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MUSCOLO E LOCOMOZIONE
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flessore e questo è il muscolo estensore; nel momento in cui io contraggo l’uno dovrò stendere l’altro,
rilasciarlo, consentirne l’estensione, proprio per dare modo all’articolazione di flettersi in questa
direzione, o viceversa nel caso in cui si parli di estensione.
Viene definito momento il prodotto tra la forza sviluppata dal muscolo e la distanza, o meglio lo
spostamento, del capo articolare. In questo caso (rifarsi alla figura della pagina precedente, ndr) lo
spostamento è la differenza tra questo punto e quello di arrivo: nel momento in cui la flessione
consente un movimento di questo tipo da così a così, vedete che il capo osseo si sposta di una frazione
di lunghezza del muscolo, e allora se noi moltiplichiamo la forza che il muscolo ha sviluppato per lo
spostamento indicato abbiamo quello che è il momento. Il momento è una grandezza fisica vettoriale
che è data dal prodotto di due forze vettoriali, come sono appunto la forza sviluppata dal muscolo,
applicata al punto in questione, e la distanza. Il movimento, quindi, è garantito dalla coesistenza di
muscoli flessori ed estensori, e dal coordinamento della loro funzione. Contemporaneamente si ha
flessione ed estensione.
Questa figura ricorda cos’è un’unità neuromotoria. Per parlare del muscolo non si può prescindere
dal pensarlo connesso al sistema nervoso, in questo caso sistema nervoso centrale, ma potrebbe anche
essere sistema nervoso autonomo nel caso della muscolatura liscia. Una grossa importante differenza
tra muscolatura scheletrica e muscolatura liscia è che la muscolatura scheletrica va soggetta al
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comando, all’informazione, del sistema nervoso centrale, mentre invece quella liscia è soggetta al
sistema nervoso autonomo. Questo vale non solo per la muscolatura liscia ma anche per la
muscolatura cardiaca: vedremo come il miocardio, in particolare il miocardio differenziato è soggetto
ad una regolazione da parte sul sistema nervoso autonomo, sia ortosimpatico che parasimpatico, non è
invece soggetto al sistema nervoso centrale: noi non possiamo far variare la frequenza cardiaca con la
nostra volontà, volontariamente, in quanto non ci sono strutture nervose che arrivano al miocardio
differenziato. Invece, per esempio, possiamo variare volontariamente la frequenza respiratoria in
quanto l’attività respiratoria è governata dalla muscolatura scheletrica, in particolare dalla muscolatura
degli intercostali esterni ed interni e dal diaframma che è un muscolo scheletrico. Quindi vedete questa
stretta connessione tra sistema nervoso centrale e periferico ed attività del muscolo, o scheletrico, in
un caso o liscio o cardiaco, nell’altro.
Nell’immagine sopra si vede una sezione di midollo. Si vede un motoneurone, il motoneurone A1, per
esempio, indicato, che si trova nelle corna anteriori del midollo e dà luogo ad una compagine nervosa
di tipo efferente che va ad innervare un muscolo. L’insieme dell’assone che parte dal motoneurone e di
tutte le fibre che questo motoneurone va ad interessare prende il nome di unità neuromotoria. Vedete
come nel muscolo non tutele fibre sono interessate dal controllo di questo motoneurone; cioè un
muscolo è costituito da fibre che appartengono ad unità neuromotorie diverse. Quindi un motoneurone
va ad innervare molte fibre in un muscolo, ma un muscolo può essere controllato da motoneuroni
differenti, e questo dà la capacità al muscolo di eseguire movimenti discriminativi diversi, soggetto a
informazioni diverse da parte del sistema nervoso centrale. Così come vedete che in zone limitrofe del
midollo possono esserci motoneuroni che si interessano di muscoli antagonisti: motoneurone A
innerva un muscolo che potrebbe essere agonista e di fianco abbiamo l’innervazione del muscolo
antagonista. Questo è per riproporre una cosa che abbiamo già visto e che però è importante ricordare
in questa sede.
Allora: questa (pagina successiva, ndr) è una figura che già conoscete però ve la ripropongo perché è
importante per capire la fisiologia del muscolo scheletrico, ed in particolare per capirne la
biomeccanica. Si vede una sezione di muscolo, prendiamo un po’ di questo muscolo e troviamo una
fibra che è composta dal sarcolemma e, nel sarcolemma, troviamo molte miofibrille. Le miofibrille
sono formate da sarcomeri, sono strutturate in sarcomeri; il sarcomero è l’unità funzionale del
muscolo: nel sarcomero c’è tutto ciò che ci serve per consentire la contrazione muscolare. Senza
sarcomero il muscolo non funziona. Il sarcomero con questa disposizione così rigidamente strutturata,
così regolare, lo troviamo solo nel muscolo scheletrico, anche se sia nel muscolo cardiaco che in
quello liscio troviamo dei sarcomeri, soprattutto nel muscolo cardiaco; vedremo poi che sono però
diversi da questo, anche se molto simili. Invece nel muscolo liscio possiamo trovare una gamma di
arrangiamenti di queste miofibrille muscolari: a volte ci sono soltanto delle fibre di actina, a volte
delle fibre di actina e miosina intercalate, a volte c’è un abbozzo di sarcomero, dipende dal tipo di
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struttura che stiamo considerando. Un sarcomero così regolare lo troviamo soltanto nella muscolatura
liscia (??, ndr) e questo già lo sapete. Il sarcomero è formato da vari tipi di molecole; le molecole
principali che troviamo sono l’actina, la miosina, la tropomiosina, la troponina, e poi ci sono delle
nuove molecole, di cui non so se conoscete l’esistenza, che sono la titina e la nebulina. Vediamo a cosa
servono tutte queste proteine. La miosina è la grossa proteina che c’è al centro del sarcomero, mentre
la proteina fibrosa, globulare ma allungata, che si trova alla periferia del sarcomero e che non prende
contatto al centro è l’actina. Al confluire periferico delle molecole di actina troviamo la formazione di
questa stria, che è la stria Z. La stria Z è il punto di demarcazione del passaggio da un sarcomero
all’altro. Quindi un sarcomero è delimitato da due strie Z. Dalle strie Z ha partenza la molecola di
actina, mentre la miosina non prende contatto nelle strie Z. Però vedremo che la posizione della
miosina al centro del sarcomero è garantita e stabilizzata dalla titina e dalla nebulina. Intorno alla
molecola di actina si avvolgono due altre molecole filiformi sempre proteiche, che sono la
tropomiosina e in particolare la troponina. Questi due filamenti sono molto importanti per la
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contrazione muscolare perché nello stato di riposo mascherano il sito di interazione tra actina e
miosina. La contrazione altro non è che la presa di contatto delle molecole di actina e di miosina e una
specie di trazione che le molecole di miosina esercitano su quelle di actina. Quindi la contrazione si
verificherà nel momento in cui la miosina potrà prendere contatto con l’actina. Ora, questi ponti che si
costituiranno nello stato di riposo sono mascherati dalle molecole di troponina e di tropomiosina.
