Sei sulla pagina 1di 120

FONDAMENTI- introduzione al corso

Fondamenti è una materia psicobiologica: si propone di comprendere le basi biologiche


del comportamento, non solo quello osservabile, ma anche i processi mentali che stanno
appunto alla base, le motivazioni.
I tipici livelli dell’approccio piscobiologico vanno dall’osservazione diretta alla misuraziione
del comportamento, dal qualitativo al quantitativo.
In tal caso si può cercare di capire l'attività cerebrale che regola un certo comportamento o
addirittura l'attività delle singole cellule nervose.
Mettendo insieme i due livelli attraverso approcci sperimentali -approccio integrato-
abbiamo un’idea biologica delle manifestazioni comportamentali.
Nell'ambito della neuroscienza oggigiorno ci troviamo in una fase molto esplosiva, poichè
ci sono stati e sono in corso progressi tecnologici che hanno permesso e permetteranno di
rispondere a domande prima irrisolte.
Per esempio oggi possiamo vedere l’attività cerebrale di un soggetto quando percepisce
stimoli che percepirebbe nella vita reale attraverso una risonanza magnetica.

Ogni aspetto del nostro comportamento corrisponde all’attivazione di specifiche reti di aree
cerebrali.
ES.
 Il soggetto osserva: l'area massimamente attiva è nel retro del cervello (corteccia
visiva primaria- prima area corticale a cui arrivano le informazioni visive) - non è la
sola attiva ma la più attiva. (Viene fatto un confronto fra attività di una zona e
un’altra. Vengono colorate solo le aree mille volte più attive delle altre.)
 Il soggetto ascolta parole, ovvero suoni che ha imparato a parcellizzare
raggruppandoli in insiemi (le parole): si attivano due aree (corteccia uditiva primaria
e parte della secondaria -ci consente di rilevare e percepire i singoli suoni- e l'area
di Wernicke, ovvero l'area del linguaggio. Sono attive insieme perché collegate.
 Il soggetto ascolta un brano musicale che gli fa venire i brividi: si attiva nella parte
centrale il Nucleo Accumbens, sistema che colora di piacevolezza le nostre azioni,
motivarci a compiere i bisogni primari come mangiare, bere, coprirsi quando fa
freddo etc. Nonostante sia nato per invogliarci alla sopravvivenza il nucleo si è
evoluto per attivarsi anche in situazioni meno importanti (ex. quando ascoltiamo
una canzone).
 Il soggetto pianifica un percorso auto per evitare code: struttura coinvolta nella
memoria spaziale, ippocampo.

Ricevere, elaborare, trasmettere- sono azioni comiute dai neuroni, connessi tra di loro
tramite sinapsi, che trasmettono informazioni dal neurone presinaptico a quello
postsinaptico.
Circuito nervoso: insieme di un gruppo di neuroni connesso tra di loro tramite sinapsi - il
nostro comportamento dipende dall’attivazione di specifici circuiti nervosi coordinati nello
spazio e nel tempo, che possono anche includere neuroni situati in aree cerebrali diverse.
E’ il modo in cui i circuiti operano che ci permette di percepire ciò che ci circonda, come lo
giudichiamo e se lo ricordiamo. Quella che chiamiamo realtà è in realtà una costruzione
del nostro cervello, una ricostruzione basata sugli stimoli che esso ha ricevuto.
Illusione del rettangolo- la luminosità scende e sale per essere uguale ma noi vediamo un
rettangolo più scuro e uno più chiaro - posso imbrogliare i circuiti visivi.
La realtà che percepiamo dipende da come sono fatti i nostri circuiti nervosi e da come si
evolvono nel tempo. Alcuni circuiti nervosi sono uguali in tutti gli individui, ma non tutti i
circuiti sono uguali in tutti. C'è sicuramente una componente genetica ma anche
l'esperienza conta (soggetti con un genoma identico, passati attraverso esperienze
diverse, hanno reazioni diverse).

AREE CEREBRALI DIVERSE

Si parte dallo studio di singole aree nervose; è necessario infatti partire dallo studio dei
singoli circuiti.
Il cervello è macroscopicamente più o meno lo stesso per tutti.
Il cervello è coperto da un manto di aree cerebrali e ha la superficie ripiegata perché è
piccolo. Inoltre la superficie risulta profondamente corrugata, ci sono dei giri e dei solchi,
molto visibili anche a occhio nudo e più o meno uguali in tutti.
Divide il cervello da destra a sinistra il solco centrale mentre da davanti a dietro la
fessura interemisferica.
I due solchi, insieme ad altri piccoli posteriori separano i lobi: 2 lobi frontali, 2 lobi parietali,
2 lobi occipitali, 2 lobi temporali
Tutta la corteccia cerebrale (neo corteccia) è formata da cellule con caratteristiche e
densità diverse per cui possiamo distinguere in essa 6 strati distinti.
L’idea che funzioni diverse fossero collegate ad aree diverse non è nuova ma solo da 70
anni ha base scientifica.
Nel 1820 Gall introdusse la frenologia, con la quale affermava che ogni area era collegata
a funzioni, totalmente a caso.
Nel 1923 comparvero teorie che si opponevano alla frenologia. Fluorens, con la teoria dei
campi aggregati propone che tutto il cervello è coinvolto in tutto. Verso la fine dell’800, con
Wernicke e Adrian si cominciò a provare che c’erano aree interessate per una sola
funzione.
Un'altra teoria fu proposta da Lashey, a cui interessava quanto cervello fosse interessato
nell'azione cerebrale, non quali zone.

Afasia di Broca:
Soggetti che non potevano parlare (o da frase completa a poche parole) pur
comprendendo quello che gli veniva detto ---> lesione lobo frontale sinistro (corteccia
associativa motoria)
Afasia di Wernicke:
I soggetti perdevano la capacità di comprendere ciò che veniva detto e fornire un
contenuto al discorso - afasia di comprensione —> lesione lobo temporale sinistro
Afasia di Conduzione:
Diverso tipo di lesione, al fascicolo arcuato che connette due aree (anteriore e posteriore)
---> interruzione del circuito nervoso - il linguaggio è alterato.
Esempio di circuto nervoso, lesioni a questo circuito compromettono il linguaggio.

AREE DI BRODMANN

L’anatomia è estremamente legata alla fisiologia, la struttura è legata alla funzione.


Nel 1909 Brodmann studiò pezzetti della corteccia cerebrale e notò che ogmi zona
differiva da un’altra per la dimensione dei neuroni, per la densità degli stessi etc. Sulla
base di quello e di come erano distribuiti (citoarchitettura) suddivise la corteccia in circa 50
aree diverse, ognuna delle quali funzionalmente diversa dalle altre. (Area 17—corteccia
visiva primaria.)
(Corteccia peririnale: familiarità, l’ho già visto/ippocampo: ah ecco dove l’ho visto/come lo
conosco.)

Ulteriori prove della localizzazione delle funzioni cerebrali:


 Adrian nel 1930 trova che applicando stimoli a punti diversi della pelle si attivano
diverse aree
 Penfield nel 1950 stimola punti diversi della corteccia in pazienti svegli e riscopre le
aree del linguaggio.
Tutto ciò vale anche per le funzioni emotive: se si altera l’amigdala sale la sensazione di
ansia. Se si hanno lesioni nell’emisfero destro, si compromette la prosodia (il tono di voce)
sia la capacità di usarla che di comprenderla.

Combinazione di evidenze usata per determinare la funzione di un'area cerebrale: pazienti


con lesioni ---> elettroencefalogramma (studio dell'attività elettrica cerebrale) ---> studi di
neuroimmagine.
Tutti questi studi ci dicono dove avviene l'attività cerebrale ma non come, cosa succede
nell'area interessata. C'è quindi bisogno di registrare l’attività delle singole cellule.
Partendo dalle singole cellule si capisce come funzionano i processi nervosi. Le cellule
nervose trasmettono le informazioni attraverso segnali chimici ed elettrici molto precisi.
Sherrington nel 1942, in “Man on his Nature”, propone la metafora del telaio incantato.
Egli descrive la massa cerebrale come telaio incantato dove migliaia di spolette
lampeggianti tessono un disegno sensato ma effimero. Le cellule nervose sono connesse
da fili che sono le trame nervose e le spolette sono i segnali nervosi.

IL NOSTRO CERVELLO

 100 miliardi di neuroni


 ogni neurone può ricevere fino a 1000 ingressi sinaptici
 600 milioni di connessioni per mm3.

Ciò che determina il comportamento è quali neuroni sono attivi.

Neuroni: i dendriti ricevono e l’assone trasmette.


Il comportamento dipende dall’attivazione coordinata di fili, cioè assoni e dendriti. I segnali
devono viaggiare velocemente e precisamente. Sherrington li definisce effimeri perché
giunto a ogni parte del comportamento ho bisogno di un nuovo disegno.
Quando arriva il segnale nervoso la cellula si attiva: il disegno è quindi creato creato dai
segnali che viaggiano e dalle cellule che si attivano.
Il disegno non è sempre stabile.
Sherrington lo definisce lampeggiante: l’attività delle cellule nervose oscilla con frequenze
diverse, alte o basse.
Popolazioni neuronali che variano l’attività seguendo una certa frequenza si possono
sincronizzare con altre che variano ad un’altra frequenza. Questo ne cambia il
comportamento ---> funzione sommata ---> cambia l’elaborazione delle informazioni.

Stimolazione transcranica magnetica ---> fa elaborare meglio le informazioni collegando


diverse parti della corteccia prefrontale (capacità di elaborare mentalmente le
informazioni). Si sincronizzano facendo sì che gamma sia al picco o alla cuneetta della
theta. Quando lavorano insieme la prestazione cognitiva è migliore.
P.S. Noi monitoriamo solo quello che ci interessa – non abbiamo visto il gorilla nel video
(the invisible gorila).
La realtà è una costruzione del nostro cervello, non solo perchè ciò che riusciamo a
elaborare dipende dai nostri circuiti nervosi, ma anche perchè l'attenzione influenza i
circuiti nervosi e ci rende ciechi a ciò che non ci interessa e particolarmente sensibili a
cose che ci interessano.
CELLULE NERVOSE E POTENZIALE DI RIPOSO

L’elemento alla base del circuito nervoso è il neurone, una cellula che ha nucleo e
organuli situato nel soma o corpo cellulare. Dal soma partono i neuriti, divisi in dendriti e
assone (misura dell’ordine di qualche micron). Dal corpo cellulare partono dall’alto i
dendriti apicali e dal basso i dendriti basali. Queste strutture hanno la funzione di
ricevere, insieme al corpo, le informazioni che arrivano al neurone.
Dal corpo cellulare parte inoltre un assone che termina con un terminale assonico, che
hanno la funzione l’uno di condurre e l’altro di trasferire l'informazione dal neurone alle
altre cellule. Talvolta gli assoni (anche se non tutti) possono essere avvolti da una guaina
mielinica. Il punto in cui l’assone si riparte dal soma è chiamato monticolo assonico o
cono di emergenza. Insieme al corpo processa l'informazione giunta al neurone.
Le forme in cui si può presentare un neurone sono diverse, ma nonostante ciò
l'organizzazione globale, la compartimentalizzazione rimane la stessa.
Per esempio possiamo avere un neurone piramidale (dendriti sia apicali che basali), un
motoneurone del midollo spinale (solo dendriti apicali), una cellula di Purkinje del
cervelletto, che ha una diramazione dendritica estremamente sviluppata, una cellula
bipolare della retina o una cellula di un ganglio delle radici dorsali, detta
pseudounipolare.
Ma dove va a finire l’informazione in uscita?
Le cellule effettrici sono di diverso tipo: per esempio il muscolo, un altro neurone, i vasi
sanguigni, le ghiandole (che possono secernere qualche sostanza).
Quindi abbiamo un segmento di ingresso, uno di integrazione o processamento, uno di
conduzione e uno d'uscita.
In realtà le cellule più numerose nel tessuto nervoso sono le cellule gliali, che oltre a dare
del supporto aiutano i neuroni in tutte le loro funzioni.
 Nel sistema nervoso centrale l'oligodentrocita (oligodentrocita della sostanza
bianca) emette dei processi che ricoprono i neuroni (più neuroni) generando guaina
mielinica (che però non hanno tutti i neuroni).
Altri tipi di oligodentrociti (oligodentrociti perineuronali) si trovano vicini al neurone e
stanno a contatto e lo supportano senza avvolgerlo.
 Nel sistema nervoso periferico la cellula di Schwan, altra cellula gliale si avvolge
intorno all’assone e genera guaina mielinica. (interessa un solo neurone)
 L'astrocita invece dà supporto meccanico e nutrimento al neurone, lo libera dalle
sostanze tossiche, lo aiuta nella regolazione degli ioni e dà origine al cosiddetto
coupling neurovascolare, in cui si mette tra il neurone e il capillare, facendo
aumentare il flusso sanguigno quando al neurone servono maggiore glucosio e
ossigeno.
 Le microglie, i globuli bianchi del SNC, lo difendono dai patogeni.
Le cellule nervose formano (ricevono e generano) dei segnali elettrochimici.
Per quanto riguarda la parte elettrica li possiamo registrare e visualizzare usando dei
micro-elettrodi sia intracellulari sia extracellulari.
Questi fenomeni elettrici sono gli stessi che stanno alla base della generazione di
elettricità da parte delle batterie. Abbiamo un polo negativo e positivo, delle cariche
elettriche che si muovono da un polo all’altro spinte da una differenza di potenziale.
L'energia che viene data dalla corrente moltiplicata al voltaggio viene usata per produrre
lavoro, luminosità, calore etc.
Per misurare la differenza di potenziale elettrico (ddp) nelle batterie possiamo usare un
voltmetro, uno strumento che con due elettrodi messi ai due poli della batteria ci dà una
lettura di voltaggio e con le cellule possiamo fare una cosa simile.
La membrana delle cellule ha una sua differenza di potenziale.
Per misurarla abbiamo bisogno di due elettrodi, uno interno e uno esterno.
 Quello interno fatto di vetro e molto sottile (per non danneggiare troppo la cellula) è
riempito di cloruro di potassio (Cl- e K+ sono i due ioni che si trovano di più dentro
la cellula) ed ha all’interno un filo d'argento clorurato AgCl (per ridurre il potenziale
di superficie tra il metallo e la soluzione salina) in contatto con l'amplificatore.
 Quello esterno è più grosso ed è un filo di argento clorurato immerso nel liquido
extracellulare.
Quando ancora l'elettrodo interno è fuori dalla cellula insieme all’elettrodo di riferimento la
ddp è 0 (punti isopotenziali dentro la stessa soluzione salina).
Quando lo andiamo a inserire nella cellula invece registriamo una ddp uguale alla
differenza di voltaggio di membrana = Vm = Vi– Ve
(le misure di voltaggio sono sempre relative, quindi si dice sempre differenza di voltaggio)
-per convenzione poniamo Ve = 0
-quindi Vm= Vi
Il potenziale di membrana a riposo (Vm) nella cellula animale è negativo e varia da -40
a -100 mV, mentre quello della cellula neuronale è intorno ai -60/-65 mV. La cellula è
quindi più carica negativamente all'interno.

Non si misura una variazione di potenziale se l’ago penetra più in profondità dentro la
cellula, poiché il potenziale dentro la cellula non varia; l’interno della cellula è
isopotenziale. Mentre negli organuli ci possono essere piccole variazioni di potenziale
all'interno del citosol tutte le strutture hanno sempre lo stesso potenziale.
La ddp è una fonte di energia e viene utilizzata per una serie di processi che ne
consumano, come il processamento di informazioni.
Proprio perché è una fonte di energia ha bisogno di essere mantenuta e si spende energia
per mantenerla.
A cosa è dovuto il potenziale di membrana?
La somma delle cariche positive e negative all’interno e all’esterno della membrana
cellulare è pressocché 0. Nei pressi membrana si accumula uno strato di carica negativa
sul lato interno e positiva sul lato esterno, quindi la membrana agisce da capacitore,
nonostante in generale le somme valgano zero.
In base a quali forze avviene però questo movimento degli ioni?
Gli ioni subiscono dei flussi che si basano sul due diversi effetti:
- il gradiente di concentrazione (lo ione, che si trova in maggiore concentrazione in una
zona e in minore concentrazione in un’altra, tende a spostarsi dalla zona a concentrazione
maggiore a quella a concentrazione minore).
-il gradiente di potenziale elettrico (se abbiamo un catione tende a spostarsi verso la
zona carica negativamente, mentre un anione verso quella carica positivamente. Lo ione
tende a spostarsi nella zona della carica opposta a se).
Queste due forze che li spingono (fenomeni termodinamici) sono entrambe presenti e non
è detto che vadano dallo steso verso, quindi è possibile che uno ione venga influenzato
allo stesso tempo da entrambi, e che quindi si muova secondo un flusso di tipo chimico
che lo spinge da un lato e uno di tipo elettrico che lo spinge dall’altro lato: il risultato è la
somma dei due flussi, delle due influenze.
Quindi è un equilibrio di tipo elettrochimico, vanno sempre considerati entrambi i processi,
che si compensano. Infatti se insieme sono all’equilibrio non è detto che i singoli flussi lo
siano (ex: ci può essere un equilibrio elettrochimico senza che ci sia un equilibrio chimico
o elettrico).
ESEMPIO
Cella elettrochimica:
-due celle/compartimenti entrambi contenenti una soluzione di cloruro di potassio (KCl)
sono separate da una membrana semipermeabile (che fa passare o solo alcuni ioni o
alcuni ioni meglio di altri) che fa passare solo lo ione potassio (K+). Abbiamo un voltmetro
che ci misura la ddp fra i due compartimenti.
Simmetria: (0,01 M / 0,01 M)
Il flusso totale è nullo perchè tanti ioni potassio passano da sinistra a destra quanti
passano da destra a sinistra e la stessa cosa vale dal punto di vista elettrico. Il flusso
totale che noi calcoliamo è quindi 0, col passare del tempo rimarranno sempre tante
cariche positive quante negative in un singolo compartimento → all'equilibrio ci saranno
tanti anioni quanto tanti cationi, quindi la ddp generale è 0.
Asimmetria: (0,1 M / 0,01 M)
In una cella la concentrazione di KCl è 10 volte maggiore che nell’altra.
Il potassio tende a muoversi verso la cella con concentrazione minore, mentre il cloro che
vorrebbe seguirlo non può farlo a causa della membrana semipermeabile.
Quindi nella cella a minor concentrazione ci saranno più cariche positive che negative,
nella cella a maggior concentrazione più cariche negative che positive.
A questo punto si crea una ddp tale da attivare il movimento secondo gradiente elettrico
per cui K+ si muove nel verso opposto di prima verso la cella a maggior concentrazione in
cui ci sono più anioni.
All'equilibrio (quando le cose non variano nel tempo) i due flussi si compensano (tanti ioni
potassio si muovono verso una cella quanti si muovono verso l’altra) e si ha un flusso
risultante (movimento) nullo ma in questo caso il potenziale elettrico (la ddp) rimane.
Il potenziale elettrochimico deriva insomma dal fatto che la membrana è semipermeabile
e le concentrazioni iniziali non sono uguali nei due compartimenti, quindi:
- dal gradiente ionico tra i compartimenti intracellulare e extracellulare
- dalla permeabilità selettiva della membrana

COSA SUCCEDE DENTRO LA CELLULA

Nella cellula abbiamo gli ioni potassio, gli ioni cloro e gli anioni immobili, soprattutto
proteine e gruppi solfato, che non possono in nessun caso uscire dalla cellula, mentre
all’esterno gli ioni K+ e gli ioni Cl-.
La conduzione di neutralità deve essere sempre soddisfatta, quindi la somma delle cariche
negative deve sempre equivalere alla somma delle cariche positive (n. anioni = n. cationi).
Esternamente la concentrazione del potassio deve essere uguale alla concentrazione del
cloro, mentre all’interno deve eguagliare la concentrazione del cloro e degli anioni immobili
→ concentrazione ioni K+ dentro la cellula > concentrazione ioni K+ all'esterno
La membrana semipermeabile blocca gli anioni immobili e lascia passare il potassio, che
essendo più concentrato all’interno che all’esterno tende a uscire verso il luogo a
concentrazione minore (movimento secondo gradiente)→ l'interno della risulta quindi
carico negativamente e l'esterno positivamente.
All'equilibrio avremmo di nuovo un flusso netto = 0 (ioni potassio che escono e ioni
potassio che entrano per gradiente di potenziale elettrico) ma ddp =/= 0.

EQUAZIONE DI NERNST

Ci dice quale sia il potenziale di equilibrio di uno ione, che si raggiunge nel caso che la
membrana sia permeabile solo a quello ione e non a nessun altro. Per definizione a quel
potenziale il flusso ionico è nullo.
ΔVeq = Vext– Vint = -RT/zF ln [C]ext/[C]int

ΔVeq = ddp = potenziale con membrana penetrabile da un solo ione


z = carica del singolo ione – valenza ionica
F = costante di Faraday

con T = 25°C → -RT/zT = cost = 58 mV

ΔVequilibrio = cost x log [ I ]ext/[ I ]int

Potenziale all'equilibrio = EI

Se la membrana è permeabile a un singolo ione l'equazione di Nernst ci dice qual è il


potenziale a riposo della membrana, quindi Vm = EI.
Con l’equazione di Nernst per esempio il potenziale si può calcolare per le cellule gliali
(-75 mV), con membrana selettiva per il potassio, ma non per i neuroni.
Infatti seguendo il grafico la curva blu delle cellule nervose si distanzia dalle rette
dell’equazione di Nernst e delle cellule gliali, quindi per valori fisiologici il valore calcolato
dall’equazione di Nernst non è quello esatto per le cellule nervose, poiché la membrana
del neurone non è permeabile solo al potassio, ma entrano anche altri ioni in gioco.

Per riassumere si ha questa asimmetria nella cellula per presenza di anioni immobili
iniziale e poiché la membrana è semipermeabile.
Se la membrana è permeabile a più ioni il potenziale di riposo non è più uguale di
quello all'equilibrio del singolo ione.

COSA SUCCEDE NEL NEURONE

Come sono distribuiti gli ioni nel caso del neurone?


 All'interno:
-concentrazione di anioni immobili (A-)
-concentrazione di potassio alta (K+)
-concentrazione bassa di cloro (Cl-)
-concentrazione molto bassa sodio (Na+)
Membrana molto permeabile al potassio, un po’ meno al cloro e molto meno al sodio.
 All'esterno:
-concentrazione bassa di K+
-concentrazione alta di Cl- e Na+

Abbiamo ora tre equazioni di Nernst con tre potenziali all’equilibrio diversi per K+, Na+ e
Cl-, possiamo notare che le concentrazioni extracellulari sono molto simili a quelle
dell’acqua di mare.
EK = -75 mV
ENa = +55 mV
ECl = -65 mV

Al potenziale di riposo nella cellula


 il potassio tende a uscire per gradiente di concentrazione ma tende anche a entrare
per gradiente elettrico: f.e.m. (la somma è leggermente maggiore di 0) x Pk
(permeabilità alta) = flusso di potassio discreto in uscita.
 Il sodio tende a entrare per gradiente di concentrazione dato che è più concentrato
all’esterno ed è anche un catione, tende ad andare verso l’interno negativo →
spinta molto forte che tende ad entrare: f.e.m. (alta) x permeabilità (bassa) = flusso
del potassio ma dal verso opposto
 il cloro ha una f.e.m. che è quasi 0, quindi non importa che la sua permeabilità sia
molto alta perché il suo flusso risulti nullo.
La somma dei flussi totale è 0.
Nonostante non ci sia flusso netto non siamo comunque ad una situazione di equilibrio
stabile.

EQUAZIONE DI GOLDMAN-HODGKIN-KATZ

Ci descrive il caso in cui la membrana sia permeabile a tre specie ioniche, con ciascuna
con un coefficiente di permeabilità (quanto facilmente può passare la membrana).

Vm= RT/F ln P x [C]ext di tutti (somma)/ P x [C]int di tutti (somma)

-per i cationi al numeratore la concentrazione esterna, per gli anioni al numeratore quella
interna
-l’equazione di Nernst è un caso particolare di quella di GHK

f.e.m. = forza elettromotrice = Vm- Eequilibrio (es. EK)


f.e.m. come EI definita per specie ionica.
Si può modellizzare la membrana del neurone come un circuito elettrico, dove ogni
conduttanza ionica funziona come se fosse un generatore, caratterizzato da una propria
f.e.m.

Il potenziale di riposo di una cellula è il potenziale presente quando la somma di tutte


correnti è uguale a 0, quindi Vm è tale che INa + IK= 0

La corrente di un dato ione = I = f.e.m. x g (conduttanza -alta conduttanza = alta


permeabilità), quindi se:
IK= (Vm – EK) x gK e
INa = (Vm – E Na) x gNa allora

Vmriposo = gNa ENa + gK Ek / gNa+ gK

Ciò spiega anche perché il potenziale a riposo della cellula sia a metà tra il potenziale di
Nernst del potassio e quello del Sodio. Però il potenziale di membrana al riposo sarà molto
più vicino al potenziale di equilibrio del potassio dato che la conduttanza del potassio è
molto maggiore.
Il potenziale a riposo corrisponde a una situazione in cui il flusso del sodio in entrata
corrisponde a quello di potassio in uscita.
Questa condizione è una situazione di stato stazionario, non di equilibrio nel tempo,
perché se è vero che tanto sodio entra quanto potassio esce, e che quindi la somma dei
flussi è 0, è anche vero che con il passare del tempo sempre più la concentrazione del
sodio intracellulare aumenterebbe e quella del sodio extracellulare diminuirebbe, e allo
stesso tempo quella del potassio intracellulare diminuirebbe e quella del potassio
extracellulare aumenterebbe, fino al punto in cui diventerebbero tutte uguali, causando la
morte della cellula. (differenza tra stato di equilibrio e stato stazionario)
Cosa permette che questo non accada?
Degli enzimi, chiamati pompe sodio/potassio ATPasi, che si trovano sulla membrana
cellulare, lavorano incessantemente per tornare alla situazione originaria, dove c’è una
maggiore concentrazione di K+ interna e una maggior concentrazione di Na+ esterna,
prendendo 3 ioni Na+ dall’interno della cellula e buttandoli all'esterno e prelevando 2 ioni
K+ dall’esterno e mettendoli all'interno in ogni ciclo.
Fa un lavoro contro il gradiente energetico, spendendo energia e mantiene la differenza
delle concentrazioni nel tempo.
Si può inoltre definire elettrogenica, perché il fatto che emetta 3 ioni Na+ e immetta 2 ioni
K+ genera una corrente che rende l'interno della cellula più negativo e l'interno più
positivo, aiutandola ulteriormente a mantenere la ddp.
La somma dei flussi sarà sempre uguale a 0, tanto potassio esce/entra quanto sodio esce/
entra.
Nei neuroni le pompe sodio potassio sono molto attive e dato che lavorano contro
gradiente consumano energia, infatti il nostro cervello è uno degli organi che consuma più
energia.
L'energia richiesta dalla cellula si ottiene attraverso l'idrolisi dell' ATP (adenosina
trifosfato), prodotta nei mitocondri, in ADP + P (fosfato inorganico).
ATP = base azotata (adenosina = adenina + ribosio) legata a 3 gruppi fosfato, fortemente
carichi negativamente→hanno tendenza a staccarsi ma non lo fanno perché legati da
legame covalente doppio.
Quando il legame tra il secondo e il terzo gruppo fosfato viene rotto si libera una grande
quantità di energia, che viene utilizzata dalla pompa.
In seguito ADP e P vengono riprese dai mitocondri, che consumeranno altra energia
presa per esempio da glucosio e grassi per ricreare l’ATP.

P.S. RIPASSO CON BERARDI/RIASSUNTO

[[ La membrana cellulare si comporta come un separatore di cariche ma anche come un


accumulatore di cariche. Non è l’interno della cellula a essere negativo rispetto all’esterno,
ma è la faccia interna della membrana a essere negativa rispetto a quella esterna. La
maggior parte delle cellule nervose ha un potenziale di membrana a riposo (ddp) di circa
-60/ -65 mV, ma ci sono delle eccezioni.
Questa situazione non può essere considerata un equilibrio stabile che si può mantenere
senza dispendio energetico (situazione in cui la nostra variabile non è suggestionata da
nessuna forza).
Per le cellule gliali il potenziale di riposo è una situazione di equilibrio stabile che non
richiede energia da parte della cellula perchè l'unica specie permeabile è il potassio,che si
dispone al suo equilibrio, Ek = -70 mV (conc. tipica delle specie derivanti dal mare).
In questa situazione il potenziale di membrana Vm della cellula a riposo è uguale al
potenziale d'equilibrio del potassio. → equilibrio stabile → flusso=0.
Le cellule nervose invece a riposo hanno anche una permeabilità minima anche per il
sodio, che ha una grossa forza che lo spinge a entrare, anche se riesce poco per la
membrana poco permeabile.
Se nulla venisse fatto il potassio lentamente uscirebbe e il sodio lentamente entrerebbe e
si arriverebbe a un potenziale di membrana = 0 perchè tutto è all'equilibrio → la cellula
nervosa non funzionerebbe più.
Per evitarlo esiste la pompa sodio potassio nella membrana che a spese dell'energia
metabolica pompa fuori il sodio e dentro il potassio contro gradiente mantenendo stabili le
concentrazioni.
Siccome la pompa sodio potassio manda fuori 3 ioni sodio e pompa dentro 2 ioni potassio,
contribuendo alla negatività interna, sbattendo fuori più ioni positivi di quanti ne metta
dentro → il potenziale di riposo delle cellule nervose corrisponde a una situazione di
equilibrio mantenuto attivamente a spese del metabolismo cellulare, in cui il flusso di sodio
(in entrata) e potassio (in uscita) sono determinati dalla pompa (sbattendo fuori più ioni
sodio controbilancia una corrente in entrata più forte), che contribuisce all’elettronegatività.
Se la pompa non funziona più le cellule nervose smettono di poter ricevere, elaborare e
trasmettere segnali nervosi → potenziale di riposo va a 0.
Possiamo immaginare il potenziale di riposo come una pila, che accumula differenze di
cariche elettriche che ci restituisce sotto forma di energia.
Il potenziale di membrana di una cellula nervosa è la sua pila che gli consente di ricevere
e trasmettere segnali.
Questo è uno dei motivi per cui il cervello consuma tanta energia →anche quando ci
sembra che non lavori il cervello ha sempre bisogno di energia per mantenere la pompa
→ default mode network/rete cerebrale di default, che si attiva quando il cervello è nel
ciclo idol, in cui ci sembra che il cervello non svolga alcuna particolare funzione, ma
stiamo comunque pensando. ]]

IMMAGINI UTILI

Equazione di Goldman-Hodgkin-Katz
IL POTENZIALE D’AZIONE

Cosa succede quando il neurone genera dei segnali nervosi?


Il segnale nervoso è una variazione del potenziale di membrana (Vm) rispetto al
potenziale di riposo, che può essere positiva o negativa, quindi può diventare meno
negativo o più negativo del potenziale di riposo.
Possiamo chiamare questa variazione iperpolarizzazione (quando l’interno diventa più
negativo) o depolarizzazione (quando la negatività interna diminuisce).
 Iperpolarizzazione: porto Vm a valori più negativi di quelli di riposo (-70, -80)
togliendo cariche + dal citoplasma o iniettando cariche negative.
Quadrati: segnali che sono fatti arrivare alla cellula nervosa (ampiezza = numero di
cariche aggiunte all’interno della cellula / lunghezza = tempo)
Quando il segnale raggiunge la cellula Vm si iperpolarizza, quindi diventa più
negativo del potenziale di riposo.
La durata del segnale e la sua ampiezza vengono ripresi nella risposta della cellula.
I segnali nervosi iperpolarizzanti e depolarizzanti sono chiamati segnali analogici perchè
riproducono in ampiezza e durata lo stimolo che li ha causati.
 Depolarizzazione: Aggiungo cariche + al citoplasma, riducendo la negatività
interna e la cellula nervosa riduce la polarità di Vm.
L’ampiezza e la durata di questo segnale nervoso corrispondono all’ ampiezza e
alla durata al segnale depolarizzante (stimolo) → segnale analogico.
-Traccia 4: depolarizziamo la cellula nervosa con uno stimolo di ampiezza maggiore
e la cellula risponde con un segnale nervoso di ampiezza maggiore.
Quando l'ampiezza della depolarizzazione raggiunge il potenziale di soglia (che non
è lo stesso per tutte le cellule) la cellula nervosa genera un altro tipo di segnale
nervoso. Vm inizia a depolarizzarsi molto velocemente, fino a raggiungere un valore
massimo di depolarizzazione che porta Vm a un valore di +30, +40 mV (100 mV di
ampiezza).
Con altrettanta rapidità Vm ritorna al potenziale di riposo e anzi diventa più negativo
transitoriamente (iperpolarizzazione postuma) per tornare al potenziale di riposo.
Quindi si torna a potenziale di riposo in un tempo di circa 5 ms, mentre il segnale
depolarizzante (lo stimolo) dura circa 1/1.5 ms.
Se lo stimolo che lo provoca fosse ancora maggiore l’ampiezza del potenziale
d'azione non cambierebbe, sostanzialmente perché c’è un fenomeno di soglia,
quindi se il segnale depolarizzante supera la soglia si innesca il potenziale d’azione,
che ha sempre la stessa ampiezza indipendentemente dall’ampiezza dello stimolo
depolarizzante → il potenziale d'azione non riproduce né con l'ampiezza né con la
durata quelle del segnale depolarizzante, ovvero lo stimolo.
Il potenziale d’azione è un segnale digitale o stimolo tutto o nulla.
Nessun segnale iperpolarizzante può innescare un potenziale d’azione
Nelle cellule nervose il valore soglia può andare da -55 mV a -30 mV.
Quindi cellule nervose con una soglia molto bassa innescano molto facilmente il
potenziale d'azione anche in risposta a stimoli deboli mentre cellule nervose con una
soglia alta più difficilmente.

Per generare un segnale nervoso devono cambiare le correnti della membrana dalla
situazione di riposo → qualche ione diventa più o meno permeabile → c'è un
cambiamento della permeabilità della membrana.
Il potenziale d'azione consiste in una variazione nel tempo del potenziale di membrana
che fa seguito a uno stimolo che ha depolarizzato la cellula fino a un valore di potenziale
di membrana che supera la soglia per l’innesco del potenziale d’azione.
Vm va dal valore soglia fino a valori molto positivi nella fase ascendente, alla quale fa
seguito la fase discendente di ripolarizzazione che riporta Vm a valori di riposo.
Questa è seguita dall’iperpolarizzazione postuma in cui Vm assume transitoriamente valori
più negativi per tornare a Vm.
Quando è terminato il ciclo del potenziale d’azione, la membrana entra in un periodo
refrattario, in cui la membrana è refrattaria a innescare un altro potenziale d’azione → è
quindi impossibile far seguire un potenziale d’azione ad un altro senza che ci sia in mezzo
un piccolo lasso di tempo.
I segnali elettrici sono ciò che viaggia tra le cellule nervose, ma solo il potenziale d’azione
riesce a percorrere distanze cospicue.
Se i potenziali d'azione non ci fossero smetterebbe di funzionare il sistema nervoso.
Le neurotossine che inibiscono il potenziale d’azione sono letali perché non permettono la
trasmissione dei segnali nervosi, incluso quello che ci fa respirare.

I meccanismi che sono alla base dell’innesco del potenziale d’azione sono stati scoperti da
Hodgkin e Huxley, premio nobel in medicina nel 1963 (per le loro scoperte concernenti i
meccanismi ionici coinvolti nell’eccitazione e nell’inibizione nelle porzioni periferiche e
centrali della membrana della cellula nervosa), che hanno lavorato insieme per 10 anni a
cavallo della II Guerra Mondiale.
Essi dimostrarono, oltre a scoprire le basi ioniche del potenziale d’azione, anche che il
segnale è lo stesso in tutte le cellule nervose indipendentemente dalla specie in cui
vengono registrati. I potenziali d’azione nell’assone di un calamaro o di un mammifero
sono identici, così come in quello di una cellula visiva e di una cellula uditiva; il fatto che i
due potenziali d’azione si traducano in due percezioni diverse non dipende dal tipo di
segnale, ma dalla fibra (le spolette lampeggianti sono le stesse ma cambia il disegno a
seconda dell’ordito – freddo paradosso = le cellule nervose del freddo sono irritate anche
dall’acqua calda e producono anche sensazione di freddo).
Il potenziale d'azione è di durata brevissima, ha l'ordine del millisecondo poiché serve a
codificare l'informazione → ogni potenziale d’azione è un bit d’informazione.
Se vogliamo trasmettere tanta informazione per unità di tempo, dobbiamo usare dei
segnali di breve durata perchè il segnale deve essere ripetuto tante volte nell’unità di
tempo, per esempio un secondo (caso della chitarra).

Teoria di Hodgkin e Huxley:

 Ipotesi: quale ione potrebbe essere in grado di depolarizzare così rapidamente la


membrana di una cellula nervosa?
Il sodio, che si trova all’esterno in grande concentrazione, è spinto dentro da
entrambi i gradienti, il suo potenziale di equilibrio è +55 mV quindi lontanissimo dal
potenziale di riposo → non aspetta altro che entrare.
Se la membrana diventasse un po’ più permeabile al sodio esso potrebbe entrare
depolarizzando la cellula.
Quale ione potrebbe rapidamente ripolarizzare la membrana?
Il potassio, che uscendo toglie ioni positivi dall’interno della cellula e la rende più
negativa.
La fase ascendente è quindi il sodio che entra e quella discendente è il potassio
che esce, mentre l’iperpolarizzazione postuma è una fase di aggiustamento.
Se il sodio entra depolarizza la cellula, e se la membrana quando si depolarizza
diventa più permeabile al sodio, esso entrando la depolarizza ulteriormente
facendola diventare ancora più permeabile al sodio → ciclo del sodio a feedback
positivo = quando la cellula a riposo riceve una perturbazione risponde
aumentando la perturbazione fino a un valore massimo (potenziale di equilibrio del
sodio = +55 mV, cosa che però non si verifica mai).
Il ciclo del potassio è invece a feedback negativo → ripolarizza la membrana
rispondendo alla depolarizzazione
 Verifica: in teoria dalle due formule
gNa = INa/(Vm – ENa)
gK = IK/(Vm - EK)
dovrei poter ricavare le due permeabilità, ma dato che durante il potenziale d’azione
Vm cambia nel tempo, anche gNa e gK cambieranno nel tempo.
Per risolvere il problema Hodgkin e Huxley idearono la tecnica del blocco del
voltaggio, attraverso la quale portare e mantenere il potenziale d'azione a un
valore predefinito riuscendo a misurarlo (esperimento del voltage-clamp).
Inserirono due elettrodi in una cellula collegati ad un generatore (in cui è impostata
una corrente fissa) e ad un amplificatore. Il loro obiettivo era di fermare il potenziale
di membrana ad un valore fisso così da poterlo misurare. Per così fare iniettarono
nella cellula attraverso l’elettrodo una quantità di corrente (ioni positivi per
depolarizzare) tale da portare Vm al livello desiderato; una volta raggiunto quello
però si sarebbero aperti i cicli del sodio e del potassio, quindi era necessario
continuare a iniettare una quantità di corrente tale da mantenere il livello di Vm
stabile, per controbilanciare il flusso. Misurando la corrente che era necessario
iniettare per mantenere il Vm desiderato misuravano anche quanta ne passasse
attraverso la membrana → permeabilità.
Per fare ciò serviva loro una cellula con un assone abbastanza grande da poter
infilarci 2 micro-elettrodi → calamaro (possiede un gruppo di motoneuroni, che
fanno contrarre il mantello, con degli assoni molto grandi → dell’ordine del mm, che
si vedono a occhio nudo).
Che cosa si registra in condizioni del blocco del voltaggio?
In alto abbiamo il potenziale a cui vogliamo portare e mantenere il neurone = 0 mV
Nella seconda immagine abbiamo una rapidissima depolarizzazione [corrente
capacitiva (Ic) - (se vogliamo immettere cariche positive, visto che la membrana di
comporta come un condensatore, accumulando cariche, esse devono spiazzare un
po' di cariche negative dall’interno e dalla faccia esterna se ne devono andare un
po’ di cariche positive, perdendo un po’ di tempo) -movimento e riarrangiamento di
cariche che fa cambiare il potenziale di membrana. Nessuno ione ha attraversato la
membrana, semplicemente si sono riarrangiate le cariche]. L’altro pezzo di curva
sono davvero ioni che attraversano la membrana.
La corrente registrata in ingresso è una corrente negativa (ioni positivi in ingresso )
e positiva in uscita (ioni positivi che escono).
Quindi la corrente registrata in blocco del voltaggio, che è quindi quella che
attraversa la membrana nervosa in cui Vm è stato portato a 0 mV è una corrente
negativa in ingresso seguita da una corrente positiva in uscita → sodio che entra e
potassio che esce.

Come hanno fatto per vederlo più nel dettaglio?


Hodgkin e Huxley hanno utilizzato due neurotossine, che selettivamente bloccano i
movimenti del sodio e del potassio attraverso la membrana.
La tetradotossina (ttx), prodotta dal pesce palla, blocca i movimenti del sodio →
registro solo una corrente positiva in uscita, ovvero il potassio che esce.
Questa corrente non parte immediatamente quando la cellula si depolarizza ma è
un po' ritardata. Ciò ha senso perché se si vuole depolarizzare rapidamente la
cellula nervosa è inutile far passare insieme sodio e potassio (prima apro il
rubinetto, poi lo scarico).
La tossina che blocca selettivamente il passaggio del potassio si chiama
tetraitilammonio (tea), e bloccando il potassio registro solo la corrente in ingresso.
La curva misurata però ci dice che questa corrente non è sostenuta come quella del
potassio → corrente sodio è transiente, quando depolarizziamo la cellula essa
inizia a fluire, si autoamplifica, raggiunge un massimo e si autospegne. Invece la
corrente potassio, una volta attivata, rimane attiva per tutto il tempo che la cellula
rimane depolarizzata. Questo era l’evento che Hodgkin e Huxley non avevano
ipotizzato. La corrente sodio si innesca molto rapidamente e altrettanto
rapidamente si spegne, mentre la corrente potassio una volta attivata è sostenuta.
Il potenziale d’azione è quindi il risultato di due variazioni della permeabilità della
membrana a due specie ioniche: la membrana diventa più permeabile prima al
sodio, che entra rapidamente depolarizzando la cellula ma che altrettanto
rapidamente sparisce, e successivamente diventa più permeabile al potassio,
facendo avvenire la ripolarizzazione e l’iperpolarizzazione postuma.
La corrente Na+ è alla base della fase ascendente, e fluisce perché la membrana
diventa più permeabile al sodio a causa della depolarizzazione, con una variazione
transitoria, quindi essa fluisce per una frazione del potenziale d’azione, e si spegne
indipendentemente dal valore di Vm.
La corrente K+ è alla base della fase discendente, fluisce perché la membrana
diventa più permeabile al potassio a causa della depolarizzazione; quando Vm
torna al valore di riposo questa variazione viene annullata e quindi il potassio
smette di uscire in maniera veloce.
Per questa proprietà di cambiare in funzione di Vm le due conduttanze del sodio e
del potassio alla base del potenziale d’azione vengono definite conduttanze
voltaggio-dipendenti, che aumentano con la depolarizzazione.

Perchè esiste un valore soglia per il potenziale d'azione?


Se depolarizziamo di poco la cellula dal potenziale di riposo (le porte voltaggio-
dipendenti sono chiuse e sono aperte solo quelle del potenziale di riposo –
principalmente porte per il potassio) la f.e.m. del potassio aumenta (lo abbiamo allontanato
dal suo potenziale di equilibrio) ed esso esce attraverso le porte aperte a riposo. Si apre
anche qualche porta voltaggio-dipendente del sodio, ma il sodio che entra non riesce a
controbilanciare l’aumento dell’uscita del potassio. Se depolarizziamo un po’ di più,
aumenta l’apertura delle porte del sodio ma anche la quantità di ioni potassio che esce.
Quindi il valore soglia è quel valore del Vm per cui la corrente sodio che passa dalle porte
voltaggio-dipendenti aperte dalla depolarizzazione supera la corrente del potassio che
passa dalle porte sempre aperte (visto che la corrente potassio voltaggio-dipendente del
potassio ancora non è attiva). Nel momento in cui si aprono abbastanza porte voltaggio-
dipendenti del sodio in modo che la corrente passante da queste porte supera la corrente
potassio passiva la corrente sodio inizia ad autoamplificarsi → parte la fase ascendente.
Quante porte voltaggio-dipendenti del sodio ci siano sulla membrana cellulare varia da
cellula a cellula (quelle del potassio sono più o meno uguali in tutte), quindi un neurone
che ha tante porte voltaggio-dipendenti per il sodio ha una soglia bassa, uno che ne ha
poche ha una soglia alta.
IMMAGINI UTILI
I CANALI IONICI E LE PROPRIETÀ DI MEMBRANA

Da dove passano gli ioni quando attraversano la membrana?


La membrana è un doppio strato lipidico con delle proteine inserite al suo interno→
pochi ioni la attraversano direttamente (lo strato lipidico è idrofobico), passano invece
attraverso i canali ionici, per esempio quelli voltaggio dipendenti.
Per sentire un voltaggio si ha bisogno di avere una carica, e per sentire una differenza di
voltaggio tra due punti spaziali si ha bisogno di una carica che è in grado di muoversi nello
spazio→ qualunque cosa siano i canali voltaggio dipendenti devono avere al loro interno
una carica sensibile alla ddp e che si muove.
Una carica che si muove genera una corrente. Le cariche dei canali ionici generano le
correnti di cancello o gating → queste correnti dimostrano che il canale sente una
differenza di voltaggio e si apre o si chiude a seconda di questa. Sono la prova
sperimentale della nostra teoria.
I canali ionici sono delle proteine (una o più catene di polipeptidi) integrali di membrana
(la attraversano tutta da un lato all'alto), che possono essere combinate da una o più
subunità e si combinano fra loro per generare il canale ionico.
Al centro del canale ionico è presente un poro acquoso (gli ioni passano molto meglio
nell’acqua che nei canali di membrana), permeabile a ioni positivi o negativi.
I canali ionici possono essere selettivi o ad un singolo ione o a più ioni positivi o negativi
→ non riescono però quasi mai a far passare insieme sia negativi sia positivi.
I canali ionici si differenziano quindi secondo:
• selettività: possono far passare uno o più ioni (Na+,, K+, Cl- …)
• cinetiche di attivazione,disattivazione e inattivazione:(
- attivazione: il canale si apre a causa di uno stimolo
- disattivazione: il canale si chiude quando lo stimolo non è più presente
- inattivazione: il canale si chiude anche se lo stimolo che lo apre è ancora
presente → motivi di tempo
• meccanismi di apertura: per esempio secondo la lettura del voltaggio, o a causa
di agonisti (particolari molecole che legano), da secondi messaggeri (molecole che
agiscono dal punto di vista intracellulare a valle di una cascata enzimatica di
amplificazione)
• blocco da ioni, farmaci o tossine: secondo cosa non lo fa funzionare

Le dimensioni del poro sono grandi all’incirca quanto un atomo → se lo ione è più grande
del poro non ci passa, ciò è all’origine della selettività, per la quale ci sono 3 meccanismi:
1. Se lo ione è più grande del poro non riuscirà a passare, per esempio gli ioni Cesio
non riescono a passare per i pori del potassio.
2. Gli ioni in soluzione sono circondati da un guscio di idratazione (più strati di
molecole di H2O posti sfericamente intorno a loro a causa delle interazioni
elettrostatiche). Per passare attraverso il poro se ne devono liberare, si devono
deidratare. Per farlo hanno bisogno di energia (energia di idratazione).
All'interno del poro ci sono una o più cariche elettrostatiche di segno opposto a
quelle dello ione, che unendosi allo ione producono energia che va a compensare
quella spesa per la deidratazione, quindi fornendo energia allo ione per deidratarsi.
Una volta uscito dall’altra parte lo ione si reidraterà, producendo un’energia
sufficiente a controbilanciare quella spesa per rompere il legame con la carica di
segno opposto presente all’interno del poro.
Quando si trova deidratato all'interno del poro lo ione si muove secondo gradiente
elettrostatico e di concentrazione, salta da una carica ad un altra (movimento
stocastico) fino ad uscire dall'altra parte.
Questo meccanismo esclude gli ioni troppo piccoli → le cariche in questo caso non
sono disposte ad una distanza giusta perchè si liberi una quantità di energia
sufficiente a controbilanciare quella di deidratazione → il guscio non si stacca del
tutto e lo ione non entra nel poro acquoso.
L’equazione di Fick-Nernst regola questi movimenti dentro i canali ionici.
3. Meccanismo di ingombro sterico o meccanismo entropico , particolarmente
importante per lo ione calcio che è bivalente (Ca 2+). Il filtro di selettività in questo
caso è fatto da 4 cariche negative. Visto che lo ione Ca 2+ ha valenza 2, devono
passare due ioni calcio contemporaneamente dentro il canale per controbilanciare
le cariche negative. Potrebbero essere controbilanciate anche da quattro ioni Na+,
ma è molto più improbabile averne 4 contemporaneamente che 2.

