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CAPITOLO QUARTO
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I FONDAMENTI BIOLOGICI DEL LINGUAGGIO
E LE PATOLOGIE
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Sommario: 1. Linguaggio e cervello. - 2. Fisiologia del linguaggio. - 3. Le patologie
del linguaggio orale: le afasie. - 4. Le patologie del linguaggio scritto: dislessie e
disgrafie.
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1. LINGUAGGIO E CERVELLO
li
Fin dall’antichità sono state avanzate teorie sulle relazioni tra cervello e
linguaggio, ma solo da circa un secolo e mezzo le conoscenze su questa
se
relazione hanno acquisito una sistematicità e una consistenza scientifiche.
All’origine di questo studio scientifico ci sono stati soprattutto gli studi
sull’afasia condotti nel secolo XIX, in particolare da Broca e da Wernicke,
Es
i cui nomi sono rimasti legati a due specifiche aree della corteccia cerebra-
le, preposte al linguaggio.
A) Il cervello umano e la corteccia cerebrale
Il cervello degli esseri umani è un organo straordinariamente complesso
©
da una struttura chiamata ‘corpo calloso’, che permette agli impulsi nervosi
di passare da un emisfero all’altro. Ciascun emisfero si suddivide poi in
quattro lobi, delimitati almeno parzialmente da solchi particolarmente mar-
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cati. I lobi sono, partendo dalla parte anteriore verso quella posteriore: il
lobo frontale, parietale, temporale e occipitale.
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se
Per quel che riguarda le funzioni, si è soliti distinguere tre diversi tipi di
regioni della corteccia cerebrale:
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— l’area motoria primaria, che si trova nella porzione posteriore del lobo
frontale ed è adiacente all’area somatosensoriale;
ht
— le rimanenti aree della corteccia sono dette aree associative, che ricevo-
no stimoli dalle parti inferiori del cervello e dalle aree sensoriali, e sono
responsabili dei complicati processi cognitivi come la percezione, l’at-
ig
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ne danneggiata inferisce la sua localizzazione in una parte specifica del cer-
vello, ci sono due postulati:
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— la mente ha un’architettura funzionale e neurologica di tipo multicom-
ponenziale;
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— il comportamento di un soggetto che ha subito una lesione cerebrale è
determinato dall’attività complessiva del cervello, meno la componente
danneggiata dalla lesione. Questo postulato (detto della «costanza») im-
plica che, dopo la lesione, non vi è una riorganizzazione del sistema
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nervoso che in qualche modo supplisca al danno subìto.
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Già dalla fine del Settecento fisiologi e anatomisti si sono interessati
all’ipotesi di localizzare le funzioni celebrali, cioè di determinare le aree
specifiche del cervello che controllano specifici comportamenti e abilità.
li
All’inizio dell’Ottocento questo studio ha preso il nome di frenologia,
che postulava che la mente umana non fosse un’unità indifferenziata ben-
se
sì multicomponenziale e tentava perciò di individuare diverse facoltà in-
tellettuali ed emotive, ognuna localizzata in un’area distinta della cortec-
cia cerebrale. Nonostante l’insufficienza di questi primi tentativi, si trat-
tava comunque dell’inizio di una concezione materialistica dei processi
Es
mentali.
Verso la fine del 1800 gli studi sull’afasia permisero di individuare due
diverse aree specifiche della corteccia preposte al linguaggio; entrambe
situate nell’emisfero sinistro. La prima ad essere scoperta fu l’area di Broca,
©
situata nella parte infero-posteriore del lobo frontale sinistro. Deve il suo
nome al chirurgo francese Paul Broca, il quale nel 1861 dimostrò che lesio-
ht
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Wernicke mise in relazione le pro-
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prie scoperte con quelle di Broca e
propose un modello neuroanato-
mico dell’organizzazione delle fun-
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zioni linguistiche, secondo il quale
nel cervello esistono due centri del
linguaggio ed una via di comunica-
zione che li connette: l’area di
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Wernicke, deputata alla com-
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prensione, e l’area di Broca, pre-
posta invece alla produzione; la via di comunicazione che connette le due
aree è costituita da un fascio di fibre nervose detto fascicolo arcuato.