L’arrivo dell’eccitazione nervosa smaschera questi siti, li rende disponibili al contatto e avvia la
contrazione. La molecola di miosina è una molecola complessa formata da due parti, una parte
filiforme, lineare, che viene chiamata meromiosina leggera, e una parte apicale, terminale, formata da
allargamenti che vengono chiamate clave, clavette, e il termine preciso è quello di meromiosina
pesante. La meromiosina pesante, a differenza di quella leggera, è una proteina globulare che forma
questi allargamenti; questa molecola ritorta che forma questa specie di testa viene definita clava o testa
della miosina o meromiosina pesante. Una singola struttura di miosina contiene più filamenti di
meromiosina leggera e pesante di modo che ad entrambi i capi della molecola di miosina si formano le
sporgenze, le teste, che sono poste radialmente intorno alla molecola della miosina. Quindi sono delle
sporgenze che pescano lateralmente da tutte le parti della miosina. I legami tra miosina e actina si
effettueranno a livello di queste teste: le teste sono portatrici di un sito enzimatico in quanto
contengono una molecola di ATPasi. Sulla testa della meromisina pesante troviamo la molecola
dell’ATPasi. L’ATPasi è un enzima che consente la scissione dell’ATP, molecola ad alto contenuto
energetico, in ADP+P con liberazione di energia chimica che viene utilizzata sotto forma di energia
meccanica. È quindi importante ricordarsi che l’ATPasi si trova in questa posizione.
Questo è uno schema più in
dettaglio del sarcomero.
Vedete la lunghezza del
sarcomero, la spira definisce
la stria Z; quella centrale è la
molecola della miosina: sono
state indicate bene le teste
che dipartono dal centro
della miosina e protrudono
all’esterno. È indicata la
molecola di actina, che
prende contatto con l’altra
molecola di actina vicino
alla stria Z; invece la
miosina non arriva fino alla
stria Z; lateralmente alla stria
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Z abbiamo la titina. La titina è una molecola stabilizzatrice, che fa in modo che anche durante la
contrazione, la molecola di miosina rimanga perfettamente al centro del sarcomero. Questo è molto
importante. Succede che si formano delle interazioni fra le teste della miosina e l’actina, si formano
dei veri e propri legami. La testa delle miosina è fatta un po’ come una specie di becco, munito alla sua
base da una specie di gancio mobile. Quello che succede è questo: la testa della meromiosina pesante
normalmente è distaccata dalla molecola di actina, nella condizione di riposo, ma quando il muscolo
viene eccitato, a seguito di una serie di fenomeni che adesso vedremo e che coinvolgono pesantemente
il Ca, questa testa aumenta la sua velocità di movimento. Questa testa normalmente oscilla nel mezzo
circostante, nel citoplasma, di moto browniano; l’arriva dell’eccitazione aumenta questo movimento e
aumenta la probabilità d’aggancio della testa sull’actina. Una volta agganciata si ha un fenomeno
molto particolare: c’è una rotazione della testa di miosina su se stessa. La testa con la contrazione si
ribalta. Girandosi, essendo agganciata all’actina, si ha un movimento delle molecole di actina verso il
centro del sarcomero. E se sposto l’actina verso il centro del sarcomero avvicino tra loro le due strie Z
e il sarcomero si accorcia. Questo succede in tutti i sarcomeri del muscolo simultaneamente, e quello
che succede è che ogni sarcomero si accorcia, in modo tale che tutta la fibra e quindi tutto il muscolo
si accorci. La contrazione è quasi sempre (non sempre) legata ad un accorciamento del muscolo (per
esempio flessione dell’avambraccio a livello del gomito: se c’è il muscolo rilasciato e lo contraggo si
accorcia, e accorciandosi tira tramite il tendine sull’avambraccio e il braccio si flette).
L’accorciamento è attivato dall’arrivo di un’informazione da parte del motoneurone ed è alla base
della contrazione muscolare; esso è legato allo slittamento dei filamenti di actina sulla miosina, che
però rimane sempre al centro del sarcomero. Durante questi fenomeni di slittamento, che
accompagnano la contrazione, e di slittamento in senso opposto, che accompagnano il rilasciamento,
potrebbe essere che alcuni ponti della miosina tirino più da una parte che dall’altra, e questo
porterebbe ad uno squilibro della posizione delle molecole di actina rispetto alla miosina. La miosina
potrebbe essere scentrata rispetto al centro del sarcomero. Questo non succede grazie alla presenza
delle molecole di titina, che sono state trovate molto recentemente. Anche la nebulina è una scoperta
abbastanza recente, ed è anch’essa una proteina che non è tanto coinvolta nella contrazione in sé (che
dipende soprattutto dalla miosina e dall’actina, ma anche dalla troponina e dalla tropomiosina) ma
consente anch’essa all’actina di rimanere nella sua posizione. Nebulina e titina hanno quindi funzione
stabilizzante, non rientrano tanto nella genesi della contrazione in sé ma stabilizzano il sarcomero.
Sotto abbiamo di nuovo il disco Z, l’actina, e c’è un filamento di
troponina che ha delle pause rappresentate dai siti chiamati
tropomiosina.
Questa immagine identifica la miosina. La miosina è fatta da
due parti: la meromiosina leggera, la zona centrale liscia, e una
parte periferica globosa che è composta dalla tropomiosina
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pesante. Il braccio che si vede è molto
importante, ad esso è legata la testa globulare
della meromiosina pesante. Questo braccio è
importante per vari motivi: intanto perché
collega la tropomiosina leggera a quella
pesante, e quindi la parte filamentosa della
miosina alle teste, e poi è importante perché,
come si vede dal disegno, non c’è una
stanghettina unica della meromiosina leggera;
è una struttura di tipo elastico: il braccio non è
un braccio rigido, ma estensibile. Questo è molto importante perché il muscolo è formato, dal punto di
vista meccanico, da due componenti: una componente è la materia contrattile, ma la componente che
modifica e determina il comportamento del muscolo è una componente di tipo elastico. Possiamo
riconoscere due tipi di materia elastica, una materia elastica in serie e una materia elastica in parallelo
rispetto alla materia contrattile. Vedremo che questo sito della miosina rappresenta una delle
componenti elastiche del muscolo e quindi è molto importante per la comprensione del suo
comportamento meccanico.
Questo sito indicato in nero è il sito della miosina a cui si
andrà a legare la testa della miosina; perché si sviluppi
energia bisogna che i due siti si leghino, ma si vede che
questo sito (nero, ndr) non è del tutto libero, è un po’
nascosto dalla troponina. Perché questo sito si liberi e
diventi aggredibile, attaccabile dalla testa della
tropomiosina bisogna che arrivi un potenziale d’azione
sulla placca neuromuscolare e bisogna che si determini
liberazione di Ca. Il Ca determina una modificazione nella conformazione della troponina e questa
modificazione scopre questo sito di legame che diventa aggredibile dalla molecola di meromiosina
pesante. A questo punto è possibile fare l’aggancio funzionale.