Queste conduttanze non sono infinite, ci sono delle dinamiche temporali che devono
essere rispettate. Infatti gli ioni per passare atraverso il canale devono interagire con le
cariche elettriche e il tempo di interazione è circa 10-6/-7 secondi. In un secondo un canale
può quindi far passare 106 107 ioni (corrente di saturazione), corrisponde a correnti
nell'ordine dei pico-ampere. Ci aspettiamo che se aumentiamo la f.e.m. aumenti anche la
corrente ma ciò in condizioni di saturazione non avviene.
Il canale si comporta come una conduttanza, segue la legge di Ohm (I=gxfem) in un dato
range. Nella condizione nella quale la corrente supera quel valore di 10 6 la legge ohmica
non è più valida. Cosa spinge gli ioni? È la f.e.m. a spingere gli ioni che x g dà la corrente
nelle condizioni ohmiche.

Canali passivi e attivi (regolati)

I canali passivi sono “sempre” aperti, e sono alla base del potenziale di riposo. In realtà
variano velocissimamente da aperti a chiusi, si misura una media temporale di
conduttanza, che quindi li fa risultare aperti, ma non tratteremo la visione termodinamica,
trattiamo la visione di ensemble → vicino a 0 chiusi, diverso da 0 aperti → ci risultano
sempre aperti.
Quando la conduttanza varia poco con le condizioni ambientali il canale è passivo, quando
varia molto è attivo → canali passivi corrispondono a potenziali di riposo, attivi a potenziali
d'azione.
I canali attivi possono essere regolati da stimoli diversi:
• alcuni sono controllati da ligando, una particolare molecola che si lega a dei siti di
legame che controllano l’apertura e la chiusura del cancello ionico. (recettore
nicotinico → acetilcolina)
• alcuni dalla fosforillazione o secondo messaggero, rispondono a modifiche che
avvengono dal lato interno della cellula
• alcuni sono a controllo meccanico, se la membrana viene premuta
• alcuni sono invece voltaggio-dipendenti:
Nel canale del sodio zona del cancello o gate che si apre se il potenziale di
membrana raggiunge una certa soglia, sennò rimane chiuso.
La ball and chain è responsabile dell'inattivazione, dopo un tot di tempo si avvicina
e tappa il poro, fino a che non avviene una iperpolarizzazione che la riporta indietro.
Ci sono molti canali passivi per il potassio e molti pochi per il sodio, discreta
quantità per il cloro che però si dispone all'equilibrio.

Il canale del sodio durante il potenziale d'azione

Quando Vm è a riposo il cancello voltaggio-dipendente del sodio è chiuso, nel momento in


cui Vm raggiunge il valore soglia il cancello si apre e gli ioni sodio posso entrare.
Nel mentre il cancello di inattivazione ball and chain inizia a chiudersi e inattiva il canale e
anche se il cancello voltaggio dipendente è aperto gli ioni non possono entrare.
Come avviene l’apertura del canale sodio? La maggior parte dei canali voltaggio-
dipendenti sente il voltaggio grazie ai segmenti s4, carichi positivamente; quindi uno ogni
3 residui peptidici della catena ad ά-elica è carico positivamente ed è disposto a cavallo
della membrana → sente la ddp.
Normalmente sporgono sul lato interno più negativo, quando però avviene una
depolarizzazione compiono una roto-traslazione verso il lato esterno che causa un
cambiamento strutturale della proteina che fa sì che si apra il cancello.
Quando la membrana si ripolarizza i segmenti si spostano e torniamo alla situazione
iniziale.
Successivamente abbiamo un periodo refrattario dovuto alla fase di inattivazione del
canale sodio e alla durata della corrente del potassio →ha conseguenze sulla proprietà
d’innesco di un secondo potenziale d’azione → influenza la velocità massima a cui i
neuroni possono operare e dà un verso all'informazione.
Nel momento in cui il potenziale d’azione è avvenuto abbiamo un periodo refrattario
assoluto (2 ms) in cui anche una forte depolarizzazione non produce un potenziale
d’azione nella cellula perchè c'è la palla di inattivazione che blocca il cancello. Poi
troviamo il periodo refrattario relativo (2-3 ms), in cui si può creare un potenziale
d'azione ma con una probabilità ridotta → ci vuole uno stimolo potentissimo.
Questo periodo è dovuto al fatto che alcuni canali sodio sono ancora disattivati e che le
conduttanze del potassio sono ancora aperte. In seguito torniamo alla situazione iniziale.
Il periodo refrattario limita la frequenza massima con cui il neurone emette il potenziale
d’azione.

Il potenziale d’inversione

Le curve corrente-voltaggio sul piano cartesiano sono molto importanti per capire come
funziona un canale. C'è un particolare voltaggio di membrana in cui non c'è corrente
(potenziale di equilibrio), quando il potenziale di membrana è nel primo quadrante c'è una
corrente uscente, quando è nel terzo è una corrente entrante. La pendenza è la
conduttanza (m) → più è pendente maggiore è.
Il potenziale di inversione è il punto dell’asse delle ascisse in cui sull'asse delle ordinate
la retta incontra lo 0, ovvero il punto in cui la curva incrocia l’asse delle ascisse → ci aiuta
a capire quali ioni passano per la membrana poiché la incontra al valore del potenziale di
membrana che corrisponde al potenziale di Nernst per quella specie ionica.
Se il canale è permeabile ad una sola specie ionica il potenziale di inversione è uguale al
potenziale di Nernst di quella specie ionica.
La curva corrente-voltaggio di un canale del sodio non è una retta, non è una canale
ohmico, è un canale attivo.
Quando la membrana è a conduttanza mista il potenziale di inversione è quel valore tale
che in esso la somma di correnti ioniche è 0.
Se Einv = 0 abbiamo una conduttanza mista, tanto dello ione A entra quanto dello ione B
esce.

Einv = gI1 EI1+ EI2 gI2 / gI1 + gI2


Proprietà di membrana

La membrana non è omogenea dappertutto : l'innesco del potenziale d’azione ha una


soglia più bassa nel monticolo assonico. La soglia di innesco al monticolo assonico è tra i -
50 e i -35 mV → punti diversi della cellula hanno soglie d’innesco diverse. Questa soglia
d'innesco è la più bassa di tutte, è quindi più probabile che il potenziale d'azione si
inneschi in quel punto.
La cellula a cespuglio dei nuclei cocleari (iniziano le vie dei segnali uditivi) deve
lavorare a frequenze altissime, il bastoncello della retina lavora invece a frequenze molto
basse.
Le proprietà di membrana non sono constanti per tutti, variano in base al numero e al tipo
dei canali ionici presenti. Per esempio i canali del calcio voltaggio dipendenti sono presenti
in alcune zone del neurone e altri canali solo in alcuni neuroni. Il monticolo poi è
caratterizzato insieme all'assone da una massima concentrazione di canali perché
responsabili dell’elaborazione e la conduzione dell’informazione. I canali calcio voltaggio-
dipendenti sono presenti solo nel terminale assonico perché servono per la trasmissione
sinaptica. I canali a controllo meccanico sono presenti nei muscoli e nella pelle → sono
responsabili del tatto e della propriocezione (capire dove sono disposti i nostri segmenti
corporei).
Canali potassio calcio dipendenti: l'entrata del calcio intracellulare causa l'apertura dei
canali potassio, che rende difficile innescare un potenziale d'azione. Normalmente i
potenziali d’azione sono sempre più diradati e poi terminano, se togliamo il calcio non
succede→ adattamento, alcuni tipi di neuroni rispondono solo all'inizio dello stimolo.
Canali calcio voltaggio dipendenti:
• Ad alta soglia: si attivano a un potenziale di membrana di -40 mV, responsabili
della trasmissione sinaptica e dell’entrata del calcio → controllo della
concentrazione calcio citosolico.
• A bassa soglia: si aprono in condizioni di iperpolarizzazione a meno di -50 mV,
hanno anche un potenziale di inattivazione molto basso. Sono responsabili
dell’eccitabilità e dell’attività ritmica di cellule cardiache e nervose. Se
iperpolarizziamo la cellula a potenziali molto negativi viene eliminata l’inattivazione
e avremo un burst di potenziale d’azione. Se viene depolarizzata abbiamo un
singolo potenziale d’azione → risposta normale.
Sono molto importanti nel sonno per l’azione del talamo, che smista informazioni
nella corteccia durante il giorno. Durante la fase NREM il cancello talamico è chiuso
→ si perde la coscienza. Quando non ci sono stimoli sensoriali si ha
un’iperpolarizzazione che fa passare il calcio, si ha un afflusso di calcio che dà un
potenziale d'azione → formano le onde cerebrali della fase NREM. Sono solo un
segnatempo.
IMMAGINI UTILI
CONDUZIONE DEL POTENZIALE D’AZIONE

Vedremo come il pda, generato nel monticolo assonico o nel soma, viene condotto
nell’assone. Vedremo cosa succede quando si verifica una depolarizzazione localizzata in
un punto dell’assone → ci aiuta a capire il meccanismo dietro il fenomeno.
Quel particolare punto dell’assone è più positivo di quelli adiacenti → le cariche positive
(Na+) si spostano intracellularmente verso le zone adiacenti più negative (della stessa
cellula) andandole a depolarizzare. Nel mentre le cariche si diluiscono e una parte di
queste cariche positive attraverserà di nuovo l’assolemma ritrovandosi all’esterno della
cellula → mano a mano che ci si allontana dal punto iniziale l’effetto della depolarizzazione
è sempre più debole. Nelle zone più vicine invece fa ottenere una depolarizzazione,
(propagazione elettrotonica) che è fenomeno passivo al contrario del potenziale
d’azione, che quindi non consuma energia. Il potenziale d’azione è un fenomeno attivo ma
il modo in cui si propaga è attraverso il potenziale elettrotonico, che è un fenomeno
passivo che però causa altri potenziali d’azione, che sono attivi.
La propagazione elettrotonica è alla base della propagazione del potenziale d’azione ma
anche di potenziali sotto soglia.
Se un segmento della membrana è depolarizzato anche quelli vicini lo sono ma più ci
allontaniamo minore è l’effetto della depolarizzazione iniziale. La variazione di Vm
indotta del punto iniziale si attenua quindi con la distanza fino a scomparire. Per
capire questo fenomeno bisogna introdurre la costante di spazio.
Costante di spazio: distanza lungo l’assone alla quale si trova che la depolarizzazione è
attenuata del 37% rispetto al valore iniziale. Maggiore è la costante di spazio, maggiore
sarà la lunghezza dell’assone depolarizzato dalla propagazione elettrotonica.

V(x) = V0 e-x/λ

e = costante di neplero
x = distanza del punto dalla propagazione iniziale
λ = costante di spazio = √Rm/Ra (resistenza transmembrana o trasversale/resistenza
assiale dell’assone o longitudinale) → λ dipende dalle dimensioni dell’assone

se x = λ → V= 0.37 V0 (circa 1/3)

Come calcoliamo λ? Essa è la radice quadrata di Rm (quanto difficilmente le cariche


attraversano la membrana dell’assone)/Ra (quanto difficilmente le cariche attraversano
longitudinalmente l’assoplasma). Maggiore è il loro rapporto maggiore è la costante di
spazio. Come avviene la propagazione del potenziale d’azione? Se una particolare zona è
depolarizzata per propagazione elettrotonica anche i segmenti dell’assone adiacenti ad
essa saranno depolarizzati, e dei segmenti adiacenti saranno al di sopra della soglia
d’innesco del potenziale d’azione → ci saranno dei segmenti vicino che creeranno nuovi
potenziali d’azione. Quanto sono lontani questi segmenti ce lo dice la costante di spazio.
Più è alta la costante di spazio più sarà in grado di generare un nuovo potenziale d’azione
rispetto alla distanza di quello iniziale. In questo modo il potenziale d’azione copre tutta la
lunghezza dell’assone. Il potenziale d’azione è sempre uguale a se stesso, nel momento
in cui un segmento è sopra soglia genera un potenziale d’azione ampio quanto il primo.
La propagazione del potenziale d’azione avviene in entrambi i sensi tanto verso a monte
quanto a valle, ma questa è una situazione artificiale → normalmente si depolarizza il
monticolo assonico; a questo punto la zona successiva a depolarizzarsi è quella a valle.
Normalmente la presenza del periodo refrattario impedisce che la superficie a monte di
essa generi un nuovo potenziale d’azione→ il potenziale d’azione si propaga in una sola
direzione. Il periodo refrattario dona un verso a questa propagazione.
Due aspetti importanti della propagazione sono la velocità con la quale avviene e la
sicurezza con la quale avviene (in situazioni eccezionali il potenziale d’azione potrebbe
morire, la sicurezza è la probabilità che non muoia).

Un fattore che regola sia la velocità che la sicurezza è il diametro assonale.


Un diametro assonale più grande corrisponde a una costante di spazio più grande e quindi
a una velocità di conduzione maggiore (la resistenza transmembrana varia come
1/diametro dell’assone mentre la resistenza assonica varia come 1/diametro2 → λ varia
col diametro dell’assone). Se la costante di spazio è alta si propaga a distanza con minore
decremento → la propagazione risulta più veloce e più sicura.

Un secondo fattore molto importante è la guaina mielinica. Essa è fatta dalle cellule gliali
(cellule di schwan nel snp e oligodentrociti nel snc) con avvolgimenti della membrana
cellulare modificata di queste cellule che si avvolge a spirale intorno a segmenti di un
gruppo di assoni. La membrana cellulare è modificata percè arricchita da componenti
lipidiche e proteiche (la mielina è fatta principalmente da lipidi ma con un’importante
componente proteica). Solo un sottogruppo degli assoni del sistema nervoso è
mielinizzato, ed è presente in tutti i craniati → comporta una maggiore velocità e sicurezza
di propagazione e un maggior risparmio energetico → minor consumo metabolico.
Per capire come funziona la mielina dobbiamo introdurre il concetto di capacità → la
membrana cellulare si comporta anche come un condensatore (strato isolante). Questa
situazione viene chiamata un circuito RC (resistenza-condensatore) → la corrente che
passa in questo circuito può essere separata in una componente capacitativa (quanto
velocemente nel tempo varia il voltaggio) e una resistiva (dovuta al passaggio delle
cariche).
I = Icap + I res
Ires = V(t)/Rm
Icap = Cm (capacitanza di membrana) dV/dt (derivate)

I = Cm dV/dt + V(t)/Rm
se isolo V(t) ho: V(t) = IRm - Rm Cm dV/dt

V(t) = Rm I (1 – e-t/τ)
Anche se noi iniettiamo una corrente istantanea Vm ci mette un po’ad attivarsi.
Immaginiamo di iniettare una corrente e non disattivarla mai.
Se t=0 allora V(t)=0,
se t=infinito allora V(t)=IRm → se non considerassimo la componente capacitiva
ma se t=τ allora V(t)=IRm [(1-1/e)→ 63% del valore di V all’infinito)]
τ = costante di tempo = tempo necessario perché Vm raggiunga il 63% del suo
valore finale)
τ = Cm x Rm

Cm = capacità di membrana = quantità di cariche che si dispongono tra le due facce della
membrana (da un lato all’altro della membrana) e provocano una ddp tra di esse.
Come reagisce la membrana a una variazione di potenziale? Nel grafico possiamo
distinguere dalle correnti capacitative da quelle resistive. Le correnti capacitative
dipendono solo da una variazione del voltaggio nel tempo, quindi non sono presenti per
tutta la depolarizzazione ma solo all’inizio e alla fine, quando il potenziale varia; il
passaggio di ioni attraverso la membrana ad un certo voltaggio è dato dalla corrente
resistiva.
Alle due facce della membrana a una variazione di Vm le cariche si riarrangiano e
provocano la corrente capacitativa. Non c’è attraversamento della membrana da parte
delle cariche ma solo un riarrangiamento delle cariche alle due facce della membrana.

Coordinazione della costante di tempo e di spazio

Iniettiamo con un elettrodo all’interno dell’assone della corrente e con tre elettrodi posti a
distanze differenti misuriamo la differenza di depolarizzazione nelle zone adiacenti. Mano
a mano che ci allontaniamo il quadrato dello schema risulta sempre più smussato, tanto
da perdersi. L’effetto combinato delle costanti di spazio e tempo fanno si che il quadrato
risulti smussato, sempre più attenuato fino a che è quasi indistinguibile → nessun effetto.
Maggiore è la capacità di membrana maggiore è la quantità di cariche che si trovano ai
suoi due lati e quindi maggiore è il tempo necessario per riarrangiarle.
La componente capacitativa è più precoce della componente resistiva, quindi le cariche
passano dalla membrana dopo che le cariche si sono riarrangiate.
La compomente resistiva è quella che fa variare il potenziale di membrana → maggiore è
la componente capacitiva e quindi la costante di tempo più tempo ci vorrà a cambiare Vm.

La mielina riduce la capacità di membrana (aumenta lo spazio tra le due facce della
membrana) → la velocità di propagazione aumenta se la capacità di membrana
diminuisce → la velocità di propagazione aumenta. La velocità di propagazione del
potenziale d’azione è inversamente proporzionale a C m x Ra (che non varia). ((Se Cm è
minore allora V è maggiore)).
La mielina non ricopre completamente il nervo ma solo dei segmenti dell’assone detti
internodi (dato che la mielina è un isolante (riduce la dispersione all’esterno delle correnti)
il campo elettrico non fluisce liberamente e quindi più velocemente). Tra un internodo e
l’altro ci sono i nodi di Ranvier scoperti da mielina in cui fluisce più liberamente e quindi
meno velocemente il campo elettrico. Il potenziale d’azione nei nervi mielinati fluisce molto
velcemente negli internodi mielinati e un po’ più lentamente nei nodi di Ranvier. Questo
tipo di conduzione prende il nome di condizione saltuatoria.
La mielina aumenta anche la resistenza transmembrana e così facendo riduce la
dissipazione delle correnti aumentando la sicurezza della conduzione → anche in
presenza della mielina la propagazione elettrotonica non riuscirà mai a coprire tutta la
lunghezza dell’assone, quindi il potenziale d’azione dovrà essere rigenerato nei nodi di
Ranvier, particolarmente ricchi di canali sodio voltaggio-dipendenti → conduzione
saltatoria.
La mielina è quindi anche un fattore importante per quanto riguarda la sicurezza → la
costante di spazio riesce a comprendere anche due o tre nodi di Ranvier successivi → se
un nodo dovesse fallire ci sono i successivi nei quali si può generare un potenziale
d’azione.
Il terzo effetto della mielina è un risparmio energetico → in primo luogo essendo minore
la capacitanza di membrana c’è bisogno di spostare meno cariche da una parte all’altra
della membrana e si riduce il lavoro delle pompe sodio-potassio, ma esso si riduce anche
perché le correnti ioniche sono limitate ai Nodi di Ranvier, dove addirittura le correnti
ioniche sono dissipate dall’effetto del potenziale d’azione.

Non tutti gli assoni del sistema nervoso sono mielinizzati ma quelli mielinizzati hanno
velocità di propagazione 10 o anche 100 volte maggiore di quelli non mielinizzati. Infatti
hanno velocità di 20-100 m/sec rispetto a quella standard di 0,5/2 m/sec.
Il professor Muller, uno dei primi fisiologi, pensava che la velocità della conduttanza fosse
infinita. Credeva nell’esistenza di una forza vitalistica che andava al di là delle leggi fisiche
che guidava le nostre azioni. Von Elmuz, un suo studente era invece convinto che tutto ciò
che riguarda la fisiologia fosse sottoposto alla fisica e misurabile e iniziò a misurare la
velocità di conduzione dei nervi con un muscolo di rana.
Ci sono diversi tipi di nervi nel nostro corpo. Prendiamo per esempio i nervi afferenti:
Quelli mielinati sono detti fibre di tipo a, quelli non mielinati fibre di tipo c; anche quelle non
mielinate più grandi di tutti raggiungono una velocità di 2 m/sec mentree quelle mielinate
più piccole danno una velocità addirittura 3 volte maggiore. La grandezza del diametro
dell’assone non può sopperire all’assenza di mielina.
Maggiore è il diametro della fibra non mielinata maggiore è la velocità di conduzione
→ questo perché la costante di spazio dipende dalla radice del diametro dell’assone.
Anche per le fibre mielinate maggiore è il diametro maggiore è la velocità di conduzione→
non è dovuto all’aumento della costante di spazio ma dal fatto che maggiore è il diametro
della fibra, più spessa sarà la guaina mielinica e più spessa è la guaina mielinica maggiore
è la distanza tra le due facce del condensatore. Sarà quindi maggiore l’effetto della
riduzione della capacità di membrana → maggiore sarà la riduzione della costante di
tempo → aumenta la velocità.

I CIRCUITI NEURONALI - introduzione

Nei neuroni le informazioni e quindi i potenziali d’azione devono passare da una cellula
all’altra e lo fanno grazie ai circuiti che vengono generati.
Iniziamo dai circuiti dei riflessi → riflesso patellare. Il medico utilizza il martelletto per
stirare un legamento collegato al muscolo estensore del quadricipite.
L’organismo viene ingannato e pensa che il muscolo estensore si stia stirando contro la
sua volontà. Questo viene percepito dal fuso neuromuscolare, innervato da fibre
afferenti. Lo stimolo induce la generazione di potenziali d’azione nel neurone sensitivo che
entra nel midollo spinale e arriva a stimolare un motoneurone che trasmette l’informazione
fino al muscolo dicendogli di contrarsi. Ci sarà un’altra diramazione dell’assone che andrà
ad eccitare l’interneurone, un neurone che fa da messaggero dell’informazione tra due
neuroni. Questo neurone è di tipo inibitorio → inibisce un motoneurone che va a stimolare
il muscolo flessore del bicipite, inibendo la sua contrazione e facendolo distendere per non
contrastare la contrazione del quadricipite. Lo stimolo causa una variazione del potenziale
di membrana del fuso che è simile nella forma allo stimolo stesso (quadrato). Quando
viene portato alla zona d’innesco vengono generati in questo caso pochi potenziali
d’azione, quando invece la depolarizzazione supera la soglia d’innesco di tanto e per tanto
tempo vengono generati molti più potenziali d’azione. Il potenziale d’azione viene poi
trasportato lungo l’assone fino alla terminazione sinaptica che va a contattare sia
l’interneurone inibitorio sia il motoneurone eccitatorio, e un piccolo numero di potenziali
d’azione causerà il rilascio di una piccola quantità di neurotrasmettitori da parte della
terminazione mentre una grande quantità di potenziali d’azione causerà il rilascio di più
neurotrasmettitori. In questo modo l’intensità dello stimolo viene rispecchiata nella
reazione dei potenziali d’azione. Questo evento è una codifica dell’informazione, studiata
inizialmente da Lord Adrian, che vide che maggiore era lo stiramento a cui era sottoposto il
muscolo, maggiore era la frequenza dei potenziali d’azione. L’informazione viene portata
dalla frequenza: se è bassa c’è un poco di qualcosa, se è alta c’è un tanto di qualcosa.
Studi successivi hanno dimostrato che anche altre caratteristiche della scarica, come il
timing, portano informazione: se le scariche sono precoci o sincrone giunge
un’informazione aggiuntiva che aggiunge a quella data dalla loro frequenza.
IMMAGINI UTILI
LA TRASMISSIONE SINAPTICA

I neuroni non operano indipendentemente l’uno dall’altro. La trasmissione


dell’informazione avviene attraverso strutture specializzate chiamate sinapsi, all’interno
delle quali possiamo distinguere un terminale presinaptico, a monte della sinapsi che
corrisponde al terminale assonico e nella parte a valle un terminale postsinaptico,
disposto o sui dendriti o sul corpo cellulare. Le due parti sono separate dal vallo
sinaptico, le cui dimensioni vanno da pochi nm a poche decine di nm.
Le sinapsi possono essere elettriche o chimiche.
Le sinapsi elettriche sono comuni negli invertebrati ma esistono anche nei vertebrati
nelle zone sottocorticali, quelle più antiche. Sono caratterizzate da una continuità
citoplasmatica tra la cellula pre sinaptica e quella post sinaptica (il citoplasma delle due
cellule è in contatto), fatta da giunzioni comunicanti (gap junctions), che permettono la
trasmissione del segnale elettrico in maniera istantanea grazie al passaggio diretto di
correnti ioniche attraverso le giunzioni.
Permettono una trasmissione bidirezionale del segnale e sono utilizzate per
sincronizzare le risposte delle popolazioni di neuroni (vallo sinaptico di pochi nm, dai 2 ai
4).
La giunzione comunicante è fatta da una coppia di emicanali detti connessoni, che si
uniscono formando la giunzione comunicante.
Ogni connessone è fatto a sua volta da 6 subunità proteiche dette connessine, disposte
in modo tale da formare un poro centrale di circa 2 nm che metta in comunicazione il
citoplasma delle le due cellule. Il canale può essere chiuso o aperto e si apre secondo una
modifica conformazionale delle proteine delle connessine. La modulazione della chiusura
e l’apertura avviene secondo una serie di stimoli causati dal cambiamento delle condizioni
ambientali del volume intracellulare come la variazione del pH e la concentrazione di
calcio.
Sono utilizzate per avere un’attivazione massiccia e rapida di un gruppo di neuroni (plisia -
lepre di mare, se qualcuno le tocca la coda deve avere una reazione veloce per scappare,
sparando inchiostro→ se si attiva un solo motoneurone si attivano anche tutti gli altri).

Le sinapsi chimiche si trovano nelle strutture superiori del sistema nervoso dell’essere
umano, nella corteccia sono tutte più o meno sinapsi chimiche. Nelle sinapsi chimiche il
vallo è un po’ più largo (40 nm) e nel loro funzionamento comporta la trasformazione del
segnale da elettrico a chimico e nella parte post-sinaptica da chimico a elettrochimico.
Nel terminale sinaptico sono presenti delle vescicole che contengono neurotrasmettitori
→ quando il terminale presinaptico viene depolarizzato queste vescicole si fondono sulla
membrana ed emettono i neurotrasmettitori, che si legheranno a dei recettori sul lato
opposto della sinapsi, che attiveranno lì delle correnti permettendo il trasferimento
dell’informazione da una cellula a quella successiva. Sono unidirezionali e permettono
l’amplificazione del segnale. Sono caratterizzate da un ritardo della risposta che può
andare da una frazione di millisecondo fino a qualche millisecondo.
Processo: arriva un potenziale d’azione nella terminazione presinaptica, nella quale sono
presenti dei canali calcio voltaggio dipendenti ad alta soglia che si aprono e mediano
l’ingresso di calcio nel terminale presinaptico. Questo fa sì che le vescicole si fondano
sulla membrana causando il rilascio del neurotrasmettitore, che si lega a un recettore
canale, che a sua volta aprirà delle conduttanze del sodio sulla cellula post-sinaptica che
causeranno l’instaurarsi una variazione di potenziale sulla cellula post-sinaptica, che può
sia raggiungere che non raggiungere la soglia.
I recettori canale non sono altro che canali ionici attivati da ligando (il neurotrasmettitore
– possono essere o amminoacidi o peptidi o catecolammine o nucleotidi).
È quindi indispensabile l’ingresso di ioni calcio nella terminazione presinaptica → tanto più
calcio entra tanto più neurotrasmettitore viene rilasciato. Senza calcio le vescicole non si
fonderebbero alla membrana e non si trasmetterebbe il potenziale d’azione →
esperimento Katz no calcio extracellulare. C’è sempre un ritardo rispetto alle sinapsi
elettriche, è il tempo che ci vuole per tutti i processi che compongono la trasmissione. Le
correnti sodio-potassio non sarebbero necessarie per il rilascio del neurotrasmettitore ma
nella realtà biologica essi mediano l’ingresso degli ioni calcio.
Per approfondire prenderemo in esempio la placca neuromotrice, sinapsi
neuromuscolare o giunzione neuromuscolare, che comanda la contrazione dei
muscoli:
• neurotrasmettitore = acetilcolina – recettori colinergici
Abbiamo una struttura molto simile a quella vista (zona attiva del terminale presinaptico
con vescicole e mitocondri per energia, fessura sinaptica e dal lato del muscolo delle
invaginazioni con recettori per l’acetilcolina e canali sodio-potassio voltaggio dipendenti).
L’acetilcolina viene liberata verso la fessura sinaptica, molto larga (100 nm), e va ad
attivare i recettori sinaptici che hanno un’alta densità. I recettori si aprono e la loro
apertura causa una depolarizzazione chiamata potenziale di placca. Se esso è
soprasoglia causa un altro potenziale d’azione. In generale si generano anche delle
correnti elettrotoniche tra la placca e le zone vicine con canali sodio voltaggio dipendenti
→ se il potenziale di placca raggiunge il potenziale di soglia si aprirà un numero tale di
canali sodio voltaggio-dipendenti per far sì che insorga il potenziale d’azione muscolare
che causa la contrazione del muscolo.
L’acetilcolina non può rimanere legata ai canali perché comporterebbe un tetano, ovvero
una contrazione ininterrotta del muscolo. In questo caso viene idrolizzata in colina e un
acido acetico dall’enzima acetilcolina-esterasi e riciclata e usata per crearne nuove
molecole. Non tutta l’acetilcolina viene idrolizzata, parte diffonde nella parte
extraccellulare.
EX: Al muscolo viene data eserina, una sostanza tossica che inibisce l’acetilcolina-
esterasi→ l’acetilcolina rimarrà nella parte postsinaptica → se il motoneurone è attivo il
muscolo va in tetano. Se il motoneurone non è attivo, si vedono delle oscillazioni del
potenziale di placca, poco frequenti ma con l’eserina acquistano un’ampiezza e una durata
maggiori→ depolarizzazioni spontanee che prendono il nome di potenziali di placca in
miniatura. Il fatto che con l’eserina non ci si aun aumento della frequenza ci dice che
l’acetilcolina viene rilasciata in quanti (quantità minima = 1 quanto). Un quanto di
acetilcolina è sufficiente ad attivare circa 2000 canali postsinaptici. Secondo un’analisi
statistica possiamo vedere che certi picchi si ripetono e hanno dimensioni 2x o 3x di altri
→ rilascio di 1, 2 o 3 quanti → possiamo andare a misurare il numero di molecole in un
quanto. In un quanto di acetilcolina ci sono circa 5000 molecole.
Quanto = vescicola ,una singola vescicola si è fusa con la membrana e ha liberato il suo
contenuto → è stato liberato un quanto di acetilcolina → non si può fondere mezza
vescicola.
L’arrivo di un singolo potenziale d’azione libera circa 150 quanti (vengono liberati 100000
quanti al secondo)→ in assenza di potenziale d’azione c’è un rilascio basale di all’incirca 1
quanto al secondo (le vescicole sono sempre pronte a fondersi poichè si trovano vicino
alla membrana cellulare).
Le vescicole si fondono non su tutti i punti della membrana ma solo su un’area
specializzata presente nel terminale presinaptico detta zona attiva → la liberazione delle
vescicole è un fenomeno tutto o nulla, la vescicola o si fonde o non si fonde. La probabilità
dipende dalla quantità di calcio che entra durante il potenziale d’azione sul lato
presinaptico.
Lo ione calcio ha un potenziale di equilibrio molto positivo, quindi entra con grande forza
legando le proteine sulla superficie delle vescicole causandone la fusione e la liberazione
del loro contenuto. Per aumentare questa probabilità c’è una certa quantità di vescicole
sempre pronta a fondersi in vicinanza della membrana. Appena il calcio entra trova il suo
bersaglio, ovvero la proteina legata alla vescicola (i canali calcio voltaggio-dipendenti si
trovano anch’essi nella zona attiva) in modo tale da indurre la fusione. Le proteine che
inducono la fusione fanno parte del complesso SNARE. Studi fatti usando tossine
clostridriche (botulino e tetano) hanno dimostrato la loro esistenza. Le proteine SNARE si
dividono in due tipi: v-snare (v=vescicolari), che sono legate alla vescicola sinaptica e t-
snare, legate
alla membrana cellulare. In assenza di calcio interagiscono l’una con l’altra facendo
avvicinare la vescicola alla membrana cellulare senza fondersi molto spesso con essa
(evento a bassa frequenza). Quando entra il calcio avviene un’alterazione della
conformazione proteica che le fa interagire molto di più avvicinando la vescicola così tanto
da fonderla con la membrana.
È molto importante che il neurotrasmettitore non rimanga troppo nel vallo sinaptico pena la
condizione di tetano. Per far sì che esso termini la propria azione ci sono 3 meccanismi:
- ricaptazione del neurotrasmettitore (viene riutilizzato per riempire altre vescicole)
- diffusione al di fuori del vallo sinaptico → ripulito dagli astrociti
- idrolisi del neurotrasmettitore da un enzima deputato (a volte ricaptazione da una
delle due componenti).
La trasmissione sinaptica chimica viene mediata da due differenti tipi di recettori
postsinaptici:
• recettori ionotropici: (questi erano recettori ionotropici, sinapsi neuromuscolare)
responsabili delle risposte rapide, associati a canali ionici attivati da ligando.
• recettori metabotropici: (presenti nei neuroni) → responsabili di risposte più lente,
accoppiati indirettamente ai canali ionici attraverso secondi messaggeri.
L’effetto postsinaptico può essere sia di depolarizzazione che di iperpolarizzazione
e questo non dipende dal tipo di neurotrasmettitore ma dal tipo di recettore con cui
interagisce. Il neurotrasmettitore lega il suo recettore che andrà ad attivare a
cascata una serie di proteine tra cui la proteina g che può andare o direttamente
causare l’apertura del canale legandovisi a livello intracellulare o attivare un enzima
che creerà un secondo messaggero, un metabolita specifico, che dal lato
intracellulare va ad attivare il canale ionico. Molto importante nella
neuromodulazione. Ogni enzima produce molti secondi messaggeri, che a loro
volta entrano in contatto con molti canali → segnale amplificato (maggiore uso di
energia).

L’acetilcolina oltre che nella placca neuromuscolare ha anche una funzione anche al livello
del cervello e i suoi recettori, oltre a fare parte della categoria dei canali ligando-dipendenti
sono di tipo nicotinico. Spesso il nome del recettore viene dato dall’agonista più efficace
nell’attivarlo (mima l’effetto del neurotrasmettitore e causa la sua stessa azione con
un’efficacia che può essere maggiore). Farmaci antagonisti → bloccano o inibiscono
l’azione del neurotrasmettitore. Un antagonista del recettore nicotinico è il curaro
(antagonista nicotinico dell’acetilcolina → blocca l’azione dell’acetilcolina). Ogni
neurotrasmettitore però ha più tipi di recettore ( nel caso dell’acetilcolina esistono i
recettori muscarinici) → più recettori per singolo neurotrasmettitore.
Cosa succede quando arriva l’acetilcolina sulla faccia postsinaptica? Il potenziale di
membrana varia (potenziale di placca).
A un potenziale di placca è associata una corrente sinaptica di placca, che in questo caso
è depolarizzante (la curva della corrente è più precoce di quella del voltaggio → effetto
della capacità di membrana. → costante di tempo).
Effetto della costante di spazio → attenua l’effetto della corrente e la variazione di
potenziale mano a mano che ci allontaniamo dal sito di iniezione → si diluisce sempre di
più. Questo decremento è tipico dei segnali elettrotonici.
Differenze tra potenziali postinaptici eccitatori (EPSP) e quello d’azione

• I primi non necessariamente portano a una inversione della polarità di membrana e


sono mediati da canali ionici ligando dipendenti non selettivi.
Il potenziale d’azione invece porta un’inversione di polarità mediata da canali ionici
voltaggio-dipendenti selettivi per alcuni ioni.
• Gli EPSP sono potenziali graduati in altezza (più neurotrasmettitore viene rilasciato
più sono ampi) mentre il potenziale d’azione è un fenomeno tutto o nulla.
• Gli EPSP si propagano diminuendosi, mentre il potenziale d’azione viene rigenerato
e si propaga senza decremento. Se gli EPSP superano la soglia si ha la
generazione di un potenziale d’azione.
I potenziali di placca possono essere bloccati da antagonisti nicotinici come il curaro ma
non sono fermati da ttx. Anche se blocchiamo i canali sodio voltaggio-dipendenti non si
avrà una generazione del potenziale d’azione ma solo del potenziale di placca.
I recettori nicotinici creano correnti depolarizzanti ma da cosa sono create?
Per capirlo è stato studiato il potenziale d’inversione dei recettori nicotinici, misurando le
correnti sinaptiche evocate nel terminale postsinaptico dalla stimolazione degli assoni
presinaptici imponendo sperimentalmente diversi valori di potenziale di membrana alla
cellula postsinaptica e attivando artificialmente il motoneurone.
Il potenziale d’inversione della giunzione muscolare è 0 Mv (unico caso in cui non passa
corrente). Non corrisponde quindi né a un flusso del potassio né del sodio → è un canale
misto dove passano sia il sodio sia il potassio.

Einv = gNICNa Ena + gNICK Ek / gNICNa + gNICk

Se la permeabilità del sodio e del potassio fossero uguali il potenziale d’inversione


sarebbe 20 mV. Nei recettori nicotinici la permeabilità del sodio è quindi circa 2 volte quella
del potassio. La membrana tende sempre a portare il potenziale verso il potenziale
d’inversione.

I recettori nicotinici sono canali a bassa specificità che fanno passare solo ioni positivi, e
sono inattivati dalla a-bungarotossina. Sono formati da 5 subunità (2 subunità ά, 1
subunità β, 1 subunità γ e una δ); il sito di legame per l’acetilcolina si trova su ognuna delle
subunità ά. Quando sono entrambe legate all’acetilcolina il poro si apre e fa passare gli
ioni.
Noi consideriamo solo le misure di ensemble quando parliamo di canali chiusi e aperti ma
nella realtà i canali passano costantemente da uno stato di apertura a uno di chiusura e la
presenza di particolari condizioni ambientali varia la probabilità di trovarli allo stato aperto
o chiuso. Senza acetilcolina il canale è quasi sempre chiuso, mentre quando si legano due
molecole di acetilcolina al canale esso varia da una condizione di apertura a una di
chiusura. La probabilità di trovarlo in uno stato aperto è semplicemente maggiore. Ogni
canale è aperto per un tempo variabile, magari aprono tutti insieme e mano a mano che
chiudono la somma di corrente data dall’azione di tutti i canali diminuisce sempre di puù.
La corrente che registriamo è data dalla moltiplicazione della probabilità che i canali siano
aperti, dalla conduttanza di ogni canale, del numero di canali della placca e della f.e.m.
che spinge gli ioni a passare attraverso il canale.
Il potenziale post sinaptico può generare un potenziale d’azione e si definiscono così i tipi
di trasmissione:
• trasmissione eccitatoria→ aumenta la probabilità che si presenti un potenziale
d’azione postsinaptico
• trasmissione inibitoria→ diminuisce la probabilità che si presenti un potenziale
d’azione postsinaptico.
Nel caso di trasmissione eccitatoria essa si traduce con un potenziale postsinaptico di tipo
EPSP, ovvero depolarizzante, e nel caso del SNC la maggior parte delle trasmissioni
eccitatorie usa come neurotrasmettitore il glutammato (recettori glutammatergici).
Nel caso di una trasmissione inibitoria generalmente ciò che si va a creare è un IPSP
(piccola iperpolarizzazione nel postsinaptico).
Il fatto che il potenziale d’inversione è 0 mv ci dice che la sinapsi è di tipo eccitatorio, infatti
l’apertura spinge il potenziale di membrana a raggiungere il potenziale di inversione → 0
mV è molto al di sopra del potenziale di soglia → l’apertura di queste conduttanze dà
molta probabilità di generare un potenziale d’azione.
Il fatto che la trasmissione sia inibitoria o eccitatoria non dipende dal neurotrasmettitore
ma dal recettore a cui si lega e quindi dal tipo di correnti che la sua attivazione induce.
Nel caso del riflesso patellare le fibre afferenti rilasciano glutammato sul motoneurone e lo
rilasciano tutto assieme perché ci sono più neuroni. Sul motoneurone ci sono delle
depolarizzazioni graduate che se vengono trasformate in potenziale d’azione causano la
contrazione del muscolo.
La trasmissione inibitoria è dovuta alla generazione di potenziali postsinaptici
iperpolarizzanti → apertura di conduttanze cloro. Il potenziale d’inversione del cloro è a -
70 mV, quando una cellula ha potenziale di riposo intorno ai -60 Mv, quando si aprono le
porte del cloro a causa di una trasmissione di tipo inibitorio verrà causato un IPSP.
Fisiologicamente il compito di un IPSP è quello di contrastare un EPSP, quando essi
avvengono contemporaneamente il potenziale di membrana non varia quasi per niente e
la probabilità che venga innescato un potenziale d’azione diminuisce drasticamente.
Nel midollo spinale almeno due neurotrasmettitori hanno come recettori canali ionici a
controllo di ligando che son permeabili al cloro, e hanno quindi azione inibitoria.
Tali neurotrasmettitori sono la glicina e il GABA. All’interno del cervello la glicina viene
utilizzata nelle strutture sottocorticali mentre il GABA in quelle corticali. Quando il terminale
presinaptico rilascia glicina o gaba se ci sono dei recettori di tipo inibitorio per questi
neurotrasmettitori apriranno delle conduttanze cloro che causeranno
un’iperpolarizzazione. L’azione inibitoria o eccitatoria dipende dal recettore, non dal
neurotrasmettitore. Vengono fatte due eccezioni : il GABA ha esclusivamente recettori di
tipo inibitorio mentre il glutammato solo di tipo eccitatorio (anche se nella retina esistono
dei recettori di tipo inibitorio per il glutammato mentre nel cervello dei bambini possiamo
trovare l’attivazione eccitatoria di recettori del GABA).
Il risultato finale dell’attività sinaptica è presentata da una certa frequenza di scarica in
uscita dall’assone. L’inibizione modula la scarica impedendo certi potenziali d’azione.
Infatti, se ci fossero solo trasmissioni eccitatorie ci sarebbero troppi potenziali d’azione,
mentre con l’inibizione alcuni potenziali d’azione non vengono fatti riprodurre. Per la
codifica dell’informazione è importante la frequenza di scarica, e la trasmissione inibitoria
dà un timing a quella frequenza, rendendo più ricca e complessa l’informazione. Un altro
concetto importante è che senza inibizione i circuiti andrebbero in un loop di
autoeccitazione, in cui andrebbero ad eccitarsi in circolo eccitandosi sempre di più con
un’eccitazione sincrona che provoca una seizure → crisi epilettica.
IMMAGINI UTILI
IL CODICE DEI SEGNALI NERVOSI

Se ci cade un bicchiere per terra, o ci sta per cadere, se misuriamo la latenza fra il
momento in cui sentiamo lo scivolamento e quello in cui aggiustiamo la presa, essa è
dell’ordine di 20-30 ms, troppo breve per poter collocare in questo tempo due o tre
potenziali d’azione. Non abbiamo abbastanza informazione nella frequenza di scarica per
giustificare la velocità con cui aggiustiamo la presa. Stiamo usando un altro codice. Per
calcolare la frequenza abbiamo bisogno di almeno due potenziali d’azione, se nel tempo di
latenza ce n’è uno solo vuol dire che per trasferire l’informazione non è stata usata la
frequenza.
Le cellule nervose possono usare anche un altro codice, ovvero il momento in cui arriva il
singolo potenziale d’azione il timing del potenziale d’azione → le trasmissioni inibitorie in
un circuito nervoso generano l’informazione totale che viene trasmessa. Nel caso del
calice della nonna è legato all’arrivo del primo potenziale d’azione → quando ci sia il
singolo potenziale d’azione trasporta informazioni. Questo codice è legato al tempo
preciso in cui il singolo potenziale d’azione è innescato, più generalmente a quanto
distano gli uni dagli altri i potenziali d’azione nel tempo.
Non solo gli ingressi eccitatori e inibitori interagiscono ma è importante anche dove sono
collocati e interagiscono nella cellula nervosa. La cellula riceverà molti segnali eccitatori e
inibitori in punti diversi di essa. Il segnale eccitatorio che dà origine ad una
depolarizzazione locale che si propaga con meccanismi elettrotonici e se di sufficiente
ampiezza quando raggiunge il monticolo assonico si innesca un potenziale d’azione.
Da un’altra parte arriva una trasmissione inibitoria che dà origine ad un’iperpolarizzazione
locale che arriverà al monticolo assonico con una certa ampiezza e la somma
(integrazione) delle due al monticolo assonico determina l’ampiezza della variazione
finale che potrà o no generare un potenziale d’azione.
Il fatto che se la giochino alla pari o meno dipende anche dalla distanza dal monticolo
assonico, se sono alla stessa distanza infatti arriveranno al monticolo più o meno con la
stessa ampiezza. Nel caso che si trovino a due distanze differenti per causa della costante
di spazio quella meno distante è più efficace (il segnale si attenua di meno) → se la
sinapsi inibitoria è molto vicino al monticolo assonico riesce a controllare la generazione
del potenziale d’azione molto più facilmente. Dove è collocato il contatto sinaptico è
importante per prevedere se il suo efficace sia più o meno efficace.

La trasmissione sinaptica indiretta

Ci sono recettori sinaptici che sono canali ionici (recettori ionotropici) che hanno come
neurotrasmettitori per esempio il glutammato, il GABA (acido γ-amminobutirrico), glicina e
acetilcolina (nicotinici); esistono però anche altri recettori sinaptici che non sono canali
ionici (recettori metabotropici)→ il neurotrasmettitore si lega al recettore e dopo una
cascata chimica il secondo messaggero regola il canale ionico. Tra i neurotrasmettitori
interessati troviamo il GABA (su recettori GABA B), il glutammato (metabotropici),
acetilcolina (muscarinici), noradrenalina, dopamina, serotonina, oppioidi etc.
Durante la trasmissione sinaptica il neurotrasmettitore si lega al recettore, una molecola
con azione enzimatica che si attiva andando ad attivare una molecola della famiglia delle
proteine G (legano la GDP guanosindifosfato). Quando il recettore attiva la proteina G,
essa scambia il GDP con il GTP (guanosintrifosfato), una molecola energicamente
superiore e va incontro a una modifica conformazionale che le consente di andare ad
attivare un’altra molecola chiamata effettore primario (tutto nella membrana cellulare)
che produce il secondo messaggero che diffonde e va ad attivare l’ effettore
secondario che va ad interagire col canale ionico di membrana.
ESEMPIO:
Neurotrasmettitore: noradrenalina o norepinefrina
Questo neurotrasmettitore si lega al suo recettore, chiamato recettore β-adrenergico
(studiato all’inizio in correlazione con l’adrenalina), e lo attiva. Esso va ad attivare una
proteina G, chiamata GS (stimolante), che va ad attivare l’effettore primario (adenilato-
ciclasi), che produce un secondo messaggero chiamatp AMPC (ciclico) (adenosin
monofosfato) che va ad attivare l’effettore secondario (protein-chinasi AMPC dipendente
o PKA ).
La PKA aggiunge gruppi fosfato alla molecola (canali ionici a fosforillazione→ aggiungono
gruppi fosfato al canale).

La trasmissione sinaptica su recettori metabotropici, siccome non è direttamente l’apertura


del canale da parte del neurotramettitore ma la fosforillazione di canali ionici da parte
dell’effettore secondario, può sia aprire canali ionici chiusi (lenta insorgenza ma anche più
lunga durata, perché per poterlo chiudere servono più passaggi – nel caso della
trasmissione diretta dura 4-5 ms fino a 20, mentre per l’indiretta anche da 200 ms a decine
di secondi) ma posso anche chiudere canali ionici aperti, e anche bloccare un canale
ionico chiuso, impedendo che esso si apra in risposta al proprio stimolo.
ESEMPIO:
Neurotrasmettitore: serotonina, ha solo recettori metabotropici.
Il neurotrasmettitore si lega al recettore, questo si attiva e va ad attivare la proteina G (che
scambia GDP con GTP) e va ad attivare l’effettore primario (adenilato-ciclasi) che
produce AMPC. Esso diffonde e va ad attivare l’effettore secondario (PKA) che va a
fosforillare un canale potassio passivo, che a potenziale di riposo è aperto
determinandone la chiusura.
Se va a chiudere un certo numero canali potassio passivi il potenziale di membrana
depolarizza. Se a questo punto arriva la depolarizzazione data da un altro potenziale
sinaptico il fatto che abbiamo chiuso parte dei canali potassio fa abbassare la soglia del
potenziale d’azione → la cellula nervosa è diventata più eccitabile →rimarrà eccitabile
fino a che i canali potassio rimarranno chiusi, ovvero per centinaia di millisecondi, fino a
che la fofatasi, un enzima apposito non leva i gruppi fosfato. La cellula potrebbe rimanere
più eccitabile anche a segnali eccitatori deboli per diversi minuti. La trasmissione sinaptica
su recettori metabotropici cambia l’eccitabilità delle cellule nervose.

Come abbiamo scoperto che quelli da noi nominati sono neurotrasmettitori?


Le caratteristiche che una molecola deve avere per essere un neurotrasmettitore sono:
- deve essere prodotta alle cellule nervose
- deve essere trasmessa e rilasciata dai siti sinaptici
- deve agire sul recettore della cellula postsinaptica
- deve trovarsi raccolto in vesicole

ESEMPIO: sinapsi colinergica


• Il neurone presinaptico produce l’acetilcolina. Infatti esso esprime tutte le molecole
necessarie per la produzione dell’acetilcolina. Essa ha una via di sintesi molto
breve, viene prodotta a partire dalla colina attraverso l’azione di un enzima
chiamato colin-acetil tranferasi, o CAT. Se una cellula nervosa esprime la
molecola CAT allora è colinergica. Nel terminale sinaptico troverò la CAT, le
molecole che impacchettano l’acetilcolina vescicole, dei trasportatori etc.
• Sul neurone postsinaptico troviamo i recettori per l’acetilcolina che possono essere
nicotinici (se sono recettori canale) o muscarinici (se sono recettori
metabotropici). Trovo anche gli enzimi di degradazione del neurotrasmettitore
(acetilcolinesterasi – AchE) che distrugge l’acetilcolina. I prodotti di quesra
degradazione vengono ripresi dal terminale presinaptico per produrre altra
acetilcolina.

