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DELL’ESERCI
ZIO E DELLO
SPORT
LA MUSCOLATURA STRIATA
CLASSIFICAZIONE DELLE SINAPSI
Le sinapsi sono i punti di contatto attraverso i quali un neurone comunica con un altro neurone o con
l’organo effettore. In natura possiamo avere due tipi di sinapsi:
Sinapsi elettrica o gap junction: sinapsi più semplici bidirezionali. Le due membrane presentano sulla
loro superficie dei canali fisici detti CONNESSONI formati da 6 proteine connexine perfettamente
allineati fra di loro in uno spazio sinaptico molto ristretto (2 nm). A riposo questi canali sono chiusi. La
depolarizzazione di una delle due membrane che diventa la membrana presinaptica provoca l’apertura
dei canali che fanno passare le cariche all’altra cellula la quale membrana sarà quella postsinatica
provocando la trasmissione del potenziale d’azione. Sinapsi presente nel muscolo liscio e nel miocardio
dove l’impulso deve essere fisicamente trasmesso senza modificazioni o passaggi intermedi.
Sinapsi chimiche: le sinapsi chimiche presentano uno spazio sinaptico più ampio e non presentano
collegamenti fisici. La trasmissione avviene per rilascio di mediatori chimici detti
NEUROTRASMETTITORI nello spazio che, legandosi a determinati recettori della membrana
postsinaptica, vanno a scatenare una sua depolarizzazione. Le sinapsi chimiche sono
UNIDIREZIONALI (la propagazione avviene solo in un verso dove le membrane pre e post sinaptiche
sono definite) MODULABILI (l’effetto dei mediatori può essere variato da sostanze AGONISTE che
ne amplificano il segnale, da sostanze ANTAGONISTE che ne riducono il segnale) PLASTICHE
(possono subire delle modificazioni nel tempo). Queste sinapsi sono le più diffuse e le troviamo tra
interneuroni e nel muscolo striato
Ogni muscolo è formato dall’insieme di numerosissime fibre muscolari. Ogni fibra muscolare è
innervata da una terminazione assonica di un neurone che prende sinapsi in un punto preciso della
stessa chiamato PLACCA MOTRICE
Unità neuromotoria: 1 motoneurone che parte del midollo spinale uscendo dalle corna anteriori,
innerva più fibre muscolari, sfioccandosi in diverse terminazioni assoniche (da non confondere con i
bottoni). Questo insieme di fibre vengono innervate quindi allo stesso identico modo e, insieme al loro
motoneurone di riferimento, prendono il nome di UNITA’MOTORIA. Le unità motoria differiscono
fra di loro per tipo e numero di fibre. Le loro dimensioni ci danno il RAPPORTO DI
INNERVAZIONE che rappresenta quante fibre muscolari innerva un singolo motoneurone. Più vicino
a 1 è questo rapporto, meno fibre innerverà un neurone e quindi il movimento sarà più fine come nei
muscoli ottici o tattili
TIPI DI CONTRAZIONE
Contrazione isometrica: contrazione a forza massima senza variazione di lunghezza della fibra.
Analizziamo in laboratorio l’effetto di una SCOSSA SEMPLICE ISOMETRICA. Una scossa semplice
equivale ad una contrazione massimale di una singola fibra, derivata da un unico STIMOLO elettrico
neuronale (artificiale in questo caso) che provoca un singolo IMPULSO interno. Applichiamo il
muscolo ad un macchinario in grado di mantenere costante la sua lunghezza e vediamo lo sviluppo
della forza all’arrivo di un singolo stimolo.
Possiamo vedere che la forza si sviluppa per 70-80 ms
quando un singolo potenziale d’azione ne dura 5-6 ms,
deducendo che l’evento meccanico dura di più di quello
elettrico. Effettuando questo esperimento a varie lunghezze
e riportando in un grafico i dati di TENSIONE sviluppata
in rapporto con la LUNGHEZZA prefissata abbiamo un
grafico come in figura:
!" Doppia sovrapposizione: se il muscolo è corto i filamenti di actina e miosina risultano essere
passivamente già sovrapposti, diminuendo le possibilità di ancoraggio per lo sviluppo di forza.
In vivo è impossibile andare entro certi limiti perché il muscolo è fissato ai capi articolari
mentre in vitro si.
!" Troppo stiramento: al contrario se il
muscolo è troppo stirato i filamenti
sono talmente distanti che non
riescono ad agganciarsi.
!" Sovrapposizione ottimale: lo sviluppo
di forza massima si ha a tensioni medie
poiché i filamenti sono giustamente
sovrapposti per un massimo
ancoraggio e massima forza. Questa
distanza ottimale è quantificata alla
lunghezza di circa 2 #m del sarcomero.
Contrazione isotonica: contrazione a forza costante con variazione di lunghezza della fibra
!" Concentrica: accorciamento della fibra e sviluppo di forza attiva
!" Eccentrica: allungamento della fibra e sviluppo di forza resistiva
Analizziamo in laboratorio l’effetto di una SCOSSA SEMPLICE ISOTONICA di tipo concentrico.
Questa volta l’esperimento non si fa bloccando i capi dei muscoli, ma applicando a uno un piccolo peso
che chiameremo PRECARICO per dare una certa lunghezza iniziale al muscolo. Dopo aver applicato il
peso il muscolo si allungherà e a questo punto posizioneremo il vero peso da sollevare detto
POSTCARICO che non influirà inizialmente sul peso totale poiché appoggiato su un sostegno.
Applichiamo la singola scossa
possiamo distinguere 4 fasi diverse:
!" Accorciamento isometrico iniziale: il
muscolo sviluppa tensione senza
accorciamento perché deve ancora
sviluppare la forza necessaria per
spostare pre e post carico.
!" Accorciamento isotonico: il muscolo si
contrae diminuendo la sua lunghezza
sviluppando una forza costante
!" Rilasciamento isotonico: il muscolo
mantiene la sua forza ma si rilascia
impiegando un tempo maggiore di
quello usato per contrarsi:
!" Rilasciamento isometrico finale: infine
la forza cala dopo che il postcarico ha
toccato il sostegno
Continuando gli esperimenti aumentando il peso,
cioè il postcarico, osserviamo che la forza del
muscolo cresce ma la sua variazione di lunghezza
cala insieme alla sua velocità di contrazione, fino
ad arrivare ad un peso non più sollevabile dal
muscolo che effettuerà una contrazione di tipo
isometrico.
Il carico applicato ad un muscolo e la sua velocità
di contrazione sono inversamente proporzionali
fra di loro come si vede dal grafico. La potenza
sviluppata da un muscolo durante una contrazione
isotonica quindi non è ne a velocità massime, ne a
carichi massimi, ma si può notare che corrisponde
a 25 – 30% del carico massimo. La velocità du
contrazione dipende dalla qualità della fibra,
registrando tre diversi grafici velocità-carico.
Contrazione isocinetica: contrazione a velocità costante ma con forza variabile a seconda del carico
che risulta essere proporzionale alla velocità di esecuzione (lavoro in acqua o macchine specifiche)
TETANO MUSCOLARE
Gli stimoli elettrici che arrivano alla fibra provocano degli impulsi lungo la stessa che non sono
sommabili l’uno con l’altro
perché sono dei potenziali
d’azione. Questi però provocano
una contrazione della fibra che
dura molto di più della durata del
potenziale d’azione e del suo
periodo refrattario. Quindi se
insorge un nuovo potenziale
d’azione mentre la contrazione
precedente deve ancora finire, le
contrazioni si sommano con
conseguente aumento di forza.
La frequenza degli impulsi
quindi varia la sommazione delle
scosse singole fino ad arrivare ad
un valore al quale le scosse si
stabiliscono in una unica duratura
nel tempo chiamata TETANO
FATICA MUSCOLARE
Tetani muscolari molto prolungati nel tempo provoca l’esaurimento delle risorse energetiche e
l’insorgere della fatica che provoca un calo dell’intensità delle scosse fino ad un punto in cui le scosse
scompaiono e la fibra non si contrae più nonostante gli impulsi elettrici continuino a persistere
Un muscolo umano possiede tutti i tipi di fibre esistenti, distribuiti in diverse percentuali. Le fibre 2a
sono le fibre meno presenti, mentre le 1 e le 2b sono le più numerose distribuite in percentuali diverse
nei muscoli da soggetto a soggetto per nascita o per adattamenti ad allenamenti specifici. Per vedere la
composizione di un muscolo si può procedere con il prelievo di tessuto muscolare con la BIOPSIA
MUSCOLARE, analizzandolo al microscopio e facendolo reagire con diverse sostanze che permettono
di vedere i tipi di fibre e calcolare la % di distribuzione in quel muscolo
Abbiamo visto che una fibra che riceve uno stimolo e quindi un impulso si contrae sempre con forza
massimale. La forza di un intero muscolo però può variare in infiniti valori. Questa MODULAZIONE
DI FORZA è dovuta da due fattori:
Fattori morfologici: la forza di un muscolo dipende da fattori non fisiologici quali
!" Lunghezza – Numero di fibre – Numero di unità motorie
Fattori nervosi: la forza di un muscolo dipende pero anche da fattori fisiologici quali:
Dunque la forza di un muscolo dipende dalla forza di ogni singola fibra (che dipende dalla
sommazione temporale degli impulsi e dalla sua qualità morfologica) e dal numero di fibre
impiegate
ELETTROMIOGRAFIA
Il midollo spinale è contenuto all’interno della colonna vertebrale e si estende dal bulbo del tronco
encefalico fino alle prime due vertebre lombari per una lunghezza di circa 45 cm. Da esso emergono i
nervi spinali che innervano tutto il resto del corpo. E’ formato da sostanza grigia interna contenente i
nuclei dei neuroni e sostanza bianca esterna contenente gli assoni. Al centro della sostanza grigia del
midollo vi è un CANALE CENTRALE dove scorre il liquido CEFALORACHIDIANO che avvolge
tutto il nevrasse.