Nella figura alla pagina successiva (ndr) si vede uno schema temporale di quello che succede.
Partiamo dall’ultima, che è la condizione di riposo. In condizione di riposo la testa della miosina è
staccata dall’actina. In questo momento il muscolo è rilasciato. Nel momento in cui è rilasciato le sue
strutture formano una specie di gel, il muscolo a riposo è come un gel, come un elastico che si può
tirare (più o meno: ci sono muscoli che si possono tirare maggiormente e muscoli che, pur essendo
elastici, hanno delle strutture che sono più resistenti). Le molecole all’interno del sarcolemma si
comportano un po’ come dei gel: questo è legato al fatto che le molecole non sono tra loro connesse, la
molecola di actina non è a contatto con la miosina. Vediamo la testa della miosina che è vicina ma non
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in contatto con l’actina. Quando arriva
il potenziale d’azione la testa della
miosina, in presenza di Ca, si lega
all’actina. Il Ca, sotto forma di Ca++,
viene liberato dal reticolo
endoplasmatico presente all’interno del
sarcolemma, e consente la fusione,
l’attacco della testa della miosina ai siti
recettoriali (indicati qui in giallo)
dell’actina e contemporaneamente la
scissione dell’ATP in ADP (che se ne
va via) e P determina non solo l’attacco
ma anche la rotazione della testa della
miosina. Il punto importante da capire
è questo: si attacca, arriva il Ca che
facilita l’attacco ma soprattutto attiva
l’ATPasi, l’ATPasi scinde ATP in ADP
+ P con liberazione di energia chimica, e l’energia chimica è quella che fa modificare la
conformazione della testa della miosina, con rotazione dalla posizione indicata col tratteggio in nero
ad una nuova posizione indicata dalla freccetta rossa: c’è stato un movimento, come se la testa della
miosina avesse agganciato l’actina e l’avesse tirata in questo senso. Tutte le teste della miosina stanno
facendo questo movimento di aggancio e spostamento contemporaneamente. Questo aggancio sposta
la miosina rispetto all’actina e facilita lo scivolamento dell’actina in senso centripeto al sarcomero,
avvicinando le due strie Z. Una volta che tutto l’ATP è stato esaurito la testa ritorna, piano piano, alla
sua conformazione primitiva, liberando ADP+P che varranno poi riutilizzati per riformare ATP, che
verrà ri-incluso nella testa della miosina per essere utilizzato dall’ATPasi nella contrazione successiva.
Stiamo quindi guardando il cuore molecolare delle fasi di contrazione: dal punto di vista molecolare la
contrazione si verifica nel momento in cui la testa della meromiosina pesante si aggancia all’actina, da
cui prima era staccata, e ruota su se stessa. La contrazione muscolare è qui, nel passaggio da B a C (in
figura), è questa.
Con l’immagine alla pagina seguente siamo di nuovo alla visione del sarcomero con un riferimento
però specifico al momento in cui l’eccitazione viene accompagnata dalla contrazione. La contrazione è
il fenomeno meccanico descritto, ovvero l’accorciamento del sarcomero. Ricordiamo che una fibra
muscolare è composta da sarcomeri messi in serie tra loro, uno di fianco all’altro: se ognuno si
accorcia in seguito allo slittamento dell’actina sulla miosina, tutta la fibra si accorcia; e poiché un
muscolo è composto da tante fibra in parallelo, tutte queste si accorciano contemporaneamente e
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quindi abbiamo l’accorciamento di
tutto il muscolo. Questo è un fenomeno
meccanico, quello che chiamiamo
contrazione. Questo fenomeno è legato
al fatto che, da parte del sistema
nervoso centrale, da parte del
motoneurone, viene inviato un
fenomeno elettrico. Quest’immagine ci
propone l’interrogativo: come si fa ad
accoppiare il fenomeno elettrico,
l’arrivo del potenziale d’azione al
terminale del motoneurone, al fatto che tra un attimo, tra un po’, ci sarà poi l’accorciamento del
sarcomero e quindi la contrazione muscolare? Il punto che mette in relazione l’eccitazione nervosa con
la contrazione, che è un fenomeno puramente meccanico, è un complesso sistema di tubuli e cisterne.
Questo si chiama sistema del reticolo sarcoplasmatico: all’interno del sarcolemma, cioè all’interno
della membrana della fibra muscolare, ci sono i mitocondri, le proteine che costituiscono il sarcomero
(actina, miosina, ecc…) arrangiate nella posizione che si vede, ma intorno ad ognuna delle miofibrille
presenti nella fibra c’è questo sistema di tubuli e cisterne che costituisce il reticolo sarcoplasmatico. Il
reticolo sarcoplasmatico prende contatto col sarcomero a livello delle strie Z, in una maniera del tutto
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peculiare. A sinistra (immagine della pag. precedente, ndr) vediamo uno schemino che illustra un po’
di cose. Il sarcolemma, la membrana della cellula muscolare, si invagina a formare dei tubuli che
vengono chiamati tubuli T (sono invaginazioni del sarcolemma). All’interno del sarcolemma il reticolo
sarcoplasmatico forma queste cisterne, che venivano identificate prima, e queste cisterne si portano a
prendere connessione con il tubulo a T, quindi con la superficie del sarcolemma, a livello di una
struttura che viene chiamata triade, formando una struttura che viene chiamata triade, cioè: il reticolo
sarcoplasmatico si porta a ridosso del tubulo a T e il tubulo a T più i due lati delle cisterne
sarcoplasmatiche che si trovano di fianco, queste tre strutture assieme prendono il nome di triade.
Cosa c’è nella cisterna del reticolo sarcoplasmatico, a cosa servono queste cisterne? Servono come
riserva di Ca sotto forma di Ca2+. Il Ca2+ normalmente non è libero, ma legato a delle molecole di
deposito che prendono il nome di calsequestrina. La calsequestrina è importante all’interno del reticolo
sarcoplasmatico perché legando il Ca evita che il Ca rimanga libero nel reticolo sarcoplasmatico, e
quindi ne consente l’ingresso. Ricordate che se dobbiamo motivare uno spostamento di ioni attraverso
due ambienti dobbiamo capire quali sono i gradienti di concentrazione in gioco. Il Ca entra nel reticolo
sarcoplasmatico, normalmente, mediante la presenza di questo carrier che è un carrier che utilizza
energia, che utilizza un trasporto attivo, che si chiama SERCA (Sarcoplasmic Endoplasmic Reticulum
Calcium ATPase): è un trasportatore che prende il Ca dall’esterno e lo porta all’interno del reticolo
sarcoplasmatico. Non è tipico solamente del muscolo ma è tipico di tutte quelle cellule in cui il
reticolo sarcoplasmatico funge de immagazzinatore di Ca. Se non ci fosse la calsequestrina, questo
trasporto di Ca determinerebbe un aumento notevole di Ca all’interno del reticolo sarcoplasmatico e
ostacolerebbe il funzionamento di questo carrier. Quindi la presenza della calsequestrina serve da una
parte per fungere da deposito, e dall’altra parte per favorire il funzionamento di questo carrier.