Trasmissione sinaptica glutamatergica: recettori NMDA e non NMDA

Il glutammato ha diversi tipi di recettore, sia ionotropici che metabotropici.


• Recettore non NMDA → Il recettore canale è molto simile a quello nicotinico
dell’acetilcolina. È un canale ionico a cui il glutammato si lega. È permeabile sia al
sodio che al potassio, con un potenziale d’inversione d’inversione intorno a 0 mV,
quindi modula sicuramente una trasmissione eccitatoria. Quando si apre la cellula
postsinaptica si depolarizza.
• Recettore NMDA → ha un ruolo aggiuntivo oltre a quello di recettore sinaptico.
Viene chiamato NMDA dalla sigla dell’agonista del glutammato più efficace su di
esso, il n-metildiaspartato. Questo recettore ha diversi siti di legame, uno
glutamatergico per il glutammato, ma anche altri.
Ad uno si legano anche le molecole di magnesio (Mg 2+), che hanno sito di legame
dentro il canale. Cosa succede nel recettore non- NMDA? Il glutammato si lega, il
recettore si apre e passa corrente. In quello NMDA invece il glutammato si lega, il
recettore si apre ma il magnesio legato al canale fa da tappo e non passa corrente.
Il tappo viene espulso quando il neurone postsinaptico si depolarizza. Solo a
questo punto può passare una corrente ionica fatta da ioni sodio, potassio e calcio.
Ha un potenziale d’inversione intorno a 20 mV quindi è un’azione eccitatoria.
Mentre il recettore non-NMDA è un normale recettore canale questo è peculiare perché
non basta l’azione del ligando a far passare corrente, ma abbiamo bisogno anche di una
depolarizzazione.
Questa caratteristica del recettore NMDA (ovvero di avere bisogno sia che il recettore
presinaptico che postsinaptico siano attivi) fa si che esso si sia guadagnato il nome di
detettore o rilevatore di coincidenza dell’attività delle cellule neuronali.
E’ un caso unico di recettore sia ligando-dipendente che voltaggio-dipendente. Si presta
benissimo a rivelare se le attività dei due neuroni pre e post sinaptici sono correlate.
Donald Hebb nel 1940 formulò un’ipotesi all’interno della quale diceva che alla fine di un
apprendimento associativo il comportamento cambia perchè i due neuroni avendo lavorato
insieme rafforzano la connessione sinaptica tra di loro e la fanno rimanere forte a lungo →
modifica del circuito nervoso. L’attività del recettore NMDA è indispesabile per
implementare l’ipotesi della modificazione sinaptica descritta da Hebb → quando passa
corrente da questo neurone vuol dire che il neurone presinaptico ha attivato con successo
quello postsinaptico e sono attivi contemporaneamente. Se attivato, fa partire quindi dei
processi di modifica dlel’attività sinaptica.
Perchè è voltaggio-dipendente?
La forma del grafico ci dice che è voltaggio dipendente quando abbiamo magnesio, se lo
togliamo, è una retta tipica dei canali che fanno passare corrente secondo la fem, ovvero
la distanza del loro potenziale di membrana dal loro potenziale d’inversione. È voltaggio
dipendente perché ha questo sito di legame per il magnesio, che aggiunge il bisogno della
depolarizzazione.
Il glutammato ha anche recettori a secondo messaggero, che tranne in un caso hanno
un’azione eccitatoria. Il glutammato non ha un cammino biosintetico, essendo un
amminoacido che assumiamo con la dieta, non può essere distrutto e prodotto da noi.
Il GABA invece è prodotto a partire dal glutammato dall’enzima decarbossilasi dell’acido
glutammico o GAD → un neurone che produce GAD è un neurone gabaergico.
I recettori del gaba di tipo A sono i siti d’azione delle benzodiazepine e i barbiturici
(ansiolitici), agonisti del GABA.
LA NEUROMODULAZIONE

La neuromodulazione è una trasmissione sinaptica in cui sono coinvolti neurotrasmettitori i


cui recettori sinaptici sono esclusivamente recettori metabotropici. La serotonina, per
esempio, chiudendo i canali passivi del potassio influenza l’eccitabilità del neurone
postsinaptico anche per tempi lunghi. Non trasmetto velocemente informazione, sto
cambiando il modo in cui il neurone postsinaptico riceverà il segnale, il modo in cui si
attiverà in seguito alla ricezione di una trasmissione presinaptica a secondo
messaggero→ neuromodulazione. Io chiamo neuromodulatore un neurotrasmettitore che
ha questo tipo di effetto tramite i recettori a secondo messaggero. La neuromodulazione
modula la probabilità che il neurone attivato o disattivato risponde a ingressi sinaptici →
riduzione o aumento dell’eccitabilità sinaptica. Modula il modo e i tempi in cui il neurone
riceve certi ingressi.
ESEMPIO: Analgesia endogena, trasmissione del segnale dolorfico dalle cellule che
ricevono uno stimolo nocivo fino al cervello.
I nocicettori mandano un segnale al cervello e sentiamo il dolore, nel frattempo un riflesso
ci farà staccare la mano dalla pentola. Il dolore è solo necessario quando mi segnala un
pericolo → c’è un sistema endogeno di controllo della percezione dolorifica, di analgesia,
che riduce la sensazione di dolore. Le principali molecole di neurotrasmettitori sono
chiamate oppiacei endogeni → i loro recettori sono quelli che legano le molecole derivate
dall’oppio.
In un nocicettore il suo terminale periferico sulla mano fa viaggiare i potenziali d’azione
fino al terminale assonico dove determinano il rilascio di due neurotrasmettitori, il
glutammato e piccole catene proteiche (neuropeptidi) che vanno ad agire su un altro
neurone, che trasmette l’informazione alla corteccia. Questo sito è controllato come
efficacia da un altro neurone che rilascia come neurotrasmettitore un peptide oppiaceo,
chiamato encefalina, attivato da vie discendenti dal cervello. In assenza della
neuromodulazione il glutammato e i neuropeptidi andrebbero a depolarizzare la cellula a
valle che creerebbe potenziale d’azione che porterebbero l’informazione alla corteccia
facendoci avvertire un dolore e la sensazione spiacevole che vi si accompagna. Adesso
entra in gioco la neuromodulazione.
L’encefalina viene rilasciata e agisce sia a livello presinaptico che postsinaptico; a livello
presinaptico determina una riduzione del rilascio del neurotrasmettitore perché
iperpolarizza il terminale presinaptico, causando il rilascio di meno glutammato e
neuropeptidi. Iperpolarizza anche il terminale postsinaptico e quindi essendoci meno
eccitazione e più inibizione la depolarizzazione non è abbastanza per produrre un nuovo
potenziale d’azione.
Come viene attviata? È automatica se ci sono altre priorità (ex. scappare). In un momento
di attivazione dell’istinto fight or flight per esempio agisce per non far sentire il dolore.

ESEMPIO: effetto della noradrenalina nell’ippocampo


La presenza dell’iperpolarizzazione postuma prolungata conferisce ai neuroni la possibilità
di fermare il burst di potenenziali d’azione, adattandosi. Il primo potenziale d’azione è
seguito da un’iperpolarizzazione postuma prolungata, il secondo da una ancor più
prolungata, e alla fine questa è così forte che blocca la possibilità di creare altri potenziali
d’azione. Quindi il neurone ippocampale emette un burst di potenziali d’azione all’inizio
dello stimolo, poi anche se lo stimolo è sempre presente non ne emette più. Questo
perché alla depolarizzazione e all’entrata del calcio si aprono i canali potassio calcio
dipendenti che danno un’iperpolarizzazione postuma molto prolungata. In alcuni casi può
essere presente un blocco dell’apertura dei canali calcio-dipendenti. Questo blocco è fatto
dalla noradrenalina, che va a fosforillare i canali potassio calcio dipendenti già chiusi → il
potenziale di membrana non cambia. Quando però arriva uno stimolo depolarizzante al
neurone ippocampale i cenali potassio calcio-dipendenti non rispondono più aprendosi ma
rimangono chiusi. Invece di adattarsi in questo caso scarica per tutto il tempo che lo
stimolo è presente. Quando l’effetto della fosforillazione scompare il neurone ritorna a
funzionare come al solito. L’effetto della noradrenalina è controllata dall’attenzione →
blocca l’adattamento facendoci memorizzare le cose che sentiamo. Quando focalizziamo
l’attenzione su un evento le cellule ippocampali aumentano la probabilità che lo
ricordiamo. La neuroadrenalina sta cambiando il modo in cui la cellula opera, non sta
portando un’informazione.
Per il momento abbiamo citato principalmente canali potassio, perché essi sono il
bersaglio principale della neuromodulazione. Per esempio un neurotrasmettitore potrebbe
bloccare i canali potassio voltaggio-dipendenti → il potenziale d’azione, non avendo la
corrente in uscita, avrebbe una durata molto più lunga, consentirebbero solo ai canali
potassio passivi di ripolarizzare la cellula e ci metterebbero un sacco. Non è vantaggioso
ma se fatto a livello presinaptico consentirebbe il rilascio di moltissimi neurotrasmettitori.

I sistemi neuromodulatori

Chi produce i neuromodulatori? Nel cervello abbiamo dei sistemi neuromodulatori che
chiamiamo sistemi a proiezione diffusa → hanno origine da poche cellule di proiezione
che proiettano a moltissime cellule, con un sistema molto diverso dalla trasmissione su
recettori canale. Un singolo neurone noradenergico (che si trova in una struttura del
tronco dell’encefalo chiamata locus ceruleus) proietta a tutto il sistema nervoso centrale, i
neuroni dopaminergici, che si trovano in nuclei del tronco dell’encefalo, proiettano alla
corteccia cerebrale, ai nuclei della base e, oltre ad avere un ruolo motorio hanno anche un
ruolo nel mediare la piacevolezza di un evento.
Altri due sistemi neuromodulatori sono quello serotoninergico (situato nel tronco
dell’encefalo – la serotonina dirige a tutto il SNC) e quello colinergico (con nuclei di
partenza lungo tutto il tronco dell’encefalo proiettano alla formazione reticolare del tronco
dell’encefalo, all’ippocampo e a tutta la corteccia).
Questi sistemi a proiezione diffusa hanno diverse funzioni.
Il sistema noradenergico è coinvolto nell’attenzione, nei ritmi sonno veglia, nel controllo
motorio, nel controllo dell’umore.
La serotonina invece è coinvolta nel controllo dell’alimentazione, dell’umore, del ritmo
sonno veglia, nel controllo dolorifico e motorio.
Il sistema colinergico è coinvolto nell’attenzione, nell’arousal, nel ritmo sonno veglia,
nella funzione ippocampale (apprendimento e memoria).
I recettori dei neuromodulatori sono bersaglio di molti farmaci, come il Prozac che inibisce
la ricaptazione della serotonina. La dopamina è bersaglio di antipsicotici (alcuni come il
Plasil, antiemetico) e molte sostanze che danno dipendenza, come cocaina.
ESEMPIO: sinapsi dopaminergica
La cocaina agisce inibendo la ripresa della dopamina da parte del terminale presinaptico,
l’aloperidolo agisce sui recettori D2 dopaminergici, le anfetamine invece agiscono a livello
della liberazione della dopamina potenziandone la trasmissione. C’è una correlazione tra
dose di farmaco attivo ed efficacia. Più un farmaco è efficace a bassa dose più è efficiente
→ sono più efficaci le sostanze a legarsi ai recettori.
Quindi i neuromodulatori sono una classe speciale di neurotrasmettitori che hanno
un’azione molto più complessa della semplice trasmissione dell’informazione, in quanto
modulano come la cellula reagisce ad uno stimolo.

Integrazione dei segnali nervosi


Integrazione non vuol dire solo sommare ingressi sinaptici che arrivano insieme in luoghi
diversi di una cellula nervosa, ma anche ingressi che arrivano a tempi diversi alla cellula
nervosa.
ESEMPIO: abbiamo un neurone che riceve due stimoli in due tempi diversi. Avrà due
potenziali postsinaptici eccitatori, uno al tempo 1 e uno al tempo 2. Se il neurone che
riceve ha una costante di tempo lunga i due segnali depolarizzanti dureranno così a lungo
che quando arriva il secondo il primo è ancora in atto → si raggiungono e si sommano
creando un potenziale d’azione. Se invece la costante di tempo è breve la prima
depolarizzazione finisce prima che inizi la seconda i due non si sommano e non avviene
potenziale d’azione. Se vogliamo che il neurone postsinaptico sia molto sensibile
dobbiamo dargli una costante di tempo lunga → integra nel tempo ingressi successivi → si
creerà con molta più probabilità il potenziale d’azione, ma ne soffre la velocità, ovvero il
momento in cui arrivano, il tempo a cui sono arrivati, non deve importare il tempo a cui è
arrivato lo stimolo. Se invece ciò che ci interessa è quando sono arrivati allora dovrà avere
una costante di tempo corta risponderà al singolo ingresso con una costante di tempo
corta, quindi per avere potenziale d’azione ogni singolo ingresso deve essere grande. I
neuroni uditivi per localizzare il suono utilizzano ritardi temporali → non hanno bisogno di
integrare gli ingressi anzi gli serve la temporizzazione. Mentre i bastoncelli della retina
sono più lenti ma sommano i diversi ingressi che ricevono a tempi diversi → rispondono
anche a bassi livelli di luminosità.
Le sinapsi possono presentarsi con diverse denominazioni:
- sinapsi assosomatica terminale assonico su soma
- sinapsi assodendritica terminale assonico su dendrite
- sinapsi assoassonica terminale assonico su assone
Alcune cellule nervose hanno canali sodio voltaggio dipendenti anche nei dendriti →
retropropagazione del potenziale d’azione. Avviene solo in alcune cellule nervose, fa
parte delle specializzazioni che specificano come funziona il neurone. A cosa serve? Alla
plasticità sinaptica, trasmettono il potenziale d’azione anche ai dendriti non coinvolti nella
trasmissione così da modificare i recettori.

La plasticità sinaptica

Il nostro comportamento è modificabile dall’esperienza, è flessibile, ce ne accorgiamo


molto bene quando impariamo un’attività. Quando cambia qualcosa nel comportamento è
perché cambia qualcosa a livello neuronale, il comportamento è flessibile perché il cervello
è flessibile. Il fatto che il cervello è modificabile dall’esperienza contribuisce alle differenze
che ci sono tra individui diversi. Individui diversi hanno capacità diverse perché hanno
cervelli diversi. Il nostro comportamento dipende da come si sono formati e modificati i
nostri circuiti nervosi durante lo sviluppo e da come si sono modificati. Il cervello è lo
strumento attraverso il quale percepiamo la realtà. Se abbiamo cervelli diversi la
percepiremo in maniera diversa e diversamente reagiremo ad essa. Ciò vuol dire che il
cervello può cambiare in risposta all’esperienza → plasticità neurale o più in particolare
sinaptica. È particolarmente presente a livello corticale e senza di essa il nostro cervello
non si sarebbe sviluppato e specificato in maniera normale, il nostro comportamento
sarebbe stereotipato e non modificato dall’esperienza e non avremmo alcuna memoria, il
passato non esisterebbe e avremmo difficoltà ad immaginarci il futuro. È cruciale per la
nostra sopravvivenza → ci consente di intervenire sui difetti, una specie che non è in
grado di modificare il comportamento se esso non è funzionale non ha grandi probabilità di
sopravvivenza. In un circuito nervoso quando l’esperienza lo modifica cambia l’efficacia
sinaptica delle cellule nervose →l’esperienza si traduce in attività elettrica e chimica. È
l’attività elettrica che va ad attivare la plasticità sinaptica.
Quali sono le regole della plasticità e quali molecole sono coinvolte? ...to be continued...
IMMAGINI UTILI
ANATOMIA: I SISTEMI SENSORIALI

Il sistema cervello contiene all’incirca 100 miliardi di neuroni, e ognuno di questi ha circa
10^4 (10.000) connessioni. Tutto ciò crea un sistema di una complessità tale
irraggiungibile da macchine.
Per orientarci all'interno di questo sistema molto complicato e tridimensionale abbiamo
bisogno di punti di riferimento, delle coordinate.
Nell’orientarci abbiamo due livelli di complicazioni:
– la struttura 3d del sistema, che impone di pensare attraverso rotazione di immagini
mentali o di capire bene che ogni immagine che vediamo ha eliminato una delle tre
dimensioni.
– molte delle definizioni che si danno delle coordinate del SNC sono state sviluppate sugli
animali ventre a terra, come i ratti, ma questa non è la nostra condizione. Durante
l’evoluzione nel nostro cervello c'è stata una rotazione della parte principale del cervello, il
telencefalo che è diventato ortogonale rispetto al tronco e la spina dorsale che sono
rimasti verticali.
Struttura animale: il sistema di coordinate è chiaro:
 Asse verticale
- verso il basso → direzione ventrale
- verso l’alto → direzione dorsale
 Asse orizzontale
- parte posteriore → caudale
- parte frontale → rostrale
Struttura umana: è leggermente diversa a causa dell’evoluzione
 Struttura alta dell'encefalo → parte telencefalica
- dorsale (superiore)
- ventrale (inferiore)
- rostrale (frontale)
- caudale (posteriore)
 Strutture del tronco encefalico → è ruotato tutto in verticale
- dorsale (posteriore)
- ventrale (davanti)
- caudale (inferiore)
- rostrale (superiore)
Riportare una struttura 3d in un’immagine 2d porta sempre delle distorsioni → devo
decidere su quale asse devo rappresentare la mia immagine:
 piano orizzontale → far passare un piano orizzontale nella testa → dobbiamo
decidere l'altezza a cui tagliare e vedere le strutture coinvolte a quell’altezza.
 piano coronale → asse verticale → ci attraversa da orecchio a orecchio e
rappresenta delle strutture dal punto di vista frontale.
 piano sagittale → attraversa le strutture dalla parte frontale a quella posteriore →
ci fa vedere le strutture come da dentro un orecchio, punto di vista laterale.
Una volta presi dei riferimenti devo andare a vedere come è organizzato il sistema nella
sua interezza.
Parte del SNC è il midollo spinale, che aiuta la parte inconscia dei nostri comportamenti
(battito del cuore/respiro) a essere innervati dai segnali che arrivano dall'alto.
- via ascendente → invia segnali dal corpo (parti distali) al cervello, quindi dalla parte
sensoriale al motore operativo. E’ chiamata via sensoriale-percettiva → cosa succede nel
mondo esterno.
- via discendente → comandi inviati in periferia dalla parte encefalica per dare i comandi
ai muscoli. Ci dà comandi su come agire sul mondo esterno

ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

1. midollo spinale – spinal cord


2. tronco cerebrale – brain stem
- bulbo – midollo allungato – medulla oblongata – mielencefalo
- ponte: prende informazioni dalla parte ventrale del tronco e le passa alla parte
dorsale, al cervelletto.
- mesencefalo – midbrain – chiamato così siccome è situato in mezzo all’encefalo
e il tronco
3. cervelletto – cerebellum
4. diencefalo
- talamo, stazione di ritrasmissione a cui proiettano tutte le aree sensoriali: visione,
acustica, somatosensoriale, gusto..l’unico sistema che non proietta al talamo è
l’olfatto. E’ importante per la modulazione attenzionale rispetto alle informazioni che
ci giungono.
- ipotalamo – piccolo talamo – gestisce le secrezioni ormonali del corpo, piccolo
ma fondamentale, ha una funzione vitale
5. telencefalo: emisferi cerebrali

MIDOLLO SPINALE

E’ la parte più caudale del sistema, riceve informazioni sensoriali provenienti dall’organo di
senso principale che abbiamo, la pelle e riceve ordini e li invia per coordinare muscoli,
articolazioni, tendini etc.
Vantaggio: permette un collegamento più o meno diretto dell’elaboratore centrale con tutte
le parti del corpo, deve essere velocissimo.
Svantaggio: quando si concentra così tanta importanza in una sola struttura qualsiasi
lesione in quella struttura diventa letale perchè è un sistema che se non preservato porta a
danni terribili.
Esistono 5 sezioni principali:
 la cervicale (vertebre alte) → più alta è la lesione più parti del corpo abbiamo
perso)
 parte toracica
 parte lombare (5 sezioni)
 parte scrale (5 sezioni)
 coccige

Se facciamo una sezione orizzontale del midollo spinale possiamo conformazione a


farfalla – parte somatica che contiene il soma neuroni.
Tutte le altre parti sono parti bianche, ovvero parti mielinizzate che servono alla
ritrasmissione delle informazione.
Le informazioni sensoriali entrano dai gangli delle regioni dorsali, che fanno entrare
neuroni sensitivi.
Sono spedite verso l'alto attraverso il fascicolo gracile (quello più mediale dei due, porta
informazioni sugli arti inferiori) e il fascicolo cuneato (arti superiori), che si trovano in
posizione mediale della parte dorsale.
L'informazione, dopo essere stata elaborata, viene ritrasmessa verso la periferia, ovvero
giù nella parte sacrale, nella parte ventrale attraverso le colonne laterali e le colonne
ventrali.

TRONCO ENCEFALICO

Quando il midollo arriva nella sua parte rostrale entra nel tronco dell'encefalo, che è una
struttura che fa da innesto a dove sono montati gli emisferi cerebrali. Contiene i nuclei dei
nervi cranici (ci sono delle strutture in cui l’informazione è così alta che non ha bisogno di
essere veicolata dal midollo, perché è già all’altezza del SNC) e le informazioni sensoriali
della parte alta vengono trasmesse attraverso i 12 nuclei dei nervi cranici, che fanno parte
di neuroni che inviano gli assoni all’esterno del tronco encefalico: (blu via afferente, rosso
efferente)
1. nervo olfattivo
2. nervi cranici deputati alla visione
3. muscolo oculomotore → controlla i sei muscolini che controllano i movimenti degli
occhi.
4. trocleare
5. trigemino → controlla il movimento mandibolare

Nel tronco quindi oltre ai nervi cranici, abbiamo una formazione reticolare, che gestisce
la coscienza. Nel tronco encefalico questa struttura è legata allo stato di allerta, controlla
la nostra veglia.
Se pensiamo all’evoluzione, nella parte superiore si trovano strutture più nuove, come la
neocortex, frutto di sviluppi degli ultimi migliaia di anni. All'inizio si trovano invece le
strutture vitali, presenti anche nei nostri antenati→ evoluzione, sono quelle che si sono
evolute prima.
Studiando queste formazioni si può capire a che livello di coscienza si è → si spera
riportare alla coscienza gente allo stato vegetativo stimolando del nervo vago, uno dei 12
nervi cranici.

BULBO

Il bulbo si trova subito sopra il tronco ed è responsabile di funzioni fondamentali come la


digestione, il respiro e il controllo del ritmo cardiaco. Regola la pressione sanguigna e
contiene delle strutture fondamentali a livello sensoriale → gusto, udito e il mantenimento
dell'equilibrio (sistema vestibolare). I sensori trasmettono l’informazione al telencefalo
attraverso questa struttura che le elabora → ha dei neuroni selettivi a queste funzioni.
Contiene anche dei neuroni adibiti al controllo del collo e dei muscoli facciali.

PONTE

Il ponte forma una protuberanza sopra il bulbo in maniera rostrale e ventrale e connette la
parte ventrale e quella dorsale. Nella parte ventrale attraverso i nuclei pontini ritrasmette
informazioni sul il movimento che vengono riprese dalle strutture più alte come i nuclei
della base, strutture dell’encefalo che programmano i movimenti. Dai nuclei della base
aiutano a trasmettere queste informazioni al cervelletto.
La parte dorsale del ponte è invece coinvolta nella respirazione, gusto, regolazione dei
cicli sonno-veglia.

MESENCEFALO
Il mesencefalo (midbrain), posto rostralmente al ponte, controlla molte funzioni sensitive e
motorie. Si identificano bene i 4 collicoli, quattro bubboni, messi a coppie e differenziati a
livello funzionale perchè la coppia di collicoli superiore ha un diretto controllo sul
movimento dell'occhio, integra le informazioni visive con quelle sensoriali etc.
I collicoli inferiori invece vengono ritrasmesse informazioni acustiche.
Uno dei nuclei del mesencefalo è la substanzia nigra → porta afferenze ai nuclei della
base che controllano i movimenti volontari. Una lesione dei suoi neuroni dopaminergici
porta al Morbo di Parkinson.

5 FUNZIONI DEL TRONCO ENCEFALICO

 media sensazioni e il controllo motorio di capo faccia e collo (parte alta del corpo)
 è la sede d'ingresso di alcuni canali sensoriali come gusto, udito (equilibrio) e vista
 specifici neuroni parasimpatici mediano i riflessi parasimpatici (involontari) come
abbassamento della frequenza cardiaca e costrizione pupillare
 contiene vie ascendenti e discendenti per ritrasmettere informazioni sensoriali e
motorie
 Contiene la formazione reticolare, una rete diffusa di neuroni con un importante
ruolo nella regolazione del livello di arousal

IL CERVELLETTO

E' la struttura che contiene più neuroni della corteccia stessa, grande a livello morfologico
posto in maniera rostro-dorsale al ponte e il ponte vi è connesso attraverso i peduncoli.
E' fondamentale nella gestione del movimento, programmi motori semplici e complessi.
Riceve informazioni dal midollo circa l'equilibrio e dagli organi vestibolari dell'orecchio.
Per molti anni è stata considerata una struttura prettamente motoria ma è anche associato
all’apprendimento → per un robot è molto difficile imparare e generalizzare i movimenti
come facciamo noi. Bisogna apprendere in maniera dinamica, non uno schema motorio x,
devo avere un livello di resilienza nei movimenti.

Stiamo parlando di un sistema integro o a sviluppo tipico ma le cose possono anche


cambiare → paziente senza cervelletto che invece aveva solo poche difficoltà di
movimento, il sistema si può calibrare in tanti modi diversi.

DIENCEFALO

TALAMO

Talamo e ipotalamo si trovano in posizione rostrale rispetto al mesencefalo.


Nell’immagine connesso al nervo ottico, che collega il talamo visivo alla corteccia visiva
primaria, nella parte occipitale.
Riceve e media, è un sistema di passaggio molto importante, non è solo un relè, ma
media i segnali, li rielabora in qualche modo (la maggior parte degli effetti dovuti
all’attenzione è dovuto al talamo).
Tutte le informazioni sensoriali sono mediate dal talamo tranne l’olfatto, che è il senso più
ancestrale che abbiamo e probabilmente non aveva bisogno di un’informazione così
raffinata da essere mediata a livello talamico. È importante anche a livello motorio perché
connette i nuclei della base al cervelletto, attraverso esso scendono informazioni motorie
dai nuclei della base a quelli funzionali del cervelletto.
IPOTALAMO

E’ anatomicamente molto piccolo ma ha una funzione vitale (controlla il sistema nervoso


autonomo). È implicato nei processi della fame (si ritiene che modulando le attivazioni
ipotalamiche si possa ridurre la sensazione di appetito), della sete, la regolazione della
temperatura (il motivo per cui i mammiferi sono sopravvissuti e i dinosauri no è che i
dinosauri erano rettili, e i rettili prendono calore e energia dall’ambiente esterno. Non
hanno però un consumo metabolico alto → non spendono energia per mantenere la
temperatura (omeostasi) come i mammiferi → mangiano poco spesso).
Controlla anche l’ipofisi, che ha un ruolo di regolatore del rilascio ormonale.
Un gruppo di neuroni dell’ipotalamo poi, il nucleo soprachiasmatico, (sta sopra il
chiasma, l’incrocio dei fasci dei nervi ottici, che crea l’emidecussazione delle emiretine
nasali), che controlla i cicli circadiani.

IL TELENCEFALO - EMISFERI CEREBRALI

Gli emisferi cerebrali comprendono la corteccia cerebrale e tre formazioni nucleari


(possono essere identificate sia a livello anatomico che a livello funzionale) localizzate in
profondità:
 i nuclei della base (nucleo caudato, globus pallidus, putamen), tutti mediali che
prendono parte alla regolazione delle prestazioni motorie e dell’apprendimento
motorio, hanno come effettori il rilascio dei segnali attraverso il mesencefalo e il
ponte al cervelletto.
 l’ippocampo, struttura a fornice caudale all’amigdala, coinvolto nella memoria
dichiarativa, nella formazione di memorie e nel recupero di tracce mnemoniche.
 il nucleo dell’amigdala, struttura che collega la dimensione cognitiva (capacità di
svolgere un problema) a quella emotiva coordinandole. La sfera emotiva modula
anche il processamento delle informazioni. Quando siamo stressati o nel panico
non apprendiamo certe informazioni → modula anche l’attenzione e la memoria.
L’amigdala è un sacro graal delle neuroscienze perché è coinvolta nelle reazioni
della paura, si attiva quando c’è un’associazione tra stati di stress e la situazione
dell’individuo. Coordina le risposte endocrine del sistema nervoso autonomo con gli
stati emotivi.

I 4 LOBI CEREBRALI

Talvolta avvengono degli strappi evolutivi, ovvero delle cose che improvvisamente
accelerano il processo di evoluzione (per l’uomo per esempio il fuoco) e, siccome a volte
l’evoluzione va più veloce di quanto previsto, il corpo si deve abituare. L’evoluzione del
cervello è avvenuta prima di quella della scatola cranica, quindi si è accartocciato in giri e
solchi.
La corteccia cerebrale è caratterizzata da numerose fessure (solchi), il solco centrale
che scende dalla parte dorsale a quella ventrale e la scissura di Silvio, che va dalla
rostrale alla caudale in linea semiorizzontale, e regioni a forma convessa chiamati giri.
I due solchi separano i 4 lobi cerebrali (che non si possono ridurre ad una sola funzione
ma solo ad alcune principali), che si dividono in:
 lobo frontale : contiene la corteccia motoria, vicina al solco centrale, che
costruisce i programmi motori. Nella parte rostrale invece riporta gli schemi più
complessi → comprensione, strategie, processi attenzionali, costruiscono gli
schemi di valore, coinvolta persino della morale (caso Phineas Gage). Sono i
processi che spiegheranno se le neuroscienze otterranno una comprensione dell’io
tutto.
 lobo occipitale (caudale): luogo della corteccia visiva primaria e delle cortecce
associative (deputate all’analisi visiva di più alto livello).
 lobo parietale: nella parte rostrale contiene la corteccia somatosensoriale
(rappresentazione del nostro corpo per come lo vede il cervello, dove arrivano le
sensazioni), analisi del gusto, comprensione del linguaggio, connesse attraverso il
fascicolo arcuato alle zone deputate alla produzione del linguaggio. Siccome parte
delle informazioni visive sono veicolate nella parte dorsale, le cortecce associative
fanno interagire le informazioni visive e somatosensoriali con informazioni
complicate come il processo di lettura. È una zona molto associativa.
 lobo temporale: contiene la corteccia acustica primaria (lobo temporale
superiore). Il lobo temporale inferiore fa tantissime cose, si occupa di elaborazioni
acustiche di alto livello,come melodie, musica e parlato, la parte inferiore invece è
importante per analisi visive. La parte rostrale e dorsale contiene strutture deputate
alla codifica dell’l’olfatto.

Della corteccia fanno parte anche:


 la corteccia del cingolo, che cinge da davanti a dietro la superficie dorsale del
corpo calloso, il principale collegamento fra i due emisferi cerebrali, che permette
all’informazione dell’emisfero a destra di andare a quello a sinistra (se tagliato →
condizione dello split-brain). La corteccia del cingolo svolge una funzione della
regolazione di aspetti emotivi insieme a quelli cognitivi (come la sfera emotiva
interagisce sui processi cognitivi)→ sistema limbico.
 la corteccia dell’insula, importante nell’omeostasi e le emozioni.

I 4 PRINCIPI DELL’ORGANIZZAZIONE ANATOMICA DEI SISTEMI CEREBRALI

1. Ogni sistema agisce da ritrasmettitore: esistono in molte parti del sistema


nervoso dei nuclei di ritrasmissione (catena a feedforward e anche a feedback, le
informazioni vanno avanti e tornano anche indietro) che non solo ritrasmettono ma
anche rielaborano le informazioni. Possono contenere sia interneuroni locali
(mediatori sinaptici, eccitatori/inibitori), sia neuroni di proiezione, che portano
l’informazione a stadi di elaborazione successivi. Ogni struttura sia prende sia
riceve le informazioni, sia verso l’alto sia verso il basso
2. Ogni sistema comprende vie diverse: non è una catena che trasmette
l’informazione un passo alla volta, in parallelo vengono analizzate più cose. Vie
diverse analizzano per esempio i colori dell’immagine, i dettagli fini, il movimento
della scena etc, ma noi vediamo tutto completo → tutte queste caratteristiche
vengono però analizzate in parallelo.
3. Ogni via è organizzata in maniera topografica: tutto il mondo che vediamo è
riflesso sul fondo dei nostri occhi tramite luce riflessa, se la luce non fosse riflessa
verso di noi il mondo non esisterebbe. Dall’occhio il segnale (fotone) viene trasdotto
in un segnale elettrochimico che viaggia fino all’area occipitale dove i segnali sono
organizzati in maniera retinotopica. La luce che viene trasmessa a due punti vicini
dell’occhio è trasmessa a due punti vicini della corteccia. L’immagine si ricostruisce
con un altro dominio dentro la corteccia. Organizzazione topografica delle note
nella corteccia acustica, del proprio corpo nella corteccia somatosensoriale: le aree
del cervello che rispondono dell’indice sono vicine a quelle del pollice. Questa cosa
avviene per esempio anche con i numeri e col tempo.
4. La maggior parte delle vie sono crociate: nell’emisfero sinistro si rappresenta
l’emicorpo destro, nell’emisfero destro c’è una rappresentazione dell’emicampo
sinistro. C’è un vantaggio nel fare analisi incrociate. La maggior parte delle vie si
incrociano o nel midollo o nel tronco encefalico. Gli incroci di vie sono detti
decussazioni. Le strutture formate da solo fibre di decussazione (incrocio) sono
chiamate commessure (commessura centrale → corpo calloso).
Dal punto di vista morfologico c’è un’organizzazione standard, tutta la neocorteccia
è organizzata in 6 strati con ruolo ben definito. Per esempio lo strato 4 è uno strato
ricettore molto importante nella corteccia visiva (è composta maggiormente da
strato 4), mentre lo strato 5 effettore è molto importante nella corteccia motoria.
Broadman inoltre utilizzò i criteri di sviluppo relativo degli strati sopra e sotto il 4, la
dimensione delle cellule e la densità cellulare per definire 47 regioni distinte della
corteccia cerebrale.

Schemi slide

SISTEMA NERVOSO CENTRALE E PERIFERICO

Il sistema nervoso centrale costituisce ciò che è fatto dal midollo e tutte le strutture fino al
telencefalo dove lui prende informazioni e le elabora. Poi, siccome questo flusso va dal
mondo esterno ai sensori e all’elaborazione e dobbiamo interagire col mondo, queste
informazioni vengono mandate a due componenti motorie diverse del sistema nervoso
periferico:
 Sistema motorio somatico → devo avere un obiettivo, costruisco uno schema, lo
fisso e faccio l’azione.
 Sistema simpatico e parasimpatico → perchè il mio cuore ha continuato a
pompare, perché nel frattempo non ho smesso di respirare? Queste azioni
automatiche vengono gestite da questo sistema automatico che controlla la parte
viscerale.
Nel sistema somatico il SNC comunica direttamente con la fibra che mi permette di fare
l’azione attraverso per esempio un motoneurone. Comanda direttamente gli effettori.
Nel sistema simpatico il SNC rilancia il segnale al ganglio autonomo che lo manda a un
neurone effettore postgangliare, che controlla le viscere, le ghiandole etc.
Sistema ortosimpatico e simpatico : coinvolto nella risposta somatica allo stress, nel
modello fight or flight.
Sistema parasimpatico: conservazione delle risorse dell’organismo (omeostasi). Nel
caso in cui mi rincorre un leone tutte le mie energie sono spese nella corsa, non
nell’omeostasi.
Sistema nervoso enterico: controlla la muscolatura liscia dell’apparato digerente.
I PROCESSI PERCETTIVI

Vedremo i tre sistemi sensoriali principali: la vista, l’udito e il sistema somatosensoriale.


Studiare i processi percettivi significa affrontare domande fondamentali.
Qual è il significato di percepire il mondo? Come mai si è evoluto un sistema per acquisire
una conoscenza del mondo esterno?
Vedere significa prendere una forma di energia dal mondo esterno e se possibile darle un
senso. Prendere una forma di energia vuol dire che ammesso che esista una realtà
esterna essa ha varie forme di energia, per esempio la luce è una radiazione
elettromagnetica che trasporta pacchetti di fotoni in quantità discreta. Un sistema
sensoriale può essere inteso come un sistema, un meccanismo biologico che prende una
forma di energia, fonte di conoscenza e la trasduce in un linguaggio che i neuroni
possono comprendere. Per esempio quando un computer deve capire il mondo esterno
traduce l’informazione in bit di energia. Si deve trovare un modo per conoscere la realtà
esterna e alla fine la differenza tra i vari sistemi sensoriali è nel linguaggio che scelgono
per far acquisire un senso all’energia.
C’è sempre un intermediario tra l’io cosciente e la realtà (velo di Maya di Schopenauer).
La conoscenza della realtà avviene sempre come processo mediato dai sensi.
Cos’è che stiamo conoscendo? Sicuramente non tutta la realtà. Quella che noi chiamiamo
realtà è il sottoinsieme di tutte le cose che esistono che comprende solo le cose che noi
riusciamo a conoscere. La radio traduce le lunghezze delle onde le onde radio (che sono
le stesse onde di quelle della luce, ma solo di una lunghezza diversa) che noi non
vediamo e le trasduce in suono, che noi riusciamo ad ascoltare. Il processo non è passivo
come quello della macchina fotografica analogica, presa molto spesso come esempio
della visione, ma attivo. Nella macchina fotografica quando la luce riflessa si imprimeva
sulla pellicola avevamo la nostra fotografia. Il processo sensoriale prende dei segnali dalla
retina ma poi li deve interpretare. L’interpretazione è il punto chiave del processo
sensoriale, non è solo basata su meccanismi meccanicistici che hanno un funzionamento
stabilito, ma quando vediamo qualcosa noi dobbiamo assegnare a ciò che vediamo.
L’interpretazione cambia con l’esperienza. Ovvero noi diamo significati diversi, vediamo
quindi in maniera diversa, percepiamo in maniera diversa a seconda della nostra
esperienza. Qui entra in gioco il concetto del πάντα ρέι→ non puoi attraversare lo stesso
fiume due volte → ogni esperienza cambia il modo in cui conosciamo le cose.
L’idea che noi conosciamo solo la piccola parte del mondo di cui abbiamo fatto esperienza
e ciò che conosciamo e quindi ciò che crediamo sia la realtà è ripresa dal mito della
caverna di Platone. Se qualcuno fosse andato avanti e avesse detto una cosa diversa
dall’esperienza della massa l’avrebbero ucciso come eretico, la stessa cosa accade con
Matrix.
Noi percepiamo quindi solo quello che le nostre cellule ci permettono di percepire.
Esiste per esempio un esperimento per restituire la visione alle persone cieche.
Argus II → ai soggetti viene dato un occhiale con una telecamera che invia i segnali del
mondo esterno a un processore, questo calcola e fa le trasduzioni che dovrebbero essere
quelle che accadono nella retina nell’uomo. I soggetti in questo caso soffrono di retinite
pigmentosa, in cui la retina non riesce più a trasdurre. Si costruisce una matrice di 6x10
elettrodi e con un’operazione oftalmica si inserisce nel fondo dell’occhio del paziente
fermandola col chiodo retinico. Il segnale viene trasmesso dallo strumento attraverso un
cavo tra l’interno e l’esterno dell’occhio che trasmette l’informazione inviando i segnali da
un ricevitore appoggiato all’esterno dell’occhio, a cui trasmette in maniera wireless la
telecamera, alla matrice che funge quindi da retina in modo molto basic.
Il mondo quindi non viene visto con un processo diretto, ma indiretto. Il cervello non è altro
che un elaboratore di segnali che li elabora da ovunque vengano. Per adesso essi
vengono dagli occhi ma prima o poi anche da altre parti, anche remote. Si potrà vedere
anche cose lontane, per esempio tramite la telecamera.
Inoltre noi percepiamo quello che abbiamo imparato a percepire. Se uno non impara a
percepire anche se gli arrivano i segnali non sa interpretarli, quindi non percepisce. Non è
stato alfabetizzato a capire i segnali visivi, non li sa interpretare. Viene presentato il caso
di un ragazzo che a tre anni perse la vista, e quando gli venne restituita non riuscì più ad
avere certe parti della percezione visiva, come la profondità, perché aveva perso il periodo
critico.
Tutti i processi iniziano con la trasduzione, qualunque cosa sia fisico viene tradotto in un
codice neurale e la codificazione diventa interna. Ma il nostro sistema è limitato. Se
arrivano delle fonti di energia che il mio cervello non mi consente di percepire esse non
esistono. Anche se riesco a percepirle non è detto che la rappresentazione di ciò che esse
sono, del loro significato sia univoca. Alcune codifiche sono limitate dal modo in cui io le
sto codificando. Per esempio percepiamo i colori in maniera diversa dagli altri animali. La
realtà è quindi limitata dalla capacità dei recettori e dal fatto che loro possono analizzare
alcune informazioni e non altre.
Nell’evoluzione i sistemi si sono adattati a seconda delle necessità ad elaborare certe
informazioni ma non altre. Noi per esempio vediamo bene i colori perché lo facciamo con
un sistema a 3 primari. Ma lo stomatopoide ne ha addirittura 6, è capace di percepire la
polarizzazione della luce. Noi vediamo solo il colore, lui anche altre dimensioni della luce.
Anche tra gli umani ci sono alcuni che non hanno una resa colore tipica, riescono per
esempio a percepire solo 2 primari o solo 1.
L’informazione viene trasdotta ma il modo in cui viene trasdotta cambia la percezione. In
seguito deve essere inviata dalle zone distali alle zone del SNC. Le informazioni vengono
processate in maniera parallela e gerarchica.
Oltre ad avere dei limiti, che definiscono dove finisce la realtà per la classe di individui e
percepiamo la realtà analizzando diverse componenti, a volte non vediamo cose che ci
sono a volte vediamo cose che non ci sono → se io riesco a ingannare un sistema o in
positivo o in negativo so come esso funziona. Per esempio nella griglia di Hermann
sfruttando la differenza di percezione tra la zona centrale e periferica degli occhi spuntano
dei puntini neri.
La finalità del sistema visivo non è detettare i livelli di luce, infatti i livelli di luce cambiano
sempre nel mondo, quindi è meglio calcolare le differenze tra livelli di luce che i livelli
stessi. A questo punto il sistema diventa così semsibile da far sembrare due livelli diversi a
seconda del contesto. In base al contesto discriminiamo le cose. Se due cose sono unite
fanno parte dello stesso oggetto non sono da discriminare. Quando c’è un contrasto di
luminanza io devo vederlo → perché il bordo fa vedere le silhouette → ci interessano le
transizioni di energia, passaggi da zone chiare a zone scure.
Per esempio a seconda dello sfondo ci sembra che i due quadrati siano di colori diversi →
è più comodo per comprendere le informazioni discernere le due cose l’una dall’altra.
Ci sono anche assunzioni fatte dall’esperienza. In una scena la luce si assume che sia in
alto, perché nella vita la luce viene sempre dall’alto. Siccome esistono gli oggetti opachi
siamo abituati a vedere le ombre, quindi assumiamo i colori in base ad esse. Se
prendiamo per esempio due immagini di scacchi uguali quelli su sfondo più chiaro ci
sembra più scuro, questo perché il cervello è attivo nell’elaborazione, non elabora solo la
luce riflessa.
Percepire non è registrare → il processo visivo serve a dare un senso alle cose. Ci
basiamo molto sul contesto e sull’esperienza non registriamo la luce riflessa. Per esempio
può fare un processo di filling in come nel caso della freccia. La coscienza non può andare
a manipolare queste informazioni, anche se sappiamo che è un trucco, queste operazioni
sono completamente automatizzate. Estrarre informazioni si basa sulle conoscenze che
noi già abbiamo.
Un altro grande problema nel processo visivo è la codifica della distanza, che è un
concetto che va appreso. Il mondo tridimensionale quando viene proiettato sull’occhio
diventa bidimensionale, per adattarsi alla retina. L’illusione è più facile perché già il
cervello se la deve creare. Per esempio due mostri delle stesse dimensioni su un foglio,
creando un indice prospettico che ci fa credere che siano a due distanze diverse,
sembrano di due dimensioni diverse, perché nonostante siano della nostra grandezza il
nostro cervello dice “siccome mi vengono rappresentati di una stessa grandezza ma uno è
lontanissimo esso deve essere molto più grande”.
Ammesso che la realtà esterna sia un mondo euclideo, se lo proietto sul fondo dell’occhio
che è una sfera, che segue la geometria ellittica oltre a essere bidimensionale, il cervello
deve prendere l’immagine distorta in ogni aspetto geometrico e deve ricostruire quella
euclidea. È molto chiaro quindi che tutto il processo sia attivo. L’occhio e il cervello sono
un complicato sistema di cattura e interpretazione di informazione e di assegnazione di
significato.
A cosa serve il colore? Sarebbe assurdo avere un sistema che percepisce tutto, che
prende qualsiasi forma di energia indipendentemente dal se sia utile o no, anche se ci
permetterebbe di conoscere il tutto. Noi ci siamo allenati a vedere solo le cose che ci è
utile vedere per la selezione naturale. Il colore è una costruzione totale del cervello, non
esiste in natura, e solo costruito dal cervello. Esso lavora sugli indici delle lunghezze
d’onda della luce, il colore non è una cosa fisica. Perché allora lo vediamo? Per cercare di
sopravvivere. È più facile per esempio vedere quali sono i frutti maturi se sono rossi → si
può discriminare meglio il rosso dal terreno o dal fogliame → la spinta evolutiva ha fatto
sopravvivere chi ci riusciva.
Esiste anche un processo di selezione delle informazioni.
Il sistema visivo deve dare una descrizione dell’oggetto che sta vedendo. Non si può
percepire tutto → noi vediamo bene e davvero a colori solo una parte del campo visivo
che comprende 2 gradi, la visione foveale, che comprende la misura dell’unghia del pollice
a braccio disteso. Tutto il resto è visto come i neonati e ricostruito dal cervello. Bisogna
decidere cosa analizzare. Per poter analizzare tutto ci sarebbero voluti troppi neuroni.
Abbiamo sviluppato un filtro attentivo → si fa attenzione solo alle informazioni più
importanti. Se esso fallisce quel pezzo di realtà ci è sfuggito. La risposta delle cellule agli
stimoli poi non è continua ma discretizzata però ad altissima velocità, non ci accorgiamo
che salta. A volte però non perdiamo i pezzi di realtà perché non ci poggiamo gli occhi
direttamente, ma non solo. Non è detto che dove posiamo gli occhi sia anche dove
posiamo l’attenzione. Questo è dimostrato dal video in cui non si vede il gorilla.
Capiremo come percepire vuol dire quindi interpretare dei segnali e dare loro un
significato.

Anatomia dell’occhio

L’occhio è uno strumento ottico, ha come finalità prendere la luce e metterla a fuoco nella
camera interna chiamata retina. Il rigonfiamento esterno e la prima lente è chiamata
cornea, ed è la lente visibile. Essa contiene l’iride, che a sua volta contiene la pupilla, il
cui diametro è modulabile meccanicamente dalla quantità di luce che sta entrando ma
anche da fattori emotivi. Essa è il velo di maya, passaggio della luce che viene da un
illuminante riflessa dagli oggetti verso di noi. La luce entra nella pupilla, la cornea per
rifrazione ha un effetto su di essa e una volta entrata nella parte subito dopo la cornea
trova un’altra lente, chiamata cristallino, che nonostante abbia un potere minore della
cornea, è quella più importante perché schiacciandosi o allungandosi cambia la sua
potenza e così mette a fuoco le cose distanti non infinitamente da noi.
Il processo si chiama accomodazione. Accomoda la sua potenza per far sì che la luce
che entra venga messa a fuoco, ovvero proiettata in maniera corretta e cristallina sulla
retina. La parte centrale della retina, quella dove noi vediamo particolarmente bene si
chiama fovea. Dalla retina poi viene, una volta catturati i fotoni, trasdotto il segnale in
segnale neurale, ovvero potenziali d’azione. L’informazione fa un viaggio dalla parte
rostrale alla parte caudale attraverso i potenziali sinaptici. Il viaggio dell’informazione fino
alla parte caudale inizia dal nervo ottico, fatto dagli assoni delle cellule gangliari della
retina.

