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Figura 1

Consideriamo l’ultima immagine della lezione precedente con un soggetto che espira ed inspira
collegato ad uno spirometro.
Il volume respiratorio, come si nota dalla prima tabella, è massimo a fine inspirazione. Com’è la
pressione intrapleurica durante l’inspirazione e durante l’espirazione? Abbiamo visto nei giorni
scorsi che la pressione intrapleurica è quella che consente l’accoppiamento tra gabbia toracica
e polmone. La gabbia toracica espandendosi determina una diminuzione della pressione
intrapleurica; questa è la causa dell’aumento della pressione transmurale che determina
l’aumento di volume polmonare. Quindi si parte da un valore di fine espirazione che è di circa –
5 cm H20 ( vi ricordo che la pressione intrapleurica non è uguale in tutto lo spazio pleurico e
questo – 5 viene considerato circa all’altezza del cuore perché quello è il punto indifferente del
sistema circolatorio e viene considerato anche come punto di riferimento nel caso della
pressione intrapleurica ) . Durante la inspirazione vedete che la pressione intrapleurica diventa
più negativa, per esempio può diventare – 6, - 7, -8 : dipende da quanto stiamo ventilando
quindi diventa negativa e poi ritorna ad essere – 5 circa alla fine della espirazione. Vediamo più
nel dettaglio come varia la pressione intrapleurica .
La linea tratteggiata rossa che vedete dal punto A al punto C si riferisce al valore di pressione
intrapleurica necessaria per mantenere il volume polmonare ad un certo valore. Se parto dalla
fine della espirazione ,inspiro un pochino e poi rimango con la bocca aperta ad un volume
polmonare un po’ più ampio: flusso 0, vie aeree aperte, la pressione che c’è alla fine del nuovo
volume che io ho aggiunto inspirando se c’è 0 flusso è quella indicata in B; quindi la riga rossa
tratteggiata indica qual è la pressione intrapleurica che serve a fare il lavoro elastico che
abbiamo visto nella lezione precedente perché se io volessi aggiungere un volume superiore
alla capacità funzionale residua io inspirerei e la pressione intrapleurica si negativizzerebbe. La
linea rossa mi dice qual è la pressione intrapleurica che necessaria per mantenere il volume ad
un certo valore però con 0 flusso.
In realtà io so bene che mentre inspiro il flusso c’è. La linea rossa tratteggiata la ottengo
sperimentalmente se , mentre faccio il tracciato spirometrico , salgo a gradini cioè inspiro ed
espiro con alta frequenza ( invece che inspirare ed espirare una sola volta lo faccio più volte
vicine ). Ogni volta che mi fermo raggiungo un volume più alto e posso misurare, se ho il
palloncino esofageo, il valore della pressione esofagea che raggiungo e , siccome c’è 0 flusso, il
valore di pressione esofagea sarà uguale al recoil polmonare , cioè la tendenza del polmone al
collasso ed è rappresentato dalla linea tratteggiata. Però se io inspiro, come vedevamo la volta
scorsa parlando del lavoro inspiratorio ed espiratorio, non mi basta avere una pressione
intrapleurica che mantiene ilvoluma ad un certo valore, devo anche mantenere il flusso di aria
che entra nelle vie aeree o che esce. Allora in inspirazione siccome la pressione alveolare è più
negativa della pressione esterna ambientale, barometrica, la pressione intrapleurica sarà un
pochino più negativa di quanto non sarebbe per il solo mantenimento del volume polmonare.

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Allora andiamo a vedere se è vero. Per esempio mettiamoci ad un volume che corrisponde al
punto B vedete che, se io tengo la vie aeree aperte al volume che corrisponde a B, la pressione
intrapleurica è quella di B a questo volume. Se però da questo volume passo durante la
inspirazione la pressione pleurica è in realtà un po’ più negativa. Questa differenza è la
componente di pressione intrapleurica che sostiene il flusso di aria dall’aria ambiente
all’alveolo. Quindi questa lunetta in azzurro è la lunetta che corrisponde alla pressione
dinamica che devo avere nelle vie aeree per sostenere il flusso di aria all’ingresso. Quando
espiro succede la stessa cosa : la riga rossa rappresenta i valori di pressione che io devo fare
un giorno per mantenere espanso il polmone ad un certo volume. Sono praticamente valori
speculari ai valori nell’altra metà del grafico. Però vedete che la pressione intrapleurica vera
quella che misuro con il palloncino esofageo non è quella della linea tratteggiata, ma è un po’
più positiva perché devo rendere più positiva la pressione alveolare per far sì che venga
supportato un flusso di aria dall’alveolo all’esterno. Allora la pressione intrapleurica sarà un po’
più positiva di quanto mi attendo per la sola espansione al volume x e la differenza tra la curva
tratteggiata, che è quella che corrisponde al valore di pressione intrapleurica che mi tiene il
volume polmonare ad un certo valore, e la pressione pleurica reale è la pressione dinamica. E’
una componente piccola, è circa 1 cm H2O nella respirazione tranquilla, può diventare un po’ di
più 3, 4 cm H2O nella inspirazione o espirazione massimale. Nella respirazione tranquilla è
soltanto circa 1 cm H2O sia nella inspirazione che nella espirazione. Quindi l’andamento della
pressione intrapleurica ricalca l’andamento del volume polmonare. Adesso passiamo dal
volume al flusso .
flusso = volume / intervallo di tempo considerato

Figura 2
Se ho un grafico di questo tipo ( figura 2) il flusso non è altro che la pendenza. Allora se io ho
un grafico volume tempo a fine espirazione e a fine inspirazione il flusso sarà 0. A fine
inspirazione e a fine espirazione devo invertire il senso del flusso e diventa comunque 0. La
pendenza è massima nel punto indicato con M della fase inspiratoria e allora io avrò il flusso
inspiratorio massimo in questo punto, poi il flusso scende fino a diventare 0. Poi se espiro nel
punto S ho la pendenza massima per poi tornare a 0 a fine espirazione. Sotto , sempre nella
figura 3 , abbiamo l’andamento del flusso respiratorio. Nella figura 1 lo stesso andamento
sembra una sinusoide in realtà non è proprio così ( vedi figura 3). Le curve nelle due figure
sono al contrario: non è un errore. Dipende da come considero il flusso inspiratorio negativo o
positivo, ma è solo una convenzione. La figura 1 è più didattica perché vi fa vedere
l’andamento del flusso e la pressione alveolare. Quando io inspiro ciò che causa l’inspirazione è
il fatto che nell’alveolo la pressione sia diventata negativa rispetto all’esterno e quindi io
inspiro. E’ ovvio che, dato che :
Flusso = Δ P / R
R = resistenze delle vie aeree