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Queste scoperte anatomo-patologiche portarono all’idea di un’asimme-
tria funzionale dei due emisferi del cervello umano per quanto riguarda il
se
linguaggio e non solo. Secondo Broca «l’uomo parla con l’emisfero sini-
stro».
Dalla metà dell’Ottocento in poi i neurofisiologi raccolsero una grande
quantità di dati e di osservazioni anatomo-cliniche, che portarono ad ela-
Es
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le attività elementari di senso e di moto, i due emisferi sono oggi consi-
derati equivalenti;
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— la dominanza manuale non indica con certezza una dominanza emisfe-
rica. Infatti la maggioranza dei mancini non ha un’organizzazione delle
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funzioni corticali invertita rispetto a quella dei destrimani. I dati clinici
su pazienti afasici mostrano che nel 61% dei mancini le funzioni lingui-
stiche sono localizzate nell’emisfero sinistro, e nel 20% su entrambi gli
emisferi;
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— l’asimmetria dei due emisferi non è una caratteristica specie-specifi-
ca degli esseri umani; esistono infatti asimmetrie anatomiche e funzio-
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nali anche nel cervello di altri animali.
Secondo il modello della specializzazione emisferica, oggi prevalente,
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l’emisfero sinistro è specializzato nelle capacità prassiche e nei processi di
elaborazione simbolica e analitica, compreso dunque il linguaggio. L’emi-
se
sfero destro è invece maggiormente specializzato in compiti di elaborazio-
ne spaziale e percettiva (per esempio la percezione di una melodia e di rela-
zioni spaziali).
Queste specializzazioni non vanno però intese in senso assoluto. Per
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mente. Molte prove sperimentali mostrano infatti che le aree del cervello
coinvolte nel linguaggio non sono solo le aree di Broca e di Wernicke ma si
distribuiscono in tutti i lobi della neocorteccia, e includono l’area tempora-
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fosse stato ipotizzato in precedenza sulla base degli studi sulle afasie. Infat-
ti da alcuni anni esistono nuove tecniche di indagine che permettono di
esaminare dettagliatamente e in tempo reale i processi che avvengono nel
cervello durante l’esecuzione di compiti linguistici, monitorando l’attività
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elettrica della corteccia, il metabolismo cellulare o altri processi biochi-
mici nelle varie zone del cervello. Per questo oggi molti autori privilegiano
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una visione distribuita delle funzioni neurali: l’elaborazione del linguag-
gio è un’attività complessa che risulta dall’integrazione dell’attività di mol-
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te diverse regioni di entrambi gli emisferi, le quali si trasmettono l’informa-
zione tramite fasci di neuroni connettivi.
Tale visione (sostenuta in particolare dal programma psicologico chia-
mato «connessionismo») può essere ricondotta ad una teoria «olistica» del
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funzionamento del cervello, che si contrappone alle teorie «localistiche»,
le quali presuppongono invece la possibilità di identificare specifiche aree
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preposte al funzionamento del linguaggio. Tra i sostenitori di queste secon-
de teorie, oltre a Broca e Wernicke nell’Ottocento, si segnala nel Novecento
Norman Geschwind, che ha ripreso il modello di Wernicke proponendo
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una teoria nota come modello di Wernicke-Geschwind.
se
Molti autori sostengono che il linguaggio non è solo una funzione corticale. Lieberman ha
mostrato casi di lesioni sottocorticali (al talamo o ai gangli della base) che possono portare
a sindromi afasiche. L’integrità del funzionamento del sistema linguistico, perciò, può di-
pendere anche da una complessa rete nervosa sottocorticale, e non solo dal sistema cortica-
Es
base; tale sistema regola l’esecuzione di diverse attività apparentemente non connesse tra
loro, come parlare, comprendere la struttura sintattica di frasi ma anche muovere le dita e
risolvere problemi cognitivi. Le basi neurali del linguaggio, dunque, oltre a non essere
ht
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Una prima ipotesi – conosciuta come «ipotesi dell’invarianza» – so-
stiene che le aree coinvolte nel linguaggio sono anatomicamente e funzio-
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nalmente asimmetriche già dalla nascita o anche prima: nasciamo con l’emi-
sfero sinistro già specializzato per il linguaggio, soprattutto per alcune com-
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petenze linguistiche come quelle fonologiche. Solo gravi lesioni che com-
promettano contemporaneamente ampie regioni dell’emisfero sinistro pos-
sono fare sì che le sue funzioni vengano svolte da quello destro.
