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Neurologia

Lezione 20/11/2020

L’attività fondamentale del cervello è quella di inviare, ricevere ed elaborare messaggi. Quando il sistema nervoso è alterato, ci saranno delle
difficoltà nello svolgere queste attività.
Questo tipo di attività non riguarda solo l’Homo sapiens, ma è presente sin dalle muffe, organismi pluricellulari dotati di cellule in grado di
comunicare tra loro.
Gli studi sui lieviti hanno permesso di evidenziare una fase fondamentale nella vita sul nostro pianeta: il passaggio dagli organismi unicellulari a
quelli pluricellulari. Questo evento ha portato alla nascita della cooperazione tra diverse cellule, che è tipica degli organismi più complessi.
L’interazione viene mediata da molecole chiamate recettori.
Il cervello ha due proprietà fondamentali:
 Precisione di esecuzione
 Velocità di esecuzione: determinata dai neurotrasmettitori e dagli impulsi elettrici che si propagano molto più velocemente
rispetto, ad esempio, agli ormoni.
Tali proprietà sono assenti nei sistemi di ricezione degli stimoli provenienti dal mondo circostante; in particolare, nel caso della trasmissione
ormonale, uno stress o un cambiamento della temperatura esterna inducono modificazioni interne e una risposta dell’organismo, ma più
lentamente (impiegano minuti, ore o giorni). Situazioni di emergenza richiedono risposte in tempo reale, che il sistema ormonale non può
fornire poiché troppo lento. Se ci fosse solo questo sistema, la vita sulla terra sarebbe limitata a organismi unicellulari, ma nel corso
dell’evoluzione è comparso un sistema di comunicazione veloce per provvedere alla sopravvivenza e alla diffusione
della specie: il sistema nervoso.

Il neurone “A” in figura è la cellula del Purkinje, presenti nel cervelletto. Il paziente con lesione cerebellare è
relativamente facile da riabilitare.

Il neurone motorio, o cellula piramidale, è spesso colpito da malattie degenerative. In figura possiamo
vedere la sua degenerazione graduale (in parte fisiologica, dovuta all’età), fino all’ultimo stadio, che
corrisponde, ad esempio, ad un neurone motorio dei pazienti con l’Alzheimer. In questa degenerazione si
perdono progressivamente le sinapsi (i dendriti nello specifico), quindi non ci sarà più trasmissione
dell’impulso elettrico. Nel caso del neurone motorio all’ultimo stadio, vediamo che presenta un corpo, un
residuo dell’assone e nessun dendrite.
Il termine “neurone” venne coniato nel 1900 circa da Heinrich Wilhelm Gottfried Waldeyer-Hartz. Prima si
chiamava semplicemente cellula nervosa. Santiago Ramon y Cajal, invece, è colui che ha disegnato e colorato
il primo neurone.
Noi possediamo circa 100 miliardi di neuroni, a cui si aggiungono circa 100 miliardi x 10 volte di cellule
ausiliarie, che sono “di riserva”.
Luigi Alosio Galvani fu il primo a scoprire l’attività elettrica biologica, tramite degli esperimenti su una rana,
ma tale scoperta fu quasi casuale. Galvani ipotizzò una relazione tra elettricità e vita, definita “elettricità
intrinseca dell’animale”. All’inizio riteneva che il muscolo fosse un “serbatoio” di elettricità, poi dedusse che l’elettricità fosse prodotta e
trasmessa dal cervello, e controllata attraverso i nervi. Questa idea venne accolta con entusiasmo da diversi fisiologi, ma trovò l’opposizione di
Alessandro Volta, il quale credeva che la contrazione dei muscoli non fosse causata dall’elettricità presente nell’animale, ma fosse dovuta ad
una “irritazione” dei nervi.
Il nostro sistema utilizza dei segnali nervosi per farci capire cosa fare. Attraverso il segnale noi poi capiamo la funzione che andiamo ad
esaminare.
Nell’analisi di questi segnali, distinguiamo 3 livelli operativi del SNC:
1. Sinapsi: rappresentano il collegamento tra un neurone e l’altro. Ogni neurone può collegarsi con molti altri neuroni, più
precisamente da 1000 a 50.000 neuroni.
2. Organizzazione 3D: i neuroni sono organizzati in strutture tridimensionali altamente complesse; sono delle strutture colonnari.
Migliaia di neuroni formano insieme le colonne corticali e milioni di colonne formano gli strati corticali. Ci sarà una gerarchia di
funzionalità, che è importante ad esempio, nell’organizzazione gerarchica del movimento.
3. Attività sincrona: i neuroni sono caratterizzati da un linguaggio corale, che permette loro di effettuare correttamente una
determinata attività (ad esempio nel movimento ci deve essere una gerarchia nell’attivazione progressiva, come l’attivazione di un
agonista e l’inibizione di un antagonista). Questa buona organizzazione ci ha permesso di andare incontro ad un adattamento
evolutivo (cioè la capacità di generare impulsi): la necessità del linguaggio corale ha trasformato la cellula primitiva in un neurone. I
neuroni, infatti, cercano sempre di comunicare tra di loro, altrimenti, in caso di un cattivo linguaggio corale, si avrà un’alterazione
nella funzione.

Eric Kandel fu il primo a scoprire che il nostro cervello è diverso da quello degli altri esseri viventi perché è in grado di trasdurre un segnale. La
trasduzione del segnale è legata all’apprendimento e alla memoria, e permette ad esempio al paziente di capire le mie intenzioni e quello che
sto cercando di comunicargli. Quindi quando ci troviamo davanti ad un paziente dobbiamo capire quanto lui sia in grado di capire i nostri
messaggi. Se ad esempio, ha una lesione frontale, non avrà l’ideazione solida per poter eseguire un compito, allora stiamo perdendo tempo e
bisogna allora prima agire su queste componenti, che sono quindi quelle attentive.
Noi dobbiamo sempre osservare, in un paziente, segni e sintomi, ma soprattutto quello che si trova sotto ad essi. Infatti, segni e sintomi
rappresentano solo la punta dell’iceberg, mentre alla base c’è la causa di quel dato segno e sintomo. Se non effettuiamo questa valutazione
non saremo in grado di trovare la migliore strategia per far sì che quello che non funziona, si risolva.
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Un tempo si pensava che il cervello fosse organizzato in zone, ma adesso si sa con certezza che non è più così: il cervello funziona nell’insieme, i
vari lobi interagiscono tra loro.
Tornando al discorso dei segni e dei sintomi, è importante osservare e ragionare (observatio et ratio). Alcuni segni e sintomi non possono non
essere capiti, e alla base del loro riconoscimento, ci deve essere una buona teoria, come affermava Leonardo Da Vinci. La semeiotica sarà
fondamentale, dal momento che rappresenta lo studio dei segni e dei sintomi.
Ad esempio, il rush è un segno, mentre il prurito è un sintomo. Alla base di entrambi potrebbe però esserci l’herpes zoster, il morbillo, la
rosolia, l’acne.
Nel caso dell’ipomimia (consiste in una ridotta espressione facciale), che rappresenta il segno, la causa potrebbe essere: una malattia
muscolare come la Malattia di Steinert, la depressione, la schizofrenia o il Morbo di Parkinson. Nel morbo di Parkinson la figura del
fisioterapista sarà molto importante.
È fondamentale poi confrontare sia la parte destra che quella sinistra del corpo; tale osservazione può essere una guida importante; basti
pensare al caso in figura di una paralisi del nervo facciale (la signora quindi non è ipomimica, ma ha una paralisi del nervo facciale).
Attraverso la codifica, decodifica ed interpretazione dell’informazione proveniente da eventi biologicamente significativi e rilevanti, si è arrivati
allo sviluppo e alla maturazione della corteccia.

Noi possediamo un’area estremamente più sviluppata rispetto agli altri esseri da cui ci siamo evoluti. Questa
area corrisponde agli emisferi cerebrali. Secondo la teoria della “scala naturae”, l’evoluzione si presenta
lineare; specie più semplici si evolvono in specie più complesse, e nell’evoluzione del cervello aree nuove si
aggiungono ad aree più antiche dal punto di vista filogenetico. Successivamente questa teoria è stata superata,
a favore della teoria moderna, che vede l’evoluzione come un “albero della vita”. In particolare, afferma che
specie nuove evolvono da specie più antiche, e nell’evoluzione del cervello, la complessità deriva da un
processo di raffinamento delle strutture neurali già presenti nelle forme ancestrali, e quindi le regioni già
presenti aumentano di dimensione.

La corteccia cerebrale nell’uomo ha 6 strati, mentre ad esempio i primati e tutti gli altri esseri ne hanno di
meno. La differenza non sta nello strato più esterno della corteccia (la costituzione è la stessa), cioè lo strato plessiforme primordiale (PPL),
ma quello che cambia è quello che si trova sotto ad esso, come se fosse un sandwich, e quindi “la bontà è data dal contenuto del tramezzino”.
Il PPL appare per primo durante lo sviluppo del cervello dei mammiferi. Il progressivo rimaneggiamento del piatto corticale (CP), con aggiunta
di nuovi strati, conduce allo sviluppo del cervello di maggiori dimensioni dei mammiferi fino all’uomo. Quindi la differenza di spessore è
associata a differenze nei circuiti corticali, cioè una differenziazione funzionale.

Charles Scott Sherrington e Edgar Douglas Adrian, tramite i loro studi, giunsero alla conclusione che l’uomo, tra i tanti stimoli esterni che
subisce, attua una scelta ed organizza l’uscita motoria, che ha sempre una finalità particolare, cioè uno scopo. Sherrington definì questo
comportamento diretto verso uno scopo, come un’azione integrativa del SN. Questo è alla base dell’organizzazione gerarchica del SNC.
Ci sono quattro livelli in questa organizzazione gerarchica, che vanno a caratterizzare l’organizzazione di un movimento. Il primo livello è
situato nel midollo, il secondo nel tronco dell’encefalo e nel cervelletto, il terzo e il quarto nella corteccia motoria e premotoria

Vie motorie
La via motoria origina convenzionalmente a livello della corteccia motoria primaria M1 (area 4). È localizzata nello specifico a livello del giro
pre-centrale e presenta una rappresentazione somatotopica della corteccia motoria primaria, cioè il cosiddetto Homunculus motorio (studiare
l’homuncus motorio!). Da qui, quindi, parte la via piramidale, che coinvolgerà 2 neuroni (1° e 2° motoneurone). La rappresentazione
dell’Homunculus è legata al numero di segnali nervosi che raggiungono una determinata parte del corpo; infatti ad esempio la mano ha
bisogno di molti neuroni che gli permettano di effettuare un movimento più raffinato, e la stessa cosa riguarda i muscoli mimici. In poche
parole, più neuroni ho e più il movimento sarà raffinato.

La via piramidale (o cortico-spinale), decussa a livello del bulbo con la maggior parte delle sue fibre e successivamente fa sinapsi con il
secondo motoneurone a livello delle corna anteriori del midollo, per poi raggiungere il muscolo.
Esiste poi il fascio cortico-bulbare (o genicolato), che si porta ai nuclei dei nervi cranici, dal 3° al 12°, mentre il 1° (n. olfattivo) e il 2° (n. ottico)
si trovano superiormente e fanno un’altra strada. Ad ogni modo una lesione a questo livello, dai nuclei dei nervi cranici in poi, è periferica.
Ricapitolando nei nuclei dei nervi cranici dal 3° al 12° si verifica la sinapsi tra il 1° e il 2° motoneurone

Le vie discendenti (piramidali) hanno una disposizione particolare a livello dei cordoni del midollo. Dall’esterno verso l’interno, si distinguono
le sacrali, lombari, toraciche e cervicali. In caso di trauma midollare ci potrebbe dunque essere una maggiore compromissione delle zone più
esterne, quindi dei muscoli della zona sacrale, rispetto alle interne, quindi i muscoli cervicali, che risultano più preservati.
Anche le vie ascendenti hanno una disposizione particolare lungo il midollo, sia a livello del sistema antero-laterale, che a livello delle colonne
dorsali, anche se hanno una disposizione diversa tra di loro. In particolare, nelle colonne dorsali, la disposizione è “impilata”, quindi opposta
rispetto alla disposizione “a cipolla” che si riscontra nel sistema antero-laterale. Una compressione a livello delle colonne dorsali, quindi
posteriore del midollo, è probabile che determini un’alterazione simultanea di tutte le sensibilità in tutti gli strati, quindi contemporaneamente
sacrale, lombare toracica e cervicale. Nella compressione del sistema anterolaterale, la compromissione sarà invece consequenziale e non
contemporanea.
A livello delle corna anteriori avviene la sinapsi tra il primo e il secondo motoneurone.

LESIONE DA PRIMO MOTONEURONE


Nel caso di una lesione da primo motoneurone (o lesione centrale) verranno coinvolti più gruppi muscolari, ci sarà un aumento del tono
(ipertono) e un aumento dei riflessi (iper-reflessia). L’ipertonia in generale può essere plastica o spastica. L’ipertonia plastica riguarda le lesioni
da 2° motoneurone e quindi i pazienti extrapiramidali come i Parkinsoniani; l’ipertonia spastica riguarda invece le lesioni da 1° motoneurone e
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quindi pazienti piramidali (es. emiplegici), e in particolare questo aumento di tono sarà caratterizzato dal fenomeno del coltello a serramanico,
per cui il muscolo ipertonico, dopo un iniziale forte resistenza, cede bruscamente al tentativo di movimento.
I muscoli coinvolti dall’ipertono spastico in seguito a lesione da 1° motoneurone sono essenzialmente i muscoli antigravitari (quelli che ci
tengono in piedi), quindi flessori degli arti superiori ed estensori degli arti inferiori.
La conseguenza di una lesione di questo tipo è una paresi/plegia, e spesso è causata da ictus cerebrale (che di solito danneggia la capsula
interna, vicino ai nuclei della base), ma può essere data anche da lesione midollare, che dunque interrompono la via piramidale.
Un’altra caratteristica è l’andatura falciante dell’arto inferiore, per il fatto che i muscoli rimangono iperestesi (lo schema del passo viene
alterato e si perdono le sue componenti; tra le altre cose la coscia non è più in grado di flettersi sul tronco, né la gamba sulla coscia), e
l’avambraccio che rimane semiflesso e intraruotato (se lo si vuole mettere in estensione ci sarà il fenomeno del coltello a serramanico e quindi
dopo un’iniziale resistenza, cede), poiché sono i flessori a prevalere. Queste ultime due caratteristiche appena descritte, determinano la
cosiddetta andatura paretica spastica. Su questo non ci si può sbagliare.

Parlando di iper-reflessia, questa è dovuta ad una alterazione del circuito dell’arco riflesso. Se colpisco con un martelletto una parte del
muscolo (ad esempio il tendine rotuleo), questo si allunga (si stira) meccanicamente, e tale stiramento del tendine è percepito in particolar
modo dal fuso neuromuscolare, che porta l’informazione, tramite le fibre 1a, al midollo, nelle radici posteriori, e tutto ciò attiva gli estensori,
inibendo i flessori. Nelle lesioni piramidali questi riflessi sono accelerati, grazie ad una facilitazione nella trasmissione delle fibre 1a, e questa
ipereccitabilità che ne deriva, fa sì che non ci siano le vie che vanno a inibire l’organizzazione tra agonista e antagonista, e di conseguenza i
muscoli antigravitari prevalgono e risultano più vivaci.

Inoltre, ci sarà una atrofia della gamba (indice di una lesione vecchia) da non uso e non saranno alterate le vie della sensibilità.

LESIONE DA SECONDO MOTONEURONE


Nella lesione da 2° motoneurone (o lesione periferica), avremo invece il coinvolgimento selettivo di alcuni gruppi muscolari, l’ipo/areflessia
(quindi assenti), l’ipotrofia selettiva (es. bicipite ipotrofico rispetto al tricipite, non essendo innervato), e un leggero disturbo sensitivo. Se
sono presenti queste caratteristiche significa che il paziente presenta una lesione di tipo periferico del nervo.
Il secondo motoneurone esce dalle corna anteriore e partecipa selettivamente alla costituzione del nervo misto (nervo spinale), che ricordiamo
origina dall’unione delle radici anteriori e posteriori del midollo.

L’unica malattia, di tipo degenerativo, che presenta sia una lesione da 1° che da 2° motoneurone, quindi sia centrale che periferica è la Sclerosi
Laterale Amiotrofica (SLA).
In realtà può essere causata da una lesione midollare, magari dovuta a un’ernia o tumore che comprime il midollo inducendo sofferenza e
quindi una lesione da 1° motoneurone nelle zone sotto alla compressione, mentre al livello della compressione ci sarà una lesione da 2°
motoneurone.
Ricapitolando, i deficit di forza, che rappresentano un segno, possono essere dati da:
 paralisi centrale: 1° motoneurone
 paralisi periferica: 2° motoneurone
 miopatia: paralisi da lesione muscolare
…altrimenti non ci può essere deficit di forza.

Siringomielia
La Siringomielia è una malattia caratterizzata dal fatto che si crea una dilatazione all’interno del midollo spinale chiamata cavità siringomielica,
contenente liquor, che provoca alterazioni della sensibilità termica e dolorifica, mentre quella tattile non è compromessa.
La sensibilità tattile viaggia nel fascio spino-talamico ventrale, quella termo-dolorifica nel fascio spino-talamico dorso-laterale, poi decussano e
risalgono controlateralmente. Nel punto in cui decussano, le fibre che portano l’info termica e dolorifica (quelle tattili passano leggermente più
lontane), passano vicino al canale centrale midollare (canale ependimale), che durante la sua maturazione si chiude, ma basta poca pressione
per farlo riallargare e quindi riaprire. Questo canale origina a partire da quarto ventricolo, dove ci sono altri due fori per il passaggio del liquor.

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Ricapitolando, se il canale centrale midollare (canale ependimale) si allarga, la prima sensibilità che ne risente è quella termico-dolorifica,
mentre quella tattile non è compromessa.

Ad esempio, il paziente può avere la percezione del tatto quando tocca qualcosa, ma non ha la percezione del dolore, nonostante magari abbia
una brutta ustione. La perdita di queste sensibilità può essere graduale. Inoltre, se la cavità si allarga sempre di più, inizia a coinvolgere anche
le vie della motricità e può portare il paziente a camminare male o non camminare proprio, quindi l’intervento deve essere tempestivo per
evitare l’aggravarsi della situazione. In RM si vede chiaramente il midollo che sembra come se fosse “bucato al centro”.

APPROFONDIMENTO: Il liquido cefalorachidiano in condizioni normali scorre nello spazio subaracnoideo che avvolge il midollo spinale e
l'encefalo, e nel sistema dei ventricoli cerebrali, dei quali il canale midollare rappresenta il prosieguo caudale. Un eccesso di liquido nel canale
midollare prende il nome di idromielia. Quando il liquido determina una dissezione della circostante sostanza bianca e penetra nel midollo
spinale formando una cavità cistica allora si parla di siringomielia. Dal momento che le due condizioni spesso coesistono si parla spesso
di siringoidromielia.
È stato osservato che l'ostruzione del flusso del liquido cefalo-rachidiano nel canale midollare determina la formazione di siringhe. Questo si
verifica ad esempio in caso di malformazione di Chiari, aracnoidite midollare, scoliosi, disallineamento delle vertebre, neoplasie midollari, spina
bifida ed altro.

