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Immunologia

e
Immunopatologia
Avvertenze

Questa è una raccolta di appunti che personalmente ho elaborato a partire da


quelli presi a mano a lezione, ed integrati con informazioni prese dai libri e da
internet.
Sarò grato a tutti coloro che mi segnaleranno errori, imprecisioni e/o consigli per
migliorare la stesura di futuri appunti.

Andrea Palomba

Mail : Andreatheone@tiscali.it
Introduzione

L’ immunologia è una disciplina giovane; del resto se le altre discipline, perlopiù


morfologiche (anatomia, istologia…) sono partite da DATI DI FATTO, ovvero organi e
tessuti, l’ immunologia è partita come un materia evanescente!
Le prime deduzioni sul termine di “immunità” furono operate nel XVIII secolo, quando
si scoprì che le donne che mungevano regolarmente i bovini erano immunizzate contro
il vaiolo: evidentemente doveva intercorrere una relazione tra il virus bovino del vaiolo
e quello che causava la malattia nell’ uomo; inoltre l’ infezione con il primo poteva
conferire “immunità” al secondo.
Solo in seguito si è identificato il sistema immunitario: ora si è giunti al massimo
splendore della ricerca immunologia, splendore che è nato circa 30 – 40 anni fa.

Compiti del sistema immunitario

Ad esso spetta la difesa contro:

1) Organismi e sostanze estranee (Batteri, virus, protozoi, funghi, sostanze


chimiche), chiamate NON SELF, e che rappresentano circa il 30% dei bersagli del
sistema immunitario.
Questo tipo di difesa è sentita anche dagli animali inferiori; con l’ evoluzione, ovvero
con la comparsa dei mammiferi, la difesa diventa sempre più complessa: l’ uomo ha
esigenze difensive differenti rispetto alla stella di mare! Infatti, negli organismi
evoluti:

2) Sorveglianza contro i tumori (ovvero SELF MODIFICATO, non normale), che


rappresentano circa il 70% dei bersagli del sistema immunitario. Infatti negli animali
più evoluti si sviluppa anche il problema del cattivo funzionamento degli organi.
Tuttavia, man mano che l’ età avanza, l’ incidenza tumorale è sempre più frequente, e
la proporzione tra i bersagli è diversa sempre più nelle specie più evolute.
3) Tolleranza verso i componenti propri: oltre a riconoscere il NON SELF e il SELF
ALTERATO, il sistema immunitario deve riconoscere anche il SELF NORMALE; si
instaura in questo modo il fenomeno attivo della TOLLERANZA IMMUNITARIA.

Una prima distinzione delle difese

L’ estraneo può attaccare più volte il nostro organismo. Ogni volta che ciò avviene però
il sistema immunitario NON RICOMINCIA DACCAPO, ci sarebbe uno spreco di
risorse. Distinguo a questo proposito:

1) Una DIFESA PRIMORDIALE o NATURALE o ASPECIFICA o INNATA


Questa difesa è composta dal sistema immune – naturale, che:

- Riconosce nella stessa maniera tutti i nemici, ovvero è ASPECIFICA;


- Non si adatta al fenomeno;
- Presenta risposta rapida;
- Non necessita di un contatto diretto con l’ antigene;
- E’ pronta all’ uso, ovvero lavora subito: è infatti il primo ostacolo che il nemico
trova, prima che intervenga la difesa specifica.

Ha però dei contro:

- Può essere sopraffatta;


- Manca della memoria immunologica.

2) La DIFESA IMMUNE SPECIFICA o ADATTATIVA o ACQUISITA, che:

- E’ SPECIFICA per ogni bersaglio, ovvero possiede armi selettive per singoli
bersagli;
- Possiede MEMORIA IMMUNOLOGICA, ovvero si ricorda ciò che è successo;
- E’ sempre in moto, così come la difesa aspecifica;
- Non si accende fino a che non c’ è il contatto con l’ agente estraneo.

Pur essendo indipendenti e possedendo armi differenti, i due tipi di difesa, specifica e
aspecifica, possono collaborare attraverso un fenomeno di CROSS – TALK, una rete
che permette la comunicazione.
Nell’ ottimizzazione della difesa è preso in causa anche il sistema nervoso.

L’ antigene
L’ antigene (in nomenclatura Ag) è definito come ogni stimolo che si fa riconoscere
dal sistema immunitario. Il riconoscimento è parte integrante di una prima fase della
difesa, ovvero la fase afferente.
L’ antigene, esponendosi alle cellule immunocompetenti, provoca di seguito una risposta
immuno – cellulare che può essere specifica o aspecifica. In particolare:

- SE l’ antigene è ESTRANEO (non self) o SELF MODIFICATO, si avrà una


RISPOSTA EFFERENTE in modo tale da eliminare l’ antigene stesso.

- SE l’ antigene è SELF si avrà una RISPOSTA EFFERENTE non distruttiva:


come precedentemente citato, vi sarà il fenomeno della tolleranza.

La risposta dunque non sarà univoca: entrambe i gruppi si faranno riconoscere, ma il


risultato sarà differente.

In particolare riferimento al primo punto, qualora l’ antigene dovesse essere


ESTRANEO, il risultato dipenderà da chi si mette in moto! Avrò:

a) Una risposta ASPECIFICA (sempre in moto) , che si compone di sistemi effettori


diversi: molecole e cellule.

- Nella componente cellulare ritroverò i FAGOCITI (POLIMORFONUCLEATI


,detti anche GRANULOCITI NEUTROFILI, MACROFAGI, MONOCITI).

- Nella componente molecolare, detta anche componente umorale, ritroverò


molecole eterogenee, tra cui il SISTEMA DEL COMPLEMENTO, ovvero un
insieme di proteine che si organizzano per attaccare un bersaglio.

b) Una risposta SPECIFICA (anch’ essa sempre in moto), che prevede la conservazione
della memoria immunitaria dell’ antigene, una volta che questo è stato eliminato.
Possiede anch’ essa diversi effettori, di natura sia cellulare che molecolare:

- Nella componente cellulare ritroverò i LINFOCITI.


- Nella componente molecolare o umorale ritroverò gli ANTICORPI (in
nomenclatura Ab, ovvero Anti – Bodies).

Le componenti cellulare e molecolare della risposta specifica, pur essendo


indipendenti, COLLABORANO.

Classificazione antigenica
Abbiamo già visto che l’ antigene, sostanza chimica semplice, è in grado di stimolare il
sistema immunitario, e non v’è nessun movimento senza di esso. Distinguo:

- ANTIGENI COMPLETI: ovvero antigeni che si fanno riconoscere in maniera


autosufficiente e che subiscono la risposta immunitaria.

- ANTIGENI INCOMPLETI o APTENI (ad esempio possono esserlo i farmaci o


alcuni metalli come il Nichel): ovvero antigeni che non si possono far
riconoscere da soli, ma necessitano di un legame ad un carrier per poter
essere riconosciuti. Il Nichel nelle persone iperresponsive è in grado di legarsi
ai cheratinociti tramite la presenza di un carrier apposito e vi è risposta! Un
altro esempio di aptene può essere il dinitrofenolo, o la penicillina.
L’ allergia alla penicillina di alcune persone è attribuibile alla presenza di un
anello benzolico.

E’ chiaro che lo stimolo del sistema immunitario sarà proporzionale al numero e


alla presenza di differenti antigeni: ad esempio il batterio è visto come un
MOSAICO DI ANTIGENI, ne deriva un grande stimolo.

Gli epìtopi

Definiamo EPITOPO o DETERMINANTE ANTIGENICO la singola porzione dell’


antigene riconosciuta dal sistema immunitario. Ciascun epìtopo dunque si fa
riconoscere e si avrà una risposta policlonale (ovvero più risposte per la presenza
degli epìtopi). Per la morte dell’ organismo dovrà essere colpito l’ EPITOPO
CRITICO.
Ci può essere competizione tra i vari epìtopi: SE PRESI SINGOLARMENTE sono
tutti potenzialmente in grado di generare una risposta, SE INSIEME alcuni
possiedono IMMUNODOMINANZA.

Caratteristiche degli antigeni completi

1) Sono ESTRANEI.
La trasfusione di plasma non è critica, le proteine dei nostri simili sono
accettate. In passato il diabete si curava con l’ insulina di maiale, la quale
andava bene le prime volte, ma dal momento che, essendo estranea, venivano
formati gli anticorpi, bisognava ogni volta aumentare le dosi; sono sufficienti
anche pochi amminoacidi (proprio come avviene tra insulina umana e suina).

2) GRANDEZZA MOLECOLARE: le molecole sotto i 5000 Dalton hanno uno


scarso potere immunogenico. Inoltre più grande è la molecola, più saranno
presenti EPITOPI, più facilmente essa sarà riconoscibile. Per questo i farmaci
sono antigeni incompleti: essendo piccoli, per essere riconosciuti avranno per
forza bisogno del carrier.

3) COMPLESSITA’ MOLECOLARE: una molecola può essere grande e avere una


struttura molecolare banale e viceversa.

4) ACCESSIBILITA’ MOLECOLARE: affinché gli epitopi vengano riconosciuti, non


è sufficiente la loro presenza, ma devono essere localizzati in superficie
(fattore importante per ricercare i vaccini).

5) CARICA ELETTRICA: preferibilmente deve esserne provvisto l’ antigene


completo per interagire.

