ID lezione ANA01
Data lezione 14 marzo 2011
Autore Davide Soldato
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Introduzione sull'apparato locomotore, cenni di embriologia.
APPARATO SCHELETRICO
• ASSILE: è la parte centrale costituita dalla colonna vertebrale e in cui includiamo la testa.
• APPENDICOLARE: formato dall’arto superiore e quello inferiore che sono ovviamente differenti ma
presentano delle analogie.
Per quanto riguarda l’articolazione dello scheletro assile con quello appendicolare avremo un cingolo che
collega ciascuna delle due estremità con l’asse che vengono detti cingolo scapolare e cingolo pelvico.
Abbiamo tre segmenti: un primo segmento che sarebbe il braccio che corrisponde alla coscia (entrambi
hanno un singolo osso) poi abbiamo l’avambraccio che corrisponde alla gamba (presentano entrambi due
ossa) e infine abbiamo un ulteriore snodo per il terzo segmento rappresentato dalla mano e dal piede.
Partiamo comunque dall’embrione alla terza settimana dal concepimento. La fecondazione, come
sappiamo, avviene all’interno delle tube. Dallo zigote che presenta un corredo diploide partono una serie di
divisioni successive che dureranno 4-5 giorni e porteranno alla formazione della MORULA; in questa
struttura le cellule si dispongono in modo da formare una cavità e avremo a questo punto una BLASTOCISTI
all’interno della quale si viene a formare uno strato di cellule centrali e uno strato di cellule periferiche.
Abbiamo inoltre una prima differenziazione: le cellule esterne serviranno a fare da supporto all’embrione e
prenderanno il nome di TROFOBLASTO mentre le cellule interne hanno il progetto dell’embrione e vengono
definite EMBRIOBLASTO.
Siamo ancora alla prima settimana dal concepimento. Si verranno a formare, a partire dall’EMBRIOBLASTO,
due strati di cellule: uno che guarda verso l’alto detto EPIBLASTO e uno che guarda verso il basso,
l’IPOBLASTO. Per fare maggiore chiarezza
possiamo dire che l’EPIBLASTO forma il
“pavimento” della cavità amniotica mentre
l’IPOBLASTO forma il “tetto” della cavità
vitellina. Tutto questo si verifica già durante
la seconda settimana dal concepimento.
dalle tube uterine fino alla cavità uterina dove comincia a scavare nella parete della cavità uterina per
compiere il processo di ANNIDAMENTO. Nel momento in cui avviene l’annidamento si ha l’effettiva
gravidanza: ad esempio una morula già formata potrebbe non trovare, nella cavità uterina, una situazione
consona ed essere espulsa ed eliminata con la mestruazione successiva senza che la donna venga mai a
sapere di essere stata incinta.
Avviene dunque l’annidamento mentre le cellule si sono già differenziate nel modo che abbiamo visto
precedentemente.
Alla terza settimana dall’epiblasto migrano delle cellule che si vanno a disporre tra l’epiblasto e l’ipoblasto:
questo è l’evento sostanziale che si verifica nella terza settimana.
L’embrione visto di profilo, a questo stadio, è una sorta di numero 8 dove le tre lamine si trovano più o
meno a metà; l’EPIBLASTO fa da pavimento alla cavità amniotica mentre l’ipoblasto fa da tetto al sacco
vitellino. Quando abbiamo l’inserimento del terzo strato avremo la differenziazione dei tre foglietti
embrionali definitivi: quello che sta in mezzo viene detto MESODERMA, quello che chiamavano ipoblasto
viene detto ENDODERMA e quello che chiamavano epiblasto viene a chiamarsi ECTODERMA.
ID lezione ANA02
Data lezione 16 marzo 2011
Autore Alessandra Rossetti e Francesca Scanzani
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Embriologia, formazione delle vertebre, colonna vertebrale, articolazioni
Alla terza settimana abbiamo l'embrione trilaminare, che presenta tre foglietti: quello che sta sopra è
l'ectoderma, quello che sta sotto è l'endoderma, poi dall'ectoderma migra un foglietto intermedio, il
mesoderma. Il mesoderma è quello che darà origine all'apparato locomotore.
Il mesoderma presenta una struttura transitoria sulla linea mediana che prende il nome di NOTOCORDA. Lo
sviluppo di questa struttura provoca una reazione, diventa un induttore. L'ectoderma sovrastante inizia a
differenziarsi: la porzione che si trova al di sopra della notocorda si ispessisce e questo ispessimento prende
il nome di PLACCA NEURALE. La zona al di sopra della
notocorda prende il nome di NEUROECTODERMA. Sulla
placca neurale si forma un solco, che prende il nome di
SOLCO NEURALE. Successivamente le estremità della doccia
formano due sporgenze, le CRESTE NEURALI, che sono
destinate e riunirsi sulla linea mediana a formare il CANALE
NEURALE. Questo canale sarà tanto più lungo quanto più
crescerà l'embrione.
ripiegamento laterale provoca la formazione di due emicavità in posizione ventrale, separate sulla linea
mediana ma destinate ad unirsi per formare un'unica grande cavità che è la cavità peritoneale. Questo
avviene contemporaneamente alle modifiche che avvengono al livello dell'ectoderma.
Contemporaneamente il mesoderma parassiale andrà a formare una struttura che prende il nome di
somite, che è un blocchetto di mesenchima indifferenziato. Il numero di questi somiti aumenta man mano
che si sviluppa l'embrione.
Intorno al neuroectoderma, il mesoderma si dovrà organizzare per formare la struttura ossea che circonda
il midollo spinale, cioè le vertebre.
Il sacco vitellino, in virtù della cavità celomatica in formazione, si va via via restringendo. Dal momento che
il bambino scambia con la placenta le sostanze di cui ha bisogno, il sacco vitellino si riduce e viene utilizzato
dalle strutture del tubo digerente. Il mesoderma a ridosso dell'intestino primitivo sarà quello della
splancnopleura.
LO SCHELETRO
• ossa piatte;
• ossa corte
Il tessuto osseo è un particolare tipo di tessuto connettivo e si forma sempre da un connettivo preesistente.
Distinguiamo l'ossificazione in diretta e indiretta:
• ossificazione indiretta, detta anche encondrale (o endocondrale) che riguarda le ossa che derivano
da un preesistente modello cartilagineo che viene sostituito.
I SOMITI
In generale, dove troviamo una sporgenza, un promontorio, una protuberanza, una spina, qualcosa di
appuntito e sottile, questo si sarà formato nel momento in cui l'osso era ancora deformabile; lì ci sarà
l'inserzione di una struttura che tirava, un tendine, un muscolo che si attacca lì e tira, provoca una trazione
che gradualmente andrà a modellare e a formare una sporgenza.
Quindi abbiamo un soma, un centro pieno, un arco vertebrale (o neurale), all'altezza della giunzione tra il
corpo e l'arco avremo un processo costale (una massa laterale) e posteriormente impari mediano un
processo spinoso o spina.
La spina è uno dei punti di ossificazione su cui andrà a formarsi l'osso definitivo e dove originariamente
c'era tessuto cartilagineo. Può capitare che il processo di ossificazione sia incompleto e che posteriormente
si venga a creare un anello incompleto, con diversi livelli di gravità (spina bifida). A questo livello succede
che il tubo neurale, non adeguatamente contenuto, tende ad adeguarsi alla forma dell'arco e quindi si
forma una dilatazione: la morfologia e la funzione del midollo spinale da quel livello in giù possono risultare
compromessi.
COLONNA VERTEBRALE
Il nostro corpo poggia su una struttura che non è dritta ma presenta delle curvature
che servono per scaricare meglio il peso a terra senza gravare sulle basi. In alto c'è la
testa: le ossa della testa non sono tutte piene ma sono forate, altrimenti non
avremmo la forza di reggerla. Un altro problema sarebbe trasportare la gabbia
toracica e gli organi. La colonna deve sostenere un grosso peso; sono soprattutto i
muscoli superiori che devono essere molto sviluppati per reggere il peso del tronco
che altrimenti cadrebbe in avanti.
Sul piano frontale osserviamo che lateralmente abbiamo quei processi costiformi,
presenti bilateralmente in tutte le vertebre con delle peculiarità tipiche di ciascun
segmento osseo. Guardando di profilo si possono vedere invece i processi posteriori, le spine o processi
spinosi. Anche qui vedremo delle differenze nei vari segmenti.
Nell'immagine vediamo il
prototipo di una vertebra vista di
profilo, dall'alto e in proiezione
posteriore. Vista di profilo
abbiamo il corpo (1), che è
grossomodo come un cilindro, con
un profilo laterale curvo,
posteriormente invece è concavo.
Poi abbiamo l'arco vertebrale (2). Tra l'arco e il corpo c'è un peduncolo di attacco (3). L'altezza della
vertebra è maggiore dell'altezza del peduncolo: a livello del peduncolo il suo margine inferiore presenta
una curvatura più accentuata di quella superiore. Immaginando di assemblare una vertebra sull'altra,
questa incisura corrisponderà all'incisura superiore della vertebra sottostante (meno accentuata).
Un'incisura con un'altra incisura formano un foro, il foro intervertebrale. Questo foro metterà in
comunicazione l'interno con l'esterno, qui passano i nervi spinali; a ogni livello ne avremo un paio, uno che
uscirà a destra e uno a sinistra. Inoltre abbiamo le masse laterali (4) che contengono i processi trasversi.
Posteriormente c'è la lamina (5) che presenta il processo spinoso. Nella massa laterale abbiamo un
processo articolare superiore (uno per lato) e ci sarà un omologo nella faccia inferiore. I processi articolari
superiori si articolano con la vertebra sovrastante, gli inferiori con la vertebra sottostante, quindi tengono
unite le vertebre.
Questi processi (processo articolare superiore e inferiore) avranno delle superfici articolari con cui si
articolano con le vertebre contigue. Queste articolazioni si chiamano zigapofisi: sono quelle apofisi che
hanno l'articolazione che serve per tenere accoppiate la vertebra superiore con quella inferiore. Sono delle
superfici articolari e sono quindi superfici di contatto tra queste faccette articolari. A livello del corpo, sulla
faccia superiore del corpo e sulla faccia inferiore, è presente il disco intervertebrale. In questo caso
l'articolazione è data da una struttura interposta fisicamente e che quindi fa da contatto tra un corpo
vertebrale e l'altro. Nella massa laterale inoltre, oltre ai processi articolari superiori e inferiori (i processi
articolari su una singola vertebra sono quindi 4: 2 sopra e 2 sotto) ci sono i processi trasversi. Nell'arco
distinguiamo il peduncolo (che forma il foro intervertebrale), la massa laterale (dove ci sono processi
articolari superiori e inferiori, che possiamo chiamare zigapofisi, e i processi trasversi) e la lamina.
Posteriormente c'è, impari mediano, il processo spinoso.
LE ARTICOLAZIONI
essere la tipologia di giunzione che si può venire a creare tra queste due estremità ossee destinate a venire
in contatto:
2. Se invece non c'è la cavità ma c'è un tessuto che unisce le due ossa allora
parliamo di SINARTROSI. Le sinartrosi le chiamiamo in base al tipo di tessuto
connettivo interposto:
ID lezione ANA03
Data lezione 18 marzo 2011
Autore Giulia Leoni
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Vertebre cervicali, vertebre toraciche, vertebre lombari, osso sacro
La scorsa lezione abbiamo detto che le vertebre hanno un corpo e un arco neurale o vertebrale e nell’arco
hanno un punto di attacco che è il peduncolo. C’è la massa laterale sulla quale agiscono le forze di trazione
esercitate dai muscoli nella fase in cui l’osso è ancora plastico, malleabile. Queste forze provocano la
formazione dei processi trasversi. Posteriormente c’è un
fronte robusto, il processo spinoso, che è impari mediale.
Fra un corpo vertebrale e l’altro c’è un dispositivo a
cuscinetto costituito da una struttura a lamelle concentriche
che perifericamente è più densa (1) e che circoscrive una
zona centrale, il nucleo polposo (2), che ha una consistenza
più molle e gelatinosa.
Nel caso in cui il perimetro fibroso del nucleo polposo, per traumi o sollecitazioni eccessive, si dovesse
sfilacciare, può provocare, specialmente in soggetti giovani in cui il nucleo polposo è fresco e non
sclerotizzato, la fuoriuscita del nucleo stesso nel perimetro esterno. Questa erniazione è chiamata ernia del
disco che, a seconda del punto di rottura e quindi della direzione dell’ernia, può essere del tutto silente e
quindi non dare problemi (l’ernia del disco silente si scopre soltanto con una risonanza o una tac fatte per
altre cause) oppure, se va a comprimere il nervo in uscita, può provocare una sintomatologia dolorosa.
La presenza di materiale interposto tra le due ossa comporta una continuità tra le ossa stesse e perciò si
parla di sinartrosi, che in questo caso è una sinfisi.
• legamento longitudinale anteriore (5): va dalla base dell’osso occipitale al sacro. L’osso occipitale
è quell’osso che forma la parte posteriore della scatola cranica, ma che ha le caratteristiche di una
vertebra modificata. In un certo senso può essere considerata la prima vertebra. In una vertebra
abbiamo un corpo, l’arco vertebrale con le due masse laterali e il processo spinoso. L’osso
occipitale è una vertebra un po’ particolare poiché si è avuto uno sviluppo notevole
dell’equivalente del processo spinoso che si è fuso con le masse laterali dando origine a una
formazione ossea che è la squama dell’occipitale (le vedremo in dettaglio);
• legamento longitudinale anteriore che ricopre la faccia anteriore dei corpi vertebrali;
• legamento longitudinale posteriore che ricopre la faccia posteriore dei corpi vertebrali;
VERTEBRE CERVICALI
L’idea di base che si deve avere sulle vertebre cervicali è che hanno il corpo, l'arco vertebrale, i processi
trasversi e il processo spinoso.
l’arteria vertebrale che attraversa i fori di 6 delle 7 vertebre cervicali e, arrivata alla prima vertebra
cervicale, entra nella fossa cranica posteriore attraverso il grande forame occipitale (ad esempio, in
una doccia ossea altrettanto netta ci passa un tendine che sarà frequentemente sollecitato dalla
contrazione del muscolo, anche in questo caso si hanno delle tracce molto precise);
Un’altra caratteristica delle vertebre del segmento cervicale è che nel corpo il margine anteriore sporge un
po’ in basso, andando a coprire, in parte, il corpo della vertebra sottostante. Le vertebre cervicali tipiche
sono C3-C4-C5-C6, quelle che fanno eccezione sono atlante (C1), epistrofeo (C2) e C7.
Atlante (C1)
Sulla faccia superiore dell’arco posteriore c’è il solco per l’arteria vertebrale, quella che era entrata
attraverso i fori vertebrali. Quest’arteria si muove dal basso verso l’alto, entra nella sesta vertebra
cervicale, cioè alla base del collo, e sale nei fori trasversi di tutte le cervicali. Arrivata all’atlante, l’arteria
attraversa entrambi i fori trasversali, gira intorno alla massa laterale e va a collocarsi sulla faccia posteriore
dell’arco superiore. Pulsando, l’arteria modella l’osso e crea questo solco.
Sulla faccia interna dell’arco anteriore (faccia posteriore dell’arco anteriore) è presente una faccetta
articolare.
La faccetta articolare superiore dell’atlante si articola con l’osso occipitale, ha forma allungata ed ellittica e
si chiama articolazione condiloidea, quindi le masserelle arrotondate e allungate dell’occipitale si chiamano
condili dell’occipitale.
Il dente ha una faccetta articolare sul versante posteriore e una su quello anteriore. Nelle masse laterali
sono presenti, superiormente la coppia delle faccette articolari superiori dedicate all’atlante, e
inferiormente e posteriormente la faccetta articolare inferiore per C3. Dal versante posteriore
dell’epistrofeo si vede che le faccette articolari superiori guardano in alto e leggermente indietro e quelle
inferiori, in basso. La spina è bifida, presenta due tubercoli.
Osso occipitale
ELIMINAZIONE DI STRATI
Togliendo il legamento
longitudinale posteriore si vede la
membrana tectoria, ai cui lati c’è
una parte profonda o accessoria.
• membrana tectoria;
• legamenti alari;
VERTEBRE TORACICHE
Vista dall’alto, una vertebra toracica tipica (qui la T6) ha i due processi articolari, le zigapofisi superiori, che
guardano posteriormente, mentre quelle inferiori guardano in basso, anteriormente.
Nella parte posteriore del corpo, fra il corpo stesso e l’attacco del peduncolo, iniziano a comparire due
faccette costali. C’è una faccetta costale per ogni processo trasverso, la faccetta trasversaria.
Per ciascuna costa, considerando che c’è una costa per lato, ci sono tre faccette.
Nelle prime vertebre toraciche il processo spinoso è diretto verso il basso e procedendo in senso distale il
processo spinoso diventa quasi orizzontale.
VERTEBRE LOMBARI
Il piano della superficie articolare guarda medialmente. A livello lombare si ha una curva a convessità
anteriore, quindi si parla di lordosi lombare.
OSSO SACRO
L’osso sacro, da ciascun lato, ha una superficie auricolare per l’osso dell’anca.
ID lezione ANA04
Data lezione 21 marzo 2011
Autore Francesca Gonnelli
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Sacro e coccige, gabbia toracica: sterno e coste, articolazioni
SACRO E COCCIGE
Riprendiamo dal termine della lezione precedente, quando ci eravamo lasciati parlando del sacro, e
concludiamo con il coccige.
Per quanto riguarda il sacro, il corpo centrale è costituito da 5 vertebre che sono fuse e che quindi
possiamo considerare, dal punto di vista funzionale, come un blocco unico. Di questo blocco unico va
sottolineato che anteriormente presenta una superficie concava, abbastanza liscia e regolare, nella quale si
osservano 4 coppie di fori, i FORI SACRALI ANTERIORI, che hanno una corrispondenza sulla faccia
posteriore. La base di questo blocco di vertebre è rivolta verso l’alto, mentre l’apice tronco è rivolto verso il
basso, cosicché l’apice del sacro corrisponde, a sua volta, alla base del coccige, che può essere anch’esso
considerato come blocco unico. Consta di un numero variabile di rudimenti di vertebre che possono essere
da 3 a 5; questi rudimenti di vertebre diventano sempre meno delineati andando verso il basso.
(Su questa parte dovremo ritornare, trattandola in maniera molto più approfondita, parlando dell’arto
inferiore, il quarto capitolo del nostro programma.)
Per ora ci limitiamo a dire che in questa parte del corpo, la PELVI, vengono a collocarsi tutti gli organi
pelvici, ovvero la parte distale del canale alimentare (retto e canale anale), in posizione posteriore,
l’apparato genitale femminile e la vescica, mentre nel maschio, sotto la vescica, si trovano la prostata e le
vescichette seminali.
Il primo riferimento di cui va tenuto conto trattando della zona sacro-coccigea è la prima vertebra sacrale,
la quale presenta una sporgenza in avanti, chiamata PROMONTORIO DEL SACRO; inoltre si individua la
porzione laterale, che è quella parte delle masse laterali di una vertebra che richiama, per quanto riguarda
l’embrione, il processo costale e che viene definita come ALA DEL SACRO; questa parte termina con la
SUPERFICIE AURICOLARE (con auricola si intende un’appendice laterale) che si articola, da ciascun lato, con
l’osso coxale (o osso iliaco), formando il BACINO.
LA GABBIA TORACICA
Adesso passiamo alla gabbia toracica: abbiamo la parte avanti che, assieme al suo contenuto, tende a farci
cadere in avanti, perciò si vede necessaria la presenza di robusti tiranti muscolari posteriori che sostengono
il dispositivo osseo del rachide, al fine di mantenere la posizione eretta.
Possiamo perciò concludere dicendo che la gabbia toracica è una struttura ossea dotata di una certa
mobilità, al fine di consentire l’atto respiratorio stesso.
Questa struttura è costituita da un osso centrale impari mediano, lo STERNO, su cui si inseriscono 12 paia di
COSTE, che quindi hanno un’inserzione anteriore sullo sterno e un’inserzione posteriore sul rachide, e in
particolare sulle 12 vertebre toraciche.
LO STERNO
2. CORPO DELLO STERNO: è decisamente più lungo del manubrio, cui si trova in posizione subito
sottostante, e arriva fino a quella che, in linguaggio corrente, è conosciuta come bocca dello
stomaco, ovvero fino alla parte svasata della parte anteriore della gabbia toracica, che è anche la
porzione più alta di tutto il profilo inferiore della gabbia stessa.
3. PROCESSO XIFOIDEO (dal latino “xifos” = pugnale corto): è una sporgenza inferiore, più o meno
appuntita, che si inserisce sulla parte inferiore del corpo dello sterno.
Per concludere, nel complesso, lo sterno funge da articolazione anteriore per l’estremità anteriore delle
coste.
Prima di passare ad analizzare quali coste si inseriscono nello sterno, è necessario soffermarsi sul punto di
passaggio tra manubrio dello sterno e corpo: questo punto, che corrisponde alle nostre tre dita trasversali,
forma un angolo, detto ANGOLO STERNALE o DI LOUIS, che è molto importante poiché, tracciando un piano
ideale che dall’angolo sternale va a incrociare posteriormente T4, cioè la quarta vertebra toracica, si divide
l’interno della gabbia toracica in due porzioni.
Lo spazio centrale della gabbia toracica, ovvero dietro al profilo dello sterno alla parte più anteriore delle
coste e delimitato lateralmente su ciascun lato dai polmoni, prende il nome di MEDIASTINO (o cavità
mediastinica), il quale è uno di quegli spazi topografici che, come la pelvi, contiene un certo numero di
organi interni. Questa area topografica si trova al di sopra del muscolo diaframma, il quale divide il tronco
in torace (superiore) e cavità addominale (inferiore). Grazie all’angolo sternale definito sopra, si individua il
piano che divide il mediastino in MEDIASTINO SUPERIORE (contiene l’arco dell’aorta, la prima parte
dell’arteria aorta, che di dirige da destra verso sinistra ed è disposto su un piano obliquo) e MEDIASTINO
INFERIORE (contiene il cuore).
[INCISO: in sede autoptica, per aprire la gabbia toracica si incide con la forbice lungo il margine sterno-
cartilagineo e si toglie quello che viene chiamato il PIASTRONE STERNALE con attaccate le cartilagini costali;
ciò permette una visione piuttosto ampia dell’interno della gabbia toracica.]
LE COSTE
Esternamente, è possibile individuare il passaggio tra manubrio e corpo dello sterno, andando a osservare
l’inserzione delle coste sullo sterno:
• la prima costa si inserisce decisamente sul manubrio e non è palpabile perché è sormontata dalla
clavicola;
• la seconda costa è la prima palpabile e si inserisce esattamente a cavallo tra il manubrio e il corpo,
perciò, individuata la seconda costa, si trova immediatamente anche il punto di passaggio tra le due
parti dello sterno, quindi l’angolo sternale. È perciò evidente che il mediastino superiore, proiettato
sulla parte anteriore del torace, è alto tre dita;
• la terza, la quarta, la quinta, la sesta e la settima costa si inseriscono lungo il margine laterale del
corpo dello sterno.
Dalla prima alla settima, le coste si definiscono STERNALI, poiché si inseriscono individualmente
lungo i margini laterali dello sterno;
• dall’ottava alla decima, le coste si inseriscono ognuna su quella precedente, ovvero la cartilagine
dell’ottava si inserisce su quella della settima, la nona sull’ottava e la decima sulla nona e perciò
sono dette ASTERNALI, poiché non hanno un attacco diretto, autonomo sullo sterno;
• l’undicesima e la dodicesima costa sono dette FLUTTUANTI, cioè non arrivano ad articolarsi e non
hanno la porzione anteriore che gira fino allo sterno.
In alcune etnie anche la decima costa può essere fluttuante; a questa possibile variazione possono
aggiungersi variazioni che comportano coste soprannumerarie, non visibili esteriormente né pratiche o
utili, ciononostante non creano problemi. Generalmente le coste soprannumerarie si ritrovano in partenza
dalle vertebre contigue a quelle toraciche (es. T7 o L1, L2), cioè laddove la porzione cosiddetta costale delle
vertebre, ovvero quella che origina i processi trasversi delle vertebre, si sviluppa in maniera autonoma e
quindi dà origine a vere e proprie ossa.
Fra le tre componenti dello sterno si trova un sottile strato di cartilagine, che però nel corso della vita tende
a calcificare, quindi nell’adulto e nell’anziano questa struttura diventa un osso unico.
[INCISO 2: la zona delle cartilagini costali é il punto in cui andrebbe effettuato il massaggio cardiaco proprio
per l’elasticità che la gabbia toracica ha a livello delle cartilagini costali; tuttavia, spesso, nonostante un
massaggio cardiaco correttamente effettuato, in sala anatomica si trovano fratture costali derivanti proprio
dal massaggio cardiaco stesso. All’altezza del mediastino inferiore si trova il cuore e in particolare circa il
65-70% della massa cardiaca si viene a collocare dietro lo sterno. Da qui l’utilità di effettuare il massaggio
all’altezza dello sterno.]
Adesso andiamo a focalizzare l’attenzione su quella che è la struttura delle coste, prendendo prima una
costa tipo, con delle caratteristiche di riferimento, e poi analizzando le eccezioni.
La prima costa, paragonata all’ottava, è decisamente più piccola, ha un raggio di curvatura più corto e
perciò è più curva. Il raggio di curvatura va aumentando dalla prima costa, che è la più piccola, fino a metà
torace, dove, a livello della sesta-settima costa, si raggiunge il massimo raggio di curvatura, per poi tornare
a ridursi fino alla fine, ma non certo come le prime coste (tra il torace e il collo c’è decisamente la parte più
ristretta della gabbia toracica, perciò la prima costa deve essere più corta delle altre).
Ogni costa è caratterizzata da un corpo e da due estremità: l’estremità posteriore presenta una TESTA,
quindi una porzione relativamente allargata, seguita da una parte che si assottiglia, il COLLO, e poi, in
corrispondenza di quello che viene chiamato ANGOLO COSTALE, c’è una piccola sporgenza che prende il
nome di TUBERCOLO COSTALE; al tubercolo della costa segue, con un raggio di curvatura variabile, il
CORPO DELLA COSTA, che termina nell’estremità anteriore.
L’estremità anteriore del corpo presenta una superficie finale piuttosto netta, che termina con un piccolo
incavo, abbastanza liscio e regolare, in cui si viene a porre la cartilagine costale, attraverso la quale le coste
si articolano allo sterno; perciò, ai margini dello sterno, la superficie delle coste è rivestita da cartilagine e a
questo livello i primi 2-3 cm della costa sono appiattiti.
La testa della costa presenta una superficie articolare che è composta da due porzioni: quella inferiore, più
ampia, e quella superiore; le due superfici sono separate da una cresta perciò, vista di profilo, la testa non è
perfettamente piana ma ci sarà una specie di rilievo che divide le due faccette articolari. Come abbiamo
detto, le faccette articolari della testa della costa si articolano con il corpo delle vertebre e, in particolare, la
superficie inferiore si articola con la vertebra dello stesso numero (es. il corpo della seconda vertebra
toracica si articola con la superficie articolare inferiore della testa della seconda costa) mentre la superficie
superiore si articola con il corpo della vertebra sovrastante, quindi la testa della costa si va ad articolare a
cavallo tra due vertebre contigue, con le dovute eccezioni. In linea di massima, per concludere, la cresta è
in rapporto con il disco intervertebrale.
Il tubercolo presenta una sporgenza che ci segnala l’angolo costale e che dispone di una faccetta articolare
con cui la costa si articola al processo trasverso della vertebra.
Tutte le coste hanno pressappoco la stessa disposizione spaziale, sono cioè disposte verticalmente, a
eccezione della prima che, come dicevamo, non è palpabile perché sovrastata dalla clavicola. La
disposizione verticale fa sì che andremo a descrivere un margine inferiore, un margine superiore, una faccia
esterna anteriore e una faccia interna posteriore che guarda all’interno della gabbia toracica.
Complessivamente quindi, le coste sono disposte verticalmente su di un piano pressoché orizzontale.
La prima costa fa eccezione alla disposizione delle altre e, chiudendo in alto la gabba toracica, è disposta
orizzontalmente sul piano orizzontale, perciò parleremo non più di margini superiore e inferiore, bensì di
facce superiore e inferiore e non più di facce interna ed esterna, ma di margini anteriore, convesso e
posteriore, concavo.
La seconda costa comincia a disporsi in maniera più obliqua finché, dalla terza in poi, tutte le coste sono
disposte in verticale.
I margini superiore e inferiore non sono uguali fra loro e perciò è possibile distinguerli perché queste ossa,
che sono metameriche (segmentali), devono accogliere tutti i vasi (vene ,arterie e nervi) che sono anch’essi
metamerici e passano in corrispondenza del margine inferiore: questo presenta un piccolo ma evidente
solco, il SOLCO COSTALE. A causa della presenza del solco, il margine inferiore appare più assottigliato e più
tagliente, mentre il margine superiore è più arrotondato e più spesso.
[INCISO 3: l’internista che deve effettuare quella che si chiama toracentesi infilerà l’ago in prossimità del
margine superiore, in modo tale da evitare di andare a forare un vaso o un nervo.]
MUSCOLO SCALENO ANTERIORE, che è un muscolo laterale del collo e che quindi, dai processi trasversi
delle vertebre cervicali, scende fino alla prima costa, e il MUSCOLO SCALENO MEDIO; è proprio fra queste
superfici rugose di inserzione per i due muscoli che si viene a collocare il solco per l’arteria succlavia.
Sulla seconda costa si inserisce un terzo muscolo scaleno, il MUSCOLO SCALENO POSTERIORE.
Davanti alla superficie di inserzione dello scaleno anteriore si trova un altro solco, meno evidente e meno
accentuato di quello dell’arteria succlavia, il SOLCO PER LA VENA SUCCLAVIA, che si trova in posizione più
superficiale e in prossimità della parte anteriore della costa, affiancato da un muscolo, il MUSCOLO
SUCCLAVIO.
L’arteria succlavia va verso il braccio passando sotto la clavicola, portandosi a livello del cavo ascellare
(diventa ARTERIA ASCELLARE) e poi nel braccio (ARTERIA BRACHIALE/OMERALE, dal nome dell’osso del
braccio, “omero”). Uno dei rami dell’arteria succlavia è l’ARTERIA VERTEBRALE che, passando all’interno dei
fori trasversari e attraverso il grande forame occipitale, contribuisce a vascolarizzare tutta la parte
posteriore dell’encefalo.
Sul corpo della prima costa, in corrispondenza del margine ottuso, si trova la superficie di inserzione
prossimale del MUSCOLO DENTATO ANTERIORE. Ovviamente esiste anche un muscolo dentato posteriore,
diviso in superiore e inferiore, che però tratteremo in seguito. In generale i dentati sono quei muscoli che
rivestono la superficie laterale del torace al di sotto del cavo ascellare.
Cenni di legenda dell’atlante: generalmente, negli atlanti, in blu si colora l’inserzione del muscolo, mentre
con il rosso si indica l’origine del muscolo. Convenzionalmente si tende a chiamare con il termine di
inserzione sia l’origine, sia l’inserzione vera e propria, talvolta precisando se si tratti di inserzione prossimale
o distale.
ARTICOLAZIONI
[Per quanto riguarda l’ultima parte della lezione, ho ritenuto opportuno riassumere in tabella tutte le
articolazioni che abbiamo incontrato fin’ora. N.d.F.]
SINARTROSI (non c'è soluzione di continuità) DIARTROSI (c'è soluzione di continuità: cavità)
Condilartrosi: articolazione tra due capi
ossei ellissoidali, uno convesso e uno
Sinfisi: articolazione tra due ossi continui separati da concavo.
cartilagine fibrosa. OSSO OCCIPITALE-ATLANTE
Immagini da www.medicinapertutti.altervista.org
2. Articolaz. Costo-vertebrali:
• testa-corpi vertebrali: artrodie (piane) (diartrosi doppie, tranne 1°,10°, 11°, 12°);
[INCISO 4: in sede autoptica questa articolazione si disarticola –in gergo si “sclavicola”- facendo attenzione
a non far uscire il sangue.]
[Tralascio la macabra visione dei medici che scommettono sulla riuscita della disarticolazione della coppia
sterno-clavicola!! Non me ne vogliate. N.d.F.]
ID lezione ANA05
Data lezione 23 marzo 2011
Autore Davide Soldato
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Muscoli del rachide.
La muscolatura longitudinale dorsale è quella che ci permette di mantenere una posizione eretta, deriva
dalla porzione epiassiale dei miotomi ed è un blocco muscolare esteso dal sacro alla base cranica. Abbiamo
poi un gruppo muscolare ventrale che deriva dalla parte ipoassiale dei miotomi (anche detta parte ventrale)
che però si sviluppa solo a livello delle vertebre cervicali ed è implicata nei movimenti della testa.
I due blocchetti rappresentano la muscolatura epiassiale del tronco e presenta un segmento più mediale e
uno più laterale; a questi due blocchetti arrivano le ramificazioni posteriori del nervo spinale. Davanti al
corpo vertebrale in formazione abbiamo altri due blocchetti che sono la muscolatura ipoassiale.
Osserviamo inoltre che lungo l’arto abbiamo i blocchetti che circondano il segmento osseo dell’omero e che
andranno a formare la muscolatura del braccio (che si dividerà in muscolatura flessoria ed estensoria). A
livello dell’avambraccio vediamo i due blocchetti, i due abbozi muscolari, che andranno a costituire la
muscolatura flessoria ed estensoria dell’avambraccio. Abbiamo poi lo sviluppo di un grosso segmento
muscolare servito dalla porzione ventrale dei nervi che forma a livello toracico la muscolatura intercostale.
A livello addominale avremo i muscoli larghi dell’addome. Questa sezione contiene dunque la muscolatura
epiassiale ed ipoassiale del tronco e gli abbozzi dei muscoli del braccio.
Si possono vedere i blastemi ipoassiali in mediale e in laterale e vediamo il nervo spinale che si forma dalla
congiunzione della radice anteriore e di quella posteriore. Il ramo primario di ciascun nervo spinale subito
dopo l’emergenza si biforca e avremo il ramo dorsale che va alla muscolatura epiassiale mentre il ramo
ventrale più grosso va alla muscolatura ipoassiale e poi va alla muscolatura dell’arto. Il numero 1 indica i
blastemi epiassiali, il numero 5 i blastemi ipoassiali per i muscoli prevertebrali del collo, il numero 6 nella
regione laterale del collo vede la presenza dei muscoli scaleni, il numero 9 è l’abbozzo del cingolo scapolare
mentre il numero 11 indica i blastemi estensorio e flessorio dell’arto superiore.
Muscoli spino-appendicolari
• muscolo gran dorsale: da T6 scende lungo le vertebre lombari arrivano fino alla cresta sacrale
media dove si inserisce sul margine superiore dell’osso coxale. L’inserzione appendicolare si ha
sulla faccia anteriore dell’omero sul labbro mediale del solco bicipitale;
2. strato profondo che comprende il muscolo elevatore della scapola (3) e il muscolo romboide (4)
• muscolo elevatore della scapola: dai processi trasversi delle prime 4 vertebre cervicali fino
all’angolo superiore mediale della scapola (quello dell’amico Giovanni ndD);
• muscolo romboide: dalle spine delle ultime tre cervicali e delle prime quattro toraciche fino alla
scapola.
Fascia lombo-dorsale: cerniera connettivale che ha complessivamente la forma di una losanga, presenta
inserzione sui processi spinosi a livello cervicale e toracico, sulla linea mediana (colonna) e continua
coinvolgendo l’osso sacro e anche l’osso coxale (nella parte posteriore dell’osso).
Muscoli toraco-appendicolari
Sono i muscoli che si trovano sulla regione anteriore. Questi muscoli uniscono appunto la porzione
anteriore dell’asse con le appendici.
La massa longitudinale della vertebra è inglobata dal foglietto profondo dell’aponeurosi lombo-dorsale.
Fra la cresta iliaca (osso del cingolo pelvico) e il margine inferiore dell’arcata costale abbiamo una regione
formata da due muscoli: uno è esteso in medio laterale ed è più laterale (numero 3 con profilo semilunare)
ed è posteriore rispetto ad un blocco muscolare che ha una pianta quadrata e possiamo immaginare come
un muscolo fusiforme. Questi due sono i muscoli che formando la parete lombare al di sotto dell’arcata
costale fino alla cresta iliaca: sono il muscolo quadrato dei lombi (numero 3, più laminare e posto più
posteriormente) e il muscolo psoas e dalle vertebre lombari va a terminare all’interno della pelvi e va verso
l’arto inferiore. Il numero 4 è il muscolo gran dorsale con il rivestimento in superifice della fascia lombo-
dorsale; passiamo alla regione anterolaterale dell’addome con i muscoli larghi dell’addome che sono tre:
uno più esterno, uno intermedio e uno interno; sono tre lamine muscolari da ciascun lato e dalla regione
lombare di ciascun lato vanno verso la linea mediana dove abbiamo una striscia longitudinale che sono i
muscoli retti dell’addome e qui arrivano i muscoli larghi dell’addome che sono i muscoli di rivestimento
antero-laterali della parete.
Muscoli spino-costali
• Dentato postero superiore: siamo a livello delle ultime cervicali e delle ultime toraciche. È un
muscolo inspiratorio (aiuta a sollevare le coste);
• Dentato postero inferiore: a livello lombare. Viene considerato come un muscolo espiratorio (aiuta
ad abbassare le coste).
Muscoli spino-dorsali
Sono i muscoli propri del dorso e vengono organizzati su tre piani differenti:
1. superficiale: sono muscoli lunghi che vanno dal sacro fino alla nuca. Questo strato viaggia al di sotto
dei dentati:
• massa comune: blocco muscolare che arriva fino al collo; viene anche detto erettore della
colonna o, ricordando le inserzioni, sacro-spinale. Da ciascun lato inizia con un blocco unico (a
livello sacrale ed iliaco) ma salendo si biforca in due linee muscolari: la linea più mediale viene
detta lunghissimo del dorso mentre la linea più laterale viene detto ileo-costale. Molti
considerano un terzo capo che invece noi
inseriremo nel gruppo dei muscoli intermedi;
• interspinosi;
• intertrasversi;
ID lezione ANA06
Data lezione 24 marzo 2011
Autore Francesca Giustozzi
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Muscoli propri del dorso, muscolatura sub-occipitale e prevertebrale del collo,
Argomento
muscoli del torace: toraco-omerali, propri del torace, diaframma.
Come già detto nella scorsa lezione, i muscoli spino dorsali sono disposti su tre piani, uno superficiale, uno
intermedio e uno profondo.
Strato superficiale
La massa comune (o erettore della colonna o sacro spinale) è così chiamata perchè la linea di inserzione
coinvolge non solo i processi spinosi delle vertebre lombari, ma anche l'osso sacro (cominciamo a
coinvolgere come punto di origine o di inserzione l'osso iliaco, l'osso dell'anca o coxale). In questo muscolo
si possono distinguere due masse che si dirigono verso l'alto e che sono una più mediale e una più laterale:
• l'altra ha un’inserzione rispetto al lunghissimo un po’ più laterale; essa va ad inserirsi sugli angoli
costali: è il muscolo ileo- costale.
Per altri autori questo bidente è in realtà un tridente perché considerano nell'erettore della colonna non
solo questi due segmenti muscolari ma anche un altro mediale, il muscolo spinale, che invece in questa
classificazione che stiamo facendo vi inserisco nel secondo strato perchè la sua estensione non è
equiparabile a quella degli altri due.
Strato intermedio
Lo strato intermedio comprende muscoli di estensione intermedia, minore rispetto a quelli dello strato
esterno. Questi collegano vertebre distanti tra di loro 3 o 4 segmenti vertebrali.
Quelli che vanno dai processi spinosi ai processi spinosi di quattro vertebre lontane li chiameremo muscoli
spinosi o spinali; quelli che vanno dai processi trasversi ai processi spinosi di 3-4 vertebre lontane li
chiameremo trasverso-spinali.
I muscoli spinali, collegando i processi spinosi ai processi spinosi, sono abbastanza prossimi alla linea
mediana, cioè sono para-mediani, si trovano subito medialmente rispetto alla massa laterale dello strato
superficiale. Abbiamo il muscolo spinale che possiamo sottocapitolare in spinale del dorso, del collo e del
capo; con gli ultimi due arriviamo alla regione cervicale.
I trasverso spinali uniscono i processi trasversi ai processi spinosi; la loro direzione rispetto agli spinali è un
po’ più obliqua: quanto più la loro direzione, a causa della loro inserzione, è obliqua tanto più questi
muscoli oltre ad estendere la colonna conferiranno anche dei piccoli movimenti rotatori. Nei trasverso
spinali abbiamo questi sottogruppi ( io non ve li chiederò!): semispinale e multifido.
Strato profondo
Lo strato profondo è costituito da muscoli rigorosamente segmentali, che uniscono una vertebra con quella
immediatamente contigua, secondo tre modalità diverse:
• i trasverso spinosi collegano processi spinosi-processi trasversi; hanno una componente di tipo
rotatorio.
Per completare c'è un altro muscolo che unisce S4, S5 con il coccige ed è il muscolo sacro-coccigeo.
Nella testa abbiamo quattro muscoli che ci interessano. Ci concentraimo su quella vertebra particolare che
non è una vertebra ma gli assomiglia molto come organizzazione, che è l'osso occipitale. Abbiamo
anticipato alcune cose dell'occipitale: il grande forame dell'occipitale, i condili dell'occipitale per
l'articolazione con l'atlante, la protuberanza occipitale esterna (sporgenza che potete palpare sulla vostra
nuca). Da questa protuberanza occipitale esterna partono due linee arcuate a concavità verso il basso, che
costituiscono la linea nucale superiore. Quest'ultima termina lateralmente dietro l'orecchio, sulla
bombatura ossea che è il processo mastoideo dell'osso temporale.
Altro argomento controverso nell'organizzazione sono le fasce di cui vediamo solo un anticipo:
nell'immagine alla pagina seguente ci sono tre colori fondamentalmente: il blu-viola esterno, il verde e una
fascia profonda grigia che sta a ridosso delle vertebre. Secondo un‘organizzazione europea noi parliamo di
fascia cervicale superficiale, media e profonda. Sul Gray per esempio troverete solo quella profonda ma in
questa vengono distinte una componente superficiale, una pretracheale e una prevertebrale.
Come abbiamo visto gli spino appendicolari , quì abbiamo i toraco omerali, che sono i muscoli più esterni;
poi come abbiamo visto gli intrinseci dorsali, quì abbiamo gli intrinseci del torace. Un discorso a parte
merita il diaframma.
MUSCOLI TORACO-OMERALI
Abbiamo quattro muscoli tra i toraco omerali: uno piu esteso, ampio che ha una linea di inserzione lungo la
linea mediana del manubrio del corpo dello sterno e una linea di inserzione alla clavicola, al 3° medio di
questo osso. Le lamine muscolari di questo muscolo, dall'alto e dal basso, convergono lateralmente e vanno
a finire all'omero: è il gran pettorale, omologo del gran dorsale. Esso si inserisce sul versante latero laterale
del solco bicipitale dell'omero; è un muscolo che ricopre gran parte della superficie superiore del torace.
Sotto al muscolo grande pettorale è presente il piccolo pettorale che ha un inserzione molto piu ristretta: si
inserisce solo su tre coste e non arriva come il grande pettorale sull'omero ma si ferma piu medialmente a
una sporgenza della scapola. Sul margine superiore della scapola vedremo che c'è un grosso processo un
po' inclinato in basso che si chiama processo coracoideo della scapola, dove si inserisce non solo il muscolo
pettorale ma anche altri due muscoli che vedremo in seguito.
Fra il grande pettorale e il piccolo pettorale, ognuno rivestito da una propria fascia connettivale, c'è un
piano di clivaggio: è uno spazio virtuale dato da due strutture che sono avvicinate ma non stanno accollate
tanto da non poter essere separate. Si può clivare per via smussa, senza ricorrere a un bisturi. Questa
inoltre, è una tasca naturale usata dai cardiologi per posizionare il pacemaker che si mette quando il cuore
non ha un ritmo regolare. Per rendere ben clivabili le fasce muscolari sui cadaveri, bisogna usare una
miscela di formalina, glicerolo e alcool.
Sotto la clavicola c'è un muscolo piccolo che si chiama succlavio. Sulla prima costa abbiamo l'arteria e la
vena succlavia.
Infine abbiamo il dentato anteriore o gran dentato che dal margine mediale della scapola si inserisce con
delle lingue sulle prime 8-9 coste.
I muscoli propri del torace comprendono i muscoli intercostali, gli elevatori delle coste, i sotto costali e il
muscolo trasverso del torace.
I muscoli intercostali uniscono le coste tra loro: comprendono gli intercostali interni e gli intercostali
esterni. Ciascuno dei due non copre completamente tutta l'estensione della costa, cioè dalla testa della
costa fino allo sterno: uno degli intercostali, quello esterno, copre tutta la parte verso la vertebra, l'altro,
quello interno, copre tutta la parte verso lo sterno. L'intercostale esterno arriva posteriormente fino alla
colonna vertebrale ma anteriormente si ferma più o meno all'altezza dell'inserzione sulla costa della
cartilagine costale. Il tratto anteriore-mediale sarà coperto dall’intercostale interno che a sua volta non
arriva dietro.
Sulla faccia interna dello sterno e delle ultime coste abbiamo il muscolo trasverso del torace.
Andiamo ad analizzare le coste in sezione trasversale. Vediamo cosa succede tra queste due coste contigue.
Ricordiamo che il margine inferiore delle coste è quello più stretto, più appuntito, che presenta una piccola
scanalatura; in prossimità di questa scanalatura è inserito il fascio vascolo-nervoso VAN (vena-arteria-
nervo).
A è il gran dentato.
B è la fascia intercostale.
Quindi se dalla fascia endotoracica andiamo ancora più internamente troviamo il foglietto parietale
pleurico e ancora più dentro il viscerale. Il polmone è quindi rivestito da un foglietto di natura mesodermica
che, arrivato in prossimità dell'ilo, non può continuare quindi si riflette e si continua con il foglietto
parietale. Tra il foglietto parietale e quello viscerale c'è uno spazio virtuale riempito da pochi cc di liquido
pleurico prodotto dalle cellule di rivestimento della pleura.
MUSCOLO DIAFRAMMA
E’ una cupola muscolare che si trova cucita anteriormente all'interno delle coste; in avanti è inserito sulla
faccia interna dello sterno, posteriormente ha un inserzione sulle vertebre lombari. Al centro presenta una
componente tendinea che ha la forma di un trifoglio.
L'inserzione costale segue il profilo dell'arcata costale (arriva fino all'undicesima), mentre in prossimità del
passaggio tra il corpo e il processo xifoideo abbiamo la parte più alta dell'inserzione anteriore. L'inserzione
lombare è complessa.
Il diaframma funziona come principale organo della respirazione: contraendosi nella inspirazione, si
abbassa e quindi aumenta lo spazio della gabbia toracica. All'interno della gabbia toracica, della cavità
pleurica, c'è una pressione negativa: se aumenta lo spazio a pressione negativa all'interno della cavità
pleurica, il polmone con il foglietto viscerale che lo riveste, segue questa espansione della gabbia toracica e
l'abbassamento del pavimento che è il diaframma. Nella espirazione avviene l'inverso.
Il diaframma, oltre a funzionare come principale organo della respirazione, è una struttura di passaggio tra
la gabbia toracica e la cavità addominale: diverse strutture anatomiche attraversano questo muscolo.
L'aorta deve passare dal torace all'addome; la vena cava inferiore lo deve attraversare in direzione opposta
all'aorta perché deve portare il sangue venoso dagli arti inferiori al cuore; poi ci deve passare il tubo
digerente perché l'esofago, che inizia nel collo, si trova in mezzo al torace in quello spazio che si chiama
mediastino e deve attraversare il diaframma per entrare nello stomaco. Bisogna quindi vedere dove far
passare queste strutture.
A livello lombare il diaframma presenta delle inserzioni che si chiamano pilastri. Ci interessano le vertebre
che vanno da T12 a L4.
Dobbiamo sistemare tre coppie di pilastri. Abbiamo dei pilastri mediali, dei pilastri intermedi e dei pilastri
laterali:
• i pilastri mediali hanno delle origini asimmetriche: partono dalla faccia antero mediale del corpo di
L2, L3 , L4 nella parte destra, mentre nella parte sinistra solo a livello di L2 e L3. I pilastri mediali
formano poi un arco in alto rigorosamente tendineo e non muscolare: questo arco tendineo,
delimitato dai pilastri mediali, dà passaggio alla aorta addominale. Questo tendine mediale dopo
aver fatto l'arcata si incrocia e forma una sorta di numero 8, con una seconda arcata, muscolare
però: attraverso questa porzione muscolare passa l'esofago. Quello inferiore è lo iato aortico,
quello superiore è lo iato esofageo. Con l'aorta passa anche il dotto toracico, dotto principale della
linfa, mentre con l'esofago passa il nervo vago, uno di destra e uno di sinistra;
• a livello del corpo di L3 abbiamo un pilastro più sottile vicino a quello mediale, il pilastro
intermedio. Fra il pilastro mediale e quello intermedio c'è un piccolo spazio in cui si infilano due
nervi da ciascun lato: il grande splancnico e il piccolo splancnico, destinati agli organi interni. Ci
passa anche una vena: a destra la vena azigos, a sinistra la vena emiazigos;
• dal processo costiforme di L2 parte il pilastro laterale, il quale come si dirige verso l'alto, si biforca
in una arcata mediale, che si va ad inserire sul corpo di L2, e un'arcata laterale più lunga che va
sulla dodicesima costa. Abbiamo quì l'arcata dello psoas e l'arcata del quadrato dei lombi, i quali
formano la parete lombare posteriore e derivano dal pilastro laterale. Il quadrato dei lombi è
piuttosto appiattito ed esteso in senso latero-laterale, lo psoas è fusiforme, è piu mediale ed è a
ridosso della colonna vertebrale.
ID lezione ANA07
Data lezione 28 marzo 2011
Autore Rebecca Micheletti
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Zone del collo, mandibola e osso ioide, muscoli del collo
IL COLLO
LIMITI
• Superiore: margine osseo della mandibola, processo mastoideo e linea nucale superiore fino alla
protuberanza occipitale esterna.
• Inferiore: clavicola.
• Piano sottocutaneo
Piano sottocutaneo
Regione laterale
Tra il margine anteriore del trapezio e il margine posteriore dello sternocleidomastoideo si evidenzia una
regione triangolare, la fossa sovraclaveare, che ha come base il terzo medio della clavicola (la clavicola può
essere divisa in tre parti: sul terzo mediale si inserisce lo sternocleidomastoideo, sul terzo laterale il
trapezio) ed è rivestita da cute.
Al di sotto di questa fossa c’è un gruppo muscolare che appartiene alla regione laterale e si trova in uno
strato profondo. Sono i muscoli scaleni: lo scaleno anteriore, medio e posteriore. Tra lo scaleno anteriore e
medio passa l’arteria succlavia per uscire dalla gabbia toracica. Lo scaleno anteriore e medio si inseriscono
sulla prima costa. Lo scaleno posteriore si inserisce sulla seconda costa. L’inserzione prossimale avviene a
livello dei processi trasversi delle prime vertebre cervicali.
Medialmente allo scaleno anteriore c’è la vena succlavia quindi in ordine dal davanti all’indietro troviamo:
• vena succlavia;
• scaleno anteriore;
• arteria succlavia;
• scaleno medio.
MANDIBOLA
Sulla faccia interna del corpo, sulla linea mediana, si ha una sporgenza interna che è detta apofisi geni. C’è
poi una linea che decorre obliquamente dall’apofisi geni verso l’alto ed è la linea miloioidea che è
inserzione del muscolo miloioideo che farà da pavimento al cavo orale. La linea miloioidea divide la faccia
interna del corpo della mandibola in due porzioni: una inferiore in cui è presente la fossetta per la
ghiandola sottomandibolare, che si viene a trovare sotto il muscolo miloioideo. Questa ghiandola ha però
una propaggine posteriore che si va ad inserire lungo il bordo posteriore ibero del muscolo miloioideo. La
porzione superiore presenta la fossetta per la ghiandola sottolinguale.
La faccia interna del ramo della mandibola presenta il solco miloioideo che termina in corrispondenza di un
foro presente nel ramo della mandibola, il foro mandibolare, ed è il foro d’ingresso del nervo e dell’arteria
che entrano dentro al ramo e poi al corpo della mandibola e successivamente si suddividono per i singoli
alveoli. Questo foro è chiuso da una lamina ossea, la spina dello spyx, che il dentista va a cercare per
l’anestesia in caso di lavori su denti dell’arcata inferiore.
OSSO IOIDE
Regione anteriore
C’è il pavimento del cavo orale (sulla linea mediana del pavimento del cavo orale c’è un rafe, che è
l’equivalente del tendine intermedio di un muscolo digastrico, cioè il connettivo che unisce le due lamine. E’
il rafe del muscolo miloioideo che va dalla linea miloioidea all’osso ioide), la muscolatura della lingua, le
strutture cartilaginee della laringe che continuano con gli anelli cartilaginei della trachea.
Questa regione è suddivisa dalla presenza dell’osso ioide in regione sopraioidea e regione sottoioidea. Ci
sono quindi muscoli sopraioidei e muscoli sottoioidei.
Regione sopraioidea
E’ di forma triangolare ed è delimitata dal margine inferiore del corpo della mandibola e dall’osso ioide.
Comprende:
• il muscolo miloioideo;
• i muscoli genioioidei: si trovano sopra i muscoli miloioidei e vanno dalle apofisi geni all’osso ioide.
Sono muscoli cilindrici che si trovano all’interno del cavo orale;
• il muscolo stiloioideo: dal processo stiloideo del temporale all’osso ioide, ma prima di inserirsi
all’osso ioide si biforca e sotto questo tunnel passa il tendine intermedio del digastrico.
Dall’apofisi geni e dall’osso ioide originano anche due muscoli che fanno parte della muscolatura della
lingua: genioglosso ed ioglosso.
Regione sottoioidea
Comprende:
• il muscolo sternoioideo: dallo sterno all’osso ioide. Si inserisce sulla faccia interna del manubrio
dello sterno. Ricopre un secondo muscolo che non arriva all’osso ioide ma 4-5 cm più in basso, alla
cartilagine tiroidea della laringe ed è il muscolo sternotiroideo;
ID lezione ANA08
Data lezione 30 marzo 2011
Autore Sara Falzetti
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Regione anteriore e prevertebrale del collo, introduzione al cranio, osso
Argomento
occipitale.
1. Mm. Sottoioidei (dall’osso ioide alla fossetta del giugulo): fra di essi abbiamo operato una
distinzione, suddividendoli in:
• sternoioideo;
• sternotiroideo;
• tiroideo;
• digastrico;
• stilo ioideo;
• miloioideo;
• genioioideo.
Nota: la cartilagine della tiroide è articolata all’osso ioide tramite la MEMBRANA TIROIDEA (di natura
connettivale). La cartilagine in questione rientra fra le strutture cartilaginee della laringe, le quali
completano la parte anteriore del collo. Dunque la tiroide è un organo ghiandolare ma consta anche di parti
cartilaginee.
REGIONE PREVERTEBRALE
Composta da muscoli situati nella zona profonda del collo, direttamente addossati alla porzione anteriore
della colonna vertebrale. Sono:
a) muscolo lungo del capo (1): prende inserzione sui processi trasversi delle vertebre cervicali 3, 4, 5, 6
e a livello dell’occipitale, sul davanti del grande forame (ricordiamo che l’occipitale dà inserzione
anche ad altri muscoli);
[Premessa: gli scaleni sono posizionati ai lati dei processi trasversi, mentre i muscoli prevertebrali si trovano
anteriormente alle vertebre cervicali.]
• fascia superficiale;
• fascia intermedia;
• fascia profonda.
La fascia superficiale si trova al di sotto dello strato sottocutaneo; essa riveste tutto il collo. In
corrispondenza della linea mediana, la fascia aderisce alla lamina pretracheale. Lateralmente si sdoppia,
aderendo allo sternocleidomastoideo (che da essa è circondato); in seguito ritorna unica, per poi sdoppiarsi
ancora e avvolgere il trapezio.
In alto si fissa alla mandibola, al processo mastoideo e alla protuberanza occipitale esterna (a livello della
linea nucale superiore); in basso aderisce al manubrio dello sterno, al margine anteriore della clavicola e
alla spina della scapola.
Sopra allo sterno si sdoppia in due foglietti, delimitando uno spazio soprasternale. Sul davanti del trapezio,
in profondità, si originano dalla fascia superficiale, due prolungamenti i quali si connettono ai tubercoli
anteriori dei processi trasversi delle vertebre cervicali e si continuano con la fascia profonda.
La fascia intermedia è posta al di sotto della precedente, tra l’osso ioide e l’apertura superiore del torace.
Si sdoppia ed avvolge i muscoli sottoioidei (in particolare il più laterale, cioè l’OMOIOIDEO); più
profondamente si connette con la guaina che riveste gli organi del collo e il fascio vascolo nervoso
(ricoperto dalla guaina carotidea, con la quale la fascia si connette).
La fascia profonda origina dalla parte basilare dell’occipitale, si fissa anteriormente ai processi trasversi
delle vertebre cervicali, dove si connette con il prolungamenti della fascia superficiale; termina a livello dei
corpi delle prime vertebre toraciche. Sdoppiandosi in due foglietti avvolge lo scaleno e i muscoli
prevertebrali.
IL CRANIO
[Del cranio era stato introdotta solo la mandibola che, di esso, è l’unico osso mobile → articolazione
temporomandibolare = condilo]
Iniziamo con il dire che le ossa del cranio non sono “tutte piene”, ma conferiscono una certa robustezza alla
struttura.
1. NEUROCRANIO (o SCATOLA CRANICA), formato da ossa piatte che andranno a costituire la struttura
che accoglie l'encefalo. Si divide in:
• volta;
• base cranica;
2. SPLANCNOCRANIO: delimita cavità (nasale, orbitale, orale) che sono rivestite da mucosa.
È costituita dalla parte orbitale dell’osso frontale, dall’osso SFENOIDE, dal TEMPORALE e dall’OCCIPITALE.
scosceso, di detta piramide guarda la fossa cranica media, mentre quello più scosceso scende fino
alla fossa cranica posteriore.
• La fossa cranica posteriore accoglie il grande forame occipitale, in corrispondenza della sua base.
Tale cavità è la più ampia delle tre (costituisce il 50% dell’endocranio), ed anche la più profonda. È
separata dalla fossa cranica media da un “percorso in salita”: ciò è dovuto alla presenza del clivo
dell’occipitale (il midollo spinale arriva all’atlante, poi si addentra nella scatola cranica percorrendo
una struttura denominata NEVRASSE o TRONCO ENCEFALICO, lungo 8 cm, che poggia sul clivo
dell’occipitale: è proprio intorno al nevrasse che si sviluppa la massa encefalica).
Il cranio è come una conchiglia le cui valve sono costituite dall’occipitale e dal frontale, l’uno che fa da
contraltare all’altro.
[Repetita iuvant: “Nel complesso, le 3 ossa principali che compongono la scatola sono l’osso frontale,
l’occipitale e lo sfenoide, tutte e tre imparti mediane.”]
Ai lati del cranio si posizionano le ossa temporali (pari e simmetriche), nell’ambito dell’endocranio, in
corrispondenza delle fosse media e posteriore, ed anche le ossa parietali.
Nota: lo sfenoide è cavo al suo interno. Presenta un corpo cubico, sulla cui faccia superiore troviamo un
incavo, adibito ad accogliere l’ipofisi e denominato SELLA TURCICA. Lo sfenoide divide in due metà la fossa
cranica media (in pratica si hanno due pianure su cui scendono i pendii di tale rilievo centrale).
• la SUTURA METOPICA tra i due abbozzi del frontale (tale articolazione non sempre è presente);
• c’è inoltre una SINCONDROSI (che in età adulta ossifica) tra il corpo dello sfenoide e la parte
basilare dell’occipitale;
La superficie articolare del temporale consta della fossa mandibolare posteriormente, e anteriormente del
tubercolo articolare; la mandibola partecipa con la testa del condilo. Le superfici articolari, discordanti,
sono connesse da un disco articolare, a sua volta aderente alla capsula articolare è rinforzata dai legamenti
mediale e laterale; inoltre troviamo anche i legamenti STILOMANDIBOLARE e SFENOMANDIBOLARE, a
conferire maggior stabilità.