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L’ipotesi alternativa, proposta da Lenneberg nel 1967, è che la specializzazione funziona-
le dell’emisfero sinistro per il linguaggio sia il risultato della plasticità del cervello e della
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maturazione che avviene tra il secondo ed il quinto anno di vita, e che poi diminuisce e si
completa entro i 7-10 anni. Il periodo «critico» corrisponde a quello stadio evolutivo du-
rante il quale il sistema nervoso centrale matura e assume una struttura definitiva, e in cui
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la presenza o assenza di stimolazioni ambientali ha un effetto cruciale per lo sviluppo
neurale.
L’ipotesi di un periodo critico per l’apprendimento del linguaggio, cioè di un periodo
se
entro cui è unicamente possibile per l’organismo sviluppare una capacità linguistica, è
controversa. È probabile che tale ipotesi valga soprattutto per alcuni aspetti del linguaggio,
in particolare per l’acquisizione delle regole fonologiche e della sintassi.
Es
Oggi viene generalmente giudicata falsa l’ipotesi che nel primo anno di
vita vi sia un’equipotenzialità emisferica, tuttavia è vero che per diversi
anni il cervello dei bambini è sufficientemente plastico da permettere che,
qualora avvengano delle lesioni, altre aree intatte dello stesso emisfero op-
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pure di quello opposto possano svolgere le funzioni che erano in carico alle
aree danneggiate.
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— la fonologia invece è quella parte della linguistica che studia come nelle
varie lingue è organizzato il sistema dei suoni che hanno una funzione
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distintiva (fonemi). La maggioranza delle lingue infatti usa in media
trenta fonemi circa, sebbene dal punto di vista fonetico siano possibili
S.
oltre seicento diversi foni che possono essere utilizzati nel linguaggio.
Questo significa che ogni lingua, tra tutti i possibili foni, ne seleziona
alcuni (i fonemi appunto) che sono rilevanti per formare e distinguere le
parole.
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Da ciò consegue anche che molte distinzioni che esistono in una lingua
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possono essere ignorate in un’altra.
Ad esempio in giapponese non esiste la distinzione tra le consonanti r ed l, che sono conside-
rate come varianti di un unico fonema, di solito etichettato /r/. Un parlante giapponese può
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bensì pronunciare i foni [r] ed [l] ma non può usare la differenza tra i due suoni per distingue-
re una parola da un’altra, come invece avviene in italiano, per esempio, con «rana» e «lana».
se
Dunque /r/ e /l/ sono fonemi dell’italiano, non perché siano effettivamente pronunciati dai
parlanti ma perché non possono essere scambiati tra loro (‘commutati’ si dice in linguistica)
in tutti i contesti senza modificare il significato delle parole in cui compaiono.
Es
Se invece consideriamo i foni [r] e [R] (la prima corrisponde alla pro-
nuncia normale italiana della consonante r, la seconda è la cosiddetta ‘erre
moscia’, prodotta mediante la vibrazione dell’ugola) e facciamo la prova di
commutazione, ci accorgiamo che è possibile scambiarli senza cambiare il
significato delle parole, cioè [rana] e [Rana] sono due pronunce diverse
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della stessa parola e, dunque, [r] e [R] sono varianti di un unico fonema. I
fonemi sono delle entità astratte, che non coincidono con le loro realizza-
ht
zioni concrete.
Ogni fonema rappresenta infatti una categoria di suoni e non un suono
fisicamente reale. Quando uno stesso fonema viene realizzato da diverse
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per esempio, non può essere una parola italiana, ma in sloveno è il nome
della città di Trieste).