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Le resistenze delle vie aeree variano di poco nell’inspirazione e nella espirazione nell’ambito
della ventilazione normale. Allora è chiaro che al variare del flusso deve variare questo Δ P =
differenza di pressione tra ambiente e alveolo = pressione alveolare – pressione barometrica =
pressione alveolare. Dunque l’andamento del flusso segue in maniera speculare l’andamento
della pressione alveolare.
Quindi la pressione intrapleurica definisce l’andamento del volume , la pressione alveolare
definisce l’andamento del flusso. Vi ricordo che questa pressione alveolare non è altro che la
pressione dinamica. Provate a guardare la lunetta azzurra e analizzarla ora. Tenete conto che Δ
P è la differenza tra pressione alveolare e pressione barometrica e questa non è altro che la
pressione dinamica.
Allora provate a guardare qua( tabella 2 della figura 1) : la pressione dinamica è l’altezza o
meglio la differenza tra la curva blu e la curva rossa. Allora a fine espirazione la differenza è 0 (
punto A), la differenza massima è tra B e B1 e qui la pressione alveolare è massima a livello di
questa differenza . Alla fine della inspirazione la differenza è di nuovo 0 perché non c’è flusso,
poi la pressione pleurica diventa un po’ più positiva della pressione …allora avremo di nuovo
una pressione dinamica massima e poi diventa alla fine della espirazione di nuovo 0. Allora
questa non è altro che la visualizzazione esplicitata dell’andamento delle tabelle sottostanti.

CURVA DEI MASSIMI INSPIRATORI ED ESPIRATORI

Figura 3
Questo è sempre un diagramma pressione / volume . E’ la stessa cosa che avete già visto
arricchita di qualche curva. In ordinata c’è la capacità vitale ( il volume) , in ascissa la pressione
alveolare. La parte centrale non è altro che il grafico pressione / volume visto nelle lezioni
precedenti con le tre curve ( quella del polmone, quella della gabbia toracica e quella del
sistema respiratorio) però compresse ( dal valore di -20 al valore di + 20). Però ci sono altre
curve: quelle blu e quelle rosse. Queste curve si riferiscono alle curve che ottenete facendo
delle inspirazioni o espirazioni massimali, cioè vi danno un’idea di quale sia la massima
capacità dei muscoli rispettivamente inspiratori ed espiratori di aumentare la pressione
alveolare. Sono un indice della funzionalità respiratoria.
Per capire le curve bisogna capire la manovra sperimentale che si fa. Ci si mette sempre
attaccati allo spirometro e si va per esempio ad un volume indicato dalla lettera V ( il massimo
della capacità vitale che si riesce a raggiungere). Fate un’inspirazione forzata dopo di che fate
una espirazione massimale però chiudendo, con una valvola apposita, l’accesso allo
spirometro. Mi spiego. Voi avete in mente il boccaglio, dal boccaglio misuriamo la pressione
alveolare e infatti questa l’abbiamo misurata. La pressione alveolare è la pressione che c’è
nella bocca se c’è 0 flusso. Allora il boccaglio può dare adito al gruppo valvolare e ai due tubi
che vanno allo spirometro però i boccagli hanno un setto, una specie di valvola, che chiude la
via espiratoria. Quindi voi potete fare una espirazione massimale però in realtà l’aria rimane lì.
E’ come se io chiudessi la bocca e facessi uno sforzo espiratorio solo che se lo facciamo contro
uno spirometro posso misurare la pressione alveolare , posso misurare il volume che ho
raggiunto prima che la valvola si chiuda quindi io inspiro e poi la valvola si chiude e espiro al

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massimo che posso. Il tubino che arriva lì alla bocca misura la pressione alla bocca che,
essendo il flusso uguale a 0, è uguale alla pressione alveolare. Misuro quindi un valore di
pressione che dipende dal volume. Guardando la figura 3, se io faccio questa manovra che mi
porto al massimo del volume che posso inspirare e poi faccio questa manovra il volume scende
un po’ ( sperimentalmente il volume non viene misurato dallo spirometro perché è chiuso ,ma
da un altro misuratore dall’esterno), Quello che ottengo è che la pressione diventa molto
positiva fino circa 200 cm H2O e il volume si riduce un pochino. Partendo dal volume del punto
V seguo la freccia e trovo il punto corrispondente sulla curva blu che indica il valore di
pressione.
Posso portarmi a tutti i volumi e fare questa manovra espiratoria.
E’ interessante notare che se io sono ad un volume basso come il volume residuo facendo la
stessa manovra ( inspirazione ed espirazione massima) vedete che faccio una pressione che è
più elevata di quella che io ho nelle vie aeree però neanche tanto positiva.
Questo è l’andamento della pressione massima che può essere esercitata dai muscoli in
questo caso espiratori(nella parte di destra). La cosa interessante da notare è che i muscoli
espiratori intanto riescono a determinare una pressione non indifferente, ma la cosa
significativa è che la pressione che riescono a sviluppare dipende dal volume iniziale dal quale
partiamo. Questo non è strano perché il muscolo esprime una forza differente a seconda della
lunghezza delle fibre muscolari. La lunghezza delle fibre muscolari nell’assetto che i muscoli
intercostali hanno è tale per cui la pressione più elevata che possono sviluppare è per un valore
di volume massimo. I muscoli espiratori sono portati ad una lunghezza favorevole cioè in
pratica a L 0 quando sono al massimo volume e questo è ragionevole perché è al massimo
volume che il sistema respiratorio ha l’esigenza di fare l’espirazione più efficace. Vedete però
due curve diverse : la curva blu continua è quella che ottengo sperimentalmente, quella
tratteggiata è quella che ottengo correggendo per le caratteristiche statiche a rilasciamento
del sistema respiratorio ( sottraggo alla curva blu continua la curva del sistema respiratorio).
Un’altra cosa interessante da notare è che se io considero il punto in cui la curva del sistema
respiratorio totale interseca l’asse a pressione 0 non ottengo il volume segnato a destra dalla
linea orizzontale , ma il volume segnato qui. Perché? Si riduce il volume di aria che c’è dentro,
siccome per la legge di Boile P. V = costante,siccome stiamo facendo uno sforzo espiratorio che
mi fa aumentare enormemente la pressione, allora il gas contenuto nelle vie aeree viene un po’
compresso e allora il volume totale del sistema diminuisce non perché venga spremuto il
polmone, ma perché viene compressa l’aria trattenuta nelle vie aeree.
La curva rossa a sinistra è l’analogo fatto però in fase inspiratoria. Ci si porta ad un volume di
massima espirazione e si fa una inspirazione forzata. Vedete che la pressione che si raggiunge
a fine espirazione massimale è 200, qui è molto meno ( a fine inspirazione massimale) sarà
-100, -120 ,non di più. Sarà uno sforzo maggiore inspirare che espirare. Non si riesce a
raggiungere la stessa pressione. Durante la fase di inspirazione a bocca chiusa si crea una
pressione molto negativa e questo fa sì che l’aria contenuta negli alveoli questa volta si
espanda un pochino ed ecco perché il punto non è qui, ma è un po’ più in su perché sto
espandendo l’aria in quanto la pressione è diventata molto negativa. Vedete che quando si
arriva al massimo volume inspiratorio anche facendo uno sforzo inspiratorio massimale non si
riesce a variare molto il volume. Quindi vedete come il range di valori di pressione è molto
modificato rispetto a quanto abbiamo visto nella respirazione normale che abbiamo visto è un
indice del grado di efficienza dei muscoli inspiratori. Ci sono delle condizioni patologiche dovute
alla debolezza della muscolatura espiratoria e inspiratoria che modificano
grandemente l’aspetto di queste curve.
Con questo abbiamo finito la meccanica respiratoria.