Il midollo spinali al suo interno presenta divisioni come in figura così organizzate:
!" Dal corno grigio anteriore partono fibre efferenti volontarie inserendosi nella radice ventrale
!" Dal corno grigio laterale partono fibre efferenti vegetative inserendosi nella radice ventrale
!" Al corno grigio posteriore arrivano fibre sensitive dalla radice dosale
Al suo interno la sostanza grigia motoria presenta divisioni longitudinali più o meno nette
rappresentanti i nuclei motori detti precedentementi, coinvolti nel reclutamento delle fibre.
Fusi neuromuscolari: recettori muscolari sensibili allo stiramento del muscolo. Sono delle capsule
connettivali contenenti fibre muscolari modificate dette INTRAFUSALI, posizionate in parallelo a
quelle proprie del muscolo che verranno classificate come EXTRAFUSALI. Queste fibre hanno
un’organizzazione in sarcomeri solo ai capi e possono essere di due tipi
!" A sacco nucleare: tutti i nuclei della fibra sono raggruppati nella zona equatoriale
!" A catena nucleare: nuclei sparsi
I fusi neuromuscolari partecipano alla contrazione essendo innervati da motoneuroni detti GAMMA,
per distinguerli da quelli che innervano il muscolo normale detti ALFA. Da queste capsule si diramano
tantissime terminazioni sensoriali a bassa attivazione che rendono il recettore particolarmente sensibile.
Si dividono in due tipi:
!" Terminazioni primarie anulospirali o fibre 1°: si avvolgono lungo la fibra a spirale. Hanno un
adattamento rapido (fibre fasiche) e sono adatte per segnalazioni di stiramenti dinamici
istantanei e loro velocità
!" Terminazioni secondarie a fiorame o fibre 2: si sfioccano in terminazioni lungo la fibra. Hanno
un adattamento lento (fibre toniche) e sono adatte per segnalare lo stato di stiramento statico del
muscolo nel tempo.
Questo recettore è quindi sensibile allo stiramento sia in fase statica che dinamica. Lo stiramento delle
fibre intrafusali provoca uno stiramento delle fibre afferenti che aumentano la scarica verso i nuclei
motori. Lo stiramento delle fibre intrafusali può avvenire in due modi:
!" Passivo: stiramento artificiale del muscolo
!" Attivo: la fibra intrafusale è attiva e partecipa alla contrazione del muscolo insieme alle fibre
extrafusali (cooperazione fibre gamma e alfa). Tuttavia ha una contrazione diversa dalla fibra
normale però, perché manca di sarcomeri nella zona equatoriale.
Organo tendineo del golgi: recettori posizionati nel tendine del muscolo sensibili al suo stiramento.
Sono delle capsule connettivali ovoidali poste in serie alle terminazioni delle ultime fibre muscolari
senza fibre al loro interno e quindi senza innervazioni efferenti. Dal recettore si diramano delle
terminazione afferenti che possiedono soglie di attivazioni sia alte che basse che prendono il nome di
FIBRE 1b. Lo stiramento del recettore può avvenire in due modi:
!" Passivo: Allungamento artificiale del muscolo
!" Attivo: stiramento del tendine per contrazione attiva del muscolo.
Le vie afferenti che partono dai recettori si portano verso il nucleo motore che le riceve insieme ai
comandi volontari discendenti dalla corteccia cerebrale. Lo stato di attivazione di una o più afferenze
dovuto all’intensità dello stimolo percepito dai propriocettori, porta all’interno del nucleo due zone
differenti:
Zona di scarica: insieme di tutti quei motoneuroni attivati dalla scarica della fibra afferente
Frangia subliminale: zona di motoneuroni adiacenti alla zona di scarica che non sono attivi ma sono
facilitati ad esserlo. Il numero di motoneuroni attivati può variare in due modi:
Abbiamo visto la presenza di recettori e vie afferenti che si integrano con i nuclei motori dei
motoneuroni in maniera diversa a seconda dello stimolo iniziale. Questa integrazione rende possibile la
nascita di un riflesso completo che prende il nome di RIFLESSO MIOTATICO. Il riflesso miotatico è
un riflesso da stiramento del muscolo, visto i recettori che o evocano, e può essere di due tipi:
Riflesso miotatico diretto: riflesso che provoca
la contrazione del muscolo in seguito ad una
scarica di afferenze 1 a e 2 provenienti dai fusi
neuromuscolari. Queste hanno sinapsi dirette con
i motoneuroni alfa per una loro attivazione
immediata. Questo tipo di riflesso può essere sia
evocato da uno stiramento continuo (riflesso
tonico) come ad esempio l’intervento sui muscoli
posturali, sia da un brusco cambiamento di
lunghezza (riflesso fasico) sia in accorciamento
che in allungamento quando dobbiamo adattare
istantaneamente la forza al carico che stiamo
sollevando o scaricando, mantenendo sempre un
movimento armonico. Il riflesso basato su
un’anatomia molto semplice, offre un feedback
molto preciso e potente sullo stato di contrazione
e quindi di lunghezza del muscolo. La garanzia
del funzionamento di questo riflesso a tutte le
lunghezze del muscolo sta nell’intervento continuo delle fibre gamma, che tengono sempre uno stato
minimo di stiramento a tutte le lunghezze del muscolo, rendendo il recettore sensibile di reagire a ogni
lunghezza del muscolo.
Riflesso miotatico inverso: riflesso che provoca il rilasciamento del muscolo in seguito ad una scarica
della afferente 1b provenienti dagli organi tendinei del golgi sul tendine. Queste vie hanno sinapsi con
almeno un interneurone prima di arrivare al motoneurone alfa. Anche qui possiamo avere un riflesso
tonico ad esempio nella modulazione della forza al carico, o fasico ad esempio come protezione da
bruschi movimenti che provocherebbero stiramenti di muscolo e tendine. Il riflesso offre un feedback
sullo stato di forza che il muscolo sta offrendo.
I RIFLESSI FLESSORI
Il riflesso flessorio, oltre al suo doppio effetto provoca, se stimoliamo gli arti superiori o inferiori, un
altro riflesso innato che consiste in una risposta estensoria dell’arto opposto a quello stimolato. Questo
riflesso ha il compito di ridistribuire la postura ad esempio sulla gamba sinistra nel caso in cui
flettessimo la gamba destra per aver pestato uno spillo. In questo modo la sinistra è in grado di
sopportare il peso di tutto il corpo senza cadere.
DEAMBULAZIONE
Movimento ciclico degli arti che si alternano nel sostegno del corpo con intervento di diversi muscoli.
Viene integrato e gestito nel midollo sotto il controllo dei centri superiori. Quest’integrazione nel
midollo viene gestita dal CENTRO GENERATORE DEL RITMO DEL PASSO. Simile al generatore
del ritmo del respiro, è un circuito neuronale dove i motoneuroni di muscoli estensori e flessori
vengono attivati alternativamente da un sistema inibitorio di due interneuroni collegati
all’EMICENTRO della via flessoria ed estensoria. L’emicentro è il punto della via discendente dove
nasce l’ultimo interneurone prima del motoneurone. Più uno scarica e più l’altro viene inibito. Questo
meccanismo non incide sulla velocità del passo e sulla forza da imprimere ai muscoli ma detta solo il
ritmo, cioè l’alternanza di intervento dei muscoli.
.
FORMAZIONE RETICOLARE TRONCOENCEFALICA
La formazione reticolare troncoencefalica è una zona non ben definita rappresentata da piccoli gruppi
di neuroni, sparsi all’interno dell’encefalo in mezzo a nuclei di sostanza grigia e fibre verticali e
orizzontali costituenti quelle bianca. Il suo ruolo è quello di integrare funzioni motorie involontarie.
Possiamo distinguere tre diverse zona costituenti la formazione:
!" Zona mesencefalica
!" Zona pontina
!" Zona bulbare
Queste tre zone sono raggiunte da numerose afferenze e da essa si diramano altrettante efferente.
Il tono di base effettuato direttamente dai riflessi spinali piotatici è sotto il controllo della
formazione reticolare che ne regola l’attività. In particolare il tono muscolare viene gestito
dall’interazione dei fattori inibenti e facilitanti.
APPARATO VESTIBOLARE
ANATOMIA DELL’APPARATO
Funzionamento della macula: la macula abbiamo detto che è sensibile agli spostamenti lineari della
testa e al suo cambiamento di gravità. Questo è dovuto allo spostamento di questi otoliti adagiati sulle
ciglia delle cellule, che inclinano le ciglia un senso o nell’altro, provocando una depolarizzazione o
iperpolarizzazione che viene colta dalle fibre nervose la quali mandano il segnale ricevuto al SNC
Funzionamento dei recettori ampollari: questi recettori abbiamo detto che sono sensibili ai
movimenti di rotazione. Tali movimenti provocano lo spostamento di tutta la struttura vestibolare che
però non è seguita dall’endolinfa interna che presenta una maggiore inerzia. Questo processo fa si che
le cupole si pieghino contro la sua resistenza, piegando a loro volta le ciglia delle cellule a attivando
tutti i processi sensitivi conseguenti. L’attivazione si avrà per inerzia dell’endolinfa all’inizio della
rotazione e alla fine, poiché durante l’endolinfa si stabilizza con le cupole senza creare movimento.