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Lezione 4/12/2020
Il movimento
Il movimento non è legato solamente alla partenza di segnali che provengono dall’area 4 (che corrisponde all’homunculus cerebrale: ricorda
che una grossa zona è rappresentata dalla mano, dal pollice, dal volto soprattutto dalla muscolatura della parte inferiore, dalla lingua) in
quanto oggi sappiamo che non si parla più di SISTEMA MOTORIO, ma di SISTEMI MOTORI:
- Sistemi riflessi: rappresentati soprattutto dai riflessi rotulei, bicipitali, tricipitali.
- Sistemi motori: che governano l’attività motoria ritmica (il pendolo del braccio durante il cammino che ci dà il segno di come questo
tipo di movimento sia iniziato volontariamente) che è un’attività di accompagnamento (gesticolare, attività mimica del volto).
- Movimento volontario

Il movimento volontario a sua volta per poter essere definito come tale deve possedere tutte e tre queste caratteristiche:
 INTENZIONALE: cioè è sotto la volontà, può essere iniziato in risposta ad uno specifico stimolo esterno o ad un pensiero (ho
l’intenzione di alzare il braccio destro e fare ciao con la mano); sono movimenti che vengono progettati oppure eseguiti in modo
diverso rispetto a quella che sarebbe la sequenza automatica (ad esempio invece di toccare con il pollice le altre dita in ordine parto
dal primo dito, poi vado al secondo, al quinto e infine al quarto; è un movimento sul quale dobbiamo riflettere)
 APPRESO: le “performances” migliorano enormemente con la pratica (un po’ come gli atleti)
 FINALIZZATO

Può poi essere classificato attraverso due sistemi: quello neurofisiologico e quello cognitivo.
Nel MOVIMENTO NEUROFISIOLOGICO il movimento viene definito come “di rampa” oppure “balistico”, “guidato dagli occhi o dal tatto”, “forte
o debole”, “piccolo o ampio”, “se è una flessione o un estensione”, “breve o lungo”, “unilaterale o bilaterale”
 Il movimento di rampa (in azzurrro): che nasce dalla corteccia cerebrale, che nella sua esecuzione va a finire su zone del cervello in un
circuito molto lungo, arriva all’area 4 e al muscolo. È il movimento che effettuiamo ogni giorno quando ad esempio prendiamo un
bicchiere, spingiamo una sedia, spostiamo un mobile ed ha come principale caratteristica quella di poter essere aggiornato durante
l’esecuzione in base all’esperienza sensoriale che stiamo utilizzando. Viene anche definito MOVIMENTO SERVO-CONTROLLATO
(controllato cioè dalle afferenze sensitive)
 Movimento ballistico: è un movimento che non è aggiornabile, ma deve essere appreso prima (se dovessi dare uno schiaffo non penso
alle varie azioni che dovrei mettere in atto come: allargare la mano, andare ad una certa velocità e tentare di colpire qualcosa perché
tutto ciò accade automaticamente; stessa cosa per quanto riguarda una carezza) questo significa che abbiamo imparato in precedenza
un gesto che non è più aggiornabile perché appunto lo abbiamo già appreso. È quindi un movimento che viene preso ed eseguito, come
quello di andare in bicicletta o in scii. Anche detto a CIRCUITO APERTO oppure PRE-PROGRAMMATO (lo devo pensare prima).

La vera differenza, però, la fa da un punto di vista COGNITIVO (secondo sistema di classificazione) il fatto che il movimento possa essere:
 Abile (SKILLED)
 Non abile (NON SKILLED)
Quindi al di là delle caratteristiche prettamente Neurofisiologiche, il movimento inteso come tale è quello che ha in sé l’abilità che significa
APPRENDIMENTO.

Se faccio un gesto atletico (tipo quello di stare sulla sbarra) il primo sistema che viene ad essere coinvolto è quello VESTIBOLARE (quello
dell’orecchio) il quale manda le sue informazioni non direttamente all’area 4 ma in altre zone (area 5, area 7 che si trovano sulla corteccia
parietale, poi vanno sull’area 6 ed infine all’area 4 dove inizia il movimento) che poi tra di loro parlano, colloquiano, progettano, elaborano.

Quando noi andiamo ad organizzare un piano riabilitativo (riabilitiamo un gesto, un atto motorio) alla base del tentativo riabilitativo ci sono
due elementi importanti:
1. L’assemblaggio del piano motorio
2. L’attuazione del piano motorio
Questo perché quando vado ad organizzare un movimento volontario questo può essere o innescato/iniziato in seguito alla somministrazione
di uno stimolo esterno (externally-cued) oppure in seguito ad uno stimolo interno che altro non è che l’idea del movimento (self-paced); sono i 2
tipi di movimento che noi dobbiamo in qualche modo stimolare.

Infatti, la “generazione” del movimento può essere suddivisa in tre momenti:


a) Preparazione: di un movimento semplice (in questo caso sto mettendo in atto un programma motorio) oppure di uno complesso
(qui invece sto organizzando un piano motorio)
b) Esecuzione: l’attuazione del piano motorio che abbiamo ideato
c) Controllo: può avvenire o a circuito aperto o servo-controllo

Perché bisogna differenziare queste cose? Perché quando andremo ad assemblare un piano motorio se siamo nella fase di apprendimento
(nella quale sono coinvolti: corteccia, cervelletto, gangli motori, nuclei del talamo) significa che stiamo creando un circuito per far sì che il
paziente apprenda un nuovo gesto; quando il piano è stato assemblato il pz. si rende conto di quello che deve fare e perciò ha imparato questo
gesto (ad esempio camminare) e non devo più assemblarlo.
Perciò l’assemblaggio avviene nella fase di organizzazione, nell’esecuzione si prende e si ripesca il movimento che avevo imparato e lo riattuo;
ovviamente in tutto ciò c’è il controllo.
Per attuare questo sistema operativo c’è stata la mano, c’è stato il cervello e non si sa ancora con precisione se è stato l’uso della mano ad
influire sullo sviluppo del cervello o il cervello che si è sviluppato e che ha permesso di avere una rappresentazione più raffinata della mano.
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Anassagora infatti già aveva affermato che “l’uomo è il più intelligente degli animali in virtù del possesso delle mani”. (Nell’uomo così come nel
gorilla, anche se in misura diversa, i centri più sviluppati sono quello della mano e quello visivo).

Quando si deve riabilitare un atto motorio è ovvio che non si può fare a meno della normale funzionalità del nostro SN centrale e periferico; se
ad esempio abbiamo a che fare con un pz. demente sappiamo che non possiamo interagire con niente perché la parte che cerchiamo di
“innescare” non la capisce e di conseguenza non è riabilitabile perché non c’è la parte della corteccia.
Per capire se il paziente è in grado di comprendere cosa gli vogliamo dire basta porsi di fronte a lui e chiedergli di imitare i nostri gesti (ciò che
vede): il paziente GUARDA, VEDE, APPRENDE, PROGGETTA ed ESEGUE.
Se questo però non avviene significa che ci troviamo di fronte ad un paziente Aprassico!
L’aprassia è l’alterata trasformazione dell’idea in movimento (se ad esempio ci viene chiesto di fare il segno della croce avendo imparato come
si fa eseguiamo il movimento) che viene infatti definita aprassia ideo-motoria. Perciò l’aprassico è colui che è incapace di eseguire un
movimento o pensato o imitato (ciò che vede o deve fare).
N.B: non c’è un deficit motorio, al pz. non mancano le dita né ha un problema di forza, il problema si trova nelle aree di organizzazione del
movimento (corteccia frontale, aree 9 e 46).
Quindi un paziente che avrà avuto nella sua storia un ictus in questa zona frontale è un pz. che sicuramente ha avuto o potrebbe avere una
aprassia (l’incapacità, appunto, di tradurre il movimento fra pensiero ed azione).

In questi esperimenti fatti da Kandel vediamo rappresentati i fulcri di spalla, gomito, polso e mano e la ricostruzione cinematica del movimento
di chiusura del finestrino dell’auto; vengono messe a confronto le ricostruzioni di un soggetto normale (dove il fulcro spalla e gomito è
perfettamente rappresentato ed il movimento ricostruito è regolare) con quelle di un pz. aprassico per poterne osservare le palesi differenze.

Disordini che riguardano il movimento


Qualora ci fossero dei problemi nel movimento le possibilità sono tre:
1. Ho un problema che parte dall’area motoria quindi dalla via piramidale per cui ho la SPASTICITÀ,
2. Posso avere un disordine del controllo del movimento che coinvolge i nuclei della base: in questo caso si hanno delle alterazioni
dell’iniziativa motoria e della quantità di movimento (se mi muovo poco vado verso le IPOCINESIE quindi Parkinson, acinesia e
rigidità; se mi muovo molto avrò invece le IPERCINESIE quindi tremore, distonie, mioclono, movimenti coreici, tic; poi ci possono
essere delle situazioni miste).
3. Infine, posso avere un disturbo del movimento a causa di un deficit del cervelletto che provoca un’alterazione nell’organizzazione,
nella coordinazione del movimento cioè l’ATASSIA.

Il paziente aprassico non si ritrova in questo schema perché per definizione non ha una lesione della via piramidale (altrimenti sarebbe un
paretico), né della quantità del movimento (paziente parkinsoniano) e non ha un disturbo nella coordinazione (altrimenti avrebbe un’atassia);
l’aprassico è un paziente che ha un’alterazione nel trasmettere l’idea del movimento senza disturbi centrali o periferici della mano; non c’è la
traduzione dell’idea in movimento senza alcuna lesione lungo le vie, la lesione è di fatto nelle connessioni. Nell’aprassico non devo cercare una
lesione sull’area 4, ma nelle zone 9 e 46 (e nelle aree più anteriori della corteccia) dove avviene l’ideazione del movimento.

ATASSIE
Quando parliamo di questo gruppo di malattie parliamo di fatto di un sintomo che ha tante cause, questo sintomo è l’ATASSIA ed è segno di un
mal funzionamento.
Al prof. interessa che noi lavoriamo come i neurologi: sentiamo la storia del paziente, ascoltiamo, diamo importanza all’anamnesi e soprattutto
dobbiamo stare attenti a vedere: quel segno “come è iniziato”, “da quanto tempo è iniziato” e “in quanto tempo è diventato grave”; questo
perché dopo aver inquadrato il disturbo bisogna anche capire in quale ambito ci dobbiamo muovere, cioè dobbiamo tener presente la
panoramica delle possibili sedi di lesioni che possono dare luogo a questo tipo di disturbo.
Generalmente sono 3, con un piccolo allargamento della visione si arriva a 4, i motivi per cui posso avere questo tipo di problema (atassia).

Gordon Holmes riscontrò questo sintomo in un paziente che aveva avuto una lesione nell’emisfero cerebellare destro da arma da fuoco; il
paziente raccontava che dopo aver avuto questo problema il suo braccio dx non era più in grado di fermarsi al tempo giusto, iniziare il
movimento nel tempo giusto, non riusciva più a “gestire il movimento”; in poche parole non riusciva a far sì che il movimento iniziasse o
terminasse quando decideva lui.
Per andare a parlare dell’atassia dobbiamo prima capire bene: cosa è il movimento (di cui abbiamo parlato sopra), che cosa è la postura e cosa
è l’equilibrio e come queste interazioni siano ben COORDINATE (per noi queste premesse sono molto importanti perché dopo aver detto
questo è stupido non riconoscere un disturbo di tipo atassico, perché è molto semplice).

La Postura è l’atteggiamento spaziale-tridimensionale del corpo quale risultante psico-fisica globale del controllo costante sulla
contrapposizione alla forza di gravità.
Prendiamo come esempio un signore che si tuffa nell’acqua da un trampolino: nell’arco di qualche secondo, non ha minimamente lo stesso
assetto posturale durante la caduta; così come per la ballerina (che gira su sé stessa) non ci sono due millisecondi uguali, uno è la sequenza
dell’altro. Dobbiamo quindi iniziare ad accettare il concetto che siamo di fronte ad una sequenza di fotogrammi che vengono messi in riga, in
serie in modo da avere il movimento (partiamo a rallentatore e lo mandiamo a velocità come se stessimo vedendo un film).
Questo ha interessato anche i fisici e i padri della biomeccanica come Alfonso Borelli che si accorse che mettendo sulle spalle un peso con
forma diversa (un tronco di cilindro ed una sfera) sicuramente questo avrebbe creato, per adattamento funzionale sia statico che dinamico,
degli assetti posturali assolutamente diversi.

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Affinché tutto questo sistema (il movimento) funzioni devono arrivare al cervello informazioni riguardanti: la propriocezione (quindi l’appoggio
del piede e la pelle; il primo apparato propriocettivo che abbiamo si trova all’interno dei fusi neuromuscolari che ci dicono in che posizione si
trova il nostro muscolo), il sistema vestibolare e quello visivo; queste informazioni vengono trasportate tutte dal midollo. Successivamente
deve esserci la volizione (cioè l’interazione di tutte quelle aree di cui abbiamo parlato prima, come ad esempio quelle dell’ideazione), poi un
feed-forward di controllo (che avviene attraverso i movimenti di rampa), dopo c’è il comando motorio, il movimento, l’informazione ed infine
questo circuito inizia nuovamente.

Tutto ciò si conferma tenendo conto che quando facciamo più cose importanti e che
abbiano un fine e più questi comandi, questi movimenti sono raffinati e precisi cioè ogni
movimento deve essere un movimento integrato (oggi non c’è più questa definizione di
un’azione integrata, oggi parliamo di integrazione sensori-motoria, quindi la parte
sensoriale e quella motoria sono un unicum che parlano, che partono dalle cortecce frontali
anteriori ed escono con quelle motorie; non c’è una zona del cervello che fa quello che gli
pare, tutto è sotto controllo).

Nella scorsa lezione avevamo detto che il sistema motorio è costituito da 4 componenti che
sono organizzate in modo gerarchico: al primo livello c’è il midollo, al secondo il tronco
dell’encefalo, la corteccia motoria e premotoria costituiscono il terzo livello ed il quarto
livello; ci sono poi due “regioni” che controllano queste componenti gerarchiche del
sistema motorio: il cervelletto e i nuclei della base.
Oggi andiamo a studiare proprio il cervelletto che regola il progetto e la realizzazione del
movimento e della coordinazione.

Quando parliamo di movimento intendiamo: un atto complesso che coinvolge molti gruppi
muscolari con funzione di agonisti, antagonisti e sinergizzanti (che entrano in gioco
insieme); il loro lavoro è regolato da una adeguata correlazione funzionale che si esplica a vari livelli.
Per quanto riguarda invece la coordinazione: è la normale utilizzazione di fattori motori, sensitivi e sinergizzanti nella realizzazione dei
movimenti; l’attività motoria risultante dipende da tutti i livelli di integrazione motoria.  che cos’è la coordinazione? È la perfetta
coordinazione di fattori motori e sensitivi per la realizzazione del movimento.
Quando, invece, manca questa coordinazione avremo l’atassia (termine greco che si traduce proprio come incoordinazione, quindi senza
ordine).
Tre sono le sedi coinvolte per cui posso avere un’atassia, può essere legata a problemi:
 Al cervelletto: atassia cerebellare (incoordinazione primaria)
 All’apparato vestibolare: atassia vestibilare (vertigini, nistagmo)
 Al sistema sensitivo: atassia sensitiva (disturbo propriocettivo). Non significa solo e solamente la pelle, ma è un sistema sensitivo quello
che viaggia lungo le vie sensitive; l’atassia sensitiva non è legata solamente al fatto che io non senta bene con il piede per terra (come
nei pazienti affetti da diabete che possono avere un’alterazione del nervo misto cioè una sofferenza della parte sia sensitiva che
motoria; il paziente che ha da molto tempo il diabete o che non lo controlla bene ha una polineuropatia cioè un deficit sia di forza che
di sensibilità in genere sulle porzioni distali sia delle gambe che delle mani, il cui andamento è disto-prossimale) quindi ciò che riguarda
le sensibilità più superficiali, ma anche le sensibilità profonde (che entrano nel midollo e continuano a portare messaggi sempre più
precisi verso il talamo e poi in corteccia); per atassia sensitiva si intende un’alterazione della coordinazione legata a lesioni della
periferia oppure all’interno del midollo.
 Lesioni nelle zone frontali o parietali che partecipano affinché il movimento sia ben coordinato.
Il termine atassia  è sinonimo di incoordinazione motoria in riferimento soprattutto alla statica e dinamica della marcia, ma è comunemente
riferito anche a disturbi dell’eloquio e dei movimento oculari.

Il cervelletto
Il cervelletto a differenza della corteccia cerebrale ha 3 strati e solo 5 tipi di neuroni eppure è un organo estremamente importante e solo da
15-20 anni si sta conoscendo qualcosa in più.
Il nostro cervello pesa più o meno 1.4 kg, il cervelletto rappresenta il 10% del suo volume (150g di sostanza), ma nonostante questo contiene
più del 50% dei neuroni cerebrali!
Tra le cose che dobbiamo ricordare: il cervelletto serve per la coordinazione e per il buon funzionamento di un movimento coordinato, ma in
senso moderno dobbiamo immaginarlo come una sorta di “vigile”, un “comparatore” che compara, appunto, ciò che devo fare con ciò che ho
fatto (è andato bene ok, è andato male ricomincia da capo).
Il cervelletto riceve informazioni dalla corteccia (si dice feed-back interno) soprattutto frontale, se ad esempio voglio alzare il braccio destro e
con l’indice andare a toccarmi il naso, questo atto motorio viene progettato nelle aree prefrontali, viene “ascoltato” dal cervelletto (in quanto
queste vie partono dalla parte corticale passano per il ponte ed arrivano al cervelletto) ed infine eseguo il movimento; quando ho eseguito
questo gesto sempre il cervelletto (attraverso la sua attività di controllo) sa se l’ho fatto bene grazie alle cosiddette “afferenze” dal mondo
esterno cioè dai propriocettori dell’apparato muscolare e quindi riporta alla corteccia se è tutto apposto. Il movimento è stato eseguito bene
quindi il cervelletto ha partecipato all’apprendimento di un nuovo sistema motorio.
Il cervelletto quindi riceve informazioni e confronta che quello che è stato fatto sia giusto!
Ma se invece di andarmi a toccare il naso come aveva detto la mia corteccia frontale alzo il braccio destro e mi tocco l’orecchio destro il
cervelletto dice “no guarda questo non era previsto, avevi detto un’altra cosa, hai eseguito un gesto sbagliato” (questo è il sistema che
utilizzeremo noi fisioterapisti per poter correggere questi movimenti in quanto dovremo essere in grado di saper intervenire sulla precisione,
sull’attenzione, su quando muovere, sulla preparazione motoria) (il discorso con cui per errori o per prove corrette il cervelletto entra
nell’apprendimento).

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Noi fisioterapisti possiamo riconoscere che un paziente è atassico o esaminando la coordinazione del corpo nell’insieme/in toto o attraverso
una valutazione segmentaria (significa un solo distretto corporeo).

Valutazione della coordinazione del corpo in toto


Nella valutazione della coordinazione del corpo in toto posso riconoscere un’atassia di tipo statico o di posizione (valuto se il paziente in
stazione eretta riesce a mantenere questa postura) oppure di tipo dinamico o di movimento (valuto il pz. durante il movimento cioè durante il
cammino)
 Un paziente atassico in modo STATICO non riesce ad essere perfettamente stabile con i piedi uniti; possiamo iniziare a vedere che il
paziente per non oscillare, per non essere così instabile è costretto ad allargare la base d’appoggio (in questo modo il baricentro cade più
al centro ed è ovvio che sia più stabile). Per riconoscere l’atassia statica si può utilizzare il segno di Romberg: posizione eretta e con gli
occhi aperti non sbando, alla chiusura degli occhi oscillo; in questa situazione il segno di romberg viene detto positivo e questo vuol dire
che siamo di fronte ad una atassia di tipo sensitivo.
Perché alla chiusura degli occhi peggiora?
Se voi vi ricordate la via sensitiva parte dalla periferia, sale lungo il midollo e arriva al cervelletto (ci sono vie dette spino-cerebellari che
iniziano dal midollo e finiscono nel cervelletto); queste vie ricevono un aiuto fondamentale dall’apparato visivo, ma anche da quello uditivo
(ad esempio noi saliamo e scendiamo le scale di corsa perché mettiamo sempre in atto l’equilibrio che è aiutato dalla parte visiva,
immaginate di dover fare qualcosa del genere con all’improvviso la chiusura degli occhi togliendo quindi alla funzione dell’equilibrio un
elemento importante rappresentato dall’aiuto visivo dell’occhio).

Se il romberg sarà positivo possiamo esser fieri della nostra intuizione in quanto la lesione è sicuramente lungo il midollo; il romberg si dice
invece negativo se il paziente già in posizione eretta e con gli occhi aperti sbanda un po’ a destra e un po’ a sinistra e quindi la chiusura
degli occhi non mi porta un drastico cambiamento. In questo caso la lesione è sicuramente nel cervelletto.

Se viene da noi un pz. che ha un’atassia lungo la via sensitiva è ovvio che iniziamo un po’ ad indagare e gli poniamo domande del tipo: “lei
è mai caduto?” “ha una frattura vertebrale?” perché dobbiamo capire prima di iniziare la terapia se c’è stato un trauma che può in qualche
modo farci venire l’idea che possa esserci una causa secondaria.
Un’altra cosa importante che dobbiamo chiedere al paziente è “da quanto tempo sbanda in questo modo?”; se ha questo problema da 1
giorno/1 settimana/1 mese la situazione cambia perché in neurologia l’evento acuto si presenta per un problema che è di recente
insorgenza quindi dopo un evento vascolare oppure dopo un evento traumatico, se invece è insorto più lentamente bisogna pensare ad
altre cause.

 Per quanto riguarda l’atassia DINAMICA durante la marcia, cos’è che vedo? Vedo sostanzialmente che i pazienti hanno problemi nel
mantenere una linea dritta durante il cammino (si dice infatti andatura a zig zag oppure andatura dell’ubriaco); anche qui se “l’andatura
dell’ubriaco” si presenta la domenica mattina dopo il sabato sera vuol dire che ci possono essere cause dismetaboliche da intossicazione:
alcool, sostanze, se invece appare dopo che ho subito un trauma vuol dire che si sta creando qualcosa che sta dando fastidio al midollo
oppure al cervelletto (a seconda che il romberg sia positivo o negativo).