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TRASPORTO DEI GAS NEL SANGUE
La respirazione consiste nel riuscire a trasportare ossigeno alla cellula, ai mitocondri in
particolare, e nel risciacquare via dalla cellula la CO2 che viene ceduta. Questo richiede una
certa complessità del sistema perché l’ossigeno e l’anidride carbonica non sono scambiati con
la cellula a livello alveolare: l’alveolo rappresenta un sistema di scambio che è lontano dalla
stragrande maggioranza delle cellule, le uniche cellule che scambiano gas direttamente con
l’alveolo sono le cellule epiteliali alveolari. Tutte le altre sono ben lontane dall’alveolo.

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Figura 4
Allora da questa tabella lo vedete per l’ossigeno, ma vale la stessa cosa al contrario per la CO2
che l’O2 passa dall’ambiente, entra nelle vie aeree e arriva fino agli alveoli, poi attraversa la
parete alveolo – capillare e arriva nel plasma, quindi deve passare al globulo rosso, una volta
nel globulo rosso fa la sua strada nel sistema circolatorio arrivando nei tessuti. Nei tessuti
dovrà passare dal globulo rosso al plasma, dal plasma al tessuto e finalmente potrà entrare
nella cellula per essere utilizzato a livello del mitocondrio. Quindi di strada l’ossigeno ne deve
fare molta. Per fare questa strada anche l’ossigeno ha bisogno di energia. L’ossigeno che passa
tra i compartimenti deve vincere delle resistenze e deve avere una fonte energetica che ne
condiziona lo spostamento. La fonte energetica in questo caso è unicamente il gradiente di
pressione parziale che sospinge l’ossigeno attraverso i vari compartimenti attraverso le varie
barriere che deve attraversare. Le barriere che deve attraversare sono la parete alveolo –
capillare, la parete del globulo rosso, la parete del capillare a livello tissutale e la parete
cellulare. Quindi ha bisogno di questi gradienti di pressione che lo spingano per arrivare alla
fine del suo tragitto. La CO2 deve fare il tragitto opposto e anche questa avrà bisogno di un
gradiente. Allora vediamo quali sono questi gradienti riferiti all’ossigeno. Si chiama cascata
dell’ossigeno , cascata perché ha sempre un andamento discendente passando dall’aria fino
nel mitocondrio. Nell’aria, lo sappiamo già, è circa 150 mmHg la pressione parziale di ossigeno
, a livello alveolare l’ossigeno ha una concentrazione del 14%, il che dà una pressione parziale
di 100, 105 a livello alveolare; la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso è
leggermente inferiore a quella che troviamo nell’alveolo (si parla di sangue arterializzato per
dire che si è messo in equilibrio con l’alveolo e quindi si parla di pressione parziale arteriosa
come uguale a quella nell’alveolo).
Questa figura giustamente vi fa osservare che non sono valori di pressione esattamente uguali
(a livello alveolare e nel sangue venoso), ma c’è una piccola differenza però l’importante è che
vi ricordiate che il sangue arterioso che è messo in equilibrio con l’aria alveolare ha una
pressione parziale di ossigeno simile (intorno ai 100 mmHg). Poi in realtà vedremo che ci sono
delle circostanze in cui la pressione arteriosa è molto inferiore rispetto a quella alveolare per
esempio nel caso in cui si assista ad una condizione patologica come quella dello Shunt.
Dall’arteria alla vena c’è un drammatico calo di pressione: il sangue venoso contiene circa il
75% del sangue presente a livello arterioso. Questo vuol dire che non è vero che il sangue ceda
tanto in termini quantitativi però la forma della curva di dissociazione dell’ossigeno fa sì che la
pressione parziale di ossigeno cada a circa 60 mmHg nonostante la saturazione del sangue
venoso sia ancora molto alta di circa il 70, 75%. Nel citoplasma e infine nei mitocondri il valore
di pO2 è molto basso. Nel mitocondrio l’ossigeno ha una pressione parziale che potrebbe
essere intorno ai 7, 10 mmHg ,questa è la pressione parziale che serve all’ossigeno per arrivare
fino al mitocondrio ed essere lì utilizzato.

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Adesso avete un’idea più precisa del perché una diminuzione della pressione parziale di
ossigeno nell’ambiente ha un effetto spiacevole e anche spesso drammatico. Se con 150
mmHg o di più nell’ambiente io riesco a rifornire il mitocondrio a una pressione parziale di circa
10 mmHg: il margine è poco. Se la pressione parziale di ossigeno si riduce è chiaro che il
rischio è quello che la pO2 , dovesse poi superare l’ossigeno varie resistenze, quando arriva nel
mitocondrio diventi 0 ( non ce n’è più). Se l’ossigeno potesse essere erogato così come è
nell’aria ambiente ce ne sarebbe da vendere a livello mitocondriale il problema è che deve
superare una serie di resistenze. In effetti quello che succede in alta quota è che tutta la curva
è spostata verso il basso. Quello che si può dire è che il calo che si ha dal livello arterioso al
livello venoso è contenuto a causa dell’intervento della iperventilazione e dell’intervento di
alcuni comportamento fisici della curva di dissociazione sia dell’ossigeno sia della Co2.
Vediamo ora la strada che fa l’ossigeno.