L’OSSO OCCIPITALE
Avevamo, in precedenza, schematizzato tale osso come una vertebra primitiva, che si sviluppa attorno ad
un asse (nevrasse). Potremmo supporre che la parte anteriore al grande forame sia il corpo vertebrale, ai
lati del grande forame si estendono due piastre ossee, equivalenti alla fusione fra processo spinoso e masse
laterali della presunta vertebra (in realtà si tratta del pavimento della fossa cranica posteriore = SQUAMA
DELL’OCCIPITALE). I processi trasversi, similmente, corrispondono ai condili (laterali).
È un osso impari e mediano, delimita posteriormente e inferiormente la scatola cranica; esso collega il
cranio al rachide, articolandosi con l’atlante. Attorno al grande forame occipitale distinguiamo 4 zone:
Esternamente (esocranio)
Troviamo la protuberanza
occipitale esterna, che si continua
fino al forame con la cresta
occipitale esterna e inserzione al
legamento nucale. Da tale
protuberanza si diparte la linea
nucale superiore (dà inserzione ai
muscoli dorsali del collo). Questa
linea divide in due parti la faccia
esocranica della squama in: piano
occipitale (sul quale risulta trovarsi la linea nucale suprema, appena accennata) e piano nucale. Su
quest’ultimo piano viene ad essere disegnata la linea nucale inferiore, parallela alla superiore.
La superficie esterna, a livello delle parti laterali, presenta i CONDILI DELL’OCCIPITALE, orientati in senso
antero-posteriore e latero-laterale, per l’articolazione con l’atlante (sono rivestiti da una capsula articolare).
Alla base di ciascun condilo, posteriormente, troviamo un foro, che dà passaggio alla vena emissaria, che va
nel canale condiloideo; lateralmente ai condili sono presenti altri fori, ovvero i CANALI DELL’IPOGLOSSO.
Al centro della faccia esterna, a livello della zona basilare, troviamo il TUBERCOLO FARINGEO, che è la prima
parte, ovvero l’inserzione, della faringe (PARTE OSSEA DEL TUBO DIGERENTE) sul cranio → base cranica.
Internamente (endocranio)
Troviamo l’eminenza cranica che è formata da un rilievo centrale, cioè la protuberanza occipitale interna,
da cui si dipartono 4 raggi: due sono trasversali e sono formati dai rilievi percorsi dai solchi per i seni
trasversi, e due verticali. Di questi ultimi vediamo che l’uno va fino al forame, ed è la cresta occipitale
interna; l’altro è un rilievo che accoglie il solco per il seno sagittale superiore.
I due margini superiori si articolano con le ossa parietali e sono detti margini lambdoidei; i margini inferiori,
mastoidei, sono divisi in due dal processo giugulare, davanti al quale vi è l’incisura giugulare a sua volta
divisa a metà dal processo intragiugulare. Andando ad articolarsi con l’atlante a questo livello, viene a
creare un foro, appunto detto giugulare, attraverso cui passa la vena giugulare interna che raccoglie il
“sangue sporco” proveniente dall’encefalo e che si porta fino all’atrio destro del cuore.
[Si precisa che il foro giugulare si forma per giustapposizione delle incisure del margine mastoideo
dell’occipitale e della piramide del temporale. È diviso in due dal processi intragiugulare: nella metà
superiore passa il nervo glosso-faringeo, mentre dall’altra parte scorre la vena giugulare e passano i nervi
vago ed accessorio.]
ID lezione ANA09
Data lezione 31 marzo 2011
Autore Francesco Gasparroni
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Osso occipitale, osso sfenoide, cavità orbitaria, fossa temporale,
Argomento
infratemporale e pterigopalatina.
Faccia esterna
La faccia esterna della squama, schematizzabile come una losanga, presenta la protuberanza occipitale
esterna, in corrispondenza della quale sulla faccia interna si trova la protuberanza occipitale interna.
Faccia interna
Sulla faccia interna si ha un incrocio avente come centro la protuberanza occipitale interna, posta circa a
metà tra il margine posteriore del grande forame occipitale e l'apice della squama: tale incrocio è costituito
verticalmente da un solco impari mediano che continua sulla
faccia interna della sutura sagittale tra le due parietali,
provenendo dalla squama dell'osso frontale; in questo solco
decorre la vena che porta il sangue refluo dell'encefalo. Si hanno
quindi per ogni lato due ingressi arteriosi e un'uscita principale,
che abbiamo identificato nel foro giugulare, alla delimitazione del
quale contribuisce il margine laterale della porzione basilare
dell'occipitale. Da questo solco se ne dipartono due trasversi, che
proseguono poi sulla faccia interna del temporale, formando una
“s”: si parla quindi di solco sigmoideo o seno sigmoideo. Il sangue
che arriva dalla linea mediana si porta dunque lungo i solchi
trasversi, esce momentaneamente dal margine dell'occipitale e va
nel temporale per formare il seno sigmoideo, dopodiché rientra al livello dell' incisura giugulare, un'ansa
che costituisce la parete posteriore del foro omonimo (foro giugulare). Da qui il sangue verrà scaricato sui
due lati nella regione laterale del collo, si raccorderà con quello proveniente dagli arti superiori, formando
le vene anonime o brachio-cefaliche di destra e di sinistra, dalla cui confluenza si avrà la vena cava
superiore, che drenando tutto il sangue della parte superiore del corpo (arti superiori, spalle, testa e collo)
torna al cuore, e precisamente all'atrio destro.
Si ricordi che la forma dell'osso occipitale è mimabile ponendo la mano con il palmo giacente su un piano
orizzontale e le dita su uno verticale, e fa da contraltare alla squama dell'osso occipitale, rappresentabile
con una mano posta specularmente nella medesima posizione.
LO SFENOIDE
Il corpo
Al centro dello sfenoide si trova il corpo, una sorta di cubo a sei facce.
2. La faccia posteriore invece non è visibile, in quanto su di essa si appoggia il clivus dell'occipitale.
3. Le facce laterali sono quelle che degradano da ciascun lato verso la parte più bassa del pavimento e
si continuano con le grandi ali.
4. Vedi punto 3.
5. La faccia inferiore è quella da cui si staccano i processi pterigoidei ed è rivolta verso la faccia
esocranica della base cranica.
6. La faccia anteriore guarda verso la cavità nasale e presenta due aperture irregolari, i seni sfenoidali
(paragonabili agli occhi del rapace), e al centro una cresta (il becco), la cresta sfenoidale, sporgente
un paio di millimetri che, vista di profilo in proiezione laterale, continua inferiormente e deborda
dal margine inferiore della faccia formando il rostro sfenoidale (parecchi atlanti considerano cresta
e rostro un tutt'uno), una piccola sporgenza sulla linea mediana che scende anche sulla faccia
inferiore. Anteriormente alla cresta prende inserzione la lamina che costituisce il setto nasale.
Il neurochirurgo, per rimuovere un adenoma ipofisario, entra da una fossa nasale in uno dei seni sfenoidali,
dopodiché non ha che da forarne il tetto, ossia il pavimento della sella turcica.
L'incavo denominato sella turcica, il cui profilo ricorda effettivamente una sella, presenta un margine
anteriore e uno posteriore: quest'ultimo presenta due processi.
La parte anteriore del corpo, estesa per circa 8-9 mm, prende il nome di giogo sfenoidale e termina con un
solco trasversale, il solco del chiasma ottico. Alle estremità di tale solco sono presenti due fori (uno per
lato), i fori ottici per i due rami del nervo ottico che, passando attraverso questi fori, vanno ad incrociarsi
sulla linea mediana: una parte delle fibre del nervo ottico di destra passa in quello di sinistra, e viceversa.
L'incrocio avviene al livello del solco del
chiasma (che proprio a ciò deve il suo
nome) dopodiché i nervi ottici
proseguono ai lati dello sfenoide, per poi
raggiungere il lobo occipitale del cervello,
precisamente l'area visiva.
chiasma o della porzione retrochiasmatica e provocando un restringimento del campo visivo, con quadri
clinici variabili a seconda della sede di compressione.
I fori ottici si trovano alla base delle piccole ali, che posteriormente terminano con dei processi triangolari, i
processi clinoidei anteriori. È dunque sotto di essi che sono scavati i fori ottici. All'estremità anteriore della
sella sono poi presenti i processi clinoidei medi e sul margine posteriore i processi clinoidei posteriori.
Scendendo lungo le superfici laterali del corpo si trovano gli attacchi delle grandi ali, che lateralmente si
continuano con le squame dei temporali, formando una concavità con risalita verso l'esterno, sia laterale
che anteriore. Ecco allora che le grandi ali sono poste su un piano inferiore rispetto alle piccole ali: queste
ultime infatti, in una veduta dall'alto sovrastano le prime. Si ricordi che il contatto tra grande e piccola ala si
ha solo lateralmente, mentre medialmente c'è la fessura orbitaria superiore.
Le grandi ali
• il foro ovale: si trova circa un centimetro più posteriormente e lateralmente rispetto a quello
rotondo. In esso passa un'altra branca del trigemino, il nervo mandibolare o mascellare inferiore;
• il foro spinoso: piccolo foro sito ancora più indietro e più laterale, deve il suo nome al fatto che si
trova nell'angolo posteriore della grande ala, dalla cui faccia inferiore si stacca la spina angolare;
• la spina angolare: si tratta di una laminetta ossea che scende verso il basso e dà inserzione a
qualcosa.
Le fosse della faccia esocranica stanno sotto la grande ala dello sfenoide.
La cavità della fossa pterigopalatina o sfenopalatina (i processi
pterigoidei fanno parte dello sfenoide, il prefisso pterigo- offre un
riferimento più preciso), in cui si apre il foro rotondo per il nervo
mascellare, è diversa dalla fossa infratemporale che ha come tetto la
porzione della grande ala in cui si trova il foro ovale per il mandibolare.
Quindi i due nervi, benchè divisi da uno spazio minimo, verranno a
trovarsi in ambienti completamente distinti.
LA CAVITA' ORBITARIA
La cavità orbitaria può essere disegnata schematicamente come due quadrati concentrici, i cui angoli siano
uniti da dei segmenti, a rappresentare prospetticamente un tronco di piramide, di cui il quadrato più
piccolo costituisce il fondo della fossa orbitaria, una superficie piuttosto ristretta. La base della piramide è
aperta. Nel disegno vengono inoltre delineate altre quattro superfici: una mediale, una laterale, un tetto e
un pavimento.
La superficie mediale può essere anche chiamata nasale e quella laterale temporale.
Il pavimento è dato sostanzialmente dall'osso mascellare (vedi lezioni successive), mentre il tetto
appartiene all'osso frontale, la cui parte orizzontale al di sotto della squama fa appunto da tetto alla cavità
orbitaria e da pavimento alla fossa cranica anteriore.
Nella parete laterale della fossa orbitaria vanno segnalate due fessure, le quali vanno a comporre una
forma a boomerang (o a “baffo della Nike”, cit. Barby):
1. la fessura orbitaria superiore (già citata nell'ambito della trattazione sulla fossa cranica media), che
si apre nello sfenoide tra la grande e la piccola ala, formando il braccio superiore del baffo;
2. la fessura orbitaria inferiore, che segna il confine tra la grande ala dello sfenoide (posteriore) e
l'osso mascellare (anteriore) formando il braccio inferiore del baffo.
Alla base della piccola ala dello sfenoide, ossia appena sopra la fessura orbitaria superiore, si apre il foro
ottico.
Lo sfenoide costituisce quindi parte della parete laterale della cavità orbitaria. Lo stesso sfenoide fa anche
parte della fossa cranica media. Va comunque ricordato che alla delimitazione di quest'ultima dà comunque
un contributo molto importante anche la squama del temporale.
Il margine infero-laterale della carità orbitaria è dato da un osso tozzo e irregolare, l'osso zigomatico, quindi
la grande ala dello sfenoide non arriva fino al bordo ma fino alla base della piramide.
Asportando l'osso zigomatico si può notare che la porzione orbitaria della grande ala, tramite una zona
rugosa che dava inserzione all'osso rimosso, si continua in realtà con la faccia laterale o temporale, con la
quale forma un angolo pressoché retto.
In una visione d'insieme di un cranio, risulta evidente che la grande ala dello sfenoide vanta dimensioni di
gran lunga inferiori rispetto alla squama del temporale. Per poter vedere bene la faccia laterale della
grande ala è necessario abbattere parte dell'arcata zigomatica, che si va ad articolare con il processo
zigomatico del temporale.
Tra la faccia mediale dell'arcata zigomatica e la parete laterale del cranio costituita
dalla squama del temporale e dalla grande ala, rimane uno spazio di 12-13 mm, in cui
si infila il muscolo temporale, uno dei quattro masticatori.
Il limite superiore dell'arcata zigomatica segna anche il limite della sovrastante f ossa
temporale. In essa, la faccia laterale della grande ala è
una superficie liscia, che non presenta fori o processi particolari. A voler
essere pignoli, da un punto di vista frontale, appare leggermente obliqua e
rientrante.
L'arcata zigomatica segna dunque il passaggio tra una zona superiore, la fossa temporale, molto estesa in
senso antero-posteriore ma poco profonda, e una inferiore che presenta una porzione laterale senza tetto
e una più mediale che invece ha come tetto la grande ala, che piega a 90 gradi formando una rientranza, e
da verticale diventa orizzontale, dopodiché diviene di nuovo verticale, continuandosi con il processo
pterigoideo. Si delinea così un profilo a sedia. A questo livello c'è l'apertura del foro ovale per il nervo
mandibolare.
Quindi la fossa temporale continua inferiormente con un'altra fossa, il cui limite è segnato esternamente
dall'arcata zigomatica e internamente dalla rientranza della grande ala dello sfenoide: si tratta della fossa
infratemporale. La cresta irregolare che la delimita nel
passaggio dalla parte verticale a quella temporale si
chiama cresta infratemporale.
Quindi dalla fossa temporale si scende in quella infratemporale, più profonda, e successivamente, tramite
la fessura pterigo-mascellare, nella fossa pterigopalatina, ancora più mediale.
È tuttavia importante ricordare che ci si trova sempre al di fuori della scatola cranica.
ID lezione ANA10
Data lezione 4 aprile 2011
Autore Martina Sbarbati
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Sfenoide, fossa temporale, infratemporale, pterigopalatina, osso palatino,
Argomento
cavità nasali, osso frontale, fossa cranica anteriore, etmoide.
SFENOIDE
Ricordiamo che stavamo parlando delle tre facce della grande ala dello sfenoide:
1) faccia endocranica laddove notiamo il foro rotondo il foro ovale il foro spinoso, mentre sul versante
esocranico:
3) faccia orbitaria che sarebbe la faccia temporale o laterale della cavità orbitaria.
Se consideriamo la faccia inferiore dello sfenoide si vede, guardandola da sotto, una lineetta ossea di
forma più o meno triangolare, molto sottile: è una lamina di 2 o 3 mm di base e di altezza, sottilissima, la
spina angolare, alla base della quale è localizzato il foro omonimo, cioè il foro spinoso. Dietro a questa
lamina si trova la base cranica, che a questo livello è costituita dalla fossa cranica media (quella per
intenderci che è divisa in due metà dal blocco del corpo dello sfenoide). Dalla faccia inferiore del corpo
dello sfenoide discendono i due processi pterigoidei, che sono uno per lato e si staccano dal corpo dello
sfenoide, allo stesso livello in cui si stacca la grande ala dello sfenoide. La faccia temporale della grande ala
dello sfenoide che è abbastanza liscia e regolare, simile a una parete verticale, a un certo punto presenta
una rientranza a livello della quale questa regione diventa più profonda andando in direzione latero
mediale. Il margine che segna il passaggio tra le due regioni si chiama cresta infratemporale, e si trova alla
stessa altezza dell'arcata zigomatica.
A livello della cresta infratemporale c'è il passaggio dalla fossa temporale alla sottostante fossa
infratemporale. Quindi, più in alto c’è la fossa
temporale, che è piuttosto alta in senso antero
superiore e si estende dall'osso frontale fino
alla squama del temporale, poi a livello della
cresta infratemporale abbiamo il passaggio
nella fossa infratemporale che invece è
decisamente più profonda, in direzione latero
mediale, della sovrastante fossa temporale.
Nella fossa infratemporale cominciamo a
intravedere grazie all’abbattimento dell'arcata
zigomatica, una fessura molto stretta: l’incisura
pterigoidea, che divide ogni processo pterigoideo (inizialmente emergenti dal corpo dello sfenoide come un
blocco unico), in una lamina laterale e in una lamina mediale, non in continuità l’una con l’altra.
FOSSA PTERIGOPALATINA
Se guardiamo il processo pterigoideo in proiezione laterale vediamo che, anteriormente a ciascuno dei due
processi pterigoidei, a pochissimi millimetri di distanza, c'è la formazione dell'osso mascellare. E allora si
viene a creare una fessura fra il processo pterigoideo e l'osso mascellare: si tratta della fessura pterigo-
mascellare, al cui interno è possibile isolare ulteriormente la fossa pterigo-palatina. Per cui dalla fossa
infratemporale troviamo che c'è un passaggio stretto che ci porta in questo ambiente, sito ancora più in
profondità e medialmente. Dunque c'è continuità tra queste tre fosse: fossa temporale, fossa
infratemporale, fossa pterigopalatina.
Se dalla fossa pterigopalatina mi sposto ancora più medialmente entro all’interno delle cavità nasali.
Consideriamo la sezione orizzontale dei processi pterigoidei. Hanno una forma ad anfiteatro, quindi
avremo una faccia concava e una convessa. La faccia concava è quella che guarda dietro mentre la faccia
convessa guarda in avanti. Subito al davanti dei processi pterigoidei dovremo immaginare la faccia convessa
dell'osso mascellare che guarda dietro, in modo tale che queste due facce convesse, del processo
pterigoideo e dell'osso mascellare, si fronteggino.
L’osso mascellare nel punto in cui fronteggia i processi pterigoidei ha una tuberosità, la tuberosità del
mascellare.
I processi pterigoidei sono costituiti da una lamina laterale e una lamina mediale. La lamina mediale, cioè
quella più interna, presenta in basso una sporgenza ossea: l'uncino pterigoideo, l'uncino intorno al quale a
mò di puleggia girerà il tendine di un muscolo che serve a rilevare il palato molle.
La regione tra l'arcata zigomatica e il processo pterigoideo indietro rappresenta la fossa infratemporale, e
più precisamente ci troviamo nel piano ideale che segna il passaggio tra la fossa temporale e la fossa
infratemporale.
La fossa pterigopalatina, molto stretta in senso antero posteriore, è delimitata da tre pareti: quella
posteriore sarebbe la faccia anteriore dei processi pterigoidei, quella anteriore è la tuberosità del
mascellare, la parete mediale è un osso simile a una lamina verticale. La fossa pterigopalatina (questo ve lo
chiedo spessissimo all'esame!) anche se piccola è strategicamente molto importante perché da qui noi
accediamo: alla cavità orale, alla cavità nasale e alla cavità orbitaria, quindi da lì passano le fibre nervose e i
vasi sanguigni diretti a gran parte dello splancnocranio.
Se con il pollice vi toccate il tetto della cavità orale sentite una superficie ossea, quello è il palato duro. Al
disopra del palato duro ci sono le cavità nasali.
Parte del palato duro è costituito dall’osso palatino. L’osso palatino è un osso pari,
formato da due componenti principali: una lamina verticale e una lamina orizzontale:
• la lamina orizzontale dell'osso palatino è delimitata lateralmente dalla sua lamina verticale. Le
lamine orizzontali delle due metà si uniscono sulla linea mediana, formando la parte più posteriore
del palato duro. Più precisamente diciamo che il terzo posteriore del palato duro è formato dalla
lamina orizzontale dell'osso palatino.
I due terzi anteriori del palato duro invece sono costituiti da una parte dell’osso mascellare chiamata
appunto processo palatino del mascellare. Per cui il terzo posteriore del palato duro è costituito dalla
lamina orizzontale del processo palatino mentre i due terzi anteriori dal processo palatino dell'osso
mascellare. I processi pterigoidei hanno la convessità rivolta in avanti e sono aperti posteriormente. Di
dietro c'è una fossa riempita da due muscoli, uno dei quali è un muscolo masticatorio, il muscolo
pterigoideo interno, che occupa la gran parte di questa fossa. L’altro muscolo parte dalla cavità
dell'orecchio medio, all'interno della piramide del temporale dove è localizzato l'ossicino del martello che è
uno dei tre ossicini della catena degli ossicini, e arriva a questo livello.
La fossa pterigopalatina non ha un pavimento, però c'è un tetto. Il tetto sarebbe una parte della grande ala
dello sfenoide. La grande ala dello sfenoide arriva più o meno alla stessa altezza dell'arcata zigomatica e,
come abbiamo detto, la cresta infratemporale delimita la parte verticale della grande ala dello sfenoide
dalla parte orizzontale, che rientra. Per cui voi immaginate che a livello della cresta: andando verso l'alto, ci
sia quella parte verticale che è la faccia
temporale della grande ala; andando
medialmente, ci sarebbe il tetto della fossa
pterigopalatina costituito appunto dalla grande
ala dello sfenoide. Subito alla base del processo
pterigoideo, c'è il foro ovale, mentre nel tetto
della fossa pterigopalatina abbiamo l'apertura
del foro rotondo. Quindi passando attraverso il
foro rotondo, della grande ala dello sfenoide
vengo a trovarmi nella fossa sfenopalatina o
pterigopalatina; passando un centimetro un po'
più indietro e più lateralmente, cioè passando
dal foro ovale, già non mi trovo più nella fossa
pterigopalatina ma mi trovo nella fossa
infratemporale.
Attraverso il foro rotondo passa un nervo molto importante che fa parte del V paio di nervi cranici, il
trigemino. Il trigemino, come vi suggerisce il nome, ha tre formazioni, cioè tre rami:
• il primo ramo del nervo trigemino è il nervo oftalmico (Va) che è destinato all'occhio, quindi deve
andare all'interno della cavità orbitaria e per andarci passa dalla fessura orbitaria superiore.
Attenzione anche il nervo ottico che è il II paio di nervi cranici è destinato all’occhio. Che differenza
c'è dal punto di vista funzionale tra il nervo oftalmico e il nervo ottico? Il nervo ottico è quello
responsabile della vista, il nervo oftalmico trasporta invece la sensibilità dolorifica;
• il secondo ramo del trigemino (Vb) si chiamo nervo mascellare, che passa dalla fossa cranica
media, passando attraverso il foro rotondo della grande ala dello sfenoide. Quindi il nervo
mascellare viene a trovarsi nella fossa sfenopalatina;
• il terzo ramo (Vc) si chiama nervo mandibolare, questo passa nel foro ovale e lo attraversa; in
questo modo viene a trovarsi al di sotto della grande ala dello sfenoide, in quella porzione della
fossa infratemporale che è coperta dal tetto, mentre l'altra porzione, quella che va dalla fossa
infratemporale all'arcata zigomatica, è a cielo aperto. La parte che presenta il tetto è alla base dei
processi pterigoidei, si vede benissimo che il foro ovale sta appunto alla base dei processi
pterigoidei. Il foro rotondo non ce la fate a vederlo perchè la fossa pterigopalatina è talmente
stretta che dentro non ci potete arrivare.
SFENOIDE (riassunto)
Faccia anteriore
1. Grande ala:
2. Fessura orbitaria superiore: sta tra la piccola e la grande ala dello sfenoide. Come dicevamo, il
nervo oftalmico attraversa la fessura orbitaria superiore per andare al bulbo oculare cioè al
contenuto della cavità orbitaria.
3. Piccola ala: si intravede alla base della piccola ala dello sfenoide, bello netto e rotondo, il foro
ottico, che raggiunge la cavità orbitaria e dà passaggio al nervo ottico, il quale passa all'interno
della scatola cranica sulla faccia superiore del corpo dello sfenoide dove c'è il solco del chiasma
ottico.
4. Processo pterigoideo:
• tra le due lamine (mediale e laterale) c'è l'incisura pterigoidea, che nel cranio completo non la
vedete come tale perché c’è un processo che si incastra e va a chiudere l'incisura pterigoidea: è
un processo corto e tozzo e ha la forma piramidale e si chiama processo piramidale dell'osso
palatino.
Guardando il cranio da dietro, in alto vediamo la faccia posteriore del corpo dello sfenoide, quella che in
realtà è coperta perchè ci si appoggia il clivo dell'occipitale, poi vediamo il retro dei processi pterigoidei.
Vediamo inoltre un’apertura simile a una finestra a due ante, che non è altro che la faccia posteriore della
cavità nasale, di cui noi osserviamo qui il margine posteriore che presenta al centro la spina nasale
posteriore. Notate che quest’apertura è divisa da un setto mediano. Poi abbiamo, ai lati di queste due
aperture, la concavità della fossa pterigoidea delimita dalla lamina mediale e dalla la lamina laterale dei
processi pterigoidei. Il suo fondo è rugoso in quanto dà inserzione al muscolo pterigoideo interno.
“La lamina mediale del processo con la sua faccia mediale delimita la parte posteriore della parete laterale
della cavità nasale, mentre con la sua faccia laterale delimita medialmente la fossa pterigoidea. La lamina
laterale con la sua faccia mediale delimita in fuori la fossa pterigoidea, mentre con la sua faccia laterale
partecipa alla formazione della fossa infratemporale.” Cit.
Subito dietro al pavimento della cavità nasale c'è la faringe, che collega la base cranica col tubo digerente, e
a questo livello siamo nella parte alta della faringe che si chiama rinofaringe che guarda nel naso, al di
sotto, divisa dal palato duro, ci sarebbe la orofaringe.
L'istmo delle fauci è una struttura muscolare, non ossea, che si va ad inserire sul margine posteriore
dell'osso palatino, quindi sarebbe il palato molle che si va ad inserire sul palato duro, e se voi guardate il
cavo orale dal davanti vedrete il profilo dell'apertura dell'istmo delle fauci. L'istmo delle fauci è la superficie
di passaggio tra la cavità orale e la retrostante orofaringe. Al piano superiore, troviamo un'apertura che si
chiama coane nasali, che segna il passaggio tra la cavità nasale e il retrostante rinofaringe. Il rinofaringe è in
continuità con l'orofaringe.
OSSO FRONTALE
L'osso frontale è il terzo osso impari mediano, è situato davanti allo sfenoide, ed è costituito da:
• una superficie orizzontale, che formerà il pavimento della fossa cranica anteriore.
L’osso frontale è un osso che, come osteogenesi, fa parte del neurocranio membranoso.
La faccia interna della squama presenta sulla linea mediana una cresta che, arrivata circa a metà altezza
nella squama, si sdoppia in un solco sagittale. Immaginate che continui in alto e indietro, con le due ossa
La faccia orizzontale costituisce il tetto delle cavità orbitarie sottostanti e rappresenta la fossa cranica
anteriore. Guardandola da sotto si apprezza bene la profonda incisura mediana che separa due superfici
abbastanza regolari e concave della cavità orbitaria.
La fossa cranica anteriore è quella meno profonda tra le fosse craniche. Il pavimento è dato dall'osso
frontale. Al di sotto abbiamo: ai lati, le due cavità orbitarie e al centro la cavità nasale, di cui finora abbiamo
parlato soltanto guardandola da dietro. La fossa cranica anteriore è delimitata posteriormente dal corpo
dello sfenoide e dal margine anteriore della piccola ala dello sfenoide. Osservate che al centro della faccia
orizzontale dell’osso frontale, l’incisura mediana è occupata da un osso bucherellato, l’osso etmoide, il
quale si incastra attraverso una lamina forata ,detta lamina cribrosa o cribra, in questa incisura del frontale
che prende il nome di incisura etmoidale, andando a costituire il tetto della cavità nasale.
ETMOIDE
L'osso etmoidale è un osso impari mediano. La lamina cribrosa dell’etmoide, che costituisce la bombatura
del pavimento della fossa cranica anteriore, è costituita da due laminette una a destra e una a sinistra; al
centro sporge una spigola, una lamina ossea che vista di lato ha un profilo triangolare, che assomiglia alla
cresta del gallo e si chiama apofisi crista galli.
1. una lamina orizzontale con al di sopra, sulla linea mediana, l’apofisi crista galli che sporge nella
fossa cranica superiore. La lamina orizzontale abbiamo detto che è forata (lamina cribrosa);
3. se adesso alle due estremità della lamina cribrosa immaginiamo di applicare due strutture solide,
due parallelepipedi, più o meno abbiamo presentato la quarta componente di questo osso: le
masse laterali dell'etmoide. Le masse laterali presentano la superficie laterale, che è liscia,
regolare, molto sottile, e il suo nome deriva dal fatto che gli antichi anatomici per descrivere
qualcosa di molto delicato avevano presente il foglio di papiro, allora l'hanno chiamata lamina
papiracea dell'etmoide.
ID lezione ANA11
Data lezione 6 aprile 2011
Autore Andrea e Mattia Brescini
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Osso frontale, osso etmoide, setto nasale, osso mascellare, osso palatino.
OSSO FRONTALE
• Seconda cosa da ricordare: la parte più laterale, esterna del tetto dell'orbita (formato dal frontale)
presenta un infossamento che dà alloggio alla ghiandola lacrimale, che è quindi collocata nella
parte più esterna della cavità orbitaria. Quando la ghiandola lacrimale viene stimolata alla
produzione delle lacrime vedremo che, da questa posizione laterale, le ghiandole si andranno ad
espandere per tutta la superficie anteriore dell'occhio, quindi del contenuto della cavità orbitaria, e
poi dalla cavità orbitaria sappiamo che (dato che quando piangiamo ci si riempie il naso) c'è un
canale naso-lacrimale che porterà queste lacrime a defluire nella cavità nasale.
• Sulla parte opposta a questa fossa per la ghiandola lacrimale, quindi medialmente, troviamo una
piccola sporgenza, una spina: questa spina, che si trova quindi sulla parte mediale del tetto, è
dovuta alla trazione che esercita a questo livello il tendine di un muscolo dell'occhio che gira
intorno a questa sporgenza, per cui si ha la formazione di questa struttura, che si chiama spina
trocleare; questo muscolo è il muscolo obliquo superiore, il cui nervo, quello che lo muove
(essendo un muscolo volontario), si chiama nervo trocleare ed è il IV paio di nervi cranici, quindi il
tendine gira intorno a questa spina che fa da puleggia e va sul muscolo che appunto si chiama
obliquo superiore.
OSSO ETMOIDE
Nell'immagine alla pagina seguente c'è un vecchio schema visto da davanti che rende conto di come è fatto
l'osso etmoide. Ci sono quattro componenti:
Dobbiamo considerare che la lamina perpendicolare è una superficie, quindi nello schema è un segmento
perché è visto dal davanti, però questa immagine è bella perché ci ricorda il rapporto fra la massa laterale
dell'etmoide e la cavità orbitaria.
Notiamo allora che l'osso frontale, che forma il tetto della cavità orbitaria, presenta una cavità che si
completa andandosi ad articolare con questa emicavità della massa laterale. La superficie laterale della
massa laterale dell'etmoide forma la parete mediale della cavità orbitaria, ed è liscia e sottile come un
foglio di papiro e prende il nome appunto di lamina papiracea, che quindi costituisce la maggior parte della
parete mediale, o se volete nasale, della cavità orbitaria. Sul versante laterale invece c'è l'osso zigomatico
sul bordo esterno, mentre se andiamo un po' più all'interno troviamo la grande ala dello sfenoide. Quindi
sul versante lato-temporale, cioè esterno, abbiamo la grande ala dello sfenoide; sul lato nasale abbiamo
invece la lamina papiracea dell'etmoide. Il pavimento è dato dall'osso mascellare: abbiamo detto che il
braccio inferiore del “baffo della nike”, e cioè la fessura orbitaria inferiore, è formato da un lato dal
mascellare, cioè la fessura orbitaria inferiore si trova tra il margine posteriore della superficie orbitaria
dell'osso mascellare e la grande ala dello sfenoide che sta dietro. La fessura orbitaria superiore invece, sta
tra la grande e la piccola ala dello sfenoide.
Riguardo la massa laterale dell'etmoide, abbiamo detto che la sua superficie esterna forma la parete
mediale della cavità orbitaria, ed è liscia. Invece sulla superficie interna, cioè quella che guarda all'interno
della cavità nasale, abbiamo un profilo osseo molto irregolare, cioè ci sono delle sporgenze.
Una cosa da notare è che la cavità nasale che vediamo è ovviamente una metà, perché la cavità nasale è
divisa in due dal setto nasale; inevitabilmente ognuno di noi ha il setto nasale un pochino deviato, per cui le
due cavità non sono mai identiche. L''unica cosa che manca nell'immagine è il pavimento della cavità
nasale, che però dobbiamo immaginare un po' più in basso rispetto al punto inferiore della lamina
perpendicolare dell'etmoide. Sotto manca una componente ossea ulteriore, cioè in basso il setto deve
essere completato da un altro osso che fra un po' vedremo. Il pavimento della cavità nasale, ovvero volta
della cavità orale, è il palato duro: il palato duro è formato da due parti ossee, di cui i due terzi anteriori
dell'osso mascellare, e il terzo posteriore è formata dalla lamina orizzontale dell'osso palatino.
Ritornando all'etmoide: le masse laterali sono molto vicine alla lamina perpendicolare, non le dobbiamo
immaginare molto distanti. La lamina cribra si intuisce appena perché è larga pochissimi millimetri; in alto
vediamo la crista galli; vediamo anche una struttura tozza che alla base ha queste due piccole ali dovute
all'inserzione di strutture all'interno della fossa cranica anteriore che stirano l'osso. Poi vediamo il blocco
delle cellette etmoidali, queste cavità pneumatiche vuote dove passa l'aria, e si intravede sulla superficie
esterna, un po' tangenzialmente, la superficie laterale liscia che è la lamina papiracea. Cominciamo a
vedere che, mentre nella parte laterale abbiamo la lamina papiracea, nella parte mediale abbiamo delle
sporgenze che sono i cornetti nasali. Sulla superficie interna della massa laterale abbiamo una superficie
molto irregolare, abbiamo delle lamine ossee che si chiamano cornetti: cornetto superiore, medio e, fra il
superiore e la massa laterale, dobbiamo immaginare una fessura che si dirige in direzione antero-
posteriore. In basso c'è il cornetto inferiore che è un osso a se stante, che quindi non appartiene alla massa
laterale dell'etmoide. Quindi il cornetto superiore e medio fanno parte dell'etmoide, il cornetto inferiore è
una struttura autonoma.
Si vengono dunque a creare queste fessure molto strette e più o meno lunghe in direzione antero-
posteriore. Immaginiamo poi il tutto rivestito dalla mucosa della cavità nasale, quindi il derma, l'epitelio di
rivestimento e tutto il connettivo. Si viene a creare all'interno della cavità nasale un percorso molto
tortuoso per l'aria che inspiriamo, tenendo presente che da questo percorso la tortuosità è aumentata dal
fatto che l'aria passa poi in queste cavità aeree, pneumatiche che si trovano tutt'attorno alla cavità nasale
propriamente detta, e che prendono complessivamente il nome di seni paranasali: lo scopo è quello di
rendere l'aria, in tutte le stagioni, il più possibile omogenea, quanto a temperatura e a percentuale di
umidità, con la temperatura e l'umidità che l'aria poi incontra nelle vie aeree inferiori, in modo tale che non
ci siano dei forti sbalzi di temperatura ed umidità tra l'esterno e l'interno, sia quando fuori è caldo e secco,
sia che sia freddo e umido.
Già tra le cavità pneumatiche abbiamo visto i seni presenti nel corpo dello sfenoide; un'altra cavità è
presente all'interno dell'osso frontale, quindi abbiamo i seni frontali, che sono quelli che danno dolore
quando si soffre di sinusite frontale. Questi seni
frontali poi comunicano con la cavità nasale, come
pure le cellette nasali.
Faccia laterale
uncinato del cornetto nasale medio. La lamina papiracea non copre lateralmente tutte le cellette
etmoidali, alcune rimangono scoperte.
Vista da sopra
SETTO NASALE
sua parte ossea, consiste, nella parte più alta, della lamina perpendicolare dell'etmoide (il grigio nel
disegno). Inferiormente, che va ad articolarsi con il rostro dello sfenoide e va a formare il margine
posteriore libero, c'è questo un osso che si chiama vomere, che va a formare quindi la parte inferiore del
setto: quindi la parte ossea è data da una piccola sporgenza (la cresta sfenoidale) che si continua sotto con
il rostro; sul davanti della cresta si articola quindi superiormente la lamina perpendicolare dell'etmoide,
nella parte inferiore il vomere. Fra il vomere e la lamina perpendicolare dell'etmoide si crea uno spazio che
è completato da cartilagine: quella anteriore è la parte cartilaginea del setto, che quindi forma la parte
inferiore più sporgente. Quindi tra la lamina perpendicolare e il vomere, si viene ad incastrare la parte
cartilaginea del setto. E' il vomere che poggia sul pavimento
ed è anche la parte del setto nasale che possiamo vedere
guardando un cranio da dietro (quindi dalle coane).
OSSO MASCELLARE
Il corpo presenta quattro processi. Un processo si stacca e va ad articolarsi con l'osso zigomatico, cioè con il
processo zigomatico del mascellare, quindi sarebbe nella parte esterna. Un processo di stacca verso l'alto
dalla porzione mediale e andrà a formare il processo frontale e si potrà raccordare con il processo frontale
controlaterale e dovrà delimitare l'apertura a forma di pera della cavità nasale, cioè la cosiddetta apertura
o fossa piriforme che è chiusa, in alto sulla linea mediana, dalle due ossa nasali. Un altro processo è posto
inferiormente ed è il processo alveolare, quello che va a formare l'arcata dentaria superiore. L'altro
processo, il quarto si estende medialmente e va a formare il palato duro, cioè i due terzi anteriori del
palatino: il processo palatino del mascellare (in questa immagine non lo vediamo perché sta nella parte
interna).
Se scendiamo un pochettino più in basso dal livello dell'arcata zigomatica troviamo questa faccia posteriore
o infratemporale che presenta una superficie un po' rugosa e un po' irregolare (perché lì vanno a inserirsi
fibre muscolari) che prende il nome di tuberosità del mascellare. La tuberosità del mascellare l'avevamo
chiamata in causa quando parlavamo dei processi pterigoidei.
Proviamo a guardarlo dall'alto: la tuberosità del mascellare è una superficie convessa che guarda
posteriormente verso la convessità, rivolta anteriormente, dei processi pterigoidei. La cavità è la fossa
pterigosfenopalatina che è delimitata anteriormente dalla tuberosità del mascellare, posteriormente dai
processi pterigoidei, medialmente c’è la lamina verticale dell'osso palatino. Nell'angolo fra la lamina
orizzontale e la lamina verticale dei processi dell'osso palatino si stacca il corto e tozzo processo piramidale
del palatino.
Il margine posteriore del processo palatino del mascellare non arriva al livello del margine posteriore del
corpo, manca dello spazio. Questo è lo spazio che è occupato dalla lamina orizzontale dell'osso palatino. La
struttura a forma di L dell’osso palatino, formato da una lamina verticale e una lamina orizzontale, non va
ad allinearsi in corrispondenza del margine posteriore ma si sovrappone in parte alla faccia nasale dell'osso
mascellare: qui dobbiamo immaginare che vada a inserirsi la lamina verticale. Inoltre la lamina verticale
dell'osso palatino termina un pochettino più indietro, più posteriormente. In questo modo, andando a
inserirci la lamina verticale dell'osso palatino, otteniamo che la sua lamina orizzontale va a continuare il
palato duro. L'altra conseguenza importante del fatto che la lamina verticale del palatino si sovrappone in
parte a questa faccia nasale del corpo del mascellare, è che l'ampia apertura del seno mascellare viene in
parte ridotta, ridimensionata, dalla sovrapposizione della lamina verticale dell'osso palatino che in parte
riduce l'ampiezza del seno mascellare, e il seno mascellare si getta nella cavità nasale.
OSSO PALATINO
Pensate al ramo della mandibola che presenta il condilo, il processo condiloideo e il processo coronoideo,
in mezzo c'è un'incisura; invece l’incisura sfenopalatina, essendo il palatino incastrato con il corpo dello
sfenoide, va a formare un foro: il foro sfenopalatino. La cavità sfenopalatina o pterigopalatina, tramite
questa incisura che diventa foro sfenopalatino, comunica nella sua parte alta con l'interno della cavità
orbitaria. Quindi dei nervi e dei vasi entreranno dalla fossa sfenopalatina
attraverso questo foro.
delimitata da un processo orbitario e da un processo sfenoidale. L'altra cosa importante da segnalare sulla
faccia interna, quella nasale, sono due piccolissime creste trasversali: una sta più in alto, più o meno a
livello dell'incisura sfenopalatina, l'altra sta più in basso. Sono delle sporgenze che si chiamano l’una cresta
etmoidale, l'altra cresta concale. Qui vanno a incastrarsi il cornetto medio dell'etmoide e il cornetto
inferiore dell'etmoide.
ID lezione ANA12
Data lezione 7 aprile 2011
Autore Denis Aiudi
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Osso mascellare, osso temporale, sviluppo del temporale, accenni sul condotto
Argomento
uditivo
Per quanto riguarda il mascellare ci sono due porzioni suturate sulla linea mediana. Anteriormente sul
corpo del mascellare sono riconoscibili tre dei quattro processi del mascellare. Il quarto non si vede
anteriormente.
massiccio dell’osso zigomatico. Questa faccia è la tuberosità del mascellare cioè quella superficie che
guarda indietro e si va a contraffacciate ai processi pterigoidei nel delimitare la fossa pterigopalatina.
L’osso lacrimale si trova subito internamente alla cavità orbitaria dietro al processo frontale dell’osso
mascellare e contribuisce a formare la parete mediale della cavità orbitaria. Gran parte della parete
mediale della cavità orbitaria è data dalla lamina papiracea dell’etmoide. L’osso lacrimale va a inserirsi al di
sopra del solco lacrimale e quando questi si svrappomgomo si forma il canale naso lacrimale.
Il margine posteriore della faccia orbitale dell’osso mascellare va a delimitare con la grande ala dello
sfenoide la fessura orbitaria inferiore. Da questa fessura la faccia orbitaria viene solcata dal solco
infraorbitario che arrivato a metà si approfonda formando un canale detto infraorbitario, che poi sbuca dal
foro infraorbitario. Il nervo che esce da questo foro, emerso dalla fessura orbitaria inferiore, attraversa il
solco e il canale infraorbitario uscendo poi sulla faccia anteriore del corpo del mascellare dal foro
infraorbitario. Ricapitolando abbiamo: solco infraorbitario, canale infraorbitario e foro infraorbitario.
Nella faccia mediale del mascellare il solco naso lacrimale è chiuso dall’osso lacrimale tramite una piccola
sporgenza detta lunula. Il mascellare e il palatino si incastrano tramite la lamina orizzontale del palatino
che si pone dietro il processo palatino del mascellare mentre la lamina verticale si sovrappone
diversamente contribuendo a ridurre l’ampiezza del seno mascellare. Sul processo palatino del mascellare
ci sono una cresta in alto (abdominale) e una in basso (concale). La faccia mediale del palatino presenta due
creste che hanno lo stesso nome delle precedenti.
In questa sovrapposizione (lamina verticale palatino e osso mascellare) la cresta etmoidale del palatino è in
continuità con la cresta etmoidale del mascellare così come la cresta concale del palatino lo è con la
concale del mascellare.
OSSO TEMPORALE
L’osso temporale è un osso bilaterale, è pari e simmetrico e si inserisce nella base cranica tra l’osso
occipitale e lo sfenoide. Si trova tra la fossa cranica posteriore e la fossa cranica media tenendo presente
che nella fossa cranica anteriore c’è la lamina cribra con la crista galli e che il corpo dello sfenoide è con i
processi clinoidei anteriori. Sulla grande ala dello sfenoide si inseriscono i processi clinoidei posteriori del
massiccio centrale del corpo dello sfenoide e il clivo dell’occipitale con il grande forame occipitale. I due
angoli posteriori del corpo dello sfenoide sono inclinati a 45° circa (inclinazione della cresta della piramide
del temporale).
Ogni osso temporale è formato dall’assemblaggio di quattro parti (immaginiamo una struttura a forma di
tetto a base triangolare in cui si distinguono una faccia antero-laterale, una postero-mediale che guarda
verso la fossa cranica posterioree una esocranica cioè inferiore):
1. la prima struttura si sviluppa come se fosse una barretta informe e termina sul versante esterno
con una sporgenza che è la prima delle quattro parti che compongono l’osso detta porzione petro-
mastoidea. L’estremità più
esterna, cioè la più laterale, è
quella che dà origine al processo
mastoideo. Questa è la parte più
superficiale e esterna di questa
struttura che si sviluppa verso
l’interno;
In proiezione laterale: squama del temporale, in corrispondenza della quale posteriormente si trova
la mastoide (con dietro il condotto uditivo esterno con dietro la fossa mandibolare davanti a cui c’è
un’estroflessione detta tubercolo articolare) e sulla prosecuzione del cerchio il processo
zigomatico.
Il condilo della mandibola quindi si va a articolare su una superficie data non solo dalla fossa
mandibolare ma anche dal tubercolo articolare;
In alcuni libri il processo stiloideo viene considerato diviso in due parti (stilo-iale e timpano-iale).
Si trova sulla faccia posteriore della piramide del temporale, quella che guarda verso la fossa cranica
posteriore. Circa a metà altezza della piramide
c’è un foro, il condotto uditivo interno o meato
acustico interno. Dietro la squama del
temporale si trova invece il condotto uditivo
esterno.
alla sua estremità esterna laterale presenta il condotto uditivo esterno mentre a quella mediale c’è un solco
su cui si inserisce la membrana del timpano che si trova alla fine di un canale che incanala i suoni. Le onde
sonore fanno vibrare la membrana del timpano ed e qui che finisce l’orecchio esterno. Medialmente (cioè
internamente) alla membrana del timpano c’è l’orecchio medio che presenta una catena di tre ossicini. Il
primo ossicino poggia sulla membrana del timpano e si chiama martello. La membrana vibrando fa
muovere il martello il quale poggia sull’incudine alla quale trasmette la vibrazione che a sua volta è
collegato alla staffa che è inserita in una finestra detta ovale. La staffa in vibrazione entrando nel foro ovale
mette in movimento il liquido contenuto nell’orecchio interno che muove le estroflesioni di cellule che
hanno altezza diversa: se vibrano quelle più alte si apprezzano i suoni acuti, se vibrano quelle più basse si
percepiscono i suoni gravi. Quindi l’onda sonora si è trasformata nell’orecchio medio in onda meccanica
ossea che si è poi trasformata in quello interno in un onda liquida che scatena i potenziali d’azione dei
recettori delle cellule.
ID lezione ANA13
Data lezione 11 aprile 2011
Autore Tania Cernetti
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Osso temporale, condotto uditivo
OSSO TEMPORALE
L'osso temporale è un osso che andiamo a posizionare fra la fossa cranica posteriore e la fossa cranica
media, tanto che la piramide temporale ci segna proprio il confine tra queste due fosse.
3. inferiormente mettiamo il timpano, un blocco osseo con una forma a doccia, che andrà a formare il
condotto uditivo esterno; la parte opposta, quella mediale, è la porzione su cui si inserisce la
membrana timpanica, che dividerà l'orecchio esterno dall'orecchio medio;
4. la quarta porzione è quella del processo stiloideo: “stilum”=pugnale: il processo stiloideo è dunque
una sporgenza appuntita, lunga circa 20-25 mm.
Faccia esocranica
Davanti alla fossa mandibolare troviamo un'estroflessione, il tubercolo articolare. Fossa e tubercolo
rappresentano la superficie sigmoidale su cui scorre il condilo della mandibola nel meccanismo di apertura
della mandibola (diartrosi → cartilagine articolare). Inferiormente rispetto al meato acustico esterno, in
basso, spunta il processo stiloideo, che presenta nella parte prossimale una laminetta ossea che deriva
dalla componente simpatica dell'osso temporale: un processo vaginale.
Faccia endocranica
Sulla faccia posteriore c'è il clivius dell'occipitale con il grande forame occipitale. Da segnalare l'apertura
del condotto uditivo interno. La via acustica passa all'interno della piramide del temporale, fino ad arrivare
al condotto uditivo esterno (naturalmente le onde sonore faranno il percorso inverso: entrano dal condotto
uditivo esterno favorite dal padiglione auricolare che ne facilita la convergenza, entrano all'interno
dell'osso del timpano, vengono trasmesse dalla catena degli ossicini alla struttura del condotto uditivo
interno).
Sul meato acustico interno passa il nervo stato-acustico (VIII paio di nervi cranici), formato da due
componenti: acustica e vestibolare (equilibrio). Questo raggiunge il tronco encefalico. Insieme al nervo
stato-acustico passa anche il nervo facciale (VII paio).
Se noi andassimo ad ingrandire il condotto uditivo esterno, vedremmo che è diviso da una cresta
orizzontale, che a sua volta è divisa da una cresta verticale, che divide il condotto in 4 spicchi:
La faccia della mastoide che guarda all'interno presenta un breve incavo: il solco sigmoideo, che parte dal
solco trasverso dell'osso occipitale, che a sua volta riceve dal solco sagittale superiore. Il solco sigmoideo
finisce sul foro giugulare (parte del foro lacero), tra l'osso occipitale e l'osso temporale.
Faccia inferiore
Sulla faccia inferiore del cranio, medialmente al processo stiloideo, abbiamo la fossa giugulare (profilo
irregolare, allungato) da cui parte una cresta che la separa dal foro di ingresso dell'arteria carotide interna
nella piramide del temporale: il foro carotico (o canale carotico).
LE ARTERIE
Tornando sul versante endocranico, immaginiamo per trasparenza (guardando dall'alto) che sulla base ci sia
il foro carotico: l'arteria carotide interna di destra e di sinistra (che si chiama così perché ce n'è una esterna
e una comune, che sale lateralmente al collo da ciascun lato) va diretta a questo foro; l'arteria vertebrale
passa attraverso il foro intervertebrale, nelle vertebre, arriva all'atlante ed entra attraverso il grande
forame occipitale.
L'arteria carotide fa dunque un percorso all'interno della piramide del temporale e si dirige verso l'apice,
passando in vicinanza dell'orecchio. Tenete presente che in caso di trauma cranico con rottura della base
del cranio e in presenza di otoraggia (sangue dall'orecchio) è possibile che ci sia stato il danneggiamento
dell'arteria carotide ed è quindi molto grave. Una volta attraversata la piramide del temporale, sbuca nella
fossa cranica media, appoggiandosi sul solco dell'arteria carotica (tra il corpo e l'ala dello sfenoide).
In prossimità dell'apice della piramide (che non è appuntito) c'è una sorta di sfiatatoio ( tuba uditiva), che
dall'orecchio medio va a finire nella faringe, dietro alle cavità nasali. La tuba uditiva mette dunque in
comunicazione l'orecchio medio (che contiene i tre ossicini) con la faringe, che si va ad inserire nella base
cranica in corrispondenza di:
La faringe si attacca alla base cranica attraverso una membrana connettivale, la membrana basifaringea o
faringobasilare, che va a rivestire questi tre punti d'attacco. Il foro carotico resta esterno, laterale. Dalla
parte alta, che si chiama nasofaringe o rinofaringe, sbucano da ciascun lato le due tube uditive, canali di
sfiato che evitano lacerazioni dovute a brusche variazioni di pressione.
CONDOTTO UDITIVO
Ora proviamo a fare una sezione para-sagittale della piramide del temporale ed “abbattiamo” la parte del
condotto uditivo esterno, arrivando al cavo del timpano. Quella sul fondo è la parete mediale dell'orecchio
medio. Immaginiamo di togliere la catena degli ossicini, per concentrarci meglio sulla parete ossea di fondo.
Questa è bombata verso la cavità del timpano (si chiama promontorio); al di là del promontorio c'è
l'orecchio interno. Nella parte alta del promontorio abbiamo una finestra ovale, quella in cui si inserisce la
base della staffa, il 3° osso della catena degli ossicini. La parete laterale della cavità del timpano è data dalla
membrana del timpano.
Anche la mastoide è forata, contiene delle cellette mastoidee per non appesantire l'osso: queste
comunicano con una cavità più grande, l'antro timpanico, che a sua volta comunica con la cavità del
timpano.
Sempre all'apice della piramide, ma più in basso rispetto al canale carotico, c'è lo sbocco della tuba uditiva,
un canale scavato nelle viscere della piramide del temporale.
Nella parte alta (nel terzo superiore) della parete arrotondata della tuba uditiva, immaginate di porre una
specie di sporgenza, un cornicione, che divide questa cavità in due porzioni: un emicanalicolo più in alto e il
resto dell'emicanale più in basso. Fra il tetto e questa spicola si viene a creare un canalicolo più stretto
rispetto al passaggio più ampio della tuba uditiva.
All'interno della tuba uditiva c'è un solco in cui passa un muscoletto responsabile dell' “attappamento”
delle orecchie, il muscolo tensore del timpano. [Può capitare che su alcuni libri non trovate questo
muscolo. A questo punto direte: <<quello stronzo del pelato ci ha detto una delle sue solite cagate!!>> In
realtà, dato che sulla membrana del timpano si appoggia il martello, questo muscolo si può chiamare anche
tensore del martello.]
Il condotto uditivo interno (o meato acustico interno) presenta una cresta trasversale e una ulteriore
suddivisione verticale tale da dividerlo in 4 quadranti:
• 1 spicchio ha forma a spirale (tratto spirale del forame), attraverso cui passa la componente
acustica;
Tra la mastoide e la regione del timpano che è in rapporto con la cavità del timpano, c'è un canale che
ripiega in basso e sbocca nel foro stilo-mastoideo. E' il canale per il nervo facciale. Qualche millimetro
prima del foro stilo-mastoideo, è presente il canale per la corda del timpano, un nervo che è in rapporto
col timpano.
La tuba uditiva presenta un'appendice cartilaginea rivestita da mucosa (che nella visione cranica non
possiamo apprezzare), dove è presente un aggregato di tessuto linfoide e se uno ha un'ipertrofia, ha
un'ostruzione a quel livello.
Immaginiamo di stare all'interno della cavità del timpano e di guardare la parete membranosa (quella a
forma di pagoda): ci accorgeremo che nella parte alta si inserisce il manico del martello. La corda del
timpano passa tra il martello e l'incudine [quindi per voi da oggi il detto “mi sento come chi sta tra il
martello e l'incudine” equivarrà a dire “mi sento come la corda del timpano”!]
ID lezione ANA14
Data lezione 13 aprile 2011
Autore Giulia Mariotti
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Muscoli del cranio, muscoli mimici e masticatori, scapola e omero.
• masticatori;
• mimici.
Nel cranio ci sono dei muscoli che sono scheletrici, quindi volontari, ma hanno una derivazione diversa, cioè
dall’arco branchiale. Gli archi branchiali sono strutture embriologiche transitorie; si chiamano branchiali
perché sono localizzati ai lati della faringe primitiva, laddove nei pesci si sviluppano le branchie. Noi non
sviluppiamo le branchie ma condividendo dei punti della scala evolutiva partiamo da strutture comuni.
Questi muscoli sono i muscoli masticatori e mimici; altri muscoli che troviamo nel blocco facciale sono
invece muscoli che hanno una derivazione non branchiale ma somitica; questo ha delle implicazioni
importanti per quanto riguarda la loro innervazione. I muscoli non brachiali, cioè quelli somitici, sono i
muscoli che muovono i bulbo oculare, cioè i muscoli estrinseci dell’occhio e i muscoli estrinseci della lingua.
I muscoli masticatori derivano dal 1° arco branchiale, quelli mimici dal 2° arco branchiale. Il nervo cranico,
che deriva dal 1° arco branchiale si chiama nervo trigemino, quindi i muscoli che derivano dal 1° arco
branchiale saranno innervati dal nervo che deriva dallo stesso arco branchiale. Il nervo che deriva dal 2°
arco branchiale è il facciale. Abbiamo visto l’osso ioide e la mandibola: li abbiamo paragonati a due ferri di
cavallo uno più grande e uno più piccolo. Sono posti in parallelo. Sono messi in comunicazione da legamenti
che vanno dallo ioide al processo stiloideo (vedi osso temporale). L’osso ioide è in vicinanza alla laringe e
c’è una membrana tiro-ioidea che collega lo ioide alla laringe. L’osso ioide fa da snodo centrale ed è
collegato a:
• base cranica;
• mandibola;
• laringe;
• faringe.
Inferiormente al condotto uditivo esterno, medialmente, c’è il processo stiloideo, rivestito da una laminetta
ossea che deriva dall’osso timpanico formante il pavimento del condotto uditivo esterno e la parete
posteriore della fossa mandibolare.
In particolare segnaliamo:
3. buccinatore (15);
Domanda: il muscolo che va dall’osso ioide e va sulla faccia interna del collo della mandibola, qual è? Il
milo-ioideo. Fa parte del pavimento del cavo orale ed è in relazione con la faringe e il buccinatore. Nel collo
il sottile muscolo mimico che sta immediatamente sotto il piano cutaneo è il platisma e va dalla mandibola
al collo alla clavicola estendendosi per qualche centimetro inferiormente ad esse: riveste prossimalmente il
moncone della spalla.
I muscoli sopra ioidei formano il pavimento del cavo orale; all’interno del milo-ioideo si trova il genio-
ioideo.
MUSCOLI MASTICATORI
Sono in tutto 4, derivano dal 1° arco branchiale e devono collegare la mandibola con il resto del cranio. Il
movimento è di innalzamento della mandibola nella masticazione. Abbiamo nella fossa temporale questo
ampio e sottile lenzuolo muscolare, il muscolo temporale. Ha un profilo circolare di inserzione; le fibre
convergono verso il basso e passa all’interno dell’arcata zigomatica. Il tendine si va a inserire sul processo
coronoideo della mandibola.
Ci sono altri due muscoli masticatori che hanno a che fare con i processi pterigoidei:
Riassumendo quello che unisce l’angolo della mandibola con la fossa pterigoidea è il pterigoideo interno;
quello che unisce il collo del condilo della mandibola alla cresta infratemporale e alla faccia esterna della
lamina laterale del processo pterigoideo è il pterigoideo esterno.
SCHELETRO APPENDICOLARE
Passiamo ora dall’asse del tronco alle appendici superiori e alle appendici inferiori. Le appendici presentano
delle analogie:
L’arto superiore rispetto all’arto inferiore è ruotato di 90° (consideriamo per definizione la posizione
anatomica del cadavere con le palme delle mani rivolte verso l’avanti). Abbiamo una superficie anteriore
che è flessoria nell’arto superiore mentre nell’arto inferiore è estensoria.
CINGOLO SCAPOLARE
OMOPLATA (o SCAPOLA)
E’ un osso appiattito a forma triangolare. La clavicola prende un’inserzione mediale con lo sterno e una
laterale con la scapola che possiamo osservare meglio guardando posteriormente la gabbia toracica.
Riconosciamo tre lati della scapola: laterale, mediale e superiore. Il margine mediale può essere chiamato
lato vertebrale. I tre margini sono uniti da angoli: angolo inferiore, supero mediale e supero laterale.
Osservando invece un’inquadratura dall’alto si osserva una componente anteriore (CLAVICOLA) che ha una
convessità prima anteriore e poi posteriore (direzione laterale). Sormonta la prima costa e si articola con la
scapola che si trova posteriormente alla gabbia toracica. Sulla faccia inferiore della clavicola c’è un solco per
il succlavio.
Posteriormente è presente
un processo, la spina della
scapola che si porta in avanti
con il processo acromiale o
acromion che si articola con
il capo laterale della
clavicola. Sono presenti nella
faccia posteriore della
scapola due fosse: sopra la
spina c’è la fossa
sopraspinata; la superficie
più ampia al di sotto è la fossa sottospinata. La faccia posteriore è divisa in due dalla sporgenza della spina.
