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LEZIONE 16 12/ maggio/2005

La scorsa volta abbiamo studiato la struttura delle cellule ciliate, abbiamo visto che nel
momento in cui il canale semicircolare viene sollecitato, a seconda che venga sollecitato in
una direzione o in quella opposta, la via afferente da tale canale semicircolare comincia a
scaricare.
I canali semicircolari sono tre e scaricano in maniera differente a seconda della
sollecitazione cui sono soggetti.
Immaginiamo un vettore che identifichi il movimento del canale semicircolare, questo
vettore verrà scomposto nelle sue tre componenti rispetto alla proiezione sui tre canali
semicircolari; ogni canale semicircolare sarà soggetto ad un’accelerazione angolare,
grandezza vettoriale, che darà come risposta la scarica della via efferente.
Ogni canale semicircolare avrà la sua scarica; l’integrazione tra la risposta dei tre canali è
il segnale che ci dice come si è mosso il vestibolo, destro o sinistro, rispetto all’asse
gravitazionale (che è quello che ci interessa). Naturalmente bisogna immaginare che di
orecchi interni non ce ne è uno solo, ma ce ne sono due.Come si coordinano l’uno rispetto
all’altro? Perché se io giro verso destra sollecito contemporaneamente l’orecchio di destra
e quello di sinistra?Ovviamente la risposta deve essere una risposta integrata fra ciò che
arriva dal vestibolo di destra e ciò che arriva dal vestibolo di sinistra.

Questa figura ci dice proprio che cosa succede delle ciglia, quindi della risposta, quando
giriamo la testa (per esempio in senso orizzontale); vale anche per i canali semicircolari e
le creste ampollari situate negli altri due canali semicircolari.
Le frecce sono orientate nella direzione delle ciglia.
Nella cresta ampollare le ciglia sono orientate tutte in una stessa direzione, che guarda
verso l’utricolo. Tutte guardano indietro rispetto all’asse delle cellule ciliate.
Dall’ampolla partono due vie afferenti, vie che poi andranno a creare la componente
afferente del IX paio di nervi cranici, cioè il nervo vestibolare.
Se mi giro in una direzione avrò che in un lato (es: lato sinistro) ci spostiamo in una
direzione in cui le ciglia vengono avvicinate al chinociglio, ma contemporaneamente
nell’altro lato del canale lo stesso movimento induce un allontanamento delle ciglia dal
chinociglio.
Quindi mentre le cellule ciliate di sinistra produrranno un aumento della frequenza di
emissione del potenziale d’azione, a destra avrò invece una diminuzione.
Questo è importante perché un aumento del segnale afferente rispetto ad una diminuzione
del segnale afferente induce, per esempio, ad una contrazione dei muscoli del collo di un
lato rispetto alla decontrazione dei muscoli del collo dell’altro.
Se si gira la testa da un lato bisogna contrarre la muscolatura del collo da un lato, ma non
è possibile contrarre anche i muscoli dell’altro lato, la testa rimarrebbe ferma. Così anche

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nell’avanzamento, infatti, nel momento in cui camminando contraggo i muscoli di un lato, i
muscoli omolaterali dell’altro lato si decontraggono, si rilasciano.
Questo viene fatto attraverso un controllo che contemporaneamente induce il
rilasciamento da un lato e la contrazione dall’altro controlaterale.
Tutto avviene proprio grazie alla disposizione delle ciglia nell’ampolla.
Queste due vie afferenti dove vanno a finire? Esse terminano nei nuclei vestibolari.
I nuclei vestibolari sono:
- nucleo vestibolare superiore
- nucleo vestibolare laterale
- nucleo vestibolare mediale
- nucleo vestibolare inferiore.
Il nucleo vestibolare più importante è il nucleo vestibolare laterale, la cui proiezione è
efferente spinale. Tale nucleo ha attività eccitatoria sui motoneuroni α e γ. Quindi andando
ad eccitare il nucleo vestibolare laterale la risposta sarà un’eccitazione dei motoneuroni α
e γ e contemporaneamente saranno inibiti i nuclei vestibolari laterali e anche non laterali
controlaterali, dalla parte opposta otterremo quindi un’inibizione.
I nuclei vestibolari hanno quindi proiezione discendente, il fascio vestibolo-spinale appena
menzionato. Ma i nuclei vestibolari sono anche intercalati in vie di proiezione ascendente
provenienti dal cervelletto e dalla corteccia.
Le proiezioni vestibolari più importanti sono dirette verso:
1) tratto vestibolo-spinale che termina sui motoneuroni α e γ. Ha un significato di tipo
eccitatorio a differenza della maggior parte delle vie discendenti. Infatti vie come la
rubro- spinale, la tetto-spinale, la cortico- spinale (sia laterale che mediale), così
come anche il tratto di vie cerebellari hanno invece tutte proiezione di tipo inibitorio.

2) muscoli oculari
3) cervelletto
4) nuclei vestibolari controlaterali. C’è un controllo reciproco dei nuclei.
5) formazione reticolare
6) talamo. Queste vie ascendenti sono quelle che poi proiettano in corteccia.

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7) ipotalamo. L’ipotalamo, lo vedremo quando si parlerà del sistema nervoso
autonomo, è la sede, il punto di contatto e di interazione fra i sistemi di controllo: il
sistema nervoso centrale, cui l’ipotalamo appartiene, e il sistema nervoso
autonomo, per il cui controllo l’ipotalamo possiede dei nuclei.
Quindi l’ipotalamo è un punto di scambio, di controllo fra l’uno e l’altro.
L’ipotalamo ha anche l’importantissima funzione nel consentire un’interazione fra il
sistema nervoso, centrale o autonomo, e il sistema endocrino. Da alcuni nuclei
dell’ipotalamo partono infatti dei neuroni che terminano nell’ipofisi posteriore.
Dall’ipotalamo vengono liberate anche delle sostanze che sono degli inibitori e degli
eccitatori, tali sostanze vanno a modificare l’attività endocrina dell’ipofisi anteriore.
L’ipotalamo ha dunque tutte queste funzioni.
L’ipotalamo riceve proiezioni vestibolari.
Un esempio di come proiezioni vestibolari abbiano importanza dal punto di vista
delle reazioni di tipo viscerale sono le ACINESIE, fenomeni per cui si soffre di mal
di mare, di mal di macchina…
Anche le vertigini sono un esempio di percezione ambigua da parte del sistema
recettoriale vestibolare, o meglio di un confronto non chiaro tra le informazioni
portate dal sistema vestibolare e le informazioni portate dal sistema visivo. Quando
queste due informazioni collidono, non sono d’accordo, quello che ne risulta è un
senso di vertigini (che tipicamente si manifesta con la nausea). Tutto questo è
mediato dall’ipotalamo.
Sono queste le afferente vestibolo- ipotalamiche.
Abbiamo detto che sono tre gli elementi fondamentali per il controllo della postura:
 elemento di tipo spinale, soprattutto correlato all’attività dei muscoli del tronco e del
collo
 attività di tipo visivo
 attività di tipo vestibolare.
Questi tre elementi entrano in gioco nel controllo della postura in tempi diversi e si
integrano tra di loro.
Il primo elemento che entra in azione è quello di tipo spinale.