Figura 5
Nell’immagine vediamo partendo dall’esterno uno strato di epitelio alveolare, poi uno strato
che rappresenta l’interstizio polmonare, poi lo strato dell’endotelio polmonare. La distanza tra
epitelio alveolare e endotelio polmonare compone quella che si chiama membrana alveolo –
capillare. Questa distanza è davvero molto sottile: è di circa 0,1 μm.
Questo 0,1 μm è costituito dalla maggior parte dall’interstizio che c’è tra le due membrane
cellulari. Nel caso in cui si abbia uno squilibrio delle forze che presiedono alla situazione del
liquido al di fuori del capillare, per la legge di Starling, oppure nel caso in cui i linfatici
polmonari non riescano a drenare bene questo interstizio polmonare, il volume dell’interstizio
aumenta. Questo è quello che si chiama edema polmonare che dà come immediata
conseguenza una insufficienza respiratoria. La superficie della membrana alveolo – capillare,
considerando tutti gli alveoli su tutti e due i polmoni in un soggetto normale adulto, varia tra i
70 e i 100 m2.
Attraverso questa parete alveolo – capillare passa l’ossigeno ( ci passa anche CO2). L’ossigeno,
come detto prima, deve passare prima attraverso questa parete, arriva nel plasma, poi passa
al livello dell’eritrocita e viene trasportato dall’emoglobina a livello dell’eritrocita. In questo
passaggio il globulo rosso deve vincere queste resistenze.
Una resistenza di membrana che è inversamente proporzionale a un parametro DM che prende
il nome di coefficiente diffusivo di membrana:
RM = 1 / DM
Tanto è maggiore il coefficiente diffusivo tanto più facilmente l’ossigeno passa. Troveremo un
coefficiente diffusivo per l’ossigeno e un coefficiente diffusivo per la CO2; ogni gas ha il suo
coefficiente diffusivo.

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Una volta nel plasma l’ossigeno passa nel globulo rosso dove si lega all’emoglobina con una
velocità di legame che dipende da questo parametro: Ө . V cap.
Ө è la resistenza offerta dal legame chimico dell’ossigeno con l’emoglobina. Nel momento in
cui l’ossigeno supera la barriera alveolo – capillare deve superare una serie di tappe per legarsi
al suo gruppo eme. Queste tappe condizionano la velocità con cui l’ossigeno si lega
all’emoglobina. Quanto venga trasportato in ossigeno legato all’emoglobina dipende da quanta
emoglobina c’è, cioè dipende da qual è il volume di sangue nel capillare polmonare. Ecco
perché il flusso di ossigeno che può essere trasportato a livello polmonare dipende non solo da
quanto ne passa dalla barriera alveolo – capillare, ma anche in effetti da quanto può legarsi
all’emoglobina e da quanto velocemente questo legame si ottiene. Quindi la resistenza offerta
dal legame chimico dell’emoglobina sarà :
R leg = 1 / Ө . V cap
Ө = 0,03 ml 02 / min . mmHg. ml sangue
Quindi la resitenza totale di questo passaggio che ci viene offerta dal flusso di ossigeno
attraverso l’endotelio è data dalla somma di queste due componenti:
R tot = RM + R leg = 1 / DM + 1 / Ө . Vcap = 1 / D tot
Dtot = coefficiente diffusivo totale

DIFFUSIONE DEI GAS RESPIRATORI


Ora consideriamo il passaggio dell’ossigeno attraverso la membrana dell’alveolo capillare. La
membrana dell’alveolo capillare è la membrana A e c’è un flusso di gas (l’ossigeno in questo
caso) che passa attraverso questa membrana. Come passa? Vedi la legge di Fick.

Figura 6
Note sulla legge di FICK sulla legge di KROGH. Il flusso è direttamente proporzionale alla
differenza di concentrazione del gas tra i due ambienti. Questa legge non è valida solo per
l’ossigeno, ma per tutti i gas. La differenza di concentrazione del gas è la fonte energetica che
promuove il flusso che è passivo seguendo questa differenza di concentrazione. Tanto
maggiore è il coefficiente diffusivo ( DM ) tanto maggiore è il flusso. Il flusso è direttam,ente
proporzionale all’area (A) e inversamente proporzionale allo spessore della membrana (τ): se la
membrana è molto sottile il gas passa molto velocemente, se la membrana è molto più spessa
ci impiegherà molto tempo. Questo è il motivo per cui l’area è 100 m2 e lo spessore è 0,1 μm:
così viene ottimizzato il passaggio del gas.
Questa è la legge originaria, ma in realtà la legge è stata modificata da Krogh, fisiologo
dell’inizio del ‘900 che ha vinto il Nobel per questi suoi studi, il quale ha sostituito al posto delle
concentrazioni del gas le pressioni parziali. Siccome Henry, prima di lui, aveva stabilito che c’è
questo rapporto tra concentrazione del gas e pressione tra due aree del gas, allora Krogh ha
pensato che è difficile misurare la concentrazione del gas nel tessuto e ha sostituito questi

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valori di concentrazione con i valori di pressione parziale del gas. Quindi nella legge di Krogh al
posto della differenza di concentrazioni c’è la differenza di pressioni parziali del gas.
Questo coefficiente di diffusione di Krogh ( KM ) è proporzionale alla solubilità del gas e al suo
peso molecolare. E allora l’ossigeno è molto meno diffusibile della CO2: questo ha un
importante effetto sulle pressioni parziali in gioco.
Sui testi potete trovare nell’equazione di Fick DM al posto di KM, ma è la stessa cosa.
Ormai la legge più utilizzata è quella di Krogh ( comunque secondo la prof è utile conoscerla
entrambe).
Adesso vediamo quali sono i valori.

Figura 7
Nell’immagine c’è la membrana alveolare, quello sotto è il capillare e le frecce indicano il
sangue venoso e il sangue arterioso. L’arteria polmonare porta il sangue venoso misto che è
povero di ossigeno e ricco di CO2 la pressione parziale di ossigeno è 40 mmHg, mentre la
pressione parziale di anidride carbonica è 46 mmHg. Nell’alveolo abbiamo una pressione
parziale di ossigeno di 100mmHg e una pressione parziale di CO2 è circa 40 mmHg.
Che cosa succede dati questi valori di pressione? Cominciamo con l’ossigeno.
Consideriamo sempre la legge di Krogh o di Fick, come preferite, la pO2 nel sangue arterioso è
100, la pO2 nel sangue arterioso è 40.
.
V (O2) = A / τ . KM (O2) . ( pO2alveolo – pO2venoso ) = A / τ . KM (O2) . (100- 40) = A /
τ . KM (O2) . 60
Vedete che c’è un gradiente di pressione di 60 mmHg che spinge l’ossigeno dall’alveolo nel
sangue. L’ossigeno entra fin quando permane questo gradiente di pressione parziale tra
alveolo e sangue che passa nel capillare, quando la pressione parziale di ossigeno nell’alveolo
e nel sangue capillare saranno diventate uguali, cioè quando la pressione di O2 nel sangue che
sta transitando nell’alveolo ha raggiunto il valore della pO2 nell’alveolo non si scambia più
ossigeno ed è quello che succede. Il sangue arterioso esce con una pressione parziale di
ossigeno uguale a quella dell’alveolo a meno di un piccolo gradientino che serve per transitare
attraverso la parete. Vedremo che non è così in tutte la regioni del polmone, il polmone non si
comporta omogeneamente ovunque, ci sono delle differenze, ma questo è il valore medio.
Vediamo cosa succede alla CO2. La CO2 che arriva con il sangue venoso misto determina una
pressione parziale di 46, 47 mmHg. Nell’alveolo pressione parziale è 40 quindi, secondo la
legge di Krogh, il flusso di CO2 sarà:
.
V = A / τ . KM (CO2) . ( pCO2venoso – pCO2alveolo) = A / τ . KM (CO2) . (46 – 40) = A / τ . KM
(CO2) . 6
Quindi la CO2 tenderà a fluire dal sangue venoso nell’alveolo seguendo questo gradiente di
pressione parziale di 6mmHg fino a che questo gradiente verrà esaurito quando la pressione