Cosa succede quando arriva un potenziale d’azione? Ricordiamo che il potenziale d’azione è un
fenomeno che si verifica nel momento in cui la membrana cellulare viene depolarizzata. A livello della
placca motrice arriva un’onda di depolarizzazione, portata dal Na, che entra attraverso canali voltaggio
dipendenti nel neurone motorio, determinando un’inversione di potenziale. Quando questo potenziale
d’azione arriva a livello del terminale pre-sinaptico della placca motrice vengono coinvolti i canali del
Ca, aumenta la permeabilità del terminale pre-sinaptico al Ca, il Ca entra nel terminale presinaptico,
questo favorisce la fusione delle vescicole di acetilcolina con la membrana, l’acetilcolina viene
estromessa dalla fibra presinaptica e prende contatto con la fibra postsinaptica. La fibra postsinaptica
in questo caso specifico è il sarcolemma del muscolo. Quando l’acetilcolina arriva a ridosso del
sarcolemma si genera il potenziale di placca e se il potenziale di placca sommato è sufficiente si arriva
alla soglia e si genera un potenziale postsinaptico eccitatorio che è quello che poi viaggia lungo il
sarcolemma. Quindi il sarcolemma è investito da questo potenziale postsinaptico così come lo è
qualsiasi fibra postsinaptica. Adesso il punto è: nel sarcolemma viaggia un potenziale postsinaptico, un
potenziale d’azione, e quindi finalmente questo potenziale che viaggia sul sarcolemma non viaggia
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soltanto sulla superficie del muscolo ma viaggia ovunque nel sarcolemma, compreso nella zona del
tubulo. Quindi il viaggiare di un potenziale implica delle differenze di permeabilità nel momento in
cui passa l’onda depolarizzatrice; questa depolarizzazione determina l’attivazione di una serie
complessa di canali, che sono canali che consentono il trasferimento del Ca dall’interno del reticolo
endoplasmatico rugoso nel sarcolemma. Cioè: il passaggio del potenziale d’azione lungo il tubulo
determina l’apertura di una serie formata da due canali. Il recettore della rianodina (1), che si trova sul
reticolo sarcoplasmatico - la rianodina è un farmaco che non ha un significato molto importante per il
muscolo, però chi studia i canali ha scoperto che questo canale era particolarmente sensibile a questo
strano farmaco, alla rianodina, per cui gli è stato dato inizialmente il nome di canale della rianodina. In
realtà è un canale che fa passare il Ca, quindi estrude il Ca dall’interno del reticolo sarcoplasmatico
verso l’esterno. Quello indicato con RYR è il recettore della rianodina che determina una liberazione
di Ca dall’interno del reticolo
sarcoplasmatico. Il canale però in realtà
non è da solo, ma è associato ad un altro
canale (2), che viene richiamato recettore
di idropiridina, che è quello nero (in
figura precedente). Il fenomeno è un
fenomeno complesso e si configura nel
passaggio del Ca dall’interno del reticolo
sarcoplasmatico verso l’interno della fibra
muscolare, cioè nel citoplasma della fibra
muscolare. Nel citoplasma della fibra
muscolare, di fianco ai tubuli, ci sono le
mio fibrille, ci sono le fibrille di actina e di miosina. Quindi liberare il Ca a questo livello significa
rendere disponibile il Ca ad attivare quella serie di processi visti prima e che iniziano con lo
spostamento della troponina e la liberazione del sito di legame sull’actina.
Quindi come mai ci sono questi tubuli molto regolari, affiancati alle cisterne, che rivestono in maniera
molto regolare ogni sarcomero? Perché sul sarcolemma arriva la fibra nervosa che si sfioca a formare
la placca motrice; a livello del sarcolemma arriva l’informazione nervosa sotto forma di potenziale
d’azione. Ora, se non ci fossero i tubuli, come facciamo a far arrivare l’informazione al sarcomero in
mezzo? Come faremmo ad attivare contemporaneamente tutto il muscolo? Il fatto che ci siano i tubuli,
che sono delle invaginazioni del sarcolemma che entrano in profondità nel muscolo e arrivano a
ridosso di ognuna delle strie Z, comportando quindi un’amplissima astensione del sarcolemma, fa sì
che (1) il potenziale d’azione portato dalla placca motrice venga quasi istantaneamente sparso,
localizzato, su tutta la superficie del muscolo ma anche all’interno del muscolo ad ogni singolo
sarcomero, quindi l’informazione nervosa viene portata quasi contemporaneamente in tutta la massa
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muscolare interessata, in tutta l’unità neuromotoria interessata; (2) questo sistema di tubuli e cisterne
fa sì che in ogni punto del muscolo l’arrivo del potenziale determini la liberazione del Ca
precedentemente immagazzinato in queste cisterne, ed ecco che quindi si ha la possibilità di attivare
queste fasi di contrazione in tutto il muscolo contemporaneamente.
Vediamo ora qual è la tempistica: vediamo il tempo espresso in millisecondi, l’ordinata non c’è perché
sono tante cose messe insieme. Quello indicato in rosso (si riferisce all’immagine di pag. 9, ndr) è il
decorso del potenziale d’azione (vi ricordo che il potenziale d’azione in una fibra nervosa o muscolare
è dell’ordine di 1-2 ms). Il potenziale d’azione è brevissimo, ma ad esso fa seguito l’attivazione di una
serie di fenomeni che invece sono più lenti, perché richiedono del tempo: 1) la liberazione di Ca dalle
cisterne; 2) una volta che il Ca è liberato, che si è avuta la modificazione della conformazione della
troponina e la liberazione dei siti di actina e l’attacco della testa di miosina sull’actina, finalmente
avremo anche la contrazione. Sono dei fenomeni successivi, che quindi avranno delle tempistiche
successive. Il potenziale d’azione è il primum movens, a cui segue la cinetica della liberazione del Ca
dalle cisterne (tratteggiata, sempre a pag. 9), successivamente il Ca liberato dalle cisterne entra a far
parte del pool del Ca nel citoplasma della cellula muscolare (e quindi abbiamo un andamento di questo
tipo del Ca mioplasmatico: sale immediatamente, poi raggiunge un plateau, poi scende perché viene
utilizzato e infine esce) e successivamente abbiamo l’andamento della forza espressa dal muscolo.