Funzionerà il recettore appartenente al canale in asse con il movimento che si sta eseguendo.
Tutte le afferenze che partono dai recettori convogliano poi in un unico nervo cranico, l’VIII detto
NERVO VESTIBOLARE che arriva nella parte superiore del bulbo diramandosi internamente in 4
parti:
!" Superiore
!" Inferiore
!" Mediale
!" Laterale
RIFLESSI VESTIBOLARI
Riflesso miotatico diretto: con la sua componente tonica, il riflesso miotatico diretto derivante dai fusi
neuromuscolari, concorre al mantenimento della postura per la sua particolarità di essere
antistiramento.
Riflesso positivo di sostegno (o del magnete): il contatto del piede con un agente esterno o il suolo,
provoca un riflesso di estensione della pianta evocato da propriocettori dei muscoli flessori del piede.
Questo per offrire più superficie di appoggio e prepararsi a sostenere il peso del corpo.
Riflesso negativo di sostegno: una volta effettuata l’estensione si attivano i propriocettori dei muscoli
estensori della pianta che inibiscono la reazione positiva di sostegno.
Riflessi labirintici tonici: riflesso di tipo vestibolare. Un cambiamento di gravità provoca una
stimolazione dei recettori della macula con conseguente irrigidimento degli arti superiori e inferiori
Riflessi cervicali tonici: riflesso sperimentato degli animali durante la rotazione indotta della testa. I
propriocettori dei muscoli cervicali provocano un estensione della testa.
Riflessi visivi di raddrizzamento: riflessi visivi che collaborano con i riflessi vestibolari. Un
cambiamento dell’orizzontalità visiva percepita dalla retina provoca un conseguente cambiamento nella
sua posizione dritta
Riflessi di piazzamento: l’arrivo di diversi segnali contemporanei da diversi recettori come quelli
visivi, vestibolari, esterocettivi e propriocettivi, provocano un estensione della pianta del piede per
maggior equilibrio e sostegno del corpo
Reazioni di sbalzo: una spinta laterale del corpo che provoca spostamento viene percepita dai fusi
neuromuscolari dell’arto inferiore che spostandosi offre sostegno al corpo senza cadere.
Il corpo è in continuo movimento. È fondamentale però capire la stretta connessione tra percezione e
azione. Noi ci muoviamo perché sentiamo ciò che ci accade dentro e fuori grazie ai nostri 5 sensi e alla
nostra propriocezione. L’azione e quindi lo svolgimento di un programma motorio è quindi sotto
l’influenza delle sensazioni. Ma vediamo come interagiscono a livello del SNC queste afferenze con il
movimento sia di tipo involontario che volontario:
Midollo spinale: abbiamo visto come in questa zona vengano integrate afferenze e efferenze
sottoforma di riflessi spinali del tutto involontari che concorrono al mantenimenti della postura insieme
ai riflessi vestibolo-spinali. Vengono integrati anche riflessi semivolontari come la deambulazione
Tronco dell’encefalo: in questa zona abbiamo delle integrazioni neuronali per esempio di natura
vestibolare che concorrono al controllo dei riflessi spinali sottostanti gestendo tono muscolare,
intensità dei riflessi e postura.
Corteccia celebrale: da questa zona partono tutti i segnali che rappresentano movimenti del tutto
volontari che partono da percezioni acquisite. In questo capitolo vedremo questo tipo di interazione.
Classifichiamo come movimenti volontari quelli non stereotipati, quei movimenti che vengono
effettuati per la prima volta, richiedendo una programmazione e un controllo durante l’esecuzione.
Tantissimi movimenti a noi volontari in realtà sono gestiti dal cervelletto poiché esso immagazzina il
“ricordo” di come si fa un movimento, attuandolo più economicamente, risparmiando l’intervento della
corteccia. Un movimento volontario può essere di due tipi:
!" Movimenti rapidi o balistici: movimenti ampi che dovranno essere eseguiti in maniera veloce.
Si affidano tutti sulla programmazione poiché non si ha tempo di aggiustarli “in corsa”.
Esempio, il movimento per colpire una pallina da tennis.
!" Movimenti lenti di inseguimento: sono movimenti lenti, semplici e brevi con la necessità di
adattarli alla situazione. Prevedono una scarsa programmazione ma un continuo feedback di
controllo
Nella realtà tutti i movimenti sono delle vie di mezzo a queste due estremità
Vediamo in maniera dettagliata come viene organizzato un gesto motorio osservando cosa succede in
tutte le aree funzionali della nostra corteccia cerebrale.
!" Aree sensitive: aree che ricevono le afferenze provenienti da tutto il corpo. Esempi di aree
sensitive sono la N° 1-2-3-17 che rappresenta l’area visiva posizionata sul lobo occipitale.
Durante un programma motorio le sensazioni hanno un ruolo fondamentale nella sua creazione,
poichè queste aiutano a capire la nostra posizione del corpo rispetto a se stesso e allo spazio. Le
aree sensitive si possono distinguere in due tipi:
o Aree sensitive primarie: aree posizionate sul lobo parietale. Ricevono direttamente tutte
le fibre nervose sensitive provenienti dalla periferia in maniera mono-modale. Ogni
porzione dell’area rappresenta una parte del corpo e riceve stimoli precisi da quelle
zone.
o Aree sensitive secondarie: aree posizionate sul lobo parietale. Ricevono vie nervose
dall’area sensitiva primaria mantenendo una suddivisione mono-modale.
!" Aree associative: aree n° 5-7. Qui vengono ricevuti stimoli sensitivi dalle aree sensitive in
maniera multi modale. Non vi sono dei punti che corrispondono a parti specifiche del corpo.
Queste informazioni sono utili per la creazione di una “mappa” di tutto ciò che ci circonda.
Alcune malattie provocano un mal funzionamento di queste aree che portano ad una costruzione
sbagliata della mappa, anche se si possiede una buona vista, portando il soggetto a difficoltà nel
capire dov’è, a che distanza è dagli oggetti e quanto è grande lo spazio intorno a lui,
provocando errate programmazioni motorie.
!" Aree premotorie: aree n° 6-8. Posizionate sul lobo frontale. Qui viene programmato il gesto
motorio che viene mandato poi all’area motoria. In questa zona vengono ricevute tutte le
informazioni derivanti dalla costruzione in area associativa della mappa sensoriale che insieme
a informazioni del cervelletto sugli schemi motori di base fino a qual momento acquisiti,
ricordati e conosciuti, delineano il programma. L’area premotoria è suddivisa in due porzioni:
o Area motoria supplementare
o Corteccia premotoria
Queste due aree hanno una rappresentazione interna analoga alle aree sensoriali. Da zona
precise partono vie efferenti destinate sia alla corteccia motoria primaria, sia direttamente al
midollo spinale. L’area premotoria ha una rappresentazione grossolana del corpo ed ha la
caratteristice di attivarsi solo in caso di programmazione di movimenti complessi. I movimenti
semplici non vengono programmati e vengono gestiti direttamente dalla corteccia motoria. E’
stato provato sperimentalmente che queste aree si attivano anche al pensiero di movimenti
complessi e non solo quando vengono effettivamente svolti. Questo non succede per le altre
aree cerebrali.
!" Aree motorie primarie: area n° 4 posizionata sul lobo
frontale. Qui la rappresentazione somatica interna si fa più
precisa a fine. Le aree dedicate al movimento di muscoli
fini come le dita sono più grandi rispetto alle aree dedicate
al movimento di muscoli grossolano come le gambe.
Questo si traduce con un numero maggiore o minore di
neuroni dedicati. Da qui partono le fibre motorie verso il
tronco e il midollo per l’esecuzione del movimento.
!" Aree integrative: anche queste aree hanno una funzione di programmazione del movimento
Funzionamento dei nuclei della base: una volta programmati e creati, gli stimoli motori lasciano le
aree motorie e si dirigono verso la periferia con due sistemi discendenti. Il segnale però entra in un
ulteriore circuito parallelo a feedback effettuato da della formazioni di sostanza grigia dentro alla
bianca dell’encefalo, chiamati nuclei della base.
Vie motorie: Il segnale viaggia verso la periferia grazie a due strade parallele:
!" Vie piramidali: via efferente articolata su due neuroni. Dalla corteccia motoria primaria si
diramano neuroni detti piramidali per la forma del loro nucleo. Questa via può avere lunghezza
variabile a seconda se la fibra sarà cortico-bulbare uscendo dai nervi cranici a livello del bulbo
o cortico-spinale uscendo dai nervi spinali. Entrambi i fasci mandano una diramazione parallela
ai nuclei della base per il loro controllo prima di passare per i peduncoli cerebellari del
mesencefalo, per i tori piramidali del ponte per poi continuare per le piramidi bulbari nel caso di
fibre cortico-spinali. I neuroni delle vie piramidali hanno la particolarità di portarsi
controlateralmente. Per i neuroni cortico-bulbari l’incrocio avverrà nel bulbo, per i neuroni
cortico-spinali avverrà per il 75-80% sulle piramidi del bulbo a formare la decussazione delle
piramidi e per il restante l’incrocio avverrà direttamente nel midollo nella commessura grigia.
Questi neuroni quindi comanderanno motoneuroni della parte del corpo opposta a quella di
nascita.