Es: Sono sulla pedana con i piedi ben fissi per terra, ad un certo punto, per qualche
motivo, tendo a cadere in avanti. Quello che succede immediatamente è che per
mantenere la postura, per mantenere l’asse in linea con la direttrice della proiezione della

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forza gravitazionale, porto avanti la gamba. Questo avviene anche se chiudo gli occhi e
anche se cerco di tenere diritta la testa.
Se cerco di tenere diritta la testa e di andare avanti riesco sempre a mantenermi in
posizione eretta spostando avanti la gamba.
È chiaramente un fenomeno di tipo spinale, non richiede la vista.
Come nasce questo riflesso? Se si immagina la parte terminale della gamba, tra tibia e
perone, quando tenendo il piede fermo sul pavimento cado in avanti, che cosa succede?
Succede che la tibia (esagerazione) si sposta in avanti e la muscolatura posteriore della
gamba viene stirata. E se viene stirata tale muscolatura cosa succede? Il fuso neuro
muscolare viene stirato.
Si innesca quel riflesso, già visto per il riflesso patellare, per cui un riflesso molto rapido,
perché è monosinaptico, indipendentemente dall’aspetto visivo o dall’aspetto vestibolare,
che non andate neppure ad intaccare, porta a contrarre la muscolatura in modo da
mantenere la postura ed azionare il riflesso legato allo spostamento della gamba.
Quindi il primo riflesso che viene evocato è un riflesso di tipo spinale, il più rapido.
Successivamente viene attivata la risposta che arriva dalla percezione di come il soggetto
si sta spostando relativamente all’ambiente o di come l’ambiente si sta spostando
relativamente al soggetto, cioè la percezione di tipo visiva.
Vedremo poi come la percezione visiva può avere un ruolo sul controllo.
Infine, quando il movimento è più ampio e non è stato controllato dai due elementi
precedenti, interviene il sistema vestibolare.
È ovvio che quindi esiste un’interazione tra il sistema vestibolare e il sistema spinale.

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Questa figura cerca di spiegare come la risposta motoria, riferendosi all’atteggiamento
estensorio o flessorio e quindi all’esito della postura, cambia in relazione all’efferenze di
tipo cervicale (le più importanti dal punto di vista spinale) rispetto a quelle vestibolari e
come si integrano nelle varie posizioni.
Dobbiamo considerare che vengono attivate le afferenze di tipo cervicale ogniqualvolta
spostiamo il collo rispetto al busto.
I riflessi labirintici vengono attivati invece ogni volta che l’asse corporeo si sposta rispetto
al centro di applicazione della forza di gravità.
Verticale centrale. (B,E,H) Cominciamo a vedere che cosa succede se manteniamo la
posizione della testa normale evocando i riflessi cervicali. “Normale” vuol dire che la testa
rimane normale rispetto alla posizione che ha di solito in relazione alla direzione del centro
gravitazionale.
È più semplice da capire se prendiamo come riferimento i quadrupedi, in questo caso
infatti possiamo modificare la posizione della testa sia in senso verticale che in orizzontale.
Posizione normale con la testa in asse con il tronco. Però noi possiamo tenere la testa in
posizione normale, cioè non evocare nessun riflesso di tipo vestibolare, e spostare invece
l’angolo fra la testa ed il dorso. E possiamo spostarlo, modificare questo angolo, portando
il collo in addietro (cioè dorsiflesso), oppure spostando il collo in avanti (cioè ventriflesso).
Si vede allora che se la testa viene spostata in addietro, cioè nel caso in cui la testa è
normale, ma l’angolo è tale per cui c’è una condizione di dorsiflessione, quello che
succede è che una dorsiflessione induce un atteggiamento per cui si ha un’estensione,
una contrazione degli estensori degli arti anteriori. Questo si verifica ogni qual volta c’è
una dorsiflessione.
Ciò è evidente nell’animale che sta saltando, una dorsiflessione predispone tale animale a
portarsi con le zampe in avanti.
Un esempio è il gatto che salta giù dal mobile, la sua testa è in addietro perché cadendo
dall’alto il dorso rimane piegato con un angolo acuto rispetto all’asse normale e c’è quindi
una contrazione degli estensori degli arti anteriori.
Viceversa quando il gatto salta piega la testa verso il ventre, quindi ventriflesso, l’angolo
diventa ottuso e in questo caso si ha una flessione degli arti anteriori ed un’estensione di
quelli posteriori.
Tre condizioni diverse quelle appena descritte, quella normale e altre due, in cui la postura
è modificata unicamente attivando il riflesso spinale (riflesso visto prima applicato alla
gamba, ora esercitato sui muscoli del collo).
Orizzontale centrale.(D,E,F) Vediamo che cosa succede se non attiviamo i riflessi
cervicali, ma attiviamo invece il riflesso labirintico. Per non attivare il riflesso cervicale
dobbiamo mantenere il collo in posizione rispetto al dorso, non dobbiamo quindi alterare
l’asse spinale, la testa deve rimanere nella stessa direzione della colonna.
Allora si vede che la possibilità è quella normale, a riposo il quadrupede ha in asse la testa
con il dorso (e noi anche in posizione eretta). Se però vogliamo cambiare la postura
mantenendo la stessa condizione allora dovremo essere in una posizione di grande
estensione verso l’alto o di grande estensione verso il basso. Quindi occorre non un
saltino da qui a lì, ma il gatto che salta giù dal primo piano.
Spesso si sente dire che gatti che cadono dal 4° piano non si fanno nulla, mentre gatti che
cadono dal 1° piano muoiono, perché? Perché il riflesso posturale che stiamo studiando
ha dei tempi di reazione; facendo cadere il gatto dal 1° piano i tempi di reazione non sono
sufficienti per consentire al gatto di modificare la propria postura in modo da arrivare con
le zampe nella posizione adeguata per assorbire l’urto.
Invece se lo stesso gatto cade dal 4° piano ha tempo per preparare le zampe in modo da
attutire il colpo.