Per capire l’importanza delle lenti dobbiamo capire il fenomeno ottico chiamato rifrazione:
è quello mostrato nell’illusione della lancia inserita in acqua che diventa spaccata anche
se è solida. Perché? Secondo il principio di rifrazione quando la luce attraversa due mezzi
con densità diversa il suo percorso viene deviato.
Ogni mezzo ha un proprio indice di rifrazione. Per esempio l’aria ha indice di rifrazione 1
mentre gli oggetti più densi come l’acqua hanno indice più alto, come 1,33.
Se la luce che attraversa l’aria con un angolo di 60 gradi quando entra nel vetro lo fa con
un angolo di 34,5, e se ri-esce riesce con un angolo uguale di 60, questo dà la spaccatura.
Una parte della luce riesce a entrare nel mezzo più denso, un’altra viene riflessa → questo
dà la diversità tra i due angoli.
Se invece l’oggetto fosse stato riflettente il fascio di luce sarebbe ri-uscito con lo stesso
angolo con cui aveva incontrato il mezzo.

Regola di Snell : il rapporto dei due indici di rifrazione è uguale al seno dell’ angolo 2/
seno dell’angolo 1
η1/η2 = sin θ2/ sinθ1

η1 sinθ1 = η2 sinθ2
Quindi nell’occhio la rifrazione dipende dalla densità ottica.
Siccome la luce si propaga nell’aria e entra nell’occhio attraverso delle lenti e siccome il
loro indice è diverso da quello dell’aria la luce viene rifratta.
Prendiamo il caso di una lente biconvessa, ovvero che ha un punto focale posteriore
rispetto alla direzione di arrivo della luce. Presi i raggi di incidenza che arrivano dall’infinito
e quindi possono essere completamente paralleli, essa piega la luce per essere messa a
fuoco nel suo punto focale posteriore che ha una certa distanza. Quindi una lente
biconvessa piega i raggi per metterli a fuoco nel punto focale. Al contrario una lente
biconcava ha la forma opposta e ha un punto focale chiamato negativo, cioè posto nella
stessa zona dell’arrivo dei raggi luminosi, e ha un effetto divergente.
Se noi abbiamo un oggetto nel mondo esterno la luce che lo colpisce sarà riflessa e entra
dentro l’occhio passando dalle due lenti e se percepito correttamente la sua immagine
deve essere messa a fuoco nella parte posteriore dell’occhio. Questo deve avvenire per
forza affinché la visione sia ottimale. La distanza focale è quella che permette ai raggi
luminosi di proiettarsi nel fondo dell’occhio. Se tutto funziona le due lenti devono poter
riproiettare l’immagine sulla retina.
La potenza di una lente è l’indice di rifrazione/ distanza focale.
P = η/f → = 1.33/0.022 = 60 D
L’occhio deve avere come potenza 60 diottrie per ricoprire la distanza di 22 mm che ha il
cristallino dalla retina, il suo punto focale, se si considera un indice di rifrazione simile
all’acqua come quello delle strutture ottiche.
Delle 60 diottrie 44 diottrie le dà la cornea, la prima lente fissa mentre il cristallino ne dà
16. Sembra che sia la cornea la lente più importante. Tutto ciò è detto però per un oggetto
distante tale da considerare i raggi riflessi paralleli. Se un oggetto si avvicina i fasci di luce
entrano con un angolo non parallelo ma divergente. Allora la sua proiezione andrebbe
fuori dall’occhio, perché ci metterebbe più spazio a farli convergere, quindi li farebbe
convergere dopo il punto focale della retina.
Siccome la potenza aumenta in maniera inversamente proporzionale al raggio di curvatura
secondo l’equazione: P = (η1 – η2)/ rc
l’occhio si adatta. Come fa? Fa in modo che il cristallino venga schiacciato facendo
diminuire il suo raggio di curvatura e quindi aumentare la sua potenza, che aumenta fino a
28 diottrie. Nel momento in cui si è accomodato l’immagine lontana non è più a fuoco, ma
essa non è utile, è utile mettere a fuoco l’oggetto più vicino.
IL SISTEMA VISIVO : LA RETINA

L’occhio ha un processo costituito affinché l’immagine venga messa a fuoco sulla retina.
Connette il mondo esterno a quello interno e gioca con due lenti affinché l’immagine venga
trasmessa correttamente sulla retina.
È possibile capire di quanto sarà piegata la luce conoscendo il materiale e seguendo la
regola di Snell, che usa come dati gli indici di rifrazione dei mezzi e i seni degli angoli di
entrata e uscita. Un sistema a lenti deve tenere conto della rifrazione, poiché l’indice della
lente devia l’andamento della luce. La lente biconvessa per le sue proprietà ha un fuoco
positivo successivo alla posizione della lente rispetto ai raggi incidenti, riesce quindi a far
convergere due raggi paralleli arrivanti dall’ ”infinito” (distanza sufficiente perché i raggi
arrivino paralleli). La lente biconcava, con caratteristiche opposte ha un fuoco negativo e
un effetto divergente.
L’occhio può funzionare solo nel caso in cui venga rispettata l’idea che i raggi riflessi
dall’oggetto esterno che entrano siano messi a fuoco sulla retina.
Siccome mediamente la lunghezza del bulbo oculare dalla retina al cristallino è di 22 mm
possiamo considerare la potenza di una lente come indice di rifrazione/distanza del
punto focale. L’occhio ha una potenza di 60 diottrie ripartita tra la cornea, che ha potenza
40-44 diottrie e il cristallino, che ne ha 16.
Uno strumento ottico fisso però non si può adattare alla distanza degli oggetti che sta
guardando, cioè se riesce a mettere a fuoco gli oggetti all’infinito esso non riesce a
mettere a fuoco quelli più vicini, i raggi dei quali avranno un raggio di incidenza molto
diversi. Essi arriveranno in maniera molto più divergente quindi hanno bisogno di essere
piegati di più perché l’immagine sia messa a fuoco sulla retina.
La potenza deve essere aumentata perché i raggi devono essere piegati di più arrivando
divergenti. L’occhio ha potenza variabile. Nel caso dell’occhio il cristallino può cambiare la
sua forma geometrica schiacciandosi o rilasciandosi grazie ai muscoli ciliali presenti vicino
a lui, affinché lui possa aumentare la sua potenza secondo la regola P= (η1/η2)/rc .
Quindi al diminuire del raggio di curvatura aumenta la potenza, essi sono diversamente
proporzionali.
Cosa vuol dire accomodare?
La potenza di una lente interagisce con quella di un altra. Per esempio come per gli
amplificatori, si può moltiplicare per 4 un segnale già raddoppiato, quindi all’uscita avrò un
X8. Se ho un certo indice di rifrazione e metto un’altra lente la piegatura della seconda
lente deve tenere conto anche dell’indice della prima e quindi si moltiplicano. Per questo si
conta in diottrie, misure a rapporti.
Per mettere a fuoco un oggetto a distanza di X metri servono 1/X diottrie. Se un oggetto è
a 1 metro serve 1 diottria. Per mettere a fuoco un oggetto a 33 cm ne servono 3. Quindi
tanto più ti avvicini tanta più potenza devo dare per mettere a fuoco. Con il cristallino si
possono raggiungere fino alle 28 diottrie dalle 16 iniziali, nel frattempo tutto il resto è fuori
fuoco. Mano a mano che si va avanti con l’età però la potenza di accomodazione cade,
per questo si diventa ipermetropi. Viene messa a fuoco quindi solo la parte che interessa,
il resto è fuori fuoco. Per mettere a fuoco in maniera diversa quindi il cristallino si schiaccia
e si rilascia.
Un soggetto emmetrope è un soggetto ci vede bene.
Un soggetto miope soffre di un eccesso di potenza dell’occhio, i raggi luminosi sono
piegati troppo e messi a fuoco davanti alla retina. Per rendere un soggetto miope
emmetrope ci vuole una correzione fatta con lenti biconcave, dette negative perché
tolgono potenza, che aumentano la divergenza facendo mettere a fuoco più lontano sul
fondo della retina. La miopia insorge prevalentemente per le condizioni di sviluppo, viene
dall’ambiente e dall’esperienza.
Un soggetto ipermetrope mette l’immagine a fuoco dietro la retina per un mancanza di
potenza, usa lenti biconvesse positive, che diminuiscono la divergenza.
Astigmatismo: esso non è un errore refrattivo ma una patologia dovuta a una mancata
sfericità del bulbo oculare. La sfericità deve essere rispettata su tutto l’occhio per mettere
a fuoco le cose, mentre nell’astigmatismo lungo quell’asse in cui si è persa la sfericità la
parte geometrica è distorta, si possono formare delle distorsioni dei raggi che distorcono le
linee della realtà. Si va a correggere con lenti cilindriche, che vanno a sopperire alla
mancata sfericità dell’occhio.
L’attività visiva è misurata con la “Snellen eye chart” studiata affinché la linea 10
corrisponda ad una visione corretta delle lettere per un soggetto emmetrope, la più piccola
possibile per la specie umana. Il fatto che dovrebbe essere visibile ad esso è perché la
tavola è costruita affinché alla distanza standard di 10/10 le lettere, costruite con una
matrice 5x5 e solo costituite da quadratini neri o bianchi, il gap tra due quadratini neri sia
1’ di angolo visivo, ovvero 1/60 di grado di angolo visivo. Si può pensare all’immagine
come un’immagine che riferisce il passaggio tra un periodo bianco e nero di un’onda
sinusoidale, che è il segnale più semplice da costruire. Posso quindi pensare all’oggetto in
questione come costituito da un’onda che ha un periodo costituito dal periodo chiaro = 1’ e
quello scuro = 1’, quindi con un periodo completo di 2’. Per risolvere il cambiamento devo
avere la capacità di risolvere un periodo che chiude la sua alternanza in 2’ e siccome in un
grado di angolo visivo ci sono 60’, posso fare 30 cicli di questo periodo in un grado di
angolo visivo. In un soggetto normale l’acuità visiva è di 30 cicli per grado, ovvero fatto un
grado di angolo visivo devo poter percepire che le cose cambiano 30 volte in quel grado
fra cose bianche e nere. Se un soggetto non è emmetrope non sarà in grado di risolvere i
dettagli, ovvero quei 30 cicli in un grado, ma di meno.
In che senso angolo visivo? Quanto è grande un’immagine per l’occhio? La stima di
grandezza per il cervello è calcolata a partire dalla grandezza della proiezione retinica, per
calcolare la quale posso calcolare l’angolo incidente, perché è sempre possibile definire
un arco di circonferenza in base all’angolo, ovvero vale la regola trigonometrica che la
lunghezza dell’arco dipende dalla misura dell’angolo in radianti. L’angolo in radianti è la
lunghezza dell’arco/ il raggio, ovvero αrad = l/r
Quindi si può definire l’angolo visivo sotto cui è visto un oggetto di altezza Y a una
distanza X dall’occhio come compreso tra le due semirette uscenti dal punto nodale
dell’occhio e passanti per gli estremi di Y e uguale al rapporto tra Y(l) e X(r).
Questo se vogliamo esprimere l’angolo in radianti, se lo vogliamo esprimere in gradi
dobbiamo moltiplicare questo rapporto x 360/2π.
Il sistema può quindi solo fare una stima delle grandezze e delle distanze. Per questo, se
due cose hanno lo stesso angolo visivo possono sembrare uguali, da qui deriva la facilità
delle illusioni di profondità.
La grandezza dell’angolo visivo è quindi uguale alla tangente dell’angolo, ovvero il
rapporto tra la distanza e la grandezza dell’oggetto.
Quant’è un grado di angolo visivo? Due gradi di angolo visivo sono il nostro pollice a una
distanza di 57 cm, ovvero tutto ciò che del campo visivo si vede bene.

L’occhio: dallo stimolo luminoso al segnale nervoso

La luce viene messa a fuoco sul fondo dell’occhio. Qui si trova la retina, che è uno strato
epiteliale, di cui sono importanti la parte centrale, la fovea, e la parte centrale della fovea
chiamata foveola. La retina è formata da 5 classi di cellule diverse, che seguono due
percorsi.
Percorso verticale: trasduce l’energia del segnale luminoso, ovvero prende i fotoni
trasportati dall’energia luminosa e li traduce in potenziali elettrici. Lo strato più esterno è
quello che traduce il linguaggio, ed è formato dai fotorecettori. Essi scaricano i loro
segnali alle cellule bipolari che a loro volta lo scaricano sulle cellule gangliari.
Gli assoni delle cellule gangliari si uniscono a formare il nervo ottico che porta il segnale
fuori dall’occhio.
Percorso orizzontale: è formato dalle cellule amacrine, che si distribuiscono in uno
strato orizzontale, ovvero non prendono la luce ma si dispongono ortogonalmente a
elaborare l’informazione. Inoltre abbiamo le cellule orizzontali, che connettono i
fotorecettori.
Innanzitutto per alcune ragioni lo strato esterno non è quello che guarda il cristallino, ma
quello che guarda la retina. E’ messo al contrario. I fotorecettori sono rivolti verso il fondo
dell’occhio e per prime venendo da fuori noi incontreremmo le cellule gangliari. Così
facendo si dice che il sistema si sia protetto da quello che chiamano scattering, obvvero
la riflessione indietro della luce, rendendo migliore la codifica della luce.
La fovea, zona più importante di tutta la retina è quello spazio in cui le cellule gangliari e
bipolari si spostano per fare in modo che la luce possa entrare più direttamente. Questo
forma questo foveal pit, che contiene principalmente i coni.

Esistono due classi di fotorecettori, i bastoncelli e i coni.


Morfologicamente i due tipi di fotorecettori sono diversi. I bastoncelli sono allungati, mentre
i coni sono tozzi, ma entrambe le cellule hanno un terminale sinaptico con cui rilasciano
glutammato sulle cellule bipolari, un nucleo e un segmento esterno fatto a pettinino,
ripiegato per piazzare sullo strato esterno quante più molecole possibili che catturino la
luce (o meglio i fotoni) , trasdurla e così far rilasciare il neurotrasmettitore sul terminale
sinaptico.
Perché la distribuzione di coni e bastoncelli nei vari punti della retina è diversa? I coni
sono più tozzi, più piccoli, quiindi danno una risoluzione maggiore (basti pensare ai pixel).
La fovea è fatta solo da coni, quindi oltre ad avere il vantaggio della foveal pit, ha anche il
vantaggio di avere una maggior risoluzione dei dettagli.
Dei coni esistono 3 classi per opsine diverse: quelli sensibili alle lunghezze d’onda corte,
quelli sensibili alle medie e quelli sensibili alle lunghe. Tutto ciò ci va vedere 3 colori
primari.
Come catturano la luce i fotorecettori?
Quando la luce colpisce la parte esterna del fotorecettore e più in particolare le molecole
di rodopsina (si parla dei bastoncelli rod – opsina, l’opsina è diversa tra bastoncelli e coni)
presenti vengono colpite dai fotoni di luce che la mandano in uno stato instabile chiamato
metarodopsina (c’è una struttura chiamata retinale che aggancia l’opsina nello strato
esterno dei fotorecettori, quando essa viene colpita dalla luce questo passa da uno stato a
11 cis a tutto trans, ovvero sgancia l’opsina in un processo chiamato sbiancamento -
quando è sganciata diventa metarodopsina) .
La metarodopsina attiva un mediatore, che è anche un catalizzatore (una sola molecola di
metarodopsina può attivare centinaia di molecole di trasducina) chiamato trasducina, che
una volta attivata va ad attivare la fosfodiesterasi o PDE, normalmente inattiva.
La PDE idrolizza il GMPciclico presente all’interno della cellula, la riduzione della
concentrazione del quale porta alla chiusura dei canali sodio.
Il processo di trasduzione è un processo che funziona al contrario. Quando non c’è luce i
fotorecettoiri rilasciano glutammato sulle cellule bipolari, quando c’è luce avviene tutto il
processo per cui si chiudono i canali sodio e non c’è rilascio di neurotrasmettitore. Il modo
in cui si segnala la presenza di luce è quindi smettendo di rilasciare neurotrasmettitori.
Il segnale per cui viene segnalata la presenza di luce è un segnale analogico, quanta più
luce c’è tanto meno glutammato viene rilasciato.
Il processo è un’isomerizzazione (passaggio da cis a trans) del retinale, che non viene
prodotto dal corpo ma ha come precursore la vitamina A, da qui la credenza che mangiare
cibi ricchi di vitamina A faccia bene alla vista.
C’è quindi una grande amplificazione, da una molecola di rodopsina si possono idrolizzare
100000 cGMP attraverso la catalizzazione operata dalla trasducina.
Una volta finita la luce la catena di eventi viene inattivata per forza, dato che dobbiamo
essere pronti a ricevere e trasdurre altra luce, dall’arrrestina, attraverso un processo a
feedback negativo.Questo definisce la non continuità del processo visivo, infatti il processo
si attiva, si inattiva e poi è pronto a interpretare nuovamente.

Coni e bastoncelli si differenziano per molte caratteristiche.


Bastoncelli →
I bastoncelli hanno sensibilità molto elevata, cioè una parte esterna con tantissima
rodopsina, quindi il sistema anche quando ci sono pochi fotoni riesce a catturarli, infatti è
usato è utilizzato in visione scotopica, quando c’è poca luce. Non possono vedere i colori.
Il sistema dei bastoncelli permette un’amplificazione elevata, cioè sono così sensibili che
basta anche solo un fotone per attivarli. Nonostante i bastoncelli siano così sensibili che
vengono attivati anche con un solo fotone, hanno bassa risoluzione temporale al contrario
dei coni. Un bastoncello quando cattura l’informazione prima che possa ricatturarne
un’altra ha bisogno di molto più tempo di un cono. Infatti hanno dei limiti, in quella che si
chiama flicker fusion, che vanno dai 10-12 Hz, mentre nei coni è 40-50 Hz. Tutte le luci
che si alternano a frequenze più alte vengono percepite come continue.
Il sistema dei bastoncelli non permette di vedere dettagli piccoli perché non si trovano in
fovea è hanno un sistema di integrazione molto potente (tanti fotorecettori convergono su
poche cellule bipolari e gangliari quindi sono molto sensibili, ma perdono di risoluzione
spaziale – non so a quale dei 100 fotorecettori la cellula gangliare sia stata attivata).
Hanno anche una risposta lenta, non sono buoni a percepire i cambiamenti nel tempo,
perché hanno processi di integrazione lunga.
Coni →
I coni hanno una sensibilità inferiore. Quando la visione è fotopica e c’è colore e luce
essa è a carico dei coni. Esiste anche un livello intermedio chiamato mesopico.
Nella fovea, al contrario dei bastoncelli i coni convergono su due bipolari ne due gangliari,
con una corrispondenza quasi univoca, non c’è convergenza, che fa vedere molto bene i
dettagli. Hanno anche un’ottima capacità temporale, ovvero di percepire il movimento.
Il sistema dei bastoncelli è acromatico e ha bassa risoluzione spaziale e temporale, non
vede i colori mentre i coni vedono i colori e hanno un’alta risoluzione spaziale e temporale
dei dettagli.
Quando siamo al buio non percepiamo la luce, non si vede nulla. Se l’intensità luminosa
cresce i bastoncelli iniziano a farci vedere i contorni degli oggetti. Man mano che l’intensità
cresce i bastoncelli arrivano a una saturazione della loro sensibilità; il sistema però va
incontro a quello che è chiamato un autoscaling, cioè una volta che sta per saturare si
attivano dei meccanismi come la pompa sodio potassio e si riscala la sensibilità, in modo
che lo stesso bastoncello possa adattarsi a livelli di luminanza superiore, in quello che si
chiama adattamento dello stesso bastoncello a diversi livelli di luminosità. Quando i
bastoncelli arrivano alla loro definitiva saturazione avviene l’inizio dell’attività fotopica dei
coni, che è complementare a quella dei bastoncelli. Quando passiamo da una zona molto
scura a una chiara veniamo abbagliati fino a che il sistema dei nostri fotorecettori non si
adatta. Il sistema lavora con due meccanismi complementari che al loro interno hanno la
capacità di sopperire al cambiamento luminoso dell’esterno riscalando la propria
sensibilità.
Così come esiste l’adattamento alla luce esiste anche l’adattamento al buio, in cui si passa
dall’attività dei coni a quella dei bastoncelli, in un processo contrario.
L’esistenza di due tipi di recettori con soglie e punti di saturazione diversi e il fatto che
entrambi si adattino ci fa percepire la differenza tra la minima quantità di luce percepibile e
la massima e tra le due c’è una differenza di 100 miliardi. Tutto ciò perché per la rotazione
della terra fa cambiare drasticamente la luce che ci circonda, quella che abbiamo noi è
una sensitivity che nessuna fotocamera riesce ad emulare.
Anche la pupilla ci aiuta a gestire la quantità di luce, all’aumento dell’intensità si restringe
da 8 mm a 2 mm facendone entrare di meno e aiuta il sistema dietro a codificarla, il
contrario succede al buio.
Quindi ciò che ci fa adattare alla luce è:
-il restringimento e allargamento pupillare
-l’uso di due classi diverse di fotorecettori con sensibilità diverse
-il rescaling dei fotorecettori
Come si distribuiscono coni e bastoncelli nella retina?
Per eccentricità (distanza dalla fovea) la fovea è 0, spostandoci misuriamo tutta la retina.
Intorno allo 0 troviamo un picco di coni, ovvero i coni sono pochissimi in periferia e
crescono in maniera esponenziale perché clusterizzati nella fovea. Al contrario i
bastoncelli sono concentrati nella periferia e hanno un crollo nella parte intorno alla fovea.
Abbiamo poi la macchia cieca o scotoma, data dal fatto che gli assoni delle cellule
gangliari che formano il nervo ottico che passa da davanti ai fotorecettori, al contrario delle
cellule gangliari e bipolari li oscura, quindi non permette alla luce di raggiungerli → la
nostra visione ha un buco che il cervello riempe.
I bastoncelli sono molto più grandi dei coni, anche per questo hanno una risoluzione
spaziale minore.
Noi abbiamo un’illusione del mondo visivo, tutto ciò che riusciamo a vedere bene sono
poco più di due gradi, e solo in quel punto il campo visivo è colorato. Questa è la
cosiddetta tunnel vision. L’acuità visiva è quindi massima in fovea, tutto il resto del
campo visivo ha ua bassa risoluzione spaziale ed è acromatico. Questa differenza di
risoluzione fa sì che l’acuità visiva sia massima in fovea e minore in periferia, per questo il
sistema ha creato i muscoli oculari e quelli del collo.
Un altra differenza tra coni e bastoncelli è funzionale. Nella parte centrale della retina la
relazione tra fotorecettori e cellule bipolari e gangliari è quasi biunivoca, e il vantaggio è
che siccome la connessione è filo a filo il sistema può capire se la luce è caduta sul cono
uno o sul cono due, che gli dà grande risoluzione spaziale.
Nella parte periferica invece si ha un alto grado di convergenza (le cellule bipolari insieme
convergono su poche cellule gangliari), in totale infatti abbiamo sulla retina 1 a 120 milioni
come rapporto tra cellule gangliari e fotorecettori e considerando che nella parte centrale
c’è un rapporto biunivoco la convergenza nella periferia sarà grandissima.
Quando nella parte periferica arriva un segnale da una cellula gangliare, siccome il
sistema è sequenziale, il cervello non sa su quale recettore è caduto il fotone. Questo fa
perdere risoluzione spaziale però amplifica l’intensità di un segnale debole, aumentando
con l’integrazione dei segnali la sensibilità.

RIPASSO

C’è una differenza tra l’acuità visiva tra il centro e la periferia che non dipende solo dalla
differenza di dimensioni tra coni e bastoncelli, che quindi non è una differenza morfologica,
ma una funzionale. Il numero di fotorecettori è circa 120 milioni, mentre quello di cellule
gangliari è 1 milione. Quindi ci deve essere un sistema di compressione 120 a 1 che non è
presente in tutta la retina, infatti nella fovea c’è una corrispondenza biunivoca di 1
fotorecettore a 2 cellule gangliari, che permette di discernere i dettagli → acuità spaziale di
1 fotorecettore. In periferia perdo risoluzione spaziale già per la grandezza dei bastoncelli,
e in più tanti sensori sono integrati in una sola cellula gangliare.
Siccome il sistema percettivo è un sistema seriale, il cervello sa solo quello che gli viene
detto dalla cellula gangliare, quindi sa che in quella zona del campo visivo è successo
qualcosa, ma siccome la cellula gangliare integra più fotorecettori non può più sapere su
quale di essi è caduto il segnale. Il vantaggio di convergere i segnali è acquisire
moltissima sensibilità: un segnale debole integrato attraverso i vari neurotrasmettitori può
anche attivare la cellula gangliare integrandosi attraverso i vari neurotrasmettitori e cellule
bipolari. I processi attenzionali derivano dal fatto che noi percepiamo solo quello che è
importante che viene portato in zona foveale.
Il sistema è quindi diviso in due vie parallele diverse morfologicamente e funzionalmente
che passano informazione diversa serialmente e in parallelo attraverso canali diversi allo
stesso momento verso l’elaboratore centrale.
DALLA RETINA AL CERVELLO

Come percepiamo il colore?


La luce bianca non è un’assenza di colore ma la presenza di tutti i colori nella radiazione.
Newton scoprì riflettendo luce bianca su un prisma che lunghezze d’onda diverse
andavano a proiettarsi ad altezze diverse e si presentavano con colori diversi. Nella
banda elettromagnetica del visibile (l’onda che si propaga nello spazio che va dai raggi γ a
onde a frequenza bassa, in una piccola parte della ci sta la luce visibile con lunghezze
d’onda comprese tra 480 nm e 729 nm) lunghezze d’onda diverse piegano secondo la
geometria del prisma in maniera diversa e danno colori diversi. Quando si parla di colore
però dobbiamo tenere conto che il colore che percepiamo dipende da tanti fattori diversi.
1. Spettro di illuminamento o emissione:
Innanzitutto un illuminante, un corpo escandescente deve creare e energia e a
seconda di come l’energia è creata questa cambia come noi vediamo i colori, poco
per un processo chiamato costanza del colore.
2. Tutto quello che noi vediamo poi è luce riflessa, la luce che non torna verso di noi
non la vedremo mai, quindi per noi non esiste. Quale luce torna a me dipende dal
pigmento dell’oggetto, ovvero lo spettro di riflettanza, cioè il modo in cui l’oggetto
prende la luce e la rimanda verso di me. C’è poi un altro filtro, l’occhio, ovvero non
tutta la radiazione che entra viene analizzato dall’occhio, ma esso analizza solo
quella che riesce a percepire. Quindi come fa il sistema a vedere i colori? Quindi il
mezzo fisico è lo stesso, la radiazione è composta da valori che vanno dai raggi γ
(ovvero raggi ad alta frequenza, quindi nella progressione spaziale decadono in
energia molto rapidamente ma se irraggiati da vicino hanno un’energia enorme), ai
raggi ultravioletti (molto vicino al visibile, che sono molto pericolosi) fino ad uno
spaccato di luce visibile, da circa 400 a circa 700 nm, parte della luce che si
distorce meno – a seconda delle lunghezze d’onda il sistema crea colori diversi,
prima e dopo non vede nulla), poi si va agli infrarossi, ai radar e le onde radio e ai
circuiti elettronici, le trasmissioni WiFi.
L’unico modo per catturare la luce che abbiamo sono i fotorecettori. Esistono i bastoncelli,
che usano la rodopsina e tre classi di coni, morfologicamente uguali, con opsine con
spettri di assorbimento leggermente diversi.
Cono S (short) sensibile a lunghezze d’onda corte: l’opsina riesce a catturare i fotoni
quando la lunghezza d’onda che gli arriva è corta, ed è compresa tra 380 e 500 nm, con
un picco di sensibilità intorno ai 420 nm. Secondo l’opinione comune segnalerebbero il blu.
Cono L : sensibile a una lunghezza d’onda lunga, al limite del visibile, intorno ai 560 nm.
Secondo l’opinione comune segnalerebbero il rosso. Queste due strutture si trovano in
tutti i primati, che sono dicromatici.
Cono M: creati per ragioni evolutivi, sensibile a lunghezze medie, 530 nm. Secondo
l’opinione comune segnalerebbero il verde.
La distinzione evolutivamente si è formata per garantire la sopravvivenza.
Abbiamo quindi uno spettro di luce e la definizione di diversi colori. Tutto ciò avviene solo
quando parliamo di luce fotopica, perché per creare i colori abbiamo bisogno dei coni. Il
modo in cui il cervello crea il colore è costruirsi una mappa, ovvero il cervello prende le tre
classi di fotorecettori e a seconda delle lunghezze d’onda che contiene la luce, costruisce
un sistema a tre indici, vedendo quanto risponde il cono S, quanto il cono L e quanto il
cono M. Possiamo quindi ottenere una metrica, cioè un colore corrisponde, ovvero il
colore è costruito dal cervello secondo l’insieme di quanto rispondono le varie classi di
fotorecettori. Il colore è quindi una creazione psicofisica.
Uno dei parametri con cui si definisce il colore è l’illuminante, cioè il sistema si è evoluto
per stabilizzare la percezione del colore in un mondo in cui l’illuminante cambiava sempre
a seconda della posizione del sole. Quindi il sistema stabilizza il colore, fa un
bilanciamento del bianco, cambia la lunghezza d’onda associata al bianco, cioè fa un
eliminazione della luce diversa dell’illuminante, come per esempio un filtro azzurro, che
rimuove. Quindi non esiste nessun fotorecettore che possa carpire un colore, noi abbiamo
uno spettro di assorbimento di un cono che risponde allo stesso modo anche a due stimoli
diversi. Un solo cono è incapace di distinguere i colori, li confonderebbe, ma con tre classi
ha una mappa a tre numeri, ovvero le tre attività dei coni mischiate insieme. Il cervello
decide che quell’attività combinata dei tre coni equivale a quel colore. Si ottiene quindi una
visione tricromatica perché ogni colore viene identificato da una tripletta di valori che il
cervello assume corrispondano a un certo colore.
Prima delle scoperte fisiologiche c’erano due teorie: quella tricromatica di Young-Helmoz
e quella dei colori opposti di Herring, che sosteneva che alcuni colori non potessero
essere mischiati, che identificava un processo che avviene dopo la retina.

Cosa succede al segnale che sta per uscire dalla retina?


Il segnale viene catturato e trasdotto dai fotorecettori. Ma cosa succede dopo? Le cellule
orizzontali e amacrine fanno parte del percorso orizzontale e le cellule orizzontali
connettono fra loro i vari fotorecettori, mentre le cellule amacrine modulano il segnale a
livello di gangliari e bipolari. Le cellule gangliari e bipolari sono organizzate ad opponenza
centro periferia. Se una cellula gangliare riceve segnali da vari fotorecettori, il campo
recettivo per cui risponde sarà la zona occupata da tutti i fotorecettori, quindi che la luce
colpisca uno o l’altro o tutti la cellula deve comunque rispondere. Il campo recettivo è
quella zona del campo esterno in cui se accade qualcosa, un evento visivo interessante
tipo la luce, noi registriamo con la cellula gangliare quello che accade → una cellula
gangliare sarà responsabile di quella zona. Quello che si è notato è che se accadono
fenomeni visivi su diverse parti del campo recettivo cellule diverse rispondono in maniera
opposta. Le cellule gangliari hanno quindi una modalità di attivazione complessa. I campi
recettivi, proprio perché dipendono dal grado di integrazione, sono piccolissimi in fovea e
molto ampi in periferia, vanno da 1’ a 3-5°, quindi c’è una magnificazione di indice 300.
A seconda di dove arrivi nel campo recettivo della cellula gangliare la luce essa risponde
in maniera diversa.
Cellula centro ON: se arriva luce la cellula aumenta con l’aumento della generazione di
potenziali d’azione, con degli spikes, solo se illuminiamo il centro, se invece illuminiamo la
periferia la cellula quasi smette la sua attività di base di generazione di potenziali d’azione,
mentre se la illumino tutta i due effetti si annullano e l’attività rimane neutra. Cioè se la
cellula è illuminata al centro essa si eccita, se è illuminata in periferia si inibisce.
Cellule a centro OFF: lavorano in maniera opposta, se illumino il centro la cellula si
inibisce, se viene illuminata la periferia si eccita, se la luce è diffusa risponde invece in
maniera neutra.
Come si forma un campo a opponenza centro periferia?
Nella foveola un cono è collegato a due classi cellule bipolari e ne costituisce il centro del
campo recettivo, quando viene attivato il fotorecettore se esso è al centro la centro ON si
eccita, quella a centro OFF si inibisce, e così le due cellule gangliari collegate a quelle
bipolari. Si crea quindi un segnale in opposizione per cui la stessa luce nella stessa zona
del campo ha creato un’inibizione e un’eccitazione, quindi codici paralleli. In questo modo
il sistema capisce la luce, con un sistema ridondante che dà più informazione. Se non ho
un codice ad opponenza non sono così sensibile alla diminuzione della luce per esempio,
perché mi avvertirà per esempio la parte che si attiva quando la luce non c’è.
Cosa accade quando viene illuminato un recettore nella periferia del campo recettivo?
La periferia del campo recettivo sono tutti i coni intorno collegati alle cellule gangliari
attraverso le cellule orizzontali. Le cellule orizzontali e amacrine fanno parte del percorso
orizzontale e quelle orizzontali connettono insieme i vali recettori. Nel momento in cui ad
un cono della periferia arriva luce esso si attiva e il collegamento attraverso le cellule
orizzontali ne cambia il segno, cioè se il cono quando si attiva diminuisce il rilascio di
glutammato la cellula orizzontale fa aumentare il rilascio di glutammato sull’altro
fotorecettore, simulando una non-luce per la cellula bipolare, portando quindi una
depolarizzazione dove in condizioni normali ci sarebbe stata un’iperpolarizzazione e
viceversa. Così la risposta in periferia è opposta a quella la centro.
In questo modo si può spiegare l’illusione della griglia di Hermann, dove noi vediamo i
fantasmini perché solo la visione foveale ci fa correttamente vedere il contrasto bìanco
nero grazie alla piccolezza dei campi recettivi e all’organizzazione centro-periferia, mentre
nella visione periferica abbiamo un profilo di attivazione-inibizione misto.
Perchè il stistema è fatto così, perché ha trovato ottimale organizzarsi così? Il sistema non
è codificato per codificare quanta luce c’è in giro ma per codificare i contrasti, cioè a
determinare in quali zone c’è luce e in quali no. Avere un’organizzazione centro periferia
permette di codificare le differenze di luce ma anche la frequenza spaziale, dove onde
con frequenze spaziali diverse identificano oggetti di grandezze diverse. Le onde a
frequenza bassa identificano frequenze basse, ovvero cose confuse, senza acuità visiva,
mentre onde a frequenza alta, ovvero con lunghezza d’onda bassa, i dettagli. Codificare le
frequenze spaziali è a carico dell’organizzazione centro-periferia. Infatti se la frequenza è
bassa la risposta è povera perchè sia nel centro che nella periferia del campo recettivo,
ovvero nella zona inibitoria o eccitatoria ci saranno sia luce che buio, se invece aumento la
frequenza spaziale avrò luce nella zona on e non luce in quella off attivando in maniera
corretta la cellula e vedendo in maniera ottimale. Quindi si analizza o il corpo
dell’immagine o i dettagli dell’immagine. Permette quindi di avere dei meccanismi che
permettono di differenziare tra corpo e dettagli dell’immagine, dei filtri se così si può dire.

RIPASSO

Parte funzionale: definito il campo recettivo di una cellula gangliare, quella zona di spazio
esterno per cui essa restituisce un’attività, si scoprì che l’attività di risposta è opposta tra la
parte centrale e la parte periferica. Esistono due tipi di cellule, quelle centro on, che si
attivano quando si illumina il centro e si inibiscono quando si illumina la periferia, e quelle
centro off, che si attivano quando illumino la periferia e si inibiscono quando illumino il
centro.
Ma come si può organizzare un apparato fisiologico per avere questa proprietà?
Un cono, situato un mezzo a due cellule centro on e centro off, è collegato direttamente a
le due cellule bipolari. Il glutammato inibisce la cellula centro ON e eccita la cellula centro
OFF. Quando il cono viene colpito dalla luce, il suo potenziale di membrana si avvicina a
quello del potassio e il fotorecettore si inibisce e rilascia meno glutammato, siccome il
glutammato inibisce la centro ON, se io ne rilascio meno la centro ON si eccita, ovvero si
depolarizza e la sua depolarizzazione porta a una depolarizzazione della gangliare
collegata. La centro off invece è eccitata dal glutammato e siccome ne rilascio meno
questa cellula si inibisce e se lei si inibisce anche la gangliare corrispondente.
I fotorecettori sono collegati tra loro poi dalle cellule orizzontali. Quando cade luce in
periferia il fotorecettore avvicina il suo potenziale a quello del potassio; la sua inibizione
porta ad un’inibizione anche della cellula orizzontale. La cellula orizzontale però rilascia in
condizione normale GABA, un neurotrasmettitore inibitorio sul fotorecettore centrale,
l’inibizione che arriva dal fotorecettore periferico riduce l’inibizione portata dal GABA
perché ne riduce il rilascio e paradossalmente l’effetto finale è quello di un’antiluce, ovvero
depolarizza il fotorecettore centrale. La depolarizzazione del cono centrale inibisce la
cellula centro ON, ovvero aver dato luce al fotorecettore laterale ha portato ad
un’inibizione del circuito centro ON e un’eccitazione di quello centro OFF. Il GABA è un
neurotrasmettitore inibitorio quindi l’inibizione della cellula che lo rilascia provoca una
depolarizzazione della cellula a valle. Quindi se la luce cade al centro del campo recettivo
succede qualcosa, mentre se cade in periferia l’effetto è opposto.
CORTECCIA VISIVA

A cosa serve l’organizzazione centro-periferia? Per codificare i contrasti, dato che il


sistema visivo non è un rilevatore di luminanza ma di contrasto di luminanza, che definisce
i contorni. Averla poi costituisce un meccanismo per avere dei filtri di frequenza spaziale.
Il campo recettivo di una cellula gangliare ha una certa grandezza. Se ci proietto
un’immagine visiva, una sinusoide (una modificazione di luminanza da bianco a nero),
caratterizzata dal contrasto ovvero l’ampiezza (se l’onda arriva dal bianco al nero abbiamo
un 100%) e la frequenza (ovvero quanti cicli fa nell’unità di spazio). Se l’onda è troppo
grande nella zona eccitatoria cade sia un po’ di luce che di buio e uguale in quella
inibitoria. Se l’attività è mista la cellula non si attiva né inibisce. Se aumento la frequenza
l’onda è particolarmente ottimale per la cellula così che cada la parte di luce sulla parte
eccitatoria e di non luce su quella inibitoria → se eccito e non inibisco ho la risposta
massima. Se aumento troppo la frequenza ho sia luce che buio nelle due parti e ho una
risposta mista. Infatti ho nella parte eccitatoria sia luce che buio un tot di volte, in quella
inibitoria sia luce che buio un tot di volte e la cellula fa media e ha una risposta mista.
Organizzarsi in centro periferia permette di discriminare le frequenze spaziali degli stimoli.
Abbinare cellule centro ON e OFF permette di percepire velocemnte sia un aumento che
un decremento di luce molto facilmente, se esistesse un solo canale non saremmo così
sensibili.
Fin dalla retina si dividono due percorsi.
Alcune cellule gangliari sono grandi, o magnocellulari, altre piccole o parvocellulari.
Se la cellula gangliare è di tipo M ci convergono molte cellule bipolari e tantissimi
fotorecettori, ovvero ci convergono tanti segnali, non ha grande risoluzione spaziale ma ha
una grande sensibilità e una grande risoluzione temporale, ovvero alla modulazione nel
tempo della luce, a cui risponderà molto velocemente → questo sistema di cellule andrà
ad analizzare il movimento perché hanno bassissima risoluzione spaziale ma altissima
risoluzione temporale, è però acromatico.
Sulle cellule gangliari di tipo P non convergono tanti segnali e possono analizzare solo
quelli che provengono dalle cellule sopra di loro e possono codificare i colori. Si sono
evolute su di loro delle opponenze centro periferia anche cromatiche (la luce bianca
può essere scomposta in colori tramite le lunghezze d’onda), che gli fanno percepire i
colori. Hanno alta risoluzione spaziale e bassa risoluzione temporale. Rispondono se al
centro cade del rosso (R+) depolarizzandosi, ma si inibiscono se in periferia cade del
verde (V-), o al contrario possono essere Verde+ al centro e Rosso- in periferia →
costituiscono il primo asse cromatico di opponenza. Il secondo asse cromatico è quello
blu-giallo. Deve esistere un contrasto cromatico per distinguere i colori. Quindi lo spazio è
tricromatico per i coni della retina ed è anche opponente perché a livello delle cellule
gangliari esistono due assi di contrasto.
Perchè la frequenza spaziale è così interessante? Perchè la caratterizzazione di che cosa
sia visibile dall’occhio umano viene fatta attraverso una curva.
La curva di sensibilità al contrasto delimita quanto sia sensibile l’occhio umano al
contrasto luminoso rispetto alle frequenze spaziali degli oggetti, è rappresentata da una
curva a U rovesciata. Di tutta la curva l’acuità visiva è solo il contrasto tra bianco e nero,
ed è uno dei punti più bassi. Bisogna però caratterizzare tutto lo spettro.
Qualunque segnale può essere scomposto come un lego. Ci sono pezzi grandi e pezzi
piccoli, con i pezzi grandi possiamo fare la base, mentre per i dettagli dobbiamo usare i
pezzi piccoli. Secondo Furier ogni segnale è scomponibile matematicamente in somma di
seni e coseni, nel caso della visione vuol dire che quando vediamo un’immagine delle
componenti a bassa frequenza spaziale analizzano il corpo dell’immagine mentre le
frequenze spaziali medie o alte sono responsabili di ricostruire solo i dettagli integrando
quell’informazione iniziale.
Quando si misura la curva di sensibilità al contrasto si misura il funzionamento di vari
meccanismi o canali, alcuni tarati sulle frequenze basse, altri sulle medie e alte, che però
lavorano tutti insieme. Quindi a seconda della grandezza del campo recettivo di una
cellula essa risponderà più ad alcune frequenze spaziali rispetto ad altre. In effetti quando
si misura la curva di sensibilità al contrasto si misura sempre quanto sei bravo a percepire
il contrasto da bianco e nero a grigi tenui rispetto alla frequenza spaziale. Il sistema visivo
si è organizzato a ricostruire frequenze spaziali diverse.
Come si dividono le vie magno e parvocellulari?
La via magnocellulare ha una sensibilità al contrasto per frequenze spaziali molto basse,
già per frequenze di 10 cicli per grado ha già finito la sua capacità, mentre quello
parvocellulare ha migliore risoluzione spaziale. Mentre se guardo la temporal frequency,
ovvero la bravura a dettetare il cambiamento dell’immagine nel tempo il rapporto si
rovescia, i due sistemi sono complementari fra di loro.
Il sistema parvocellulare si divide poi in parvocellulare standard o coniocellulare, a
seconda dell’asse cromatico, standard definisce l’asse rosso-verde, conio quello giallo-blu.

Le vie visive

Come fa il segnale a raggiungere la parte caudale della corteccia visiva dalla posizione
rostrale degli occhi?
Il sistema visivo ha come compito primario quello di codificare lo spazio esterno. La retina
su cui viene riflessa la luce ha una metrica bidimensionale quindi il sistema usa come
segnale la luce riflessa sulla retina. La retina ha una sua metrica e dà una
rappresentazione rovesciata dello spazio esterno su entrambe le assi, cioè la luce che
entra da sinistra verrà rappresentata sulla retina nella parte opposta, ovvero a destra. La
retina è una rappresentazione rovesciata dei due assi del mondo esterno. I segnali della
retina sono riportati esattamente nella parte occipitale. Due fotorecettori vicini sulla retina
proiettano a neuroni vicini a livello corticale → l’organizzazione spaziale della retina viene
riprodotta a livello della corteccia, i segnali sono ordinati→ organizzazione retinotopica.
In particolar modo, preso l’emicampo superiore, dove la parte centrale superiore è rossa e
sfumano dal centro alla periferia mentre per quello inferiore abbiamo questa gradazione
con colori freddi, nella parte occipitale quest’organizzazione viene codificata a livello della
punta del solco calcarino.
La fovea è rappresentata nella parte più caudale del solco calcarino, e poi ci si
distribuisce su un asse per le varie periferie, mentre alto e basso sono invertiti la
distribuzione spaziale è ordinaa.
Il campo visivo è circa 180° e l’evoluzione ha favorito il fatto di avere gli occhi sullo stesso
asse, in modo che parte del campo visivo sia binoculare, cosa importante per stimare la
distanza. La parte sinistra del campo viene proiettata nell’emiretina temporale destra e
nell’emiretina nasale sinistra, mentre gli oggetti a destra nell’emiretina temporale
sinistra e nell’emiretina nasale destra. Poi , quando il segnale esce dall’occhio
raggiunge attraverso il nervo ottico, l’optic chiasm, dove avviene l’emidecussazione (o
incrocio) delle emiretine nasali, cosicchè si ha un’inversione totale in modo che dopo il
chiasma ottico le strutture neurofisiologiche di destra analizzano le cose a sinistra e
quelle di sinistra il mondo a destra. Nel momento in cui si esce dal chiasma ottico la fibra
che porta informazioni visive si chiama tratto ottico, optic tract.
Dal tratto ottico i segnali retinici vengono inviati a tre diverse aree.
1. L’Area Pretettale Mesencefalica che media i riflessi pupillari
2. Il Collicolo Superiore che media i movimenti saccadici, ovvero degli occhi, dei
muscoli oculari che sono dei riflessi.
3. Il Nucleo Genicolato Laterale che è l’unica delle tre aree a elaborare i segnali
visivi, parte del talamo visivo, unica via che porta alla corteccia.

Il Nucleo ha 6 livelli. Ogni livello riceve il segnale o da un occhio o dall’altro, i segnali dei
due occhi sono segregati, ogni cellula è monoculare, riceve o dall’ipsilaterale (stesso lato)
o dal controlaterale (lato opposto). I primi due livelli ricevono dal sistema magnocellulare,
mentre gli altri da quello parvocellulare, quindi la via parallela delle cellule gangliari
continua a essere segregata anche a livello del talamo. Il sistema coniocellulare proietta in
mezzo alle lamine.
Dal talamo visivo si formano dei fasci chiamati radiazioni ottiche che come percorso
prima salgono dalla parte ventrodorsale e poi scendono a innervare la parte occipitale
della corteccia.
La corteccia è formata da 6 strati e di questi quasi tutte le proiezioni finiscono nello strato
4, quindi lo stato di ingresso è il 4. Quindi abbiamo uno strato di ingresso, alcuni di uscita e
altri in cui avvengono delle operazioni locali. Chi compie queste operazioni?
Le cellule residenti, piramidali e stellate che possono essere smooth o spiky, fanno delle
operazioni chepossono portare o a rispedire il segnale in basso alle strutture sottocorticali
per fare certe operazioni come muovere gli occhi o proiettano dalla corteccia visiva
primaria ad altre per operazioni superiori perché questo è il primo livello della corteccia
che riceve informazioni visive.
Hubel e Wiesel stimolando la corteccia videro che non succedeva quasi nulla, nonostante
ci fossero delle cellule visive che sembravano non reattive perché le stimolavano con dei
punti di luce. Ad un certo punto venne spostato un vetrino e l’apparato iniziò a inviare
scariche. Si scoprì che era perché muovendo il vetrino si creava un bordo inclinato. Le
proprietà uniche delle cellule corticali visive comprendono questa, ovvero che la cellula
corticale non risponde ai punti di luce ma è più interessata a risolvere l’orientamento,
l’estensione spaziale. Ovvero quando si proiettano barrette di luce, alcuni di questi
orientamenti creano delle risposte molto più forti di altre. Nella corteccia visiva primaria
esiste la selettività all’orientamento. Per una cellula esiste un orientamento preferito,
ovvero risponde bene, producendo il massimo dei potenziali d’azione, quando per
esempio la barretta è verticale. Allontanandosi dal profilo preferito si a destra che a sinistra
ovvero mano a mano che giro la barretta c’è un decay di risposta, a formare una specie
di curva normale, a campana. Gli unici a cui non risponde sono quelli ortogonali, ovvero se
risponde al verticale non risponde all’orizzontale, agli altri risponde in maniera più debole.
Essendo quello visivo un sistema seriale com’è possibile che si sappia una cosa che
prima non si sapeva, come è possibile che a livello corticale si sia acquisita una proprietà?
Si può acquisire una nuova proprietà per il fatto che più cellule sottocorticali integrino
la loro risposta ad una cellula della corteccia visiva primaria. Il campo recettivo della
cellula corticale semplice è l’insieme dei campi recettivi delle cellule gangliari che le
inviano segnali. Se uniamo i campi recettivi delle singole cellule gangliari abbiamo un
profilo allungato che si orienta secondo un’asse che definisce la predisposizione
all’orientamento delle cellule cerebrali. Quindi è l’integrazione di più campi recettivi
gangliari che dà il campo recettivo corticale che si orienta quindi secondo l’asse di essa.
Analizzando le cellule della V1 (Corteccia Visiva Primaria) si può parlare di cellule
semplici o complesse. Le cellule semplici hanno campi recettivi ben definiti, con zone
eccitatorie e zone inibitorie. Le cellule complesse hanno un campo recettivo più
permissivo, in cui se un oggetto oscilla continuano a codificare. Se noi codifichiamo una
barra luminosa molto lunga essa attiverà sulla retina molti fotorecettori e quindi tante
cellule corticali, ogni cellula ha però un campo recettivo piccolo, quindi mentre oscillo con
la testa la stessa luce entra e esce dal campo recettivo, confondendomi. Per ovviare a
questo problema le cellule complesse hanno questo campo recettivo più permissivo,
ovvero quando lo stimolo si muove di poco all’interno esse continuano a scaricare. In
questo modo, essendo a livello superiore permettono di codificare correttamente le
posizioni.
Inoltre tra le cellule complesse c’è molta selettività alla direzione di movimento. Se
l’oggetto si sposta verso sinistra rispondono alcune cellule, se si sposta verso destra altre.
Esistono poi delle cellule con margini di arresto, che hanno un campo recettivo dove se
illuminiamo una parte del campo recettivo la cellula scarica, aumentiamo la parte del
campo recettivo illuminata e scarica sempre di più ma ad un certo punto mano a mano che
ne illuminiamo sempre di più inizia ad inibirsi. Questo serve probabilmente a definire bene
gli spazi di attivazione, ma ancora non si sa.

