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Neurofisiologia 27-03-2015 Denise Piano

Prof. Colantuoni Elisa Notarangelo


Lezione 1 - Regolazione della motilità volontaria Correttore: Denise Piano

Il sistema nervoso è quello che ci permette la cosiddetta vita di relazione. La scuola pisana studia i
meccanismi cellulari che portano alla regolazione del movimento, in particolare alla regolazione della
postura. La postura è la posizione che noi abbiamo nello spazio. Dobbiamo ricordare, però, che siamo
sottoposti ad un campo gravitazionale, quello terrestre. Imparare a camminare, iniziando prima a gattonare e
poi a muoverci su due gambe, permette al nostro SNC di prendere dimestichezza con la gravità e di istruire
le diverse parti a rispondere a queste stimolazioni che vengono appunto dalla forza di gravità che tende a
tirarci giù. Noi riusciamo quindi a camminare e a mantenere la nostra posizione nello spazio, dopo che
abbiamo appreso, durante il periodo iniziale della nostra infanzia, come rispondere alla gravità; questo
implica meccanismi nervosi e muscolari. Dobbiamo stabilire come il sistema nervoso interviene sulla nostra
muscolatura e quindi, come attraverso la sua capacità di dirigere i muscoli, riesce a farci fare tutto quello che
vogliamo.

Argomenti da trattare

1) Regolazione della motilità volontaria


Il primo grosso argomento che affrontiamo è la regolazione della motilità volontaria. Il movimento indica tutta
una serie di strutture cerebrali.

2)Sensibilità somato-sensoriale
Il secondo argomento è la sensibilità. Noi abbiamo possibilità di muovere noi stessi e al tempo stesso di
ricevere informazioni dall'esterno. Queste informazioni possono venire dal sistema generale che noi
chiamiamo della sensibilità somatica oppure possono venire a noi attraverso il sistema dei sensi. Noi
abbiamo i famosi cinque sensi che ci aiutano ad avere informazioni dall'esterno. Se queste vanno attraverso
la superficie del nostro corpo riguardano la sensibilità tattile. Questa cosiddetta sensibilità tattile, termica e
dolorifica, ascende dai recettori periferici che abbiamo nella cute, a livello dei muscoli, del sottocutaneo e
delle articolazioni. Questi recettori vengono attivati da varie stimolazioni e poi trasferiscono alla corteccia
cerebrale tutte queste informazioni che noi possiamo trasformare in sensibilità dolorifica (pizzicotto), di
pressione oppure di sensibilità termica quando tocchiamo una sorgente calda; possiamo quindi apprezzare
la differenza che passa tra freddo e caldo mettendo una nostra superficie corporea a contatto con una fonte
di calore o di freddo. Tutte le informazioni sensitive prima di arrivare nella corteccia si raccolgono nel talamo,
struttura sottocorticale su cui converge tutta questa massa di informazioni che poi vengono in maniera molto
regolare distribuite alla corteccia.

3) Sonno
L'altro argomento che andremo a trattare riguarda tutti i meccanismi che andiamo ad attivare nel momento in
cui la nostra attività quotidiana si interrompe col sonno. Dovremo quindi studiare nel dettaglio tutte quelle
cose che avvengono durante il sonno. Per lunghi anni i fisiologi hanno discusso per capire se il sonno fosse
un fenomeno attivo o passivo, cioè se ci sono strutture che determinano l'instaurarsi di questo stato di
sonnolenza per poi riprendere le nostre attività. Questo è stato un meccanismo a lungo studiato e il
professor Moruzzi è stato uno dei maestri della scuola neurofisiologica italiana. C'è un famoso articolo del
1949 in cui Moruzzi dimostrò che la sostanza reticolare bulbo pontina mesencefalica stimolata è in grado di
risvegliare un animale anestetizzato. La scuola pisana ha dimostrato che il sonno è un meccanismo
totalmente attivo. Ci sono dei punti del nostro SNC che danno l'input a dormire, come la stanchezza, data
dal centro ipnico che troviamo nel pre-ipotalamo e al tempo stesso c'è questa sostanza reticolare
riattrivatrice che invece dà l'input di svegliarsi.

4)Memoria
Infine andremo a considerare i meccanismi della memoria, che comprendono il ricordo, quindi .siamo a livelli
alti dell'attività cerebrale . Abbiamo una memoria a lungo e a breve termine e poi ci interesseremo della
memoria dichiarativa e della memoria procedurale,quest'ultima viene anche definita implicita, cioè ci
permette di imparare a fare qualcosa.

5)Paura
Se abbiamo tempo faremo le risposte alla paura, cioè come riusciamo a corticalizzare le paure che noi
affrontiamo.

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Regolazione della motilità volontaria – Tono muscolare
Iniziamo a ragionare sulla base della nostra
attività motoria. Il muscolo alla palpazione
sembra semicontratto, questa parziale
contrazione che noi possiamo apprezzare
anche a riposo la possiamo definire tono
muscolare. Il tono muscolare è quindi uno
stato di parziale contrazione del muscolo che
noi possiamo apprezzare anche in condizione
di riposo. Dal punto di vista clinico, se sarete
neurologi o neurochirurghi avrete modo di
apprezzare le diversità del tono muscolare nei
soggetti che hanno differenti patologie, quindi
dovete essere in grado di valutarne
attentamente quello che è il quadro clinico
che essi presentano alla vostra attenzione.
Questa parziale contrazione del muscolo
nasce dal fatto che nei nostri muscoli sono
presenti dei recettori che definiamo recettori
di stiramento.

Il fuso neuromuscolare è questo recettore di


stiramento, contenuto all'interno delle strutture
muscolari, sensibile allo stiramento che sul
nostro corpo viene esercitato soprattutto dalla
forza gravitazionale. Il fuso neuromuscolare è formato da una decina di fibre muscolari che sono un po'
particolari. Ci sono fibre muscolari che definiamo a sacco nucleare o a sacchetto di nuclei e fibre
muscolari che definiamo a catena di nuclei. Questo fuso neuromuscolare ha queste fibre a sacco nucleare
che presentano un aggregato centrale ricco di nuclei con una specie di capsula intorno, quindi una struttura
relativamente rigida, attorno a questa parte centrale si avvolge una terminazione detta terminazione anulo-
spirale che forma un anello a spira attorno ad essa. Questa terminazione al centro si continua con una fibra
di tipo 1A, abbastanza grossa, che arriva a livello del midollo spinale attraverso le radici posteriori. Tutto
quello che entra al midollo lo fa attraverso le radici posteriori tutto quello che esce dal midollo lo fa attraverso
le radici anteriori. Radici anteriori e posteriori si uniscono a formare il nervo periferico. Possiamo avere quindi
una parte motoria e una parte sensitiva. Questa fibra di tipo 1A entra nel midollo e va a prendere sinapsi con
un motoneurone che viene definito α-motoneurone, abbastanza grande e che troviamo nelle corna grigie
del midollo. Quando parliamo di struttura grigia ci riferiamo ai somi, cioè ai corpi dei neuroni che poi sono
avvolti dal midollo. Quindi ogni volta che ci riferiamo ad una struttura grigia (anche nel cervello dove ce
l'abbiamo all'esterno e all'interno quella bianca) ci riferiamo prevalentemente ad una serie impressionante di
neuroni. I neuroni cerebrali sono 2311. I neuroni sono la parte grigia, le fibre mieliniche costituiscono la parte
bianca. Quando la fibra entra nel midollo prende sinapsi con l'α-motoneurone che si porta direttamente alle
fibre muscolari. In realtà,quest’ultime, per distinguerli dal fuso, le chiamiamo fibre extrafusali. Quindi io ho il
neurone afferente di tipo 1A che entra attraverso la radice posteriore prende sinapsi con l' α-motoneurone
che poi si porta al muscolo da cui arriva l'informazione.

Oltre alle fibre a sacco nucleare, nella struttura del fuso ci sono anche le fibre a catena nucleare,che
presentano invece una distribuzione nucleare allungata, sempre concentrata nella regione equatoriale, ma
estesa anche in periferia; sono inoltre più corte e sottili delle precedenti, hanno i nuclei uno dietro l'altro e
presentano degli avvolgimenti di terminazioni anulo-spirali Accanto alle terminazioni anulo-spirali, anche
nella fibra a sacco nucleare, dobbiamo ricordare che esistono delle terminazioni a fiorami, che sfioccano al
di sopra della parte centrale. Queste terminazioni mandano i loro impulsi, cioè il loro potenziale d'azione, al
midollo con fibre di tipo 2, un po' più piccole di quelle 1A. Quindi abbiamo due tipi di informazioni che
arrivano al midollo, una attraverso le fibre 1A e l'altra attraverso le fibre 2.

Andiamo a considerare la reattività nervosa del vostro paziente, considerando il riflesso rotuleo. Andando a
battere col martelletto sul tendine del quadricipite è come se tirassi il muscolo in basso, la risposta è
estensione nella gamba sulla coscia. Ovviamente l'arto inferiore deve essere in una posizione in cui tutti i
muscoli devono essere rilassati. Quando stiro il muscolo, battendo con il martelletto, stiro anche il fuso,
faccio distorcere le terminazioni anulo-spirali e la loro distorsione determina l'apertura dei canali meccano-
sensibili. Quindi, quando stiro il muscolo, in realtà, stiro le strutture nervose sensibili del fuso. Il fuso risponde

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con la distorsione della parte centrale che fa entrare il sodio e parte quindi un potenziale d'azione. Il sodio
determina un innalzamento del potenziale. Il potenziale di riposo di una cellula nervosa è di -70 mV, il
potenziale di attivazione è -50mV. Se il sodio che entra dentro è tale da arrivare a -50 mV, avrò il potenziale
d'azione. La distorsione delle fibre anulo-spirali deve essere tale da far entrare il sodio sufficiente per portare
il potenziale a -50 mV, a questo punto si aprono i canali Na + voltaggio-dipendenti. Il sodio si dirige in questa
fibra a grande velocità depolarizzandola fino a +30 mV. Il potenziale d'azione viaggia lungo la fibra afferente
fino a raggiungere il midollo. Raggiunto il midollo spinale c'è una sinapsi con l'α-motoneurone. Questa
sinapsi ha come neurotrasmettitore il glutammato. Viene liberato il neurotrasmettitore che si lega alla
membrana post-sinaptica tramite dei recettori e apre i canali del sodio, quindi un neurotrasmettitore
stimolante. Otterrò, attraverso una sinapsi chimica, il trasferimento di un potenziale d'azione, da una cellula
nervosa ad un'altra cellula nervosa. Il sodio entra nella cellula post-sinaptica e se è tale da determinare un
potenziale di -50mV verrà attivato l' α-motoneurone che trasmetterà il potenziale d'azione alla cellula
muscolare. Questa cellula muscolare, in connessione con la fibra nervosa, presenterà una sinapsi che
chiameremo placca neuromuscolare. Quindi quando io stiro il fuso la risposta è una contrazione, indotta dall'
α-motoneurone, delle fibre muscolari da cui parte l'impulso. La risposta allo stiramento è una contrazione
muscolare, per ridurne la lunghezza. Questa parziale contrazione lo chiamiamo tono muscolare.

Riassumendo:
Tramite un sistema che registra l’allungamento del muscolo, riusciamo ad innescare la contrazione. Questa
contrazione muscolare, determinata dalla stimolazione gravitazionale, la chiamiamo tono muscolare. Nel
muscolo ci sono questi sensori dello stiramento che sono i fusi neuromuscolari, formati da una decina di
fibre, che possono essere a sacco nucleare o a catena nucleare. Quelli a sacco nucleare presentano un
rigonfiamento centrale intorno al quale c'è la struttura afferente sensitiva. Questa struttura afferente sensitiva
la chiamiamo terminazione anulo-spirale, così chiamata perché questa spira si deforma quando noi
allunghiamo il muscolo, cioè quando la gravità tira giù il muscolo. In questo caso la terminazione risponde
con un'apertura dei cosiddetti canali meccano-sensibili. Questi canali stirati si aprono e fanno entrare il
sodio. Il sodio che entra induce un potenziale d'azione, che è trasmesso lungo la fibra afferente di tipo 1A
che è una fibra grossa ad alta velocità di conduzione. Questa afferenza 1A arriva al midollo tramite le radici
posteriori e prende sinapsi con l'α-motoneurone che è il motoneurone che si porta al muscolo da cui parte
l'afferenza. Questa sinapsi è modulata da un neurotrasmettitore, il glutammato, di tipo eccitatorio. Quindi il
glutammato arriva sulla membrana, si lega ai suoi recettori post-sinaptici e questi ultimi fanno aprire i canali
del sodio, il quale entra dentro le cellule, cioè negli α-motoneuroni. Queste cellule nervose sono cellule che
comandano l'attività muscolare, sono cellule grosse e quindi il neurone α porta l'impulso al muscolo, dove c'è
la placca neuromuscolare. Quando arriva l'impulso sul muscolo, il muscolo si contrae. Il dato importante è
che noi rispondiamo in maniera riflessa alla gravità, senza scomodare la nostra volontà; la risposta alla
gravità è una risposta assolutamente involontaria che determina questo stato di parziale contrazione del
muscolo. Il fuso neuromuscolare è un recettore a sensibilità modulabile, cioè può rispondere di più o di meno
allo stiramento, in rapporto al fatto che questo fuso è innervato anche da fibre efferenti. Infatti ai poli del fuso
ci sono fibre muscolari e, a livello della parte polare superiore, anche le terminazioni efferenti dei γ-

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motoneuroni.

Che cos'è un γ-motoneurone?

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E' un piccolo neurone, il cui nucleo è localizzato a livello midollare,nelle corna anteriori; sono interessanti
perché vanno a innervare le fibre intrafusali. L'attività dei γ-motoneuroni fa contrarre la parte sopra e sotto la
zona centrale e la contrazione di queste due parti polari allunga il fuso. Se io allungo la parte centrale mi
aspetto che le terminazioni anulo-spirali siano distese e la distensione delle parti polari significa che io
comincio a far entrare un po’ di Na+ dentro, viene abbassato il loro livello di soglia e possono essere
stimolate più facilmente. Quindi
risulta più facile arrivare ad un
potenziale d’azione di -50mV,
perché con questa distensione
della parte centrale, dovuta ai γ-
motoneurone, incomincia già ad
entrare un po’ di Na+ all’interno
della cellula, quindi affinché
avvenga l’impulso, la quantità di
sodio che deve entrare é minore.
Immaginiamo il fuso stirato, questo
induce l'apertura dei canali
meccano-sensibili, dopo di che
parte il potenziale d'azione, il
potenziale d'azione attiva l'α-
motoneurone e il muscolo in toto si
contrae e il fuso neuromuscolare si
accorcia. Per cui la parte centrale
che era stata distesa dalla stimolazione gravitazionale, accorciandosi, viene ricondotta alla sua lunghezza
iniziale. Riportarlo alla lunghezza iniziale significa alzarne la soglia di stimolazione, cioè se io ora ho il
muscolo totalmente contratto e il fuso è ristretto, per tornare a farlo depolarizzare devo aprire un po' più di
canali del Na+. Quindi la contrazione muscolare tenderebbe a ridurre la sensibilità nervosa e si riduce
l’eccitabilità del fuso perché l'ho riportato alla lunghezza iniziale. Più a lungo lo stiro più a lungo risponde; più
lo accorcio e meno risponde. Allora se io stimolo i γ-motoneuroni, nonostante il muscolo sia contratto,
avremmo un allungamento del fuso.

Esempio:
Poniamo il caso in cui si debbano aprire cento canali del Na+ affinché avvenga il potenziale d’azione. Se il
muscolo è contratto, i canali sono tutti chiusi ed ho bisogno di una stimolazione tale da farli aprire tutti e
cento. La stimolazione dei γ-motoneuroni allunga la parte centrale e mi apre cinquanta canali, quindi per
poter avere un potenziale d’azione non dovrò più aprirne cento, ma solo altri cinquanta. Quindi alla fine della
contrazione, la stimolazione γ mi rende il fuso molto più sensibile alla gravità

In questa maniera, in termini elettrofisiologici affermiamo che la soglia d’eccitabilità del fuso si è ridotta.
L'attività γ serve a regolare la sensibilità del fuso allo stiramento. Ecco perché abbiamo detto che il fuso è
una struttura estremamente interessante, perché modula la sua risposta alla gravitazione. Questa struttura
che determina questo riflesso, che definiamo riflesso spinale, è una struttura ampiamente dominata da
strutture sovrassiali.
Quali sono queste strutture sovrastanti che regolano il tono muscolare? Quelle che ci interessano sono:
bulbo, ponte e telencefalo.

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La corteccia cerebrale rappresenta il telencefalo, la
vescicola più esterna che si forma durante lo sviluppo
embrionale. Il tubo neuronale è un tubicino allungato,
che poi inizia ad assumere forme diverse; la parte
cefalica, da cui si forma il cervello,si gonfia formando
il telencefalo, al di sotto troviamo il diencefalo,
mesencefalo, metencefalo(ponte) e
mielencefalo(bulbo). Il telencefalo ingrandendosi
raccoglie al suo interno il diencefalo, che poi è
formato sostanzialmente dai nuclei della base, e il
talamo che è la struttura fondamentale sottocorticale.
Sotto il diencefalo, che è la parte immediatamente
sottostante alla corteccia, troviamo i cosiddetti
ventricoli. I ventricoli sono importanti perché se il
cervello fosse tutto pieno, potrebbe pesare troppo e
schiacciare se stesso, allora la natura si è
organizzata in maniera tale da ridurre il peso del
cervello e lo fa principalmente in due maniere:

1. Utilizza i ventricoli per “svuotarlo” all’interno( nell'encefalo sono presenti quattro ventricoli in cui scorre il
liquido cefalo-rachidiano: due laterali, il terzo e il quarto ventricolo)

2. Circonda il cervello con delle meningi che presentano tra di loro il liquido cefalo-rachidiano

Allora il cervello è come se fosse immerso in una bacinella di liquor e sappiamo che, per la legge di
Archimede, un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al volume del liquido
spostato. Il cervello, quindi, molto sensibile agli urti, è notevolmente protetto da questa massa di liquido
cefalo-rachidiano presente intorno ed è come se questo liquido sollevasse il cervello così che non venga
schiacciato sulle ossa della base cranica, proprio perché c'è questo liquido che lo fa galleggiare. Questo è
un concetto importantissimo perché riduce il peso e al tempo stesso è protettivo perché quando io do una
botta in testa, o più in generale su una massa liquida, questa botta viene distribuita in maniera uniforme in
tutta la superficie. Ecco perché se do una botta sul cervello in condizioni fisiologiche, la botta che do viene
distribuita a tutta la massa cerebrale. Questo impedisce sostanzialmente che la lesione sia marcatissima
nella zona d’impatto grazie al fatto che le linee di forza vengono distribuite a tutto il cervello. Senza cervello
non c'è autocoscienza quindi non esistiamo. In che cosa consiste la coscienza e l'autocoscienza non lo
sappiamo ancora, non sappiamo quali strutture e i meccanismi che ci permettono di essere consci di noi
stessi, questo vuol dire che c'è un notevolissimo rifinimento delle funzioni cerebrali.
Dove troviamo questa struttura così complessa? Nella parte più bassa del nostro sistema nervoso centrale:
bulbo e ponte. Il ponte è quella struttura che si porta al cervelletto il bulbo è la parte finale che precede il
midollo spinale. Nel bulbo e nel mesencefalo troviamo una fitta trama di fibre che salgono e scendono. Le
fibre che salgono sono prevalentemente quelle che vengono dal sistema della somatosensibilità generale.
Abbiamo due tipi di cordoni in questa via somatosensoriale:
- i cordoni posteriori di Goll e Burdach portano la cosiddetta sensibilità tattile definita sensibilità
epicritica, molto discriminante, Queste fibre posteriori vanno dal midollo spinale al bulbo, dove decussano,
per poi terminare nei nuclei talamici controlaterali.
- i cordoni antero-laterali portano la sensibilità termico-dolorifica e in parte quella tattile. Quella dei cordoni
antero-laterali la chiamiamo sensibilità protopatica che non è in grado di darci la differenza tra due stimoli
molto vicini tra loro.
Inoltre a livello bulbopontino troviamo un reticolo di fibre nervose e di cellule che chiamiamo sostanza
reticolare bulbo-pontino-mesencefalica, dove sono presenti i centri della respirazione, i centri vagali
cardioinibitori, i centri dello starnuto, della tosse e così via. Definita sostanza reticolare perché ci sono tutte
queste fibre connesse tra di loro.
Il sistema piramidale è, invece, il sistema della motilità volontaria. È una struttura cerebrale molto complessa
perché le cellule s’intromettono tra le fibre afferenti ed efferenti e poi superato il mesencefalo abbiamo le
strutture fondamentali rappresentate dall'ipotalamo e dal talamo, intorno al quale si organizzano i nuclei della
base che sono il caudato, il putamen e il globo pallido.
Il sistema piramidale è il sistema che ci permette il movimento volontario; per esempio, attivo i neuroni della
corteccia di destra per muovere la mano sinistra, questi neuroni che scendono dalla corteccia si incrociano a
livello bulbare con la cosiddetta decussazione delle piramidi. La decussazione delle piramidi significa che
l'80% delle fibre che nasce a destra si porta a sinistra, per cui la parte di sinistra del nostro organismo è

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dominata dalla parte destra della corteccia e viceversa. L'ultimo 20% di fibre che resta omolaterale incrocia
invece all'altezza del midollo spinale. Poi ci sono centri specifici, per esempio il centro di Broca che è il
centro che permette di generare le parole. Ricordiamoci che tutto quello che noi elaboriamo lo elaboriamo a
livello corticale: il mondo esterno non esiste se non sulla nostra corteccia. Il centro di Broca è situato al di
sotto della corteccia motoria sulla parietale di sinistra, questo centro qualifica in un certo senso l'homo
sapiens, perché infatti l'homo habilis, che ha preceduto l'homo sapiens, non si esprimeva con la parole ma
con i gesti e possedeva un centro della gestualità che corrispondeva esattamente al centro di Broca.

La sostanza reticolare è una sostanza estremamente importante che possiamo studiare con delle
preparazioni sperimentali. Quando andiamo a studiare per esempio i riflessi spinali, lo possiamo fare grazie
a un preparato sperimentale. Il preparato sperimentale più semplice è il cosiddetto animale spinale.
Nell'animale spinale (di solito il gatto perché la sua struttura nervosa somiglia molto a quella dell'uomo) taglio
in maniera trasversa tutto il midollo spinale, con tagli a diversi livelli, in questo modo posso studiare quello
che succede a livello del midollo spinale dal punto di vista sperimentale.

Taglio a livello cervicale


Se taglio a livello cervicale, tra C2 e C3 o tra C1 e C2, per esempio, poiché decorrono a questo livello i nervi
respiratori che vanno al muscolo frenico, l'animale può morire di shock spinale: si ha caduta rapida della
pressione e arresto del respiro.

Taglio a livello toracico


Se io taglio a livello toracico, a seconda dell'altezza della lesione, l'animale perde tutta la sensibilità e la
motilità volontaria al di sotto della lesione.

Taglio bulbo-pontino-mesencefalico
Il taglio a livello bulbo-pontino-mesencefalico l’hanno fatto Sherrington prima e poi Moruzzi, infatti il taglio
mesencefalico viene definito anche taglio di Moruzzi. A livello mesencefalico ci sono quattro strutture, i

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quadrigemini o corpi mammillari, superiori e inferiore; si va tagliare tra i due superiori e i due inferiori (taglio
intercollicolare) e in questo modo isolare tutto quello che resta al di sopra da quello che è la gran parte delle
strutture encefaliche che stanno al di sopra del mesencefalo. Se io taglio a quel livello, quindi al di sotto del
nucleo rosso, e l'animale si riprende dall'intervento, quando lo poggiamo sulle zampe, l'animale assume una
caratteristica postura, propria di questi interventi: si dice che l'animale si irrigidisce a colonna.
L'irrigidimento a colonna significa che i muscoli degli arti sono ipertonici, c'è un'ipertonia dei muscoli,
soprattutto quelli antigravitari. L'animale innalza la testa (testa retroflessa posizione detta opistotono),
inarca la colonna vertebrale in basso e alza la coda: postura da ipertono antigravitario o rigidità a colonna.
Questa caratteristica ipercontrazione muscolare dipende dal fatto che i fusi neuromuscolari di questo
animale sono molto più sensibili alla gravità. La risposta di un fuso neuromuscolare ipersensibile determina
una contrazione molto marcata degli α-motoneuroni antigravitari. Il fuso risponde alla stimolazione gravitaria,
nel senso che la gravità allunga i muscoli, ma allunga anche i fusi e nel momento in cui il fuso è allungato
comincia la risposta contrattile dei muscoli antigravitari. Nell'uomo i muscoli antigravitari (in generale, quelli
che si attivano quando siamo sottoposti alla gravità) sono gli estensori.

Da dove nasce questa ipertonia?