Sotto l’acromion, come se fosse una “tettoia”, vediamo sporgere una struttura semi-sferica, la testa
dell’omero, che presenta due tuberosità: una laterale (grande tuberosità o trochite) e una mediale (piccola
tuberosità o trochine). Nel femore parleremo di grande e piccolo trocantere. Tra le due sporgenze c’è un
solco che vedremo scendere per qualche centimetro lungo la diafisi di quest’osso ed è il solco formato da
un tendine che scorre in questo punto, ovvero il tendine del bicipite omerale. La faccia anteriore della
scapola è concava perché segue il profilo della gabbia toracica.
Il margine superiore presenta al suo terzo laterale un’incisura che è l’incisura omojoidea. (L’omojoideo
collega l’omoplata con l’osso joide ed è digastrico). A volte questa incisura è chiusa ad anello. Più
lateralmente si stacca dal margine superiore un processo che sembra un dito ripiegato, tozzo e storto, il
processo coracoideo. Il piccolo pettorale si inserisce su questo processo. Non è però l’unico muscolo che si
inserisce su questo processo perché sono tre i muscoli che complessivamente si inseriscono sul processo
coracoideo:
1. piccolo pettorale;
2. coracobrachiale;
Più lateralmente lungo il margine superiore abbiamo l’angolo laterale che presenta la fossa ovoidale che
accoglie la testa dell’omero. Questa superficie articolare è preceduta da una strozzatura, il collo della
scapola. La faccia anteriore è coperta da uno dei muscoli intrinseci della scapola: il sottoscapolare che è
nella fossa sottoscapolare. La faccia posteriore è invece convessa e può essere divisa in due parti: il terzo
superiore presenta un processo che portandosi lateralmente si allarga (spina della scapola), infine si
estroflette in un processo, l’acromion, che sormonta la superficie articolare con l’omero. (N.B.: l’acromion
non tocca con l’omero!!!). Abbiamo quindi una fossa sopraspinata e sottospinata (o infraspinata). Le tre
fosse della scapola sono occupate da muscoli omonimi che fanno parte dei muscoli della spalla.
OMERO
E’ un osso lungo composto da una diafisi e due epifisi, una prossimale e una distale. L’epifisi prossimale
presenta la testa dell’omero che ha una forma che ricorda una sfera alla cui base è presente una
strozzatura, il collo anatomico su cui si inserisce la capsula articolare. La testa dell’omero si articola con la
cavità glenoidea della scapola. Il diametro dell’emisfera è più ampio della cavità che la raccoglie; essendo
superfici articolari poco congruenti è possibile una grande mobilità dell’articolazione. Ricordiamo la grande
e la piccola tuberosità con il solco bicipitale. Al terzo medio della diafisi, sulla superficie anterolaterale, c’è
una tuberosità per l’inserzione del deltoide, tuberosità deltoidea. La sezione dell’omero va appiattendosi in
senso distale.
Per quanto riguarda il solco bicipitale troviamo due labbri o creste, uno laterale e uno mediale, che
vengono anche detti cresta della grande tuberosità e della piccola tuberosità. Il grande dorsale si inserisce
sul labbro mediale e il gran dorsale sul labbro laterale. Gli spino appendicolari e i toraco appendicolari si
inseriscono su queste due creste. Sotto la tuberosità deltoidea compare un solco che viene dalla faccia
posteriore. E’ una linea spiraliforme che dalla faccia posteriore compare su quella anteriore. L’epifisi distale
permette l’articolazione con l’estremità prossimale dell’ulna e del radio.
ID lezione ANA15
Data lezione 15 aprile 2011
Autore Giulia Principi
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Omero, ulna e radio, mano, spalla.
OMERO
L’epifisi è slargata in direzione latero-laterale. Troclea e condilo presentano al di sopra due sporgenze:
• epicondilo laterale.
Nella faccia posteriore troviamo una fossa più profonda delle anteriori che accoglie l’estremità dell'ulna:
fossa olecranica. Fra epitroclea e estremità laterale della troclea c'è un solco in cui passa il nervo ulnare
(solco per il nervo ulnare) coperto da un piccolo legamento (è quello che si ''addormenta'' durante la
notte!). Nella diafisi dell'omero avevamo visto il solco dove passa il nervo radiale che inizia nella parte
medio-alta della diafisi omerale e poi passa sulla faccia anteriore andando nel terzo distale della diafisi.
AVAMBRACCIO:ULNA e RADIO
Faccia anteriore dell'ulna: il margine che guarda verso il margine del radio è detto margine interosseo: per
l'ulna sarà il margine laterale, per il radio sarà quello mediale. Su questi due margini si inserisce una
membrana connettivale (membrana interossea). Verso il basso abbiamo l’epifisi distale dell'ulna, più
piccola della prossimale e che termina con un piccolo processo allungato ma con l'apice arrotondato
(processo stiloideo dell'ulna). C'è anche il processo stiloideo del radio, più tozzo di quello dell'ulna.
La superficie laterale della testa del radio (capitello radiale) si va ad articolare con la faccia laterale della
testa dell'olecrano. La superficie laterale dell'epifisi prossimale dell'ulna presenta un incisura (rientranza
della superficie) che si articola con la superficie laterale del radio (capitello radiale): è una struttura piena
che si articola con un emicilindro vuoto. La differenza con la troclea omerale e l'incisura semilunare sta
nella diversa posizione del cilindro: l'asse di questo cilindro (capitello radiale) non è perpendicolare all'asse
dell'osso, ma parallelo; tutto sta dell'orientamento degli assi che conferisce diverse rotazioni. Il risultato è
che, dalla posizione anatomica del cadavere con il pollice all'esterno, a palmo supino, possiamo fare il
movimento di prono-supinazione. Seguendo con la mano (appoggiata sulla piega del gomito) il movimento
di prono supinazione, ci rendiamo conto che le due ossa restano su un piano frontale grazie al fatto che la
testa del radio ruota nell'incisura che lo accoglie. Invece, nella prono-supinazione della mano, il pollice da
esterno diventa interno. All'estremità distale, ruotando l’avambraccio, il radio si sovrappone all'ulna dal
terzo medio in giù. Questo tipo di articolazione si chiama trocoide.
Nel gomito abbiamo un articolazione complessa, una diartrosi: non c'è soluzione di continuo fra le ossa,
non c'è interposizione di tessuto, ma c'è uno spazio.
Nel gomito abbiamo tre articolazioni che si incontrano: articolazione omero-ulnare (troclea o ginglimo
angolare), articolazione omero-radiale fra condilo dell'omero e superficie superiore del capitello radiale, e
articolazione radio-ulnare (trocode o ginglimo laterale).
Superficie posteriore del radio: presenta un margine posteriore che va a sfumare e all'estremità distale si
allarga. Sulla faccia posteriore dell'epifisi distale del radio, che è più grande in un rapporto di 2 a 1 con
quella dell'ulna, dobbiamo segnalare il processo stiloideo del radio, più tozzo di quello dell'ulna; poi
notiamo dei solchi, scanalature, provocati da tendini di muscoli che dall'avambraccio vanno alla mano;
siccome sono sulla faccia posteriore saranno per muscoli estensori.
MANO
2. semilunare;
3. piramidale;
Mettiamo a fuoco qualche particolare importante: lo scafoide presenta una sporgenza detta "tubercolo
dello scafoide". Questa sporgenza fa il paio con il pisiforme, che non è una sporgenza del piramidale, ma un
osso autonomo. Fra le due sporgenze dobbiamo immaginare un ponte connettivale dentro cui dovremo far
passare i tendini di muscoli che dall'avambraccio vanno alla regione palmare della mano, i muscoli flessori
della mano: questo si chiama tunnel carpale.
Seconda fila: abbiamo quattro ossa tutte appaiate, partendo dal più laterale troviamo:
5. trapezio;
6. trapezoide;
7. capitato;
8. uncinato.
Le ossa fila distale sono quattro, appiate, mentre i metacarpi sono cinque cilindretti che hanno base, corpo
e testa:
Metacarpo:
• il 2° con il trapezoide;
• il 3° con il capitato, che ha superficie articolare sia con lo scafoide che con il semilunare, mentre
medialmente si articola con la faccia laterale dell'uncinato;
Al metacarpo fanno seguito le falangi, le ossa delle dita. Anche qui distinguiamo: base verso la parte
prossimale e testa. Abbiamo falange prossimale o falange, falange intermedia o falangina, falange distale
o ungueale o falangetta.
SPALLA
La scapola (o omoplata) è
schematizzabile con un triangolo con tre
margini, tre angoli, una faccia posteriore
e una anteriore, spina, acromion che gira
in avanti e davanti la clavicola. Nella
faccia posteriore troviamo fossa sopraspinata, fossa sottospinata o
infraspinata, mentre sulla faccia anteriore c'è la fossa sottoscapolare. Fra il collo e il braccio abbiamo
l'inserzione del deltoide, quel muscolo che ci arrotonda il profilo della spalla.
ID lezione ANA16
Data lezione 18 aprile 2011
Autore Edoardo Cipolletta
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Muscoli della spalla, muscoli del braccio, accenni generali sulla membrana
Argomento
sinoviale e sulle borse sinoviali, cavo ascellare
Parleremo della spalla e del cavo ascellare. L'ascella la rappresentiamo come una piramide a base quadrata
o anche come una piramide a base triangolare. In ogni caso avremo che la base è il piano sottocutaneo che
noi ci palpiamo e l'apice è diretto verso l'interno. La superficie anteriore è il pilastro anteriore che collega
l'epifisi prossimale dell'omero con la regione toracica anteriore, il pilastro posteriore collega l'epifisi
prossimale dell'omero con i muscoli spino appendicolari. La superficie mediale è uno strato muscolare che
riveste la gabbia toracica e la superficie laterale è data dall'osso dell'omero. Per alcuni viene considerato
come un margine e così facendo la piramide diventa triangolare.
Una vena separa il margine mediale del deltoide e il margine laterale del gran pettorale. Il grande dorsale si
inserisce poi sul labbro mediale dell'omero e il grande pettorale sul labbro laterale dell'omero. Più in
profondità rispetto al grande pettorale troviamo anche il piccolo pettorale che raggiunge il processo
coracoideo della scapola. Ancora un'altra piccola nota: il labbro laterale è la prosecuzione della grande
tuberosità o trochite e il labbro mediale la prosecuzione della piccola tuberosità o trochine. Gli altri due
muscoli toraco-appendicolari sono il succlavio e il gran dentato o dentato anteriore. Ricordiamo ancora che
esistono altri due dentati: il dentato postero superiore e postero inferiore che sono due piccoli muscoli
detti spino costali. Il pilastro anteriore è costituito dal gran pettorale mentre quello posteriore
principalmente dal gran dorsale.
I muscoli di cui abbiamo parlato compongono la cuffia dei rotatori. Superiormente troviamo il tendine del
muscolo sovraspinato, anteriormente quello del muscolo sottoscapolare e posteriormente i tendini dei
muscoli sottospinato e piccolo rotondo. L'unico a intraruotare è il sottoscapolare, mentre gli altri tre
extraruotano. Più esternamente a questi quattro muscoli c'è anche il deltoide che copre l'articolazione e
compie abduzione e la flessione.
2. per rafforzare la capsula fibrosa dell'articolazione intervengono i muscoli, cioè questa cuffia dei
rotatori che contribuiscono sostanzialmente a mantenere l'articolazione funzionale e la testa
dell'omero in sede.
della diafisi del braccio. La linea di inserzione distale si trova sul versante anteriore della diafisi grosso modo
all'altezza della tuberosità deltoidea. L'ultimo muscolo della loggia anteriore è il muscolo brachiale.
Dall'inserzione del coraco-brachiale in giù c'è l'inserzione del brachiale che è comunque coperto dal
bicipite. Il brachiale scende fino alla tuberosità dell'ulna. Nella loggia posteriore invece abbiamo solo il
tricipite (dal nome si capisce che ha tre capi). Nell'arto inferiore lo stesso ruolo è svolto dal quadricipite
della coscia. Il primo capo, il capo lungo, origina dal margine laterale della scapola in prossimità della
superficie glenoidea; il capo mediale parte dalla faccia posteriore dell'omero sotto al solco del nervo ulnare;
il capo laterale parte dalla faccia posteriore dell'omero sopra al solco del nervo ulnare. Convergono in un
unico robusto tendine che si inserisce sul becco dell'olecrano.
Guaine e borse sinoviali derivano dalla membrana sinoviale che riveste la maggior parte delle superfici non
ossee all'interno della capsula articolare. All'interno della capsula articolare abbiamo le superfici ossee
direttamente coinvolte nell'articolazione (cioè le superfici ossee a contatto) rivestite di cartilagine
articolare, mentre tutto il resto delle superfici ossee e della faccia interna della capsula articolare sono
rivestite da questa membrana sinoviale. La membrana sinoviale è costituita da un monostrato pavimentoso
di cellule che secernono un liquido che riempie la cavità sinoviale e che si chiama liquido sinoviale o sinovia.
È un liquido lattescente, simile all'albume dell'uovo, che ha il comppito di nutrire le varie superfici articolari
non vascolarizzate (cartilagine articolare) e di lubrificare le superfici articolari durante lo sfregamento. Per
concludere dentro la capsula articolare le superfici sono o rivestite da membrana sinoviale o da cartilagine
articolare a meno che non ci sono traumi o patologie.
ID lezione ANA17
Data lezione 20 aprile 2011
Autore Gianluca Cotti
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Conclusione spalla, strati muscolari dell'avambraccio e della mano.
SPALLA
• estensione;
• flessione;
• "circumduzione".
testa dell'omero, sulla cavità, e per base l'escursione più amplia. L'interno della capsula, quella in rosso, è la
membrana sinoviale che ritroviamo anche nella sua parte inferiore e nel suo attacco sotto la testa
dell'omero (a livello del collo anatomico della testa dell'omero).
Nella parte inferiore si viene a creare una tasca, un recesso, che non è ricoperto da cartilagine articolare
bensì da membrana sinoviale. Sotto l'acromion e sotto al deltoide si viene a creare questa fessura (borsa
sinoviale o sotto-deltoidea) che ha un rivestimento sinoviale e al suo interno scorre il fluido in grado di
evitare l'attrito nel lavoro di questo muscolo con le superfici sottostanti. Questo è importante perchè,
seguendo l'andamento della fessura
dell'articolazione, si nota che al di sopra
passa il tendine del muscolo sopra-
spinato. Fra il sovra-spinato, l'acromion
che lo sovrasta (come se fosse una
"piccola tettoia sporgente") e l'attacco
laterale a forma di U del deltoide
abbiamo la “bosrsa sinoviale”; serve a
ridurre al massimo l'attrito fra il lavoro
del tendine del sovra-spinato e il lavoro
del muscolo deltoide.
Il legamento sospensore dell'ascella deriva dalla fascia che avvolge il muscolo piccolo pettorale che a sua
volta cranialmente deriva dalla fascia "clavi-pettorale", la quale avvolge il muscolo succlavio. Questo
dispositivo legamentoso forma il legamento sospensore dell'ascella.
Fra il grande pettorale e il piccolo, in virtù dei dispositivi fasciali che ricoprono questi muscoli si viene a
creare un piano di clivaggio. Incidendo la cute lateralmente al pilastro anteriore del cavo ascellare (dietro
al muscolo pettorale) è situata una
cavità naturale che viene utilizzata per
inserirci il pace-maker. Il pilastro
posteriore dell'ascella comprende il
muscolo grande rotondo e un pò di gran
dorsale.
• sotto-scapolare;
• sopra-spinato;
• infra o sotto-spinato;
La vena cefalica superficiale del braccio segna il limite fra il grande pettorale e il deltoide.
AVAMBRACCIO E MANO
L’avambraccio ha tre logge: anteriore, posteriore e laterale. Rispettando la posizione anatomica del
cadavere, l'osso che corrisponde alla regione laterale sarà il radio, di conseguenza nella mano avremo il
primo dito.
LOGGIA ANTERIORE
E' la loggia flessoria. Come riferimento partiamo dalla sporgenza dell'omero che sta sopra la troclea, quindi
l'epitroclea. L’avambraccio è composto da quattro strati muscolari, per un totale di otto muscoli. Questi
arrivano per la maggior parte sulla mano. Sono a ponte fra due ossa, quindi sono muscoli estrinseci della
mano.
Strato superficiale
Lo chiamiamo strato dei muscoli epitrocleari; sono quattro muscoli che arrivano (non tutti però) sul
segmento distale. Uno si ferma prima: è il
muscolo che arriva dalla sua inserzione
dall'epitroclea al terzo medio della diafisi
del radio; se si contrae tira il radio
medialmente provocando una pronazione,
è il muscolo pronatore rotondo (dalla
posizione anatomica del cadavere noi
agiamo sul ginglimo laterale fra l'incisura
radiale dell'ulna e il capitello del radio
provocando una intra-rotazione. Il risultato
sarà che mentre le due ossa, radio e ulna, a
livello prossimale, restano sullo stesso
piano frontale, ruotando la testa del radio,
a livello distale, l'epifisi del radio da laterale
si porta a mediale. Il primo dito da esterno
si porta a toccare la coscia).
Partono vicini dall'epitroclea, il flessore ulnare del carpo però, scende medialmente e va a finire sul
pisiforme (che è anteriore al piramidale). In mezzo a questi due muscoli c'è il palmare lungo. L'estremità
distale non va ad inserirsi su un osso ma su una guaina connettivale che sarà disposta sul palmo della mano.
E' una fascia triangolare, che prende il nome di aponeurosi palmare. Riveste, sotto il piano della cute, il
palmo della mano (nel disegno notare la differenza con le altre inserzioni indicate con una linea nera).
[Nella foto non compaiono solo i 4 muscoli appena descritti, ma ce ne sono altri nella mano. Questo
schema visivo è logico da un punto di vista funzionale perchè quando si studierà l'innervazione e lo schema
motorio sia l’avambraccio che la mano andranno considerati insieme.]
Al primo strato muscolare dell'avambraccio, corrisponde anche un primo strato nella mano.
Nella mano
Abbiamo due sporgenze con al centro una parte relativamente più piatta, che corrisponde alla parte dove è
presente l’aponeurosi palmare. La bombatura dalla parte del pollice prende il nome di eminenza tenar,
mentre quella dalla parte del quinto dito si chiama eminenza ipo-tenar. Quindi troveremo i muscoli
classificati appartenenti all'eminenza tenar o ipo-tenar.
A livello della mano, sempre in questo strato, abbiamo due muscoli dalla parte del pollice e due omologhi
dalla parte del quinto dito che prendono inserzione da quelle sporgenze o tubercoli delle ossa. L'osso
laterale della fila prossimale, lo scafoide, presenta un tubercolo. L'osso mediale della prima fila non
presenta un tubercolo, ma presenta un osso, il pisiforme. Nella prima fila abbiamo la sporgenza del
tubercolo dello scafoide e il pisiforme; nella seconda fila abbiamo il tubercolo del trapezio e un uncino,
perchè la base di questa sporgenza è scavata da un tendine che gli passa sotto per andare al quinto dito,
che non è altro che l'uncino dell'osso uncinato. Questi muscoli originano dai rispettivi tubercoli. Dal
tubercolo dello scafoide alla base della prima falange del primo dito, in posizione laterale, abbiamo
l'inserzione di questo muscolo che quando si contrae allontana il pollice dalla linea mediana, si chiama
abduttore breve del pollice. Ha la funzione di allontanare il pollice dall'asse del dito medio. [NB: per l'arto
superiore ed inferiore l'abduzione è riferita al tronco, mentre nelle dita della mano e dei piedi l'abduzione è
riferita al dito centrale.]
Sul versante del quinto dito, con inserzione sul pisiforme, abbiamo l'abduttore del mignolo. In una
posizione più mediale, abbiamo un muscolo che si inserisce sulla base della prima falange del primo dito, la
sua contrazione provoca la flessione del pollice,
si chiamerà flessore breve del primo dito. Dal
processo uncinato abbiamo un muscolo analogo,
il flessore breve del mignolo.
Le falangi hanno una base, un corpo e una testa; la base è quella prossimale. L'abduttore e il flessore
arrivano sulla base della prima falange o falange prossimale del pollice, lo stesso vale per i due muscoli del
mignolo omologhi.
Secondo strato
Il flessore superficiale della dita, nello strato immediatamente sottostante (il terzo) ricopre il flessore
profondo delle dita. Anche questo prende contato con le 4 dita tramite 4 tendini. Il tendine rispetto al
superfiale è un pò più lungo, quindi arriva sulla falange distale. Le biforcazioni del superficale servono per
faci passare sotto i tendini del flessore profondo. Il tendine più mediale, cioè diretto al quinto dito, scava la
base dell'uncino.
Nella mano
In questo secondo strato abbiamo un muscolo per il primo dito e un muscolo per il quinto. Si chiama
muscolo opponente. Questo muscolo porta il pollice sul palmo della mano come se volesse toccare il
mignolo. Ha inserzione dal trapezio alla porzione più laterale del primo metacarpale. L'opponente del
mignolo si inserisce sull'uncino e arriva al margine ulnare del quinto metacarpale (il flessore del mignolo
arriva alla base della prima falange). L'attacco è più prossimale.
Terzo strato
Nella mano
Il primo dito non ha il lombricale, sono presenti solo sul II, III, IV e V dito. Il secondo e il quinto dito li hanno
solo sul lato radiale, il terzo e il quarto li hanno sia sul versante radiale che su quello ulnare. Vanno dal
muscolo flessore profondo delle dita al margine radiale dei tendini dell'estensore delle dita che si trova
sulla faccia dorsale.
Quarto strato
Possiede solo un muscolo. E' il muscolo del "polsino del tennista" cioè il pronatore quadrato. Unisce l'epifisi
distale del radio con l'epifisi distale dell'ulna, lasciando scoperto il processo stiloideo dell'ulna e il più tozzo
processo stiloideo del radio.
Nella mano
Abbiamo l'adduttore del pollice che ha un capo sul trapezoide, sul grande osso e in minima parte
sull'uncinato (tre ossa della fila distale) e si dirige obliquamente verso la base della falange prossimale del
primo dito. L’ altro capo invece è trasversale e parte dal terzo metacarpo. Questi due capi, obliquo e
trasverso, confluiscono sulla base della falange prossimale.
Il palmare breve si dirige verso l'aponeurosi palmare però ha un decorso trasversale (muscolo atrofico,
spesso assente). Va trasversalmente dall'eminenza ipotenar verso il centro, cioè verso l'aponeurosi
palmare.
ID lezione ANA18
Data lezione 28 aprile 2011
Autore Francesco Gasparroni
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Mano, muscoli estrinseci, tunnel carpale, muscoli dell'avambraccio, osso coxale
Nella lezione precedente si è parlato della loggia anteriore dell'avambraccio e della mano. Queste due
sezioni anatomiche sono state presentate in parallelo, e si è detto che in ognuna si possono distinguere
quattro strati. Si era altresì chiarito che in molti libri i muscoli della mano vengono trattati a parte.
• la porzione intermedia, una zona più o meno pianeggiante che presenta una
fascia aponeurotica triangolare con l'apice rivolto verso il carpo e la base
verso l'articolazione metacarpo-falangea.
1. la loggia anteriore della mano, ragionando nella logica dell'eminenza tenar e dell'ipotenar;
2. la loggia dorsale della mano e dell'avambraccio, nella quale si trovano due strati e non quattro
come in quella anteriore;
Bisogna però prima ricordare che i piani muscolari sono rivestiti da fasce connettivali che anche durante la
dissezione al tavolo anatomico non sono per nulla facili scollare, a meno che non si pratichi prima una
perfusione con dei fissativi particolari (formalina, glicerolo e alcol) in grado di esaltare i piani di clivaggio.
Perciò in una dissezione autoptica, in cui non si fa uso di fissativi, si vede qualcosa di simile a ciò che si
troverebbe sul banco di un macellaio: una conglutinazione di tessuti molli che non è facile distinguere.
I RIVESTIMENTI APONEUROTICI
Al livello del carpo, ossia del polso, è presente un ispessimento della fascia simile a
un polsino da tennista, il cosiddetto legamento comune o legamento palmare del
carpo, che si continua anche sul versante dorsale.
borsa mucosa, è presente particolarmente in punti ove un tendine passa a ridosso di un piano muscolare e
quindi sarebbe sottoposto a un logorìo continuo.
Ecco un rapido ripasso dei muscoli estrinseci della mano. È utile ragionare con la logica primo dito – quinto
dito. Si ricordi la regola generale: la presenza di un tubercolo è sempre dovuta ad una trazione in quella
zona.
Il 1o strato:
Il flessore preve del mignolo parte dall'uncino dell'uncinato. Il muscolo estrinseco che viene
dall'avambraccio è il palmare lungo.
Da ciascuno dei quattro tendini del flessore profondo si staccano dunque i lombricali che, in corrispondenza
della falange intermedia, curvano e si portano sulla superficie dorsale della falange stessa. Da questa
inserzione si capisce come mai la falange distale venga flessa e le altre rimangano estese.
• obliquo, che viene dal trapezoide, dal capitato (grande osso) e dall'uncino.
Si ha poi la cosiddetta spalliera dei muscoli palmari, ossia quelli che formano il palmo della mano. Ce ne
sono quattro: gli interossei, tre sul versante palmare e quattro sul versante dorsale.
Il terzo dito non ha interosseo. Dal ciascun metacarpo delle altre dita
parte un muscoletto che si porta dorsalmente e guarda verso l'asse
mediano. Il I interosseo palmare nasce dal II metacarpale e si rivolge
con il suo piccolo ventre muscolare all'osso di mezzo. La stessa cosa fa
il II interosseo, palmare che parte dal 4 o dito. Analogamente si
comporta il III interosseo palmare che parte dal V metacarpale.
3. lombricale;
4. interosseo.
IL TUNNEL CARPALE
Sul versante del 5° dito vi è la sporgenza palpabile dell'osso pisiforme, il più mediale della prima fila, e un
po' più avanti c'è l'uncino dell'uncinato. Dall'altra parte spiccano il tubercolo dello scafoide, che fa il paio
con l'osso pisiforme, e nella seconda fila versante radiale il tubercolo del trapezio, che fa il paio con
l'uncino.
Ribaltando il legamento palmare del carpo si toglie anche il tendine del muscolo palmare lungo, che quindi
non viaggia nel tunnel carpale, ma sta sopra, sul versante esterno.
Resecando il legamento palmare del carpo e l'aponeurosi palmare si porta alla luce il legamento trasverso
del carpo, detto anche retinacolo dei flessori. Sotto tale retinacolo passano:
• i quattro tendini del flessore superficiale delle dita (2o strato), che a un certo punto si
sovrappongono a coppie (tendine del II dito con il V e tendine del III con quello del IV);
• i quattro tendini del flessore profondo delle dita (3o strato), in profondità rispetto ai tendini del
flessore superficiale, ma con più spazio a disposizione in senso latero-laterale;
L'arteria radiale e l'arteria ulnare (quest'ultima accompagnata dal nervo omonimo) viaggiano ai lati,
all'esterno del tunnel.
Proprio in questa zona e più distalmente sono presenti i dispositivi delle guaine mucose o sinoviali che
tipicamente accompagnano i tendini in posti stretti, in cui sarebbero esposti a forti sfregamenti e quindi a
notevole usura. Asportando l'aponeurosi palmare si può vedere che tali guaine sono presenti lungo questi
tendini al livello delle singole dita, e addirittura il 5° dito ha una guaina unica, che va ininterrottamente
dalla porzione centrale fino all'estremità distale.
Un consiglio per lo studio dell'angiologia: spesse volte è utile abbinare i vasi alle ossa. Ad esempio l'omero
sta nel braccio, e difatti ci sarà unì'arteria omerale o brachiale; più distalmente ci sono l'arteria radiale e
l'arteria ulnare. La radiale è fondamentale poiché fornisce un contatto diretto al letto del paziente: con il
pretesto di sentire il polso radiale si va ad instaurare un rapporto diretto tramite il dialogo non parlato,
abilità che è bene che tutti gli operatori sanitari abbiano.
L'arteria radiale e l'ulnare danno luogo al livello del palmo della mano ad un'arcata anastomotica:
Dall'ansa di questa arcata partono dei rami per ciascun lato, prima dei metacarpi e poi delle falangi.
LA REGIONE DORSALE
La regione dorsale è estensoria. Consta di due strati, uno superficiale e uno profondo.
Lo strato superficiale
Sul versante radiale (laterale) si trova l'epicondilo (laterale). Il versante ulnare presenta invece l'epitroclea
(o epicondilo mediale).
I muscoli del 1o strato (superficiale) sono quattro, e partono proprio dall'epicondilo laterale:
I tendini dell'estensore comune delle dita e quello dell'estensore proprio del mignolo prendono inserzione
sulla base delle falangi intermedie e sulle falangi distali.
Si ricordi che nella regione anteriore s'è visto il flessore ulnare del carpo o cubitale anteriore.
Lo strato profondo
Si hanno dunque:
Sono poi da segnalare gli interossei dorsali che, come precedentemente accennato, sono quattro (gli
interossei palmari sono tre) e vanno a formare una spalliera dorsale partendo dalle ossa metacarpali.
LA TABACCHIERA ANATOMICA
LA REGIONE LATERALE
La regione laterale è quella del 1° dito e del radio. Si può classificare questa regione come costituita da
quattro muscoli, tenendo però conto del fatto che alcuni considerano uno di questi, il corto supinatore,
come un muscolo appartenente alla loggia posteriore. Sono quindi presenti:
sembra, visto che l'ora lo consiglia, una fetta di prosciutto intorno ad un grissino” (cit.), che si
arrotolerà o srotolerà sul radio a seconda del movimento di prono-supinazione.
• l'anconéo;
Il profilo mediale dell'avambraccio non è dato tuttavia dall'estensore ulnare del carpo, bensì dal flessore
ulnare del carpo e quindi da una debordanza della loggia anteriore.
Le successive 5 diapositive sono affidate, con “un atto di fiducia nei confronti degli studenti”, allo studio
individuale. In esse, estrapolate dal Netter, si cerca di mettere in evidenza particolarmente la disposizione
dei tendini, sia sul versante palmare che su quello dorsale, laddove passano al livello dell'aponeurosi
carpale.
ARTO INFERIORE
L'OSSO COXALE
L'osso coxale è l'osso dell'anca, che forma il cingolo pelvico. Sul cingolo scapolare si inserisce l'arto
superiore, il cingolo pelvico dà attacco all'arto inferiore. Contrariamente al cingolo scapolare, il cingolo
pelvico forma una struttura ossea circolare chiusa, al cui esterno è inserita la testa del femore, l'estremità
più prossimale dell'arto inferiore.
L'osso coxale è palpabile lateralmente, al margine superiore della sua porzione iliaca, al livello della cresta
iliaca, il che fornisce una percezione precisa della larghezza del bacino. All'interno della cavità pelvica tra le
ossa coxali andranno poi collocati nel modulo di splancnologia gli organi della pelvi. C'è inoltre un
diaframma pelvico, un pavimento muscolare che fa da contraltare alla cupola del muscolo diaframma,
inserito all'interno della gabbia toracica. Tutta la cavità addominale è riempita quindi dai visceri addomino-
pelvici, di cui la pelvi costituisce il pavimento.
La cresta iliaca
Come detto, il limite superiore dell'osso coxale è dato dalla cresta iliaca, che non ha un margine aguzzo,
bensì arrotondato, largo circa un centimetro, approssimativamente come il dito indice.
Al di sopra di esso sono palpabili i muscoli larghi dell'addome, che non abbiamo
ancora trattato, e che prendono inserzione proprio su questo margine superiore
smusso. Tali muscoli continuano i muscoli posteriori. Si ricordi che il muscolo
posteriore che copre lo spazio compreso tra l'arcata costale e la cresta iliaca è il
quadrato dei lombi, che lateralmente si continua appunto con i larghi dell'addome,
che formano la muscolatura antero-laterale addominale: si tratta di tre muscoli
stratificati l'uno sugli altri, che saranno trattati in seguito.
Il ramo inferiore del pube, dal momento che si continua nell'ischio, può essere denominato ramo ischio-
pubico.
Le spine iliache
Alle estremità dell'arcata della cresta iliaca e un po' più inferiormente vi sono quattro sporgenze, le spine
iliache:
• anteriore superiore;
• anteriore inferiore;
• posteriore superiore;
• posteriore inferiore.
Il profilo posteriore
Quindi l'osso coxale deriva dalla fusione di tre parti ossee, che sono:
ID lezione ANA19
Data lezione 2 maggio 2011
Autore Saba Ancillai
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Osso dell'anca, femore, tibia e perone
Da considerare sulla faccia esterna è che, circa al centro, il corpo delle tre
ossa si intersecano a Y a livello di una struttura rotondeggiante che è la
cavità dell’acetabolo, collocata dunque sulla faccia esterna, che accoglie la testa del femore ed è quindi
l’omologa della cavità glenoidea che accoglie la testa dell’omero. Sul bordo dell’acetabolo c’è una
discontinuità, non esattamente nella parte inferiore ma nella parte infero-anteriore (se immagino questa
circonferenza come il quadrante dell’orologio, a ore 5).
Il secondo aspetto riguardante la cavità dell’acetabolo è che presenta un margine rilevato di un paio di
centimetri per i ¾ della circonferenza, una sorta di mezza luna che dal bordo esterno va verso il centro
all’inizio dell’incisura: si tratta della superficie lunata. Questa è il bordo più esterno della cavità ed è la
superficie della cavità dell’acetabolo rivestita da cartilagine articolare. Questa cartilagine non è presente al
centro perché il contatto tra la testa del femore e la cavità dell’acetabolo avviene solo lungo questa
circonferenza lunata, cioè la testa del femore non tocca tutta la superficie della cavità aceta bolare ma solo
il bordo.
Al centro, la testa del femore presenta un legamento, detto legamento rotondo della testa del femore (di
legamenti rotondi ne esistono almeno tre: del femore, del fegato e dell’utero). Per schematizzarlo facciamo
una circonferenza a livello dei confini fra ileo anteriormente, ischio postero-inferiormente e pube postero-
anteriormente. Sotto questa circonferenza si trova l’incisura inferiore, cioè l’interruzione del margine, che
prende anche il nome di limbus (anche in questo caso ci sono diversi limbi: il limbus sclero-corneale, lobo
limbico e il limbus che riguarda l’osso inguinale). Al di sotto di questa circonferenza ne disegniamo una più
ovoidale con l’asse maggiore obliquo: è il foro otturato, così chiamato perché è coperto quasi per intero da
una membrana otturatoria di tipo connettivale che lascia solo un piccolo passaggio in alto (il foro otturato)
in cui passa l’arteria otturatoria, il nervo otturatorio; la membrana otturatoria è rinforzata sulla faccia
esterna da un muscolo, il muscolo otturatore esterno, e sulla faccia interna dal muscolo otturatore interno
(vedi muscoli dell’anca). Avendo suddiviso la cavità acetabolare con una linea a forma di Y, il foro otturato è
delimitato posteriormente dall’osso ischiatico e anteriormente dall’osso del pube.
Sull’osso iliaco si notano la cresta, con sopra le linee di inserzione dei muscoli larghi antero-laterali
dell’addome, e le linee glutee, ovvero delle linee arcuate dove si inseriscono i muscoli glutei (quelli che
definiscono il profilo delle natiche): si ha la linea glutea anteriore, la linea glutea posteriore e la linea
glutea inferiore verso il basso, cioè verso la regione subito al di sopra della cavità acetabolare. Sulla faccia
esterna dell’osso iliaco si viene dunque a creare una superficie pianeggiante caratterizzata da queste linee
poco elevate: l’ala iliaca, detta anche superficie glutea essendo occupata dai tre muscoli glutei, di cui la
cresta iliaca è il margine superiore.
Seguiamo ora il margine anteriore dell’osso, che corrisponde a uno dei lati lunghi del rettangolo: un punto
importante è la spina iliaca anteriore-superiore: infatti c’è un’altra spina iliaca più in basso che è anteriore-
inferiore, mentre dietro ho la spina iliaca posteriore-superiore e posteriore-inferiore. Dalla spina iliaca
postero inferiore, cioè lungo il margine posteriore dell’osso, parte un’insenatura profonda, la grande
incisura ischiatica, che arriva a una sporgenza appartenente all’ischio, la spina ischiatica. L’ischio, al
contrario dell’ileo, ha solo questa spina, peraltro molto importante: intorno ci passa il nervo pudendo, che
va alle pudenda, cioè ai genitali esterni (l’ostetrica per fare l’anestesia alla partoriente cerca la spina
ischiatica e va a anestetizzare il nervo pudendo). La grande incisura ischiatica sta tra la spina iliaca postero-
inferiore e la spina ischiatica. Scendendo, c’è un’altra piccola insenatura: la piccola incisura ischiatica.
Scendendo ancora lungo il margine inferiore si incontra una superficie molto scabrosa che prende il nome
di tuberosità ischiatica.
Quindi lungo il margine posteriore dell’osso si trovano la cresta iliaca, la spina iliaca postero-superiore e
quella postero-inferiore da cui parte la grande incisura ischiatica, la spina ischiatica, la piccola incisura
ischiatica e la tuberosità ischiatica: questi sono i punti salienti del profilo posteriore. La cavità dell’acetabolo
va in corrispondenza della spina ischiatica e al di sotto della cavità acetabolare, sul territorio dell’ischio e
del pube, si indica l’incisura del foro otturato.
Sul margine anteriore ho la spina iliaca anteriore-superiore, che delle quattro spine iliache è la più
importante perché da lì parte il legamento inguinale su cui si costruisce il canale inguinale; un po’ più in
basso c’è la spina iliaca anteriore-inferiore, poi si trovano il ramo superiore del pube e il ramo inferiore. Il
ramo superiore è tutto in territorio pubico, mentre quello inferiore confina in basso posteriormente con
l’ischio, tanto che si chiama non solo ramo inferiore del pube ma anche ramo ischio pubico, proprio per
ricordare che posteriormente è in continuità con la tuberosità ischiatica.
Queste dono dunque le particolarità dell’osso coxale da ricordare sulla faccia esterna: la cresta iliaca, con le
linee per l’inserzione dei muscoli larghi dell’addome, le linee glutee, le 4 spine iliache, la grande e piccola
spina ischiatica e infine i 2 rami orizzontali del pube, a livello dei quali si ha la sinfisi pubica.
Vediamo ora la faccia interna: la prima cosa da osservare è che non c’è la
cavità acetabolare. Laddove sulla faccia esterna c’è questa cavità,
internamente si trova una superficie piatta che rappresenta il corpo
dell’ischio con sopra il corpo dell’ileo; il territorio iliaco è solcato da una
linea arcuata, non molto elevata ma comunque evidente (contrassegnata
con il n° 4) che assomiglia a una S.
La cosiddetta linea arcuata o innominata, che parte posteriormente dall’alto, dalla superficie articolare,
continua sulla branca superiore del pube con una cresta, detta cresta pettinea. A un centimetro circa dalla
sinfisi pubica c’è una piccola sporgenza detta tubercolo pubico; il legamento inguinale, come vedremo, va a
ponte dalla spina iliaca anteriore superiore al tubercolo pubico nella sinfisi pubica.
Seguendo il margine posteriore della faccia interna, individuiamo dunque la superficie auricolare per
l’articolazione con il sacro in corrispondenza della spina iliaca posteriore inferiore, nonché il profilo della
grande incisura ischiatica, visibile anche sulla faccia esterna.
Il foro otturato è rivestito sulla faccia interna dal muscolo otturatore interno, quindi partendo dall’esterno
ho il muscolo otturatore esterno, la membrana otturatoria e il muscolo otturatore interno. Tale muscolo,
come tutti i muscoli, è rivestito da una fascia connettivale che presenta un ispessimento a circa metà
altezza. Questo ispessimento connettivale arriva posteriormente a livello della spina ischiatica e
anteriormente a livello della branca orizzontale del pube: questa è la linea di inserzione all’interno dell’osso
iliaco del diaframma pelvico che in basso chiude a mo’ di imbuto muscolare la grande cavità addominale.
Mentre superiormente, a livello delle coste, con inserzione sullo sterno e sulle vertebre, si ha il muscolo
diaframma, attraversato dal tubo digerente, più in basso si trova l’imbuto del diaframma pelvico che
prende inserzione lateralmente in corrispondenza della sinfisi pubica sulla faccia anteriore e
posteriormente sull’ispessimento del muscolo otturatore che arriva con la sua inserzione fino alla spina
iliaca. Tale diaframma pelvico va dunque cucito sulla faccia interna delle due ossa inferiori, l’ischio e il pube;
esso è attraversato dalla porzione più caudale del canale digerente, che si trova in posteriore a ridosso del
sacro e anteriormente dalla via urinaria e dalle vie genitali, con variazioni dunque nei due sessi; inoltre vi
passano l’aorta che da toracica diventa addominale e, in direzione opposta, dalla vena cava inferiore che da
addominale deve entrare a livello del mediastino. Ci sono poi altre vene, il dotto linfatico, il dotto toracico.
Il nervo pudendo, che deve arrivare ai genitali esterni, esce dal midollo spinale a livello del bacino dal sacro
e per andare in basso trovandosi chiuso dal diaframma pelvico deve uscire da questo imbuto: allora il nervo
pudendo, per passare dalla linea intrapelvica a quella sottopelvica, gira attorno alla spina ischiatica ed è per
questo che l’ostetrica indica questo punto per individuare il tronco nervoso da anestetizzare.
FEMORE
Rivediamo brevemente la struttura dell’omero per individuare le analogie tra questo e il femore, tendendo
presente che l’omero rispetto al femore è ruotato e quindi le somiglianze vanno valutate tra lati opposti.
L’omero presenta una testa (una porzione di sfera), un collo stretto e due sporgenze a livello dell’epifisi: la
grande tuberosità o trochite e la piccola tuberosità o trochine. Da queste sporgenze partono due creste e si
viene a creare il solco bicipitale, dove passa il tendine del muscolo bicipite e il corpo lungo del bicipite,
mentre sui due lati vanno posizionati il grande pettorale, il gran dorsale e il grande rotondo.
Ricapitoliamo cosa bisogna ricordare della faccia anteriore del femore. In alto e all’esterno sporge il grande
trocantere mentre medialmente si intravede, a maggiore espressione posteriore, il piccolo trocantere, e la
linea intertrocanterica li unisce sulla faccia anteriore. Sulla parte inferiore si trova il condilo laterale con
l’epicondilo laterale e il condilo mediale con l’epicondilo mediale, più evidenziato e su cui è presente il
tubercolo adduttorio. Qui si viene a creare un’arcata e vedremo che a questo livello passa l’arteria femorale
che dalla regione antero-laterale si porterà nella regione posteriore del ginocchio, la fossa poplitea. La
faccia anteriore del collo del femore si appiattisce fino a formare la superficie patellare, una gola che unisce
le due sporgenze dei condili la cui superficie è rivestita da cartilagine articolare per l’articolazione con la
rotula.
Sulla faccia posteriore si trova qualche analogia con il solco bicipitale. Qui dal grande trocantere si scende in
basso al piccolo trocantere attraverso la cosiddetta cresta intertrocanterica, cioè posteriormente il collo del
femore è delimitato da queste sporgenze e la cresta intertrocanterica. Una cosa importante è che alla base
del grande trocantere, tra questo e il collo, c’è una fossetta dove si inseriscono dei muscoli, cioè come
sempre è il frutto della trazione di alcuni muscoli.
Dal grande trocantere tracciamo una linea che scende in basso e un’altra dal piccolo trocantere (questo è
uno dei punti anatomici la cui descrizione è diversa nei testi). Mentre la faccia anteriore del femore è liscia,
la faccia posteriore della diafisi è attraversata da una linea, detta linea aspra del femore, che verso l’epifisi
prossimale si biforca in due linee: quella più mediale, verso il piccolo trocantere, prende il nome di linea
pettinea. Abbiamo visto la cresta pettinea sulla branca orizzontale (o superiore o innominata) della
superficie del pube, che continua la linea arcuata (o innominata) dell’osso iliaco: da essa parte un muscolo
che dal pube va su questa linea e si chiama muscolo pettineo. Quindi ho la cresta pettinea sul pube, la linea
pettinea sulla faccia posteriore del femore come prosecuzione del piccolo trocantere e il muscolo pettineo
che va dalla cresta alla linea pettinea che è quello più in alto dei muscoli adduttori, cioè dei muscoli della
loggia mediale quello più prossimale al sacro. La linea che invece sale più in alto, al grande trocantere, è
detta linea glutea. Qui si inserisce il grande gluteo, che dei glutei è quello più esterno e forma quindi il
rivestimento muscolare esterno delle natiche. Dalla faccia inferiore del grande gluteo fuoriesce verso il
basso una struttura abbastanza dura e grande come un pollice, il nervo sciatico (cioè ischiatico), che si trova
nella loggia posteriore.
Lungo la linea aspra del femore vanno a inserirsi diversi muscoli. Scendendo verso il basso, così come al
terzo superiore della diafisi del femore si ha la biforcazione nelle due linee, al terzo inferiore della diafisi la
linea aspra si apre dirigendosi verso gli epicondili e delimitando una superficie posteriore piatta e piuttosto
alta: una linea va verso l’epicondilo mediale, dove c’è il tubercolo adduttorio, e si chiama linea
epicondiloidea mediale, l’altra va verso l’epicondilo laterale ed è la linea epicondiloidea laterale.
Dunque sulla superficie posteriore il margine mediale della biforcazione è quello che prosegue per la linea
pettinea verso il piccolo trocantere e il labbro laterale della linea aspra prosegue verso la tuberosità glutea,
dove si ha l’inserzione del grande gluteo, fino al grande trocantere.
Nell’epifisi distale le due linee che scendono verso l’epicondilo mediale e laterale delimitano una faccia
pianeggiante, che è la faccia poplitea; sulla faccia posteriore, tra femore e ossa della gamba, si trova una
regione romboidale individuata da quattro tendini, detta losanga poplitea; la regione poplitea è
attraversata dall’arteria omonima, data dall’arteria femorale che, aggirando il tubercolo adduttorio entra
nella faccia posteriore, e dai nervi che scendono nella regione posteriore, cioè dal nervo ischiatico che poi si
biforca per entrare nella regione della gamba. Posteriormente i due condili sporgono maggiormente, per
cui mentre davanti si ha la gola che accoglie la faccia posteriore della rotula, posteriormente c’è una fossa
più profonda, detta fossa intercondiloidea poiché in proiezione laterale i due condili si estendono
TIBIA E PERONE
Le ossa della gamba corrispondono a quelle dell’avambraccio. Come nell’avambraccio, anche nella gamba ci
sono due ossa, di cui una decisamente più grande, la tibia, e una più piccola che è il perone o fibula.
In basso la tibia si slarga sulla sua epifisi distale e analogamente all’ulna, che ha un processo stiloideo
dell’ulna, qui ho una sporgenza che è il malleolo tibiale, cioè il malleolo mediale, e la faccia inferiore
presenta una superficie articolare che va ad articolarsi con il piede.
Il perone o fibula presenta anch’esso, essendo un osso lungo, una epifisi prossimale, una diafisi e una epifisi
distale. La testa presenta un apice verso l’alto, perché lì si inserisce un muscolo della loggia posteriore che
fa da trazione verso l’alto; in basso si restringe con una strozzatura, un collo, poi abbiamo la diafisi. La
diafisi presenta un margine, che in realtà sono due creste molto vicine: il margine anteriore è quello più
laterale, più esterno; quello invece più mediale che dista circa 2 mm dall’alto è detto margine interosseo,
dato dalla inserzione su di sé della membrana interossea, similmente all’avambraccio. Dunque un margine
interosseo è presente anteriormente sulla fibula e un margine interosseo si trova lateralmente sulla tibia.
La testa del perone tipicamente non arriva all’altezza del piatto tibiale ma si trova più in basso, sovrastato
in parte dal condilo mediale della tibia, andando ad articolarsi a questo livello. Perciò il perone non ha nulla
a che vedere con l’articolazione tra femore e tibia e tra questi e la rotula: la testa ne resta fuori, mentre
inferiormente l’epifisi distale del perone forma una sporgenza, il malleolo laterale, un po’ più grosso del
mediale, che con la sua faccia interna partecipa all’articolazione fra gamba e piede.
Sulla faccia posteriore della tibia notiamo, inferiormente ai tubercoli tibiali, una linea posteriore detta linea
del soleo (il soleo è un muscolo che fa parte dei tricipiti della sura, quindi è un muscolo a tre capi della
loggia posteriore).
Proviamo a disegnare la faccia superiore della tibia vista dall’alto: l’osso ha un asse
latero-laterale più lungo dell’asse antero-posteriore, quindi disegno un rettangolo;
questo è sormontato da due superfici più o meno circolari, una laterale e una
mediale, che sono separate dai due tubercoli fra i condili: il tubercolo
intercondiloideo laterale e quello mediale. Sulla faccia anteriore del rettangolo va
collocata la tuberosità tibiale, poi la testa del perone che, oltre ad essere più in basso,
come si apprezza nel disegno è posizionata un po’ posteriormente, quindi è postero-laterale rispetto al
condilo laterale.
Andiamo a osservare i tubercoli interni: essi hanno una superficie liscia davanti e una superficie posteriore;
mentre sul profilo anteriore abbiamo disegnato la tuberosità tibiale, sul profilo posteriore c’è una piccola
membrana, in corrispondenza della quale, dietro ai tubercoli intercondiloidei, c’è un’altra superficie. La
superficie che sta davanti è quella su cui si inserisce il legamento crociato anteriore; la superficie
inercondiloidea che sta dietro ai tubercoli intercondiloidei è quella su cui si inserisce il legamento crociato
posteriore. Tali legamenti sono detti crociati perché si incrociano e il crociato anteriore va verso il condilo
laterale del femore, quindi è antero-laterale, mentre il crociato posteriore andrà verso il condilo mediale
del femore e quindi è postero-mediale.
ID lezione ANA20
Data lezione 5 maggio 2011
Autore Elisa Montrone
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Ossa del piede, astragalo, osso navicolare e cuboide, muscoli dell'addome,
Argomento
parete addominale e tratto inguinale
L'ASTRAGALO O TALO
Sul corpo dell'astragalo si vanno ad articolare la tibia e il perone, che presentano come superfici articolari la
faccia interna del malleolo tibiale e la faccia interna del malleolo peroniero. Il malleolo peroniero andrà ad
articolarsi con il perone; sulla faccia interna si articola il malleolo tibiale e sul dorso la faccia interna della
tibia. L'artricolazione, essendo fra la tibia (la parte maggiore) e l'astragalo, viene definita articolazione
tibio-tarsica o tibio-astragalica. L'astragalo rappresenta, con il corpo, la superficie articolare che va a
formare la troclea astragalica, la quale permette la flesso-estensione (o flessione dorsale) del piede, il
movimento maggiore.
Data la posizione dell'astragalo, iniziamo a capire perchè, dal punto centrale del calcagno, abbiamo un arco
longitudinale mediale che, rispetto a un arco longitudinale laterale, è più alto. Segue un arco trasversale.
Abbiamo poi un fronte anteriore del tarso che presenta quattro ossa su cui andranno a collocarsi i 5
metatarsi (che hanno una morfologia simile a quella dei metacarpi).
I METATARSI
Le teste dei metatarsi andranno ad articolarsi con le falangi. I 5 metatarsi si devono articolare su 4 ossa:
• i primi tre metatarsi (i più mediali) si articolano con i rispettivi cuneiformi (primo metatarso con
primo cuneiforme, secondo con secondo, ecc);
Precisazioni
Nell'arto inferiore inoltre, ci saranno una loggia laterale, una anteriore e una posteriore.
L'astragalo non raggiunge il margine posteriore del calcagno, quindi quest'ultimo deborda posteriormente.
Sulla faccia superiore del calcagno che resta scoperta, andrà ad inserirsi il robusto tendine noto come
tendine d'Achille, cioè il tendine dei muscoli più superficiali della loggia posteriore della gamba. Il talo
presenta tre faccette articolari (superiore, mediale e laterale), necessarie per l'articolazione con la tibia e la
faccia interna del malleolo peroniero. La testa dell'astragalo è allineata con l'estremità anteriore del
calcagno, mentre le ossa della seconda fila, il navicolare e il cuboide, presenteranno un divario che è
colmato dai tre cuneiformi. Di profilo, in basso, notiamo il bordo mediale e l'arco plantare molto più alto a
differenza dell'arco longitudinale laterale, decisamente pù basso. Dl profilo poi sarà visibile uno spazio sul
calcagno, su cui si sovrappone il corpo del talo e poi il seno del tarso.
I MUSCOLI DELL'ADDOME
Per parlare dei muscoli dell'arto inferiore dobbiamo innanzitutto analizzare i muscoli dell'addome,
partendo dalla parte posteriore. Andremo a vedere la muscolatura addominale del tronco, per poi scendere
ai muscoli che collegano il cinto pelvico con le ossa dell'arto inferiore.
L'arcata costale prosegue posteriormente con la dodicesima costa che è una delle due fluttuanti. Seguono 5
vertebre lombari che presentano l'articolazione lombo-sacrale. L'ala del sacro guarda la prima delle 5
vertebre sacrali: il passaggio fra quinta lombare e prima sacrale segna una sporgenza anteriore della prima
vertebra sacrale, il promontorio del sacro.
• la sua superficie laterale si va ad articolare con la faccia auricolare dell'ileo, dando luogo
all'articolazione sacro-iliaca (l'ala del sacro si articola con la faccetta articolare dell'ileo).
L'ileo presenta la cresta iliaca con il suo labbro interno, l'intermedio e l'esterno: abbiamo un accenno di
tristratificazione dove si andranno a inserire i tre muscoli larghi dell'addome. La cresta iliaca arriva a livello
del corpo di L4 come altezza ma non ci si articola.
Di profilo, per spostarci dal promontorio del sacro (estremità posteriore) alla sinfisi pubica (estremità
anteriore), immaginiamo una linea che va a segnare il passaggio fra la parte superiore dell'osso coxale o
innominato (che forma la grande o falsa pelvi) e la parte inferiore a questa linea (che costituisce la pelvi
vera). Questa linea, dietro, parte dal promontorio del sacro, per poi proseguire con l'ala del sacro e la linea
arcuata o innominata, che ci divide la parte superiore, la fossa iliaca, facente parte della grande pelvi, dalla
linea arcuata (dove finisce l'ileo); qui troviamo la branca orizzontale del pube, quindi la linea arcuata o
innominata continua nella cresta pettinea che sta sul ramo pubico orrizzontale, arrivando a un centimetro
circa dalla linea mediana col tubercolo pubico. Visto dall'alto intravediamo il profilo posteriore dell'osso
innominato e la spina ischiatica.
Ricapitolando:
3. linea arcuata;
4. linea pettinea;
5. tubercolo pubico;
6. sinfisi pubica.
Su questa direttrice poggia il piano che segna il confine tra grande o falsa pelvi e la piccola o vera pelvi.
LA PARETE ADDOMINALE
Il gran dorsale posteriormente ha la fascia lombodorsale o aponeurosi, arrivando alla parte più posteriore
della la cresta iliaca, per poi scendere medialmente.
piatti, rettangolari, posti ai lati, che sono i retti dell'addome; vanno dalle ossa del torace alla regione della
sinfisi pubica.
Seguendo le fasce dell'obliquo interno, dell'esterno e del trasverso, vediamo come si comportano questi
muscoli: sono in continuazione, tre lamine muscolari che chiudono lateralmente e anteriormente fino ad
arrivare ai margini laterali di ciascuno dei due retti dell'addome, che non sono due nastri ininterrotti ma
presentano delle fasce connettivali trasversali (i quadratini).
Vediamo come si comporta ciascun muscolo: ciascuno è avvolto da una fascia. Si comportano
diversamente: un tipo di comportamento ce l'hanno al di sopra della linea dell'ombelico, segue poi una
variazione a livello dell'ombelico e al di sotto. Sopra all'ombelico, la fascia posteriore e quella anteriore
dell'obliquo esterno si riuniscono e, dove il muscolo finisce medialmente, passano davanti al retto
dell'addome.
Il muscolo del secondo strato, l'obliquo interno, arrivato in prossimità del retto dell'addome, si sdoppia:
Quindi l'obliquo esterno passa davanti, l'interno si sdoppia per poi incrociarsi sulla linea mediana (su cui
arriva anche l'aponeurosi dell'obliquo esterno). L'aponeurosi del trasverso dell'addome invece passa dietro
e anch'essa incrocia.
Dietro a questi tre muscoli con le rispettive fasce, c'è la linea continua che si chiama fascia trasversalis, la
fascia che sta dietro. Più internamente vediamo la fascia peritoneale (peritoneo parietale). Quindi l'obliquo
interno e il trasverso posteriormente si inseriscono sulla fascia lombodorsale, l'esterno si stacca dal
muscolo gran dorsale.
Il muscolo retto dell'addome arriva sulla sua fascia che va a ricoprire il muscolo sottostante; si notano i
segmenti trasversali connettivali che fanno sì che il nastro anteriore del retto presenti delle inserzioni
intermedie. In basso, la parte connettivale è abbastanza ampia e si inserisce sulla cresta iliaca, mentre il
margine inferiore è dato dal legamento inguinale, un ponte connettivale fra la spina iliaca anteriore
superiore e la regione della sinfisi pubica. In reatà questa aponeurosi, quando arriva sulla linea mediana, si
sdoppia, per cui abbiamo un capo più mediale e uno più laterale: un pilastro interno mediale e uno laterale,
che arriva circa all'altezza del tubercolo pubico.
L'inserzione dell'obliquo esterno parte dalla 7 a costa, per poi giungere alla 12a (sulla 7a è anteriore, ma via
via che si scende in basso l'inserzione prossimale si porta più lateralmente perchè le coste girano; infatti
sulla 12a è abbastanza posteriore). L'inserzione, a partire dal terzo posteriore della cresta iliaca, è occupata
dall'obliquo esterno fino alla spina iliaca anteriore superiore e da qui c'è un ponte che arriva alla regione del
pube.
A livello mediale anteriore l'aponeurosi dell'obliquo esterno si sdoppia: abbiamo un pilastro laterale e un
pilastro mediale. Seguono delle fasce che chiudono superiormente, anche se i pilastri costituiscono, nella
regione anteriore sovrapubica, i margini dell'anello inguinale esterno. Fra il pilastro mediale e il laterale nel
sesso maschile passa il funicolo spermatico, che deve raggiungere l'esterno (la gonade maschile deve uscire
dalla cavità addominale, perchè lì la temperatura non è favorevole alla vitalità degli spermatozoi. Il testicolo
deve stare fisiologicamente fuori dalla cavità addominale.
IL TRATTO INGUINALE
Dobbiamo sistemare tre fogli muscolari, uno sovrapposto all'altro che, andando a inserirsi lungo l'osso
iliaco, nel passaggio del ponte fra la spina iliaca superiore e il tubercolo/sinfisi pubica, lasciano passare uno
spazio tra di loro, destinato al funicolo spermatico, con tutto ciò che lo riguarda (i vasi, l'arteria per la
gonade, la vena, i nervi). Nella regione posteriore vediamo un triangolino che segna la discontinuità tra il
margine laterale del gran dorsale e il margine posteriore dell'obliquo esterno. Il triangolino non è rivestito
né dall'uno né dall'altro: ci sarà una piccola fossa rivestita dalla cute, dove troviamo solo i muscoli dello
strato sottostante; posteriormente il trasverso dell'addome e l'obliquo interno si inseriscono sulla fascia o
aponeurosi lombodorsale.
La fascia lombodorsale del gran dorsale è strettamente colllegata con l'obliquo interno e il trasverso
dell'addome.
I muscoli del secondo e terzo strato arrivano a livello del legamento inguinale: l'obliquo esterno ha una
larga fascia che in basso non ha un margine semplice ma si ripiega, formando una doccia che guarda verso
l'interno. Quello che poggia tra la spina iliaca e il tubercolo pubico non è semplicemente il margine inferiore
di questa aponeurosi, in quanto si sdoppia. Quando arriviamo al tubercolo pubico, all'estremità più
mediale, questa aponeurosi si sdoppia in tre capi (o pilastri): due anteriormente, il terzo posteriormente
(che attraversa la linea mediana e va a inserirsi sul pube controlaterale). Ciò avviene sia a sinistra che a
destra. In pratica abbiamo il pilastro mediale e il laterale che sono più anteriori: tra questi due passa il
funicolo spermatico (che nella donna è sostituito dal legamento rotondo dell'utero).
arco, fa da tetto al contenuto del tragitto inguinale che poggia su un pavimento, l'aponeurosi dell'obliquo
esterno. La parete posteriore non è formata da muscolatura, perchè "la serranda si è inceppata", per cui ci
sarà la fascia trasversalis che poggia sull'aponeurosi dell'obliquo esterno e il peritoneo parietale. Questo è il
punto di maggiore debolezza della parete addominale, dove possono fuoriuscire le ernie inguinali.