!" Vie extrapiramidali: via efferente polineuronale. I primi neuroni nascono da zone sia
appartenenti alla corteccia motoria, sia alle aree premotorie. Queste vie innervano
parallelamente a quelle piramidali specialmente per quanto riguarda i muscoli posturali e
deambulatori. La loro discesa verso il midollo non prevede l’incrocio ma una sosta in una delle
formazione troncoencefaliche:
!"
o Via cortico-reticolo-spinali: sinapsi nei nuclei della formazione reticolare
o Via cortico-vestibolo-spinale: sinapsi nei nuclei vestibolari
o Via cortico-rubro-spinale: sinapsi nei nuclei rossi
o Via cortico-nigro-spinale: sinapsi nella sostanza nera del tronco
Il midollo ospita queste due vie nella loro discesa posizionandole in maniera diversa per i muscoli che
vanno ad innervare. La parte laterale del midollo è dedicata al passaggio della fibre che andranno ad
innervare muscoli distali e della manipolazione (SISTEMA LATERALE) mentre la parte mediale sarà
dedicata al passaggio di fibre per l’innervazione di muscoli posturali, del tronco e quelli prossimali
degli arti (SISTEMA MEDIALE)
CONTROLLO E CORREZIONE - IL CERVELLETTO
Il Cervelletto una struttura molto importante soprattutto per il controllo del movimento. Anche se
agisce in maniera del tutto involontaria e non invia alcun segnale diretto ai muscoli, ha il compito di
controllare se il movimento avviene in maniera corretta confrontandolo con la pianificazione. Inoltre è
sede dei programmi per i movimenti ornai automatici.
Anatomia: il cervelletto è diviso in tre lobi come il LOBO ANTERIORE, LOBO POSTERIORE E
LOBO FLOCCOLUNODALE. Nella parte centrale vi è una sporgenza detta VERME che divide il
cervelletto in due emisferi, l’EMISFERO DI DESTRA e l’EMISFERO DI SINISTRA. Presenta
sostanza grigia esterna a costituire la CORTECCIA CEREBELLARE e sostanza bianca interna con la
presenza di NUCLEI PROFONDI di sostanza grigia. Ve ne sono tre per ogni emisfero:
La corteccia cerebellare ha una superficie con circonvoluzioni come quelle cerebrale e presenta anche
un’organizzazione simile. Partendo dallo strato più esterno abbiamo:
!" Strato molecolare: questo strato contiene tutte le terminazioni dendritiche delle cellule degli
strati sottostanti e alcuni tipi di cellule
!" Strato delle cellule del purkinje: strato contenente i nuclei delle cellule del purkinje.
!" Strato granulare: strato contenente i nuclei delle cellule granulari.
In questi diversi strati abbiamo inserite diverse cellule:
!" Cellule del purkinje: cellula che hanno il nucleo nello strato omonimo e che hanno un sistema
dendritico molto sviluppato che si addentra nello strato molecolare. Il loro assone scende nello
strato granulare sottostante ed è l’unica via uscente del cervelletto.
!" Cellule granulari: cellule che hanno il loro nucleo nello strato omonimo. Hanno l’assone che
risale verso lo strato molecolare andando a fare sinapsi con i dendriti delle cellule del purkinje
!" Cellule del golgi: interneuroni con nucleo nello strato granulare
!" Cellule stellate: interneuroni nello strato molecolare
!" Cellula a canestro: piccoli interneuroni nei primi due strati
Funzionamento: A livello funzionale la corteccia cerebrale si può dividere in tre diverse zone:
Il cervelletto, abbiamo detto, ha il ruolo di comparare il gesto motorio effettuato con quello che si era
previsto di effettuare, attuando modifiche e interventi o sul programma motorio e sul movimento
stesso. Il suo lavoro si articola in tre fasi:
!" Segnali in ingresso: i segnali di ingresso da elaborare sono indubbiamente tutti, come il
programma motorio derivante dalla corteccia e nuclei della base insieme a tutto il quadro
sensoriale proveniente da esterocettori, da propriocettori, dall’apparato vestibolare e dalla
mappa sensoriale sviluppata dall’area associativa della corteccia cerebrale. Le afferenze dunque
entrano per essere integrate chiamando in causa sia la corteccia cerebellare, sia i nuclei profondi
la cui organizzazione spaziale segue quelle della corteccia. Il nucleo dentato e il
cerebrocerebello riceveranno afferenze derivanti dalla corteccia motoria e dai nuclei
troncoencefalici, il nucleo interposto e la parte laterale dello spinocerebello riceveranno
afferenze derivanti da esterocettori e propriocettori da muscoli e zone distali del corpo, il
nucleo fastigio con la parte mediale dello spinocerebello riceveranno informazioni derivanti da
esterocettori e propriocettori di muscoli e zone prossimali del corpo insieme a sensazioni visive,
uditive e vestibolari, mentre il lobo facculonodale o vestibolocerebello riceveranno ulteriori
afferenze vestibolari.
!" Integrazione: nuclei profondi e cellule del purkinje attuano l’ integrazione del segnale come da
figura. Ne consegue una efferenza motoria di correzione che uscirà dal nuclei profondi.
!" Segnali in uscita: il segnale che uscirà dai nuclei
profondi andrà a regolare gli stessi compartimenti dai
quali i nuclei avevano ricevuto le afferenze non prima di
sostare per i nuclei troncoencefalici. In particolare il
nucleo dentato andrà ad interagire con i centri superiori
della corteccia motoria andando ad attuare modifiche
direttamente al programma motorio passando per il
talamo, il nucleo interposto andrà ad attuare modifiche
direttamente ai muscoli distali del corpo interagendo con
i sistemi laterali extrapiramidali del midollo passando
per il nucleo rosso, il nucleo fastigio andrà ad interagire
con i muscoli prossimali del corpo, interagendo sul
sistema mediale extrapiramidale del midollo passando
per i nuclei vestibolari intervenendo sul mantenimento di
equilibrio e postura, mentre il lobo flocculonodulare
andrà a regolare l’attività dei nuclei vestibolari per i loro
riflessi.
Disfunzioni: capito il ruolo di controllo e correzione del gesto motorio che ha il cervelletto, possiamo
capire come lesioni o problemi a livello cerebellare non implicano la scomparsa dl movimento ma la
sua incoordinazione. Si possono presentare gli stessi sintomi anche per lesioni o problemi alle afferente
del cervelletto, così da non metterlo in condizioni di effettuare un giusto paragone e quindi una giusta
risposta. Possiamo prendere in esame tre delle più frequenti disfunzioni:
BILANCIO ENERGETICO
Un giusto bilancio energetico è un giusto equilibrio tra entrate (introduzione di alimenti) ed uscite
(lavoro esterno, anabolismo interno, produzione interna di calore), quindi tra processi catabolici e
anabolici. Un ruolo importante nel catabolismo dei substrati energetici lo esplica l’ossigeno. Il bilancio
fra l’energia sviluppata dai processi ossidativi del nostro organismo e l’energia che il nostro organismo
spende, possiamo definirla con la formula:
E=h+w+R+C
E: energia totale prodotta
h: calore disperso
w: lavoro meccanico svolto
R: substrati energetici disponibili
C: temperatura del corpo.
CALORIMETRIA
Diretta: un metodo per misurare l’energia totale sviluppata sottoforma di calore è la calorimetria
diretta. Questo metodo consiste nel far svolgere ad un individuo un lavoro all’interno di una camera
calorimetria isolata circondata da acqua. Misurando la variazione di T dell’acqua arriviamo al calore
prodotto sapendo che 1 Kcal è l’energia necessaria per alzare di 1°C da 14,5 a 15,5 1Kg di acqua
distillata.. Questo metodo da un valore diretto e preciso, a scapito dei costi e tempi di realizzazione.
Indiretta: la calorimetria indiretta invece si basa su un metodo di calcolo dal quale possiamo
ricondurre il calore sviluppato. Tutto ciò che ci serve sono le formule di ossidazione bilanciate del
glicogeno e di un acido grasso come l’acido oleico. Infatti un soggetto a riposo o in esercizio a bassa
intensità otterrà quasi esclusivamente energia dall’ossidazione di zuccheri e grassi. L’acido oleico
viene preso come esempio poiché ha caratteristiche intermedie di tutti gli acidi grassi presenti.
Dalle formule osserviamo che i QR dati dal rapporto tra VCO2 e VO2 sono diversi. Per il glicogeno
abbiamo QR=1 (6/6) mentre per l’acido oleico abbiamo QR=0,70 (18/25,5). Ora calcoliamo anche
l’energia totale che è in grado di sviluppare un litro di ossigeno su una molecola di glucosio e una di
acido oleico.
!"Sapendo che per bruciare interamente una mole di glicogeno ci vogliono 6 moli di ossigeno
(22,4 L*6 = 134,4 L) sviluppando circa 680Kcal, un litro di ossigeno sviluppa 680 Kcal/ 134,4
L = 5,05 kcal
!"Sapendo che per bruciare interamente una mole di acido oleico ci vogliono 25,5 moli di
ossigeno (22,4 L*25,5 = 571,2 L) sviluppando circa 2660 Kcal, un litro di ossigeno sviluppa
2660 Kcal/ 571,2 L = 4,65 kcal.
Avendo i due dati estremi del QR possiamo calcolare i valori intermedi e costruire una tabella dove ad
ogni QR corrisponde il calore bruciato per litro dio ossigeno e la percentuale di grassi e zuccheri
impiegati.
Durante un esercizio fisico, possiamo calcolare il QR con uno spirometro e osservare in tabella il
valore di calore che stiamo producendo. Questo è il metodo più usato ma contro di esso abbiamo il
fatto che non tiene conto dell’apporto dell’ossidazione delle proteine, anche se in misura piccolissima,
che avremmo durante un esercizio più intenso. Inoltre la VCO2 ottenuta potrebbe non essere veritiera,
a causa di una sua formazione dopo il tamponamento dell’acidità da parte dei bicarbonato.