6) RIGIDITA’ : la molecola non deve essere viscida, deve possedere quel minimo di
rigidità per poter incastrarsi nel recettore.

7) FORMA FISICA DI SOMMINISTRAZIONE : vi è differenza di potenza


immunogenica tra proteine solubili e proteine iniettate in forma aggregata.
RISPETTO ALLA FORMA SOLUBILE, E’ PIU’ POTENTE LA FORMA
AGGREGATA.

8) VIA DI SOMMINISTRAZIONE: la via endovenica di somministrazione di un


vaccino è poco potente. Infatti l’ antigene, seppur somministrato in forma
aggregata, deve passare per il fegato, dove subisce l’ azione di quest’ ultimo e
viene trasformato nella forma solubile, meno potente, che rimane in circolo. Per
questo motivo ora si usa la via sottocutanea di somministrazione.

9) ADIUVANTI
E’ possibile somministrare l’ antigene assieme a sostanze che potenziano la
risposta immunitaria. Queste sostanze sono dette adiuvanti.
Il principio è fare una miscela – emulsione olio/acqua, a cui poi si aggiunge l’
antigene: in questo modo l’ antigene viene rilasciato gradualmente nel tempo, e
inoltre ha la proprietà di stimolare le cellule che dovranno processare l’
antigene.

L’ ADIUVANTE DI FREUND è un particolare tipo di adiuvante suddiviso in due


categorie:

- COMPLETO, che presenta pure un MICOBATTERIO che potenzia la risposta


immunitaria.

- INCOMPLETO.
Entrambe le tipologie sono comunque caratterizzate dal possedere sostanze
oleose.
Nell’ uomo viene pure utilizzato una sorta di gel (con composti di alluminio, tra cui
Al (OH)3), a cui si aggiunge di seguito l’ antigene.

10) CARATTERISTICHE GENETICHE DELL’ INDIVIDUO: lo stesso antigene


somministrato a persone differenti può dare risposte differenti. Devo accettare
che la risposta dipende dalle caratteristiche genetiche dell’ individuo e per questo
parlo di persone ipo- ed iperresponsive.

Gerarchie antigeniche

I migliori antigeni saranno le proteine: infatti esse possiedono tutte le caratteristiche


necessarie: infatti sono grandi, complesse, e possiedono carica. Fanno eccezione gli
ISTONI, i quali fisiologicamente non sono antigeni: lo diventano in particolari casi
patologici.
Gli zuccheri non sono antigeni ottimali, visto che non sono complessi, hanno una
struttura ripetitiva, sebbene possiedano una debole carica elettrica.
I lipidi lo saranno ancor meno: possiedono struttura ripetitiva, e sono pure viscidi.
Il DNA ancor meno, salvo in patologie come il LUPUS, dove vengono a formarsi
anticorpi contro il DNA stesso.
La gerarchia è dunque:

Proteine  Carboidrati  Lipidi  Acidi nucleici

Alcuni esempi di antigeni

Abbiamo visto che i batteri sono visti come un mosaico di antigeni. I batteri sono
classificabili in base alle caratteristiche differenti di struttura della parete cellulare
in:

1) GRAM NEGATIVI (GRAM -) : la sottile parete cellulare è composta dal


peptidoglicano, che poggia direttamente sulla membrana cellulare. All’ esterno
del peptidoglicano trovo LIPOPOLISACCARIDI (composti dal LIPIDE A e da
saccaridi), altrimenti denominati LPS o ENDOTOSSINE, la vera causa delle
patologie (possono portare allo shock endotossinico).
Tuttavia questi lipopolisaccaridi non sono considerati buoni antigeni perché
misti.
2) GRAM POSITIVI (GRAM +) : possiedono una parete cellulare più spessa, e le
patologie correlate sono date delle ESOTOSSINE (più potenti, ma PIU’
ANTIGENICHE perché sono proteine!)

Altri esempi di antigeni sono forniti dai gruppi sanguigni.

I gruppi sanguigni

Distinguo, nell’ ambito dei gruppi sanguigni, due sistemi:

• Il sistema AB0;

• Il sistema Rh.

Sono chiamati sistemi perché sono presenti famiglie di antigeni.

Il sistema AB0

Presenta i 3 diversi antigeni A, B, 0; al sistema sono però associati quattro gruppi


sanguigni: A, B, AB, 0.

GRUPPO ANTIGENE ANTICORPO


A(1-2) A Anti – B
B B Anti – A
AB A, B No anticorpi
0 No antigeni Anti – A , Anti – B

In realtà il gruppo A si divide in A1 e A2.


Il gruppo AB può ricevere sangue da tutti e non può dare sangue a nessuno: sono
RICEVITORI UNIVERSALI.
Il gruppo 0 è DONATORE UNIVERSALE.
Finora abbiamo detto che per ogni antigene corrisponde una risposta immunitaria, ma
qui troviamo una eccezione: nel sangue troviamo infatti ANTICORPI NATURALI,
ovvero che non si formano in seguito a trasfusione.
Questi anticorpi non sono presenti alla nascita, ma compaiono dopo circa 2 – 3 mesi,
e sono poco titolati (concentrati), in quanto non sono soggetti a stimoli immunogenici.
Sebbene a bassa concentrazione, essi sono un po’ modulati: se vivessi in un ambiente
sterile, la loro concentrazione diminuirebbe fino al minimo possibile.
Viceversa, la vita di relazione ne aumenta la concentrazione. Ma come si vengono a
formare questi anticorpi?
E’ da sapere che già alla nascita noi siamo colonizzati da una moltitudine di batteri; dal
momento che le strutture degli zuccheri non sono complesse, NON E’ IMPOSSIBILE
che i batteri abbiano zuccheri con struttura simile.
Inoltre si possono citare casi di coloro che, per motivi genetici, non sono proprio in
grado di fabbricarsi gli anticorpi.

Sono gli antigeni A e B dunque ad etichettare le persone nei diversi gruppi sanguigni.
I gruppi A e 0 sono in Italia i più frequenti, e come percentuale, si equivalgono
(circa 40 %); le persone di gruppo B sono più modeste (15%), gli AB una minima
percentuale (3 – 5%).
Le percentuali cambiano man mano che ci si sposta verso est, verso l’ Asia: il numero
degli 0 rimane inalterato, si abbassa quello degli A e aumenta quello dei B.
Dunque la distribuzione dei due gruppi è variabile. Inoltre B aumenta man mano che ci
si dirige verso il Sud Italia.

Gli antigeni A e B sono zuccheri: sono sulla superficie di cellule circolanti (globuli
rossi essenzialmente), ma anche su tutti i tessuti, con varia frequenza espressiva.
Questi sono ancorati alle cellule tramite i fosfolipidi di membrana.
Però circa l’ 80% della popolazione mondiale possiede questi antigeni come
circolanti, quindi solubili, NEL PLASMA e NELLE SECREZIONI, dove sono legati a
peptidi.

Strutture zuccherine degli antigeni

Si parte da una SOSTANZA FONDAMENTALE, modificata poi per l’ effetto dei geni.
Essa è costituita da una BRANCA COMUNE e DUE BRANCHE PERIFERICHE:

Gal – GlcAc

Gal – GlcAc – Gal – GalAc – P (1)

Gal – GlcAc

Dove GlcAc è acetilglucosammina e GalAc è acetilgalattosammina.

IL GENE H codificherà di seguito per una transferasi in grado di attaccare ai due


galattosi terminali DUE FUCOSI, che andranno a formare così l’ ANTIGENE H:
Fuc - Gal – GlcAc

Gal – GlcAc – Gal – GalAc – P (2)

Fuc - Gal – GlcAc

Se mi fermo qui, ottengo il GRUPPO SANGUIGNO 0. Ci sono persone che però non
possiedono il gene H, allora parlerò di gruppo BOMBAY (dal nome della città dove per
primo venne identificato un individuo con questo gruppo): in tal caso la struttura
zuccherina dell’ antigene è assimilabile a quella in figura (1).

In base a quanto appena asserito, l’ antigene H sarà presente in tutti i gruppi (pure
nel gruppo 0, che dunque NON risulta completamente sprovvisto di antigeni) e nessun
gruppo avrà anticorpi anti H.
D’ altro canto il gruppo Bombay avrà anticorpi anti-tutti, e potrà ricevere
trasfusioni solo da un altro gruppo Bombay (tra l’ altro molto rari).

Il gruppo 0 può essere una situazione transitoria. Con l’ intervento del gene A1:

Fuc - Gal – GlcAc

GalAc Gal – GlcAc – Gal – GalAc – P

Fuc - Gal – GlcAc

GalAc

..oppure del gene A2:

Fuc - Gal – GlcAc


Gal – GlcAc – Gal – GalAc – P

Fuc - Gal – GlcAc

GalAc

Per il gruppo B interviene il gene B che codificherà per una transferasi che :

Fuc - Gal – GlcAc

Gal Gal – GlcAc – Gal – GalAc – P

Fuc - Gal – GlcAc

Gal

Definisco SECRETORI coloro che presentano nel plasma e nelle secrezioni questi
zuccheri. Per far ciò, devo avere un gene secretore che ne regoli il rilascio:

L’ allele dominante è identificato con Se, quello recessivo con se; di conseguenza:

- Sese / SeSe : è il genotipo secretore, che rappresenta circa l’ 80% della


popolazione mondiale.
- Sese : è il genotipo non secretore, che rappresenta il rimanente 20%.