ID lezione ANA21
Data lezione 9 maggio 2011
Autore Simone Ajello e Davide Ajello
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Muscolatura larga dell'addome, canale inguinale, muscoli pelvitrocanterici,
Argomento
diaframma pelvico, diaframma urogenitale, muscoli dell'anca
CANALE INGUINALE
Abbiamo già detto che l’aponeurosi del grande obliquo (1’), giunta nei
pressi della spina iliaca anteriore superiore dell’osso coxale, poggia “a
ponte” fino alla regione del tubercolo pubico - sinfisi pubica, poiché il
profilo dell’osso coxale in questo “tratto” è leggermente avvallato.
Questa porzione di aponeurosi (tra la
spina iliaca anteriore superiore e il
tubercolo pubico) è detta anche
legamento inguinale.
legamento inguinale (in grigio) che salta proprio a ponte dalla spina iliaca anteriore superiore sino al
tubercolo pubico.
Il “tetto” del canale inguinale è costituito dal tendine congiunto: questo tendine è così detto perché unisce
appunto le aponeurosi dell’obliquo interno (3) e del trasverso dell’addome (4); è infatti un tendine a due
fasce. Questi due muscoli non arrivano ad inserirsi sulla fascia aponeurotica del grande obliquo (legamento
inguinale), perché rispetto a questa si pongono un po’ di traverso non arrivando così con il loro margine
inferiore allo stesso livello dell’aponeurosi. L’obliquo interno e il trasverso, dunque, poiché non arrivano al
livello dell’aponeurosi
ma terminano prima
di essa, vengono a
creare uno spazio
libero. In altre parole,
il tetto del canale
inguinale non arriva
fino in fondo
(esempio: serranda
che non arriva fino al
piano della finestra)
ma viene a formare un
arco obliquo
trasversale sotto cui
dovrà passare per
forza una qualche
struttura.
E questa struttura è il
cosiddetto funicolo
spermatico. È una
struttura circolare
(nell’immagine
precedente è vista in sezione), cioè una sorta di condotto che attraversa la parete addominale con
direzione obliqua dall’interno verso l’esterno e dall’alto verso il basso. Questa struttura cava, in genere, è
più importante nel sesso maschile. Il funicolo infatti è essenziale perché collega il testicolo con la cavità
addominale, dove il testicolo stesso è stato originato. I testicoli, infatti, non permangono nella cavità
addominale ma scendono nel sacco scrotale e questo perché la temperatura della cavità addominale non è
quella fisiologica per le cellule germinali maschili. Infatti, rispetto ai testicoli discesi normalmente, i testicoli
ritenuti presentano non solo sterilità, ma anche una più alta tendenza al tumore. Nel maschio, in definitiva,
il testicolo scende dalla cavità addominale fino al sacco scrotale e durante questo tragitto esso si porta
dietro il rivestimento peritoneale, formando una sorta di ernia fisiologica e portando con sé la cavità.
Durante la sua discesa, infine, il testicolo segue la “guida” del legamento tubernaculum. Nella donna,
invece, le cui gonadi non vengono portate all’esterno bensì rimangono localizzate nella piccola pelvi,
anziché il legamento tubernaculum troviamo il legamento rotondo, che non serve praticamente a niente.
Nel sesso femminile, dunque, questa regione è meno sollecitata e di conseguenza è meno soggetta a
sviluppare un ernia inguinale.
Quanto invece alla parete posteriore del canale inguinale, questa è molto sottile perché è costituita
soltanto dalla fascia trasversalis (7): si tratta di una fascia connettivale che sta dietro al 3° muscolo, cioè
l’obliquo interno. Dal momento che la parte posteriore è molto sottile, se in questo punto si vengono ad
esercitare delle pressioni particolari, possono originarsi delle ernie.
Ancora più internamente, cioè dietro alla fascia trasversalis, troviamo un altro strato sottilissimo, ovvero il
peritoneo parietale (8): questo è uno dei due foglietti (peritoneo parietale e peritoneo viscerale) che
avvolge la cavità peritoneale. Questa è
una delle 3 grandi cavità sierose che
caratterizzano il nostro corpo: cavità
peritoneale, cavità pleurica, cavità
pericardica (questa, in particolare,
avvolge il cuore). Sono tutte rivestite da
un sistema a doppio strato, cioè un
foglietto parietale e un foglietto
viscerale, entrambi di origine
mesodermica (cellule mesoteliali), tra cui
è compreso un ristretto spazio virtuale
tale da impedire lo sfregamento.
in direzione mediale, ad un certo punto si sfiocca in tre pilastri: il mediale (2), il laterale (2’) e il profondo
(2’’). I pilasti mediale e laterale sono uniti tra loro da fibre connettivali arciformi (2’’’) ed è proprio questa
biforcazione a forma di “arco” a costituire l’apertura sottocutanea da cui fuoriesce il nostro funicolo
spermatico.
Le immagini riportate di seguito mostrano sempre il funicolo e la regione da cui fuoriesce, da prospettive di
volta in volta diverse (i numeri, però, sono sempre gli stessi).
MUSCOLI PELVI-TROCANTERICI
I muscoli pelvi-trocanterici, come suggerisce il nome stesso, sono quei muscoli che uniscono la pelvi, cioè il
cingolo, al tronco. Questi muscoli rivestono l’osso cocsale sia internamente che esternamente, cioè sia sulla
faccia interna che su quella esterna.
Strato intermedio:
• medio gluteo.
Strato profondo:
• piccolo gluteo;
• piriforme;
Iniziamo con i muscoli otturatore esterno e otturatore interno. Immaginate di fare una sezione frontale del
cingolo pelvico passante per il foro otturato dell’osso cocsale. Mettete i due avambracci verticali con il
palmo della mano allargato: in questo modo stiamo abbozzando la
struttura dell’osso coxale. Infatti:
Grande pelvi e piccola pelvi sono tra di loro separate dalla linea innominata, anche detta linea arcuata (nel
disegno precedente è tratteggiata). Come possiamo osservare nell’immagine che segue, la linea arcuata
parte dall’ala del sacro e arriva al tubercolo pubico.
Sempre soffermandoci sulla piccola pelvi, le sue pareti laterali sono costituite dall’ischio (posteriore) e dal
pube (anteriore). In queste pareti laterali notiamo il foro otturato rivestito dalla membrana otturatoria (in
arancione). Questa membrana, a sua volta, è ricoperta da entrambi i lati:
Quanto all’otturatore interno, questa presenta la sua fascia connettivale di rivestimento la quale, circa a
metà altezza del muscolo (quindi circa a metà altezza del foro otturato), presenta un ispessimento sul quale
poi si viene a “cucire” un muscolo: il diaframma pelvico. Questo è in pratica costituito dai due muscoli che
si dipartono dall’ispessimento della fascia connettivale dell’otturatore interno e che, unendosi l’uno con
l’altro sulla linea mediana, formano appunto un “imbuto” muscolare concavo verso l’alto. Questo imbuto è
appunto il nostro diaframma pelvico che:
• lateralmente s’inserisce, oltre che sull’aponeurosi dell’otturatore interno, anche sulla spina
ischiatica (un po’ più indietro).
Al di sotto di questo diaframma pelvico non c’è subito il piano cutaneo ma c’è un altro piano muscolare,
ovvero un altro diaframma: il diaframma uro-genitale. Questo diaframma uro-genitale, a differenza del
diaframma pelvico, non è presente su tutta l’estensione della piccola pelvi, ma solo e soltanto nella regione
anteriore, ovvero solo e soltanto dove passano la via urinaria e la via vaginale (è per questo che è detto
diaframma uro-genitale).
A proposito di diaframmi, ricordiamo anche il diaframma toracico, con inserzione sulla 5 a costa.
DIAFRAMMA PELVICO
1. elevatore dell’ano: è una sorta di “fionda” intorno all’ano suddiviso a sua volta in 2 componenti:
• pubo-coccigeo: parte più anteriore che si va ad inserire sulla faccia anteriore, cioè sulla sinfisi
pubica;
2. ischio-coccigeo (o semplicemente
“coccigeo”): si inserisce sulla spina
ischiatica e termina sul coccige e su
S4/S5.
DIAFRAMMA UROGENITALE
Abbiamo già detto che questo diaframma non è completo come il diaframma pelvico ma è incompleto:
infatti non copre tutta l’estensione della piccola pelvi ma si trova solo e soltanto nella parte anteriore, dove
troviamo la via urinaria e la via vaginale. Guardandolo da sotto si vede l’apertura del canale anale e si può
osservare che c’è un muscolo sfintere striato, atto a controllare la funzione anale; si può notare la punta del
coccige e possiamo vedere il diaframma pelvico nella sua parte più posteriore (siamo a livello dell’ischio
coccigeo, visto da sotto).
Mentre dal canale anale in avanti ecco che ci appare quel piano triangolare che è il secondo piano, cioè
quello più sottocutaneo, più superficiale, che prende il nome di diaframma urogenitale e che è incompleto,
dato che non è presente nella parte posteriore, a livello del canale anale. Quindi il diaframma urogenitale è
presente sotto il diaframma pelvico ma solo nella sua parte anteriore: infatti arriva posteriormente solo
fino a livello della tuberosità ischiatica. E’ costituito da una lamina muscolare triangolare che prende il
nome di muscolo trasverso profondo del perineo.
Guardando la regione inferiore dell’addome a gambe divaricate, tracciamo una losanga a livello delle
tuberosità ischiatiche, con una linea che unisce appunto le due tuberosità, la linea bis ischiatica, che divide
questa regione in una regione posteriore, dove abbiamo il canale anale con il suo sfintere circolare attorno
e in una regione anteriore, detta regione GENITO-URINARIA. Il muscolo trasverso profondo del perineo è un
muscolo triangolare che si trova nella metà anteriore, per cui se noi togliessimo la cute nella regione
posteriore dove c’è il rafe ano-coccigeo noi appezzeremmo la faccia inferiore dell’ischio coccigeo. Il
trasverso profondo del perineo arriva posteriormente sulla linea bis ischiatica, mentre il suo margine
laterale è sul ramo inferiore o obliquo del pube, cioè sul ramo ischio pubico, che unisce la tuberosità
ischiatica alla sinfisi pubica. Questo piano muscolare è una lamina caratterizzata da una fascia connettivale
che guarda all’interno (cioè verso l’elevatore dell’ano) e una fascia che guarda all’esterno. Inoltre è
rinforzato da tre muscoli fusiformi, cioè non piatti, posizionati lungo i tre lati di questo triangolo muscolare.
Il lato posteriore è rinforzato dal muscolo trasverso superficiale del perineo (impari mediano): il nome non
ci deve trarre in inganno; infatti, anche se si chiama TRASVERSO come il trasverso profondo del perineo, non
è una lamina come quest’ultimo, bensì è un ventre muscolare, ed è detto “superficiale” perché si trova più
superficialmente rispetto al trasverso PROFONDO del perineo. Abbiamo inoltre due muscoli lungo i due lati
laterali di questo triangolo muscolare (un muscolo a destra e uno a sinistra), che partono dalla tuberosità
ischiatica e arrivano fino alla sinfisi pubica, decorrendo quindi lungo la branchia ischio-pubica. Questi due
muscoli laterali si chiamano muscoli ischio-cavernosi perché al di sotto vi sono contenuti i corpi cavernosi
(rispettivamente del pene nell’uomo e della clitoride nella donna), ossia delle strutture vascolari, delle
“caverne” che si riempiono di sangue. Inoltre questi due muscoli laterali si riuniscono al di sotto della sinfisi
pubica e poi da qui parte il corpo cavernoso del pene o della clitoride. Infine sulla linea mediana, in
corrispondenza di questi orifizi, localizziamo il muscolo bulbo-cavernoso con delle differenze tra uomo e
donna.
sopra dell’ischio coccigeo possiamo osservare il muscolo piriforme (triangolare) che di fatto esce dal grande
forame ischiatico.
MUSCOLI DELL’ANCA
Questi muscoli li troviamo sia sulla faccia interna dell’osso coxale, sia sulla faccia esterna, in questo caso più
numerosi.
Sulla faccia interna abbiamo due muscoli, l’ileo-psoas e il piccolo psoas, mentre sulla faccia esterna ne
abbiamo diversi, a partire dal rivestimento più esterno che è dato dai muscoli glutei, il grande, medio e
piccolo gluteo, disposti l’uno sull’altro e sovrapposti in buona parte anche se non completamente; inoltre
abbiamo già conosciuto l’otturatore interno, l’otturatore esterno e abbiamo sentito parlare del muscolo
piriforme. Ne mancano sostanzialmente altri tre, che sono il gemello superiore, il gemello inferiore, più il
quadrato del femore.
Quindi, ricapitolando i muscoli della faccia esterna, abbiamo: grande, medio e piccolo gluteo, muscolo
piriforme, otturatore interno ed esterno, gemello superiore e inferiore, quadrato del femore.
sul corpo e un’inserzione sul processo trasverso, più posteriore. In definitiva si vengono a creare due piani
di origine attraverso i quali passano dei nervi della regione lombare; quando questo muscolo scende in
basso, i fascetti tendinei dati da questa duplice origine si riuniscono in unica massa, scendono a livello di L5
ed entrano di fatto all’interno della pelvi. A questo punto questi due grossi tiranti della regione lombare
laterale si uniscono a un muscolo largo e piatto che occupa tutta la faccia interna dell’osso iliaco, cioè la
fossa iliaca; questo ultimo muscolo largo rappresenta la componente iliaca dell’ileo-psoas, mentre quello
che abbiamo visto prima è lo psoas: questi due muscoli, quindi, si fondono in un unico tendine a dare l’ileo-
psoas, anche detto grande psoas.
Vediamo infine quali movimenti determina: contraendosi tira il piccolo trocantere, ruotando quindi
all’esterno la coscia; ha anche una componente adduttoria, cioè richiama la coscia dall’esterno verso la
linea mediana; infine ha anche funzione di flessione, visto che ha un’inserzione alta (quindi la flessione
dell’osso prossimale è intesa rispetto al tronco).
Oltre al grande psoas (o ileo-psoas), c’è poi il piccolo psoas, un fascio muscolare non costante che parte da
T12 e si porta al ramo orizzontale del pube.
Lo schema ci segnala anche l’otturatore interno, visto che questo si trova appunto sulla faccia interna.
Abbiamo già ampiamente trattato questo muscolo, in quanto sito d’inserzione del diaframma pelvico.
Osserviamo comunque che va a finire alla base del grande trocantere, più precisamente fra il grande
trocantere e il collo del femore, dove c’è la fossa trocanterica; inoltre il tratteggio ci dice che passa dietro il
collo del femore, quindi raggiunge la fossa trocanterica da dietro.
Osserviamo il disegno del Netter: non citiamo tutti questi nervi, ma dobbiamo sapere che fuoriescono a
livello lombare dai due capi del grande psoas; inoltre nella fossa iliaca, tra muscolo iliaco e muscolo psoas,
si insinua e fuoriesce il nervo femorale che poi esce insieme al muscolo grande psoas al di sotto del
legamento inguinale, in uno spazio laterale detto lacuna dei muscoli (notare che nel disegno manca il
legamento inguinale) per decorrere infine sulla regione anteriore della coscia.
Dobbiamo vedere i tre muscoli glutei (grande, medio e piccolo), i due gemelli (superiore e inferiore),
l’otturatore esterno e il quadrato del femore.
ID lezione ANA21a
Data lezione 7 giugno 2011
Autore Francesco Gasparroni
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Bacino, grande psoas, ileopsoas, muscoli glutei, logge della coscia, quadricipite
Argomento
femorale, cavo popliteo, logge della gamba
• loggia anteriore;
• loggia posteriore;
IL GRANDE PSOAS
L'uretere, entrando nella pelvi, incrocia i vasi iliaci, e ciò provoca un restringimento. Un altro restringimento
si ha all'incrocio con i vasi gonadici che nascono direttamente dall'aorta addominale, poiché la loro
posizione originaria era nella cavità addominale. Ogni uretere va poi a terminare nella vescica urinaria,
prendendo rapporti importanti con le vie spermatiche nel maschio e con l'utero e l'arteria uterina nella
femmina; decorre quindi subito al di sopra del legamento cardinale del Mackenrodt, che sta alla base del
legamento largo.
L'ileopsoas passa al di sotto del legamento inguinale, gira intorno alla capsula articolare dell'articolazione
coxo-femorale e si inserisce postero-medialmente sul piccolo trocantere.
I MUSCOLI GLUTEI
sotto del proprio margine superiore obliquo, va a rivestire i due terzi del muscolo medio gluteo,
lasciandone scoperta solo la porzione più laterale.
Il muscolo medio gluteo, di forma triangolare, ricopre completamente il sottostante muscolo piccolo
gluteo.
La loggia anteriore
La loggia posteriore
3. l'adduttore breve;
5. il grande adduttore, un grande ventaglio muscolare più posteriore che arriva con un occhiello
tendineo sul tubercolo adduttorio, una sporgenza presente sul condilo mediale del femore. Il
grande adduttore forma una serie di piccole arcate tendinee inserendosi sul femore e in basso
l'arcata più ampia lascia passare, in corrispondenza dell'occhiello fibroso, l'arteria femorale che
dalla regione mediale della coscia si porta alla regione posteriore del ginocchio, per poi proseguire
nel cavo popliteo.
IL QUADRICIPITE FEMORALE
I due vasti vanno ad inserirsi, uno lateralmente e uno medialmente, con delle lunghe linee
d'inserzione, sul margine posteriore del femore, al livello della linea aspra;
LA FOSSA POPLITEA
• la vena poplitea;
LA GAMBA
In una sezione trasversale della gamba, l'osso più grosso è la tibia, con una sezione triangolare e un margine
anteriore acuto e facilmente palpabile. In realtà nella tibia il margine anteriore è dato da una scanalatura,
da due margini molto vicini:
1. il margine anteriore;
• una loggia anteriore, che comprende la massa muscolare posta lateralmente al margine anteriore
della tibia;
• una loggia laterale, con i muscoli che formano il profilo laterale della
gamba;
La loggia anteriore
• l'estensore lungo dell'alluce, il cui tendine compare in superficie tra gli altri due circa al terzo
medio della gamba;
La loggia laterale
L'osso che si trova lateralmente è il perone, quindi nella loggia laterale si troveranno i muscoli peronei:
• il peroneo lungo;
• il peroneo breve.
Si parlerà di questi due muscoli in rapporto al malleolo mediale, o malleolo peroniero. Va ricordato che il
malleolo peroniero si trova circa un centimetro e mezzo più in basso rispetto al malleolo tibiale.
I peronei breve e terzo (o anteriore), al contrario del tibiale anteriore, vanno a finire al livello del V
metatarsale, palpabile come una sporgenza più o meno accentuata sul bordo laterale del piede.
Il tendine del peroneo lungo invece, giunto con gli altri due in prossimità del V metatarsale, passa sulla
faccia inferiore del piede e la attraversa tutta, fino ad inserirsi sotto al I metatarsale. Il risultato funzionale è
che le azioni dei peronei sono le stesse, ossia di pronazione del piede: mentre il peroneo breve e il peroneo
terzo sollevano il bordo laterale del piede, il peroneo lungo ne abbassa il bordo mediale. Una notazione: il
tendine del peroneo lungo scorre nel solco posto sotto alla troclea fibulare del calcagno.
ID lezione ANA21b
Data lezione 10 giugno 2011
Autore Francesco Gasparroni
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Loggia posteriore della gamba, piede
Riprendiamo dalla regione laterale, dove, come abbiamo detto, ci sono essenzialmente due muscoli, che
hanno a che fare con l'osso esterno della gamba, il perone, e sono infatti i due peronei della loggia laterale:
Il peroneo lungo, incrociando il malleolo fibulare, lo scavalca da sopra, poi passa sotto al piede e si porta
trasversalmente al livello del margine
mediale. La sua azione avrà quindi effetti
simili a quella del peroneo breve, ma
consisterà nell'abbassamento del
margine mediale del piede. Come s'era
detto a conclusione della lezione
precedente, il tendine del peroneo lungo
scorre nel solco posto sotto alla troclea
fibulare del calcagno.
In corrispondenza dell'inserzione del peroneo breve sul 5° metatarsale c'è anche quella del peroneo
anteriore, o peroneo terzo, che però, come visto nella lezione precedente, appartiene alla loggia anteriore,
ed in particolare è il più laterale dei muscoli di tale loggia (il più mediale è il tibiale anteriore, posto subito
lateralmente rispetto al margine anteriore acuto della tibia). Il peroneo anteriore collabora con gli altri
peronei alla pronazione del piede ma, data la sua posizione anteriore, la sua azione contribuisce anche ad
innalzare la punta del piede, provocando cioè una flessione dorsale. Il peroneo breve e il peroneo lungo
hanno invece una componente di flessione ventrale, opposta.
LA LOGGIA POSTERIORE
La loggia posteriore costituisce una porzione più consistente rispetto alle altre due logge (sia laterale che
anteriore), tanto che vi si distinguono:
Strato superficiale
In rapporto con il soleo c'è un altro muscolo con un ventre muscolare molto piccolo e corto, localizzato
quasi esclusivamente al livello del cavo popliteo, ma con un tendine molto lungo: si tratta del muscolo
plantare (o gracile plantare lungo). Esso origina dall'epicondilo mediale femorale e il suo tendine si fonde
con quello del tricipite, formando il tendine più robusto presente nel nostro corpo, il tendine d'Achille, che
arriva alla parte più posteriore del calcagno, dietro all'astragalo (o talo). Nei dispositivi fasciali che
delimitano i piani di clivaggio, le tre logge presentano ciascuna una zona connettivale in cui decorrono vasi
e nervi.
Strato profondo
• il flessore lungo dell'alluce, anch'esso in profondità al soleo, ma in rapporto con il perone. Il suo
tendine poi obliqua, incrociando quello del flessore lungo delle dita, e si porta medialmente per
andare a inserirsi appunto sulla falange ungueale del primo dito.
2. il soleo e il plantare;
4. il tibiale posteriore.
Fa parte della loggia posteriore anche il muscolo popliteo, che però è localizzato esclusivamente alla fossa
poplitea a rivestire la capsula articolare del ginocchio. Per giungere ad esso bisogna dunque abbattere
prima i due gastrocnemi e il plantare.
IL PIEDE
• laterale;
• intermedia.
Guardando il piede dai lati, si nota che da un punto di vista laterale l'astragalo è visibile solo in minima
parte, mentre da uno mediale la chiocchiolina è ben evidente.
• loggia interossea;
• loggia plantare.
• tibiale anteriore;
• tibiale posteriore;
• peroneo lungo;
• peroneo breve.
Loggia dorsale
Loggia plantare
elasticità, il che è fondamentale poiché fornisce una certa spinta elastica. Tuttavia l'ampiezza delle arcate
va sempre mantenuta entro certi limiti e proprio a ciò contribuisce anche l'aponeurosi plantare.
Asportando anche l'aponeurosi plantare, appare il piano muscolare. Nella loggia mediale è presente
l'abduttore dell'alluce, mentre centralmente si trova il flessore breve delle dita, che nasce dalla tuberosità
calcaneare.
• i lombricali;
• gli interossei.
Va ricordato anche l'adduttore dell'alluce, che fa coppia con l'abduttore del 5 o dito.
Un'ulteriore analogia con la mano è data dal fatto che ciascuno dei 4 tendini del flessore breve delle dita si
biforca e lascia passare sotto il flessore lungo. Tuttavia, nella mano il flessore lungo e il flessore breve sono
entrambi dell'avambraccio, mentre nel piede il flessore lungo viene dalla gamba, ma il flessore breve è
intrinseco del piede.
ID lezione ANA21c
Data lezione 21 giugno 2011
Autore Giulia Pretelli
Liberamente
Lezione Prof. Barbatelli
ispirata da
Argomento Organogenesi del cuore e circolo fetale
Dovremo chiarire:
• le strutture transitorie che si trasformano in qualcos’altro nella vita postnatale come l’uraco, il lega -
mento ombelicale mediale, il forame ovale (attenzione non sempre in tutti i cuori è chiuso anatomi -
camente poiché pur avendo i lembi accollati potrebbe passarci uno specillo, è la differenza di pres -
sione fra piccolo e grande circolo a tenerlo in questo caso emodinamicamente chiuso);
• perché negli atri una parte della superficie interna è liscia e una parte rugosa;
• l’origine del legamento arterioso (legamento che tiene unito la faccia inferiore dell’arco dell’aorta
con la polmonare).
Cerchiamo di capire com’è fatto il cuore: immaginando di guardare il futuro cuore di profilo osserveremo
che la parte della vena primitiva avrà un ingresso nella direzione del flusso e un’uscita (quindi un’arteria, in -
dipendentemente dal tipo sangue ricco o povero di ossigeno). Nel cuore vedremo quattro porzioni successi -
ve che partono dall’imbocco, cioè dalle vene in entrata; inizialmente si tratta di un’unica vena poiché il tubo
cardiaco non è ancora diviso in parte destra e sinistra. Il sistema è dato da un tubo unico che poi si ripiega:
assistiamo a un rigonfiamento del tubo primitivo, un po’ asimmetrico, tanto che questa struttura si piega a
livello della parte che costituisce il futuro ventricolo.
In futuro, quando avremo la distinzione in parte destra e parte sinistra, il percorso del sangue all’interno del
cuore sarà a forma di U: il sangue entra nell’atrio, passa nel ventricolo sottostante e qui avviene l’inversio -
ne. Per cui, seguendo il flus-
so del sangue dalla valvola
atrioventricolare alla valvola
semilunare (sempre quando
il cuore si sarà sepimentato),
avremo nel ventricolo inizial-
mente una branca che scen-
de verso la punta del cuore
e, a causa del ripiegamento
ad U, avremo la branca che
risale verso il vaso (a destra
l’arteria polmonare, a sini-
stra l’aorta).
parire) e l’endoderma. L’embrione è già orientato, da una parte troviamo l’estremità cefalica e dall’altra l’e -
stremità caudale.
Guardando di profilo, vediamo lo sviluppo in senso longitudinale e, cranialmente alla struttura “testa”, ab-
biamo un’area destinata al cuore, l’area cardiogenica (come se avessimo il futuro cuore sopra la testa o, im -
maginando l’embrione disteso, davanti). Da questa posizione il cuore si dovrà portare ventralmente e tra-
scinerà con sé il sacco che lo avvolge, cioè il futuro pericardio.
In sezione frontale vediamo: ectoderma (azzurro), mesoderma (rosso) e endoderma (giallo). L’ectoderma
costituisce il pavimento della cavità amniotica, mentre l’endoderma costituisce il tetto del sacco vitellino. Il
mesoderma della porzione centrale svolge il ruolo di induttore, provocando la differenziazione dell’ectoder-
ma soprastante che si ispessisce e va a formare il neuroectoderma.
L’ispessimento è detto placca e su di esso si forma un infossamento, una doccia che si approfondirà e si
chiuderà sempre più sui lati fino a trasformarsi in canale neurale.
Quello che si trova al centro (mesoderma intermedio) ha indotto la differenziazione dell’ectoderma in neu-
roectoderma e tra le altre cose darà origine al rene e alla gonade indifferenziata; ai lati abbiamo il mesoder-
ma parassiale che darà origine ai somiti (blocchi di mesenchima che aumentato mano a mano che l’embrio -
ne si accresce e formano le strutture metameriche di tutto il corpo, la muscolatura longitudinale del dorso),
abbiamo infine un mesoderma laterale.
Nel mesoderma laterale si forma una cavità unica che segue il peri-
metro del corpo circa dalla metà fino al davanti della testa (circon-
da ad U l’embrione) dove troviamo l’area cardiogenica, il nucleo
che darà origine al cuore. Quindi l’ansa di questa cavità si trova da-
vanti al cuore e, quando esso si porterà in posizione ventrale, farà
questo spostamento portando dietro anche l’ansa che diventerà il
celoma pericardico, con il cuore primitivo posto ventralmente al
segmento del tubo enterico. Nei due tratti laterali, invece, cresce
la gemma polmonare: è come se da ciascun lato gonfiassimo il pol-
mone dentro al tratto più craniale dei due bracci della cavità. Que-
sto tratto di celoma diventerà la cavità pleurica. Il tratto più cauda-
le verrà gradualmente invaso dagli abbozzi che daranno origine al
muscolo diaframma; resterà un canale pericardio-peritoneale.
Le sierose hanno quindi un’unica matrice, e, di fatto, hanno caratteristiche finali comuni: hanno un foglietto
parietale e uno viscerale, sono rivestite da un monostrato di cellule piatte di derivazione mesoteliale che
producono un liquido (nel cuore è detto liquido pericardico, nel polmone liquido pleurico e nella cavità ad -
dominale liquido peritoneale) e che impedisce lo sfregamento fra i foglietti e permette i movimenti (es. si -
stole-diastole, peristalsi, espansione del polmone).
Come arriviamo da tre foglietti a una struttura cilindrica (com’è il nostro corpo)?
Le strutture laterali si porteranno ventralmente verso il basso e l’angolo di sinistra andrà a toccarsi con l’an -
golo di destra sulla linea mediana ventralmente, per cui la cavità interna è destinata a unirsi sulla linea me -
diana ventralmente con quella contro laterale e, di fatto, i due segmenti tubulari della cavità andranno a
formare, unendosi, la grande cavità peritoneale che al centro avrà il tubo digerente.
IL CIRCOLO FETALE
Servirà un organo provvisorio per gli scambi ossigeno-anidride carbonica finché alla nascita non comincerà
ad espandersi il polmone. Il tubo cardiaco primitivo si trovava cranialmente e si porta ventralmente. Inizial -
mente abbiamo una coppia di tubi cardiaci. In cosa consiste il circolo sanguigno dell’embrione?
trasverso che contribuirà a formare parte del muscolo diaframma; il cuore sarà appoggiato sul centro tendi -
neo del diaframma.
Intanto i due tubi cardiaci si uniscono: la prima porzione, che è la camera di arrivo del sangue, costituisce gli
atri, poi abbiamo i ventricoli e il bulbo cardiaco che è la porzione iniziale dei vasi che nascono dal ventrico -
lo; teniamo presente che il ventricolo è la struttura che si svilupperà maggiormente.
In questo momento il seno venoso è qualcosa di diverso rispetto all’atrio, la loro fusione successiva ci fa ca -
pire perché l’atrio in alcune parti è liscio mentre in altre è rugoso, poiché deriva quindi dall’assemblaggio di
porzioni diverse.
Dopo il seno venoso vediamo l’atrio (in questo momento sono ancora due cose distinte), poi vediamo la
zona dei cuscinetti endocardici, che daranno origine alla valvola, e il ventricolo, con la porzione iniziale in
cui il sangue scende (camera di afflusso ventricolare) e il secondo tratto in salita (camera di eiezione) che si
forma in seguito alla piega bulbo ventricolare, dopodiché abbiamo il bulbo cardiaco .
Valvole cardiache
Il livello a cui sono posizionate le valvole atrioventricolari è lo stesso nel quale troviamo le valvole semiluna -
ri, proprio perché dalla valvola atrioventricolare alla valvola semilunare il percorso del sangue discende e
poi risale allo stesso livello. Aprendo il pericardio vediamo che il vaso più anteriore è la polmonare mentre
l’aorta è nascosta per circa l’80 % dietro a quest’ultima.
Dall’immagine successiva capiamo perché le coronarie si chiamano così: vanno nel solco coronario e poi gi -
rano, quella di sinistra da il ramo circonflesso sinistro che si porta dietro e una discendente anteriore inter -
ventricolare sinistra (nel solco anteriore che corrisponde al setto interventricolare), quella di destra da il
ramo circonflesso dentro e da anche la interventricolare posteriore (nella maggior parte dei soggetti).
Osserviamo ora che il tubo cardiaco viene ad essere formato da 5 componenti: il seno venoso, l’atrio, il ven -
tricolo, il bulbo cardiaco e il tronco arterioso.
Proviamo a guardare il cuore da dietro: vediamo la parte posteriore dell’atrio, posto dietro rispetto al ven -
tricolo che gli deborda davanti. Vediamo
subito i due terzetti di vene e notiamo l’a-
simmetria tra la destra e la sinistra: il seno
venoso presenta due corni non speculari;
intravediamo anche il tronco arterioso.
La parte alta dell’embrione riceve sangue ricco di ossigeno, l’encefalo deve essere infatti vascolarizzato in
maniera ottimale; dal tratto discendente dell’aorta invece la saturazione di ossigeno nella parte periferica
dell’embrione tende un po’ ad abbassarsi (pur essendo una quantità sufficiente per il fabbisogno).
Destino dell’aorta
L'aorta si biforca nelle iliache comuni che poi diventano esterna e interna. L’iliaca interna si continua nelle
arterie ombelicali (due arterie che viaggiano nel cordone ombelicale insieme alla vena ombelicale). Quando
inizia la respirazione polmonare si chiuderà il setto interatriale, il dotto arterioso tenderà a chiudersi, la
vena ombelicale diventerà legamento ombelicale e le arterie ombelicali in parte rimarranno come arterie
vescicali (fino alla vescica), in parte (fino all’ombelico) si trasformeranno in legamento ombelicale mediale.
ID lezione ANA21d
Data lezione 22 settembre 2011
Autore Francesco Gasparroni
Lezione
Prof. Barbatelli
tenuta da
Argomento Canale inguinale e ginocchio
IL CANALE INGUINALE
Per poter parlare del canale inguinale, occorre prima ricordare alcuni importanti punti di repere palpabili
nelle regioni rispetto ad esso distale (inferiore) e prossimale (superiore):
• il tubercolo
pubico, a
circa 14-15 mm dalla linea mediana e dalla sinfisi pubica;
posto inferiormente), slargato lateralmente e più stretto (anche se solo di pochi millimetri) in prossimità del
tubercolo pubico. Tale ramo presenta una cresta, non molto pronunciata, che inizia in corrispondenza della
fine della linea arcuata o linea innominata (linea di torsione dell'osso coxale): si tratta della cresta pettinea,
o pecten pubis. Su questa superficie si va a stratificare la fascia del muscolo ileopsoas, che dalla faccia
interna dell'osso iliaco va verso il collo del femore, passando sotto al legamento inguinale.
Dalla faccia superiore del ramo orizzontale del pube si stacca anche un altro muscolo, che affianca
medialmente l'ileopsoas: si tratta del muscolo pettineo. Ancora più medialmente c'è il passaggio dei vasi
che dalla pelvi vanno verso l'arto inferiore: tra questi il principale è l'arteria iliaca esterna, che proprio in
corrispondenza del suo passaggio sotto al legamento inguinale prende il nome di arteria femorale.
Dopo aver fasciato il fianco, le aponeurosi di questi muscoli si portano anteriormente verso la linea
mediana, e quindi verso i nastri muscolari che sono i due retti dell'addome.
aponeurotica (si ricordi il caratteristico angolo di 90 o). Proprio questa aponeurosi dell'obliquo esterno va a
costituire il legamento inguinale o di Poupart. Esternamente appare un margine inferiore obliquo, latero-
mediale e supero-inferiore. Da una visione in sagittale si vede un particolare non apprezzabile
frontalmente: tale margine è in realtà ripiegato verso l'interno a formare una doccia con la concavità rivolta
verso l'alto, non molto profonda. Quindi l'aponeurosi dell'obliquo esterno forma sia la parete anteriore che
il pavimento del legamento inguinale.
Il contenuto del canale inguinale è il funicolo spermatico e i relativi vasi nel maschio, il legamento rotondo
dell'utero nella femmina. Da notare che esistono anche il legamento rotondo del fegato e il legamento
rotondo del femore.
Il tendine congiunto è posto trasversalmente al decorso del funicolo spermatico, per cui si dice che esso
parte da dietro al canale inguinale.
Internamente al trasverso dell'addome si trova una fascia connettivale, la fascia trasversalis, e ancora più
internamente il foglietto del peritoneo parietale.
1. obliquo esterno;
2. obliquo interno;
3. trasverso dell'addome;
4. fascia trasversalis;
5. peritoneo parietale.
Il peritoneo è un sacco che anteriormente si adatta alla parete addominale anteriore, a tal punto che, come
si vedrà meglio in seguito, forma delle pieghe, dovute alla presenza di alcune strutture anatomiche. Queste
pieghe, distanziate tra loro di 2-3 cm, sono in tutto cinque:
Per semplicità, si consideri un solo lato, l'altro è speculare. Tra le pieghe vengono a formarsi delle fossette:
La fossetta laterale rappresenta l'ingresso addominale del canale inguinale, quindi darà passaggio al
funicolo spermatico con i relativi vasi (nel maschio) o al legamento rotondo dell'utero (nella femmina). Si
consideri d'ora in poi un modello maschile, poiché più complesso. Le vie spermatiche passano dunque
attraverso la fossetta laterale, andando dal sacco scrotale alla pelvi e mettendosi in rapporto con la parte
più inferiore della vescica. Dunque la piega inguinale, visibile in modo più o meno evidente, è dovuta al
ripiegamento dell'aponeurosi dell'obliquo esterno.
• un pilastro laterale o
esterno;
• un pilastro posteriore,
o legamento inguinale
riflesso (Netter).
Infilando un dito “a dito di guanto” nel sacco scrotale (“non è una manovra molto divertente....” Cit.) si può
risalire a palpare tale anello, dopodiché, invitando il paziente a tossire, bisogna verificare se sotto la
pressione addominale qualcosa arriva a spingere contro il dito: si tratterebbe di quella che una volta i
chirurghi chiamavano “punta d'ernia” (oggi termine obsoleto).
La porzione più mediale dell'aponeurosi dell'obliquo esterno viene a delimitare con questa biforcazione il
margine sottocutaneo del canale inguinale.
Il pilastro posteriore non è apprezzabile frontalmente, perché è posto in profondità e coperto dal resto
dell'aponeurosi stessa. Esso è un po' più lungo degli altri e si inserisce sul legamento inguinale
controlaterale. Quindi, ad esempio, il pilastro posteriore di destra va ad affiorare sulla cresta pettinea di
sinistra. Ciò contribuisce a rinforzare almeno la porzione più mediale della parete dell' anello inguinale
esterno.
DISSEZIONE DI UN CADAVERE
Un cadavere, al fine di una dissezione anatomica, va opportunamente fissato e perfuso con un mix di:
Ovviamente la fissazione non viene effettuata per una normale procedura di autopsia, quindi nella
dissezione autoptica i piani di clivaggio risultano meno facilmente riconoscibili e scollabili.
IL CANALE INGUINALE
Asportando il piano cutaneo nella regione posta medialmente alla spina iliaca
anteriore superiore, si arriva ben presto a vedere l'aponeurosi dell'obliquo esterno
e quindi il legamento inguinale. Togliendo poi anche questa aponeurosi, appare
l'anello inguinale, con il funicolo spermatico.
IL TRIANGOLO DI SCARPA
• nervo femorale;
• arteria femorale;
• vena femorale.
Sotto al
sartorio
passa
anche il
muscolo
ileopsoas.
È visibile inoltre il muscolo pettineo, che tra tutti i muscoli della
loggia mediale è quello posto più in alto.
Il triangolo di Scarpa, e in generale la regione al di sotto del canale inguinale, è ricoperto da una fascia, che
presenta una finestra ovale, rivestita da tessuto connettivale areolare, sotto al quale si intravedono i vasi.
La regione del triangolo di Scarpa al di sotto del legamento inguinale è occupata in parte dal muscolo
ileopsoas, il quale ha una fascia che, ispessendosi, viene a creare il limite tra la lacuna dei muscoli e la
lacuna dei vasi, la banderella ileo-pettinea. Quest'ultima si congiunge poi al legamento inguinale.
Lo spazio tra il tubercolo pubico e la sinfisi pubica dà inserzione ai pilastri mediale e laterale dell'obliquo
esterno.
Spostando il funicolo spermatico si possono apprezzare i pilastri mediale e laterale, che delimitano l'anello
inguinale esterno. Si tenga presente che il fondo di tale anello è rivestito solo dalla fascia trasversalis e dal
peritoneo parietale, poiché, come si è detto, il tendine congiunto dei due muscoli del 2 o e 3o strato non
arriva in basso, quindi si forma un locus minoris resistentiae.
Invaginando il dito nel sacco scrotale, come detto, e risalendo, si può arrivare a palpare l'anello inguinale
esterno,
Si ricordi che il pavimento del canale inguinale è costituito dalla parte dell'aponeurosi dell'obliquo esterno
ribaltata a doccia.
Nel canale inguinale si impegna anche il nervo ileo-inguinale, che proviene dagli strati dei muscoli
addominali, passando nel piano di clivaggio tra obliquo interno e trasverso dell'addome.
Incidendo e ribaltando verso il basso la sottile aponeurosi dell'obliquo esterno (lo scollamento è possibile
solo previa opportuna fissazione del cadavere), si scopre l'obliquo interno, con il tendine congiunto e la
falce inguinale: quest'ultima fa da tetto al canale inguinale, e sotto di essa passano appunto i nervi ileo-
inguinale e genito-femorale.
È possibile infilare uno specillo tra l'obliquo interno e il pilastro posteriore dell'aponeurosi dell'obliquo
esterno.
Sulla parete addominale anteriore, sotto al piano cutaneo, decorrono i vasi epigastrici inferiori:
• l'arteria epigastrica inferiore, ramo dell'iliaca esterna, che si anastomizza con l'epigastrica
superiore, ramo della mammaria/toracica interna, dando così un'anastomosi succlavia-iliaca;
• indiretta se passando lateralmente ai vasi epigastrici prende la via dell'anello inguinale profondo
assieme al funicolo spermatico.
In condizioni fisiologiche, nel 95-97% dei casi tale dotto regredisce, ma ne residua un involucro sieroso a
doppio foglietto, per cui si parla di sierosa parietale e di sierosa viscerale del testicolo, separate da un
sottilissimo film di liquido, prodotto dalle cellule peritoneali
di rivestimento. Nel caso in cui tale produzione dovesse farsi
sovrabbondante, alla
radice dello scroto si
renderebbe palpabile una
sorta di cisti, in gergo
idrocele.
Nel 3-4% dei nuovi nati il dotto peritoneo-vaginale può restare pervio.
LE PIEGHE OMBELICALI
Si è già accennato che il peritoneo parietale che riveste internamente la parete addominale anteriore
presenta cinque pieghe:
• la piega ombelicale mediana (impari), dovuta al passaggio del legamento ombelicale mediano
(impari), residuo dell'uraco, quella struttura che nel feto va dalla vescica all'ombelico, e che poi
nella vita post-uterina regredisce;
• le pieghe ombelicali mediali (pari), in corrispondenza dei legamenti ombelicali medi (pari), residui
delle due arterie ombelicali, altre strutture embriologiche transitorie che portano il sangue povero
d'ossigeno dal feto verso la placenta.
Si ricordi che per definizione dicesi arteria ogni vaso che porta il sangue lontano dal cuore. Inoltre
va ricordato che il tratto prossimale delle arterie ombelicali permane anche nella vita post-uterina,
come arterie vescicali, rami delle ipogastriche; tuttavia, i loro tratti che vanno dalla vescica
all'ombelico regrediscono, si sclerotizzano e si trasformano appunto nei legamenti ombelicali medi,
sui quali si stratifica poi il peritoneo parietale;
• le pieghe ombelicali laterali (pari), date dal passaggio dei vasi epigastrici.
LE FOSSETTE INGUINALI
• fossette inguinali mediane, tra il legamento inguinale mediano e i legamenti inguinali medi;
Come riferimento, si tenga presente che i vasi epigastrici prendono rapporti con i muscoli retti dell'addome.
Si è detto che un'ernia può forzare sia medialmente che lateralmente ai vasi epigastrici nella regione della
falce inguinale del tendine congiunto e, a seconda della zona in cui s'infila, viene detta diretta o indiretta.
RIPASSO
La faccia esterna della porzione iliaca dell'osso coxale è ricoperta dal muscolo
iliaco che si unisce allo psoas. Tra l'iliaco e lo psoas si adagia il nervo femorale, che
accompagna poi l'ileopsoas fino al legamento inguinale, passando sotto al quale
esce dalla lacuna dei muscoli.
• il pavimento, dato sempre dalla doccia dell'aponeurosi dell'obliquo esterno, che accoglie il
funicolo spermatico e portandosi verso la cresta pettinea si ispessisce a formare il legamento di
Cooper;
• la parete posteriore, data dalla fascia trasversalis con all'interno il peritoneo parietale anteriore.
IL GINOCCHIO
LA REGIONE ANTERIORE
La parte distale della coscia presenta una sporgenza mediale (data dal vasto mediale) che
arriva più in basso rispetto a quella laterale (data dal vasto laterale). Appena più in basso
è evidente l'eminenza rotulea, al di sotto della quale ne vanno ricordate altre tre:
Una decina di centimetri più medialmente rispetto al margine anteriore della rotula decorre la vena grande
safena, accompagnata dal nervo safeno, ramo del nervo femorale.
LA REGIONE LATERALE
Lateralmente si vedono la testa del perone, che dà inserzione al bicipite femorale, e la tuberosità laterale
della tibia (tubercolo di Gerdy), alla quale arrivano i fascetti del tratto ileo-tibiale e il tensore della fascia
lata. Proprio da questi fasci è costituita l'ala chirurgica esterna, che incrocia sulla linea mediana, e con l'ala
chirurgica interna forma una sorta di collare al di sotto e al davanti della rotula. Esse hanno principalmente
il compito di tenere in posizione il tendine rotuleo alla contrazione del quadricipite femorale, potente
muscolo antigravitario.
I legamenti collaterali
LA REGIONE MEDIALE
• il sartorio (anteriore);
• il gracile (mediale);
• il semitendinoso (posteriore).
LA ROTULA
Si vede anche il menisco laterale, o esterno, che si intuisce non essere completo: infatti al suo centro è
presente un buco.
LA LOSANGA POPLITEA
L'asse della losanga poplitea è attraversato dai vasi (mediali) e dal nervo (laterale). Quest'ultimo è il nervo
ischiatico, che poi diventa peroneo comune, il quale a sua volta si divide più in basso in peroneo profondo e
peroneo superficiale. Si ricordino i margini della losanga:
• il bicipite femorale (supero-laterale), che arriva ad inserirsi sulla testa del perone;
• il semitendinoso (supero-mediale), che arriva alla zampa d'oca ed è più superficiale rispetto al
semimembranoso, che però è più largo e ha diversi capi tendinei, uno dei quali, riflettendosi
obliquamente, va a formare il pavimento profondo del cavo popliteo;
L'arteria poplitea rappresenta il piano più profondo (dall'esterno nervo-vena-arteria) e poggia sul muscolo
popliteo, diagonale.
Asportando anche l'arteria e il muscolo, si arriva finalmente all'articolazione del ginocchio. Ovviamente le
superfici articolari sono rivestite da cartilagine ialina articolare.
In una situazione di massima flessione, i condili femorali poggiano con la loro faccia posteriore.
I MENISCHI
APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO
Il cuore è una pompa che serve ad inviare il sangue verso la periferia e a riceverlo da essa. Il sangue è tra -
sportato alla periferia grazie a dei vasi specifici, le arterie.
Classificazione dei vasi: Sono arterie tutti i vasi che partono dal cuore e portano sangue verso la periferia.
Sono vene tutti i vasi che partono dalla periferia e portano il sangue al cuore.
IL CUORE
Il cuore è un organo composto da 4 camere. Due a destra e due a sinistra. Le camere di destra possono co -
municare tra loro, così come le camere di sinistra. Non ci sono vie di comunicazione tra le camere di destra
e quelle di sinistra, in quanto le camere di destra sono separate da quelle di sinistra dal cosiddetto tramez-
zo del cuore. Le due camere superiori sono chiamate atri; le inferiori sono chiamate ventricoli.
Immaginiamo che ci sia un’arteria che porti il sangue alla periferia, verso l’arto inferiore. Il sangue parte dal
ventricolo di sinistra e, attraverso un’arteria, sarà portato verso l’arto inferiore. Quando il sangue sta per
arrivare all’organo bersaglio, i vasi rimpiccioliscono in dimensioni. Questo effetto aumenta fino alla forma-
zione dei capillari, piccoli vasi con diametro che permette il passaggio da 1 a 3 eritrociti contemporanea-
mente. I capillari giungono ad irrorare efficacemente tutte le cellule dell’organo.
Ricapitolando: dal cuore di sinistra partono le arterie con sangue carico di ossigeno; queste giungono all’or -
gano bersaglio, si diramano diventando sempre più piccole, fino a divenire capillari che rilasciano ossigeno
alle cellule; rilasciano ossigeno e lentamente si caricano di anidride carbonica. Il sangue carico di CO 2 lascia
l’organo bersaglio e si dirige verso il cuore. Il sistema di ritorno verso il cuore è formato da un sistema di
vene che (per ora) chiameremo genericamente sistema delle vene cave. Le vene cave sono due, una infe-
riore e una superiore. Queste vene giungono all’atrio di destra. Dall’atrio di destra, il sangue carico di CO 2
ha bisogno di essere ossigenato. Per l’ossigenazione del sangue siamo forniti di un solo organo deputato, i
polmoni, quindi è chiaro che il cuore deve inviare il sangue ricco di CO 2 ai polmoni per farlo ossigenare e
rinviarlo perifericamente. Il sangue passa dall’atrio di destra al ventricolo di destra e da qui, attraverso
un’arteria, arriverà ai polmoni.
Quest’arteria, l’arteria polmonare (indicata con A.P.) porta il sangue a entrambi i polmoni. Giungendo ai
polmoni, il diametro delle arterie diminuisce fino a diventare capillari, ma aumenta il numero dei vasi. Que -
sti rilasceranno CO2 in una prima fase e prenderanno O 2 in una seconda fase. Dopo la seconda fase, il san-
Anatomia ANS22 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 1 (11mag2011)
gue verrà riportato al cuore, giungendo all’atrio di sinistra, attraverso le 4 vene polmonari. Dall’atrio di sini -
stra il sangue passa al ventricolo di sinistra e il circolo riparte.
Territori di irrorazione
Noi non viviamo solo di ossigeno e anidride carbonica, ma abbiamo bisogno di al-
tre sostanze nutritizie, che devono entrare nel nostro organismo tramite l’alimen-
tazione. Con la dieta immettiamo sostanze che non sono già pronte per essere as-
sorbite ma che molto spesso devono essere modificate chimicamente. La più gran-
de “centrale chimica” del nostro organismo è il fegato. Il sangue assorbito dall’apparato digerente con tutte
le sostanze varie, deve passare attraverso il fegato. Qui possono essere detossificate e immagazzinate. In
ogni caso il fegato svolge una funzione importante.
Il sangue parte da un grande vaso, l’aorta, che origina dalla parte dinistra del cuore. Un ramo dell’aorta por-
ta sangue a una parte dell’intestino. Si formano i capillari che rilasciano ossigeno e si caricano di sostanze
nutritizie. Una vena, la vena porta (VP) trasporta sangue ricco di CO 2 e sostanze nutritizie dall’intestino al
fegato. Qui, la vena si ramifica in sottilissimi capillari che hanno il vantaggio di poter rilasciare le varie so-
stanze alle cellule epatiche, che le assorbono e le detossificano. Subita la trasformazione biochimica, le so -
stanze lasciano il fegato soprattutto grazie alle vene epatiche (o sovraepatiche), che poi si gettano nel siste-
ma delle vene cave.
Ricapitolando: la vena porta è un vaso molto importante che origina a livello dell’apparato digerente e por-
ta il sangue ricco di sostanze nutritizie dall’apparato digerente stesso fino al fegato, permettendo a que-
st’ultimo di elaborarle chimicamente e renderle utilizzabili dalle cellule dei vari tessuti.
Le arterie hanno una parete interna formata da endotelio, una intermedia formata da muscolatura e una
esterna, l’avventizia. A mano a mano che il diametro dell’arteria diminuisce, le pareti diventano più sottili e
si parla di arteriole. Le arteriole hanno la caratteristica di avere da uno a tre strati di cellule muscolari lisce
(se ne hanno 4 sono arterie). Dall’arteriola si forma il capillare. Nel capillare scorrono:
• plasma.
Nella prima parte del capillare (ricordiamoci che il capillare ha una parete sottilissima, non ci sono più le
cellule muscolari lisce intorno al vaso) esisterà una pressione, chiamata pressione idrostatica (Pidrostatica),
Autore: Giulia Leoni per Medicina08 2 di 6
Anatomia ANS22 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 1 (11mag2011)
creata dal liquido che “sbatte” contro le pareti. Essendo le pareti del capillare piuttosto sottili, la P idrostatica
permetterà la fuoriuscita del liquido e delle sostanze nutritizie in esse contenute. Liquidi e sostanze nutriti -
zie fuoriusciti andranno a bagnare le cellule circostanti. Quindi, nella prima parte del capillare la P idrostatica
sarà molto elevata ma, man mano che si scorre lungo il capillare, questa diminuirà (causa la fuoriuscita di li -
quido nella prima parte).
L’altra pressione esistente all’interno del capillare è quella colloidoosmotica o oncotica (Poncotica). Questa è
data dalle proteine presenti nel vaso, le quali tendono a trattenere i liquidi all’interno del vaso stesso.
Nella prima parte del percorso del capillare prevale la P idrostatica, cioè prevale la tendenza del liquido ad usci-
re, successivamente la Pidrostatica diminuisce, ma quella oncotica rimane stabile.
Circa a metà del capillare si avrà che P oncotica > Pidrostatica e quindi il liquido fuoriuscito sarà richiamato dall’e-
sterno. Dopodiché si arriva ad una venula postcapillare.
I liquidi usciti dal capillare grazie alla P idrostatica rientreranno tutti? No, rima-
ne un 10% di liquidi all’esterno. Questo 10% aumenta a ogni passaggio di
sangue e quindi in poco tempo si arriverebbe ad una quantità di liquidi
tale da comprimere e uccidere le cellule. Per questo motivo il 10% deve es-
sere drenato dal tessuto. Il sistema linfatico, rappresentato da vasi che
hanno una parete molto lassa e con apertura tra cellula e cellula, serve
proprio a questo scopo. Il sistema linfatico si organizza con il cardiocircola -
torio; infatti, tutti i liquidi drenati sono poi riversati nel sistema venoso.
La “questione” dei liquidi è legata all’equilibrio tra P oncotica e Pidrostatica. E’ evidente che la mancanza di proteine
causi una bassa Poncotica. Se Pidrostatica >> Poncotica rimane fuori il 30-40% di liquidi invece del 10% fisiologico. Indi-
vidui con alta pressione sanguigna hanno una talmente elevata P idrostatica da far si che, anche a metà del vaso,
la Pidrostatica sia superiore all’oncotica e quindi basso rientro di liquidi. Dopo un certo periodo, questi individui
hanno gli arti gonfi a causa dell’accumulo di liquidi nell’area (per verificare si preme con un dito sull’area
per vedere se resta l’impronta).
Ritornando al cuore: il cuore è l’organo per eccellenza della circolazione sanguigna. Pesa circa 300-350
grammi. Si trova nel torace in posizione sinistra, nettamente spostato verso il polmone sinistro che, infatti,
è più piccolo del destro. Il solco interventricolare anteriore corrisponde esternamente al limite tra ventri-
colo di destra e ventricolo di sinistra, e si porta fino alla vicinanza della punta del cuore. Solitamente è pie -
no di tessuto adiposo. Le auricole o orecchiette di destra e sinistra appartengono al sistema degli atri e
sono delle camere aggiuntive che si pongono al davanti del cuore. L’arteria polmonare origina dal ventrico-
lo di destra e sotto all’aorta si divide in un ramo per il polmone destro e uno per il sinistro.
Dai ventricoli originano due grandi vasi, uno dal destro, uno dal sinistro: dal sinistro origina l’aorta, il più im -
portante vaso arterioso dell’organismo, dal destro origina l’arteria polmonare che poi si divide in due rami.
Agli atri giungono dei vasi. La vena cava superiore è un vaso che raccoglie sangue principalmente dalla te-
sta e dall’arto superiore. Esiste anche una vena cava inferiore, che raccoglie il sangue dall’addome e dagli
arti inferiori. Queste due vene giungono all’atrio di destra. Le vene che dai polmoni giungono all’atrio di si -
nistra sono quattro, due dal destro e due dal sinistro.
Aorta e arterie polmonari sono arterie di tipo elastico: questo significa che nella parete media di questi vasi
si trovano tantissime fibre elastiche; questo li rende vasi fortemente dilatabili. Le arterie continuano ad es -
sere elastiche fino ad una certa distanza dal cuore. Da una determinata distanza in poi diventano arterie di
tipo muscolare, caratterizzate da molte cellule muscolari e poche fibre elastiche.
All’origine dell’arteria polmonare c’è una specie di rilievo chiamato infundibulum. Esiste un solco tra l’atrio
e il ventricolo di destra chiamato solco atrio-ventricolare coronarico di destra: è chiamato coronarico per-
ché nel mezzo passa la arteria coronaria.
E’ possibile il passaggio tra atrio e ventricolo di destra e tra atrio e ventricolo di sinistra grazie all’esistenza
delle valvole atrio-ventricolari che si aprono e si chiudono:
Sistole e diastole
Atrio di destra in diastole: arriva il sangue dalle vene cave. L’atrio di destra fa passare il sangue nel ventrico -
lo di destra (la stessa cosa, contemporaneamente avviene a sinistra). Il ventricolo di destra si riempie fino a
quando la dilatazione è talmente forte da far si che la muscolatura inizi a contrarsi. Il sangue viene spinto
verso l’alto e i tre lembi valvolari vengono chiusi così da impedire il passaggio retrogrado. Il sangue va verso
l’arteria polmonare in cui c’è una valvola, la semilunare della polmonare, composta anch’essa da tre lembi,
che sono posti al contrario di quelli delle atrio ventricolari. Il sangue passa nell’arteria polmonare, giunge ai
polmoni e torna all’atrio di sinistra. Avverrà di nuovo la sistole e il sangue verrà spinto, stavolta, nell’aorta.
Anche alla base dell’aorta c’è una valvola, detta semilunare dell’aorta, che ha struttura simile alla polmona-
re.
La colonna di sangue va nell’aorta, la colonna sale, dilata l’aorta (ricordare, vaso elastico) che si restringe
subito dopo la fine della spinta. Per un momento la colonna, finita la spinta da parte del ventricolo, tenderà
a tornare indietro. Immediatamente riempie i lembi valvolari che quindi si chiudono, impedendo che il ven -
tricolo si riempia di sangue proveniente dall’aorta. Lo stesso meccanismo avviene nella parte destra: il san-
gue parte dal ventricolo di destra, sale nell’arteria polmonare, anche essa vaso elastico, che si dilata, facili -
tando l’invio del sangue ai polmoni e nello stesso tempo, nel momento in cui si restringe, la colonna di san -
gue tenderà a ritornare indietro per una frazione di secondo e sbatterà contro i lembi valvolari della semilu -
nare polmonare che si chiuderanno, impedendo il reflusso al ventricolo di destra. Sistole e diastole sono
contemporanee nei ventricoli mentre gli atrii hanno un comportamento diverso, ma comunque molto sem -
plice.
Ritorniamo al riempimento di uno dei ventricoli, ad esempio quello di destra. Si riempie il ventricolo di de -
stra; nell’ultima fase della diastole ventricolare le pareti degli atri si contraggono e sbattono l’ultima parte
di sangue che ancora contengono dentro i ventricoli; a questo punto la dilatazione dei ventricoli è massima
e inizia la sistole. Quindi, la sistole atriale precede di pochissimo la sistole ventricolare perché avviene nel-
l’ultima fase della diastole ventricolare.
È ovvio che la sistole dei ventricoli è uguale sia a destra che a sinistra, così come la sistole negli atri avviene
contemporaneamente a destra e sinistra. Però sistole atriale e ventricolare non sono contemporanee.
Quando il sangue spinge contro una delle valvole atrio ventricolari è difficile immaginare che i lembi valvo -
lari si chiudano perfettamente. C’è il rischio che siano sbattuti verso l’alto, con la spinta proveniente da sot -
to. Questa possibilità è reale ma impedita da strutture specifiche: sono delle corde tendinee, strutture fili -
formi molto sottili che agganciano soprattutto il margine libero dei lembi valvolari alla parete del ventrico-
lo. Queste corde tendinee si inseriscono su strutture molto sottili, i muscoli papillari. Le corde tendinee tese
impediscono che il lembo si fletta verso l’alto, perché in quel caso il sangue passerebbe nell’atrio stesso.