Esistono poi delle atassie definite bizzarre:


DISBASIA: alterazione della deambulazione (non ha una corretta sinergia).
ABASIA: incapacità assoluta a stare in piedi/a camminare.
Attenzione a quelle che possono essere delle andature strane, bizzarre come quelle degli isterici!
Il cammino è indicativo per noi per lo meno in 3 situazioni: o è un cammino con un’andatura di tipo falciante che indica quindi una sofferenza
della via piramidale, o è un’andatura di tipo extrapiramidale detta “a piccoli passi” con un incertezza nella fine e nell’inizio del movimento
(parkinson) o abbiamo un’ andatura di tipo miopatico; se abbiamo un paziente la cui andatura non è riconducibile né alla via motoria,
piramidale o extrapiramidale, né a quella miopatica vuol dire che siamo di fronte ad un’andatura di tipo isterico (quelli che cadono un po’ a
destra un po’ a sinistra, vanno avanti e indietro, cadono in ginocchio si rialzano).
Quindi già osservando come cammina un paziente possiamo capire dove sta la lesione.

VIDEO:
In questo video la paziente viene fatta alzare ed una volta in piedi possiamo apprezzare come le punte dei piedi non stanno mai ferme perché
cercano di agguantare il più possibile il terreno a terra.
Riepilogando: la base è allargata (se così non fosse cadrebbe immediatamente), i piedi sono quindi allargati distanti l’uno dall’altro e le dita
cercano di muoversi per creare un equilibrio sui muscoli che non sono coordinati; cerca l’equilibrio anche con le mani, con le spalle e infine lo
riesce a trovare.

Questo pz. è affetto sempre da un’atassia di tipo statico: ritroviamo anche qui una base allargata anche se in questo caso in maniera molto più
evidente (sta un po’ peggio della signora), cerca di oscillare, di compensare per mantenersi in equilibrio, le dita dei piedi si muovono in
continuazione (lui la definisce “danza delle dita”) per ricercare stabilità per poi cadere alla fine del video.

Passiamo ora ad osservare l’atassia dinamica:


Anche qui si osserva una base allargata anche per girare, andatura molto instabile e quando gira deve scomporre il movimento; quando gli
togliamo il carrellino ad ogni appoggio le dita non stanno ferme e la situazione peggiora perché risulta molto più instabile

Anche su questo paziente è ben visibile la base di appoggio allargata, braccia “a bilanciere”, preoccupazione nel camminare quando si inverte
la marcia; con una buona terapia il paziente riacquisisce una sicurezza nel cammino perché lo abbiamo rieducato.

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Per rendere più difficili le cose, per cercare di tirare fuori il segno utilizziamo la cosiddetta “marcia in tandem”: si chiede al pz. di camminare
mettendo un piede davanti all’altro come se dovesse camminare lungo un filo e vediamo cosa succede; ovviamente il paziente non ci riesce e
senza l’aiuto dell’esaminatore sarebbe caduto più volte (anche in questo caso il ragazzo tende ad alzare le dita dei piedi per cercare un
equilibrio).

Domanda: l’atassia statica e dinamica si manifestano sempre contemporaneamente oppure ci sono dei casi in cui si presenta l’una o l’altra
forma?
Quando avrò una patologia conclamata allora il paziente in causa presenterà sia una atassia statica che dinamica; all’inizio della
sintomatologia, invece, si presenta soltanto un’atassia statica (i primi segni mi dicono che il paziente non riesce a stare bene in piedi però
riesce ancora a camminare abbastanza bene), poi andando avanti nel progredire della malattia posso avere, soprattutto se sono malattie
degenerative, un’atassia dinamica. La presenza di entrambe le forme in contemporanea è dovuta ad un danno acuto dovuto ad una lesione
improvvisa midollare oppure possono esserci delle lesioni acute di altro genere come una mielite, un’infiammazione all’interno del midollo,
posso avere un’alterazione dovuta a malattie infiammatorie come la sclerosi multipla, a cause vascolari come un’improvvisa ischemia o ictus.
In questi casi abbiamo valutato un’atassia statica e dinamica che significa esaminare la coordinazione del corpo nel suo insieme, ma abbiamo
detto che esiste anche l’atassia segmentaria.

Per coordinazione segmentaria si intende una distribuzione corretta di contrazioni, decontrazioni muscolari nello spazio e nel tempo
relativamente a ciascun segmento del corpo che si effettua attraverso:
 Stasia: capacità di mantenere in equilibrio statico un segmento corporeo (una sua alterazione si esplica in un tremore di tipo statico)
 Uniformita’: regolare continuità del movimento (l’alterazione provoca un tremore cinetico)
 Eumetria: riguarda la regolare ampiezza e direzione del movimento
 Sinergia: armonica e tempestiva entrata in gioco di gruppi muscolari coinvolti nei movimenti elementari che compongono un
movimento complesso
 Cronometria: tempestività nell’iniziare e terminare un movimento
 Diadococinesia: capacità di eseguire movimenti alterni ripetitivi con rapidità e regolarità (ritmocinesi)
Ci sono dei movimenti che possono essere indicativi di una alterazione/mancanza di coordinazione segmentaria:

C’è un’altra caratteristica che si associa sempre e solo nei pazienti atassici: l’IPOTONIA che può essere valutata prendendo un braccio del
paziente e andandolo a muovere ci rendiamo conto che la sua escursione rispetto all’altro braccio (sano) è maggiore.

Una cosa importante che spesso troviamo nel paziente a supporto della presenza del quadro atassico è il TREMORE; molto spesso questo
tremore è prevalentemente di tipo statico, un tremore posturale che peggiora alla chiusura degli occhi.
Un altro sintomo importante è l’ASINERGIA, l’asinergico è colui che non è in grado di far entrare in gioco nei tempi corretti tutti i gruppi
muscolari che sono coinvolti in un movimento complesso; il movimento risultante è frammentato e scomposto nelle sue parti costituenti,
l’atto non è armonioso: interruzioni irregolari, accelerazioni, deviazioni.
Se metto un paziente con le spalle contro il muro e gli chiedo di camminare lui normalmente sposta in avanti il tronco e inizia a camminare, il
paziente che invece ha un’asinergia importante nel movimento iniziale non presenta quella coordinazione/quella sequenza completa nel far
avanzare prima le spalle, poi il tronco e quindi iniziare il cammino per cui cade all’indietro.
Babinski fu uno dei primi che si interessò a questi pazienti ed è proprio per questo che l’asinergia può essere definita o come “grande asinergia
o asinergia della marcia di Babinski” (non controllo del tronco durante il cammino) oppure come “piccola asinergia di Babinski o asinergia
segmentale” (l’esaminatore si siede davanti al paziente e gli chiede di raggiungere con il piede la sua mano; il paziente “piccolo asinergico”
trova difficoltà oppure non riesce proprio ad eseguire questo compito).
Questa frammentazione/scomposizione dei movimenti che caratterizza l’atassico la possiamo osservare anche durante l’eloquio; il modo di
parlare diventa quindi slegato, non è più controllato in modo giusto ed elegante per cui la parola viene frammentata, diventa scandita o
addirittura esplosiva (si abbassa e si alza all’improvviso) perché non riesce ad essere modulata.

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VIDEO PT.2
Qui vediamo la prova indice-naso, va verso il naso punta l’obiettivo e vediamo che durante il “tragitto” è presente tremore!
Nelle foto a destra possiamo osservare la difficoltà della paziente nel coordinare il movimento; inizialmente la pz. ha in mano la penna e il
cappuccetto e deve tentare di chiuderla (ed in qualche modo ci riesce); dopo lei ha tra le mani solo la penna mentre l’esaminatore ha il
cappuccetto, la task è sempre quella di raggiungere il cappuccetto per chiudere la penna ed anche se con qualche difficolta ci riesce perché la
penna occupa molta più superficie nella percezione rispetto al cappuccetto (quindi anche se ha un bersaglio piccolo ha una grossa
propriocezione); la situazione peggiora quando si invertono i ruoli (la pz. ha il cappuccetto e l’esaminatore la penna come vediamo nelle
immagini) questo perché il cappuccetto è molto più piccolo quindi trova più difficoltà a centrare la penna.
Questi sono i movimenti della diadococinesia

Qui vediamo un esercizio per la “piccola asinergia di Babinski”: vediamo che la paziente trema nella partenza e nel raggiungimento del dito, se
gli si sposta il bersaglio vediamo che ha difficoltà nel raggiungerlo (o va più in alto oppure più in basso); lo raggiunge con un ipermetria cioè
travolge tutto perché manca appunto una coordinazione.

In quest’altro esercizio si chiede di far scivolare il tallone lungo la cresta tibiale dell’altra gamba e la paziente non ci riesce (l’esercizio viene
fatto svolgere da entrambe le parti).

Atassia di Friedreich
Se la malattia non insorge all’improvviso, ma lentamente in modo subdolo (alcuni bambini iniziano ad avere questi problemi nell’età
adolescenziale) parliamo soprattutto di atassia di FRIEDREICH (esordisce nei bambini prima dei 20 anni).
(non gli interessa più di tanto che sappiamo queste cose, ma dobbiamo sapere bene il quadro della sintomatologia che ho messo sotto).

Molto spesso questa è una situazione che viene ad essere associata a delle alterazioni scheletriche quali: la cifoscoliosi ed il piede cavo; bisogna
stare molto attenti a questi 2 segni!
Bisogna stare attenti se il bambino/ragazzo sente male il senso di posizione delle dita del piede e se ha disturbi nella discriminazione (riconosce
se faccio il segno della x o un cerchio sul dorso del piede?)

Tornando al discorso della “gerarchia” muscolare possiamo vedere questo semplice esperimento:
Se mettiamo una persona sopra una piattaforma che si muove da davanti a dietro il soggetto come risposta posturale per non cadere
all’indietro si inclina in avanti; se il paziente sta bene dobbiamo ritrovare un’attivazione sequenziale del gastrocnemio, del bicipite femorale e
dei muscoli paraspinali cioè di tutti quei muscoli che si trovano sulla catena posteriore. Lo spostamento in avanti della piattaforma mi porta,
per non cadere, ad avere come risposta posturale un’inclinazione posteriore e vediamo che si inverte l’attivazione e la gerarchia muscolare:
subito il tibiale anteriore, poi il quadricipite e infine gli addominali. Questa è la giusta risposta posturale ad un problema che l’atassico NON HA!

DOMANDE: L’atassia quindi si può sviluppare sia da un solo emilato del corpo sia da tutte e due oppure ci sono atassie che si sviluppano o solo
da una parte o solo dall’altra?
Generalmente quando ho una lesione localizzata del cervelletto, per esempio a livello dell’emisfero sinistro, avrò dei sintomi tutti omolaterali
alla mia sinistra: diadococinesia a sinistra e a destra no, ipotonia a sinistra e a destra no (tutto è lateralizzato nella misura in cui il disturbo è
legato ad una lesione precisa: lesione sinistra del cervelletto, lesione sinistra del midollo, lesione sinistra periferica); andando avanti la
situazione non deve cambiare.

Se invece inizio ad avere un’atassia della marcia (che è un’atassia di tipo degenerativo) significa che ho un’alterazione del cervelletto,
un’atrofia (sembra un albero senza foglie); questa situazione mi porta ad avere non più una lateralizzazione ma una sofferenza in zone
cospicue del cervelletto che quindi non soffre in un solo settore, ma su tutti gli emisferi (quindi la componente simmetrica ci dà l’idea che ci
troviamo di fronte ad una sintomatologia di tipo degenerativo).

Se il mio paziente ha un disturbo prevalentemente su un emilato nella riabilitazione mi dovrò concentrare di più su quell’emilato?
Si riabilitate solo una parte, ma dopo sarete costretti per riabilitare la sequenzialità bimanuale (prima flessione sinistra poi destra della mano,
oppure apertura e chiusura alternata delle mani; è il cervelletto che dà il giusto timing per la corretta organizzazione) a far sì che entrambi gli
emisferi concorrano a riabilitare la parte lesa, destra o sinistra che sia (dobbiamo sempre tener conto che il lato sinistro aiuta quello destro e
viceversa).

Quindi i due emisferi comunicano ai due emisferi cerebellari in maniera lateralizzata, cioè il destro al destro ed il sinistro al sinistro?
Il cervelletto manda informazioni controlaterali agli emisferi, ma ci sono anche degli studi che dimostrano che il cervelletto possa mandare sia
segnali omolaterali che controlaterali agli emisferi.
Un esperimento fatto dalla NASA ha messo in luce che se noi per tre giorni camminassimo solo con le mani, quando andremo a rimetterci in
piedi avremo la nausea ed il vomito perché il cervelletto ha rimaneggiato la funzionalità del cammino, in altri termini il cervelletto è molto
plastico nella sua attività.

Per quanto tempo un paziente atassico dovrà fare fisioterapia?


Non c’è un tempo preciso perché dipende dal tempo di recupero; una volta recuperato, poi, il paziente continua di fatto ad effettuare ciò che
sta facendo e perciò si continua a riabilitare.

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Se la riabilitazione è più di tipo motorio avremo un trattamento più a lungo termine; quelli che hanno una patologia di tipo degenerativo
(come l’atassia di friedreich) è chiaro che dovranno fare riabilitazione in modo costante perché i neuroni degenerano e quelli che rimangono
(che ancora non sono degenerati) devono “apprendere” la funzione lesa.
Se invece l’atassia fosse dovuta ad esempio ad un emorragia, con il migliorare della stessa e con una buona riabilitazione è verosimile che dopo
qualche mese il paziente possa fare a meno della fisioterapia.

Lezione 11/12/2020
Malattia di Parkinson
Breve riassunto dei disordini del movimento:
Prima di andare avanti coi disordini del movimento facciamo un breve riassunto dello schema della lezione scorsa.

Come possiamo vedere dallo schema, se ho un problema al primo motoneurone o in generale alla via piramidale avrò una “sindrome
piramidale” (come nel caso di ictus). Se ho un problema al cervelletto, non avrò disturbi legati alla forza o alla sensibilità, ma solo legati alla
coordinazione (atassia). Oggi parleremo della categoria dei disturbi del movimenti inerenti ai gangli della base. Questo schema è
estremamente importante perché ci dà una panoramica chiara di quelle che sono le cause di un’alterazione del movimento (“sono queste, non
ce ne sono altre”).

Ipocinesia
Riguardo ai disordini dei gangli della base, da un punto di vista semeiotico, andremo a vedere cosa succede quando ho un paziente con
un’ipocinesia (rallentamento del movimento – di cui parleremo oggi), con un’ipercinesia o quando presenta segni sia di una che dell’altra
(disordini misti), situazione un po’ più rara che noi non tratteremo mai come ad esempio le convulsioni, i manierismi o la sindrome delle
“gambe senza riposo”. Di queste ci basta sapere che esistono ma la loro cura spetta ad altre figure professionali. Nel caso della malattia delle
gambe senza riposo il paziente, che ha già una malattia di Parkinson , ha una sorta di sensazione di bruciore e irrequietezza a carico degli arti
inferiori che cessa però nel momento in cui si alza dal letto e comincia a camminare. Può capitare infatti che il paziente passi le notti anche
senza poter dormire perché ha la forte esigenza di alzarsi e camminare, per sedare in qualche modo il senso di bruciore e irrequietezza della
gambe di cui parlavamo prima. Questa sensazione, dovuta a uno squilibrio recettoriale, si tratta con la somministrazione di farmaci (dopamina-
agonisti) che generalmente sono utilizzati nei pazienti con il Parkinson.

Strutture coinvolte nell’ipocinesia:

Poiché il Parkinson rientra in questa categoria, iniziamo una panoramica sulla fisiologia di base e quindi sulle strutture coinvolte in questa
condizione. Il Parkinson infatti è una delle patologie che si hanno in seguito a una disfunzione a carico delle strutture che stiamo per vedere. La
zona in questione è situata piuttosto centralmente e internamente nel nostro cervello. Come sappiamo nella parte più esterna del nostro
cervello c’è la corteccia, dotata di sostanza grigia. Questa stessa sostanza grigia la troviamo anche nella porzione più interna e centrale,
raccolta in determinate zone (nuclei): qui troviamo i nuclei della base.

Come possiamo vedere nella prima immagine, i nuclei della base (chiaramente sezionati) sono:
 Il putamen (verde),
 Il globus pallidus (rosa)
 Il caudato (giallo).
Nella seconda immagine possiamo notare che il caudato (viola a forma di antenna di ma in bu, da non confondere con la parte viola
tondeggiante che è il putamen- insieme formano lo striato) è un nucleo molto grande, che inizia frontalmente con la testa, prosegue
posteriormente con un “ginocchio” e termina, di nuovo frontalmente ma più inferiormente, a livello di un’importante struttura sempre di
materia grigia che è il nucleo dell’amigdala (ricorda che col termine “nuclei” in generale ci riferiamo a un addensamento di materia grigia per
cui anche strutture come amigdala e talamo sono considerati nuclei).
Questa connessione neuronale tra caudato e amigdala è estremamente importante. Come sappiamo l’amigdala è un nucleo coinvolto nella
parte emotiva e sappiamo quanto sia importante l’emotività nel movimento. In chiave riabilitativa questo è molto importante saperlo; basti
pensare quanto possa influire una sensazione di gratificazione di un paziente nel suo movimento e quindi nel suo recupero. Ecco perché
nell’apprendimento di un movimento, durante una riabilitazione, è importante anche una componente di “piacere” e di “ricompensa”. Inoltre
quando il caudato degenera darà dei disturbi che sono caratterizzati da un aumento del movimento , ovvero un’ipercinesia, che però vedremo
la prossima volta.
Oggi invece analizzeremo quelle strutture che alterandosi provocano un’ipocinesia (e quindi anche il Parkinson). Parliamo infatti di strutture
quali la sostanza nera (principalmente) (in nero e in basso nell’immagine di prima), il nucleo rosso e il putamen , che come vedremo alterano
(riducono) la “quantità” del movimento (ipocinesia) e la loro degenerazione causa i cosiddetti “Parkinsonismi” (tra cui il Parkinson stesso).
Come possiamo notare si tratta di strutture diverse da quelle della via piramidale, parliamo infatti di disordini del sistema extrapiramidale.
Questo significa che parleremo di disordini della regolazione dell’attività motoria senza coinvolgimento diretto della forza muscolare, della
sensibilità o della coordinazione.
Una volta che queste strutture corticali degenerano e quindi (come vedremo dopo) anche i circuiti che li collegano, verranno alterati tutti
quelli che sono chiamati “movimenti espressivi”.

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PARKINSON
Il Parkinson è una patologia degenerativa del SNC caratterizzata clinicamente da:
 Bradicinesia,
 Rigidità muscolare
 Tremore
ed anatomopatologicamente dalla degenerazione dei neuroni della zona compatta della sostanza nera nel mesencefalo ventrale e di altri
nuclei pigmentati tronco encefalici, come il locus coeruleus ed il nucleo motore dorsale del vago.
Il Parkinson è una malattia degenerativa cronica e progressiva del SNC, conseguente alla degenerazione delle vie dopaminergiche (neuroni)
della sona compatta della sostanza nera nel mesencefalo ventrale e di altri nuclei pigmentati (locus coeruleus e nucleo motore dorsale del
vago).
Il Parkinson è dovuto soprattutto (ma non solo) alla degenerazione della substanzia nigra. Questa struttura, non funzionando più bene, altera
tutti i collegamenti tra essa e altre strutture come il putamen o il caudato. A loro volta questi nuclei, avendo ricevuto delle informazioni
alterate, manderanno informazioni altrettanto alterate alla corteccia tramite il talamo. Poi la corteccia risponde controllando l’attività dei
nuclei, per cui l’iniziativa, l’ideazione e l’esecuzione del movimento è si vero che sono influenzate dall’organizzazione funzionale dei nuclei
della base ma il ruolo principe spetta sempre alla corteccia. Quest’aspetto è estremamente importante! Il motivo , come vedremo più avanti, è
che se ho un paziente coi nuclei della base danneggiati, non andrò a far leva direttamente su di essi (perché appunto funzionano male), ma su
ciò che mi è rimasto funzionante, ovvero la corteccia. Dovrò lavorare su di essa per sopperire in un certo senso al deficit dei nuclei, (ricorda che
la corteccia invia segnali di gestione ai nuclei).

