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CARATTERISTICHE MECCANICHE

PASSIVE DEL MUSCOLO


Per capire il corretto comportamento del muscolo bisogna studiarne sia le caratteristiche attive
sia passive; passive significa: in una condizione in cui il muscolo si trova rilasciato. Vedremo in
seguito cosa succede quando il muscolo si contrae.
L’esperimento viene condotto prendendo un muscolo isolato (ad esempio il muscolo
gastrocnemio della rana), lo si appende ad uno strumento che comprende la presenza di un
trasduttore (che cosa è un trasduttore? Consiste in uno strumento deputato ad essere
sollecitato da qualsiasi tipo di forza ed in grado di trasformare questa sollecitazione in un
segnale elettrico (per esempio); nel nostro caso vogliamo vedere qual’è la forza che il nostro
muscolo è in grado di sviluppare in condizioni passive o mentre si contrae. Il trasduttore è un
dinamometro).

Figura 1
Dinamometro = reperibile presso qualsiasi ferramenta; consiste in un piccolo cilindro metallico contenente al suo
interno una molla; la molla risulta graduata (per esempio in grado di misurare un peso pari a 500 grammi). In base alla
distensione della molla siamo in grado di valutare la forza che viene esercitata.

Il trasduttore svolge la medesima funzione, con la differenza che trasforma la forza impressa
sul rilevatore in un segnale elettrico. Il segnale elettrico può essere “catturato” da un sistema
di misura, visualizzato su di un monitor. Nel nostro caso parleremo di trasduttore di forza.

Figura 2
Immaginiamo quindi di prendere il muscolo, appenderlo al trasduttore e senza che venga
contratto, lo tiriamo, applicando una forza ai capi del muscolo. È come se attaccassimo un
elastico ad un trasduttore e lo tiriamo sempre più. Applichiamo quindi ai capi del muscolo una
forza che il trasduttore è in grado di misurare.

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F=m*a
Nell’immagine però la forza non è presente. Troviamo T (tensione)
T = F/l
Nel caso in esame troviamo la tensione perché è comodo misurare la tensione sviluppata da
diversi tipi di muscolo (non tutti i muscoli sono uguali fra di loro; vi sono muscoli più corti o più
lunghi; perché? I muscoli avranno i sarcomeri di dimensioni paragonabili? I muscoli più corti
hanno sarcomi più corti? I muscoli più lunghi hanno sarcomeri più lunghi? Il sarcomeri hanno
sempre più o meno la stessa dimensione (2,6 – 2,7 μm) e tali rimango, anche tra muscoli
diversi. Quindi se noi paragoniamo due muscoli di dimensioni diverse, paragoniamo due
strutture in cui abbiamo un diverso numero di sarcomeri disposti in serie fra di loro).
Abbiamo detto che una forza è uguale ad una massa per un’accelerazione. La massa viene
espressa in grammi nel sistema CGS; l’accelerazione è data da velocità su tempo (cm/sec2).
Quindi la forza è:
grammi * (cm/sec2)
questa unità di misura viene chiamata comunemente Dyne.
La tensione sarà uguale a:
T = Dyne / cm

RIPASSO:
La pressione sarà:
P = F / l2 Dyne /cm2
La pressione è la forza che un volume di acqua che si stratifica su di un’altezza h esercita su
una superficie (per esempio, del cubo in figura). Se io dispongo di un cubo di 1 cm di lato,
contenete acqua, qual è la pressione che si esercita sulla base del cubo?

Figura 3
P = densità * accelerazione di gravità * h
Densità dell’acqua è: 1 g/cm2
Accelerazione di gravità è: 1000 cm/sec2
h è: 1 cm
In questo modo ricaviamo la pressione esercitata (100 Dyne/cm2 = “centimetro d’acqua”)

Abbiamo così introdotto il concetto di tensione.


Che esperimento faccio? Prendo un elastico e non faccio altro che tirarlo. L’elastico non è
contratto, così come il muscolo. Il tutto è paragonabile ad una struttura visco-elastica. Se
andiamo a vedere come si sviluppa la tensione in relazione all’estensione (il grafico in figura si
può trovare anche come Stress(tensione)/Strain(estensione)),otteniamo diverse curve. Sono
tutte curve che partono da 0 e possiedono una concavità verso l’alto; cosa significa? Al variare
della lunghezza del muscolo, esso sviluppa una forza espressa sotto forma di tensione; tanto
più tiro il muscolo, tanto più questo sviluppa forza (come l’elastico: inizialmente non è difficile
tirarlo,più lo tiro più diventa inestensibile, rigido). Perché succede tutto ciò? Non si
verificherebbe in una struttura perfettamente elastica. Una struttura perfettamente elastica
risponde a quella che prende il nome di legge di Hooke. Il diagramma tensione/estensione è
una retta.

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Figura 4
In natura non esistono delle strutture perfettamente elastiche, esistono delle strutture che si
avvicinano a questa condizione. Soprattutto nei compartimenti biologici, esistono delle
strutture che hanno una componente visco-elastica, risultano cioè formate da dei gel viscosi
entro i quali una struttura elastica si distende. È il caso del muscolo: in alcuni casi posso tirarlo
molto prima che si incominci a vedere un’espressione di forza significativa, in altri casi, bastano
piccole estensioni per sviluppare ai capi del muscolo una forza più elevata. Questa differenza
dipende da come è fatto il muscolo; vi sono alcuni muscoli molto più distendibili (gracile),
possiamo allungare il muscolo senza che esso possa opporre resistenza all’allungamento; vi
sono muscoli meno distendibili (sartorio) che si oppongono ad una distensione eccessiva. Tutto
ciò abbiamo detto che dipende dalla composizione del muscolo ed è in relazione alla sua. Un
muscolo come il sartorio risulta essere molto più protetto rispetto ad uno come il gracile
anteriore.