Il gene Lewis

Chi possiede il gene Lewis A, ottiene alla fine una transferasi che, a partire dalla
sequenza primordiale precedentemente analizzata, attacca UN FUCOSIO alla
ACETILGLUCOSAMMINA IN PENULTIMA POSIZIONE su una branca periferica:
Gal – GlcAc

Fuc Gal – GlcAc – Gal – GalAc – P  LEWIS A

Gal – GlcAc

Per diventare Lewis B, bisogna che l’ individuo abbia il gene Lewis A e il gene
secretorio.
Gran parte di noi è Lewis B, in quanto chi non è Lewis (in generale) è circa il 2% della
popolazione mondiale.

Il sistema Rh

Il nome del sistema deriva dalla scimmia Rhesus, a cui in passato vennero iniettati
globuli rossi umani: ne derivò una conseguente produzione di anticorpi. Questo
esperimento consentì di identificare due gruppi sanguigni:

- Uno con cui gli anticorpi reagivano;


- Uno con cui gli anticorpi NON reagivano.

Al gruppo corrispondente la prima caratteristica fu dato il nome di Rh positivo (Rh+),


al secondo di Rh negativo (Rh-).
Nel sistema Rh sono identificabili (solo nella specie umana), grazie agli anticorpi, 5 tipi
di antigeni:

C, c, D, E, e

L’ antigene d non è menzionato in quanto non risulta essere immunogenico (non vengono
prodotti anticorpi anti d).
D è l’ antigene più potente del sistema: infatti è proprio in base alla sua presenza o
assenza che determino l’ appartenenza al gruppo Rh+ o Rh- : la patente di Rh+ è data
da un genotipo Dd oppure DD, quella di Rh- da un genotipo dd.
Da un punto di vista squisitamente ereditario, questi antigeni vengono ereditati come
APLOTIPI, ovvero in blocco: sui cromosomi materni e paterni essi sono posti molto
vicini tra loro in modo tale che non avviene il crossing over (ricordiamo che la
percentuale di probabilità che esso avvenga è direttamente proporzionale alla
distanza tra i geni). Per la precisione sono siti sul cromosoma 1.
Ma in un fenotipo Rh+ come faccio a determinare se il genotipo è DD oppure Dd? In
questi casi sarà necessario analizzare la prole e le generazioni successive.
Dunque noi nasciamo con questi antigeni Rh (presenti sui SOLI GLOBULI ROSSI), ma
NON produciamo anticorpi naturali contro di essi: ci immunizziamo solo in seguito ad
una trasfusione.
A causa di questa particolarità, successivamente ad una prima trasfusione di sangue
da un individuo Rh+ a uno Rh-, non si ha una reazione immediata (a differenza di
quanto avviene nel sistema AB0) in quanto si ha produzione di anticorpi! Il guaio
avviene qualora dovesse avvenire una seconda trasfusione, perché gli anticorpi ormai
formatisi reagirebbero con l’ antigene estraneo.
La differenza con il sistema AB0 è anche in termini numerici: il rapporto antigenico
tra antigeni AB0 ed Rh in un individuo è di circa 100/1 !

Difese immunitarie

Va ricordato che il nostro organismo può essere attaccato da agenti esterni ovunque:
dunque la difesa dovrà essere ovunque.
1) La PRIMA DIFESA è costituita dall’ integrità dell’ epidermide, composta da strati
che in ordine dal più profondo al più superficiale sono:

- Strato germinativo o basale


- Strato spinoso
- Strato granuloso
- Strato lucido
- Strato corneo

Eventuali ferite e lesioni possono facilitano l’ ingresso di organismi estranei.


Particolari tipi di apteni possono provocare eczemi sui cheratinociti (ovvero il
bersaglio).

2) Alla difesa possono partecipare le ghiandole sudoripare e sebacee, le quali


producono un secreto che intrappola i germi (qualora però il sebo fosse troppo denso
esso rappresenterebbe un fattore di danno per l’ epidermide).
Il sebo e il sudore inoltre vanno a formare un leggero strato a ph acido sulla cute che
possiede così una ulteriore funzione di difesa.

3) Nella cavità orale, oltre alla mucosa, abbiamo altre secrezioni che rendono la vita
difficile a germi e batteri, come il LISOZIMA, ovvero un enzima presente in
secrezioni e tessuti con funzione battericida; esso rende meno negativa la carica della
parete batterica, andando ad intaccarne il peptidoglicano, e rendendone così più facile
la fagocitosi!

4) Le DEFENSINE sono peptici ricchi in cisteina, di 29 – 34 amminoacidi, che vengono


classificati come ANTIBIOTICI NATURALI. Sono presenti nella cute, ma vengono
prodotte anche dal cuore. La loro sintesi è promossa da fattori quali il TNF e IL – 1
(rispettivamente il Tumoral Necrosis Factor e l’ Interleuchina di tipo 1).

5) Nello stomaco un ruolo fondamentale è rappresentato dal ph estremamente basso


che rappresenta un fattore di morte per numerosi microrganismi, tra i quali però non
figurano il MICOBATTERIO DELLA TUBERCOLOSI ed HELICOBACTER PYLORI.

6) Al di sotto dello stomaco, poi, gli ostacoli saranno rappresentati dal ph alcalino.

7) La PERISTALSI INTESTINALE rappresenta inoltre un ulteriore ostacolo per i


microrganismi.

8) L’ intestino tenue possiede delle strutture deputate ad aumentare la superficie di


assorbimento chiamate villi. I SAPROFITI sono germi non patogeni, ma commensali,
che occupano fisicamente l’ invaginazione che si viene a creare tra un villo e l’ altro;
ovvero, occupando una posizione strategica, tolgono spazio fisico come queste
invaginazioni ad altri agenti altresì patogeni.

9) La mucosa respiratoria possiede muco ( che serve ad intrappolare particelle


estranee) e ciglia vibratili (che con un movimento bronchifugo cercano di spazzarle
verso l’ esterno): la paralisi ciliare è estremamente pericolosa, in quanto
consentirebbe la permanenza in loco di tali microrganismi.

10) Le infezioni vaginali sono in gran parte prevenute grazie all’ ambiente acido che
essa offre.

Elementi del sangue

Gli elementi figurati del sangue sono rappresentati dagli eritrociti, dai leucociti e
dalle piastrine.

- Gli eritrociti sono presenti in un numero di 5.000.000 /mm^3 nell’ uomo,


4.500.000/mm^3 nella donna. Dal momento che in corpo abbiamo circa 5,5 litri
di sangue, in tutto ne possediamo circa 2,5*10^13.

- I leucociti sono presenti in un numero di 5000 – 6000/mm^3.

- Le piastrine sono presenti in un numero di 200.000 – 300.000 /mm^3.

Leucociti
Prodotti nel midollo osseo, si dividono in due grosse categorie:
1) I GRANULOCITI, che possiedono un nucleo non rotondeggiante, bensì polilobato,
suddivisi a loro volta in:

- Neutrofili (PMN), che rappresentano circa il 60 – 70% del totale leucocitario.

- Eosinofili, che rappresentano circa il 2 – 3 (anche 3 – 5) % del totale


leucocitario.

- Basofili, che rappresentano circa lo 0,5 - 1% del totale leucocitario.

Essi hanno una vita breve, di 2/3 giorni al massimo: fanno lavoro di manovalanza!

Neutrofili

Possiedono un nucleo polilobato, e tali lobi sono i marker della durata della loro vita
(più sono vecchi più lobi avranno): per un’ analisi precisa e numerica su tale rapporto,
si rimanda alla formula di Arneth. Un metodo per vedere il funzionamento del midollo
osseo stesso è guardare il numero dei lobi dei neutrofili.
Non si colorano né con coloranti acidi, né con coloranti basici, e sono ripieni di
granulazioni.

Eosinofili

Anch’ essi possiedono un nucleo polilobato (bilobato) e coperto di granulazioni che si


colorano con l’ eosina.
Aumentano in caso di parassitosi e di forme allergiche.

Basofili

Anch’ essi possiedono un nucleo polilobato coperto di granulazioni che si colorano di


blu, e intervengono nelle allergie.

2) I MONONUCLEATI (AGRANULOCITI), che possiedono un unico nucleo centrale


rotondeggiante, suddivisi a loro volta in:

- Linfociti, che rappresentano circa il 20 - 25% del totale leucocitario.

- Monociti, che rappresentano circa il 5 – 10% del totale leucocitario.

Linfociti
Verranno trattati in seguito. In ogni caso :

• I linfociti Th rappresentano il 46% del totale linfocitario.

• I linfociti T citotossici rappresentano il 20% del totale linfocitario.

• I linfociti B rappresentano il 23% secondo wikipedia, 10% secondo lui del


totale linfocitario.

Il rapporto T/B è di circa 7/1.

Monociti

Sono dei fagociti, ovvero hanno la proprietà di invaginarsi ed inglobare sostanze,


anche elementi corpuscolati!
Hanno un nucleo a forma di ferro di cavallo, ricoperto di granuli: questi ultimi però
sono presenti in minima quantità, nella parte concava del nucleo.
Il citoplasma non è molto basofilo, comunque lo è in minima parte.