Nell’immagine seguente di sinistra possiamo vedere i collegamenti di cui parlavamo prima. Non ci interessa sapere nello specifico il tipo di
informazione, ma solo i collegamenti in sé. Come dice la definizione di prima, i neuroni della sostanza nera costituiscono le vie
dopaminergiche, cioè sono dei neuroni che utilizzano la dopamina come neurotrasmettitore. Accanto vediamo invece la sostanza nera
degenerata in un paziente col Parkinson.
Qui sotto possiamo notare la progressiva degenerazione cronica dei neuroni dopaminergici della sub. nera:

La malattia del Parkinson prende il nome da James Parkinson. Questo nome però in realtà gli viene assegnato diversi anni dopo da Charcot il
quale riconobbe che il primo a parlane e scoprirne i tratti distintivi fu proprio Parkinson. Egli aveva infatti notato che i pazienti con questa
malattia (che lui chiamava "paralysis agitans”) tremavano non quando dovevano eseguire un movimento, ma quando stavano a riposo. Inoltre
vide che erano pazienti rallentati nel movimento (da qui paralysis). La cosa importante da sottolineare è che il tremore (involontario) non si
aveva quindi durante l’esecuzione del movimento ma a riposo. Ecco quindi che possiamo distinguere questa condizione di tremore da quella di
tremore cinetico (durante l’esecuzione) tipico dell’atassia. Il parkinsoniano infatti , il movimento indice-naso (vedi lezione prima) lo fa bene.

Il tremore del parkinsoniano è un tremore lento e che esce fuori quando il paziente è distratto o si emoziona. Capito questo concetto, al
momento della valutazione, dobbiamo capire quindi se il paziente effettivamente trema a riposo. Ricordiamoci che a riposo non significa fermi
ma in posizione neutrale o comunque in assenza di sforzo da mantenimento. Se infatti ad esempio il paziente pone le braccia in avanti (tipo
zombie per intenderci) e sta fermo, questa non si può considerare una posizione da riposo perché il paziente deve comunque impegnarsi per
mantenere la postura.

Immaginiamo di trovarci di fronte al nostro paziente e che questo poggia le sue braccia sulla nostra scrivania (quindi sta a riposo perché non
deve sforzarsi di mantenere quella postura). A un certo punto notiamo che comincia a tremare. Se invece vediamo che il nostro paziente non
trema o trema poco possiamo cercare di evocare il tremore puntando sul fattore emotivo che come sappiamo lo influenza.
Ecco quindi che ad esempio durante l’anamnesi gli chiederemo della sua famiglia, dei suoi nipoti in modo da sollecitarlo emotivamente. A un
certo punto notiamo che questo coinvolgimento emotivo innesca il tremore. Un altro modo per esasperare la condizione di tremore, per
poterlo meglio valutare, può essere la consegna di un compito. Chiediamo al paziente quindi di elencarci in ordine i mesi dell’anno, poi al
contrario o ancora a saltare, un mese si e uno no. Noteremo che man mano l’impegno del compito aumenta , aumenterà anche il tremore del
paziente. Rimanendo sempre all’interno della valutazione, una delle prime cose che notiamo in un paziente col Parkinson è la sua mano.
Questa ha un movimento anomalo tipico dato appunto dal tremore che prende il nome di “segno del contar monete”.
Un altro segno molto caratteristico riguarda la scrittura, anch’essa associata al tremore della mano. La scrittura del parkinsoniano prende il
nome di “Micrografia” in quanto va via via rimpicciolendosi sempre di più. Per valutare questo segno, molto semplicemente, chiediamo al
paziente di scrivere liberamente o anche di fare tante E o tante O ad esempio. Tutte queste piccole ma importanti valutazioni mi servono per
individuare meglio la condizione posturale del paziente e una sua eventuale deformità ad esempio.

Come dicevamo nella parte relativa alle strutture sottocorticali coinvolte, i movimenti fortemente alterati in un paziente col parkinson sono
quelli “espressivi”. Si tratta di movimenti che non si limitano alle semplici espressioni facciali (sorridere, piangere), ma sono tutti quei
movimenti che accompagnano il tono muscolare, le percezioni, le emozioni. Sono un esempio di movimenti espressivi il pendolo del braccio
durante la deambulazione e la mimica facciale. A proposito del pendolo del braccio, va detto che questo si verifica , in una persona sana,
quando siamo in procinto di fare il primo passo, ovvero quando abbiamo deciso di camminare. In particolare all’avanzare del piede nel primo
passo, corrisponde un avanzamento del braccio controlaterale (come un pendolo appunto). Chiaramente poi avrò una serie di movimenti a
pendolo del braccio ogni volta che faccio un passo in avanti col piede controlaterale durante la deambulazione. La velocità del pendolo inoltre
aumenta all’aumentare della velocità di deambulazione.
In un paziente col parkinson ci accorgiamo subito che l’escursione di movimento del pendolo è ridotta, il braccio sta quasi fermo. A questo
proposito soffermiamoci un attimo su un aspetto estremamente importante. Le vie extrapiramidali che vanno dal mesencefalo (subtantia
nigra) all’effettore (ad esempio l’arto superiore che oscilla) decussano durante la loro discesa nella porzione controlaterale, cosa che avviene
come sappiamo anche nelle vie piramidali. Ciò significa che se ad esempio nella prima fase del parkinson, la prima parte della substantia nigra
che comicia a degenerare è la parte destra, avrò delle alterazioni (tremore, ipocinesia e rigidità) nel movimento dell’arto superiore sinistro.

Capiamo bene quindi che, tornando al pendolo nel cammino, se il paziente ha una degenerazione a destra del sub. nera , il suo braccio sinistro

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oscillerà molto poco. Un'altra cosa importante da notare nel precedente esempio è la progressione della degenerazione. Nelle prime fasi
infatti è un emilato quello alterato. Col passare del tempo, la degenerazione peggiora e il tremore ad esempio si avrà in tutte e due le mani.
Per i motivi che abbiamo detto sopra quindi è importante, in sede di valutazione, osservare la simmetria dei movimenti delle braccia durante il
cammino del paziente. Inoltre noteremo che il paziente, durante questo movimento di pendolo, seppur ridotto, sente dolore. Il motivo sta nel
fatto che l’arto superiore in questione (sinistro) presenta un ipertono plastico e da qui il segno della rigidità muscolare (l’ipertono impedisce
l’oscillazione). Dobbiamo stare molto attenti a saper discriminare questo tipo dolore, capendo che è dovuto alla rigidità muscolare e non ad
esempio a un problema legato a una periartrite (l’ipertono determina delle sollecitazioni alla spalla bloccata e si infiammano i muscoli della
cuffia dei rotatori, quindi si potrebbe pensare ad una periartrite).
Come faccio a distinguere i due tipi di dolore? Chiedo semplicemente di fare l’esercizio che vediamo nella foto sotto con entrambi gli arti
(prima uno e poi l’altro). Se i due arti non raggiungono la stessa altezza nel dorso, è presente una periartrite (alla spalla).

Slide sopra importante!


Tornando al Parkinson, abbiamo detto che il dolore alla spalla è dovuto all’ipertono plastico dell’arto superiore. È proprio l’aumento del tono
che non mi fa oscillare l’arto in maniera fluida e mi blocca il lavoro (anche se passivo) armonioso tra estensori e flessori della spalla durante il
cammino. Quindi quando il paziente cammina, la sua spalla, che per questioni di biomeccanica fisiologica tende a oscillare, sarà continuamente
sollecitata (come se volesse oscillare ma non può) e questo provoca dolore. I muscoli (in primis la cuffia) quindi andranno incontro ad
infiammazione ed evocheranno il dolore.
Ricapitolando, il pendolo è quindi “espressione” del camminino, lo accompagna.
Come detto prima la mimica invece è “espressione” del mio umore. Il paziente parkinsoniano è un paziente che ha una mimica alterata che
non è in sintonia con il suo umore; il suo viso non “esprime” ciò che sta provando realmente il paziente in quel momento. Chiaramente se vedo
una persona che ha un’alterata mimica non significa che questa abbia il Parkinson; ad essa dovranno associarsi altri segni, come la bradicinesia
nel cammino (andatura lenta e a piccoli passi) e l’asimmetria del pendolo. Già con questi pochi segni possiamo farci un’idea che il paziente
abbia il Parkinson.

Domanda: “il paziente si accorge che sta tremando anche se non si guarda le mani?”
Si, se ne accorge. Anzi, più se ne rende conto, più si preoccupa e più il tremore aumenta (si emoziona di più). Spesso infatti viene detto al
paziente di non preoccuparsi e di non dare importanza al fatto che sta tremando in quel momento (“faccia finta di nulla” o “faccia questo o
faccia quello col braccio”). Perché si dice quest’ultima cosa al paziente? Perché appena lo muovono interrompono il riposo e cessa il tremore.
Per capire bene questo concetto immaginiamo di vedere una persona col Parkinson che sta in televisione  L’emozione della diretta gli farà
aumentare il tremore per cui cercherà di mascherare questo tremore facendo dei movimenti “normali” come toccarsi il viso, spostare il
microfono o toccarsi il bottone della camicia.

Il Parkinson è una malattia in continua espansione in tutto il mondo. È una malattia che viene trattata a vita e da cui non c’è una guarigione: il
paziente se la porta per tutta la vita, come nel caso del diabete o un’ipertensione arteriosa. Con la terapia farmacologica e fisioterapica, oggi si
è in grado di raggiungere ottimi traguardi.

Come accennato prima la malattia di Parkinson fa parte della categoria dei “Parkinsonismi”. Esistono 3 tipi di parkinsonismi. Tra queste la
malattia di Parkinson, a cui facciamo riferimento in questa lezione, è l’unico parkinsonismo degenerativo di tipo primario. Questo significa che
tutti quei segni che abbiamo visto prima non sono per forza riferiti soltanto alla malattia di Parkinson, ma potrebbero essere segni di altre
forme di parkinsonismi. Per cui ad esempio posso avere persone che fanno uso di farmaci ( ad esempio schizofrenici o depressi per contrastare
i loro disturbi mentali) che vanno a bloccare i recettori della dopamina. Col tempo queste persone possono sviluppare segni che vengono
scambiati per la malattia di Parkinson ma non lo sono. Nel caso specifico queste persone possono sviluppare delle forme di parkinsonismo di
tipo secondario. Un altro esempio sono i tossicodipendenti in quanto alcune droghe (tra cui l’MPTP) possono portare a dei segni di
parkinsonismo. Per cui dobbiamo stare attenti se si presenta da noi un paziente tossicodipendente con sintomi secondari di parkinsonismo e
non scambiarlo per un malato di Parkinson. Questi segni secondari possono essere anche dovuti a lesioni (non degenerazione) delle strutture
sottocorticali di cui parlavamo prima. Pensiamo ad esempio un caso di ictus. Infine il terzo tipo di Parkinsonismi comprende delle situazioni che
risultano molto diverse dalla malattia di Parkinson con la quale però si somigliano per via di alcuni segni; ci saranno quindi dei segni totalmente
diversi (segni atipici). Questo terza tipologia prende il nome di parkinsonismi atipici (“plus” nella figura, prché prima si chiamavano così).

Spesso e volentieri può capitare che un paziente viene da noi fisioterapisti perché magari ha un dolore alla spalla che si porta da tanto tempo e
pensa che il problema sia di natura “meccanica”. Il suo quindi è un sintomo motorio che sta a noi capirne l’origine. Capiamo bene che questo
sintomo motorio, nel caso si trattasse di Parkinson, sarebbe soltanto la punta dell’iceberg. Questo significa che il paziente che ha avvertito
questi sintomi magari crede di aver un certo problema ma in realtà potrebbe addirittura nascondere una forma di Parkinson che era iniziata
molto tempo prima (secondo Braak anche 7-10 anni prima del sintomo motorio) e che ha manifestato i primi sintomi soltanto in quel
momento.
A questo punto possiamo distinguere due fasi:
1. una “pre-clinica” (o pre-sintomatica) che si ha prima del disturbo motorio (sintomo) e
2. una “post-clinica” (post-sintomatica) che si ha con la comparsa del sintomo motorio.

Nella FASE PRE SINTOMATICA, ci sono dei segni NON motori che possiamo andare a ricercare nel paziente e che in qualche modo possono
essere dei campanelli d’allarme. Tra questi segni abbiamo:
o I disturbi del sonno  Spesso infatti capita che il paziente faccia dei sogni molto agitati che lo coinvolgono a tal punto da farlo
alzare, scalciare o parlare a voce alta (una sorta di sonnambulismo).
o Un altro segno pre-clinico non motorio potrebbe essere un’alterazione dell’olfatto.
o Un altro segno ancora è dato dall’ alterazione dell’umore, risultano spesso depressi e giù di morale.

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o Infine ad accompagnare questo quadro pre-clinico e non motorio si può avere una situazione di stipsi. Capiamo bene quanto
questi segni si influenzino tra di loro. Se ad esempio non va in bagno, si preoccupa, va giù di morale e ha disturbi del sonno.

La comparsa dei disturbi motori (linea blu nel grafico) segna la fine della fase pre-sintomatica e l’inizio della FASE SINTOMATICA. Da qui avremo
dei disturbi conclamati che si associano a quelli motori e che aumentano all’aumentare della degenerazione.
Un importante aspetto della malattia del Parkinson riguarda l’età. Fino a qualche decennio fa si pensava che questa insorgesse soltanto in età
adulta e avanzata. Ad oggi invece sappiamo che il Parkinson può sorgere e dare i primi segni anche all’età di 30-40 anni.

La malattia di Parkinson non è una malattia solo legata strettamente al movimento e questo perché è stato visto che la sostanza nera non è
collegata solamente con la corteccia motoria ma anche con la zona limbica, sede delle emozioni e della memoria , con le corteccia frontale e
prefrontale, sede del comportamento e dell’ideazione del movimento (area 9 e 46).
Questa cosa James Parkinson non l’aveva prevista; per lui l’aspetto cognitivo e l’intelletto del paziente non erano compromessi. A questo
punto ci riallacciamo a quello che dicevamo all’inizio. Dato che ci sono questi collegamenti tra la corteccia (funzionante) e la sostanza nera
danneggiata, è compito nostro lavorare sulla corteccia per stimolare la gestione che questa esercita nel movimento e quindi anche nei nuclei
della base. Cosa faccio quindi? Cercherò di impegnare il paziente in movimenti volontari nuovi , che deve apprendere o in quei movimenti
dove ha bisogno di un certo impegno e di una certa attenzione in modo da coinvolgere e attivare la corteccia (pre-frontale, frontale e motoria)
“bypassando” e quindi sopperendo all’uso dei nuclei o del mesencefalo danneggiati.
La riabilitazione del parkinsoniano possiamo dire che si basa principalmente su questo. Per capire bene questo tipo di malattia e quindi per
poterla diagnosticare bisogna considerare un segno per volta perché altrimenti se li vediamo tutti nell’insieme non si comprende bene.
Secondo alcuni studi, la diagnosi del Parkinson si basa sulla combinazione di alcuni segni motori “cardinali” e sull’esclusione di sintomi “atipici”.

Segni motori cardinali della malattia di Parkinson: sono 4  3 fondamentali + 1


1. TREMORE: come detto prima è a riposo, cessa col movimento. È principalmente distale (es. mani)

2. RIGIDITÀ (SEGNO DELLE “TROCLEA”): la percepiamo andando a muovere un segmento corporeo del paziente. Essa è dovuta
all’ipertono plastico (da distinguere dall’ipertono spastico tipica della lesione piramidale).
Come distinguiamo il tipo di tono quando andiamo a muovere ad esempio il braccio del paziente? Nel caso in cui troviamo una
resistenza iniziale e poi questa cede bruscamente, allora abbiamo un ipertono spastico (meccanismo del “coltellino a serramanico”).
Nel caso di una rigidità plastica invece ho sia un coinvolgimento del muscolo agonista sia di quello antagonista, per cui quando vado a
muovere il segmento in questione (ad esempio provo a flettere il polso) sento una resistenza che non si esprime soltanto durante una
flessione o una estensione ma che è costante. Quindi man mano che forzo ad esempio in flessione e vinco la resistenza sentirò un
piccolo cedimento, uno “scatto” come se fosse una “ruota dentata” di un ingranaggio o ancora meglio una “troclea”. Da cosa è dato
questo “scattino”? Dagli organi muscolo-tendinei del Golgi. Come sappiamo questi sono dei recettori che si trovano nei tendini in
prossimità del ventre muscolare. Essi si attivano quando registrano un allungamento repentino del tendine in seguito
all’accorciamento muscolare e rispondono andando ad inibire la contrazione del muscolo in questione, per evitare che i tendini
vengano sollecitati ulteriormente. In questo modo il muscolo si rilascia e i tendini si detendono. In poche parole, nel momento in cui
noi andiamo a forzare la flessione della mano, ci stiamo apponendo alla resistenza offerta dagli estensori del polso. A questo punto per
evitare che i tendini degli estensori si lesionino (a forza di mantenere l’accorciamento muscolare ) gli organi muscolo tendinei del Golgi
si attivano e inibiscono per un attimo lo stato di contrazione degli estensori. Esattamente in quell’attimo , i muscoli estensori si
rilasciano quel tanto che basta per fare avvenire quello “scattino”; poi riprende il sopravvento l’ipertonia. Questo procedimento si
verifica più volte man mano che continuo a forzare la flessione, esattamente come una ruota dentata: a ogni scatto corrisponde una
risposta degli organi del Golgi.

3. BRADICINESIA: è il movimento rallentato (ipocinesia) in conseguenza del fatto che abbiamo un ipertono plastico e un rallentamento
anche dell’organizzazione stessa del movimento.

4. ESORDIO ASIMMETRICO: all’esordio, per i primi anni (2/3/4/5 anni) non avrò mai segni (es. la troclea o il tremore) in tutte e due le
mani. Se dovessi averle in tutte e due le mani il sospetto cadrebbe su altre cause, non il Parkinson. Questo perché, come abbiamo
visto, si ha un’iniziale degenerazione della sostanza nigra da una parte (es. destra) e poi questa raggiunge anche l’altra, causando dei
sintomi in modo simmetrico. Più dura a lungo questa asimmetria e meno grave e aggressivo è quella forma di Parkinson in quanto la
degenerazione avviene più lentamente.

Sintomi atipici
Se trovo anche solo uno di questi in fase iniziale, devo cominciare a pensare che si tratti di altri disturbi (ad esempio altri tipi di parkinsonismi).
Questi infatti sono più associati a una fase avanzata della malattia e non si presentano nei primi anni.
 Esordio simmetrico: quello che dicevamo prima.
 Instabilità posturale precoce: nella fase precoce della malattia (quindi nei primi 3/4/5 anni) il Parkinsoniano non ha instabilità
posturale. In fase di valutazione quindi vado a vedere se il paziente è instabile per cui farò dei test che consistono, come vedremo
dopo, nello spingere il paziente in avanti e indietro senza avvertirlo prima. Il paziente parkinsoniano (nei primi anni) se viene spinto
non cade, al massimo compierà delle oscillazioni o farà 3-4-5 passi (non di più) in avanti o indietro per evitare di cadere. Questo non
significa che il parkinsoniano non sarà mai instabile, questo discorso vale solo per la fase di esordio. Se infatti col passare degli anni la
degenerazione peggiora sempre di più (forma aggressiva) anche il parkinsoniano potrà avere instabilità e cadrà
 Decadimento intellettivo: è un segno che SE si ha, si avrà soltanto in una fase molto più tardiva del Parkinson. Se noto sin dall’esordio
un decadimento intellettivo dobbiamo pensare ad un'altra malattia e non al Parkinson.
 A questi si aggiungono anche allucinazioni, paralisi dello sguardo di verticalità e fenomeni di freezing (di cui pareremo più avanti).
Ricapitolando, se durante la valutazione notiamo che il paziente ha anche solo 2 dei 4 segni cardinali e non presenta alcun segno atipico, è

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possibile che si tratti di un caso di Parkinson, soprattutto se col passare degli anni i segni diventano 3 e poi ancora 4.

Nella tabella di sotto possiamo vedere un quadro riassuntivo dei sintomi motori e non motori del paziente col Parkinson. Per quanto riguarda i
sintomi autonomici vegetativi va detto che questi non devono esserci all’inizio della malattia. Nel corso degli anni però potrò avere dei
problemi di ordine vescicale ma non estremamente importanti, o magari potrò avere la pressione un po’ più bassa ma questo non è comunque
un segno fondamentale.

VIDEO:
Il paziente che andiamo a vedere nel primo video è un paziente di circa 50 anni. Come possiamo notare egli presenta un tremore a sinistra. Se
lo facciamo stare fermo a riposo, in stazione eretta e di profilo, non notiamo nulla. Osserviamo il momento in cui inizia a camminare. Appena
parte, sposta in avanti il tronco, non cammina in modo eretto. Si dice che quando cammina, il paziente “insegue” il suo centro di gravità in
questo modo, flettendo il tronco in avanti e accelerando. Durante il movimento noterò che sia le braccia che le gambe sono in semiflessione,
formando due angoli a livello del gomito e del cavo popliteo. Una cosa importante che osserviamo è che il tremore ha esordio asimmetrico:
trema con la mano sinistra che “conta le monete” e non con la destra; la fase di appoggio del piede sinistro è diverso da quello destro. In
particolare vediamo che il piede destro riesco a flettersi dorsalmente alzando la punta come avviene solitamente quando avanziamo col passo
e il sinistro invece rimane con la punta più abbassata quando avanza.