Figura 5
La pendenza del diagramma rappresentante la legge di Hooke prende il nome di elastanza
(ΛT/ΛE oppure ΛF/Λl se indichiamo sull’asse delle ordinate la forza al posto della tensione, e
sull’asse delle ascisse indichiamo la variazione di lunghezza al posto dell’estensione).
L’elastanza è il reciproco della distensibilità (D).
Nel caso del muscolo gracile (vedi figura precedente) la pendenza è molto bassa. Quindi
l’elastanza è molto bassa. Nel caso del muscolo sartorio la pendenza è molto alta, l’elastanza è
molto alta e di conseguenza è bassa la distensibilità. Si dice anche che il sartorio dispone di
una maggiore rigidità dal punto di vista meccanico, rispetto al gracile.
Quindi:
1. la distensibilità è diversa in ogni muscolo;
2. in tutti i muscoli in cui è possibile arrivare a distensioni significative, notiamo un
comportamento del genere:

Figura 6
essi risultano quindi dissociati dalla linearità; è come se avessimo un insieme di tante linee
a pendenza diversa e crescente.
Prendiamo come esempio il gastrocnemio.

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Figura 7
Notiamo una pendenza iniziale, via via che aumentiamo l’estensione la pendenza varia e
aumenta sempre di più; quindi passando da un punto a quello successivo sulla curva la
pendenza della curva aumenta progressivamente. La pendenza indica l’elastanza e
l’elastanza è un indice di rigidità. Tanto maggiore è l’elastanza tanto maggiore è la rigidità
della strutture.
Tutti i muscoli, indipendentemente dalla loro caratteristica generale, all’inizio sono più
distendibili e via via che li tiro diventano sempre meno distendibili e sempre più rigidi. Da cosa
dipende questo fatto? Dipende dal fatto che i muscoli sono costituiti da fibre di materiale
elastico ed, in parte, da materiale collagenico (pensiamo a tutte le membrane del sarcolemma
– sono visco-elastiche). Siccome le fibre contenute nel muscolo non sono tutte rigorosamente
identiche le une alle altre, ma ognuna di loro possiede una propria elasticità, tendendo il
muscolo io vado a tirarle selettivamente una dopo l’altra, quindi ho la comparsa di una
maggiore rigidità in maniera graduale. Paradossalmente, se fossero tutte dello stesso tipo che
funzione avrei? Avrei una curva rappresentata come nell’immagine in figura 7.
Non si verifica questo fenomeno perché ognuna delle fibre che vengono messe in tensione ha
una soglia di tensione diversa, quindi si va a descrivere una curva anziché una retta ad angolo.
Questo è vero, non solo per questo fenomeno, ma per tutti i fenomeni biologici (per esempio
nel rene – fenomeno del reclutamento).
Queste risultano essere quindi le caratteristiche passive: tutto ciò che succede se prendiamo
un muscolo, così come abbiamo preso l’elastico, e lo tiriamo.

LEVA ISOMETRICA E LEVA ISOTONICA


Ora cerchiamo di studiare il muscolo nella sua funzione, cioè quella di contrazione.
Introduciamo le due strutture principali con cui si è studiato il muscolo (ce ne sono tanti altri):
leva isometrica e leva isotonica.

Figura 8
Incominciamo con la leva isometrica.
La leva isometrica è una struttura nella quale il muscolo viene fissato ai due capi, osseo e
tendineo (il muscolo deve essere isolato, ovviamente); è presente un trasduttore di forza (in
basso); la vite micrometrica non serve solo per sostenere il muscolo, ma anche per variare la
lunghezza del muscolo stesso; possiamo collegare il muscolo ad uno stimolatore, con cui
possiamo variare molti parametri (intensità della stimolazione, frequenza con cui stimoliamo il
muscolo). Attraverso la leva isometrica, una volta fissata la lunghezza del muscolo, se esso
viene stimolato, il muscolo si contrae e avremo il verificarsi di quei fenomeni di contrazione e di
eccitazione. I sarcomeri sviluppano forza, il muscolo si contrae, ma siccome i capi del muscolo

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sono tenuti a lunghezza costante, il muscolo viene mantenuto in contrazione isometrica. Quindi
la leva isometrica rappresenta un sistema attraverso il quale possiamo cambiare la lunghezza
del muscolo, ma una volta raggiunta questa lunghezza e facciamo contrarre il muscolo, si
contrae sempre ed invariabilmente con una contrazione di tipo isometrico. Nella leva
isometrica il lavoro sviluppato sarà 0.
Un altro modo per studiare il muscolo è quello di farlo contrarre dando però al muscolo modo di
accorciarsi oppure di allungarsi, simulando le condizioni che possono verificarsi comunemente.
Per fare ciò si utilizza un altro tipo di leva: la leva isotonica.
Disponiamo di un trasduttore di pressione, il muscolo viene collegato ad esso o viene
sottoposto ad una forza, contro la quale il muscolo viene fatto contrarre. Il sistema è in grado,
attraverso un sensore che valuta lo spostamento del capo del muscolo, di valutare quale sia la
velocità con cui il muscolo si contrae. Siccome la forza contro cui il muscolo si contrae è decisa
da noi (possiamo quindi modificarla a nostro piacimento), allora il muscolo si contrae
isotonicamente.
Mentre nel primo caso andiamo a vedere qual’è la forza che si sviluppa quando il muscolo
viene tenuto ad una lunghezza costante, nel secondo caso vogliamo vedere qual è il grado di
allungamento o accorciamento del muscolo quando si contrae con una forza costante, in modo
tale da poter valutare la velocità di allungamento o accorciamento.

