi appartenenti all'area culturale che si intende descrivere. A partire dal testo della cultura
invariante, i testi costituiranno le sue realizzazioni concrete in strutture segniche di diverso tipo. I
testi della cultura possono essere suddivisi in due sottotesti: (i) i testi che caratterizzano la struttura
del mondo: rispondo alla domanda "com'è organizzato?", e si distinguono per la loro immobilità;
essi presentano uno spazio "discreto", (ii) i testi che caratterizzano l'attività dell'uomo nel mondo
circostante: descrivono i movimenti dei soggetti all'interno di un continuo, e sono caratterizzati
dalla narratività: rispondono alle domande "che cosa e come avvenne?", "che cosa fece lui?". Nella
descrizione spaziale dei modelli della cultura è fondamentale il tratto della frontiera. Lotman indica
un tipo molto semplice di delimitazione dello spazio culturale: una frontiera divide uno spazio
bidimensionale in due parti, due porzioni, una esterna (ES) e una interna (IN); un tale modello
spaziale della cultura può rappresentare l'opposizione elementare "noi vs altri": in questo schema,
l'orientamento è dato dalla coincidenza di un determinato spazio con il punto di vista del depositario
di un testo: l'orientamento sarà diretto se il punto di vista coincide con lo spazio interno del modello
culturale (cioè con la "nostra" cultura), o sarà invece inverso se il punto di vista coincide con i punti
dello spazio esterno (cioè con "l'altra" cultura). Ecco alcune possibili opposizioni elencate da
Lotman: mio, nostro popolo vs popoli stranieri; sacri vs profani; cultura vs barbarie.

Per esempio, nei testi europei del medioevo il cristiano ("iniziato") gode di una valutazione positiva
rispetto al "profano", poiché il testo della cultura è orientato secondo il suo punto di vista e coincide
con lo spazio interno.

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4 LA SEMIOSFERA
I concetti elaborati da Lotman fino alla metà degli anni '70 rimangono costanti anche nella
produzione successiva. Tuttavia i saggi riuniti nel volume La semiosfera (del 1985) li riesaminano a
partire da presupposti teorici differenti, e alla luce di nuovi interessi epistemologici. Lotman
individua la tradizione che risale a Peirce e Morris, al centro della quale si colloca il segno isolato
da cui si generano altri segni (interpretanti), e la tradizione che risale a Saussure, al centro della
quale si pone l'atto comunicativo isolato. Secondo Lotman, queste due tradizioni muovono da
esigenze di analisi che però non trovano risconstro nella realtà, dove i sistemi non presentano
elementi in isolamento, ma sempre immersi in un continuum semiotico omogeneo, chiamato
appunto semiosfera. La semiosfera è l'insieme dei segni che appartengono a uno spazio conchiuso,
all'interno del quale si possono realizzare processi comunicativi ed elaborare nuove informazioni.
La semiosfera può essere considerata come un organismo unico, uno spazio semiotico complessivo,
che nella sua unitarietà rende significativo il singolo atto segnico (testo, frammento di lingauggio
ecc.). Immaginiamo la sala di un museo nella quale siano esposti oggetti appartenenti a secoli
diversi, iscrizioni in lingue note e ignote, istruzioni per la decifrazione, un testo esplicativo redatto
dagli organizzatori, gli schemi itinerari per la visita della mostra, le regole di comportamento per i
visitatori. Se vi collochiamo anche i visitatori con i loro mondi semiotici, avremo qualcosa che
ricorda il quadro della semiosfera. La semiosfera può essere intesa sia in senso globale (l'intero
spazio della significazione, cioè una cultura) sia in senso locale e specifico (un determinato spazio
semiotico, per esempio un museo) ma è certo che la semiosfera manifesti – in ogni caso –
omogeneità semiotica.

Se lo spazio della semiosfera è circoscritto, si conferma come fondamentale il concetto di confine.