A differenza dei polimorfonucleati i monociti hanno vita più lunga e saltando al di là


del vaso possono trasformarsi in macrofagi!

Altri tipi cellulari


- CELLULE NK o NATURAL KILLER (sono linfociti!!)

Sono mononucleate; le si incontra principalmente con i virus (i fagociti invece contro i


batteri), sono sentinelle contro le infezioni virali e agiscono contro le cellule tumorali.
Pur entrando a far parte della categoria dei linfociti (mononucleati), fanno parte dell’
IMMUNITA’ NATURALE.
Rappresentano circa il 3 – 5% del totale linfocitario IN CIRCOLO (nei tessuti sono
molto di più) e sono presenti anche nei tessuti.
Presentano un nucleo abbastanza compatto, RENIFORME , coperto da numerosi
granuli azzurrofili: per questo motivo sono anche ridenominati LARGE GRANULAR
LYMPHOCYTES o LGL.

- CELLULE DENDRITICHE

Sono cellule con la tendenza ad essere stellate: sono in grado di captare l’ antigene!
Sono cellule di varia origine: le trovo nei tessuti e negli organi linfoidi.
Hanno la funzione di processare l’ antigene e presentarlo alle cellule di competenza
(rientrano nella categoria delle APC, ovvero delle Antigen Presenting Cells).
Il lavoro dei leucociti

Per difenderci, essi dovranno “sentire” che è successo qualcosa: dovranno infatti
passare DAL TORRENTE CIRCOLATORIO al tessuto coinvolto.
Sono siti in periferia al vaso, e camminano pian piano lungo i bordi di esso (non hanno lo
stesso passo degli eritrociti!).
Quest’ ultima caratteristica vale per tutti i globuli bianchi, ma di essi:

- Solo i MONOCITI e i NEUTROFILI saltano al di là del vaso per esplicare la


loro funzione fagocitarla . In particolare solo i MONOCITI si trasformano in
macrofagi.

- I NEUTROFILI vanno a formare per 2/3 il POOL MARGINATO, che non


vediamo ed è sito alla periferia del vaso. Questo tipo di pool lo ritroviamo in
organi come la milza e lo vediamo quando aumenta l’ adrenalina, che fa contrarre
e spremere la milza: ogni volta che c’ è stress vi è mobilitazione dei leucociti!
Il restante 1/3, che vediamo, è il POOL CIRCOLANTE.

I macrofagi

Sono il prodotto della trasformazione dei monociti al di là dei vasi sanguigni, dove si
piazzano ad aspettare il nemico.
Il lavoro dei macrofagi dipenderà dal tessuto in cui si trovano: i monociti sono in grado
di adattarsi all’ ambiente in cui devono lavorare.
Distinguo due categorie di macrofagi tissutali:

a) MACROFAGI FISSI: sono fermi ad aspettare il nemico. Un esempio sono le cellule


del Kuppfer nel fegato, la microglia nel cervello, le cellule della sinovia (nella
membrana sinoviale), le cellule del Mesangio, i macrofagi alveolari, le cellule M dell’
intestino.
Essi dunque hanno attività diversa e operatività diversa.

b) MACROFAGI MOBILI: hanno il vantaggio di potersi muovere verso il nemico (Si


definisce NOXA qualsiasi tipo di antigene in grado di infettare l'organismo (batteri,
virus)) tramite un processo di CHEMIOTASSI, un processo di avvicinamento per il
quale si crea un gradiente chimico di fattori chemiotattici. Questi si muoveranno
verso il settore a maggior concentrazione di fattori chemiotattici tramite
estroflessioni cellulari chiamate pseudopodi.

Come uscire dai vasi


I granulociti neutrofili dall’ interno dei vasi devono farsi strada tra le giunzioni delle
cellule dello strato endoteliale.
Quando essi avvertono uno stimolo chemiotattico, cominciano a rotolare lungo la
parete del vaso (attività detta ROLLING), successivamente si acquattano allargandosi
(SPREADING), si insinuano tra le giunzioni, ed infine si ha la chiusura del tutto!

Va ribadito che tutto questo è possibile tramite fenomeni di cross – talk tra i diversi
elementi del sistema immunitario.
Ma andiamo più nello specifico.

Dopo lo stimolo, le cellule endoteliali del vaso emettono delle molecole al di fuori,
molecole chiamate SELETTINE (letteralmente, “molecole che vedono gli zuccheri”).
Queste selettine sono in grado di “vedere” e legarsi a molecole zuccherine presenti
sulla parete dei granulociti: in questo modo si ha rallentamento del movimento e il
ROLLING!
Il fenomeno di SPREADING, di acquattamento, è possibile grazie ad una nuova
ondata di molecole, che vanno a sostituire le selettine: queste si chiamano ICAM (di
diverso tipo: 1, 2…), che reagiranno con altre molecole presenti sulla parete del
granulocita: in questa maniera si avrà ADESIONE ALL’ ENDOTELIO.
Successivamente dovranno aprirsi le giunzioni cellula – cellula ed interverrà un terzo
gruppo di molecole: queste sono molecole intercellulari dell’ endotelio e sono
chiamate PECAM. Queste PECAM reagiranno con le PECAM sulla parete del
granulocita: in tal modo la giunzione si allargherà e verrà permesso il passaggio del
granulocita stesso.
Le selettine

Torniamo a fare un passo indietro: attualmente conosciamo diversi tipi di selettine,


strutturalmente più o meno tutte uguali e , come tutte le molecole, costituite da
DOMINI caratteristici per esse. La porzione di selettina che interagisce con lo
zucchero del granulocita è il DOMINIO LECTINICO. In particolare questo dominio
interagisce con il ligando zuccherino SOLO se quest’ ultimo risulta essere sialilato: lo
zucchero deve insomma possedere acido sialico (il ligando tetrasaccaridico verrà a
chiamarsi SIALIL LEWIS X). TUTTE le selettine interagiranno con esso e si avrà il
rotolamento!
Individuo:

a) E – SELETTINE (da Endotelio) : compaiono subito dopo lo stimolo, ma DOPO le P


– Selettine.

b) P – SELETTINE (da Platelet, ovvero Piastrine): sono presenti sia nelle piastrine,
MA PURE nell’ endotelio, nei cosiddetti GRANULI DI WEIL – PALADE, un
deposito intracellulare di molecole, che successivamente vengono buttate all’ esterno.
Queste P – Selettine sono le prime a comparire e la loro azione dura circa 10 minuti!

c) L – SELETTINE : site nei Linfociti.

Tutte le selettine contribuiranno al rotolamento.


Le ICAM

La sigla sta per InterCellular Adhesion Molecules, sono molecole inserite nel doppio
strato fosfolipidico della cellula endoteliale; la versione più abbondante sull'
endotelio è ICAM – 1, e consente una adesione più stabile con il granulocita. In realtà
esiste una seconda famiglia di molecole chiamate VCAM in grado di aderire, solo che
questa lo fa con i LINFOCITI.
In immagine il TCR, che come struttura è molto simile alle ICAMs.

Esse possiedono una struttura di base tale che le fa appartenere alla


SUPERFAMIGLIA DELLE IMMUNOGLOBULINE: questa struttura di base è formata
da 110 amminoacidi, 90 dei quali entrano a far parte dell' ansa tipica che
caratterizza la struttura; i rimanenti 20 amminoacidi sono distribuiti in due gruppi da
10 ai lati dell' ansa.

Da notare la presenza di un ponte disolfuro che unisce le due estremità dell' ansa.

ICAM è in grado di vedere sul granulocita una molecola chiamata CD11 / CD18
(ovvero Cluster di Differenziazione). La molecola CD fa parte della famiglia delle
integrine (ovvero molecole che sono in grado di interagire sia con cellule che con la
matrice extracellulare).
Questa molecola è costituita da due subunità entrambe incastrate nel doppio
foglietto: α – CD11 e β – CD18, ma siamo ancora sul generico! Infatti quello che
caratterizza le diverse integrine sono le diverse subunità α e β.

NEL CASO SPECIFICO di CD11 / CD18 si avrà una subunità β2 che potrà comunque
legarsi a diverse subunità α, ma nel caso dei granulociti neutrofili e dei monociti sarà

αM.
Qualora CD avesse una subunità del tipo β1, essa sarà in grado di agire anche con
molecole della matrice extracellulare.
Insomma, nel caso specifico dei granulociti e dei monociti, si avrà una CD11 αM/
CD18 β2.
Esistono comunque diversi tipi di α – CD11, a cui oltre l' attributo di αM, si da anche
un' altra lettera : α – CD11 a, α – CD11 b, α – CD11 c. Nel caso specifico dei
granulociti e dei monociti, avremo a che fare con il tipo α – CD11 b.

Le PECAM

Sono molecole che fanno adesione tra le cellule dell' endotelio: vanno infatti a
formare delle “stringhe” tra cellula e cellula.
Sotto stimolo infiammatorio si staccano e interagiscono con le PECAM dei granulociti.

Attività fagocitaria (del neutrofilo o del monocita trasformato)

Il fagocita riconoscerà gli agenti estranei e invaginerà la sua membrana per inglobarli,
formando in tal mondo una vescicola di fagocitosi, il FAGOSOMA; questo andrà poi all'
interno della cellula a fondersi con un lisosoma a formare il FAGOLISOSOMA, e l'
elemento estraneo verrà ucciso.