DIAGRAMMA FORZA-TEMPO: MIOGRAMMA DELLA FORZA


SINGOLA
Incominciamo con un muscolo che è tenuto ad uno stato di contrazione che è di tipo isometrico

Figura 9
Questo esperimento ci darà modo di andare a vedere la forza che un muscolo esprime quando
viene stimolato con una scossa singola. Cos’è la scossa singola? La scossa singola è la
sollecitazione di 2-3 millisecondi che noi elargiamo al muscolo tramite il nostro stimolatore. È
una scossa unica e viene chiamata anche onda quadra.

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Figura 10
Se in ordinata abbiamo l’intensità dello stimolatore (Is), nell’istante t=0 forniamo una scossa
singola di una certa entità. Sul nostro stimolatore sarà presente un tasto, lo pigiamo e
otteniamo un unico stimolo (2-3 millisecondi). Casa succede? La lunghezza a cui fissiamo il
muscolo è a nostra scelta (vedremo poi più precisamente quale) e l’intensità della scossa deve
essere inizialmente bassa. Notiamo che inizialmente il diagramma mostra “nessun cenno di
vita”. Cosa facciamo? Aumentiamo l’intensità della stimolazione, lasciando l’onda quadra così
com’è. Noteremo quindi la comparsa di un segnale (vedi grafico); se stimoliamo con
un’intensità ancora maggiore vedremo un curva come in figura, e così via… . La fase iniziale
rimane sempre la stessa, ma si raggiunge un picco di forza più alto;ma questo muscolo può
essere stimolato ad intensità sempre maggiori? No, notiamo infatti che se fornisco intensità di
stimolazioni sempre maggiori, la forza non aumenta, rimane sempre la stessa. Che cosa
abbiamo notato quindi? A partire da valori bassi di stimolazione, se stimolati con intensità
crescente, dapprima la forza espressa aumenta sempre, poi si arriva ad un certo valore in cui
essa non aumenta più. Come mai si verifica questo fenomeno? Abbiamo studiato lo scorso
semestre il fenomeno del tutto o nulla (una fibra muscolare è stimolata o non lo è). Ma, come si
concilia il fenomeno del tutto o nulla con il fatto che se io ho un muscolo a cui fornisco
stimolazioni sempre superiori osservo una risposta graduale?
La spiegazione risiede nel fatto che io sto osservando un muscolo; un muscolo è costituito non
da una fibra, ma da 100, 200…fibre; ogni fibra possiede la propria soglia di attivazione (la
soglia di attivazione dipende dalle caratteristiche elettrogeniche della membrana; non tutte le
membrane biologiche sono uguali fra di loro). Quando stimolo ad intensità gradualmente
superiori cosa succede? Gradualmente raggiungo la soglia per tutte le fibre (prima ne recluto
10, poi altre 10, poi altre 10…fino a quando arrivo ad un livello di intensità di stimolazione tale
per cui le ho reclutate tutte); a questo punto si verifica il fenomeno del tutto o nulla, che fino ad
ora c’era, ma non era visibile (fibre con soglia diversa). Una volta raggiunta la soglia per tutte
le fibre, anche se aumenta l’intensità della stimolazione la risposta del muscolo non varia più.
Ho ottenuto la forza di contrazione massimale del muscolo stimolato con scossa singola. Nel
caso in cui io volessi aumentare ulteriormente l’intensità della stimolazione, si forma una quota
di energia in eccesso sotto forma di calore che va a ledere il muscolo.