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Quindi è più facile che si faccia male un gatto che cade da una distanza piccola, piuttosto
che un gatto che cade da una distanza maggiore.
Questo è quindi un esempio per spiegare come intervengano anche i tempi di riflesso.
In questo caso è evidente che si è attivato un riflesso posturale. Il riflesso posturale non
interviene quando l’animale è già con il collo in asse rispetto al segmento corporeo, ma
interviene nella fase in cui mantenendo il segmento corporeo l’animale passa da una
posizione statica ad una posizione congelata alla fine del movimento; la proiezione della
posizione della testa rispetto all’asse precedente è quella che attiva il riflesso vestibolare,
attivando le macule e l’utricolo, in quanto si induce un’accelerazione lineare.
Nell’esempio D si ha una diminuzione della componente di forza gravitazionale, perché il
vettore forza è diretto verso l’alto e quindi si sottrae al vettore forza gravitazionale che è
diretto verso il basso.
Invece nel caso F aumenta la componente gravitazionale. Quindi si vede che dal momento
in cui si salta verso l’alto senza riflessi cervicali si ha un’attivazione dei muscoli estensori
degli arti inferiori ed una simultanea inibizione della contrazione degli arti superiori.
Viceversa quando il vettore di forza è orientato dall’altra parte.
Fino ad ora abbiamo visto quello che succede quando ci sono solamente riflessi cervicali,
quello che succede quando ci sono solo riflessi vestibolari, ma in realtà nei movimenti
normali ci sono sia gli uni che gli altri.
Angoli (C,G,A,I) Nell’esempio C abbiamo che il collo è dorsiflesso rispetto all’asse, che
sono attivati i riflessi cervicali. I riflessi cervicali non sono però gli unici riflessi attivati,
l’animale sta progredendo verso il basso, quindi alla componente di attivazione della
muscolatura estensoria degli arti anteriori, legata al riflesso cervicale visto prima, si
somma un ulteriore stato di eccitazione legato al fatto che c’è un vettore di forza
aumentato rispetto alla forza gravitazionale. Si ha quindi un rinforzo della contrazione della
muscolatura estensoria degli arti anteriori.
Questo è un caso di rinforzo tra il riflesso labirintico e il riflesso cervicale.
Anche nel caso G si tratta di rinforzo tra riflesso labirintico e riflesso cervicale, però in
questo caso quello che succede è che abbiamo lo stesso riflesso estensorio degli arti
posteriori che abbiamo visto quando la testa rimaneva in posizione normale, in più, in
posizione eretta o quando l’animale sta cercando di saltare verso l’alto, abbiamo un
rinforzo legato alla flessione del collo rispetto all’asse .
Ma la flessione del collo rispetto all’asse provoca un’ulteriore attività di contrazione degli
estensori. Quello che da ciò risulta è una simultanea contrazione della muscolatura
estensoria del dorso e nel caso dell’uomo (posizione eretta) anche contrazione della
muscolatura addominale. Questa è la condizione in cui siamo in postura, cioè quella di un
rinforzo costante tra la contrazione legata al riflesso vestibolare e quella legata al riflesso
cervicale.
Nei due quadranti in alto si ha invece un’opposizione tra i riflessi labirintici e i riflessi
cervicali. Il caso A è quando l’animale si inarca, questo innalzamento è legato ad un
rilasciamento di tutti e quattro gli arti, ad un’inibizione di tutti e quattro gli arti; invece
quando un animale dorsiflesso esagera in questo movimento ha un’estensione di tutti e
quattro gli arti.
Nell’animale decerebrato e decerebellato quello che succede è un OPISTOTONO,
abbiamo tolto tutte le componenti inibitorie del cervelletto e della corteccia motoria. È
questa un’esasperazione dell’opposizione estensoria tra i riflessi labirintici e i riflessi
cervicali. È un’esasperazione perché in questo caso tutto viene contratto
simultaneamente, si ha rigidità. È un’interazione molto complessa quella descritta , a
seconda del movimento che stiamo facendo interviene l’uno e l’altro, prima i riflessi
cervicali più rapidi e poi i riflessi vestibolari se abbiamo intaccato il vestibolo.
A questo c’è poi da sommare anche la componente visiva.

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Si prende un oggetto e lo si mette su una piattaforma scillometrica o stabilometrica,
piattaforma di acciaio (in genere) appoggiata su dei sensori posti al di sotto a distanza
ravvicinata. Questi sensori sono in grado di misurare una forza, sono dei trasduttori di
forza e misurano la forza peso. La forza peso è data dalla massa per l’accelerazione di
gravità, siccome la massa del soggetto è sempre costante, variando lo spostamento del
baricentro sulla piattaforma, varia la risultante della forza di gravità sulla piattaforma. Nei
vari punti della piattaforma verrà misurata una forza variabile, la registrazione di questi
movimenti si chiama stabilogramma.

Abbiamo la nostra piattaforma, mettiamo il nostro soggetto (G è il punto di applicazione del


baricentro del nostro soggetto) con i suoi piedi come in figura, si dice al soggetto di restare
ad occhi aperti, il soggetto rimane lì in piedi e guarda avanti verso un punto che gli è stato
indicato.Andando a misurare con lo stabilogramma il movimento del suo baricentro si vede
che quest’ultimo oscilla un po’, ma rimane sempre lì, normalmente resta nell’ambito di
pochi centimetri.
Se poi gli dite di chiudere gli occhi, tutte le condizioni sono rimaste tali, ma gli occhi sono
chiusi, il soggetto cerca di mantenere la posizione, ma il suo baricentro comincia ad
oscillare, si perde un po’ il controllo della postura. Si vede ora che il soggetto, che prima
oscillava poco, con chiusi gli occhi ha oscillazioni molto più ampie, che vanno di qua e di
là, circa 10 cm da entrambi i lati; si vede il soggetto oscillare chi più chi meno in base alla
capacità di mantenimento della postura.
È chiaro quindi che anche la visione ha un suo peso.
Prima abbiamo visto che se gli occhi sono aperti il soggetto si muove pochissimo, se gli
occhi sono chiusi c’è un piccolo spostamento laterale, ma un notevole spostamento
antero- posteriore (il soggetto oscilla in tale direzione).