Tutto il cuore è rivestito da endotelio. E’ un vaso modificato quindi ha tutte le strutture dei vasi. Interna -
mente è rivestito da endotelio, più esternamente dalla muscolatura che nel caso del cuore si chiama mio-
cardio e esternamente dal pericardio.
Durante la diastole ventricolare, il sangue entra nell’atrio. Non esistono valvole all’interno della base delle
cave superiore e inferiore quindi il sangue circola liberamente.
Quando si parla di sistole cardiaca, si intende sempre la sistole dei ventricoli. Si deve specificare sistole
atriale o ventricolare se si intende altro. La cavità dei ventricoli non è una cavità liscia, l’esistenza dei mu-
scoli papillari e delle corde tendinee fa capire che si tratta di una cavità anfrattuosa. Le anfrattuosità sono
ancora di più, si parla di colonne carnose presenti in entrambi i ventricoli. Queste colonne sono di tre tipi:
2. II ordine: è una muscolatura che forma un arco chiamato colonna libera che si inserisce in due punti
della parete ventricolare. Questa colonna libera può essere un solo arco o due messi in sequenza.
Tra queste ce n’è una importantissima, molto sviluppata nel ventricolo di destra, che si chiama tra-
becola di Leonardo da Vinci o fascio moderatore. È una colonna carnosa con molti archi ed è im-
portante perché si ritiene che limiti la dilatazione del ventricolo tenendo fissi due punti della parete
e che faciliti la contrazione del ventricolo, contribuendo all’avvicinamento dei due punti;
3. III ordine: chiamate anche colonne murali, sono degli ispessimenti della parete ventricolare.
I lembi valvolari sono come dei nidi di rondine e hanno al centro un inspessimento che permette un mag -
giore contatto quando le valvole si chiudono. Appena sopra la semilunare aortica ci sono due aperture, una
a destra e una a sinistra, che costituiscono l’origine delle arterie coronariche.
Il sangue va nelle coronarie non nel momento della sistole, ma nel momento in cui la sistole è terminata e
la colonna di sangue torna indietro riempendo i lembi delle semilunari e nello stesso tempo entra nelle co -
ronarie permettendo l’inizio dell’ossigenazione del cuore.
• Sistole ventricolare: valvole atrioventricolari chiuse, valvole semilunari aperte insieme a valvola pol -
monare e aortica.
• Parte sinistra → limite superiore: cartilagine della seconda costa di sinistra a 3-4 cm dal piano sagit -
tale mediano; limite inferiore: a livello del 5° spazio intercostale a circa 9 cm dal piano sagittale me -
diano;
• Parte destra → limite superiore: cartilagine della 3° costa a 3 cm circa dal piano sagittale mediano;
limite inferiore: cartilagine della 6° costa a 3 cm dal piano sagittale mediano.
RUMORE CARDIACO
In poche parole, la posizione anatomica delle valvole non coincide affatto con il punto in cui si può udire
meglio il rumore cardiaco, eliminando il più possibile i rumori di fondo.
MEDIASTINO
Il cuore è collocato all’interno del torace, che è una cavità delimitata esternamente dalle coste, anterior -
mente dallo sterno, posteriormente dalla colonna vertebrale, nonché dai muscoli intercostali e dal muscolo
diaframma inferiormente. Questa cavità è occupata lateralmente dai polmoni, uno a destra e uno a sinistra,
i quali lasciano libero uno spazio, che è compreso fra la faccia mediastinica (lateralmente), lo sterno (ante-
Anatomia ANA23 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 2 (12mag2011)
riormente), la colonna vertebrale e le coste (posteriormente): questo spazio è chiamato mediastino. Nel
mediastino, appunto, si situa, fra l’altro, il cuore.
In verità, il mediastino può essere suddiviso in due parti ben visibili sul
piano sagittale: il mediastino superiore e il mediastino inferiore. Il limite
fra mediastino superiore e inferiore è dato da un piano che passa fra l’an -
golo di Louis e T4-T5. Questa divisione implica che, per esempio, il cuore si troverà nel mediastino inferiore
e che l’arco dell’aorta si collocherà nel mediastino superiore; scendendo, l’aorta, posizionandosi dietro al
cuore, diventa aorta discendente toracica e si viene a trovare nel mediastino inferiore. Naturalmente molti
altri organi si troveranno nel mediastino superiore, come anche nel mediastino inferiore.
Analizzando il tutto in sezione coronale (abbastanza vicino al diaframma), prendendo sempre in considera -
zione la posizione del cuore all’interno del torace (affiancato dai polmoni con le loro pleure viscerale e pa -
rietale) vediamo altre strutture che si collocano in vicinanza del cuore, come per esempio i nervi frenici che
hanno a che fare con l’innervazione del pericardio e, soprattutto, del diaframma. A questo riguardo occorre
ricordare che il nervo frenico di sinistra termina a livello del diaframma, mentre quello di destra passa nel -
l’addome e sarà responsabile dell’innervazione delle vie biliari. Come detto in precedenza l’aorta discen -
dente passa dietro al cuore; questa si trova al davanti del sistema della vena Azygos, il quale è collocato in
vicinanza della colonna vertebrale. Dietro al cuore si trova inoltre l’esofago, che scende nel mediastino su -
periore e poi in quello inferiore e si porta dietro al cuore proprio nella parte bassa del mediastino inferiore.
C’è, inoltre, da dire che il mediastino inferiore generalmente viene diviso in tre spazi, i cui limiti sono segna -
ti dalla posizione del cuore:
• il mediastino inferiore anteriore comprende tutto ciò che è al davanti del cuore: per esempio, die-
tro lo sterno troveremo il timo;
• il mediastino inferiore medio è individuato dallo spazio in cui è collocato proprio il cuore, con altre
strutture come i nervi frenici;
• il mediastino inferiore posteriore comprende tutto ciò che si trova dietro al cuore, come per esem-
pio l’esofago.
N.B. In alcuni testi anche la parte del mediastino superiore può essere divisa in tre parti, che però sono
meno precise rispetto a quelle del mediastino inferiore: semplicemente ci si limita a dire che alcuni organi
sono posti più anteriormente e altri più posteriormente.
Mediastino superiore
• Arco dell’aorta
• Tronco brachio-cefalico
• Vene brachio-cefaliche
• Timo
• Nervi cardiaci
• Trachea, che per metà è nel collo e per metà nel mediastino superiore, ove termina
• Timo
• Vasi linfatici
• Piccoli vasi
Il mediastino infero-anteriore è uno spazio che, fatta eccezione per il timo, non contiene organi estrema -
mente rilevanti.
• Cuore e pericardio
• Aorta ascendente
• Vena azygos
Autore: Francesca Gonnelli per Medicina08 3 di 9
Anatomia ANA23 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 2 (12mag2011)
• Tronco della polmonare con le sue diramazione: come già detto nelle precedenti lezioni, partendo
dal ventricolo di destra, si porta sotto l’arco dell’aorta per poi dividersi in due rami, uno per il pol -
mone destro e uno per il polmone sinistro
• Vene polmonari (due per ogni polmone), le quali giungono all’atrio sinistro e portano sangue ossi-
genato al cuore
• Nervi frenici con i vasi pericardio-frenici, cioè vasi che irrorano pericardio e diaframma
• Esofago
• Nervi vaghi
• Dotto toracico
• Vena azygos
• Vena emiazygos
[La vena cava superiore viene formata da una serie di vene, le vene brachio-cefaliche, che si trovano tutte
dietro il manubrio dello sterno.]
È la parete che divide il cuore destro dal cuore sinistro, ovvero l’atrio destro dall’atrio sinistro e il ventricolo
destro dal ventricolo sinistro. Come nomenclatura, la parte del tramezzo del cuore che divide gli atri è detta
setto interatriale, mentre quella che divide i ventricoli prende il nome di setto interventricolare.
Il tramezzo del cuore, partendo dalla punta del cuore, dove è abbastanza spesso, si porta verso la base dei
ventricoli, cioè in vicinanza delle valvole atrioventricolari, e si assottiglia leggermente. Resta una parte,
chiamata pars membranacea, la quale è sottilissima ma abbastanza ampia (ca. 20 mmq) ed è collocata
poco al di sotto della valvola semilunare aortica e superiormente alla valvola atrioventricolare di destra.
Questa componente è di fondamentale importanza per il funzionamento del miocardio specifico, poiché,
come vedremo, esiste un pace-maker del cuore (il nodo del seno atriale) che trasmette lo stimolo di con-
trazione anche al ventricolo sinistro proprio grazie alla pars membranacea.
[Prendendo un ago e immaginando trovarci all’interno dell’atrio destro e di bucare a livello del setto intera -
triale, all’altezza del pavimento dell’atrio destro, teoricamente ci aspetteremmo di entrare con l’ago a livel -
lo del pavimento dell’atrio sinistro; in realtà, l’ago sbuca nella parte alta, ovvero posteriore, del ventricolo
di sinistra. Questo sta a indicare che i due ventricoli e i due atri non sono esattamente paralleli, perché il
ventricolo sinistro è più grande e quindi si porta un po’ più indietro rispetto al ventricolo di destra (NdF: ri-
cordare la posizione orizzontale del cuore!!!!!). Anche la posizione della pars membranacea rispetto alle
due valvole conferma che il ventricolo sinistro è più grande del destro.]
Il tramezzo del cuore non va giù dritto, ma forma una convessità verso destra, il che indica che la cavità del
ventricolo sinistro è più ampia. Per concludere, il tramezzo del cuore si compone della pars membranacea,
che è soprattutto vicina all’area delle valvole atrioventricolari e di una pars muscularis, che corrisponde a
tutto il resto, cioè alla parte muscolare.
N.B. la pars membranacea è talmente sottile da esser composta solo da poche cellule, che separano cuore
destro e sinistro.
Prendendo il cuore e togliendolo dall’organismo in cui si trova, se lo si pone in una soluzione fisiologica,
questo continuerà a contrarsi: questo indica che questo organo funziona indipendentemente dal SNC o dal
SNP, perciò ha un suo proprio pacemaker che gli permette di contrarsi a un ritmo di circa 70 bpm. Questo
naturalmente ha un’importanza notevole, poiché indica che il cuore ha una sua vitalità, anche se, ovvia-
mente, lasciando il cuore in soluzione, questo dopo una settimana circa smetterà di battere. Il sistema ner -
voso può agire sul cuore solo aumentando o diminuendo la frequenza dei battiti, poiché, dato che è presen-
te comunque una frequenza di base, sarà possibile regolare solo quella frequenza di base. Per esempio, se
dovessimo incontrare una tigre, la frequenza cardiaca aumenterà notevolmente e questo avviene a seguito
di uno stimolo nervoso.
Tutto questo sistema che permette al cuore di regolare autonomamente la sua contrazione è azionato da
cellule specializzate che si trovano a livello del miocardio (miocardio specifico o tessuto di conduzione spe-
cifico del cuore), le quali stimolano il cuore a contrarsi.
[Come sappiamo i cardiomiociti sono in comunicazione fra loro grazie a gap junctions e perciò si comporta -
no come un sincizio funzionale. Inoltre, presa in considerazione una cellula cardiaca con la sua classica for -
ma a Y, questa è composta da tutta una serie di sarcomeri affiancati e delimitati dalle linee Z, che fungono
anche da limite per la membrana: se la linea Z non coincidesse con il termine della cellula (membrana pla -
smatica), il cardiomiocita non potrebbe contrarsi.]
RIASSUMENDO:
Come abbiamo detto, esiste un centro di stimolo che è il nodo del seno atriale; questo è posto a livello dello
sbocco della cava superiore ed è un vero e proprio pacemaker che invia segnali che viaggiano tra cellule al -
tamente modificate del miocardio (sono cellule sparse in tutti gli atri). Queste cellule portano il segnale al
secondo centro di stimolo che è il nodo atrioventricolare, posto medialmente alla valvola atrioventricolare
di destra e lateralmente al setto interatriale. Sappiamo che proprio a quel livello si trova la pars membrana -
cea, grazie alla quale è possibile portare il segnale da destra a sinistra: dal nodo atrioventricolare parte un
grosso fascio che passa anche a sinistra e che prende il nome di fascio di His; questo fascio, che è piuttosto
breve, si divide in due branche, una a destra, che giunge al ventricolo destro, e una a sinistra, che attraversa
la pars membranacea e raggiunge il ventricolo sinistro.
Queste branche non sono altro che una sequela, un cordone di cellule modificate del miocardio, capaci di
condurre lo stimolo e portarlo fino ai muscoli papillari dei ventricoli. Qui le fibre del miocardio specifico
sono sottilissime e raggiungono il miocardio comune: queste fibre prendono il nome di fibre del Punkinje.
Questo tessuto di conduzione specifico del cuore ha delle frequenze ben specifiche:
• nodo atrioventricolare = 40 bpm (funziona come pacemaker qualora fosse “distrutto” il nodo del
seno atriale e permette di preservare la contrazione del cuore, sebbene a frequenza più bassa);
• fascio di His = 30 bpm (funziona in assenza sia del nodo del seno atriale, sia del nodo atrioventrico -
lare).
Questi dispositivi fungono da sistemi di sicurezza che proteggono il cuore, mantenendo sempre un minimo
di contrazione.
Ricordiamo che le due branche che si dipartono dal fascio di His decorrono a livello del miocardio, immedia -
tamente al di sotto dell’endocardio e perciò sono abbastanza interne.
L’origine delle arterie coronarie si trova immediatamente al di sopra della valvola semilunare aortica. Seb -
bene in alcuni casi piuttosto rari si possono trovare in numero di tre, nella maggior parte dei casi abbiamo
due coronarie, una a destra e una a sinistra; queste si portano in superficie a irrorare varie parti del cuore,
grazie ai loro rami, dopodiché entrano anche all’interno della muscolatura a irrorare il setto interatriale, il
setto interventricolare, ecc.
• CORONARIA DESTRA → decorre al confine tra atrio e ventricolo, in superficie (a livello del solco
atrioventricolare coronarico) e da qui partono vari rami, tra i quali uno per il ventricolo destro
(ramo ventricolare destro) e uno più in basso che è il ramo marginale destro. Inoltre, la coronaria
di destra si porta posteriormente al cuore, raggiungendo varie strutture tra le quali il nodo di
Aschoff-Tawara e il fascio di His.
[Esistono numerose variazioni individuali delle coronarie, che sono già evidenti nelle arterie ma ancor più
nelle vene. La versione qui riportata è quella considerata più comune.]
1. ramo interventricolare anteriore: discende nel solco interventricolare anteriore, arriva fino alla
punta del cuore e le passa sotto per tornare dietro;
2. ramo diagonale: parte dalla interventricolare anteriore e irrora la parte sinistra del ventricolo sini -
stro;
Per quanto riguarda il ritorno venoso, questi vasi decorrono parallelamente alle arterie coronarie, perciò
avranno gli stessi nomi delle rispettive arterie. In particolare, vi è un vaso importante, la grande vena coro-
naria, che decorre nel solco interventricolare anteriore; partendo dalla punta, si porta verso l’alto, gira po-
steriormente, si allarga al confine tra
atrio e ventricolo (solco atrioventricolare
posteriore) a livello del seno coronario,
ove giungono anche le altre vene corona-
rie. Il seno coronario, carico di sangue ric-
co di anidride carbonica, sbocca nell’atrio
destro.
In alcuni casi può prevalere una coronaria rispetto all’altra: presi in esame due casi estremi, può verificarsi il
caso in cui prevalga nettamente la coronaria di destra, che può arrivare a irrorare anche parte del cuore si -
nistro, oppure può avvenire che la coronaria sinistra prevale su quella destra, così che il territorio di irrora -
zione della coronaria destra è molto piccolo, rispetto a quello della sinistra. Naturalmente esistono casi in -
termedi (per il 70% circa), sebbene i casi estremi non sono rari, bensì rappresentano più o meno il 30% dei
casi.
Il cuore è posizionato orizzontalmente, perciò possiamo immaginare che ci sia un asse che va dalla parte
posteriore alla punta, con un andamento dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra. La superficie
esterna del cuore è una piramide a base triangolare che presenterà:
• una base;
• un apice, cioè la punta del cuore (vi parte la contrazione dei ventricoli).
✔ porzione antero-inferiore → vi si trovano una gran parte del ventricolo destro, una minima parte
del ventricolo sinistro, il solco interventricolare anteriore, il ramo discendente della coronaria di si -
nistra (corrisponde all’arteria interventricolare anteriore), il tratto ascendente della grande vena
coronaria, alcuni vasi linfatici e l’infundibulum (slargamento che si trova all’origine dell’arteria po-
monare);
(NdF: la descrizione in dettaglio è limitata a una sola faccia, perché il prof. non ha dato molto peso alla cosa.
Cito letteralmente le parole di Castellucci a riguardo: “Naturalmente possiamo andare a descrivere il cuore
con tutta questa serie di dettagli, che però trovo utile fino a un certo punto, perché tanto, a grandi linee,
quando la sapete è sufficiente, però, purtroppo, è un sistema che viene usato in diversi libri, quindi potete
trovarlo.” ).
La faccia mediale corrisponde al setto interatriale, mentre la faccia CDHG corrisponde alla valvola atrioven -
tricolare.
La prossima volta apriremo il cubo in modo da collocare le varie strutture presenti all’interno dell’atrio de -
stro.
IL CUORE
Atrio destro
Si sviluppa più inferiormente rispetto all’atrio sinistro e in posizione antero-laterale destra; possiamo stiliz -
zare l’atrio destro prendendo come modello un cubo, su di esso evidenziamo:
• una faccia mediale: dove si trova il setto interatriale; mostra una rilevatezza a forma di cercine chia -
mata anello di Vieussens, che circoscrive la fossa ovale (questa struttura è il residuo di un’apertura
presente nel periodo embrionale, ma chiusa in un individuo adulto in condizioni normali);
• una faccia laterale: si affaccia sulla parte anteriore della faccia mediastinica del polmone destro;
ospita un’apertura che mette in comunicazione l’atrio destro con l’orecchietta o auricola corrispon-
dente.
L'atrio destro raccoglie lo sbocco delle due vene cave e del seno coronarico. La vena cava superiore entra,
priva di valvole, nella parte posteriore della parete superiore dell'atrio. La vena cava inferiore sbocca nella
parte posteriore al confine con la parete inferiore, la sua parte terminale presenta un cambiamento nella
conformazione identificabile in un ispessimento delle pareti tale da definirlo in alcuni testi valvola di Eusta -
chio, pur non avendo le caratteristiche proprie di una valvola. Il seno coronario (slargamento della grande
vena coronaria dietro al cuore, dove si immettono tutte le vene coronarie) entra nel cuore attraverso la
valvola di Tebesio, che impedisce il reflusso di sangue nel verso erroneo durante la sistole atriale.
Sul piano sagittale si manifesta uno sfasamento tra l’ingresso della cava superiore rispetto a quella inferio-
re; in esso origina una convessità verso l’interno della parete posteriore chiamata tubercolo intervenoso di
Lower. Tra il seno coronario e la cava inferiore c’è una piccola rilevatezza che alcuni anatomici chiamano
tendine. Mentre la superficie interna di entrambi gli atri è liscia, le orecchiette presentano delle anfrattuosi -
tà dovute alla presenza dei muscoli pettinati (rivestiti da endotelio, si dirigono dall’alto verso il basso e la -
sciano piccoli spazi l’uno dall’altro).
Anatomia ANA24 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 3 (16mag2011)
Ventricolo destro
Ha una forma piramidale, quindi possiamo distinguere una base, un apice e delle pareti: quella anteriore è
anche chiamata sterno-costale, la postero-inferiore o diaframmatica e la parete sinistra o settale. Ha uno
spessore minore delle pareti rispetto al ventricolo di sinistra perché la pressione del piccolo circolo è netta -
mente inferiore a quella che troviamo nel grande circolo, ma maggiore rispetto agli atri. Si trova inferior-
mente alla tricuspide, le altre pareti sono costituite da muscolatura miocardica con trabecole carnee di pri -
mo (muscoli papillari, da una parte si legano alla parete e dall’altra alla tricuspide per mezzo di corde tendi -
nee), secondo e terzo ordine (muscoli pettinati). La trabecola di Leonardo (dagli americani chiamata fascio
moderatore) è una colonna carnosa di secondo ordine con una sequenza di archi che impedisce un’eccessi-
va dilatazione del ventricolo destro e ne facilita la contrazione durante la sistole.
Ventricolo sinistro
Ha la forma di un cono schiacciato, ciò spiega perché la valvola ha due lembi; anche qui possiamo individua-
re due pareti (la parete antero-laterale corrisponde alla faccia sterno-costale e al margine ottuso del cuore,
la parete infero-mediale corrisponde alla faccia diaframmatica e al setto interventricolare), due angoli (su -
periore e inferiore), una base e un apice, che corrisponde alla punta del cuore.
Le valvole cardiache (eccetto quella di Tebesio) sono circondate da un anello fibroso di tessuto connettivo
denso dal quale si dipartono numerosi fasci fibrosi che connettono i vari anelli o tornano all'anello di par-
tenza, formando una rete molto resistente su cui s’attaccano i muscoli atriali e ventricolari, indipendenti tra
loro per permettere una sistole asincrona. Dello scheletro del cuore fanno parte anche i due trigoni fibrosi:
il primo è compreso tra l'anello fibroso aortico, anteriormente, e quelli atrioventricolari, posteriormente; il
secondo è localizzato tra il lato posteriore sinistro dell'anello aortico e la parte anteriore dell'anello atrio -
ventricolare sinistro; il trigono sinistro è molto più piccolo di quello destro, dove passa anche parte del fa-
scio di His.
Le fibre muscolari cardiache hanno tre andamenti diversi, il più importante è quello elicoidale perché per-
mette al cuore di avvitarsi su se stesso con una contrazione che parte dalla punta, questo movimento è
detto avvitante. Le fibre si riuniscono sulla punta del cuore a formare il vortice cardiaco. La pulsazione della
punta del cuore si percepisce nell’adulto nel margine superiore della quinta cartilagine intercostale sinistra,
nel bambino invece nel quarto spazio intercostale, infine nell’anziano lo apprezziamo nel sesto spazio (ptosi
degli organi).
Pericardio
E’ una struttura fibro-sierosa (a differenza della pleura e del peritoneo) che avvolge il cuore e l’origine dei
grandi vasi (tronco della polmonare, arco dell’aorta, vene cave nella parte anteriore perché la parte poste -
riore rimane “nuda”), bisogna tenere a mente che è il cuore è un vaso modificato in cui l’endotelio non è fe -
nestrato.
Si compone di:
1. una parte fibrosa: tessuto connettivo ricco in collagene e povero di fibre elastiche, preposta a man -
tiene il cuore nella sua giusta posizione all’interno del mediastino. Lega il cuore:
• allo sterno: attraverso il legamento sterno-pericardico inferiore che si inserisce sul corpo men-
tre il legamento sterno-pericardico superiore sul manubrio;
• alla colonna vertebrale: tramite i legamenti vertebro-pericardici che partono sia dal cuore che
dai vasi;
2. una parte sierosa: avente un foglietto viscerale o epicardio (aderisce all’organo) che si riflette all’al-
tezza dell’aorta per formare il foglietto parietale; in mezzo ai due foglietti c’è un piccolo spazio chia -
mato cavum pericardi o cavità del pericardio, con un liquido di pochissimi ml (che può aumentare
in casi patologici).
Nella cavità del pericardio si viene a creare uno spazio definito seno traverso; quando il foglietto viscerale si
flette e si continua nel parietale tra gli atri e i due vasi (aorta e vena cava superiore), questa fessura permet -
te di separare l’aorta e la cava superiore dagli altri vasi situati posteriormente.
Innervazione
Il sistema nervoso centrale può influire sulla frequenza cardiaca in maniera totalmente involontaria, ad
esempio aumentandola in risposta ad uno stress (così accade anche in altri organi: intestino e vescica).Il
battito cardiaco è regolato dal sistema nervoso vegetativo, il quale innerva gli organi interni. Si basa sul:
• sistema nervoso parasimpatico: fa lavorare il cuore “in economia”, rallenta la frequenza cardiaca, il
maggiore rappresentante è il nervo vago.
Essi sono antagonisti; in alcuni organi uno prevale sull’altro, in altri organi sono equamente influenti. Posso -
no avere neurotrasmettitori diversi, quindi dare stimoli dissimili, ovvero opposti ad alcuni organi bersaglio:
per esempio la digestione viene favorita e quindi l’intestino sollecitato in una situazioni di riposo e di calma,
quando il cuore non viene stimolato ad aumentare la frequenza.
Ai lati del collo discendono i due nervi vaghi (attraverso i forami giugulari) e il cordone nervoso del simpati -
co o latero-vertebrale fino alla cavità toracica, le loro diramazioni originano i plessi cardiaci: uno superficia-
le e uno profondo, molto vicini tra loro perché devono modulare finemente la frequenza cardiaca, sono po-
sti in vicinanza del cuore e trasmettono informazioni al seno atriale. Dalla porzione cervicale del vago si di -
parte il nervo cardiaco superiore, il nervo α dà origine al nervo cardiaco medio, infine dalla porzione toraci-
ca del vago nasce il nervo cardiaco inferiore. Nel collo del cordone nervoso del simpatico ci sono tre gangli
nervosi: noduli di sostanza nervosa ben palpabili e visibili ad occhio nudo. A livello dei gangli arrivano fibre
pre-gangliali (il neurotrasmettitore utilizzato è l’acetilcolina) e partono fibre post-gangliari (noradrenalina)
che trasmettono il segnale direttamente al cuore.
L'ultima volta abbiamo parlato del nervo vago e abbiamo detto che il ramo di destra e quello di sinistra
scendono a livello del collo, poi vanno giù nel torace. A livello del collo mandano da destra e da sinistra dei
nervi cardiaci superiori. Il nervo cardiaco medio deriva da un nervo che è un ramo del nervo vago, che per
ora chiamiamo nervo alfa, ma che poi vedremo essere il nervo laringeo ricorrente. Il nervo cardiaco inferiore
si origina dalla regione toracica del vago.
Vediamo come si formano i plessi cardiaci. Sono strutture a cui partecipano sia i nervi simpatici sia i para -
simpatici.
Per quanto riguarda il plesso cardiaco superficiale, questo è coperto dall'epicardio e si trova in vicinanza
della base cardiaca, a livello dell'arco dell'aorta, dell'arteria polmonare di sinistra e del dotto di Botallo (o
legamento di Botallo).
Si parla di dotto di Botallo nel periodo fetale e poco dopo la nascita, poi si parla sempre di legamento di
Botallo. È un vaso che mette in comunicazione la polmonare nel punto di divisione tra polmonare di sinistra
e polmonare di destra e che unisce la polmonare con l'aorta. Questo dotto di Botallo normalmente dopo la
Anatomia ANS25 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 4 (18mag2011)
nascita si occlude, diventa un legamento. Quindi parliamo di dotto di Botallo quando siamo nel periodo fe -
tale, di legamento di Botallo subito dopo la nascita. C'è qualche caso in cui il dotto permane; noi sappiamo
che alla nascita aumenta la pressione nella parte sinistra della circolazione rispetto a quella destra. In que -
sto caso, se il dotto dovesse permanere ci sarebbe del sangue che va dall'aorta alla polmonare, quindi ci
sarà un appesantimento del piccolo circolo. Per risolvere questa situazione si potrebbe intervenire chirurgi -
camente.
Ricordiamoci che siamo a livello dell'epicardio, quindi siamo molto vicini al cuore.
Il plesso cardiaco profondo si trova posteriormente e a destra dell'arco aortico. Non è più legato all'epicar-
dio. Si trova davanti alla biforcazione tracheale ed è in rapporto con la biforcazione tracheale stessa. È posi-
zionato più profondamente nel torace. In entrambi i plessi troviamo dei gangli, di numero e volume variabi-
li. Il più noto è il ganglio che appartiene al plesso superficiale. Questo vuol dire che le fibre in arrivo hanno
delle stazioni, che sono appunto questi gangli, da cui partono anche delle fibre in uscita. Il numero dei gan -
gli implica una forte modulazione dei segnali. Infatti il cuore, come anche altri organi, ha un sistema molto
sofisticato di segnali per cui c'è tutto un sistema di gangli che rappresenta proprio una centrale di smista-
mento dei segnali.
Abbiamo visto le fibre postgangliari del parasimpatico. Le fibre pregangliari del simpatico derivano dalle
corna laterali dei segmenti toracici 2 e 5 del midollo spinale.
Esiste anche un drenaggio linfatico del cuore. Bisogna ricordare che i vasi linfatici formano delle reti basali
che sono a livello
sottoepicardico,
sottoendocardico
e miocardico,
comprese le valvo-
le cardiache. Que-
ste vie linfatiche
vanno ai linfonodi
del mediastino: ci
sono stazioni linfo-
nodali a varie al-
tezze.
CIRCOLAZIONE
FETALE
La cellula uovo
una volta feconda-
ta si impianta nel-
l'utero. Questa
cellula uovo si svi-
luppa e darà luogo
all'embrione che
potrà vivere grazie
a un organo fon-
Autore: Francesca Giustozzi per Medicina08 2 di 7
Anatomia ANS25 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 4 (18mag2011)
damentale, la placenta, che ha una funzione molto complessa: funziona da fegato, da polmone, ecc. La pla-
centa si inserisce nella parete uterina permettendo lo scambio dell'ossigeno tra il sangue della madre e
quello del feto. La placenta è fatta più o meno come un disco; abbiamo una parte superiore da cui parte il
cordone ombelicale, al cui apice c'è il feto. Inoltre giungono alla placenta vasi arteriosi materni e partono
dalla placenta vasi venosi. Entro questo spazio entrerà sangue ossigenato materno che deriva dalle arterie
che irrorano l'utero e da questo spazio uscirà sangue carico di CO 2.
Il punto decisivo è lo spazio intervilloso in cui ci sono delle strutture ad albero con il tronco in alto e i rami
in basso. Alcune arrivano alla base.
Ci sono due arterie che partono dal feto e che portano il sangue attraverso il cordone ombelicale. Queste
vanno in queste strutture arborescenti che vengono chiamate villi placentari.
Andiamo ad ingrandire un villo. All'interno abbiamo vene, arterie e cellule di tessuto connettivo (stroma).
All'esterno ci sarà epitelio (è uno dei pochissimi casi in cui l'epitelio è a contatto con il sangue). Nella parte
esterna non ci sono cellule singole ma dei nuclei che costituiscono un tutt’uno: lo chiamiamo sincizio. Al di
sotto ci sono delle cellule che si chiamano citotrofloblasti le quali proliferano attivamente e man mano che
gli alberi diventano sempre più lunghi e compatti e con ramificazioni più estese queste cellule si fondono
con il sovrastante sincizio, tanto che il sincizio si ingrandisce sempre di più.
Il sangue materno circola ossigenato, bagna queste strutture, dà l'ossigeno a questa struttura che scarica
l'anidride carbonica. Praticamente questo spazio tra i villi (spazio intervilloso) serve a ossigenare il sangue
fetale che a sua volta scarica la CO 2. Il sangue fetale, una volta ossigenato, ritorna verso l'alto grazie a una
vena che decorre nel cordone ombelicale. Notiamo che nel cordone ombelicale, le arterie trasportano san-
gue ricco di CO2 mentre la vena porta sangue ossigenato, l'opposto di ciò che abbiamo nel sistema adulto.
Nel cordone abbiamo due arterie e una vena.
Andiamo a vedere cosa succede nel cuore. La vena ombelicale, che porta sangue ossigenato al fegato (ricor -
da che nel fegato i polmoni non funzionano, si stanno solo lentamente sviluppando) andrà a portare il suo
sangue nella cava inferiore. Questa vena infatti risale nell'ombelico, si porta al fegato a cui dà un po’ di san -
gue, dopo di che si getta nella vena cava inferiore . Questa porta sangue ossigenato al cuore, che proviene
proprio dalla placenta. Giungendo in vicinanza dell'atrio di destra, la vena cava inferiore nella sua ultimissi -
ma parte ha una specie di valvola, un andamento un po' elicoidale della struttura del vaso che è particolar -
mente accentuato nel fegato. Questo porta che il sangue va a sbattere contro il setto interatriale. Però nel
periodo fetale esiste un’apertura a livello del setto iteratriale, forame ovale (o foro ovale o apertura di Bo-
tallo), che permette al sangue ossigenato di andare dall'atrio di destra a quello di sinistra. La direzione del
sangue è in grandissima parte questa: entra sangue ossigenato nell'atrio sinistro grazie a questo forame.
Concetto da tenere presente: nella vita del feto il sangue cerca di dare la massima parte di ossigeno a due
organi: il cervello e il cuore. Sono i due organi che devono svilupparsi più rapidamente. Per attuare questa
strategia, all'atrio di sinistra arriva una grande quantità di sangue ossigenato. Questa passa dall’atrio di sini -
stra al ventricolo di sinistra; da questo il sangue viene inviato nell'aorta. I primissimi vasi che diramano dal -
l'aorta sono le coronarie e le coronarie le troviamo a livello della valvola semilunare aortica. Quando parte
questa gettata di sangue, il sangue sale, poi, terminata la spinta, scende la colonna e irrora immediatamen -
te il cuore attraverso le coronarie. Dopo di che il sangue sale e abbiamo tre vasi, tre rami che partono dal -
l'arco dell'aorta. Questi vasi sono implicati nell'irrorazione del sistema nervoso centrale, in particolar modo
del cervello. Da qui il sangue ossigenato va al cervello principalmente.
Il sangue continua e, passati questi tre vasi per il cervello, succede qualcosa. Riportiamoci nell'atrio di de -
stra; qui un minimo di sangue ossigenato andava a finire nel ventricolo di destra ma lì andava anche sangue
ricco di CO2 che entrava attraverso la vena cava superiore e che derivava dall'alto, dall'arto superiore, dal
cervello, ecc. Questo sangue ricco di CO 2, insieme a quella minima quantità di sangue ossigenato, scendeva
nell’atrio di destra e da qui nell'arteria polmonare. Questo sangue viene inviato ai polmoni e in parte, attra -
verso il dotto di Botallo, va anche nell'aorta e qui continua a scendere. Quindi nel tratto iniziale dell'aorta
abbiamo sangue ricco di CO 2 e anche di ossigeno (sangue misto). A tutti gli altri organi, intestino, stomaco
ecc, andrà sangue abbastanza mescolato. Con questa strategia viene permessa solo una eccellente ossige -
nazione del cuore e del cervello, gli altri si prendono un sangue con scarso ossigeno. Il sangue continua a
scendere e all'ultimo (e qui l'ossigeno sarà ancora diminuito) ci saranno le due arterie ombelicali che porta -
no il sangue nello spazio intervilloso; il sangue scorre nei villi, lascia la CO 2 e si ricarica di ossigeno, per ritor-
nare poi verso il feto.
È chiaro che tutti gli organi fetali vivono con una pressione parziale di ossigeno molto inferiore rispetto a
quella dell'adulto. La placenta deve funzionare come un polmone, ma in questo caso il sangue non arriva
del tutto ricco di CO2 ma arriva un po’ misto perché ancora si deve distribuire.
La vena ombelicale, ad esempio, che va verso il fegato, ha una sorta di bypass: manda un po’ di sangue ossi -
genato al fegato ma principalmente si getta nella cava inferiore. Da quel momento la cava inferiore è ricca
di ossigeno; la CO2 che c'era conta ormai poco, perché la quantità di ossigeno è molto più alta.
Nel feto il sangue rimane sempre piuttosto misto: non abbiamo situazioni di sangue completamente ossige -
nato. Bisogna vedere solo dove prevale l'uno o l'altro.
Alla nascita abbiamo l'espansione dei polmoni e la chiusura dei vasi ombelicali. Avviene quindi un'inversio -
ne: mentre nel periodo fetale la pressione maggiore era a livello dell'atrio di destra, quando i polmoni si di -
Autore: Francesca Giustozzi per Medicina08 4 di 7
Anatomia ANS25 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 4 (18mag2011)
stendono si ha un cambiamento radicale delle pressioni all'interno degli atri cardiaci: l'atrio di sinistra finirà
per avere una pressione di gran lunga superiore all'atrio di destra. Si ha chiusura del foro ovale. La differen -
za è notevole: a livello del piccolo circolo abbiamo una pressione intorno ai 15-20 mm di mercurio, quindi
enormemente inferiore rispetto a quella del circolo sistemico. Una permanenza del foro ovale può esistere:
generalmente se ciò avviene è una minima quantità di sangue che si scambia, quindi è assolutamente com-
patibile con una vita normale. Se invece il foro è piuttosto grande è chiaro che bisogna intervenire chirurgi -
camente. Ricordiamo che si chiude rapidamente anche il dotto di Botallo: se voi volete far crollare dei vasi,
basta cambiare la pressione. Quando la pressione scende rapidamente, il vaso tende a chiudersi, le cellule
endoteliali si staccano, il vaso tende a collassare e a formare un legamento.
ANASTOMOSI
Un'arteria riceve il sangue da un'altra arteria: questa è una anastomosi tra due arterie, ma può esserci an -
che tra due vene. Ci sono vari tipi di anastomosi: un altro tipo può essere due vasi che si anastomizzano per
formarne uno solo.
Esistono anche anastomosi artero-venose. Sono abbastanza frequenti nella cute, nel naso, nei villi intestina-
li. Sono dei sistemi di collegamento tra arteria e vena molto veloci. Prima del contatto arteria-vena attra -
verso i capillari esistono queste anastomosi, le quali permettono di passare il sangue (in entrambe le dire -
zioni) senza passare dai capillari, quindi molto più rapidamente. Questo può essere utile per il mantenimen -
to di una certa temperatura, per i problemi di riassorbimento, ecc.
ARTERIA POLMONARE
Nasce dal ventricolo destro. Ha una parte intrapericardica, cioè ancora avvolta dal pericardio, e una parte
extrapericardica. In vicinanza della valvola semilunare c'è un infundibulum, una certa dilatazione della pol-
monare, dopo di che questa si porta al davanti della biforcazione della trachea. Al di sotto dell'arco dell'aor -
ta questa si divide in un ramo per il polmone sinistra e un ramo per il polmone di destra. Il ramo per il pol-
mone destro si porta dietro l'aorta ascendente e anche dietro alla cava superiore. Dopo di che giunge al
polmone insieme ai bronchi principali. Da questo momento in poi, l'arteria polmonare si dividerà sempre
accompagnando le divisioni dell'albero bronchiale. Nelle sezioni istologiche, affianco al bronco vedrete un
vaso: quello è un ramo dell'arteria polmonare.
AORTA
L'aorta origina dal ventricolo sinistro. Si porta in alto e verso destra: questa è la parte ascendente, dopo di
che forma l'arco dell'aorta a partire dal limite tra mediastino superiore e inferiore. Si trova praticamente
tutto nel mediastino superiore. Questo arco si porta dall'avanti all' indietro e da sinistra verso destra, per
poi riportarsi a sinistra. Quindi sale verso destra, si riporta verso sinistra, scavalcando il bronco principale di
sinistra. Il termine dell'arco sarà il limite del mediastino superiore con il mediastino inferiore, quindi T4,T5.
A questo livello inizia l'aorta toracica. Questa generalmente è posizionata un po' a sinistra della colonna
vertebrale, ma vicina ad essa. Si porta verso il basso e a livello di T7-T8 si riporta un po’ in posizione centra -
le. Tra T12 e L1 entra nell'addome, dove prende il nome di aorta addominale, e termina a livello di L4 divi-
dendosi in due rami che sono le arterie iliache comuni: avremo un'arteria iliaca comune di destra e una di
sinistra.
L'aorta ha una posizione vicina alla colonna vertebrale e quando entra nell'addome al davanti dell'aorta
avremo il pancreas. A questo livello la vena cava inferiore sarà a destra dell'aorta. L'esofago entra nell'ad-
dome a livello di T10, quindi l'aorta entra ancora più in basso dell'esofago.
Qual è la distanza dell'aorta dalla superficie dell'addome in una persona magra? È importante perché in una
emorragia importante delle femorali etc, potete comprimere l'aorta fortemente rallentando un po' l'emor -
ragia e lasciando tempo di intervenire. La distanza è sui 5 cm, proprio perché la colonna vertebrale a livello
addominale ha una grande curvatura, quindi spinge l'aorta molto in superficie.
nissimo all'aorta toracica. Poi abbiamo dei piccoli rami pericardici che irrorano il pericardio stesso. E poi
avremo i rami mediastinici che andranno a irrorare le strutture mediastiniche. Una volta passato il diafram -
ma, l'aorta addominale inizia ad avere tutta una serie di rami importanti per vari organi. I rami dell'aorta
addominale vengono generalmente divisi in pari e impari, cioè ci sono rami che sono unici e rami che sono
doppi. Un ramo pari è l'arteria renale per esempio.
AORTA ADDOMINALE
Oltrepassato lo iato aortico nel muscolo diaframma, l'aorta toracica entra nella cavità addominale e prende
quindi il nome di aorta addominale. Da essa partono molti rami importanti, che sono alla base di tutta l'ir-
rorazione degli organi dell'addome.
2. il tronco celiaco o tripode celiaco, un tronco comune, impari, uno dei rami più importanti tra quelli
del settore addominale, e da esso partono tre vasi:
6. le genitali, pari, che irrorano nell'uomo i testicoli (arterie testicolari), nella donna le ovaie;
7. la mesenterica inferiore, impari, non lontana dalla biforcazione dell'aorta nelle due iliache comuni.
Dall'aorta stessa partono anche le arterie lombari, posizionate posteriormente e responsabili quindi dell'ir -
rorazione della parete addominale posteriore. Al livello di L4 l'aorta addominale si biforca nelle due iliache
comuni, di destra e di sinistra, e proprio in questo punto si stacca anche l'arteria sacrale mediana.
IL SISTEMA VENOSO
La cava superiore si trova in gran parte nel mediastino superiore e si forma dall'unione di due importanti
vene, le vene anonime o brachiocefaliche, di destra e di sinistra. Si ricordi che la vena anonima di destra è
più breve di quella di sinistra.
Le formazione delle anonime o brachiocefaliche è dovuta a sua volta all'unione di due vene:
Autore: Francesco Gasparroni per Medicina08 2 di 8
Anatomia ANA26 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 5 (19mag2011)
• la giugulare interna, che raccoglie il sangue proveniente da tutto il cranio, cervello compreso;
• la succlavia.
Alla cava inferiore si aggiungono anche le vene renali: i reni sono quindi drenati sul piano venoso dal siste-
ma della cava inferiore.
Anche le vene genitali, che raccolgono il sangue dall'ovaio o dal testicolo, si gettano nella cava inferiore, ma
non in modo identico per quello che riguarda la destra e la sinistra:
• la sinistra generalmente si getta nella vena renale, che poi giunge alla cava.
Lo sbocco a T della vena testicolare maschile nella vena renale può essere una concausa della patologia co-
nosciuta come varicocele, più frequente appunto a sinistra.
In virtù di quanto detto finora, le due cave sboccherebbero nel cuore in maniera
indipendente l'una dall'altra. Esistono però dei vasi che mettono in comunicazio-
ne questi due sistemi venosi separati: si tratta del sistema della vena azygos.
La vena azygos vera e propria origina dall'unione della vena lombare ascendente
di destra con la sottocostale di destra: la lombare ascendente parte dall'iliaca co-
mune e decorre verso l'alto, finchè, a livello dell'ultima costa, raccoglie il sangue
della sottocostale. Da qui in poi sale un vaso che decorre vicino alla colonna vertebrale fino a sboccare di -
rettamente nella cava superiore, da unico affluente diretto.
Va ricordato che azygos e emiazygos non raccolgono solo il sangue degli spazi intercostali, ma anche da altri
organi, come ad esempio l'esofago, che è drenato in gran parte
da questo sistema.
All'irrorazione della parete toracica concorrono innanzitutto alcuni importanti vasi che derivano dalla suc -
clavia:
• arteria muscolo frenica: che va fino al diaframma ed è responsabile dell'irrorazione del 7 o, 8o, e 9o
spazio.
Restano il 10o e l'11o spazio: essi non hanno bisogno di arterie intercostali anteriori, in quanto si ricordi che
l'undicesima e la dodicesima costa sono fluttuanti, quindi tali spazi hanno solo le intercostali posteriori.
Le intercostali posteriori sono molto importanti, poiché esse non hanno a che fare solo con l'irrorazione dei
muscoli intercostali (respiratori), ma da esse partono anche rami per il midollo spinale. Come detto, l'arte -
ria intercostale unica che parte dall'aorta si biforca poi dando due rami: uno decorre al di sotto di una costa
superiore e l'altro superiormente a una inferiore.
È da notare che, più o meno al livello dell'anastomosi tra intercostali posteriori e anteriori, partono dei vasi
che irrorano la cute e la ghiandola mammaria. Il ramo principale per l'irrorazione della mammaria è la tora -
cica laterale, proveniente dall'arteria ascellare, ma questi vasi giocano un ruolo comunque importante.
• l'arteria pericardio-frenica, che irrora il pericardio, la pleura e la parte anteriore del diaframma;
• i rami sternali, che irrorano il muscolo trasverso del torace e la faccia posteriore dello sterno;
il sangue dal cuore può, attraverso le epigastriche, andare direttamente all'iliaca esterna e alla femorale. Vi
sono dunque due circoli che conducono all'arto inferiore:
ARTERIA SUCCLAVIA
• la tiroidea inferiore, che con la tiroidea superiore (proveniente dalla carotide esterna) irrora la
tiroide;
1. il tronco costo-cervicale, già menzionato con un suo ramo, l'arteria intercostale suprema, parlando
dell'irrorazione dei primi due spazi intercostali posteriori;
ARTERIA ASCELLARE
• nella porzione superiore troviamo l’arteria toracica suprema o superiore che irrora anche i muscoli
dell’area come il piccolo pettorale, ecc, e anche i primi 2 spazi intercostali, ha a che fare con la mu -
scolatura dei primi due spazi intercostali;
• dalla porzione media partono due rami: la toracoacromiale e la toracica laterale. La toracoacromia-
le irrora ad esempio i pettorali, grande e piccolo, il deltoideo. La toracica laterale o mammaria
esterna è uno dei vasi che ha a che fare con l’irrorazione delle pareti laterali del torace e in partico -
lare con la ghiandola mammaria, per la cui irrorazione è uno dei rami più importanti. Viene chiama-
ta mammaria esterna per separarla dalla mammaria interna che sarebbe uguale alla toracica inter -
na;
Anatomia ANS27 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 6 (23mag2011)
• infine dalla porzione inferiore si dipartono un’arteria sottoscapolare, che è forse il ramo più consi-
stente e ha a che fare con il circolo della scapola (le due a. sottoscapolari, quella che deriva dalla
succlavia e quella che deriva dall’arteria ascellare formano un circolo importante) e poi le arterie
circonflesse anteriori e posteriori dell’omero. L’a. circonflessa posteriore è un vaso che contorna il
confine tra epifisi e diafisi, praticamente contorna l’omero stesso.
I rami della sottoscapolare sono la circonflessa della scapola e la toracodorsale. La toracica laterale (che
viene considerata parallela alla toracica interna) arriva fino al settimo spazio intercostale, la toracica interna
arriva fino al sesto. Questi due vasi possono essere considerati paralleli ed entrambi irrorano la ghiandola
mammaria, uno lateralmente e uno medialmente.
Adesso vediamo l’arteria soprascapolare che fa parte del sistema della succlavia. Questa soprascapolare
porta dei vasi che si anastomizzano con dei rami che provengono dall’arteria ascellare (ad esempio il ramo
circonflesso). La stessa cosa avviene per un’altra arteria derivata dalla succlavia che è la a. cervicale trasver-
sa la quale scende e si porta medialmente. Questa avrà dei rami che si anastomizzano con quelli delle inter-
costali. Durante la coartazione dell’aorta, in cui c’è un allargamento di tutti i circoli a monte, dipendenti dal-
la succlavia ,dalle intercostali, ecc, bisogna vedere i collegamenti che avvengono tra questi vasi della cervi -
cale profonda che scende medialmente alla scapola e si anastomizza con i rami delle intercostali. Poi c’è
tutta una rete, un circolo, a livello della scapola in cui rami dell’ascellare e rami della succlavia si anastomiz -
zano. Importante ricordare che questo circolo entra anche in comunicazione e in contatto anastomotico
con le arterie intercostali, soprattutto le posteriori ma anche le anteriori.
Il circolo anastomotico della scapola si basa principalmente sulla sottoscapolare (che è un ramo dell’ascella -
re) e sui rami che provengono proprio dall’ascellare come ad esempio il tronco tireocervicale, tra cui l'arte -
ria cervicale trasversa . Quindi tra questi due sistemi, della sottoscapolare e della ascellare, si crea un circo-
lo anastomotico. I due rami principali, i due pilastri principali di questo circolo, sono la sottoscapolare e il
tronco tirocervicale che invia dei rami medialmente alla scapola.
Al di là della toracica laterale (o mammaria esterna) che abbiamo già visto, ci sono dei rami che provengono
proprio dalla toracica interna, soprattutto nel punto in cui i rami intercostali anteriori della toracica interna
si anastomizzano con gli intercostali posteriori. In questo punto ci sono dei rami chiamati rami perforanti
che raggiungono la superficie della cute e quindi irrorano anche la ghiandola mammaria.
La a. carotide comune sale lungo il collo nel fascio vasculo-nervoso del collo (in cui si hanno il nervo vago, la
carotide e la giugulare). La carotide a livello di C4 si divide in carotide esterna ed interna. La carotide inter-
na avrà a che fare principalmente con il cranio (cervello, ecc), la carotide esterna con l’irrorazione della
parte anteriore del cranio (faccia, ecc). A livello di questa biforcazione si forma il cosiddetto seno carotideo
in cui si hanno degli importanti recettori per la pressione (che comunque verranno approfonditi in fisiolo -
gia). Mentre la carotide esterna da dei rami immediatamente dopo la biforcazione, la carotide interna da
dei rami solo una volta entrata nella scatola cranica.
CAROTIDE ESTERNA
La carotide esterna sale verso l’alto e il ramo terminale considerato più importante è l’arteria temporale
superficiale che passa davanti all’orecchio. Nella temporale superficiale si può sentire bene il polso se si
preme contro il processo zigomatico e l’apertura esterna della tempia. Il polso viene usato dall’anestesista
quando questo, per motivi chirurgici, di strategia del tavolo operatorio, può stare solo dalla parte della te -
sta del paziente e non può controllare le arterie degli arti.
Rami più importanti: uno dei primi rami è l’arteria tiroidea superiore che ovviamente irrora la ghiandola ti-
roide.(la tiroidea inferiore proveniva dai rami della succlavia); poi c’è un ramo linguale (a. linguale), quindi
importante per la lingua, e un altro per la faringe (a. faringea ascendente). Dopo questo importante vaso,
la carotide esterna viene considerata arteria facciale. Questa in una prima fase passa dietro l’angolo della
mandibola poi si porta anteriormente, decorre ai lati della bocca per portarsi fino all’angolo dell’occhio. In
questo percorso da alcuni rami che sono importanti che sono: l'arteria sottomentale e, prima del ramo ton-
sillare, ci sono dei rami anche per le ghiandole salivari. Giunti al livello della bocca ci sono delle labiali supe-
riori e labiali inferiori che formano un ciclo anastomotico con le corrispettive controlaterali. Poi c’è la a. la-
terale del naso e poi l’arteria angolare (dall’arteria angolare, in alcuni individui ci sono dei rami che si diri-
gono in alto verso la fronte). Dalla carotide esterna, superiormente alla facciale, partono dei rami che si
portano posteriormente, due rami importanti, uno dietro l’orecchio che si chiama auricolare posteriore, un
altro che si porta verso l’osso occipitale che si chiama arteria occipitale. Dalla temporale superficiale parto-
no due rami, uno per la mascella, ramo mascellare, e l’altro trasverso della faccia.
Il ritorno venoso della circolazione della faccia e del cranio in generale, si basa su due vasi: la giugulare
esterna e la giugulare interna. Mentre per le arterie che abbiamo visto la situazione è abbastanza rigida (la
carotide esterna invia rami che interessano soprattutto la parte anteriore del cranio e invece quella interna
nulla ha a che fare, almeno nella sua prima fase, in questo, finché non arriva nel cranio), per quello che ri -
guarda i due pilastri del ritorno venoso, giugulare esterna ed interna, i confini non sono così rigidi. Ad esem -
pio nella giugulare interna arriva anche sangue che proviene dalla faccia, quindi interna ed esterna non
sono così rigidamente divise come invece sono le corrispondenti carotidi. I nomi delle vene rispetto a quello
delle arterie sono piuttosto simili (eccetto che ‘giugulare’), quindi abbiamo ad esempio la v. angolare, c’è la
vena facciale, che prende anche dall’area del frontale, scende e si getta in parte nella giugulare interna che
Autore: Alessandro Carletti per Medicina08 4 di 11
Anatomia ANS27 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 6 (23mag2011)
poi viene appunto dal cranio (attraverso il forame giugulare) e in parte attraverso un ramo che è la cosid -
detta v. comunicante si porta invece nel sistema della giugulare esterna. Quindi non c’è una rigidità assolu-
ta, praticamente il sangue che previene dalla faccia si può gettare in parte nella giugulare esterna e in parte
nella giugulare interna. L’auricolare posteriore e anche l’occipitale si possono gettare più facilmente diret -
tamente nella giugulare esterna ma altrimenti il sistema è abbastanza intercomunicante. I dettagli delle
vene nessuno li va a chiedere, basta sapere il concetto generale: che c’è una raccolta di sangue dalla faccia,
che in parte va alla giugulare esterna e in parte alla giugulare interna essendo i due sistemi abbastanza co -
municanti grazie alla vena comunicante, grazie all’arco della giugulare. La giugulare interna va a defluire
con la succlavia e l’unione di queste due vene viene chiamato tronco brachicefalico o vena anonima.
Non è possibile ancora mettersi a fare in dettaglio la circolazione all’interno del cranio in quanto non sono
state date ancora informazioni sull’encefalo, verrà quindi trattato più in dettaglio in seguito. È però impor -
tante sapere già che, i vasi venosi che hanno a che fare con la superficie triangolare che va dall’angolo del -
l’occhio ai lati della bocca, possono defluire il sangue verso l’interno del cranio. Ad esempio la vena angola -
re può almeno in parte essere drenata da una vena che si trova sopra l’occhio, la vena superiore oftalmica,
la quale va a finire nel seno cavernoso. Il seno cavernoso è uno dei seni importanti per la circolazione veno-
sa della scatola cranica; esso è pari e si trova a destra e a sinistra della sella turcica. Questo significa che fo-
runcoli della parete del naso, infiammazioni dell’angolo dell’occhio, tagli o infiammazioni dei lati delle lab-
bra (soprattutto di quella superiore) devono essere assolutamente curati da specialisti del settore. Questo
perche i batteri possono arri-
vare all’interno per queste vie
venose e creare delle infiam-
mazioni all’interno del cervello
che poi sono difficilissime da
dominare. E' successo che un
giovane, non molto tempo fa,
sia morto per un foruncolo
nella parete del naso e il medi-
co lo aveva trattato solo su-
perficialmente. Questo riguar-
da anche la traumatologia fac-
ciale. Questi seni venosi sono
spesso una duplicatura della
dura madre, ovvero la dura
madre, che è una delle mem-
brane che avvolge il cervello, a
volte fa una sdoppiatura, e lì
scorre il sangue venoso.
CAROTIDE INTERNA
tratto si trova ad essere abbastanza vicina alla giugulare interna, solo che questa dopo un po’ si sposta po -
steriormente alla carotide perché deve passare attraverso il forame giugulare. La carotide interna compie
all’interno del sistema cranio ben 6 curve e queste sei curve sono molto importanti perché permettono un
abbassamento della pressione che vige all’interno della carotide interna. Questo perché la carotide interna,
non avendo rami, deve arrivare nella scatola cranica con una pressione inferiore ed è necessario che com -
pia una serie di curve. I rami terminali della carotide interna sono la a. comunicante posteriore, l’a. corioi-
dea anterire, la a. cerebrale media e la a. cerebrale anteriore. Alcuni di questi faranno parte del cosiddetto
poligono di Willis che è un poligono arterioso che si trova alla base del cervello e che gira intorno alla sella
turcica.
A questo livello si trova il fascio vasculo nervoso del collo che è delimitato, arteria carotide comune prima
della divisione (la divisione avviene al livello di C4) poi abbiamo la giugulare interna e poi il nervo vago. Poi
la carotide sale e si divide in carotide interna ed esterna e la carotide interna entra nel canale carotico. Nel
canale carotico questa incomincia a compiere tutta una serie di curve per portarsi (uscirà poi vicino al nervo
ottico) verso il seno cavernoso (che è come già detto prima un seno venoso ai lati della sella turcica). Qui
avviene una cosa del tutto particolare in quanto la carotide entra nel seno cavernoso e una curva la compie
anche lì. Quindi entra in un sistema venoso, è una vena che passa in un ambiente venoso (come se nel seno
cavernoso entrasse un tubo che è la carotide stessa). Questo naturalmente per ammortizzare sempre la
pressione. La carotide interna, entrata nel seno cavernoso, perfora la dura madre che forma il tetto del
seno cavernoso per poi andare ad irrorare il cervello che sta al disopra. Una volta perforata la dura madre
ed entrando vicino al cervello, comincia ad inviare rami (tra i quali abbiamo già visto i rami terminali).
Il seno cavernoso è una struttura che ha come delle impalcature che facilitano e permettono una maggiore
dilatazione della carotide durante la sistole. Quando la carotide lascia la dura madre ed esce nel cranio si
trova vicinissima, appena lateralmente, al nervo ottico e da qui in poi può inviare rami per le varie strutture
del cervello.
POLIGONO DI WILLIS
Uno dei punti importanti di quet’area è appunto il poligono di Willis il quale non è nient’altro che un siste-
ma anstomotico tra il circolo della carotide interna e il circolo delle aa. vertebrali. Sappiamo, quando sono
state trattate le vertebrali, che questi due pilastri della circolazioni per il cervello (vertebrali e carotide in -
terna) giungono nella scatola cranica in posizioni diverse: le due vertebrali entrano nel grande forame del -
l’occipitale, si uniscono al livello del clivus, vanno in avanti e formano l’arteria basilare. Carotide interna e
arteria basilare, formano un circolo molto importante a livello della sella turcica che permette l’anastomosi
di questi due sistemi circolatori. È un sistema di sicurezza importante perché dovesse uno dei due vasi non
essere di grande efficienza c’è sempre l’altro che può supplire.
Le vertebrali formano la basilare che invia rami per il cervelletto dopodiché la basilare giunge contro la pa -
rete della sella turcica (il clivo è proprio dietro a questa). A questo punto si divide in due rami che si chiama -
no cerebrali posteriori, quindi questa parte qui è tutta un’area che dipende dalle arterie vertebrali, fino alle
cerebrali post comprese. Ora occorre mettere in comunicazione il sistema della carotide interna con il siste -
ma delle vertebrali che si esplicita con le cosiddette cerebrali posteriori e infatti esiste il vaso comunicante
posteriore (vaso piuttosto sottile) che unisce la carotide interna con le cerebrali posteriori. Dalla carotide
partono due vasi importanti che sono le aa. cerebrali anteriori, che vanno in avanti e che sono unite dal co-
Autore: Alessandro Carletti per Medicina08 6 di 11
Anatomia ANS27 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 6 (23mag2011)
siddetto vaso comunicante anteriore. Il tutto forma un poligono, detto di Willis, ed esso è in parte formato
dal circolo che deriva dalla carotide e in
parte da quello che deriva dalla basilare e
quindi dalle vertebrali. Questo circolo è
molto delicato nella sua formazione, quan-
do embriologicamente si viene a formare,
ed è chiaro che è un’area in cui col tempo
ci possono essere anche lesioni, emorragie
cerebrali, ecc.