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parziale del sangue venoso sarà diventata uguale alla pressione parziale alveolare,cioè 40 .
Allora capite che il sangue che esce dal capillare polmonare ,quello che ritorna al cuore
attraverso la vene polmonari avrà raggiunto le stesse pressioni parziali di O2 e di CO2 che ci
sono nell’alveolo. Bisogna dunque ricordarsi che la pressione parziale di O2 e di CO2 nel
sangue arterioso in condizioni normali riflette la pressione parziale di O2 e di CO2 a livello
alveolare. Ecco perché cambiare le pressioni parziali di O2 e di CO2 mediante la ventilazione fa
variare anche le pressioni parziali di O2 e di CO2 nel sangue arterioso. Se nel sangue arterioso
c’è poco ossigeno perché lo sto consumando con l’attività muscolare libera CO2 facendo
aumentare la pressione parziale di CO2 a livello muscolare, si abbasserà la CO2 a livello
alveolare : questo non va bene. Poi non riesco a ristabilire queste pressioni parziali e allora
ecco che ventilando si modifica anche il contenuto di O2 e di CO2 nel sangue arterioso. Così
vedete che relazione c’è tra circolo e respirazione.
Come mai alla CO2 bastano 6 mmHg per transitare attraverso l’alveolo e l’ossigeno invece
richiede un gradiente di 60? C’è differenza tra il flusso di ossigeno e di anidride carbonica?
. . .
QR = V (CO2) / V (O2) = 1 quindi V = A / τ . KM (O2) . 60 = 250 ml/min
.
V = A / τ . KM ( CO2) . 6 = 250 ml/min

Il quoziente respiratorio ci dice che il rapporto tra il flusso di CO2 prodotto e il flusso di O2
consumato varia tra 0,7 e 1, però varia anche tra 0,8 e 3 ( lo vedremo con il metabolismo).
Quindi è vero che non è sempre esattamente 1 ( lo abbiamo visto anche quando abbiamo
parlato della spirometria che non possiamo assumere che sia 1), però non è tanto diverso da 1.
In questo caso possiamo dire che il flusso di O2 e di CO2 sono abbastanza simili. Se il consumo
di ossigeno al minuto è 250 ml di O2 per un quoziente respiratorio di 0,8, il quoziente di CO2
non sarà 250 ml, è lì vicino però : non c’è una differenza di 10 volte. Uno guardando i gradienti
che abbiamo visto prima direbbe : l’O2 ha bisogno di un gradiente di 60 mmHg, la CO2 di 6,
vuol dire che i flussi sono molto diversi. NO! Sono più o meno uguali: c’è una piccola differenza
legata al quoziente respiratorio. Se fossero uguali approssimativamente allora il problema si
pone; che cosa ottengo?
. .
V (O2) = V ( CO2)
A / τ . KM (O2) . 60 = A / τ . KM (CO2) . 6
KM (CO2) / KM (o2) = 60 / 6 quindi KM (CO2) = 10 KM (O2)
Quindi arrivo a questa definizione cioè che il coefficiente di diffusione della CO2 è circa 10 volte
superiore rispetto all’O2. La CO2 passerà liberamente attraverso la barriera alveolo – capillare,
molto più facilmente dell’O2. Ed è per questo che lo spostamento della CO2 attraverso la
barriera alveolo – capillare è molto semplificata: richiede un gradiente di pressione molto più
basso, semplicemente perché è più elevato il coefficiente di diffusione.

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Figura 8
Allora qui ci sono dei calcoli per indicarvi che a riposo il coefficiente di diffusione totale per l’O2
è circa 5 ml /min . mmHg ci gradiente di pressione di O2. Nel lavoro muscolare questo
coefficiente aumenta perché aumenta il gradiente di pressione per l’O2 dato che nel lavoro
muscolare si estrae più ossigeno dal sangue e quindi la pressione parziale di ossigeno nel
sangue venoso è molto più alta ( è 20 invece che 40) quindi il gradiente di pressione di
ossigeno per il suo passaggio non è 100 – 40, ma 100 -20 quindi non è 60 , ma è 80. Questo
influisce sulla velocità di passaggio dell’O2 migliorando il coefficiente di diffusione totale.

TEMPO DI TRANSITO DEL SANGUE NEL CAPILLARE


POLMONARE

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Figura 9
Il sangue che passa dall’alveolo deve cedere CO2 e caricarsi di O2 : ce la fa nel tempo in cui
passa? Sì. Vedi l’immagine: in ordinata le pressioni parziali, in ascissa il tempo di transito nel
capillare alveolare. E’ indicato l’inizio e la fine del capillare.
Nella condizione normale la pressione parziale all’inizio del capillare ( è riferita all’ossigeno) è
circa 40 mmHg, passando attraverso il capillare arriviamo a 100 mmHg. Questo aumento della
pressione parziale avviene in 0,25 secondi, il tempo totale di transito è di circa 1 secondo. Ci
mette ( vedi immagine) circa 0,75/ 1 secondi per passare dall’inizio alla fine del capillare.
Invece il tempo richiesto per raggiungere l’equilibrio tra l’alveolo e il capillare è di 0, 25
secondi. Quindi il sangue va ad una velocità che consente ampiamente l’adeguato scambio di
ossigeno e di Co2 , anche in condizioni di aumentato flusso di sangue. Aumentando il flusso di
sangue aumenta la velocità di transito, però si arriva sempre in una condizione in cui il
completo raggiungimento del valore massimo di pO2 è garantito.
Poi è indicata la situazione anormale. La situazione è anormale quando un soggetto, ad
esempio, ha un edema polmonare: è aumentato il volume dello spazio interstiziale perché è
pieno d’acqua e quindi è aumentato lo spessore τ . Allora essendo aumentato lo spessore
diminuisce il coefficiente di diffusione. Sono due componenti diverse, ma siccome la diffusione
avviene attraverso uno spessore più ampio, il coefficiente di diffusione diminuisce e in più ,
pesa due volte perché anche lo spessore aumenta. Quindi , siccome il flusso di ossigeno è
rallentato perché è diminuito il coefficiente di diffusione, il sangue si mette in equilibrio, ma ,
vedete dall’immagine, arriva proprio al pelo. Quindi l’edema polmonare , rallentando gli scambi
diffusivi, fa sì che il sangue che esce dal polmone non si è arterializzato, non ha raggiunto la
stessa pressione parziale di ossigeno che c’è a livello alveolare e, nel contempo, non ha ceduto
la quantità di CO2 che invece dovrebbe. Quindi con l’edema polmonare si ha una condizione in
cui assistiamo a ipercapnia (aumento della pressione parziale di CO2) e ipossia ( diminuzione
della pressione parziale di ossigeno). Questo è legato semplicemente ad un fattore geometrico.
Questa figura mostra anche qual è il tempo di transito dell’ N2O( biossido di azoto) nel plasma :
vedete che è rapidissimo.
CO è monossido di carbonio e non sale mai: passa così velocemente che va direttamente a
finire nel globulo rosso e sbatte fuori l’O2 e si lega lui all’emoglobina quindi è assolutamente
pericoloso.
Questa figura comunque vi illustra anche che i gas si comportano in maniera molto diversa
attraverso la barriera alveolo – capillare : vedete la differenza che c’è tra N2O, CO e O2.