Il fagocita ha due modi per riconoscere l' estraneo:

1) Può possedere dei RECETTORI sulla sua superficie per particolari molecole
presenti sulla superficie estranea: parlo in generale di PRR, ovvero Pattern
Recognition Receptors, che riconoscono sia l' estraneo che, ad esempio, molecole
nostre modificate presenti su cellule invecchiate del nostro corpo. Questi sono
recettori per:

- MANNOSIO e GLUCANO.

- Il LIPOPOLISACCARIDE dei batteri gram negativi: in tal caso il recettore si


chiamerà LPS RECEPTOR (anche detto CD14). Qualora il lipopolisaccaride non
venisse riconosciuto, si va incontro al rischio di uno shock endotossinico.
Praticamente LPS in circolo si lega ad una proteina circolante, ovvero una LPS BP
(binding protein); il complesso LPS – LPS BP si lega poi all' LPS RECEPTOR. Il tutto poi
si lega a un TOLL – LIKE RECEPTOR (TLR – 4), un recettore di membrana sito
prevalentemente sui fagociti: solo allora avrò la risposta.

2) L' estraneo è riconosciuto da molecole circolanti (come gli anticorpi o gli elementi
del complemento), che a lui si legano. Saranno queste molecole circolanti poi ad essere
riconosciute da recettori specifici sulla membrana del fagocita.
Questo processo per cui un agente estraneo è riconosciuto da molecole circolanti è
chiamato OPSONIZZAZIONE.

Come i fagociti uccidono

Nei granulociti neutrofili sono presenti dei granuli a livello del fagosoma (che poi si
fonderà col lisosoma) che funzionano come uccisori della sostanza inglobata.

Sia i macrofagi (che ricordiamo derivano dalla differenziazione monocitaria) che i


neutrofili usano due tipi di uccisione: una è OSSIGENO DIPENDENTE, l' altra
OSSIGENO INDIPENDENTE.

Uccisione ossigeno dipendente

Individuo due meccanismi di uccisione ossigeno dipendente:

- Il meccanismo dell' NO, usato prevalentemente dai MACROFAGI.

Si parte dalla L – Arginina, la quale diventa substrato di una NO SINTASI che


produce NO e citrullina:

L – ARGININA + NADPH → NO + citrullina + NADP+

NO risulta essere lesivo per molti batteri.

- Il meccanismo dello IONE SUPEROSSIDO, usato prevalentemente dai


GRANULOCITI NEUTROFILI.

A partire dal NADPH, con O2, ottengo ione superossido tramite la NADPH
OSSIDASI:

NADPH + O2 + H+ → NADP+ + 2H + 2O2-

A questo punto, una SUPEROSSIDO DISMUTASI convertirà lo ione superossido in


acqua ossigenata, ma ottengo pure radicali liberi dell' ossigeno e radicali ossidrilici
(OH-): tutte sostanze battericide.

2O2- + 2H+ → H2O2

Va ricordato poi che in presenza di acqua ossigenata c' è l' azione della
mieloperossidasi.
La mieloperossidasi è un marker dei granulociti: qualora l' uccisione ossigeno
dipendente non bastasse, essa in presenza di ioni come Cl- o Br-, e H2O2 (acqua
ossigenata), forma IONI IPOCLORITI o IPOBROMITI, tossici per il batterio.

Uccisione ossigeno indipendente

Individuo a questo proposito due tipi di granuli all' interno dei lisosomi:

- PRIMARI, che contengono: LISOZIMA, CATEPSINA, ELASTASI, PROTEINE


CATIONICHE, DEFENSINE, MIELOPEROSSIDASI (anche se quest' ultima fa parte
del sistema ossigeno – dipendente).

- SECONDARI o SPECIFICI, che contengono il LISOZIMA.

In definitiva: sia i macrofagi che i neutrofili utilizzano i sistemi ossigeno indipendente


e ossigeno dipendente (solo che per quest' ultimo i macrofagi usano il meccanismo del
NO e i neutrofili quello dello IONE SUPEROSSIDO).

Un' arma a doppio taglio

Tuttavia, la presenza dei granuli a livello dei granulociti neutrofili è da considerare


una vera e propria arma a doppio taglio: infatti per stimolare la fagocitosi del corpo
estraneo sarebbe sufficiente un lieve contatto con la parete batterica. Se tuttavia
esso non viene subito inglobato, i granuli del neutrofilo vengono esocitati e si ha la
DISTRUZIONE DEI TESSUTI CIRCOSTANTI.
Ciò avviene particolarmente nei processi di invecchiamento ed aterosclerosi.

Le collettine

Sono una componente UMORALE della difesa ASPECIFICA o NATURALE o INNATA.


Sono componenti del tipo collagene.
Possiedono una struttura a mazzo di fiori, con una porzione globulare periferica e un
gambo.
Alcune sono site nel sistema del complemento, altre nel polmone a entrare a far parte
del SURFACTANTE.

Proteine della fase acuta

Sono proteine della risposta naturale che si modificano durante un fenomeno ACUTO
(come può essere, ad esempio, un' infiammazione acuta, un trauma, ma anche un
fenomeno mestruale o uno stress).
In principio si genera una FLOGOSI ACUTA, e le cellule coinvolte riverseranno
CITOCHINE (o INTERLEUCHINE) quali IL – 1, IL – 6, TNF - α nel torrente
circolatorio. Queste molecole avranno diverse funzioni:

1) Andranno a livello IPOTALAMICO, per l' instaurazione del fenomeno febbrile.


2) Andranno nel midollo osseo a promuovere l' emopoiesi; si avrà leucocitosi.
3) Altre andranno a livello del fegato a promuovere la produzione di proteine
quali quelle della fase acuta.

Sappiamo che in fase acuta si ha una DIMINUZIONE DELLE ALBUMINE ed un


AUMENTO DELLE α2 e β globuline!
Esempi di queste proteine sono:

1) Possono far parte del complemento per il fenomeno dell' OPSONIZZAZIONE.


2) PCR, ovvero Proteina C Reattiva: è un fattore opsonizzante che viene utilizzato
nella fase post – infartuale per monitorare un infarto acuto.
3) APTOGLOBINA: grazie ad essa posso monitorare una crisi emolitica. Qualora
un globulo rosso si lisasse, riverserebbe nel torrente l' emoglobina, che viene
immediatamente legata dall' aptoglobina. Se ciò non accadesse, si verrebbero
a formare tappi pericolosi che intaserebbero i tubuli renali;
4) CERULOPLASMINA: blocca la produzione di ione superossido.

Gli interferoni

Sono sostanze antivirali della risposta immunitaria naturale, liberate dalle cellule
infettate e dai linfociti (in quest' ultimo caso non sarà coinvolta la risposta naturale
ovviamente) per avvisare le altre che il virus è arrivato. Ne individuo di tre tipi:

- α interferone : della risposta naturale;


- β interferone : della risposta naturale
- γ interferone : della risposta specifica (prodotto dai linfociti)

Tutti e tre i tipi hanno in comune la caratteristica di attaccare i virus: agendo su


particolari recettori, stimolano l' azione della OLIGOADENILATO SINTETASI, la
quale tramite una cascata di azioni attiverà delle ENDONUCLEASI che teaglieranno l'
mRNA virale: in pratica viene bloccato il virus!

Le chinine

Sono molecole che permeabilizzano gli endoteli.

La coagulazione
Persino essa è coinvolta nella difesa.

Finora abbiamo parlato dell' immunità naturale. Nei capitoletti che seguiranno invece
verrà trattata l' immunità specifica.

L' immunità specifica

Come abbiamo già visto anche essa prevede una componente molecolare o umorale
(data dagli anticorpi) e una componente cellulare (i linfociti, che ora finalmente
tratteremo).

I linfociti

Cellule per molto tempo rimaste sconosciute, sono cellule eterogenee. Mononucleate,
hanno un nucleo RENIFORME che occupa tutta la superficie cellulare. RILEVO
DUNQUE POCO CITOPLASMA, che comunque è basofilo.
Come morfologia dunque assomigliano ai monociti, con la differenza però che non
hanno attività fagocitaria!
Anche le dimensioni variano: trovo linfociti di piccolo diametro (6 – 7 μm) e linfociti di
diametro maggiore (dai 12 ai 13 μm). In particolare i linfociti più grandi (come le
cellule natural killer, che però fanno parte dell' immunità naturale) presentano nel
citoplasma granulazioni azzurrofile tali per cui questi linfociti vengono ridenominati
LGL: Large Granular Lymphocytes.

E' possibile separare i linfociti dagli elementi rimanenti del sangue tramite l' utilizzo
di un liquido – gel chiamato FICOLL (pronuncia: faicol), seguendo i procedimenti di
seguito illustrati:

1) Verso il sangue nelle provette


2) Centrifugo
3) Osservo

Il sangue è ora stratificato: in fondo troverò i globuli rossi, i granulociti e le piastrine;


in mezzo ritroverò UN ANELLO (il BUFFY COAT) in cui trovo solo cellule
mononucleate (linfociti e monociti); più in alto ritroverò plasma.
Ancora quando non si sapeva che cosa rappresentassero, si osservò che intubando dei
linfociti con delle sostanze attivanti e tenendoli in coltura, questi SI
TRASFORMAVANO in cellule di enorme dimensione, si moltiplicavano e di seguito
tornavano a ritrasformarsi in cellule piccole: tutto ciò accadeva solo con i linfociti.
Le grandi cellule in cui si trasformano in seguito ad intubazione con attivanti ora si sa
essere nient' altro che CELLULE STAMINALI: si è dunque scoperto che i linfociti non
sono cellule terminali; a partire da uno specifico antigene, è possibile produrre
linfociti per quell' antigene e tornare indietro.
E' ormai chiaro che gruppi diversi di linfociti posseggono recettori differenti per gli
antigeni: ovvero UN ANTIGENE recluterà un esiguo gruppo di cellule linfocitarie e le
farà moltiplicare.