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Se chiedete al soggetto di aprire gli occhi e di guardare un riferimento posto nei 2-6 metri,
il soggetto riprende la sua posizione molto ferma.
Ponendo attorno al soggetto una protezione per non farlo distrarre da ciò ce c’è intorno e
dicendogli di guardare diritto tra i 2 e i 6 metri, il soggetto si stabilizza.
Se poi il suo riferimento viene spostato ai 200 metri (una cascina posta a 200 metri) il
soggetto nonostante abbia gli occhi aperti, nonostante abbia un riferimento visivo,
nonostante per un po’ venga arginata l’afferenza visiva laterale, comincia ad oscillare
tantissimo.
Interessante sapere che se incorniciate la zona davanti agli occhi del soggetto (circa a 2
metri) e gli dite di guardare ancora a 200 metri, ma avendo questo riferimento visivo più
vicino, anche se laterale, il soggetto non ritorna fermo come nel primo caso, ma si
stabilizza più che nel secondo.
Quindi cosa ci dice questo esperimento?
Afferma che il concentrare la propria attenzione su un riferimento visivo vicino entro certi
limiti dà un importante contributo al mantenimento della postura.
Si riesce a mantenere la postura anche con gli occhi chiusi; la visione non è la cosa più
importante per la postura, è certamente più importante l’effetto spinale seguito poi da
quello vestibolare, ma bisogna ricordare che anche la visione ha un importante
contingente sul controllo.
Ed il suo controllo è legato al fatto che c’è un circuito che mette in relazione il movimento
oculare con i nuclei vestibolari. I nuclei vestibolari non risentono soltanto della variazione
della attività delle cellule nella cupola ampollare, cellule ciliate vestibolari, ma risentono
anche della rotazione degli occhi.

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Puntando gli occhi verso un punto di riferimento si vede che, a seconda della direzione
della rotazione degli occhi o a seconda della direzione della rotazione della testa , ecco
che queste afferenze vengono convogliate sui nuclei vestibolari. Circuito che interessa il
controllo del movimento oculare.
Quindi in definitiva il controllo posturale si basa su questi tre elementi:
a) afferenze di tipo spinale, con i riflessi spinali che tendono a mantenere costante la
postura
b) riflesso vestibolare
c) risposta ottenuta dalla afferenza visiva
L’elemento spinale è di gran lunga il più importante, però i tre collaborano ampiamente
l’uno con l’altro.
Prima parlavamo di vertigini o in generale di malessere che uno soffre quando si è in moto
(in treno, in macchina, su giostre che girano), queste sono tutte risposte legate ad un
conflitto che nasce tra il riflesso vestibolare e la risposta visiva.
Per esempio in macchina si ha l’idea di un movimento, se la macchina sta andando a 100
km/h e la velocità è costante non si ha il riflesso vestibolare e dal punto cervicale non c’è
nessun motivo per cui si debbano avere riflessi posturali. Però si guarda fuori dal finestrino
e si vede muoversi il campo intorno, il che dà una informazione di movimento,
informazione di movimento che si dovrebbe rilevare anche dal riflesso vestibolare.
Nel momento in cui si cammina invece, voi rispetto all’ambiente, si hanno dei riflessi e
vestibolari, perché varia l’accelerazione lineare e magari angolare, e riflessi che vengono
dalla muscolatura dell’articolazione, che dicono che c’è in atto un movimento.
Se siete in macchina invece si hanno due afferenze in conflitto, quella dei vestiboli e quella
dello stato cervicale, afferenze che vi dicono che siete fermi, e quella oculare che ci dice
invece che siamo in movimento.
Questi conflitti in molti soggetti vengono risolti senza alcun problema, in altri invece il
conflitto tra il riflesso vestibolare e il riflesso visivo, soprattutto se mancano riferimenti, in
treno per esempio, non crea malessere perché si ha il riferimento del treno che ingloba e
che è ad una distanza di 1-2 metri (stesso riflesso visivo della porta vista
precedentemente).
Invece in macchina non succede questo, in macchina è come se non avessimo riferimenti,
si guarda allora fuori dal finestrino e si ha questo conflitto tra componente visiva del
controllo e componente vestibolare e cervicale.
Questo conflitto se non viene risolto, ed è risolto in maniera inconscia a livello vestibolare
nella maggior parte dei casi, se dunque il vestibolo non riesce a mettere d’accordo tutte le
afferenze, quello che succede è questa sensazione di malessere e di nausea.
La stessa cosa è la vertigine, per chi soffre ad alta quota si ha la percezione visiva del
vuoto senza un punto intorno di riferimento visivo, senza avere quindi riflessi vestibolari. È
la stessa cosa del riflesso cinostatico.