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I fondamenti biologici del linguaggio e le patologie 53
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I sistemi di trascrizione fonetica e fonemica
p.
Alla distinzione tra fonetica e fonologia corrispondono due diversi sistemi di trascrizione
dei suoni del linguaggio che vengono usati in linguistica: in quello fonemico, che è più
astratto poiché tralascia i tratti che non sono distintivi nella lingua, i simboli fonici vengo-
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no racchiusi tra barre oblique (ad es. /r/); in quello fonetico, che viene usato per rappresen-
tare aspetti più dettagliati della pronuncia, i simboli sono racchiusi tra parentesi quadre (ad
es. [R ]). Il doppio sistema di trascrizione mostra la sua utilità particolarmente quando si
tratta di distinguere un fonema dai suoi allofoni. Così, ad esempio, possiamo distinguere il
fonema giapponese /r/ dai suoi allofoni (le sue concrete realizzazioni) come [r] o [l]. Per
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quel che riguarda i simboli fonici utilizzati, entrambi i tipi di trascrizione di solito fanno
uso dei simboli dell’Alfabeto Fonetico Internazionale. Un efficiente sistema di trascrizione
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dei suoni linguistici, infatti, dovrebbe basarsi su una corrispondenza biunivoca tra suono e
simbolo. Tale caratteristica però manca nei sistemi ortografici delle lingue naturali (si pensi
ad esempio alla differente pronuncia della stessa lettera c nella parola «cucire», per non
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parlare dell’inglese che presenta delle anomalie ancora maggiori dell’italiano); i linguisti
quindi hanno messo a punto degli alfabeti fonetici, che associano ogni suono ad un simbolo
diverso o ad una diversa combinazione di simboli. L’Alfabeto Fonetico Internazionale (noto
se
come IPA = International Phonetic Alphabet) è il più usato di questi alfabeti.
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mezzo elastico, e viene registrata dal nostro apparato uditivo attraverso il
timpano. I movimenti di questa membrana sono trasmessi dagli ossicini
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dell’orecchio medio all’orecchio interno, dove sono trasformati in impulsi
nervosi, che raggiungono le aree uditive della corteccia cerebrale. Del siste-
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ma uditivo umano fanno dunque parte le orecchie, alcune parti del cervello
e le vie nervose di connessione.
Ogni suono è caratterizzabile in base ad almeno due parametri:
— frequenza, cioè il numero di cicli al secondo; è misurata in herz (Hz) e
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determina l’altezza;
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— intensità, cioè la differenza fra il picco superiore e quello inferiore del-
l’onda nell’unità di tempo; viene misurata in decibel.
L’uomo è in grado di percepire suoni che vanno da 20 a 20.000-40.000
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Hz, ma è particolarmente sensibile nel range tra 1 kH e 4 kHz. La maggior
parte dei suoni linguistici ha una frequenza tra 600 Hz e 4 kHz.
se
C) Il sistema fonatorio
L’apparato fonatorio umano è composto da un certo numero di organi,
la cui funzione primaria è una funzione biologica (la respirazione, la deglu-
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nuova.
Tuttavia l’evoluzione ha fatto sì che esistano importanti differenze tra
ht
queste strutture fisiologiche negli uomini e negli altri animali. Per esempio
la muscolatura che regola i movimenti della lingua e delle labbra negli
uomini è molto più sviluppata e duttile. La produzione dei suoni del lin-
ig
suoni del linguaggio (la fonazione) può essere schematizzato come compo-
sto di tre elementi che interagiscono: quando pronunciamo una parola, pro-
duciamo innanzitutto (1) un flusso d’aria che fuoriesce dai polmoni, il qua-
op
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che. La lingua, le labbra, la mascella, il velo e la laringe sono le principali
strutture che attraverso il loro movimento sono responsabili dell’articola-
p.
zione delle parole.