Fino a livello corticale i segnali dei due occhi sono separati ma lì i segnali vengono
integrati, perché la maggioranza delle cellule è binoculare, ovvero risponde sia che il
segnale arrivi da un occhio sia dall’altro.
Ci sono tre classi di cellule corticali:
• monoculare
• perfettamente binoculare
• con una dominanza a destra o a sinistra (se do la stessa quantità di luce a
destra o a sinistra risponde di più se il segnale arriva dalla parte dominante)

A cosa serve avere un sistema binoculare? Nella corteccia nel livello 4 le cellule sono
ancora monoculari, però i loro segnali (divisi in controlaterali, ipsilaterali come succedeva
nel talamo), quando attraverso le cellule stellate e piramidali vengono portate al 5 e 2 sono
binoculari, quindi formano risposte binoculari. Il più forte indice per stimare la distanza di
un oggetto è il confronto dei segnali tra i due occhi. Per confrontarli abbiamo bisogno di
qualcosa che li integri: la corteccia visiva primaria.
Quali sono le proprietà delle cellule della V1 che non hanno le cellule sottocorticali?
• La maggior parte sono binoculari
• Hanno capacità di elaborare l’orientamento delle barre di luce
• Molte di loro rispondono ad una specifica direzione di moto
• Ci sono cellule complesse nella corteccia che hanno campi recettivi mal definiti
• Ci sono cellule che hanno margini di arresto
Quando un oggetto è in una posizione diversa da quella che stiamo osservando la
proiezione della maggior parte degli oggetti nel campo visivo è leggermente diversa tra gli
occhi destro e sinistro → disparità oculare, e usando la disparità oculare capiamo la
distanza di un oggetto.
La dominanza oculare è molto importante per stimare la profondità, infatti nella corteccia
visiva primaria abbiamo un’organizzazione a colonna, ovvero le cellule sono come impilate
in delle colonne e le cellule dei vari strati sono o ipsilaterali o controlaterali per dominanza.
L’organizzazione colonnare deve essere organizzata con alternanza di colonne ipsi e
contro laterali in base all’esperienza. Se l’esperienza è anomala, ovvero nei bambini con
cataratta, ciechi da un occhio non esiste l’organizzazione a colonna per dominanza perché
ha perso il periodo critico.
Anche l’organizzazione per selettività di orientamento sono organizzate in colonne, e
cellule delle colonne vicine hanno selettività per orientamento leggermente diverse → gli
orientamenti sono disposti a girandola, con i due orientamenti ortogonali distribuiti agli
opposti.
Che fine ha fatto l’informazione del colore? Nel livello di entrata alcuni strati parvocellulari
non proiettano sul livello corticale 4cβ, alcune proiezioni volano nello strato 2, chiamato
blob. Le cellule all’interno dei blob dello strato 2 rispondono al colore e sono responsabili
della sua percezione dalla via coniocellulare.
Se esistono le colonne esistono a livello fisiologico anche le ipercolonne. Identificata una
colonna quella accanto si alterna per avere le caratteristiche opposte, sia per orientamenti
che per dominanza. Quindi un’ipercolonna è quell’unità minima di corteccia che fa tutte le
operazioni per la percezione di una certa zona del campo visivo. Quindi è quell’unità
corticale che contiene tutti i meccanismi per poter capire che cosa c’è in quella zona del
campo visivo.

Information flow in V1

Per analizzare meglio i segnali possiamo dire che ci sono delle proiezioni orizzontali → il
sistema tenta di collegare cellule che fanno un’analisi simile, che hanno caratteristiche
simili, che hanno le stesse proprietà. Se io ho cellule che hanno selettività per
l’orientamento orizzontale in zone diverse della corteccia il sistema le collega con le
connessioni orizzontali long range. Per vedere una grande barra orizzontale tante
cellule della retina e poi della corteccia con diversi campi recettivi capteranno i segnali, ma
essi devono anche essere integrati. Chi è che li integra? Le connessioni orizzontali. Quindi
siccome è un sistema parallelo a colonne deve essere integrato orizzontalmente. Ci fanno
vedere il mondo non a pezzettini, ma continuo.
Il sistema visivo decide cosa noi vediamo determinando anche gli effetti di contesto,
ovvero non analizza solo cosa c’è in ogni zona del campo, ma anche decide cosa noi
vediamo in un certo punto anche dagli stimoli che sono intorno, ma cos’è il contesto?
Se vedo un oggetto di un colore la vicinanza di un flanker, ovvero di un oggetto che gli sta
intorno cambia il modo in cui lo percepiamo.
Cosa siamo in grado di “vedere” con le cellule di V1?
V1 ci consente la visione dell’orientamento locale dei bordi di contrasto, l’immagine
sembra essere disgregata, che può essere integrata per farci vedere il profilo. Tutto ciò
che V1 riesce a fare è però una visione locale, limitata ad un punto del campo visivo →
ogni punto del campo visivo è distribuito su un punto diverso della corteccia. A questo
punto bisogna rimettere insieme l’immagine disgregata su circuiti diversi che ne
analizzano le diverse caratteristiche. Poi escono i segnali attraverso diverse vie.
Esistono due vie principali con compiti totalmente diversi:
La via ventrale: coinvolge da V1 a V4 (coinvolta nella costanza del colore) e deve definire
cos’è un oggetto. In questo percorso si analizzano sia il colore che la forma di un oggetto.
Queste aree si specializzano così tanto che addirittura alcune aree rispondono bene per
esempio solo ad una faccia.
La via dorsale: fa analisi spaziali e del movimento attraverso le informazioni dalle cellule
magnocellulari. Per esempio si possono creare stimoli creati da pallini mossi a caso, allora
non c’è segnale, poi ne facciamo muovere alcuni in maniera coerente e ci danno un’idea
del signal to noise ratio, ovvero se i pallini che si muovono sono tanti il segnale è forte
ne se ne muovono pochi è debole. Quando si lede questo punto della corteccia la soglia
che prima era molto bassa a altissima, ovvero se prima bastava poca coerenza per
detettare il movimento a questo punto la scimmia non ci riuscirà più.
A livello corticale il sistema va a discriminare l’informazione e la divide secondo le sue
caratteristiche, poi l’informazione attraversa diversi percorsi che la portano ad aree con
diversi livelli di specializzazione e poi alle aree associative dove le informazioni di modalità
diverse si integrano insieme (per esempio la visiva e l’acustica).
Esempio: una lesione a lobo parietale superiore porta certi soggetti ad ignorare una parte
del loro campo visivo e addirittura parte del loro corpo.
Come ricostruiamo il mondo da queste informazioni disgregate? Binding problem.
IL SISTEMA ACUSTICO

Il sistema acustico ha come finalità conoscere il mondo attraverso le vibrazioni. Cos’è


una vibrazione? Un effetto che si può indurre su un oggetto rigido dando su di lui una certa
quantità di energia. Se percuotiamo un diapason risponde all’energia data piegandosi
nella direzione opposta e oscillando da destra a sinistra disperdendo parte dell’energia da
noi trasmessa. Ogni volta che un oggetto rigido vibra il mezzo in cui esso è inserito (es.
aria) riceve parte dell’energia della vibrazione che trasmette spostando le molecole intorno
all’oggetto; è quindi un evento puramente meccanico. Prima di tutti sposta le molecole
d’aria ottenendo una compressione, se il mezzo è elastico l’energia che ha ottenuto dalla
compressione la restituisce in propagazione con una fase di rarefazione, così come
succede alla molla l’aria si comprime vicino all’oggetto e nella trasmissione troviamo un
profilo di alternanza di compressione e rarefazione dell’aria che nel caso del diapason
possiamo caratterizzare come un’onda sinusoidale (il diapason è l’unico oggetto al mondo
che produce un suono che può essere descritto da una sinusoide), onda periodica e
regolare con picchi positivi e negativi e media zero. Solo in questo caso si può parlare di
tono puro, perché è caratterizzato da una sola onda, nel caso del diapason con 500 cicli al
secondo, ovvero 500 Hz (numero di cicli che fa l’onda nell’unità di tempo – frequenza). I
suoni che sentiamo normalmente sono suoni complessi, ovvero suoni che contengono al
loro interno più frequenze. Questo è spiegato dal teorema di Furier, che oltre che per
l’immagine vale anche per il suono. Il cervello scompone i suoni complessi in suoni
semplici, simulando un’analisi di Furier. Un suono complesso è quindi l’unione di varie
forme d’onda. Se prendiamo un’onda che fa 1 Hz e ci sommiamo infinite armoniche dispari
(onde che hanno una frequenza multipla della prima, quindi 3, 5, 9), otteniamo un’onda
quadra.
Quali sono i parametri fisici dell’onda?
La frequenza è il reciproco del periodo, ovvero la distanza tra due picchi (periodo) è tanto
più bassa quanto la frequenza è alta. Se la frequenza è alta la lunghezza d’onda è bassa,
se la frequenza è bassa la lunghezza d’onda è alta.
1 Hz è un ciclo o periodo in un secondo. Un onda con periodo di 100 ms allora avrà la
frequenza di 10, perché in 1 secondo farà 10 cicli.
La frequenza è un fenomeno fisico, il suo corrispettivo psicologico è l’altezza di un
suono, ovvero suoni gravi o bassi quando la frequenza è bassa e acuti o alti quando la
frequenza è alta.
La banda di frequenza che riusciamo a udire va da 20 Hz a 20.000 Hz, poi sotto la
frequenza bassa non c’è nulla, mentre sopra quella alta c’è la banda degli ultrasuoni,
banda utilizzata dai pipistrelli per la geolocazione.
L’ampiezza dell’onda, ovvero quanto è alta, la distanza dei picchi massimi e minimi dalla
media, dà il volume, l’intensità, del suono. Un’onda può essere più o meno alta cos’
come un suono può essere più o meno intenso. L’intensità si misura con una scala a
rapporto, ovvero misurarla rispetto all’intensità più bassa percepibile dall’orecchio umano
per una determinata frequenza del suono, L’intensità percepibile dall’orecchio umano non
è la stessa per tutte le frequenze, così come la curva della sensibilità al contrasto
luminoso non è la stessa per tutte le frequenze spaziali. Infatti abbiamo soglie di sensibilità
diverse per frequenze diverse. Infatti ci sono dei riferimenti standard, quando si misura la
frequenza di riferimento o si usa la frequenza di 1000 Hz o 4000 Hz. L’intensità è il
rapporto tra la pressione che quel suono ha fatto sull’orecchio rispetto all’intensità minima
percepibile, cioè la pressione più tenue che se può percepire se esercitata sill’orecchio. È
misurata in decibel (dB).
L = 20 X log 10 P/Pr (minima udibile a 4000 Hz)
(L = intensità, livello di pressione del suono)
Un logaritmo in base 10 è una scala per cui ogni unità non è un’unità ma è un fattore 10,
quindi essa avanza di 10, non di 1, quindi ogni volta che cambio unità ho aumentato di un
fattore 10 (100 = 1 ; 101 = 10 ; 102 = 100 etc). Quindi un’unità vale 10 volte quella che c’era
prima.
Quindi una log unit sono 20 dB, quindi quando un suono aumenta di 20 dB il suono è
diventato 10 volte più intenso.
A un certo punto l’onda colpisce la membrana dell’orecchio, se l’impatto è troppo grande ci
possono essere danni.
Qual è la differenza nel fare la stessa nota allo stesso volume, con un onda di stessa
frequenza e altezza, su due strumenti diversi? Il timbro del suono, costituito in primis dalla
forma d’onda ovvero la distribuzione di energia, poi dall’onset e l’offset, ovvero come
attacca e come finisce e dalle frequenze che stanno all’interno del suono.
Come si è evoluto il sistema acustico? È un sistema a 3 scomparti:
• L’orecchio esterno: che corrisponde alla struttura della pinna o padiglione
auricolare, l’unica struttura visibile. La forma della pinna può essere diversa tra le
persone e il sistema si calibra sulla pinna che ognuno ha. La pinna fa un effetto
parabola facendo rimbalzare tutti o una gran parte dei segnali dentro il canale
uditivo. Ha poi un secondo effetto, ovvero quello di discriminare la direzione del
suono. Quindi i suoni o in maniera diretta o indiretta entrano nel canale uditivo e
raggiungono il timpano, una membrana che separa l’orecchio esterno dall’orecchio
medio.
• L’orecchio medio: nel momento in cui arriva un’energia meccanica propagata
dall’elasticità del mezzo aria vibrando il timpano mette in moto staffa, incudine e
martello, i tre ossicini più piccoli del corpo umano. Il timpano trasmette
meccanicamente tramite i collegamenti tra timpano e queste tre ossa la vibrazione
al martello che la trasmette all’incudine che va a spostare la staffa. La staffa è
inserita in una struttura che contiene la membrana della finestra ovale, che
separa l’orecchio medio dall’orecchio interno.
• L’orecchio interno: contiene la coclea, una struttura a chiocciola lunga all’incirca
33 mm che contiene le strutture che codificano l’informazione acustica. Dalla coclea
il nervo cocleare trasmette il segnale alla corteccia.
Sopra l’orecchio c’è un sistema fatto a labirinto con piccole cavità riempite di liquido che
serve al sistema vestibolare a calcolare l’equilibrio.
Ci sono poi delle strutture come il muscolo tensore timpanico, che sono messe alla
salvaguardia del sistema, ovvero se la pressione sul timpano è molto elevata il
meccanismo automatizzato è di irrigidire la risposta degli ossicini per salvaguardare la
struttura. Quando il fronte d’onda è più veloce della risposta possiamo subire lesioni al
timpano.
Come è strutturata la coclea? Essa è una struttura riempita di un liquido, situato in tre
cavità, chiamate scala vestibolare (quella di sopra), scala timpanica (quella di sotto) e
scala media. Facendo vibrare la finestra ovale all’interno della scala vestibolare si sposta
il liquido. Questo provoca un movimento fino alla punta della chiocciola, ovvero
l’Helicotrema, e poi l’energia scende attraverso la scala timpanica fino a uscire dalla
membrana della finestra rotonda, situata sotto la finestra ovale. L’energia deve uscire
sennò il sistema entra in risonanza in maniera infinita.
La parte centrale, appoggiata sulla scala media, in tutto ciò non è stata coinvolta ma,
essendo una struttura rigida, anch’essa è stata fatta vibrare dalle vibrazioni delle altre due
scale e con essa le sue strutture tra cui l’organo del corti, appoggiato sulla membrana
basilare, che contiene le cellule ciliate, che si dividono in due classi, interne o esterne.
La parte delle cellule che sporge dalla membrana, dove è inserito il loro corpo cellulare,
sono delle estroflessioni chiamate stereociglia. Ci sono quindi le stereociglia delle cellule
interne e le stereociglia delle cellule esterne.
Solo le cellule ciliate interne trasducono il segnale acustico, cioè prendono l’energia
meccanica della vibrazione e la traducono in un segnale neurale. Perchè pur non
partecipando alla trasduzione le esterne sono in numero maggiore?
1. Fungono da sintonizzatori: fanno in modo che le cellule interne capiscano quali
sono le frequenze che costituiscono il suono in entrata, hanno un ruolo di supporto.
Fanno sì che il lavoro delle interne venga portato a termine.
2. Ricevono dal SNC: sono connesse al SNC tramite vie discendenti, così sembra
che ci si possa concentrare su cosa vogliamo sentire e cosa no nonostante il
problema del sistema acustico è che da qualunque parte arrivino i segnali uditivi
entrano tutti dalla stessa parte. Nell’acustica non c’è una corrispondenza tra la
localizzazione spaziale e il suono ma riusciamo a localizzarlo e addirittura abbiamo
dei filtri attentivi e riusciamo a controllarli grazie al fatto che le cellule ciliate
ricevono afferenze dal SNC e sono collegate alle interne.
Quando il timpano ha vibrato e c’è una compressione il flusso di energia che passa dalla
scala vestibolare attraverso la coclea spinge verso il basso la membrana basilare, al
contrario quando c’è una rarefazione sembra che venga spinta verso l’alto. Siccome la
finestra ovale vibra con lo stesso profilo del timpano che vibra con lo stesso profilo
dell’onda, esso ha un effetto sulla posizione della membrana basilare, le cui oscillazioni
riflettono le fasi di compressione e rarefazione dell’onda esterna. Dato che le cellule ciliate
interne sono appoggiate sulla membrana basilare il suo spostamento induce nelle loro
stereociglia, più nello specifico nella parte ancora più esterna, ovvero il chinociglio, un
effetto. Le chinociglia sono legate fra loro da dei legami, chiamati legami di punta,
quando vengono spinte in una direzione c’è un fattore di compressione, cioè i legami di
punta si tendono, molti canali di trasduzione si aprono, l’intensità all’interno della cellula
ciliata aumenta. Quindi c’è uno spostamento meccanico fa o tendere o distendere i legami
di punta. Quando sono tesi aprono i canali depolarizzando e quando sono afflosciati
chiudono i canali, iperpolarizzando. Quindi il fronte d’onda viene trasdotto come fasi di
depolarizzazione e iperpolarizzazione che in qualche modo riflettono quello che è
successo all’esterno. Se all’esterno avevo un suono di 100 Hz, qui potrei avere un periodo
di depolarizzazione e iperpolarizzazione di 100 volte al secondo. Quindi il potenziale della
cellula ciliata ha un pattern di iperpolarizzazione e depolarizzazione che dà un codice
neurale per codificare le proprietà del codice in entrata.

L’amplificatore cocleare e la mappa tonotopica dell’orecchio interno

Il sistema sembra funzionare solo se il tono in entrata è un tono puro, caratterizzato da


un’onda, ma la quasi totalità dei toni che sentiamo non sono puri. Come fa questo
meccanismo a codificare un suono complesso, composto da più frequenze?
Helmoz disse che secondo lui la membrana basilare era come la tastiera di un piano,
ovvero a seconda del suono che entra vibra solo una parte della membrana. Cioè
proponeva una scomposizione della membrana che però è impossibile.
Infatti la membrana è rigida, disse von Bekesi, quindi è impossibile farne vibrare solo una
parte.
La membrana basilare però non ha le stesse caratteristiche meccaniche in tutta la sua
lunghezza, infatti sarebbe larga ed elastica all’apice e stretta e rigida alla base. Se io le
conferisco proprietà meccaniche diverse alle diverse parti essa vibrerà meglio in parti
diverse a seconda della frequenza del suono. Quindi quando ho una vibrazione, la parte
della membrana che vibra di più ci definisce le frequenze: vibra di più la parte apicale per
le frequenze basse, di più quella centrale per quelle medie e di più quella basale per
quelle alte.
Se all’ingresso ho un suono complesso, composto da più frequenze, può essere
scomposto in varie frequenze, così come succedeva con le frequenze spaziali. Il sistema,
captato un suono, decripta quali componenti (frequenze) lo costituiscono, infatti la
membrana basilare ha una selettività diversa per frequenze diverse nelle sue parti.
Siccome le cellule ciliate sono disposte lungo la membrana basilare posso registrare
l’attività delle cellule ciliate interne di un animale. Quindi posso inserire un elettrodo e
analizzare le cellule ciliate interne: producendo dei suoni si misura quant’è la minima
intensità per cui la cellula risponde, cioè la sua soglia a una certa frequenza. Poi misuro
più frequenze e le metto insieme ottenendo un pofilo, una funzione con un minimo. La
frequenza per cui la cellula risponde alla minima intensità e la sua frequenza
caratteristica. La frequenza caratteristica è intorno ai 1000/2000 Hz se la cellula ciliata è
in posizione centrale. Le cellule all’apice hanno frequenze caratteristiche molto basse,
ovvero circa 200 Hz, mentre quelle alla base hanno frequenze molto alte.
Quindi le frequenze che compongono un’onda complessa dovrebbero essere scomposte a
seconda della parte di membrana che può rispondere meglio ad essa, ottenendo una
codificazione spaziale (codice di posizione), all’apice ci sono frequenze basse, e alla
base frequenze alte, quindi il SNC ha un’idea delle frequenze in entrata perché può
analizzare l’attività delle cellule ciliate sulla membrana basilare. Quindi se ho un sistema a
tre frequenze fondamentali la membrana sta decodificando il suono in entrata nelle sue
componenti principali, questo non è diverso da quello che fa il sistema visivo con le
frequenze spaziali, quando usa canali diversi attraverso l’opponenza centro periferia.
Infatti a seconda della grandezza del campo recettivo ci sono frequenze spaziali a cui la
cellula risponde poco perché troppo basse o troppo alte e quella ottimale per cui la cellula
risponde.

Cosa fanno le cellule ciliate esterne?


Perchè Helmoz aveva ipotizzato che parti diverse della membrana vibrassero a seconda
di frequenze diverse? Perchè avrebbe più senso, sarebbe un sistema di scomposizione
chiarissimo. Com’è che il sistema allora se la struttura vibra tutta riesce ad avere una
localizzazione spaziale se solo una parte vibra un po’ di più? Il rapporto segnale/rumore
sarebbe troppo basso se la localizzazione si basasse solo su questo. A questo punto
entrano in gioco le cellule ciliate esterne. Le cellule ciliate esterne hanno la proprietà di
accorciare o allungare le loro stereociglia a seconda della fase di depolarizzazione e
iperpolarizzazione, quindi hanno un correlato meccanico dell’attività elettrica→ aiutano a
decodificare il segnale fungendo da amplificatore. Fanno sì che quello che senza
amplificazione cocleare sarebbe stata una piccola differenza fra onde possa diventare
molto grande, rendendo molto più codificabile il punto che risponde di più.
LO SPAZIO ACUSTICO

Per studiare come viene codificato il segnale dobbiamo considerare la caratteristica


tonotopica del sistema. C’è una metrica, una distribuzione spaziale per cui i segnali
mandati dall’apice della membrana basilare codificheranno frequenze basse etc, un codice
→ chi è alla base codifica le frequenze alte, chi all’apice quelle basse. Dalla periferia
questi segnali poi tentano di salire verso il SNC, formando un segnale afferente e avendo
come prima stazione di ritrasmissione i nuclei cocleari. Nella coclea esistono però oltre a
queste connessioni afferenti delle connessioni efferenti che cercano di fare una
connessione non bottom up (dalla periferia al SNC), ma top down. Questo perché il
sistema vuole modulare, concentrarsi su alcuni suoni più di altri, con una modulazione
attentiva (esempio del cocktail party). Come fa il SNC a definire quale flusso codificare,
dosgregare? Alcune connessioni efferenti scendono dal SNC e fanno sinapsi con
l’amplificazione cocleare. Le cellule ciliate interne codificano il segnale mentre quelle
esterne aiutano loro a capire cosa è importante e cosa no, e quindi a codificare solo
quello. Se devo codificare un segnale piuttosto che un’altro conviene codificare quelle
frequenze più che altre (es. la voce della ragazza a frequenze alte rispetto ai bassi). Il
sistema quindi manda delle codifiche sull’amplificazione cocleare modulando cosa viene
particolarmente amplificato e quindi cosa diventa saliente. Il sistema acustico centrale può
modulare e guidare il tipo di analisi che viene fatto in trasduzione direttamente nell’organo
di trasduzione del corti mandando delle connessioni efferenti dall’alto verso il basso,
processo di trasmissione che avviene nell’organo di senso.
Il flusso trasdotto esce dall’organo del corti e raggiunge i nuclei cocleari, che riescono a
non perdere il fatto che il suono è analizzato per bande di frequenza, dividendosi in tre
aree. Troviamo l’area anteroventrale (frequenze basse), l’area dorsale e l’area
posteroventrale (frequenze alte). La struttura si dipiega e si vede che le frequenze che
erano state divise dal processo di locazione sulla membrana basilare e sensitivity in
termini di frequenza caratteristica proiettano ai nuclei cocleari in delle zone specifiche. Si
dispongono quindi in modo che rimangano separate le frequenze alte medie e basse. La
codifica tonotopica si mantiene nei nuclei.
I nuclei contengono al loro interno vari tipi di cellule con caratteristiche anatomo-funzionali
diverse che le rendono utili a svolgere compiti diversi.
Tutte le cellule dei nuclei cocleari sono monoaurali e quindi codificano per un orecchio
solo.
Le cellule a cespuglio riescono a codificare con precisione i tempi di arrivo dei suoni,
rispondono velocemente quando gli arriva il suono.
Le cellule fusiformi permettono di localizzare il suono in verticale, riescono a capire se
arriva dall’alto o dal basso.
Le cellule stellate codificano la frequenza e l’intensità, il tono e il volume.
Le cellule a octopus codificano per intervalli di intensità diversi.
La codifica acustica, nonostante il sistema sia seriale, si divide per vie parallele che
analizzano parallelamente diversi aspetti dello stimolo.
Qual è però il percorso? Dalla coclea si proietta ai nuclei cocleari che fanno parte della
medulla o bulbo (struttura più caudale), nel tronco encefalico, poi si proietterà al ponte e
poi al mesencefalo che contiene i collicoli. I nuclei cocleari quindi proiettano alle olive
superiori, strutture del ponte che proiettano ad altre strutture del ponte fino ad arrivare al
collicolo inferiore del mesencefalo (la visione a quello superiore), che proietta al nucleo
genicolato mediale (la visione al nucleo genicolato laterale) nel talamo acustico
(diencefalo), infine l’informazione viene proiettata alla corteccia acustica primaria nel
lobo temporale. Ha quindi delle ritrasmissioni a zone complementari a quelle della visione,
ma un percorso molto più breve.

Localizzazione del suono

Come è possibile che il sistema riesca a localizzare un suono? Qualunque suono venga
emesso in qualsiasi posizione con anche le componenti dell’eco oltre quelle dirette (c’è
una propagazione tridimensionale a 360°, e quando il fronte di energia colpisce qualcosa
viene rimbalzato), quindi come fa il sistema a sapere da dove arrivano i suoni se entrano
sempre dalla stessa struttura (il canale uditivo)e si risolvono con una vibrazione sul
timpano? Usa dei trucchi raffinati per dedurre la posizione dei suoni con degli indici non
spaziali che sono binaurali, ovvero che presuppongono il confronto del segnale che entra
in entrambe le orecchie per estrarre un tipo di informazione. Infatti nei nuclei cocleari le
cellule a cespuglio avevano la possibilità di analizzare i tempi di arrivo dei suoni
nonostante non fossero binaurali → differenza dei tempi di arrivo. Però analizzano solo i
segnali che arrivano a quel canale acustico
Quando si esce dal bulbo e si arriva al ponte troviamo le olive superiori che sono la prima
stazione acustica binaurale, ovvero contiene neuroni che codificano i segnali che
provengono sia da un orecchio che dall’altro. Questo perché per capire la localizzazione il
sistema deve confrontare i segnali che arrivano ad entrambe le orecchie.
1. INDICE IID: Differenza di intensità tra i suoni che entrano: se un suono è
localizzato a sinistra quando viene emesso colpirà quasi direttamente il mio
orecchio sinistro, poi continuerà a propagarsi, ma siccome la testa è una struttura
fonoassorbente, nella sua propagazione quando arriva all’orecchio destro il suono
che arriva lì è attenuato dalla mia stessa testa che crea una zona di shadowing o
attenuazione. Arriva quindi un’intensità più bassa del suono all’orecchio destro.
Come gira questo codice di differenza di intensità? La differenza d’intensità
percepita dalle due orecchie è 0 se il suono è perfettamente davanti o dietro di noi
sul piano orizzontale. Le altre posizioni del suono avranno un incremento di
intensità mano a mano che si sposta verso l’orecchio interessato con un picco di
differenza di intensità tra un orecchio e l’altro quando esso sarà perfettamente
laterale, perché uno è completamente esposto e l’altro completamente coperto. È
quindi corrispondente quasi alla circonferenza goniometrica, passa da 0 a 1 a 0 a -
1.Chi riesce a codificare questa differenza? Le strutture delle olive superiori
laterali (LSO) codificano l’informazione acustica che ricevono dal nucleo cocleare
posteroventrale (PVCN) ipsilaterale a loro. La struttura di sinistra riceve il segnale
ipsilaterale eccitatorio, dall’altra parte il nucleo cocleare prende il segnale da destra,
e oltre a fare una connessione ipsilaterale con l’LSO di destra fa una connessione
con la struttura del trapezio che manda all’LSO di sinistra un segnale controlaterale
però inibitorio. Quindi l’LSO riceve un segnale eccitatorio dal nucleo cocleare
posteroventrale ipsilaterale e una inibitoria dal nucleo cocleare posteroventrale
controlaterale. Questo grazie all’azione del corpo trapezoide che trasforma il
segnale della parte opposta da eccitatorio in inibitorio. Se il suono è davanti ho
tanta inibizione quanta eccitazione quindi so che è davanti (se fosse dietro sarebbe
meno intenso perché le orecchie sono fatte a parabola) ed il neurone è bilanciato;
se l’intensità del suono ipsilaterale è più forte di quello controlaterale la cellula si
depolarizzerà perché ho più eccitazione che inibizione, tanto più è grande la
differenza tanto più la cellula risponde. Se il segnale più forte è quello controlaterale
avrò invece un’inibizione. Ho però un doppio modo di leggerlo con entrambe le LSO
→ è un codice doppio. Quando l’LSO di ipsilaterale ha una connessione eccitatoria
quella controlaterale ne ha una inibitoria nello stesso momento. Quindi nello stesso
momento i neuroni delle olive di sinistra rispondono molto e quelli di destra
rispondono poco → il suono è a sinistra.
Il sistema deve calibrarsi perché durante la vita di un individuo le misure cambiano
ma la codifica dipende dal fatto che il sistema dipende molto dalla differenza
eccitazioni e inibizione. Nel profilo tra massima inibizione e eccitazione ci sta la
codifica dello spazio, quindi si codifica lo spazio da una differenza di risposta delle
LSO laterali, da un livello di intensità della loro risposta. Quando sono utili LSO?
Funzionano meglio per frequenze alte che basse. C’è una grande differenza
dell’attività per suoni a diverse frequenze. Corrisponde direttamente anche alle
differenze in dB. Funziona male per frequenze basse, perché la differenza di
intensità è creata dalla testa e se la lunghezza d’onda è lunga potrebbe essere
assorbita meglio anche dall’orecchio controlaterale, perché circumnaviga la testa.
2. INDICE ITD: Differenza dei tempi di arrivo: se un suono è a sinistra arriverà
anche un po’ prima all’orecchio di sinistra rispetto a quello di destra, con una
differenza di circa pochi microsecondi, è assurdamente piccola dato che il suono si
trasmette a circa 300 m al secondo e deve attraversare solo 28 cm. Proprio perché
deve calcolare differenze molto piccole di tempo non avrebbe mai potuto aspettare
di codificare questa differenza in corteccia, perché ogni volta che il segnale viene
ritrasmesso si rischia di incorrere in degli errori, si può disperdere o perdere di
intensità. Il sistema ha montato cellule binaurali al livello del ponte e ha costruito un
sistema atto a codificare le differenze dei tempi d’arrivo. La differenza sarà 0
quando il suono è frontale, massima quando è perfettamente laterale, torna ad
essere 0 quando è dietro. Poter codificare i tempi di arrivo è un modo in cui si può
codificare la posizione spaziale. Per esempio per 20° la differenza è di 200
microsecondi, con un massimo di 640 microsecondi per 90°. Ha un minimo, un
massimo e torna a 0, quindi fisicamente è molto affidabile.
Come avviene fisiologicamente? Di questa codifica si occupano le strutture delle
olive superiori mediali (MSO), che sono particolarmente sensibili alle frequenze
basse. Si ritiene che in qualche modo le strutture delle olive mediali ricevano un
segnale ipsilaterale dalla parte anteroventrale dei nuclei cocleari, che codifica le
frequenze basse. Allo stesso modo però anche dall’altra parte sono ricevute le
stesse afferenze entrando in un circuito definito a linee di ritardo, secondo il
modello di Jeffers. Si basa sul fatto che le cellule a cespuglio proiettano il segnale
dei nuclei cocleari che ricevono attraverso la sinapsi endbulb di Held
bilateralmente, così che le cellule di MSO ricevano da entrambi i nuclei cocleari,
ipsi e controlaterale, diventando binaurali. In questo processo esistono dei
detettori di coincidenza che sono dei neuroni che scaricano solo quando ricevono
sia dalla parte ipsilaterale che controlaterale. Però, siccome il flusso sonoro è
continuo devono anche scaricare per lo stesso pezzo del suono, ovvero devono
essere strutture phase-locked, ovvero neuroni che scaricano solo per un pezzo,
una fase, dell’onda, per esempio la parte ascendente. Quindi a questo punto
abbiamo bisogno di un meccanismo a linea di ritardo dove nell’array di detettori di
coincidenza le cellule e gli impulsi ipsilaterali arrivano per esempio dall’alto
(neurone a), mentre la parte controlaterale dal basso (neurone g). Quindi correndo
lungo la struttura di questi dettetori se ho un suono perfettamente davanti a me e i
tempi d’arrivo sono gli stessi, i sue segnali ipsi e controlaterali si incontreranno per
esempio nel neurone d, attivandolo con la coincidenza, perché entrano segnali da
due sistemi presinaptici. Il sistema superiore capisce che essendosi attivato il
segnale nel neurone d in mezzo ci doveva essere 0 ritardo e quindi il suono era o
davanti o dietro.
Se il suono è a 90° a sinistra e guardo l’MSO di sinistra nella parte ipsilaterale il
suono entra molto velocemente percorrendo tutti i neuroni fino a g mentre quello
controlaterale ancora non si è mosso. Quando l’ipsilaterale arriva a g finalmente
anche quello controlaterale lo ha raggiunto e il sistema, dall’attivazione del neurone
g, capisce che il suono è dalla parte ipsilaterale, perché ha corso di più. Se nella
parte ipsilaterale per esempio a sinistra si attiva il neurone g e questo fa capire al
sistema che il suono è a sinistra, in quello di destra si attiverà il neurone a, ovvero il
primo, con un codice ridondante. Ci fa capire che se in quello a sinistra arriva prima
il suono ipsilaterale e in quello a destra arriva prima quello controlaterale il suono
sarà a sinistra. Non sono sempre il neurone g o a, il sistema si calibra e può
collegare un neurone specifico ad una specifica posizione.
Nel caso in cui il suono venga da entrambe le parti e l’intensità è uguale si ha un
effetto stereo e ci sembra che venga da davanti, nel caso in cui non sia uguale,
dato che le cellule lavorano in phase-locked e analizzano solo una parte del suono
riusciamo a non fare confusione.
Come si fa a distinguere davanti e dietro?
I calcoli già visti non tengono conto della forma e la consistenza del padiglione
auricolare, nonostante la forma generale sia di una parabola. Nella parte dietro la
capacità di assorbimento della cartilagine è molto più alta che nella parte frontale
quindi lo stesso suono suonato davanti o dietro non arriva con la stessa intensità.
Come si fa a codificare poi la posizione verticale del suono? La forma del
padiglione auricolare non è casuale, è diversa da persona a persona e ha come
finalità di indirizzare i suoni dentro l’orecchio attraverso dei rimbalzi sulla cartilagine.
Ogni volta che però il suono impatta una superficie fisica a seconda della geometria
di questa superficie alcune delle sue componenti spettrali perdono potenza e altre
no. Quindi se noi abbiamo suoni di componenti di varia frequenza quelle che
entrano nell’orecchio fanno sì che la struttura stessa dell’orecchio prenda una white
noise, che ha la stessa energia in tutte le bande delle frequenze, le strutture
dell’orecchio decideranno una trasformazione di questa banda di frequenze che è
quella che poi andrà ad impattare il timpano. Il sistema deve quindi imparare che
suoni diversi arrivano all’orecchio in maniera diversa e nel caso del piano verticale
non sono tanto il tempo d’arrivo o l’intensità che cambiano ma è lo spettro (è la
maggiore influenza anche della localizzazione davanti-dietro). Si può misurare
come cambia per i vari spettri di frequenze l’intensità recepita dal sistema per le
varie elevation, e il sistema della pinna riesce a farlo.
Se la pinna in qualche modo definisce l’head related transfer function, che
succede se cambio la pinna? Al day 1 la capacità di localizzazione è 0, tutti gli indici
del sistema erano inutilizzabili, mentre se facciamo passare qualche mese tutti i
soggetti avevano recuperato le capacità precedenti → il sistema si ricalibra.
Quando tolsero le fake-pins poterono tornare alla normalità, non avevano sostituito i
sistemi, ne avevano solo aggiunto uno. Il sistema è capace di sostenere più di un
sistema di calibrazione.
FINE SISTEMA ACUSTICO

L’informazione acustica viene trasmessa al collicolo inferiore, struttura molto complessa


suddivisibile in strati concentrici, e neuroni diversi codificano frequenze diverse. La
divisione tonotopica viene mantenuta anche a livelli superiori, ogni strato concentrico dei
collicoli è selettivo per una stessa frequenza caratteristica, possiede cellule che codificano
per la stessa frequenza caratteristiche. I neuroni del collicolo inferiore sono poi binaurali e
sono sensibili al ritardo nel tempo di arrivo e alla differenza di intensità → è coinvolto nella
localizzazione della direzione di provenienza del suono. I codici iniziali che servono o per
analizzare o per localizzare il suono vengono mantenuti nelle strutture superiori.
Tutte queste caratteristiche vengono mantenute anche a livello del talamo, nel nucelo
genicolato mediale, dove addirittura il tuning, ovvero la caratterizzazione delle frequenze
a cui i neuroni rispondono è molto più stretta di prima, cioè i neuroni sono molto più
selettivi a frequenze particolari. Se prima un neurone selettivo per 1kHz rispondeva anche
a 3, adesso è più selettivo. Rimangono sempre sensibili a differenze di tempi e intensità.
La corteccia acustica primaria (A1) è nel lobo temporale, molto vicina alle due orecchie,
in una zona chiamata area di Heschl, che siamo riusciti a suddividere in tre zone: core,
belt e parabelt. L’area “core” è la più centrale ed è suddivisa in tante sottostrutture a
seconda delle loro proprietà fisiologiche. I dati disponibili sono molto inferiori rispetto alla
corteccia visiva, perché gli esperimenti sono molto complicati. Molte delle cose si sanno o
dalla neurofisiologia o da misure comportamentali. Per quanto riguarda la neurofisiolgia si
è visto che anche il sistema acustico usa l’organizzazione colonnare per isofrequenze:
neuroni della stessa colonna hanno la stessa frequenza caratteristica, con un modalità
simile al sistema visivo. Ci si alterna in colonne di sommazione o soppressione, cioè
tutti i neuroni sono binaurali, quelli di sommazione sommano i segnali che arrivano da
destra a quelli di sinistra cioè sommando i due segnali li registra come depolarizzanti e si
eccita, mentre quelli di soppressione, una volta registrata una risposta per l’orecchio
sinistro, se uno stesso suono è mandato a destra la risposta diminuisce, coe se stesse
calcolando un contrasto. Quindi nelle colonne di sommazione i neuroni sono eccitati dalle
risposte di entrambe le orecchie mentre in quelle di soppressione sono eccitate da un
orecchio e inibite dall’altro.
C’è poi una distribuzione ordinata della selettività alle frequenze, normalmente le
frequenze basse sono analizzate più lateralmente mentre quelle alte più medialmente →
c’è una metrica della frequenza dei suoni anche in corteccia.
Data una lesione in A1 viene persa un po’ di capacità nella localizzazione del suono e se
la lesione è molto piccola si perde la capacità di localizzazione del suono solo per
frequenze particolari, ma per ottenere deficit più robusti bisogna lesionare aree più
associative del belt e parabelt, il che rende misterioso il contributo di queste aree.
Secondo i dati degli ultimi anni c’è un processo seriale e gerarchico per cui l’informazione
andrebbe dal core, la parte nucleare al belt e poi al parabelt ma a livello parallelo si pensa
che zone diverse abbiano informazioni per cose diverse, in particolar modo la parte
rostrale del parabelt tenta di identificare cosa è un suono ma non ha parte nella
localizzazione, mentre la parte caudale avrebbe un ruolo nella localizzazione spaziale,
con un processo simile a quello visivo → idea del what e del where.
Nell’uomo abbiamo tecniche di imaging che ci permettono studi non invasivi che
permettono di costruire strumenti che riescono a sopperire alla perdita dell’udito →
sostituzione sensoriale. Siamo poi vicini a codificare bene anche la musica e il linguaggio
attraverso tecniche come la risonanza elettromagnetica, che ha come caratteristica un
profilo lento per l’attivazione in bold che dipende dal riflesso ematico. Le conoscenze si
acquisiscono, oltre che con lo studio di pazienti con lesioni e tecniche neurofisiologiche
anche con gli studi sull’impatto di un contesto rumoroso sul decremento dell’udito di
alcune persone. Quelli esposti a meno rumori riuscivano a sentire meglio per più tempo.
La selettività per i suoni poi si modifica con l’età e le frequenze più alte scompaiono. Con
l’avanzamento dell’età poi si sentirà sempre meno, anche per altre frequenze → hearing
loss.

IL SISTEMA SOMATOSENSORIALE

Quando si parla del sistema somatosensoriale non si parla di un sistema solo, si parla di
una macro-area di tutte le sensazioni che nel corpo sono veicolate o dagli organi interni o
dalla pelle. L’organo di senso in questo caso è una cosa che possiamo vedere e toccare.
Quali tipi di sensazione può veicolare il sistema somatosensoriale? Può veicolare
sensazioni di diversa natura, infatti si deve dividere in almeno 4 domini diversi che
conoscono il mondo sfruttando diverse fonti di energia. I recettori della sensibilità somatica
sono divisi in meccanorecettori, termorecettori e chemorecettori.
1. Tatto: conosce il mondo attraverso una pressione meccanica sulla pelle, un
trasferimento di energia meccanica sulla pelle. Usa meccanocettori cutanei.
2. Sistema propriocettivo: ci permette di sapere come sono posizionati i nostri
organi anche se non li stiamo guardando. Lo fa attraverso i muscoli e il loro livello di
contrazione, dalla pressione sui tendini o da dei sensori che dicono alle articolazioni
il loro grado di rotazione. Tutto ciò ci dà un’idea di come è posizionato il nostro
corpo. È ancora un’energia meccanica.
3. Termica: se noi tocchiamo una superficie e essa è calda o fredda l’informazione fa
parte di una dimensione termica o la termocezione. La forma di energia riguarda il
calore o il non calore percepito rispetto alla nostra temperatura corporea. Se il
sistema è troppo caldo distrugge gli organi di senso e gli provoca lesioni se è troppo
freddo.
4. Dimensione nocicettiva: capacità di codificare che un evento negativo sta
apportando modifiche catastrofiche al funzionamento del sistema che possono
avere diverse cause.
Tutta questa informazione viene inserita dagli organi distali nel percorso del SNC
attraverso i gangli delle regioni dorsali. Il segnale del meccanocettore situato sulla punta
di un dito per esempio viene inviato alle regioni dorsali che lo inseriscono nella parte
dorsale del midollo spinale. Tutti gli organi sotto al livello del collo proiettano l’informazione
sensoriale al midollo, le informazioni in entrata hanno un’afferenza dorsale e da lì si
diramano grazie alla codifica degli interneuroni locali che per esempio hanno una
codifica dei riflessi, senza passare dalla coscienza. Quindi alcune informazioni vengono
già elaborate localmente, altre salgono con i motoneuroni per avvertire il sistema nervoso
centrale del fatto sensoriale, per esempio che l’equilibrio non è mantenuto, provocando
per esempio una reazione. Nella via ascendente abbiamo il fascicolo gracile e il fascicolo
cuneato, mentre se l’informazione è locale abbiamo la zona grigia che dà informazioni
stereotipate → riflessi.
C’è una selettività per dimensione somatosensoriale, ogni cellula dei gangli risponde
selettivamente ad un tipo di stimolo, se una fibra risponde del tatto, non risponde alla
nocicezione o alla temperatura; viene mantenuta la via parallela di analisi delle
informazioni.
Tutte le informazioni della parte superiore della testa passano al midollo attraverso il 5 o
nervo cranico, il trigemino.
I terminali periferici dei neuroni dei gangli delle radici dorsali sono di due tipi: terminazioni
nervose nude o terminazioni nervose capsulate. Il sistema tattile e propriocettivo
utilizzano dei neuroni con estremità incapsulate, mentre i terminali che codificano per
temperatura e dolore sono chiamati terminali nudi.
Cosa succede nella capsula? La deformazione meccanica data dal tatto o la pressione
sulla pelle deforma una parte della capsula e questa deformazione apre dei canali ionici:
così passa l’informazione.

I recettori tattili sono meccanorecettori.


Non si usa un solo recettore tattile. Nel dominio tattile l’organo di senso principale è la
pelle, che pesa circa 4 kg e ricopre circa una superficie di 2 m 2.
Esistono 4 meccanocettori distinti dalla posizione nei livelli della pelle costituita
dall’esterno all’interno da epidermide, derma e sottocute. I due recettori a livello della
congiunzione tra epidermide e derma sono Merkel e Meissner, mentre i due più profondi,
nello strato del tessuto sottocutaneo sono Ruffini e Pacini.
Perchè ho bisogno di 4 sensori? Sono complementari:
1. I due più alti hanno campi recettivi piccoli, mentre quelli più bassi campi recettivi più
grandi.
2. In generale i recettori si adattano o lentamente o rapidamente. Quelli a rapido
adattamento (Pacini e Meissner) quando inizia lo stimolo si attivano rapidamente
ma velocemente smettono di essere attivi, quindi rispondono solo quando una
stimolazione inizia e finisce, codificano l’onset e l’offset, il timimg, perché si
adattano alla stimolazione continua.
Se invece voglio codificare una pressione continua sulla mia pelle devo usare quelli
a lento adattamento (Merkel e Ruffini) che rimagono attivi e rispondono per tutta la
durata dello stimolo.
Che cos’è un campo recettivo nel sistema somatosensoriale? È quella zona di pelle per
cui, se applicata una forza, il meccanorecettore risponde. I campi recettivi non sono uguali
in tutte le parti del corpo. Nei punti salienti, più utili, come le mani sono piccolissimi → ho
bisogno di massima risoluzione spaziale tattile (corrisponde alla visione a tunnel della
fovea in visione). La variazione è un fattore 5 tra dita e palmo, da 2 mm per le dita a 10 per
il palmo. Addirittura per la schiena c’è un fattore di 300.
Nelle zone a più alta sensibilità tattile ci sono 300 fibre nervose per cm 2 → massima
sensibilità, massima densità.
Come si sperimenta tutto ciò? Col metodo delle due punte.
Il sistema tattile non ha un modo di esplorazione del mondo principalmente passivo, nel
tatto a seconda delle informazioni che vogliamo dobbiamo agire in modo attivo (ex.
strusciare una superficie per sapere se è rugoso). Per le varie conoscenze si devono
applicare schemi motori diversi.
ESEMPIO:
Cellule di Merkel (cr piccolo, lento adattamento)→
Risponde a frequenze molto basse -quante volte la pelle viene colpita la secondo- (3-4 Hz)
con campo recettivo piccolo, è il detettore principale della lettura in braille. Ha massima
sensibilità per pressioni sostenute e frequenza bassa.
Cellula di Meissner (cr piccolo, rapido adattamento)→
Codifica meglio frequenze più alte con campo recettivo piccolo (3-40 Hz) , ci fa codificare
che un oggetto ci sta scivolando dalle mani. Ha massima sensibilità per vibrazioni a bassa
freqienza.
Cellula di Pacini (cr grande, rapido adattamento)→
Ha un campo recettivo grande e arriva a codificare da 40 fino a 500 Hz, è ciò che ci
permette di scrivere correttamente, ci fa modulare la pressione sul foglio, ci fa mantenere
la forza costante sulla penna. Percepisce vibrazioni ad alta frequenza.
Cellula di Ruffini (cr grande, lento adattamento)→
Campo recettivo largo, slow adapting e ha un range abbastanza alto (100-500Hz), ci fa
capire se il tipo di presa su un oggetto che abbiamo è corretto o no. Ci dà informazioni
sulla pressione sostenuta verso il basso, lo scivolamento sulla pelle.
Il sistema quindi lavora in modo complementare, quando Merkel non può più attivarsi si
attiva Meissner e così via → è risultato vantaggioso a livello evolutivo.

La propriocezione consta di 3 livelli distinti:


Propriocettori dei fusi neuromuscolari → sensori che ci dicono quanto sono contratti i
muscoli.
Recettori tendinei del Golgi →danno l’informazione sul carico a livello dei tendini,
strutture che collegano i muscoli alle ossa.
Recettori articolati → capiscono come sono messe le articolazioni, anche in termini di
angolo di rotazione: noi abbiamo un solo angolo di piegatura naturale, ci avvertono di
quanto è piegato.
Esiste inoltre la propriocezione cutanea, che serve per la postura e per il linguaggio.
Serve per reagire al mondo intorno a noi, sopperisco alla mancanza di forza sulla gamba
di destra con la sinistra per rimanere in equilibrio per esempio.
Se il sistema somatosensoriale non funziona, per sapere come è messo il tuo corpo lo
devi vedere.
Il sistema somatosensoriale cambia come noi conosciamo noi stessi, a volte possiamo
percepire cose che non ci sono del nostro corpo e a volte non percepire come nostre cose
che ci sono.