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TRASPORTO DI O2 NEL SANGUE

Figura 10
Adesso l’O2 è arrivato nel sangue però nel sangue ci sono due componenti : il sangue e il
globulo rosso. L’ossigeno nel sangue viene trasportato in due forme:
- liberamente disciolto ( 0,003 ml O2 / 100 ml di sangue.mmHg di pO2): è una quantità
esigua. Siccome la pressione parziale del sangue arterioso è circa 100 mmHg la quota di
O2 presente nel sangue sottoforma di gas liberamente disciolto è questa. Ricordate che
questi parametri sono espressi in relazione a 100 ml di sangue, ma il volume di sangue è di
5 litri;
- chimicamente legato all’emoglobina ( 1,34 ml O2 / gr Hb). Qui vedete l’atomo di ferro
legato all’emoglobina con i suoi 4 gruppi : 2 catene α e 2 catene β. E’ estremamente
importante che l’emoglobina sia tetramerica perché determina il suo comportamento
ovvero il fatto che media tutti i fenomeni di trasporto di O2 nel sangue. L’Hb è un pigmento
respiratorio presente in tutti i mammiferi, anche in qualche invertebrato. Ci sono tanti tipi
di pigmenti respiratori, l’emoglobina è uno di questi, ma ce ne sono molto L’emoglobina dà
un colore rosso che può variare a seconda del grado di saturazione dell’ossigeno: da rosso
vivace se è completamente satura, è un rosso violaceo se è denaturata.
(LA PROF DICE DI RIPASSARE LA STRUTTURA DEll’EMOGLOBINA E COME L’O2 SI LEGA A
QUESTA)
Ci sono degli invertebrati che usano dei pigmenti che non diventano rossi, ma verdi o blu. Ci
sono delle lumache che appaiono blu , anche se quello non è il colore della loro superficie
esterna, ma è il colore del loro sangue. Un altro pigmento respiratorio comune nei mammiferi,
ma anche nell’uomo, è la mioglobina. La mioglobina ha molte caratteristiche simili a quelle
dell’emoglobina , ma è un monomero e questa fa una grossa differenza dal punto di vista della
funzione. La mioglobina è contenuta nelle fibre muscolari e serve come riserva.

CURVA DI DISSOCIAZIONE
DEL SANGUE PER L’O2

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Figura 11
Questa continua è la curva di dissociazione del sangue per l’ossigeno dipendente dalle
caratteristiche dell’emoglobina; la curva tratteggiata è quella invece che si riferisce alla
mioglobina presente nella muscolatura scheletrica . Sull’asse delle ascisse c’è la pO2, adesso
andiamo a vedere il punto arterioso e il punto venoso. A livello arterioso, così come a livello
alveolare ( ma a noi ora non ci interessa più) la pO2 è 100mmHg (punto A arterioso),
l’emoglobina è satura intorno al 98% e ha un contenuto parziale di O2 di circa 20 ml di O2 su
100 ml di sangue.
[Hb] = 15 gr / 100 ml sangue
1 gr Hb lega 1,34 ml O2
15 gr Hb / 100 ml sangue . 1,34 ml O2 / gr Hb = 20 ml O2 / 100 ml sangue
Il valore che abbiamo ottenuto si riferisce all’Hb completamente satura ( sangue arterioso). Nel
sangue venoso invece la pO2 è 40 mmHg allora il punto sulla curva indica il 75% di
saturazione allora invece di 1,34 ml O2 avremo il 75% di quell’1,34. Quindi otteremo un valore
di 15 ml O2 in 100 ml di sangue che è il valore che troviamo sul grafico(ordinata di destra).
La differenza in ml del contenuto di O2 nel sangue arterioso e del contenuto di O2 nel sangue
venoso si chiama differenza artero – venosa. Questo valore l’abbiamo già trovato quando
parlavamo di Fick per quanto riguarda la gittata cardiaca. Questo volume di ossigeno perso
passando dal punto arterioso al punto venoso rappresenta la differenza artero – venosa in situ
= 5 ml O2 / 100ml sangue.
Perché la mioglobina ha quella forma lì?
Come mai le due curve sono diverse ( emoglobina e mioglobina)?
Passando dalla zona arteriosa alla zona venosa si perde un po’ di O2 però, mentre la pressione
parziale scende tanto, non è che nel sangue venoso non c’è più ossigeno: ce n’è il 75% di O2
del sangue arterioso. Questo è legato alla forma della curva di dissociazione. Se l’Hb avesse un
andamento lineare per una pO2 di 40 mmHg il contenuto di O2 sarebbe basso quindi il fatto di
essere una molecola tetramerica garantisce all’emoglobina che, nonostante un’ampia caduta
della pO2 il contenuto di O2 a livello venoso sia ancora molto elevato, questo in condizioni di
riposo. Se fate un qualsiasi sforzo fisico in cui venga richiesto un maggior consumo di O2 lo
prenderemo dalla riserva venosa.