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Principali struttura anatomiche che partecipano alla produzione dei suoni linguistici.
ht
da cassa di risonanza; il tratto vocale aperto che risuona può assumere diffe-
renti configurazioni, le quali producono differenti suoni vocalici. I fattori
che modificano l’articolazione sono la posizione della lingua, l’apertura
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relativa delle labbra e della faringe e la posizione della mascella. Ciascuno
di questi fattori dell’articolazione può essere controllato in maniera indi-
p.
pendente per produrre le varie vocali. La distinzione fra vocali e consonanti
non è sempre netta: alcuni suoni possono essere considerati come vocali,
S.
consonanti o semivocali a seconda delle lingue (per esempio la /1/ di «ta-
ble» in inglese non è considerata una consonante).
Le consonanti vengono distinte in base a tre principali caratteristiche:
— il modo di articolazione, che determina se si ha una chiusura del siste-
i
ma articolatorio ottenendo così una consonante occlusiva, oppure un
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suo restringimento che produce una consonante costrittiva (detta an-
che fricativa), o infine la combinazione di chiusura e restringimento
che genera una consonante affricata;
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— il luogo di articolazione, che riguarda il luogo in cui avviene la chiusu-
ra o il restringimento: possono esserci consonanti labiali prodotte dal
se
blocco e poi dall’apertura delle labbra (/p/, /b/); dentali, prodotte dal-
l’appoggio della lingua all’interno della dentatura (/t/, /d/); velari, pro-
dotte dal sollevamento della lingua verso il palato (/k/, /g/);
— i cosiddetti tratti accessori, che riguardano: A) la posizione del velo
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suono orale /b/ oppure la nasale /m/; B) il passaggio dell’aria fra le cor-
de vocali: se l’aria passa tra le corde vocali senza che queste vibrino, la
ht
consonante prodotta è sorda (/p/, /t/, /k/).; se invece le corde vocali ven-
gono fatte vibrare, la consonante è sonora (/b/, /d/, /g/).
La differenza tra consonanti sorde e sonore può essere calcolata anche
ig
in termini di VOT (Voice Onset Time), cioè il tempo che intercorre tra il
momento in cui viene rilasciato il meccanismo di occlusione e la vibrazione
delle corde vocali. Le consonanti sonore hanno un VOT breve o anche ne-
yr
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variamo progressivamente il valore del VOT, otteniamo una serie di seg-
menti acustici che sono fisicamente intermedi tra /da/ e /ta/. Se però questi
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suoni vengono presentati in successione ad un ascoltatore, egli non percepi-
rà delle sillabe intermedie tra /da/ e /ta/, ma continuerà a sentire /da/ fino ad
S.
un certo valore, dopo il quale percepirà chiaramente /ta/. Le diverse sillabe,
differenti dal punto di vista acustico, sono collocate percettivamente in una
di due categorie percettive, senza possibilità di casi intermedi. Questo feno-
meno viene definito percezione categoriale dei suoni del linguaggio e de-
i
nota un’asimmetria tra struttura acustica del suono e percezione uditiva da
parte degli ascoltatori. La percezione categoriale sembra essere una carat-
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teristica tipica del linguaggio umano, che non vale per la percezione di altri
eventi acustici.
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In fonologia è stata avanzata un’importante teoria per caratterizzare la struttura interna dei
suoni linguistici. Si tratta della teoria dei tratti distintivi, formulata inizialmente da Jakob-
se
son e poi ripresa anche da Chomsky, secondo la quale tutti i fonemi sono scomponibili in
una serie di tratti distintivi binari. Ogni tratto distintivo infatti può assumere il segno ‘+’ (se
è presente nel fonema in questione), oppure il segno ‘-’ (se è assente); ognuno rappresenta
un aspetto dell’articolazione: per esempio il fonema italiano /m/ ha il tratto [+ nasale]
Es
mentre in /b/ lo stesso tratto è assente [- nasale]. Inoltre i tratti distintivi sono considerati
universali, cioè in grado di descrivere i fonemi di qualsiasi lingua.
Molti dati sperimentali indicano che la teoria dei tratti distintivi ha una
validità psicologica. Le somiglianze e differenze tra fonemi che risultano
©
hanno molti tratti distintivi in comune (come /na/ e /ma/) piuttosto che due
che ne hanno di meno (come /na/ e /sa/).
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