Per capire meglio se si tratta di un Parkinson inseriamo altri passaggi. Diamo quindi al paziente un piccolo oggetto e vediamo cosa succede.
Normalmente ci aspettiamo che dare un oggetto e dunque fornire al paziente un disturbo, un impegno in più peggiorerà la sua andatura,
andando a marcare ancora di più le problematiche del lato già sofferente. Ecco quindi che col tronco si sposterà ancora più in avanti e il braccio
(avambraccio sul braccio) di sinistra si flette maggiormente; non a caso gli faccio tenere la cartelletta con la mano sinistra.

A questo punto, vogliamo la prova di conferma. Sappiamo che se è davvero un paziente Parkinsoniano, nel momento in cui gli insegniamo e gli
facciamo apprendere un movimento nuovo, questo utilizzando la corteccia e bypassando i nuclei (vedi prima) , riesce a eseguire
tranquillamente il compito. Ecco quindi che gli proponiamo di camminare all’indietro (anche con il disturbo della cartelletta) e vediamo che
riesce a farlo, anche se magari pendola un po’ di più. Noi fisioterapisti dobbiamo quindi puntare su questa direzione.

Un aspetto molto importante, quando gli si chiede al paziente di camminare normalmente in avanti è il fatto che la deambulazione è un
movimento che risulta per la maggior parte automatizzato e quindi governato per lo più (non esclusivamente) dal sistema extrapiramidale (che
nel Parkinson sappiamo essere compromesso). I due momenti più controllati e volontari sono l’inizio e la fine , ovvero quando decidiamo
“volontariamente” quando iniziare a camminare o fermarci. Per questo motivo il tremore si ha immediatamente dopo che abbiamo deciso di
camminare, ovvero quando iniziamo il primo passo e immediatamente dopo che abbiamo deciso di fermarci, ovvero quando abbiamo concluso
l’ultimo passo. In un certo sento, il tremore si presenta durante quel movimento che è più sotto il controllo del sistema extrapiramidale.
L’inizio e la fine, che stanno più sotto il controllo piramidale (corteccia), essendo momenti più “volontari” non presentano il tremore. Dopo che
mi fermo però e sto a riposo riprenderà il tremore.

Domanda: “ la condizione di riposo è in relazione al segmento corporeo o a tutto il corpo?”


In relazione al segmento. Significa che se il paziente sta camminando , ma il suo arto superiore rimane comunque in posizione neutrale, questo
sta in posizione di riposo. Per questo motivo trema; il paziente infatti non sta facendo un movimento volontario con quella mano durante la
deambulazione. Ricordiamoci infatti che il movimento della mano è un movimento di pendolo, quindi di espressione di tutta la deambulazione,
per cui non è controllato in modo volontario.

In questo video possiamo vedere meglio il segno della Festinazione. Con questo termine intendiamo quel modo di deambulare che abbiamo
visto prima, col tronco flesso in avanti inseguendo il proprio centro di gravità. Il fatto di avere il tronco così flesso lo porta a squilibrarsi in
avanti per cui per non cadere insegue il proprio centro di gravità accelerando in avanti. In questo caso il paziente mostra in modo importante
questo segno al punto di avere necessità di un bastone per non cadere in avanti.

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Adesso andiamo a vedere un altro video di un paziente che questa volta è anziano. Anche qui possiamo notare una flessione del tronco in
avanti che però è molto più accentuata. Anche qui, il braccio malato (sinistro) pendola molto meno (rigidità). Appena diciamo al paziente di
fermarsi vedremo che cercherà di ritornare dritto col tronco (anche lui infatti lo porta in avanti quando inizia a camminare).

Quello che ci dobbiamo chiedere sempre, soprattutto quando siamo di fronte a un paziente come questo che flette molto il tronco, è se questa
posizione è frutto di un atteggiamento scoliotico, se è legato alla saldatura delle vertebre o ancora a una problematica di degenerazione
osteoarticolare. Dobbiamo quindi capire se siamo di fronte a una deformità posturale, legata ad un’alterazione della postura o se siamo di
fronte ad esempio a una spondiloartrosi. Come faccio a capire di cosa si tratta? Basta far mettere il paziente in posizione supina sul lettino. In
questo caso ci rendiamo subito conto che quella che poteva essere una malformazione osteoarticolare in realtà scompare. Questo significa che
il paziente ha un altro importante segno, ovvero la camptocormia. Con questo termine ci riferiamo proprio a quella posizione col tronco flesso
in avanti e con le gambe semiflesse che tende a peggiorare durante la marcia ma che scopare in posizione supina. La camptocormia pertanto è
una deformità posturale.
Come vedremo tra poco la camptocormia è una delle due possibili deformità posturale che troviamo in generale nei parkinsonismi
Qui di seguito vediamo le due possibili deformità posturali nei parkinsonismi: una sul piano sagittale e una sul piano frontale.

Anche in questo caso, nella figura di sinistra (omino di destra), devo capire bene di cosa si tratta. Devo sempre chiedermi a cosa è dovuta, se
ad esempio a una scoliosi o al Parkinson. Anche qui per capirlo, facciamo mettere il paziente nel lettino ma in decubito laterale e ci rendiamo
conto che la sua alterazione scompare: si tratta quindi di una deformità posturale che prende il nome di sindrome di Pisa in quanto , come si
vede dalla figura, il paziente sembra cadere da un lato.
Le deformità posturali non sono le uniche cose che rientrano nella valutazione della postura.

Come abbiamo accennato prima infatti, dobbiamo valutare se il paziente possiede o meno un’ instabilità posturale. Come sappiamo il
parkinsoniano nei primi anni non soffre di questa instabilità (nel senso che non cade) per cui per verificarlo devo fare dei test. In particolare
andrò ad eseguire il Test Di Fahn.

Il test si esegue mettendoci sempre alle spalle del paziente (per evitare che se cade si faccia male) e senza preavviso lo spingiamo indietro (o
avanti). Il paziente col Parkinson risponde con dei passi all’indietro (o avanti) per evitare di cadere e recupera la posizione spontaneamente.
Quando invece siamo in fase avanzata il paziente può essere instabile e cade.

VIDEO
Nel video a seguire andiamo a vedere altri segni caratteristici del Parkinson, come quello di camminare facendo piccoli passi e di avere
difficoltà proprio nell’iniziare la marcia (freezing).
La prima cosa che possiamo notare guardando il paziente è che non c’è mimica facciale, il paziente ha una faccia inespressiva , “ipomimica”.
Come si vede il paziente è stato fatto partire da uno spazio ristretto (tra due tavoli). Questo non è un caso ma è fatto apposta in quanto il
freezing si manifesta in prossimità di un restringimento che viene interpretato dal paziente come un ostacolo. Appena vede una strettoia si
blocca (si congela) e poi riparte perché deve riprogettare il movimento. Come possiamo notare nel video, quando invece si trova in un
corridoio, con la strada spianata continua a camminare tranquillamente senza fermarsi. Il problema si ripresenta quando il paziente torna
indietro e vede la porta. Questa cosa viene interpretata come un restringimento, un ostacolo che lo preoccupa e lo colpisce emotivamente e
per questo si blocca. Basta anche solo immaginarsi un ostacolo perché il paziente si blocchi. Una cosa molto importante a cui dobbiamo
prestare molta attenzione è il modo con cui il paziente si gira (a fine corridoio) per invertire il senso di marcia e tornare indietro. Solitamente in
una persona sana le prime a muoversi saranno le spalle, poi il bacino e poi i piedi. In questo caso la giusta catena di successione non viene
rispettata e ce ne accorgiamo dal movimento dei suoi piedi che presentano una “scomposizione del movimento”. Questo momento di
inversione di marcia è molto delicato in quanto il paziente rischia di cadere e rompersi il femore.

VIDEO:
In quest’altro video notiamo un altro paziente con un freezing ancora più importante. Questa volta la strettoia è rappresentata dall’apertura
dell’ascensore che viene ulteriormente ristretta (volutamente) dalla presenza del medico. Anche qui il paziente, in prossimità del
restringimento si blocca e poi riparte. Il problema sta nel fatto che il paziente vede l’ostacolo e questo gli fa pensare di essere in una situazione
di maggiore difficoltà che quindi lo preoccupa e lo coinvolge emotivamente peggiorando la situazione.

In un certo senso è proprio il fatto che il paziente si sia accorto dell’ostacolo (vedendolo) che ha innescato in lui questa agitazione e quindi il
blocco. Se non l’avesse visto non si sarebbe agitato. Per noi fisioterapisti è fondamentale considerare questo fattore visivo.
Ecco quindi che nella riabilitazione di questo paziente vado a togliere questa componente visiva. Cerco di fare in modo che non si accorga
dell’ostacolo; in questo modo lui pensa di avere la strada libera e si sente più tranquillo. Come possiamo vedere, gli viene messo una sorta di
occhiale “a grand’angolo” che mi va ad escludere la visione laterale. A questo punto, al paziente viene chiesto di fare lo stesso percorso di
prima andando però verso l’ascensore. Lungo il tragitto egli non si accorgerà che il medico si è messo nella strettoia per cui non registrerà
alcun ostacolo, riuscendo così ad arrivare nell’ascensore.

Ricapitolando quindi il freezing lo possiamo definire come un problema di organizzazione del movimento che non dipende quindi
esclusivamente dai nuclei della base ma dalla corteccia, ovvero da quell’area che noi dobbiamo andare a stimolare. Vediamo quindi come non
si possa definirlo solo come un problema strettamente motorio in quanto si ha un importante coinvolgimento emotivo e del pensiero. Dato
anche il suo possibile nesso col declino cognitivo si ritiene una situazione che si presenta in una fase successiva e non
all’esordio.

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VIDEO:
In quest’altro video possiamo vedere un paziente che presenta un po’ tutti i sintomi che abbiamo visto e che si trova quindi in una fase
piuttosto avanzata della malattia. Notiamo un ipopendolo simmetrico (sia a destra che a sinistra), un’andatura “stoppata” cioè a piccoli passi,
quando si gira scompone il movimento (non rispetta la catena di spalle, bacino e piedi  Quando ci giriamo si girano prima le spalle, poi il
bacino e poi i piedi), ha un’esitazione alla partenza e alla fine (start hesitation e stop hesitation). Ad un certo punto a questo paziente gli viene
somministrato un farmaco (L-dopa) e vediamo come la situazione migliora nettamente. L’azione del farmaco inizia dopo circa 30-45 min e dura
per 2-3 ore. Vediamo qui il prima (1 e 2) e il dopo (3) la somministrazione.

Strategia riabilitativa
Nel recupero riabilitativo del parkinsoniano giocano un ruolo fondamentale i cosiddetti sensory cues , ovvero gli stimoli esterni. Questi
possono essere di varia natura (acustico , visivo etc.) e servono a far si che il disturbo presente ai gangli della base venga superato, andando a
stimolare tutta una serie di aree corticali.
Qui in figura possiamo vedere alcuni esempi di stimoli esterni come quelli visivi (ostacoli, strisce colorate a terra) o acustici tramite ad esempio
la musica o un metronomo che aiutano il paziente a ristabilire il ritmo del movimento. L’utilizzo di questi sensory cues legato
all’apprendimento di esercizi/movimenti nuovi, sono la base della riabilitazione nel Parkinson. Ristabilire il ritmo dell’attività motoria legato
all’apprendimento fa di noi bravi fisioterapisti.

Domande:
“La progressione della malattia segue una successione con delle tappe o dipende da paziente a paziente?”
Sicuramente è vero che ogni paziente è un caso a sé ma ci sono delle regole di base, comuni a tutti. Innanzitutto esiste una scala che serve per
valutare la condizione motoria del paziente (tremore,rigidità etc.). Si tratta della scala UPDRS che ci misura il livello del disturbo motorio.
Ci sono 5 stadi della malattia tipica di Parkinson che ne segnano il decorso nell’arco di circa 20 anni. Come abbiamo visto, nei primi 4-5 anni,
non ci sono problemi motori (fase preclinica). Fino ai primi 7-8 anni non ci sono problemi sostanziali (“luna di miele” proprio per dire che tutto
sommato va bene). Dopo circa 10 anni i sintomi si complicano e diventano più difficili da gestire (ma rispondono sempre alla terapia di farmaci
e fisioterapia) e col tempo possono colpire anche la parte cognitiva e associativa. Non è detto che queste tappe si susseguano, dipende tanto
dal tipo di trattamento che facciamo che deve evitare un esagerato utilizzo di farmaci e prevedere una buona fisioterapia.

Sempre nei 5 stadi della malattia possiamo individuare 5 tappe che mi descrivono l’andamento clinico:
1. Disturbo unilaterale.
1.5. Sempre unilaterale ma inizia a esserci qualche coinvolgimento nella parte centrale (“assiale”) che si nota durante il cammino.
2. Disturbo bilaterale senza compromissione della stabilità posturale.
2.5. Disturbo bilaterale con tentennamento della stabilità (faccio dei passi indietro o avanti ma poi recupero la postura iniziale).
3. Disturbo bilaterale e qualche segno di instabilità posturale che andiamo a valutare sempre con il fahn test.
4. Disturbo bilaterale associato a una condizione di disabilità che non permette al paziente di camminare senza assistenza.
5. Il paziente sta in sedie a rotelle, non è autonomo.

“La deformità posturale può portare a delle patologie della colonna come ernie discali o altro?”
Assolutamente si. Se non trattata, può portare nel tempo a situazioni più gravi.

“Il tremore persiste anche durante il sonno?”


No, nel sonno scompare.

“perché ,al momento dell’esordio della malattia, se degenera il lato destro della sostanza nigra l’esordio sarà controlaterale?”
Perché la via extrapiramidale, come quella piramidale, decussa nella parte controlaterale. L’unica via che non decussa è quella cerebellare
(vedi lezione atassia).

“perché nel primo video, quando dico al paziente di camminare al contrario,riesce a farlo normalmente?”
Quando cammina all’indietro egli va a ripescare un movimento che ha appreso in passato ma lo andrà a riprogettare nuovamente in quel
momento con una nuova organizzazione. Quando io cammino, l’inizio è volontario, la deambulazione è semiautomatico (semivolontario) e lo
stop è volontario. Se io cammino normalmente (in avanti), la corteccia interviene all’inizio e alla fine del cammino. Se faccio un movimento
nuovo (cammino indietro), vuoi perché devo vedere se ho ostacoli alle spalle, vuoi perché di per sé non è facile camminare all’indietro perché
dovrò invertire i normali passaggi e quindi poggiare prima la punta del
piede, poi rullare e poi il tallone (al contrario), dovrò per forza progettare un movimento nuovo e soprattutto più “vigile”, volontario e meno
automatico. In questo modo andrò a bypassare i gangli della base utilizzando la corteccia , cioè quella frontale, motoria e tutte quelle aree
associative che integrano le informazioni sensoriali per poi organizzare il movimento (da qui l’importanza dei sensory cues) che partirà da
quella motoria (tramite via piramidale, volontaria). I circuiti corticali che entrano in gioco prendono il nome di
“circuiti di DeLong”.

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Lezione 18/12/2020
Parkinsonismi
La scorsa volta ci siamo lasciati parlando della malattia del Parkinson, situazione critica causata da una compromissione dei gangli della base e
abbiamo parlato dei sintomi tipici di questa malattia caratterizzati da un certo tipo di tremore, ci deve essere quel tipo particolare di rigidità,
queltipo di rallentamento, deve esserci quell’esordio dei sintomi che molto spesso cominciano anche molto tempo prima del sintomo motorio.
Spesso molti pazienti possono venire da noi per altri motivi e invece noi osservando il paziente possiamo avere il sentore che questo tipo di
problematiche non siano legate a problemi osteoarticolari, ma a dei sintomi inerenti il Parkinson.

Nel momento in cui si aggiungono dei segni a quelli che abbiamo già visto dobbiamo stare attenti perché molto spesso non fanno parte della
malattia del Parkinson ma possono essere dei segni ‘’parenti, cugini’’ che si aggiungono a quella classica sintomatologia e che indicherebbero
dei disturbi che compaiono in altre malattie. Questi sono segni che spesso cerchiamo già noi nel momento in cui si presenta un paziente, tutti i
giorni di fronte a qualsiasi paziente gli chiederemo di mettersi in piedi, osserveremo la sua capacità di mantenere in piedi senza cadere o alla
chiusura degli occhi oppure andando a sollecitare e vedere questa sua incapacità di rimanere nella stazione eretta in modo corretto.
Questa è quella che viene chiamata instabilità posturale che può essere valutata con il segno di Fahn’s, in cui il paziente viene spinto verso
l’avanti o verso l’indietro e non riesce a correggere questa spinta anche a volte modesta ma che è una spinta che lo catapulta all’indietro e
perciò è importante stargli alle spalle al fine di impedire che il paziente cada e si faccia male. L’instabilità posturale non deve far parte dei primi
anni dell’esordio della malattia perché sarebbe un segno non eccessivamente rassicurante perché avere un’instabilità nella stazione eretta,
nella capacità di mantenere questa posizione è un segno che denota che esistono dei problemi anche in una capacità che è alla base
dell’esecuzione della marcia corretta.
Quindi quest’instabilità posturale all’inizio non deve esserci ma deve presentarsi solamente dopo tanti anni (non obbligatoriamente) intorno
ad un periodo che può andare dai 10 ai 15 anni dall’esordio della malattia, in questo caso potrebbe essere in qualche modo compatibile con
un’evoluzione non brillante della malattia, non deve esserci necessariamente nei primi 3 anni dall’esordio.

Un’altro problema che spesso noi vediamo è quello del Freezing, possiamo ricordare il video del signore che era vicino all’ascensore e aveva
problemi ad attraversare lo spazio dell’ascensore e andava incontro a questa situazione di congelamento, che si verificava in corrispondenza
del restringimento del percorso. Questo problema è legato alla capacità di integrare la componente visiva che è estremamente importante
nell’organizzazione del movimento. E’ importante stare attenti a questi disturbi. Importante anche dare una giusta attenzione alla mobilità che
noi andiamo a vedere della componente oculomotoria, che ci dice che lo sguardo deve essere uno sguardo che deve poter guardare in tutte le
direzioni, deve essere un movimento volontario.
Noi diciamo che la malattia di Parkinson è possibile se nei primi 2/3 anni abbiamo uno o due dei suoi segni fondamentali, diventa probabile se
poi questi segni nel corso dei 2/3 anni diventano di più fino ad arrivare a 3/4 sintomi che sono quelli cardinali. In questo periodo però non
devono esserci quelli che abbiamo detto prima.

A questo punto succede che si vengono a configurare quelle situazioni in cui la componente motoria è tipica non del morbo di Parkinson ma di
varianti di Parkinsionismi, che possono essere Parkinsionismi plus oppure chiamati più recentemente e più correttamente Parkinsionismi
atipici  atipici perché hanno delle componenti diverse da quelle tipiche della malattia di Parkinson.

Diagnosi differenziale tra malattia di Parkinson e Parkinsionismi atipici


Questi parkinsonismi atipici sono quelle situazioni cliniche in qualche modo diverse sia nell’esame che nella valutazione del piano motorio
dalla Malattia di Parkinson. I parkinsonismi atipici che vedremo in particolar modo sono:
o Paralisi sopra nucleare progressiva (PSP)
o Atrofia multisistemica (MSA)
o Degenerazione cortico-basale (CBD)
o Malattia da corpi di Lewy diffusi (DLBD), malattia caratterizzato da un quadro involutivo cerebrale

Dietro queste malattie ci sono delle diagnosi anatomopatologiche differenziate. Queste malattie vanno divise sinteticamente in:
 Malattie in cui c’è una alterazione della proteina TAU  La proteina TAU è una proteina associata a microtubuli, che sono le vie
attraverso cui arriva il nutrimento alle cellule. Quando questa proteina è alterata questa viene iperfosforilata e si formano degli
aggregati, ovvero la proteina si deposita e abbiamo la sua degenerazione  quindi si viene a creare una sofferenza nel sistema nervoso.
 Malattie in cui c’è un alterazione della proteina a-sinucleina. La proteina a-sinucleina è una proteina che fa parte della membrana per il
trasporto della dopamina, neurotrasmettitore che viene rilasciato nella fase presinaptica, all’interno dello spazio sinaptico e va a legarsi
al neurone successivo.

Bisogna ricordare che nella malattia di Parkinson i sintomi motori non originano immediatamente nel momento in cui li vediamo, ma sono dei
segni che vengono a mostrarsi quando già esiste da molto tempo un processo anatomo-patologico di degenerazione, iniziato in modo quasi
subdolo perché dà piccoli segni, e infatti ci troviamo nella fase pre-clinica. E’ importante ricordare questo perché tenendo conto dei disturbi
che noi andremo a vedere possiamo capire se potrebbero esserci delle alterazioni non previste nella malattia di Parkinson. Disturbi che
possono essere a carico della zona del tronco dell’encefalo che non devono essere all’inizio della malattia di Parkinson. Facciamo riferimento a
disturbi come: disfagia, disartrie.