Cosa succede per il dolore? Il dolore è uno dei sistemi di sviluppo che si trova in tutti i
sistemi viventi, perché deve preservare l’organismo. Il circuito del dolore è complicato
perché esso può venire da varie forme di energia, le sensazioni di dolore arrivano da varie
cause, alcune forme di dolore sono create dalle strutture centrali che lo codificano, altre
invece sono codificate da quelle periferiche. Alcuni nocicettori sono meccanici e
reagiscono a stimoli meccanici diretti mentre altri possono rispondere ad un danno
tissutale, in reazione alle sostanze rilasciate dal tessuto traumatizzato. Il sistema diventa
poi complementare agli altri di codifica. Prima di provare dolore nel caso della bruciatura
sento caldo. La termocezione ha detettori per il caldo e per il freddo, che smettono di
rispondere a 45o perché dopo il 45o c’è dolore, la stessa cosa succede sotto i 5o .
Normalmente quindi i termorecettori scaricando segnalano la differenza tra la temperatura
segnalata e quella corporea, ma sopra alcuni limiti smettono di rispondere perché entrano
in gioco i nocicettori per segnalarci un pericolo.

Come si arriva alla corteccia somatosensoriale primaria? Ci sono due vie principali che
passano per il midollo spinale:
1. sistema colonno-dorsale-lemnisco-mediale: sale, una volta entrato dai gangli,
ipsilateralmente per tutta la colonna dorsale e crocia al livello del tronco encefalico
(bulbo → a livello delle colonne dorsali crocia poi si inserise nel lemnisco
mediale); a livello delle colonne dorsali entra l’infromazione degli arti inferiori
mentre a livello del mediale quella della testa. Proietta le informazioni tattile e
propriocettiva alla corteccia parietale, che vengono trasmesse da neuroni
capsulati.
2. sistema anterolaterale o spinotalamico: appena le fibre afferenti entrano dai
gangli vengono subito proiettate dalla parte controlaterale. Trasporta le
informazioni su dolore e temperatura. Il dolore al piede destro sale dalla parte
sinistra del midollo.
A livello corticale tutta la rappresentazione è crociata. Queste due vie sono molto
importanti nel caso delle lesioni.

S1 è la corteccia somatosensoriale primaria ed è collocata nel lobo parietale a ridosso


del solco centrale, con una posizione postcentrale. Riceve da tutto il sistema
somatosensoriale ma a seconda della dimensione sensoriale le strutture successive
coinvolte sono diverse. La nocicezione per esempio ha anche una dimensione emotiva →
sistema limbico, sono coinvolte anche altre strutture. Infatti gli stimoli nocicettivi sono
proiettati anche a CI (Corteccia Insulare) e a CCA (Corteccia Cingolata Anteriore) che
danno la parte emotiva della nocicezione. È interessante notare che solo queste due
cortecce si attivano nel caso di dolore empatico.
Quando una sensazione travalica la dimensione puramente percettiva vengono coinvolte
strutture del sistema limbico, che codifica le emozioni, che servono ad una corretta
comprensione dei processi.
1. Corteccia dell’Insula
2. Corteccia del cingolo

La corteccia S1 è divisa in molte aree, paradossalmente le aree di afferenza sono


codificate con i numeri 3a e 3b, tanto che le aree 1 e 2 ricevono ingressi dalle aree 3.
Sono tutte aree afferenti perché alla corteccia arrivano moltissime informazioni. Poi S1
codifica ad una corteccia molto vicina chiamata S2 e poi dalla parte parietale rostrale
scende alla PPC, ovvero la corteccia parietale posteriore, importante area associativa,
che integra informazioni attentive, somatosensoriali e visive. Fa inoltre molte codifiche
spaziali.
Persino nella S1 esiste un’organizzazione colonnare, che riguarda il fatto che neuroni di
colonne adiacenti sono o slow-adapting o fast-adapting, informazione codificata anche dai
meccanocettori.
La cosa più importante scoperta con esperimenti in vivo su soggetti epilettici fu che
toccando parti diverse della corteccia parietale frontale si induceva la sensazione
somatosensoriale in una diversa parte del corpo. Si costruì una metrica che distribuiva
sulla corteccia diverse parti del corpo.
Il cervello quindi ha una rappresentazione del corpo al suo interno pesata a seconda del
fatto che le strutture che hanno sensibilità più alta devono essere rappresentate di più.
Queste strutture sono le mani, la bocca etc..
A seconda del peso si ha una mappa del corpo così come la vede il cervello, che è
speculare a quella che ha la corteccia motoria, che la riflette perché i processi della
corteccia somatosensoriale si sono evoluti per l’azione (perception for action). Quindi la
mappa somatosensoriale è speculare a quella motoria perché le informazioni vengono
passate lì per farci agire, a manipolare gli oggetti che tocchiamo.
IL SISTEMA MOTORIO

I processi percettivi sono processi attivi, e il motivo per cui si sono evoluti è di permetterci
di interagire con l’ambiente/ agire sull’ambiente e così acquisire delle risorse, delle funzioni
→ perception for action.
Mentre i sistemi sensoriali trasformano energia fisica in segnali nervosi, il sistema motorio
trasforma segnali nervosi in forza contrattile per spingere i muscoli ad effettuare un lavoro
meccanico, con esattamente il processo opposto. Quindi usa i segnali neurali per dare
comandi di azione in modo da fare un’azione, svolgere un lavoro. I parametri per misurare
le capscità dei sistemi motori sono l’agilità e la destrezza (fare velocemente e
accuratamente un compito motorio), riflettono la capacità dei sistemi motori di pianificare e
coordinare i movimenti. Il sistema ha poi una connotazione a feedback innata → fa un
piano di quello che deve fare, invia i comandi motori agli effettori e se l’azione non va bene
devo correggere il piano e fare un’azione diversa.
Se i sistemi sensoriali suddividevano la rappresentazione del mondo in vie parallele
decomponendo lo stimolo, per esempio visivo, in piccole sub-unit per poi ricostruirlo, il
sistema motorio fa la cosa opposta: ha a disposizione delle unità motorie attraverso le
quali deve costruire, deve comporre un pattern motorio, un movimento complesso, con un
processo di sintesi e analisi.
Hebb introdusse il principio dell’equivalenza motoria: è sempre possibile avere lo stesso
risultato in tanti modi diversi, con schemi motori diversi tra di loro.
I sistemi percettivi vengono misurati in 4 macrodomini: modalità, intensità,
localizzazione, durata.
Per quanto riguarda il sistema motorio le dimensioni principali sono:
• Intensità: può misurare l’intensità delle contrazioni muscolari, quanto agiscono
(forza esercitata) i muscoli sul lavoro che si sta tentando di fare.
• Localizzazione: misura quanto è accurato il movimento, quanto lo schema
corrisponde a quello che riesco a fare nella realtà.
• Durata: velocità, quanto tempo ci hai messo a contrarre per esempio il bicipiti.
Quello che chiamiamo speed-accuracy trade off, ovvero il compromesso tra accuratezza
e velocità, ovvero il fatto che tanto più velocementecompi un'azione meno accurata essa è
fa parte di moltissimi studi.
I due mondi, sensoriale e percettivo, comunicano continuamente. Robert Woodworth
scoprì che il trade off tra velocità e accuratezza esisteva solo se i soggetti facevano il task
proposto a occhi aperti. La regola del trade off valeva solo quando i soggetti guardavano
la penna. Se ho un feedback visivo di quello che sto facendo il sistema lavora in un loop
per correggere continuamente lo schema basandosi sulle informazioni visive, se non le ho
il sistema non riesce a correggere gli errori in tempo reale perché non riesce a controllare
se lo schema è applicato in maniera accurata nella realtà.
Il sistema motorio è un sistema gerarchico. Esistono vari livelli di programmazione
motoria ma esiste una via finale comune, cioè tutti i segnali motori devono essere inviati
ai muscoli attraverso i motoneuroni spinali. Ha quindi una sola via di uscita, non importa
dove sia generato il segnale.
Il primo livello di controllo si trova a livello spinale. I neuroni e gli interneuroni spinali
possono autonomamente costruire dei pattern motori → i riflessi. Non coinvolgono le parti
superiori del SNC, non richiedono il coinvolgimento dei livelli superiori.
Quali sono i livelli superiori? Un secondo livello si trova nel tronco dell’encefalo, un terzo
livello è la corteccia motoria primaria (posizionata nella parte caudale della corteccia
frontale, adiacente al solco centrale), mentre un quarto livello riguarda la corteccia
motoria supplementare e la corteccia motoria associativa.
A queste strutture vanno sommati i ruoli fondamentali del cervelletto, che contiene più
neuroni della corteccia perché responsabile dei movimenti fini e della supervisione
dell’applicazione degli schemi motori, e dei nuclei della base.
Il sistema poi non è solo a feedforward, non si va solo dalle zone più basse a quelle più
alte. I segnali della periferia per esempio possono essere inviati al cervelletto che ha
proiezioni nelle zone corticali, ma segnali possono arrivare anche da altre cortecce o dai
gangli della base. Una volta che le cortecce hanno ricevuto questi segnali possono o
inviarli direttamente agli effettori attraverso i motoneuroni (vie corticospinali) o farlo
attraverso le vie del tronco dell'encefalo.
È quindi un sistema gerarchico a feedforward continuamente caratterizzato da feedback. Il
talamo poi svolge un ruolo cruciale perché si trova esattamente al centro dello schema di
lavoro, e per questo ha un ruolo di pivot: riceve, modula e rimanda i segnali a tutte le
strutture. Tutti i sistemi percettivi proiettano al talamo ma anche il sistema motorio vede nel
talamo una struttura centrale per poter smistare e modulare i comandi.
Tutti gli schemi motori possono essere categorizzati in tre classi:
• I riflessi: a volte codificati anche da una sola sinapsi, sono i movimenti più
semplici.
• Attività motorie ritmiche: pattern motorio di movimenti ripetuto nel tempo, es.
camminata.
• Movimenti volontari: movimenti in cui decido io cosa fare in maniera
imprevedibile, senza stereotipare, e dipende da molti dati empirici, il movimento va
programmato ad hoc.
Ognuno di questi movimenti è costituito da due sistemi di controllo:
• Controllo fasico: i muscoli sono attivati per compiere in breve tempo un’azione →
lanciare una palla. È un controllo transiente, l'azione ha una finalità specifica, one
shot action.
• Controllo tonico: contrazioni muscolari generate per mantenere un determinato
controllo motorio sostenuto → stare in piedi.
Le tre categorie non sono esclusive, la maggior parte delle volte si hanno dei
comportamenti misti → tutti i movimenti volontari per esempio coinvolgono riflessi.
Quali sono le proprietà di base dei movimenti?
I riflessi sono i movimenti più semplici con il minor grado di controllo volontario, in alcuni
casi 0, non interagisce il sistema centrale, riceve solo informazioni sul fatto che è stato
eseguito il movimento.
Le attività motorie ritmiche hanno un livello intermedio di controllo perché solitamente
possono essere eseguite in automatico, vengono controllate all’inizio e alla fine ma anche
se mentre sto compiendo l’azione succede qualcosa di inaspettato.
I movimenti volontari sono quelli goal-directed, cioè fatti con un obiettivo, sono
intenzionali. Durante la pratica poi i movimenti si perfezionano con l’apprendimento e la
necessità di controllo centrale diminuisce. Cioè partono con un controllo totale e possono
essere delegati con l'apprendimento a movimenti confezionati.
Nell’architettura del sistema poi buona parte delle proprietà devono essere capite in
funzione del fatto che i muscoli si possono solo contrarre e non possono spingere, quindi
per aumentare il volume delle fibre muscolari devo avere dei muscoli agonisti e dei
muscoli antagonisti, quindi se il bicipite si contrae il tricipite si rilascia. I muscoli possono
fare trazione, possono contrarsi ma non possono spingere e per spingere un'articolazione
devo tirare dalla parte opposta.
Anche per il movimento più semplice devo mandare segnali a più muscoli, tenere conto
della distribuzione corporea (se io voglio prendere un oggetto spostando il braccio in
avanti sposto il baricentro e per spostare il baricentro devo, mentre mi sposto, aumentare
la forza sui muscoli addetti a contrastare lo spostamento del baricentro), e prendere in
considerazione le caratteristiche del sistema motorio stesso (per esempio non posso
piegare il braccio indietro). I muscoli vanno sempre pensati come una struttura che
coinvolge molteplici sottostrutture, non si può isolare l'attività di un singolo muscolo.

Qual è la via d'uscita comune? I motoneuroni, divisi in assiali e distali, hanno un effetto
sui muscoli, che hanno la stessa divisione (i motoneuroni assiali hanno effetto sui muscoli
assiali).
Esistono degli schemi motori semplici che possono essere eseguiti senza il controllo del
sistema centrale, e questi costituiscono tanti microschemi, tante unità di movimenot. Per
fare un movimento complesso devo mettere insieme tanti microschemi. Il sistema centrale
non deve specificare ogni singolo particolare dello schema motorio ma può fare leva su di
essi. In più mentre utilizza queste unità deve stare attento a gestire i processi in parallelo
(es. mantenere l’equilibrio in un movimento → l’azione di un muscolo si ripropaga sugli
altri).
A livello del midollo spinale esistono i gangli delle radici dorsali, da dove entra
l’informazione. Quando l’informazione entra a livello del midollo spinale, del corno
dorsale o le informazioni vengono spedite attraverso vie afferenti alle parti centrali del
SNC, o vanno a fare sinapsi nella parte ventrale attraverso il corno ventrale. Una volta
fatta sinapsi i motoneuroni possono inviare direttamente dei comandi (attivare i muscoli
che ritraggano la mano quando tocco una stufa calda). Nel frattempo dovranno essere
inviati segnali anche ad altri muscoli.
Nel passaggio da cono dorsale a cono ventrale nella parte più laterale vengono veicolati i
segnali motori che raggiungeranno gli arti, invece le proiezioni nella parte più mediali
vanno ad attivare i muscoli più assiali.
Nella parte laterale che controlla gli arti nella parte mediale abbiamo il controllo
prossimale dell’arto e nella parte laterale il controllo distale.
I motoneuroni che controllano i flessori sono nella parte dorsale e i motoneuroni che
controllano gli estensori sono nella parte ventrale.
Esiste poi un’organizzazione colonnare, per il concetto di pool motoneuronale, quindi o
sono neuroni che lavorano su un muscolo specifico, o che lavorano su muscoli
funzionalmente correlati. Quindi si raccolgono in colonne neuroni che devono lavorare
insieme.
Esistono quindi due regole principali:
• Regola prossimo-distale: i muscoli prossimali hanno una posizione più mediale,
mentre quelli distali della parte più laterale.
• Regola flessori estensori: i motoneuroni che innervano i muscoli flessori sono più
dorsali, mentre quelli che innervano i muscoli estensori sono più ventrali.
La distinzione anatomica continua nel tronco encefalico e riflette una differenza funzionale:
i muscoli assiali e prossimali lavorano per mantenere l’equilibrio della persona (non
esistono animali bipedi), i muscoli distali sono invece usati per la manipolazione fine.
A cosa serve avere un sistema in parallelo? Nel tronco dell’encefalo il sistema mediale
ha a suo carico l’integrazione delle informazioni visiva, somatosensoriale e vestibolare per
il mantenimento della postura. Il sistema laterale organizza invece i muscoli per
l’esecuzione dei movimenti di braccia e mani.
Il tronco encefalico inoltre media i movimenti di occhi e capo, che non vengono mediati dal
midollo spinale.
La via mediale ha tre sottocategorie:
• Un sistema/tratto vestibolospinale: controlla sia le proiezioni ai muscoli assiali
sia ai muscoli prossimali dai nuclei vestibolari per il mantenimento della postura e
dell'equilibrio.
• Il tratto reticolospinale: parte dalla formazione reticolare mediale e porta
informazioni ai neuroni per la postura.
• Il tratto tettospinale: parte dal tetto (zona del pre-tetto) coordina il movimento del
capo e degli occhi, scende parallelamente alle strutture reticolospinali e va ad
innervare i muscoli.
La via laterale è quella che muove gli arti. Scende per la via rubro-spinale, perché
scende dalla parte magnocellulare del nucleo rosso fino alla parte laterale delle proiezioni
del midollo spinale.

Il cervelletto è una struttura che permette di aumentare la precisione dei movimenti. Ha


una proprietà di ricevere i segnali sensoriali durante l’esecuzione del movimento. Riesce a
controllare on-line se il piano è eseguito correttamente, se non va bene riesce a
correggerlo lavorando sui meccanismi del tronco dell’encefalo.
I nuclei della base ricevono afferenze da tutte le aree corticali e sono importanti quindi,
siccome integrano le informazioni dei vari sistemi sensoriali, per la pianificazione di
movimenti dato che hanno tutti i dati sensoriali inviategli dai sistemi percettivi. Lesioni a
questi nuclei comportano l’incapacità nell’iniziare un’azione volontaria o l’incapacità di
inibire i movimenti involontari. Controllano l'esecuzione del piano pronto inibendo i piani
motori che non devono essere eseguiti.

Se il controllo non è esercitato a livello basso possiamo avere un controllo corticale,


eseguito da tre strutture: M1, che ha vicino a sé la corteccia premotoria, che fa delle
analisi precedenti a M1 e l’area motoria supplementare, che ha un ruolo nei pattern
motori molto complicati.
Mentre la corteccia motoria è un esecutore le altre due aree sembrano la parte di
organizzazione del movimento→ aree associative.
Il sistema è costruito affinché esse possano inviare comandi direttamente al midollo
spinale attraverso le proiezioni del tratto cortico spinale, senza passare dal tronco
dell'encefalo. Ci sono quindi due vie, una indiretta, che fa sinapsi al tronco dell'encefalo e
una che attiva direttamente dalla corteccia al midollo.
A parte la via corticospinale per controllare gli arti abbiamo il tratto corticobulbare per i
movimenti del viso che gira al livello del bulbo.
La corteccia motoria è posizionata pre solco centrale e ha una mappa del corpo
simmetrica a quella somatosensoriale.
Quali sono le vie corticospinali?
• Tratto corticospinale laterale: controlla i muscoli distali, scende lateralmente, o
direttamente o fa sinapsi al nucleo rosso, dove ha una decussazione. Nel caso di
una trasmissione diretta decussa a livello delle piramidi, a livello dell'innesto del
midollo spinale.
• Tratto corticospinale mediale: invia i suoi segnali dalla corteccia ai muscoli
mediali e prossimali e o fa sinapsi con le vie mediali del tronco dell'encefalo o
scende direttamente non decussando e scendendo ipsilateralmente.
Come si generano dei movimenti? La forza generata dipende dalla lunghezza del muscolo
(i muscoli più grandi sono i muscoli più potenti) , dalla velocità di variazione della
lunghezza (contrazione o estensione) e le forze che si oppongono al movimento.
Quindi da una parte il SNC per eseguire bene dei movimenti deve inviare informazioni ai
muscoli e ricevere informazioni da essi sui muscoli. Quindi il SNC riceve due tipi di
informazioni diverse che ottiene o dal fuso neuromuscolare (struttura che si trova dentro
i muscoli e informa il sistema sullo stato del muscolo – quanto è contratto etc) o
dall’organo del Golgi (riceve e manda informazioni sullo stato di tensione dei tendini che
collegano i muscoli allo scheletro).
Un motoneurone è un’unità semplice, organizzata così: ogni fibra del muscolo riceve
afferenze da un solo motoneurone, ma un motoneurone può controllare più fibre. In più si
parla di unità motrice, ovvero le informazioni arrivano alle fibre attraverso un singolo
motoneurone; siccome sono più fibre controllate da una sola unità si parla di unità motrice.
Il rapporto di innervazione tra motoneuroni e fibre dipende da quali muscoli sono
interessati: è 1 a 10 per i muscoli extraoculari, 1 a 100 per i muscoli della mano e 1 a 2000
per il muscolo gastrocnemio.
Ogni unità motrice è connessa ad un neurone di Renshaw, che attraverso l’azione della
glicina gestisce un meccanismo di feedback negativo. Ha un'idea di quale sia l'attività del
motoneurone e nel caso in cui quest'attività debba essere inibita, per esempio deve
essere fermata la forza applicata, può inibire attraverso la glicina l’attività del motoneurone
e quindi allentare la richiesta. È quindi un circuito a feedback negativo, cioè un circuito che
in totale autonomia può sia controllare i segnali che vengono inviati sia ridurre
l'informazione che il motoneurone dà alle fibre.

Il SNC può modulare la forza attraverso due principi:


• Principio di reclutamento: se il sistema motorio vuole fare tante forza coinvolgerà
tante unità motrici e così attiverà la forza massima sulle fibre muscolari.
• Modulazione della frequenza: la durata di un potenziale d’azione è di qualche ms,
mentre la risposta nervosa, del potenziale di scossa dura molto di più (10-100 ms).
Di solito per ogni spike corrisponde una variazione della tensione muscolare → se
io do più segnali, siccome la velocità di trasferimento dei motoneuroni è maggiore di
quella con cui si contraggono le fibre, posso ottenere una sommazione, tanti
segnali in sequenza danno un’integrazione delle risposte. L’ampiezza della risposta
totale è quindi molto più alta di quella di prima. Se continuo ad aumentare la
frequenza si può arrivare ad una risposta tetanica, ad una saturazione, per cui con
lo spike ho già raggiunto il massimo della forza che posso ottenere e quindi non
posso più usare la modulazione per frequenza ma se voglio aumentare ancora di
più la forza devo chiedere ad un'altra unità motrice di lavorare.
SISTEMA MOTORIO II

Dal midollo spinale le varie efferenze dal corno ventrale sono distinte, anche le vie
discendenti sono organizzate così, cioè vari tipi di muscolatura scendono attraverso due
vie differenti (mediale e laterale).
Unità motrice→ un motoneurone, chiamato α, controlla più fibre muscolari. Il
motoneurone riceve efferenze o dal sistema spinale o dal sistema del tronco encefalico o
dal sistema corticale e esegue i comandi controllando direttamente le fibre, che vanno a
formare l’unità motrice. Un motoneurone ha un controllo con un meccanismo a feedback
negativo, cioè mentre invia i segnali alle fibre nervose questi segnali sono inviati anche al
neurone di Renshaw che ha una funzione inibitoria, e quindi di controllo, anche in caso di
eccesso di forza esercitata. Tutto il sistema motorio funziona sull’idea di impartire delle
comande e controllare come esse sono eseguite.
Abbiamo poi visto il principio di reclutamento e la modulazione per frequenza, che servono
a modulare la contrazione del muscolo e quindi la forza esercitata.
Tassonomia delle unità motrici → perché il sistema è così ben organizzato? Da una
parte un solo motoneurone controlla un’unità motrice quindi dall’alto si può dare il segnale
a quell’unità e poi decidere con la modulazione di frequenza quanto farla lavorare, in più
esiste quello che è chiamato principio della dimensione. Le unità motrici si possono
differenziare in tre classi diverse, scelte in base al tempo impiegato per raggiungere il
picco di forza e alla velocità di affaticamento:
• unità rapide suscettibili alla fatica: possono rispondere in maniera rapida ma se
la forza esercitata è continua si adattano molto facilmente. Generano le forze più
elevate ma sono anche quelle che vengono utilizzate per ultime. Hanno corpi
cellulari grandi.
• unità lente suscettibili alla fatica: generano forze uguali al 1-10% di quelle rapide,
hanno corpi cellulari piccoli e sono attivate per prime.
• unità rapide resistenti alla fatica: proprietà morfologiche e funzionali intermedie
alle due.
Principio della dimensione: esiste una classificazione della grandezza delle unità
motrici. Quando arrivano i comandi, per prima cosa si attivano le unità lente suscettibili alla
fatica, che hanno corpi piccoli, poi si attivano delle unità intermedie, e poi le unità grandi.
Questo determina un fattore organizzativo efficiente perché ci saranno delle strutture che
che hanno una risposta lenta e sono attivate più spesso. Devono essere quelle attive per
la maggior parte del tempo. Se decidiamo di fare qualcosa di improvviso (ex il gatto
attacca) l’azione richiede uno sforzo notevole e a quel punto si vanno ad attivare anche le
unità motrici con corpi intermedi e grandi, ovvero si richiederà al sistema la massima forza
possibile. Come si è evoluto un corpo a unità cellulari grandi che vengono utilizzate
pochissimo? Sembrerebbe strano a livello evolutivo, ma queste unità sono anaerobiche,
ovvero non richiedono per il loro utilizzo il dispendio di ossigeno. Quando non vengono
usate non richiedono ossigeno, non hanno dispendio energetico. Quindi a seconda delle
azioni che si devono fare si attivano prima le unità motrici piccole usate quasi sempre, poi
quelle medie e solo alla fine quelle grandi con un principio a risparmio.
Cosa vuol dire attivare un muscolo?
Quando si parla di un muscolo la parte esterna è formata da fibre extrafusali, normali
fibre contrattili, ma ci sono anche i fusi neuromuscolari, paralleli ai fasci e innervati
all’interno delle fibre e l’organo del Golgi, che si trova nel punto di contatto tra la fine del
muscolo e il tendine, che collega il muscolo all’esoscheletro.
Il fuso neuromuscolare è costituito da fibre afferenti sensoriali, arrotolate intorno al centro
del fuso che portano segnali al SNC (parte del sistema somatosensoriale – danno
informazioni sullo stato del muscolo). Queste fibre sono chiamate fibre 1A. Le parti a sud
e nord dei fusi, le estremità sono innervate dai motoneuroni γ, che portano un segnale
efferente, ovvero che portano i comandi motori del SNC al muscolo. Le fibre extrafusali
sono controllate dai motoneuroni α, quei sistemi che vanno ad innervare le fibre extrafusali
per chiedere quando è innervato di svolgere un lavoro. Però il SNC deve sapere cosa
succede al muscolo e lo fa attraverso due vie diverse, una afferente (le fibre 1A) e uno
efferente, i motoneuroni γ, che vanno ad innervare le estremità del fuso neuromuscolare.
I fusi si dividono in due categorie: possono essere a sacco o a catena. In ogni caso nella
parte centrale ci sono delle fibre afferenti, che si dividono in 1A e 2A. Le fibre 1A nella fase
dinamica rispondono molto più velocemente alla modulazione (alla piegatura del muscolo,
allo stiramento), mentre quella 2A risponde meno velocemente.
Se il motoneurone α fa contrarre le fibre extrafusali e crea il movimento cosa fanno i
motoneuroni γ?
Se noi agganciamo un peso al muscolo la fibra 1A segnala uno stiramento al SNC, ma nel
momento in cui viene attivato un motoneurone α dal SNC per opporsi allo stiramento e far
contrarre il muscolo, la fibra afferente, siccome è collegata al centro del fuso, quando il
muscolo si distende segnala l’evento, ma quando esso si contrae in teoria non
risponderebbe. Quando non c’è distensione è afflosciata, ci dovrebbe essere mancanza di
segnale. Quindi si crea il pericolo che il sistema non sappia quando il muscolo si contrae,
e così non sapremmo se la forza che stiamo esercitando è troppa, troppo poca etc..
A questo punto entrano in funzione i motoneuroni γ. Infatti i motoneuroni α, quando
mandano un segnale alle fibre extrafusali mandano anche un segnale a questi
motoneuroni, che innervano la parte superiore e inferiore del fuso, che possono essere
stirate, sono dinamiche. Nel momento in cui il muscolo si contrae il fuso si affloscia ma le
estremità vengono stirate. In questo modo c'è uno stiramento del fuso che torna a
rispondere, quindi le fibre afferenti 1A possono segnalare sia la contrazione che lo
stiramento del muscolo grazie all'azione dei motoneuroni γ.
Se io svolgo un lavoro cosa succede a livello dei tendini? Come fa il sistema a sapere e a
gestire la forza eseercitata sui tendini? Il propriocettore tendineo del Golgi è fatto di fibre di
collagene in cui si inserisce una fibra afferente, che porta informazioni al SNC su cosa stia
succedendo sui tendini. Le fibre del Golgi si chiamano 1B. Durante la fase di distensione
le fibre di collagene si stirano tirando le fibre nervose e attivandole. Quindi l'organo del
Golgi segnala che a livello del tendine c'è stata una variazione del carico. Le fibre del
Golgi si attivano anche di più quando c’è una contrazione, cioiè una compressione, un
accorciamento delle fibre del tendine. Quindi risponde bene quando c'è un allungamento,
ma ancora di più quando c'è un accorciamento, ovvero quando sforziamo di più i tendini.
Come svolgiamo dei movimenti da quest'architettura? Prendiamo per esempio il riflesso
spinale, elaborato e svolto a livello spinale.
Quando arriva uno stimolo (per esempio un tentativo di stirare il muscolo) la fibra
sensoriale 1o 2A all'interno del fuso segnala al SNC che il muscolo si sta allungando.
Questo segnale entra dai corni dorsali, fa una sinapsi con un interneurone che collega la
parte dorsale alla parte ventrale e costruisce un circuito per cui di conseguenza allo
stiramento si attiva un motoneurone che chiede al motoneurone α e anche un po' a quello
γ (che segnala che la contrazione è avvenuta) di opporsi allo stiramento esercitando una
forza che contrae il muscolo.
I riflessi non sono schemi del tutto stereotipati, cambiano a seconda delle condizioni
ambientali, possiamo modularne l’ampiezza → sono risposte stereotiopate graduate.
Coordinazione Motoria: capacità di usare più muscoli contemporaneamente per
compiere un’azione. Normalmente anche se parliamo di circuito di un muscolo si attivano
più muscoli contemporaneamente.
Per piegare un braccio lavorano per contrarlo il bicipite e i muscoli sinergici o agonisti.
Ad essi si oppone il muscolo antagonista. Se il braccio si distende perchè ho preso un
libro e il fuso segnala che il muscolo si è disteso. A livello spinale si fa una singola sinapsi
che dice al muscolo omonimo e a quelli sinergici di contrarsi e contrastare lo stiramento.
Per ottimizzare la funzione sii manda un segnale anche all’interneurone inibitorio che
semplifica il lavoro mandando in inibizione il muscolo antagonista.
Tono muscolare: risposta stereotipata che si oppone allo stiramento del muscolo. È molto
importante per la postura, si sviluppa nel tempo.
Ci deve essere un tono muscolare di base perché il muscolo deve essere nelle condizioni
di accumulare abbastanza energia (essere in uno stato di attivazione sufficiente) da poter
poi agire.
Il ruolo dell’interneurone inibitorio 1A che va a finire nel muscolo antagonista è quello di
non intralciare l’azione, ma normalmente si parla di riflessi polisinaptici, cioè riflessi in
cui il segnale efferente da un recettore arriva a più interneuroni spinali che fanno sinapsi
con un interneurone inibitorio chiamato 1B, che non va a parlare col muscolo antagonista,
ma che fa un circuito a feedback negativo sugli stessi muscoli agonisti. Mentre io
contraggo il muscolo ad un certo punto devo fermare il movimento, il tendine mi dirà che
sono in massima contrazione. Per fermare la contrazione muscolare si attiva quindi
l'interneurone 1B che va ad inibire la contrazione del muscolo omonimo per fermare
l’attivazione muscolare quando si arriva al suo limite. I segnali che vanno a finire
sull’interneurone inibitorio 1B vengono dalle fibre afferenti 1B dell’organo del Golgi. Nello
stesso momento i cui si attiva questo circuito e inibisce il muscolo omonimo lo stesso
attiva il muscolo antagonista, che riesce a fermare la contrazione.
Il riflesso del Golgi quindi in condizioni estreme permette il rilascio e la distensione del
muscolo per evitare lesioni ma normalmente permette la manipolazione fine, perché ci
dice come controllare la forza muscolare.
Quando si vuol vedere un pattern come il mantenimento della postura dobbiamo vedere il
riflesso di estensione crociata. In diversi casi il circuito è ipsilaterale o controlaterale.
Per esempio se pesto un chiodo il riflesso è quello di chiedere attraverso i motoneuroni α
la contrazione del quadricipite posteriore e l'inibizione del quadricipite anteriore. Mentre
faccio questo non sono caduto perché ho cambiato completamente il modo di distribuire la
forza sul corpo e sto scaricando molto più peso sulla gamba che è rimasta. Per mantenere
l'equilibrio allora nello stesso momento in cui chiedo la contrazione del muscolo posteriore
e la distensione del muscolo anteriore deve quindi essere chiesta la contrazione del
muscolo estensore (anteriore) della gamba opposta che dovrà supportare molto più peso
e l’inibizione del muscolo antagonista. Quindi se i muscoli di una gamba fanno una cosa,
quelli dell'altra devono fare la cosa opposta.
Per quanto riguarda le attività motorie ritmiche, in cui si attiva un’azione ciclica, c’è un
diverso tipo di modulazione in intensità (riflesso di grattamento). Se c’è un pattern motorio
attivabile (viene data una stimolazione cutanea a livello dell'orecchio, si attiva il riflesso di
grattamento che ha un certo pattern dinamico), si può cambiare, aumentando l'intensità
della stimolazione, l’ampiezza del pattern ma non la frequenza. Il pattern viene modificato
nell'intensità ma non nel ritmo stesso del movimento nel caso del riflesso. Sono circuiti
prevalentemente spinali perché anche negli animali decelebrati questo genere di riflessi
vengono attivati.

La postura
E’ quel movimento che gestisce la posizione del corpo sia quando è fermo che in
movimento e permette di rimanere in piedi, e quindi di svolgere un lavoro contro la forza di
gravità. Il tono posturale gestito dalle strutture assiali o a livello mediale di quelle laterali
dai muscoli prossimali (spalle, anche). La gestione della postura è un processo attivo, che
richiede energia, ma è completamente automatizzato, non è mai richiesto un controllo per
la gestione della postura. Il principale riflesso spinale utilizzato è quello dell'innervazione
dei motoneuroni gamma, che deve gestire i muscoli e dare informazioni sul loro stato e le
vie più importanti sono quelle mediali dal tronco dell'encefalo che innervano i motoneuroni
α e γ. La postura richiede un miglioramento del sistema molto elaborato che dura quasi 1
anno, infatti pochi primati hanno raggiunto la postura bipede.

La locomozione
Fa parte delle attività ritmiche e richiede un controllo volontario per l’innesco e la
cessazione, ma durante l'esecuzione si avvale di un sistema di riflesso, un sistema
automatizzao. Per gestirla ci sono almeno tre vie:
-gli imput visivi, visual guidance: ci danno un’idea di come e dove stiamo camminando,
ci dicono se l'equilibrio che stiamo tenendo è corretto. Scendono i comandi visivi per dirci
dove andare, cosa dobbiamo fare.
-via mediale di attivazione e di aggiustamento: dobbiamo avere la gestione della
postura e delle gambe → da lì scendono gli impulsi motori, con un sistema a feedback
attraverso il tronco encefalico che coinvolge anche il cervelletto.

Il movimento volontario
Corrisponde a un insieme esteso di comportamenti motori possibili. Per svolgere un
movimento volontario non imposto dall'ambiente il sistema deve avere uno schema di
quello che vuole fare, deve attivare tutti i muscoli che servono per compiere l’azione,
controllare nel programma motorio che vengano attivati tutti i muscoli necessari al
mantenimento dell'equilibrio, e insomma deve gestire gli altri muscoli per decidere cosa
fare una volta compiuta l’azione, se per esempio cercare di restare in equilibrio o tuffarsi
per prendere una palla. La programmazione infatti non è mai a carico di M1, ma è a carico
della corteccia supplementare e della corteccia premotoria.
Il comando alle vie corticospinali che vanno alla muscolatura distale deve essere a
feedforward ma deve avere anche un controllo di feedback, deve controllare sia che i
comandi siano eseguiti secondo gli schemi sia che le condizioni del ondo esterno non
siano cambiate.
Il cervello può iniziare un movimento e per farlo deve dare un comando al corpo e nello
stesso momento anticipare i movimenti posturali → il corpo si muove secondo gli schemi
di movimento e gli schemi di anticipazione posturale. Se al corpo viene chiesto un
movimento di un organo distale questo coinvolgerà tutte le strutture laterali, ma i segnali
che riguardano la previsione di quello che succederà alla postura devono essere fattecon
le vie mediali. I due sistemi sono comunque collegati, ogni volta che decido il movimento
da una parte devo comunque anticipare quello che succederà sull'altra. Se la postura è
disturbata devo avere un sistema di feedback per dire se gli schemi posturali che mi ero
fatta erano o non erano corretti → devo avere un feedback che controlli il mio schema di
anticipazione.
Chi manda i comandi? A livello corticale le aree sono 3: la corteccia motoria primaria, la
corteccia motoria supplementare (posta più rostralmente ma nella parte ancora dorsale
della corteccia) e la corteccia premotoria (ventrale rispetto alla corteccia
supplementare). La mappa prima era ottenuta solo con esperimenti invasivi su pazienti
con lesioni, ora si può ottenere con il TMS, mandando degli impulsi transienti che possono
far tornare a lavorare il sistema correttamente.
Ci sono tante sovrapposizioni in M1, zone che possono comandare lo stesso pool
motoneuronale, cioè lo stesso asset di unità motrici che controllano i muscoli omonimi e
sinergici, e comandare la stessa parte del corpo a seconda del tipo di movimento, del
pattern motorio che si vuole costruire.
La corteccia motoria può usare due vie per controllare i motoneuroni:
- una via diretta, che parte dalla corteccia motoria, corre ipsilateralmente fino alle piramidi,
al cui livello c'è una decussazione che la porta ad innervare la parte controlaterale del
midollo spinale.
– una via indiretta che può anche, attraverso il nucleo rosso, mandare informazioni
attrverso il tronco encefalico. Si può quindi scendere ad innervare il motoneurone
attraverso la via rubrospinale.
Per quanto riguarda la via mediale succede quasi la stessa cosa: i comandi possono o
scendere direttamente attraverso il midollo ipsilateralmente o attraverso sinapsi dei tronchi
encefalici passare i comandi ai motoneuroni.
Nelle fasi evolutive la distribuzione delle terminazioni corticospinali varia tantissimo anche
da specie a specie. Nel gatto i neuroni motori laterali sono molto pochi, mentre già nelle
scimmie aumentano e sono tantissimi nell'uomo. Il controllo diretto corticospinale si evolve
nella scala gerarchica perchè serve a funzioni di alto livello.
Che funzione hanno quindi? Se viene rescissa la via corticospinale diretta (se recidi la via
troncospinale vieni paralizzato) l'animale non ha sistemi di paralisi ma non riesce ad
eseguire movimenti, gli aggiustamenti fini.
Prima che un’azione venga compiuta il sistema si è già attivato, l’esecuzione dell’azione è
il momento finale di un lungo processo. Si può registrare nel cervello non solo il momento
in cui il comando motorio viene inviato, ma anche altre aree, che decidono come
organizzarlo, hanno un'attività cerebrale che viene registrata prima. Se M1 si attiva prima
del movimento, le aree che organizzano il movimento si attiveranno ancora prima. I
comandi corticali codificano principalmente la forza → le istruzioni che arrivano ai muscoli
riguardano quanto devono contrarsi, ma la direzione del movimento non viene codificata a
livello di una singola popolazione ma a livello di somma vettoriale delle attivazioni delle
popolazioni. Si attiverà un tot la popolazione di neuroni che si attiva per il movimento
verso l'alto, un po' la popolazione che codifica per la destra etc. e sommandole capisco la
direzione finale.
Anche a livello della corteccia esistono delle unità a feedback che monitorano l’azione,
passando dalle connessioni del talamo. Se voglio fermare il movimento di una mano sul
tavolo arrivano delle afferenze che mi dicono che la pressione sta aumentando → la
corteccia motoria decide se continuare a spingerlo o se fermarsi.
La corteccia motoria è poi organizzata a colonne, al centro di ogni colonna ci sono i
neuroni che formano la via piramidale, cioè di controllo diretto, di un preciso movimento,
per esempio la flessione dell'indice. È una specie di campo proiettivo, delimita la zona di
corpo che serve per fare un certo movimento, in maniera opposta al campo recettivo.
Quindi la colonna definisce quelle unità di corteccia che controllano quella zona che
compie uno specifico movimento. Intorno al nucleo centrale, nella parte esterna ci sono
tutti quei muscoli coinvolti in qualche modo, per esempio quelli più vicini a quelli del nucleo
centrale (es. palmo e polso).
C’è ovviamente una gerarchia per quanto riguarda la distanza dal nucleo, i muscoli più
vicini alla parte iteressata sono quelli più vicini al nucleo, ma l’organizzazione è fatta per
compiere movimenti efficienti. Anche qui c'è una ridondanza delle rappresentazioni, ma
perchè ci sono diversi motivi per il movimento, controllati da comandi diversi.

Cosa fanno le altre cortecce?


La corteccia motoria supplementare (di più) e quella premotoria ricevono dalle aree
parietali posteriori e hanno vie afferenti in M1 (S1 può anche andare ad innervare
direttamente M1). Sono coinvolte nella pianificazione del movimento e ricevono da aree
associative polimodali che passano informazioni per esempio sul mondo visivo e
propriocettivo per programmare bene il movimento→ quindi ricevono informazioni
complesse e associative che ci danno modo di organizzare gli schemi di movimento.
Queste due cortecce esistono per la programmazione e l’ideazione del programma
motorio, che viene effettuato dalla corteccia motoria. Quando si esegue un movimento è
molto attiva la corteccia motrice, quando la sequenza è imparata e la devo rifare si attiva
anche la supplementare, quando invece devo solo richiamarla alla mente sono attive solo
le aree di programmazione e non quelle di esecuzione.
Lesioni alle cortecce premotorie provocano un’incapacità di organizzare un movimento
con una finalità (per esempio aggirare un ostacolo per prendere un oggetto - aprassie).

I neuroni specchio sono neuroni prevalentemente motori che si attivano sia quando si
esegue un determinato movimento sia quando lo si vede fare senza muoversi noi stessi. È
molto importante per l’apprendimento, integrano il fatto di vedere un’azione, girarla in
coordinate egocentriche e poterla replicare. Alcuni mirror neurons codificano in maniera
intersensoriale per esempio dal rumore dell’azione, perché collegato all’informazione
visiva. Si pensa che siano alla base del sistema empatico, dove viviamo su di noi le
conseguenze che vediamo sugli altri.

A cosa servono il cervelletto e i nuclei della base?


Una volta ideato e attivato uno schema motorio, nella cui costruzione sono coinvolti oltre
alle cortecce anche il cervelletto e i gangli della base, che parlano alle aree associative
motorie. Quando il programma è pronto si inviano comandi alla motor cortex, che possono
arrivare sia dalle aree associative sia da cervelletto e nuclei della base. Abbiamo poi un
feedback non solo motorio ma anche sensoriale dal muscolo alla corteccia, ma questo
feedback ripassa dal cervelletto che a sua volta può parlare con la corteccia motoria e da
lei ricevere istruzioni per dare comandi di cambiare le cose.
FINE SISTEMA MOTORIO

Qual è lo schema generale di programmazione ed esecuzione di un movimento?


Costruire un movimento complesso è molto complicato e si fa costruendo tutto il piano
motorio e inviando comandi esecutivi alle cortecce motoria e premotoria, e nel momento in
cui il movimento viene eseguito dobbiamo controllare che i comandi siano eseguiti
correttamente (meccanismi a feedback → cervelletto).
Il cervelletto da solo occupa il 10% del volume del cervello, quello che noi chiamiamo
SNC, e racchiude in sé più della metà di tutti i neuroni presenti nella corteccia → ha una
grande potenza di calcolo.
Ha un controllo indiretto sul movimento perché regola le uscite attraverso i principali
sistemi discendenti, si pone nel mezzo del flusso di informazioni e lo cambia, modula il
flusso che passa da queste vie discendenti, quindi controlla e programma il movimento ma
non lo inizia. Ha una funzione di supporto ma non può iniziare il movimento. Il cervelletto
controlla l’esecuzione del movimento e lo manipola modificando il segnale che passa dalle
vie discendenti. Ha la capacità di valutare l’errore esecutivo, cioè la differenza tra
l’intenzione e l’esecuzione (ciò che effettivamente è stato inviato).
Il circuito motorio non è un circuito chiuso, deve fare una correzione online, deve
costantemente leggere i segnali motori e le informazioni sensoriali e su di essi deve
eseguire le correzioni.
Dagli studi su soggetti con lesioni al cervelletto si è visto che a seguito di esse non cambia
le soglie sensoriali e non crea paralisi, non cambia la capacità di eseguire i movimenti, ma
si perdono accuratezza spaziale e temporale. Non ho controllo tra gli input efferenti e i
segnali afferenti. Il cervelletto è poi coinvolto nelle memorie implicite → quelle non
dichiarative, per esempio andare in bicicletta. È coinvolto nell’apprendimento e nella
memorizzazione delle funzioni motorie, sembra poi che sia coinvolto in processi cognitivi
come la lettura.
Si trova nella parte caudale del cranio e si dipana in due mega-strutture che hanno la
sostanza grigia cerebellare nella parte esterna e quella bianca in quella interna. Ha tre
deep nuclei (nuclei profondi) nella sostanza bianca: fastigio, interposito, dentato, che
costituiscono le vie di uscita dei segnali dal cervelletto.
Ha una suddivisione anatomica che non corrisponde alla suddivisione funzionale. Nella
parte in basso abbiamo il flocculo (lobo flocculonodulare), poi salendo troviamo il lobo
posteriore e il lobo anteriore. Una suddivisione importante è della parte mediale, il
vermis, e quelle laterali, gli emisferi.
A livello filogenetico si è visto che il cervello si è sviluppato prima nella zona
dell’archicerebello, del lobo flocculonodulare, poi si è formata la parte del lobo anteriore
(paleocerebello), e alla fine il neocerebello, nel lobo posteriore. A livello funzionale però
la suddivisione è molto diversa.
Il vestibolocerebello corrisponde al lobo flocculonodale, adepta al mantenimento
dell’equilibrio e della postura (comandi vestibolari) e al movimento degli occhi.
Lo spinocerebello si trova nella parte vermiale e nelle regioni paravermiane di entrambi
gli emisferi, e si occupa della regolazione del tono muscolare e del controllo dei movimenti
fini volontari.
Il cerebrocerebello o pontocerebrello si trova nelle regioni laterali degli emisferi, è
coinvolto nella pianificazione e nel controllo dei movimenti volontari e funge da magazzino
delle memorie procedurali.
Il vestibolocerebello invia segnali ai nuclei vestibolari mediali che controllano la postura,
che trasmettono ai sistemi mediali discendenti del tronco dell’encefalo, e così controlla
l’equilibrio e i movimenti oculari.
Lo spinocerebello proietta al nucleo del fastigio (mediali) e dell’interposito (laterali), che
mandano comandi per i movimenti fini volontari o al sistema discendente mediale o a
quello laterale per controllare i movimenti dei muscoli sia prossimi che distali.
Il cerebrocerebello riceve dai nuclei pontini che trasmettono informazioni da aree corticali
e invia segnali al nucleo dentato, che trasmette un segnale afferente alla corteccia motoria
e a quella premotoria. Svolge un grande ruolo nella pianificazione del movimento. Proietta
segnali afferenti, a differenza degli altri due che controllano le efferenze.
A questo punto le aree motorie inviano il comando motorio effettore. Quando viene
eseguito il movimento una copia di questo viene segnalata dai propriocettori allo
spinocerebello. Se è stato fatto un errore il movimento va corretto.
La corteccia cerebellare contiene 5 tipi neuronali ed è divisa in tre strati: molecolare,
granulare e medullare. Le cellule del Purkinjie funzionano come sistema di uscita
dell’informazione verso i nuclei profondi e fanno contatto, si innervano con delle
connessioni orizzontali chiamate fibre parallele, in cui afferiscono le fibre muscoidi e le
fibre rampicanti (climbing). Le cellule parallele corrono parallelamente alla struttura e
fanno quindi sinapsi con le fibre muscoidi che ricevono dai nuclei pontini, il principale
ingresso di informazioni. Quindi l’informazione entra dai nuclei pontini, passa da fibre
muscoidi, fibre parallele e esce dagli assoni del Purkinjie. Come fa quindi il cervelletto a
modificare online un piano d’azione?
Quando viene detettato un errore le fibre rampicanti modificano l’attività delle fibre
parallele, cambiando il fascio delle cellule di Purkinjie attivato e cambiando quindi il
comando che viene dato, l’uscita.
Lesioni al nucleo dentato o interposito causano un tremore intenzionale, e quando i
soggetti provano a fare un’azione subiscono un’oscillazione dell’arto, per la mancanza di
un controllo online dell’azione. L’effetto è un problema spaziale e temporale. Se abbiamo
lesioni nelle parti mediali non si riescono a far partire e condurre a tempo il movimento,
non c’è un controllo fine dell’azione.
Se la lesione è laterale si perde il senso del timing del movimento, si perde la capacità
cognitiva di attivare un meccanismo centrale tipo orologio motorio. Un risultato classico
delle lesioni cerebellari è la perdita di capacità di eseguire azioni sequenziali. Nel caso dei
laterali i deficit si espandono anche a livello percettivo, gli sembra per esempio che uno
stimolo duri di più di quanto dura in realtà.
Per imparare le associazioni di parole il cervelletto è molto importante, soggetti con lesioni
selettive non riescono a svolgere questi compiti.
Lesioni cerebellari inoltre producono un linguaggio strascicato, lento e meccanico, non c’è
la prosodia, non riescono a costruire un linguaggio armonico. Il cervelletto è inoltre
responsabile di funzioni cognitive, di cui ancora non si sa nulla di specifico.