Nell'animale spinale già sottoposto al taglio del midollo andiamo adesso a tagliare le radici posteriori
(rizotomia posteriore). Tagliando le radici posteriori, interrompo il flusso di informazioni che dal fuso
neuromuscolare arriva al midollo. In queste condizioni, quando ho tagliato la radice posteriore, le
informazioni condotte dal fuso attraverso le fibre di tipo 1A sono tutte interrotte. Quindi il fuso
neuromuscolare non può più influenzare gli α-motoneuroni. Ci aspettiamo allora che, se l'ipertono è dovuto
ad un'aumentata sensibilità del fuso alla distensione dovuta alla gravità, tagliando le radici posteriori, gli α-
motoneuroni non sono più attivati dai fusi neuromuscolari. In questi animali il taglio delle radici posteriori
determina scomparsa dell'ipertono e l'animale si presenta con una flaccidità evidente, i muscoli antigravitari
non sono più in grado di contrarsi.
Ripetiamo l'esperimento con un altro animale in cui ripetiamo lo stesso intervento di taglio del midollo.
Iniettiamo un anestetico locale che, per esempio, blocca i γ-motoneuroni. Otteniamo ugualmente la
scomparsa della rigidità. L'ipertono estensorio osservato in questi animali sui quali abbiamo condotto questo
tipo di esperimento dipende dalla attività dei γ-motoneuroni. Quando tagliamo a livello intercollicolare,
aboliamo tutto quello che dalla corteccia, dai nuclei della base e da tutte le strutture sovrastanti la lesione
proietta sulla sostanza reticolare, abolisco tutte le informazioni che da sopra arrivano sulla sostanza
reticolare. Queste informazioni riguardano in particolare la sostanza reticolare pontina e bulbare. A livello
pontino e a livello bulbare abbiamo due zone che sono state definite reticolare attivatoria e reticolare
inibitoria. Attivatoria significa che esiste un fascio reticolo-spinale che agisce direttamente sui γ-
motoneuroni spinali, il quale parte a livello pontino ed è iperattivo dopo il taglio a livello intercollicolare.
Taglio al di sotto della lesione dove ci sono delle zone iperattive che danno origine ad una iperattività del
fascio reticolo-spinale. Il fascio reticolo-spinale scarica in continuazione sui γ-motoneuroni. I γ-motoneuroni
che sono attivati determinano una contrazione continua delle fibre intrafusali. Il fuso neuromuscolare è
ipersensibile, scarica in continuazione quando viene stirato il muscolo (quando mettiamo l'animale sulle
zampe). L'attivazione dei γ-motoneuroni comporta una iperattivazione dei fusi neuromuscolari, i quali per via
riflessa attivano gli α-motoneuroni. Gli α-motoneuroni sono iperattivi, perché stiamo attivando la scarica dei
γ-motoneuroni.
Fascio reticolo-spinale iperattivo, attivo sui γ-motoneuroni, i γ-motoneuroni proiettano sul fuso
neuromuscolare, il fuso neuromuscolare è più attivo, l'attivazione dei fusi neuromuscolari attiva gli α-
motoneuroni che fanno contrarre il muscolo. Se taglio l'afferenza che dal fuso va all'α-motoneurone inibisco
la contrazione degli α-motoneuroni e quindi quella che era rigidità diventa flaccidità.
Lesione intercollicolare, al di sotto della lesione la sostanza reticolare pontina è iperattiva. La sostanza
reticolare pontina iperattiva determina una scarica continua del fascio reticolo spinale. Il fascio reticolo
spinale agisce sui γ-motoneuroni. I γ-motoneuroni iperattivi agiscono sul fuso neuromuscolare. Il fuso
neuromuscolare è ipersensibile e risponde di più alla gravità. La risposta è l'attivazione degli α-motoneuroni.
Gli α-motoneuroni iperattivi attivano i muscoli, la contrazione dei muscoli antigravitari è maggiore. L'ipertono
estensorio antigravitario viene abolito dal taglio delle radici posteriori; in questo caso, infatti, impedisco al
fuso di trasmettere e di attivare gli α-motoneuroni e questi, non più attivati, cedono e non contraggono più i
muscoli antigravitari.

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Neurofisiologia 17-04-2015 Maria Rosaria D’Amelio
Prof.Colantuoni Federica Fici
Lezione 2-Riflessi;Sonno Correttore:Nunzia Vannelli

La volta precedente abbiamo parlato del tono muscolare.


A livello del midollo spinale vi sono dei riflessi semplici che partono dai recettori e che coinvolgono una
risposta motoria. Il riflesso spinale che ci interessa in questo momento è il riflesso da stiramento che si
stabilisce quando, stirando un muscolo, (lo stiramento naturale è dovuto alla forza gravitazionale) vengono
attivati dei recettori di stiramento chiamati fuso neuromuscolare. Questo è la base su cui noi costruiamo la
risposta riflessa: questa contrazione, che chiamiamo tono muscolare: stato di parziale contrazione dei
muscoli che non dipende dalla nostra volontà ma che dipende da un riflesso naturale che noi opponiamo allo
stiramento gravitazionale. Il fuso neuromuscolare si trova all’ interno dei muscoli striati ed è costituito da una
capsula che contiene 8/10 fibre (intrafusali) che possono essere o a sacco (borsa) nucleare con un
rigonfiamento centrale costituito dai nuclei (sono fibre modificate chiaramente) o a catena nucleare con i
nuclei disposti uno dietro l’altro. Entrambi i tipi sono avvolti da una terminazione detta terminazione anulo-
spirale perché fa degli anelli a spira. Queste due fibre sono collegate tra loro attraverso una fibra afferente di

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tipo 1A con il midollo spinale. Il fuso neuromuscolare rappresenta una struttura periferica che è sensibile allo
stiramento del muscolo.
Esempio: se io batto sotto la rotula con un martelletto a gamba distesa sulla coscia e muscoli rilasciati è
come se allungassi il quadricipite stirandone i fusi in esso contenuti . Ciò è dovuto all’apertura dei cosidetti
canali sensibili allo stiramento (stretch-activated channels) con conseguente deformazione delle
terminazioni anulo –spirali. Stirando la fibra, tramite un meccanismo con potenziale generatore, attraverso
tali canali si ha entrata di piccole quantità di sodio che vengono trasferite al primo nodo di Ranvier dove vi
sono canali del sodio voltaggio dipendenti e si innesca il potenziale d’azione. In sintesi stirando la fibra
vengono aperti i canali sterch-activated e permettono il passaggio di sodio che genera il potenziale d’azione
che attraverso la fibra 1A raggiunge il midollo spinale a livello delle colonne grigie e vi entra tramite le radici
posteriori. La fibre 1A contrae sinapsi con un alfa motoneurone, il più grande tra i motoneuroni spinali, che si
porta ad innervare il muscolo da cui proviene l’informazione e ne determina la contrazione. Il fuso stirato
manda un potenziale d’azione che trasferito ad un alfa motoneurone determina l’ attivazione del muscolo
corrispondente. Le terminazioni anulo-spirali sono accompagnate da altri tipi di terminazioni, dette
terminazioni a fiorami, contenute nelle fibre a sacco nucleare ai poli della parte centrale( che è espansa
per la presenza dei nuclei delle fibre multinucleate).Tutt’ attorno vi è una capsula rigida ai cui poli ci sono le
terminazioni a fiorame che contribuiscono a dare informazioni al midollo e che a differenza delle altre
costituiscono la parte terminale di fibre di tipo 2, più piccole delle fibre 1A. Con lo stiramento di un muscolo si
determina una contrazione riflessa del muscolo da cui parte l’informazione dello stiramento.
Nell’organismo tutti i muscoli sono stirati in maniera diversa a seconda della posizione cambia lo stiramento
a seconda della postura (tono posturale, ossia il tono muscolare che cambia in relazione alla postura
assunta).
Studio sperimentale del riflesso spinale: Possiamo utilizzare un animale spinale (su ciu viene effettuato
un taglio in un punto specifico del SNC) per studiare i riflessi spinali attraverso il taglio trasverso del
midollo(cani, conigli,..). Questo taglio non può avvenire in posizione troppo alta come a livello cervicale
poiché si taglierebbero anche le efferenze del nervo frenico e dei nervi respiratori. Bisogna dunque tagliare
ad un livello compatibile con la sopravvivenza dell’animale quindi si taglia a livello toracico, da sotto C7 a T4-
T5 e l’animale resta paralizzato, Nell’animale il midollo al di sotto del taglio non è più influenzato dalle
strutture sovrastanti e presenta i cosiddetti riflessi spinali, tra cui il più importante è proprio il riflesso da
stiramento. Pertanto questo riflesso si rivela esclusivamente spinale e non ha bisogno di essere variamente
regolato. Viceversa se vogliamo studiare meglio i riflessi spinali e tono muscolare possiamo ricorrere a
preparati decerebrati. Moruzzi, studioso e uno dei maggiori fisiologi italiani che operava a Pisa, ha studiato il
SNC e in particolare la regolazione del tono muscolare e il sonno. La regolazione del tono muscolare ci
permette di riconoscere molte patologie cliniche che presentano variazioni del tono muscolare e a seconda
del sintomo clinico, ragionando su un piano fisiologico e fisiopatologico, si può risalire al quadro generale
della sintomatologia. Per esempio nel Parkinson troviamo un tono muscolare aumentato. Il paziente
presenta una faccia inespressiva a causa della contrazione dei muscoli facciali. Moruzzi non tagliò a livello
spinale, bensì a livello mesencefalico (il mesencefalo si trova al di sopra del bulbo e del ponte).
Se noi andiamo a considerare la struttura del SNC ci sono tre parti fondamentali (dal basso verso l'alto):
1)midollo spinale, inferiormente, accolto nel cosiddetto speco vertebrale;
2)al di sopra del midollo vi è il bulbo;
3)ponte;
4)mesencefalo.
Il mesencefalo presenta sulla superficie dorsale quattro protuberanze dette tubercoli quadrigemini, che
rappresentano un punto di repere importante perché tagliando tra i tubercoli superiori e inferiori possiamo
tagliare tutto quello che va dalla corteccia e dalle strutture sovrastanti va al ponte e al bulbo. Quindi il taglio
di Moruzzi è un taglio trasversale completo che isola il ponte e il bulbo dalle strutture sovrastanti. Egli
utilizzava principalmente il cervello di gatto poiché
molto simile a quello umano. Questo taglio
intercollicolare, ovvero tra collicoli superori e inferiori,
dà una sindrome caratteristica; mentre l’ animale
spinale è paralizzato quello decerebrato ha
caratteristiche diverse: se riesce a riprendersi
dall’intervento , questo animale poggiato sulle zampe,
si irrigidisce a colonna (assume la forma di una colonna
di marmo) il cosiddetto gatto di Moruzzi che presenta
cioè un ipertono molto forte.

Nelle parti sottostanti al taglio Moruzzi studiò la


sostanza reticolare, presente nel bulbo, ponte e

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mesencefalo formata da neuroni che costituiscono alcuni nuclei fondamentali di partenza di due- tre fasci
che dal tronco si portano al midollo spinale:
• Fascio reticolo-spinale proietta sui gamma motoneuroni del midollo;

• Fascio che nasce a livello dei nuclei vestibolari in particolare di quello laterale detto del Deiters dal
quale si forma il fascio vestibolo-spinale che proietta sul midollo a livello degli alfa motoneuroni
che attiva gli estensori, ovvero i muscoli antigravitari(esempio: l’individuo paralizzato se in
ortostatismo non riesce a contrastare la forza di
gravità e cade);

• Fascio rubro-spinale che nasce dal nucleo


rosso del mesencefalo agisce sui muscoli
flessori.

Il tono muscolare deriva dalla contemporanea attivazione


e inibizione reciproca dei muscoli flessori ed estensori.
Questo complesso sistema é stato svelato tramite
esperimenti iniziati dall’inglese Shevelton e poi proseguiti con Moruzzi a Pisa.
Se nel gatto di Moruzzi si tagliano le radici posteriori (rizotomia posteriore) ha un effetto stupefacente in
quanto scompare l’ipertono (che è dovuto alla scarica dei fusi neuromuscolare), quindi abolisco il
trasferimento di informazioni dal fuso neuromuscolare al midollo spinale. I fusi neuromuscolari scaricano
molto nell’animale decerebrato perchè? Se si tagliano le radici posteriori viene tagliata la branca afferente
(porta l’informazione, nata dal fuso neuromuscolare, agli alfa motoneuroni ) e questo impedice alla efferente
di continuare a condurre l’impulso. E’ come se venissero tagliate le fibre 1A e 2 che derivano dal fuso.
Domanda: se tutte queste informazioni derivano dal fuso perché il fuso è iperattivo e ipersensibile? Perché
nel fuso arrivano altri neuroni: i gamma motoneuroni.

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Questi innervano la parte contrattile delle fibre intrafusali e non direttamente i muscoli. Le fibre intrafusali si
trovano ai poli della parte centrale intorno alla quale si sviluppa la terminazione anulo-spirale. Qui vi sono i
neuroni gamma che fanno contrarre questa parte polare, quindi le fibre intrafusali. Tale contrazione porta ad
un allungamento della parte centrale del fuso determinata dalla contrazione al di sopra e al di sotto della
parte centrale. La distensione determina l’apertura degli stretch-activated channels con conseguente entrata
di sodio e abbassamento della soglia di stimolazione del fuso che diventa più sensibile allo stiramento
gravitazionale. I fusi, essendo cosi iperattivati, sono in grado di condurre una contrazione continua dei
muscoli antigravitari, ecco perché l’animale poggiato sulle zampe si irrigidisce a colonna di marmo. Questi
esperimenti compiuti da Moruzzi indicano che in realtà quando consideriamo l attività dei fusi dobbiamo
considerare la modulazione dei gamma motoneuroni sulla sensibilità del fuso, cioè il fuso è uno dei recettori
che usiamo nel nostro organismo per valutare la distensione del muscolo ed è detto recettore a sensibilità a
soglia modulabile: può essere più o meno sensibile alla stimolazione gravitazionale. L’esperimento di
Moruzzi dimostra che la regolazione del tono muscolare è alquanto complessa e vi gioca un ruolo
fondamentale la sostanza reticolare che , attraverso il fascio reticolo spinale,è in grado di influenzare i
gamma-motoneuroni che innervano le parti polari del fuso del muscolo. Se si iniettano sostanze in grado di
inibire soltanto i gamma motoneuroni(es. anestetici locali), si avrà flaccidità senza tagliare le radici posteriori
e solo con l’inibizione la iperreattività del fuso neuromuscolare. La reticolare ha un ruolo fondamentale
perché attraverso la modulazione gamma aumenta o riduce la risposta del fuso alla stimolazione
gravitazionale. Tale rigidità viene da molti definita “rigidità gamma” :col taglio si attiva la scarica del fascio
reticolo spinale sui gamma motoneuroni i quali essendo iperreattivi danno una maggiore risposta del fuso
alla stimolazione gravitazionale.
Nella reticolare Moruzzi e altri autori hanno identificato due strutture:reticolare-attivatrice e reticolare –
inibitrice della attività dei gamma. Si ha una reticolare continua e una reticolare bulbare che hanno effetti
contrapposti :nella rigidità prevale la attivazione da parte della reticolare continua perché la bulbare per poter
inibire deve essere attivata da strutture sovrastanti il mesencefalo. Dunque un taglio effettuato a livello
mesencefalico,al di sotto del nucleo rosso,permette di esaltare l’attività della reticolare attivatrice bulbare.
Oltre che con il taglio intercollicolare, si ha una lesione interessante anche quando si manda in necrosi il lobo
anteriore del cervelletto. Il cervelletto da un punto di vista filogenetico si differenzia in 3 parti strutturali:
-la porzione archi cerebellare,ovvero la più antica,che è in stretta connessione col sistema vestibolare (3
canali semicircolari, l’utricolo e il sacculo sono le strutture che permettono di regolare la posizione del corpo
e testa nello spazio). L’archicervelletto è in stretta continuazione con questa struttura situata nell’orecchio
interno.

Le strutture vestibolari sono in connessione,


attraverso il nervo cocleare, con l’apice del lobo
flocculo nodulare.
-paleocerebello rappresentato dalla zona
terminale, definito spino cerebello perché sono
molto intense le connessioni anatomiche con le
strutture bulbo-pontine mesencefaliche che
regolano la postura; questa struttura si è formata
successivamente all’archicervelletto.

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-Infine abbiamo le due parti laterali della corteccia cerebrale: neocervelletto o cerebrocervelletto (parte più
recente della struttura) connesso direttamente con la corteccia cerebrale.

Queste tre parti del cervelletto interagiscono tra di loro e danno una funzione generale che interviene anche
nei processi cognitivi che riguardano la memoria e il movimento muscolare. Quello che a noi interessa è il
paleo cervelletto poiché oggetto di studio da parte del Moruzzi, in quanto la sua procedura sperimentale (di
Moruzzi) porta a necrosi di tutto il telencefalo, cioè della corteccia cerebrale e dei nuclei della base ,legando
le carotidi e quindi abolendo il flusso alla parte anteriore del cervello e in particolare : le carotidi interne
vanno a formare l’arteria cerebrale
anteriore e media che forniscono
sangue per l’irrorazione del tessuto
cerebrale, se chiudo le cerebrali e la
basilare si manda in necrosi solo il
lobo anteriore del cervello. Se si
manda in necrosi questa zona
l’animale diventa ipertonico e, se
appoggiato sulle zampe, si irrigidisce
a colonna di marmo. Per differenziare
la rigidità ischemica da quella da
taglio possiamo tagliare le radici
posteriori cioè produco un’altra
rizotomia.
Cosa accade? La rigidità si mantiene
quindi capiamo che il meccanismo è
diverso dal precedente perché: il lobo
anteriore del cervelletto inibisce il
nucleo vestibolare laterale di Deiters
(l'inizio del fascio vestibolo-spinale: nasce a livello bulbo pontino si dirige verso il midollo spinale e prende
sinapsi con gli alfa motoneuroni che innervano i muscoli estensori antagonisti alla gravita). E’ stato visto che
i muscoli antigravitari sono gli estensori. Le strutture corticali del cervelletto sono in grado di ricevere
informazioni che elaborano a livello corticale e che vengono trasferite ai nuclei profondi, definiti con nomi
diversi. Mentre il vestibolo cerebello prende origine direttamente dai nuclei vestibolari, il paleo e il
neocerebello hanno nuclei profondi che immettono informazioni che vengono proiettate ad altre parti del
cervello o in periferia. I nuclei profondi sono: il nucleo del fastigio e il nucleo dentato. Quest’ultimo ha una
caratteristica stazione profonda da cui proietta sulla corteccia cerebrale. Il neocerebello si mette in
connessione con la corteccia e ci permette di impedire che il nostro movimento sia eccessivo.
Es. un bambino di 2-3 anni, colorando un comune album di figure, non riesce a restare col tratto all’interno
dei bordi perché non è in grado di modulare la forza del movimento in relazione alla sua finalità dovuta alla
immaturità dei sistemi di controllo del cervelletto. Il neocervelletto ha il compito di informare la corteccia ogni
volta che sta svolgendo un “task” specifico, un’attività specifica, regolando l’attività motoria.
Il paleo cervelletto, complesso, proietta a livello della sostanza reticolare e dei nuclei vestibolari. Mediante
l’esperimento di Moruzzi si dimostra che chiudendo l’arteria basilare si ottiene una postura ipertonica
equivalente a quella data dal taglio intercollicolare; se però tagliamo le radici posteriori l’ipertono non si
manifesta: questo nasce dalla lesione del paleo cervelletto (del lobo anteriore del cervelletto) distrugge il
fascio inibitorio che nasce dal lobo anteriore e si porta sui nuclei vestibolari, in particolare sul nucleo
vestibolare laterale di Deiters (i nuclei vestibolari sono 4: superiore, inferiore, mediale e laterale di Deiters).
Questa parte anteriore del cervelletto è molto importante perché regola il fascio vestibolo spinale che a sua
volta attiva i muscoli antagonisti alla gravità.
Es: le scimmiette del borneo dormono attaccate agli alberi perché invece di avere un ipertono dei muscoli
estensori hanno un ipertono dei muscoli flessori che che nelle scimmie sono gli antigravitari ( i muscoli
antigravitari cambiano a seconda delle specie: nell’uomo e nella maggior parte delle specie sono gli
estensori).La distruzione del lobo anteriore del cervelletto impedisce che questo agisca sul fascio vestibolo
spinale; quest’ultimo non più inibito stimola continuamente gli alfa motoneuroni dei muscoli antagonisti, che
in questo caso sono gli estensori e l’animale si presenta così ipertonico con le gambe estese. Abbiamo 2
sistemi: uno agisce sugli alfa motoneuroni, che è il fascio vestibolo spinale, modulato dal lobo anteriore del
cervelletto; l’altro fascio importante è il fascio reticolo spinale che agisce sui gamma motoneuroni che, attivati
da meccanismi di sensibilità del fuso neuromuscolare ne regola l’attivià. Entrambi questi fasci sono
fondamentali nella regolazione del tono muscolare.

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SONNO
Il professor Toloni, allievo pisano della
scuola del Moruzzi, registrò l’attività
dei neuroni della drosophila durante il
sonno . Perché il sonno è importante?
Ci sono due ipotesi: sonno come
elemento attivo e sonno come
elemento passivo. Il primo comporta
un affaticamento neuronale e come
conseguenza i neuroni sono incapaci
di continuare la propria attività. Gli
esperimenti del Moruzzi hanno
distinto nel sonno due momenti:
sonno profondo o non rem e il sonno
rem( rapid eye movements: rapidi
movimenti oculari), in cui il soggetto
muove gli occhi per l’attivazione di
meccanismi cerebrali.

Fino a qualche anno fa il


sonno non-REM veniva
differenziato in 4 stadi che
oggi sono stati ridefiniti in 3
fasi: N1, N2, N3; il sonno REM,
invece, è costituito da una sola
parte. Insieme queste 4 parti
durano complessivamente ogni notte 60/90 minuti (es in un sonno di 5 ore queste fasi si ripetono 4-5 volte).

Es: un neonato dorme 16 ore al giorno circa; un bambino sotto le 12 ore; l’adulto 8ore e l’anziano 4-5 ore.
Ecco il grafico:

L’attività del sonno si può studiare

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mediante una attività di EEG (elettroencefalogramma): tramite elettrodi posti sul cuoio capelluto si misurano
le differenze di potenziale molto minori rispetto a quelle registrate in altre parti del corpo e dovute al
passaggio di potenziale nei circuiti talamo-corticali. Il talamo è una struttura di cellule grigie sottocorticali
sulle quali proietta tutta la sensibilità corporea; noi percepiamo diverse sensibilità: dolorifica, tattile e termica
registrate a livello periferico tramite recettori . Queste tramite fasci afferenti salgono attraverso il midollo e
arrivano al talamo, che è la stazione sottocorticale per eccellenza della sensibilità, e vengono proiettate sulla
corteccia. Al tempo stesso al talamo arrivano informazioni provenienti dalla corteccia di associazione
motoria: quindi il talamo riceve informazioni dalla periferia e le proietta alla corteccia sensitiva e al tempo
stesso le informazioni che provengono dalla corteccia e attraverso i nuclei della base vengono riversate sul
talamo e ritornano alla corteccia. Nell’EEG, contrariamente all’ ECG, non ha molta importanza la positività o
negatività delle onde, quello che è importante è la frequenza delle stesse che ci dicono quello che sta
avvenendo nel cervello. L’EEG c’è un attività elettrica continua che riguarda soprattutto i neuroni corticali e
sottocorticali talamici, si registra cioè l’attività talamo-corticale. Il sonno determina la chiusura del cancello
talamico. Se si vuole studiare il sonno si deve studiare l’attività elettrica durante le varie fasi. Per esempio il
tracciato beta è il tracciato della veglia, in cui i neuroni sono tutti attivi e si parla di attività ad angolo per cui
ogni parte della corteccia cerebrale e del SNC funziona contemporaneamente ma in maniera autonoma cioè
non ci sono circuiti attraversati da potenziali con tempi caratteristici. Ogni neurone attivo influenza i neuroni

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che sono ad esso collegati in varia maniera; ciò comporta che nella veglia le onde elettroencefalografiche
sono molto basse e sono molto frequenti perche hanno un frequenza di 20-30 cicli al secondo. Il dato di
fatto è che in condizioni di veglia vi è un’attività random, cioè libera e autonoma di tutti i neuroni. Quando
cominciamo a dormire durante la fase N1 si può studiare, oltre all'EEG , l’oculogramma e
elettromiogramma, per vedere se vi è tono muscolare. Quando chiudo gli occhi e non penso a niente,
nell’EEG compare una sequenza di onde (ritmo alfa) con una frequenza di 8-13 cicli al secondo (hertz) dette
onde alfa che compaiono quando, chiudendo gli occhi e non pensando a niente, la retina si disconnette dalla
corteccia calcarina, che è l’area 17 :corteccia che ci permette di vedere (tutta l’elaborazione del mondo
esterno viene effettuata tramite corteccia). In questa fase l’individuo può essere facilmente svegliato e la
soglia di risveglio è molto bassa. In caso di stanchezza avanzata, quando si è da molto tempo svegli, si
possono avere picchi di sonno rapido (microsonno). Nella fase N2 compare il ritmo teta, meno frequente
dell’alfa, che ha una frequenza tra 3-7 hertz cicli/secondo.
Nelle fasi iniziali del sonno comincia a ridursi la secrezione di neurotrasmettitori, tra cui il primo è
l’acetilcolina. Man mano che si riduce l’aceticolina si determina la chiusura del cancello talamico, perché la
riduzione di Ach impedisce a tutte le informazioni provenienti dalla periferia (tutti i potenziali d’azione che si
generano a livello cutaneo) di raggiungere il talamo e da questo arrivare alla corteccia. La chiusura del
cancello si caratterizza sull’EEG con due particolari onde, i cosiddetti fusi del sonno caratterizzati da onde
rapide in salita e onde rapide in discesa. La riduzione di Ach determina una iperpolarizzazione diffusa: i
neuroni, non stimolati a funzionare, perdono K+ e si iperpolarizzano e diventano meno attivabili. La classica
onda di iperpolarizzazione è il cosiddetto complesso K. L’onda diretta in basso, detta “down state”, è dovuta
al fatto che, l’Ach non più prodotta, porta a perdita di potassio e conseguente ipepolarizzazione.
Successivamente a iperpolarizzazione diffusa fa seguito un’onda di depolarizzazione è elevate perché molte
cellule iperpolarizzate si depolarizzano contemporaneamente : questo fenomeno è stato definito di
sincronizzazione ( molti neuroni corticali scaricano contemporaneamente) ed ingrandisce l’ampiezza delle
onde (l’onda alta sta a significare che molti neuroni si stanno depolarizzando).