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FUNZIONI SUPERIORI DELL’ENCEFALO
Con funzioni superiori dell’encefalo si intende:
 memoria
 linguaggio
Memoria e linguaggio strettamente correlati l’uno all’altro.
L’organizzazione funzionale del flusso di informazioni nel sistema nervoso centrale ;
abbiamo una corteccia somatosensitiva che è quella che troviamo nelle aree sensoriali
primarie, in queste zone arriva il flusso di informazioni, informazioni tattili, termiche,
dolorifiche, propriocettive..
Da queste aree sensoriali primarie bisogna che l’informazione venga trasferita nell’ultima
sede nella quale si andrà ad elaborare la risposta a queste stesse afferenze sensoriali.
Queste informazioni devono cioè essere portate nell’area premotoria, dove viene ideato il
movimento , e nell’area motrice primaria, dove viene creato e viene inviato il movimento.
Come l’informazione arriva dall’area sensoriale a quella motoria?
Ci arriva mediante una serie di aree associative, le quali occupano una gran parte della
corteccia cerebrale, e che sono le aree associative unimodali presenti nelle zone limitrofe
alle zone delle cortecce somatosensitive primarie.
Sono queste aree associative che servono per elaborare ulteriormente ed integrare i
segnali che si riferiscono ad un certo tipo di percezione sensoriale. Tali aree associative
unimodali portano poi il segnale a delle aree associative dove le varie informazioni che
derivano da tipi diversi di percezione sensoriale vengono ulteriormente elaborate per dare
una percezione globale.
Per esempio se voi andate a sentire un concerto di musica ci sarà una componente visiva,
vedete gli artisti che cantano dallo stage, ma nel contempo avete una percezione uditiva,
sentite suonare la musica e cantare il cantante che si esibisce in vocalizzi.
La vostra risposta motoria, di stare annoiati o di saltare in piedi esaltati e gasati, sarà
diversa a seconda dell’associazione delle varie afferenze sensoriali; bisogna che ci sia un
quadro completo delle afferenze per poi dare una risposta.
E questo viene fatto attraverso queste aree associative dette multimodali, localizzate
soprattutto nel lobo frontale.
Vediamo ora quali sono queste aree associative, sia unimodali che multimodali.
Aree associative unimodali sono:
 associativa somatosensoriale unimodale
 associativa visiva unimodale
 associativa uditiva unimodale
Abbiamo dunque un’area associativa somatosensoriale unimodale, dorsalmente rispetto
alla corteccia somatosensitiva primaria. In tale area vengono convogliate tutte le
informazioni sensoriali che vengono per prime elaborate nella corteccia somatosensitiva
primaria.
Abbiamo poi un’altra area associativa unimodale che è quella visiva; tutta l’area corticale
anteriore alla corteccia calcarina è un’area associativa visiva unimodale, unimodale
perché elabora soltanto la percezione visiva.
Un’altra importante area associativa unimodale è messa in zona parieto-temporale ed è
accessoria alla corteccia uditiva primaria.
Queste tre aree unimodali vanno ad integrarsi alle aree associative multimodali, che sono
le seguenti:
 associativa posteriore multimodale.
Importante per la percezione sensoriale ed il linguaggio ed inoltre per
l’associazione tra queste due componenti percettive.
 associativa libica multimodale

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Trovasi lateralmente a ridosso dell’amigdala e del sistema libico; questa è zona in
cui le percezioni vengono associate ad una risposta emotiva.
 Associativa anteriore multimodale.
È area molto importante, quasi la sede finale a cui vengono convogliate le varie
sensazioni. Si occupa dell’associare tutte queste informazioni che arrivano anche
dalle aree associative unimodali e multimodali, per inviarle poi all’area premotoria.
In tale area si concretizzano tutti quegli elementi che servono per pianificare un
movimento, che verrà programmato, ideato nell’area premotoria ed eseguito
nell’area motrice primaria.
Abbiamo quindi un flusso di informazioni dalle cortecce sensitive primarie verso le
cortecce unimodali e multimodali, informazioni che poi vengono convogliate nel lobo
anteriore per la pianificazione del movimento.
Le aree associative occupano i 2/3 della corteccia, occorre un bel concetto di neuroni per
mettere assieme tutte queste informazioni nella corteccia associativa. Le cortecce
associative nel loro insieme sono quelle che determinano il comportamento cognitivo che
dà adito alle funzioni superiori della corteccia. Le percezioni superiori sono la percezione
dei sentimenti, le sensazioni, i movimenti di destrezza come il saper suonare il violino,
l’andare a cavallo, il saltare con l’asta o anche il solo saper avvitare una vite.
I movimenti di destrezza fanno parte del comportamento cognitivo perché richiedono
l’utilizzo della memoria. La prima volta che prendete in mano un trapano elettrico per fare
un buco nel muro non sapete che cosa bisogna toccare, se tenere il trapano in un modo o
in un altro, ma una volta fatto, capito ed imparato il meccanismo diventa facilissimo.
Anche nelle cose semplici c’è dietro un apprendimento, apprendimento che è un
comportamento cognitivo.
L’emozione è un comportamento cognitivo che prevede l’intervento dell’amigdala, del
sistema libico, così come anche sono comportamenti cognitivi il linguaggio,
l’apprendimento e la memoria, funzioni più elevate sulle quali si basa poi la possibilità di
formulare dei pensieri e quindi di esprimerci.
Il pensiero come viene definito?
Il pensiero, dal punto di vista della fisiologia, è definito come la capacità di avere nuove
idee. Voi siete tranquilli, un giorno vi viene un’idea, l’idea di piantare un chiodo sul muro e
di metterci un bel quadro, per cui lavorate come matti per accumulare i soldi sufficienti per
avere un bel quadro, questa è una idea, è la capacità di avere un’idea e anche la capacità
di inferire nuove idee dalle vecchie, di basarsi sulle conoscenze pregresse per inferirne di
nuove.
Il pensiero è anche un’ideazione (del tutto interna) di crearsi immagini visive. Quando noi
pensiamo a qualcuno che conosciamo o a qualcosa che vogliamo fare ci creiamo delle
immagini visive, noi non vediamo il luogo dove volgiamo andare, ma lo immaginiamo già,
magari perché ci siamo stati o magari perché lo abbiamo visto su di un giornale, o ancora
magari perché pensiamo che sia così.
Queste elencate sono quindi tutte forme di comportamento cognitivo.
Partiamo nel descrivere questi comportamenti cognitivi, dal punto di vista fisiologico, dal
linguaggio.

IL LINGUAGGIO
Il linguaggio è la capacità di codificare delle idee per poi comunicarle, ideare qualcosa e
poi la comunicarlo.
Il linguaggio ha delle caratteristiche tali per cui si chiama una forma di espressione
linguaggio piuttosto che no. Per esempio si hanno forme di linguaggio in tutte le specie
umane, indipendentemente dal grado di approfondimento culturale. Tutti i gruppi umani dal