CONSUMI ENERGETICI
Metabolismo basale: una buona parte di questo dispendio energetico pari a 1200 – 2400 Kcal è
caratterizzato dal metabolismo basale. Questo consumo è il consumo minimo standard che garantisce la
nostra vita. Per poterlo misurare dobbiamo rispettare certe condizioni come:
Questo valore così oscillatorio dipende da numerosi fattori quali:
L’attività fisica e quindi la contrazione, richiede energia. Possiamo avere tre diversi gruppi da dove
attingere la forza per corre, saltare, nuotare, ecc..
!" Gruppo 1: sostanze usate direttamente. Sono ATP e PCr
!" Gruppo 2: sostanze usate indirettamente senza l’uso dell’ossigeno. Il glicogeno e il glucosio
vengono scissi anaerobicamente per ottenere ATP da usare direttamente
!" Gruppo 3: sostanze usate indirettamente con l’uso dell’ossigeno. Il glicogeno, il glucosio, gli
acidi grassi e parzialmente le proteine vengono scissi aerobicamente per ottenere ATP da usare
direttamente
Questi tre gruppi energetici vengono usati durante l’esercizio fisico, ma il loro intervento avviene in
maniera e in tempi diversi come nella figura.
METABOLISMO DURANTE L’ESERCIZIO
Come possiamo osservare dal grafico, il consumo di ossigeno durante un esercizio sottomassimale,
aumenta molto nei primi minuti di esercizio, per poi stabilizzarsi in una specie di plateu detto STEADY
STATE. A seconda della potenza sviluppata però abbiamo diversi tipi di curve. Vediamo però che
aumentando l’esercizio a certe potenze, rimanendo sempre a livelli sottomassimali, questa retta di
steady state scompare, e il consumo di ossigeno aumenta, lasciandosi sotto un area (vedi area azzurra
indicata dalla freccia) chiamata componente lenta. Questo aumento è dovuto a tre fattori:
!" Aumento della ventilazione
!" Passaggio da metabolismo lipidico aerobico a glucidico anaerobico:
!" Reclutamento delle fibre veloci
Nel secondo grafico vediamo meglio come varia il consumo di ossigeno al crescere dell’intensità.
Dopo lavori con potenza a 100 W (dove lo steady state era rispettato), la curva si impenna subendo
quello che viene detto DRIFT dell’ossigeno. Ciò avviene simultaneamente all’aumento della
lattacidemia (concentrazione di acido lattico nel sangue) dovuta al cambio di metabolismo da aerobico
a anaerobico.
VO2 max: Se aumentiamo ulteriormente la potenza a valori massimale come 300 W vediamo che il
consumo di ossigeno non varia, poiché abbiamo raggiunto il VO2 max. questo valore non è uguale per
tutti anche se non si sa bene il motivo. Si pensa ad una differente attività delle cellule muscolari o di
differenti caratteristiche di trasporto dell’ossigeno da soggetto a soggetto. Si sono comunque
individuati parametri di diversità tra i soggetti come ad esempio l’età, il sesso e lo stato atletico
IL LATTATO
Quando l’attività fisica si prolunga nel tempo è facile andare in fatica, quella sensazione che porta
all’arresto dell’esercizio. La fatica è spesso un fattore soggettivo e quindi riconducibile ad aspetti
psicologici della persona. La fatica interviene per l’intervento di diversi fattori:
Per poter far circolare più ossigeno bisogna far circolare più sangue e quindi la FC deve assolutamente
aumentare. Il suo aumento è proporzionale a quello dell’intensità dell’esercizio ed è dovuto
all’interazione di:
!" Diminuzione della scarica vagale che rallenta il ritmo del nodo senoatriale
!" Aumento della scarica simpatica che aumenta la FC
!" Secrezione di adrenalina in seguito ad aumento della scarica sipatica
L’aumento non ha inizio sempre da stessi valori per tutti di FC a riposo. Questo può dipendere molto
dallo stato di allanemento (soggetti non allenati partono da 60-80 bpm mentre soggetti allenati possono
avere FR a riposo di 28-40 bpm), dall’età e dal sesso della persona.
L’esercizio fisico,oltre che aumentare la FC, aumenta anche il volume di sangue immesso nell’aorta,
cioè la GS. L’aumento di volume finale è dato dall’interazione di tre fattori
Variazione del precarico (VTD): il precarico rappresenta il volume di sangue che entra nel ventricolo,
cioè il VOLUME TELEDIASTOLICO (VTD). Durante l’esercizio questo volume iniziale aumenta per
tre fattori:
!" Pompe ausiliarie di ritorno venoso: l’esercizio fisico e quindi la contrazione muscolare
favoriscono il ritorno venoso all’atrio di destra grazie a quelle zona dette POMPE
AUSILIARIE, come quella toracica che funziona grazie all’aumento della contrazione
muscolare respiratoria. Questa, provocando maggior pressione interna, è in grado di spremere la
vena cava facendo rientrare più sangue.
!" Venocostrizione: l’esercizio fisico promuove la venocostrizione che favorisce il ritorno venoso
!" Aumento del flusso: l’aumento del sangue in circolo per aumento della FC porta ad un
innalzamento della sua spinta inerziale nelle vene e in tutto il sistema circolatorio.
Variazione del postcarico: all’aumentare di tutti questi valori aumenta anche la pressione arteriosa
che coincide con il postcarico (forza che il ventricolo deve vincere per immettere il sangue in aorta).
Questo valore però è talmente irrilevante a confronto con gli altri effetti appena detti che il VOLUME
TELESISTOLICO (volume rimasto nel ventricolo dopo la sistole) rimane invariato e addirittura
diminuisce, anche se di valori poco importanti, al crescere dell’intensità dell’esercizio come si può
vedere dal grafico.
Curve P/V durante l’esercizio: durante l’esercizio fisico cambiano tutti i valori di pressioni e volumi
comportando quindi il cambiamento del grafico relativo a riposo. Durante l’esercizio si sposta dal
grafico 1 al grafico 2
!" L’aumentoo del precarico e quindi del
volume telediastolico, sposta il punto A
più a destra rimanendo sulla linea delle
curve passive che aumentano.
!" La fase di eiezione sarà più lunga aiutata
anche dallo spostamento del volume
telesistolico più in basso.
Essendo un prodotto della GS, anche la GC risente della posizione del corpo. Vediamo nei grafici sotto
come nelle prime tre posizioni a riposo la GC rimane costante variando i due fattori GS e FC. Nelle tre
posizioni di esercizio la GS aumenta fino ad un massimo raggiunto sia nella corsa lenta sia nella corsa
veloce. A questo punto la FC aumenta per aumentare la GC
la gittata cardiaca è allenabile poiché è allenabile la GS dalla
quale dipende. In soggetti allenati durante esercizi molto
intensi si può arrivare a 35 l/min
Per rendere più efficiente l’esercizio fisico, non solo viene aumentata la GC ma il sangue viene
distribuito nel corpo in maniera differente rispetto ai distretti come i muscoli e quelli che non svolgono
attività. Questo è dovuto da vasocostrizioni sistemiche simpatiche contemporanee a vasodilatazioni
muscolari dovute ad interventi nervosi simpatici e dal rilascio di mataboliti. Il grafico da un idea.
Si può notare come il cuore non subisca questa regola. Durante l’esercizio modrato però la percentuale
del sangue nella cute aumenta per favorire sudorazione e termoregolazione
Durante l’esercizio intervengono diversi fattori che promuovono l’aumento della GC.
Interventi meccanici dell’apparato cardio-circolatorio: abbiamo già visto come le funzioni cardio-
circolatorie vanno a modificarsi basandosi su tre principali avvenimenti meccanici
!" Pompe ausiliarie: le pompe ausiliarie del nostro organismo promosse dalla contrazione
muscolare di addome, torace e muscoli generici, favoriscono il ritorno venoso, aumentando il
VTD e la GS
!" Aumento del volume ematico: l’esercizio fa aumentare il volume ematico in circolo, facendo
inevitabilmente aumentare il ritorno venoso.
!" Variazione della proprietà miocardiche: il cuore migliora le caratteristiche contrattili delle sue
fibre, migliorando il rapporto tensione-lunghezza, sviluppando una buona forza anche a fibre
stirate dal maggior riempimento ventricolare.
Interventi nervosi vegetativi: tutte queste variazioni all’apparato cardio-vascolare sono regolate
principalmente da fattori nervosi vegetativi sia di tipo centrale, come interventi del simpatico per la
vasocostrizione, vasodilatazione e aumento di FC, sia da riflessi vegetativi che attuano risposte a
feedback negativo. Possiamo avere tre tipi di riflessi:
!" Riflessi muscolari: si parte da afferenze aventi terminazioni libere di tipi 3 e 4 non ancora viste
fino adesso più piccole e più lente. Queste terminazioni sono sensibili chimicamente a
variazioni di metaboliti nel muscolo e loro eventuale ischemia. Queste informazioni vengono
integrate in regioni bulbari dalle quali partono efferenze che, agendo sul simpatico, aumentano
la FC con conseguente aumento di GC e PA
!" Riflessi barocettivi: non si parte da terminazioni libere ma da recettori specifici posizionati
sull’arco dell’aorta e sulle carotidi, che sono sensibili alle variazioni di pressione per stiramento
della parete di questi vasi. Le loro afferenze giungono tramite il IX e il X nervo cranico nel
bulbo da dove partono poi le efferente verso cuore e vasi. Se la pressione è alta i recettori
scaricano diminuendo la FC e provocando vasodilatazione periferica per diminuire le RP e
viceversa. Questo controllo è molto preciso e veloce e serve per mantenere costante la PA a
certi valori detti operativi. Durante l’esercizio fisico la PA si alza fisiologicamente ma il sistema
non lavora per riportarli a valori di riposo ma si adatta cercando di mantenere costanti, anche se
alti, i nuovi valori dettati dai comandi nervosi centrali.