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Neurofisiologia 17/06/2015 Elisabetta Serretiello
Prof. Colantuoni Anna Ciriolo
Lezione 3 - Sonno Correttore: Rossella D'Aniello
E’ un fenomeno attivo o passivo?
Per fenomeno passivo intendiamo un processo in cui le cellule cerebrali che lavorano producendo potenziali
d’azione in grande quantità, ad un tratto vanno incontro alla fatica neuronale:

Diminuisce così la frequenza di scarica e questo ci porta a considerare il sonno un fenomeno passivo.
L’esperimento chiave di tutti gli studi risale al 1949; effettuato da Moruzzi e Magoun su di un cane
anestetizzato con un EEG, quindi, caratteristico del sonno. I due studiosi si soffermarono sulla stimolazione
della sostanza reticolare ascendente che proietta dal mesencefalo sui nuclei superiori. Stimolando la
suddetta, notarono che il cane si era parzialmente risvegliato. Il sonno è perciò prodotto dall’azione
combinata di una serie di neuroni che stimola la veglia e di un’altra che, al contrario, induce il sonno. Allora
non è un fenomeno completamente passivo. La sostanza reticolare ascendente contiene il centro
responsabile della stimolazione della veglia (funzionalità attiva) che è posizionato tra ponte e mesencefalo,
mentre il centro ‘ipnico’ preipotalamico è deputato all’induzione al sonno.

Durante il sonno chiudiamo il cosiddetto “cancello talamico” e tutti i potenziali d’azione che provengono
dalla periferia non proseguono più lungo il loro cammino (le vie afferenti ascendono attraverso il midollo e
proiettano a livello del talamo; a loro volta vengono, poi, proiettate diffusamente su specifici segmenti della
corteccia, ottenendo una sommatoria di attività cerebrali). Questo significa che andiamo incontro ad una
disconnessione totale dal mondo esterno caratterizzata da una riduzione di secrezione dei
neurotrasmettitori che svolgono le varie funzioni cerebrali. Primo fra tutti a risentirne è il sistema
colinergico: questo porta ad una netta diminuzione della produzione di acetilcolina. Nell’ippocampo ci sono
una serie di cellule in grado di collegare più attività cellulari e funzionano grazie alla secrezione di
acetilcolina. Con la sua diminuzione abbiamo una massiva iperpolarizzazione ed una fuoriuscita di ioni
potassio dall’interstizio. Le cellule nervose non funzionano più come durante la veglia. Il concetto
fondamentale è che quando cominciamo a dormire chiudiamo progressivamente il cancello talamico e di
conseguenza anche i nuclei sottocorticali non funzionano più.

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Nell’EEG della veglia abbiamo onde poco ampie, ovvero bassissime, che hanno una frequenza enorme, dai
20 ai 40 cicli al secondo (Hz). Ripetiamo che l’EEG registra i circuiti talamocorticali che danno origine ai
campi elettrici. Capiamo così che miliardi di cellule funzionano in maniera quasi indipendente l’una dall’altra;
ciò è espressione di una distribuzione random delle cellule neuronali (corticali e sottocorticali). Queste sono
attive, ma non in maniera sincronizzata. Dobbiamo aggiungere che le normali onde presenti in questa
fase sono le onde β. (*Guarda immagine successiva)
Durante la fase di veglia, con l’elettrooculogramma, registriamo il movimento degli occhi. Gli occhi si
muovono molto, il tono muscolare è importante ed in fase di veglia è marcato.
Cosa succede quando cominciamo a dormire? Di che sonno parliamo?
Del sonno NREM (NonRem) Mancanza di movimenti oculari.
E’ caratterizzato da 3 fasi che contengono più stadi:
1. I 1 stadio;
2. II 2 stadio;
3. III 3 e 4 stadio.

Aumenta così gradualmente la nostra incapacità di comunicare con l’esterno. Nell’ex-stadio 4 (fase N3) i
soggetti stentano a risvegliarsi e vediamo che il segnale elettrico è cambiato molto. Si riduce nettamente il
tono muscolare e i movimenti muscolari sono molto poco frequenti.
Giungiamo al sonno REM (vedi dopo) e, guardando l’elettromiogramma, notiamo una grande riduzione del
tono muscolare. I movimenti oculari al contrario saranno rapidissimi e a gruppi isolati. Il ciclo REM-NREM
dura in totale circa 90-100 minuti. Questo ciclo si ripete 4-5 volte finchè non ci risvegliamo.

Quali sono gli eventi che possiamo registrare con l’EEG?


Ritorniamo alla fase di veglia ed identifichiamo chiaramente le onde di piccola ampiezza con elevata
frequenza che caratterizzano tutte le cellule del sistema nervoso, ovvero quelle della corteccia e del
substrato sottocorticale. (E’ consigliato soffermarsi sull’immagine precedente - Journal of Neurophysiology)
● Fase NREM

Quando chiudiamo gli occhi dobbiamo cominciare ad identificare nell’EEG la comparsa delle onde α, relativa
alla disconnessione della retina dall’area 17 della corteccia calcarina.

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Le onde cominciano ad allargarsi. Nella fase iniziale del sonno che abbiamo descritto finora, possiamo avere
anche il verificarsi improvviso di <<microsonni>>. Questi ultimi sono la causa di numerosi incidenti.

Proseguiamo sempre durante lo stadio 1. Ora abbiamo la comparsa delle onde σ tetha. Hanno una
frequenza che oscilla dai 3 ai 6 cicli al secondo (Hz). Lo stadio uno è caratterizzato, come abbiamo già detto,
dalla disconnessione del senso vista e dalla comparsa delle suddette onde. Il sonno diviene man mano più
profondo.
Lo stadio 2 prevede a livello dell’EEG la comparsa di due sistemi di onde: il complesso K e i fusi del
sonno.

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*Complessi K; ** Fusi del sonno; Stadio 3 *onda lenta.

Vediamo una salita ed una discesa, un crescendo ed un decrescendo di onde con frequenza molto elevata.
Questi sono i primi tentativi quantizzabili della chiusura del cancello talamico. Tutti i sistemi di
neurotrasmissione riducono la loro attività: noradrenergico, dopaminergico, serotoninergico, colinergico e
istaminergico; più quello degli oppioidi e il GABAergico. Notiamo in grafico la formazione del complesso K:
quest’ultimo è rappresentato da un’onda acuta negativa diretta verso il basso e subito dopo da un’onda lenta
diretta verso l’alto. Si instaura così il down-state (stadio di bassa attività) caratterizzato da una massiccia
iperpolarizzazione; si sta riducendo il rilascio di acetilcolina e si ha la perdita di potassio da parte dei
neuroni attraverso i canali di membrana. Quindi, la stimolazione è diventata più difficile e si è alzata la soglia
di eccitazione. All’iperpolarizzazione che sta diffondendo segue subito una depolarizzazione, dando luogo
all’up-state; in questa fase i neuroni corticali scaricano anche a 40 cicli al secondo, come nella veglia e nel
sonno REM, ma solo per meno di un secondo. Vediamo ora in grafico l’accelerazione che provoca la
formazione dei fusi del sonno, proprio durante la fase di depolarizzazione dell’oscillazione lenta, scatenati
nei circuiti talamici quando la corteccia è in up-state. I fusi del sonno si presentano come una raffica di
oscillazioni con una frequenza di circa 12 cicli al secondo. Alla fine otteniamo un’onda ampia (oscillazione
lenta) che ci fa capire che tutte le cellule coinvolte lavorano in maniera sincronizzata. Ogni oscillazione lenta
è costituita perciò da una fase di down-state e da una fase di up-state. La scarica di depolarizzazione
riguarda un grande numero di cellule corticali e sottocorticali. Siamo sempre allo stadio 2. Man mano che ci
avviamo verso lo stadio 3 la produzione di acetilcolina diminuisce sempre di più, come quella dell’istamina e
in ultimo della noradrenalina (RICORDA: è l’ultimo sistema che si spegne).
Passiamo agli stadi 3 e 4 tipici del sonno profondo. Sono caratterizzati dalle onde δ delta (chiamate onde
lente. Bisogna fare attenzione a non confonderle con le oscillazioni lente) che hanno una frequenza
bassissima di 2 Hz e risultano ancora più ampie. Ora lo stato di iperpolarizzazione riguarda tutta la corteccia
e la frequenza di scarica delle cellule che sviluppano un potenziale d’azione è molto bassa. Abbiamo
un’unica onda (traveling wave) che dalla corteccia prefrontale arriva a quella calcarina, ovvero attraversa
tutto l’encefalo. Interessa tutte le cellule e la consideriamo il battito del cervello in analogia con quello che
accade nel cuore (pacemaker). L’iperpolarizzazione diffusa comporta la sincronizzazione di tutte le cellule.
Questi 40-50 minuti sono seguiti dal sonno REM.

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● Fase REM

E’ caratterizzata da rapidi movimenti oculari. L’attività corticale è quasi sovrapponibile a quella della fase di
veglia, dato che si ha nuovamente un aumento della concentrazione di acetilcolina. Ci sono scariche molto
frequenti ma le varie aree di attività non sono sovrapponibili. Abbiamo però una quasi totale chiusura del
cancello talamico. Il tono muscolare è assente. Inoltre si è in ‘coma’ e quindi completamente sconnessi dal
mondo esterno. In questa fase sogniamo. Non solo: abbiamo un consolidamento delle sinapsi, ergo della
memoria.

Alla nascita abbiamo pochissime sinapsi e il sonno continua per molto tempo. E’ molto importante per la

21
crescita, ma col passare del tempo il sonno REM si riduce.
● Che cos’è la memoria?

Leggiamo una frase ed attiviamo una serie di circuiti nella corteccia calcarina e in quella di associazione. Si
sviluppano così dei potenziali d’azione che riverberano nei circuiti interessati. Dall’attività elettrica dobbiamo
essere in grado di ricavare una proteina o una sinapsi alla base del processo di memorizzazione. Dobbiamo
studiare perciò il metabolismo delle cellule che si modifica in seguito al passaggio dei nuovi potenziali
d’azione. All’inizio degli anni ’50 e ’60 si pensava che ogni parola possedesse un equivalente cerebrale di
tipo proteico. Sono stati effettuati esperimenti sui millepiedi cercando di concludere che, trasferendo
molecole come l’RNA, era possibile di pari passo trasferire la memoria.
Al contrario siamo sicuri che alla memoria corrispondano una serie di sinapsi. Esperimenti sui gatti hanno
confermato questa teoria. Nuovi stimoli inducono la produzione di nuove sinapsi a livello della corteccia
cerebrale. Infatti noi tutti apprendiamo dall’esperienza e costruiamo sempre nuove sinapsi nel corso della
vita.
SONNO E PLASTICITA’ SINAPTICA

Esperimento. Sezioniamo il cervello di un ratto poco dopo la nascita, e poi a distanza di un mese, dopo aver
fatto questo esperimento: mettiamo alcuni dei ratti neonati in una gabbia tenuta all’oscuro ed altri sempre in
una gabbia ma in condizioni normali, nel senso che sono esposti 12 ore alla luce e 12 ore al buio.

Quando andiamo a confrontare l’organizzazione della corteccia cerebrale tra gli animali che abbiamo tenuto
in condizioni di scarsa stimolazione esterna, lontani dalla madre e al buio o in condizioni di scarsa luminosità
rispetto a quelli che hanno avuto esperienza di condizioni normali, vivendo in maniera attiva e stimolata, con
la madre ecc, vedremo che questi ultimi hanno un numero di sinapsi molto maggiore rispetto a quelli che non
sono stati stimolati.

Questo sta a significare che noi apprendiamo dall’esperienza costruendoci.

Oggi con le indagini di risonanza magnetica siamo in grado di vedere quali siano le zone corticali che
vengono attivate quando svolgiamo diverse attività, ad esempio quando parliamo inglese o italiano, quando
facciamo i calcoli ecc.
Questo ci ha permesso di localizzare queste funzioni: quando parliamo italiano attiviamo un’area della
corteccia cerebrale, quando parliamo inglese ne attiviamo una vicina; è come se differenziassimo le sinapsi
per parlare inglese da quelle per parlare italiano.

Con l’esperimento di cui sopra, abbiamo dimostrato che il sonno gioca un ruolo fondamentale proprio nella
plasticità sinaptica, che consiste nella formazione di nuove sinapsi. Durante il sonno la plasticità sinaptica
aumenta, proprio perchè abbiamo il consolidamento delle sinapsi.

SONNO E MEMORIA: la DEPRESSIONE SINAPTICA

Depressione significa che quando si formano molte sinapsi, quando abbiamo molti dendriti che si sviluppano
in maniera notevole nella fase di consolidamento della memoria, molte di queste sinapsi che sono super
sviluppate vengono mietute e quindi noi consolidiamo gli aspetti della memoria che, nonostante tutto, ci
appaiono più importanti.

SONNO E RECUPERO CEREBRALE

Durante il sonno il discorso più importante è che abbiamo un ripristino delle riserve energetiche cellulari.

Quando noi parliamo del sonno come un momento ristoratore ci riferiamo al fatto che durante il sonno noi
abbiamo la possibilità di ridurre i potenziali d’azione. Se io riduco il numero di potenziali d’azione nell’unità di
tempo significa che io sto riducendo la quantità di ATP che si deve consumare. Immaginate che ogni
potenziale d’azione comporta l’acquisto di sodio e la rimozione di potassio, e quindi noi stimoliamo l’ATPasi
di membrana.
Più la stimoliamo e maggiore è il consumo di ATP.
Questo dispendio energetico, che è importante, noi lo recuperiamo durante la fase del sonno. Riducendosi i
livelli di attività delle ATPasi, noi incrementiamo i depositi di ATP, quindi i depositi metabolici che noi
utilizziamo durante la fase di veglia (durante la quale abbiamo grandi richieste energetiche).

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Il dato importante è che durante il sonno c’è sintesi di colesterolo e, fatto interessante, sono nettamente
aumentati tutti gli inibitori, e soprattuto la tramissione GABAergica, quindi l’iperpolarizzazione è dovuta sia
alla diminuzione del rilascio di acetilcolina, sia all’aumento della scarica GABAergica.

Questa rappresentazione ci mostra la localizzazione della Sostanza Reticolare Attivatoria (RAS) ; questo
può essere definito il centro della veglia che non è molto piccolo ed è abbastanza diffuso. La RAS è
fondamentale per stimolare tutta la corteccia e le strutture sottocorticali durante lo stato di veglia.
Il centro del sonno, detto Centro Ipnico, è situato nel pre-ipotalamo.
Al di là della RAS c’è un centro definito Sistema generatore del sonno REM, attivo appunto durante la fase
REM del sonno.
C’è infine il Nucleo Soprachiasmatico (SCN), che rappresenta il cosiddetto orologio biologico; è un centro
che risente del ritmo notte-giorno, e al tempo stesso coordina a codifica la sequenza di giorno e notte, e
insieme ad essa regola tutte le funzioni biologiche caratterizzate da variazioni circadiane.

Domanda: durante il sonno REM la corteccia è tutta attiva?


Risposta: alcune zone sono deattivate, altre risultano iperattive.

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Nel sonno REM deattiviamo la corteccia prefrontale e la corteccia cingolata posteriore; invece si attivano la
corteccia cingolata anteriore, l’amigdala ed il tegmento pontino.

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Amigdala e corteccia cingolata anteriore sono strutture interessanti, in particolare l’amigdala è coinvolta nella
capacità di risposta alla paura.

NOTE:
-Deprivando gli animali di sonno per vari giorni, alla fine c’è una maggiore sensibilità allo stress per cui
l’animale può addirittura farsi morire. Questo dimostra l’importanza del ripristino metabolico che avviene
durante il sonno.

-Con l’avanzare dell’età sia le fasi REM che quelle NREM si riducono, nel senso che con l’invecchiamento
dormiamo di meno.

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Neurofisiologia 18/06/2015 - Lezione completa N°4 Anna Ciriolo
Prof. Colantuoni Ivan Gianfrancesco
✓ Meccanismi di regolazione del movimento; Camilla Gallo

✓ Nuclei della base; Emmanouil Casassidis

✓ Dolore; Raffaella Frongillo

✓ Memoria;

✓ Imprinting. Correttori: Rossella


D’Aniello
Sara Giancola

Nota: all’inizio di questa lezione il professore ha fatto una breve ricapitolazione sull’argomento precedente, il
sonno, ed ho inserito queste poche considerazioni nel documento precedente.

VIA PIRAMIDALE, MOVIMENTO VOLONTARIO E MECCANISMI DI REGOLAZIONE DEL MOVIMENTO.

Sulla corteccia prefrontale abbiamo la rappresentazione dei nostri muscoli, nel senso che abbiamo un
Homunculus motorius (così come abbiamo un Homunculus sensitivus).

Sia nell’Homunculus motorius che in quello sensitivo l’area della corteccia che corrisponde alla faccia si
trova in basso verso la corteccia temporale, mentre le aree corrispondenti all’arto inferiore ed al piede si
trovano nella parte mediale. Andiamo dall’area corrispondente alla rappresentazione della bocca, che si
trova verso la corteccia temporale, fino a quelle corrispondenti alla gamba ed alle dita del piede che sono
verso la faccia mediale della corteccia.

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L’Homunculus motorius dà origine al fascio piramidale.
Si pensava che in questo fascio fossero presenti solo assoni provenienti esclusivamente dalle cellule di
Betz (o neuroni piramidali giganti).
In realtà il fascio piramidale è oggi ritenuto un sistema formato da due neuroni:
- un neurone centrale, è nella corteccia;
- un neurone periferico, situato nella periferia.

Questi fasci poi scendono verso il basso e vanno ad incrociare a livello bulbo-pontino, quindi dalla corteccia
prerolandica ci immergiamo, attraverso la corona radiata, in una struttura molto semplice, la capsula interna.

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La corona raggiata è la proiezione dei fasci che provengono dalla corteccia e che si raggruppano nella
capsula interna.
Questa capsula è una struttura molto importante, e lo dimostra il fatto che una lesione dei vasi che la
irrorano è alla base di uno dei quadri più rappresentati nella patologia: la paralisi controlaterale dei muscoli
del corpo.

Il fascio piramidale si raggruppa tutto a livello della capsula interna, poi a livello bulbo-pontino abbiamo la
cosiddetta decussazione o incrociamento delle piramidi, che ci porta a trasferire da destra verso sinistra (e
viceversa) l’80 % delle fibre del fascio piramidale.

In questo modo con la corteccia di destra controlliamo i muscoli di sinistra e viceversa.

Il restante 20 % di fibre omolaterali incrocia a livello spinale.

Il movimento è dettato dall’impulso che nasce a livello corticale.


La corteccia motoria invia in periferia un impulso che viene trasformato, attraverso la placca motrice, in
movimento volontario del muscolo.
Questo è il meccanismo “bruto”, elementare, del movimento.

Il movimento necessita però di un “affinamento”.

Esempio: se chiediamo ad un bambino di 2-3 anni di colorare l’interno di una figura, non riuscirà a restare
dentro ai margini della figura stessa.
Il bambino riesce sì a compiere il movimento grezzo, ma manca la componente fine di quest’ultimo. Il
movimento non è proporzionato al fine.

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MECCANISMI DI REGOLAZIONE DEL MOVIMENTO

Il sistema piramidale ci dà il segnale bruto, che però ha bisogno di tutta una serie di coordinamenti per poter
esplicare una finalità in senso appropriato.

Le tre stazioni fondamentali che sono interessate nella programmazione del movimento sono:

-nuclei base;
-cervelletto;
-sostanza reticolare.

La substantia nigra (distinta in una pars reticolare ed in una pars compacta), anch’essa coinvolta in questi
meccanismi di regolazione, la assimiliamo ai nuclei della base.

Tutte queste strutture, in passato definite vie extrapiramidali (definizione abbastanza approssimativa),
contribuiscono alla plasticità del movimento.

Ora dobbiamo vedere cosa succede a tutti questi vari livelli.

SOSTANZA RETICOLARE

Nella sostanza reticolare bulbo-pontina abbiamo una serie di nuclei che, insieme ai nuclei vestibolari,
proiettano in periferia, e questa proiezione in periferia contribuisce alla regolazione del tono muscolare.
Il tono muscolare è la contrazione che opponiamo alla stimolazione gravitazionale.
Questa è la base che ci permette di avere muscoli sempre pronti per potersi contrarre.
Quando noi stiriamo il muscolo, ed attraverso il fuso neuromuscolare otteniamo una contrazione parziale, in
pratica è come se avessimo le strutture motorie già parzialmente attivate e pronte al movimento, che deve
però poi essere ulteriormente modulato.

CERVELLETTO

Possiamo distinguere, dal punto vista filogenetico, tre parti:

1) ARCHICERVELLETTO, anche detto VESTIBOLOCEREBELLO, corrisponde al lobo flocculo-nodulare.


E’ parte integrante del sistema vestibolare, essendo connesso con il nucleo vestibolare.
Funzione: interagendo con i nuclei vestibolari regola l’equilibrio corporeo.

2) PALEOCERVELLETTO, anche detto SPINOCEREBELLO, corrisponde al verme mediano.


Della parte mediana quello che ci interessa ricordare è il lobo anteriore del cervelletto, struttura importante
poiché influenza la modulazione del tono muscolare.

Esperimento. Animale decerebrato per ischemia: abbiamo chiuso le carotidi e l’arteria basilare, mandando
così in necrosi il paleocervelletto. In questo caso l’animale è ipertonico. Questo esperimento dimostra il
coinvolgimento del paleocervelletto nella modulazione del tono muscolare, influendo sul fascio
vestibolospinale attraverso le sue proiezioni sul nucleo vestibolare laterale che è l’origine del fascio
vestibolospinale.

Queste strutture corticali sono poi connesse con i nuclei profondi, che sono i nuclei di efferenza del
cervelletto.
Quelli che a noi interessano in quanto connessi con il paleocervelletto sono due:
- nucleo del fastigio
- nucleo interposto

Attraverso queste strutture, le informazioni arrivano al cervelletto che le trasferisce alla corteccia cerebellare
che a sua volta agisce sui nuclei profondi da cui abbiamo le efferenze.

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3) NEOCERVELLETTO è la parte esterna, anche definita cerebro-cervelletto (o cerebro-cerebello).
Questa parte è connessa alla corteccia motoria.
Funzione: coinvolto nella programmazione e nella plasticità del movimento.

Questa parte ha a sua volta un nucleo profondo di efferenza detto nucleo dentato.

MESSA A PUNTO DI UN PIANO MOTORIO


Il piano motorio nasce a livello corticale.
Dalla corteccia motoria parte l’impulso che attraverso il fascio piramidale raggiunge i muscoli periferici.
Contemporaneamente c’è un fascio collaterale che arriva al cervelletto.
Queste vie collaterali hanno una proiezione attraverso il bulbo-ponte.

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Abbiamo quindi i seguenti fasci :
- cortico-ponto-cerebellare;
- cortico-olivo-cerebellare;

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- cortico-reticolo-cerebellare.

Questi sono tre fasci collaterali che portano al cervelletto informazioni (che non sono altro che dei potenziali
d’azione) sul piano motorio elaborato e messo in esecuzione dalla corteccia.

Esempio. Vogliamo muovere la penna: attraverso il fascio piramidale attiviamo il movimento periferico, e di
questo informiamo il neocervelletto. Nel momento in cui muoviamo la mano, attiviamo meccanismi
propriocettivi, attraverso propriocettori (a livello muscolare ed articolare), che monitorano l’attività muscolare.
I propriocettori sono collegati a vari fasci ascendenti, tra cui è importante ricordare quello spino-cerebellare.

A livello cerebellare arrivano quindi due diverse di impulsi:


-quello proveniente dalla corteccia, che è il piano motorio;
-quello proveniente dalla periferia, che è il movimento reale.

In questo modo noi impariamo a modulare la forza in rapporto a ciò che vogliamo fare.
Il bambino non ha ancora avuto esperienza, pertanto non ha ancora appreso a modulare il movimento.