L’arteria brachiale praticamente continua la ascellare, viaggia anteriormente in maniera abbastanza media -
le fino a portarsi al gomito. Al gomito questa arteria si divide in due rami che sono la a. radiale e la a. ulna-
re. Ovviamente la radiale è laterale e la ulnare è mediale. La brachiale pur essendo un vaso importante e
quindi abbastanza consistente ha un percorso piuttosto superficiale e quindi in alcuni tratti si può sentire
anche il suo polso (qui non si entra in nessun dettaglio, nessuno vuole avere dei dettagli complessi sulla cir -
colazione dell’arto superiore, basta avere alcuni concetti che saranno molto semplici). A questo livello si ha
il problema del gomito: se noi flettiamo il gomito in teoria il sangue non potrebbe più passare dalla brachia-
le verso la radiale e l’ulnare o per lo meno si avrebbe un ritardo notevole accompagnato ad un rapido senso
di dolore. Esiste perciò un sistema di circolazione parallelo, di rami che partono dalla brachiale, dalla radiale
e dalla ulnare, i quali si portano sia al davanti che posteriormente al gomito e permettono quindi al sangue
di arrivare alla radiale e alla ulnare anche quando il gomito è fortemente flesso (ovviamente c’è comunque
Autore: Alessandro Carletti per Medicina08 7 di 11
Anatomia ANS27 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 6 (23mag2011)
A livello del palmo della mano si può creare una specie di grande circolo che viene chiamato arco palmare
superficiale e arco
palmare profondo.
Questi due archi fini-
scono per unire il cir-
colo della radiale con
quello della ulnare e
fanno partire delle ar-
terie dirette alle dita.
Tali arterie decorrono
principalmente late-
ralmente al dito e poi
creano una fitta rete
di capillari a livello
dell’unghia; ci sarà poi
un ritorno venoso.
• il circolo profondo consiste in due vene che accompagnano sempre le arterie importanti che sono
state viste, queste vene vengono chiamate satelliti oppure comitantes (trad: accompagnatrici);
• il circolo superficiale è quello da cui si preleva il sangue più facilmente. Si compone di una vena ce-
falica in posizione laterale e di una vena basilica in posizione mediale. Generalmente, soprattutto
negli uomini più che nelle donne, si distingue molto bene la cefalica. Queste due vene, a livello del
gomito, formano un’anastomosi l’una con l’altra che si chiama vena mediana o cubitale mediana.
La vena mediana è la classica vena da cui si fa il prelievo del sangue (è il modo più ordinario e più
semplice). Sia la cefalica che la basilica vanno a finire nella vena ascellare; la vena ascellare conti -
nua con la succlavia, dopodiché la succlavia si unisce con la giugulare interna per formare il tronco
brachicefalico e l’anonima. Sono tutte vene che corrono parallelamente alle arterie già conosciute.
Esiste un doppio sistema, superficiale e profondo, anche nell’arto inferiore anche se più complesso.
ARTO INFERIORE
La femorale decorre sempre in posizione mediale, quindi scende medialmente verso il ginocchio e invia un
ramo dopo i primi 6 cm, quello importante, che è la cosiddetta femorale profonda. La femorale profonda
invia i cosiddetti rami perforanti che vanno ad irrorare i muscoli della coscia; dopodiché la femorale giunge
al livello del ginocchio in posizione posteriore, arriva nel cavo popliteo e prende il nome di arteria poplitea:
questa in parte continua il suo percorso verso il basso in posizione arretrata, quindi dietro la parte posterio -
re della gamba, e si chiamerà tibiale posteriore, e in parte invece continua con un altro ramo che passa al
Autore: Alessandro Carletti per Medicina08 9 di 11
Anatomia ANS27 – APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO 6 (23mag2011)
davanti tra le due ossa tibia e perone e diventa tibiale anteriore. Poi ci sarà anche un ramo più laterale che
si chiamerà arteria peroniera. La tibiale anteriore e la tibiale posteriore creano un'arcata importante al li-
vello del piede che si chiama arcata plantare dorsale e plantare dorsale superficiale; ci sono anche altre ar-
cate che si chiamano plantare laterale, mediale, ecc. Ci sono varie arcate tra questi vasi a vari livelli che per -
mettono di unire la circolazione della tibiale anteriore con quella della tibiale posteriore. Una cosa simile a
quello che è già stato visto a livello del palmo della mano. Dalla tibiale posteriore parte l’arteria peronea,
quella più laterale.
Per quanto riguarda l’arteria femorale nella sua porzione superiore superficiale, c’è un rapporto molto im -
portante da un punto di vista clinico tra arteria e vena femorale. C’è questo vaso che sbocca nella vena fe -
morale e che si chiama grande safena, questo è un vaso venoso che raccoglie il sangue medialmente nel -
l’arto inferiore e finisce per gettarsi nella vena femorale vicino alla fine di questa. Nel primo tratto dell'arte -
ria femorale partono vari rami, tra cui l’arteria femorale profonda, e partono due rami importanti: la pu-
denda esterna superiore e la pudenda esterna inferiore. Di questi due vasi uno passa al di sopra dello
sbocco della safena, l’altro passa al di sotto. Questi due vasi sono importanti nell’uomo per l'irrorazione
dello scroto e nella donna delle grandi labbra, quindi hanno a che fare con il circolo arterioso delle pareti
dei genitali esterni.
Il ritorno venoso dell’arto inferiore avviene contro la gravità, quindi occorrono dei meccanismi particolari.
Anzitutto tutte le vene dell’arto inferiore sono caratterizzate dalla presenza di valvole che hanno una strut -
tura con lembi valvolari simili a quelli che sono stati già visti, ad esempio, nelle valvole semilunari. Ci sono
due o tre (generalmente tre) lembi, per cui il sangue che nel suo ritorno viene spinto dal basso verso l’alto:
questi lembi si aprono, passa il sangue e, terminata la spinta, si richiudono e impediscono il ritorno inferior-
mente del sangue stesso. Poi esiste un sistema un po’ simile a quello dell’arto superiore: un sistema venoso
superficiale e uno profondo. Nel sistema profondo ci sono due vene per ogni arteria, le cosiddette vene ac-
compagnatrici o comitantes. Il sistema superficiale è invece più indipendente e si basa principalmente su
due vene, una che decorre dal piede fin verso l’inguine, ed è la grande vena safena che decorre medialmen -
te, un’altra è invece la cosiddetta piccola safena che decorre sempre dal piede fino alla vena poplitea. Que-
sti sono i due pilastri della circolazione superficiale dell’arto inferiore. Naturalmente non è sufficiente la
presenza delle valvole a livello di queste vene per permettere il ritorno venoso, occorre che ci siano anche
degli altri sistemi. Infatti vedremo che tutto si basa sulla cooperazione della sistole che fa dilatare le vene e
della contrazione dei muscoli circostanti. La cooperazione del sistema sistolico e della contrazione dei mu -
scoli dell’arto inferiore insieme facilitano il ritorno venoso, insieme ovviamente alle valvole.
Distinguiamo:
VENE PROFONDE
A livello del piede abbiamo vene della pianta e del dorso che si anastomizzano tra di loro, formando archi
che andranno poi a formare delle vene che corrisponderanno alle arterie tibiali che abbiamo già descritto:
vena tibiale anteriore e posteriore. Queste vene poi si uniranno nella parte più profonda, si fermeranno
nella fossa poplitea dove appunto c'è la vena poplitea che dopo l'essersi situata dietro il ginocchio continua
con la vena femorale che poi nell'ultimo suo tratto andrà a sboccare nella grande safena che appartiene al
circolo superficiale.
VENE SUPERFICIALI
dorsale e finisce per sboccare nella vena poplitea. Quindi ha un decorso piuttosto breve: parte dal piede e
termina nella vena poplitea.
Esistono a diversi livelli le vene perforanti che mettono in comunicazione il circolo superficiale delle safene
con quello profondo. Quindi il circolo superficiale e profondo sono in comunicazione tra loro grazie alle
vene perforanti. Questo gioca un ruolo importantissimo nella chirurgia vascolare venosa dell'arto inferiore.
Le vene perforanti perforano anche le fasce.
Il sangue nelle vene scorre contro la forza di gravità e per queste tutte le vene sono dotate di valvole con
struttura a nido di rondine che impediscono il ritorno del sangue verso il basso. Il meccanismo di ritorno del
sistema venoso nell'arto inferiore è legato alla presenza non solo delle valvole ma anche alla posizione delle
vene. Le vene satelliti sono proprio molto vicine alle arterie e quindi in diversi casi formano proprio una
rete intorno all'arteria, con anastomosi tra le due vene. Poi è naturale che quando l'arteria si dilata per la si-
stole la vena viene schiacciata contro la parete laterale, che consiste in muscoli presenti nell'arto inferiore.
Non solo, quando noi ci muoviamo, anche un minimo di movimento, noi contraiamo dei muscoli. Il muscolo
contratto crea uno schiacciamento della vena e quindi facilita il ritorno venoso. Una volta che il muscolo si
è rilasciato non c'è più la possibilità per il sangue di ritornare indietro in quanto le valvole si chiudono; quin -
di è un gioco combinato tra sistole delle arterie e contrazione muscolare: praticamente quando la vena vie -
ne sbattuta dall'arteria contro il muscolo, se anche il muscolo a sua volta si contrae, lo schiacciamento della
vena è molto evidente e facilita il ritorno del sangue verso l'alto.
APPARATO RESPIRATORIO
O₂ 16% 20,93%
CO₂ 4% 0,03%
N 80% 79,04%
Le differenze di concentrazione tra l’aria che inspiriamo e quella che espiriamo riguardano quasi unicamen -
te la quantità di ossigeno e anidride carbonica. L'aria espirata è il risultato di tutta una serie di processi che
avvengono lungo l'albero respiratorio, in particolare a livello degli alveoli polmonari in cui avviene lo scam -
bio gassoso tra sangue e aria. Alla respirazione però partecipano tutta una serie di altri organi: questi organi
sono importantissimi, perchè l'aria esterna così com'è, se arrivasse a contatto direttamente con l'alveolo,
sarebbe dannosa. In quanto l'aria esterna è ricca di pulviscolo, di batteri ecc, e inoltre è un'aria che ha una
certa temperatura e una certa umidità a seconda dell’ambiente esterno. Quindi esistono degli organi che
servono appunto a purificare, umidificare e creare la temperatura ottimale per l'aria respirata, i quali non
partecipano allo scambio ossigeno anidride carbonica. Questi organi sono: le cavità nasali, la faringe, la la -
ringe, la trachea e i bronchi. Gli organi responsabili dello scambio ossigeno anidride carbonica sono i polmo -
ni soprattutto l'albero alveolare. Nel polmone ci sono varie strutture ma quelle che partecipano allo scam -
bio ossigeno anidride carbonica sono i sacchi alveolari.
FARINGE
È una struttura retrostante il naso e retrostante la bocca, a forma di cono con l'apice rivolto in basso e la
parete anteriore mancante, ed è piuttosto larga in alto. Questa struttura a cono che si trova dietro le cavità
nasali, dietro la bocca, dietro la laringe, si chiama faringe. E' una struttura cava a forma di cono e forma la
parete posteriore rispetto al naso, rispetto alla bocca e rispetto alla laringe. La sua ampienza è intorno ai 15
cm e il suo tetto si trova più o meno sotto lo sfenoide.
La faringe termina a livello di c6 e a questo livello alla faringe segue l'esofago. L'inizio della trachea avviene
alla stessa altezza ovvero a livello di c6: l'esofago segue la faringe, la trachea segue la laringe.
A livello dell'orofaringe c'è l'incrocio della via digestiva con quella respiratoria:
• nella via respiratoria l’aria respirata passa dal naso alla nasofaringe, arriva nell'orofaringe, dopo di
che va a incanalarsi nella laringe, poi andrà nella trachea;
• nella via digestiva il cibo entra nella bocca, posteriormente si porta nella mesofaringe e poi viene
spinto nell'ipofaringe o laringofaringe a questa seguirà poi l'esofago.
NASO
• NASO ESTERNO
• NASO INTERNO
Naso esterno
• le cartilagini alari, più o meno sviluppate a seconda della razza, in ogni modo sono quelle che ci
permettono di mantenere l'apertura delle narici;
• la piega nasolabiale, che è accentuata in maniera diversa a seconda dell'individuo, e in ogni modo
si accentua con l'età. Si chiama piega nasolabiale perchè va dal naso alle labbra.
Naso interno
Setto nasale
Il setto nasale che divide nettamente la narice destra dalla narice sinistra è formata da una parete piuttosto
liscia rivestita da mucosa, formata da due ossa e da una cartilagine. Le due ossa sono:
• una superiore: lamina perpendicolare dell'etmoide, che si trova al davanti dello sfenoide;
Queste due ossa articolandosi determinano un certo spazio tra di loro, in cui ci si inserisce al davanti: la car-
tilagine del setto nasale.
Parete laterale
Tutt'altro che liscia è la parete laterale del naso, sia quella destra sia quella sinistra, perché a livello della
parete laterale esistono i cosi detti cornetti nasali o turbinati: sono tre strutture che partono dalla parete e
si portano verso il setto, poi a un certo punto si piegano, terminando a una certa distanza dalla parete
I cornetti nasali sono tre: il superiore e il medio appartengono all'osso etmoide, mentre quello inferiore è
un osso a sé stante.
I seni occupano una notevole quantità di superficie nel cranio, dando il vantaggio di far pesare meno la te -
sta.
Questi cornetti sono rivestiti da abbondante mucosa di tipo respiratorio, molto vascolarizzata. Hanno un
ruolo importante nell'aumentare la superficie di contatto del naso con l'aria inspirata (ecco perchè si dice
che è importante inspirare col naso e non con la bocca, perchè l'aria deve fare questo percorso, per essere
adeguatamente purificata e umidificata).
Dietro al cornetto inferiore c'è una piccola apertura, che è lo sbocco verso le cavità nasali della tuba uditiva
o tuba di Eustachio che mette in comunicazione le cavità nasali con l'orecchio medio, la tuba è rivestita da
cartilagine.
Seni paranasali
• seni sfenoidali;
• seni frontali;
• seno mascellare.
I seni occupano una notevole quantità di superficie nel cranio, dando il vantaggio di far pesare meno la te -
sta. Hanno importanza perché sono delle cavità ripiene di aria rivestite da epitelio respiratorio, i quali sono
in comunicazione con le cavità nasali grazie a degli stretti canalicoli, rivestiti anch’essi da mucosa respirato -
ria. Se si infiammano questi seni paranasali, e con questi anche i canalicoli, si avrà una difficoltà nello svuo -
tare il contenuto infiammatorio di queste cavità (sinusite).
I seni sboccano nello spazio tra il cornetto e la parete laterale del naso,questo spazio viene chiamato mea-
to. I meati dunque sono tre:
• superiore;
• medio;
• inferiore.
I due seni frontali (in comunicazione tra loro) vanno a sboccare nel meato medio.
Le cellette etmoidali: alcune sboccano nel meato superiore, altre nel meato medio, a seconda se sono ante-
riori o posteriori.
Il seno mascellare sbocca a livello del meato nasale medio. Questo seno ha uno svantaggio rispetto agli al-
tri, perché la sua apertura è in alto e la parete che lo separa dalla cavità orbitaria è abbastanza sottile, e an -
cora più sottile è la distanza tra la parte inferiore del seno mascellare e le radici dei molari. Questo implica
che, se c'è un'infiammazione, un sintomo può essere un dolore all'arcata dentaria superiore. Qualora lo
svuotamento non fosse possibile e l'accumulo di sostanze infiammatorie fosse tanto da preoccupare il clini -
co in modo da dover liberare il seno mascellare, è chiaro che l'otorino entrerà con uno strumento che andrà
a rompere alla base questa struttura e quindi va a creare un'apertura attraverso cui il seno mascellare può
svuotarsi.
Nel meato nasale inferiore non si aprono seni paranasali ma qui c'è l'apertura del canale naso-lacrimale. É
un canale in cui scorrono le lacrime: dopo che hanno lavato la superficie dell'occhio scendono e si portano a
livello del naso. La ghiandola lacrimale che le produce si trova sotto l'arcata orbitaria posta molto lateral -
mente, le lacrime scendono medialmente e poi si scaricano in questo canale a livello del meato nasale infe -
riore.
La parte posteriore delle cavità nasali (coane), sbocca nel nasofaringe o rinofaringe, in cui, nello spessore
della mucosa respiratoria che la riveste, c'è la tonsilla faringea chiamata anche adenoide. Quando questa
tonsilla, che appartiene al sistema immunitario, viene stimolata, diventa ipertrofica, si ingrandisce e ingran-
dendosi può occupare parte delle coane. È ben sviluppata nei primi anni di vita e si riduce notevolmente di
volume dopo la pubertà. La tonsilla faringe fa parte dell'anello di Waldeyer.
• tonsilla palatina;
• tonsilla faringea.
Palato
Possiamo distinguere:
• palato duro;
• palato molle: è dovuto alla presenza di muscoli che hanno a che fare con la deglutizione, si contrag -
gono per spingere il cibo verso la faringe e poi verso l'esofago.
Arterie
Per quanto riguarda la vascolarizzazione, ci sono alcune variazioni a seconda dei testi.
Vene
Le vene della mucosa nasale defluiscono nelle vene dell'orbita, nel plesso venoso pterigoideo e nelle vene
del viso. Questo è un fatto importante da tenere presente, in quanto nella traumatologia del naso rappre -
senta un grosso problema, a causa della comunicazione con l'interno del cranio.
LARINGE
La laringe è un organo impari e mediano posto nel collo, interposta tra la faringe e la trachea:
1) La laringe fa parte dell'apparato respiratorio e ha il compito di chiudersi quando deglutiamo e/o in-
goiamo cibo, in modo che questo segua il processo digestivo nell'esofago, impedendogli così di en-
trare nelle vie respiratorie. L'entrata nella laringe si chiama adito della laringe. Questo adito viene
chiuso e aperto dall'abbassarsi e dall'alzarsi dell'epiglottide, che è una cartilagine della laringe. Si
tratta di un meccanismo importantissimo, perché è necessario che nell'apparato respiratorio non ci
vada nulla (tant'è che non appena qualcosa ci va "di traverso" tossiamo abbondantemente cercan -
do di espellere ciò che vi è entrato, questo è dovuto al fatto che queste vie sono estremamente in -
nervate in modo da rendere questo stimolo il più efficiente possibile): se ciò avvenisse si creerebbe -
ro delle infezioni gravi a livello dell'apparato respiratorio.
2) La laringe è l'organo principale della fonazione, quindi gioca un ruolo nel parlare, nell'emettere suo-
ni. La possiamo immaginare come tubo in cui sono poste le cosiddette corde vocali. Quando noi
parliamo espiriamo e quest'aria che viene dal basso verso l'alto fa vibrare le corde vocali. Queste
corde, grazie a un gioco di cartilagini, possono variare le loro dimensioni e la loro forma: possono
restringersi o allargarsi, allungarsi quindi assottigliarsi o ispessirsi. Questo naturalmente ci permette
di produrre suoni diversi, perchè noi appunto facciamo vibrare queste corde in modo diverso,
quando sono più sottili emetteranno suoni più acuti, più spesse suoni più gravi e così via.
3) Fa aumentare la pressione delle vie aeree chiudendo la glottide. Per glottide si intende lo spazio
che c'è tra le due corde vocali (molti autori considerano per glottide l'intero sistema, cioè sia le cor-
de vocali sia lo spazio compreso). Questo avviene in determinate situazioni, ad esempio:
• quando alzo un peso: trattengo il fiato per avere maggiore potenza sull'addome e sul torace;
“l'organismo è impegnato in sforzi che comportano un ancoraggio sicuro per la muscolatura de-
gli arti. Poiché il primo risultato della contrazione dei muscoli lombari e addominali è l'abbassa-
mento delle costole, e quindi il cedimento dell'ancoraggio dei muscoli degli arti, nasce nuova-
mente l'esigenza della chiusura delle vie aeree che, impedendo la fuoriuscita dell'aria ovvii al-
l'inconveniente”;
“durante la defecazione, la minzione od il parto, l'organismo deve espellere dagli orifici inferiori
i prodotti della digestione, della secrezione o del concepimento. La chiusura a monte delle vie
aeree è indispensabile perché la cavità toracica si comporti come una camera d'aria compressa,
offra sufficiente resistenza e la forza esercitata dalla muscolatura addominale venga orientata
nella direzione opportuna”.
É una valvola aperta durante la respirazione controllando il passaggio dell'aria in uscita e in entrata. Sporge
ventralmente tra i grandi vasi del collo, è coperta dalla cute, è palpabile soprattutto nell'uomo più che nella
donna, rappresenta il cosi detto “Pomo d'Adamo” che è una delle cartilagini più importanti della laringe, in -
fatti se uno deglutisce o parla sentiamo che vibra.
Si trova a livello di c3 c4 c5 c6 . Termina a livello di c6 dove si continua con la trachea, e a questo livello po -
steriormente inizia l'esofago. Ha una lunghezza di circa 45 mm. É più elevata nel bambino e nella donna che
nell'uomo. Ai lati vediamo la carotide comune che a livello di c4 si viene a separare in carotide esterna e ca -
rotide interna.
Autore: Martina Sbarbati per Medicina08 7 di 9
Anatomia ANS28 – APPARATO RESPIRATORIO 1 (25mag2011)
Ha uno scheletro composto da varie cartilagini ricoperte da mucosa, su cui si inseriscono legamenti e mu -
scoli, i quali permetteranno il movimento di queste cartilagini una rispetto all'altra .
Cartilagine epiglottide
Cartilagine tiroidea
Cartilagine cricoide
La cartilagine cricoide è la cartilagine posta più in basso, quella che precede la trachea, volgarmente si dice
che questa cartilagine ha la forma di anello con castone (il castone è la parte dell'anello con la pietra) per -
chè ha al davanti un parte sottile chiamata arco della cricoide e una parte posteriore chiamata lamina che
corrisponderebbe al castone. La cartilagine tiroide con le corna inferiori si va ad inserire ai lati della cartila -
gine cricoide, dove è appunto presente una faccetta articolare per le corna inferiori. Essendo questo l'unico
punto di inserzione della cartilagine tiroide sulla cricoide, la cartilagine tiroide può vasculare.
Cartilagini aritenoidi
Sono due, pari e simmetriche, si vanno a porre superiormente sulla lamina della cartilagine cricoide. Poggia -
no sulla lamina e hanno un processo anteriore che si chiama processo vocale e una prominenza laterale
che si chiama processo muscolare che serve per l'inserzione di vari muscoli. Il processo vocale è il punto da
cui partiranno i legamenti vocali che formano la base delle future corde vocali. Le due corde vocali, il cui
capo posteriore è trattenuto saldamente dalle aritenoidi e dalla loro muscolatura, si portano in avanti e
vanno ad inserirsi dietro la cartilagine tiroide.
La cartilagine tiroide sappiamo che può vasculare, quindi se si abbassa tira le corde vocali allungandole in
avanti, le assottiglia, basta ciò per cambiare nettamente il suono.
Le parti superiori mostrano la presenza dell'inserzione di due piccole strutture cartilaginee chiamate cartila-
gini corniculate.
LARINGE
Legamenti laringei
• legamenti laringei interni (o intrinseci), sono abbastanza numerosi e collegano le varie cartilagini
laringee; sonoi legamenti: tiroepiglottico, vocali, cricotiroideo, vestibolare;
• legamenti laringei esterni (o estrinseci) che hanno la caratteristica di collegare la laringe nel suo in-
sieme con l’osso ioide e con la trachea.
Osservando la laringe dall’alto vediamo l’epiglottide il cui peduncolo si aggancia alla cartilagine tiroide me -
diante il legamento tiroepiglottico; l’epiglottide inoltre si inserisce sull’osso joide mediante il legamento
joepiglottico che facilita il ritorno dell’epiglottide nella sua posizione naturale. Una struttura molto impor-
tante è la plica ariepiglottica: questa deve restare molto aderente all’epiglottide quando questa si abbassa
al fine di evitare al massimo il passaggio di liquidi; a livello ariepiglottico vediamo una formazione cartilagi -
nea detta tubercolo cuneiforme e questo è volta ad aumentare la stabilità della plica ariepiglottica.
La plica ariepiglottica presenta un andamento semicircolare e l’unione di quella di destra con quella di sini -
stra viene complessivamente detta lamina quadrangolare.
Anatomia ANS29 – APPARATO RESPIRATORIO 2 (26mag2011)
Dal processo vocale delle cartilagini aritenoidi partono i due legamenti vocali, che rivestiti dalla mucosa sa-
ranno le corde vocali: questi legamenti sono ricchi in fibre elastiche e si portano fino alla cartilagine tiroide.
Al di sotto dei legamenti vocali andando lateralmente a destra e a sinistra vediamo il legamento cricotiroi-
deo che va dalla cricoide e termina sulle corde vo-
cali stesse. Questo legamento forma un cono aper-
to verso il basso e stretto verso l’alto e tutta questa
struttura viene detta cono elastico: è una parte del-
la laringe (la prima delle tre in cui la divideremo)
delimitata superiormente dai due legamenti vocali,
lateralmente dal cricotiroideo e anteriormente si
trova a livello dell’arco della cartilagine cricoide e si
trova dunque al di sotto dei legamenti vocali. Que-
sta struttura, il cono elastico, tenderà dunque a ri-
portare perfettamente in ordine la struttura ad ogni
minimo cambiamento. Abbiamo posteriormente il
cricoaritenoideo posteriore che unisce le aritenoidi
a livello del processo muscolare con la lamina della
cricoide. Al di sopra dei legamenti vocali vediamo
un legamento che va dalle aritenoidi alla cartilagine
tiroide che viene detto legamento vestibolare
(ndD: secondo il Netter è il legamento cricoarite-
noideo laterale).
1. cavo sottoglottico, da sotto al legamento vocale fino al confine della laringe con la trachea;
3. vestibolo, zona posta al di sopra del legamento vestibolare che sembra avere un ruolo nel determi -
nare la potenza della voce
Queste tre parti in realtà esistono perché quando la laringe viene ricoperta dalla mucosa questa scende, ri -
veste l’epiglottide e arriva fino al legamento vestibolare e rivestendolo passa sotto, si porta nuovamente
verso l’alto e riveste il legamento vocale per poi
scendere nuovamente. Il legamento vestibolare
viene dunque rivestito creando una struttura a
fondo cieco che viene detta appunto ventricolo.
La suddivisione della laringe è importante per
comprendere come la mucosa utilizza tutte le
strutture di cui abbiamo parlato. Al di sotto del-
la mucosa abbiamo la membrana elastica, una
struttura molto sottile ma ricchissima di fibre
elastiche a cui partecipano i legamenti visti fino
ad ora e questa membrana è al di sotto della
mucosa che riveste la laringe e ne favorisce il ri-
Autore: Davide Soldato per Medicina08 2 di 6
Anatomia ANS29 – APPARATO RESPIRATORIO 2 (26mag2011)
torno rapidissimo nella posizione iniziale. Vediamo adeso i legamenti laringei estrinseci o esterni che sono
particolarmente coinvolti nei rapporti con l’osso joide: uno è la membrana tirojoidea costituita dal lega-
mento tirojoideo mediano (regione inspessita tra l’osso joide e l’incisura tiroidea) e dai legamenti tirojoi-
dei laterali. Questa membrana va dalla cartilagine tiroide all’osso joide e presenta due aperture importanti
per il passaggio dei nervi. I legamenti tirojoidei laterali vanno dalle corna superiori della cartilagine tiroide al
grande corno dell’osso joide e mostrano la presenza di una piccola cartilagine che viene detta cartilagine
triticea.
Una volta compresa la struttura della laringe è importante capire quali movimenti sono permessi e quali
sono le deformazioni che possono subire le corde vocali. I muscoli della laringe sono diversi: li citiamo ma
non dobbiamo conoscerli nel dettaglio tuttavia è fondamentale capire la loro azione per capire il movimen -
to delle cartilagini.
• Il muscolo cricotiroideo è il solo esterno, e va dall’arco della cricoide alla cartilagine tiroide e ne
permette il basculaggio (permette alla cartilagine tiroide di abbassarsi e di alzarsi) ed è innervato
dal nervo laringeo superiore. Questo muscolo è formato da due capi: uno più obliquo e uno più
dritto; questi partono dalla cricoide e arrivano alla tiroide e contraendosi abbassano la cartilagine
tiroide e allungano le corde vocali, assottigliandole; la tiroide viene fatta basculare e la cricoide ri -
mane fissa.
Tutti gli altri muscoli sono innervati dal nervo laringeo inferiore o ricorrente.
• Il muscolo cricoaritenoideo posteriore è l’unico a separare le corde vocali mentre tutti gli altri ten-
dono invece a chiudere le corde vocali e questo dimostra come la laringe sia strutturata per impedi -
re che ci possa essere arrivo di cibo o di liquido a livello dell’apparato respiratorio. Il cricoaritenoi-
deo posteriore permette l’apertura delle corde vocali; questo muscolo va dalla lamina della cartila -
gine cricoide posteriormente fino al processo muscolare della aritenoidi e per questo contraendosi
allarga e divarica le aritenoidi ed apre la rima glottidea.
• Abbiamo poi il cricoaritenoideo laterale: questo muscolo si inserisce sul processo muscolare delle
aritenoidi ma si porta in basso verso la cartilagine cricoide nella sua parte anteriore e per questo fa
il lavoro opposto al muscolo precedente spostando il processo muscolare in basso e in avanti chiu -
dendo la rima della glottide.
• Segue il muscolo tiroaritenoideo mediale: spesso e consistente, parte della parete laterale delle
aritenoidi, va alla cartilagine tiroide e porta in avanti le aritenoidi e le avvicina l’una all’altra.
Il professore non chiede in dettaglio questi muscoli: vuole sapere solo il muscolo che fa dilatare la
plica vocale e il muscolo esterno mentre sugli altri un cenno veloce. Non risponde tuttavia per gli al-
tri colleghi che in genere chiedono ciò che lui spiega, ma non si può mai sapere.
• Abbiamo poi l’aritenoideo trasverso: muscolo che va da una aritenoide a quella opposta e serve ad
avvicinare le due cartilagini chiudendo lo spazio tra le corde vocali.
• Segue l’aritenoideo obliquo che dal processo muscolare di una aritenoide va verso la cartilagine
corniculata di quella controlaterale e sale con fibre muscolari nella plica ariepiglottica; questo se-
condo gruppo di fibre che sale viene detto muscolo ariepiglottico: questo muscolo è importante in
quanto nella sua contrazione con le due componenti muscolari avviene che le due aritenoidi si avvi -
cinano e l’epiglottide si chiude; è un muscolo importante della deglutizione perché, per proteggere
la laringe, abbiamo la chiusura dell'epiglottide e inoltre fa chiudere la rima della glottide.
• In sezione trasversale: vediamo le aritenoide e la corda vocale o legamento vocale e ai lati di questa
abbiamo il muscolo vocale che è un muscolo importante che fa accorciare le pliche vocali o corde
vocali quando si contrae e ai lati di questo muscolo vedo il tiroaritenoideo già visto precedente-
mente.
Un’ultima cosa prima dell’innervazione: quando andiamo con il laringoscopio per vedere come appaiono le
corde vocali, vediamo che queste hanno un colorito madreperlaceo mentre le corde vestibolari che stanno
ai lati presentano un colorito rosato come tutta la mucosa. Qualora le corde vocali abbiano un colorito ro-
sato in qualunque zona significa che c’è un’infiammazione; inoltre se vediamo che cambiamenti della voce
permangono per più di qualche giorno o anche fino ad una settimana, è fondamentale inviare il paziente da
uno specialista.
Innanzitutto abbiamo accennato un po’ ai nervi ma l’innervazione più importante della laringe proviene dal
parasimpatico, sono dei rami del vago che manda il nervo laringeo ricorrente o inferiore e il nervo laringeo
superiore.
Il nervo vago dà un ramo che scende, va verso l’arco dell’aorta passando al di sotto e poi torna verso l’alto
decorrendo tra trachea ed esofago, si avvicina alla laringe e vi entra a livello dell’articolazione cricotiroidea,
questo per quanto riguarda la parte sinistra. Nella parte controlaterale, quella del vago di destra, parte un
ramo dal vago di destra che passa al di sotto della succlavia destra, corre nuovamente verso l’alto tra tra -
chea ed esofago ed entra a livello dell’articolazione cricotiroidea nella laringe. Il nervo ricorrente origina a
livello del mediastino superiore in quanto passa sotto l’arco dell’aorta, mentre a destra il ricorrente origina
a livello della succlavia e dunque a livello del collo. Il percorso del ricorrente sinistro è dunque molto più
lungo di quello di destra e dunque problemi e
patologie legati a quest’area sono maggior-
mente legati al nervo ricorrente sinistro. Il la-
ringeo ricorrente inferiore presenta fibre mi-
ste sia sensitive che motorie; questo nervo in-
nerva tutti i muscoli della laringe fatta ecce-
zione per il muscolo cricotiroideo, unico mu-
scolo esterno. Inoltre le sue fibre sensitive in-
nervano il cavo sottoglottico dalla faccia infe-
riore della plica vocale fino al limite tra tra-
chea e laringe. Il nervo laringeo superiore, che
origina poco sopra all’osso joide, si divide ra-
pidamente in due rami: uno con fibre sensiti-
ve e l’altro con fibre motorie. Uno viene detto
laringeo esterno in quanto passa esternamen-
te alla laringe innervando in modo specifico il
cricotiroideo. Le fibre invece sensitive entre-
ranno attraverso l’apertura della membra tiro-
joidea nella laringe innervando dall’interno il
Autore: Davide Soldato per Medicina08 4 di 6
Anatomia ANS29 – APPARATO RESPIRATORIO 2 (26mag2011)
vestibolo, il ventricolo e la faccia superiore delle corde vocali. Il ramo delle fibre sensitive viene detto larin -
geo interno (o ramo interno). Ovviamente basta che uno solo dei quattro nervi non sia perfettamente effi-
ciente per provocare dei cambiamenti nella voce che vanno indagati in modo accurato. In basso è presente
la trachea e il percorso dei laringei ricorrenti posti nell’angolo tra trachea ed esofago; qui abbiamo la tiroide
avvolta da una capsula interna ed una esterna e abbiamo poi le paratiroidi (importanti nella regolazione
della calcemia), è presente poi VAN del collo e varie fasce che già conosciamo.
TRACHEA
Andiamo ora a analizzare la trachea; questo è un organo che segue alla laringe nell’apparato respiratorio, è
lungo tra i 10 e i 12 centimetri ed è caratterizzata dalla presenza di numerosi anelli cartilaginei che sono
aperti posteriormente e dunque hanno una forma a ferro di cavallo; le parti terminali dell’anello cartilagi -
neo, formato da cartilagine ialina, sono uniti da un muscolo che viene detto muscolo tracheale dietro al
quale abbiamo l’esofago. Tra un anello e quello successivo abbiamo inoltre i legamenti anulari, delle fibre
elastiche poste tra una anello e l’altro e questo ci permette ad esempio di portare la testa all’indietro in
quanto la trachea segue questo movimento facendo distendere questi legamenti. La trachea termina a li-
vello della carena tracheale dove la trachea si divide nei due bronchi, quello di destra e quello di sinistra.
Per quello che riguarda la disposizione della trachea vediamo che la prima metà dell’organo si pone nel col -
lo mentre la seconda si pone all’interno del mediastino superiore dietro al manubrio dello sterno.
L’esofago si trova al davanti di C6 (emergenza dell’esofago e della trachea) e da T4-T5, dove abbiamo la ra -
mificazione della trachea nei due bronchi, l’esofago si troverà davanti il cuore e soprattutto davanti al ven -
tricolo sinistro. Davanti della biforcazione della trachea abbiamo la biforcazione del tronco della polmonare
in arteria polmonare di destra e di sinistra. Al di sopra del bronco principale di sinistra abbiamo l’arco del -
l’aorta: il sangue arterioso va dall’avanti verso l’indietro mentre al di sopra del bronco di destra abbiamo lo
scavalcamento della vena azygos che decorre vicino alla colonna vertebrale e per arrivare alla vena cava su -
periore deve scavalcare il bronco di destra e il sangue venoso va dal di dietro in avanti. Abbiamo due vasi
che scavalcano l’origine dei bronchi principali e le loro diramazioni si accompagnano sempre ad una dira -
mazione dei rami della polmonare.
BRONCHI
Il bronco di destra rispetto a quello di sinistra è posto in modo differente: il bronco di destra rimane quasi
in asse con la trachea scendendo dritto, mentre il bronco sinistro fa un angolazione retta: questo spiega
perché quando i bambini ingeriscono delle piccole strutture andando a fare l’esame con il broncoscopio li
troviamo sempre nel bronco destro. Una volta che il bronco è entrato nell’ilo polmonare questo si divide al -
meno in tre bronchi a destra e in due a sinistra. A destra avremo il bronco lobare superiore, medio e infe -
riore; a sinistra avremo invece, essendo il polmone più piccolo per la presenza del cuore, il bronco lobare
superiore e quello inferiore. A cosa servono questi bronchi lobari? Il polmone non è un organo compatto
ma è composto da tre strutture indipendenti a destra e due a sinistra che sono funzionalmente e morfologi -
camente indipendenti con un proprio vaso arterioso; all’interno del lobo i bronchi si dividono nei bronchi
segmentali: 10 a destra e 9 a sinistra e anche queste sono delle strutture indipendenti. Questo è talmente
vero che a livello chirurgico se eliminiamo il lobo superiore il soggetto vive comunque pure avendo una ri -
dotta capacità polmonare.
POLMONI
Il polmone ha una struttura piramidale con una base e un apice; l’apice non solo supera la prima costa ma
supera anche la clavicola arrivando piuttosto in alto; un’ottima percussione dell’apparato respiratorio deve
cominciare dalla spalla. Il polmone viene diviso in: faccia mediastinica che si affaccia sul mediastino e nella
quale è presente l’ilo polmonare, ovvero quell’area dove entrano i bronchi e i vasi; abbiamo poi una faccia
diaframmatica in contatto con il diaframma ed una faccia costale che si pone in contatto con le coste stes-
se.
Il polmone viene rivestito dalle pleure, membrane sierose (ricordiamo che il pericardio è invece una mem -
brana fibrosierosa); una viscerale molto attaccata al polmone e difficilissima da staccare che, giunta a livel-
lo dell’ilo polmonare, si riflette formando la pleura parietale: avremo dunque un foglietto parietale e un fo-
glietto viscerale. L’ilo polmonare non viene rivestito dalla pleura. Vediamo che la pleura si approfonda nel -
l’angolo tra coste e diaframma. Il polmone sinistro presenta un lobo superiore ed inferiore e sappiamo che
la pleura non riveste, come abbiamo appena detto, l’ilo polmonare; abbiamo il bronco, le due vene polmo -
nari che portano il sangue all’atrio sinistro e l’arteria polmonare. È inoltre presente una sorta di “coda” del -
l’ilo polmonare che scende verso il basso andando verso il diaframma: questo è il legamento polmonare o
mesopneumonio ma perché esiste questo legamento? Quest’area è libera da pleura perché l’arteria polmo -
nare è elastica: nel momento della sistole si dilata parecchio; se la pleura fosse arrivata intorno a queste
strutture strettamente, la dilatazione dell’arteria polmonare avrebbe potuto portare alla lacerazione della
pleura. Inoltre dobbiamo ricordare che la pleura viscerale riveste i polmoni ma sappiamo anche che questi
sono divisi in lobi nettamente separati da quella che viene detta scissura polmonare: uno spazio tra un lobo
e quello adiacente. La pleura viscerale scendendo dall’apice riveste e arrivata alla scissura polmonare si in -
troduce tra il lobo e quello successivo; riveste la scissura e si riflette inserendosi dunque tra un lobo e l’al -
tro. Ecco perché i lobi sono ancora di più isolati gli uni dall’altro. La pleura parietale non si introduce nella
scissura ma procede dritta verso il diaframma.
Dobbiamo dire ancora una cosa riguardo le pleure e i due foglietti del pericardio: noi abbiamo visto che lo
spazio tra le due pleure viene detta cavità pleurica e al suo interno troviamo del liquido che serve ad attuti -
re l’attrito del polmone contro la parete toracica ma in verità la parte interna delle due pleure è rivestita da
cellule piatte; queste cellule che delimitano la cavità pleurica sono dette cellule mesoteliali e sono cellule
che hanno la stessa funzione e la stessa posizione nel pericardio. Queste cellule aiutano a produrre il liquido
all’interno dello spazio pleurico e sono molto soggette a sostanze come ad esempio l’amianto, e portano a
trasformazioni tumorali detti mesoteliomi. Sembra inoltre che nei prossimi anni a New York ci sarà un gran -
de aumento dei mesoteliomi in quanto pare che le Torri Gemelle fossero costruite con una grande quantità
di amianto; addirittura in Canada sembra che organizzino dei tour guidati alle cave di amianto nonostante
questo sia estremamente tossico: la particella di amianto che è più piccola della metà di un’unghia se va
nell’aria nel giro di pochissimo si divide in frammenti infinitesimali che sono molto efficaci ed aggressivi per
le cellule mesoteliali.
POLMONI
Avevamo visto che al livello dell’ilo si ha una struttura non rivestita dalla pleura, poiché in questo livello ha
luogo la riflessione della pleura parietale in quella viscerale. La presenza di questa zona priva di pleura faci -
lita la dilatazione dei vasi in modo particolare dell’arteria polmonare e altre vene (i vasi sono elastici, se ci
fosse la pleura tutta intorno, la dilatazione di questa rischierebbe di rompere la pleura). Al di sotto dell’ilo i
due foglietti sierosi, che corrispondono al passaggio tra pleura parietale mediastinica e la pleura viscerale, si
prolungano inferiormente dal peduncolo polmonare al diaframma formando i legamenti polmonari o meso -
pneumonio. La pleura inoltre ha un apparato sospensore che mantiene la pleura nella sua posizione (si in -
serisce principalmente sulla pleura parietale). La pleura costale, ma soprattutto la parte parietale della
pleura costale, si aggancia alla parete costale grazie alla fascia endotoracica. Durante l’inspirazione la cassa
toracica si alza e si dilata e quindi la pleura parietale viene tirata. La pleura parietale però è agganciata alla
pleura viscerale che a sua volta è agganciata al polmone e quindi trascina con sé il polmone. Il polmone è
estremamente elastico e si dilata con la cassa toracica. Se si inserisce una certa quantità d’aria tra le due
pleure il polmone può collassare diventando poco più grande di un pugno. Ciò accade perché tutto il siste-
ma polmone ha inserite all’interno fibre elastiche che si estendono durante l’inspirazione e durante l’espi -
razione si decontraggono ma non sono mai completamente rilasciate. Se si rilasciano completamente, il
polmone collassa. Le fibre elastiche polmonari sono in una situazione diversa rispetto a quelle dei vasi ela -
stici. Quelle dei vasi si dilatano durante la sistole e dopo si rilasciano completamente. Il polmone invece le
tiene sempre un po’ contratte altrimenti collasserebbe.
RECESSI PLEURICI
• il recesso costo-diaframmatico;
• il recesso costo-mediastinico.
La pleura si estende sia verso il diaframma sia nell’angolo che si viene a formare tra diaframma e coste e
anche anteriormente verso lo sterno. L’eccesso di pleura parietale viene a formare questi recessi pleurici.
Recesso costodiaframmatico
La pleura parietale si porta fino alla X costa. In questo recesso, che è appunto quello costo-diaframmatico
posto tra coste e diaframma, rimane uno spazio vuoto senza polmone che è utile nell’inspirazione profon -
da. Espirando prima e inspirando poi profondamente si possono raggiungere anche i 4800 ml di aria che en -
Anatomia ANA30 – APPARATO RESPIRATORIO 3 E URINARIO 1 (30mag2011)
tra nel polmone. Ma nonostante l’inspirazione così profonda il polmone non arriva a riempire tutto lo spa -
zio costo-diaframmatico. Il recesso comunque è un’area che serve all’inspirazione.
È importante conoscere
dove si estende il recesso
perché, qualora si avesse
una pleurite o comunque un
versamento di liquidi all’in-
terno dello spazio pleurico
(tra i due foglietti pleurici),
facendo sedere il paziente
questi liquidi si raccolgono in
quest’area. Lo specialista
deve poi pungere questa
zona e aspirare il liquido per
farlo esaminare e vedere
quali sostanze sono presenti.
La pleura parietale si porta fino al davanti del cuore. La parte che si porta in avanti a sinistra è più accentua -
ta. Si trova tra le coste e il mediastino e si porta davanti al mediastino.
Quindi di recessi ne esistono tre ma il terzo ha un importanza secondaria. I due descritti sono i più impor -
tanti.
Al di là dello spazio costo-mediastinico ci sono le radici del polmone. Gli autori anglosassoni considerano
con il termine radice del polmone le strutture che giungono o escono dall’ilo polmonare. Queste strutture
entrano con una certa inclinazione. Conoscere dove si estende la radice del polmone ha un’importanza sia
anatomica che clinica perché serve ad auscultare in modo ottimale il passaggio d’aria nei bronchi. Le strut -
ture che entrano o escono dall’ilo sono: i bronchi principali, l’arteria polmonare, le due vene polmonari, i
vasi bronchiali, il plesso nervoso polmonare, i vasi linfatici, i linfonodi broncopolmonari e tessuto connetti -
vo lasso.
Per capire dove si estende la radice del polmone, prendiamo come riferimento la scapola di sinistra: l’ango -
lo superiore è all’incirca al livello di T2, quello inferiore a livello di T7, la spina invece sta a livello di T3. La ra -
dice del polmone si estende tra T4 e T6. A T4 circa termina la trachea e comincia la discesa dei due bronchi
verso l’ilo polmonare. La scapola quindi aiuta molto nell’auscultare il passaggio dell’aria nei bronchi poiché
fa trovare più semplicemente la radice del polmone.
MEMBRANA DI HAYEK
Si era detto che dietro la trachea c’è l’esofago che continuando il suo percorso si trova al davanti l’atrio sini -
stro. Si ha una situazione in
cui c’è il pericardio, l’esofago
e la trachea; queste tre sono
attaccate tra loro dalla cosid-
detta membrana di Hayek:
davanti c’è il pericardio, die-
tro l’esofago che viene ag-
ganciato alla membrana e il
tutto viene mantenuto abba-
stanza in sede. A livello della
biforcazione della trachea
troviamo molti linfonodi, i
linfonodi tracheali o media-
stinici, poiché non sono solo
a livello della biforcazione. Si
ha quindi una serie di strut-
ture: pericardio, esofago, bi-
forcazione tracheale e sta-
zione linfonodale di drenag-
gio che vengono agganciate
e tenute abbastanza in sede
da questa membrana.
I bronchi si dividono nel percorso verso gli alveoli. All’inizio si dividono in bronco sinistro e destro, poi nei
bronchi lobari (3 a destra e 2 a sinistra in quanto corrispondono ai lobi polmonari), questi a loro volta si
suddividono nei bronchi segmentali o zonali (10 a destra e 9 a sinistra): questo è l’albero bronchiale princi -
pale. I bronchi segmentali si dividono varie volte all’interno del polmone fino poi ad arrivare ai cosiddetti
bronchioli. La differenza principale tra bronchi e bronchioli sta nel fatto che mentre i bronchi hanno plac-
che cartilaginee intorno alla loro parete (che un po’ ricordano gli anelli cartilaginei della trachea), nei bron -
• bronchi lobari;
• bronchioli;
• bronchioli terminali;
• bronchioli respiratori.
Alle strutture sopra descritte devono corrispondere le strutture polmonari. Alcune le abbiamo già viste: ai
bronchi principali corrispondono i due polmoni destro e sinistro, ai bronchi lobari corrispondo i lobi, ai
bronchi segmentali i segmenti lobari, i lobuli polmonari sono suddivisioni dei segmenti, all’interno dei lo-
buli avremo gli acini. La denominazione “acini” oggi è in disuso perché è una suddivisione più teorica senza
pareti vere e proprie.
• lobi polmonari;
• segmenti bronco-polmonari;
• lobuli polmonari;
I bronchi lobari si suddividono in bronchi segmentali via via fino a arrivare i bronchioli, il terminale dà luogo
ad alcuni bronchioli respiratori che arrivano ai sacchi alveolari che sono le aree dove avviene lo scambio os -
sigeno-anidride carbonica.
Segmenti: sono la suddivisione dei lobi polmonari, hanno forma piramidale con apice verso l’ilo del polmo -
ne e la base verso la superficie. Queste piramidi hanno posizioni (ad esempio all’interno di un lobo) varie
ma ripetitive e sono rivestite da connettivo che proviene da sotto la pleura viscerale. La pleura viscerale
nella superficie è rivestita da mesotelio che poggia sulla membrana basale e sotto c’è il connettivo. Questo
connettivo entra dentro il polmone e suddivide i lobi in segmenti, che sono avvolti da connettivo e sono
unità totalmente indipendenti. Vi giunge il bronco segmentale e un ramo dell’arteria polmonare e quindi
sono responsabili di ossigenazione. Per il fatto che sono rivestiti da connettivo, e quindi sono unità indipen -
denti, possono essere asportati lasciando il polmone in condizioni migliori rispetto a quando si asporta il lo-
bulo intero. In ogni polmone ci sarà sempre il segmento apicale del bronco lobare superiore destro, un seg -
mento anteriore e uno posteriore.
1. lobo superiore:
• segmento apicale;
• segmento posteriore;
• segmento anteriore;
2. lobo medio:
• segmento laterale;
• segmento medio;
3. lobo inferiore:
• segmento superiore;
• nel connettivo ci sono poche cellule e quindi si riduce la possibilità che altre cellule assorbano l’ossi -
geno che trasporta la vena.
Tutta questa superficie è rivestita dalla pleura. I segmenti sono molto vicini, attaccati l’uno altro.
Sulla superficie pleurica dei segmenti ci sono delle strutture poligonali che sono più evidenti nei fumatori o
in soggetti che hanno vissuto in ambienti inquinati. Questi sono le delimitazioni dei lobuli polmonari, ulte -
riori suddivisioni del segmento. I lobuli sono disposti in posizione superficiale, non se ne trovano in profon -
dità verso l’ilo. Il connettivo li suddivide in parte ma non li isola completamente. Quando il pulviscolo atmo -
sferico, proveniente da zone inquinate, viene fagocitato dai macrofagi polmonari che stanno sulla superficie
degli alveoli, questi macrofagi si portano al connettivo interstiziale (che separa i lobuli). In questa area cer-
cano di demolire le sostanze fagocitate e se non ci riescono le depositano lì. Perciò queste zone appaiono
piuttosto nerastre. Questo fatto è una forma di sicurezza messa in atto dal polmone; i macrofagi servono a
ripulire gli alveoli da queste sostanze, ma quando il macrofago si porta tra i lobuli per demolire le sostanze
scarica una serie di enzimi tutt’altro che benefici per il nostro organismo. Gli enzimi attaccano sì queste so -
stanze ma finiscono anche per danneggiare le fibre elastiche e connettivali che sono presenti nel connetti -
vo. Ciò comporta che, se le fibre elastiche diventano poche o danneggiate, il polmone non riesce ad espan -
dersi in maniera ottimale e tantomeno riesce a dilatarsi e a restringersi. Ciò causa problemi respiratori per -
ché il polmone perde elasticità.
All’interno del lobulo prima si descrivevano anche gli acini, gruppi di alveoli. Oggi questa denominazione è
in disuso e si intende il lobulo come ultima suddivisione.
• bronchi lobari;
• bronchi segmentali;
• bronchioli respiratori;
• dotti alveolari;
• alveoli.
Il dotto alveolare è una sorta di corridoio ai cui lati si aprono delle stanze rappresentate dagli alveoli, sepa-
rati tra loro da una sottile membrana. Al di sotto dell’alveolo ci sono i capillari. Un ramo dell’arteria polmo -
nare circonda a canestro l’alveolo per permettere lo scambio ossigeno-anidride carbonica, per poi riportare
sangue ossigenato nel setto interlobulare. Da qui si porta prima nei segmenti intersegmentali e poi nel con -
nettivo dei lobi polmonari. Quindi fin dall’inizio il sangue ricco di ossigeno passa in zone ricche di fibre con -
nettivali ma povere di cellule per impedire l’assorbimento di ossigeno.
I vasi del polmone sono l’arteria e vene polmonari. Questi vasi vengono detti pubblici perché servono a tut-
ti gli organi. Da dove provengono i vasi privati che servono all’ossigenazione dei bronchi? L’albero bron-
chiale come abbiamo visto non può usufruire del ritorno venoso ricco di ossigeno in quanto le vene passano
alla periferia delle strutture. I vasi che irrorano i bronchi sono i rami bronchiali dell’aorta toracica. Le vene
che drenano i bronchi e che sono quindi cariche di CO 2 vanno a finire nel sistema delle vene azygos. Ricapi-
tolando si hanno arterie bronchiali che provengono dall’aorta toracica, vene bronchiali che finiscono nel si-
stema della azygos.
ADDOME
Il diaframma è attraversato da varie aperture, iati. Uno di questi è lo iato aortico che sta a livello di T12 in
cui passa l’aorta, il dotto toracico e spesso la vena azygos. A livello di T10 c’è il passaggio dell’esofago con i
2 nervi vaghi, destro e sinistro. A livello di T8 si ha poi lo iato della vena cava inferiore in cui passa la vena
cava inferiore e il nervo frenico di destra (il sinistro termina a livello del diaframma). Ricordiamo che i due
nervi frenici sono importantissimi per l’innervazione del pericardio e del diaframma e se c’è una lesione del
nervo frenico si ha che nell’inspirazione avverrà un effetto paradosso: la pressione degli organi addominali
porta in su il diaframma invece di abbassarsi, il diaframma viene spinto verso l’alto.
• iato aortico (T12). Vi passano: l’aorta, il dotto toracico e spesso la vena azygos;
• orifizio della vena cava inferiore (T8). Vi passano: vena cava inferiore e nervo frenico di destra.
APPARATO URINARIO
L'organo principale delle vie urinarie è il rene. Ha la forma di un fagiolo con lunghezza di 10-12 cm. Si ha un
polo superiore e uno inferiore, una superficie anteriore e una posteriore. Anche qui si ha un cosiddetto ilo
renale in cui entra l’arteria renale che proviene dall’aorta addominale e esce la vena renale che andrà a fini -
re nella vena cava inferiore. A livello dell’ilo si affaccia anche il bacinetto o pelvi renale che continuerà poi
con l’uretere che è un tubo che porta l’urina dentro la vescica.
• l'arteria renale;
• la vena renale;
• il bacinetto renale.
A livello del polo superiore invece si trova la ghiandola surrenale, importante per la produzione di ormoni
quali adrenalina, noradrenalina, cortisolo, ecc.
Il rene è posto lateralmente alla colonna vertebrale, quindi ha una posizione nettamente posteriore. Si tro -
va nell’addome ma in parte posteriormente è ancora ricoperto dal diaframma. Il polo superiore più o meno
raggiunge il margine superiore della XII vertebra toracica mentre il polo inferiore arriva fino alla III lombare.
L’ilo è tra la I e la II vertebra lombare. Il rene di destra è circa una vertebra più in basso di quello di sinistra
perché quello di destra ha il fegato al disopra.
Rapporto tra vena cava inferiore e aorta addominale: l’arteria renale di sinistra è più breve di quella di de -
stra e viceversa per quello che riguarda la vena (la sinistra è più lunga della destra). Ciò perché l’aorta è spo -
stata più a sinistra rispetto alla cava. Inoltre si vede che il rene con l’ilo si affaccia sul muscolo psoas e pog -
gia inoltre sul quadrato dei lombi: ha quindi un rapporto con i muscoli. L’uretere scende e incrocia la bifor -
cazione dell’iliaca comune in interna ed esterna.
Nel rene i vasi sono posti più anteriormente e la pelvi più posteriormente. Inoltre se si apre l’ilo renale si ve -
dono delle strutture a cono che sporgono nel lume del bacinetto. Queste strutture sono le papille renali da
cui esce l’urina: ce ne sono 11-12 che escono dal bacinetto e sono quelle da cui esce l’urina.
Sezione sul piano trasversale: il rene sta di fianco alla colonna vertebrale poi si ha il muscolo psoas verso cui
si affaccia l’ilo. Principalmente però bisogna osservare che il rene è rivestito da una capsula di tessuto con -
nettivo; questo connettivo si può staccare se il rene non è andato incontro a patologie infiammatorie di lun -
ga durata. Al di fuori c’è del tessuto adiposo che è detto grasso perirenale. Al di fuori di questo c’è una fa-
scia importante di tessuto connettivo che risulta dallo sdoppiamento della fascia trasversale dell’addome
che dietro al rene si sdoppia in un foglietto anteriore e uno posteriore. Questi due foglietti circondano il
rene e nell’insieme vengono chiamati fascia renale. Fuori della fascia renale c’è nuovamente del tessuto
adiposo che è detto grasso pararenale. La fascia si porta: verso l’alto andando a rivestire il diaframma, in
avanti chiudendo abbastanza il rene nella loggia renale e nella parte inferiore si continua verso il basso ma
non si chiude. La loggia renale quindi è chiusa al di sopra dal diaframma, ai lati dalla loggia renale, inferior -
mente invece è aperta. Il tessuto connettivo più è spesso (e qui lo è), più protegge l’area da lui circondata
dall’espandersi di infiammazioni (batteri, macrofagi che agiscono, linfociti, ecc). Negli ascessi perinevrici si
trova la sintomatologia a distanza, nel basso addome, proprio perché la fascia è aperta inferiormente. La
presenza di tessuto adiposo è molto importante perché il rene è molto sensibile ai cambiamenti di tempe -
ratura e ai traumi; le coliche renali ad esempio possono avvenire anche solo per un colpo di freddo. In indi -
vidui che dimagriscono molto rapidamente il rene può abbassarsi e determinare un inginocchiamento del -
l’uretere: ciò è un problema perché può favorire la formazione di calcoli renali. Da ricordare che il rene po -
steriormente è percorso da alcuni nervi soprattutto il nervo ileoipogastrico e l’ileoinguinale.
RENE
Il rene è posizionato posteriormente, vicino alla colonna vertebrale, e naturalmente al davanti di questo ci
sono vari organi che si proiettano sullo stesso. Queste proiezioni implicano che naturalmente alcune sinto -
matologie che abbiamo a carico, per esempio, dello stomaco o di altri organi, si possono proiettare sul rene
e viceversa, cioè dolori renali si proiettano per esempio su vari organi, cosicché si può per esempio avere la
sensazione di un bruciore allo stomaco invece si ha un calcolo renale. Quindi occorre avere ben chiaro quali
sono gli organi che si proiettano sul rene e come questi si proiettano. Ora, proiettiamo sullo schema dei
reni i vari organi: vediamo appunto che nella parte superiore, in alto, del rene destro abbiamo la proiezione
del fegato, che si trova appunto anteriormente; inferiormente abbiamo la fessura colica di destra, cioè il
confine tra colon ascendente e trasverso; poi abbiamo il duodeno, che si proietta sull'ilo del rene destro.
Per quello che riguarda il rene sinistro, nella parte superiore abbiamo lo stomaco, che si proietta in gran
parte sul surrene ma anche su circa metà del rene sinistro; abbiamo una parte orizzontale, compreso l'ilo,
sulla quale si proietta la coda del pancreas; in basso abbiamo la fessura colica di sinistra e, nel margine più
laterale, la milza. Queste corrispondenze dei vari organi possono dare sintomatologie di proiezione su altri
organi, quindi bisogna sapere dove questi si proiettano anatomicamente.
Possiamo vedere la capsula fibrosa che riveste il rene, ed esiste un tessuto diverso tra capsula stessa e pira-
mide, la quale termina proprio con la papilla renale che si proietta nei calici. Questo tessuto, tra piramide e
capsula, viene chiamato corticale del rene. Quello che fa parte della piramide viene chiamato midollare del
rene; non solo, la corticale non sta solo tra piramide e capsula ma si introduce anche tra piramidi adiacenti.
Anatomia ANS31 – APPARATO URINARIO 2 (31mag2011)
Abbiamo visto, quindi, che nel rene esistono due tipi di struttu-
re: la corticale, tra piramide e capsula oppure tra due piramidi
adiacenti, e la midollare che principalmente costituisce le pira-
midi, la quale termina con la papilla renale a cono che sbocca
nei calici renali. In questa immagine vediamo sempre i calici, il
bacinetto, la papilla, le colonne di Bertin, vediamo che lo spa-
zio tra metà di una colonna e metà della colonna successiva
viene chiamato lobo renale e comprende una piramide, la cor-
ticale tra piramide e capsula, e anche metà più o meno della
colonna renale adiacente alla piramide: questa struttura è appunto il lobo renale.