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punto di vista antropologico sono in grado di sviluppare un linguaggio che si basa su forme
simili.
Il linguaggio si sviluppa spontaneamente nei bambini normali in ogni società. Però non
basta il solo sviluppo, occorre educare perché si acquisiscano certe caratteristiche proprie
del linguaggio. Il linguaggio non si identifica con la padronanza delle regole che
prescrivono l’uso del linguaggio parlato, si può parlare un linguaggio anche se il linguaggio
è molto sgrammaticato, non è necessario che uno abbia seguito un corso di filologia
romanza perché possa possedere il linguaggio. Anche bambini che non hanno studiato
sono in grado di esprimersi con il linguaggio.
Il linguaggio è un adattamento culturale diffuso alla specie e quindi racchiuso in un certo
senso nel genoma.
La parola è una associazione arbitraria tra un suono ed un significato; arbitraria perché le
parole sono associazione di gruppi di fonemi. Il fonema è (per esempio) per noi una
sillaba; nelle varie lingue alle varie sillabe vengono dati dei suoni diversi, se noi vediamo
scritta una I la pronunciamo I, ma un inglese la pronuncia AI, il segno è però sempre
quello.
Noi diamo un’associazione tra un simbolo, un suono e il significato che gli vogliamo
conferire.
Abbiamo quindi varie parole che hanno significati diversi.
I bambini con sviluppo normale riescono ad imparare 1 parola ogni 30 minuti, è
apprendimento rapido. Pensate che con 20 parole, che sono poche, possiamo comporre
1020 frasi sensate.
Come facciamo a comporre con 20 parole 1020 frasi sensate?
Attraverso la grammatica, con la grammatica siamo in grado di mettere le parole una
dietro l’altra in modo che per noi quella frase abbia un significato. Il significato lo diamo
perché ci siamo imposti delle regole di grammatica.
Le regole di grammatica sono la morfologia, regole di composizione della parola. Per
esempio una parola nuova composta può essere radio- grafia, radio e grafia sono due
cose diverse, insieme danno radiografia che è diversa da grafia- radio, diversa da radio,
diversa da grafia; cioè attribuiamo ad una parola complessa un significato.
Altra regola di grammatica è la sintassi, regole per la combinazione di più parole.
Poi c’è la fonologia, in connessione con l’apprendimento e con le funzioni superiori
dell’encefalo. La fonologia è infatti l’insieme dell’enfasi che diamo alle parole; quando uno
parla può parlare con un tono di voce piatto o con un tono di voce che va su e giù, si può
parlare in vari modi, questa cadenza che si dà alla parola fa parte della fonologia.
Anche gli spazi fanno parte della fonologia, vi sono persone che tra una parola e l’altra
hanno spazi di 20 minuti.
Quindi l’insieme delle intonazioni e delle pause è la fonologia.
Di cosa abbiamo bisogno per formulare una frase?
Prima occorre pensare a quello che si deve dire, poi scegliere le parole e le regole
grammaticali, poi dobbiamo generare una serie di segnali diretti al sistema motorio, ma
quale? Quello della laringe, delle corde vocali, della bocca e del sistema respiratorio.
Quest’ultimo è molto importante perché la regolazione dell’emissione dell’aria si fa
contraendo il diaframma. Per parlare è quindi necessario il sistema motorio (contrarre
molti muscoli) non basta desiderare di parlare.
Quindi è implicata un’area associativa che va a recuperare dalle sedi della memoria le
parole che io voglio mettere una dopo l’altra per formulare una frase, un discorso, poi tutte
queste informazioni devono andare nelle aree del linguaggio che sono proposte al
comando che va alla muscolatura volontaria e no che mi consentirà dunque di emettere il
suono componendo una A piuttosto che una E.

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Invece per capire un linguaggio occorre un buon udito, devo sentire quello che mi viene
detto, oppure devo essere in grado di leggere quello che è scritto su una pagina, se il
linguaggio è scritto invece che parlato.
Devo quindi avere le informazioni uditive o visive.
Poi devo avere delle aree che mi consentano di interpretare quello che leggo e per
interpretare ho bisogno della memoria.
Se io non so cosa significa CASA o ABBEVERATORIO non potrò mai capire il significato
di quello che è scritto, devo andare a pescare nella memoria e ricordare che cosa è una
casa che è diversa da un abbeveratoio.
Il linguaggio è dissociato dall’intelligenza, sono due cose diverse, associate, ma distinte.
Noi siamo abituati a pensare che l’intelligenza sia caratteristica della specie umana, però
ci sono diverse forme di intelligenza.
Riuscire a risolvere dei problemi motori complessi è una forma di intelligenza è intelligenza
motoria.
Alcuni animali hanno una intelligenza motoria per alcuni aspetti superiore alla nostra.
Osservazione questa per dire come l’intelligenza sia un fenomeno molto complesso.
Nelle specie animali non umane c’è un linguaggio, diverso da quello della specie umana
perché si basa su un utilizzo di un numero finito di richiami molto stereotipati, si basa in
genere su un segnale analogico che indica l’entità di una certa condizione, cioè per es: lo
stesso segnale vocale se impartito con una intensità molto più grande può essere segno di
un allarme, noi usiamo parole specifiche per segnalare un allarme, gli animali invece
utilizzano altri sistemi come quello di variare l’intensità di emissione del suono oppure
quello di utilizzare risposte replicate. Variare la frequenza di un messaggio può voler dire
“qualcosa non va”, noi gridiamo “AIUTO”, l’animale ripete più volte lo stesso verso.
Nella specie umana è diverso perché il linguaggio ha una struttura universale, viene
appreso e la capacità di apprenderlo è innata.
Come si evolve il linguaggio in un bambino normale (senza afasie)?Le tempistiche sono:
• Emette suoni tra i 5/7 mesi
• Sillabe tra i 7/8 mesi
• Distinzione fonemi 10 mesi
• Frasi 1 anno
• Frasi con struttura completa 2 anni
• Forma grammaticale corretta 3 anni
Quali sono le aree del linguaggio nel cervello?
L’emisfero destro non è uguale a quello sinistro, per quanto riguarda il linguaggio c’è una
dominanza dell’emisfero sinistro, dominanza che riguarda il 96 % degli esseri umani, non
soltanto i destrimani, che hanno già una dominanza dell’emisfero sinistro, ma anche nei
mancini.
Anche nella maggior parte dei mancini il linguaggio è gestito dall’emisfero sinistro.
Le aree sono:
1) Area del Wernicke. Area di interpretazione dei suoni. In tale area viene individuato
un linguaggio, compreso un linguaggio. Qui viene elaborato un segnale inviato poi
tramite le aree associative in una zona detta fascicolo arcuato e poi nell’area che si
trova a livello frontale, area del Broca, contigua alla corteccia prefrontale. L’area del
Broca è contigua alle aree della corteccia motoria dove è mandato il segnale per i
muscoli che controllano l’emissione dei suoni.
2) Area del Broca.