A livello cerebellare c’è quindi una integrazione dei due segnali, e questo avviene attraverso fibre rampicanti,
fibre muscoidi, e l’integrazione finale con le cellule del Purkinje, che sono le cellule che proiettano sui nuclei
di efferenza.

Dopo questo meccanismo di integrazione delle informazioni afferenti al cervelletto, attraverso un’unica
efferenza rappresentata dal fascio cerebello-dendro-talamo-corticale, noi dal cervelletto inviamo le
informazioni attraverso il talamo alla corteccia motoria supplementare.
Possiamo quindi informare la corteccia del movimento che sta avvenendo attraverso questa proiezione che
dal nucleo dentato, attraverso il talamo, va alla corteccia motoria e premotoria .
La prima indicazione di modulazione viene proprio dalla integrazione tra corteccia cerebellare e corteccia
cerebrale.

Qualche anno fa si parlava di “regolazione dei movimenti fini”, ma in realtà è una regolazione motoria
importantissima che ci permette di modulare l’attività dei muscoli periferici in rapporto alla finalità che
vogliamo raggiungere.

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CURIOSITA’
-Una delle operazioni più difficili da compiere (tra i gesti quotidiani che tutti noi compiamo)è abbottonarsi la
giacca: richiede tutta una serie di movimenti che sono fortemente modulati dal cervelletto. Un’altra
operazione apparentemente banale ma altrettanto complessa in termini di regolazione del movimento è
quella di accendere una sigaretta.
-Una delle prime cose che notiamo in un soggetto con una lesione cerebellare è che non riesce a toccarsi la
punta del naso: si tratta di uno dei classici segni di patologia cerebellare.

IN SINTESI
Il piano motorio, cioè la scarica che parte dalla corteccia motoria, viene modulata attraverso il neocervelletto
che mediante il fascio cerebello-dento-talamo-corticale proietta a livello della corteccia motoria.

NUCLEI DELLA BASE

Sono quelli che si ledono nel Morbo di Parkinson, che assieme a quello di Alzheimer è una delle patologie
che si accompagnano all’invecchiamento.

Tutti i sistemi afferenti proiettano sui nuclei della base.


Allo stesso modo anche tutte le cortecce proiettano su questi nuclei.
(trovare immagine, tutte le cortecce proiettano sui nuclei della base)

Dal punto di vista anatomico abbiamo il cosiddetto striato sottocorticale, formato in realtà dai quattro nuclei di
sostanza grigia che sono:
- caudato;
- putamen;
- pallido esterno;
- pallido interno.

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Tra queste quattro strutture grigie si infilano le fibre che scendono, attraverso la corona raggiata, nella
capsula interna.
Abbiamo quindi proiezioni che da tutta la corteccia entrano nei nuclei della base.

La via di ingresso è rappresentata dal putamen. Tutto ciò che proietta dalla corteccia viene proiettato sul
putamen.

La corteccia motoria proietta sul putamen attraverso un collegamento, una mediazione, che viene chiamata
glutammatergica.

NUCLEI DELLA BASE


La via diretta
La corteccia proietta sul putamen, il quale rappresenta la via d’ingresso dei nuclei della base, ed è il punto di
smistamento di queste informazioni in arrivo. Tali proiezioni, di solito, sono glutammatergiche (e quindi
attivatrici) da qualunque punto della corteccia esse partano; la via efferente dagli stessi nuclei della base è
data invece dal globo pallido interno. Schematicamente:
1. la corteccia proietta sul putamen,
2. il putamen proietta sul globo pallido interno (tale via è appunto la “via diretta”),
3. il globo pallido interno proietta quindi sul talamo,
4. il talamo proietta sulla corteccia,
5. la corteccia riproietta sul putamen.

Si ha quindi un riverbero dell’informazione che va dalla corteccia al putamen attraverso il talamo. Cosi come
dalla corteccia al putamen la via è attivatrice glutammatergica, allo stesso modo dal talamo alla corteccia la
via è sempre attivatrice. Il talamo stimola in continuazione la corteccia. La proiezione dal talamo alla
corteccia può essere in qualche maniera modulata e tale modulazione avviene attraverso un’efferenza di tipo
inibitorio che dal globo pallido interno arriva al talamo. Il globo pallido interno normalmente può inibire il
talamo e ciò riduce il flusso di potenziali che dal talamo giungono alla corteccia. A sua volta, il putamen
agisce sul globo pallido interno attraverso la già citata via diretta che è di tipo inibitorio GABAergico poiché le

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cellule del putamen sono in grado di sintetizzare e liberare GABA. Quindi, nel momento in cui il putamen
proietta sul globo pallido interno, libera GABA che inibisce le cellule del globo pallido interno le quali non
possono così inibire il talamo. Il talamo può quindi inviare informazioni stimolanti la corteccia. Va ora
considerato il ruolo della sostanza nera: questa è formata da una parte reticolata (che funziona insieme al
globo pallido interno) ed una parte compatta (che in realtà è la vera sostanza nera). Tale parte compatta
della sostanza nera invia un’efferenza che arriva sul putamen (proiezione nigro-striatale) e libera quindi
dopamina sulla via diretta. Le cellule del putamen che danno origine alla via diretta presentano due tipi di
recettori per la dopamina: recettori attivatori D1 e recettori inibitori D2. Riassumendo, sul putamen arriva
l’attivazione sia da parte della corteccia sia da parte della sostanza nera: le cellule che danno origine alla via
diretta e che presentano i recettori attivatori D1 sono così super stimolate a liberare GABA a livello del
pallido interno. L’attivazione della via diretta sta a significare che il pallido interno inibito non rilascia GABA a
livello del talamo che può così agire a livello della corteccia. Quindi la via diretta, alla fine, dà origine ad una
inibizione dell’efferenza del globo pallido interno e quindi l’efferenza inibitoria dai nuclei della base viene
inibita, non si ha azione sul talamo che è così libero di scaricare sulla corteccia cerebrale (ovvero l’inibizione
di una inibizione determina la liberazione da parte del talamo dall’inibizione del pallido interno).
La via indiretta
Questa via diretta è poi accompagnata da una via parallelamente interessata detta “via indiretta”. La via
indiretta si mostra più complicata poiché comprende due stazioni intermedie: il globo pallido esterno ed il
nucleo subtalamico del Luys. Il nucleo subtalamico è a sua volta connesso al globo pallido interno. La prima
proiezione dal putamen al pallido esterno è di tipo inibitorio essendo una neurotrasmissione GABAergica. Il
putamen inibisce il pallido esterno che (è un aggregato di cellule che producono GABA e quindi di per sé
sono cellule inibitorie) agisce a sua volta sul nucleo subtalamico che riceve così un’afferenza GABAergica di
tipo inibitorio. Il nucleo subtalamico è una struttura di tipo attivatrice che libera mediatori appunto attivatori
come l’acido glutammico (è quindi glutammatergica) . Schematicamente:
1. putamen inibitorio sul globo pallido esterno,
2. globo pallido esterno inibitorio sul nucleo subtalamico del Luys,
3. nucleo subtalamico del Luys attivatore del globo pallido interno,
4. globo pallido interno inibitore sul talamo.

Questa sequenza di eventi riconosce poi l’influenza che la parte compatta della sostanza nera esercita sul
putamen. Come detto precedentemente, le cellule del putamen presentano i recettori D2 che sono di tipo
inibitorio. Quindi la parte compatta della sostanza nera libera dopamina inibendo il putamen dal quale parte
l’informazione GABAergica che inibisce il pallido esterno. Inibendo cosi il putamen, questo non libera il
GABA ed il globo pallido esterno non viene inibito dal putamen. Il pallido esterno può cosi inibire il
subtalamico. In questo modo, abolisco la stimolazione che il subtalamico stesso esercita sul globo pallido
interno. Il globo pallido interno a questo punto non viene attivato e quindi la scarica inibitoria sul talamo viene
ridotta. Il talamo a questo punto può stimolare la corteccia.
Non si può fare un ragionamento assoluto sia sulla via diretta sia sulla via indiretta perché molte di queste
attività sono correlate alla quantità di neurotrasmettitore, in particolar modo la via indiretta che risulta essere
più modulabile della via diretta poiché vi sono due stazioni intermedie tra il putamen ed il globo pallido
interno e quindi vi sono più opportunità di modulare l’attività del talamo.

Attraverso il nucleo subtalamico, in collaborazione con la porta di uscita dei nuclei della base rappresentata

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dal globo pallido interno e dalla parte reticolata della sostanza nera, possiamo agire su strutture non più solo
corticali (talamo, corteccia) ma anche a livello delle strutture pontine e bulbari, come nel caso della
proiezione sul nucleo peduncolo-pontino che va ad influenzare le vie reticolo-spinali. Se si va quindi ad
operare un taglio a livello intercollicolare, (vedi il preparato di Sherrington, poi ripreso da Moruzzi, in cui in
realtà noi isoliamo il bulboponte e parte del mesencefalo da tutte le influenze che vengono dall’alto compresi
i nuclei della base), vengono rescisse tutte quelle influenze esercitate dall’alto e che sono modulate dai
nuclei della base. Per questo, se influenze di tipo eccitatorio scendono dall’alto con lo scopo di influenzare la
sostanza reticolare, a causa di tale taglio a livello intercollicolare viene inibita l’attività stimolante di queste
strutture soprabulbopontine poste superiormente alla zona di lesione con conseguente risentimento della
sostanza reticolare. La sostanza reticolare riceve infatti informazioni anche dal cervelletto e dalle aree
soppressorie della corteccia oltre che dai nuclei della base. Il dato importante è che le strutture sottocorticali,
le strutture cerebellari e le strutture reticolari contribuisco alla regolazione del tono e quindi interferiscono con
i piani motori elaborati a livello corticale

DOLORE
Immaginiamo che ci sia un paziente che viene da noi dopo un incidente stradale che presenta un taglio netto
del midollo, dall’avanti all’indietro, con la metà di destra totalmente integra e quella di sinistra completamente
tagliata (emisezione del midollo). Tale aspetto è caratteristico della sindrome di Brown – Sequard. Bisogna
quindi considerare gli effetti di questo tipo di lesione nei due ambiti: motilità e sensibilità.
Per quanto riguarda la motilità, viene reciso il fascio piramidale che scende a sinistra e ciò implica la paralisi
dell’arto sinistro (viene meno l’80% della motilità a sinistra ma rimane comunque un 20 % di motilità poiché il
fascio piramidale controlaterale rimane integro potendo passare al di sotto della sezione).
Per quanto concerne la sensibilità,vi sono vie ascendenti che possono essere sia vie crociate sia vie dirette,
ricordando che le vie afferenti dalle strutture periferiche trasportano informazioni relative a tre tipi di
sensibilità che sono la sensibilità tattile, la sensibilità termica e la sensibilità dolorifica
● Vie dirette: sono rappresentate dal fascicolo gracile di Goll ed il fascicolo cuneato di Burdasch
(entrambi del cordone posteriore). Questi sono omolaterali e trasportano sostanzialmente informazioni
riguardanti la sensibilità propriocettiva e la sensibilità tattile cosiddetta epicritica (sensibilità tattile fine,
cioè quella che ci permette di differenziare due stimoli tattili con grande precisione). Se io taglio a
sinistra, mi aspetto l’anestesia a sinistra (cioè la mancanza di sensibilità propriocettiva e tattile fine).

Vie crociate: sono rappresentate dal sistema dei fasci crociati posti nella parte anterolaterale del midollo
(fascicolo anterolaterale) che trasportano prevalentemente sensibilità termica e dolorifica ma anche la
sensibilità tattile di tipo protopatico (cioè molto meno discriminante). Quindi, riprendendo l’esempio
precedente, avendo un taglio nella metà sinistra del midollo, vengono recisi i fasci ascendenti che sono
entrati a destra e che si portano a sinistra e quindi, la sensibilità dolorifica e termica si riduce a livello dell’arto
controlaterale alla lesione, l’arto destro in questo esempio.

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Questa appunto è la sindrome di Brown – Sequard: nella quale il taglio della metà il midollo comporta sia
anestesia controlaterale, cioè perdita di sensibilità termica, dolorifica e tattile protopatica controlateralmente
e sia perdita della sensibilità propriocettiva, della sensibilità tattile epicritica e dell’80% della motilità
omolateralmente.

I due principali sistemi di trasporto delle informazioni dalla periferia al talamo e quindi alla corteccia
sono certamente rappresentati dai fasci posteriori, fascicolo gracile e cuneato cioè i fasci di Goll e Burdach
e poi il fascicolo anterolaterale che è un fascicolo che trasporta le informazioni termiche e dolorifiche che
derivano dalla parte controlaterale del nostro corpo. La sensibilità somatica è una sensibilità che si
differenzia in tattile, termica, dolorifica, propriocettiva ; le caratteristiche sono che noi abbiamo dei recettori
nella cute e nel sottocutaneo che possono essere terminazioni libere(i cosiddetti nocicettori) vengono attivati
e trasmettono i potenziali d’azione lungo le fibre afferenti. Il fascio anterolaterale produce la sensibilità
dolorifica, i nocicettori periferici sono la parte finale di questo neurone che è localizzato a livello dei gangli
spinali, neurone che da una parte va in periferia e dall’altra entra nel midollo dove incontra il secondo
neurone detto neurone secondario che passa dall’altra parte e sale nel midollo fino a raggiungere il talamo.
Abbiamo due neuroni periferici nella via afferente, nel talamo abbiamo il terzo neurone, il talamo riceve
informazioni e proietta specificamente sulla corteccia sensitiva primaria e secondaria. A differenza del
sistema motorio nel sistema della sensibilità somatica ci troveremo di fronte ad una via che prevede almeno
tre neuroni, il dato importante è che la via è prevalentemente formata da tre neuroni. Al talamo abbiamo più
strutture (la struttura che proietta sulla corteccia sensitiva è la postcentrale: scissura di Rolando). Sulla
corteccia sensitiva abbiamo una rappresentazione dell’ homunculus sensitivo:

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Quello che caratterizza l’homunculus sensitivo da quello motorio è la disproporzione cioè la differenza di aria
occupata dalla faccia e dalle mani rispetto a tutto il resto (rispetto alla gamba, al piede, al tronco).
L’homunculus ha la faccia in basso e il piede sulla faccia mediale dell’emisfero significa che la
rappresentazione corticale non è in rapporto alla superficie ma in rapporto alla densità dei recettori periferici.
Il maggior numero di recettori presenti in periferia significa il maggior numero di neuroni corticali che sono
deputati e quindi di area corticale deputata all’ elaborazione di tutte le informazioni che vengono alla
corteccia. La sensibilità dolorifica viene variamente descritta, dal punto di vista fisiologico abbiamo vari tipi di
dolore: dolore puntorio acuto cioè iniezione sul braccio. Il dolore puntorio è un dolore rapido a localizzazione
ben precisa che noi possiamo trasferire alla corteccia e viene trasferito da fibre ad alta velocità: è condotto
da fibre A delta cioè abbastanza grosse ad alta velocità di conduzione, se invece uno ha un’ infezione
dentale (carie) da un dolore molto lungo, da un’infezione quindi leucociti in più, i leucociti si rompono e
danno il pus; il dolore dei denti è il dolore cronico che ha caratteristiche diverse cioè inizia lentamente e poi
persiste. Questo dolore cronico viene condotto da fibre più piccole che sono fibre C sono fibre amieliniche,
piccole di diametro, con cellule di Schwann intorno, le fibre C proiettano a livello corticale in maniera
differente: nel cosiddetto fascicolo anterolaterale troviamo il fascio paliospinotalamico che si differenzia dal
neurospinotalamico. Fascio paliospinotalamico conduce il dolore cronico e proietta a livello talamico in
maniera differente dal neurospinotalamico che va nei nuclei talamici ventroposteromediale e
ventroposterolaterale, questi due nuclei proiettano in maniera regolare sulla corteccia motoria primaria e
secondaria, con la trasmissione attraverso le fibre C abbiamo una componente mediale che proietta sui
nuclei talamici che noi chiamiamo nuclei intralaminari talamici che hanno la caratteristica di proiettare in
maniera diffusa sulla corteccia. Questi nuclei si proiettano a livello del lobo medio cioè sulle strutture corticali
che sono interessate alla corticalizzazione delle emozioni.

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Quando noi consideriamo un’attività di sensibilità afferente che trasferisce proiezione dolorifica, nella cute
abbiamo dei recettori di pressione, tatto-pressione, i meccanocettori mandano informazioni al midollo tramite
fibre più grandi delle a delta (quando si ha mal di denti si preme sulla guancia sembra che il dolore si
attutisca) il meccanismo è il cosiddetto cancello spinale o periferico cioè quando premo sulla guancia attivo i
meccanocettori che sono recettori della sensibilità tattile, questi meccanocettori vengono dalla periferia, gli
impulsi viaggiano attraverso le fibre a theta, i meccanocettori sono dei pressocettori attivano un segnale cioè
una serie di impulsi elettrici che arriva al midollo attraverso le a theta quando entrano nel midollo attraverso
le radici posteriori hanno una proiezione sull’ interneurone inibitorio a sua volta agisce sul neurone sensitivo
secondario della via della nocicezione. Quando io stimolo il plessocettore attivo un’inibizione la quale si
esercita sul neurone secondario cioè innalzo la soglia di stimolazione. Il neurone c trova il neurone
secondario che è il meno sensibile alla scarica di potenziali che deriva dall’attivazione dei nocicettori
periferici, il neurone secondario è attivato dal neurone c che innalza la sua soglia di stimolazione perché
questi neuroni inibitori liberano i neurotrasmettitori di tipo inibitorio. Quando noi consideriamo l’ afferenza dal
midollo per quanto riguarda le fibre cosiddette nocicettive cioè le fibre della sensibilità dolorifica, abbiamo un
fascio neurospinotalamico e il fascio laterale, il fascio neurospinotalamico proietta sul nucleo
ventroposterolaterale che a sua proietta in maniera molto precisa sull’area senestesica, poi c’è la parte
mediale la quale si accompagna al fascio spinotalamico laterale proiettandosi sui nuclei
ventroposterolaterale e ventroposteromediale. Una componente molto più interessante è il fascio
spinoreticolare il quale proietta sulla parte mediale dello sviluppo intralaminare del talamo, la proiezione
mediale diffusa riguarda soprattutto la corteccia del lobo limbico che è caratterizzato dal fatto che entra a far
parte di quelle strutture che deputiamo alla cosiddetta corticalizzazione delle emozioni; questo per quanto
riguardo la componente affettiva del dolore cronico caratteristico del mal di denti. Abbiamo due cancelli che
possono partecipare alla modulazione del dolore: il primo cancello è quello spinale che viene chiuso dai
cosiddetti meccanocettori quindi afferenze diverse da quelle nocicettive che possono innalzare la soglia di
stimolazione proprio del neurone secondario. C’è un altro meccanismo cioè che la sostanza grigia è il
crocevia di ricezione di una serie di informazioni che vengono dalla corteccia parietale, cingolare
anteriore,orbito-frontale: da questa sostanza grigia origina il fascio discendente va a livello spinale innalza la
soglia di stimolazione dei neuroni secondari. Abbiamo due meccanismi interessanti che partecipano
entrambi alla modulazione del neurone secondario, abbiamo una capacità di modulare la sensibilità

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dolorifica perché possiamo intervenire sia a livello spinale con l’attivazione dei pressocettori e
meccanocettori periferici sia a livello centrale cioè a livello centrale abbiamo una notevole capacità di inviare
informazioni che aumentano la soglia di stimolazione del neurone secondario midollare. La nostra risposta al
dolore dipende dall’attività pregressa o precedente alla stimolazione delle vie dell’origine. Se abbiamo un
soggetto depresso che subisce poco l’ambiente esterno ,quando abbiamo le stimolazioni dolorifiche che
amplificano notevolmente la proiezione corticale quindi tutta la corteccia è come se fosse attivata
positivamente. Se abbiamo una condizione di notevole attività celebrale cioè il soggetto risponde bene
all’ambiente circostante, la risposta al dolore è personalizzata e questa personalizzazione dipende dallo
stato precedente cioè dal tatto, posso rispondere ad un dolore cronico in misura maggiore o minore a
seconda del mio stato precedente. Attraverso la radice posteriore dei nervi noi entriamo nel midollo saliamo
omolateralmente nei fasci posteriori di Goll e Burdach, arriviamo a livello bulbare si interrompe poi parte il
secondo neurone bulbare e da qui abbiamo l’incrocio che permette la formazione del disco mediale e poi si
arresta nel talamo dove abbiamo la proiezione finale che ci porta fino alla corteccia. A livello corticale
abbiamo una rappresentazione diffusa, con il sistema del compasso possiamo considerare le capacità di
discriminazione, aumenta la capacità discriminativa cioè l’identificazione di due punti distanti tra di loro,
quando più piccola è la distanza tra un punto e un altro che vengono identificati a livello corticale (il
compasso si allarga a livello del tronco invece è molto ridotto a livello della mano significa che due punti a
brevissima distanza stimolano neuroni differenti).
La memoria
La memoria a breve termine è un meccanismo di tipo reattivo; cioè abbiamo dei circuiti che danno origine a
dei …... La memoria a lungo termine la differenziamo in memoria dichiarativa e memoria non dichiarativa
che può essere definita anche memoria procedurale o memoria implicita. Dichiarativa esplicita. La memoria
dichiarativa è la nostra memoria autobiografica (es. ‘Mi sono alzato ecc...’) mi ricorda quello è successo. La
memoria procedurale o implicita a sua volta permette di assumere delle informazioni che diventano nostro
patrimonio come espressione del nostro modo di essere, entrano a far parte delle nostre attitudini
comportamentali, abbiamo due processi: apprendimento associativo e non associativo. Il meccanismo di
associazione è caratteristico di due condizioni fondamentali che sono il condizionamento classico e
condizionamento galante, tutte queste procedure comportano lo stabilirsi di capacità motorie.

TRASMISSIONE DEL DOLORE

Il dolore cronico è un tipo di dolore che aumenta lentamente


e che persiste nel tempo, a differenza di quello puntorio. Questo
dolore viene condotto da fibre più piccole di quelle che abbiamo
finora considerato (Fibre Aδ), che prendono il nome di fibre “C”.
Queste fibre sono piccole di diametro, amieliniche, hanno le
cellule dello Schwann attorno (cellule di Schwann incapsulanti,
formano un unico avvolgimento, a differenza delle fibre
mieliniche in cui sono mielinizzanti e formano più avvolgimenti)
e hanno una bassa velocità di conduzione (circa 0,5-2 m/s). Le
fibre C proiettano a livello corticale in maniera differente rispetto
alle Aδ. Infatti nel fascicolo antero-laterale (che insieme al
fascicolo posteriore costituisce i sistemi ascendenti di fibre) del
midollo noi troviamo il fascio paleospinotalamico, o mediale,
che si differenzia dal neospinotalamico, o laterale. Il fascio
paleospinotalamico (17.10), che conduce il dolore cronico,
proietta sulla porzione mediale del talamo, mentre il fascio
neospinotalamico proietta sul talamo laterale, precisamente sui nuclei VPM (ventroposteromediale) e VPL
(ventroposterolaterale). Questi due nuclei proiettano in maniera molto regolare e precisa sulla corteccia
dell'area somestesica secondaria (SII) del telencefalo. Con la trasmissione attraverso le fibre C invece la
componente mediale (e quindi il fascio paleosp.) del tratto spinotalamico proietta su nuclei talamici che noi
chiamiamo “Nuclei intralaminari”. I nuclei intralaminari talamici hanno la caratteristica di proiettare in maniera
diffusa sulla corteccia e soprattutto hanno una proiezione importante a livello del lobo limbico, cioè su quella
parte della corteccia che è interessata alla corticalizzazione delle emozioni. Quindi c'è una componente
emotiva molto importante che caratterizza questa forma di dolore cronico, dando una sensazione a
connotazione negativa che fa percepire il dolore come qualcosa di spiacevole da evitare (sofferenza).
Ma per quale motivo, ad esempio, quando abbiamo il mal di denti abbiamo la tendenza a premerci la
guancia con la mano? Quando abbiamo mal di denti, le fibre maggiormente coinvolte nella trasmissione del
dolore sono le fibre C, che quindi ci fanno sentire un dolore diffuso proveniente dalla faccia. La cosa
interessante è che quando si preme sulla cute, sembra che il dolore si attutisca. Il meccanismo che spiega

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questo fenomeno è il cosiddetto cancello spinale. Premendo sulla guancia si attivano dei meccanocettori,
che sono i recettori della sensibilità tattile, i quali a loro volta attivano le fibre Aβ, più grosse delle Aδ e a
maggiore velocità di conduzione (30-100 m/s). Queste fibre Aβ quando entrano nel midollo attraverso le
radici posteriori proiettano su degli interneuroni
inibitori, che a loro volta agiscono su dei neuroni
sensitivi secondari della via della nocicezione, gli
stessi che vengono stimolati dai neuroni C. Questa
inibizione avviene innalzando la soglia di
stimolazione dei neuroni secondari. (17.7)
Su questo neurone secondario arriva la proiezione
della fibra C (che conduce gli impulsi dolorifici dalla
periferia) che trova quindi un neurone secondario che
è molto poco sensibile alla scarica di potenziale che
deriva dalla attivazione dei nocicettori, proprio perché
ha subito l'inibizione da parte della fibra Aβ. Si ha
così una “competizione” tra inibizione (dai
meccanocettori) e stimolazione (dai nocicettori) sul
neurone secondario.