!" Riflessi cardiopolmonari: anche qui abbiamo la presenza di recettori specifici posizionati
nell’atrio del cuore dx e nelle pareti delle vene polmonari e sono sensibili alla basse pressioni
per stiramento delle pareti di questi vasi. Queste afferenze vengono integrate in efferenze nel
tronco encefalico, provocando aumento di FC per liberare queste zona dall’eccesso di sangue e
diminuzione delle RP con vasodilatazione. Questa aumento di FC provoca un iniziale aumento
di PA tamponata istantaneamente dai riflessi barocettivi.
Interventi umorali: affianco ai sistemi nervosi vi sono anche i sistemi umorali a regolare le
modificazioni cardio-circolatorie anche se il loro intervento è più lungo. In particolare questi effetti si
hanno sulla vasodilatazione periferica dovuta al rilascio di metabolici dai muscoli o loro ischemia
(mancanza di ossigeno).
INTEGRAZIONE TEMPORALE DI TUTTI I SISTEMI DI MODIFICAZIONE CARDIO-
CIRCOLATORIA
Il meccanismo e i macchinari sono sempre quelli usati per l’elettrocardiogramma e riposo. L’unica
differenza è che appunto osserviamo il tracciato durante l’esercizio potendo osservare variazioni di FC
e eventuali anomalie cardiache che a riposo non si riuscirebbero a vedere.
Posizionamento degli elettrodi: L’attività del cuore è possibile osservarla tramite elettrodi posizionate
su determinate posizioni della cute. In particolare abbiamo10 posizioni standard che rilevano 12
tracciati diversi. Gli elettrodi si posizionano sul braccio destro, sul sinistro, sulla gamba sinistra mentre
in quella destra viene messa la terra e sei elettrodi nel torace in posizioni specifiche come da figura.
Questi elettrodi misurano
!" Derivazioni unipolari: sono 9 e sono i 6 sul torace detti PRECORDIALI (da V1 a V6) e le 3
sugli arti (aVR sempre negativa, aVL piccola ma positiva e aVF sempre positiva)
!" Derivazioni bipolari: derivazioni bipolari che misurano le differenze di potenziale tra arto
destro e sinistro (derivazione I), arto destro e gamba sinistra (derivazione II) e arto sinistro e
gamba sinistra (derivazione III)
Durante l’elettrocardiogramma sotto sforzo però il soggetto deve essere monitorato durante l’esercizio
e quindi risulterebbero ingombranti gli elettrodi sugli arti. Si posizionano quindi vicino alle spalle e
nella zona addominale sotto l’ombelico facendo attenzione a non metterli sui muscoli. Rimangono
invariati gli elettrodi precordiali.
Il tracciato sotto sforzo: Sotto sforzo vi sono delle ovvie modificazioni del grafico del tutto
fisiologiche:
!" L’onda P subisce piccole variazioni di forma e di ampiezza posizionandosi più vicina all’onda T
anche prima che questa torni alla linea isoelettrica.
!" Aumento di ampiezza dell’onda Q per aumento della depolarizzazione del setto
intraventricolare perché la conduzione si fa più veloce
!" L’onda R subisce una leggera diminuzione di ampiezza
!" Il complesso QRS ha meno durata sempre perché la conduzione si fa più veloce
!" L’inizio del segmento ST può avere un leggera deflessione
!" Intervallo QT più breve
Segni di possibili anomalie riscontrabili:
!" Slivellamento segmento ST: il segmento ST si porta a valori più bassi del normale. E’ una delle
anomalie più gravi perché è sintomo di scarsa irrorazione del miocardio che tende ad andare in
ischemia. Non necessariamente si vede a riposo.
!" Tachicardia ventricolare: insorgenza di foci ectopici nel ventricolo che porta la comparsa di
complessi QRS molto anomali. Anche qui si ha l’interruzione di battiti normali per la
refrattarietà del miocardio
!" Blocco di branca: blocco della conduzione di un ventricolo che però si contrae ugualmente per
conduzione di quello funzionale. La contrazione avviene ma in due tempi diversi.
!" Blocco cardiaco: blocco del fascio di His fra i due nodi. I ventricoli si contraggono ugualmente
per autoeccitazione del nodo atrio-ventricolare ma in maniera scoordinata dagli atri.
MODIFICAZIONI DELLA CIRCOLAZIONE POLMONARE
Circolazione polmonare a riposo: Il flusso all’interno del capillare alveolare è garantito dal fatto che
la pressione capillare arteriosa (Pa) è più grande di quella capillare venosa (Pv).
Circolazione polmonare sotto sforzo: durante l’esercizio viene annullato quell’effetto di zona che si
aveva nei polmoni a riposo. Infatti la Pa aumenta, raggiungendo valori più alti della Pal in tutti i
distretti. Ne consegue un aumento di flusso sanguigno nei capillari polmonari (letto capillare) con un
netto miglioramento del rapporto ventilazione/perfusione. Durante uno sforzo particolarmente intenso
si tende a trattenere il fiato per sollevare – spostare un carico. Questo fa aumentare notevolmente le
pressioni alveolari interne del polmone con conseguente chiusura di tutti i capillari. Questo porta ad
una diminuzione del ritorno venoso, della FC e della GC.
MODIFICAZIONI RESPIRATORIE DURANTE
L’ESERCIZIO FISICO
CLASSIFICAZIONE DEI VOLUMI D’ARIA
La ventilazione è data dalla quantità di aria che noi respiriamo (VC) in relazione al numero di respiri al
minuto.
Esercizi moderati: l’aumento di ventilazione è provocato particolarmente dall’aumento di VC perché
risulta essere più economico avendo tempo a disposizione per ingrandire la gabbia toracica. Il VC non
aumenta mai di troppo al di sopra del 60-70% della CV perché risulterebbe molto dispendioso forzare
la respirazione con grande intervento dei suoi muscoli. L’aumento iniziale della ventilazione con il VC
è comandato dal sistema nervoso centrale insieme a riflessi nervosi di tipo propriocettivo.
Esercizi intensi: non bastando un aumento di VC bisogna intervenire con un aumento di frequenza
respiratoria. Il mantenimento della ventilazione con l’eventuale aumento di frequenza è dovuta a
riflessi chemocettivi e termici per innalzamento della temperatura.
MASSIME VENTILAZIONI
Esercizi moderati: durante un esercizio a bassa intensità le pressioni parziali arteriose do O2 e CO2
rimangono invariate rispettivamente a 100 mmHg e 40 mmHg, mentre le pressioni parziali venose
vanno diminuendo per l’O2 o crescendo per la CO2. Anche la pressione alveolare di O2 e il PH si
mantengono stabili.
Esercizi intensi: durante esercizi molto intensi la ventilazione aumenta notevolmente e osserviamo
diversi fenomeni:
!" Calo dalla pressione parziale arteriosa di O2: questo
calo è dovuto al fatto che non arriva abbastanza
sangue ossigenato al cuore per tessuti a causa di un
limite dell’apparato circolatorio.
!" Calo della pressione parziale arteriosa di CO2: anche
l’anidride carbonica diminuisce perché viene
consumato proporzionatamente meno ossigeno.
!" Aumento della pressione parziale alveolare di O2: la
ventilazione aumenta ma la circolazione è
insufficiente. Non tutto l’ossigeno riesce ad entrare
all’interno del capillare e il suo accumulo nell’alveolo
provoca aumento di pressione
!" Calo del PH: il non adeguato apporto di O2 ai tessuti
provoca l’insorgere di meccanismi energetici
anaerobici che favoriscono la formazione di lattato con aumento dell’acidità del sangue.
VARIAZIONE DEGLI SCAMBI GASSOSI DURANTE L’ESERCIZIO
Abbiamo visto nei grafici precedenti come, durante l’esercizio moderato, la pressione parziale arteriosa
dell’ossigeno rimanga pressoché costante mentre la pressione parziale venosa di O2 diminuisce
aumentando la differenza artero-venosa. Questo è dovuto alla particolarità che ha l’emoglobina di
cedere ossigeno più facilmente quando ce n’è bisogno e viceversa, cioè alla sua curva si saturazione.
L’iniziale aumento del respiro durante l’esercizio è dovuto all’intervento del sistema nervoso centrale
che agisce sui centri motori dei muscoli respiratori attivando i motoneuroni alfa. I muscoli stessi
regolano la loro forza in relazione allo stiramento con riflessi miotatici evocati dalle fibre gamma che
mantengono sempre una certa tensione. Il sistema nervoso centrale regola anche la frequenza
respiratoria dettata dal centro generatore del respiro il quale regola anch’esso l’attività dei motoneuroni
alfa. L’attività dei muscoli del corpo (siamo in stato di esercizio) rilascia metaboliti nel sangue e
favorisce la loro ischemia, fattori rilevati da recettori che vanno a modificare l’attività respiratoria
adattandola.