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Per interpretare il linguaggio, dal punto di vista fisiologico, è stato proposto per primo un
modello ideato da Wernicke, un neurologo, assieme a Geschwind. I due hanno lavorato
tra il 1890- 1920, tempo in cui si erano identificate le aree interessate alla comprensione e
all’emissione di un linguaggio.
Dagli esperimenti fatti e dai pazienti studiati da questi due neurologi si è definito che:
l’area del Wernicke crea delle immagini acustiche delle parole, converte la parola in un
segnale codificato dal punto di vista elettrofisiologico. L’informazione viene trasmessa,
tramite potenziale d’azione, all’area del Broca. Nell’area del Broca si ha invece
l’articolazione fonetica delle parole, è area motoria. Chi ha un danno all’area del Broca ha
delle afasie, ha cioè delle incapacità motorie, può magari comprendere il linguaggio, ma
non riesce ad emettere una risposta.
L’interazione unidirezionale dall’area del Wernicke all’area del Broca è permessa dal
fascicolo arcuato, che consente tra l’altro anche ampie connessioni con le aree associative
polimodali.
Vi è poi un’area particolare che è un’area motoria, detta area di Einster. Tale area si trova
medialmente all’area del Broca e conferisce alle due aree suddette una particolarità in più
che è quella di passare dal linguaggio udito e parlato al linguaggio letto e scritto.
Questo sembra quindi essere a carico di una piccola area che si trova a ridosso dell’area
del Broca e che è detta area motoria di Einster.
Il modello di Wernicke appena descritto rimane valido ancora oggi, studiato ulteriormente
attraverso l’analisi delle afasie, alterazioni del linguaggio.
Le afasie sono tante e molto specifiche (tranne una che è generale) che riguardano delle
modificazioni nel funzionamento delle varie aree.
Nell’area del Broca abbiamo l’afasia del Broca.
Nell’afasia del Broca il linguaggio non è fluente. In tale afasia c’è una lesione dell’area del
Broca. Una lesione della corteccia frontale posteriore (se poi è a sinistra, nell’emisfero
dominante) provoca un grosso problema, causa un linguaggio non fluente emesso con
difficoltà. Questo soggetto quindi capisce perfettamente, legge, può avere un’analisi
sintattica, ma non riesce a ripetere, non riesce a parlare, non riesce ad emettere la parola.
In lesioni più grandi ci sono anche altri sintomi, come la paresi destra e una depressione

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legata ad un coinvolgimento del sistema libico. Da questi tipi di studi su pazienti e su molti
animali sperimentali emerge che l’area del Broca è importante nel raggruppare fonemi in
parole, nel raggruppare parole in frasi, nel formulare le frasi, nell’unire tra di loro le varie
parole, nell’uso corretto del vocabolario. Non è puramente una corteccia motoria, ma è
anche una corteccia cognitiva, ha funzione cognitiva. La cosa importante è che per
operare tutta questa sorta di composizione dei fonemi tra di loro e formulare la parola,
delle parole fra di loro a comporre frasi, l’area del Broca deve recuperare delle
informazioni, tali informazioni le recupera dalla memoria operativa a breve termine.
Se c’è una lesione nell’area del Wernicke si ha l’afasia del Wernicke.
Nell’afasia del Wernicke quello che succede è una difficoltà di comprensione dei discorsi
e vi sono quelle che vengono dette parafrasie fonetiche o semantiche, in cui cioè si
sostituisce ad un tratto della parola o all’intera parola un altro fonema o un’altra parola. Per
cui magari una parla anche in maniera fluente, ma sostituisce le parole dando loro un
significato diverso. Da ciò deriva che l’area del Wernicke viene indicata come un
elaboratore di suoni che è in grado di associare i suoni al significato. L’area del Wernicke
si trova in prossimità della corteccia uditiva primaria e della corteccia associativa
unimodale uditiva. È l’area in cui viene compreso il linguaggio.
Se l’area di Wernicke subisce una lesione, il linguaggio non viene più compreso.
Paradossalmente il linguaggio è fluente, il soggetto parla tranquillamente, pensa di dire le
cose giuste, ma in realtà sono sbagliate.
Un’afasia di conduzione è un’afasia che ha lesionato il segmento di conduzione, nel giro
temporale e superiore e sopramarginale sinistro. Il soggetto ha un difetto simile a quello
dell’afasia di Wernicke però è come se fosse disconnessa la capacità di comprendere
dalla capacità di esprimersi. In realtà l’area del Broca e l’area del Wernicke sono intatte,
ma non si vedono tra di loro e quindi non c’è la possibilità di interazione tra le due fasi del
linguaggio.
Vi è poi un’afasia transcorticale motoria che interessa le zone anteriori o superiori
dell’area del Broca. In questo caso si perde praticamente la capacità motoria che riguarda
l’area frontale, quella che focalizza l’attenzione sulla scelta delle parole, è quella che
abbiamo detto lesione dell’area di Einster. L’area di Einster ha un significato cognitivo della
lettura delle parole, ma sa anche scegliere, focalizzare l’attenzione sulle parole. Essendoci
una lesione dell’area anteriore a quella del Broca c’è un’incapacità nell’ideare il discorso
nella maniera giusta, nella programmazione del movimento fonetico; ci sono difficoltà
nell’inizio del discorso.
All’inizio non fluente poi esplosivo, una volta che si è partiti a parlare si parla.
L’afasia transcorticale sensitiva riguarda invece le aree sensoriali posteriori all’area del
Wernicke. Si tratta di un’afasia in cui non si riesce a capire il linguaggio e di conseguenza
si fa fatica anche ad esprimerlo.
Vi è poi un’afasia globale, che è molto grave, è somma e combinazione di tutte le afasie
viste. È quindi scarsa la comprensione, alterata, uguale la capacità di esposizione, il
linguaggio è molto scarso, assolutamente non fluente, spesso incomprensibile e spesso
associato anche ad una paresi del lato destro (perché la lesione deve essere sempre
portata sul lato sinistro).
Sulla base di queste afasie il modello di Wernicke visto prima è stato raffinato, completato
dalle informazioni che provengono dallo studio di queste afasie.
E ora si tende non solo a riconoscere l’area del Wernicke, l’area del Broca e il sistema di
conduzione, ma si è esteso il quadro ad altre zone: corteccia motrice, la somatosensitiva,
il giro sopramarginale, il giro angolare, la corteccia uditiva chiamati nell’insieme sistema di
implementazione del linguaggio.
L’insieme di queste zone analizza segnali uditivi afferenti, provvede alla costituzione dei
fonemi e delle forme grammaticali, controlla articolazioni delle parole.