Questa prima fase è la fase di contrazione, seguita da una fase di rilasciamento. Vedete che la fase di
contrazione si esaurisce in circa 80 ms; questo tempo è il tempo di contrazione, che è caratteristico di
ogni muscolo. Un muscolo che ha un tempo di contrazione di 80 ms è un muscolo lento, per esempio
il quadricipite, che è un muscolo antigravitazionale; i muscoli lenti sono in genere quei muscoli che
consentono la postura, per es. il quadricipite o i muscoli del dorso che ci consentono di rimanere nella
posizione eretta; un muscolo lento è un muscolo che si affatica poco e che può continuare a contrarsi
per tempi lunghi (possiamo stare in piedi delle ore). Viceversa ci sono dei muscoli molto rapidi, che
devono reagire in tempi brevissimi (80 ms sarebbero tempi troppo lunghi), per es. pensate al muscolo
oculare: noi siamo in grado di modificare la direzione degli occhi molto rapidamente; quindi questi
muscoli devono avere dei tempi di contrazione molto più brevi, e in effetti i muscoli oculari hanno un
tempo di contrazione che consente di raggiungere il picco in 10 ms (ci sono quindi delle diversità
notevoli).
Quindi, di nuovo, vedete la tempistica. Vi ricordo: potenziale d’azione → liberazione del Ca dalle
cisterne → cinetica della liberazione del Ca all’interno della cellula e quindi disponibilità per legami
actino-miosina nella cellula → e, finalmente, quello che si voleva raggiungere, cioè l’andamento della
forza espressa dal muscolo. Questo, lo vedremo, è una forza un po’ particolare e un andamento che
viene chiamato miogramma della scossa singola.
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Abbiamo visto che la forza è espressa perché si gira la testa della miosina sull’actina e questo è
garantito dal fatto che l’ATP viene scisso. La scissione dell’ATP dipende dall’ATPasi, e quindi vedete
che qui in ordinata possiamo riportare o la
forza o l’attività ATPasica; non sono la
stessa cosa ma sono associate strettamente
una all’altra. In quest’immagine vedete che
tanto è maggiore la concentrazione
intracellulare del Ca, tanto è maggiore la
forza che il muscolo è in grado di
esprimere. Questo perché quando il Ca ha
una concentrazione elevata, adeguata,
allora si verificano quei fenomeni di cui si
parlava prima, cioè il Ca sposta la
troponina dal sito di copertura dei legami,
la testa della miosina si lega al sito
specifico, si modifica la posizione di questa
testa con l’utilizzo di ATP e produzione di ADP e P. Una volta utilizzato questo fenomeno si passa
invece ad una conformazione di questo tipo che è sinonimo di fase di rilasciamento del muscolo,
perché come vedete i siti non sono legati. Vedete che quest’onda, però, non è una linea, è un’onda,
chiamata onda settalica (?, ndr), andamento settalico (?, ndr) o sigmoide, sigmoidea, cioè un’onda che
vedremo molto spesso, in cui c’è una parte abbastanza lineare, però agli estremi la curva non è più
lineare ma è satura. Questa è una curva che vedremo tante volte; queste curve identificano una zona,
quella lineare, in cui il processo è altamente sensibile, altamente efficace, ma agli estremi il fenomeno
perde la sua efficienza. Se anche aumentiamo a dismisura il Ca intercellulare la forza di contrazione
non aumenta più, perché ormai abbiamo saturato tutti i siti di legame, abbiamo usato tutto l’ATP
disponibile, quindi anche se aumentiamo il Ca oltre una certa misura non si ha un aumento della forza.
Invece, se aumentiamo il Ca, anche di poco, in questa fase (fase centrale, ndr), vediamo che la forza
aumenta molto. Questa è la fase di discriminazione, la fase in cui si può regolare, modulare il
fenomeno. Vale per questo, nello specifico, ma vedremo che lo stesso comportamento c’è in tantissimi
altri fenomeni.
Ripassato il potenziale d’azione, visto com’è strutturato il muscolo, quali sono i fenomeni molecolari
che consentono la contrazione, visto come si può capire l’accoppiamento tra eccitazione e contrazione,
passiamo a parlare di meccanica (branca della fisica). Il muscolo esprime forza, e, come visto prima,
questa forza viene utilizzata per spostare un capo osseo rispetto la propria articolazione. Lo scopo del
muscolo è quello di determinare un movimento, e il movimento causa uno spostamento: può essere lo
spostamento del capo articolare rispetto all’articolazione, ma può essere anche lo spostamento del
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centro di applicazione della forza, cioè il baricentro, rispetto a se stesso. Se cammino, cosa faccio?
Utilizzo la forza per spostare un capo articolare rispetto a un altro, modifico l’aspetto
dell’articolazione, ma vado anche avanti e sposto il baricentro. Quando si applica una forza e questa
forza dà luogo ad uno spostamento, viene definito lavoro meccanico il prodotto tra la forza applicata e
lo spostamento subito, indotto: W meccanico = Forza x Spostamento. La forza, quando si applica, la si
applica su un punto di applicazione della forza; se prendo il braccio e lo appoggio sulla cattedra e alzo
il cancellino io compio un lavoro, e il punto di applicazione è il cancellino: modifico la posizione del
cancellino e il mio bicipite che sta lavorando applica una forza sul cancellino alzandolo, quindi il
lavoro si applica alla posizione del cancellino. Che lavoro faccio? Un lavoro che è dato dalla forza
sviluppata dal bicipite (il peso del cancellino) per lo spostamento del cancellino. Se però faccio un
passo e mi sposto faccio un lavoro duplice, perché da una parte faccio il lavoro di spostare la gamba
modificando l’assetto delle articolazioni, però nel contempo il mio punto d’applicazione, che è il mio
baricentro, viene spostato di 2 m. Si chiama lavoro esterno il lavoro che viene effettuato modificando
la posizione del baricentro, perché è un lavoro che sviluppo nei confronti dell’ambiente esterno.