In VIVO, i linfociti sono pure in grado di produrre anticorpi; in modelli sperimentali si


è dimostrato che la sensibilità ad un antigene era trasferibile ad un individuo con il
solo trasferimento passivo del linfocita: essi dunque hanno anche la caratteristica di
“ricordare” l' antigene.

Esperimenti

I linfociti sono differenti dal punto di vista operativo: lo si evincerà nei paragrafi
successivi.

Esperimento 1
Vengono presi dei topi alla nascita a cui è effettuata una timectomia (viene rimosso il
timo, dove vengono prodotti i linfociti T): come conseguenza si ha una riduzione del
numero di linfoghiandole e di linfociti circolanti.
Tuttavia, se vengono iniettati antigeni a questi topi, vi era lo stesso una risposta
anticorpale.

Esperimento 2

Viene effettuato un trapianto di cute ai topi timectomizzati: si nota che, sebbene la


cute fosse di animali di ceppo differente, questa VENIVA ACCETTATA LO STESSO.

Deduzione

I linfociti T, prodotti nel timo, sono i responsabili delle risposte al trapianto, e NON
possiedono un grande ruolo nella risposta anticorpale, bensì controllano in maniera
maggiore la risposta cellulomediata.

Esperimento 4

Viene espiantata agli uccelli una loro particolare appendice, la Borsa di Fabrizio: si
nota che in seguito ad un trapianto vi è rigetto.

Deduzione

I linfociti B, (da Borsa di Fabrizio, perché lì furono trovati) controllano la risposta


anticorpale.

Tuttavia, sappiamo che i linfociti T sono distinti dai B: e come si fa a operare una
distinzione?

Esperimento 4

Vengono mescolati linfociti umani (tutti!) con eritrociti di montone: si nota che SOLO
I LINFOCITI T vanno a formare strutture di gruppo assimilabili a “rosette”.

Esperimento 5

E' un test di fluorescenza. Vengono mescolati tutti i linfociti con ANTICORPI


FLUORESCENTI ANTI IMMUNOGLOBULINE (Ab anti Ig): si nota che solo i linfociti
B sono in grado di captare gli Ab anti Ig e diventare così fluorescenti. Dunque i
linfociti B porteranno sulla superficie delle immunoglobuline per l' antigene: devono
riconoscere il singolo antigene!
Le cellule mononucleate dell' anello

Riprendendo in esame la provetta con il sangue centrifugato, e analizzando la


composizione percentuale degli elementi mononucleati presenti nell' anello intermedio,
posso rilevare le seguenti composizioni:

LINFOCITI T: 70 – 75 %

LINFOCITI B: 10 – 15 %

CELLULE NK: 5 %

MONOCITI: 5 – 10 %

Noto dunque che il rapporto linfociti T/ Linfociti B è di circa 7/1.

Come i linfociti T riconoscono l' antigene

I linfociti T per riconoscere l' antigene possiedono sulla membrana un T Cell Receptor
(TCR).
Il TCR è un eterodimero di peso molecolare 42000 Da, costituito da due subunità, α
e β (nel 95% dei linfociti T): entrambe fanno parte della famiglia delle
immunoglobuline, perchè possiedono le anse caratteristiche (con i relativi 110
amminoacidi, 90 dei quali facenti parte in toto dell' ansa, 10 da una parte e 10 dall'
altra).
Due domini – ansa saranno presenti sulla catena α e due sulla catena β, con un
ponte disolfuro a stabilizzare la struttura.
Le due catene sono codificate inoltre da geni differenti:

- I geni per la catena α sono siti sul cromosoma 14;


- I geni per la catena β sono siti sul cromosoma 7;

La specificità sta nel fatto che per ciascuna catena riconosco una parte variabile,
esterna, e una parte costante, interna. Dunque su CIASCUNA CATENA intervengono
GENI DIFFERENTI: 1 gene per la parte costante, 1 dei tanti geni disponibili per la
parte variabile.
L' antigene verrà visto dalla parte variabile: l' epitopo infatti si piazzerà tra α e β
(oppure tra γ e δ, vedi dopo).

Particolarità

Esistono linfociti T (5%) che portano sulla membrana i loro TCR aventi però le catene
γ (gamma) e δ (delta). La costruzione di queste catene avviene però con lo stesso
criterio usato per le α e β, solo A CROMOSOMI INVERTITI:
- I geni per la catena γ sono siti sul cromosoma 7
- I geni per la catena δ sono siti sul cromosoma 14

Ricorda: 14 – 7 – 7 – 14!

La trasmissione del segnale: i corecettori

Tuttavia tale struttura presenta dei limiti: le code carbossi – terminali delle catene
sono corte, e ciò limita loro la possibilità di mandare messaggi e trasmettere il
segnale.
Come sarà possibile dunque trasmettere il segnale portato dall' antigene? E' ovvio che
il recettore sarà coadiuvato da sistemi di fosforilazione presenti su appositi
CORECETTORI, nonostante essi non abbiano nessun ruolo diretto nel riconoscere l'
antigene.

Questi corecettori sono costituiti da tre subunità: γ (gamma),δ (delta), ε (epsilon),


organizzate spazialmente a formare una sorta di corona attorno al TCR, con le
subunità organizzate via via a coppie γε ed εδ. Inizialmente il complesso γδε fu
identificato come CD3 (è il nome specifico del complesso); ciascuna subunità possiede
delle CODE carbossi – terminali che si allungano, e su cui trovo sequenze di
fosforilazione.

Sempre facenti parte del sistema del corecettore, MA NON del CD3, sono le molecole
eta e zeta (ζ) , indispensabili, che possiedono code ancor più lunghe, E SONO
ORGANIZZATE A COPPIE.
Zeta è la catena critica, l' ultima della serie, colei che fa il lavoro definitivo: qualora
venisse a mancare zeta, VERREBBE A MANCARE LA TRASMISSIONE DEL
SEGNALE. Questa catena infatti possiede delle zone ricche di Tyr (tirosina),
chiamate ITAM.

Nota: per il libro invece il CD3 comprende TUTTE le catene γδε, eta e zeta.
Come i linfociti B riconoscono l' antigene

Per riconoscere l' antigene i linfociti B possiedono dei particolari recettori di


membrana (B Cell Receptors), ovvero immunoglobuline, molto simili alle
immunoglobuline solubili: questo recettore serve per veder l' antigene, ma se questo
fosse solo non si avrebbe la trasmissione del segnale. Anche questo necessita infatti
di corecettori, ovvero altre immunoglobuline di membrana denominate Igα e Igβ, site
alla base del recettore e disposte attorno ad esso a “corona”.
Il B Cell Receptor come molecola è più grande del TCR, ed è composto da catene
pesanti e catene leggere.
La particolarità del linfocita B, quando questo vede l' antigene, è il fatto che questo
PER PRIMA COSA SI REPLICA e si trasforma in PLASMACELLULE.
Le plasmacellule

Sono il prodotto della proliferazione e differenziazione dei linfociti B, una volta che
questi hanno sentito lo stimolo. Sono in grado di produrre e secernere
immunoglobuline solubili, ovvero anticorpi solubili.
Possiedono un nucleo decentrato molto più grande rispetto a quello dei linfociti B,
nucleo contenente cromatina “a ruota di carro”, con un abbondante citoplasma basofilo
ricco di Ig, e con un esteso reticolo endoplasmatico, a testimonianza dell' attiva
sintesi proteica.
Sono cellule terminali, vivono poco (poche settimane) e non possono tornare indietro
allo stadio di linfocita. Sono molto più grandi dei linfociti e sono ovalari. Presentano
Le ritroviamo solo sulle mucose, negli organi linfoidi E NON NEL PLASMA, quindi solo
in territori extravascolari: le si ritrova in circolo solo in caso di patologie.
NON PRESENTANO immunoglobuline di superficie

Anticorpi

Sono gli effettori della RISPOSTA immunitaria ADATTATIVA (o SPECIFICA)


UMORALE.
Sono glicoproteine multimeriche costituite da DUE CATENE PESANTI e DUE
CATENE LEGGERE.
Possono essere di membrana (vedi i linfociti B, dove funzionano da recettori) oppure
secrete, e quindi solubili.
In realtà il termine ANTICORPO fu coniato nel 1900 da Karl Landsteiner per definire
la sostanza che reagiva in maniera specifica con i batteri; egli si accorse infatti che
nel siero esiste una componente in grado di agglutinare i batteri e precipitare le
tossine: questa sostanza venne dapprima denominata ANTITOSSINA,
AGGLUTININA, PRECIPITINA.