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Figura 11
Nel grafico notiamo tre tipi diversi di muscolo: G = gastrocnemio, S: sartorio, LR: muscolo
oculare (forse). Cerchiamo di descrivere il fenomeno: in tutti e tre i casi la curva della forza (o
tensione) aumenta, raggiunge un picco massimo e poi decresce. La cinetica della salita è più
rapida della cinetica della discesa; la cinetica della discesa dipende dal tipo degli elementi
intracellulari (viscosi) della cellula.
Nell’immagine notiamo un caso in cui all’interno della cellula vi sarà materiale più viscoso,
quindi i filamenti di actina e di miosina, che durante la fase di rilasciamento slittano gli uni sugli
altri per ritornare alla loro posizione iniziale, incontrano una maggiore resistenza viscosa
(resistenza viscosa: vedi sangue – resistenza laminare).
In alcuni muscoli la forza viene espressa molto rapidamente e altrettanto rapidamente si torna
ad una condizione iniziale. Altri muscoli impiegheranno più tempo. Il tempo richiesto per
passare dalla tensione 0 alla tensione massima è il tempo di contrazione; esso risulta variabile
tra i vari muscoli. Si passa da una condizione di 7,5 millisecondi ad una di 90-100 millisecondi.
90-100-150 millisecondi è il tempo di contrazione di un muscolo antigravitazionale
(quadricipite, sartorio,muscoli del dorso); invece, un muscolo lento, composto prevalentemente
da fibre rapide di tipo 1-A, avrà un tempo di contrazione molto breve. Possiamo quindi
classificare i muscoli anche in base alla velocità di contrazione (si nota dal diagramma della
scossa singola). Nell’immagine possiamo notare una relazione tra la velocità di accorciamento
e l’attività della miosina ATP-asi, perché abbiamo già osservato che l’ATP-asi è quell’enzima che
sulla testa della meromiosina pesante funge da sito di aggancio con l’actina; tanto maggiore è
l’attività dell’ATP-asi, tanto maggiore sarà la velocità con cui il muscolo si contrae. Questo
fenomeno di tipo meccanico ha un riscontro anche dal punto di vista biochimico-funzionale.
Nell’immagine 9 possiamo notare il miogramma della scossa singola o diagramma tensione-
tempo (ricorda: tensione = forza). In realtà il muscolo non viene stimolato con la scossa
singola; nella realtà abbiamo visto che nelle vie del sistema nervoso, a livello di un nervo
motore, se viene mandata un’informazione, essa non è rappresentata da un impulso ogni tanto
(tipo alfabeto Morse), ma da un treno di impulsi d’azione. Tanto maggiore è la frequenza di
questa scarica, tanto più elevato sarà il grado di stimolazione (informazione più significativa).
Come si comporterà quindi il muscolo? Per studiare tale fenomeno possiamo sempre utilizzare
la leva isometrica, ma questa volta forniamo una serie di scosse ripetute a distanza di tempo
variabile. Forniamo una prima scossa, notiamo che la forza dal grafico aumenta e poi
progressivamente diminuisce; se mentre l’intensità della forza diminuisce forniamo una
seconda stimolazione, il muscolo si contrae nuovamente e noteremo un andamento come in
figura. Possiamo fornire nuovamente una scossa e così via… Quindi possiamo fornire diverse
scosse a frequenza variabile.
Se noi forniamo delle scosse con frequenza temporale molto accentuata, non facciamo altro
che dare la possibilità al muscolo di contrarsi e rilasciarsi tranquillamente. Nel momento in cui
arriva la seconda scossa il muscolo risulta già rilasciato e il si contrae e si rilascia come se non
ci fosse un treno di impulsi ma una successione di scosse singole distanziate fra di loro. Se però

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ravviciniamo fra di loro queste scosse (come in figura), notiamo che non si da il tempo alla
forza di diminuire completamente ma si stimola nuovamente dove la forza stava “scendendo”.
L’effetto della nuova stimolazione si somma a quello precedente. Il risultato che otteniamo
prende il nome di clono muscolare o tetano incompleto. Più elevata è la frequenza di queste
stimolazioni più ravvicinate saranno le onde di oscillazione della forza. Se arriviamo ad una
frequenza di stimolazione molto elevata (per esempio superiore ai 10 Hz a temp. ambiente),
notiamo che la forza non diminuisce.
Osserviamo il disegno:

Figura 13
Importante ricordare che non solo si verifica la fusione (mantenuta e protratta per tutta la
durata della stimolazione) ma anche che la forza espressa nelle condizioni di contrazione
tetanica è superiore rispetto a quanto si osserva nella scossa singola (vedi immagini seguenti).
A questo punto viene spontaneo chiedersi: “che strano! Ho sempre lo stesso muscolo, lo
stimolo con la stessa intensità di stimolazione, l’unico parametro che vario è la frequenza.
Perché la forza espressa dalla materia contrattile deve cambiare? Come mai? Vedremo in
seguito il perché (elementi elastici).”
Un parametro importante per lo studio di questi fenomeni è la temperatura, sia perché è in
grado di far variare il Q10 (varia la velocità di reazione di tutti i processi biochimici, compreso
ATP - ADP), sia perché determina una modificazione delle caratteristiche meccaniche (ricorda:
sangue-viscosità; la viscosità aumenta con l’abbassamento della temperatura). Se svolgiamo lo
stesso esperimento a diverse temperature notiamo una differenza sorprendente. A 4 °C
notiamo che la forza si raggiunge ugualmente (in realtà poco meno) ma il processo risulta
molto più lento, sia in salita che in discesa. La forza raggiunta non è esattamente la stessa,
perché, essendo il fenomeno più lento, c’è un maggiore attrito viscoso e un po’ della forza
sviluppata dal muscolo viene dispersa per vincere gli attriti viscosi interni. L’aumento della
temperatura corporea, più frequente rispetto ai casi di ipotermia, può causare un aumento di
velocità di tutti questi processi.

MODELLO BIOMECCANICO DEL MUSCOLO


Qual è l’analogo biomeccanico del muscolo? Osserviamo le immagini: dapprima quella a
sinistra. Notiamo un modello analogo di un circuito elettronico.