SOGLIA ANAEROBICA
Intensità di esercizio alla quale il nostro organismo risponde con cambio di metabolismo da aerobico ad
anaerobico. Per capire cos’è e per quantificarla bisogna prendere in considerazione l’equivalente
respiratorio
!" Equivalente ventilatorio dell’O2 (VE/VO2): rapporto tra
ventilazione e VO2, cioè litri di aria introdotti fratto i litri di ossigeno
consumati. Osserviamo sperimentalmente come cambia questo valore
al crescere dell’attività. Vediamo come nelle prime 4 velocità di corsa
il rapporto si mantiene più o meno costante, a dimostrare la
proporzionalità fra aumento di intensità dell’esercizio e rapporto tra
ventilazione e VO2. Negli ultimi due valori il rapporto aumenta
mostrando un incremento di ventilazione superiore al VO2. Questo
fattore è dovuto perché all’aumentare dell’intensità dell’esercizio, il
metabolismo cambia da aerobico ad anaerobico, con conseguente produzione di lattato che rende il
sangue più acido. L’acidità viene smaltita dai bicarbonati con formazione di anidride carbonica in
eccesso, smaltibile solamente con aumento della ventilazione e quindi con l’introduzione di aria
all’interno dei polmoni. La soglia anaerobica è così determinata a 240 m/min.
Il nostro organismo ha bisogno di mantenere una temperatura costante di 37°C che dipende dal bilancio
del calore del corpo fra aspetti termogenetici e aspetti termolitici del corpo. Per mantenere la
temperatura costante bisogna prevedere casi di produzione di calore o consumo,o a seconda del
bisogno.
Termogenesi: sistema di meccanismi di produzione di calore con innalzamento di temperatura
corporea. Può avvenire nei modi già visti nel bilancio del calore riassumibili in due:
!" Senza contrazione muscolare: calore prodotto da reazioni metaboliche interne stimolate da:
o Ormoni
o Alimentazione
o BMR
o Grasso bruno: in piccola parte e soprattutto negli animali in letargo, il calore e la
temperatura corporea viene mantenuta dalla stimolazione del catabolismo del grasso
bruno.
!" Con contrazione muscolare: calore prodotto per movimenti del corpo
o Contrazioni involontarie: non sotto il nostro controllo. Contrazioni simultanee di
agonisti e antagonisti che non creano movimento (brividi)
o Contrazione volontarie: contrazioni volontarie con sviluppo di movimento
Termolisi: sistema di meccanismi per abbassare la temperatura corporea favorendo la dispersione del
calore. Può avvenire nei modi già visti nel bilancio del calore in maniera proporzionale come da
tabella:
!" Radiazione: emanazione di energia termica sottoforma
di onda elettromagnetiche.
!" Conduzione: trasferimento di calore tramite contatto
con oggetti a temperatura più bassa come il terreno o i
punti di appoggio
!" Convezione: trasferimento di calore tramite contatto
con un fluido (aria, acqua) dipendente dalla sua
temperatura, dalla sua velocità e dalla sua umidità nel
caso dell’aria
!" Evaporazione: perdita di calore per passaggio di stato tra liquido a gas che può avvenire in tre
modi:
o Perspiratio insensibilis:
normale traspirazione della
pelle
o Sudorazione: perdita di
liquidi e sali in proporzione
coma da tabella
o Ventilazione
TERMINOLOGIE
!" Capacità termica di un corpo: rapporto tra la quantità di calore fornita al corpo e la sua
variazione di temperatura (capacità di riscaldarsi)
!" Calore specifico: capacità termica di un corpo di massa unitaria
TEMPERATURA CORPOREA
I limiti di temperatura per la vita sono 25° C - 43° C . Dal punto di vista termico, possiamo dividere il
corpo in due parti:
!" Nucleo centrale: parte centrale del corpo comprendente testa e tronco. E’ questa la parte del
corpo che deve essere mantenuta a temperatura costante di 37°C la quale viene influenzata
dall’età del soggetto, dal ritmo circadiano (alternanza sonno-veglia), da fattori umorali,
dall’attività fisica e dal ciclo ovario. La temperatura di questa parte è quella che viene rilevata
quando ci si prova al febbre posizionando il termometro nel retto, nella bocca, nel linguine o
sotto le ascelle
!" Guscio esterno: parte periferica del corpo rappresentata dagli arti. La temperatura di questa
parte non deve mantenere dei valori costanti, ma basta che possieda temperature all’interno dei
range di vita e viene influenza dall’ambiente esterno e dalla trasmissione interna dal nucleo
Il clima e quindi la temperatura esterna, hanno un ruolo fondamentale nella determinazione della
temperatura corporea, della sensazione di freddo o di caldo, innescando processi termolitici o
termogenetici. Queste sensazioni poi vengono completamente modificate dal vento e dall’umidità del
clima come mostrano le tabelle
Temperatura percepita: non sempre la temperatura dell’ambiente da un giusto resoconto dello stress
termico al quale un individuo è sotto posto. Per una sua giusta valutazione occorre effettuare una
misurazione detta WBGT (Wet Bulb Globe Thermometer) dove vengono effettuate tre diverse
misurazioni della temperatura dell’ambiente, una all’interno di un globo nero, una all’interno di un
panno umido e una della temperatura normale dell’aria. La vera temperata alla quale siamo sotto posti è
l’interazione delle tre in questa proporzione: 10% della T a secco, 20% della T del globo e 70% della T
umida. La performance peggiora sensibilmente se svolgiamo un’attività fisica al di sopra dei 28°C di
WBGT
Quando il corpo sottoposto a variazioni di temperatura, vi sono dei meccanismi riflessi di risposta.
Tutto ha origine dai termorecettori dell’organismo, posizionati sia sulla cute per la temperatura
periferica, sia all’interno dell’ipotalamo per la misurazione del nucleo. Queste afferente vengono
integrate nell’ipotalamo stesso, elaborando diverse risposte:
Risposte al freddo: quando la temperatura del nostro corpo esposto al freddo scende al di sotto del
normale (IPOTERMIA), avvengono dei processi per favorire il riscaldamento
!" Vasocostrizione cutanea: l’organismo fa passare meno sangue in periferia per non dargli modo
di raffreddarsi, raffreddando conseguentemente il nucleo
!" Brivido: si cerca di attivare processi termogenetici involontari per sviluppo di calore
!" Incremento del metabolismo: agendo sul SNV si stimola il metabolismo di tutti i tessuti per
produrre calore.
!" Comportamento: si tende ad assumere posizioni contratte per cercare di stare più caldi
Risposte al caldo: quando la temperatura del nostro corpo esposto al caldo si alza al di sopra del
normale (IPERTERMIA), avvengono dei processi per favorire il raffreddamento
!" Vasodilatazione cutanea: l’organismo allarga il passaggio del sangue in periferia cercando di
fargli perdere più calore possibile per conduzione e convezione. La vasodilatazione aumenta
l’attività delle ghiandole sudoripare
!" Sudorazione: la vasodilatazione aumenta l’attività delle ghiandole sudoripare che iniziano a
secernere sudore per raffreddare il corpo
!" Comportamento: si tende ad assumere posizioni larghe per cercare di mettere più superficie
corporea a contatto con il fluido nel quale è immerso.
La febbre è un surriscaldamento anomalo dell’organismo. Agenti patogeni infatti alterano la sensibilità
dei nostri termorecettori, facendogli percepire temperature più basse di quelle reali, scatenando dei
riflessi termogenetici che alzano la temperatura.
L’esercizio tende a far aumentare la temperatura corporea per l’intensa attività muscolare.
Intervengono quindi tutti i meccanismi sopradetti per cercare di disperdere il più possibile calore.
L’evaporazione diventa il sistema termolitico predominante, rappresentando l’80% di tutta termolisi
invece del 30% a riposo (vedi tabella termolisi)
Abbiamo visto come l’esercizio fisico provochi una ridistribuzione della GC verso i distretti che stanno
lavorando. La temperatura alla quale stiamo facendo l’esercizio incide su questa ridistribuzione.
L’esercizio fisico o alte temperature ambientali scaldano il corpo che attiva processi termolitici come
ad esempio l’evaporazione. Con il sudore il corpo espelle grandi quantità di liquido, specialmente se
siamo in condizioni estreme come l’attività fisica al caldo, situazione che può far perdere fino a
1L/h/mq. Il sudore però non è solo liquido, ma si porta con se anche diversi elettroliti. Queste perdite
provocano IPOVOLEMIA, calo di pressione e conseguente ipoefficienza fisica durante l’esercizio.
Questa perdita viene controllata con diversi meccanismi:
!" Sete: recettori volumetrici circolatori sentono l’ipovolemia e scatenano dell’organismo la
sensazione di sete che ci spinge ad ingerire liquidi, per ristabilire qual giusto equilibrio che
manca
!" Fattori umorali: vengono secreti ormoni antidiuretici per stimolare il riassorbimento dell’acqua
dal rene:
o Aldosterone: secreto dalla corticale delle ghiandole surrenali per rilascio di renina
dell’apparato iuxtamidollare sensibile all’abbassamento di pressione. Stimola il
riassorbimento di sali e indirettamente di acqua per osmosi
o ADH: ormone antidiuretico secreto dalla neuroipofisi che stimola il riassorbimento di
acqua dal dotto collettore per alta osmolarità dell’interstizio.