Invece la modificazione dell’assetto delle articolazioni è detto lavoro interno. Quindi quando mi
sposto compio lavoro interno spostando le articolazioni e un lavoro esterno spostando il baricentro
nell’ambito dell’ambiente circostante. Quindi il muscolo compie un lavoro che possiamo vedere
distinto nelle sue varie componenti. Il concetto generale di lavoro è forza per spostamento. Allora: se
spingo con tutta la mia forza la cattedra (non spostandola, ndr) compio lavoro? Contraggo la
muscolatura al massimo, però la cattedra non si sposta perché è troppo pesante, quindi io non sposto
niente. Quindi utilizzo energia ma non compio lavoro: l’energia che viene sviluppata, e quindi il
dispendio energetico, è diverso dal lavoro, può esserci contrazione senza che ci sia lavoro. Questo tipo
di contrazione è detta contrazione isometrica, perché non determina né un allungamento né un
accorciamento. Nella contrazione isometrica il muscolo in toto rimane a lunghezza costante: la materia
contrattile all’interno del muscolo si accorcia, ma non tutto il muscolo. Una forma di contrazione
isometrica è quindi una forma di contrazione in cui il muscolo in toto non cambia di lunghezza, rimane
alla sua lunghezza. Viene chiamata leva isometrica una strumentazione che consente al muscolo di
contrarsi facendolo stimolare in condizioni isometriche; cioè il muscolo verrà fatto contrarre senza che
però sia dato modo al muscolo di variare la sua lunghezza. Quindi otterremo una contrazione in
condizioni isometriche. Un muscolo che si contrae di contrazioni isometriche sviluppa forza, ma non
lavoro. Un’altra condizione è quella in cui viene dato modo al muscolo di accorciarsi. Allora siamo in
questa condizione (vedi figura a pag. successiva, ndr): c’è una condizione di contrazione semplificata:
è ovvio che è difficile studiare una contrazione complessa come la locomozione, si cerca di studiare le
basi della contrazione muscolare utilizzando il muscolo isolato, o meglio ancora, la fibra, o meglio
ancora il sarcomero. Questo viene fatto in genere su un muscolo di rana: si prende una rana e le si
toglie il gastrocnemio, o il semitendinoso, o il sartorio, si appende il muscolo a un gancino e si
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appende dall’altra parte del muscolo un pesetto. Se facciamo contrarre il muscolo, se la forza peso
dell’oggetto è inferiore alla forza che il muscolo è in grado di sviluppare, il muscolo ce la fa a tirare su
il peso, contraendosi; in questo caso sviluppa una forza, cioè la forza dettata dal peso di quest’oggetto,
e sposterà l’oggetto verso l’alto. In questo caso la forza espressa dal muscolo e lo spostamento del
pesino saranno nella stessa direzione, quindi avranno stessa
direzione e stesso verso di applicazione. Siccome il lavoro
meccanico è uguale a forza per spostamento, se la forza e lo
spostamento hanno la stessa direzione e lo stesso verso di
applicazione sono entrambi positivi, + * + = +, e quindi si
parla in questo caso di lavoro positivo (W+). Es di lavoro
positivo è quello del cancellino: se prendo un cancellino dalla
cattedra e lo alzo c’è un lavoro positivo, la muscolatura
flessoria fa un lavoro positivo, perché per alzarlo devo portare
l’avambraccio verso il braccio, per far questo il muscolo si
contrae, quindi siccome sappiamo che la contrazione è centripeta anche l’accorciamento è centripeto,
forza e spostamento vanno nella stessa direzione, il lavoro è positivo. Ma nei movimenti quotidiani
non abbiamo soltanto il lavoro positivo, abbiamo anche il lavoro negativo; quindi abbiamo: condizioni
in cui cerchiamo di spostare la cattedra e non ce la facciamo (esprimiamo forza ma non c’è lavoro),
condizioni in cui si sviluppa lavoro positivo (quando alzo il cancellino o quando salgo le scale –
quando salgo la scala il quadricipite sostiene il peso, si accorcia a mi consente di salire. Salire la scala
è un esempio di lavoro positivo sviluppato dal quadricipite) e lavoro negativo. Il lavoro negativo (W-)
l’abbiamo quando appendiamo al nostro muscolo un peso che sia superiore alla forza di contrazione di
questo muscolo, allora se lo stimolo il muscolo si contrae, ma siccome il peso è troppo pesante,
nonostante il muscolo si contragga (e si contrae con una forza che è la più alta che il muscolo è in
grado di sviluppare), tuttavia non riesce ancora a tirar su il peso, e allora abbiamo una strana
combinazione, in cui il muscolo si sta contraendo al massimo ma si allunga. Nonostante si stia
contraendo in realtà si allunga. Provate a pensare al sarcomero: avete tutti i ponti di actina e di miosina
che stanno cercando di far accorciare il muscolo e pensate di prenderli e di tirarli, quindi voi agite
contro i legami tra i ponti di acto-miosina che si stanno creando. È una situazione che sembra strana
ma che si incontra spesso, ad es.: se sono al margine della pedana e devo scendere il gradino, cosa
faccio mentre scendo? Sto abbassando il ginocchio per scendere, però son ancora fissa; mentre
abbasso il ginocchio il mio quadricipite di appoggio si contrae, perché deve sostenere il mio peso, però
per abbassare e scendere faccio scivolare in basso il ginocchio e il muscolo si allunga. In questa
condizione il muscolo serve da freno, non più da motore, infatti se il muscolo non mi tenesse cadrei; il
muscolo si sta quindi contraendo ma nel contempo si allunga, sviluppando così lavoro negativo. Il
lavoro negativo sviluppa più forza ed è più economico del lavoro positivo. Quindi, nell’ambito della
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contrazione muscolare semplice di esperienza quotidiana possiamo avere tutte e 3 le forme: (1) lavoro
positivo, quando forza e spostamento sono diretti nello stesso senso e al muscolo è consentito di
accorciarsi, (2) lavoro negativo, quando a fronte della contrazione il muscolo è sottoposto però ad una
tensione superiore dall’esterno per cui durante la contrazione viene disteso (ad es. le gare di braccio di
ferro: chi vince sta facendo lavoro positivo, chi perde sta invece compiendo lavoro negativo, perché è
lì che sta cercando di piegare l’avambraccio sul braccio ma l’amico è più forte e lui è lì che contrae ma
piano piano il muscolo si distende, compiendo lavoro negativo), (3) e poi infine abbiamo il lavoro
nullo, lavoro zero, nel caso in cui stiamo contraendo con scossa isometrica.
La locomozione è un
fenomeno molto complesso; il
fenomeno complesso richiede
che ci sia un motore e che
questo motore dia la forza,
consenta la trasmissione della
forza espressa ad una
macchina che poi è quella che
consente la locomozione. Il
motore sono i muscoli, che
utilizzano energia chimica
sotto forma di ATP, sviluppano
lavoro e calore. Il muscolo si comporta come una delle migliori strutture dal punto di vista meccanico
e il 25% dell’energia chimica utilizzata dal muscolo viene trasformata in lavoro positivo. Il resto, cioè
il 75% dell’energia chimica che viene utilizzata per la contrazione, va disperso sotto forma di calore.
Quindi è chiaro che ogni volta che viene attivata una contrazione muscolare, automaticamente viene
anche liberato calore. L’utilizzo di energia chimica per sostenere la contrazione muscolare è
necessariamente accompagnata dalla produzione di calore. Non solo, ben il 75% dell’energia chimica
utilizzata va dispersa sotto forma di calore, e questo sarà un argomento che rivedremo quando
parleremo di termoregolazione, perché è ovvio che la produzione di calore, soprattutto accompagnata
all’esercizio fisico, per es., determina un aumento della temperatura, che quindi va dispersa. Il lavoro
positivo fatto dai muscoli non è sufficiente di per sé a garantire la locomozione, bisogna che questo
lavoro positivo venga anche adattato alle articolazioni. Questo disegno dice che il lavoro muscolare
viene utilizzato a livello articolare, a livello delle leve ossee, per consentire la locomozione; quindi le
leve ossee sono la macchina. A volte le leve ossee possono essere coadiuvate, nella locomozione, da
alcuni artifici aggiuntivi; per es. potete fare lo stesso lavoro muscolare e potete utilizzare la stessa
energia chimica esprimendo un lavoro diverso, se invece di camminare normalmente camminate con i
pattini da ghiaccio. Se per es. vi mettete in palestra a pedalare sulla cyclette, consumate energia
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chimica ma non sviluppate lavoro esterno, perché siete fermi a pedalare, invece se pedalate in
bicicletta per i boschi fate la stessa fatica, consumate la stessa energia chimica e fate anche lavoro.