Circolazione renale
Per capire bene l'organizzazione microscopica degli organi, bisogna conoscere bene la circolazione micro -
scopica; questo è un principio generale, perché la circolazione microscopica di un organo è il punto decisivo
nella struttura dell'organo.
Abbiamo qui l'arteria renale che entra nel rene e si divide in alcuni rami: questi, a loro volta, cominciano a
dividersi in arterie che decorrono proprio nelle colon-
ne renali, quindi immaginate che decorrano tra un
lobo e l'altro. Queste arterie vengono chiamate arterie
interlobari: sono i primi rami della divisione microsco-
pica dell'arteria, anche se si vedono anche ad occhio
nudo. Queste arterie, giunte al confine tra corticale e
midollare, si piegano, formando un arco e vengono
chiamate appunto arterie arcuate, che decorrono al
confine tra corticale e midollare. Da queste partono
poi arterie che si portano perpendicolarmente verso la
capsula e vengono chiamate arterie interlobulari. In
questo disegno, andiamo a fare una piramide e facciamo l'arteria interlobare da un lato; quest'arteria sap-
piamo che forma l'arteria arcuata una volta giunta al confine tra midollare e corticale. Nel disegno si vede
che due arterie arcuate si anastomizzano tra loro: in realtà questo caso è piuttosto raro, è più frequente
che le arterie terminino formando due arterie interlobulari e poi da qui partono altre arterie interlobulari.
Se adesso andiamo a vedere cosa avviene sempre nella microcircolazione, vediamo che dall'arteria interlo -
bulare partono delle arteriole che si portano ad una struttura all’incirca circolare. Vediamo cosa avviene:
ammettiamo di avere una delle arteriole, chiamata afferente (afferente a una struttura tondeggiante che
poi vedremo cos'è); questa fa un certo percorso, dopodiché si divide formando una rete di capillari; questi
si continuano e si uniscono con un'arteriola efferente, che esce da questo gomitolo di capillari, che appunto
non sono distesi ma formano un vero e proprio gomitolo. Questo gomitolo viene chiamato glomerulo, chia-
mato anche rete mirabile, perché è estremamente complessa, e per risparmiare spazio il tutto viene messo
in questa posizione. Quindi avremo un'arteriola afferente al glomerulo ed un’arteriola efferente dal glome-
rulo. Vediamo che quella efferente, uscendo, andrà ad irrorare la corticale del rene; le arteriole efferenti
dei glomeruli che si trovano vicino al confine tra midollare e corticale (ricordiamoci che il confine è a livello
dell'arteria arcuata), vanno ad irrorare la midollare stessa, creando una serie di vasi che vanno giù dritti e
Autore: Andrea e Mattia Brescini per Medicina08 2 di 9
Anatomia ANS31 – APPARATO URINARIO 2 (31mag2011)
che si chiamano vasi retti. Questi vasi retti della midollare provengono principalmente dai glomeruli vicini
alla midollare stessa, dalle arteriole efferenti: per quanto riguarda i glomeruli che si trovano invece a metà
della midollare ed in alto, le loro arteriole efferenti hanno invece a che fare con l'irrorazione della corticale
stessa.
Cosa avviene? Una volta avvenuta l'ossigenazione, c'è ovviamente un ritorno venoso; queste vene ritorna -
no verso l'alto andando a formare una vena arcuata, sempre al confine tra corticale e midollare. Allo stesso
modo nella corticale, a seguire le arteriole efferenti che hanno irrorato la corticale, si formerà una rete ve -
nosa e quindi avremo le vene interlobulari che si porteranno nelle vene arcuate. Questo lo rifarete in micro -
scopica, però siccome andremo abbastanza a fondo su questo argomento è bene che le basi non vacillino.
I vasi retti provengono quindi sia dalla vena arcuata che dai glomeruli? Bisogna per prima cosa distinguere
tra vena e arteria: l'arteria proviene generalmente dall'arteriola efferente dei glomeruli posti vicino alla mi -
dollare, tranne in qualche raro caso nel quale possono provenire direttamente dall'arteria arcuata. Questi
vasi scendono e formano tutta una serie di vasi retti che scendono giù diritti, questo perché sono in paralle -
lo con dei tubuli, che vedremo successivamente. In ogni caso questi vasi sono retti, ma giunti alla fine rila-
sciano ossigeno e si caricano di anidride carbonica e passano ad essere vene. Queste ritornano sempre se -
guendo lo schema, cioè andando sempre verso l’alto dritte, infatti fanno parte del sistema dei vasi retti, per
portarsi nelle vene arcuate. Per quel che riguarda la corticale invece, abbiamo le arterie interlobulari; da
queste partono le arteriole afferenti al glomerulo, vanno al glomerulo, escono poi dal glomerulo le arteriole
efferenti che formeranno poi una rete che ossigenerà la corticale e da questa rete poi si formano delle vene
che confluiscono nelle interlobulari, che a loro volta vanno nella vena arcuata.
Glomerulo
Nella corticale i glomeruli non sono ovunque, sparsi in modo omogeneo, ma occupano delle aree abbastan -
za delimitate, e ci sono anche aree nelle quali i glomeruli sono del tutto assenti. Queste aree dove sono as -
senti, nello schema, sono delimitate da una linea tratteggiata. Si alterna un'area con glomeruli ad una senza
glomeruli: vedremo che l'area con i glomeruli si chiama labirinto renale (poi vedremo perché ha questo
nome), l'area dove invece non si trovano si chiama raggi midollari: quindi questi due settori si alternano
per tutta la corticale.
In questa immagine vediamo proprio il glomerulo, con l'arteriola afferente ed efferente, e se guardate
bene, vedete che i vasi sono nettamente in continuità l'uno con l'altro e sono piuttosto convoluti appunto
per non occupare spazio.
Se andiamo a vedere in dettaglio il glomerulo, possiamo vedere i capillari, l'arteriola afferente e l'efferente;
vediamo che il glomerulo però è circondato da una capsula di tessuto connettivo che si inserisce proprio
sull'arrivo e sull'uscita dei vasi stessi, delle due arteriole: que-
sta capsula è foderata internamente da un epitelio piatto,
sottile. La capsula rivestita da un epitelio piatto viene chiama-
ta capsula di Bowman, che è appunto costituita da connetti-
vo all'esterno ed epitelio all'interno. La capsula di Bowman in-
feriormente termina con un tubulo, vedete che le cellule piat-
te si modificano e diventano cellule cubiche o qualche volta
cilindriche, con un notevole orletto a spazzola: inizia qui il co-
siddetto tubulo prossimale, la prima parte dei tubuli renali,
dove arriverà la pre-urina. Questo spazio che si crea tra i ca-
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Anatomia ANS31 – APPARATO URINARIO 2 (31mag2011)
pillari e la parete della capsula di Bowman è lo spazio di filtrazione, cioè i vasi sanguigni dei capillari del glo -
merulo permettono la filtrazione del sangue e si formerà qui la pre-urina che poi andrà a finire nel tubulo
prossimale; quindi nel glomerulo avremo un polo vascolare, dove ci sono l'arteriola afferente ed efferente,
e un polo urinario, nella parte opposta. Vediamo qui che i capillari del glomerulo sono stranamente rivestiti
da cellule particolari. Cosa avviene? Avviene che queste cellule che rivestono la capsula di Bowman, nel mo -
mento in cui giungono a contatto con i vasi in arrivo al glomerulo (le due arteriole), queste si fondono in
contatto con i capillari e cambiano forma, assumono completamente un'altra forma: la forma, detta banal -
mente, della mia mano. La cellula avrà un corpo cellulare e vari prolungamenti, che diventano nella parte
periferica molto sottili, che si chiamano pedicelli, e queste cellule molto particolari vengono chiamate po-
dociti; quindi il podocita è una cellula epiteliale che avvolge il capillare ed è caratterizzata dalla presenza dei
pedicelli, sottili prolungamenti. Questa cellula interseca i suoi prolungamenti con quelli di una cellula in po -
sizione adiacente, cioè immaginate che la mia mano sinistra sia un'altra cellula, questa si pone anche lei in -
tersecandosi intorno ai capillari, incastrando i suoi pedicelli con quelli della cellula adiacente, lasciando un
piccolo spazio tra un pedicello e l'altro.
Le più rilevate sono le zone del corpo cellulare, dove ci sono i nuclei. Guardando una sezione più ingrandita,
vediamo il capillare: ci sarà una membrana basale sulla quale poggiano le cellule del capillare, e poi di fuori
ci sono queste cellule particolari, i podociti, che hanno dei prolungamenti abbastanza consistenti e da que -
sti partono i pedicelli; i pedicelli di una cellula si incastrano con i pedicelli proveniente da un'altra cellula.
L'endotelio dei capillari è fenestrato, ha dei piccoli pori, al di sotto c'è una membrana basale e poi ci sono i
pedicelli dei podociti; quindi la barriera di filtrazione nel rene, nel glomerulo, è costituita da un endotelio
fenestrato, da una membrana basale unica (cioè ce n'è una sola disposta tra endotelio e podocita) e dai po -
dociti caratterizzati dai pedicelli: questa è la vera barriera di filtrazione.
Qui abbiamo una sezione di glomerulo in cui riconosciamo facilmente le cellule epiteliali che rivestono al-
l'interno la capsula di Bowman, riconosciamo i podociti e le interdigitazioni sono state sezionate, in grigio
scuro vediamo la membrana basale e all'interno i capillari fenestrati. Vediamo però che esiste un altro tipo
di cellule, un terzo tipo, che vengono chiamate
cellule del mesangio: queste cellule si pongono
in contatto direttamente con l'endotelio, hanno
anche prolungamenti sottili che si possono por-
re tra membrana basale ed endotelio stesso, e
vedete anche il comportamento della membra-
na basale che non riveste tutto il capillare, ma
circa un 80% dello stesso, infatti rimane sempre
una parte di capillare non rivestita da membra-
na basale, ma a contatto diretto col mesangio.
Questo mesangio si chiama mesangio intraglo-
merulare ma abbiamo anche del mesangio che
è posto tra i due vasi l'afferente e l'efferente, e
uno dei tubuli renali, che poi vedremo, che si
porta vicino al glomerulo: il tubulo distale. In
ogni caso questo che si porta tra arteriola afferente, efferente e tubulo distale si chiama invece mesangio
extraglomerulare. Le cellule del mesangio sono tutte tra loro in comunicazione attraverso gap junctions, il
che vuol dire che il mesangio intraglomerulare è in comunicazione anche con quello extraglomerulare, c'è
continuità. Che cosa sono le cellule del mesangio? Sono cellule che hanno una capacità contrattile e posso-
no far variare, circondando il capillare, il lume dei capillari stessi. Hanno anche la capacità di fagocitare so -
Autore: Andrea e Mattia Brescini per Medicina08 4 di 9
Anatomia ANS31 – APPARATO URINARIO 2 (31mag2011)
stanze che possono essere dannose. Noi sappiamo che il rene è l'organo chiave della filtrazione del sangue
e quindi viene percorso svariate volte al giorno da tutto il nostro sangue. Da questo sangue deve formarsi
l'urina ed è importantissimo il modo in cui si forma. Abbiamo visto che il sangue si filtra a livello del glome -
rulo: qual è il destino di questo filtrato?
Nefrone
Dal glomerulo entrerà in un sistema di tubuli, di cui il primo è chiamato tubulo prossimale e si divide in una
parte contorta e in una parte retta. Quello che potete già notare da questo disegno è che la parte tratteg -
giata, già vista prima, veniva chiamata raggio midollare e in questa parte non sono presenti glomeruli, per -
ché i glomeruli si trovano nella parte adiacente al raggio midollare. Che cosa avviene? Il glomerulo si trova
all'interno del labirinto renale e nello stesso labirinto renale si trova la parte contorta del tubulo prossima -
le, mentre la parte retta del tubulo prossimale si trova nel raggio midollare. Già si incomincia a capire il per -
ché del termine labirinto renale: quando si fa una sezione del rene, di fianco al glomerulo si trovano sezioni
di tubuli molto contorti, così anticamente fu dato il nome di labirinto renale a quest'area. La parte retta del
tubulo prossimale si approfonda fino ad arrivare alla midollare; la stessa midollare si divide poi in tante par -
ti, ma questo lo vedrete in anatomia microscopica. In ogni caso entra nella midollare e a un certo punto for-
merà una parte sottile a forcina, un'ansa. Quest'ansa sottile fu scoperta da un anatomico tedesco che si
chiamava Henle, quindi si chiama ansa di Henle. Nei glomeruli che si trovano in alto nella corticale, l'ansa di
Henle è generalmente piuttosto breve, sottile e breve, dopodiché si ripiega e il tubulo ritorna verso l'alto,
formando il cosiddetto tubulo distale, il quale procede in modo retto verso la corticale, procede prima nella
midollare e poi nel raggio midollare. Questo tubulo retto distale a un certo punto si avvicina al glomerulo, si
porta vicinissimo ad esso e, da questo punto in poi, si forma la parte contorta del tubulo distale. Quindi an -
che il tubulo distale avrà una parte retta e una parte contorta, che segue al contatto con il glomerulo. La
parte contorta termina con un piccolo tubulo che si chiama tubulo reuniente che si getta in un grande dot -
to, che scende giù perpendicolarmente, comincia vicino alla capsula e scende giù fino alla papilla renale.
Questo grande dotto si chiama dotto collettore e raccoglie appunto l'urina. Tutta questa struttura, cioè glo-
merulo, tubulo contorto prossimale, tubulo retto prossimale, ansa di Henle, tubulo retto distale e tubulo
contorto distale, si chiama nefrone ed è l'u-
nità funzionale del rene.
Il comportamento dei tubuli dei nefroni che si trovano in alto nella corticale, cioè quelli che hanno i glome -
ruli posti vicino alla capsula o perlomeno nella parte media della corticale, è diverso invece da quello dei
glomeruli posti vicino alla midollare perché qui la parte contorta del tubulo prossimale è sempre nella corti-
cale, nel labirinto renale; la parte retta del tubulo prossimale è piuttosto breve ed entra nella midollare,
non più nei raggi midollari, ma direttamente nella midollare. La classica ansa di Henle, la parte stretta, è
molto lunga e arriva addirittura vicino alla papilla, risale con la parte retta del tubulo distale che si avvicina
comunque al glomerulo e forma la parte contorta. Nella sostanza, la caratteristica di questi glomeruli o di
questi nefroni che si trovano vicino alla midollare, è quella di avere una parte retta del tubulo prossimale
piuttosto breve ma una lunghissima ansa di Henle, parte stretta classica, che si approfonda molto nella mi -
dollare. In ogni caso le parti rette non stanno nei raggi midollari ma stanno nella midollare del rene. Questo
schema, che è stato a volte malamente altre volte positivamente copiato su vari libri, è quello creato da Wi -
lhelm Kriz, uno dei più grandi studiosi del rene del novecento e ancora oggi, all'età di 85 anni, è direttore
dell'Istituto di Anatomia ad Heidelberg. Gli è stato dato un posto speciale perché ha studiato il rene più di
tutti.
Il tubulo distale si avvicina appunto al glomerulo del suo nefrone. In quest'area ci sono alcune strutture im -
portanti che hanno a che fare con la pressione sanguigna, strutture che approfondirete molto nella parte di
fisiologia ma che già dovete metodicamente conoscere. Quello che vedremo è l'apparato iuxtaglomerulare
che si compone di alcune strutture.
➔ La prima struttura è composta dalle cellule iuxtaglomerulari. Sono delle cellule muscolari dell'arte-
riola afferente che sono modificate e presentano numerose vescicole che contengono un enzima
chiamato renina: questo enzima viene rilasciato nel sangue con una secrezione di tipo quasi ormo -
nale, perché viene gettato nel sangue e agirà a livello dell'angiotensinogeno, facendolo passare in
angiotensina. Ha un controllo sullo sviluppo della pressione sanguigna. Le cellule iuxtaglomerulari
sono la prima componente dell'apparato iuxtaglomerulare.
➔ La terza componente dell'apparato iuxtaglomerulare sono le cellule del tubulo distale che si affac-
ciano sul mesangio extraglomerulare. Queste cellule si chiamano cellule della macula densa. Perché
macula densa? Perché anticamente gli studiosi a quel livello vedevano una specie di macchia piut -
tosto compatta, cellule poste una di
fianco all'altra, piuttosto alte, per-
ciò la chiamavano macula densa.
Queste cellule hanno il nucleo rivol-
to verso il lume del tubulo mentre
l'apparato del Golgi, la parte di se-
crezione, rivolto invece verso la
membrana basale e verso le cellule
del Goormatigh, cioè del mesangio
extraglomerulare. Queste cellule
hanno anche loro una funzione nel
controllo della pressione.
Questo è l'apparato iuxtaglomerulare che approfondirete parecchio in fisiologia perché ha una netta in -
fluenza sulla pressione sanguigna. Le componenti cellulari sono quelle che abbiamo descritto.
Ricordiamo alcune cose, da sottolineare. Ricordiamoci che i tubuli nella midollare sono tutti retti, vanno giù
diritti: parte retta del tubulo prossimale, parte retta del tubulo distale, lunga ansa di Henle, ecc. Tutte que -
ste strutture rette sono parallele ai vasi retti. Nei raggi midollari della corticale vi sono parti rette, quindi i
raggi midollari sembrano una continuazione, almeno macroscopicamente, della midollare stessa nell'ambi-
to della corticale. Ecco perché si chiamano raggi midollari, perché s'erano viste delle strutture che salivano
su nella corticale, raggi che provenivano dalla stessa corticale. Quindi non ci sono parti contorte nei raggi
midollari, le parti contorte stanno solo nei labirinti renali e solo nel labirinto renale ci sono i glomeruli, i
quali si trovano solo nella corticale. Possono essere anche nelle colonne di Bertin, purché siano nel tessuto
corticale, mai nella piramide midollare.
URETERE
L'uretere è un tubo lungo circa 25 cm, varia da individuo a individuo ed è rivestito da muscolatura esterna -
mente e da epitelio di transizione internamente, come anche i calici sono rivestiti da epitelio di transizione.
Epitelio di transizione
Cos'è? Quali caratteristiche ha? Vi spiego cos'è per evitare la tragedia dell'epitelio di transizione! Si tratta di
un tessuto che ha delle piccole cellule in basso, molto grandi in superficie. Queste cellule di superficie han -
Autore: Andrea e Mattia Brescini per Medicina08 7 di 9
Anatomia ANS31 – APPARATO URINARIO 2 (31mag2011)
no una caratteristica fondamentale: hanno una membrana apicale e laterale molto spessa, tant'è vero che
gli antichi anatomici l'avevano chiamata crusta, come fosse una crosta. Se si opera un ingrandimento sulla
crusta, si vede una membrana asimmetrica contenente delle piccole vescicole, un po' fusiformi. Questo fat-
to cosa implica? Sono vescicole prodotte dall'apparato del Golgi e nel momento in cui la vescica si deve di -
stendere e deve contenere molta urina, queste vescicole si dilatano e si agganciano alla membrana facen -
dola diventare molto più lunga; le vescicole si inseriscono sulla membrana e permettono la dilatazione.
Questo fatto è abbastanza rapido, considerando che man mano che il segnale per la distensione arriva,
queste cellule inseriscono automaticamente le vescicole nella membrana e permettono una maggiore dila -
tazione. Ricordiamoci che questa membrana è abbastanza asimmetrica: c'è una parte più spessa e una par -
te più sottile, ma queste vescicole che fanno parte della crusta sono quelle che sono principalmente re-
sponsabili. Le cellule ad ombrello che stanno sopra hanno la possibilità rapidissima di ingrandire e allungare
la membrana grazie a decine e decine di piccole vescicole che stanno al di sotto.
L'uretere scende in posizione retroperitoneale, come il rene. Ancora il peritoneo non l'abbiamo fatto ma ad
ogni modo sappiamo che è una membrana sierosa che riveste vari organi e che lascia il rene in posizione re-
troperitoneale. Anche l'uretere è in posizione retroperitoneale, scende e giunge ad incrociare i vasi iliaci,
esattamente nel punto in cui questi si biforcano, cioè in cui l'arteria iliaca comune si divide in iliaca esterna
ed iliaca interna. C'è da dire che l'uretere nel suo percorso fino ad arrivare alla vescica, presenta tre restrin -
gimenti fisiologici:
• il secondo si trova all'incrocio dell'uretere con i vasi iliaci. Nelle donne che non hanno avuto ancora
una gravidanza questa è l'area dove si trova l'ovaio;
Questo sbocco dell'uretere nella vescica è fatto a "becco di clarino", cioè è piuttosto fusato, entra molto an -
golato ed è fatto così perché la vescica riempita comprima questo sbocco e non ci sia un ritorno verso l'ure -
tere. È fondamentale che non ci siano ritorni, soprattutto quando giaciamo in una posizione supina o in
ogni caso quando ci sdraiamo, perché il ritorno dell’urina comporta gravi problemi. Come avviene nel caso
di certe patologie, dove l'urina ritorna fino ai calici, che sono deboli, e lì l’aumento di pressione (l’urina ha
infatti 1000 mOsm (milliosmoli) di concentrazione mentre il sangue ha 300 mOsm) comincia a colpire il tes -
suto renale creando dei danni importanti. Può avvenire in età pediatrica, nei bambini, perché il terzo re-
stringimento non è ancora perfettamente formato. Nei bambini le infezioni delle vie urinarie vanno ricon -
trollate dopo 6 mesi, va verificato che tutto il tragitto sia a posto perché purtroppo spesso ci si accorge solo
a vent'anni, quando c'è bisogno della dialisi. La nefropatia da reflusso è una malattia subdola che avviene
per tanti motivi, uno di questi è anche la non chiusura del terzo restringimento.
VESCICA
La vescica è un organo che può contenere diversi millilitri di urina. A 350 ml arriva lo stimolo alla cosiddetta
minzione, a rilasciare l'urina. Ovviamente può contenerne molta di più, fino ad arrivare a 800/900 ml. Ha
una capacità enorme di dilatarsi, rivestita da una muscolatura liscia piuttosto intrecciata, per permettere
una contrazione della vescica in modo ottimale. Nell’uomo c'è la prostata al di sotto della vescica, ci sono le
vescichette seminali, tutte strutture che studieremo nell'apparato genitale maschile. Gli ureteri giungono
posteriormente alla vescica, quindi sboccano posteriormente.
Come si comporta il peritoneo nella vescica? Questa lamina sierosa scende e riveste la parete anteriore del -
l'addome, giunge in basso e, arrivata alla vescica, le passa sopra portandosi dietro e la lascia in posizione
sottoperitoneale. Portandosi fin dietro alla vescica, il peritoneo crea un'abbondanza di tessuto. Abbiamo
come un soffietto, una fisarmonica, praticamente un eccesso di tessuto, e si formano delle pliche. Poi il pe -
ritoneo continuerà a rivestire altre strutture, nell’uomo ad esempio rivestirà il retto. Quando la vescica si di -
stende, questo soffietto, ovvero questa specie di fisarmonica del peritoneo, serve all’allungamento. Il peri -
toneo rimane sempre in quell'area, sempre lì, si allunga solo il soffietto verso l'alto. Si distende perfetta -
mente rimanendo liscio, però il peritoneo rimane sempre lì.
La vescica è posizionata dietro al pube. Questa posizione è importante perché se fate riempire la vescica
questa può arrivare molto al di sopra del pube ed è ciò che si deve fare quando si deve prelevare l'urina di -
rettamente dalla vescica. Ci sono situazioni in cui con un ago bisogna prendere direttamente l'urina, allora
si deve far riempire molto la vescica, passare al di sopra del pube ed entrare. Perché dovete far riempire la
vescica? Perché ci potrebbe essere il rischio di toccare il peritoneo, mentre seguendo questa procedura non
ci può essere rischio di toccarlo. Se la guardiamo posteriormente vediamo, oltre alle pliche del peritoneo,
che è tenuta in sede da un legamento importante che giunge fino all'ombelico. Questo è il legamento om-
belicale mediano che è un residuo dell'uraco, struttura embrionale. Ai lati di questo ci sono due strutture
che sono i legamenti ombelicali mediali, questi sono residui delle arterie ombelicali obliterate. Anche que-
sti raggiungono l'ombelico.
La vescica ha una faccia superiore, una inferolaterale, ha un apice del legamento ombelicale mediano, un
fondo posteriore, il collo e l'uretra. La superficie interna della vescica sembra in gran parte molto rugosa
per lo svuotamento dell'urina. Posteriormente vediamo anche l'origine dell'uretra che si divide in tre parti;
nell'uomo la prima parte è detta uretra prostatica. Davanti alla prostata, davanti anche alla base della vesci-
ca, avremo un grande circolo venoso, molto importante perché il circolo venoso che circonda la prostata e
che circonda la base della vescica sono in comunicazione. Il circolo è uno solo, non è che ce ne siano due.
Praticamente questo circolo venoso molto grande circonda la base della vescica e tutta la prostata, impor -
tante da sapere per tante questioni di patologia chirurgica che vedrete successivamente. Quindi il perito -
neo si porta più in basso, riveste la vescica per portarsi poi posteriormente a rivestire il retto, nell'uomo.
Trattiamo la vescica aperta, vista interiormente. Esiste un'area triangolare della vescica che è sempre liscia,
sia che la vescica sia svuotata sia che sia piena che si chiama trigono vescicale: è un triangolo che agli angoli
ha lo sbocco degli ureteri e l'origine dell'uretra. Lo sbocco degli ureteri e l'origine dell'uretra mantengono
questo triangolo sempre perfettamen-
te liscio. Il trigono vescicale è la prima
cosa che l'urologo deve controllare
quando introduce un endoscopio per
esaminare la vescica; è un'area molto
delicata. Nell’uomo abbiamo la pro-
stata con l'uretra prostatica e si può
vedere una struttura particolare, det-
ta collicolo seminale, che fa parte del-
l'apparato genitale maschile. Ai lati
del collicolo abbiamo delle piccole
aperture: lo sbocco delle ghiandole prostatiche. Vedremo che la prostata è un organo che è composto da
numerose ghiandole tubulo alveolari e queste ghiandole producono un secreto che viene riversato nella
parte prostatica dell'uretra, ai lati del collicolo seminale.
Autore: Andrea e Mattia Brescini per Medicina08 9 di 9
ANATOMIA – “APPARATO GENITALE MASCHILE”
L’organo che nella donna corrisponde all’ovaio e che produce le cellule importanti per la riproduzione, nel -
l’uomo si trova nello scroto ed è il testicolo. Lo scroto è un sacchetto rivestito da un prolungamento della
cute addominale e si trova all’esterno. Gli spermatozoi prodotti nel testicolo si portano nell’epididimo che è
un organo posto dietro e sopra il testicolo. Da qui vanno nel dotto deferente che, attraverso il canale ingui -
nale, si porta all’interno dell’addome dietro la vescica e la prostata, attraversandola con il dotto eiaculato -
re fino a sboccare nell’uretra prostatica. Le vescichette seminali producono un liquido importante per la so -
pravvivenza degli spermatozoi.
TESTICOLO
Il testicolo si trova nello scroto ad una temperatura inferiore di 4 gradi rispetto a quella della cavità addo -
minale. Questo è fondamentale in quanto questa è la temperatura ottimale per lo sviluppo dello spermato -
zoo.
Il testicolo nel periodo fetale si trova vicino al rene e da qui si porta verso la fine della gravidanza (7°-8°
mese) verso il basso grazie al gubernaculum testis che gli permette di scivolare verso il canale inguinale po-
sizionandosi in posizione retro peritoneale. La discesa nello scoto avviene all’ 8°-9° mese. Qualora la discesa
non avesse successo, cioè se alla nascita il testicolo non è posizionato nello scroto, si attende per un po’
(ma non troppo perché si può andare incontro a tumori del testicolo intorno ai 25-30 anni). Dopo una setti -
mana il chirurgo può portare il testicolo nello scroto. Nella sua discesa il testicolo porta anche l’epididimo e
da questo quello che segue è il dotto deferente. Questo ha una struttura resistente in quanto durante l’eia-
culazione deve portare gli spermatozoi verso la prostata. Si porta prima dietro la vescica e poi dietro la pro -
stata dove, poco prima di entrarci, si unisce alle vescichette seminali. Poi attraversa la prostata con il dotto
eiaculatore che infine sbocca nell’uretra prostatica e in quella membranosa.
nella cava inferiore. Lo sbocco a T della vena sinistra non facilita il ritorno venoso e può portare a patologie
(varicocele) in cui la vena si ingrossa con stasi del sangue nel testicolo provocando, a lungo andare, la sterili -
tà. Questa patologia si può curare intervenendo a livello chirurgico.
Lo scroto è un prolungamen-
to della cute addominale di-
viso in due dal setto dello
scroto. Al di sotto c’è una
membrana che si chiama fascia spermatica esterna. Immediatamente al di sotto di questa c’è il muscolo
cremastere che è un prolungamento dell’obliquo interno dell’addome, che avvolge il testicolo come un ca -
nestro. Quando questo muscolo si contrae porta il testicolo vicino all’addome. Questo movimento avviene
anche durante l’eiaculazione. Sotto le fibre del cremastere c’è la fascia spermatica interna.
Immaginando la discesa del testicolo lungo il canale inguinale (ricordiamo che è retroperitoneale) questo si
porta con sé la doppia lamina di peritoneo che lo copre al davanti (cioè spinge questa doppia lamina verso
lo scroto). Alla fine del periodo fetale c’è una continuazione tra il perineo che ricopre il testicolo con quello
addominale. Questa continuazione dura per un certo periodo per poi atrofizzarsi lasciando una doppia lami-
na con tutte le caratteristiche del peritoneo che avvolge il testicolo nella parte antero-laterale che non è in
più in comunicazione con il peritoneo da cui era partita. Ci sono casi in cui questa comunicazione permane
causando patologie. Queste
due lamine vengono chiamate
tunica vaginale del testicolo.
C’è una lamina parietale che si
trova subito sotto la fascia
spermatica interna sotto la
quale c’è la lamina viscerale.
Al di sotto della tunica vagina-
le c’è la tunica albuginea, di
colore biancastro. Ci possono
essere dei versamenti con ac-
cumulo di liquido in queste la-
mine per varie cause (come in-
terventi sull’intestino) che
causano processi infiammato-
ri.
PROSTATA
La prostata ha la grandezza di una castagna e un diametro di 4 cm. È posta intorno all’uretra sotto la vesci -
ca, tra la base e il trasverso profondo del peritoneo. È ricoperta da una capsula di connettivo e contiene 30-
40 ghiandole tubulo-alveolari che producono un secreto dal ph leggermente acido (6,4). Il suo secreto è re -
sponsabile per la sopravvivenza degli spermatozoi che contiene anche acido citrico e proteoglicani.
È suddivisa dall’uretra in una parte posteriore e in una anteriore. La parte posteriore è caratterizzata da due
lobi: uno destro e uno sinistro. Tra questi due c’è una parte più vicino all’uretra che si chiama lobo medio.
Anteriormente c’è una porzione definita lobo anteriore che non ha molte ghiandole ripetto alle altre parti.
La divisione in lobi laterali e medi (senza quello anteriore) è utilizzata dagli anatomisti inglesi e tedeschi. Il
Il diaframma urogenitale si trova sotto la prostata e la sostiene. La capsula della prostata ha al di fuori un
plesso venoso che si porta fino alla base della vescica. I vasi che si portano alla base della vescica sono quin-
di in comunicazione con quelli
che si portano nella prostata.
Al di fuori della prostata c’è
una struttura connettivale
detta fascia della prostata
che è particolarmente consi-
stente, con legamenti che si
portano verso il pube aggan-
ciandola in avanti. La prostata
è quindi circondata da due
strutture connettivali: la cap-
sula e la fascia. Tra queste
due si trova il plesso venoso.
PENE
Il pene è formato
da due strutture
principali: i corpi
cavernosi e il corpo
spongioso, con la
parte iniziale slar-
gata chiamata bul-
bo spongioso.
I corpi cavernosi
iniziano separati
dalla radice del
pene e si trovano
vicino all’ischio.
Queste due parti si
portano in avanti e
si uniscono lascian-
do uno spazio infe-
riormente in cui si
inserisce il corpo spongioso che termina con la corona del glande. Il corpo spongioso si inserisce nello spa-
zio tra i corpi cavernosi i quali durante il rapporto sessuale si riempiono di sangue formando la parte di so -
stegno per l’entrata nella vagina. La parte spongiosa contiene l’uretra e termina con il glande e con il meato
uretrale esterno. Il glande si inserisce sulla punta dei due corpi cavernosi.
inserirsi sulla corona del glande. Questa durante l’erezione generalmente viene retratta. Ci sono condizioni
patologiche in cui questa sia troppo stretta da impedire la retrazione e in questi casi si interviene chirurgica -
mente. Per mantenere l’erezione nei corpi cavernosi il sangue arriva dalle arterie e viene bloccato a livello
delle vene fino all’eiaculazione.
Nella spongiosa l’uretra nell’ultimo tratto si slarga nella fossetta navicolare prima del meato uretrale ester-
no. I due corpi cavernosi sono uniti tra loro da una fascia connettivale (tunica albuginea). Nonostante il
connettivo che unisce queste strutture, esse rimangono indipendenti. La spongiosa è invece circondata in-
sieme ai cavernosi dalla fascia profonda del pene. La tonaca albuginea (più interna) circonda quindi i due
corpi cavernosi mentre quella profonda circonda tutte e tre le componenti.
L’arteria pudenda interna origina dall’iliaca interna, si porta posteriormente ed entra nel pene. Da questa
nasce l’arteria profonda del pene da cui dipartono delle arterie elicine che portano il sangue nei corpi ca-
vernosi.
Il tutto ritorna con un sistema venoso con una vena dorsale profonda e una vena dorsale superficiale.
Queste passano sopra i corpi cavernosi e non dentro come le arterie.
Percorso dell'uretra
PERITONEO
Nell’addome ci sono una serie di organi che possono aumentare enormemente di volume (utero, vescica,
stomaco) e che si possono inoltre muovere (stomaco nella fase digestiva, intestino). Un loro spostamento
sarebbe un problema perché potrebbero comprimere altri organi. Il peritoneo è una sierosa (è come un
lenzuolo) costituito da una doppia lamina che permette il movimento degli organi riducendo l’attrito ma
che impedisce loro di spostarsi andando a comprimere altri organi. Ha un’estensione di 1750 cm 2. Gli organi
che riveste completamente sono detti organi intraperitoneali, quelli su cui passa davanti sono detti retro-
peritoneali o sottoperitoneali.
A livello embrionale l’intestino è circondato dal peritoneo. Il peritoneo riveste la parete addominale sia an -
teriormente che posteriormente ma invia due doppie lamine: un paio va verso l’intestino che lo riveste
completamente e poi continua riagganciandosi al peritoneo addominale.
La parte del peritoneo che riveste l’organo si chiama peritoneo viscerale. Quella che riveste la parete addo-
minale si chiama peritoneo parietale. Il parietale lascia posteriormente una parte di organi che si trovano
quindi in posizione retro peritoneale (vena cava, aorta e tutte le strutture vicine alla colonna vertebrale).
Del peritoneo fanno parte i mesenteri che sono doppie lamine che circondano organi cavi.
Il peritoneo ha anche omento. L’omento è una doppia lamine del peritoneo che lega lo stomaco agli organi
circostanti. Quindi lo stomaco ha una terminologia a parte.
Il mesentere è utilizzato per l’intestino e per gli altri organi cavi. Questi organi circondati da peritoneo han -
no bisogno di vasi sanguigni. Per irrorare gli organi i vasi avrebbero due possibilità : o i vasi sanguigni perfo -
rano il peritoneo e giungono all’organo bersaglio (ma questo creerebbe un grande problema perché se fos -
sero arterie si dilaterebbero) o utilizzano le doppie lamine per far arrivare i rami del vaso agli organi bersa -
glio (soluzione ovvia e semplice). Quindi tra questi mesenteri passeranno sempre vasi.
Il peritoneo che avvolge gli organi in sequenza e non tutti insieme. Non ci sono organi nella cavità perito-
neale ma ce ne sono in quella addominale. Per capire meglio immaginiamo il peritoneo come un pallone e
immaginiamo gli organi che gli si formano dietro. Questi sviluppandosi andranno a comprimerlo e vi ci si in -
castreranno dentro ma non potranno mai entrare nella camera d’aria del pallone.
PERITONEO
Il peritoneo parietale continua con la doppia lamina, che va ad avvolgere il colon trasverso. Questa lamina
lascia il pancreas in posizione retroperitoneale, si porta verso il basso e, dopo aver formato una piega, si
porta verso lo stomaco, organo intraperitoneale. Le doppie lamine che agganciano lo stomaco ad organi ad-
dominali vengono chiamate epiploon o omenti. La struttura formata da addirittura 4 lamine, viene chiama-
ta grande omento. Dallo stomaco, una doppia lamina si porta al fegato e lo aggancia allo stomaco stesso,
prendendo il nome di piccolo omento. Tra lo stomaco e il pancreas c'è una cavità tutta foderata da perito -
neo, detta borsa omentale, che giunge superiormente fino al fegato. Il fegato è tutto rivestito da peritoneo
eccetto un'area: l'area nuda.
Esaminando invece la sezione sagittale di un uomo, vediamo che nella sua parte inferiore abbiamo il grande
omento, lo stomaco, il pancreas, il colon trasverso, il mesocolon. Il mesentere che va ad avvolgere le anse
dell'intestino tenue, le va ad avvolgere singolarmente, seguendo il loro andamento contorto. Qui ci saranno
delle arterie che passeranno per le doppie lamine e irroreranno l'intestino tenue.
La borsa omentale, tra stomaco e pancreas, si pone davanti ad alcune anse dell'intestino tenue.
Anatomia ANS33 – APPARATO GENITALE FEMMINILE (6giu2011)
Col tempo il recesso inferiore, parte della borsa omentale, tende ad occludersi (le lamine si accollano le
une alle altre, lasciando scomparire il recesso). In ogni caso la borsa omentale (immaginatela come una spe -
cie di borsa dell'acqua calda) ha un'apertura sul lato destro che viene chiamata forame epiploico (o forame
di Winslow), proprio perché si porta dietro questo grande epiplon. Questo permette l'accesso alla borsa
omentale, che per la restante parte è chiusa.
OVAIO
E' un organo piuttosto piccolo, di 4 cm di diametro massimo e di circa 2 cm di spessore. Ha una posizione
sagittale e dunque avrà una parte mediale e una laterale; un margine anteriore e un margine posteriore; un
polo inferiore e un polo superiore. E' posto nella cavità a circa 1,5 cm dallo stretto superiore del bacino e a
2 cm in avanti rispetto all'articolazione sacro-iliaca. Si trova in vicinanza dell'incrocio delle due arterie con i
vasi iliaci (questo vale nelle donne nullipare, quelle che non hanno avuto figli e quindi modificazioni nell'o-
vaio).
I legamenti dell'ovaio sono quelli che trattengono l'ovaio in sede. Essi sono 3:
• il sospensore dell'ovaio: si inserisce sul polo superiore dell'ovaio ed è costituito da una serie di fi-
brocellule muscolari lisce compatte, da connettivo e soprattutto dai vasi ovarici. Per quanto riguar-
da questi vasi: l'arteria deriva dall'aorta addominale, che fa parte delle arterie genitali (che nel caso
della donna sono le arterie ovariche); la vena di destra si porta alla vena cava inferiore, quella di si -
nistra si porta alla vena renale;
• il proprio dell'ovaio o utero-ovarico: si inserisce sul polo inferiore e unisce l'ovaio con la parete la-
terale dell'utero;
• il mesovario: la descrizione ha bisogno di un quadro un po' più ampio. Il peritoneo scende, va a ri-
vestire la vescica al di sotto dell'utero, riveste quest'ultimo passandogli prima sotto e poi sopra, for -
mando una piega inferiore tra l'utero e la vescica e una piega superiore tra l'utero e il retto. Imma-
ginate che il peritoneo sia un asciugamano che riveste l'utero e si porta ai lati del bacino. Questo
doppio legamento viene chiamato legamento largo dell'utero, proprio perché è molto ampio, e si
porta verso le pareti laterali del bacino. Il foglietto superiore (o parte supero-anteriore) giunge a
contatto con l'ovaio stesso ed è come se lo pizzicasse. La parte “pizzicata” corrisponde al mesova -
rio. A causa del mesovario, l'ovaio non è considerato un organo intraperitoneale: una parte è rico-
perta da epitelio embrionale germinativo. Attraverso il mesovario passano dei vasi.
UTERO
E' l'organo principale per quanto riguarda la gravidanza. Ha un'estensione di circa 7-8 cm. Ha forma a pera,
si porta in avanti con la parte anteriore verso l'addome. Ha una parete piuttosto spessa, formata principal -
mente da muscolatura liscia chiamata miometrio. L'interno è rivestito da una mucosa chiamata endome-
trio, che presenta numerose cellule mucose, numerose cellule ciliate, cellule caratteristiche anche delle
tube stesse.
L'utero sporge notevolmente, con la portio uterina (o cervice), ed è circondato dalla vagina. Proprio a livel-
lo della portio uterina c'è il cambiamento di epitelio. L'attacco della vagina all'utero forma delle strutture a
fondo cieco chiamate forbici (anteriore e posteriore). Il forbice posteriore arriva molto in alto, vicinissimo
allo sfondato del Douglas o cavo retto-uterino (zona di peritoneo che riveste la parte tra vescica e retto). I
legamenti dell'utero sono:
• il largo dell'utero: doppia lamina di peritoneo (v. ovaio) che passa nella parte infero-anteriore e po -
stero-superiore;
• il rotondo: origina al di sotto del legamento proprio dell'ovaio, in corrispondenza del collo; si porta
in avanti nel canale inguinale, fino ad arrivare alle grandi labbra. Vi sono contenuti i vasi linfatici,
che vanno a finire nei linfonodi inguinali superficiali. Questo legamento preme dunque verso il fo-
glietto anteriore del peritoneo.
Durante la gravidanza l'utero aumenta notevolmente di dimensioni comprimendo gli organi circostanti,
come per esempio la vescica, i grandi vasi, ecc, non sono solo dunque questi due legamenti che possono es-
sere considerati importanti: occorrono anche dei legamenti che mantengano l'utero in una posizione preci -
sa, gli unici veri legamenti, i retinacoli. Questi legano il collo dell'utero al sacro (retinacoli utero-sacrali); ag-
ganciano il collo dell'utero al pube; uniscono l'utero alle pareti laterali del bacino: i legamenti cardinali. Col
tempo questi retinacoli, come tutti i legamenti, tendono un po' a cedere e a lasciar scendere l'utero (prolas -
so dell'utero: avviene soprattutto in menopausa).
Il collo dell'utero durante il parto deve allargarsi ma rimanere esattamente nella stessa posizione: ha dun -
que bisogno di questi legamenti molto resistenti. (“Poss togliere?”)
L'arteria uterina, ramo dell'iliaca interna, giunge all'utero e decorre lateralmente all'utero, con una forma a
spirale (distendendosi l'utero questa struttura si distende). Questa decorre per tutto il collo, fino al fondo
dell'utero, dove si anastomizza con l'arteria ovarica. L'arteria ovarica manda poi dei rami anche alla tuba,
divenendo arteria tubarica. Questi rami si anastomizzano a loro volta con l'ultima parte dell'arteria uterina,
creando un ponte tra l'arteria uterina e l'arteria ovarica (a livello del fondo dell'utero). Durante l'ingrossa -
mento dell'utero (in gravidanza), alcune arterie vengono schiacciate (insieme agli altri organi), ma l'arteria
principale non viene compressa. L'arteria uterina si incrocia con l'uretere: questo incrocio è importante so-
prattutto per la chirurgia (nell'isterectomia: rimozione dell'utero).
TUBA
1. intramurale: andando dall'utero verso l'ovaio, a livello dello spessore della parete dell'utero (alcuni
autori inglobano questa parte della tuba nell'istmo);
2. istmo: è la parte più stretta della tuba, dove avviene l'aggancio con l'utero;
4. infundibolo: la tuba si allarga molto. Presenta delle digitazioni (1-2 cm massimo) che si portano so-
pra l'ovaio e, probabilmente attraverso un sistema di chemiattrazione, si portano esattamente nel -
l'area in cui ci sarà l'ovulazione. La cellula uovo entra nella tuba che ha un epitelio ciliato molto con -
sistente che la trasporta in direzione del lume dell'utero.
La fecondazione avviene nell'ampolla. La cellula uovo ha tra le 6 e le 18-20 ore di tempo per essere fecon -
data (un tempo molto ristretto); mentre la sopravvivenza degli spermatozoi è di 72 ore.
La tuba è rivestita dal legamento largo dell'utero, in particolare dalla mesosalpinge (o salpinge).
Il drenaggio linfatico dell'utero è molto complesso. Al di là di una parte del corpo, che va verso i linfonodi
inguinali superficiali grazie al legamento rotondo, la maggior parte della linfa va nei linfonodi profondi paro -
tici e lombari.
VAGINA
E' un condotto muscolo-membranoso; è l'organo della copula; ha una parete anteriore e posteriore (è ab -
bastanza appiattita); è lunga 10 cm (la parete anteriore è di 7 cm; quella posteriore è di 8,5 cm, essendo
quella del fornice posteriore che arriva più in alto). In gravidanza la vagina si allunga e raggiunge i 15 cm (di -
viene leggermente più lunga anche durante il rapporto sessuale); con l'asse del collo dell'utero forma un
angolo di circa 100°.
Nella donna che non ha avuto ancora un rapporto sessuale troviamo una piega cutanea mucosa che può es -
sere di diverso aspetto (integra o già spezzettata, filamentosa), chiamata imene.
Rapporti
Anteriormente:
Posteriormente:
• retto.
Drenaggio linfatico
Avviene principalmente nei linfonodi iliaci interni, mentre la parte delle grandi labbra, dell'orifizio esterno,
è drenata nei linfonodi inguinali superficiali.
Prima di studiare la ghiandola mammaria, dobbiamo dare un'occhiata ai linfonodi superficiali, essendo al-
cuni di essi coinvolti nel drenaggio della ghiandola stessa:
• linfonodi parasternali: sono 4 per lato e si trovano ai lati dello sterno (alcune volte sono anche 5);
• linfonodi ascellari: sono facilmente palpabili, come quelli inguinali, quelli cervicali profondi e quelli
sottomandibolari.
Tutto il drenaggio della superficie al di sopra di una certa linea si porta nei linfonodi ascellari o parasternali;
tutto ciò al di sotto si porta nei linfonodi inguinali superficiali.
GHIANDOLA MAMMARIA
E' posta anteriormente al grande pettorale; è costituita da tessuto adiposo e tessuto ghiandolare (per la
produzione di latte); generalmente ha una forma a cupola. E' suddivisa in vari lobi (15-20) dai cosiddetti re-
tinacoli (tessuto connettivo): questi retinacoli sono posti come i raggi di una bicicletta e vanno dalla cute
che riveste la ghiandola, fino all'aponeurosi del grande pettorale.
Nel periodo dell'allattamento il tessuto adiposo si trasforma in tessuto ghiandolare e, una volta concluso
l'allattamento, questo si ritrasforma in tessuto adiposo (questo è dimostrato negli animali, si pensa che an -
che nell'uomo sia così).
Analizzandola in sezione vediamo che i dotti galattofori hanno uno slargamento prima dello sbocco nel ca-
pezzolo, detto seno galattoforo.
• supero-mediale;
• infero-mediale.
Drenaggio linfatico
I quadranti mediali drenano verso i linfonodi parasternali; i quadranti laterali drenano verso i linfonodi
ascellari. Vi sono stazioni linfonodali lungo i vasi principali; c'è una stazione linfonodale poco al di sotto del -
la clavicola, in posizione profonda (i cosiddetti linfonodi apicali). Tutti i linfonodi della parte ascellare (po-
steriori, anteriori e centrali) convergono la linfa nei linfonodi apicali.
Nella lezione precedente abbiamo osservato quelli che sono i linfonodi, dove c'è il drenaggio della ghiando -
la mammaria e abbiamo visto che ci sono linfonodi ascellari che drenano soprattutto i quadranti laterali e i
linfonodi parasternali (ai lati dello sterno) che drenano principalmente i quadranti mediali.
Adesso vediamo una sezione sul piano trasversale della ghiandola mammaria: vediamo il drenaggio verso i
linfonodi ascellari e parasternali che
si trovano ai lati dello sterno. E' stata
sottolineata l'importanza dei linfono-
di parasternali (prima venivano sotto-
valutati dai chirurghi), ora invece il
controllo è di entrambi; ci sono vie
linfatiche tra questi linfonodi e i con-
trolaterali, questo può spiegare in al-
cuni casi che tumori di questa parte
della ghiandola mammaria si portano
dall'altra parte se non sono stati ben
controllati i linfonodi parasternali. Ci
sono anche vie linfatiche dai para-
sternali verso la parte posteriore, ma
questi sono casi estremamente rari,
non hanno molta importanza clinica.
APPARATO DIGERENTE
FARINGE
Iniziamo l'apparato digerente dalla faringe, argomento che in parte abbiamo già svolto. Questo organo è un
cono lungo 15 cm circa, la parte anteriore è aperta ed è chiusa posteriormente; delimita posteriormente le
coane, la bocca e poi si porta dietro la laringe. Si divide in rinofaringe, orofaringe e laringofaringe. La farin-
ge ha dei muscoli striati: posteriormente abbiamo dei muscoli che chiudono la faringe posteriormente, i co -
sidetti muscoli costrittori. Prima di passare alla parete posteriore osserviamo la struttura interna della farin-
ge stessa.
Anatomia ANS34 – APPARATO DIGERENTE 1 (7giu2011)
• sottomucosa;
1. costrittore superiore;
2. costrittore medio;
3. costrittore inferiore.
Sono disposti come le tegole di una casa. Il costrittore superiore è il più interno, poi appogiato su questo c'è
il costrittore medio e ancora più esternamente c'è l'inferiore. La deglutizione è un atto che, superata una
certa fase, diventa poi involontaria, non riusciamo più a controllarla oltre un certo limite. Il primo a contrar -
si, per spingere il bolo alimentare verso l'esafago, è il costrittore superiore (spinge verso il basso, tramite la
porzione faringe-esofago), successivamente sarà la volta del costrittore medio e poi del costrittore inferio -
re. Se la posizione dei costrittori fosse stata inversa, cioè il costrittore superiore più esterno, la sua contra -
zione avrebbe bloccato anche gli altri, ecco perchè sono messi in sequenza e il costrittore inferiore è il più
esterno. Sono muscoli striati; le fibre hanno un'andamento avvolgente, circolare (andamento circolare od
obliquo).
Ci sono anche dei muscoli longitudinali, che sono tre, questi sono interni. Questo andamento è esattamen -
te opposto rispetto a quello che avremo in tutto il resto dell'apparato digerente; cioè nel resto avremo i
longitudinali sempre all'esterno e i circolari all'interno. Nel passaggio dalla faringe all'esofago vedremo que-
sto cambiameto della muscolatura che avrà delle conseguenze sull'esofago. Il muscolo costrittore superiore
si inserisce dal legamento pterigomandibolare (che parte da dietro l'ultimo molare superiore e si porta infe-
Autore: Sofia Bedini per Medicina08 2 di 7
Anatomia ANS34 – APPARATO DIGERENTE 1 (7giu2011)
riormente dietro l'ultimo molare inferiore) al davanti del quale abbiamo il buccinatore, e si porta posterior -
mente sulla fascia faringobasilare. Il costrittore medio abbraccia posteriormente il superiore, si porta al di
sopra di quello superiore ma parte sia dalle grandi corna che dalle piccole corna dell'osso joide. Il costritto -
re inferiore prende origine dalla linea obliqua della cartilagine tiroide (linea posteriore) e anche dalla carti -
lagine cricoide, si porta posteriormente sul rafe faringeo. Questi muscoli lasciano degli spazi (più o meno
quattro spazi): qui passano sia i longitudinali che si inseriscono poi all'interno, sia vasi e i nervi che vedremo
poi in dettaglio.
Per quanto riguarda il costrittore medio, abbiamo un plesso nervoso sulla sua superficie esterna: il ramo
faringeo del vago che è un nervo motore, il ramo faringeo del glossofaringeo che è un nervo sensitivo e il
ramo faringeo del ganglio superiore del simpatico. In generale i muscoli costrittori sono innervati dal plesso
faringeo. Il costrittore inferiore riceve anche rami dal nervo laringeo ricorrente e dal nervo laringeo esterno.
Il plesso faringeo venoso postreriore drena i muscoli faringei e sbocca nella vena giugulare interna (poste-
riore ai muscoli faringei). Per ciò che riguarda le arterie, quelle responsabili sono: l'arteria tiroidea superiore
e i rami della carotide esterna; la tiroidea superiore ha un ramo nella carotide esterna e poi altri rami.
Muscoli longitudinali
Sono:
1. lo stilofaringeo: proviene dal processo stiloideo, si porta in basso, si inserisce tra il costrittore supe-
riore e quello medio, e si porta nelle pareti laterali principalmente della faringe stessa; ha anche
rami sull'epiglottide;
2. il palatofaringeo: muscolo piuttosto consistente che fa parte del palato molle; dal palato molle si
porta ai lati della faringe e, contraendosi durante la deglutizione, partecipa sia all'azione del palato
molle sia alla contrazione della faringe stessa;
3. il salpingofaringeo: si inserisce sulla cartilagine che circonda in gran parte la tuba uditiva detta tuba
di Eustachio (che unisce cavità nasali con orecchio medio), sfiocca ai lati della faringe, a questo livel-
lo si aggancia sulla tuba e, contraendosi, oltre ad alzare il sistema faringoesofago dilata la tuba stes -
sa. Ecco perchè quando ci si alza in altezza velocemente o ci abbassa rapidamente ci può essere una
coartazione della tuba (orecchio chiuso), ma il contrarsi di questo muscolo fa dilatare la tuba stessa.
Lo stilofaringeo come il palatofaringeo vanno a finire quasi sull'epiglottide, hanno un'andamento arcuato
con concavità verso l'interno. I muscoli elevatori palatofaringeo e il salpiangofaringeo sono molto importan -
ti perchè, contraendosi durante la deglutizione, spostano in alto tutto il sistema esofagofaringeo, verso la
base del cranio, e trascinano con se non solo l' esofago ma anche laringe e la trachea. Tutto questo appara -
to è legato da varie fasce, per questo avviene uno spostamento totale. Tra la faringe e la colonna vertebrale
ci deve essere uno spazio che permette il movimento di tutto il sistema, questo si chiama spazio retrofarin -
geo. Ci sono vari strati, cominciando dall'interno e andando posteriormente alla faringe abbiamo: la muco -
sa, la muscolatura, la fascia buccofaringea, poi c'è lo spazio e poi iniziano le strutture posteriori: la fascia
prevertebrale, il muscolo lungo del collo insieme alla muscolatura posta a livello della colonna vertebrale, il
legamento longitudinale anteriore, poi i dischi intervertebrali e le vertebre. Lo spazio retrofaringeo si apre
inferiormente nel mediastino superiore: questo è importante per certe patologie; superiormente è chiuso
dalla base del cranio e ai lati dal fascio vascolonervoso del collo. La fascia prevertebrale si estende dalla
base del cranio alla terza vertebra toracica, dove si fonde con il legamento longitudinale anteriore: siamo
nel mediastino posteriore.
La prima parte dell'esofago mostra all'interno un'andamento di fibre circolari, mentre quelle longitudinali
non iniziano immediatamente, iniziano con una forma a “V”. Lasciano un'area triangolare libera di fibre lon -
gitudinali, posta immediatamente dietro l'esofago. Quest'area viene chiamata triangolo di Laimer ed è un
punto debole della parete esofagea: vedremo che questo primo tratto corrisponde al restringimento fisiolo-
gico dell'esofago.
Spazi
Avevamo detto che si formavano degli spazi tra i costrittori, ora vediamo cosa troviamo in questi spazi. Il
primo spazio al di sopra del costrittore superiore troviamo il muscolo elevatore del velo palatino, la tuba
uditiva e l'arteria palatina ascendente (ramo della facciale). Nel secondo spazio posto tra il costrittore supe -
riore e il costrittore medio ci passa il muscolo stilofaringeo, il legamento stilojoideo e il nervo glossofarin -
geo (IX paio dei nervi cranici). Nello spazio tra il costrittore medio e il costrittore inferiore passa il nervo la -
ringeo interno (è un ramo del nervo laringeo superiore che si divide appunto in due rami interno e esterno):
questo entra nella membrana tirojoidea e innerva sensitivamente tutta la mucosa della laringe, fino alla
faccia superiore delle corde vocali comprese; inoltre in questo spazio abbiamo anche l'arteria e la vena la -
ringea superiore. L'ultimo spazio al di sotto del costrittore inferiore abbiamo un passaggio per il nervo larin -
geo ricorrente che sale su e poi si inserisce a livello dell'articolazione cricotiroidea, è dotato di fibre miste,
innerva sul piano motorio tutti muscoli della laringe ad eccezione del cricotiroideo, che è esterno, e sul pia -
no sensitivo la mucosa della laringe al di sotto delle corde vocali ma compresa la faccia inferiore di quest'ul-
tima. C'è anche un'arteria laringea inferiore che è un ramo della tiroidea inferiore, che proviene dal sistema
della succlavia.
Guardando posteriormente la faringe vediamo la zona di passaggio tra faringe ed esofago. C'è la ghiandola
tiroide che è una giandola molto importante sul piano endocrino, la quale è formata da due lobi a forma pi-
ramidale uniti da un ponte anteriore, posteriormente a questa si vedono le quattro ghiandole paratiroidi
che servono per il controllo della calcemia. A questo livello c'è il passaggio della muscolatura circolare e si
viene a formare il triangolo di Laimer. Il triangolo di Leimar è importante perchè come abbiamo già detto
forma un punto molto debole della parete posteriore dell'esofago e non solo, proprio a questo livello c'è un
restringimento fisiologico; con l'andar del tempo possono formarsi dei diverticoli dovuti alla pressione del
cibo, che può spostare o comprimenre questa parete posteriormente, creando dei disturbi anche alle volte
importanti.
ESOFAGO
E' un tubo che continua la faringe, inizia a livello di C6, si trova dietro la trachea alla quale è agganciata tra -
mite connettivo; terminata la trachea si troverà poi al davanti del cuore, più precisamente dell'atrio sini -
stro, e a livello di T10 passa poi nell'addome. Generalmente viene suddiviso in tre parti:
• a livello dell'arco dell'aorta, l'aorta facendo un arco si porta posteriormente e tende un po' a com -
primere l'esofago, soprattutto nelle situazioni di sistole;
Alcuni autori pongono anche un quarto restringimento: sarebbe più o meno alla stessa altezza dell'arco del -
l'aorta, a livello del bronco principale di sinistra. E' importante sapere la distanza tra l'arcata dentaria e lo
stomaco, che è di circa 41 cm (serve per i sondini nasogastrici, ecc). La lunghezza dell'esofago è circa tra 26-
27 cm, può variare molto da individuo a individuo. L'esofago ha un andamento abbastanza retto, si porta un
po' verso sinistra nella sua parte terminale, entra nell'addome e si incrocia con l'aorta che è tra T12. Il cuore
naturalmente rimane al davanti; se ci sono delle carditi molto consistenti il cuore può comprimere l'esofa -
go, dando sintomatologie all'apparato digerente.
Vasi dell'esofago
Principalmente sono rami dell'aorta toracic,a i cosidetti rami esofagei; a livello addominale l'esofago riceve
dei rami che provengono dalle arterie gastriche, più precisamente la gastrica di sinistra, che irrorano l'ulti-
ma parte dell'esofago.