ADATTAMENTI DELL’ORGANISMO SOTTOPOSTO A ESERCIZI AL CALDO
Un organismo sottoposto sempre ad esercizi a temperature elevate, sviluppa degli adattamenti chiamati
ACCLIMATAZIONE. Un soggetto acclimatato sviluppa:
!" Maggior sudorazione che inizia a verificarsi in maniera precoce all’esercizio
!" Sudore più diluito perché l’organismo ha imparato a risparmiare i sali
!" Minor innalzamento termico del corpo
!" Minor innalzamento della FC dovuto a:
o Aumento della volemia per aumento della ritenzione di sali
o Riduzione dell’irrorazione cutanea
o Aumento del VTD
Un soggetto acclimatato al caldo riesce a sviluppare una performance migliore rispetto ad un altro
soggetto che si trova a svolgere lo stesso esercizio al caldo ma per la prima volta
ADATTAMENTO MUSCOLARE
EFFETTI DELL’IMMOBILIZZAZIONE
Lunghi periodi di immobilizzazione dovuti a infortuni o malattie portano a delle sensibili modificazioni
dei muscoli che vanno incontro ad atrofia, la quale è composta da:
!" Riduzione della sintesi proteica: avviene già dopo 6 ore dall’immobilizzazione
!" Disintegrazione di miofibrille e fusione di quelle residue
!" Danneggiamento dei mitocondri
!" Riduzione della sezione traversa delle fibre muscolari
!" Riduzione delle fibre 1
Per vedere tali modificazioni si sono effettuati sia esperimenti in laboratorio su muscoli in vitro o su
animali, sia su umani.
Esperimenti in laboratorio o su animali:
!" Innervazione di fibre di tipo 2 con neuroni di tipo 1: le fibre veloci cambiano le loro
caratteristiche in altre più vicine alle fibre lente
!" Stimolazione prolungata di fibre di tipo 2 a basse frequenza: le fibre veloci cambiano le loro
caratteristiche in altre più vicine alle fibre lente
!" Somministrazione di allenamenti aerobici sui ratti come la corsa sulla ruota: si è osservato un
cambiamento delle fibre muscolari di percentuale sulla composizione delle fibre. Infatti
avvenivano trasformazione delle fibre 2b in 2a e delle 2a in 1
Esperimenti sull’uomo:
!" Allenamento aerobico alla resistenza: in un individuo sottoposto ad allenamenti di resistenza
come la corsa, osserviamo un aumento della massa muscolare ma con una diminuzione
percentuale di fibre veloci 2b che si trasformano in 2° e un aumento delle 1 per trasformazione
delle 2a insieme a iperplasia e ipertrofia delle ultime due.
!" Allenamento a velocità e resistenza: in un individuo sottoposto ad esercizi misti sia di velocità
che di resistenza come una corsa molto veloce, sviluppa un aumento di massa muscolare
prevalentemente per ipertrofia di fibre di tipo 2
!" Allenamento alla velocità: in un individuo sottoposto ad allenamenti di velocità come scatti o
pesi, osserviamo un aumento della massa muscolare ma con una diminuzione percentuale di
fibre lente di tipo 1 e un aumento percentuale di fibre veloci di tipo 2
L’allenamento aumenta il numero e le dimensione delle fibre, aumentando la massa muscolare globale
ma, per poterla irrorare tutta, bisogna aumentare il numero di capillari
L’esercizio anaerobico è basato sull’ATP, Pcr e sul meccanismo gli colitico per produrre energia con
conseguente accumulo di acido lattico. Lunghi periodi di allenamento anaerobico, porta a maggior
produzione di enzimi per il metabolismo anaerobico, i quali portano ad una minor accumulo di acido
lattico, spostando la soglia del lattato, migliorando la prestazione.
ADATTAMENTI METABOLICI ALL’ESERCIZIO AEROBICO
L’esercizio aerobico è basato sull’ossidazione dei substrati energetici da parte dell’ossigeno. Lunghi
periodi di allenamento aerobico portano al miglioramento delle funzionalità legate all’ossigeno, come
la quantità di mioglobina e dei mitocondri, associata all’aumento delle loro dimensioni e
dell’efficienza. Aumentano anche gli enzimi ossidativi, in
proporzione alla quantità di esercizio fisico aerobico
giornaliero. L’allenamento da esercizio aerobico inoltre
aumenta la quantità di glicogeno e trigliceridi muscolari,
abituando il fisico a risparmiare glucosio, usando come fonte
energetica primaria l’ossidazione dei grassi. Il soggetto
allenato inoltre ha un crossover (punto di cambio tra
consumo di grassi e di glucosio dovuto all’incremento di
intensità dell’esercizio) più spostato verso la destra del
grafico sottostante, rendendo più difficile il consumo di
zuccheri.
L’esercizio fisico aumenta il valore del VO2 max. Questo non è ancora dimostrato scientificamente o
riconducibile ad una regola perché dipende fortemente da soggetto a soggetto. In media comunque un
soggetto allenato riesce ad aumentare il valore del suo VO2 max fino al 15-20%
ADATTAMENTI CARDIOVASCOLARI E RESPIRATORI
ALL’ESERCIZIO
ADATTAMENTI DEL CUORE
Aumento di massa: il cuore di uno sportivo è un cuore abituato a sforzi intensi e a alte frequenza.
Come ogni muscolo sottoposto ad allenamento, anche il cuore aumenta di massa in maniera però
differente a seconda dell’allenamento del soggetto:
!" Allenamenti di resistenza: Aumenta proporzionatamente più il diametro interno del ventricolo
che lo spessore delle sua pareti
!" Allenamento di forza: aumenta proporzionalmente più lo spessore delle pareti che il diametro
interno del ventricolo
Aumento di GS: il cuore di un soggetto allenato ha una migliore GS sia a riposo che durante ogni tipo
di esercizio. Questo aumento è causato da:
!" Aumento del VTD dovuto a:
o Aumento del diametro ventricolare
o Aumento del tempo di diastole
o Aumento della volemia
!" Diminuzione del VTS dovuta a:
o Migliore contrattilità del ventricolo per l’aumento della sua massa
o Bassa pressione
Diminuzione della FC: il soggetto allenato presenta FC medie più basse di soggetti non allenati
!" A riposo: A riposo essendo la GC uguale per tutti a circa 5 L/min, un soggetto allenato con
migliore GS avrà necessariamente valori più bassi di FC perché GC = GS x FC.
!" Durante l’esercizio: a parità di esercizio
sottomassimale, un soggetto allenato presenta
FC più bassa rispetto ad un soggetto allenato
per lo stesso principio che abbiamo a riposo.
Esercizi massimale però portano il
raggiungimento di FC max in qualsiasi
soggetto. La differenza è che la performance a
FC max di soggetti allenati rispetto a quella di
non allenati è molto più alta. Durante il
periodo di recupero, la FC ritorna a valori di
riposo più velocemente in un soggetto
allenato.
Aumento della GC: abbiamo detto prima che la GC a riposo è
uguale per tutti, con grande beneficio dei soggetti allenati che
risparmiano battiti ogni minuto. La GC durante l’esercizio
rimane pressoché invariata, ma quando andiamo ad effettuare
esercizi massimali, il soggetto allenato ha ancora a disposizione
diversi battiti in più, potendo aumentare ulteriormente la GC
migliorando la performance
Diminuzione della PA: in un soggetto allenato la PA a riposo risulta diminuita sia nei valori massimi
che minimi. Durante l’esercizio invece non risultano particolari cambiamenti dal normale.
Aumento del flusso muscolare: la quantità di sangue ai muscoli in un soggetto allenato aumenta, sia
per il fatto che ha una massa muscolare e una capillarizzazione più importante, sia perché la
circolazione si è abituata ad avere una certa ridistribuzione
Aumento della volemia: un soggetto allenato presenta più volume ematico in corpo rispetto ad un
soggetto non allenato. Questo dipende dall’intensa produzione di ADH che il soggetto allenato sviluppa
per abitudini a sudare e al conseguente riequilibrio e dalla quantità di proteine ematiche che richiamano
liquido interstiziale all’interno dei capillari.
Il soggetto allenato presenta valori diversi per quanto riguarda il volumi respiratori, le frequenze
respiratorie e le conseguenti ventilazioni grazie al miglioramento della funzionalità di tutto l’apparato
respiratorio. Infatti il miglioramento dei muscoli respiratori garantiscono frequenze più elevate e
migliori utilizzazioni dell’O2 riducono la ventilazione a riposo di sportivi che equivale a risparmio
energetico. Questo adattamento alla ventilazione rimane anche in soggetti ex atleti, salvo casi
patologici o fumatori. I dati in tabella danno l’idea.
Abbiamo anche dei miglioramenti per quanto riguarda gli scambi gassosi:
!" Diffusione polmonare: a riposo e nell’esercizio sottomassimale la diffusione polmonare rimane
invariata sia per il soggetto allenato che per quello non allenato. Durante l’esercizio massimale
il migliore rapporto ventilazione perfusione dello sportivo causato dell’elevata ventilazione del
soggetto allenato e alla diminuzione degli alveoli che non scambiano, rileva un sensibile
miglioramento di diffusione
!" Differenza A-V di O2: durante l’esercizio massimale, l’allenato presenta una maggiore
differenza arterovenosa di O2 grazie alla sua maggiore utilizzazione in una circolazione con
ottima ridistribuzione nelle zona che ne consumano di più
VARIAZIONI ORMONALI SUL METABOLISMO DURANTE
L’ESERCIZIO FISICO
Durante l’esercizio fisico vi sono diverse risposte ormonali che producono diversi effetti gli ormoni che
ci interessano sono:
Abbiamo visto come questi ormoni abbiamo effetto sul metabolismo intervenendo anche durante
l’esercizio. Il grafico sotto fa vedere come la loro % nel sangue varia nel tempo di un l’esercizio fatto
da un soggetto allenato
Vediamo come salgono i valori di adrenalina e noradrenalina, mentre rimandono costanti i valori di
glucagone, facilmente capibili dal mantenimento perfetto della glicemia anche oltre le due ore di
esercizio. il cortisolo compie il suo lavoro solo nelle prime fasi di lavoro, andando progressivamente a
diminuire.