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Figura 14
In rosso notiamo la materia contrattile (zone del muscolo in cui si ha la contrazione, cioè il
punto di giunzione tra actina e miosina); in blu notiamo gli elementi elastici in serie; sono detti
anche elementi non smorzati. Essi si trovano nei tendini e anche all’interno del sarcomero (vedi
lezione precedente: braccia che collegano meromiosina leggera a meromiosina pesante).
Funzionano da molla. Come? Vengono stirati e la forza di cui necessitano per lo stiramento è
quella espressa dal legame stesso. Per allungare i capi bisogna spendere energia.
Dobbiamo inoltre pensare che i sarcomeri sono circondati da una serie di membrane (reticolo
sarcoplasmatico, sarcolemma,…); tutti questi elementi si trovano di fianco ai sarcomeri e
costituiscono quelli che si chiamano elementi elastici in parallelo. Essi sono rappresentati dalle
fasce connettivali, dalla titina e dalla nebulina (viste nella lezione precedente).
Il disegno rappresenta il muscolo rilasciato e mantenuto nella leva isometrica (non indicata per
semplicità. Sopra e sotto il muscolo risulta fissato). Quindi la distanza fra i due capi fissati alla
leva isometrica non varia. Se ora stimolo il muscolo, cosa succede? Il muscolo si contrae, ma è
fissato ai capi. La contrazione induce:
1. le fibre che compongono il sarcomero slittano le une sulle altre;
2. ogni sarcomero si accorcia.
Quindi la lunghezza totale della materia contrattile diminuisce. Siccome la lunghezza totale del
muscolo non varia, avremo un cambiamento degli elementi elastici in serie (si allungano); gli
elementi in parallelo non subiscono alcuna modificazione. Cosa possiamo affermare?
L’allungamento degli elementi elastici richiede una quota di energia che non giunge fino al
trasduttore impegnato nel misurare la forza. Il trasduttore quindi non misura la forza espressa
dalla materia contrattile, ma le forza espressa dalla materia contrattile meno la forza impiegata
per tirare gli elementi elastici.
RCORDA: nella leva isometrica, quando contraggo, non vado ad incidere sulla lunghezza degli
elementi elastici in parallelo, che quindi non assorbono energia.
Se però stimoliamo con una scossa ripetuta (Tetano), quindi con una frequenza molto elevata,
una volta che siamo passati da uno stato rilassato a quello contratto non diamo tempo alla
materia contrattile di rilasciarsi completamente e agli elementi elastici in serie di ritornare alla
loro lunghezza iniziale; se la frequenza di stimolazione è sufficientemente elevata, mantengo la
materia contrattile sempre contratta e gli elementi elastici sempre della stessa lunghezza. Essi
quindi non assorbono energia (diventano come delle “bacchettine rigide”) e quindi tutta la
forza espressa dalla materia contrattile viene trasmessa ai capi del muscolo. Ecco perché nel
caso del tetano noto una forza maggiore rispetto alla forza singola. Nel tetano sono in grado di
notare tutta la forza che la materia contrattile è in grado di sviluppare. Attenzione: quando la
materia contrattile si contrae la forza che essa esprime è la stessa, sia che io stia fornendo
una scossa singola sia che stia fornendo una scossa ripetuta o tetanica. La materia contrattile,
se stimolata ad una stessa intensità di stimolazione, esprime sempre la stessa forza. Questa
forza prende il nome di stato attivo. Graficamente:

Figura 15
La forza espressa dalla materia contrattile (Tetano o scossa singola) è sempre uguale ed è
chiamata stato attivo.

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Perché la forza che si esprime con la scossa singola e quella che si esprime con il tetano
assume valori differenti? Perché nel caso del tetano gli elementi elastici in serie sono stati
allungati, hanno assorbito tutta l’energia che dovevano assorbire, si comportano come delle
strutture rigide e tutta la forza espressa ai capi della materia contrattile la ritroviamo ai capi del
muscolo. Quindi nel tetano ho la migliore espressione della forza espressa dal muscolo. Nella
scossa singola la materia contrattile esprime esattamente lo stesso stato attivo ma notiamo
una forza inferiore perché la differenza è stata dissipata sotto forma di forza utilizzata per tirare
gli elementi elastici in serie (hanno assorbito quella quota di forza che non vediamo più).
Il clono si configura come uno stato intermedio (vedi figura 16). Nell’immagine è indicato il Ca2+
presente nel sarcolemma. Nella lezione precedente abbiamo osservato che esiste una stretta
relazione tra l’attività miosinica e la [Ca2+]. Quindi nella stato attivo il Ca2+ mioplasmatico è
sempre lo stesso (le linee rosse indicano i valori in cui si verifica lo stato attivo, che è uguale
all’attività ATPasica, che è uguale alla [Ca2+]).
La differenza è quindi puramente biomeccanica: nel caso del tetano diamo il tempo al muscolo
di raggiungere la forza (vedo la forza espressa ai capi del muscolo), nella scossa singola
fornisco una singola scossa, il muscolo si contrae e si rilascia. Il clono è definito tetano
incompleto: il meccanismo è esattamente quello del tetano, solo che la sequenza di
contrazione del clono è inferiore. Il grafico quindi mostrerà delle oscillazioni (il muscolo si
accorcia durante la contrazione ed in seguito tende a rilasciarsi e così via…). Maggiore è la
frequenza di stimolazione più il tetano diventa completo (fino alla fusione completa degli
elementi).

Figura 16 a

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Figura 16 b
In figura notiamo delle condizioni di scossa singola, tetano incompleto o clono. Possiamo notare
anche la forza che viene espressa: 1,5 4/5 grammi. La figura oltre a rappresentare l’andamento
della scossa singola e del tetano, ci dice anche che esiste un fenomeno ben noto (soprattutto
agli atleti) che prende il nome di fenomeno della fatica. La fatica muscolare è un fenomeno
biologico documentabile, rappresentato dalla diminuzione della forza espressa durante la
condizione tetanica. Se noi stimoliamo un muscolo a lungo osserviamo il fenomeno della fatica
muscolare, cioè: nonostante si vada a stimolare il muscolo, esso non riesce più ad esprimere la
stessa forza. Il fenomeno è legato sia al fatto che a livello del muscolo si assiste ad una
diminuzione delle scorte di Ca2+ sia al fatto che nel caso in cui si stimoli il nervo motore, anche
il nervo va incontro ad una diminuzione dei trasmettitori, quindi anche il fenomeno elettrico
diminuisce di intensità.
L’immagine ci rivela anche che non tutte le unità motorie si comportano allo stesso modo: per
esempio, le unità motrici rapide possono risultare più resistenti alla fatica (stimolazione
continuata – forza rimane elevata più a lungo); mentre vi sono fibre suscettibili alla fatica (fibra
più potente – forza maggiore ma durata inferiore).
In precedenza abbiamo citato un concetto che ora spiegheremo in modo più chiaro: spesso ci si
chiede se il muscolo si comporti come una serie di elementi in serie o in parallelo.