Quando si considera l'afferenza dal midollo, per


quanto riguarda le fibre nocicettive, si parla di fascio
spinotalamico laterale o neospinotalamico che
proietta sul nucleo VPL il quale a sua volta proietta in
maniera molto precisa sull'area somestesica della corteccia. Il
fascio mediale o paleospinotalamico invece, si accompagna al
fascio spinotalamico laterale raggiungendo i nuclei VPM e VPL.
Il fascio spinoreticolare dalla struttura che stiamo considerando
proietta sui nuclei intralaminari del talamo, i quali a loro volta
proiettano più o meno a tutta la corteccia. Questa proiezione
diffusa riguarda soprattutto il lobo limbico, deputato alla
corticalizzazione delle emozioni. Si ha così la componente
affettiva tipica del dolore cronico. Il sistema limbico contiene il
giro del cingolo, la corteccia orbitofrontale, l'insula, l'operculum
parietale.
Noi abbiamo due cancelli che possono partecipare alla
modulazione del dolore: il primo è il cancello spinale, più
periferico, chiuso dalle afferenze derivanti dai meccanocettori, che possono innalzare la soglia di
stimolazione del neurone sensitivo secondario [spiegato prima]; il secondo meccanismo invece è più
centrale, riguarda infatti la sostanza grigia periacqueduttale. La sostanza grigia periacqueduttale è il crocevia
di ricezione di una serie di informazioni (17.13) che vengono dalla corteccia parietale, dalla corteccia
cingolata anteriore, dalla corteccia orbitofrontale. Da qui origina un fascio discendente che proietta al midollo
spinale e agisce innalzando la soglia di stimolazione dei neuroni secondari. Il cancello del grigio
periacqueduttale agisce quindi allo stesso modo del cancello spinale, e cioè innalzando la soglia di
stimolazione dei neuroni sensitivi secondari, i quali quindi reagiscono in modo meno intenso alla
stimolazione da parte delle fibre sensitive primarie.
La risposta al dolore da parte di un qualsiasi soggetto dipende dall'attività pregressa o precedente
alla stimolazione delle vie dolorifiche. Abbiamo ad esempio, una condizione in cui il soggetto è molto
depresso, e quindi subisce parecchio l'ambiente esterno, le stimolazioni dolorifiche che avvengono in queste
condizioni amplificano notevolmente la proiezione corticale del dolore, e quindi tutta la corteccia è come se
fosse attivata in senso positivo. Se invece abbiamo una condizione di attività cerebrale di tipo non
depressivo, cioè se il soggetto risponde bene all'ambiente circostante, la stessa stimolazione non darà una
risposta così diffusa. Un altro esempio riguarda chiare situazioni di stress, le quali attivano i sistemi oppioidi
endogeni che inibiscono la trasmissione del dolore: un soldato in guerra, ad esempio, se perde la gamba in
seguito all'esplosione di una granata, in alcuni casi può afferrare la gamba ormai staccata e raggiungere
zoppicando la trincea. Solo dopo aver raggiunto un punto sicuro, e quindi dopo che lo stress è calato, il
soldato inizia a pentire il dolore provocato dalla gamba staccata. Tale fenomeno va sotto il nome di
analgesia da stress, che ha un chiaro significato evolutivo.

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SENSIBILITÀ SOMESTESICA

La sensibilità tattile epicritica (ben discriminata dal punto di


vista topografico) è soprattutto legata all'attività dei cordoni
posteriori. Le fibre entrano nel midollo, salgono
omolateralmente nelle colonne dorsali e arrivano a livello
bulbare, precisamente ai nuclei gracile e cuneato, da dove
parte il secondo neurone sensitivo. I neuroni sensitivi
secondari risalgono verso il talamo formando il lemnisco
mediale. I lemnischi dei due lati si incrociano, quindi le
informazioni tattili e propriocettive arrivano al talamo
controlaterale (VPL per le fibre lemniscali provenienti dai
nuclei gracile e cuneato del bulbo, VPM per le fibre che
provengono dal complesso nucleare trigeminale del
mesencefalo) [integrazione pag. 368 del Conti ] (16.7).
Dal talamo abbiamo la proiezione finale che arriva alla
corteccia. E' quindi una condizione ben differente rispetto a
quella del fascio anterolaterale per la trasmissione dolorifica,
che subisce invece una decussazione immediata nel
midollo. A livello corticale noi abbiamo per
quanto riguarda la faccia una
rappresentazione molto diffusa, il
posterolaterale e il posteromediale [i nuclei
VPL e VPM, suppongo], come anche la
corteccia, sono organizzati in maniera
molto somatotopica (16.9). Nel nucleo VPM
del talamo è rappresentata la faccia, con una
preponderanza delle labbra e della zona peribuccale. Nel nucleo
VPL del talamo è invece rappresentato il resto del corpo, con una
preponderanza della mano. “Rappresentazione” significa che
determinati neuroni ricevono informazioni da una specifica
parte del corpo: più questa è ricca di recettori, maggiore è la
rappresentazione a livello del SNC, cioè maggiore è il numero di
neuroni che riceve informazioni da questa parte del corpo.
Dunque, la rappresentazione di una parte del corpo nel
SNC non dipende dalle dimensioni reali, ma dalla densità dei
recettori in essa. Per esempio, i polpastrelli delle dita della mano
sono piccoli, ma hanno un altissimo numero di recettori e, quindi, la
loro rappresentazione centrale è enorme.

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Al contrario, il torace ha una superficie molto più
vasta rispetto i polpastrelli, ma la densità dei
recettori è molto minore, quindi la sua
rappresentazione centrale è molto più piccola.
Con il sistema del compasso possiamo
osservare la capacità discriminativa, o acuità
tattile, ossia la capacità di distinguere due stimoli
tattili separati l'uno dall'altro. Aumenta la
capacità discriminativa quanto più piccola è la
distanza tra i due punti che vengono identificati a
livello corticale. Il compasso si allarga a livello
del tronco (acuità tattile ridotta) mentre è molto ridotto sulla mano (acuità tattile molto elevata) (16.10) il che
significa che due punti a brevissima distanza stimolano neuroni differenti, e quindi aumenta la nostra
capacità discriminativa degli specifici stimoli. Le mani sono tra le zone più sensibili del nostro organismo
grazie alla loro notevole innervazione che ci permette di identificare due stimolazioni a brevissima distanza.

Memoria a breve e a lungo termine

(33.1)

La memoria a breve termine è un sistema che trattiene l'informazione temporaneamente, in attesa


che venga trasferita in un “magazzino” a lungo termine dove essa diventa più stabile e virtualmente
permanente. Si basa su dei circuiti riverberanti che danno origine a quelli che i neurofisiologi chiamano
“Diagram” [non sono affatto sicuro che abbia detto questo, non si capisce l'inglese di Colantuoni], che
sarebbe la traccia di memoria. Le sue caratteristiche principali sono la breve durata e la labilità.
La memoria a lungo termine si differenzia in memoria dichiarativa (o esplicita) e non dichiarativa (o
procedurale o implicita). La memoria dichiarativa è la nostra memoria autobiografica, che riguarda gli eventi
(Stamattina mi sono alzato, sono andato in bagno ecc.) e la memoria che riguarda fatti e nozioni. La
memoria procedurale o implicita (non dichiarativa) invece implica un processo attraverso cui la formazione
del contenuto mnemonico e il suo recupero non dipendono da processi cognitivi consci come paragoni,
valutazioni, inferenze, ma si produce lentamente tramite ripetizioni e si evidenzia poco con frasi dichiarative.
Permette di assumere delle informazioni le quali poi diventano nostro patrimonio come espressione del
nostro modo di essere, entrano a far parte delle nostre attitudini comportamentali. Le principali forme di
memoria non dichiarativa sono l'apprendimento non associativo (assuefazione e sensibilizzazione),
l'apprendimento associativo e l'imprinting. Il meccanismo di associazione è caratteristico di due meccanismi
fondamentali: il condizionamento classico e il condizionamento operante. Il procedimento non associativo
invece si differenza in assuefazione e sensibilizzazione. Si parla di memoria procedurale in quanto è

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l'esperienza che porta il soggetto a comportarsi in una certa maniera piuttosto che in un'altra. Se
l'esperienza dice che un determinato stimolo in determinate condizioni può essere dannoso allora quello
stimolo grazie alla memoria procedurale viene evitato. Se ad esempio ogni mattina alle dieci un'anziana
signora innaffia i fiori della sua finestra e un signore che in quel momento sta passando sotto quella finestra
si bagna, allora il signore in futuro eviterà di passare da quel punto, consapevole del fatto che passare da
quella zona significherebbe essere bagnati dalla signora che distrattamente innaffia le sue piante. Quando
invece ci rendiamo conto che condizioni di stimolazione potenzialmente dannose in realtà non lo sono
sempre, ma solo in determinate circostanze, allora si parla di assuefazione o abitudine (es. Can che abbaia
non morde: ho paura del cane che abbaia, ma appena mi accorgo che quando abbaia non morde mai
smetto di avere paura). L'assuefazione è una delle più semplici forme di apprendimento, se non la più
semplice, e costituisce la più diffusa nel regno animale. Per assuefazione si intende la progressiva
diminuzione dell'ampiezza o della probabilità di una risposta a una monotona presentazione di uno stimolo
non nocivo. Un rumore improvviso fa sobbalzare e scatena una serie di risposte vegetative come un
aumento della frequenza cardiaca e respiratoria; se tuttavia tale rumore è ripetuto, le risposte iniziali si
attenuano fino a scomparire. Il significato funzionale di questa forma di apprendimento è quello di imparare a
riconoscere un certo stimolo come innocuo e quindi di poterlo ignorare. E' quindi importantissima nel
processo di adattamento all'ambiente in cui si vive: non ha senso infatti sprecare inutilmente energia per
rispondere a uno stimolo non biologicamente significativo.
La sensibilizzazione invece consiste in un aumento della risposta a uno stimolo innocuo A in
conseguenza della ricezione di uno stimolo di forte intensità o nocivo B. Se con l'assuefazione il soggetto
impara a ignorare uno stimolo innocuo, mediante la sensibilizzazione impara invece a prestare attenzione a
uno stimolo innocuo in quanto può essere accompagnato da uno stimolo dannoso.
Mediante queste due forme di apprendimento NON associativo, il soggetto non apprende la
relazione esistente tra due stimoli, ma coglie, in modo inconscio, esclusivamente le proprietà di uno stimolo,
che può rivelarsi biologicamente significativo (e quindi scatena una risposta) oppure privo di significato
biologico (e quindi viene ignorato).

Esperimento di I. Pavlov: Uno studioso di fisiologia che condusse degli studi su un cane. (33.2)

Pavlov era uno studioso del sistema nervoso e dei suoi effetti sulla secrezione di varie ghiandole
digestive, tra cui quelle salivari. Aveva notato in un cane che studiava la cosiddetta salivazione psichica, cioè
l'aumento di salivazione prima di portare il cibo alla bocca. Questa salivazione era indotta, per esempio,
dalla visione della ciotola del cibo o anche dalla comparsa o dal rumore dei passi dell'inserviente che portava
il cibo al cane.
L'esperimento di Pavlov funziona in questo modo: A un cane si fa sentire il suono di una campanella
immediatamente prima di somministrare il cibo; il cane prende in bocca il cibo e produce saliva. Questa
doppia presentazione di suono e cibo (associazione) viene ripetuta per un certo numero di volte, dopo di che
il suono della campanella non seguito dalla presentazione di cibo determina la produzione di saliva perché il
cane accoppia il suono del campanello alla somministrazione di cibo. In presenza di cibo (stimolo
incondizionato, SI), l'atto della salivazione è un riflesso innato, non determinato quindi dall'esperienza,
costituisce quindi la risposta incondizionata (RI). Quando però l'atto della salivazione si ha in seguito a uno
stimolo non fisiologico, condizionato (SC), allora si parla di riflesso condizionato (RC), che nasce da questo
accoppiamento che il cane fa tra il suono del campanello e la presenza di cibo.
Ora, Pavlov, dopo aver ottenuto la risposta condizionata, si è chiesto cosa succederebbe se si
sospendesse la presentazione della carne continuando però a suonare la campanella. Inizialmente il cane
sente la campanella e si ha la salivazione. Dopo un po' però che questo processo viene ripetuto, l'animale
capisce che il suono e il cibo non sono più accoppiati e quindi si riduce la secrezione salivare. Questo è il
meccanismo dell'estinzione del riflesso condizionato.
Il vantaggio evolutivo che questa forma di apprendimento associativo dà è la possibilità di prevedere
l'arrivo imminente di uno stimolo biologicamente significativo in seguito a uno stimolo condizionato SC (il
suono della campanella) e quindi permette di preparare una risposta adeguata. Ha quindi una valenza
adattativa.

Argomento successivo: Imprinting.

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● IMPRINTING

Allora il problema dell’imprinting qual è? Il brutto anatroccolo di Andersen che sta nascendo dall’uovo
riconosce come madre il primo animale che gli passa davanti, l’anatra. Da questo nasce l’imprinting. Quindi
ci sono questi atteggiamenti innati di riconoscimento di qualcosa che ti può aiutare. L’esperienza che si
acquisisce in generazione in generazione viene accumulata nei soggetti viventi, è una capacità ancestrale
che ci viene dall’evoluzione perché quella prima persona ti permette di sopravvivere.
Il discorso dell’accoppiamento. Parliamo di stimoli cosiddetti naturali, condizionati. Sono stati studiati in altre
condizioni che hanno portato concetto di condizionamento operante. Questo di cui abbiamo parlato fino ad
ora era il condizionamento classico (io accoppio due cose che di solito non sono accoppiate in natura) .
Adesso studiamo il condizionamento operante nella cosiddetta Gabbia di Skinner dove vengono utilizzati
ratti o topi. In questa gabbia facciamo una serie di esperimenti:
1) Se noi prendiamo un animale a digiuno da 24 ore, un po’ affamato e lo mettiamo nella gabbia, avrà
un atteggiamento di esplorazione. Nella gabbietta c’è una levetta.
Quando la levetta viene abbassata, l’animale riceve una
crocchetta di cibo e ogni volta che lui abbassa la levetta riceverà
questa crocchetta. Questo è il cosiddetto condizionamento
operante cioè una strategia motoria che porta una gratificazione e
ne determina la ripetizione. L’animale identifica nella levetta un
mezzo per ottenere cibo e quindi abbasserà con frequenza
maggiore la levetta. Questo è il condizionamento operante con
rinforzo/rafforzamento positivo.
2) Nella stessa gabbia possiamo fare un altro esperimento. Mettiamo
l’animale nelle stesse condizioni e elettrifichiamo la griglia elettrica
sulla quale si poggia l’animale e questa volta l’abbassamento
delle levetta apre un circuito elettrico. Quindi ogni volta che
l’animale abbasserà la levetta, uscirà la crocchetta di cibo ma il
topo riceverà una scarica elettrica. L’animale compreso ciò non abbasserà più la levetta (la

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frequenza dell’abbassamento si dirada in maniera esponenziale). Perciò l’animale avrà adeguato il
suo comportamento alla risposta che ha ricevuto.
3) C’è un’ultima condizione, un’altra strategia che possiamo studiare . Noi mettiamo l’animale nella
gabbietta dove la griglia già di per sé carica elettricamente. L’animale volontariamente o
involontariamente preme la levetta che si abbassa e interrompe il circuito elettrico e quindi non
riceve più la scarica. L’animale avendo appreso che abbassando la levetta elimina la scossa
assume una posizione tale da abbassare continuamente la levetta.

Quindi il comportamento che noi assumiamo e apprendiamo dipende dall’esperienza. Noi l’esperienza la
utilizziamo per aumentare la gratificazione e ridurre il rischio di danno. Quale parte del cervello e'
sfruttata per tutti questi meccanismi che possiamo studiare ? Dove utilizziamo le esperienze acquisite
con le nostre attività cognitive, per poter poi sviluppare delle risposte logiche motorie? Per capire ciò ci
aiuta la clinica sui pazienti operati al cervello. Uno dei pazienti più studiati è il
paziente americano H.M.
H.M. soffriva di una rara forma di epilessia bi temporale (riguarda sia l’emisfero dx
che sx) farmaco resistente. Negli anni ’50 i neurochirurghi avevano una strategia
aggressiva riguardo a questa patologia e lo sottopongono ad un intervento di
asportazione di tutti e due i lobi temporali mediani, per eliminare tutta la corteccia
attivata dall’accesso epilettico. (EPILESSIA: scarica improvvisa eccessiva e rapida
di una popolazione più o meno estesa di neuroni corticali, che causa una crisi di
contrazioni tonico-cloniche, perdita di coscienza, ecc). Dopo l’operazione, inizia in
ospedale la fase di convalescenza con un team di neurofisiologi e neuropsichiatri.
Un giorno H.M. si fa accompagnare a casa dai medici per non scomodare la
moglie e guida lui i medici verso casa. Lì porta però non nella casa dove lui abitava in quel periodo, ma
nella casa dove lui abitava tre anni prima dell’intervento! Quindi l’asportazione del lobo temporale ha
portato ad un’amnesia retrograda, quindi ha cancellato tutta l’esperienza accumulata. Visto cio' il
soggetto viene studiato attentamente e gli si chiede di fare un esercizio. Lo si mette davanti ad uno
specchio e gli si chiede di copiare i contorni delle due stelle concentriche che si trovano riflesse nello
specchio senza uscire dal bordo e dal limite tra le due stelle. Il soggetto all’inizio fa degli errori notevoli e
progressivamente gli errori si riducono; il terzo giorno poi riesce e portare a termine l’esercizio senza
errori. Quindi lui apprende la manualità, apprende la strategia motoria. Quando gli si chiede però:
"Quante volte hai fatto l’esercizio?" Lui risponde:" è la prima volta che lo faccio, mai fatto prima". Ha
cancellato totalmente la memoria dichiarativa, ma non la procedurale, perché riesce a riprodurre il
disegno, ma non si ricorda di averlo fatto. Quindi la porzione del cervello implicata nella memoria
dichiarativa è il lobo temporale mediano e l’ippocampo che sta dietro danneggiato dall’asportazione del
lobo temporale. L’ippocampo ha tre strati cellulari e la sua posizione è interessante perché c’è il giro del
cingolo (corteccia limbica) c’è l’amigdala al davanti e l’insula; queste porzioni sono importanti nel
riconoscimento dei volti. Se noi distruggiamo l’amigdala nella scimmia questa non sarà più in grado di
riconoscere il serpente e l’ avversione e la paura per questo.
[Ci sono alcune condizioni in cui i neurochirurghi sezionano le
commessure che sono un collegamento tra cervello di dx (cervello
muto) e sx (cervello parlante). Il cervello muto è importante nel
riconoscimento dei volti e delle immagini. Se io ad un soggetto che ha
subito questo intervento sottopongo un’immagine mezza con un volto
di un soggetto e mezza di un altro. Il soggetto riconosce solo
l’immagine, il volto che si proietta a destra, cioè quello che si trova a
sinistra nel foglio.]

IPPOCAMPO
Noi asportiamo l’ippocampo in un ratto e lo posizioniamo in quello che viene
detto labirinto a otto braccia radiali. Alla fine di ogni braccio del labirinto c’è
una crocchetta di cibo; l’animale intatto (senza asportazione) entra in uno dei
bracci, mangia a crocchetta e non vi rientra più. Se togliamo l’ippocampo
l’animale non riesce più ad orientarsi nel labirinto e si immobilizza. Quindi con
questo sistema riusciamo a studiare le capacità motorie di orientamento
dell’animale e di organizzazione razionale del movimento.
Un altro strumento che ci è utile è la vasca di Morris piena d’acqua dove si
pone il ratto che subisce uno stress emotivo. Al di sotto della superficie liquida c’è una piattaforma che

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però non arriva in superficie. L’animale intatto comincia ad annaspare, gira in continuazione e poi riesce
ad identificare la piattaforma quindi ha coscienza del posto dove si deve andare a localizzare. Lo tolgo
dalla vasca e lo rimetto poi in acqua in una posizione diversa e lui riesce di nuovo subito a ritrovare la
piattaforma. L’animale che ha subito l’asportazione dell’ippocampo, invece, quando lo rimettiamo in
acqua non riesce a ricordare dove sta la piattaforma. Quindi si pensava che nell’ippocampo ci fossero le
"place cells" dette anche "cellule di piazzamento" che ci permettono di acquisire la memoria spaziale e di
orientarsi nello spazio. Questa ipotesi non ha avuto successo perché non sono state trovate cellule che
si attivano quando l’animale assume una certa posizione nello spazio. Oggi si tende a considerare
l’ippocampo come una struttura dove abbiamo uno spazio di memoria dove noi facciamo arrivare le
informazioni dal campo visivo, dal mondo esterno che possono poi essere utilizzate e processate.
Dall’ippocampo (primo localizzatore delle informazioni) le informazioni vanno poi nelle zone specifiche,
cioè al lobo temporale mediale, sede della memoria dichiarativa. Nel paziente H.M. mancava la
connessione tra memoria procedurale e memoria dichiarativa. Cioè le due memorie lavorano
separatamente secondo moduli di acquisizione distinti e indipendenti che poi vengono connessi.

AMIGDALA
Ha la forma di una mandorla e noi la utilizziamo per corticalizzare le emozioni forti che proviamo, come
la paura. Come rispondiamo alle emozioni forti? A) risposta motoria B) analgesia. Poi attiviamo il
sistema nervoso simpatico con aumento della forza contrattile necessaria per la risposta motoria (corsa),
si innalza la pressione arteriosa e andiamo in tachicardia. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è essenziale
in queste che vengono dette "fear responses" .Si producono quantità industriali di cortisolo, l’ormone
dello stress perché ci permette di mobilizzare le risorse per rispondere alla paura. I nostri organi di senso
(vista, udito, olfatto..) ricevono dall’ambiente informazioni che segnalano la presenza o la possibilità di
un pericolo. Tali informazioni raggiungono l’amigdala attraverso percorsi diretti provenienti dal talamo
(strada bassa) e da percorsi che vanno dal talamo alla corteccia all’amigdala (strada alta). La via talamo-
amigdala è più breve e il sistema di trasmissione è più veloce. Questa strada bassa, non potendo
sfruttare l’elaborazione corticale fornisce all’amigdala solo una rappresentazione rozza ed imprecisa
dello stimolo innescando così una risposta meramente emotiva e consentendo al cervello di cominciare
a rispondere al possibile pericolo. I nuclei basolaterali dell’amigdala ricevono le afferenze dalla corteccia
sensoriale. Dal nucleo centrale dell’amigdala abbiamo un’efferenza che va all’ipotalamo e al bulbo ponte
e dove noi localizziamo i centri vasomotore e cardioinibitore. L’amigdala con le info che vengono da
varie parti della corteccia (per lo più visiva e motoria) attiva una risposta vasomotrice aumentando le
resistenze periferiche e quindi la pressione arteriosa e regola il battito cardiaco (tachicardia).

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Neurofisiologia 19-06-2015
Sbobinatore: Francesca Portagnuolo
Correttore: Silvia De Tomaso
Prof. Colantuoni

Lezione 8 – La memoria e l’amigdala


L’argomento che abbiamo riassunto ieri (18/06/2015), a parte tutti i meccanismi di regolazione della
motilità volontaria, riguarda soprattutto LA MEMORIA, che ora vorrei richiamare alla vostra attenzione.

Possiamo distinguere la memoria a lungo termine in dichiarativa e procedurale.


● La memoria dichiarativa è la capacità che abbiamo di ricordare quello che ci accade, nel senso
che è la nostra memoria autobiografica;
● la memoria procedurale si basa sui meccanismi di associazione e di non associazione.

Meccanismi di associazione: i più importanti sono rappresentati dal riflesso condizionato e dal
condizionamento operante. Nella nostra memoria noi possiamo raccordare stimoli e risposte, che
normalmente non sono quelle naturali, e possiamo indurre delle risposte che noi chiamiamo “riflessi
condizionati”.
Il riflesso condizionato per eccellenza è la salivazione del cane al suono di un campanello
(condizionamento pavloviano). Il campanello non fa salivare nessuno, ma se noi associamo l’assunzione
della carne al suono del campanello, dopo un certo numero di volte l’animale che stiamo considerando
associa il suono del campanello alla presentazione della carne e quindi comincia a salivare
indipendentemente, quindi certamente non è lo stimolo naturale quello che fa determinare la salivazione.
Questo fenomeno, questo riflesso condizionato, ovviamente è soggetto a estinzione nel momento in cui
passano un certo numero di volte che la presentazione della carne non viene preceduta dal suono del
campanello, quindi se il suono del campanello si presenta come stimolo solitario, l’animale riconosce
che non c’è più associazione. Può esserci la ripresa dello stimolo e del riflesso condizionato quando noi
riaccoppiamo le due stimolazioni disgiunte.
Il condizionamento operante invece è un condizionamento che noi otteniamo nella cosiddetta
“gabbia di Skinner”, dove abbiamo un ratto affamato perché è da 24 ore a digiuno. Nella gabbia di
Skinner c’è una levetta. Se l’animale per combinazione poggia la zampa sulla levetta, il ratto fa una
esplorazione dell’ambiente e cerca di trovare cibo perché è affamato, tocca la levetta e si accorge che al
tocco della levetta compare la crocchetta di cibo, e quindi in questo caso che fa? È chiaro che ripetendo
una o due volte l’abbassamento della levetta e vedendo che compare sempre la crocchetta di cibo,
l’esplorazione della gabbia sarà sempre più limitata e la frequenza di abbassamento della levetta sarà
elevatissima fino a quando non si sarà completamente saziato. Questo è un esempio di un
condizionamento operante, cioè l’effetto della nostra azione determina gratificazione e consiglia

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all’animale e a noi di ripetere l’operazione. C’è un meccanismo differente: abbassando la levetta,
l’animale si procura una scossa elettrica, cioè se collego all’abbassamento della levetta l’elettrificazione
del pavimento della griglia, l’animale prende la scossa. In queste condizioni è chiaro che la frequenza di
abbassamento della levetta sarà tendente al limite, cioè zero.