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Tale sistema è però integrato da un sistema di mediazione localizzato nella corteccia
prefrontale, nel polo temporale, nella corteccia infratemporale. Tale sistema forma la
struttura fra il sistema di comprensione e di espressione del linguaggio e il concetto che
vogliamo dare al linguaggio. Non basta sapere il significato della parola “CASA” e parlare
e dire CASA, c’è anche una serie di emozioni e di significati che vengono citati ogni qual
volta diciamo la parola CASA, che non è soltanto quattro mura con il tetto, ma una serie di
significati. Questi significati vengono dati da questa corteccia associativa dei lobi parietale,
temporale e frontale.
Vi sono poi le aree del sistema limbico, distribuite attorno ed anche profondamente, che
attribuiscono dei concetti più profondi al linguaggio.
Tutte queste zone appena viste non sono un calderone di neuroni messi a caso, ma sono
assolutamente specifiche.
Ci sono zone in cui si attua un certo tipo di linguaggio e zone in cui se ne attuano altri.
Una cosa fondamentale nel linguaggio e nell’atteggiamento cognitivo, che fa parte delle
funzioni superiori del sistema nervoso centrale, è il riconoscimento e la memoria dei nomi
propri di luoghi e di persone. Per costruire e per intessere delle relazioni interpersonali
occorre ricordare i nomi delle persone, delle cose, dei luoghi.
Andiamo a chiedere o a mostrare al soggetto un certo disegno e andiamo a studiare il
grado di eccitazione delle varie aree attraverso una topografia ad emissione di fotoni a
sezioni assiali colorate.
Si può chiedere al soggetto di riconoscere delle persone o degli animali o ancora degli
oggetti, si va poi a vedere le varie zone, se tutte si attivano nello stesso modo oppure no.
Questa è una tecnica molto usata oggi per lo studio non invasivo anche di soggetti umani.
Rosso e bianco hanno la maggior entità di attivazioni, mentre verso il blu e il rosa si hanno
minor attivazioni.
Se si chiede ad un soggetto di riconoscere delle persone si andranno ad attivare delle
zone che non sono le stesse che si attivano se si va a riconoscere degli animali o degli
oggetti.
Si attiva di più sempre la corteccia di sinistra rispetto a quella di destra, ma le zone sono
molto diverse. Ci sono luoghi diversi per cose diverse da riconoscere (animali, persone,
case).
Per esempio la pianificazione e il coordinamento dei movimenti articolari per l’emissione
delle parole si ha a livello della zona dell’insula. Se si ha una lesione in tale zona ci
saranno dei deficit nella pianificazione dei movimenti articolari della parola; se la lesione è
un po’ più giù non c’è alcun deficit. È questa area circostante all’area del Broca e
dell’Einster.
O ancora la corteccia frontale mediale, area molto importante, associata a tutte quelle fasi
che riguardano l’inizio del discorso. È area associata anche all’attenzione che si dà al
discorso e alle emozioni associate al discorso. È area del lobo libico, in particolare
dell’ippocampo.

LINGUAGGIO, DIFFERENZA TRA I DUE EMISFERI


Abbiamo visto che l’emisfero dominante è l’emisfero cerebrale sinistro, che ha capacità
linguistiche, che si occupa della fonologia, che gestisce il lessico e la grammatica. Molto
risiede nel lobo cerebrale sinistro.
Se c’è una lesione ampia dell’emisfero cerebrale sinistro, nell’adulto si perde
completamente il linguaggio (se il lobo è ablato completamente), nel bambino non è così.
Nel bambino, infatti, se c’è una lesione dell’emisfero cerebrale sinistro, l’emisfero
cerebrale destro si fa carico delle attività dell’emisfero cerebrale sinistro. Il bambino può
arrivare a parlare in maniera corretta perché l’emisfero cerebrale destro riesce a fare sue

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tutte quelle attività prima proprie dell’emisfero cerebrale sinistro. Un bambino può ancora
recuperare una lesione cerebrale sinistra.
D’altra parte lesioni cerebrali sinistre nell’adulto possono provocare ALESSIA e AGRAFIA,
incapacità di leggere e di scrivere. In genere alessia e agrafia si intercalano, se non si
riesce a scrivere, non si riesce neanche a leggere; spesso si ha alessia insieme ad
agrafia.
Si può invece avere alessia senza afasia. Questo è interessante; si può essere in grado di
parlare e di capire il significato delle parole senza però essere in grado di leggere. Questo
sembra essere legato alla connessione di segnale fra i due emisferi.
L’emisfero cerebrale destro ha delle facoltà linguistiche rudimentali, che però possono
essere espresse al meglio se viene a mancare l’emisfero cerebrale sinistro. Non ha
capacità lessicali e grammaticali, quindi il bambino pur potendo parlare completamente
non potrà evolvere un linguaggio molto complesso e molto perfezionato come quello che
potrebbe essere se vi fosse anche l’emisfero cerebrale sinistro.
Se viene ablato l’emisfero cerebrale destro non si hanno difetti di linguaggio, è tutto a
carico dell’emisfero cerebrale sinistro. Avrò molti altri problemi, ma riesco ancora a gestire
il linguaggio. Quello che viene a mancare è l’aspetto emotivo, la capacità di associare
emozioni al linguaggio.
Ci sono dei casi in cui, non molto rari (10-30% della popolazione), c’è un deficit nello
sviluppo temporale e contemporaneo degli emisferi, si chiama DISLESSIA dello
SVILUPPO. Alcuni bambini affetti hanno difficoltà nel manifestare le forme di linguaggio
entro i tempi che abbiamo visto prima perché i due lobi sviluppano in maniera differente.
Avremo un deficit nello sviluppo delle specializzazioni emisferiche, potremmo avere
alterate competenze fonologiche, alterazioni delle connessioni fra aree visive e del
linguaggio e ancora incapacità di analizzare velocemente le afferenze sensoriali fugaci.
Con topografia ad emissione di fotoni (PET) tra un bambino normale e un bambino affetto
da dislessia dello sviluppo, andando ad evocare il ricordo di una serie di lettere, si nota
come nel bambino normale l’area cerebrale interessata è ampia, mentre il bambino affetto
non riesce a ricordare la serie di lettere in quanto non viene attivata la zona interessata,
non è ancora matura.
Allo stesso modo l’area temporale sinistra è associata all’assonanza in rima, un bambino
affetto da dislessia dello sviluppo non riesce a ricordare parole in rima.
A seconda del tipo d’attività del linguaggio che viene richiesta, il ricordo della serie di
lettere oppure le assonanze in rima, diverse sono le aree che vengono attivate (o no).

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