Figura 17
Un muscolo risulta costituito da vari fasci, il fascio è costituito da una fibra, le fibre sono
costituite da tante miofibrille, le miofibrille da tanti sarcomeri. Le fibre del muscolo sono fra loro
in parallelo. Se stimoliamo con la placca motrice, reclutiamo tante fibre una di seguito all’altra
che contraendosi tirano i capi del muscolo. È come se noi avessimo un grosso peso da spostare
a chiediamo l’aiuto si qualche amico (la stessa cosa che fanno le fibre che lavorano in
parallelo). Più fibre recluto più misuro ai capi del muscolo una forza crescente.
Ma, all’interno delle fibre i sarcomeri sono messi in serie fra di loro, uno di seguito all’altro,
quindi ecco che la forza totale espressa dal muscolo sarà uguale alla sommatoria della forza
espressa dalle singole fibre:
F(TOT)= Σ F singole fibre

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Se vogliamo che il muscolo diventi più forte, dobbiamo fare in modo che aumentino le fibre.
Un parametro importante è rappresentato dalla velocità con cui un muscolo si contrae. Ma la
velocità da cosa dipende? Da quanto è l’accorciamento del muscolo nell’unita di tempo. Tanto
più si accorcia, tanto più veloce sarà la velocità di accorciamento. L’accorciamento totale del
muscolo dipenda da quanto è l’accorciamento dei singoli sarcomeri. Se disponiamo di tanti
sarcomeri disposti in serie come nel disegno sottostante, avremo:

Figura 18
L’accorciamento totale del muscolo sarà la somma di tutti i singoli accorciamenti (in serie):
ΔI (TOT) = Δ I singole fibre
ΣΔ I sarcomero

Un muscolo normale, nella vita di tutti i giorni, si contrae per mezzo di una scossa singola, di un
clono o attraverso un tetano? Il muscolo scheletrico (ci rifacciamo sempre ai muscoli
scheletrici) si contrae tetanicamente, o con una forma di clono in effetti molto vicina ad un
tetano completo.
Si verificano quindi sempre dei treni di impulsi. Avremo: se la frequenza è elevata, una
condizione tetanica, se è un po’ più bassa (e ciò consente anche la modulazione) una
condizione di tetano incompleto o di clono di vario grado di fusione dei vari elementi (stimoli).
Tutti i muscoli si contraggono allo stesso modo? No. Vedremo in seguito qualche dettaglio sulla
muscolatura liscia (sist. circolatorio) e sul muscolo cardiaco (sia dal punto di vista elettrico che
meccanico).
Solo nel muscolo scheletrico si ha l’induzione tetanica. Nel muscolo liscio ciò si verifica in
maniera molto ridotta (abbiamo più che altro delle scosse sporadiche); non c’è nulla di simile al
tetano nel caso del miocardio. Perché? Perché la possibilità che nell’unità motoria del muscolo
scheletrico arrivi uno stimolo ad alta frequenza tale da indurre la condizione tetanica dipende
dal fatto che vi è una grossa differenza temporale tra la durata del potenziale d’azione e
l’aspetto meccanico del muscolo. Spieghiamo meglio: quanto dura un potenziale d’azione che
sta scorrendo su di un nervo motore e che arriva alla placca motrice? 1 millisecondo. È
velocissimo. Quanto tempo è necessario affinché una volta arrivato questo stimolo il muscolo
si contragga e raggiunga il picco di forza? (l’abbiamo visto prima - caratteristiche della forza
singola) varia tra i 10 e i 100 millisecondi.
L’evento elettrico è brevissimo, ma l’evento meccanico risulta più lungo poiché dobbiamo
innescare il rilascio del Ca2+, è necessario che il Ca2+ fuoriesca dalle cisterne, raggiunga il
citoplasma, attivi lo spostamento della troponina, si attivi ATPasi, si sviluppi energia chimica,le
teste della miosina si uniscono all’actina e si sviluppa forza. È un processo lento.
Capiamo quindi che il nervo motore ha la possibilità e il tempo di sommare tanti stimoli. Se
inviamo una stimolazione tramite il nervo motore che arriva al muscolo quadricipite e il tempo
di contrazione del quadricipite è di 100 millisecondi e ogni potenziale dura 1 millisecondo, in
teoria possiamo inviare 100 stimoli al muscolo. Questi si sommano ed inducono una condizione
tetanica. Nel cuore tutto ciò non avviene.