Che differenza c’è? C’è la trasmissione legata al mezzo, una volta usate un mezzo che è statico, una
volta usate un mezzo che è dinamico e quindi vi consente di pedalare a 30 km/h. Quindi, se vogliamo
fare un’analisi del lavoro, dobbiamo tener conto anche del fatto che nella locomozione umana
possiamo avvalerci di alcuni artifici, che sono appunto il mezzo (pattini, bicicletta,…).
Viene definito rendimento complessivo della locomozione il rapporto tra la distanza moltiplicata alla
resistenza e l’energia chimica consumata. Allora, vediamo un attimo di comprendere questo rapporto:
l’energia chimica consumata è facile da capire, la distanza si ricollega a quanto detto adesso, la
resistenza è data dal mezzo: se per es. pedalo (es. della bicicletta), è diverso pedalare a 20 km/h a
favore di vento o a 20 km/h controvento; secondo voi il rendimento è lo stesso o sarà diverso? Sarà
diverso, perché se pedalo a favore di vento la distanza potrà essere la stessa (pedalo per 20 km), la
resistenza potrebbe essere uguale, ma l’energia chimica consumata pedalando a favore di vento è di
meno, e quindi il rendimento sarà maggiore. Quindi, a seconda della combinazione tra distanza,
resistenza ed energia chimica consumata potrà essere diverso il rendimento della locomozione. Non è
però tanto importante ricordare il rendimento della locomozione, perché la locomozione si avvale di
mezzi molto diversificati: ci sono atleti che si costruiscono dei mezzi in cui viene ottimizzato il
coefficiente di penetrazione nell’aria, come quelle biciclette che sembrano dei siluri con cui si cerca di
migliorare il coefficiente di penetrazione nell’aria. Allora, è chiaro che in quel caso lì si può parlare di
locomozione, perché questi atleti comunque vanno con la benzina dei muscoli, ma è una locomozione
spinta all’estremo ottimizzando il mezzo. Invece quello che è importante ricordare è il rendimento
meccanico del muscolo. Nel rendimento complessivo, che abbiamo appena visto, ci sono 2 fattori: (1)
quello che è da far risalire soltanto al comportamento fisiologico del muscolo, (2) tutto l’aspetto di
miglioramento correlato al mezzo che uso - se uso i pattini a rotelle, oppure i pattini su ghiaccio il
rendimento della locomozione sarà diverso, però il rendimento muscolare è lo stesso. Allora, il
rendimento muscolare, che è quello che mi interessa che sappiate, è il rapporto tra il lavoro positivo
sviluppato dal muscolo e l’energia chimica utilizzata; e questo rendimento, nel muscolo scheletrico, è
intorno al 25%, come detto prima.
Abbiam visto che ci vuole energia chimica per consentire la contrazione muscolare, e questa energia
chimica salta fuori dal fatto che il muscolo dispone di energia chimica grazie alle sue scorte di ATP e
di creatinfosfato. Questo schema (pag. seguente) ricorda quali sono le principali vie che consentono
sia la formazione dell’ATP, l’utilizzo dell’ATP, che quelle del creatinfosfato. Possiamo dividere
l’energetica muscolare in tre aspetti. Partiamo dal numero 3: è il meccanismo che si attiva per primo
quando si inizia la contrazione muscolare. Si parla del meccanismo anaerobico-alattacido; voi sapete
che anaerobico-alattacido significa che: anaerobico perché non brucia ossigeno, alattacido perché non
solo non brucia ossigeno ma non determina neppure la produzione di acido lattico. Infatti si basa sulla
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scissione del creatinfosfato a dare creatina + ATP, e l’ATP sarà poi utilizzato secondo le altre vie che
poi vediamo. Ora: questa via di utilizzo del creatinfosfato, cioè la scissione del creatinfosfato
liberando creatina + P, il quale fosfato verrà poi riutilizzato per la produzione dell’ATP, è un processo
che si verifica molto rapidamente all’inizio della contrazione e si esaurisce nell’ambito di circa 10-15
secondi. Quindi appena il muscolo comincia a contrarsi usa quello che ha lì a portata di mano, cioè il
creatinfosfato (CP). Esso sostiene le prime fasi della contrazione, ma queste fasi della contrazione
sono sostenute solo per pochi secondi dal metabolismo anaerobico-alattacido (circa 10 sec). Questo è
il tempo necessario perché venga attivata la seconda via, cioè quella anaerobica-lattacida: anaerobica
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Anaerobico alattacido
CP + ADP ↔ C + ATP
Creatinchinasi
vuol dire che di nuovo non richiede la presenza di ossigeno, lattacida significa che determina la
formazione di acido lattico. La via anaerobica-lattacida è quella che in biochimica è chiamata via
intracellulare della glicolisi anaerobica, e si verifica nel citoplasma ad opera degli enzimi della
glicolisi anaerobica (anaerobia). La glicolisi anaerobica determina la scissione di glicogeno - glucosio
in piruvato. Il piruvato può seguire due vie: o viene trasformato in lattato, oppure può essere incluso
nella via degli acidi tricarbossilici sotto forma di Acetil-CoA e poi entrare in quello che è il Ciclo di
Krebs. La via lattacida, ovviamente, si ferma al lattato. La via anaerobica–lattacida è una via altamente
energetica, ad alta energia, a rapido utilizzo (dai 15 sec fino a circa 1 minuto). Questo tipo di
meccanismo è utilizzato quando il muscolo compie delle contrazioni di tipo esplosivo, quando si
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richiede un’elevata energia in tempo breve e si richiede cioè un’elevata potenza. La potenza è il
rapporto tra il lavoro compiuto e l’intervallo di tempo richiesto per compiere il lavoro. A parità di
lavoro compiuto, tanto minore è il tempo in cui lo esprimete, tanto più è elevata la potenza. Es.:se vi
mettete a correre e correte 500 m, se i 500 m li correte in 1 min e 30 sec allora la potenza è elevata, se
i 500 m li correte in 15 min praticamente andate molto piano. Il lavoro che fate è sempre quello; se un
soggetto pesa 60 kg, il lavoro che dovrà compiere è 60 kg per 500 m. Il lavoro è lo stesso, sia che ci si
metta 1 min e 30 sec a compierlo che se ci mettete 15 min, però diversa è la potenza, che è il rapporto
tra lavoro e tempo. Quanto più elevata la potenza, tanto più è richiesto l’intervento del metabolismo
anaerobico–lattacido, il quale è in grado di fornire energia molto rapidamente, in tempi molto brevi.