Esiste una terza condizione: se metto l’animale nella gabbia di Skinner e la gabbia di Skinner ha già
una griglia elettrificata, il ratto saltella per evitare il più possibile le scariche elettriche, e con l’abbassamento
della levetta si accorge che si interrompe la scarica. In questo caso osservo che l’abbassamento della
levetta sarà frequentissimo. Questo è il secondo modello sperimentale in cui noi possiamo accoppiare,
studiare come una certa attività motoria possa essere ripetuta in raccordo a un meccanismo di
moltiplicazione del cibo o di allontanamento di uno stimolo doloroso. Questi sono dati sperimentali.

Il dato interessante viene dall’osservazione clinica perché a questo punto c’è stata anche una lunga
serie di studi fatti sull’uomo in condizioni speciali, soprattutto in persone sottoposte a interventi
neurochirurgici demolitivi di parte della corteccia. Il cervello più studiato è quello di un paziente H.M. (Henry
Molaison) il quale era affetto da epilessia resistente ai farmaci. Nella epilessia resistente ai farmaci il
soggetto aveva delle scariche che partivano dal lobo temporale mediale destro e sinistro. Dopo trattamenti
farmacologici risultati inefficaci, i neurochirurghi americani intervennero per asportare le parti mediali dei lobi
temporali. Il paziente guarì dall’epilessia ma si ritrovò con dati interessanti che ci hanno permesso di fare
alcune considerazioni. Asportando i lobi temporali le conseguenze furono inimmaginabili. Dopo la degenza
postoperatoria, venne accompagnato a casa, lui diresse i medici che lo stavano accompagnando alla casa
dove abitava con la moglie tre anni prima dell’intervento. Aveva totalmente dimenticato tutto quello che ha
contraddistinto la sua vita per i tre anni prima dell’intervento, quindi aveva una amnesia retrograda molto
grave. In casa non riusciva a orientarsi, usciva dalla stanza da letto e non ricordava la collocazione delle
camere della sua casa, quindi si evidenziarono anche fenomeni di amnesia anterograda. Gli fu fatto svolgere
il compito di copia allo specchio: avendo un foglio di carta, doveva segnare una linea che non sconfinasse
dal doppio margine delimitato da due stelle concentriche, vedendo però la mano che impugnava la matita e il
foglio solo attraverso uno specchio. Sottoposto per vari giorni allo stesso test, migliorò nettamente, il primo
giorno gli errori si ridussero, il secondo giorno furono abbastanza ridotti, il terzo giorno non ci furono più
errori. Quindi era in grado di imparare e di avere cognizione della attività motoria. Questa attività risultava
migliorata, il che significava che la memoria procedurale, ossia la memoria che ci permette di ripetere un

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movimento particolare (è quello che succede negli atleti che fanno salto in alto, quelli che fanno ginnastica,
che ripetono nel tempo i movimenti e li memorizzano) era perfettamente intatta. Un momento cognitivo
importante: noi memorizziamo i passaggi. In questo caso il soggetto memorizza, nel senso che migliora
certamente l’andamento della prova, ma non ricorda di aver mai fatto l’esercizio. Questo ci ha portato a
delle conclusioni importanti. La memoria dichiarativa e la memoria procedurale impegnano moduli
indipendenti. Se noi asportiamo il lobo temporale mediale e portiamo danno all’ippocampo, che è la struttura
che sta subito dietro il lobo temporale, noi cancelliamo o aboliamo il modulo della memoria dichiarativa,
quindi possiamo immaginare che il lobo temporale mediale sia il sito, la localizzazione principale di questo
modulo indipendente che ci permette di ricordare quello che facciamo. Ne emerge che abbiamo moduli
differenti, quindi indipendenti, che poi vengono incrociati, vengono combinati tra di loro per darci la
visione di tipo autobiografico-storico di quello che abbiamo fatto.

Oltre al lobo temporale mediale, un’altra


parte della corteccia che è estremamente
interessante e che è stata studiata su di un
altro cervello è la corteccia orbito-frontale.

CORTECCIA ORBITO-FRONTALE (OFC)


Essa si trova di fronte alla corteccia
che poggia sull’arcata orbitale. Il cervello che
è stato studiato negli USA per lungo tempo
era il cervello di un mastro carpentiere che
partecipava alla costruzione della ferrovia
transamericana, era una persona molto
affabile, molto capace, di grande umanità
anche con gli operai. Una mattina nel corso
del lavoro venne trafitto da una barra di ferro,
che gli passò attraverso lo zigomo e sfondò
la calotta uscendo fuori. Egli riuscì a
sopravvivere all’incidente. La lesione che si
determinò riguardava prevalentemente la
OFC. Quali furono le variazioni del carattere
di questa persona? Era una persona molto
umana, aveva grandi doti di mediazione
soprattutto con gli operai, ma dopo l’incidente il carattere di questa persona cambiò totalmente: il soggetto,
che era molto socievole, diventò una persona totalmente intrattabile, ci fu un cambiamento totale del mood,
dell’umore, dal soggetto pacifico e tranquillo che era con gli altri, diventò un soggetto totalmente aggressivo
con tutti, non sentiva ragioni, diceva tutto quello che gli passava per la testa. Queste osservazioni hanno
dato origine al concetto che ciascuno di noi è figlio della sua fisiologia. Se la mia corteccia orbito-frontale si è
conformata in una certa maniera durante lo sviluppo embrionale fetale, tra geni che partecipano e così via, il
nostro carattere è affidato alla OFC. Nella strategia generale esercitata dalla corteccia, la OFC ha un effetto
importante nel determinare la nostra attitudine sociale a considerare gli altri come target della nostra
aggressività oppure come target di confronto normale, di interazione normale. L’attitudine personale di
ciascuno di noi dipende sostanzialmente dalla caratteristica della nostra OFC. Il problema che dobbiamo
sempre ricordarci è che nell’evoluzione la corteccia nell’uomo ha il massimo sviluppo, anche rispetto alla
scimmia e così via. I primati, che sono quelli molto più vicini a noi nella scala evolutiva, hanno comunque
delle differenze sostanziali rispetto a noi. Le scimmie sono a volte totalmente intrattabili perché i livelli di
organizzazione della corteccia sono differenti. La corteccia è una struttura che ci permette di modulare
tutti i comportamenti istintuali che nascono dalle strutture sottocorticali. Quindi noi abbiamo una
corteccia con tutti i suoi strati che è in grado di limitare tutte quelle strutture che sono sottocorticali.
Esempio: l’amigdala, l’insula, il lobo limbico sono quelle strutture che di norma presiedono o che
contribuiscono all’elaborazione delle emozioni. Se consideriamo quello che si diceva 30 anni fa, l’amigdala è
una delle strutture che contribuisce al comportamento generale della specie vivente. Quali sono i
comportamenti generali? Ci sono due comportamenti fondamentali che sono:
1. la self preservation (la difesa di se stesso, la preservazione del proprio io);
2. la species preservation (la preservazione della specie, significa l’atteggiamento che ci permette di
continuare la specie, “tutti quegli atti che ci permettono di avere la continuazione della specie”,
l’istinto sessuale)

Tutte queste cose sono tutte localizzate a livello sottocorticale. Su questi aspetti generali, istintuali,

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queste strutture sottocorticali, in parte orbito frontali, sono totalmente controllate dalla corteccia cerebrale.
Quindi la sede della corteccia è la sede della valutazione critica di ogni nostro atteggiamento, di ogni nostro
comportamento. Quindi questa valutazione critica si accompagna a delle scelte che ciascuno di noi fa. Nella
struttura corticale abbiamo il massimo del controllo di tutte quelle che sono le strutture
sottocorticali.
L’amigdala è una struttura complessa; le informazioni vengono tutte proiettate sull’amigdala e al tempo
stesso c’è una elaborazione che noi facciamo a livello dell’amigdala, per cui questa “mandorlina” così
complicata è una struttura che dobbiamo conoscere. Prima di arrivare all’amigdala, vediamo come siamo
riusciti a definire il concetto della corteccia come elemento fondamentale.
Il gatto di Cannon è un gatto decorticato. Questo animale ha subito un’operazione in cui gli è stata tolta
la corteccia. Dopo si è ripreso, e ha la faccia della “falsa rabbia”. La falsa rabbia del gatto di Cannon sta a
significare che, se tolgo la corteccia generale, – la struttura del cervello del gatto è molto simile a quella
dell’uomo, è quella che più si avvicina, esclusi i primati, alla struttura del cervello dell’uomo, infatti i gatti sono
stati molto usati negli esperimenti di decerebrazioni, il gatto decerebrato messo sulle zampe si irrigidisce,
diventa una statua - l’animale è infuriato con il mondo intero. I soggetti che hanno una particolare
propensione ad essere arrabbiati col mondo intero hanno dei problemi a livello corticale. Quindi abbiamo una
struttura che presiede a tutte le funzioni. La funzione dell’uomo è quella di essere una persona equilibrata e
razionale. C’è un equilibrio tra strutture sottocorticali e strutture corticali. Quando la corteccia prevale,
l’atteggiamento è meno aggressivo. Se invece la struttura corticale non è bilanciata con le strutture
sottocorticali, abbiamo questi atteggiamenti particolari. Trenta-quaranta anni fa, dopo questo esperimento
iniziale, si è visto che in molti soggetti che avevano problemi di aggressività, si interveniva sui lobi frontali o
lobi prefrontali, si tagliavano le connessioni e la risposta era una riduzione della aggressività. In realtà è la
OFC che interviene nella modulazione dell’atteggiamento personale. Quindi molti problemi connessi al mood
(attitudine che uno ha a considerare il mondo esterno in un modo piuttosto che in un altro) sono collegati alla
OFC. Dal punto di vista evolutivo, quella che era una struttura sottocorticale viene dominata dalla
struttura corticale.

L’AMIGDALA
Tra le strutture sottocorticali, l’amigdala ha una funzione molto importante. L’amigdala e l’insula ci
permettono di apprezzare la faccia degli altri e soprattutto l’atteggiamento generale che noi osserviamo nelle
altre persone. In particolare l’amigdala ci permette di
valutare il grado di aggressività che risalta dalla faccia
di una persona. Soprattutto le donne sono in grado di
capire immediatamente se una persona è aggressiva
o no. L’uomo a volte non ha questa capacità di
reazione immediata.
Se vengono somministrate benzodiazepine come
ansiolitici, queste hanno una infinità di recettori a
livello dell’amigdala. Si chiama amigdala perché
assomiglia a una mandorla (dal greco αμύγδαλον =
mandorla), essa è ampiamente rappresentata perché
ci sono una serie di nuclei importanti. L’amigdala è
una struttura fondamentale coinvolta nelle emozioni,
nella risposta alla paura, ed è una di quelle strutture
che partecipa alla costituzione dell’istinto, sia come difesa di sé che come prosecuzione della specie. Come
si realizza la difesa di sé? Se distruggo l’amigdala in una scimmia, che di norma ha molta paura dei serpenti,
la scimmia non è più in grado di identificare nel cervello il serpente come una specie dannosa, come un
pericolo e quindi lo prende in mano. L’amigdala contribuisce all’elaborazione delle emozioni e delle risposte
alla paura che noi normalmente mettiamo in atto ogni volta che di fronte a noi si erge un pericolo. Quindi è
una struttura estremamente complessa, connessa a tutte le parti, è essenziale nella corticalizzazione delle
emozioni, cioè nella contestualizzazione e razionalizzazione della fonte di pericolo. La razionalizzazione
avviene attraverso l’interazione dell’amigdala, che è il nostro punto di ricevimento e di elaborazione, con tutta
la corteccia. Quindi questa struttura è connessa in maniera intensa con tutta la corteccia e soprattutto con le
strutture deputate a questa nostra capacità di risposta, che sono principalmente l’ippocampo, l’insula e la
corteccia limbica. L’amigdala è una struttura prevalentemente grigia, nella quale differenziamo almeno tre
gruppi di nuclei:
● i nuclei corticomediali,

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● i nuclei basolaterali (che sono il laterale, il basale e l’intermedio),

● il nucleo corticale esterno mediale.

Quindi abbiamo due importanti stazioni di elaborazione che sono i due nuclei mediali e i tre nuclei
laterali. Noi abbiamo influenze da tutte le altre parti della corteccia, queste influenze che vanno sui nuclei
mediali e sui nuclei laterali vengono rielaborate al loro interno; la via di efferenza è rappresentata
prevalentemente dal nucleo centrale. Quindi noi abbiamo una ricezione di informazioni che vengono da tutte
le parti della corteccia, che sono riversate nell’amigdala. L’amigdala elabora tutte queste informazioni e tutti
questi potenziali d’azione. L’elaborazione permette il passaggio di informazioni tra diverse strutture
dell’amigdala stessa. L’efferenza più importante è quella che dal nucleo centrale poi si esercita
prevalentemente sul bulbo ponte, cioè è questa via di efferenza che permette quelle risposte alla paura
che noi osserviamo: tachicardia e vasocostrizione periferica. Quindi stiamo attivando il sistema simpatico.
Riduciamo l’attività del sistema parasimpatico, che rallenta la frequenza cardiaca, e attiviamo il sistema
simpatico, che ha strutture importanti sia nel bulbo ponte che nell’ipotalamo. Il sistema simpatico è una
struttura estremamente complessa che interviene in moltissime attività “vegetative”, nel senso che interviene
nella TERMOREGOLAZIONE, interviene nella fame e sazietà, interviene in molte situazioni di omeostasi
generale. Consideriamo anche l’ipotalamo come una delle stazioni del sistema nervoso simpatico.
Quindi questa attivazione della risposta alla paura implica che l’efferenza dal nucleo centrale dell’amigdala
va ad inibire il centro cardioinibitore, attivando il meccanismo simpatico che porta a tachicardia e
vasocostrizione periferica, dovuta all’attivazione del centro vasomotore. Il centro vasomotore è l’organo
simpatico per eccellenza, che vasocostringe i vasi e innalza la pressione, esplicando quella che
normalmente viene definita “la risposta del fight or flight” (“combatti o fuggi”, tipica nelle condizioni di paura o
disagio o di pericolosità che l’ambiente esterno ci impone). Nella risposta alla paura, oltre alla tachicardia, c’è
anche vasocostrizione periferica, sudorazione, pilo erezione che è caratteristica del SN simpatico, analgesia
(riuscire a correre ed allontanarsi dalle situazioni di disastro senza avere sensazioni dolorifiche importanti), e
l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Asse ipotalamo-ipofisi-surrene significa che l’ipotalamo
risponde allo stress, alla paura, a tutte le influenze che arrivano sull’ipotalamo, attivando la liberazione di due
sostanze fondamentali che noi utilizziamo e che oggi chiamiamo stresscopine, che sono molecole proteiche
che noi liberiamo durante lo stress, in questo caso lo stress da paura:
● il CRH (ormone rilasciante la corticotropina) costituito da 41 aa, che stimola il rilascio di ACTH, a
livello ipofisario.

Il rapporto tra ipotalamo e ipofisi è un rapporto strettissimo perché è dominato dal sistema portale
ipotalamo-ipofisario, il quale permette che le sostanze liberate a livello dell’eminenza mediana, a livello
dell’infundibulo arrivino all’adenoipofisi. Oltre al CRH, noi in condizioni di stress liberiamo
● la vasopressina (l’ormone antidiuretico) che non è liberata a livello della postipofisi, ma a livello
dell’ipotalamo, e da qui è liberata a livello dell’eminenza mediana, dove abbiamo questo sistema che
drena tutto a livello dell’adenoipofisi. Quindi stiamo integrando informazioni di tipo nervoso con una
neurosecrezione, che è uno dei momenti fondamentali di risposta a tutto quello che ci viene dal
mondo esterno, soprattutto nei momenti di stress.

Il nostro ipotalamo, in cui ci sono una serie incredibile di nuclei (nucleo sopraottico e
paraventricolare), è influenzato dalle informazioni che arrivano dalle altre parti del sistema nervoso, tra cui
l’amigdala. A livello ipotalamico noi elaboriamo queste informazioni. L’eminenza mediana, cioè la parte
dell’ipotalamo più vicina all’ipofisi, è il punto dove proiettano i “neuroni parvi cellulari”, che si differenziano dai
magnocellulari. Il neurone parvicellulare ha il suo corpo nel nucleo (per esempio paraventricolare e
sopraottico), poi manda i suoi assoni a prendere sinapsi questa volta con dei vasi. Nel momento in cui arriva
l’informazione dall’amigdala e dalle altre strutture corticali, questi neuroni dei nuclei ipotalamici liberano delle
sostanze, che sono ormoni ipotalamici, che si liberano dalle terminazioni nervose ed entrano nei vasi che
costituiscono il sistema portale ipotalamo ipofisario. Sistema portale significa che le arteriole ipotalamiche
danno origine a dei capillari, poi questi capillari danno origine a delle venule, sui capillari e sulle venule ci
sono queste terminazioni nervose che liberano le sostanze. Le sostanze e gli ormoni ipotalamici liberati nel
circolo ipotalamico, attraverso questo sistema venoso che poi ricapillarizza a livello ipofisario (quindi sistema
portale), arrivano a livello adenoipofisario. A livello adenoipofisario ci sono almeno 6-7 ormoni che vengono
normalmente liberati. Di questi ormoni della risposta allo stress, ci interessano l’ACTH e la prolattina
(ormone dello stress nelle donne, alti livelli di prolattina sono caratteristici delle donne in carriera). Tutto

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quello che abbiamo elaborato a livello dell’amigdala porta alla liberazione di CRH, un precursore delle
stresscopine (è una famiglia, le stresscopine prima si chiamavano urotensine). Il CRH è stato uno dei primi
ormoni ipotalamici isolati subito dopo la seconda guerra mondiale, gli americani usarono circa 250000 ipofisi
di pecore. Le prime sostanze isolate sono state: il CRH (41 amminoacidi), il GnRH (l’ormone rilasciante le
gonadotropine, composto da 10 aa), il TRH, (l’ormone rilasciante la tireotropina o TSH, costituito da 3aa), poi
con altri studi hanno isolato la somatocrinina, cioè l’ormone rilasciante l’ormone della crescita (44aa). È stato
chiamato somatocrinina per differenziarlo dalla somatostatina (14aa), che invece inibisce la secrezione
dell’ormone della crescita. Tutte queste sostanze sono liberate a livello ipotalamico. Nel corso dello stress, il
CRH è accompagnato dalla liberazione dell’ADH (vasopressina). Quindi in condizioni di stress è stato
osservato che la vasopressina, invece di essere secreta a livello della postipofisi dove normalmente viene
liberata, entra nel circolo portale ipotalamo-ipofisario, raggiunge l’adenoipofisi e fa liberare l’ACTH. Quindi
noi abbiamo un rinforzo di liberazione dell’ACTH proprio perché lo stress in questo momento sta attivando
tutte quelle risposte del nostro organismo. L’ACTH (39aa) deriva da una molecola molto più lunga che è la
preproopiomelanocortina. Questa viene scissa in vari segmenti tra cui la beta-lipotropina, alfa-MSH e
l’ACTH. L’ACTH raggiunge la corteccia surrenalica, agisce in maniera propria su tutta la corteccia
surrenalica, soprattutto sulla zona fascicolata del surrene che produce il cortisolo (la zona glomerulare
produce l’aldosterone). Abbiamo una liberazione di ACTH, che è il più potente ormone proteolitico, ha tre
organi bersaglio di elezione che sono il muscolo, il sottocutaneo e i linfociti. Su questi tre organi il cortisolo
stimola la degradazione proteica, la proteolisi, quindi aumenta gli amminoacidi che arrivano a livello ematico.
C’è una montata di aa che attraverso il sistema ematico arriva al fegato. A livello epatico il cortisolo facilita la
trasformazione degli aa in glucosio, quindi noi attiviamo la neoglucogenesi, che significa :
1. la quantità di glucosio a livello ematico è così elevata che noi depositiamo glucosio sotto forma di
glicogeno;
2. la quantità di glucosio che stiamo producendo nel fegato è tale che riversiamo glucosio in circolo.

Quindi libero cortisolo a livello surrenalico, innalzo la glicemia, che mi serve ad aumentare i substrati
energetici che permettono al muscolo di fuggire di fronte a un pericolo. Liberando grandi quantità di glucosio
a livello ematico, aumenta la glicemia. L’altro effetto importante del cortisolo è l’effetto lipolitico, cioè avviene
una scissione dei trigliceridi a livello del tessuto adiposo, per cui mettiamo in circolo grandi quantità di acidi
grassi che possono essere utilizzati come fonte energetica anch’essi attraverso beta ossidazione. Quindi
metto a disposizione degli organi e quindi dei muscoli, del cuore e del cervello quantità sufficienti di glucosio
perché io possa esplicare tutte le funzioni che mi permettono di fuggire dalla zona di maggior pericolo.
Attività importantissima del cortisolo che è quella di aumentare la degradazione proteica e facilitare la
formazione di glucosio.
Il morbo di Cushing è un adenoma ipotalamico o ipofisario che porta alla formazione di grandi
quantità di ACTH, che agisce sulla ghiandola surrenale e fa produrre grandi quantità di cortisolo, che viene
immesso in circolo. L’attacco è talmente forte che questi soggetti (soprattutto le donne) hanno gli arti molto
assottigliati perché viene consumato tutto il muscolo degli arti, e sono facilmente oggetto di ecchimosi. L’altro
aspetto interessante è che questa gracilità degli arti viene contraddetta da un addome globoso, in quanto
producono e depositano grandi quantità di grassi. A lungo si è discusso se il cortisolo fosse lipolitico o
lipogenico, cioè favorisse la liposintesi. L’alto livello ematico di glucosio innesca una reazione da parte delle
cellule beta del pancreas, per cui il pancreas in risposta all’aumento della glicemia, aumenta la sua
secrezione di insulina. L’insulina arriva sul tessuto adiposo viscerale e facilita la deposizione di grandi
quantità di adipe, sotto forma di trigliceridi. Nei soggetti quindi c’è un aumentata produzione di tessuto
adiposo. In questi soggetti inoltre ci sono le strie addominali cutanee (simili alle strie postgravidiche,
dovute al fatto che durante la gravidanza si espande l’addome e poi dopo il parto rimangono le smagliature)
che sono effetto della degradazione della matrice proteica sottocutanea che porta ad una maggiore visibilità
dei vasi sottocutanei. Questa degradazione proteica è la risposta alla paura. L’aumentato metabolismo
proteico ci consente (in condizioni normali) di utilizzare fonti massimali di energia per poter fuggire dal
pericolo. Il Cushing predispone al diabete. In quel caso però c’è una costituzione genetica che favorisce. Il
diabete è una malattia multifattoriale o multigenetica. C’è un polimorfismo in cui concorre certamente la
stimolazione massimale delle cellule beta del pancreas, pertanto se il soggetto nella sua genealogia ha già
presente casi di diabete, dovrebbe porre attenzione al suo stile alimentare. Ha una limitazione dovuta al fatto
che a un certo punto queste cellule pancreatiche possono non rispondere più alle esigenze metaboliche per
cui vanno in deficit. In questo caso ci sarà resistenza all’insulina e quindi lo sviluppo del diabete. Però in
condizioni di normalità, quando non ci sono queste stimmate genetiche iniziali, il Cushing non si
accompagna necessariamente al diabete.
Proiezioni sull’amigdala: abbiamo una proiezione dal bulbo olfattorio, dalla stria terminale, dai
nuclei talamici, ma la cosa interessante è il locus ceruleus, uno dei punti fondamentali del sistema nervoso
autonomo che è il sistema noradrenergico. L’attività di vasomotilità arteriolare dipende da tante cose

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(dipende l’attività miogena del
muscolo liscio), tra cui l’attività del
sistema nervoso simpatico. Nuclei
mesencefalici proiettano, arrivano
informazioni dal genicolato laterale,
quindi le informazioni visive
vengono elaborate e ritrasmesse a
livello dell’amigdala. Quindi è una
stazione di ricezione di molteplici
informazioni, che a loro volta
vengono riversate in varie parti: ad
esempio, l’ippocampo e l’insula
sono strettamente connessi con
l’amigdala. Quindi si crea un
crocevia incredibile di connessioni
a livello dell’amigdala che
permettono di elaborare una
risposta, che dal nucleo
dell’amigdala giunge direttamente
sul tronco encefalico e ci permette
di elaborare la risposta autonoma alla paura.