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Figura 12
Se facciamo uno sforzo fisico questo determina una diminuzione del ph e, la diminuzione del
ph ( vedi immagine 12), porta la curva da normale verso destra. Allora capite che passando dal
livello arterioso al livello venoso il fatto che la curva si sposti verso destra fa sì che a parità di
differenza di pressione parziale si ceda più ossigeno. Questa curva rappresenta quello che si
chiama effetto Bohr. Sia l’acidità sia l’aumento della PCO2 determinano uno spostamento a
destra della curva di dissociazione del sangue per l’ossigeno; viceversa un’alcalosi ( aumento
del ph verso valori più basici) determina uno spostamento della curva a sinistra. Anche la
temperatura ha un effetto di modificazione della forma della curva. Se la temperatura
aumenta, come nel caso dell’esercizio fisico, vedete che viene ceduto più ossigeno e questo è
utile perché se c’è un’attività muscolare che richiede ossigeno l’emoglobina lo cede al tessuto
per cui ne trovo di meno a livello venoso.
A seconda della forma un pigmento respiratorio potrà avere più una funzione di riserva o di
cessione immediata. Se paragoniamo la curva dell’emoglobina a quella della mioglobina, è
chiaro che la mioglobina rimane satura molto più a lungo:fino a 20 mmHg di pressione parziale
ha ancora l’80% di ossigeno legato. La mioglobina cede ossigeno soltanto per pO2 molto
basse: questo serve al muscolo come riserva di ossigeno. Se il muscolo si trova a lavorare in
condizioni di anaerobiosi, con poca disponibilità di ossigeno, o con una pressione parziale
molto bassa l’emoglobina ne fornisce poco di ossigeno e allora è l’emoglobina che può cedere
ossigeno. Quindi nel tessuto che si acidifica sempre di più che è quello in cui l’O2 viene usata
di più lì la mioglobina mantiene una riserva di O2 anche per pO2 molto basse. Se la curva di
dissociazione della mioglobina fosse uguale a quella dell’emoglobina non servirebbe proprio a
niente.
L’uomo ha mioglobina, ma neanche molto ( siamo degli atleti un po’ rozzi) invece ci sono
animali che sviluppano potenza e lavoro muscolare intenso anche in condizioni difficili di pO2 :
pensate alle balene o alle foche che respirano una volta ogni tanto e poi vanno 1000 metri
sott’acqua. Le balene, ad esempio, stanno un’ora / un’ora e mezza sott’acqua senza respirare.
Questo è un riassunto delle modificazioni indotte sulla curva di dissociazione dell’ossigeno da
alcuni fattori: un aumento della temperatura, della pCO2, una diminuzione del ph e anche un
aumento del 2-3 difosfoglicerato causa uno spostamento della curva verso destra. Al contrario
una diminuzione della temperatura, della CO2, dell’aumento del ph, della diminuzione del 2-3
difosfoglicerato causano uno spostamento della curva verso sinistra.
L’effetto Bohr è lo spostamento della curva di dissociazione a destra, se diminuisce il ph, o a
sinistra se aumenta il ph.

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Figura 13
Abbiamo visto l’effetto del monossido di azoto nel sangue e qui lo fa vedere nello specifico con
l’emoglobina. Si vede una curva di saturazione dell’emoglobina con l’O2, poi si vede la stessa
curva con il monossido di carbonio. Quindi vedete che a bassissime pressioni parziali di O2 il
monossido di carbonio satura completamente l’emoglobina. Questo è il motivo per cui è
assolutamente non auspicabile respirare monossido di carbonio: è letale proprio perché
occupa i nitidi legame dell’ossigeno sull’emoglobina perché la sua affinità è molto maggiore
per cui se anche c’è grande disponibilità di ossigeno, essendo CO molto più affine
all’emoglobina, non gli permette di legarsi.

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Figura 14
Abbiamo visto più immagini che ci hanno mostrato che la curva di dissociazione si può
spostare in relazione a molti parametri.
Il sangue arterioso e il sangue venoso non hanno la stessa pCO2. La pCO2 nel sangue
arterioso è 40, la pCO2 nel sangue venoso è 46, la temperatura è uguale, ma l’acidità è
diversa perché il sangue venoso è refluo dai tessuti che hanno prodotto metabolici vari il ph
del sangue venoso è un pochino più acido di quello arterioso. Il ph del sangue arterioso è
intorno al 7.4, quello del sangue venoso è intorno al 7.36. E’ ovvio che la curva di dissociazione
dell’emoglobina per l’O2 del sangue arterioso e del sangue venoso sono diverse. Quella in alto
rossa è quella del sangue arterioso quella in basse blu è quella del sangue venoso.
Ecco alcune condizioni che determinano una carenza di ossigeno o meglio un’ abbassamento
della pO2 a livello tissutale. La diminuzione della pO2 a livello tissutale è definita ipossia; se ne
conoscono 4 tipi.

Figura 15

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1: IPOSSIA IPOSSICA. Si ottiene quando la concentrazione di Hb è normale, ma diminuisce la
pO2. Per esempio se andiamo in alta quota siamo in condizioni di ipossia: questo è un caso di
ipossia ipossica. L’ipossia ipossica può avere anche altre cause: può essere legata ad esempio
ad una ipoventilazione, cioè ad una diminuita ventilazione, legata a vari motivi per esempio
ad una depressione bulbare ( vedremo che i centri nervosi che si occupano del controllo della
ventilazione sono situati a livello bulbare). Possono esserci patologie varie dal trauma ad una
lesione per compressione polmonare che possono deprimere il centro bulbare. Un eccesso di
anestetico produce una depressione bulbare quindi determina una ipoventilazione che a sua
volta causa un’ipossia ipossica. Ancora possiamo avere un’ostruzione delle vie aeree o anche
una inefficienza dei muscoli respiratori. Ci sono alcuni veleni animali estratti da animali che
causano la paralisi dei muscoli respiratori e quindi il soggetto muore un po’ ipossico. Nella
ipossia ipossica può essere una causa anche lo shunt. Lo shunt è una deviazione del sangue
che dovrebbe andare all’alveolo e invece non ci va. Lo shunt è un flusso di sangue polmonare
che non arriva a livello alveolare, passa agli alveoli, ritorna alla vena polmonare senza avere
scambiato gas con gli alveoli : è come se prendesse una scorciatoia solo che , non scambiando
gas con gli alveoli, il sangue che passa dallo shunt è refluo di CO2 e povero di O2. Questo
sangue si aggiunge al sangue che proviene dai capillari che hanno avuto contatto con l’alveolo
e quello che succede è che, mescolando il sangue che proviene dallo shunt con quello che
passa dal polmone normale riducono la pO2 a livello arterioso. L’esito è che uno riceve poco
ossigeno anche se ha l’Hb normale.
Poi c’è anche il Va/Q abnorme (Va = ventilazione alveolare; Q = per fusione alveolare) : Va è
un flusso di aria, Q è un flusso di perfusione ematica.
2: IPOSSIA ANEMICA. E’ molto frequente. L’ipossia anemica è dovuta a una diminuita
concentrazione di Hb. Questa può avere varie cause : una mancata produzione di globuli rossi.
L’anemia induce un’ipossia anemica perché, essendo diminuita la concentrazione di
emoglobina (la maggior trasportatrice di O2) allora il tessuto riceve meno ossigeno; può anche
essere dovuta al fatto che magari l’Hb c’è ,ma è stata avvelenata dalla CO e quindi non
trasporta l’ossigeno.
3 : IPOSSIA STAGNANTE. E’ legata ad una mancata perfusione ematica: il sangue che passa per
qualche motivo non riesce ad ossigenarsi.
4: IPOSSIA ISTOTOSSICA. In parte può essere un avvelenamento da CO, ma è più specifico
perché è un’ avvelenamento causato da un’incapacità della cellula di usare O2 che viene
erogato in quanto avvelenato dalla catena dei citocromi. Anche qui ci sono una serie di animali
che producono veleni che bloccano la catena respiratoria.