Di seguito Emil Von Behring, nel 1901, immunizzò un coniglio iniettandogli la tossina del
tetano: il sangue fu trasferito a un altro coniglio non immunizzato e si notò che
insieme al sangue venne pure trasferita l' immunità alla malattia.

Paul Ehrilich studiò in modo analogo la difterite. Emile Roux (Istituto Pasteur)
dimostrò efficacia dell’ antitossina nel trattamento dei bambini esposti al contagio da
bacillo difterico.
Separazione delle immunoglobuline

Per separare le immunoglobuline dalle altre componenti sieriche (non plasmatiche, per
eliminare l' interferenza del fibrinogeno), nel 1939 venne ideato il metodo dell'
ELETTROFORESI. Questa è una tecnica di laboratorio che consente di separare le
diverse proteine sieriche in base al loro peso molecolare (e quindi grandezza) e alla
loro carica: proteine più cariche e più piccole migreranno più velocemente sul campo
elettrico!
Di seguito si utilizza un colorante (che si lega con legame idrofobico alle proteine),
che permette di individuare l' assorbanza di ciascuna famiglia di proteine in funzione
della distanza di migrazione (ovvero della posizione della banda relativa rispetto al gel
di elettroforesi).
Dunque come risultato finale si avrà un ordine di bande, disposte a diverse distanze
sul gel di elettroforesi. Di seguito tramite tecniche DENSITOMETRICHE si
trasformano le bande in picchi su un grafico:

assorbanza

posizione della banda rispetto al gel di elettroforesi

Noto che la banda a cui corrisponde l' assorbanza maggiore corrisponde alle albumine
(sono le proteine che migrano maggiormente), e poi di seguito si hanno le α1, α2, β, γ
globuline.
Tuttavia non si poteva ancora sapere a che cosa corrispondessero gli anticorpi. Che
fare?

Furono presi dei conigli e immunizzati con ovalbumina, e furono messi a confronto i
grafici precedenti PRIMA e DOPO l' immunità:
Si nota che a modificarsi è il picco delle gamma – globuline, per cui si potè affermare
con certezza che ESSE CORRISPONDONO AGLI ANTICORPI.
D' altro canto, se si incuba lo stesso sangue immunizzato con l' ovalbumina, il picco
delle gamma globuline scende: GLI ANTICORPI REAGISCONO e si ha una certezza
completa della corrispondenza.

Altri esperimenti sugli anticorpi

Sappiamo che con l' elettroforesi vengono perse le funzionalità degli anticorpi.
Tramite una tecnica chiamata ULTRACENTRIFUGAZIONE DELLE
IMMUNOGLOBULINE SU GRADIENTE DI SACCAROSIO, si è riusciti a isolare gli
anticorpi mantenendone le funzioni biologiche.
Questa tecnica si basa sulla separazione delle immunoglobuline in base al loro peso
molecolare: praticamente ha permesso di risalire al peso delle immunoglobuline
rappresentato come coefficiente di sedimentazione, S (maggiore è il peso della
molecola più è elevato il valore di S).

La porzione gamma globulinica venne separata in due frazioni ad elevato coefficiente


di sedimentazione:

- 19S (PM 950.000 dal)


- 7S (PM 150.000 dal)

Individuata così la frazione 7S della centrifuga, ora la si poté studiare: vennero


effettuati dei tagli tramite enzimi quali la PAPAINA, e venne attuata una
purificazione con una resina a scambio anionico per separare le proteine in base alla
loro carica.
Nel grafico noto tre picchi di 50 Kda
ciascuno di peso molecolare. Le frazioni I e
II corrispondevano a porzioni anticorpali che
ancora legavano l' antigene (FAB = Fragment
Antigen Binding), la frazione III
corrispondeva invece ad una porzione dell'
anticorpo che formava cristalli (Fc =
Frammento cristallizzabile).

Struttura delle immunoglobuline

Rodney Porter Gerald Edelman negli anni '50 – 60 scoprì che effettuando un taglio
proteolitico su un anticorpo con PAPAINA si ottenevano 3 distinte subunità:

Il suo lavoro venne continuato da Alfred Nisonoff, il quale però dalla proteina
purificata di peso molecolare 150 KDa, effettuò dei tagli proteolitici con pepsina:
ottenne in questo modo UN UNICO FRAMMENTO con un peso molecolare inferiore al
peso di partenza e corrispondente ai 2/3 DEL PESO ORIGINARIO.
Questi frammenti vennero intubati con antigeni specifici: si ottenne lo stesso l'
agglutinazione.
Questo stette a significare che la funzionalità delle immunoglobuline era stata
mantenuta nonostante il peso molecolare della frazione responsabile l' agglutinazione
dell' antigene FOSSE INFERIORE: questo frammento, responsabile del legame con l'
antigene, fu chiamato F(ab)2.
Ora però bisognava entrare nell' intimo della struttura anticorpale: l' immunoglobulina
da 150 KDa venne presa e trattata con agenti riducenti in grado di agire sui ponti
disolfuro, e quindi rompere la struttura quaternaria della molecola: tramite
CROMATOGRAFIA DI GEL FILTRAZIONE con relativo grafico,
, si ottennero due picchi, uno da 50 KDa, è l' altro da 25 KDa: questo ha senso perchè
prendendo ciascuna metà controlaterale della molecola si ottiene proprio 75 KDa, che
è la somma di 25 e 50.

In definitiva

L' immunoglobulina, di peso molecolare 150 KDa, è costituita da :

- DUE CATENE PESANTI :ciascuna di 50 KDa, corrispondenti alle frazioni H (ovvero


Heavy, pesante). Ciascuna catena pesante presenta quattro domini immunoglobulinici:
1 dominio VH (variabile), e 3 domini CH (costanti).

- DUE CATENE LEGGERE : ciascuna di 25 KDa, corrispondenti alle frazioni L (ovvero


Light, leggero). Ciascuna catena leggera presenta due domini immunoglobulinici: V L
(variabile) e CL (costante).

La porzione quindi individuata come Fab possiede domini sia della CATENA LEGGERA
CHE DELLA CATENA PESANTE: e l' epitopo andrà ad infilarsi proprio tra la catena
pesante e leggera della Fab; la porzione individuata come Fc invece possiede SOLO
DOMINI DELLA CATENA PESANTE: anticorpi prodotti contro il frammento Fab
riconoscevano sia le catene L che le catene H mentre anticorpi prodotti contro il
frammento Fc riconoscevano solo le catene H
Chi riconosce l' antigene

Ora rimane da scoprire quale è la zona delle immunoglobuline che riconosce l' antigene.
Per farlo utilizzo le PROTEINE DI BENCE – JONES (di peso molecolare inferiore a
65000 Da), prelevate nelle urine a pazienti affetti da mieloma multiplo: ovvero dove
sostanzialmente le plasmacellule, perso il controllo riproduttivo, continuano a produrre
anticorpi. Queste proteine dunque non sono altro che un concentrato di CATENE
LEGGERE DELLE IMMUNOGLOBULINE (che le cellule mielomatose continuano a
secernere in eccesso).

A questo punto posso procedere con due esperimenti:

1) Analizzo la sequenza amminoacidica delle proteine, e denoto che TUTTE le


catene leggere variano tra di loro nella parte NH3 – terminale, MA NON in
quella COOH – terminale.

2) Prendo queste catene leggere e le inietto in un coniglio: denoto che ottengo


anticorpi differenti per esse.

Piccola nota: il fenomeno dell' INDUZIONE ANTICORPALE avviene prendendo


anticorpi di un soggetto appartenente ad una specie ed iniettandoli ad un soggetto di
un' ALTRA SPECIE: infatti noi uomini condividiamo (seppur con qualche differenza) la
medesima struttura anticorpale, per cui se prendo gli anticorpi di un uomo e li inietto
in un altro uomo, NON VERRANNO INDOTTI ANTICORPI anti Ig.

Sulla base dei risultati di questi esperimenti, è possibile suddividere le catene leggere
o L (light) in due forme, identificate come K e λ.
Le immunoglobuline umane non conterranno K (kappa) e λ (lambda) a caso; ciascuna
immunoglobulina porterà O la forma K O la forma λ, più precisamente NELLA SPECIE
UMANA IL 60% DELLE IMMUNOGLOBULINE PORTERA' LA FORMA K, IL 40% LA
FORMA λ.
Mai avrò per una immunoglobulina sia K che λ: o una forma o l' altra.

Catene pesanti

Posso ripetere l' esperimento con le catene pesanti: in tal caso utilizzerò dei
plasmacitomi coltivati in vitro. Analizzando sempre la sequenza amminoacidica (opero
uno screening) delle catene pesanti, distinguo 5 classi per le catene pesanti o H
(heavy) :

γ (gamma), α (alfa), μ (mi, mu), δ (delta), ε (epsilon)

Le catene pesanti mi consentono poi di individuare, in base ad esse, differenti


CLASSI ANTICORPALI.

Classi anticorpali

Classe Catena pesante Sottoclassi Catena leggera


IgG γ γ1 γ2 γ3 γ4 K,λ
IgM μ K,λ
IgA α α1 α2 (oppure A1 K,λ
A2)
IgE ε K,λ
IgD δ K,λ

Ciascuna IgG, IgM, IgA, IgE, IgD sarà contraddistinta dalla SUA catena pesante, ma
potrà possedere come catena leggera o K nel 60% dei casi o λ nel rimanente 40%.