Neurofisiologia 19/06/2015 Sbobinatore: Manlio Lemme


Prof. Colantuoni Correttore: Antonio Luca Tartaglia
Lezione 5 pt. 2/3 - Ipotalamo

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Prof. Colantuoni
Limiti topografici dell’ipotalamo: chiasma ottico, adenoipofisi, post-ipofisi, eminenza mediana.
I tanti nuclei presenti nell’ipotalamo si possono variamente differenziare. Oggi si preferisce una
differenziazione tra ipotalamo laterale e ipotalamo mediale.
Le zone ipotalamiche possono ricevere informazioni anche dal sangue, poiché la zona del subfornice è una
zona particolarmente permeabile a livello della barriera emato-encefalica e passano molte più sostanze di
quanto non è possibile altrove.

Tra le tante strutture che fanno parte dell’ipotalamo particolarmente interessanti sono i nuclei sopraottico
(SON) e paraventricolare (PVN), che notoriamente sono connessi con l’attività della neuroipofisi. Questi
nuclei presentano dei neuroni che vengono definiti magnocellulari: il loro corpo è situato nei nuclei
sopraottico e paraventricolare, mentre gli assoni arrivano fino alla neuroipofisi. I neuroni magnocellulari
sono capaci di sintetizzare l’ossitocina (OXI) e la vasopressina (ADH), e queste sostanze una volta
sintetizzate hanno delle molecole proteiche che le accompagnano fino al livello della post-ipofisi (la
neurofisina è una delle sostanze che accompagna questa trasmigrazione). Quindi il dato importante è che
dal nucleo sopraottico e dal nucleo paraventricolare vengono liberate sostanze nella post-ipofisi (o ipofisi
posteriore). Il nucleo paraventricolare è a sua volta connesso con nuclei mesencefalici (nuclei di Breins
Hempsted), nuclei del bulpo-ponte e poi c’è una proiezione anche al midollo spinale. Queste strutture
complesse quindi rappresentano un punto di congiunzione tra un’attività di tipo nervoso e un’attività di tipo
secretorio. Sono strutture che entrano nella regolazione di molti processi metabolici.

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Sempre nell’ipotalamo ha sede il centro termoregolatore, il che significa che la stessa struttura della post-
ipofisi è una struttura che risente dell’attività di osmocettori presenti nell’ipofisi (?).
Ci troviamo di fronte a strutture fortemente implicate nel controllo del metabolismo.

Ipotalamo e regolazione del comportamento alimentare


Localizziamo a livello dell’ipotalamo anche i nuclei che sono stati definiti in passato i nuclei della fame e
della sazietà. Cioè noi siamo capaci di regolare l’introduzione di alimenti, nutrienti e quindi di energie
attraverso l’attività di questi gruppi di neuroni localizzati nell’ipotalamo. Quindi studiando l’ipotalamo abbiamo
l’opportunità di studiare come facciamo a regolare l’assunzione di cibo (pag. 431 Conti Volume 2).
Come sempre i primi studi sono stati effettuati su animali sperimentali, posti in particolari gabbie dette
gabbie metaboliche dove possiamo misurare esattamente quanto cibo mangiano, quanto bevono, la quantità
di urina e di feci prodotte, ottenendo dati sufficienti per avere un quadro completo del metabolismo di questi
animali. L’animale normale mangia quando ha fame per poi sospendere l’assunzione di cibo quando è sazio.
Poi rimangia e poi si sospende di nuovo. Cioè l’animale mangia, riempie lo stomaco, blocca l’assunzione di
cibo, svuota la stomaco, ricomincia l’assunzione di cibo. Se ad uno di questi animali che abbiamo in
laboratorio facciamo una fistola gastrica, cioè mettiamo un catetere nello stomaco, l’animale mangia in
continuazione, non sospendendo mai l’assunzione di cibo. Questa evidenza ci dice che uno dei fattori
importanti per poter sospendere l’introduzione di cibo è la distensione dello stomaco. Quando lo stomaco si
riempie e le sue pareti si distendono ci sono dei meccanismi che bloccano l’ulteriore introduzione di cibo.
Questo è un dato estremamente importante, perché sta a significare che ci sono dei meccanismi che
controllano l’introduzione di cibo. Nel momento in cui lo stomaco è perforato e non c’è distensione dello
stomaco, l’animale continuerà l’assunzione di cibo. Abbiamo quindi meccanismi periferici di informazione che
arrivano ai centri della fame e della sazietà. Quando le pareti dello stomaco (ma anche del duodeno)
vengono sufficientemente distese a causa del cibo ingerito, vengono indotte scariche nervose che
raggiungono il centro della fame, inibendolo. Si verifica così un senso di sazietà, che attenua il desiderio di
assumere ulteriormente cibo. Al contrario, le contrazione dello stomaco vuoto stimolerebbero la fame.
I centri della fame e della sazietà sono stati descritti e illustrati negli anni dopo la seconda guerra mondiale, e
sono stati classicamente localizzati nell’ipotalamo, il centro della fame nell’ipotalamo laterale e il centro della
sazietà nell’ipotalamo mediale.
L’ipotesi che si faceva era la cosiddetta ipotesi glucostatica. Secondo questa ipotesi il centro della fame si
attiva quando la glicemia è bassa. Nel momento in cui il centro della fame è attivato noi introduciamo
alimenti (quindi energia), che a loro volta fanno aumentare la glicemia. La glicemia che si innalza viene
percepita al livello del centro della sazietà, che è un sensore del glucosio. Il centro della sazietà si attiva e
inibisce il centro della fame. Questo è il meccanismo della così detta teoria glucostatica. Il centro della fame,
attivato, fa introdurre nutrienti, la digestione dei nutrienti determina un aumento della glicemia. La glicemia
accresciuta attiva il centro della sazietà, che a sua volta inibisce il centro della fame.
Questo concetto ha portato alla formulazione di uno degli adagi usati dei vecchi medici: “I diabetici muoiono
di fame in un lago di glucosio”.
Il concetto era che il centro della fame, che stimola l’assunzione di alimenti, viene bloccato dal centro della
sazietà. Però il centro della sazietà è sensibile all’insulina. Se manca l’insulina il centro della sazietà non è
capace di accumulare glucosio al suoi interno e quindi non può essere attivato. Pertanto il soggetto diabetico
ha sempre fame, perché il glucosio, non potendo entrare (in mancanza di insulina) nelle cellule del centro
della sazietà, lascia sempre attivo il centro della fame (cioè senza l’inibizione del centro della sazietà). Il
soggetto diabetico è un soggetto che ha sempre fame. Nella pratica dei fatti i diabetici hanno sempre fame,
quindi c’era una notevole correlazione tra l’ipotesi sperimentale e la realtà delle cose.
Tuttavia oggi questa teoria dei due centri della fame e della sazietà è stata messa in grossa difficoltà dai dati
più recenti.
Tra le evidenze più significative c’è quella –già osservata prima- del differente comportamento tra l’animale
normale (che smette di mangiare quando è sazio) e l’animale che perde contenuto gastrico fuori dello
stomaco tramite la fistola gastrica (che non sospende mai l’assunzione di cibo). Questa differenza è spiegata
dall’esistenza di informazioni nervose che vanno all’ipotalamo attraverso delle afferenze di tipo vagale.
Quindi le afferenze vagali sono fondamentali. Le afferenze vagali nascono a livello dello stomaco. La
distensione dello stomaco attiva questo riflesso vagale che viene trasmesso al nucleo del tratto solitario. Il
nucleo del tratto solitario gioca un ruolo fondamentale, perché è il centro vagale che riceve informazioni dalla
periferia e a sua volta le trasmette all’ipotalamo.
Ora possiamo chiederci se sono soltanto gli stimoli di tipo meccanico che determinano l’inibizione
dell’introduzione di cibo attraverso il nucleo del tratto solitario che invia informazioni all’ipotalamo o ci sono
anche altre stimolazioni. Le stimolazioni meccaniche sono certamente importanti, perché vengono dallo

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stomaco e anche dal duodeno, ma non sono le uniche ad essere efficaci.
Possiamo somministrare al nostro animale anche una soluzione glucosata e contemporaneamente
somministrare acqua semplice ad un altro animale. L’animale che beve acqua semplice continua a bere e
soprattutto cerca del cibo, mentre l’animale che beve soluzione glucosata mostra minore appetito. Quindi c’è
qualche altra cosa che va considerata al di là del volume gastrico nella regolazione dell’assunzione di cibo. Il
volume che distende lo stomaco è importante, ma è importante anche la densità calorica. Infatti l’animale
che beve acqua semplice continua a bere e continua a mangiare, o vorrebbe continuare a mangiare; quello
che beve soluzione glucosata smette di mangiare. A livello del fegato infatti abbiamo una serie di
osmocettori, che sempre attraverso il vago inviano informazioni all’ipotalamo, passando per il nucleo del
tratto solitario. Questi osmocettori epatici sono appunto sensibili all’osmolarità. Quando introduciamo
acqua e zucchero aumenta l’osmolarità del sangue che arriva a livello epatico, se beviamo solo acqua
invece l’osmolarità si abbassa. Quando aumenta l’osmolarità a livello epatico (bevendo soluzione glucosata)
riduciamo l’assunzione di cibo, se l’osmolarità non aumenta l’introduzione di cibo resta sempre elevata
(bevendo acqua che non contiene zuccheri).
Un altro aspetto interessante è che quando introduciamo alimenti, questi alimenti diventano bolo, poi chimo
gastrico, infine chilo nel duodeno. Nel duodeno ci sono cellule produttrici di colecistochinina (CCK). La
colecistochinina agisce sulla colecisti e ne attiva la contrazione, agisce anche sul pancreas e stimola la
secrezione del succo pancreatico ricco di enzimi a differenza della secretina che stimola un succo
pancreatico ricco di bicarbonato. La CCK però ha anche effetti centrali: è infatti una delle sostanze
cosiddette anoressizzanti, cioè quando si libera provoca un senso di sazietà e blocca l’assunzione di cibo.
Quindi (oltre le afferenze vagali provenienti dallo stomaco e dal fegato) ci sono anche una serie di fattori che
si liberano a livello intestinale (la CCK sostanzialmente) che raggiungono l’ipotalamo e promuovono la
sospensione dell’introduzione di cibo.
Le informazioni nervose che vengono dalla periferia (stomaco, intestino, fegato) vengono integrate a livello
del nucleo del tratto solitario e poi vengono trasmesse all’ipotalamo. Qui raggiungono una struttura che in
questo momento viene considerata fondamentale: il nucleo arcuato. Quindi dall’ipotesi dei due nuclei della
fame e della sazietà che funzionavano l’uno collegato all’altro, oggi si è passati all’idea di un’unica struttura
un po’ più complicata.
Sul nucleo arcuato (sull’ipotalamo) arrivano anche altre informazioni: informazioni di tipo metabolico
trasportate da segnali ormonali. I due ormoni che hanno un ruolo chiave su queste strutture deputate
all’assunzione di cibo sono l’insulina e la leptina. La leptina è un indicatore del livello di depositi adiposi:
quando noi incrementiamo i nostri livelli di adipe si produce maggiore quantità di leptina. La leptina ha un
effetto anoressizzante, cioè, quando i depositi sono elevati, arriva a livello ipotalamico e blocca l’ulteriore
introduzione di cibo. La leptina è sostanzialmente l’ormone della magrezza, cioè arriva nell’ipotalamo e
agisce sul nucleo arcuato, bloccando l’assunzione di alimenti. Da questo punto di vista dovremmo essere
protetti dall’obesità, e invece l’obesità oggi è in grande crescita, c’è un vera e propria epidemia in corso e si
parla di globesity: obesità globale (malattia del benessere come il diabete). Del resto noi uomini possiamo
avere tutti i meccanismi e i feedback sottocorticali, ipotalamici di controllo e regolazione dell’appetito, ma se
vogliamo mangiare non c’è meccanismo che possa impedirlo: la volontà personale (la stimolazione
volontaria a mangiare) prevale su tutti i meccanismi sottocorticali di controllo. E questo è un dato
molto importante da ricordare. Il soggetto grasso che arriva all’osservazione del dietologo potrà dimagrire
solo se ha la volontà personale di farlo, cioè se comprende che le abitudini alimentari e lo stile di vita vanno
necessariamente cambiati. Se la stimolazione volontaria a mangiare troppo persiste (è fondamentalmente
una scelta di vita), qualsiasi tipo di dieta o restrizione alimentare diventa difficile da seguire e quindi
inefficace. Anche ricorrendo alla chirurgia (ad esempio riducendo lo stomaco ad un piccolo condotto tramite
gastric sleeve, per cui viene ridotto lo spazio per ricevere cibo), se il soggetto mangia in continuazione le
cure non saranno efficaci. Quindi o il soggetto si mette in testa che deve dimagrire e lo fa di sua volontà,
oppure è un disastro (concetto fondamentale).
Gli effetti dell’insulina, invece, sono abbastanza complessi. Nel senso che alcuni ritengono che l’insulina
abbia gli stessi effetti della leptina, cioè che inibisca l’assunzione di cibo. Altri invece sostengono che più
insulina fai in un soggetto (soprattutto in un soggetto diabetico) più fame avrà quel soggetto. È stato
osservato che quando abbiamo fame c’è un aumento della secrezione di insulina: questo è un riflesso
condizionato che riguarda il pancreas. Nel momento in cui sento un odore piacevole aumenta la secrezione
pancratica di insulina. Molti ritengono che questa secrezione di insulina, che ha luogo prima ancora che
venga introdotto cibo, possa aumentare lo stimolo della fame. Su questo si discute ancora molto. L’insulina
dovrebbe essere prodotta in maggiore quantità in risposta ad un aumento del glucosio nel sangue. Si innalza
il glucosio del sangue, arriva a livello delle cellule pancreatiche, e queste (cellule β) rispondono secernendo
insulina. Però il dato importante è che prima ancora che aumenti la glicemia, abbiamo una secrezione
iniziale di insulina. Questa insulina potrebbe avere un’azione stimolante l’introduzione di cibo. Tra l’altro in
molti soggetti diabetici, che fanno l’insulina, lo stimolo della fame diventa eccessivo proprio dopo un’iniezione

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di insulina stessa.
Tutte queste informazioni (nervose, umorali, glucosio, e si dice che anche gli acidi grassi abbiano la loro
influenza a livello ipotalamico: c’è la cosiddetta teoria lipostatica) vengono trasmesse al nucleo arcuato
dell’ipotalamo, che rappresenta la sede dove noi sommiamo algebricamente tutte queste informazioni (è il
“cuore” dei circuiti nervosi preposti alla regolazione del comportamento alimentare). Il nucleo arcuato a sua
volta produce molecole, le quali possono essere sia oressigene, cioè fanno venire fame e aumentano
l’introduzione di cibo, sia anoressigene, cioè riducono l’introduzione di cibo (nel nucleo arcuato si
distinguono infatti due popolazioni differenti di neuroni che esprimono neuropeptidi diversi). Tra le molecole
oressigene ci sono l’NPY (cioè il neuropeptide Y), un peptide costituito da 36 aminoacidi che stimola
l’appetito, oppure la proteina correlata all’Agouti (AgRP). Queste due molecole sono due molecole che
stimolano il senso della fame. Sono prodotte a livello ipotalamico e attraverso un meccanismo di tipo
paracrino vengono secrete all’esterno e si agganciano ad altre cellule contenute o nel nucleo
paraventricolare o nell’ipotalamo laterale (quello che una volta veniva definito centro della fame). I neuroni
che producono questi due neuropeptidi sono indicati nel loro insieme come neuroni del sistema NPY/AgRP e
sono stimolati dai segnali di fame (ed esempio dalla grelina, peptide di 28 aminoacidi secreto dallo stomaco
in carenza di nutrienti e prima dei pasti) e inibiti dai segnali di sazietà (come la distensione delle pareti dello
stomaco, l’aumentata osmolarità del sangue, la colecistochinina e la leptina).
Il nucleo arcuato produce anche altre due sostanze dall’effetto esattamente opposto a quelle appena
descritte: l’ormone melanocita stimolante (αMSH), che è una sostanza che riduce l’introduzione di cibo,
cioè è una sostanza anoressizzante; il trascritto indotto dalla cocaina e dalla anfetamine (CART) [La
cocaina interferisce con i meccanismi cerebrali di neurotrasmissione. Impedisce al soggetto che ne fa uso di
avere coscienza della realtà e di valutare i rischi delle proprie azioni. Il soggetto non ha più il senso del
pericolo. I circuiti neuronali sono talmente sconvolti che non abbiamo più la lucidità necessaria per
predisporre azioni che ci permettano di evitare il danno. L’integrità del cervello inizia dalla conservazione dei
neurotrasmettitori e dei meccanismi di neurotrasmissione, se introduciamo neurotrasmettitori accessori,
questi possono rovinare tutto il sistema, in particolare possono mettere in difficoltà il cervello nell’elaborare
strategie di sopravvivenza. Assumendo cocaina impediamo al nostro cervello di valutare in maniera ideale i
pericoli. Le anfetamine sono state introdotte dagli americani durante la seconda guerra mondiale: sono
sostanze che non facevano mangiare e soprattutto tenevano svegli i soldati per giorni.] Sia la cocaina che le
anfetamine fanno formare un trascritto, cioè inducono la sintesi di questa molecola proteica che chiamiamo
CART. Questo trascritto, insieme all’αMSH, è una sostanza anoressizzante. Perciò la cocaina e le
anfetamine inibiscono l’assunzione di cibo e le persone che ne fanno abuso sono spesso molto magre. I
neuroni che producono αMSH (e CART) sono detti neuroni POMC/CART (perché esprimono la
proppiomelanocortina) e vengono attivati dai segnali di sazietà, sia a breve termine (distensione dello
stomaco, colecistochinina) che a lungo termine (leptina).
Queste sostanze prodotte a livello del nucleo arcuato si dirigono poi sul nucleo paraventricolare (PVN) e sul
nucleo laterale dell’ipotalamo (LHA), cioè il vecchio centro della fame.
Il vecchio centro della fame (ipotalamo laterale) produce due tipi di molecole: le oressine (o orexine dal
greco orexis che significa appetito-fame) e l’MCH (melanin-concentrating hormone). Queste due classi di
molecole stimolano entrambe l’appetito, si tratta di ormoni ad azione oressizzante (o oressigenica) cioè
promuovono un aumentano dell’introduzione di cibo e riducono la spesa energetica.
Viceversa nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (neuroni parvocellulari) avviene la liberazione del CRH
(ormone di rilascio della corticotropina, originariamente noto come CFR - corticotrpopin realising factor), una
stresscopina (cioè una sostanza coinvolta nella risposta allo stress) costituita da 41 aminoacidi che è anche
un potente inibitore dell’appetito. Il CRH agisce stimolando le cellule corticotrope dell’adenoipofisi a liberare
corticotropina (ACTH), che a sua volta induce la produzione di cortisolo a livello della corticale (zona
fascicolata) del surrene. Il cortisolo ha un forte effetto catabolico (proteolitico, lipolitico) e induce un aumento
della glicemia. Il CRH, oltre a stimolare la secrezione di cortisolo, ha anche un effetto centrale molto
importante nella regolazione del comportamento alimentare: il CRH inibisce l’assunzione di cibo (forse
insieme all’ossitocina, altro ormone prodotto dal nucleo paraventricolare. L’ossitocina tra l’altro è una
molecola estremamente interessante: in alcune condizioni la secrezione di ossitocina si accompagna ad un
aumento dell’atteggiamento parentale. I ratti femmina cui è stata somministrata ossitocina hanno maggiore
accortezza e accudimento verso i cuccioli).
Al momento quindi non parliamo più di un nucleo della fame e della sazietà, ma parliamo invece di un nucleo
arcuato che, integrando informazioni sia umorali che nervose, contribuisce all’attivazione di questi due gruppi
di neuroni ipotalamici (nucleo laterale dell’ipotalamo e il nucleo paraventricolare) che sono in grado di
produrre molecole oressizzanti o anoressizzanti.
Al nucleo arcuato dell’ipotalamo giungono segnali di diversa natura e origine:
1. afferenze vagali che, passando per il nucleo del tratto solitario, trasportano informazioni circa lo stato
di distensione dello stomaco e l’osmolarità del sangue (osmocettori epatici);

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2. fattori umorali (colecistochinina, CCK) che vengono rilasciati nel corso della digestione (quando il
chimo/chilo raggiunge il duodeno);
3. segnali ormonali (insulina e leptina) che riflettono lo stato metabolico del soggetto.

Queste informazioni vengono integrate a livello ipotalamico e determinano l’elaborazione di una risposta che
si esplica tramite la secrezione di molecole sia oressizzanti (NPY e AgRP) che anoressizzanti (αMSH e
CART). Queste sostanze hanno come bersaglio due strutture principali: il nucleo laterale dell’ipotalamo (o
ipotalamo laterale, una volta definito centro della fame) e il nucleo paraventricolare. Questi nuclei a loro volta
rispondono liberando ulteriori molecole che incidono sull’appetito e sull’assunzione del cibo: le oressine
(aumentano l’appetito) e il CRH (riduce l’appetito).
Riassumendo si può dire che, secondo le conoscenze attuali, i segnali di sazietà, sia a breve (distensione
dello stomaco, accresciuta osmolarità del sangue, colecistochinina) che a lungo (leptina, forse insulina)
termine, inducono l’attivazione dei neuroni del nucleo arcuato dell’ipotalamo capaci di produrre αMSH
(neuroni POMC). Il rilascio di αMSH stimola il nucleo paraventricolare a liberare CRH, che è un potente
inibitore dell’appetito. Contemporaneamente, gli stessi stimoli inibiscono il rilascio di NPY e AgRP (sempre
da parte del nucleo arcuato), cioè delle sostanze in grado di stimolare l’appetito. L’insieme di tutti questi
meccanismi conduce alla soppressione dell’assunzione di cibo (senso di sazietà) e all’incremento della
spesa e del dispendio energetico.
I neuroni del nucleo arcuato in grado di liberare NPY e AgRP invece sarebbero tonicamente attivi. Pertanto,
quando non vengono sufficientemente inibiti dai segnali di sazietà, sono liberi di rilasciare questi
neuropeptidi oressizzanti, che, assieme alle oressine secrete dall’ipotalamo laterale, stimolano l’appetito e
l’assunzione di cibo. Questi neuroni sarebbero ulteriormente stimolati da segnali di fame come la grelina.

La leptina ha un ruolo fondamentale nel controllo del peso corporeo. Quando la massa adiposa aumenta,
cresce anche la quantità di leptina che viene secreta (proprio dal tessuto adiposo) nel torrente circolatorio.
La leptina interagisce con specifici recettori a livello ipotalamico (es. nucleo arcuato), ma anche in altre
regioni cerebrali, innescando una serie di meccanismi di natura endocrina e nervosa che determinano una
riduzione della massa grassa con diverse modalità. Una di queste consiste nella riduzione dell’apporto di
alimenti, modulando la sintesi dei neuropeptidi cerebrali coinvolti. In particolare, viene stimolata la sintesi di
CRH (o CFR), che è un potente inibitore dell’appetito, e ridotta quella del neuropeptide Y, che normalmente

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favorisce l’assunzione di cibo. Una seconda modalità attraverso la quale la leptina regola la massa grassa,
consiste nell’innalzamento del dispendio energetico, grazie ad aumenti dei livelli di proteine disaccoppianti.
Quindi la massa adiposa viene regolata con un meccanismo a feedback negativo, mediante la secrezione di
leptina in quantità proporzionale al numero di adipociti e al loro contenuto lipidico. La leptina riduce la
quantità di grasso di deposito (attraverso due vie principali: riduzione dell’apporto di cibo, aumento del
metabolismo energetico).

GRATIFICAZIONE (REWARDING)
Dobbiamo immaginare di ritornare a centinaia di milioni di anni fa. I nostri antenati per poter mangiare
dovevano cacciare; quando si svegliavano, se erano riusciti a sopravvivere a tutte le insidie della notte, si
mettevano di buona lena per trovare una preda da cacciare. Ogni mattina l’uomo primitivo usciva per
cacciare e non sapeva se sarebbe riuscito a sopravvivere. Perciò quando trovava un animale e riusciva ad
ucciderlo, procacciando cibo per se stesso e la famiglia, provava un grande compiacimento. La gratificazione
nasce con l’uomo che va a caccia. La forza che spingeva l’uomo era la fame. Quando delle motivazioni
fondamentali ci portano ad affrontare una serie di esperienze e poi alla fine riusciamo a raggiungere
qualcosa, ad ottenere un risultato, ci sentiamo gratificati.
La gratificazione viene in seguito a questi due atteggiamenti fondamentali:
1. il comportamento appetitivo: la ricerca della selvaggina o comunque di ciò che garantisce la
sopravvivenza mia e del mio gruppo;
2. il comportamento consumatorio: il consumo di quello che abbiamo conquistato con la nostra caccia.