I nuclei o gangli della base (nucleo caudato, globus pallidus e putamen) sono
strutture telencefaliche, non hanno una via diretta per poter parlare ai motoneuroni, quindi
proiettano o al talamo o al tronco dell’encefalo. Pianificano le azioni, ricevono dalla
corteccia cerebrale, e attraverso il talamo l’informazione arriva alla corteccia pre motoria e
motoria.
Deficit ai nuclei della base danno tremore a riposo e la presenza di movimenti involontari,
indipendenti dall’io cosciente. La struttura adibita alla pianificazione volontaria può inviare
comandi senza che l’io volontario ne sia cosciente.
I nuclei della base implicano anche processi cognitivi come la memoria implicita (effetto di
priming di un’informazione presente al di sotto del livello cosciente).
I nuclei della base ricevono nella parte chiamata striato, che è la fusione del nucleo
caudato e il putamen, fusi della parte apicale; ricevono informazioni dalle cortecce
somatosensoriali, dalla corteccia associativa parietale, da M1 e dalle cortecce
associative…
Il segnale entra e passa al globus pallidus, che si divide in segmento interno, che proietta
direttamente al talamo, ed esterno, che proietta al nucleo subtalamico per poi tornare al
segmento interno, o passa alla substanzia nigra, che si divide in pars compacta e pars
reticulata, che li inviano al talamo, che lo rispedisce alle parti corticali.
Il ruolo delle connessioni tra nuclei della base e talamo è quello di costruire un piano
motorio focalizzando l’attività neuronale su di esso, sia direttamente che indirettamente,
bilanciando le due vie.
Informazioni dalle cortecce entrano nello striato e si dividono in due percorsi:
• via diretta: striato → globus pallidus interno → talamo → frontal cortex.
• via indiretta: striato → parte esterna del globus pallidus → nucleo subtalamico →
parte interna del globus pallidus → talamo → corteccia.
In tutto ciò la substanzia nigra, principale responsabile del morbo di Parkinson, agisce su
entrambe le vie, stando a monte, in maniera diversa.
La pars compacta della substanzia nigra eccita parte dello striato nel percorso diretto e
inibisce parte dello striato nella parte indiretta.
Nella via diretta, questa eccitazione aumenta il segnale inibitorio che lo striato esercita
sul globus pallidus interno, che viene inibito e che normalmente ha un segnale inibitorio
sul talamo. Il talamo quindi riceve meno inibizione e, avendo una connessione eccitatoria
con la corteccia manda un segnale eccitatorio alla parte della corteccia frontale.
Nella via indiretta abbiamo sia eccitazione che inibizione sullo striato da parte della
substanzia nigra (inibizione) e della corteccia (eccitazione) e il loro trade off normale dà
un’inibizione. Lo striato ha una connessione inibitoria con il globus pallidus esterno, che
quindi viene inibito di meno, e avendo esso una connessione inibitoria con il nucleo
subtalamico, il risultato è che essendo inibito di meno inibisce a sua volta di più il nucleo
subtalamico, che ha una connessione eccitatoria con il globus pallidus interno, che quindi
viene eccitato di meno. Il globus pallidus interno inibisce meno il talamo, che manda un
segnale eccitatorio alla corteccia frontale, e così controlla quanto segnale viene mandato
alla corteccia.
Le persone affette da morbo di Parkinson hanno un tremore ritmico di mani e avambacci,
un’inclinazione della postura in avanti, una rigidità muscolare, difficoltà ad alzarsi,
bradicinesia (rallentamento dei movimenti volontari), difficoltà a gestire le parole, span
attentivi ridotti etc..
Nei soggetti affetti da Parkinson le connessioni dopaminerigiche nella pars compacta della
substanzia nigra sono quasi assenti. Quindi la pars compacta non funziona correttamente
o quasi affatto. Si riducono quindi i livelli di eccitazione sullo striato nella via diretta, quindi
abbiamo meno inibizione del globus pallidus interno, che inibisce di più il talamo, che
quindi non riesce a mandare segnali eccitatori sufficienti nella corteccia. Inoltre nella parte
indiretta abbiamo meno inibizione dello striato che inibisce di più il globus pallidus esterno,
che quindi inibisce meno il nucleo subtalamico, che eccita di più il globus pallidus interno,
che inibsce di più il talamo, impedendogli di inviare sufficienti segnali eccitatori alla
corteccia. Quindi riassumendo da una parte inibisco meno e dall’altra eccito di più il globus
pallidus interno avrà una risposta eccitatoria esagerata, ovvero aumenterà
sproporzionatamente la sua inibizione sul talamo tramite il GABA, evento che porta
all’incapacità di portare informazioni alla corteccia e gestire bene i comandi motori.
LE AREE ASSOCIATIVE

Quali sono le basi neurobiologiche dei processi più elevati come l’intelligenza?
Dobbiamo studiare i macrodomini come la memoria, che sta alla base del processo di
apprendimento,
Le funzioni cerebrali superiori sono funzioni complesse quali la memoria, il linguaggio, la
capacità di ragionamento, di pianificazione, di problem solving, nonché la percezione e
l’azione. La conoscenza dei substrati cerebrali implicati in tali processi è ancora
incompleta. Sappiamo che il segnale informativo viene recepito dalle aree sensoriali per
giungere alle aree associative polimodali, le aree associative di più alto livello, che si
occupano di queste funzioni cerebrali superiori e che sono particolarmente sviluppate
nell’uomo. Le aree sensoriali sono capaci di carpire informazioni da un certo tipo di
segnale, da una certa fonte di energia, ma per avere un processo in un substrato
neurobiologico come il ragionamento bisogna tener conto di tante dimensioni diverse e
tanti indici diversi → informazioni spaziali e temporali, sia visive che uditive. Quando si
parla di funzioni cerebrali superiori si parla di coordinamento di attività di diverse aree
associative. È un processo contrario a quello iniziale della percezione, che suddivide il
segnale del mondo esterno in aree parallele, con circuiti dedicati all’analisi di un solo tipo
di informazione. L’informazione va poi ricostruita: questo richiede la coordinazione di molte
aree. Le funzioni cerebrali superiori emergono dall’integrazione di informazioni
provenienti da numerose strutture corticali, sia dall’emisfero destro che da quello sinistro.
Diventa più difficile avere un approccio riduzionista della scienza occidentale a questa
situazione (caduta dei gravi di Galileo → ridurre il problema ai valori fondamentali e
controllare ogni singola variabile).
Le funzioni superiori sono l’integrazione di tanti processi: non posso risolvere un problema
se non ricordo le parti del problema o non le vedo/sento. In particolar modo possiamo dire
che le associazioni fra la corteccia parietale e quella prefrontale sembrano le principali
responsabili delle funzioni superiori vicine a quella che noi oggi chiamiamo intelligenza →
la loro coordinazione porta a processi di alto livello. È molto difficile separare le funzioni:
se udire un suono è a carico di A1, diverso è estrarre il significato a livello semantico di
quello che mi viene detto, ed è diverso decidere cosa fare rispetto a quello che mi viene
detto, sono tutte fasi non a carico della corteccia uditiva, ma delle cortecce associative che
devono fare diversi tipi di analisi. Per ottenere una rappresentazione univoca del mondo le
aree sensoriali dovranno operare un’associazione unimodale → binding process. Il primo
livello di associazione è unimodale. Prima bisognerà passare dalle aree associative
unimodali, bisogna unire i vari pezzettini delle unità di segnale. Ognuno dei segnali
ricomposti deve essere confrontato con quelli delle altre modalità (aree polimodali), poi
tutto questo deve essere passato al sistema motorio con le sue associazioni e poi deve
essere presa una decisione. Tutte queste cose richiedono integrazione continua di
informazione.
Persino la parte motoria è fatta di associazioni → circuiti differenti devono essere reclutati
insieme e la loro attività deve essere coordinata per produrre movimenti complessi.
Segnalate le aree primarie e appurato che tutto il resto del cervello opera per associazioni
si sono fatti degli schemi.
Per quanto riguarda le aree unimodali, sia per somatosensazione, che per visione, che per
acustica, le prime aree associative sono prossime alle cortecce primarie. Le prime
cortecce di associazione somatosensoriale sono ancora nel lobo parietale, caudali a S1.
Mano a mano che ci si sposta caudalmente associa sempre più informazioni, fino ad
arrivare alla corteccia associativa posteriore polimodale, tra la corteccia visiva e quella
somatosensoriale, che associa informazioni visive e somatosensoriali. Il flusso di
informazioni sembra arrivare dalle cortecce sensoriali alla macro corteccia posteriore, poi
alle cortecce premotorie, e poi alle aree decisionali, che nel lobo frontale elaborano tutte
queste informazioni.
Le cortecce associative unimodali si trovano nello stesso lobo delle cortecce primarie. Le
cortecce associative uditive sono nel lobo temporale, belt e parabelt nel giro di Helsh.
Nella parte posteriore abbiamo un area parietotemporale, che si ritiene essere la
corteccia associativa polimodale posteriore. Si ritiene che abbia una funzione di
localizzazione visuospaziale, che costruisce una rappresentazione dello spazio esterno
spaziotopiche, non in coordinate visive, ma che il sistema motorio possa leggere secondo
le sue coordinate; ha inoltre una funzione importante di comprensione del linguaggio
scritto o ascoltato (area di Wernike – giunzione fra lobo parietale e temporale), ed è
deputata anche all’attenzione.
Nella parte rostrale abbiamo la corteccia associativa anteriore frontale, deputata al
motor planning, alla produzione linguistica (area di Broca, connessa a Wernike tramite il
fascicolo arcuato), e al giudizio.
Il sistema limbico comprende la gestione emozionale degli eventi e la memorizzazione,
tra loro legate, sembra comprendere molte aree, principalmente centrali, praticamente
tutto il cervello tranne la parte occipitale.
Le aree sensoriali primarie sono le prime che ricevono l’informazione, proiettano alle aree
associative unimodali, situate nei paraggi di quelle primarie e loro integrano le informazioni
e le trasmettono alle aree polimodali, che integrano le informazioni di più di una modalità.
Le posizioni delle aree polimodali principalmente sono 3: la corteccia prefrontale, le aree
mediali e la corteccia parietale posteriore.
Tre principi governano la funzione delle aree associative:
1. L’informazione è elaborata dalla periferia delle vie unimodali, poi viene portata alle
aree multimodali della parte posteriore degli emisferi: le cortecce posteriori parietali
e temporali, e poi alle aree frontali.
2. Le informazioni delle diverse modalità convergono su aree di corteccia che
integrano un evento polisensoriale. In queste aree devono esistere neuroni che
rispondono a più di una modalità. Si perde l’idea di neuroni specifici, ma abbiamo
unità di calcolo con capacità più estese → mirror neurons: neuroni visuomotori.
3. Le aree associative posteriori (giunzione parietale-temporale) sono largamente
interconnesse con le aree associative frontali responsabili per la pianificazione del
movimento, del decidere cosa fare. Le aree anteriori convertono i piani per il
comportamento futuro delle riposte motorie.

L’area associativa posteriore è situata nell’area occipito-temporo-parietale e integra


informazioni sensoriali diverse, uditive, somatosensoriali e visive. È implicata
nell’attenzione → dà vita al neglect, dove soggetti con lesioni al lobo parietale posteriore
ignorano metà del mondo, non gli pongono attenzione. È anche fondamentale per la
comprensione del linguaggio. Dà un’informazione sull’orientamento spaziale (via where
della visione → si costruisce l’idea dello spazio), sul riconoscimento del sé (alcune lesioni
possono dare vita alla somatoparafrenia, dove i soggetti non riconoscono l’appartenenza
del loro corpo a sé stessi) e dell’ambiente (vista di se stesso da fuori, rappresentazione di
te stesso su coordinate spaziali non egocentriche), e partecipa all’organizzazione dei
movimenti complessi.
L’area associativa anteriore si trova nella corteccia prefrontale, è associata alle funzioni
esecutive del comportamento (golden standard dell’assessment psicologico), quali la
risoluzione dei problemi, la pianificazione di una strategia d’azione → funzioni cognitive.
L’area limbica è relata ai processi di memorizzazione a lungo termine e alla gestione del
comportamento emotivo.
Come si possono analizzare queste aree, attraverso quali dati? La maggior parte vengono
dagli studi di neuropsicologia sui pazienti che hanno perso determinate capacità e in cui è
possibile vedere le lesioni o i danni, in casi specifici invece si possono fare registrazioni
neurofisiologiche in vivo, sugli umani o sugli animali.
Ad esempio lesioni di aree associative unimodali possono portare a agnosia
appercettiva, in cui i soggetti non riconoscono un oggetto con un senso ma magari con
un altro sì. Un’ altra è la prosopagnosia, dove i soggetti non riconoscono le facce.
L’area associativa parietale posteriore è fondamentale per integrare stimoli da varie aree
sensoriali, quindi è un’area associativa sensoriale mentre nella parte frontale abbiamo le
aree associative motorie. Sembra che le regioni associative unisensoriali si alternano con
aree vicine di associazione multisensoriale, come se gli ingressi unisensoriali fossero
combinati in aree vicine. Sembra che i fattori superiori, come l’intelligenza, siano legati al
funzionamento all’unisono di queste due aree, che si scambiano continuamente
informazioni.
Come possono comunicare aree in zone diverse del cervello? A oggi si ritiene che un
profilo sensoriale dei segnali, la loro sincronizzazione può spiegare come queste aree si
coordinano tra di loro.. Neuroni che lavorano per la stessa modalità andrebbero in fase per
segnalare al sistema che tutte quei segnali di aree diverse segnalano la stessa cosa. Si
pensa che questa sincronizzazione temporale possa portare associazioni anche
polimodali. Quando si sincronizza l’attività di aree che analizzano cose diverse, quando
l’informazione si sincronizza il soggetto ha una più alta probabilità di risolvere il task
(elaborazione parallela dei computer).
Nelle funzioni superiori, più vicine al nostro concetto di intelligenza, sono legate alla
sincronizzazione dei segnali. Sicuramente per l’intelligenza è l’esperienza che conta, che
fa aumentare l’intelligenza cambiando il cervello. Quindi le funzioni cerebrali complesse
emergono dall coordinazione delle attività di diverse aree associative.

La corteccia prefrontale sta intorno al solco princpiale e ha funzioni collegate alla


memoria di lavoro, che è quella capacità di tener presente delle informazioni per poterle
elaborare. Nella parte più mediale abbiamo la corteccia orbito-frontale, legata alle
emozioni, al sistema limbico.
Sembra essere reclutata per il riconoscimento visivo complesso e il riconoscimento di
oggetti messi in una prospettiva inusuale → processo di rotazione mentale.
Negli anziani il fatto che l’area prefrontale venga usata nei compiti delle funzioni esecutive,
compiti complicati, è stato notato così: in quelli a più alto funzionamento, ad alta
prestazione, il cervello si attiva in entrambi i lobi → attivazione bilaterale.
Ha anche un ruolo nel recupero della memoria dichiarativa. Dall’ippocampo, nella zona
temporale mediale, si ritiene che la traccia di memoria per diventare a lungo termine
venga traslata fino alla corteccia. Per ricordare devo recuperare la memoria, e questo
compito sembra essere a carico della corteccia prefrontale. Lesioni alle aree prefrontali
causano l’amnesia della fonte. In questa patologia il soggetto non riesce a recuperare
alcuni aspetti dei ricordi, come quando e dove un fatto è stato appreso. In più il settore
ventromediale è legato al comportamento sociale (caso Phineas Gage). Al giorno d’oggi si
ritiene che ciò che manca è la valutazione del se un comportamento o no risulti
vantaggioso e quindi socialmente accettabile. Se a questi soggetti vengono presentati due
tipi di giochi, e i soggetti non sanno decidere cosa sia o no vantaggioso (è anche coinvolto
nei bias cognitivi delle persone dipendenti dai giochi d’azzardo). Bisogna per decidere
anche immagazzinare il valore delle conseguenze future di un’azione, devi avere anche la
possibilità di costruirti un contesto fatto da cosa accadrà se fai qualcosa, cosa che questi
soggetti non riescono a fare.
La corteccia parietale posteriore è molto importante nei processi attentivi. I soggetti con
lesioni alla corteccia di destra principalmente, hanno problemi di negligenza spaziale,
ignorano una parte del corpo/del mondo perché non ci prestano attenzione → neglect.
Non riescono a proiettare l’attenzione nel campo controlaterale alla lesione. Anche la
memoria spaziale ottiene un deficit. Quando venne chiesto a dei pazienti di disegnare una
cosa conosciuta essi disegnavano solo la parte controlaterale. Ma se si ruotavano e
facevano diventare contolaterale la parte ipsilaterale la ricordavano → problema
egocentrico.
L’attenzione selettiva è legata a questa corteccia, come visto da studi neurologici di
elettrofisiologia sui modelli animali. Questa corteccia è implicata in quella che è definita
cognizione numerica, contiene delle mappe di numeri. Zone diverse della corteccia
codificano per numeri diversi, come se quello fosse il posto dove esiste una
rappresentazione dei numeri. È anche il posto dove è codificata la linea dei numeri, linea
per cui i numeri sono codificati da sinistra a destra. Nella corteccia posteriore di sinistra
troviamo l’area di Wernike e altre aree perisilviane, nel giro angolare, molto importanti per
la comprensione della parola letta o udita.
La memoria a breve termine si divide in visiva (taccuino visospaziale) e uditiva (magazzino
fonologico). Sembra che la corteccia parietale inferiore sia coinvolta nel magazzino
fonologico, in particolare a sinistra. Il corrispondente taccuino visivo si trova nella corteccia
parietale inferiore di destra. Per poter agire su quest’informazione abbiamo bisogno di un
esecutivo centrale.
La memoria di lavoro emerge dal coordinamento di queste due aree e le zone prefrontali
(esecutivo centrale).
Lesioni specifiche di alcune aree parietali mediali comportano deficit specifici della
memoria.
OMEOSTASI E PSICOBIOLOGIA DELLE EMOZIONI

Quando noi esperiamo un’emozione,per esempio di paura, abbiamo un repertorio di


reazioni fisiologiche caratteristiche che la accompagnano. Ogni specie ha un repertorio di
reazioni fisiologiche che accompagnano un’emozione che insieme all’espressione facciale
ci permettono di riconoscere le emozioni.
Nell’uomo un’emozione di paura è caratterizzata da varie reazioni fisiologiche,
accompagnate da una mobilità corporea. A volte queste reazioni sono accompagnate
invece da un’immobilità totale → essere paralizzato dalla paura. Possiamo mettere in atto
una situazione di fuga o di totale immobilità. Altre specie mettono in atto molto più spesso
rispetto all’uomo l’immobilità assoluta, il comportamento di congelamento. Entrambe le
reazioni sono esse in atto da un compartimento specifico del cervello e sono automatiche.
L’emozione è tutto insieme: non è solo la sensazione cosciente a cui noi abbiamo
imparato a dare il nome di paura piuttosto che di gioia, ma anche la manifestazione fisica
ne fa parte.
Gli studi di queste funzioni sono stati fatti principalmente su modelli animali, ma quello che
stiamo misurando sono le stesse che prova l’uomo? All’animale non posso chiedere di
comunicare verbalmente come si sente, non posso chiedergli la componente soggettiva,
ma posso fare su di lui misure fisiologiche. La misurazione non mi garantisce però che sto
misurando i correlati fisiologici della stessa emozione, ma così accade nell’uomo, che può
mentire. C’è un limite in quello che posso misurare negli altri, visto che tutto è soggettivo.
Quando si parla di correlati fisiologici della paura si generalizza perché nell’animale
infierisco possa essere paura, perché magari provocata da una situazione stressante, ma
non lo posso sapere perché non posso chiederglielo, nonostante le misure fisiologiche
siano le stesse che nell’uomo.
Esiste un gruppo di strutture cerebrali che organizza sia la componente cosciente
dell’emozione sia la componente corporea, c’è un gruppo di strutture che le mette in
esecuzione mandando i comandi agli organi periferici, e questo complesso è quello che
possiamo chiamare il cervello emozionale.
L’ipotalamo è un esecutore cruciale per la manifestazione delle risposte corporee che
accompagnano l’emozione, non determina la qualità dell’emozione, sono altre strutture
che gli inviano i comandi che esso poi invia per le reazioni fisiologiche legate all’emozione.
L’ipotalamo ha un’importante funzione principale: l’omeostasi.
L’omeostasi è un termine greco e significa mantenere lo stesso, mantenere stabili le
condizioni dell’organismo. Questo concetto viene da un fisiologo francese del 1800,
Claude Bernard, che coniò i termini ambiente interno e ambiente esterno.
L’ambiente interno (per esempio la composizione ionica dei nostri liquidi intra ed
extracellulari, la temperatura) è costante, manteniamo la temperatura corporea costante a
37°C a fronte di grandi variazioni della stessa variabile nell’ambiente esterno. Omeostasi è
mantenere costante una variabile a fronte di variazioni nell’ambiente circostante.
Per svolgere questa funzione sono attivi molti meccanismi di regolazione che funzionano
col principio del feedback negativo, secondo il cui un circuito risponde ad una variazione
dello stato nel circuito con una risposta che annulla la variazione per mantenere le
condizioni iniziali, la variabile di interesse, costanti.
Dobbiamo mantenere costante quella che chiamiamo variabile controllata, che deve
rimanere entro un intervallo ottimale.
La variabile controllata in questo caso può essere la temperatura corporea. Ci deve essere
un valore di riferimento, un set-point, che però non è un singolo valore ma un intervallo
di riferimento, deve rimanere tra 36.5° e 37.2°. Per poter mantenere quest’intervallo io
devo avere innanzitutto il valore dell’intervallo, da qualche parte ci deve essere la
memorizzazione di qual è questo intervallo di riferimento. Il sistema con cui si fa confronto
è il termostato del sistema di riscaldamento di una casa.
Se la temperatura scende sotto i valori di riferimento parte la termogenesi, che ci fa
iniziare quei comportamenti che innalzano la temperatura corporea. Nel caso la
temperatura sia troppo alta inizia un processo di raffreddamento (aumentare la
dispersione e ridurre la produzione di calore).
Il regolatore dell’omeostasi è l’ipotalamo, che contiene i valori di riferimento delle variabili
controllate, riceve informazioni sui loro valori istantanei, e manda i comandi per riportarle
all’intervallo di riferimento. È in grado poi mandare i comandi che regolano la termogenesi
per riportare i valori a livelli di riferimento. Integra tutte le risposte del sistema nervoso
autonomo che misura le variabili controllate ed è in grado di prendere misure anche da
alcuni ormoni specifici (sistema endocrino) e di interfacciarsi in uscita con il sistema
endocrino e il sistema nervoso autonomo e anche il comportamento per riportare la
variabile controllata entro i valori di riferimento. L’ipotalamo è quindi in grado di controllare
la produzione ormonale dell’ipofisi ed entrambe le divisioni del sistema nervoso autonomo,
il sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso parasimpatico.
È una struttura piccola, che si trova nel diencefalo, ed è divisa in molti nuclei, ognuno
specializzato ad una sua funzione. Per esempio il nucleo soprachiasmatico controlla i ritmi
circadiani. Sempre anteriormente nell’ipotalamo abbiamo i nuclei che controllano la
pressione arteriosa, l’attività riproduttiva, mentre i nuclei più mediali controllano
direttamente l’ipofisi e sono anche grazie alle loro cellule magnocellulari neuroendocrini,
ovvero producono ormoni che vanno direttamente in circolo.
L’ipotalamo si trova subito sotto il talamo, con subito a se sotto l’ipofisi o ghiandola
pituitaria. L’ipofisi è connessa all’ipotalamo da una struttura chiamata peduncolo
ipofisario. I diversi nuclei ipotalamici hanno diverse funzioni: controllo dell’alimentazione,
controllo dei liquidi circolanti, della riproduzione, dell’omeostasi, dei ritmi circadiani.
Per svolgere questa funzione complicata l’ipotalamo ha bisogno di informazioni in ingresso
sul valore delle diverse variabili controllate di cui si occupa, poi deve avere i valori di
riferimento con cui controllarle e deve avere le uscite adatte in modo da intervenire in
modo da riportare la variabile controllata ai valori di riferimento. Le informazioni afferenti
provengono dalla retina, dal sistema olfattivo, da fibre nervose sensoriali che provengono
dal nucleo del tratto solitario nel tronco dell’encefalo. Riceve informazioni da sistema
somatosensoriale (nocicettori, termocettori) e informazioni ormonali. Inoltre ha dei sensori
interni, è in grado di percepire la temperatura interna attraverso dei suoi termocettori
interni. L’ipotalamo riceve ingressi anche dalla corteccia cerebrale, in particolare da
strutture del sistema limbico, deputato al controllo delle emozioni e della memoria.
Quando si parla di esso si parla di strutture del lobo frontale e temporale, come quelle
della corteccia dell’insula, area corticale con molte funzione come l’alimentazione, molto
antica dal punto di vista filogenetica e della corteccia cingolata anteriore, che è un
factotum trovato in moltissime funzioni.
La corteccia dell’insula ha una mappa sensoriale degli organi interni e ci consente di
apprezzare coscientemente le sensazioni viscerali, per esempio ci fa sentire i bisogni dello
stomaco vuoto → disagio della fame.
Ogni nucleo ipotalamico possiede valori di riferimento sulle variabili a cui esso interessato.
Le uscite dell’ipotalamo sono molte: il sistema nervoso autonomo, le ghiandole del sistema
ormonale le sue cellule neuroendocrine, il controllo finale dell’uscita motoria volontaria
attraverso le informazioni che esso manda alla corteccia.
Nell’omeostasi la variabile controllata è nel nucleo talamico che si occupa della
temperatura. Chi misura la temperatura sono i termocettori ipotalamici e cutanei. La
temperatura che vogliamo mantenere costante è quella del cervello, quindi i segnali dei
termocettori delle mani sono meno importanti di quelli centrali dell’ipotalamo. La
temperatura di riferimento da mantenere è quella del tronco (esperimento del topolino).
L’uscita è determinata dal sistema nervoso periferico, simpatico e parasimpatico e
dall’ipofisi, che comanda la tiroide per il controllo del metabolismo. In più le uscite si
incontrano con la corteccia, visto che caldo e freddo sono sensazioni coscienti di disagio,
che siamo motivati a modificare. I valori della variabile controllata sono all’interno del
nucleo ipotalamico addetto alla temperatura, che confronta le entrate dai termocettori con
l’intervallo di riferimento. Nel caso che la temperatura sia più bassa dei livelli di riferimento
il comando viene mandato ad effettori sia ormonali sia del sistema nervoso autonomo. Si
provoca un aumento della produzione di calore, immediata attraverso il brivido
(contrazione muscolare veloce) e più tardiva attraverso il rialzamento del metabolismo
basale, attraverso un comando mandato all’ipofisi che lo trasferisce alla tiroide. Nel
frattempo cerco di disperdere meno calore attraverso la pelle, irrorata dai vasi sanguigni.
Per disperderne meno devo avere una vasocostrizione a livello cutaneo → riduco il flusso
ematico e impallidisco. In parallelo il centro ipotalamico di controllo invia informazioni ai
centri corticali che mi rendono consapevole del disagio, il freddo, che mi porta a mettere in
atto comportamenti che riducano il disagio. Se invece la variabile va sopra i livelli di
riferimento voglio ridurre la produzione di calore con una riduzione del metabolismo basale
e aumentare la dispersione con una vasodilatazione periferica. In più il centro ipotalamico
di controllo trasferisce informazione alla corteccia che mi porta a fare azioni per
raffreddarmi riducendo il disagio.

Il sistema dello stress o asse ipotalamo-ipofisi-surrene

La funzione di questo sistema è di mobilitare energie a seconda del bisogno per far fronte
a richieste che provengono dall’ambiente esterno o anche da una nostra decisione.
Consente all’organismo di far fronte a una maggior richiesta di fabbisogno energetico.
Come funziona il processo?
Stimolo (stressor) – sollecitazione, per esempio una situazione di freddo → recepito
dall’ipotlamo viene tradotto in un bisogno e lo stimola a produrre CRF (fattore di rilascio
della corticotropina) e a rilasciarlo nell’ipofisi, che stimolata dal CRF produce un
ormone, l’ACTH (ormone adrenocorticotropo)→ va in circolo e agisce sui recettori nella
parte corticale della ghiandola surrenale (divisa in parte esterna corticale e parte interna
midollare) → le ghiandole, stimolate producono molti ormoni, tra cui i glucocorticoidi, e in
particolare il cortisolo, ormone che determina la mobilitazione e la canalizzazione delle
risorse energetiche.
Oltre alla via ormonale c’è anche una via neurale, dove gli assoni dei neuroni
dell’ipotalamo raggiungono neuroni che proiettano al tronco dell’encefalo che proietta ai
neuroni pregangliari del sistema nervoso simpatico, che proiettano midollare del surrene,
che sollecitata produce e rilascia adrenalina nel sangue.
L’attivazione di questo sistema è assolutamente fisiologica →non potremmo sostenere
una corsa senza questa attivazione → eustress. Ciò che è negativo è la cronicizzazione
di questa attività.
Il processo deve quindi essere fermato. Il cortisolo secerno dalla corticale del surrene
trova recettori anche nell’ipotalamo e nell’ippocampo con un circuito a feedback negativo,
che causa la riduzione del fattore di rilascio del CRF. L’ipotalamo rilascia meno CRF e la
surrenale rilascia meno cortisolo. Il cortisolo regola se stesso quindo attraverso questi
recettori nell’ipotalamo ma anche nell’ippocampo. L’ippocampo ha un ruolo cruciale nel
controllo delle emozioni e di questa via. Le cellule ipotalamiche ricevono informazioni
dall’ippocampo, le cellule dell’ippocampo ricevono dal cortisolo circolante, per il quale
possiedono un numero elevato di recettori → funziona al meglio quando noi siamo almeno
un minimo attivati e il cortisolo circolante è abbastanza. Però per elevati livelli di cortisolo
le cellule ippocampali cominciano ad avere delle disfunzionalità. Un’asse AHPA
disfunzionale è un’asse che non si regola bene, per esempio con pochi recettori per il
cortisolo, tende a far cronicizzare lo stress. Le esperienze personali possono inibire la
presenza di recettori per il cortisolo, così come una forte situazione prolungata di stress.
Le buone cure materne per esempio aumentano la probabilità di presenza di recettori per
il cortisolo.
Il cortisone viene usato come antinfiammatorio, quando ho bisogno di energie per una
situazione di stress, le cose non essenziali vengono messe da parte, come il sistema
immunitario → es l’infiammazione.

Il sistema che regola l’alimentazione

L’omeostasi del sistema corporeo è molto robusta. Lo stesso sistema cambia il valore
della variabile di riferimento per esempio nelle persone gravemente obese. Nel consumo
di cibo abbiamo moltissime motivazioni oltre alla necessità dettata dalla fame. La variabile
controllata in questo caso è il peso corporeo nelle sue componenti. Abbiamo dei
segnalatori di energie circolanti (glucosio), di energie immagazzinate (massa adiposa) e
segnali sullo stato corrente del sistema digerente (stomaco vuoto). Il nucleo in cui avviene
l’integrazione di questi segnali è il nucleo arcuato, con dentro neuroni neri oressizzanti,
che stimolano il comportamento alimentare, e neuroni bianchi o anoressizzanti, che lo
inibiscono. Al nucleo arcuato arrivano informazioni sui livelli circolanti di glucosio, insulina
e leptina, ormone prodotto dagli adipociti, un segnale di energie immagazzinate. Arriva poi
un segnale prodotto da grelina dallo stomaco, che ne segnala la vuotezza. Il nucleo
reagisce agli ormoni in maniera diversa a seconda che venga ricevuto da neuroni neri o
bianchi. La leptina è un segnale che viene dagli adipociti, quindi porta un’informazione
sulle energie immagazzinate, il che vuol dire al corpo: “abbiamo le riserve energetiche,
non mangiare.”
Alti livelli di leptina eccitano i neuroni anoressizzanti e inibiscono quelli oressizanti. I
neuroni anoressizanti proiettano al nucleo paraventricolare, un nucleo ipotalamico che
proietta al sistema nervoso autonomo e all’ipofisi per incrementare l’attività metabolica.
Proiettano anche all’ipotalamo laterale, che proietta alla corteccia che ci motiva ad
assumere cibo,e li inibiscono. Al contrario i neuroni oressizzanti riducono l’attività nel
nucleo paraventricolare che incrementa l’attività metabolica, quindi diminuendo il
metabolismo di base ed eccitano i nuclei dell’ipotalamo laterale.
Inoltre alti livelli di insulina, che significano alti livelli di glucosio nel sangue mandano
segnali di sazietà.
Altri fattori che interagiscono con questo sistema vengono dalla corteccia prefrontale, ma
anche dal nucleo accumbens (sistema della gratificazione) e dall’amigdala (sistema
emozionale). Questi ingressi cambiano l’attività dei nuclei dell’ipotalamo laterale
indipendentemente dal livello di energia circolante, facendoci mangiare anche quando non
ne abbiamo bisogno per esempio.
Topo transgenico o topo ob: non ha il gene della leptina, è obeso perché mangia,
perché non gli arrivano i segnali della leptina. Molta obesità umana è data da una
mancanza di recettori per la leptina.

Come si interfaccia l’ipotalamo all’ipofisi?


L’ipofisi anteriore, anche detta adenoipofisi, produce gli ormoni, mentre la neuroipofisi
contiene capillari, vasi sanguigni che accolgono il prodotto ormonale degli assoni dei
neuroni dell’ipotalamo, che terminano in corrispondenza di questi capillari, che trasportano
questi neurormoni in circolo. Questi ormoni sono l’ossitocina e la vasopressina. I
soggetti autistici per esempio hanno una funzione diminuita dell’ossitocina, responsabile
delle interazioni sociali. La vasopressina o ormone antidiuretico aumenta la pressione
arteriosa e diminuisce la dispersione dei liquidi. Viene prodotto quando i liquidi circolanti
sono bassi, che vogliono anche dire pressione arteriosa bassa. Tutti gli altri sono fattori
ipotalamici che controllano gli ormoni ipofisari. Il neurone ipotalamico n. 4 proietta i suoi
assoni ai capillari che trasportano il prodotto sia all’ipofisi anteriore che a quella posteriore,
mentre il neuroni n.3 proietta solo all’adenoipofisi. Ci sono diversi ormoni ipofisari:
tireotropina (l’ipotalamo produce l’ormone di rilascio della tireotropina), il CRF è il fattore di
rilascio dell’ACTH. L’ipotalamo produce sia un’ormone liberante l’ormone della crescita
(GHRH), sia un fattore che inibisce l’ormone della crescita (GHIRH o somatostatina).
Quindi l’ipotalamo rilascia due ormoni che rilascia nella neuroipofisi, e molti fattori di
rilascio ormonale che rilascia nell’adenoipofisi, che o incoraggiano o inibiscono la
produzione e il rilascio di specifici ormoni.

L’ipotalamo proietta anche al Sistema Nervoso Autonomo.


L’ipotalamo può avere un’uscita ormonale attraverso l’ipofisi, e il prodotto delle due ipofisi
andrà agli organi bersaglio producendo l’effetto desiderato. Può anche avere una via
nervosa: roietta ai neuroni pregangliari del sistema autonomo, che proiettano ai neuroni
postgangliari del sistema simpatico o parasimpatico, che proiettano all’organo effettore
producendo l’effetto desiderato. Esso può anche proiettare ai nuclei del tronco
dell’encefalo che proiettano ai nuclei pregangliari del sistema nervoso autonomo, oppure
può proiettare ai nuclei del tratto solitario che proiettano ai neuroni del tronco dell’encefalo,
che proiettano ai nuclei pregangliari… fino ad arrivare all’organo bersaglio. Quindi
l’ipotalamo ha moltissime vie per influenzare le funzioni dei sistemi nervoso autonomo e
endocrino.

Si può quindi parlare di psicobiologia delle emozioni?


Uno stato emotivo è caratterizzato da una componente cosciente e una corporea, per cui
noi abbiamo una sola parola. In inglese invece emotion si riferisce alla componente
corporea e feeling alla componente cosciente, la sensazione soggettiva. Io posso vedere
solo l’emotion, non il feeling. La componente cosciente è mediata dalla corteccia, mentre
quella fisica dall’ipotalamo. Attualmente si pensa che le emozioni emergono da
un’interazione dinamica tra le due parti, corporea e cosciente, per la quale è cruciale
l’amigdala, tra i fattori periferici mediati dall’ipotalamo e i fattori centrali, mediati dalla
corteccia cerebrale.
L’ipotalamo all’inizio era considerato la struttura cruciale per l’espressione dell’emozione;
Cannon notò che separando l’ipotalamo dal resto del cervello, l’animale poteva mettere in
atto delle reazioni fisiologiche senza però una motivazione reale. Da qui Cannon infierì
che l’ipotalamo fosse il centro organizzativo della risposta emozionale, mentre la corteccia
ne controllasse solo l’attivazione (teoria dei tre cervelli: dei rettili -ipotalamo-, dei
mammiferi, dei primati). Però mentre rimane vero che l’ipotalamo è l’esecutore, esso è
solo un puro esecutore, non decide lui che comandi mandare.
LE EMOZIONI

Chi è che comanda l’ipotalamo, che è l’esecutore? Il sistema limbico è composto da aree
filogeneticamente antiche che fanno parte dei lobi frontali e temporali, e a livello corticale
comprende aree prefrontali come la corteccia cingolata e aree temporali mediali come la
corteccia paraippocampale oltre all’ippocampo stesso, che non fa parte della corteccia.
Papez coniò il termine limbico, poiché queste strutture sono il limbo di ingresso alle
strutture cerebrali. Successivamente furono aggiunte da MacLean l’amigdala, il nucleo
accumbens, struttura che fa parte dello striato ventrale e la corteccia orbito-frontale.
L’attuale composizione del sistema limbico si compone di strutture sono aree neocorticali
(orbitofrontale) e aree corticali associative, poi aree più antiche come la corteccia cingolata
e strutture sottocorticali come il talamo, l’ippocampo, l’ipotalamo e l’amigdala.
Nel circuito originale di Papez l’ippocampo svolgeva un ruolo cruciale ed era la struttura
che faceva da tramite tra ipotalamo e strutture corticali, che invece è il ruolo svolto
dall’amigdala. Le funzioni del sistema limbico sono state elucidate seguendo uno schema
ormai tipico, prima studi di lesione nell’uomo e nell’animale, poi registrazione dell’attività
elettrica, e poi studi con stimolazione transcranica elettrica. Vennero fatti studi su pazienti
con lesioni, come quelli con sindrome di Kluver-Bucy, studiata appunto da loro. Essi
tolsero la parte anteriore del lobo temporale negli animali, che diventavano molto docili,
avevano scarse reazioni emotive, una disinibizione sessuale, scarse capacità di
riconoscere gli oggetti, un deficit nella memoria dichiarativa (ippocampo). Infatti tolsero
loro amigdala, ippocampo e le aree associative visive inferotemporali. Le lobotomie
venivano operate a effetto terapeutico, ma ciò non è più considerato etico.
La struttura cruciale per la manifestazione delle emozioni, soprattutto quelle negative, è
l’amigdala. Se la si stimola elettricamente questo corrisponde ad una forte sensazione di
paura, sia nell’uomo che nell’animale. Lesioni dell’amigdala nell’animale producono
assenza di reazioni di paura, scompaiono tutte le paure innate. Non mostrano paura e non
apprendono nemmeno nuove risposte di paura, lesioni dell’amigdala rimuovono sia paure
innate sia apprese. I soggetti con lesioni all’amigdala non solo non esperiscono paura ma
non la riconoscono nemmeno negli altri, così come altre emozioni. Esperimenti di
neuroimmagine hanno dimostrato che nel momento in cui si presentano situazioni che
provocano emozioni o volti che esprimono emozioni si attiva l’amigdala, legata molto alle
emozioni negative. L’amigdala si attiva anche per espressioni di tristezza, mentre per
espressioni di rabbia si attivano di più regioni corticali come la corteccia cingolata anteriore
e la orbitofrontale. Inoltre l’amigdala si attiva molto di più per il riconoscimento e la
sensazione di emozioni negative, come la paura, che per quelle positive. L’amigdala è
anche importante per la convergenza di stimoli emozionali (volto arrabbiato – carissimo
come stai). Studi in cui si dissocia la componente visiva da quella uditiva, nel momento in
cui le informazioni sono incongruenti l’amigdala si attiva poco mentre quando sono
congruenti si attiva. È molto importante anche per le interazioni sociali, perché ci fa
leggere le emozioni sui volti degli altri e riconoscerle. È coinvolta anche nell’associazione
di stimoli sensoriali con delle emozioni → condizionamento classico. Quando associamo i
due stimoli condizionato e incondizionato avviene un fenomeno di plasticità sinaptica
hebbiana. L’associazione temporale dei due stimoli ha fatto sì che i neuroni dell’amigdala
fossero attivi mentre le loro afferenze sensoriali erano attive, così che la sinapsi si rinforzi
secondo il principio di Hebb che richiede che i neuroni pre e postsinaptici siano attivi
insieme.
Mi ricorderò anche che è stato fatto il protocollo di condizionamento e anche di dove è
stato fatto → associo l’ambiente all’evento negativo, il che richiede l’attivazione
dell’ippocampo.
In un compito di condizionamento classico, che associa un colore ad un suono molto forte
i soggetti associano il colore ad un sentimento di ansia. Nei soggetti con lesioni
dell’amigdala si verifica un preciso ricordo dell’evento, ma nessuna reazione emozionale.
Nei soggetti con lesioni all’ippocampo non si trova memoria di quello che è successo, ma
una risposta di paura associata al colore che prima era associato al suono. Non ha ricordi
espliciti ma ha una risposta emozionale. Quindi l’amigdala è responsabile della risposta
emozionale, mentre l’ippocampo della consapevolezza dell’evento. Ci può accadere di
trovarci in una situazione in cui abbiamo una sensazione di fastidio per uno specifico
elemento dell’ambiente, come l’odore. Le memorie emotive sono estremamente durature e
facilitano anche gli altri tipi di memorie.
L’amigdala (mandorla in greco) ha dei nuclei interni (amigdala laterale, basale, centrale) e
l’amigdala centrale è la principale uscita mentre quella basale il principale ingresso. Uno
stimolo sensoriale può arrivare all’amigdala attraverso due vie diverse: una via talamica o
sottocorticale (es uno stimolo acustico dal nucleo genicolato mediale), o una via
corticale, chiamata anche lunga o alta. La prima ci dà una reazione emotiva inconscia, la
seconda un’emozione cosciente. La via breve o bassa ci assicura una risposta rapida,
che ci può essere utile in situazioni di pericolo. Quando arriva la valutazione corticale essa
potrebbe confermare o rinnegare la pericolosità dello stimolo. L’amigdala a sua volta
trasmette a strutture come l’ipotalamo e altre sottocorticali che implicano l’attivazione di
risposte fisiologiche. L’amigdala è in grado di mediare la risposta corporea ma tramite le
connessioni alla corteccia è anche in grado di consentire il riconoscimento cosciente delle
emozioni. Il condizionamento esiste anche nell’uomo, non solo negli animali. Il
condizionamento della paura richiede variazioni della trasmissione sinaptica fra i neuroni.
Un neurone dell’amigdala che riceve da un neurone uditivo avrà una frequenza
caratteristica uguale ad esso. Se viene fatto un condizionamento in cui il valore
condizionato ha un’altra frequenza. Dopo il condizionamento lo stimolo uditivo che evoca
la risposta maggiore nel neurone dell’amigdala non è più quello alla frequenza inizale, ma
quello alla frequenza dello stimolo condizionato. È possibile provocare una risposta di
paura ad uno stimolo inconscio. Presento due stimoli visivi, di cui il secondo maschera il
primo. Associo lo stimolo 1 ad un evento spiacevole, che quindi provoca paura, misurata
fisiologicamente. Se faccio il protocollo di masking in cui vede solo lo stimolo 2, il soggetto
ha comunque una sensazione di paura inconscia, pur non avendo coscientemente
percepito lo stimolo → via bassa. Soggetti con lesioni di V1 non hanno la percezione
cosciente di una parte del campo visivo → blindsight, rimane un effetto dello stimolo non
percepito coscientemente sul sistema visuomotorio, visto che la retina lo percepisce, infatti
il soggetto riesce a raggiungerlo. Se nel campo cieco si propone uno stimolo carico
emozionalmente egli non lo percepisce ma l’amigdala sì → prova paura ma non sa
attribuirla.
Quando partecipiamo alle emozioni di un altro, quando empatizziamo con qualcuno
questo corrisponde ad un’attivazione del sistema emozionale. Quando il partner viene
sottoposto ad una sensazione dolorosa i soggetti empatizzano. Dalla risonanza magnetica
è stato mostrato che non si attiva la corteccia somatosensoriale dei soggetti che
empatizzano, ma si attivano tutte le aree del sistema limbico che si attiverebbero se il
dolore fosse stato esperito in prima persona, che provocano le sensazioni negative che
provo quando sento dolore, che sono della stessa entità che se il dolore fosse stato sentito
dalle persone che epatizzano. Quando empatizziamo dissociamo la componente del
dolore dalla componente emotiva che lo accompagna, e sentiamo solo la seconda.
L’empatia non è universalmente distribuita ma può essere appresa; le nostre convinzioni
modulano la nostra capacità di empatizzare. Se la persona sottoposta allo stimolo
doloroso osservata dal soggetto è il buono il soggetto empatizza, se la persona sottoposta
è il cattivo, il soggetto non empatizza.
Il sistema della ricompensa endogena, la motivazione e la neurobiologia della
dipendenza da farmaci

Abbiamo un sistema della ricompensa endogena, che ci consente di esperire situazioni


piacevoli in conseguenza a determinate azioni o siruazioni. La motivazione è quello che ci
spinge a mettere in atto un comportamento diretto ad uno scopo. È uno stato interno che
ci induce a iniziare e mantenere un comportamento per un obiettivo fino al suo
raggiungimento. Ci sono motivazioni innate, condivise a tutti, come coprirsi quando si ha
freddo. Esistono anche motivazioni acquisite, obiettivi non condivisi da tutti gli altri. Quindi
abbiamo motivazioni di base fisiologiche e motivazioni più complesse. Siamo in grado
recentemente di indagare anche sistemi che ci permettono di avere obiettivi personali. Io
posso avere molti obiettivi ma devo metterli in gerarchia, devo assegnare dei valori che
possono cambiare col tempo. Ci sono delle strutture sottocorticali che colorano di
appetibilità un oggetto, un comportamento, ma la corteccia prefrontale è quella che colora
in maniera diversa cose diverse per ognuno, che dà la gerarchizzazione dei valori.
La dopamina è il neurotrasmettitore che ci motiva a mettere in atto comportamenti
essenziali per la sopravvivenza generale e soggettiva (ascoltare una musica piacevole –
fiori per l’anima). È un sistema filogeneticamente antico, dettato alla sopravvivenza, ma ci
motiva anche a fare cose apparentemente non essenziali che però contribuiscono alla
piacevolezza dell’esistenza.
Il sistema include strutture sottocorticali come il nucleo accumbens, quindi quella parte dei
nuclei della base che fanno parte dello striato ventrale, l’amigdala e le strutture corticali
limbiche come la corteccia cingolata anteriore e la corteccia orbitofrontale.
Queste strutture interagiscono costantemente fra di loro e il neurotrasmettitore dopamina
ha un ruolo cruciale per le risposte di piacevolezza. Il sistema endogeno è stato scoperto
nell’animale nel secolo scorso da Howles e Mirren con esperimenti sugli animai.
Stimolando una particolare zona del cervello gli animali iniziavano a lavorare per ottenere
come premio la stessa stimolazione della zona cerebrale x. Conclusero che l’effetto di
questa stimolazione dovesse essere estremamente piacevole. Evidentemente questa
struttura quando è attiva è equivalente ad un rinforzo positivo. L’area che stimolavano era
a metà fra il nucleo accumbens e la VTA (area tegmentale ventrale), stimolavano gli
assoni di VTA che producono dopamina che proiettano al nucleo accumbens, che proietta
alla corteccia prefrontale. La VTA è un’area mesencefalica mentre il nucleo accumbens fa
parte dei nuclei della base. La stimolazione voleva dire quindi aumentare il passaggio di
dopamina sul nucleo accumbens. Il sistema dopaminergico va al nucleo accumbens, lo
striato ventrale, mentre la substanzia nigra proietta allo striato dorsale, quindi può essere
diviso in una parte motoria e in una collegata alla piacevolezza. Nel nucleo accumbens gli
assoni di VTA rilasciano dopamina, che si lega ai suoi recettori a secondo messaggero,
che si attivano producendo AMPc. La stimolazione di queste fibre può essere riprodotta
anche dal rilascio di dopamina esterno ottenuto artificiosamente sul nucleo accumbens.
Non si ottiene lo stesso effetto con altri neurotrasmettitori o altre zone, quindi l’operazione
cruciale è il rilascio dopaminergico nel nucleo accumbens. Il rilascio di dopamina è
normalmente evocato dalla consumazione e la visione di cibo, bevande,
dall’accoppiamento, dalle cure parentali, insomma tutto quello che chiamiamo ricompense
naturali. Io anticipo la piacevolezza che mi porterà l’azione, perché mi fa rilasciare
dopamina. Se associo uno stimolo neutro con una ricompensa, come il cibo, il ratto
sceglierà quello stimolo rispetto ad un altro. Durante un condizionamento operante lo
stimolo inizialmente neutro associato alla ricompensa alla fine diventa in grado di far
rilasciare dopamina nel nucleo accumbens senza la ricompensa, diventando positivo,
saliente per l’esperienza di vita (esperimento del succo e delle stecche orizzontali e
verticali).
Anche oggetti astratti possono avere un effetto di ricompensa, giudico più piacevolmente
una persona che mi guarda negli occhi che una che non mi guarda → non è bello ciò che
è bello ma è bello ciò che piace. Chi mette in relazione i due stimoli e assegna il valore è
la corteccia prefrontale (caso Phineas Gage). La maturazione della corteccia prefrontale è
quella più tardiva, continua anche dopo i 18 anni.
Il sistema può essere dirottato dalle sostanze che danno dipendenza. Noi possiamo
diventare dipendenti da sostanze perché si modifica il sistema endogeno della
ricompensa. Quando impariamo la memoria implicita comprende l’apprendimento
procedurale o di abitudini che coinvolge i nuclei della base e l’ingresso dopaminergico.
Quando assumiamo una sostanza che dà dipendenza, ricercheremo attivamente la
sostanza avendo fenomeni di astinenza se non riusciamo ad averla. Tutte le sostanze da
cui si può diventare dipendenti agiscono allo stesso modo, aumentando il rilascio di
dopamina nel nucleo accumbens. Sono sostanze che provocano una sensazione di
piacevolezza con effetti molto più potenti delle ricompense esogene come il cibo.
Attraverso la loro assunzione si sbilancia il rilascio della dopamina e si sviluppa una
plasticità sinaptica che le rende bisogni primari.
PLASTICITA’ SINAPTICA

Cosa vuol dire apprendere da un punto di vista neurologico?