Figura 16

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Questa è la curva di dissociazione dell’emoglobina nel caso in cui il soggetto sia anemico. C’è
la curva normale mentre la curva rosa è tipica di un soggetto che ha un’anemia tale da avere
una concentrazione di emoglobina della metà di un soggetto normale. Allora vedete che la
curva di dissociazione è perfettamente normale, ma al 100% di saturazione dell’emoglobina,
siccome c’è meno emoglobina, il contenuto totale di O2 è la metà. Quindi l’Hb che c’è funziona
perfettamente, ma dato che ce n’è la matà, il contenuto totale di ossigeno che l’Hb può
trasportare è ridotto della metà e quindi abbiamo quella che è un’ipossia anemica che non è
poi tanto infrequente a questo livello di gravità.

TRASPORTO CO2 NEL SANGUE

Figura 17
Qui abbiamo sulla destra il tessuto e tutta la parte a sinistra è il sangue ( plasma e globulo
rosso). La CO2 viene prodotta dal tessuto, passa nel plasma, dal plasma passa nel globulo
rosso. La CO2 può venire trasportata in 3 modi :
- sottoforma di CO2 liberamente disciolta;
- sottoforma di carbamino – composti ( composti formati dall’associazione di proteine con la
CO2; carbamino perché la CO2 si lega al gruppo amminico della proteina e la proteina può
essere plasmatica o proteina presente nel globulo rosso cioè l’Hb);
NB. Nella figura non sono segnati carbamino – composti nel plasma perché nel plasma
abbiamo una concentrazione ridotta di proteina ( 6 gr / 100 ml di sangue) mentre nel
globulo rosso abbiamo una concentrazione di Hb di 15 gr / 100 ml allora la gran parte dei
carbamino – composti che si formano lo fanno nel globulo rosso legando l’Hb.
- Ben il 60 % della CO2 viene trasportata con questa via : sottoforma di bicarbonati, in
particolare bicarbonato di sodio (NaHCO3).
Ora vediamo cosa succede. La CO2 passa dal tessuto al plasma. Nel plasma la CO2 è presente
per circa il 5% sottoforma di CO2 liberamente disciolta. Ricordate che anche l’O2 viene
trasportata sottoforma di gas disciolto e ,come per la CO2, si tratta di una quota molto
modesta. Sia O2 che CO2 disciolta sono in realtà la pO2 e la pCO2. C’è una parte di CO2

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disciolta che dipende dal suo coefficiente di solubilità, ogni gas ha il suo coefficiente di
solubilità e , a seconda del suo coefficiente, ha una percentuale di gas disciolto. Quando la
percentuale di gas nel tessuto aumenta ciò che non può rimanere in forma disciolta si lega
chimicamente a, per esempio, l’emoglobina. Se diminuisce la quantità totale diminuirà la
quantità presente di Hb e diminuisce la quantità presente in forma disciolta. La pressione
parziale di gas nel sangue non è legata al gas legato chimicamente all’Hb o ad altre cose, ma
dipende soltanto dal gas disciolto. Quindi il gas disciolto è in equilibrio con la quantità totale di
gas, ma la pressione parziale del gas dipende dalla quantità disciolta.
La CO2 è in parte disciolta, in parte è associata alle proteine plasmatiche per formare i
carbamino – composti. Circa il 90% della CO2 presente nel plasma transita per diffusione nel
globulo rosso. A questo livello la CO2 è presente ancora come gas liberamente disciolto, può
legarsi all’Hb formando i carbamino – composti oppure può essere presente sottoforma di
bicarbonato.
La procedura attraverso la quale la CO2 diventa bicarbonato è presente non solo nel globulo
rosso, ma anche in cellule del rene e del sistema digerente. Nel globulo rosso ovviamente c’è
l’acqua, la CO2 viene implicata in un processo di idratazione che può essere attuato in
presenza dell’anidrasi carbonica. Il processo di idratazione della CO2 si verifica anche in
assenza di anidrasi carbonica, ma l’anidrasi carbonica accelera questa reazione di circa 1
milione di volte. Dunque l’idratazione della CO2 è un processo significativo soltanto in quelle
cellule che presentano l’anidrasi carbonica che sono i globuli rossi, le cellule ossintiche della
ghiandola tubulare dello stomaco, le cellule tubulari del tubulo contorto prossimale e distale
( queste sono le cellule più importanti che hanno anidrasi carbonica, ma ce ne sono anche
altre). L’H2O, idratando la CO2, forma H2CO3 ( acido carbonico). L’H2CO3 ( acido debole)
formatosi si scinde in HCO3 – e H +. L’HCO3 – viene scambiato con il cloro, grazie ad un carrier
specifico, ed esce nel plasma costituendo quello che si chiama shunt dei clorururi. In questo
modo l’HCO3 – formatosi nel globulo rosso viene mandato nel plasma dove l’HCO3 – viene
legato ad un sodio ( lei dice che l’immagine in questo punto è sbagliata) e va a formare
Na+HCO3 – ( NaCO3 = bicarbonato di sodio) . Il bicarbonato di sodio presente nel plasma
costituisce il 60% del trasporto di CO2 nel sangue. E’ importante ricordare che il bicarbonato di
sodio è presente nel plasma, ma viene prodotto solamente nel globulo rosso. C’è bicarbonato
di sodio nel globulo rosso e anche nel plasma. Una volta nel plasma l’HCO3 – rimane nel
globulo rosso un H+ che acidifica e darebbe fastidio. Allora l’H+ va a legarsi all’ HbO2
( emoglobina ossigenata) la quale si comporta come un acido più forte rispetto all’emoglobina
ridotta, allora l’ HbO2 si prende questo H+ liberando l’ossigeno che viene ceduto in cambio
con il protone che viene preso. Quindi il passaggio di CO2, in ultima analisi, determina la
liberazione di O2. Il contenuto di CO2 nel sangue venoso dove c’è l’emoglobina ridotta è più
elevato del contenuto di CO2 nel sangue arterioso dove l’emoglobina è ossigenata. Questo
comportamento si chiama effetto Haldane .

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