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PARALISI SOPRANUCLEARE PROGRESSIVA (PSP)
Di questa malattia se ne accorse Charcot nel 1888 quando lui nelle sue lezioni portava dei pazienti e una volta gi si presentò un signore che
sembrava avesse il Parkinson, ma era diverso, perché era “un Parkinson che sta dritto”.
Nel Parkinson la caratteristica dei pazienti è la flessione sia in stazione eretta sia durante la marcia: un tronco flesso in avanti, flessione
dell’avambraccio sul braccio, flessione della gamba sulla coscia. A Charchot venne il dubbio osservando che questo paziente durante la
deambulazione camminava stando dritto  aveva sempre un po' di antero-flessione del tronco in avanti, ma sia le braccia, sia le gambe non
avevano la semi flessione bensì erano distesi. Per questo disse di aver visto un Parkinson che sta dritto, in cui l’estensione predomina su quella
che è l’usuale presentazione di una malattia di Parkinson.
Questa situazione ovviamente è andata sempre così avanti fino ad arrivare a capire che c’era qualcosa di diverso.

C’era qualcosa di diverso infatti, se guardiamo la foto nella slide a sinistra possiamo riconoscere che c’è una differenza tra il paziente del
disegno a sinistra (classica rappresentazione Parkinsoniana, braccia semiflesse, gambe semiflesse, atteggiamento di tronco in avanti) e quello
che sta a destra (paziente con le braccia e le gambe distese). Questo modo di presentarsi del paziente a sinistra nel corso degli anni è stato
studiato ed è venuto fuori dal punto di vista semeiologico la rigidità assiale, chiave di volta della nostra interpretazione che ci permetterà di
differenziarlo da un paziente con il Parkinson. La rigidità assiale è una mancanza di scioltezza nel movimento dell’asse. Bisogna ricordare che
il passo è un sintomo assiale e siccome le gambe iniziano dal bacino, da lì inizia e continua la fluidità del movimento in qualsiasi persona
normale. Possiamo capire quindi che il primo sintomo che è presente e viene a manifestarsi è proprio questa difficoltà nel camminare. Da dove
parte la rigidità assiale? Parte dal capo. Come facciamo a vedere che esiste questa rigidità assiale? Mettendo una mano sul capo del paziente,
lo muovo cercando di saggiare la fluidità del movimento verso destra, sinistra, alto, basso. Questo movimento pur potendo essere influenzato
dall’età ci deve essere, non deve essere bloccato e quindi nel momento in cui sento una forte limitazione in questo movimento mi devo
insospettire.

Questa malattia (paralisi sopranucleare progressiva) è stata individuata da Steel, Richardson e Olszewski. I pazienti con questa malattia sono
tutti uguali, hanno il capo esteso e una posizione di sguardo fisso verso l’alto. Questo qui è un segno che il paziente non ha tutta questa
capacità di muovere il suo capo, un altro segno importante di questi signori è quello che intravediamo nella prima figura a sinistra. Possiamo
vedere che hanno uno sguardo fisso associato ad un aggrottamento del sopracciglio (segno del procero), che possiamo vedere sopra il naso
come se fossero delle rughe, questo segno è un segno importante che vedremo in tutti i pazienti.

L’aveva visto addirittura Charchot. Infatti in tutti i disegni che faceva dei suoi pazienti tutti hanno questa caratteristica di vedere un punto fisso
e di avere aggrottato il ciglio, hanno la parte frontale piena di rughe. Questo è il segno del procero (procero, muscolo che partecipa alla
contrazione del muscolo frontale).
Quindi avremo sempre la contrazione del muscolo frontale (cosiddetta fronte aggrottata), associata alla presenza di queste rughe espressive,
il segno del procero, e sempre questi occhi fissi.
La contrazione del muscolo associata alle rughe espressive del muscolo frontale e agli occhi fissi  descrivono una condizione di paralisi dello
sguardo della verticalità  Questi pazienti sono pazienti che non sono in grado di poter guardare volontariamente verso l’alto o verso il basso,
ma rimane solamente il movimento di lateralità dello sguardo sia verso destra che verso sinistra.

Per poter individuare questa condizione dobbiamo prendere il capo del paziente, tenerlo fermo e chiedere di guardare a destra e sinistra e
vedremo che riesce. Successivamente gli chiediamo di guardare in alto: nelle persone normali, quando guardano in alto, si vede molta sclera
(più vediamo la parte bianca della sclera più la persona sta bene), questi pazienti invece non riescono a guardare verso l’alto o verso il basso,
perché hanno il capo bloccato  per riuscire a guardare in alto comincia a corrugare il muscolo frontale e a questo si assocerà il segno del
procero.

Questa condizione è legata al fatto che per muovere gli occhi, la volontarietà del movimento passa dall’area 8 ovvero l’area oculo-cefalo-gira
 attraverso un contingente di fibre manda segnali al mesencefalo, dove ci sono dei nuclei che servono proprio a dirigere lo sguardo verso
l’alto e verso il basso. Un altro contingente di fibre va al ponte e permette i movimenti di Lateralità.
Quindi questa degenerazione è sopra i nuclei, quindi nella via che va dalla partenza della via oculo-motoria dell’area 8 e fa il tragitto che arriva
a livello dei nuclei del mesencefalo. L’area che è alterata, perciò è quella che arriva al mesencefalo e non permette i movimenti oculari in
verticalità.

A questo punto ritorniamo al concetto di rigidità assiale, tutto parte dal capo, successivamente prende gli occhi che non vanno in alto a causa
della lesione a livello della via mesencefalica. Se noi continuiamo ad andare in avanti con questa degenerazione più in basso troviamo quelle
strutture dei nervi cranici che sono legate alla deglutizione, ovvero il Nono nervo cranico (o glossofaringeo) e il decimo nervo cranico (il nervo
vago). Gli altri segni che quindi andiamo a trovare in questi pazienti sono dei segni che essendo assiali partono dalla fronte, naso, arriviamo poi
alla deglutizione e alla fonazione. Infatti questi pazienti spesso vanno in contro a quelli che sono i disturbi che sono soprattutto a carico della
capacità di ingoiare e quindi avranno la disfagia, perché i muscoli che partecipano alla deglutizione non funzionano bene e non sono
coordinati. Scendendo ancora più in basso a causa della compromissione del decimo nervo cranico questi pazienti hanno anche una difficoltà
nell’articolare le parole (disartria), nell’articolare il modo di mettere la lingua, di far sì che esca il giusto quantitativo di aria da parte dei
polmoni per un’articolazione corretta della parola.
Quindi è una malattia in cui io ho un componente fondamentale che è la rigidità assiale, ma c’è anche un altro segno importante, quello per cui
quasi sempre questi pazienti cadono  per questo motivo ai pazienti che vengono da noi dobbiamo chiedere ‘’lei è mai caduto?’’ e magari ci
viene detto che tende da alcuni mesi a cadere facilmente. Perché cadono facilmente? Perché hanno una rigidità assiale. Quando vediamo
camminare un paziente con rigidità assiale, dal capo, collo, spalle e fino al bacino, la catena sequenziale dell’inversione di marcia
(rappresentata dal fatto che giro la testa, poi giro le spalle, poi svincolo il bacino dalle gambe) non è possibile, perché l’individuo è come un
tronco e non c’è la capacità di svincolare i fulcri prossimali. Quindi il paziente con rigidità assiale come fa ad invertire la marcia senza causare

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problemi? Semplicemente attraverso un movimento distaccato in cui muovo prima un piede, poi un altro ruotando un po’ alla volta sul posto
fino ad arrivare all’inversione della marcia, in questo modo c’è una scomposizione del movimento in cui si muovono prima un piede e poi
l’altro ma tutta la struttura dal bacino in su è bloccata.

Quindi in questa malattia ci sono segni differenti rispetto alla malattia di Parkinson e quelli che invece appartenevano a quest’ultima ci sono
ma sono molto meno evidenti (meno bradicinesia, meno ipertonia plastica). Molto spesso inoltre in questi pazienti non c’è l’esordio
asimmetrico e quindi il disturbo che si presenta interessa ambedue gli arti e non solo l’uno o l’altro. Questo è molto importante perché ci
permette di differenziarlo dal Parkinson  nel Parkinson è fondamentale l’esordio asimmetrico!.

Domanda
Visto che il paziente ha questa rigidità anche se non ha un’ipertono plastico come nel Parkinsoniano, può capitare che cammina falciando con
la gamba? No, non c’è un’andatura di tipo falciante. E’ un’andatura che comincia ad essere bilateralmente impacciata a piccoli passi. Non c’è
come nella malattia di Parkinson un rallentamento nella fase di appoggio o di volo del piede. Questo coinvolge sia la parte destra che la sinistra
e non si arriva ad avere una rigidità tale che possa portare all’andatura falciante, però possono esserci delle componenti che portano a far
vedere che il paziente non ha la flessione della gamba sulla coscia, cammina con i piedi distesi dritti  non c’è una tendenza a falciare ma c’è
più una tendenza a camminare in un modo in cui struscia a terra.

VIDEO PAZIENTE (in questo video è illustrato il segno del procero)

In questo video possiamo vedere il segno del procero. Il signore cerca di girare lo sguardo a destra e sinistra e ci riesce perfettamente,
successivamente ci prova verso l’alto ma è limitato. L’esaminatore gli solleva le palpebre per farlo guardare in basso ma il paziente non ci
riesce. Questo video evidenzia proprio la paralisi dello sguardo verso il basso e verso l’alto. Possiamo vedere il momento in cui l’esaminatore
gli fa vedere un oggetto, con questo mette in evidenza che il meccanismo di fissazione ce l’ha, riesce a fissare l’orologio e anche quando
l’esaminatore porta indietro il capo possiamo vedere che il paziente continua ancora un po’ a fissare l’orologio.
Questo dell’occhio che guarda l’orologio non è un movimento volontario, in quanto il movimento volontario è quello che è legato al perfetto
funzionamento dell’area 8 e va su questi nuclei del mesencefalo che servono per muovere gli occhi in basso e in alto, ma questa strada è
alterata. Perciò il movimento che vediamo in queste immagini è un movimento di fissazione (involontario che fa fissare un aggetto) che
all’inizio della malattia può essere conservato, a differenza del movimento volontario che viene perso (il movimento volontario è quando io
dico al paziente, guarda a destra, sinistra, in alto o in basso e il paziente lo esegue senza seguire un oggetto).

VIDEO 2 (oltre al segno del procero qui possiamo vedere un altro segno importante, che è quello dell’inversione della marcia, questo segno si
chiama segno di scomposizione del movimento nell’inversione di marcia)
In questo video possiamo osservare questa signora che presenta le stesse caratteristiche del signore del video precedente, possiamo vedere la
fronte con il muscolo frontale corrugato e vediamo il segno del procero. Successivamente gli si chiede di guardare a sinistra e a destra e ci
riesce, poi le viene chiesto di guardare in alto ma non ci riesce. Successivamente si alza e possiamo osservare come cammina e possiamo
osservare il segno della rigidità. Dobbiamo sapere che questa malattia ha un suo andamento e quindi non tutti i pazienti sono tutti uguali,
dopo 4/5 anni sono molto compromessi. Quindi vediamo come cammina la signora e vedremo che questo suo modo di camminare e vedremo
in particolar modo il momento in cui si gira, vedremo che lei non gira in modo sequenziale secondo la catena di marcia in cui si muove prima la
testa,poi le spalle,e poi il bacino.Lei cammina con la base un po’ allargata e quando inverte osservando le spalle possiamo vedere che queste
sono fisse insieme a capo e tronco, tutto è fermo.Per girare può solo muovere i piedi scomponendo i movimenti e perciò perde l’equilibrio.

Questa signora ha anche lei una paralisi sopra nucleare progressiva, ha difficoltà nel parlare, infatti possiamo vedere la lingua che è importante
nell’articolazione dei fonemi e non riesce a muoverla bene, si sforza, c’è quasi una situazione spastica. Rimangono sempre gli stessi segni che
abbiamo detto precedentemente ovvero, il segno del procero, il muscolo frontale corrugato, muove gli occhi in direzione laterale ma non
verso il basso o l’alto. Man mano che la malattia va avanti compromette progressivamente tutto e quindi avrà una disfagia, una disartria, la
fissità del movimento e ancora più avrà la marcia compromessa.

DOMANDA:la continua contrazione dei muscoli della fronte in questi pazienti provoca mal di testa o tensioni ?Si,possono esserci.Infatti
quando noi andiamo a sentire la consistenza del muscolo nella parte posteriore della loggia del collo,sentiremo che i muscoli sono contratti e ci
sarà quindi un aumento del tono muscolare di questi muscoli e ci sarà anche una cefalea associata a questa tensione.

ATROFIA MULTISISTEMICA (MSA)


Sotto determinati punti di vista è considerabile la variante più drammatica del Parkinson. È una malattia che comprende la degenerazione di
più sistemi e, a seconda di dove si trova la lesione, avremo sintomi caratteristici. Il primo sistema compromesso è il sistema nervoso vegetativo
(autonomo), che ha funzioni di regolazione del battito cardiaco, pressione sanguigna ecc… ed è diviso in sistema simpatico (parte centrale del
SNA?) e parasimpatico (cervicale e sacrale). I segni correlati alla compromissione del SNA sono:
 Pressione non compensata: ipotensione ortostatica nel passaggio tra le posizioni, con conseguente svenimento; è una pressione bassa
che non si rialza neanche da sdraiati. Attenzione quindi ai pazienti che hanno la cosiddetta sincope: se mi alzo da seduto e svengo per
ipotensione ortostatica, questo deve essere di allarme di compromissione del SNA. Le persone affette tenderanno a non alzarsi più,
causa vertigini, vomito, possibile cefalea, offuscamento della vista e possibilità di cadere.
 Incontinenza urinaria e fecale (alterazione del SNA sacrale): può presentarsi anche nel primo periodo, delinea interessamento del
sistema nervoso autonomo a livello sacrale. In passato, nel genere maschile, il disturbo veniva confuso con problematiche al livello della
prostata.
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 Impotenza (non hanno erezione): chiaramente a carico maschile, è riconducibile alla MSA in assenza di altre problematiche che lo
giustifichino. È un segno importante perché dall’impotenza è riconoscibile l’atrofia multisistemica, un indizio efficace in particolare in
presenza di altri sintomi lievi caratteristici del parkinson.

Questi sono i tre segni dell’Atrofia Multisistemica Di Tipo P (parkinsoniana).


Se avessi invece, oltre ai 3 segni caratteristici (quindi alterazione del SNA), altre evidenze non riconducibili a patologie piramidali o
extrapiramidali ma, differentemente, cerebellari, come l’atassia, parleremo di Atrofia multisistemica di tipo C (cerebellare).

Nella MSA, al contrario della PSP, può manifestarsi l’anterocollo disproporzionato, di fatto una distonia a livello orofacciale, facilmente
individuabile osservando la persona in posizione eretta.

La tabella di mostra la tempistica di segni uguali per varianti differenti: prendendo l’esempio dell’incontinenza urinaria, nella PSP si presenterà
dopo mesi, a differenza dell’atrofia multisistemica P o C, dove si manifesterà nel primo periodo.

DEGENRAZIONE CORTICO BASALE (DCB)


I fisioterapisti sapranno riconoscere immediatamente segni e sintomi, che sono solamente motori. La patologia ha un esordio asimmetrico
(come nel Parkinson) che molto spesso si cronicizza. La degenerazione è a carico della corteccia fronto-paritale, quindi di una zona esclusiva.
Come possiamo vedere nell’immagine a fianco, nei pazienti con questa patologia, una particolare zona del cervello diventa atrofica,
particolarmente la zona frontale, a ridosso delle aree motorie, e anche la zona parietale.
La persona lamenta un arto non controllato, impacciato, come se disubbidisse  generalmente è la mano poiché più rappresentata nell’
homunculus. Traduciamo questa informazione con il fenomeno della mano aliena, dove si ricorre spesso all’ utilizzo dell’altra mano per
controllarla o bloccarla. Avremo una forma sensoriale se colpita la parte parietale, una forma motoria se interessata la zona frontale. La mano
aliena c’è quando ho alterazioni frontali (motoria), lesioni parietali (più sensitive) oppure lesioni del corpo calloso, che staccandosi dagli
emisferi dà manifestazione della mano aliena.
Si presenta l’aprassia ideo motoria, quindi mancanza di coordinazione. La persona non è in grado di svolgere movimenti stereotipati semplici,
come un saluto (militare, segno della croce ecc..), come toccarsi il naso a comando. Generalizziamo definendo l’aprassia ideo motoria come
l’incapacità di eseguire qualunque azione motoria precedentemente elaborata dalla parte cosciente (semplicemente, pensata). Quando si
chiede ad un paziente con questa malattia di fare il segno della croce, per esempio, lui inizia a farlo ma non nella sequenza giusta, oppure
porta la mano nella direzione sbagliata.
Con l’avanzamento della degenerazione possono essere inoltre compromesse le strutture extrapiramidali (nuclei della base  una loro
alterazione da quindi i segni tipici del parkinson), soprattutto nei casi avanzati, che scaturiscono nella difficoltà di co-contrazione (distonia).
Ricapitolando, degenerazione cortico basale  mano aliena aprassia ideo motoria  Distonia.

MALATTIA DA CORPI DI LEWY DIFFUSI


Difficile, poiché i sintomi non sono particolarmente gravi, modesta sindrome parkinsoniana, piccola componente extrapiramidale, nulla di
difficile o grave. Il lavoro fisioterapico è principalmente rivolto alle cadute frequenti delle persone affette. Queste, infatti, si mostrano
maldestre, scoordinate, disattente e impacciate e che cadono spesso.
Altro fenomeno rilevante e caratteristico è l’allucinazione, che si presenta già dopo 1 anno dall’ insorgenza del disturbo motorio. La gravità
della malattia è quindi dovuta all’ interessamento della parte cognitiva, la persona sarà demente. Importante specificare che non si tratta di
due patologie differenti ma di un Parkinson lieve con precoce compromissione delle componenti cognitive. I fenomeni allucinatori come i
deliri, manie di persecuzione, confusione per 2-3 ore durante il giorno (poi ritornano normali), sono i fattori diagnostici fondamentali. Si
associa un parkinsonismo acinetico – rigido, in genere lieve, perdite di coscienza intermittenti e cadute.
L’eziologia delle allucinazioni visive è scarsamente compresa, forse è dovuta ad alterazione della eccitabilità della corteccia visiva.
I deficit perfusionali son segnalati soprattutto in aree visive di ordine superiore. In particolare le aree occipito – parietali appaiono alterate a
fronte di una conservazione di funzione nelle aree visive di ordine inferiore.

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Lezione 7/1/2021
Disturbi del movimento: Ipercinesie
Questi disturbi vanno conosciuti perché altrimenti potremmo attuare delle metodiche sbagliate nel tentativo riabilitativo, oppure potremmo
andare a trattare disturbi che non possiamo trattare.
Nelle lezioni precedenti abbiamo visto nelle disfunzioni dei gangli della base, la parte legata alla ipocinesia (Parkinson e parkinsonismi).
Parliamo oggi della parte legata alle ipercinesie.

Questo gruppo di patologie risente di una serie di alterazioni tipiche dal punto di vista motorio  sono delle alterazioni sensitive e motorie
insieme, perché ciò che serve per il movimento e l’afferenza sensitiva non può che essere un’unica soluzione.

L’altra volta abbiamo detto che per definire bene un movimento bisogna analizzare le sue caratteristiche:
 Velocità
 Intensità
 Ampiezza
 Frequenza
 Tempestività dell’inizio e fine del movimento.
Anche le ipercinesie possono essere legate, come le ipocinesie, a delle alterazioni dei gangli della base.

Non possiamo non ricordarci che il movimento per essere volontario deve essere: intenzionale, appreso e finalizzato. Se manca uno di questi
tre non siamo di fronte ad un movimento volontario e se un movimento non è volontario, allora diventa involontario e patologico  Quale
movimento involontario andiamo ad esaminare? Andiamo a esaminare la corea, mioclonia, atetosi, tic, ballismo ecc…
Se un movimento non è volontario allora è per forza patologico.

DISTONIA
La distonia è stata chiamata in tutti i modi possibili, fino a quando non si è capito che il movimento distonico è una contrazione simultanea di
muscoli agonisti e antagonisti. I movimenti distonici consistono in contrazioni muscolari involontarie, toniche e protratte, responsabili di
movimenti ripetitivi di tipo torsionale o di posture anomale.
Questo, come tutti i tipi di movimenti, può peggiorare sia con la fatica sia con il coinvolgimento emotivo. Alcune distonie particolari sono delle
contrazioni che sono scatenate da attività motorie specifiche, per esempio la distonia dello scrivano  gli viene un crampo solo quando scrive.