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Figura 19
Nel disegno (in nero) possiamo notare l’andamento del potenziale d’azione di una cellula del
miocardio ventricolare. Notiamo che sale rapidamente, ma non decresce allo stesso modo delle
cellula muscolare scheletrica. In questo caso abbiamo una fase di Plateau che dura fino a 200
millisecondi, dopo ciò il potenziale scende. (In rosso) notiamo la curva dell’andamento dello
sviluppo di forza della stessa cellula miocardiaca semplice del ventricolo: notiamo che la
durata dei due fenomeni, meccanico (rosso) ed elettrico (nero), è più o meno simile.
Ovviamente parte il fenomeno elettrico, seguito da quello meccanico. Ma il fenomeno
meccanico dura tanto quanto il fenomeno elettrico; entrambi durano circa 200-300
millisecondi. È un fenomeno estremamente importante perché, così come abbiamo studiato
che esiste un fenomeno di refrattarietà assoluta seguito da un fenomeno di refrattarietà
relativa nel potenziale d’azione, anche nel miocardio esiste un fenomeno di refrattarietà
assoluta seguito da un fenomeno di refrattarietà relativa.
Ciò è importante perché, mentre posso stimolare un muscolo fino a circa 700-800 stimoli al
secondo, il cuore ha una frequenza massima di circa 200 battiti al minuto.
Esiste una formula per calcolare la frequenza massima (molto empirica):
Frequenza massima = 220 c/min – età del paziente
Perché esiste questo valore di frequenza massima? Perché di più non si può, si va incontro a
patologia. Se la frequenza cardiaca è troppo elevata non si da tempo al sangue di riempire il
ventricolo durante la fase di diastole ventricolare. Se la frequenza è troppo elevata avremo un
ristagno venoso ed un aumento della gittata cardiaca (in seguito: flusso di sangue che in un
minuto viene espulso dai ventricoli).
È per questo motivo (affinché non aumenti troppo la frequenza cardiaca) che il fenomeno
elettrico ed il fenomeno meccanico vengono fatti sovrapporre, in modo tale che per tutta la
durata del ciclo cardiaco meccanico non sia possibile stimolare ulteriormente il ventricolo, così
che esso possa essere stimolato a contrarsi al massimo della frequenza (vedremo in seguito:
stabilita dalla durata del potenziale d’azione ventricolare – 200/250 millisecondi).
Nel muscolo liscio ritroviamo una situazione abbastanza intermedia; il potenziale è molto più
lungo (50-60 millisecondi) e il fenomeno della contrazione è molto più rallentato.
Ricapitoliamo ciò che è stato detto fino ad ora:
il muscolo può contrarsi in condizioni di scossa singola, di clono, o tetano; normalmente, nelle
condizioni di muscolo in situ, si contrae tetanicamente e ciò fa si che venga espressa la
massima forza. La differenza nella forza espressa dalla forza singola rispetto al tetano o al

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clono non sta nel valore della forza di contrazione (sempre uguale e corrisponde allo stato
attivo) ma dipende dal comportamento meccanico degli elementi elastici in serie.

DIAGRAMMA FORZA-LUNGHEZZA DEL MUSCOLO IN TOTO


Analizziamo la relazione che esiste fra la lunghezza del muscolo e la forza che il muscolo può
esprimere quando si contrae.
Se dispongo di un muscolo, esso esprime la stessa forza a qualsiasi lunghezza voi lo mettiate?
No.
Esempio: a seconda del peso che dobbiamo sollevare appoggiamo le braccia in modo
differente.
Le articolazioni in se non esprimono forza; a seconda di come esse di muovono variano la
lunghezza del muscolo. La lunghezza varia di poco (micron).
Vediamo se l’allungamento o l’accorciamento del muscolo prima della fase di contrazione
risulta significativa.

Figura 20
Per comprendere al meglio il grafico, dobbiamo pensare a come si svolge l’esperimento.
Prendiamo la leva isometrica e il muscolo in esame; inizialmente il muscolo risulta
assolutamente rilasciato; utilizzando la leva isometrica (vite micrometrica) allungo il muscolo e
osservo se il trasduttore di forza presente alla base registra sempre lo stesso valore o si
verificano dei cambiamenti. Si nota che se il muscolo viene tirato sempre più, otteniamo una
curva come in figura (pass.). la linea nera descrive le proprietà del muscolo passivo in termini
di F/l. Chi è responsabile dello di questa forza che si sviluppa? Non è la materia contrattile (è
rilasciata!); sono gli elementi elastici in parallelo (guaine connettivali, membrane
sarcoplasmatiche…). Essi si lasciano tendere, ma poi si oppongono a tale stiramento,
sviluppando una forza. Quindi tirando il muscolo dobbiamo vincere delle forze sviluppate dalla
componente elastica in parallelo. Il momento in cui incominciano a risultare tesi gli elementi
elastici, cioè il punto in cui gli elementi elastici incominciano ad opporre una certa resistenza,
prende il nome di L0 o lunghezza di riposo. Esso rappresenta la lunghezza intorno alla quale il
muscolo viene mantenuto quando si trova in situ attaccato ai capi ossei. Se noi prendiamo un
muscolo o lo tagliamo dalle inserzioni ossee il muscolo si accorcia. Normalmente in situ ha una
lunghezza superiore (L0 o lunghezza di riposo).
Immaginiamo ora di stimolare il muscolo attraverso una scossa tetanica. Cosa succede? Non si
esprime nessuna forza. Spengo lo stimolatore, allungo il muscolo passivamente, mi porto ad
una lunghezza superiore e stimolo nuovamente il muscolo, con la stessa modalità di
stimolazione precedente. Ottengo una forza come in figura (sopra). Posso svolgere questa
operazione più volte. In questo modo ottengo tanti punti di forza isometrica a varie lunghezze.
Se effettuo questo esperimento, ottengo una curva finale come in figura (sopra). È una curva
costituita da due componenti: una di queste è data dagli elementi elastici in parallelo che
abbiamo visto. Se dalla curva totale sottraggo la curva passiva ottengo un’altra curva (attiva).
Quest’ultima curva si riferisce al comportamento dei soli elementi contrattili. Nel muscolo in
toto sono presenti tutte e due contemporaneamente quindi otteniamo una curva finale (vedi
figura sopra). Essa però deriva dalla somma di due fenomeni:
1. allungando il muscolo mettiamo in tensione la materia elastica in parallelo;
2. il secondo fenomeno (che ora si analizzerà) dipende dalla materia contrattile.