Se un cervello apprende qualcosa, esso cambia. Alla base dell’apprendimento c’è la
capacità del cervello di cambiare, che sta alla base anche del prendere informazioni
dall’ambiente interagendo con esso e del farsi un’idea non solo dello stato delle cose e
della mia risposta ma vedere anche come posso memorizzare quegli eventi.
Cosa si adatta? Chi è sopravvissuto alla selezione naturale si è adattato, bisogna che il
comportamento sia modificabile dall’esperienza, che sia adattivo. Non è l’unico modo
perché ci sono animali che hanno fatto anche l’opposto, animali che vivono sempre nello
stesso ambiente dove le condizioni sono sempre uguali come i panda arrivano a mangiare
anche solo un tipo di cibo.
Che tipo di cose si possono apprendere? Prima di tutto i comportamenti motori, si possono
imparare attività sportive, poi si può avere una mappa spaziale dei luoghi a noi più
familiari, che ci permette di avere un orientamento → deve essere appreso. Va bene fare
esperienza per imparare le cose, ma poi si deve anche avere un sistema che ci permette
di tenere a mente gli errori per cambiare in nostro comportamento.
Il cervello aumenta di dimensioni con lo sviluppo, ma cosa succede nel cervello è
modificato dall’esperienza. Il motivo per cui l’esperienza è così importante è che il circuito
non è hardwired, cioè implementato con un codice genetico immutabile, ma quello che
succede al suo interno dipende dall’esperienza. Per esempio lo sviluppo dell’acuità visiva
dipende dal fatto che gli occhi siano in condizione di poter sviluppare quella capacità. Se
le persone con cataratta congenita vengono operati entro i periodi critici il sistema si può
riorganizzare molto bene, sennò no. Siccome non tutte le persone vanno incontro alle
stesse esperienze, la plasticità del cervello rispetto all’esperienza sta alla base della
diversità delle persone, tema che sta a base della psicologia. Il nostro cervello, la realtà
che percepiamo, dipende quindi da come si sono formati diversi circuiti nervosi durante lo
sviluppo e da come si modificano, in risposta all’esperienza, durante l’arco della vita.
Alcune elaborazioni delle informazioni sono uguali per tutte le persone della stessa classe,
ovvero classe di homo sapiens sapiens, quindi dei meccanismi funzionano per tutti alla
stessa maniera, però questo accade solo per i livelli sensoriali. Quando si fa una scelta,
quando si danno giudizi su cosa sia interessante o no, non tutti siamo uguali, e le nostre
scelte sono diverse; questo perché in questo caso i circuiti nervosi implicati sono diversi
da un individuo ad un altro e possono cambiare nello stesso individuo. Vale la regola
esperienze diverse, cervelli diversi. Ma cosa è che cambia e rende i cervelli diversi?
Tutto gioca intorno alla plasticità neurale, ovvero la capacità del sistema neurale di
cambiare in risposta a quello che avviene nell’ambiente esterno. Questo è un fenomeno
che si ritrova in tutto il SNC ma che è particolarmente importante nella corteccia, la parte
più nuova. Se non esistesse la plasticità neurale il cervello si sarebbe sviluppato in
maniera diversa, avremmo un comportamento del tutto stereotipato come la drosofila, e
saremmo esseri senza memoria → i processi di memoria sono basati sul fatto che
l’ambiente esterno possa cambiare i nostri circuiti neurali.
La plasticità è la stessa in tutti i periodi della vita? C’è una fase iniziale in cui questi
processi sono particolarmente sviluppati, la fase dello sviluppo. Non si può affrontare un
cambiamento enorme al di fuori dei periodi critici, al di fuori dei quali non si ha uno
sviluppo normale. Quindi la plasticità decade ma non per alcune funzioni, per esempio gli
apprendimenti di memoria sono possibili anche a 22 anni, ma già si è sulla curva dove i
livelli di plasticità diminuiscono. Allenando il cervello lo si rende più plastico e più resiliente.
A cosa serve comprendere questi meccanismi? A comprendere meglio lo sviluppo, quali
sono le basi neurofisiologiche dell’apprendimento e delle condizioni del non
apprendimento. Si potrebbero anche correggere dei difetti avvenuti in seguito ad un
processo di sviluppo deficitario oltre che sfruttare al meglio o potenziare i tentativi
spontanei di recupero che il sistema nervoso mette in atto dopo una lesione. Come
cambia un cervello? Nella maggior parte dei casi per cambiare un cervello bisogna
cambiare l’efficacia delle connessioni sinaptiche, che si modifica in risposta ai
cambiamenti nell’attività elettrica che l’esperienza induce in un circuito.
Non tutti i cambiamenti di attività elettrica però inducono fenomeni di plasticità. Per questo
argomento ci si rifà ad un principio, il principio di Hebb che presuppone un sistema con
100 miliardi di connessioni e il modo in cui si sviluppa (reti neurali).
Principio di Hebb: quando una sinapsi A è capace di attivare molte volte una sinapsi B, e
quindi l’informazione da A crea un effetto su B, questa connessione va rafforzata. Al
contrario se la connessione tra A e B funziona male essa va o declinata o abolita. Se un
neurone presinaptico A attiva ripetutamente un neurone B la connessione si rafforza, se A
invece fallisce allora la loro connessione deve essere indebolita.
Cosa succede a livello neurofisiologico? Se alcuni neuroni presinaptici sono capaci
attivandosi a livello sincrono (perché portano tutta l’informazione) di passare informazioni
alle aree secondarie e quelle rispondono in maniera potente il legame va rafforzato e si
forma invece di un solo collegamento, per esempio 2. Se le scariche non riescono invece
ad attivare un neurone postinaptico la connessione va tagliata. Potenziare le connessioni
non vuol dire aumentare il tasso di scarica, perché la media delle connessioni rafforzate e
tagliate può essere anche 0 e l’attività del neurone postsinaptico può essere la stessa. La
differenza è da dove viene questa attività → il neurone postsinaptico ha la stessa
attivazione ma da diversi legami. Dove nel cervello accade questo?
L’amigdala per esempio è la struttura dove è depositata la memoria emozionale della
paura. Negli animali quando viene presentato un rumore forte l’animale ha paura, come si
vede dal comportamento e dall’attivazione dell’amigdala. In condizioni dissociate quando il
rumore è di intensità media l’animale non è spaventato. Però un animale può essere
condizionato alla paura del secondo stimolo attraverso l’associazione della presentazione
del suono forte a quello moderato. L’animale a questo punto risponde allo stimolo
condizionato senza la presentazione del primo stimolo. L’associazione dei due suoni fa sì
che l’amigdala si attiva anche solo quando si presenta il suono debole. L’animale si crea
l’aspettativa che con la presenza del suono debole arrivi anche il suono forte.
La prima condizione perché ciò avvenga è la simultaneità dei due stimoli, così che
l’amigdala, attivata dal rumore forte, codifichi nello stesso momento anche quello medio.
Questa simultaneità aumenta l’efficacia sinaptica dei neuroni uditivi che trasmettono
informazione relativa ai suoni di moderata intensità sui neuroni dell’amigdala causando
una risposta di paura. Bisogna arrivare ad avere un circuito cerebrale diverso che va
anche però stabilizzato e consolidato per creare dei cambiamenti permanenti.
Una delle strutture più interessate da questi fenomeni è l’ippocampo. Una parte specifica
di questa struttura ha un ruolo fondamentale per le costruzioni di memoria dichiarativa.
Imparare a sciare o un canto della Divina Commedia coinvolgono quindi processi uguali
ma semplicemente strutture e aree cerebrali diverse. Nel 2014 Tonegawa sperò di arrivare
a conoscere così bene i processi di memoria da per prima cosa creare false memorie, ma
in particolare riuscire a richiamare delle memorie traumatiche per cancellarle. Fece quindi
degli esperimenti sui topi iniettando ChR2 in alcuni neuroni, infettandoli. Se si inietta la
creatina R2 il neurone diventa fotoattivabile, quindi si attiva se illuminato. L’animale viene
inserito in un contesto A, che deve attivare nel suo ippocampo un determinato set di
cellule perché il soggetto memorizza quell’ambiente, quindi con una memoria context
related. Grazie alla creatina sappiamo quali neuroni si sono attivati quando lui ha
memorizzato quel tipo di ambiente. Quando è messo in un contesto B si attivano neuroni
diversi. Nel contesto B viene data una scossa elettrica che glielo fa associare ad un
evento negativo. In condizioni standard il topo avrebbe imparato che nel contesto A non
succedeva niente mentre il contesto B andava evitato. Però quando il topo era nel
contesto B i ricercatori accesero anche una luce che attivò artificialmente anche i neuroni
attivi del contesto A. Una volta riportato nel contesto A lui l’animale avrà comunque la
stessa reazione di paura, perché ha associato il contesto A alla scossa → falsa memoria.
Allo stesso momento il topo ha mantenuto la memoria sul contesto B, ovvero quando si è
fatta quest’associazione non si è sovrascritta la memoria ma si è aggiunta solo una
memoria che non c’era.
Negli anni ‘70 si scoprì il potenziamento a lungo termine. Come funziona? La risposta
di una cellula postsinaptica nel momento in cui una cellula presinaptica veniva attivata
tante volte, era potenziata, ovvero la cellula non aveva più una risposta di baseline, ma a
forza di associare il neurone presinaptico a quello postsinaptico, la cellula postisnaptica
alla stessa intensità di segnale aveva una risposta molto più forte, cioè dimostrava di aver
cambiato la sua dinamica di esperienza, di aver appreso dall’esperienza. La cellula
postsinaptica segnala che la comunicazione avviene bene e così il sistema rafforza e
potenzia la risposta nel postsinaptico a lungo termine, cioè che per minuti dopo quando
arriverà un segnale dal presinaptico la cellula risponderà in maniera più vigorosa. Ci sono
delle regole generali.
Il potenziamento a lungo termine (LTP) è specifico per le unità coinvolte nel processo.
Vale il principio dell’associatività: se induco anche un segnale debole nel presinaptico ma
induco artificialmente una risposta forte nel postsinaptico il legame fra di loro si potenzia
perché vengono associate insieme. Abbiamo anche il principio della cooperatività, ovvero
non si parla sempre di una sola sinapsi, ci può essere un array di sinapsi lungo un assone
che scarica sui dendriti della cellula postsinaptica.
Bisogna trovare una regola secondo la quale il sistema si accorga della sincronicità. Arriva
ad essere fondamentale il recettore NMDA (n-metil diaspartato) per il glutammato
voltaggio dipendente, che in condizioni standard è bloccato da uno ione magnesio e non
permette il passaggio di cariche elettriche. Normalmente è accoppiato da un recettore
standard chiamato AMPA, che quando viene attivato dal neurotrasmettitore fa
depolarizzare la cellula. Nel momento in cui la cellula si depolarizza il magnesio libera il
canale e questo permette l’entrata di ioni positivi di Calcio e Sodio. La sincronia si calcola
attraverso l’attivazione del recettore NMDA, che si attiva solo se la depolarizzazione della
cellula postsinaptica è attiva. Il recettore necessita della coincidenza di due eventi: la
presenza di glutammato che segnala l’attività presinaptica e la depolarizzazione della
membrana. Uno dei fattori principali nella plasticità sinaptica è l’attività della circuiteria
inibitoria. Durante lo sviluppo i profili delle quantità di GABA nel circuito vanno a crescere,
e la plasticità sinaptica diminuisce. Prima si è molto plastici, perché bisognna cambiare i
sistemi per renderli efficaci ma quando il sistema è calibrato esso poi dopo i periodi critici
si chiude, ma non del tutto → ci sono delle strutture come l’ippocampo che restano
plastiche, solo di meno. Si può però riportare il cervello a modificarsi anche nelle aree in
cui non è più possibile?
Il recettore NMDA modifica l’attività sinaptica, poi intervengono una serie di regolatori
come le proteinchinasi ERK, PKA, le proteinchinasi AMPc dependent, a cui si aggiungono
le neurotrofine che permettono la crescita dei neuroni, che determinano non il
cambiamento dell’attività, ma una serie di effetti prevalentemente dovuti all’entrata di ioni
calcio attraverso i recettori NMDA e una serie di fattori che cambiano le cose anche a
livello morfologico → per esempio la densità dei recettori sinaptici, ovvero in qualche
maniera c’è la possibilità di potenziare le strutture che collegano e permettono la
comunicazione tra i due neuroni. Possono aumentare sia i rilasci di neurotrasmettitore sia i
recettori postsinaptici e alla fine la stessa attività del neurone presinaptico produce una
maggiore attività di quello postsinaptico. Quindi li ho potenziati non solo a livello elettrico
ma anche a livello morfologico L’attività sincrona può potenziare così tanto la connessione
da formare nuovi siti sinaptici su alcuni dendriti di alcuni neuroni per favorire lo scambio di
informazioni → dove prima c’era una sinapsi ora ce ne sono due. Lo stesso segnale
presinaptico che dava una risposta x ora dà una risposta molto maggiorata. Il
cambiamento è localizzato, ovvero avviene solo alla o alle sinapsi su cui è stata detettata
l’attività sincrona. Se il cambiamento fosse generalizzato non ci sarebbe un
apprendimento specifico, la specificità sta alla base dell’apprendimento. Una volta creata
una differenza nel modo in cui A e B si parlano, il cambiamento va consolidato. Il
consolidamento richiede l’entrata in gioco di altri fattori. Infatti si incominciano a creare
nuove proteine partendo dall’mRNA nel nucleo della cellula. Questi cambiamenti durante il
consolidamento portano cambiamenti funzionali o morfologici (aumento dei bottoni
sinaptici) in pochi minuti. Se la sintesi proteica viene bloccata il potenziamento c’è ma dura
poco, non viene consolidato. Se impedisco la formazione della proteina la procedura inizia
ma non si consolida. La presenza di cambiamenti morfologici sottintende un’attività
proteolitca per degradare la matrice extracellulare per fare dei cambiamenti, come
costruire una nuova connessione sinaptica. Alla fine per il mentenimento si attivano fattori
di trascrizione e sintesi di nuovi mRNA che prima non c’erano, per cambiare la trascrizione
dei geni, ovvero il processo che aveva costruito il cervello. Meccanismi come il CREB si
attivano per rendere più facile la trascrizione di determinate proteine. Tutti questi processi
portano al mantenimento del cambiamento consolidato del cervello. I processi di
consolidamento e mantenimento prendono anche un’ora. I meccanismi epigenetici sono lo
studio di quei meccanismi per cui l’esperienza può cambiare l’espressione dei geni. Per
esempio l’acetilazione degli istoni favorisce un minor grado di impacchettamento del DNA,
favorendo la trascrizione genica. Cosa si può fare? Si può potenziare la sinapsi,
aumentare i siti sinaptici o addirittura far crescere l’albero dendritico del neurone facendo
crescere nuove sinapsi. Si possono inoltre far nascere nuovi neuroni con la neurogenesi.
L’accoppiamento dell’attività neuronale e dell’espressione genica è presente anche per la
trasmissione sinaptica diretta ed è mediato dal calcio che entra attraverso i recettori
NMDA. Il calcio lega diversi enzimi intracellulari (proteine chinasi) che a loro volta possono
traslocare al nucleo e modulare l’azione dei complessi proteici che determinano se un
gene viene trascritto o no.
Quali sono i fattori coinvolti? Sono molti a seconda delle fasi di innesco, consolidamento e
mantenimento.
• I livelli di inibizione.
• I fattori di trascrizione e le proteinchinasi, dato che devo andare a giocare anche
con la produzione di nuovi elementi.
• Il rimodellamento della cromatina, importante per la compressione del materiale
genetico nel nucleo.
• Fattori neurotrofici, come il neuron grow factor e il BDNF, che ha un ruolo
fondamentale nella produzione di memorie a lungo termine.
• I neuromodulatori, come la noradrenalina.
• Componenti della matrice extracellulare che si devono degradare.
Si è scoperto che se non viene rilasciata nell’ippocampo noradrenalina, collegata
all’attenzione che uno presta, il cervello non cambia. Se un animale non presta attenzione
allo stimolo c’è la risposta postsinaptica ma non c’è nessun cambiamento a lungo termine.
Sono poi stati fatti esperimenti sulla memoria spaziale degli animali come il Morris water
maze. Come fa il topo a imparare la piattaforma dopo un po’ di trials? Impara che in una
certa posizione c’è la piattaforma → ha appreso una mappa spaziale. All’interno
dell’ippocampo ci sono delle place cell, campi di posizione che corrispondono alle
posizioni che l’individuo ha memorizzato →all’interno del cervello abbiamo una mappa
dello spazio in cui neuroni diversi si attivano per punti dello spazio diversi. Nei soggetti con
un block dell’NMDA nella zona d’entrata nell’ippocampo non ci sono cambiamenti
dell’attività neurale, a differenza dei soggetti normali → non impara nulla sullo spazio. Nel
topo normale diverse place cell si attivano per diversi punti dello spazio, in più quando due
zone sono molto vicine le place cell di quelle due zone scaricano in maniera sincrona, un
codice per rafforzare che le due posizioni sono vicine. Mentre nell’ippocampo del topo
normale queste zone sono codificate da pull di neuroni molto piccoli, quando il topo è
impedito l’animale ha in primo luogo una rappresentazione mentale degli spazi molto
degradata, inoltre le zone sono tutte scambiate, la mappa è incasinata.
Le relazioni tra memoria e plasticità sinaptica sono correlazioni o relazioni causali? Il
risultato va dimostrato.
PSICOBIOLOGIA DELLA MEMORIA

La memoria sta alla base della capacità di costruire uno storico di tutto, anche della nostra
vita, che ci rende quello che siamo. Avere uno storico significa avere una vita, sennò
saremmo robot. Senza memoria non si può avere una costruzione continua, infatti anche
gli animali più semplici hanno una forma di memoria. La memoria non è solo quella
semantica, ma anche emotiva, imparare per esempio che uno stimolo è nocivo, cosa che
condiziona la nostra risposta. La memoria ci fa costruire un’identità, ma come si fa a
costruire un meccanismo cerebrale che rappresenti l’informazione e la mantenga nel
tempo? Per riconoscere un’immagine, per sapere, nel nostro cervello ci deve essere una
memoria che quella cosa è quella che noi conosciamo con delle determinate
caratteristiche. Per ora abbiamo visto meccanismi online, ma la memoria non funziona
nell’immediato, costruisce il passato.
La memoria è una delle funzioni più importanti del cervello, conoscerla vuol dire capire
alcune delle funzioni di base, che potrebbe favorire l’apprendimento, ma anche capire
come sono immagazzinate le memorie traumatiche per un giorno poi poterle richiamare e
rimuovere. Tra i metodi di indagine ci sono gli studi su pazienti, come il caso storico del
paziente HM per cui si scoprì che rimuovendo alcune parti precisamente ci furono precise
conseguenze, le tecniche di neuroimmagine, visto che coinvolte nei processi di memoria
sono le aree temporali mediali, la stimolazione Transcranica Magnetica, dove si dà una
corrente elettromagnetica ad un’area specifica che impedisce ad un modulo cerebrale di
funzionare temporaneamente per vedere cosa succede e per cercare dei nessi causali.
Sugli animali si possono fare più studi come provocare lesioni, studi di neuroimmagine,
studi di PE, registrazione dell’attività di singole cellule o di array di cellule (l’attività di una
cellula dipende sempre dal contesto).
Ci serve una tassonomia dei processi di memoria, che ci possono fornire i modelli
cognitivi. Anche se prendiamo in considerazione un solo tipo di memoria come quella a
lungo termine lo studio è complicato perché ci sono delle differenziazioni di sottoprocessi
specifici, come per esempio la differenziazione tra memoria dichiarativa che può essere
distinta in memoria episodica (a sua volta divisa in autobiografica o no) o memoria
semantica, che vengono elaborate dal lobo temporale mediale, dal diencefalo e dalla
neocorteccia, o memoria non dichiarativa.
Il caso più importante per la memoria dichiarativa è stato il caso HM, da cui si è capito che
la memoria dichiarativa è prevalentemente a carico dell’ippocampo. L’ippocampo però è il
magazzino dove vengono immagazzinate le memorie, la struttura che le forma, la struttura
che le trasferisce da memoria a breve termine a memoria a lungo termine o tutte e tre?
Che ruolo specifico hanno queste aree? Molte delle discussioni sul ruolo delle aree sono
ancora in corso. Gli attacchi epilettici di HM avevano inizio nelle regioni mediali basali dei
lobi temporali ed era un soggetto farmaco resistente, quindi gli vennero asportati
l’ippocampo e l’amigdala in maniera bilaterale. Dopo l’operazione era affetto da amnesia,
ma il deficit che mostrava era specifico, c’erano cose che poteva fare e cose che non
poteva fare, da qui l’idea che i casi neurologici possano guidare nell’analisi dei processi.
Per esempio nella dissociazione se io credo che un processo sia formato da un
sottoprocesso A e B dovrebbe essere possibile trovare un soggetto con una lesione ad A
che mostra il deficit x e un caso con una lesione a B che mostra il deficit y. Così si gha una
prova chiara che i processi non sono tutti insieme ma sono separati. HM non era in grado
di conoscere nuovi ambienti, cioè non era capace di formare nuove memorie, in particolar
modo per la familiarità dei luoghi. Faceva fatica anche a riconoscere le nuove facce. Ma
mentre non riusciva a ricostruire facce o posti visti, poteva costruire nuove abilità motorie o
migliorare quelle esistenti. Aveva un deficit di memoria retrograda, quella che va dal
momento dell’incidente indietro nel tempo, quindi la rimozione aveva tolto parte delle
memorie che erano in una fase di mantenimento. Le informazioni di memoria a
lunghissimo termine c’erano, ma memorie di un periodo più ristretto precedente
all’incidente non c’erano. Quindi si inferisce che la memoria deve essere acquisita,
consolidata, e poi immagazzinata trasferendola da un’altra parte. Quindi ippocampo e
amigdala formano le memorie, ma una volta lì, in un tempo abbastanza lungo, anche di
qualche anno, migrano da un’altra parte, più nello specifico nella neocorteccia. Nel caso
HM sono state colpite quelle che non avevano compiuto questa migrazione. HM non
presentava deficit di memoria anterograda dichiarativa a breve termine, quindi nel
breve termine poteva mantenere una memoria anterograde, visto col test del digit scan.
Aveva però un deficit della memoria anterograda dichiarativa a lungo termine, cioè la
memoria ha un processo iniziale e finché è a breve termine gli restava disponibile, ma
quando doveva entrare nel processo per diventare a lungo termine egli aveva un deficit.
HM dimostrava un deficit di memoria anterograda procedurale a breve termine, dove
non riusciva a imparare una sequenza al di fuori di uno spam tipico di memoria a breve
termine. Tuttavia non presentava deficit nella memoria anterograda procedurale a
lungo termine, come vedevano dai test della copia allo specchio. Le aree coinvolte nella
parte di esecuzione del compito conservavano la memoria anche se lui coscientemente
non aveva ricordo di aver fatto quella procedura. Le ricerche successive hanno dibattuto
su quali aree si dedichino a quali funzioni.
Squire conviene che la memoria a lungo termine è un’entità unica che media la memoria
dichiarativa, di tutti i tipi, sia episodico che semantico, senza distinguere tra le strutture.
Cohen e Eichenbaum affermano che le regioni paraippocampali che coinvolgono anche la
corteccia perineale rappresentano item isolati, sono dei cluster dove posso mettere
singole memorie, ma l’ippocampo è fondamentale per i processi che sono context-rich,
ovvero sapere per esempio dove hai visto le persone. Quindi esistono due processi, uno
che memorizza i fatti, e uno che li lega ad un significato contestuale.
Aggleton e Brown distinguono due sistemi indipendenti: insistono che il sistema talamico
perineale mediodorsale riconosce la familiarità, mentre la parte anteriore dell’ippocampo si
occupa della memoria episodica e based on recollection, cioè farebbe il recall, ovvero il
richiamare la memoria per riconoscerla. I sistemi interagiscono ma vengono considerati
come distinti.
Non è chiaro quale sia l’ipotesi giusta perché gli studi sono recenti. Ci sono degli indizi non
chiari. Non si riesce nemmeno a separare le funzioni per struttura. Si pensa che il
riconoscimento visivo degli oggetti sia a carico dell’ippocampo, ma la maggior parte di
questo tipo di memoria fa parte della corteccia perineale, quindi l’ippocampo prende solo
parte al processo. Sappiamo che a livello di riconoscimento spaziale l’ippocampo ha un
ruolo fondamentale, dato che si è visto che la grandezza dell’ippocampo è correlata
all’essere tassisti e al tempo speso a fare i tassisti →via via che memorizzavano i nuovi
spazi avveniva prima un cambio di attività nell’ippocampo poi la neurogenesi, ovvero la
creazione di nuove unità. I tassisti avevano un ippocampo più sviluppato dei non tassisti e
questo sviluppo era direttamente proporzionale al tempo speso a fare i tassisti. Per
esempio le strutture fondamentali per il riconoscimento visivo secondo la teoria di Mishkin,
Murray e Bussey sono nella parte mediale del lobo temporale. La parte entorinale si trova
nella parte più centrale e poi è circondata dalla zona perineale e così via. Si ritiene che il
flusso di informazioni tra le strutture coinvolte nella costruzione delle memorie e quelle che
possono fungere da magazzino finale vada dall’ippocampo alle aree associative
unimodali e polimodali. Ci deve essere uno schema per cui l’ippocampo riceve
informazioni dalle aree associative. Le aree associative mandano l’informazione alle
cortecce perineali e paraippocampali che la passano alla corteccia entorinale, entrata
e uscita del loop ippocampale, dei processi dell’ippocampo.
L’ippocampo è una struttura a forma di cavalluccio marino o fornice, morfolgicamente
diverso nelle varie specie, ma anche uguale per la struttura, per la suddivisione in aree,
perché la creazione di un processo di memoria dichiarativa è uguale in tutte le specie.
L’informazione entra ed esce dalla corteccia entorinale ma le fasi di entrata e di uscita
vedono CA1 non come l’entrata ma come l’uscita, senza sequenziamento. Le informazioni
in entrata entrano attraverso la via perforante con connessioni eccitatorie e arrivano al
giro dentato, dove arriva l’informazione della corteccia perineale, poi attraverso le fibre
muscoidi si possono mandare informazioni attraverso connessioni eccitatorie alle cellule
piramidali in CA3, più in particolare al corpo cellulare. Poi l’informazione gira per le
collaterali di Schaffer attraverso connessioni eccitatorie alla CA1 da dove esce.
La memoria dichiarativa è presente nell’umano a livello cosciente, ma nell’animale va
dedotta. Negli animali si parla di memoria dichiarativa quando si parla di memoria
spaziale, ma alcuni dicono che va chiamata ippocampus-related. Ma solo in questo modo
deduciamo la memoria dal comportamento dell’animale. Vengono fatti esperimenti con dei
labirinti dove è nascosto del cibo: se dopo un po’ di trials l’animale si ricorda che c’è del
cibo in uno specifico braccio è più propenso ad andare lì. Una vera mappa spaziale non è
body related, ma è costruita con coordinate spazio topiche. Nel Morris Maze, dove il topo
per riposarsi dal nuoto deve trovare una piattaforma rialzata sotto il filo dell’acqua, si
eludono i riferimenti visivi e via via che il topo si costruisce una mappa spaziale il tempo
che ci mette ad arrivare alla piattaforma diminuisce, ma più che altro passa più tempo nel
quadrante della piattaforma. Nei topi normali questi processi funzionano, dimostrano di
avere un’aspettativa della posizione della piattaforma. È sufficiente lesionare l’ippocampo
per avere deficit di memoria dichiarativa. Nel caso di RB era lesionata la zona CA1
dell’ippocampo, quella di uscita e lui mostrava la stessa amnesia anterograda di HM,
quindi vuol dire che CA1 veramente svolge un ruolo nella costruzione delle memorie, ma
aveva un deficit retrogrado meno grave, che fa supporre che le altre aree dell’ippocampo
sono coinvolte nella memoria retrograda.
Cellule specializzate nell’ippocampo, le place cell, sembrano fornire dei campi di
locazione, che corrispondono alla memorizzazione della posizione del soggetto nel
momento presente, per costruire un pattern spaziale. Bisogna avere anche una mappa
delle relazioni ma non tutte le strutture a destra e a sinistra degli emisferi svolgono lo
stesso ruolo. Sembra che la parte più coinvolta per una memorizzazione spaziale, come
decidere un percorso, sia l’ippocampo destro (emisfero destro → rappresentazioni
spaziali), mentre i processi di memoria verbale a lungo termine, come descrivere il
percorso spaziale da fare, sono a carico dell’emisfero sinistro. Nell’uomo c’è una
differenziazione che gli altri animali non hanno, perché abbiamo una produzione
linguistica, che sembra essere lateralizzata, che influenza tutti i nostri processi e porta
delle differenze enormi dagli altri animali.
Se descriviamo i processi come selettivi per le aree corticali manca la descrizione di alcuni
deficit mnemonici come nella sindrome di Korsakoff, associata all’abuso di alcool, che è
diencefalica. Infatti a livello del diencefalo ci sono delle strutture che hanno un ruolo nella
memoria, perché una degenerazione delle aree diencefaliche porta ad un deficit di
memoria. Anche le aree associative prefrontali, sede dell’esecutore centrale, sono
importanti, perché lesioni a queste aree danno vita all’amnesia della fonte, dove i
soggetti sanno il fatto, ma non si ricordano dove e quando l’hanno appreso, non hanno
ricordo del contesto. In effetti la corteccia prefrontale si attiva durante il recupero delle
memorie. Infatti delle strutture memorizzano le informazioni e altre strutture richiedono
l’accesso alle informazioni. Qualunque modello sviluppato non può tenere conto solo di
amigdala e ippocampo ma anche delle cortecce prefrontali e diencefaliche, collegate ai
diversi processi.
Come si formano le memorie?
Se formare una memoria significa apprendere e apprendere significa modificare il cervello
i processi che sono alla base sono il Long Time Potential, la Long Time Depression
(processi in cui l’attività sincrona e combinata di due cellule porta ad una riduzione
dell’attività postsinaptica perché il sistema deve sia poter essere in grado di cambiare le
cose aumentando l’attività sia riducendola) e le fasi di induzione (recettori NMDA) del
cambiamento e del mantenimento e consolidamento del cambiamento. Come si studia la
memoria? Si vorrebbero ottenere sia prove correlazionali sia fattori causali. Tra i fattori
correlazionali ci sono quelli che vorremmo manipolare sia a livello genetico (non far
esprimere un determinato fattore come una protein-chinasi e vedere cosa succede all’LTP-
danneggiamento della memoria spaziale → impedimento nella formazione di campi di
posizione) si a livello farmacologico. Vorremmo poi ottenere dei dati specifici: se è vero
che l’apprendimento spaziale è a carico dell’ippocampo allora ci devono essere dei
rafforzamenti sinaptici nell’ippocampo quando apprendo nuove informazioni spaziali. Se io
poi saturassi la plasticità sinaptica nell’ippocampo questo dovrebbe occludere e impedire
nuovi apprendimenti, la costruzione di nuove memorie. La prima evidenza è correlazionale
mentre le seconde due sono causa-effetto. Le evidenze correlazionali sono molte, mentre
quelle causa-effetto molto poche, al contrario di altri sistemi, come quello visivo. Si è visto
che difetti nell’induzione e nel mantenimento dell’LTP, ovvero il colpire selettivamente i
processi coinvolti in mantenimanto e induzione, come una delezione dei recettori NMDA
nel campo CA1, porta ad un’impossibilità di apprendimento → gli animali non imparano
nulla. Durante le fasi in cui questi mediatori non possono esprimersi si ha un deficit,
quando invece si riattivano si ha un processo normale di memoria. Ci sono poi trattamenti
farmacologici che lasciano intatta la fase precoce, ovvero la fase in cui attivando tante
volte la cellula presinaptica, la cellula postsinapticsìa cambia attività, ma impediscono la
fase tardiva, come il blocco di formazione di nuove sinapsi o ramificazioni dendrtitiche. In
questo caso la memoria a breve termine è intatta, come se essa si appoggiasse alle fasi
precoci dell’LTP, ma senza consolidamento si impedisce la memoria a lungo termine. Si è
visto che a seconda di quali fattori blocchi si ottengono deficit diversi, a breve e a lungo
termine. Delezioni dei recettori NMDA nell’ippocampo di un animale per esempio fanno sì
che durante l’esplorazione stessi neuroni si attivano per aree molto più grandi, quindi
hanno meno precisione, e stessi neuroni da un giorno 1 a un giorno 2 scaricano per zone
diverse, creando ma una grande confusione
Per le evidenze causali ci sono due tecniche distinte. Innanzitutto se veramente
l’ippocampo fa qualcosa se l’animale impara io dovrei notare cambiamenti morfologici
nell’ippocampo. McNaughton e Barnes poi vollero saturare la capacità dell’ippocampo con
stimolazioni esogene elettriche, impedendogli di formare nuove memorie motorie. Quindi
si tentò la codifica di una relazione causale andando a vedere cosa succedeva se si
saturava l’attività dell’ippocampo, impedendo nuove memorizzazioni. Finché si parla di
codifiche neuronali in loco, quello che si sta guardando è un consolidamento locale ma è
possibile che queste informazioni vengano elaborate per poi essere stabilizzate in un
momento successivo.
Il sonno svolge un ruolo molto importante nei processi di consolidamento. Quando
l’animale esplora luoghi vicini zone vicine vanno in sincrono, formando una specie di
metrica. La stessa attività delle cellule in fase di esplorazione viene trovata nel sonno
NREM, o a onde lente, come se venisse fatto un ripasso della codifica delle informazioni.
Sembra che il sonno serva a fare pruning, ovvero selezionare quali memorie tenere e
quali no. Durante il sonno a onde lente quindi le stesse strutture usate per l’esplorazione si
riattivano per fare un rehearsal.
Se la memoria viene mantenuta, come succede che alcune memorie diventano così a
lungo termine da essere inscalfibili persino da lesioni importanti? Per un certo tempo
l’ippocampo è anche il magazzino delle memorie dichiarative che crea, ma dopo un lungo
tempo le memorie migrano al livello della neocorteccia. Ad un certo punto le memorie
dichiarative devono diventare indipendenti dall’ippocampo, tanto che a quel punto quella
memoria sarà a lunghissimo termine. Sembra che differenti posti nella corteccia servono
da magazzino per le memorie semantiche e episodiche. Si presume che la corteccia
prefrontale sia importantissima per il mantenimento delle memorie. Nell’animale il tipo di
cellule attive della corteccia prefrontale per quella memoria sale dal primo giorno al
trentesimo, come se la memoria venisse consolidata nel tempo all’inizio dall’ippocampo e
poi dalla corteccia prefrontale. All’inizio è importante la parte dorsale dell’ippocampo, il cui
ruolo va a diminuire allo stesso tempo in cui il ruolo della corteccia aumenta, provando una
specie di migrazione. L’immagine si copia o si migra? Secondo i dati l’ipotesi più
favorevole è quella della migrazione. Riassumendo i fattori attraverso cui l’esperienza
conduce alla formazione di una traccia stabile di memoria, e quindi i fattori cruciali per la
formazione e il consolidamento di una traccia di memoria sono:
- recettori NMDA
- proteinchinasi, ERK, CREB, CBP
- fattori neurotrofici
La memoria non dichiarativa è una memoria implicita, ovvero una forma di memoria
ottenuta anche senza esserne cosciente. Nell’apprendimento associativo e nel
condizionamento classico, che se riguardano la muscolatura scheletrica sono a carico
del cervelletto, nelle risposte emozionali dell’amigdala, nel priming (dove se mi creano
un contesto per una parola noi lo completiamo con una delle tante parole già viste) a
carico della neocorteccia, nella memoria procedurale come le abilità motorie e
l’associazione risposta-ricompensa, a carico dei nuclei della base, del cervelletto, e la
neocorteccia (ricompensa), nell’apprendimento non associativo come i riflessi
(cambiamento del riflesso della plisia nel tempo) sono coinvolti processi di memoria non
dichiarativa. Gli apprendimenti sono quindi impliciti, per memoria non prendiamo in
considerazione la parte dichiarativa, ma la parte non disponibile a livello cosciente che
cambia il comportamento.
PSICOBIOLOGIA DELLA MEMORIA II

La memoria dichiarativa è a carico di circuiti neurali ben definiti da studi su pazienti, TMS,
imaging, che hanno permesso di identificare come substrato neurologico di queste
funzioni il lobo temporale mediale e delle zone della neocorteccia, specialmente con il
ruolo di magazzino a lunghissimo termine. Esistono altre forme di memoria, quelle di
memoria non dichiarativa, la memoria implicita che fa riferimento a fatti e capacità che
vengono acquisiti al netto della consapevolezza dell'individuo (es. migliorare in un
compito). Per studiare questi modelli di memoria si devono usare delle tecniche diverse da
quelle che si usano per la memoria esplicita. La memoria esplicita negli animali viene
riferita alla memoria spaziale, per dedurre la memorizzazione dal suo comportamento,
mentre negli uomini basta chiedere o verificare col linguaggio. Nel caso della memoria
implicita però tutto ciò è impossibile, visto che essa sfugge alla nostra coscienza. Sono
state create delle tecniche come il priming, dove si consente al soggetto di provare a
memorizzare qualcosa, compito che a lui sembra di fallire. Quando però poi gli viene dato
un compito di completamento egli tende a completare con l'informazione “non
memorizzata”. Siccome le strutture sono diverse il priming è solo identificato in maniera
generale nella neocorteccia. La memoria procedurale si rifà a delle abilità nella maggior
parte dei casi motorie, in cui si apprende un determinato compito; infatti se vuoi imparare
una procedura complessa devi provare molte volte ma ci deve anche essere nel sistema
un processo di memoria, per far sì che gli allenamenti calibrino il tuo sistema in modo tale
che il secondo giorno non riparta da zero. Per apprendere bisogna assolutamente avere
una memoria degli eventi passati, ma l'apprendimento non si può spiegare a parole. Se
riguarda l'apprendimento è coinvolta la neocorteccia, con tutte le aree associative
motorie, il cervelletto, e i nuclei della base.
Tutte le procedure di apprendimento semplici come il condizionamento, sono parte della
memoria implicita. Se la memoria implicita riguarda la muscolatura scheletrica si attiva il
cervelletto, se invece riguarda un apprendimento associativo, sono coinvolti i riflessi, ma
se è presente anche un emozione negativa viene attivata l'amigdala.
Tutte le forme di memoria implicita sono diverse per tipo di memoria, cosa che comporta
che i substrati neurofisiologici coinvolti siano diversi.
Essendoci varie forme esistono anche substrati diversi, nello studio di Dux il
condizionamento riguarda l'amigdala, mentre quanto si può migliorare con l'allenamento
coinvolge i nuclei della base, il cervelletto, che ha funzioni cognitive, è coinvolto nella
lettura, e addirittura sembra coinvolto in delle forme di memoria.
Cos'è il perception learning? Persino le elaborazioni sensoriali e percettive possono
migliorare con l'allenamento. I sistemi percettivi però sembrano abbastanza omologati,
l'informazione dalla periferia veniva trasportata alle aree superiori; come si può migliorare
questo compito? Probabilmente le aree associative superiori via via che vengono svolti i
compiti possono, con dei meccanismi top down, migliorare i circuiti dei sistemi percettivi,
con un loop a feedback negativo.
Il condizionamento classico quindi sembra coinvolgere dei cambiamenti nell'amigdala nel
cervelletto e nella corteccia. Quello che va capito è che si possono avere tipi di memorie
implicite prettamente mnemonici, che portano subito ad un cambiamento. Invece nella
memoria emotiva le strutture coinvolte sono quelle del sistema limbico e il cambiamento
avviene nel tempo.
Quali sono le prove che tutto ciò è coinvolto nelle forme di memoria implicita? Quando si
riesce a scoprire che l'acquisizione di una nuova memoria porta ad un cambiamento in
un'area questo rientra nei meccanismi Hebbiani di rafforzamento delle connessioni
sinaptici. Infatti se io ritengo che l'amigdala sia coinvolta in un apprendimento implicito di
paura, allora si dovrebbe avverare la condizione che se io creo una lesione a questa
struttura, che crea e immagazzina la memoria, dovrei rendere impossibile creare il fear
conditioning, cosa che dimostro facendo un esperimento su due gruppi di animali.
Prendendo due gruppi di ratti e confrontandoli prima della lesione ad uno dei due, si vede
che hanno la stessa reattività al fear conditioning, mentre dopo aver lesionato l’amigdala
ad un gruppo esso non reagisce più. Oltre a questo altri tipi di studi hanno dimostrato
questa cosa. Se l'amigdala si attiva selettivamente per una certa frequenza acustica,
ovvero sono tuned su 2 kHz, quando l'animale viene condizionato ad imparare che un
suono tra 4 e 5 kHz è collegato al primo, nel post conditioning questi neuroni hanno
cambiato il loro tuning per avere un picco di risposta a 5 kHz. Il cervello quindi non è fisso,
può cambiare il suo modo di lavorare per esempio per sintonizzare la sua risposta a
determinate frequenze.
Se poi si apprendono delle frequenze motorie si vede che se l'allenamento va avanti per
molto tempo c'è un cambiamento nell'estensione della rappresentazione nella corteccia
motoria delle dita. Un altro esperimento venne fatto su dei violinisti, che hanno una mano
un cui il pollice non fa praticamente nulla. La rappresentazione della mano sinistra è
innanzitutto molto più grande di quella della mano destra, ma addirittura nella mano
sinistra la rappresentazione della quattro dita era molto più grande di quella del pollice.
Si possono fare anche esperimenti sul modello animale per avere delle prove di causalità.
Un esperimento di Peotti allenava un animale a fare una determinata routine solo con una
zampa, poi veniva registrata l'attività corticale, con il vantaggio che siccome l'allenamento
era solo con una zampa, potevano vedere l'attivazione dell'emisfero specifico. La risposta
delle connessioni orizzontali nella primary motor cortex subiva un aumento per l'emsfero
trained rispetto al controllo. Cercò poi una reazione di causalità. Individuate le cellule dette
loro un livello di attività esagerato in modo che saturassero la loro attività nella zona
trained saturata il potenziamento a lungo termine spariva. Paradossalmente nell'emisfero
untraied c'era ancora disponibilità per i cambiamenti plastici, infatti quando si andavano a
dare queste stimolazioni su di esso si vedevano segni di LTP. L'allenamento quindi
potenzia una capacità ma limita la capacità assoluta che quella struttura ha di adeguarsi.
Ci sono altri tipi di apprendimento, come le procedure (quando sono in un certo punto
devo svoltare), che coinvolgono una forma di pianificazione e presa di coscienza, che
sembrano essere a carico dei nuclei della base. Essi sembrano essere coinvolti in forme
di condizionamento operante, più in particolare sembra essere coinvolto lo striato, che è
coinvolto sia nelle memorie non dichiarative che dichiarative. I nuclei della base ricevono
sia dalle aree associative motorie che dalle aree associative della corteccia parietale
posteriore e nella parte di striato sono quelli che rimandano informazioni al talamo che
rimanda informazioni alle aree associative, quindi hanno un grande ruolo anche nella
memorizzazione nelle conseguenze di determinati piani motori.
Apprendere si manifesta a seconda delle conseguenze di una determinata azione, si
impara perchè si associa quello che facciamo con la ricompensa e devo memorizzare da
qualche parte quest'associazione.
Un esperimento molto bello fatto dalla Berardi dimostrò che, facendo delle modulazioni di
fasi d'onda in modo tale da stabilire dei profili di dominanza che fossero più o meno
verticali, se un soggetto veniva allenato a fare un certo tipo di discriminazione, migliorava
tantissimo. Bisogna però allenare solo il riconoscimento parziale, non generale.
A livello della corteccia acustica primaria, se l'amigdala cambia il tuning coi processi di
condizionamento, questi processi di tuning avvengono anche in A1 → in una sezione di A1
erano stati identificati neuroni che rispondevano alle varie frequenze, se l'animale viene
condizionato a codificare una determinata frequenza, la quantità do neuroni dentro A1 che
arriva a rispondere per la frequenza condizionata si allarga, togliendo risorse alle altre
frequenze. Questi sistemi di plasticità sono legati a degli input colinergici, il cui bloccaggio
impedisce questi meccanismi.
Eventi spiacevoli possono portare a reazioni di paura, ma se questa memoria è presente
per lungo tempo quello a cui si può andare incontro sono vere e proprie sindromi di PTSD.
Una memoria deve essere creata, poi deve essere consolidata, per passare da breve
termine a lungo termine e poi deve essere mantenuta. Alcuni studi hanno dimostrato che i
meccanismi per il consolidamento sono distinti dai meccanismi del riconsolidamento. Ogni
volta che tu richiami una memoria, la puoi riconsolidare oppure scartare, infatti se un
soggetto impara una procedura motoria e gli si chiede di richiamarla tempo dopo
facendogli subito dopo imparare un'altra procedura, la traccia del primo apprendimento
scompare. Richiamare le memorie quindi pone la possibilità di poter rimetter quella
memoria in una situazione così modulabile che il fatto che il riconsolidamento la rende
labile possa aprire la strada a procedure psicoterapeute.
Esistono anche forme di memoria a breve termine e mentre i neurobiologi intendono per
breve termine anche un'ora gli psicologi cognitivisti intendono per breve termine qualche
secondo. La proprietà della memoria a breve termine è saturabile, invece non esiste un
limite alla memoria a lungo termine, anche se non è chiaro se ci sia un trade off tra quello
che impari e quello che dimentichi.
Inoltre mentre per la memoria a lungo termine la codifica non è legata allo stimolo di
richiamo, quando si memorizza qualcosa a breve termine c'è un errore delle caratteristiche
per cui per esempio posso confondere i nomi Lucia e Lucy, che sono codificate per
somiglianza. All'inizio non memorizzo per significato ma per caratteristica. Ci sono soggetti
che possono avere deficit di memoria a breve termine separati per una parte verbale o
visuospaziale. Infatti vale ancora il modello della memoria di lavoro, in cui la memoria a
breve termine viene divisa in due termini, il taccuino visuospaziale e il registro fonologico.
Nella memoria di lavoro non vuoi solo immagazzinare l'informazione ma anche elaborarla,
quindi per memoria a breve termine si intende la capacità di mantenere per un breve lasso
di tempo le informazioni; quando però vai a svolgere un compito, dove devo lavorare sulle
informazioni si parla di memoria di lavoro, utilizzata anche nei compiti pianificativi → torre
di Hanoy. La struttura neurofisiologica che sottende questo tipo di memoria è la corteccia
prefrontale, si pensa che nella corteccia prefrontale esista una specie di esecutore
centrale, che ricava le informazioni da circuito fonologico (parte inferiore della corteccia
parietale sinistra) e un taccuino visuospaziale (corteccia parieto-temporo-occipitale a
destra).
Indipendentemente da dove vengono messe queste memorie la corteccia prefrontale
svolge un ruolo in forme di memoria più complicate. Sembra essere coinvolta nelle
situazioni dove è richiesta una certa forma di intelligenza → ha infatti uno sviluppo
lentissimo, che finisce circa a 18 anni. La parte ventrolaterale, collegata all'amigdala
sembra essere collegata alle emozioni, mentre quella dorsolaterale sembra essere relata
i compiti A non B.
Nella parte non dichiarativa quindi i meccanismi sono molto diversi fra loro.

Potrebbero piacerti anche