Quando parliamo di distonie dobbiamo capire che possono esserci anche dei piccoli “trucchi”, “Trick sensoriali” che alleviano la contrazione e
che sono tipici delle distonie cervicali  quando c’è un movimento distonico, forzato del collo, potrebbe essere sufficiente, per alleviare
questa contrazione forzata, andare a stimolare sensorialmente una parte del viso. Questi sono dei gesti cosiddetti antagonisti, dei trucchi
sensoriali, per distogliere la coattivazione tra agonista e antagonista.
A volte invece abbiamo la Mirror distonia  quando un arto non affetto effettua un movimento volontario, il contro laterale affetto può
presentare la distonia. Esempio: un paziente ci dice che quando effettua un movimento con un braccio sano, nel lato contro laterale si attiva la
distonia.
Questo ci fa ovviamente pensare ad una integrazione sensori-motoria, sensorialmente il movimento da un lato mi stimola la distonia nell’arto
distonico. Questo movimento localizzato involontario in un punto può diffondersi in altre parti del corpo contigue sane (Overflow Dystonia).
Quest’ultimo non è un segno di peggioramento, ma è il segno che non è stato fatto nulla dal punto di vista riabilitativo, quindi è il momento di
fare qualcosa.

Classificazione delle distonie


Per distribuzione topografica:
 Focali: 1 segmento
 Segmentali: 2 segmenti contigui (mano e avambraccio per esempio)
 Multifocali: segmenti non contigui
 Generalizzato
 Emidistonia, che coinvolge una sola parte del corpo.

È dimostrato che nelle distonie ci sia una mal organizzazione delle aree corticali, che partecipano alla formazione del movimento  la distonia
è quindi legata ad un mal funzionamento dell’integrazione sensori-motoria, quindi noi come fisioterapisti possiamo fare molto per alleviare
questa malattia, andando a stimolare il cervello.

Una delle forme più gravi di distonia è la Distonia Generalizzata Di Oppenheim, che diventa una prototipo di quello che noi dobbiamo
osservare. Adesso la andiamo a vedere con un video.

Questa è distonia generalizzata perché non colpisce solo un segmento, una mano, un piede, ma è tutto l’insieme. È una distonia che è
generalizzata perché cambia man mano che la paziente si adatta ad una nuova situazione posturale. C’è la distonia perché noi vediamo: spalla
sinistra in iper estensione, avambraccio in iper estensione, mano anche in iper estensione. Dal lato opposto invece abbiamo l’avambraccio
contratto sul dorso, il tronco ha un atteggiamento in cui prevalgono i muscoli addominali, mentre quelli dorsali sono apparentemente rilassati,
anche se i realtà sono contratti sui gli addominali che i dorsali.
Quando un paziente arriva a queste condizioni è ovvio che noi abbiamo grosse difficoltà, perché non ci sono né medicine, né fisioterapisti che
possano intervenire in modo valido, se non attraverso l’impianto di elettrodi nel globo pallido (gangli della base). Il globo pallido, stimolato da
questa corrente è come se venisse messo a tacere. Questa operazione di microchirurgia è stato fatta su questa ragazza e il risultato è questo
che vediamo in questo video.
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Questo dimostra che da un punto di vista neurofisiologico, ci sono delle connessioni tra nuclei della base e la corteccia e noi fisioterapisti
dobbiamo andare a lavorare proprio sulla corteccia. Vediamo che in questa ragazza ritorna lo schema del passo, la flessione sulla gamba, la
dorsi flessione del piede c’è. Anche il movimento del capo e degli occhi è assolutamente valido. Da un punto di vista bioelettrico viene messo a
tacere la iper eccitabilità di alcune strutture profonde della base (globo pallido). Questo dimostra che prima di arrivare a quella situazione
questi pazienti possono avere un vantaggio da una riorganizzazione funzionale delle attività motorie lungo le catene di attivazione.

Distonie focali
Sono delle distonie che hanno una distribuzione più settoriale. Molte volte questi pazienti all’inizio hanno delle contratture nella zona cranio
cervicale. La distonia cervicale è la forma più comune di distonia focale e colpisce in genere la quinta decade. Coinvolge in misura variabile
SCM, trapezio e muscolo cervicale posteriore, produce posture anomale di capo, collo e spalle e si accompagna a tremore del capo (tremore
distonico). La distonia cervicale tende a progredire ma dopo tempo variabile (circa 5 anni) si stabilizza.
Vediamo qui una donna con distonia cervicale, con mento spostato verso sinistra. Il trucco sensoriale ha come scopo quello di spostare il capo
a destra e quindi portarlo al centro.

La distonia focale è molto più comune della forma generalizzata, esordisce in età adulta. Le forme che coinvolgono il distretto cranio cervicale
sono più frequenti nelle donne, quelle che coinvolgono gli arti sono più frequenti nell’uomo.

Vediamo adesso un filmato.


Questo è un paziente giovane, che ha questa distonia. Osserviamo come è contratto lo SCM (muscolo che serve a tirare il capo dalla direzione
opposta di dove è posizionato lo SCM). Vediamo la presenza del tremore distonico: rappresentato da tentativi da parte del paziente al fine di
riportare in asse il capo. Questo non è possibile, per cui lui cerca di andare a destra, ma prevale la distonia e rimane in quella posizione,
creando questi movimenti di tremore distonico.
Prima che si venga a creare una situazione non più arginabile è possibile che una giusta riorganizzazione funzionale dei muscoli possa
agevolare il movimento ed evitare una co attivazione. Quando medicina e fisioterapista non funzionano, non rimane altro da fare che utilizzare
il botulino  è una sostanza che va a bloccare il recettore post sinaptico e di conseguenza si evita che rimanga questa attivazione.
Vediamo quindi in questo ragazzo come non si riconosce più l’elemento distonico.

Noi come fisioterapisti potremmo intervenire nella fase in cui è attiva la tossina botulinica: possiamo intervenire affinché permanga questa
situazione di benessere. Il botulino infatti dura per un certo periodo di tempo e poi svanisce, non ha un’azione permanente, quindi è utile non
pensare che il neurologo possa fare tutto, ma che neurologo, fisioterapista e medicina possano collaborare.

Tra le distonie focali abbiamo anche il Blefarospasmo: è uno spasmo che coinvolge il muscolo orbicolare dell’occhio e che esordisce con
irritazione, secchezza dell’occhio. Quando andremo a riabilitare delle paralisi facciali periferiche, dove si ha una paralisi dell’emiviso, può
nascere uno spasmo (blefaro spasmo)  spasmo del muscolo orbicolare (che ci permette di aprire l’occhio). Se io ho una spasticità di tipo
apparente sembra un problema del tono, ma in realtà è uno spasmo  coattivazione del muscolo superiore e inferiore dell’orbicolare e il
risultato è un occhio chiuso.
Il blefarospasmo si può associare anche alla Distonia Oromandibolare: coinvolge i muscoli della mandibola, la lingua, l’orbicolare della bocca e
i muscoli faringei. È una distonia che peggiora con i movimenti (durante l’eloquio e la masticazione) provocando la disfagia e la disartria.
Tutto questo può avere risultati buoni con la riabilitazione.

Le distonie possono coinvolgere anche le corde vocali  Distonia Laringea: si manifesta con delle corde vocali iper addotte o iper abdotte.

Crampo dello scrivano: fa parte sempre delle distonie focali, è una forma comune di distonia task – specifica. I pazienti descrivono una
sensazione di tensione e dolore a livello delle dita e dell’avambraccio. Con il tempo il quadro evolve sino alla comparsa di una contrazione
involontaria (durante la scrittura) con flessione del pollice e dell’indice, pronazione della mano e deviazione ulnare del polso con una presa
anomala e molto vigorosa. Si arriva alla coattivazione nella spalla e nella loggia laterale del collo, quindi diventa una situazione di contiguità.

Tutti questi spasmi fanno parte del task – specifici: solo facendo quel tipo di movimento ho quel tipo di distonia.

SINDROMI COREICHE: MOVIMENTI COREICI


Qui come fisioterapisti non possiamo fare molto, ma è importante saper riconoscere questi movimenti.
Un movimento coreico è un movimento rapido, improvviso, aritmico e di breve durata. Non è prevedibile, può interessare solo un segmento,
anche se le sedi sono in genere zone distali.
Questi movimenti sono legati ad una malattia chiamata Corea (di Huntington), che è una malattia degenerativa, perché c’è la degenerazione
del nucleo caudato.
Vediamo un video.

Vediamo che è non riesce a mantenere neanche una normale coordinazione statica. Sono generalmente movimenti improvvisi e rapidi. Qui
solamente la medicina può arginare questo movimento.

Vediamo qui che la signora riesce a tenere più in asse la lingua, ad essere meno stravolta con il movimento.
Queste malattie possono colpire anche adolescenti, quelli che hanno avuto tonsilliti, glomerulomefriti, tutte malattie legate alla presenza dello
streptococco beta emolitico  queste malattie da streptococco possono dare danni infettivi a carico della sostanza grigia e del nucleo caudato
e possono dare nei bambini dei movimenti rapidi. In questi casi però la situazione si può risolvere con dei farmaci.
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La malattia grave è invece la Corea di Huntington: malattia autosomica dominante che si trasmetta da genitore a figlio. Una malattia
autosomica dominante può trasmettersi da un genitore al figlio. Questo fenomeno si osserva spesso quando la mutazione è trasmessa dal DNA
paterno, in relazione all’elevato numero di replicazioni nelle cellule germinali maschili.
Anche una persona normale può avere queste mutazioni, l’importante è che non superino un valore massimo di 30. Se aumentano iniziano a
manifestarsi i sintomi e più aumentano le triplette più è grave la sintomatologia.

In queste malattie abbiamo detto che degenera il nucleo caudato, che ha una sua conformazione particolare che va a finire nell’amigdala. Ogni
nucleo della base partecipa ad una sua disfunzione : la degenerazione della sostanza nera ci da il parkinson (immobilità), la degenerazione del
caudata ci dà una iperattività. Il vero guaio della malattia di Huntington è che porta a demenza molto velocemente.

Vediamo bene il tipo di tremore.

Tremore
Definizione di tremore: movimento oscillatorio e ritmico di un segmento corporeo attorno al proprio asse di equilibrio, prodotto dalla
contraizone alternante o sincorna di muscoli antagonisti ad innervazione reciproca. Il tremore può essere:
- A riposo
- Posturale (attitudinale)
- Cinetico
- Task – specifico
Quando parliamo di tremore pensiamo a quello lento e a riposo, che fa parte della sintomatologia del Parkinson.
Attenzione invece ai tremori presenti durante il mantenimento della postura (tremore attidudinale) o quello presente durante il movimento 
tutti questi tremori hanno come capostipite è il tremore essenziale, che inizia in età giovanile, è un tremore che non diminuisce con il
movimento, bensì aumenta, quindi è un tremore cinetico.

Vediamo un video.
Vediamo che è un tremore che aumenta con il mantenimento della postura. La paziente cerca di raggiunegere prima il naso, poi il dito e poi
cerca di riempire un bicchiere con dell’acqua, ma più si avvicina al raggiungimento dell’obiettivo e peggio sta. Anche mentre cerca di disegnare
una spirale da disastri.
È importante saper riconoscere questa patologia, perché non possiamo fare niente dal punto di vista riabilitativo, quindi è inutile fare tentativi.
Il problema è stato risolto parzialmente nel caso di questa signora, cercando anche qui di mettere degli impianti nel nucleo pallido (a sinistra).
Vediamo che a destra non ha più niente mentre rimane il tremore a sinistra. Riesce anche a disegnare bene la spirale.
Tutto questo per descrivervi il tremore essenziale. Non c’è una cura risolutiva, ci sono farmaci per attenuarlo.

MOVIMENTI ATETOSICI
Il movimengo atetosico è un movimento lento, vermicolare, tentacolare, di modesta ampiezza, aritmico e irregolare. Sono movimenti
continui, peggiorano con l’emozione e scompaiono durante il sonno. Coinvolgono prevalentemente muscoli del viso, lingua e le porzioni distali
degli arti.

Vediamo un video
Vediamo che è un movimento distale e lento. Qui vediamo anche associata la distonia, quindi è un movimento atetosico – distonico:
osserviamo la componente di dorsiflessione.

Questi movimenti sono dati da disfunzioni vascolari tossiche (da abuso di sostanze) o metaboliche, perché i nuclei della base sono molto
sensibili all’eccesso alcolemico o alle sostanze dopaminergiche presenti nelle droghe. Un ictus che va a coinvolgere il globo pallido può
assolutamente responsabile di sindromi emidistoniche o emi – coreo – atetosiche. Molte volte infatti il movimento coreio più quello atetosico
possono andare a determinare movimenti coreo atetosici, perché se osserviamo l’immagine in basso vediamo che il globo pallido e putamen ci
danno il movimento atetosico, il nucleo caudato ci da il movimento coreico, quindi spesso i movimenti sono associati.
In questa situazione che non è degenerativa, ma ad esempio vascolare, noi come fisioterapisti abbiamo la possibilità di poter riorganizzare la
corretta esecuzione del movimento volontario.

MOVIMENTO BALLICO
È un movimento molto ampio e violento, non si attenua con il riposo e diventa molto disabilitante. Sono movimenti causati da una lesione che
sta più in basso: nucleo sub talamico, che è il responsabile della comparsa dei movimenti ballici. Una lesione a questo livello può essere data
da una causa di tipo vascolare (icuts emorragico o ischemico), trumatica o da tumori.

TICS
I tics sono movimenti gestuali che riproducono o imitano movimenti coordinati da più gruppi muscolari  è una esagerazione di un
movimento fisiologico, sembra che il paziente stia facendo un movimento esagerato, come una caricatura. Sono quindi congrui e finalizzati,
anche se appaiono spesso inopportuni. Il tic scompare se facciamo distrarre il paziente chiedendogi di compiere un movimento nuovo.
Per riconoscere un movimento ticcoso basta osservarlo.
I tic possono coinvolgere:
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a) Il viso
b) Tutto il corpo.
Vediamo adesso i tic facciali.

Vediamo in questi bambini che i tic sono come delle smorfie. Ripetiamo che se chiediamo al paziente di fare qualcosa di nuovo, come
camminare all’indietro, toccarsi il naso, questi movimenti scompaiono  questa è la prova di una riorganizzazione volontaria del movimento,
che ci fa capire che si tratta di un tic involontario.
Noi con la fisioterapia possiamo fare molto per questo problema.

Vediamo ora i tic motori complessi.

Vediamo che sono movimenti di gesticolazione, flesso estensione. Non possiamo sbagliarci: non siamo di fronte ad un movimento di tipo
extrapiramidale, non è un movimento coreico, atetosico o ballistico, è un tic.
Nel video la signora fa vedere che si fa anche male, ma proprio mentre mostra la pancia il tic scompare, a dimostrazione del fatto che se sono
distratti con un altro movimento il tic scompare.
La coratteristica dei movimenti ticcosi, quindi, è che a differenza degli altri movimenti, durante l’esecuzione di un movimento volontario,
scompaiono.

SINDROME DI GILLES DE LA TOURETTE


In questa malattia non si hanno solo tic multipli motori e vocali, ma anche sintomi psichiatrici associati  come i sintomi ossessivi e
compulsivi. Movimento compulsivo: movimento che non riesco ad evitare ed a fermare.
Questa sindrome prevede anche la coprolalia, o deficit dell’attenzione associato ad iperattività. Sembrerebbe essere una malattia che ha
anche una sua componente genetica . L’esordio dei sintomi si ha entro i 21 anni, ma la maggior parte esordisce intorno agli 11 anni. Il suo
decorso ha alti e bassi e spesso si ha una riduzione dei sintomi in età adulta.

Domande
È un caso che nei video di prima i tic facciali ce li avessero solo i bambini?
Non è un caso. I tic facciali sono prevalenti nella fse dell’adolescenza, perché i la maturazione delle funzioni integrative sensoro motorie avviene
intorno ai 18 – 20. Quindi questi tic prealgono negli adolescenti, perché hanno meno dimestichezza nell’arginare l’eventuale disturbo ticcoso,
che è la prova che un cervello in maturazione manca di di una funzione cognitiva motoria. I tic facciali sono più “a buon mercato”.
I tic mal arginati nell’epoca adolescenziale possono andare ad organizzarsi nell’età adulta sotto forma di tic complessi.

Il movimento volontario che chiediamo al paziente può essere un movimento qualunque o deve andare a coinvolgere la parte del corpo che ha il
tic?
Non è necessario. Io posso organizzare qualsiasi movimento che mi coinvolga anche la parte del corpo che ha il tic, ma non esclusivamente
quella. Il movimento deve essere una riorganizzazione funzionale.

Quali sono le cause che stanno alla base di questi tic?


Alla base non c’è una disfunzione di un nucleo o di una zona, ma è un problema che ha la sua genesi in una componente mentale, è una
disorganizzazione legata all’ansia, alla somatizzazione. Le ultime aree corticali che maturano nell’adolescente sono proprio quelle frontali e
prefrontali, che potrebbero essere benissimo le corresponsabili di questo malfunzionamento.

Nel caso degli adulti, questi tic rimarranno per sempre, oppure tendono a diminuire in qualche modo?
Man man che diminuiscono le funzioni cognitive è verosimile che più diventa povero mentalmente e più il tic è meno presente. Nella persona
adulta si può sfruttare al meglio un tentativo riabilitativo e farmacologico, però abbiamo lo svantaggio che il disturbo sia cronicizzato. Una
persona adulta con una riabilitazione adatta comunque riesce migliorare.

Lezione 14/1/2021
Plasticità e invecchiamento
Prima l’inizio della riabilitazione era posticipato rispetto all’evento dannoso (soprattutto cerebro-vascolare). Oggi non è così. Quando parliamo
di aspetti che sono legati alla riabilitazione il primo che dobbiamo capire è quale sia l’invecchiamento fisiologico. L’invecchiamento non è
infatti una patologia, lo diventa se viene contornato da problemi che normalmente non dovrebbero esserci.
Capiamo quindi quanto è importante valutare cosa sia l’invecchiamento fisiologico e cosa invece sia l’invecchiamento patologico (problemi
legati al fattore pressorio, a strutture come il fegato o rene, malattie metaboliche). Questo è un problema che è nato già dal 1930 e al quale
ancora non si è completamente data una risposta. Ci sono delle funzioni che con l’età possono cambiare e essere portate a termine meno
correttamente, ma non per questo si può parlare di patologia.
Infatti l’invecchiamento del sistema nervoso è un processo fisiologico che comincia con:
 Perdita di cellule: si ha una fisiologica morte per apoptosi (morte programmata) dei neuroni dai 40 anni in poi. Da un punto di vista
normale, dopo i 70 anni possiamo anche perdere 100 mila neuroni al giorno
 Riduzione del numero di dendriti
 Alterazioni strutturali: come placche senili o gomitoli neuro-fibrillari, queste strutture non sono per forza sintomo di demenza.

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La fisiologica attività motoria e cognitiva che dipende dall’età riguarda poche funzioni, ma importanti.
Il declino cognitivo età – dipendente riguarda selettivamente:
 Riduzione della velocità di elaborazione dei segnali (ma non avere l’incapacità di elaborazione del segnale)
 Riduzione della capienza mnemonica (ma non vuol dire assenza di capacità mnemonica)
 Aumentata vulnerabilità alle interferenze, ossia la difficoltà a ricevere troppi stimoli insieme, a fare tante cose contemporaneamente
 Perdita di velocità di elaborazione e ritrovamento dell’informazione, quindi difficoltà a ricordare (ma non incapacità di ricordare)

L’attività motoria in un anziano è comunque conservata in quanto:


- È in grado di eseguire in modo corretto, anche se rallentato, tutti gli atti che quotidianamente fa
- Può avere una difficoltà ad avere prestazioni extra-motorie che di solito non fa (prendere un oggetto al volo per esempio). Le
prestazioni motorie possono essere rallentate, così come i riflessi, ma non possono essere assenti.
- I tempi di reazione si allungano

Plasticità neuronale e riabilitazione neuromotoria


Accanto all’invecchiamento e alla perdita quindi di neuroni, c’è anche un altro concetto importante che viene utilizzato spesso in
contrapposizione a quest’ultimo: la plasticità neuronale. Questo concetto si basa sulla presenza di neuroni che sono presenti nel nostro
cervello ma che hanno un compito “di riserva” e che possono essere utilizzati nel momento in cui c’è un danno e la perdita di neuroni. All’inizio
i neuroni di riserva sono indifferenziati, successivamente, quando c’è bisogno, si differenziano.
La plasticità si può definire anche come capacità di modificare l’organizzazione funzionale e di adattarsi alle modificazioni ambientali. Questa
capacità del SNC è presente in tutta la vita dell’individuo, soprattutto nello sviluppo, nel turn-over tessutale e nel neuro-sviluppo.
A oggi sappiamo che l’esercizio migliora la neuro-plasticità secondo 5 principi di Fox: DA RICORDARE!
1. L’attività intensiva modifica la plasticità sinaptica  Più rendo intenso l’esercizio del paziente e più intensifico la plasticità
2. L’attività motoria complessa promuove un maggiore adattamento strutturale
3. Le attività gratificanti aumentano i livelli di dopamina e promuovono dunque l’apprendimento
4. I neuroni dopaminergici rispondono sia all’uso che al non uso (se non si usano si atrofizzano  Use it or lose it)
5. Quando l’esercizio è introdotto in fase precoce di malattia, la progressione della stessa ne può essere rallentata.