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Tale comportamento si verifica anche se realizziamo lo stesso diagramma non sulla fibra
muscolare, ma fatto sul sarcomero.

Figura 22
La curva rossa che notiamo ci indica che all’aumentare della lunghezza la forza espressa dal
sarcomero sale, ma se si supera una certa lunghezza, addirittura scende. La lunghezza alla
quale abbiamo il massimo della forza è L 0, cioè è in coincidenza con quella lunghezza alla quale
si ha la messa in tensione degli elementi elastici in parallelo (in alcuni muscoli, non in tutti).
Vedremo che non in tutti i muscoli L0 corrisponde al picco di forza.
Come mai se noi prendiamo il sarcomero e lo facciamo contrarre a lunghezze diverse la forza
che il sarcomero esprime varia? La spiegazione deriva proprio dalla curva in figura. Ci dice che
alla lunghezza di riposo ottimale, se l’emisarcomero ha una lunghezza di 2,1/2,2 μm, le
molecole di miosina sono messe nella posizione ottimale rispetto a quelle di actina. Ciò
significa che i ponti di meromiosina pesante sono affacciati in modo ottimale rispetto ai relativi
siti presenti sull’actina. Cioè, a questa lunghezza, la probabilità che le teste delle miosina si
riescano ad attaccare ai siti recettoriale sull’actina è massima. Questa rappresenta la
configurazione anatomica ideale, alla quale è possibile agganciare il massimo numero di ponti.
Siccome la forza con cui le due linee Z del sarcomero vengono tirate verso il centro del
sarcomero dipende da quanti sono gli agganci tra actina e miosina, tanto maggiore sarà la
probabilità per questi ponti di formarsi, tanto maggiore sarà la forza che il sarcomero riesce ad
esprimere. Quindi alla lunghezza ottimale abbiamo la forza massima espressa. Se la lunghezza
del sarcomero viene ridotta, notiamo che la forza può essere ancora espressa ma arriva ad un
estremo in cui le teste della miosina sono messe rispetto ai ponti di actina in maniera del tutto
sbilanciata. Quindi non c’è la possibilità che si formino i ponti di actina e di miosina. Se invece
tiriamo troppo il muscolo notiamo che i punti attivi della miosina non vedono neanche quelli
dell’actina. Quindi se non stimoliamo il muscolo in queste condizioni non si attiva niente,
perché i ponti di actina e di miosina non riescono a fermarsi. La capacità del sarcomero di
sviluppare forza variabile data una stessa stimolazione in relazione alla lunghezza, dipende
dalla probabilità statistica di formare ponti attivi tra actina e miosina. Questo comportamento
,tipico del sarcomero, può essere esteso anche al muscolo in toto. La parte della curva in rosa
vale anche per il muscolo, con la differenza che nel sarcomero non esistono elementi elastici in
parallelo (essi sono le membrane del sarcolemma…). Se svolgo lo stesso esperimento con il
muscolo si presenta una complicazione, rappresentata dagli elementi elastici in parallelo. Essi
esprimono una forza, che verrà sommata alla forza degli elementi della materia contrattile per
ottenere il risultato finale (muscolo in toto).
Se effettuiamo questo esperimento attraverso l’utilizzo di una scossa singola avremo una curva
come in figura. Se invece decidiamo di stimolare con la scossa tetanica, otteniamo un’altra
curva, sempre visibile in figura. Abbiamo detto prima che se stimolo tetanicamente la forza
espressa è molto superiore rispetto alla forza che esprimo alla stessa lunghezza in condizione
di scossa singola.

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Abbiamo accennato prima che non tutti i muscoli sono uguali relativamente al fatto che ci sia
una buona analogia tra il picco di forza e L0. nell’immagine notiamo due diversi esempi:
gastrocnemio e sartorio.

Se invece analizziamo il grafico di un muscolo semitendinoso vediamo una situazione così:

Il gastrocnemio è molto più protetto di quanto non sia il sartorio e di quanto non sia il
semitendinoso; tutto ciò dipende dalla forma della curva degli elementi elastici in parallelo.
Il totale è diverso nei tre muscoli. Nel semitendinoso, se allungo troppo il muscolo la forza
espressa è molto bassa. Il muscolo si lascia allungare molto. È facile a lunghezze troppo
elevate, spaccare il muscolo. Ciò non succede né nel sartorio né nel gastrocnemio, perché?
Poiché essendo rigidi gli elementi elastici in parallelo, questi sviluppano una forza elevata che
si somma alla forza che la materia contrattile è in grado di sviluppare. Quindi più il muscolo è
tirato più è difficile sottoporlo ulteriormente a tensione. Questo è un fattore importante di
protezione nei confronti di un troppo elevato grado di stiramento del gastrocnemio (molto
soggetto a stiramenti).

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