Però, siccome l’energia è tratta dalla scissione del glicogeno, o meglio del glucosio che deriva dal
glicogeno, questo sistema è limitato dalla disponibilità di glicogeno e glucosio intramuscolare. Le
riserve di glicogeno sono poche: sono circa 500 g (1/2 kg) tra muscolo e fegato, e quindi si
esauriscono rapidamente e vanno rimpiazzate. Quindi il metabolismo anaerobico–lattacido serve per
esercizi di tipo esplosivo brevi ad alta potenza, tipicamente per tutte quelle discipline sportive molto
rapide (corsa di velocità, pattinaggio di velocità, sci da discesa, calciatori che fanno scatti molto
rapidi,…): tutte utilizzano muscolatura con prevalente attività anaerobica–lattacida. L’innesco è
sempre ad opera del meccanismo anaerobico–alattacido, però a questo subentra, dopo i primi 10-15
sec., l’esercizio di tipo anaerobico–lattacido. La terza fonte è quella fornita da un’altra via, che si attua
all’interno delle creste mitocondriali ad opera degli enzimi che fanno parte del ciclo degli acidi
tricarbossilici, ed è il famoso ciclo di Krebs, nel quale, come voi sapete, l’Acetil-CoA proveniente
dagli glucidi, protidi e lipidi, ma soprattutto glicidi e lipidi, viene distrutto, degradato a CO² + H²O
utilizzando l’O². Questa è una via a bassa potenza che può essere mantenuta per tempi molto lunghi,
perché le riserve lipidiche sono molto abbondanti (sempre più delle riserve di glucosio). Quindi per es.
i maratoneti usano un pochino di anaerobiosi e CP, però la maggior parte del metabolismo che sostiene
l’attività del maratoneta non è sicuramente quella anaerobica, magari nell’ultimo km sì, ma per tutti i
41 km prima è il meccanismo aerobico–alattacido (perché la via degli acidi tricarbossilici non
determina la formazione di acido lattico; l’acido lattico deriva solo dalla glicolisi anaerobica). Quindi
viene liberato ATP, ma dal punto di vista fisiologico quello che importa è che la via degli acidi
tricarbossilici dipende dal consumo di O², cioè dipende da quant’è la capacità del soggetto di
consumare O², ed è un sistema a bassa potenza ma elevata durata grazie alla notevole scorta di
substrati energetici, che sono fondamentalmente i lipidi. Diversa è invece l’energia prodotta attraverso
il metabolismo anaerobico, in cui l’energia totale dipende dalla capacità di produrre acido lattico. Qui
è stata inserita anche la parte correlata al consumo di O² nel caso in cui il piruvato non venga
trasformato in lattato ed entri nel ciclo degli acidi tricarbossilici. Però questo dipende molto dal tipo di
esercizio che si fa, per es. se fate un esercizio di brevissima durata, come i 200 m alle olimpiadi o ai
campionati mondiali che vengono corsi tra i 20 e i 22 sec, in quei 22 sec il metabolismo aerobico è lì
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che dorme bello tranquillo, non è neanche attivato, perché per attivare il metabolismo aerobico sono
richiesti almeno 50 – 60 sec. Quindi in quel caso tutta l’energia dispersa, utilizzata, è a carico del
metabolismo anaerobico, con una produzione estrema di lattato. Come mai ci sono degli atleti che
sono abilissimi nelle discipline ad elevata potenza e altri invece che scelgono di fare la maratona o la
marcia longa? Dipende dal loro papà e dalla loro mamma: c’è un’importante componente genetica
nella composizione delle fibre
muscolari. Ci sono vari tipi di fibre
muscolari, e la tipologia delle fibra
muscolari dipende dal loro contenuto
enzimatico; ci sono alcune fibre
muscolari che vengono chiamate fibre
lente, come si vede nelle sezioni di
muscolo. Le fibre I sono le cosiddette
fibre lente, o fibre rosse (metabolismo
aerobico). Le fibre lente o fibre rosse
sono fibre che hanno un accentuato
metabolismo aerobico, che dipende dal
fatto che geneticamente sono dotate di
un corredo enzimatico che favorisce
l’utilizzo di substrati a livello
mitocondriale. Quindi hanno uno
spiccato patrimonio enzimatico
mitocondriale che ne favorisce
l’utilizzo. Sono chiamate fibre rosse
perché al microscopio appaiono più
rosse perché hanno un’elevata quantità
di mioglobina; la mioglobina è un
pigmento respiratorio presente nel citoplasma che ha la capacità di legare l’ossigeno stabilmente e di
fungere da riserva di ossigeno muscolare. La mioglobina è una proteina monometrica, ha una struttura
simile a quella dell’emoglobina, con la differenza che l’emoglobina è formata da 4 tetrameri e la
mioglobina da 1 solo; inoltre lega l’ossigeno molto più stabilmente. La mioglobina dà una colorazione
rossa alle fibre. Le fibre che hanno un elevato contenuto di mioglobina hanno anche molti mitocondri
dotati di un corredo enzimatico portato verso un metabolismo aerobico. Questo è quello che rende
queste fibre lente, o fibre rosse, molto adeguate a sostenere un metabolismo di tipo aerobico; per es.
tutti i muscoli antigravitari hanno un’elevata componente di fibre lente o rosse. Esiste poi un
contingente di fibre rapide, dette anche fibre bianche, le fibre II A o II B (metabolismo anaerobico).
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Le fibre II a o II B si diversificano tra di loro per il fatto che le II A sono fibre rapide pure, le II B sono
un po’ a metà tra le fibre lente e le fibre rapide pure, quindi hanno un corredo cromosomico spiccato
per la glicolisi, per favorire la formazione degli enzimi glicolitici, però hanno anche una buona
capacità di aerobiosi. Queste fibre sono fibre più deputate al metabolismo di tipo anaerobico. C’è una
diversificazione tra muscolo e muscolo, per es. le fibre che compongono i muscoli oculari sono fibre a
preponderante composizione di tipo II A, perché devono essere molto rapide per poter spostare il
bulbo oculare in maniera molto efficiente. Viceversa il quadricipite avrà una composizione di fibre
lente più marcata. Non solo c’è differenza tra muscolo e muscolo in relazione alla funzione specifica
del muscolo, ma c’è anche differenza tra soggetto e soggetto; c’è chi nasce con un patrimonio
cromosomico ed enzimatico più a favore di un’attività di tipo aerobico o di tipo anaerobico. In parte,
soprattutto le fibre II B, possono essere caricate di enzimi dell’una o dell’altra specie, e su queste fibre
II B lavora per es. l’allenamento degli atleti: posto che il patrimonio genetico non si può alterare, si
può però cercare di migliorare quegli aspetti che possono essere migliorati, per es. queste fibre II B
possono essere rese più rapide oppure più lente.
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