Il rimodellamento del sistema nervoso è basato sullo sprouting assonale. Nel momento in cui si ha la perdita di un assone, il neurone va
incontro a un processo di formazione basato sulla crescita di un ramo collaterale. Questo processo è fatto di tre fasi:
- Aumento del diametro assonale
- Aumento del numero delle spine dendritiche
- Aumento delle connessioni sinaptiche
Bisogna iniziare subito quindi la riabilitazione perché quando c’è un danno a livello neuronale, esistono una serie di fattori neutrofici che si
mettono in moto per cercare di riparare il danno fin da subito (si vanno a chiamare le cellule “di riserva”). Già dopo le prime ore dal danno, ci
sono tutti fattori di crescita, c’è l’inibizione dell’interleuchina, tutti processi che fanno in modo che già dopo due settimane ci sia la formazione
di una sinapsi.

Vasculopatie cerebrali
Andiamo a vedere quale è la vascolarizzazione del cervello e in che modo quest’ultima può portare dei problemi o dei danni tessutali.
Quando si arriva in pronto soccorso la maggior parte degli accessi (il 30%) sono a causa delle vascolopatie cerebrali. Dividiamo gli ictus in due
tipi:
 Ischemico: causato dal fatto che una struttura non viene correttamente irrorata. Questo tipo di ictus è il più frequente (80%).
 Emorragico: causato dalla rottura di un vaso, che compare per un 20% degli ictus.

ICTUS ISCHEMICO
Può essere a sua volta suddiviso in base alla causa:
- Corticale: ostruzione di una delle tre arterie principali (arteria cerebrale anteriore, posteriore o media).
- Sottocorticale: causata da ostruzione a delle strutture più interne.
I fattori di rischio principali per un ictus ischemico possono essere divisi in: STUDIARE BENE!
 Modificabili e “certi”: ipertensione, cardiopatie, ipertrofia ventricolare sinistra, fumo, TIA, aumento dell’omocisteina. Pazienti che
hanno malattie del connettivo rischiano poi di avere anche patologie che interessano le pareti delle arterie.
 Non modificabili: età, sesso, ereditarietà, localizzazione geografica.
 Modificabili e “sospetti”: colesterolo e lipidi, consumo di alcool, uso di contraccettivi orali, uso di droghe, inattività fisica, fattori
alimentari.
È importante sapere i fattori di rischio in quanto se ci troviamo di fronte a delle persone che ne possiedono uno o più, dobbiamo indirizzarle
verso uno specialista per dei controlli approfonditi.

Eziopatogenesi: come si forma una placca?


La placca è un ostacolo al flusso del sangue. Oltre a influire negativamente sul flusso del sangue stesso, potrebbe inoltre ulcerarsi. Da lì, sotto
la spinta della pressione arteriosa, pezzi di questo trombo possono muoversi e dare vita a un embolo. Quando la percentuale di ostruzione a
causa della placca supera il 70%, la placca deve essere operata. Fino a questa percentuale invece si può evitare l’operazione utilizzando dei
farmaci (utilizzare le statine in quanto da una parte non fanno salire i trigliceridi e dall’altra evitano l’accrescimento della placca stessa).

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Quando abbiamo delle lesioni ischemiche, nulla è casuale. Le lesioni ischemiche possono essere sia in zone molto estese (lobi) e in questo caso
parleremo di ischemie lobari; ma possono esserci anche ischemie nei territori più vicini alla diramazione dell’arteria cerebrale. In questo caso
le ischemie arrivano alle piccole arterie in zone del nostro cervello (zona sottocorticale) dove passa la via piramidale (precisamente nella
capsula interna) causando anche la formazione di piccoli aneurismi, che sono poi la causa dell’emorragie in questa sede.

Circolazione cerebrale
Circa un litro di sangue al minuto arriva al nostro cervello, di cui 350ml scorrono in ogni carotide. I restati 100/200ml arrivano invece al sistema
vertebro-basilare. Dal cuore (ventricolo sinistro) nasce l’aorta. Nell’arco dell’aorta, nella parte di sinistra, l’arteria succlavia e la carotide
nascono separatamente. Nella parte invece dell’arco dell’aorta di destra, queste due arterie nascono da un tronco comune (tronco
brachiocefalico) e non separatamente come nell’arco di sinistra.

La carotide si dirama in:


- Carotide interna: fa parte del poligono di Willis
- Carotide esterna
La parte posteriore invece è irrorata dall’arteria succlavia, da cui nasce l’arteria vertebrale. Questa arteria vertebrale ha un decorso che
all’inizio è libero e dopo continua inserendosi nelle vertebre. Finiscono le vertebre e finisce anche il suo decorso dentro di esse. La parte finale
dell’arteria vertebrale, con quella contro laterale, va a formare l’arteria basilare. Questa arteria è quella che andrà a collegarsi con la parte
anteriore rappresentata dalla carotide interna.
Il sangue nel cervello per ricapitolare viene portato quindi da due sistemi:
 Carotidi interne (anteriormente)
 Arterie vertebrali che si uniscono a formare l’arteria basilare (posteriormente)

Poligono di Willis
E’ un sistema che fa in modo che il sangue sia sempre presente all’interno del cervello anche se si dovesse verificare una parziale ostruzione. È
chiamato così in quanto ricorda un esagono. Nel nostro cervello quindi il sangue viene o dalla parte anteriore (carotide) o dalla parte
posteriore (arteria basilare). Vediamo come è formato il poligono di Willis. L’arteria carotide interna prosegue con l’arteria cerebrale media,
poi si dirama anche in arteria cerebrale media destra e sinistra. Queste due diramazioni della carotide interna (arteria cerebrale media destra e
sinistra) comunicano attraverso l’arteria comunicante anteriore.
L’arteria basilare che si forma dall’unione delle due arterie vertebrali, alla fine si divide in due tronchi che fanno nascere l’arteria cerebrale
posteriore e l’arteria cerebrale superiore rispettivamente sia di destra che di sinistra. L’arteria cerebrale posteriore però si collega a sua volta
alla carotide interna tramite l’arteria comunicante posteriore.
Perché è importante sapere questo? A volte posso avere l’occlusione di un’arteria che si chiude lentamente, ma non avere sintomi. Ciò grazie
alla presenza di questo poligono: anche se un vaso si occlude parzialmente in un arco di tempo relativamente lungo, la struttura è in grado di
organizzarsi e cambiare il flusso di modo che il cervello rimanga sempre irrorato.
È importante ricordare che queste arterie vanno a irrorare dei territori selettivi del nostro cervello e della nostra corteccia (fondamentale da
ricordare per la presenza dell’Homunculus). Come possiamo vedere dalla figura:
 L’arteria cerebrale anteriore: va a irrorare il territorio dell’Homunculus che corrisponde al tronco e all’arto inferiore
 L’arteria cerebrale media: irrora principalmente il territorio che corrisponde al viso e all’arto superiore
 Arteria cerebrale posteriore: irrora la parte del lobo temporale e occipitale

In base quindi al tipo di arteria che si occlude abbiamo dei sintomi differenti:

OCCLUSIONE A CARICO DELL’ARTERIA CAROTIDE INTERNA


Se si ostruisce la carotide interna avrò un danno sia sulla cerebrale anteriore che sulla cerebrale media. Il risultato è che io avrò un’emiplegia
completa sia motoria che sensitiva nel paziente. Se il danno avviene nell’emisfero sinistro, nella persona destrimane, a questa emiplegia si
aggiunge anche l’Afasia (l’incapacità di parlare). Questo perché nella persona destrimane, nell’emisfero di sinistra, si trova il centro del
linguaggio per quanto riguarda la parte motoria del linguaggio stesso. Se la lesione è a destra invece assocerò l’emiplegia a un aprassia-gnosia
(non riconoscere la forma degli oggetti, il viso, parte del corpo come “propria”).
Un altro sintomo può essere la sindrome alterna oculo-piramidale: il paziente ha un’emiplegia a destra e non riesce a vedere con l’occhio di
sinistra. Questo può succedere perché l’occhio e la retina ricevono sangue dall’arteria centrale retinica, che non è altro che un ramo della
carotide interna, insieme all’arteria oftalmica. Di conseguenza quindi a un’ostruzione della carotide interna, ci sarà poi anche un’occlusione
dell’arteria centrale retinica. Il paziente non riesce a vedere da un occhio e ha un’emi-paresi controlaterale. Di solito nel paziente prima si
manifestano problemi a livello del viso e della vista (che possono essere anche attacchi ischemici transitori), dopo si arriva all’ictus. Questi
quindi devono essere campanelli di allarme da tenere in considerazione.

OCCLUSIONE A CARICO DELL’ARTERIA CEREBRALE ANTERIORE


Facciamo un esempio. Si rivolge al fisioterapista un signore che accusa problemi motori alla gamba sinistra, e stranamente non ha nessun altro
problema. Se il problema fosse nervoso e la sua debolezza funzionale fosse legata a una struttura periferica come il nervo sciatico o femorale,
il paziente dovrebbe di conseguenza avere dei sintomi o solo nella parte posteriore della coscia (nervo sciatico) o solo nella parte anteriore
(nervo femorale). Cosa è che ci può far capire che non siamo di fronte a un problema di tipo periferico? Il fatto che il paziente manifesta un
deficit sia a livello dei muscoli anteriori che posteriori dell’arto inferiore. Una monoplegia o monoparesi di un arto inferiore sta a significare che
si sta per chiudere o si è chiusa l’arteria cerebrale anteriore perché è quella parte dell’Homunculus che viene irrorata da questa arteria.

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OCCLUSIONE DELL’ARTERIA CEREBRALE MEDIA
Quest’arteria ricordiamo che va a irrorare l’Homunculus a livello dell’arto superiore e del viso. Quindi, molto semplicemente, se abbiamo
un’occlusione dell’arteria cerebrale media come sintomi abbiamo un paziente con una plegia a livello dell’emi-viso e dell’arto superiore
controlaterale. Inoltre se l’emisfero colpito è quello dominante, e se la lesione è a sinistra, manifesto anche un’afasia (Area di Broca).
NB: il motivo per cui io ho una compromissione motoria e che rispetta questa disposizione è perché le vie piramidali passano all’interno della
capsula interna (che viene a essere compromessa nel momento in cui ho l’ictus).

OCCLUSIONE ARTERIA CEREBRALE POSTERIORE


Anche in questo caso abbiamo dei segni tipici in quanto l’arteria va a irrorare la parte posteriore del lobo occipitale. In questo caso quindi non
abbiamo i disturbi motori, ci sono invece le vie visive (quindi il paziente può avere disturbi visivi o allucinazioni). Poiché poi prende anche la
parte del lobo temporale, potrò avere dei disturbi della memoria nel paziente.

TIA: Attacco Ischemico Transitorio 


Il TIA è un attacco ischemico transitorio, segno che sta per arrivare un ictus probabilmente. Il TIA lo posso avere o sulla parte carotidea o sulla
parte vertebro-basilare. Quindi tutto ciò che abbiamo detto per l’ictus vale anche per il TIA. Questo deve essere un campanello d’allarme
quando il TIA dura da 10-15 minuti a 1 ora/1 ora e 30. La persona che ha un TIA non perde coscienza, non sviene. Nel caso in cui ho un disturbo
transitorio e ho la compromissione della coscienza a quel punto non parlo di TIA ma di epilessia.

Lezione 21/1/2021
Emorragie cerebrali
Per emorragia si intende la rottura di un vaso o, più in generale, delle strutture vascolari. La classificazione di sede è relativamente semplice:
possiamo individuare emorragia intracerebrali, quindi in riferimento al parenchima, ed emorragie extra cerebrali, ovvero al di fuori del
parenchima ma sempre all’ interno del cranio.
La zona che rappresenta la maggior pericolosità in caso di sanguinamento è quella epidurale.
A questo punto possiamo distinguere le emorragie Primarie dalle Secondarie:
 Emorragie primarie  avremo un sanguinamento dei vasi intraparenchimali, evenienza che si presenta nell’ 85% dei casi, sia in quelli più
gradi che in quelli più piccoli.
 Emorragie secondarie  il sanguinamento sarà conseguenza di MAV (malformazioni arterovenose), aneurismi, traumi, fattori di
coagulazione, metastasi. Nell’ ultimo caso, quindi riferito ad un’emorragia secondaria alla presenza di un tumore, la metastasi si localizza
nelle frontiere, nei territori di confine tra i settori vascolarizzati delle arterie cerebrali, ovvero in tutte quelle zone in cui la circolazione è
rallentata, consentendo l’insediamento della cellula modificata  la metastasi quindi sanguina.
Fattori di rischio
Fattori di rischio non modificabili:
o Età: nei giovani l’esa è più frequente poiché conseguenza di aneurisma, che tende a rompersi dopo un tempo specifico, aumentando
la probabilità col passare del tempo.
o Sesso
o Etnia: è statisticamente riscontrato che la popolazione asiatica sia soggetta maggiormente alle emorragie
o Angiopatia amiloide: predispone al sanguinamento, facilmente riscontrabile in RM con micro-sanguinamenti lobari, accumuli di
amiloide sparsi all’ interno dei vasi, raccolte scure dovute ad un sanguinamento precedente. Nei solchi al contrario del fisiologico
bianco troveremo del nero.
Fattori modificabili:
o Alcool
o Fumo
o Diabete
o Colesterolemia

EMORRAGIE INTRAPARENCHIMALI
Affrontiamo un’ulteriore differenziazione di sede a proposito di emorragie intraparenchimali:
 Emorragia in SEDE TIPICA (B) nei nuclei della base e zone limitrofe come capsula interna: il motivo della frequenza di sanguinamento in
questa zona è semplice, infatti è l’area più sensibile all’ipertensione arteriosa. L’ arteria cerebrale media manda rami terminali ad angolo
retto, sottili e più fragili, ai gangli della base. L’aumento di pressione provoca degenerazione della parete vasale che comporta formazione
di micro-aneurismi, detti di Charcot Bouchard, predisposti a rottura  rompendosi sono la causa dell’emorragia. Spesso gli aneurismi sono
a livello delle biforcazioni, dove la degenerazione è più marcata.

 Emorragia in SEDE ATIPICA  è riferita a tutte le altre regioni cerebrali, come ponte, lobi (meno comuni), cervelletto e talamo. La
sintomatologia sarà chiaramente focale, quindi specifica per ogni zona interessata. Le emorragie intralobari sono spesso legate ad
angiopatie, diabete e alcolismo, quindi non conseguenti all’innalzamento della pressione, che, ribadendo, agisce principalmente nella sede
tipica. Le emorragie lobari quindi sono dovute alla rottura delle arterie penetranti, che in presenza dei fattori di rischio, si rompono (nella
figura A). L’ictus emorragico da sintomi molto più velocemente di quello ischemico.

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N.B: l’emorragia è un’evenienza meno grave dell’ischemia poiché i neuroni sono compressi ma comunque intatti. Il riassorbimento del sangue
da parte dei macrofagi consente infatti la riorganizzazione cellulare.

Nel caso delle emorragie lobari troviamo piccoli sanguinamenti, accumuli vecchi in altre zone e anche delle raccolte scure, che ci fanno capire
che lì c’è un sanguinamento. Nelle immagini in risonanza magnetica vediamo delle zone nere nei lobi (microsanguinamenti lobari) e buchi in
altre zone, che sono i segni di una angiopatia amiloide  angiopatia che si può creare per accumulo di amiloide nell’endotelio, quindi l’arteria
sanguina.
Un paziente che ha avuto una emorragia nel ponte o nel talamo, dobbiamo trovare i sintomi e i segni residui. Per esempio nel ponte passano le
vie motorie, quindi il signore potrà avere una tetraparesi. Se invece prende il temporale avrà disturbi della memoria. L’emorragia ci da la sede
della lesione, ma anche le sedi del ricupero. Meglio l’emorragia che l’ischemia: nell’ischemia le cellule muoino, mentra nell’emorragia le cellule
vengono schiacciate dal sangue, ma poi questo viene riassorbito quindi hanno più possibilità di recupero.

Ernie cerebrali: complicanze dell’emorragia


Se l’emorragia diventa molto grande, la spinta del sangue comincia ad esercitare pressione sul cervello, che viene spinto quindi contro le
ripiegature della dura madre. Sappiamo che la Falce cerebrale ed il tentorio, oltre a suddividere anatomicamente il cervello rispettivamente in
parte sx-dx, superiore-inferiore, hanno il compito di sostenerlo. La spinta del sangue potrebbe superare la resistenza di una delle membrane,
verso l’alto, verso il basso o dall’ altra parte, erniando.

EMORRAGIA SUB-ARACNOIDEA (ESA)


La causa principale è l’aneurisma, quindi colpisce in maggior numero i giovani. Le sedi frequenti di formazione sono i punti di raccordo
principali delle arterie del circolo di Willis, quindi al termine della basilare, nella comunicazione tra la media e la cerebrale posteriore, la
comunicante anteriore (più frequente in assoluto) o posteriore.
Il fisioterapista può identificare sintomi prodromici, legati ad un iniziale sanguinamento dell’aneurisma, durante le sedute: particolare
attenzione va posta alle cefalee atipiche, magari legate a rigidità del collo ed alle sintomatologie specifiche alla sede dell’aneurisma.
Consideriamo ad esempio la presenza di disturbi nella visione, con annesso dolore retro-oculare, modesta compromissione dei nervi
oculomotori e segni annessi (diplopia, strabismo convergente, ptosi, non direzionamento dello sguardo); potrebbero essere indice di un
aneurisma nel seno cavernoso, nella carotide, che comprime le strutture.
I sintomi post rottura sono
o Cefalea improvvisa (‘’colpo di pugnale alla nuca’’),
o Vomito a getto,
o Perdita di coscienza con alterazioni anche gravi
o Dopo 30 min segni di irritazione delle meningi quindi rigidità nucale (rigor nucalis). I segni combaciano con quelli della meningite che
però presenta febbre associata.
Nell’ ESA il sangue tende ad espandersi nei vari spazi sotto l’aracnoide, al contrario dell’epidurale, che genera cono di pressione.

MAV: Malformazione Artero - venosa


È un circuito anomalo con collegamento a nido tra le vene: rappresenta un punto di fragilità. Sono delle malformazioni congenite che possono
aumentare con l’età. Il 60% dei soggetti con MAV va incontro ad emorragia.
Angioma cavernoso
È un’arteria anomala, una sorta di vena varicosa dove però la pressione agisce in maniera meno intensa, ha meno possibilità di rottura.

EMATOMA SOTTODURALE
È dovuto alla rottura delle vene a ponte, che causa una raccolta ematica nello spazio subdurale. Sono frequenti negli anziani poiché
l’atrofizzazione fisiologica del cervello in età avanzata tende a stirare le vene, che quindi diventano più fragili. Da questo ne deriva che anche
dopo traumi, diretti od indiretti, di lieve entità può conseguire un ematoma sottodurale.
A rompersi non sono le arterie quindi l’evenienza è meno grave. La pericolosità è legata alla perdita di piccole goccioline di sangue,
giornalmente  i segni saranno quindi subdoli, focali e poco riconoscibili. Saranno comunque guaribili, dopo un drenaggio specifico che liberi
le zone dalla compressione. Gli emoatomi sub surali hanno la morflogia a luna crescente, danno sintomi focali, subacuti e lenti, o di tipo
motorio, sensitivo o cognitivo. Sono sintomi curabili.

EMATOMA EPIDURALE
Va sospettate in caso di trauma cranico, un ematoma epidurale è sempre un’emergenza. A rompersi stavolta è un’arteria, quindi la perdita di
sangue sarà intensa e veloce, al di fuori della dura madre. Come conseguenze di questo ematoma possiamo avere delle erniazioni, con
formazione di un cono di pressione che aumenta la PIC. L’intervento chirurgico tempestivo è necessario. La zona predisposta maggiormente a
quest’ evenienza è la tempia (Zona Scollabile Di Marchant Ferrè), dove l’arteria meningea media decorre superficialmente.
Se un paziente perde velocemente una funzione motoria o cognitiva bisogna sospettarla!
ESAME: differenza tra ematoma sub durale, epidurale e ESA.

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