Si basa su uno schema: il cosidetto sistema dell'anastomosi porta-cava. In condizioni normali le vene che
drenano l'esofago nella parte toracica sono il sistema delle vene azygos; la parte addominale viene drenata
dalle vene gastriche che si gettano direttamente nella vena porta; ricordiamo che è un vaso venoso che rac -
coglie il sangue da tutto l'apparato digerente e dalla milza, e lo porta direttemente al fegato. La vena porta
è formata dall'unione di due vasi: la vena splenica e la vena mesenterica superiore. Se abbiamo una patolo -
gia che rende difficile il percorso del sangue a livello del fegato (cioè la vena porta porta il sangue al fegato
ma l'individuo ad esempio ha una cirrosi) ci sarà uno sconvolgimento della struttura vascolare, il sangue
non riuscirà più a defluire e incomincerà a portarsi a ritroso. Ciò a livello dell'esofago significa che le vene
gastriche che drenano il fegato cominceranno a percorrere posteriormente e porteranno il sangue verso il
sistema della azygos (quello che drenava l'esofago nella parte toracica). Queste vene dell'esofago che veni -
vano drenate nella parte toracica con il sistema della azygo,s con l'arrivo del sangue delle gastriche, si dila -
tano; queste non hanno una parete particolarmente resistente e sono piuttosto superficiali, per cui c'è un
ingrossamento delle vene, visibile con il gastroscopio: in un individuo che ha la cirrosi da tempo risultano
dilatate. Queste vene possono rompersi e ciò può essere una delle maggiori cause di morte dei pazienti con
cirrosi: rottura delle vene esofagee. Il sangue non potendo passare prende una via a ritroso: si dilatano le
vene gastriche, poi quelle esofagee che tornano nelle azygos, le quali si gettano nella cava superiore.
Nell'apparato digerente c'è un drenaggio abbondate di linfa da tutte le parti: il tutto viene convogliato at -
traverso una serie numerosa di linfonodi verso la cisterna chily, una grande camera piuttosto ampia dalla
quale parte il dotto toracico che decorre vicino allla colonna vertebrale, si porta verso l'alto e sbocca nel si -
stema venoso, nel cosidetto angolo venoso di sinistra, tra la giugulare interna di sinistra e la succlavia di si-
nistra. Il dotto toracico raccoglie la linfa da gran parte dell'apparato digerente, dalla parte sinistra del tora -
ce, dalla parte sinistra della testa e dall'arto superiore sinistro. Ci sono altre parti che sono drenate da un
piccolo dotto toracico secondario, detto dotto linfatico di destra, che sbocca nell'angolo venoso di destra,
cioè tra la giugulare interna di destra e la succlavia di destra. Questo raccoglie il sangue dalla parte destra
della testa, dal torace di destra e dall'arto superiore di destra. Tutto il resto è raccolto dal dotto toracico.
Qui parliamo di vie linfatiche profonde, quelle che abbiamo visto per la ghiandola mammaria erano vie lin -
fatiche di superficie; ma anche queste fluiscono in questi due sistemi. Le stazioni linfonodali sono molto ric -
che anche a livello dell'aorta e delle mesenteriche, abbiamo linfonodi paraortici e quelli iliaci interni ed
esterni che stanno rispettivamente attorno all'arteria iliaca interna ed esterna.
PERITONEO
Prima di andare a vedere lo stomaco guardiamo il peritoneo perchè qui gioca un ruolo complesso. Lo sto-
maco è un organo intraperitoneale, dietro lo stomaco abbiamo la borsa omentale che separa lo stomaco
dal pancres, permette la dilatazione e i movimenti dello stomaco durante la digestione, la borsa omentale
arriva in alto fino all'area nuda del fegato, si porterà in basso e si troverà tra le due lamine che formano il
grande omento.
STOMACO
Lo stomaco viene
definito un organo
con la forma di una
“cornamusa”, una
sacca, con una
grande curvatura
posta verso sinistra
e una piccola cur-
vatura posta verso
destra. L'esofago si
inserisce con una
struttura valvolare
e vediamo che for-
ma un'incisura che
viene a separare
l'esofago dalla cu-
pola dello stoma-
co. La cupola viene
chiamata fondo.
L'area di sbocco
dello stomaco vie-
ne chiamata car-
dias. L'incisura si chiama incisura cardiale. Tra le due curve abbiamo piccola e grande curvatura. Tra le due
curve abbiamo la parte più estesa dello stomaco il corpo dello stomaco. A seguire, in basso abbiamo due
strutture: una si chiama antro pilorico che segue il corpo dello stomaco, e tra il corpo e l'antro pilorico ab-
biamo l'incisura angolare. A seguire all'antro pilorico abbiamo il canale pilorico e poi il piloro stesso, una
valvola posta tra stomaco e l'organo che lo segue, il duodeno. Nel fondo si porta l'aria che può essere elimi -
nata tramite eruttazioni. I limiti dello stomaco sono: il cardias che è a livello di T10 e il piloro che è a livello
di L1-L2 (può però abbassarsi durante la fase digestiva fino L4). I confini dello stomaco verranno ripresi nel -
la prossima lezione.
STOMACO
Lo stomaco è un organo intraperitoneale la cui forma può variare molto durante la digestione. Origina a li -
vello di T10 e termina inferiormente col piloro, a livello di L1-L2 (alla stesso livello troviamo anche
l’ilo renale), anche se in fase digestiva può arrivare a L3-L4.
E’ posizionato a sinistra; anteriormente abbiamo il lobo sinistro del fegato che corrisponde all’area del pilo -
ro (lobo quadrato del fegato). Il lobo sinistro del fegato copre dunque anteriormente una parte dello sto -
maco; abbiamo poi sempre anteriormente la parete addominale, il margine sinistro delle coste, il diafram -
ma. Posteriormente troviamo la borsa omentale, il colon trasverso (mesocolon), il rene sinistro con la
ghiandola surrenale sinistra, l’arteria splenica e un contatto con la milza attraverso il legamento gastro-
splenico. L’arteria splenica gioca un ruolo importante per l’irrorazione dello stomaco.
La superficie interna dello stomaco mostra delle pliche sollevate, le pliche gastriche, le quali vanno dall’alto
verso il basso e delimitano strutture pianeggianti, le aree gastriche. Tutto ciò serve ad aumentare il contat-
to della parete dello stomaco col suo contenuto. Man mano che lo stomaco si distende, la quantità di pliche
diminuisce ma non scompare mai del tutto. Le pliche terminano a livello del piloro, valvola che fa passare
“a spruzzo” il contenuto dello stomaco nel duodeno. Ricordiamo che lo stomaco partecipa alla digestione,
ma non partecipa all’assorbimento; è sostanzialmente impermeabile con prevalenza di giunzioni tight tra le
cellule. Il vero assorbimento inizia nel duodeno.
MUSCOLATURA
3. obliqua, posta sotto lo strato circolare, decorre dal confine tra cardias e fondo alla grande
curvatura.
L’organo ha grandi capacità di movimento ed è l’unico organo nell’apparato digerente con tre strati di cellu -
le muscolari.
Anatomia ANS35 – APPARATO DIGERENTE 2 (8giu2011)
STRUTTURA
LEGAMENTI
Lo stomaco è un organo intraperitoneale ed è posto tra il grande omento ed il piccolo omento. Il piccolo
omento unisce lo stomaco e in parte anche il duodeno al fegato, il grande omento va dallo stomaco al co -
lon.
Il piccolo omento si inserisce a livello dell’ilo del fegato e sul legamento venoso.
Dall’altra parte a livello della grande curvatura abbiamo invece il grande omento, che scende verso il basso,
poi si piega e risale verso il colon trasverso, e scendendo ricopre le anse dell’intestino tenue che vedremo
successivamente. Dietro al piccolo omento, in particolare dietro al legamento epatoduodenale, si trova l’in -
gresso della borsa omentale: il forame epiploico (o di Winslow). La borsa omentale si trova dietro lo stoma-
co, raggiunge superiormente il fegato con il recesso superiore arrivando fino alla cosiddetta area nuda del
fegato. Inferiormente la borsa omentale arriva a livello del colon trasverso. A questo livello le due doppie
lamine di peritoneo che formano la borsa omentale si trovano vicine tra loro nel bambino, ma con lo svilup -
po queste si uniranno per formare una struttura unica.
• arteria epatica;
• vena porta.
Dunque all’entrata del forame di Winslow, al davanti abbiamo il legamento epatoduenale, posteriormente
abbiamo la vena cava inferiore. L’aorta (in una sezione della parte iniziale dell’addome) è posizionata netta -
mente al davanti della colonna vertebrale e esattamente dietro al pancreas. Entrambi, vena cava inferiore e
aorta, sono retro peritoneali. In una sezione di questo tipo è interessante anche osservare la milza, organo
intraperitoneale; alla milza arriva la vena lienale che decorre dietro al pancreas.
Tra stomaco e milza abbiamo il legamento gastrolienale, che ha da un lato il peritoneo che circonda lo sto -
maco, dall’altro la borsa omentale. Questo legamento permetterà il passaggio di alcune arterie che vanno
allo stomaco, provenienti dall’arteria lienale, ramo del tripode celiaco. L’arteria lienale decorre dietro al
pancreas e irrora la milza, dopo aver inviato dei rami che irrorano lo stomaco.
Il peritoneo venendo dallo stomaco, prima di andare a circondare la milza, forma una doppia lamina con la
borsa omentale. Questa doppia lamina è uno dei legamenti dello stomaco ed è chiamato gastro-splenico.
In questo legamento decorre un ramo dell’arteria splenica in direzione dello stomaco. Questo legamento in
realtà sarebbe il terzo tipo di omento (gli omenti sono infatti quei legamenti che uniscono lo stomaco agli
organi circostanti).
C’è poi un ulteriore legamento, il frenico-lienale, tra il rene e la milza. In questo legamento decorre l’arteria
splenica e la vena splenica.
VASCOLARIZZAZIONE
Lo stomaco è irrorato dai rami del tronco celiaco e dall’arteria mesenterica superiore.
Dal tronco celiaco parte l’arteria lienale (o splenica) che decorre posteriormente allo stomaco e si porta
verso la milza, ma poco prima di entrare nella milza, un suo ramo entra nel legamento gastrolienale. Tale
arteria darà due rami:
• arterie gastriche brevi che, portandosi verso l’alto, irrorano il fondo dello stomaco;
• arteria gastroepiploica sinistra, che irrora gran parte della grande curvatura per poi anastomizzarsi
con la gastroepiploica di destra.
Sempre dal tronco celiaco parte l’arteria gastrica sinistra che irrora l’ultima parte dell’esofago (mediante
appositi rami esofagei), il cardias e, dopo essersi ripiegata, la piccola curvatura. A livello della piccola curva-
Autore: Stefano Sbacco per Medicina08 3 di 5
Anatomia ANS35 – APPARATO DIGERENTE 2 (8giu2011)
tura si anastomizza con l’artertia gastrica destra (ramo dell’arteria epatica comune); entrambi questi vasi
sono contenuti nel legamento epatogastrico. La piccola curvatura è dunque irrorata, nel complesso, dalle
arterie gastriche destra e sinistra, che decorrono in mezzo alle due lamine che formano il legamento epato -
gastrico, parte del piccolo omento.
• arteria gastroepiploica destra, che decorre lungo la grande curvatura dello stomaco e terminerà
anastomizzandosi con la gastroepiploica di sinistra (che provenica dalla gastrolienale). Tale anasto-
mosi è racchiusa nelle due lamine peritoneali che formano il grande omento;
La sottile parete dell’arteria gastroduodenale può essere interessata da possibili ulcere del duodeno,essen -
do le due pareti, quella del vaso e quella del duodeno, molto attaccate. Si può avere così perforazione del -
l’arteria e conseguente grave emorragia interna.
Le arterie pancreatico-duodenali superiori sono due, una anteriore e una posteriore. Irrorano il pancreas e
si collegano con la mesenterica superiore. Dunque è possibile far arrivare il sangue alla gastroepiploica di
destra anche se ci fosse una resezione della gastroduodenale, arrivando il sangue anche dalla mesenterica
superiore.
Le vene dello stomaco vanno direttamente nella vena porta e solitamente decorrono parallele alle corri -
spondenti arterie.
DRENAGGIO LINFATICO
Si basa su stazioni linfonodali presenti a livello della milza, lungo la grande curvatura e lungo la piccola cur -
vatura. Generalmente la linfa da queste stazioni viene drenata in un grande numero di linfonodi che stanno
intorno al tronco celiaco, immersi nell’abbondante tessuto adiposo. Da questi partono 2 vie:
INNERVAZIONE
Gli organi dell’apparato digerente sono a doppia innervazione, sotto l’influenza del parasimpatico e dell’or -
tosimpatico.
Nello stomaco il parasimpatico ha un’azione eccitatoria, stimola la produzione di HCl e di tutti i succhi ga -
strici e stimola la motilità gastrica. Esattamente l’opposto fa l’ortosimpatico.
Il vago destro e sinistro scendono nell’addome, ai lati dell’esofago, fino ad entrare nell’addome dove il vago
di destra innerverà la parete posteriore dello stomaco, mentre quello di sinistra la parete anteriore. Una di -
ramazione importante del vago innerva l’atro pilorico fino alla valvola del piloro, presente sia nella parete
anteriore che posteriore.
I QUADRANTI ADDOMINALI
Due linee, dette emiclaveari, che partono dalla metà della clavi-
cola e scendono giù perpendicolarmente, servono a dividere
l’addome in 9 parti precise:
Regione centrale
Regioni laterali
La regione epigastrica naturalmente ha a che fare con lo stomaco il quale si trova in parte anche nella regio -
ne ipocondriaca di sinistra.
Il legamento gastrocolico fa parte del piccolo omento. Abbiamo una parete inferiore che presenta il colon
trasverso e un recesso inferiore della borsa omentale. Nella parete posteriore abbiamo il pancreas, l’aorta,
il tronco celiaco, arteria e vena lienali, surrene sx e polo renale sx superiore. Superiormente abbiamo il fe -
gato con il lobo caudato. La parete laterale sinistra presenta la milza e il legamento gastrolienale; la laterale
destra fegato e duodeno. Vediamo ora i legamenti che abbiamo già descritto:
• gastrofrenico: sarebbe il peritoneo che si porta in alto per inserirsi sul diaframma;
• gastrolienale: legamento con la milza, ci passano dei vasi importanti e sarebbe il terzo omento;
Sollevato lo stomaco si osserva il pancreas che è rivestito dal peritoneo parietale. Questa struttura è il me-
socolon che va dal bordo inferiore del pancreas verso il colon trasverso.
INTESTINO TENUE
Passiamo ora all’intestino tenue che è laddove avviene sia la digestione che l’assorbimento di importanti
sostanze. Segue lo stomaco ed è lunga 5-6 metri; il crasso è lungo circa 1,5 m. E’ costituito dal duodeno (20-
30 cm), digiuno (2/5 superiori del tenue mesenteriale, ovvero la parte intraperitoneale; il duodeno ha solo il
bulbo intraperitoneale, per la maggior parte è retro peritoneale), ileo (3/5 inferiori del tenue mesenteriale).
DUODENO
Il duodeno forma una “C” duodenale; è composto da un bulbo, l’unica parte intraperitoneale, collegato al
fegato tramite il legamento epatoduodenale. Dopo il bulbo c’è una parte discendente importante per la di -
gestione, poi c’è una parte orizzontale e una parte ascendente. Infine si forma un angolo, il cosiddetto an -
golo di Treitz, che segna l’inizio del digiuno. Questa “C” duodenale circonda la testa del pancreas (diviso in
testa, corpo e coda) e questa vicinanza delle due strutture indica che c’è un’importante relazione tra pan -
creas e digiuno. Il bulbo è lungo circa 4 cm e inizia dopo il piloro, è quindi piuttosto breve. Siamo all’altezza
di L1 e ricordiamo che è intraperitoneale. Dopo il bulbo si forma la flessura duodenale superiore. Il lega -
mento epatoduodenale unisce il duodeno al fegato e contiene vena porta, vena epatica e dotto coledoco. Il
bulbo duodenale è in contatto con:
Anatomia ANS36 – APPARATO DIGERENTE 3 (9giu2011)
• dotto coledoco;
• vena porta;
• arteria gastroduodenale.
La cistifellea è un piccolo sacco che raccoglie la bile nelle pause interdigestive; la bile si concentra nella cisti -
fellea. La bile è un succo molto importante nella digestione dei grassi. La parete della cistifellea è in grado di
contrarsi e di svuotare la bile nel coledoco. Il coledoco si porta dietro il duodeno per poi sboccare nella par -
te discendente del duodeno.
Parte discendente
Vediamo ora la parte discendente del duodeno che è lunga circa 10 cm e scende fino a L3-L4. E’ secondaria-
mente retro peritoneale. Cioè all’inizio è intraperitoneale, poi diventa retro peritoneale. E’ in contatto con il
pancreas e c’è lo sbocco delle vie biliari e del dotto pancreatico principale. Il pancreas ha funzione sia endo -
crina che esocrina; produce ormoni che regolano la glicemia e produce enzimi importanti per la digestione.
E’ costituito da un dotto pancreatico principale che porta i proenzimi nel duodeno stesso e a questo livello
si ha l’azione enzimatica. Per quanto riguarda il rapporto con il fegato, come sappiamo questo produce la
bile che attraverso il coledoco giunge alla parte discendente del duodeno. A livello del coledoco abbiamo
un allargamento che va a formare la papilla di Vater dove si getta anche il dotto di Wirsung, ovvero il dotto
pancreatico principale. Posteriormente il duodeno ha a che fare con il rene dx e il surrene dx (e l’abbiamo
visto quando abbiamo fatto le proiezioni renali); questo è a livello dell’ilo renale dx.
Il dotto di Wirsung raccoglie tutti i prodotti del pancreas esocrino: inizia dalla coda e si porta verso la testa e
a livello della testa sbocca nel duodeno discendente. Quello che è interessante è che la parte endocrina del
pancreas è sparsa (isolotti) ed è più consistente nel corpo e nella coda. Questi isolotti pancreatici sono per -
corsi come tutte le zone endocrine da capillari: gli ormoni vengono riversati nei capillari (insulina, glucagone
e somatostatina che ha funzione regolatrice). Il sangue che passa attraverso le isole irrora poi anche la zona
esocrina e questi ormoni possono quindi agire anche sulla zona esocrina. La papilla di Vater ha un’abbon -
dante muscolatura per cui è probabile che in alcune situazioni si chiude o si rilascia. Il pancreas è un organo
a forma di “martello”,
uncinato, e ha appunto
un processo uncinato
attraversato dai vasi
mesenterici (arteria e
vena mesenterica) che si
porteranno inferior-
mente passando davanti
alla parte orizzontale
del duodeno. Questi
vasi entrano nel mesen-
tere e irroreranno le
anse mesenteriche. Ol-
tre al dotto pancreatico
Autore: Giulia Mariotti per Medicina08 2 di 4
Anatomia ANS36 – APPARATO DIGERENTE 3 (9giu2011)
principale c’è un altro dotto che raccoglie soprattutto il prodotto del processo uncinato che si porta verso
l’alto e sbocca un po’ più in alto dell’ampolla di Vader: apparato accessorio del Santorini.
VENA PORTA
Dobbiamo vedere come si forma la vena porta. La vena lienale, cioè quella che raccoglie il sangue dalla mil-
za si porta dietro al pancreas. Portandosi dietro al pancreas raccoglie la vena mesenterica inferiore che a
sua volta raccoglie il sangue dall’intestino crasso. Se continuiamo il percorso si unisce anche la vena mesen -
terica superiore. Da questo momento parliamo di vena porta che porta il sangue al fegato. Quindi si forma
dall’unione della mesenterica superiore con la vena splenica. La mesenterica superiore raccoglie il sangue
dall’intestino tenue, soprattutto da quello mesenteriale, è ricca di sostanze assorbite. Siccome la milza ha
funzione di demolizione degli eritrociti, le sostanze derivanti da questo processo vengono portate al fegato
per essere rielaborate o immagazzinate.
Parte orizzontale
Parte orizzontale del duodeno: lunga circa 8 cm. Inizia alla flessura duodenale inferiore. Davanti ci sono ar-
teria e vena mesenterica superiore. Posteriormente c’è la vena cava. Superiormente abbiamo la testa del
pancreas e inferiormente le anse digiunali.
Parte ascendente
Parte ascendente del duodeno: lunga 5 cm. Raggiunge la flessura duodeno digiunale (L1-L2) dove inizia il di -
giuno che è intraperitoneale. Dorsalmente c’è l’aorta.
Che percorso fa l’arteria mesenterica superiore per raggiungere i mesenteri? Parte dall’aorta addominale,
passa dietro al corpo del pancreas, si inserisce tra la testa e il processo uncinato del pancreas, scende, passa
davanti al duodeno orizzontale e si inserisce nel mesentere.
La vena lienale o splenica passa dietro il pancreas e si unisce alla vena mesenterica superiore. Nella vena
porta sboccano le vene gastriche. L’inserzione del coledoco nella testa del pancreas non è sempre una rego-
la ma è interessante perché ci fa capire come nel tumore della testa del pancreas uno dei primi sintomi è
l’itterizia, dovuta alla compressione del coledoco.
Esiste un muscolo sospensore del duodeno che forma una “x” e va ad agganciarsi nel punto in cui l’ascen -
dente passa con il digiuno.
DIGIUNO
Il digiuno prende il suo nome dal fatto che gli anatomici quando andavano a fare una dissezione lo trovava -
no pressoché vuoto; questo perché avendo una muscolatura piuttosto consistente, il transito in questo
punto è particolarmente veloce. Non c’è un confine netto tra digiuno e ileo. Generalmente il digiuno è so -
praombelicale a sx e il resto delle anse appartengono all’ileo.
Per poter osservare l’intestino tenue si deve innanzitutto sollevare il grande omento. Le anse intestinali
sono rivestite da peritoneo. Per vedere come è allacciato l’intestino al peritoneo, si spostano le anse a de-
stra ed è visibile la radice del peritoneo. Se l’intestino tenue fosse un “tubo” avvolto da mesentere, per iso -
larlo bisogna tagliare e sarebbe visibile anche il mesentere con i vasi. Esistono due parti del peritoneo parie -
Autore: Giulia Mariotti per Medicina08 3 di 4
Anatomia ANS36 – APPARATO DIGERENTE 3 (9giu2011)
tale che giunte ad un certo livello formano il mesentere. Tra queste anse ci sarà l’arteria mesenterica supe -
riore che manda una serie di arcate molto ampie che diventano più frequenti inferiormente. La mesenterica
superiore manda anche rami a destra con arcate più grandi che andranno ad irrorare il crasso. Nel digiuno
le anse sono più distanti le une dalle altre e nell’ileo le arcate sono più numerose. Perché esistono queste
arcate? Perché essendoci una continua motilità nella peristalsi, questi vasi possono chiudersi, ma appena si
riallenta la muscolatura il sangue riprende il transito. Serve quindi all’ottimale ossigenazione.
Nella scorsa lezione, si è parlato dell'ileo, che presenta arcate anastomotiche molto frequenti ma brevi, a
differenza di quelle del digiuno, che sono invece molto più consistenti ma poco numerose. Questo spiega an-
che il motivo per cui nell’ultima parte dell’ileo, il transito è molto più lento che nel digiuno: rappresenta i 3/5
dell’intestino tenue, è più esteso del digiuno ed è soggetto a peristalsi maggiori. Ciò è dovuto alla presenza
di queste arcate più frequenti, che permettono una contrazione e una distensione maggiore.
Anche la mesenterica superiore, vaso che irrora digiuno e ileo, manda anse alla parte sinistra; mentre dalla
parte destra sono visibili anse molto più grandi, uniche, che servono principalmente per irrorare l'intestino
crasso, non il tenue (irrorano il cieco, il colon ascendente, il trasverso). Ci sarà poi anche una grande arcata
che mette in comunicazione la mesenterica superiore con quella interna. Questo concetto verrà spiegato
successivamente nell’ambito dell’irrorazione dell'intestino crasso.
Per quello che riguarda il drenaggio linfatico dell'intestino tenue, c'è un gran numero di linfonodi, che ren -
dono quest’ultimo molto complesso. Essi portano a stazioni linfonoidali situati nei pressi della mesenterica
superiore. È bene ricordare anche che a livello del pancreas, dove l'arteria e la vena passano davanti al pro -
cesso uncinato e dietro la testa, ci sono molti linfonodi: si è notato che, asportandoli durante gli interventi
chirurgici, si aveva una maggiore sopravvivenza. Questa tecnica è stata messa però in discussione a causa di
disturbi collaterali nei pazienti. La mesenterica superiore è ricca di linfonodi nelle sue vicinanze, come an-
che in tutto il mesentere: possiamo dunque parlare di nodi linfatici mesenterici. Tutto viene portato al
tronco intestinale linfatico, per poi raggiungere la cisterna chyli e infine il dotto toracico.
È quindi un drenaggio ricco di numerose stazioni linfonoidali, proprio grazie ai cosiddetti nodi linfatici me -
senterici.
INTESTINO CRASSO
Proseguiamo ora nell’analizzare l'intestino crasso, lungo circa 1,5 metri. Si compone di:
• un'appendice, lunga 8-10 cm (variabile nella sua lunghezza). In questa regione non ci sono tenie
(strutture di muscolatura liscia);
I villi sono assenti in tutto il crasso, presenti invece nel tenue. Dalla valvola ileocecale in poi mancano e, per
facilitare il transito delle feci attraverso il colon, aumentano le cellule a muco.
La muscolatura del colon e del crasso può variare: c'è una muscolatura circolare completa internamente e
una longitudinale scarsa e addensata in tre strutture longilinee, le tenie. Esse sono intese come addensa-
menti di muscolatura liscia longitudinale. La prima è la tenia libera, seguita dalla mesocolica e dalla omen-
tale, situata dapprima dietro e poi anteriormente. La muscolatura liscia è fortemente ridotta nel crasso, le
tenie sono assenti nell'appendice, che è intra-peritoneale. L’appendice si getta nel cieco ed è avvolta da
una mesoappendix, una doppia lamina peritoneale nella quale decorre l'arteria appendicolare. In seguito,
la muscolatura circolare e longitudinale tornano ad essere complete a livello del retto poiché l'ampolla ret -
tale deve svuotarsi verso l'esterno.
Le tenie, mostrano delle appendici epiploiche, estroflessioni della sotto-sierosa, molto ricche di connettivo
adiposo. Sono scarse e quasi inesistenti a livello del cieco ma sono presenti per tutto il colon, che è dotato
di strutture sacciformi, le gibbosità; ci sono delle pieghe semilunari tra una e l'altra gibbosità. Il discendente
e il sigmoideo sono ricoperti invece dalle anse del tenue.
Il crasso inizia con la valvola ileocecale, che facilita il passaggio dall'ileo al cieco e impedisce il reflusso delle
feci. Il cieco è caratterizzato anche dalla presenza dell'appendice vermiforme. La sezione ascendente, de-
corre fino al limite inferiore del fegato e determina la flessura colica destra, è retro peritoneale. Segue il co -
lon trasverso che giunge fino alla flessura colica di sinistra, a livello del polo inferiore della milza ed è intra -
peritoneale. Il colon discendente decorre lungo la parete addominale di sinistra, ricoperta dalle anse del te -
nue; è retro peritoneale. La parte sigmoidea è intraperitoneale, il retto è in parte retro peritoneale e in par -
te extra peritoneale.
Il peritoneo che ricopre gli organi retro peritoneali, è sempre parietale. Quello viscerale è quello che circon-
da gli organi. L’unione di questo peritoneo con quello che viene dal pancreas forma una doppia lamina che
darà origine al mesocolon. Il sigmoideo, intraperitoneale, è avvolto da una doppia lamina, il mesosigma.
Il legamento frenico colico, unisce la flessura colica di sinistra al pavimento della milza. Vediamo come si
comporta il peritoneo. Il peritoneo scende, forma un'ansa e si riporta in avanti. Ci sono due aree per il colon
sinistro e due per il destro; quindi abbiamo 4 aree nelle quali si viene a formare una piega peritoneale a
fondo cieco. Sia l'ascendente che il discendente sono retro peritoneali e lasciano solo uno spazio libero in
posizione posteriore non rivestito dal peritoneo. Nelle restanti parti sono rivestiti dal peritoneo. Queste
strutture a fondo cieco si chiamano docce paracoliche, una laterale e una mediale per il colon discendente.
La stessa cosa avviene per l'ascendente: abbiamo una laterale e una mediale. Le docce fanno parte di reces -
si peritoneali e sono dovute al comportamento del peritoneo intorno al colon ascendente e discendente.
Queste parti del peritoneo, si portano in avanti, abbandonano la muscolatura e vanno a formare il mesen -
tere del piccolo intestino, avvolgendo l'ileo e tutte le anse dell'intestino tenue.
Rispetto al cieco, il peritoneo ha un comportamento molto variabile, da individuo a individuo. Ci sono diffe -
renti possibilità:
• cieco fisso, se aderisce alla fascia del muscolo iliaco. È retro peritoneale;
• cieco mobile, se c'è poca continuità tra il peritoneo viscerale del cieco e quello parietale. Il cieco
mobile è in questo caso intraperitoneale;
Il vaso che irrora il colon è l'arteria mesenterica superiore. I principali rami che riguardano il crasso sono:
• arteria ileocolica (che invia rami anche al tenue), manda un ramo, l'arteria appendicolare, per l'ap-
pendice e dei rami per il cieco, per l'ultima parte dell'ileo e per il colon;
• arteria colica destra, ramo della mesenterica superiore, irrora il colon ascendente;
• arteria colica media, si porta in alto verso il trasverso e irrora i 2/3 di esso, si avvicina alla flessura
colica di sinistra e forma un'anastomosi molto ampia con un ramo che proviene dalla mesenterica
inferiore, la colica di sinistra. Essa sale poi verso l'alto e forma un'arcata anastomotica con la colica
media. L'arcata è coinvolta nell'irrorazione dell'ultima parte del trasverso, della flessura colica di si -
nistra e dell'inizio del colon discendente. Prende il nome di arcata di Riolano, ampia a livello della
Autore: Elisa Montrone per Medicina08 3 di 5
Anatomia ANS37 – APPARATO DIGERENTE 4 (13giu2011)
flessura colica di sinistra. È un’anastomosi importante sul piano chirurgico perché permette di
asportare parti del colon, mantenendo l'irrorazione nelle restanti zone.
La mesenterica inferiore, grazie alla colica di sinistra irrora una parte del colon discendente e invia anche al-
tri rami per il colon sigmoideo e il retto. Quindi la mesenterica inferiore ha a che fare con il colon, sigma e
retto. La doppia lamina di peritoneo, nei pressi dell’appendice, forma la meso-appendice; qui si creano due
cavità, la fossa ileocecale superiore e la fossa ileocecale inferiore, date da due pieghe: la piega vascolare e
la piega avascolare, priva di vasi. A queste segue una fossa retrocecale, in cui molte volte è situata l'appen-
dice.
APPENDICE VERMIFORME
Quando il chirurgo interviene per individuare l'appendice, poiché e presente nella fossa retro-cecale e infe -
riormente al cieco, deve mobilizzare il cieco. Ciò è facilitato quando c'è il cieco libero, in altri casi bisogna
staccarlo alla fascia dell'iliaco, se aderisce ad esso. Il punto in cui l'ileo sbocca nel cieco, si trova al davanti
della tenia mesocolica, che è interna e rivolta medialmente. Con la colonscopia totale possiamo arrivare
fino alla prima parte dell'ileo, quindi possiamo controllare tutto, compresa la valvola ileocecale.
Ci sono numerosi linfonodi a livello dell’appendice. L'appendice è un organo linfatico, con una grossa massa
di follicoli linfatici. Ha una doppia muscolatura consistente, utile per il suo svuotamento, sia circolare che
longitudinale, ma è priva di tenie. É un organo che ha un'arteria e una vena. Una sua infiammazione, detta
appendicite, qualora interessi anche l'arteria appendicolare (se batteri o sostanze infiammatorie arrivano a
contatto con l’arteria), potrebbe comportare un trombo dell'arteria: in questi casi l'appendice va in necrosi.
Quindi non solo si determinerà una peritonite, ma avremo anche una conseguente necrosi. Situazioni in -
fiammatorie, spesso vengono superate perché l'appendice è ricchissima di strutture linfatiche e si difende
molto bene.
Lo sbocco dell'ileo nel cieco segna il confine tra cieco e colon ascendente. La valvola ha la forma di una lo -
sanga ed è attiva. Nel 70 % dei casi l'appendice si trova in posizione retrocecale, nei 5% è preileare o retroi -
leare, oppure in posizione subcecale nel 20 %dei casi. Le tre tenie si uniscono a livello del cieco. Per indivi-
duare l'appendice, il chirurgo segue col dito la tenia libera: quando essa termina incontra l’appendice sul
cieco. C'è una linea tra la spina iliaca anterosuperiore e l'ombelico (tra il primo terzo più esterno e gli altri
due terzi più interni), che fa individuare l'appendice. È il punto di Mcburney. Se si sospetta un'appendicite,
analizzando l’esame del sangue, si va a guardare un eventuale aumento dei linfociti neutrofili (aumentano
sempre in situazioni infiammatorie).
I diverticoli
Giungendo nel sigma, dove le feci iniziano a prendere una consistenza, la compressione di esse, opera su
una muscolatura debole, priva di componente longitudinale. Quindi abbiamo una parete debole che com-
prime le feci, invece abbastanza rigide. Ciò comporta la formazione dei diverticoli del colon, frequenti con
l'avanzare dell'età, quando tutte le strutture tendono ad essere meno efficienti. I vasi per arrivare alla mu-
cosa, devono attraversare la muscolatura circolare, creando punti di minore resistenza; inoltre, non esisten -
do la longitudinale, se non nei pressi delle tenie, la mucosa si estroflette vicino al vaso che arriva e può in -
fiammarsi: si parla di diverticolite.
Un paziente, aveva un diverticolo: i batteri sono passati alla vena mesenterica inferiore, che va nella spleni -
ca, poi nella porta. Quindi un coagulo di batteri è partito dal sigma, si è diretto nella splenica, poi nella por -
ta e si è creata una grave infiammazione al fegato. I medici, inizialmente, non capivano come mai avesse sia
problemi peritoneali sia epatici.
I recessi peritoneali sono spazi che si creano tra organi e tessuti in cui i liquidi dell'addome possono porsi.
Il peritoneo che avvolge il fegato si riflette e si continua con il foglietto parietale al di sotto il diaframma
stesso, creando una zona non rivestita da peritoneo: la cosiddetta area nuda. Lo spazio invece rivestito dal
peritoneo e che si trova tra diaframma e fegato, si chiama recesso sub frenico (detto anche epatofrenico
anche se poco usato), mentre lo spazio compreso tra fegato (intraperitoneale) e rene (retro peritoneale) è
chiamato recesso epatorenale.
Il mesocolon tradizionalmente divide l’addome in due parti: uno spazio sopra mesocolico e uno spazio sot-
to mesocolico. Considerando appunto lo spazio sopra mesocolico e sotto mesocolico andiamo dunque a ve-
dere il comportamento dei liquidi.
• Nello spazio sovramesocolico essi hanno 2 possibilità: nel lato destro abbiamo il legamento falci-
forme (legamento che unisce il fegato portandosi in avanti alla parete addominale anteriore); i li -
quidi in tale zona si muovono nello spazio delimitato dal legamento falciforme e giungono fino al
basso bacino. La stessa cosa non avviene nel lato sinistro dove i liquidi si fermano in prossimità del
mesocolon trasverso che presenta un legamento a livello della flessura colica di sinistra e che for -
ma il pavimento della doccia della milza.
• Nello spazio sottomesocolico, i liquidi che si fermano nello spazio che va dalla radice del mesentere
fino al colon ascendente, sono intrappola-
ti in una struttura costituita dal mesente-
re, dalla doccia parietocolica mediana e
dal colon ascendente (possono solo anda-
re su e giù in tale struttura senza possibili-
tà di muoversi diversamente). I liquidi in-
vece racchiusi dal mesentere e dal colon
discendente hanno anche la possibilità di
portarsi in basso.
INTESTINO CRASSO
INTESTINO RETTO
Continuando lo studio del crasso passiamo dal sigma al retto. Esso inizia a livello di S3 e ha un'altezza di 15
cm comprendendo lo spazio da S3 fino al canale anale. Il retto è tutto fuorché retto; anzitutto prendendo
una sezione sul piano sagittale si può vedere un andamento sinuoso creato da due flessure: la flessura sa-
crale con convessità rivolta posteriormente (il retto è molto aderente al sacro) e la flessura perineale. A tali
flessure segue poi il canale anale.
Il peritoneo pone il retto nella sua prima parte in posizione retro peritoneale. Qua troviamo la fossa para-
rettale (in realtà la ritroviamo anche nell’ ultima parte del sigma) attraversata anche dall’ uretere. Tale fos -
sa è delimitata dalla piega vescico sacrale. La prima porzione del retto (quella più estesa) è costituita dal-
l'ampolla del retto, struttura che può dilatarsi per contenere le feci. Nell'ultima parte della flessura sacrale
al confine con la flessura perineale, parte non rivestita da peritoneo, abbiamo poi quella parte del retto che
corrisponde nell’uomo al trigono vescicale (struttura liscia compresa tra gli ureteri all’interno della vescica,
che rimane sempre distesa, in qualunque condizione di funzionalità), mentre nella donna corrisponde in
gran parte alla vagina (il retto si trova, infatti, dietro la vagina).
Nel retto non abbiamo tenie ma la presenza di una consistente muscolatura circolare all'interno e longitudi-
nale all' esterno.
Le flessure rettali non sono solo sul piano sagittale ma le abbiamo anche sul piano coronale. Sul piano co -
ronale il “tubo dritto” è sottoposto a forze provenienti sia da destra che da sinistra che ne determinano la
deformazione. Si creano quindi tre curve:
• superiore;
• inferiore.
Queste tre curve sono molto evidenti quando il retto è vuoto e meno evidenti quando è pieno.
Nell’apparato genitale maschile il retto ha un rapporto molto preciso con la prostata, si trova dietro la ve-
scica, nelle vicinanze delle vescichette seminali. Nella donna abbiamo invece che il retto si trova dietro la
vagina e solo nella parte alta del retto, al limite del peritoneo, abbiamo una corrispondenza con l’utero.
Per le arterie abbiamo un’arteria rettale superiore e un’arteria rettale inferiore; generalmente è assente
quella media. La rettale superiore proviene dalla mesenterica inferiore e irrora la flessura colica di sinistra e
quindi il colon discendente , il sigma e una parte del retto. La rettale inferiore proviene dalla pudenda inter-
na.
Differente è il discorso che riguarda le vene. Per quanto riguarda le vene abbiamo infatti tre vene rettali
(superiore, media e inferiore). La rettale superiore si getta nella mesenterica inferiore la quale si getta poi
nella vena splenica. Quindi praticamente possiamo definire la rettale superiore come affluente del sistema
della porta. La rettale media e inferiore si gettano invece nel sistema dell’ iliaca interna che confluisce nell’i-
liaca comune e a sua volta nella cava inferiore. Questo circolo è dunque un circolo anastomotico della por -
ta-cava esattamente come quello visto per l'esofago. Questo circolo ha risvolti importanti soprattutto nelle
condizioni patologiche epatiche perché nel fegato ci può essere un ostacolo alla circolazione, come avviene
per esempio nella cirrosi, per cui avviene che il sangue non riesce a passare nella vena porta, prende la via
delle vene rettali media e inferiore (c’è un reflusso verso queste vene), dilata tali vasi e si scarica nella vena
cava inferiore (si crea un sistema di anastomosi vena porta-vena cava). Questa dilatazione dei vasi è meno
problematica di quella che abbiamo nell'esofago.
CANALE ANALE
Il canale anale rappresenta l’ultima parte del retto. Il confine tra ano e retto è definito come giunzione
ano-rettale. Al di sotto di tale giunzione abbiamo la presenza di colonne (protuberanze che sporgono verso
il lume del retto stesso), le cosiddette colonne anali o colonne rettali o di Morgagni (a seconda se lo stu-
dioso intende l'ano come facente parte del retto o come struttura a sé) che terminano con delle strutture
arcuate, le valvole anali, in cui sboccano delle ghiandole. Gli spazi presenti tra le colonne anali vengono de -
finiti come solchi anali.
Le valvole anali poggiano su una linea, che corrisponde alla linea pettinata. Ad essa fa seguito una zona
biancastra, chiamata zona anale di transizione o pecten analis (di transizione in riferimento agli epiteli pre-
senti in questa zona ). Al di sotto abbiamo inoltre una linea piuttosto chiara, la linea ano-cutanea di Hilton.
Autore: Roberta Amenini per Medicina08 3 di 6
Anatomia ANS38 – APPARATO DIGERENTE 5 (14giu2011)
Per quanto riguarda l’epitelio, esso passa lentamente da cilindrico monostratificato (tipico anche del retto)
ad un epitelio piatto (tipico della cute). A livello della pecten analis troviamo un epitelio piatto non corneifi -
cato che diventa corneificato scendendo al di sotto della linea ano-cutanea di Hilton. Nella parte invece so -
pra la pecten analis abbiamo un epitelio ancora cilindrico (a livello dei solchi anali) che diventa cubico a li -
vello delle colonne del Morgagni.
Nelle colonne di Morgagni sono presenti dei gomitoli vascolari che formano delle anastomosi artero-veno -
se. Per inciso, quando si parla di anastomosi artero-venose si parla di anastomosi fisiologiche che permetto -
no il passaggio di sangue da un vaso arterioso a uno venoso senza l'intervento di capillari. In alcuni casi tut -
tavia abbiamo delle anastomosi artero-venose che si possono formare nel corso della vita ad esempio a li -
vello polmonare o a livello del midollo spinale. Un’ anastomosi artero-venosa a livello polmonare può pro-
vocare anche un ascesso cerebrale. Qui invece abbiamo delle anastomosi artero-venose "normali", che for -
mano il gomitolo a livello delle colonne anali. La zona delle colonne viene chiamata zona delle emorroidi
interne, definendo come emorroidi le dilatazioni fisiologiche delle vene a questo livello .
• il muscolo sfintere anale esterno (volontario). Esso è molto più consistente di quello interno e ge-
neralmente viene suddiviso in tre strati : parte profonda, parte superficiale e parte sottocutanea.
Intorno al retto esiste infine la cosiddetta fossa ischio rettale, molto ricca in tessuto adiposo. Tale zona è
particolarmente importante dal punto di vista patologico. In alcune patologie croniche, infatti, soprattutto
in quelle auto aggressive come il Morbo di Crohn, si vengono a creare delle situazioni di comunicazione tra
il retto e la fossa ischio rettale: il passaggio di germi dal retto o dal canale anale nella fossa per mezzo di fi-
stole (passaggi che sono creati dal lavoro di enzimi tipo proteasi), può portare alla formazione di ascessi
(che possono interessare a tutto tondo il retto). Se gli ascessi sono cronici e continui, portano al danneggia -
mento dei muscoli (le cellule muscolari sono sostituite da collagene e fibroblasti): si perde la funzione di
sfintere. Se lo sfintere perde funzionalità ci può essere un restringimento del canale anale e un non conteni-
mento delle feci.
FEGATO
Il fegato è un organo molto importante non solo per la posizione che occupa ma soprattutto per la funzione
che ha (detossificazione, immagazzinamento). Esso ha una posizione intraperitoneale e presenta 4 facce:
superiore, inferiore, posteriore e anteriore.
In sezione sagittale si può notare come il peritoneo rivesta il fegato fino a giungere all'area nuda (posta
principalmente nella faccia posteriore e priva di rivestimento peritoneale) dove forma due recessi : il reces-
so sub frenico e il recesso epatorenale.
Guardando il fegato dal davanti possiamo vedere due lobi uno destro e uno sinistro. Qui il peritoneo riveste
i due lobi fino all’area nuda; si riflette e forma una doppia lamina (il legamento falciforme) che si porta in
avanti e in basso fino all’ombelico. L’ultima parte di tale legamento prende il nome di legamento rotondo.
Quindi il legamento falciforme (termine dovuto al suo particolare andamento) parte dall'area nuda, si porta
in avanti, aggancia il fegato e si prolunga sino a terminare a livello dell’ ombelico con il legamento rotondo.
Nella faccia postero-inferiore del fegato possiamo creare una H con due aste verticali, di cui la destra molto
più spessa dell’ altra, e una trasversale. La parte superiore dell’asta più spessa è occupata dalla vena cava
inferiore. La parte inferiore è invece occu-
pata dalla cistifellea che raccoglie la bile
prodotta dal fegato. Nell’asta trasversale
troviamo il cosiddetto ilo del fegato, aper-
tura che permette l’ingesso della vena por-
ta, dell’ arteria epatica derivante dal tronco
celiaco e l’uscita delle vie biliari. Il sangue
dunque entra nel fegato mediante l’ilo ma
fuoriesce mediante le vene epatiche o sovra
epatiche di fianco alla vena cava inferiore
per gettarsi poi all'interno di questa.
belico fetale. Tale vena, una volta all’interno del corpo del feto, si porta in alto e va verso il fegato. Questa
vena contiene sangue ricchissimo di ossigeno: è pertanto fondamentale che l’ossigeno trasportato dal san -
gue non sia completamente utilizzato dal fegato (è indispensabile la massima ossigenazione al livello cere -
brale e cardiaco). In questo periodo il fegato è un organo piuttosto grosso, di tipo emopoietico, cui deve es -
sere data una certa quantità di ossigeno. La vena ombelicale passa nel legamento rotondo del fegato, si
porta dietro, va verso l’ilo e cede un po’ di sangue ossigenato al fegato. Continua poi il suo percorso attra-
verso il dotto venoso che va a finire nella vena cava inferiore. Il sangue ossigenato passa così nella vena
cava inferiore che sbocca nell’atrio di destra e passa poi nell’atrio di sinistra (mediante il setto interatriale
che in periodo fetale è ancora aperto). Dall’atrofizzarsi della vena ombelicale (a livello epatico) e del dotto
venoso originano il legamento rotondo e il legamento venoso.
FEGATO (continua)
Nella lezione precedente avevamo visto che nella faccia postero-inferiore del fegato sono presenti due altri
lobi: lobo caudato e lobo quadrato (classicamente questi due lobi sono assegnati al lobo destro; nelle
tecniche moderne dello studio del fegato, invece, questi due lobi sono attribuiti al lobo sinistro).
Circolazione fetale
ombelicale passa nel legamento rotondo del fegato, si porta dietro, va verso l’ilo e cede un po’ di sangue
ossigenato al fegato. Continua poi il suo percorso attraverso il dotto venoso che va a finire nella vena cava
inferiore. Il sangue ossigenato passa così nella vena cava inferiore che sbocca nell’atrio di destra e passa poi
nell’atrio di sinistra. Dall’atrofizzarsi della vena ombelicale (a livello epatico) e del dotto venoso originano il
legamento rotondo e il legamento venoso (condizione che cambierà nell’adulto).
• faccia inferiore: cistifellea, lobo quadrato e in gran parte l'ilo del fegato e anche il legamento
gastro-epatico (che unisce lo stomaco al fegato) si inserisce a questo livello.
Abbiamo il legamento venoso nella parte sottile dell'aste dell'h. (lobo sinistro visto da dietro e da sotto). Il
peritoneo non ricopre bene la cistifellea; la borsa omentale arriva dietro il fegato: arriva fino al lobo
caudato (piuttosto in alto). Guardando meglio i limiti dell’area nuda del fegato vediamo che tale area è
circondata dal legamento coronario, che si continua in avanti con il legamento falciforme.
Area nuda
E’ il limite del peritoneo (non vi viene rivestita); si riflette in parte deviando nel muscolo diaframma, in
parte andando posteriormente, e in parte, quella inferiore, a rivestire il rene mettendosi in posizione retro-
peritoneale. La forma è una losanga in cui esistono "2 triangoli" di cui uno ben evidente sulla sinistra, e
l'altro più abbozzato sulla destra. In posizione superiore, centralmente, abbiamo il legamento falciforme. Il
peritoneo si porta in avanti a formare il legamento falciforme. I suoi limiti formano il legamento triangolare
di sinistra e di destra. A livello dell'area nuda abbiamo la vena cava inferiore, il cui limite risulta il lobo
caudato (il limite superiore, quello che la borsa omentale aveva dietro al fegato). Il peritoneo non ricopre
l’area intorno alla vena cava inferiore, la cistifellea e l’area intorno a questa. L'area nuda mostra con
evidenza la divisione tra superficie inferiore e posteriore e risulta nettamente posizionata nella porte
posteriore del fegato.
Lobulo epatico
Ha una forma
principalmente esagonale
(molto evidente in alcuni
tipi di fegato come quelli di
maiale e ratto). Il fegato è
circondato dal peritoneo,
ma non solo; al di sotto
abbiamo una capsula di
tessuto connettivo
denominata "capsula di
Glisson" che circonda il
fegato e manda del
connettivo al suo interno.
Questo connettivo viene
Autore: Gianluca Cotti per Medicina08 3 di 10
Anatomia ANS39 – APPARATO DIGERENTE 6 (15giu2011)
poi a rivestire i vari lobuli epatici. E' questa la ragione della netta evidenza della forma esagonale dei lobuli
nel fegato di determinati animali; nell'uomo la possibilità di intravedere la netta distinzione tra i lobuli varia
da individuo ad individuo.
Al centro di questo esagono è presente una vena, detta "vena centro-lobulare", mentre ai vertici
dell'esagono troviamo un ramo della vena porta, uno dell'arteria epatica e un ramo del dotto biliare.
Queste strutture vengono chiamate triadi portali (o per alcuni autori "triade di Glisson"), immerse in
connettivo che è una diramazione della capsula di Glisson. L'interno di questo lobulo presenta delle lamine
di singoli epatociti, le quali sono tutte dirette verso la vena centro-lobulare (a forma di raggiera tutta
intorno) che sono fortemente addensate tra loro all'interno del lobulo. Tra questi cordoni di epatociti
troviamo i sinusoidi che sono dei vasi molto ampli e presentanti ampie fenestrazioni tra le cellule
endoteliali; presentano solo dei resti di una membrana basale, è molto interrotta. C'è un certo spazio tra
l'epatocita e la parete del sinusoide. Gli epatociti non sono direttamente a contatto con le cellule
endoteliali ma c'è uno spazio, definito spazio del disse; in questo troviamo delle cellule con grandi
prolungamenti che circondano il sinusoide (in parte), queste prendono il nome di cellule di Ito o peri-
sinusoidali o stellate. Circondando in parte il sinusoide e avendo la capacità di contrarsi sono in grado di
diminuirne il diametro.
[Inoltre queste cellule contengono vescicole con al loro interno vitamina A (presente nell'uomo in minor
quantità, ma in animali come l'orso è abbondantemente presente nel fegato).]
lobulo epatico è dalla periferia verso il centro, mentre la bile si sposta dal centro verso la periferia.
Essendoci agli estremi del esagono un'arteria e una vena, è chiaro che solo una serie di sinusoidi è diretto
all'interno del lobulo. Ci sono due teorie:
2. che ci sia un mescolamento dei due sangui all'interno del sinusoide (è la soluzione esistente!).
Abbiamo, all'interno del sinusoide, un mescolamento di sangue arterioso e sangue venoso. Sia l'arteria che
la vena entrano nel sinusoide [E' un sangue misto!]. Da considerare però che, mentre scorre dalla periferia
verso il centro, il sangue ossigenato rilascia più O 2 ai primi epatociti e non tanto a quelli limitrofi alla vena
centro-lobulare. Gli epatociti posizionati vicino alla vena centrale riceveranno meno O 2 perchè già
consumato da quelli in posizione più periferica. Gli epatociti più giovani sono quelli posti in periferia, quelli
più vecchi son posti vicino alla vena centrale con minore apporto di O 2.
Il sangue scorre mescolandosi tra arterioso e venoso, dalla periferia verso il centro del lobulo epatico,
oppure va dal centro del lobulo verso la periferia. Lo schema che rappresenta la struttura microscopica del
fegato è a oggi quello più attuale sia sul piano funzionale, che su quello clinico. Il sangue portato nella vena
centro lobulare verrà raccolto dalle "vene sotto-lobulari" che sono grandi tronchi venosi con la funzione di
convogliare il sangue nelle vene sovra-epatiche o epatiche che fuoriescono dal fegato (questa suddivisione
ricorda quella molto precisa che c'era nel segmento polmonare).
Trapianti
Già nel '800 studiosi tedeschi scoprirono che il fegato avesse unità indipendenti, i così detti segmenti;
questa informazione rimase per molti anni puramente anatomica, senza utilizzo sul piano pratico. Il vero
utilizzo si è riscoperto con la chirurgia dei trapianti. Generalmente vengono considerati 8 segmenti del
fegato (molto simili a quelle del polmone). Inizialmente si trapiantava l'intero organo, perfuso con
determinati materiali; poi per scarsità di donatori si è cominciato a ricorrere alle vecchie conoscenze
maturate nel '800 dei segmenti. Si è cominciato ad isolare parti del fegato (che come sappiamo ha la
capacità di rigenerarsi, almeno in parte!) e solo pochi anni fa si è riusciti ad eseguire più interventi con lo
stesso donatore. I segmenti sono delle aree in cui arrivano rami dell'arteria epatica, rami della vena porta
che hanno un loro drenaggio biliare specifico.
Riassumendo: il fegato è un organo con una capsula di tessuto connettivo che è avvolto dal peritoneo,
quindi intra-peritoneale. Ha una zona libera da peritoneo "l'area nuda". Il peritoneo forma alcuni dei
legamenti più importanti che sono: il falciforme (non è un legamento che divide il fegato in lobo destro e
sinistro, è nettamente di superficie, è un legamento peritoneale, è la struttura del fegato stesso ad essere
divisa in questi lobi), i triangolari di destra e sinistra dell'area nuda, il gastro-epatico (questo ha più
importanza per lo stomaco che per il fegato). Il peso del fegato generalmente si aggira attorno ad 1,5 kg. Da
ricordare di specificare se contiene o meno sangue, il peso è nettamente differente.
PANCREAS
La sua lunghezza oscilla tra i 13-15 cm, si porta tra la prima e la seconda lombare, ed in ogni caso nella
parte più bassa della regione epigastrica. Si proietta sulla parete addominale anteriore con una linea che
passa circa a 10 cm sopra la linea ombelicale trasversale. Si porta dalla C duodenale alla milza dove è
collegato con il legamento spleno-pancreatico. Lo dividiamo in testa, collo (o Istmo, in alcuni testi), corpo e
coda.
Testa
E' una struttura abbastanza consistente. E' circondata della C duodenale, è a destra dei vasi mesenterici
superiori (vena e arteria) ed è caratterizzata dalla presenza del processo uncinato, posto posteriormente
all’arteria e alla vena mesenterica superiore. Posteriormente sono visibili i due vasi mesenterici. A destra di
questi c'è la testa del pancreas (l'arteria è più spostata a sinistra rispetto alla vena). Il processo uncinato è
posto posteriormente all'arteria mesenterica superiore. Ha un suo drenaggio e degli enzimi, perchè
possiede il dotto accessorio del Santorini. Embriologicamente il processo uncinato non viene originato
dalla stessa gemma del pancreas.
La testa giace:
La vena cava inferiore è posizionata nella parte destra rispetto all'aorta, posta più a sinistra. E’ chiaro che
nel momento in cui arriva la
vena renale da sinistra, questa
è posta dietro alla testa del
pancreas. Infatti non è presente
l'arteria renale di sinistra
proprio perché l'aorta è più
spostata a sinistra.
Anteriormente abbiamo il colon
trasverso. L'origine del meso-
colon è più o meno a questo
livello. Mentre nella parte del
corpo e della coda il meso-
colon rimane al limite inferiore,
nella parte della testa non
scende più di tanto, rimane
davanti alla testa del pancreas.
Troviamo di fronte i vasi
mesenterici superiori in gran
parte, e dietro, la vena cava
inferiore, l'aorta e il dotto biliare. Il dotto coledoco giace o in un incavo sulla superficie postero-superiore
della testa o incluso nel parenchima (se né è già parlato nei riguardi dei tumori al pancreas che possono
dare una possibile occlusione del dotto, di conseguenza l'ittero da stasi).
Istmo o collo
E' molto limitato in ampiezza, 1,5 cm massimo 2. E' sovrapposto ai vasi mesenterici che formano un incavo
sulla superficie posteriore. Giace al davanti del punto in cui la vena mesenterica superiore si congiunge con
la vena splenica, e questo punto è adiacente al punto in cui l'ilo dello stomaco si unisce al duodeno, proprio
a livello del piloro. Da questo punto di unione in poi parliamo di vena porta; davanti a questo troviamo il
colon. Questo punto ha un'area di circa 1,5 cm 2 ed è molto utile come punto di riferimento. Ci sono casi in
cui la vena mesenterica inferiore non giunge proprio nella vena splenica si getta a livello di questo angolo. Il
nostro punto di riferimento è la vena mesenterica con la vena splenica che gli passa dietro, in quanto
l'arteria è più spostata a sinistra.
Corpo
Giace a sinistra dei vasi mesenterici superiori, passando sopra l'aorta e la vertebra L1 e L2. Si trova dietro la
parte posteriore della borsa omentale, corrispondente alla parte dello stomaco (basti pensare che il collo
corrispondeva al piloro ed è chiaro che il corpo si trova proprio dietro la borsa omentale stessa). Ha la
forma di un prisma ed ha una superficie anteriore, posteriore ed inferiore con relativi margini.
• Parte posteriore: abbiamo l'aorta (appena entrata nell'addome), mentre la vena cava inferiore si
trova dietro il forame epiploico, dietro, a livello del piloro, perchè è a quel livello che è presente il
legamento epato-renale che delimita anteriormente il forame epiploico. Quindi se questo
legamento è avanti, nella cava inferiore è dietro (è retro-peritoneale). Quindi davanti alla cava
inferiore c'è il forame epiploico, al davanti ancora troviamo il legamento epato-renale. Il confine tra
duodeno e stomaco è proprio a livello del legamento epato-renale, è la prima parte del duodeno,
che è l'unica intra-peritoneale; invece l'aorta è posizionata più a sinistra, proprio dietro al corpo del
pancreas. La cava inferiore ha il pancreas alla sua sinistra (non gli sta dietro), al davanti ha già il
legamento epato-renale, quindi il bulbo duodenale (la prima porzione del duodeno) che andrà poi
a circondare la testa. La vena splenica decorre in lunghezza in un incavo del pancreas.
• Parte inferiore: abbiamo il tronco simpatico di sinistra, l'arteria mesenterica superiore (posta più a
sinistra rispetto alla vena omonima, perchè è quella che ha davanti il collo, in quanto vi entra la
vena splenica; di conseguenza tutto quello che vi sta a sinistra è il corpo), il grande psoas, la
ghiandola surrenale sinistra, il rene sinistro e i vasi renali. Il mesocolon trasverso è attaccato al
margine inferiore-anteriore di questo prisma.
Coda
E' lunga tra i 1,5 e i 3,5 cm. Si trova nell'ipocondrio sinistro a contatto con la milza che è davanti al rene
sinistro. E' in stretta relazione con l'ilo della milza e con la flessura colica di sinistra. E' collocata tra gli strati
del legamento spleno-pancreatico (è uno strato particolare che circonda parte della punta della coda). E'
prismatica ed ha anch'essa una superficie anteriore, posteriore ed inferiore. Da qui inizia il dotto
pancreatico principale (o dotto di Miles) [NdG: sul Gray il dotto pancreatico principale viene chiamato
"dotto di Wirsung"] che decorre all'interno piuttosto posteriormente. Il "dotto di Miles" inizia dalla punta
della coda per poi decorrere in posizione posteriore nel pancreas, fino a sboccare nel duodeno con
l'ampolla di Vater.
Vascolarizzazione
Le arterie che irrorano il pancreas sono i rami pancreatici provenienti dall’arteria splenica, l’arteria
pancreatica duodenale superiore e quella inferiore.
Le vene, invece, dal corpo e dalla coda si gettano nella vena splenica, mentre quelle provenienti dalla testa
confluiscono direttamente nella porta. Anche alcune vene gastriche si gettano direttamente nella porta.
Il ramo dell’arteria splenica proveniente dal tronco celiaco è posto sul margine superiore e invia una serie di
rami all’interno del pancreas, ad esempio la grande arteria pancreatica che è al confine tra coda e corpo.
Anche altri rami provengono dalla splenica. L’arteria splenica giunge alla milza e si divide in vari rami tra cui
la gastroepiploica di sinistra. Due sono i grandi vasi che partono dalla splenica e si dirigono allo stomaco
passando per il legamento
gastrolienale o gastrosplenico: le
gastriche brevi, che irrorano il
fondo dello stomaco (si dirigono
verso l’alto), e la gastroepiploica di
sinistra, che invece va verso il
basso irrorando la grande
curvatura nella sua parte sinistra.