Affinché i testi esterni alla semiosfera diventino comprensibili è necessario tradurli in una della
lingue della semiosfera. In pratica, si semiotizzano i fatti non semiotici. Lo spazio "non semiotico" è
pertanto lo spazio di un'altra semiotica. Lotman ribadisce che, se da un lato la cultura svolge le
funzioni di conservazione e trasmissione dell'informazione, dall'altro deve elaborare informazioni
nuove. L'elaborazione di nuove informazioni richiede che tra i sistemi culturali vi sia una sorta di
dinamismo strutturale, cioè uno scambio attivo e strategico di informazioni. Una cultura C1 riceve
uno o più testi appartenenti alla cultura C2: attraverso l'interpretazione – che di fatto è una
disintegrazione/riorganizzazione – dei testi ricevuti, la cultura C1 "trae fuori dalle proprie viscere"
un'immagine della cultura C2. Questa immagine prodotta è una sorta di simmetria speculare
elaborata da C1, un modello di fronte al quale la cultura C1 può specchiarsi, trovandovi similarità e
differenze. C1 proietta un'immagine diversa ma correlata, dal momento che l'identità totale
renderebbe il dialogo inutile e la differenza totale impossibile. Nel dialogo tra culture è necessario
che le culture siano diverse e che abbiano un'asimmetria correlata. La cultura crea una cultura
estranea perché interpreta i suoi testi attraverso i propri codici, perché ne scaturisca un'immagine
funzionale ai suoi scopi, e perché una cultura non può fare a meno di proiettare se stessa e i suoi
codici sui mondi culturali che si trovano al di là dei suoi confini. L'immagine interiorizzata dell'altra
cultura deve essere allo stesso tempo "estranea", cioè non del tutto riconducibile ai codici della
cultura che la descrive, e "non estranea", cioè deve essere tradotta nel linguaggio interno della
cultura. Queste forze centrifughe hanno bisogno di essere controbilanciate da meccanismi opposti,
che diano unità e stabilità ai materiali eterogenei che si producono. Ecco quindi che dall'asimmetria
che produce dinamismo si deve tornare alla simmetria che garantisce stabilità, conservazione.
Questa funzione di stabilizzazione è svolta dalle metadescrizioni, cioè dalle riflessioni semiotiche
sui meccanismi culturali. Le metadescrizioni pongono un freno alle trasformazioni culturali,
redigendo i canoni, ricordando le regole, ridefinendo le grammatiche e i codici di ciascun sistema
culturale. In questi termini, la semiosfera appare come uno spazio culturale stabile e dinamico,
simmetrico e asimmetrico, che consente l'elaborazione di nuove informazioni.

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5 PROCESSI CONTINUI ED ESPLOSIONI: DINAMICHE DEI SISTEMI CULTURALI


Nei saggi dell'ultima fase, raccolti nel volume La cultura e l'esplosione (1993), Lotman riprende due
questioni cruciali che riguardano inevitabilmente qualsiasi sistema semiotico: (i) il rapporto del
sistema con l'extrasistema, cioè il mondo che si estende al di là dei suoi confini e (ii) il rapporto tra
statica e dinamica. Egli pensa il sistema culturale semiotico come un insieme di lingue, e definisce
il sistema extrasemiotico come extralinguistico, cioè come una realtà che le lingue della cultura
devono inglobare e trasformare in contenuto. In questa prospettiva risulta fondamentale l'attività di
traduzione: la realtà extralinguistica va comunque pensata come una lingua, e, partendo da lì, la
definizione del significato è sempre, in fondo, traduzione da una lingua all'altra. Per quanto riguarda
invece le dinamiche dei sistemi culturali, vi sono due possibili "movimenti in avanti": i due
momenti dell'esplosione e dello sviluppo graduale non vanno pensati solo come fasi che si
succedono l'una all'altra ma anche come dinamiche che si sviluppano contemporaneamente. In un
sistema semiotico possono esservi, infatti, strati che subiscono trasformazioni esplosive e strati che
si modificano gradualmente. Così, le sfere della lingua, della politica, della moda e della morale
possono avere differenti velocità nel loro sviluppo dinamico, con combinazioni anche simultanee di
processi esplosivi e graduali: se nel nostro periodo la moda femminile in Europa ha la velocità di
rivoluzione di un anno, la velocità di mutazione della struttura fonologica è talmente lenta da
risultare impercettibile. Ma anche all'interno di una medesima sfera culturale vi possono essere
spinte propulsive e movimenti di contenimento: nello spazio culturale della moda si svolge, secondo
Lotman, una lotta costante tra la tendenza alla stabilità, giustificata dalla tradizioni, dalla moralità,
da vincoli storici e religiosi, e insieme l'orientamento verso la novità e la stravaganza. Del resto, se i
processi esplosivi assicurano l'innovazione, i processi graduali assicurano la continuità.

Scaricato da martina casale (martinacasale22@gmail.com)

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