Il dato di fatto è che quando noi riusciamo ad ottenere un risultato, un risultato pratico, questo ci soddisfa, ci
gratifica.
Il grosso problema è stato capire quali sono le strutture cerebrali che sono in grado di dare origine a questa
soddisfazione. La struttura fondamentale è rappresentata dal cosiddetto fascio della gratificazione, il quale
nasce a livello del mesencefalo, in particolare dai nuclei ventro-tettali. Qui hanno sede dei neuroni che
proiettano sull’amigdala allargata. Infatti oltre alla piccola amigdala (amigdala vera e propria) parliamo
anche di un’amigdala allargata. In particolare queste terminazioni raggiungono il nucleo accumbens. Nel
nucleo accumbens si distinguono una parte interna, il core, e una parte esterna o corticale, lo shell. Il nucleo
accumbens (in particolare la sua parte esterna) può essere considerato parte dei nuclei della base, i
principali nuclei sottocorticali. Infatti è strettamente connesso con il caudato e il putamen.
Quando i nostri antenati mangiavano la selvaggina erano contenti. Allo stesso modo, oggi, uno studente di
medicina è contento quando riesce a superare un esame con un bel voto. Questa contentezza che
accompagna l’attività consumatoria o, più in generale, il raggiungimento di un risultato nasce dal fatto che il
fascio della gratificazione libera dopamina a livello dell’amigdala allargata. Quindi abbiamo un fascio
dopaminergico che nasce a livello mesencefalico e proietta sul nucleo accumbens e sull’amigdala allargata.
Si parla di amigdala allargata per indicare un insieme di nuclei sottocorticali connessi tra loro, tra i quali
anche i nuclei della base. Tra questi centri sottocorticali c’è anche il nucleo accumbens (connesso al caudato
e al putamen), che ha questa funzione di gratificazione. Quando si libera dopamina a livello del nucleo
accumbens noi ci sentiamo contenti, gratificati. Questa sensazione di piacere è dovuta al fatto che la
dopamina innesca una serie di risposte centrali.
Molti pensavano che i nuclei della base fossero implicati esclusivamente nella regolazione del movimento e
nella programmazione motoria, in realtà i nuclei della base oggi sono considerati parte integrante della
struttura dell’amigdala allargata e quindi coinvolti anche nel controllo dei nostri atteggiamenti e delle nostre
emozioni. L’attività motoria non è separata dall’attività emotiva.
Questi fasci dopaminergici si accompagnano anche a fasci serotoninergici. Questa è una scoperta che ha
fatto un farmacologo italiano dell’Università di Cagliari. Nei suoi lavori si dimostra che, oltre alla dopamina,
anche la serotonina influenza la risposta di gratificazione. Quindi l’effetto della serotonina è simile a quello
della dopamina nella stimolazione del meccanismo del rewarding

Esperimento
In queste zone del cervello ci sono un numero notevole di recettori per le sostanze d’abuso, quindi questa è
la zona del cervello su cui agiscono in prevalenza le sostanze d’abuso, a cominciare dalla nicotina delle
sigarette e dall’etanolo, fino agli oppiacei, alla cocaina e all’anfetamina. Quindi ci troviamo difronte al sistema
fondamentale del meccanismo della gratificazione, ma anche della dipendenza.
Questa volta instrumentiamo un animale: mettiamo un catetere che va in vena e che è connesso con un
apparecchio, una leva. L’animale impara che premendo la levetta si inocula una sostanza d’abuso, ad
esempio la cocaina. L’animale “cocainomane” preme a volontà la levetta, inocula la cocaina, si stanca, poi
ripreme, si stanca e così via. È un andamento normale. Se a questo animale somministriamo un anti-

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dopaminergico, un antagonista del recettore della dopamina (cioè una sostanza che va sul recettore della
dopamina impedendo il legame della dopamina) inibiamo l’effetto della dopamina (sul nucleo accumbens).
Quando noi facciamo l’inibitore, a seconda del dosaggio, l’animale (che era abituato a procurarsi la sostanza
d’abuso) si mette sulla leva e la pigia un numero incredibile di volte. In pratica, a seguito della
somministrazione dell’inibitore, registriamo un aumento netto degli abbassamenti della levetta da parte
dell’animale. Infatti la somministrazione dell’inibitore della dopamina blocca il meccanismo della
gratificazione. Quindi l’animale, pur assumendo la droga, non raggiunge mai quel compiacimento provato in
precedenza e continua a premere la levetta. In questa maniera si è arrivati a capire il ruolo centrale della
dopamina nella gratificazione
Quando consideriamo le strutture coinvolte nel meccanismo della gratificazione certamente abbiamo un
fascio dopaminergico che proietta in maniera allargata sul nucleo accumbens e quindi sull’amigdala
allargata, di cui il nucleo accumbens è parte integrante. Questo nucleo accumbens però fa parte anche dei
nuclei della base, con cui ci sono collegamenti di vario genere. Interessante è anche la proiezione a livello
delle corteccia frontale, per cui il comportamento, il mood del soggetto, cambia in rapporto alla stimolazione
che riceve.
Anche l’etanolo ha effetto su queste zone, quindi anche l’etanolo determina quella dipendenza (addiction)
caratteristica delle sostanze d’abuso.

Neurofisiologia 19-06-2015 Sbobinatore: Nicola Pilla

Prof. Colantuoni Correttore: Emmanouil Casassidis

Lezione 5 pt 3/3 –Rewarding; linguaggio; dominanza emisferica e corpo calloso; vista; fisiologia dell'orecchio

REWARDING (RICOMPENSA)

Fin dall'antichità l'uomo ha cercato sempre di soddisfare come prima esigenza il bisogno di cibo. Una volta
che si è provveduto a mangiare e a far mangiare la famiglia si prova una sorta di grande compiacimento, di
gratificazione. Si ha quindi una spinta motivazionale dovuta alla carenza di cibo, chiamata comportamento
appetitivo, ed un comportamento che si assume invece una volta ottenuto e consumato il cibo, detto
consumativo. Il problema è stato scoprire quali strutture cerebrali sottintendessero a questo fenomeno; le
ricerche in questo senso hanno portato ad identificare un fascio nervoso, il fascio della gratificazione, che
nasce a livello del mesencefalo dai nuclei ventro-tettali, i quali a loro volta proiettano sui neuroni della
amigdala allargata. In realtà la vera e propria amigdala è la piccola amigdala (dove per “piccola amigdala” ci
si riferisce all'amigdala NON allargata). Per “amigdala allargata” invece, ci si riferisce sempre all'amigdala
vera e propria, ma in più si comprendono le sue proiezioni a livello corticale e (soprattutto) a livello del
nucleo accumbens.

Il nucleus accumbens è formato da due porzioni:

1) una interna, il core


2) una esterna, lo shell. La parte esterna del nucleus accumbens fa parte dei nuclei della base (nucleo accumbens,
nucleo caudato, putamen, globus pallidus) ed è strettamente connessa con putamen e nucleo caudato;
parliamo quindi di strutture fondamentali che si trovano al di sotto della corteccia, i nuclei sottocorticali.

Abbiamo il nucleo centrale dell'amigdala, poi il nucleo della stria terminale, che è un sistema di raccordo tra
diversi siti. Quando si fa qualcosa che genera felicità, la felicità dovuta a gratificazione si avverte perché il
fascio della gratificazione libera dopamina a livello della amigdala allargata. Quindi, ricapitolando, il fascio
della gratificazione altro non è che un fascio dopaminergico che nasce a livello mesencefalico e che proietta
sul nucleus accumbens e sull'amigdala. L'amigdala risulta ingrandita in quanto connessa con il nucleus

61
accumbens (a sua volta connesso con il nucleo caudato e il putamen), e quando si libera dopamina a livello
del nucleo accumbens si prova gratificazione. Questa gratificazione è dovuta al fatto che la dopamina
innesca una serie di risposte che poi saranno anche risposte centrali. Prima si pensava che i nuclei della
base fossero solo implicati nella regolazione del movimento, in realtà i nuclei della base assieme
all'amigdala entrano nella regolazione delle emozioni. Quindi è errato affermare che la regolazione delle
emozioni e dell'attività fisica siano totalmente separati tra loro.

In queste strutture i fasci dopaminergici si accompagnano a fasci serotoninergici. Ci sono studi che
dimostrano come oltre alla dopamina anche la serotonina inneschi la risposta della gratificazione, ed è
proprio in questa zona del cervello che agiscono le sostanze di abuso come la nicotina, l'etanolo, gli
oppiacei, la cocaina, l'anfetamina e tanti altri.

ESPERIMENTO:

Instrumentiamo l'animale studiato con un catetere che va in vena. L'animale, un ratto in questo caso, si
trova in una specie di gabbia. Questo animale impara che premendo una levetta si inocula una sostanza che
dà dipendenza, ad esempio la cocaina. L'animale quindi preme la levetta ogni volta che vuole la cocaina, o
meglio, ogni volta che vuole provare la sensazione di gratificazione fornita da essa. Parliamo di andamento
normale, in questo caso. Poi somministriamo un antidopaminergico, un inibitore della dopamina, una
sostanza che si lega al recettore dopaminergico e impedisce alla dopamina di esplicare la sua funzione. Poi
a seconda del dosaggio cui era abituato, l'animale preme di continuo sulla levetta, perché era abituato ad
avere una sensazione gratificante premendo la leva, ma la somministrazione di antidopaminergico invece
della cocaina impedisce questa sensazione. Il dato importante è che quando consideriamo le strutture
interessate dal fascio della gratificazione certamente abbiamo un fascio che proietta in maniera allargata sul
nucleo accumbens e sull'amigdala allargata, di cui il nucleo accumbens è parte integrante. Il nucleus
accumbens fa parte dei nuclei della base, in cui arrivano afferenze di vario genere. La cosa importante è poi
anche la proiezione dei nuclei della base a livello della corteccia frontale, per cui il comportamento del
soggetto, il mood (umore) cambia in rapporto alla stimolazione che stiamo dando. Quando andiamo a vedere
l'effetto della dopamina e della serotonina abbiamo lo stesso effetto su questo meccanismo della
gratificazione, anche l'etanolo ha effetto su queste zone, quindi anche l'etanolo causa la caratteristica
dipendenza, poi abbiamo oppioidi e tutte le altre sostanze che causano dipendenza.

LINGUAGGIO

Il linguaggio è, in generale, un sistema di


comunicazione tra individui della stessa
specie. Il centro di Broca ha la capacità di
generare parole. L'homo habilis non era in
grado di pronunciare parole, quindi la
comunicazione era soltanto gestuale perché
nell'homo habilis era presente il centro della
gestualità dove adesso è presente il centro di
Broca; l'homo sapiens, invece, inizia a
sviluppare questa capacità parallelamente
allo sviluppo del centro di Broca, acquisendo
quindi la capacità di generare parole.

Il linguaggio umano dipende dall’integrità


morfofunzionale di una vasta estensione di
corteccia, nonché di strutture sottocorticali e
di connessioni corticocorticali nella sostanza
bianca. Il ruolo principale resta però quello
dell’area associativa situata nella parte
laterale degli emisferi cerebrali: questa zona

62
di corteccia circonda la scissura di Silvio e va dall’area di Broca (aree 44 e 45 di Brodmann), attraverso i giri
angolare e sopramarginale (aree 39 e 40 di Brodmann) fino al giro temporale superiore (Area di Wernicke,
22 di Brodmann). Nel lobo temporale della corteccia cerebrale si trova l'area acustica, responsabile della
ricezione dei suoni e l'area di Wernicke, deputata alla comprensione del significato delle parole, in quanto è
un'area associativa, strettamente collegata all'area di Broca. Con la RMN (risonanza magnetica nucleare, in
inglese Nuclear Magnetic Resonance (NMR), è una tecnica di indagine sulla materia basata sulla emissione
di positroni) è possibile valutare la variazione di flusso ematico (e quindi di metabolismo dei neuroni) nella
zona cerebrale considerata. Si ha una figura di base, ottenuta quando il soggetto è in uno stato di quiete, in
silenzio. Quando si chiede al soggetto di pronunciare una parola si ha l'attivazione del centro di Broca e di
conseguenza nella zona che viene attivata si osserva, in RMN, un aumento del circolo ematico. In pratica
quando le cellule neuronali si attivano aumentano il loro consumo di glucosio ed ossigeno e questo implica
una risposta di tipo vascolare con aumento di flusso ematico in quelle zone. Quindi confrontando la prima
immagine, quella in silenzio, con la seconda immagine, quella ottenuta mentre il soggetto parla, è evidente la
variazione del flusso ematico nelle zone interessate. In questo caso si avrà una immagine in tempo reale
della variazione di flusso nelle zone interessate dall'attività che il soggetto sta compiendo. Quando una
persona pensa una parola e poi la pronuncia, si attivano due zone differenti, in un primo momento il centro di
Broca per elaborare la parola da pronunciare e successivamente la zona corticale che controlla la
muscolatura della fonazione per pronunciare la parola. Se la persona in questione invece di pronunciare
ascolta delle parole, si ha l'attivazione della corteccia temporale, precisamente dell'area di Wernicke,
cruciale per comprendere le parole ricevute e prodotte; se invece vede una parola scritta su un foglio si
attiva la corteccia visiva, cioè la corteccia di Brodmann.

DOMINANZA EMISFERICA E CORPO CALLOSO

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Se si osserva un cervello normale si può notare una torsione in senso antiorario dei nervi ad esso afferenti.
Questo fenomeno, detto di decussazione, da un punto di vista funzionale non ha grande rilevanza. Nel
cervello i due emisferi sono totalmente separati. L'emisfero che ha la capacità di generare le parole è detto
emisfero dominante o eloquente o parlante. Nella maggioranza dei soggetti destrimani e nel 70% dei
mancini esso corrisponde a quello sinistro, anche se in un 15% di questi ultimi entrambi gli emisferi
contribuiscono al linguaggio. Al contrario, l'emisfero di destra è detto emisfero muto e ha la capacità di
identificare soprattutto le facce. E' possibile che l'attività di uno degli emisferi prevalga sull'altro, ma quando il
corpo calloso e tutte le strutture di connessione tra le varie parti funzionano correttamente allora tutte le
funzioni sono integrate, per cui si possono svolgere contemporaneamente funzioni di entrambi gli emisferi. Il
corpo calloso è la formazione commissurale interemisferica più importante, un enorme tratto di sostanza
bianca che unisce i due emisferi sulla linea mediana. Altre formazioni commissurali sono la commessura
anteriore e la commessura dell'ippocampo.

Se il corpo calloso è intatto, le informazioni sensoriali che arrivano a un emisfero vengono quasi
istantaneamente messe a disposizione anche dell'altro emisfero. In caso contrario, l'integrazione richiede
tempi più lunghi o diventa del tutto impossibile. Se si recide la commessura tra destra e sinistra (condizione
nota come split-brain) compare un fenomeno particolare, e cioè i due emisferi lavorano separatamente sulle
informazioni che a essi arrivano dal mondo esterno.

L'emisfero destro permette l'identificazione delle facce conosciute. In seguito a resezione delle formazioni
commissurali, quando viene mostrata al soggetto una faccia chimerica, cioè una faccia composta dalle due
metà di volti diversi, il paziente non si rende conto della discordanza tra i due lati. Ma se successivamente gli
viene chiesto di indicare tra figure intere quale faccia egli abbia visto, sceglie quella che corrisponde alla
metà faccia che era stata presentata nella metà sinistra del suo campo visivo, e quindi all'emisfero destro.
Bisogna ricordare che la parte sinistra del nostro campo visivo viene trasmessa a destra. Questo perché la
retina di ogni occhio è formata da una parte temporale e da una parte nasale (emiretine). L’emiretina
temporale di ogni occhio trasmette informazioni dal campo visivo laterale (quindi destro a destra, sinistro a
sinistra) all’emisfero omolaterale, mentre quella nasale trasmette informazioni dal campo visivo mediale
(quindi sinistro a destra e destro a sinistra) all’emisfero controlaterale. Quindi sulla corteccia calcarina e
genicolare di destra arriva un'immagine che arriva da sinistra, quindi se mostriamo una faccia chimerica,
formata da due mezze facce, una di un uomo e una di una donna ad un soggetto con taglio della
commessura il soggetto percepirà il volto come l'immagine che rientra nel campo visivo di destra dell’occhio
sinistro (emiretina nasale) che trasmette a destra (ricordando che è l’emisfero destro a riconoscere le facce).
Il significato delle facce viene elaborato a destra soprattutto a livello della corteccia visiva, poi le connessioni
con l'amigdala e con l'insula di destra ci permettono realmente di capire che tipo di espressione sia.

Le asimmetrie cerebrali sono un caso particolare della localizzazione di funzioni nel sistema nervoso
centrale. I primi studi sulla lateralizzazione del linguaggio hanno portato al concetto di dominanza assoluta
dell’emisfero sinistro sul destro, che è stato poi modificato nel senso di una dominanza relativa alle diverse
funzioni, in particolare grazie alle studio di pazienti split-brain (cervello diviso, nel caso specifico sono i due
emisferi ad essere divisi). Asimmetrie strutturali riguardano la scissura di Silvio, il planum temporale, i poli
frontale e occipitale; esistono differenze tra i due lati del cervello anche a livello microscopico e
neurochimico. Le asimmetrie sono spesso legate alla preferenza manuale destra, ma né il senso di questa
relazione, né lo stesso significato funzionale di molte delle asimmetrie descritte sono chiari.

Le asimmetrie funzionali sono state studiate in pazienti con lesioni unilaterali del cervello, (in cui sono state
descritte afasia e aprassia per danni della metà sinistra, neglect (Deficit della consapevolezza spaziale,
secondario a un danno cerebrale) per danni della metà destra), in pazienti sottoposti a sezione del corpo
calloso e in soggetti normali. L'integrazione funzionale tra le due metà del cervello è infatti garantita dalle
commessure inter-emisferiche, di cui il corpo calloso è la più importante, secondo il principio della
complementarità supplementare. La sezione del calloso mette in evidenza principalmente la disconnessione
della metà sinistra del campo visivo e del corpo, quindi dell’emisfero destro a cui proiettano, dal linguaggio
(anomia e alessia dell’emicampo sinistro, anomia tattile e aprassia della mano sinistra); ma l’emisfero destro
in questa condizione non è escluso dai processi di coscienza, e questi mantengono un carattere unitario.

Nei soggetti normali, le asimmetrie funzionali tra gli emisferi cerebrali sono state messe in evidenza
misurando risposte comportamentali a stimolazioni lateralizzate nel sistema visivo (presentazione
tachistoscopica lateralizzata) e somatico, o presentazioni simultanee nel sistema somatico
(stimolazione dicaptica) e uditivo (stimolazione dicotica, cioè presentare due suoni distinti alle due

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orecchie); sono state usate anche procedure di interferenza e di inattivazione. Più recentemente, sono
entrate in uso metodiche di neuroimaging che misurano le risposte emisferiche come variazioni di perfusione
sanguigna.

>Tachistoscopica: Viene generata una immagine per l'occhio destro ed una per l'occhio sinistro ed un otturatore
chiude alternativamente la vista di un occhio, mentre l'altro occhio visualizza l'immagine a lui dedicata. La
velocità di otturazione alternata delle immagini è così veloce da non essere avvertita a livello cosciente. Tale
tecnica viene comunemente usata da alcuni sistemi di realtà virtuale. È applicata anche nei disturbi
dell'apprendimento, un esempio dovrebbe essere come quando guardi un quadro fatto tutto di foglie e fiori -è
solo un esempio- ma se lo guardi bene e presti molta attenzione al centro del quadro vedi un altra figura
come un volto).

Sono state formulate diverse ipotesi, non mutuamente esclusive e nessuna del tutto soddisfacente, per
spiegare la natura delle differenze funzionali tra l'emisfero sinistro e l’emisfero destro. La prima di esse fa
riferimento al materiale che l’uno e l’altro controllano meglio, rispettivamente di tipo verbale e spaziale. Altre
si riferiscono allo “stile" con cui ciascuno dei due emisferi elabora l’informazione (analitico verso olistico,
sequenziale verso parallelo), o a differenze nel modo in cui l’informazione è rappresentata (locale verso
globale, frequenze spaziali alte verso frequenze spaziali basse, relazioni spaziali categoriali verso
coordinate)

VISTA

La retina è la più bella macchina da presa che esista. La parte più importante di questa macchina è data
dallo strato dei coni e dei bastoncelli, che sono dei fotorecettori, cioè delle strutture che rispondono ai fotoni.
I bastoncelli sono responsabili della visione crepuscolare mentre i coni della visione diurna. Abbiamo tre
tipi di bastoncelli (*) diversi […] controllare questo meccanismo che nasce dal fotone e colpisce il
fotorecettore innesca un meccanismo a potenziale di azione.

Come funziona la fototrasduzione? Essa agisce chiudendo i canali del Na +, che al buio sono normalmente
aperti grazie agli elevati livelli intracellulari di cGMP. La luce, quando colpisce la retina e quindi i coni e i
bastoncelli, viene assorbita da un fotopigmento presente nei bastoncelli, la rodopsina, costituita da una
proteina (l'opsina) alla quale è legato un pigmento (il retinale). La rodopsina, quando viene attivata dalla
luce, si rompe e libera il retinale che da cis si trasforma in trans, questo causa la fosforilazione di una
proteina G, che accoppiata a una cGMP-fosfodiesterasi fa ridurre i livelli intracellulari di cGMP. Questo
comporta la chiusura dei canali del Na+ causando quindi una iperpolarizzazione dei bastoncelli, che viene
trasferita dal bastoncello ad una cellula bipolare che a sua volta trasferisce l'informazione alla cellula del
nervo ottico.

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Dai bastoncelli il segnale viene
trasmesso alle cellule gangliari
tramite tre tipi di interneuroni: le
cellule bipolari, le cellule
orizzontali e le cellule amacrine.
Mentre l'informazione visiva
viene trasferita dai fotorecettori
alle cellule gangliari, essa viene
anche separata in due vie
parallele, dette rispettivamente
via centro-ON e via centro-OFF.
Le cellule gangliari centro-ON
vengono eccitate quando la luce
stimola il centro dei loro campi
recettivi e inibite quando ne
viene stimolata la periferia;
l'esatto opposto si verifica con le
cellule gangliari centro-OFF.
Queste trasformazioni dell'informazione visiva fanno sì che i centri
superiori possano mettere in evidenza piccole differenze e rapide
variazioni di luminosità. Anche le cellule bipolari si distinguono in
centro-ON e centro-OFF.

Per ogni occhio, è presente un'emiretina nasale (mediale) e


un'emiretina temporale (laterale). L'emiretina temporale di ogni
occhio trasmette informazioni all'emisfero omolaterale, mentre
l'emiretina nasale le trasmette all'emisfero controlaterale tramite fibre
che incrociano la linea mediana, a livello del chiasma ottico. Il tratto
ottico di sinistra, ad esempio, sarà composto da fibre che
provengono dall'emiretina temporale sinistra e dall'emiretina nasale
destra. In altri termini, il tratto ottico sinistro conterrà una
rappresentazione completa dell'emicampo visivo destro. Questo
fenomeno è detto di distribuzione (tra i due emisferi) di informazione
che viene da un occhio e porta un'immagine dell'altro versante. In
questo modo, l'emiretina nasale di un lato e quella temporale
dell'altro vedono praticamente la stessa porzione di campo visivo. Di
converso, ogni occhio riceve informazioni da entrambi gli emicampi.
Ogni oggetto, quindi, è visto da entrambi gli occhi, ma da emiretine
diverse, e questo è importante per la visione della profondità. Queste due immagini, che sono due immagini
distinte, appaiono a noi come una unica immagine stereoscopica.

FISIOLOGIA DELL'ORECCHIO

1) Il suono viene raccolto dal padiglione auricolare e veicolato dal canale uditivo colpisce la membrana timpanica.
2) Le onde sonore causano la vibrazione della membrana timpanica attivando la catena degli ossicini dell'orecchio
medio.
3) Questo movimento muove il liquido all'interno delle strutture dell'orecchio medio(coclea), provocando il movimento
delle cellule ciliate.
4) Le cellule ciliate trasformano il movimento in impulsi elettrici che vengono veicolati tramite il nervo uditivo al
cervello: in questo modo viene percepito il suono.

Le onde sonore che si propagano nell’aria entrano nel canale uditivo grazie al padiglione auricolare che
raccoglie e convoglia le onde sonore per porre in vibrazione la membrana del timpano. Queste vibrazioni
sono trasmesse alla catena degli ossicini, in particolare le vibrazioni del timpano muovono il martello che a
sua volta agisce sull’incudine e di conseguenza sulla staffa che vibra nella finestra ovale.

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Il movimento della finestra ovale esercita una pressione sui liquidi all’interno del condotto cocleare della
chiocciola, nell’orecchio interno. I movimenti di questi liquidi sono ritmici come sono ritmiche le onde sonore
che hanno investito la membrana timpanica. Questi movimenti producono la stimolazione delle cellule
sensitive (cellule ciliate) dell’organo del Corti e la generazione degli impulsi nervosi nel nervo acustico diretti
ai centri uditivi dell’encefalo, in particolare nell’area uditiva della corteccia del lobo temporale.

(*) : Lo sbobinatore non è riuscito a comprendere le parole masticate da Colantuoni. Il correttore ha cercato di
informarsi su internet per tentare di completare la frase, ma su internet (e sul Conti) risulta che ci siano tre tipi
di CONI, non di bastoncelli. In ogni caso, è bene sapere che i tre tipi di coni permettono rispettivamente la
visione del rosso, del verde, del blu.

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