Le sottoclassi non faranno modificare il tipo di catena pesante, ma avranno solamente


piccole differenze a livello amminoacidico.

Markers isotipici
Sono markers antigenici, riconosciuti tramite anticorpi, che permettono di
classificare le catene pesanti di una specie animale in classi (gamma, alfa, mi delta,
epsilon) e sottoclassi, e quelle leggere in tipi (kappa e lambda) e sottotipi.
Nell' uomo questi ISOTIPI di catene pesanti e leggere coincidono, altre specie ne
avranno altri: infatti se inietto questi isotipi in altre specie, vengono a crearsi
anticorpi.
Dunque questi markers consentono di identificare sulle immunoglobuline strutture
COMUNI NELLA STESSA SPECIE, ovvero classi e sottoclassi (per le catene pesanti)
e e tipi e sottotipi (per le catene leggere).

Markers allotipici

Sono markers antigenici, riconosciuti mediante anticorpi, che permettono di


identificare ANTICORPI DIFFERENTI DI UN INDIVIDUO RISPETTO AD UN
ALTRO, ovvero determinano la specificità anticorpale nell' ambito della stessa specie.
Ma come è possibile questo?
Esistono alleli multipli di geni isotipici, ovvero prodotti genici con piccole differenze
amminoacidiche.
Politrasfusi e poligravide vedono queste piccole differenze. In particolare riferimento
alle poligravide, quando si stacca la placenta, vi è reflusso di piccole quantità di sangue
dal feto verso la madre, E LA MADRE PRODUCE ANTICORPI.

Per quanto riguarda le catene leggere, questi markers allotipici si trovano sulla
catena K MA NON SULLA CATENA λ: dunque solo sulla catena K ciascuno di noi è
diverso per i markers allotipici. Per questo distinguo individui con tre differenti
espressioni allotipiche per la catena K:

Allotipi Amminoacido in posizione Amminoacido in posizione


153 191
Km (1, 2) Alanina Leucina
Km (3) Alanina Valina
Km (1) Valina Leucina

La differenza sta dunque in pochi amminoacidi: piccole differenze che fanno si che
nella specie umana noi apparteniamo a gruppi allotipici diversi.

Per quanto riguarda le catene pesanti, anche qui trovo markers allotipici: le IgG1,
IgG2, IgG3, IgG4 e le IgA2 li portano, per cui se ad un individuo con IgG1 trasfondo
sangue con IgG2, esso produrrà anticorpi. NON ESISTONO markers allotipici su
altre catene pesanti.
Questi markers allotipici erano utilizzati frequentemente in medicina legale per il
riconoscimento della paternità.
L' allotipicità è tuttavia responsabile di una delle immunodeficienze più importanti e
frequenti, che riguarda un difetto selettivo alle IgA2: il problema più serio è legato
al fatto che questi soggetti possono ricevere trasfusioni di plasma (ad esempio, in
seguito ad un trauma, un parto od un incidente). Ricevendo ripetutamente IgA2,
faranno anticorpi contro di esse, e se riceveranno ancora plasma ricco di IgA2,
rischiano lo SHOCK ANAFILATTICO.

Il sito di legame con l' antigene

Non è un sito costante, bensì variabile. La regione non è altro che una “tasca”
compresa tra VH e VL .
Tuttavia, nell' ambito di queste regioni VARIABILI, riconosco delle zone che riescono
maggiormente a prendere contatto con l' antigene, e altre no. Le prime possiedono dei
siti che sono complementari all' epitopo e per questo vengono classificate come CDR
(Regioni Determinanti la Complementarietà), e ne individuo di tre tipi: CDR1, CDR2,
CDR3, e sono chiamate anche REGIONI IPERVARIABILI. Le seconde sono chiamate
REGIONI VARIABILI PROPRIAMENTE DETTE o REGIONI CORNICE (FR,
Framework Regions), e, pur non mantenendo un contatto intimo con l' antigene,
servono a mantenere la struttura di legame con esso, ovvero vanno a formare l'
impalcatura che sostiene la struttura.
Particolarità: di tutti gli anticorpi finora analizzati, le regioni cornice presentano una
struttura tridimensionale sovrapponibile; viceversa, le regioni ipervariabili sono uniche
per ciascun anticorpo.

Markers idiotipici
Sono markers antigenici, quindi riconosciuti mediante anticorpi, che permettono non
solo di distinguere immunoglobuline tra individui della stessa specie, MA
ADDIRITTURA ALL' INTERNO DELLO STESSO INDIVIDUO. Questo fa dedurre
che potenzialmente ciascuno di noi è in grado di fare da solo anticorpi anti
immunoglobuline.
Questi markers ovviamente possono essere siti nell' ambito delle REGIONI
VARIABILI, che determinano la specificità anticorpale: più precisamente l' idiotipo è
collocabile sia nella REGIONE CORNICE che ipervariabile.
Per quantoo detto alla fine del paragrafo precedente, è altamente improbabile che all'
interno della stessa specie noi condividiamo idiotipi nella parte ipervariabile; possono
d' altro canto esserci differenze nella regione cornice.

Utilità pratica degli idiotipi

Se noi producessimo anticorpi contro la parte variabile dell' immunoglobulina, questa


(che sia di membrana o solubile, ma accade di più con quelle di membrana) non
riuscirebbe più a svolgere la sua funzione normale e potremo avere un doppio
risultato:

1) ANTICORPI ANTI - REGIONE IPERVARIABILE: se un dato linfocita B portasse


con sé un marker idiotipico e incontrasse un anticorpo contro quell' idiotipo (anticorpo
anti – regione ipervariabile), si verificherebbe una situazione per cui l' anticorpo anti
idiotipo andrà a SOSTITUIRE A TUTTI GLI EFFETTI L' ANTIGENE, anche se
strutturalmente è diverso da esso; toccando il punto in cui avrebbe reagito l'
antigene, stimola il linfocita B a reagire.
Posso sfruttare questi anticorpi che mimano l' antigene per costruire vaccini senza
dover per forza intervenire con l' antigene stesso.

2) ANTICORPI ANTI – REGIONE CORNICE: d' altro canto è possibile anche


ottenere un effetto negativo di risposta all' antigene. Anticorpi anti - regione cornice
NON BLOCCANO IL SITO, ma lo MODIFICANO PER TRASFORMAZIONI
STERICHE, tanto che l' antigene non riesce ad entrare: la risposta viene bloccata.

Ovviamente il lavoro con la zona cornice e la zona ipervariabile deve essere controllato
e deve esserci armonia tra il lavoro degli anticorpi anti regione cornice ed anti
regione ipervariabile, affinchè la risposta mediata dai linfociti B sia armonica e
controllata.

Esistono idiotipi anche sulla parte ipervariabile del TCR, quindi anche sui LINFOCITI
T.

Risposte anticorpali
a) POLICLONALE: la molecola da riconoscere possiede più epitopi, coinvolgerà la
proliferazione e differenziazione di più cloni di linfociti B. Ne scaturisce una
produzione di anticorpi eterogenea, contenente un miscuglio di anticorpi differenti,
ciascuno specifico per un particolare epitopo dell' antigene.
Generalmente la produzione di immunoglobuline è votata verso questo tipo di risposta.

b) MONOCLONALE: la molecola da riconoscere possiede un epitopo, ne consegue lo


sviluppo di un solo clone di linfocita B e una produzione di anticorpi omogenea, diretta
solo verso quell' antigene.

c) OLIGOCLONALE: la molecola da riconoscere possiede un numero ristretto di


epitopi.

La regione cerniera

E' una sequenza peptidica delle immunoglobuline (sebbene non tutte la possiedano),
sita tra i domini CH1 e CH2. E' una zona delicata, dove sono presenti ponti disolfuro,
che consentono la presenza di un' angolatura larga o stretta a seconda dell' anticorpo.
Abbiamo già detto che non tutte le immunoglobuline la possiedono: infatti le IgE e le
IgM invece di avere la regione cerniera hanno un dominio in più; questo giustifica la
loro rigidità, e la loro più difficile interazione con l' antigene.
Infatti le Ig che la possiedono hanno una relativa flessibilità, che conferisce loro l'
adattabilità della molecola alle diverse strutture antigeniche, come si può evincere
dalla figura che segue:

Il frammento Fc
Esso determina:

1) L' attivazione del complemento:

2) Il passaggio o meno dell' immunoglobulina attraverso la barriera placentare e


attraverso i vasi (per quest' ultimo, vedi le IgG).
3) Se l' immunoglobulina può essere vista su altre cellule.
4) Media l' OPSONIZZAZIONE:

5) La ADCC (Citotossicità Anticorpo Dipendente): infatti gli eosinofili e le cellule


NK non fagocitano il bersaglio, ma lo uccidono.
Pure i leucociti possiedono recettori per il frammento Fc delle IgG. Ma in generale:

Recettore Cellule su cui è presente Affinità per le IgG


FcλRI o CD64 Fagociti (macrofagi, Alta: vede le IgG CIRCOLANTI CHE
neutrofili) DEVONO ESSERE CATABOLIZZATE ED
ELIMINATE. Vengono viste in seguito ad
una modificazione zuccherina dell' Fc.
FcλRII o CD32 Il CD32 – A è presente Bassa: vede le IgG SOLO SE LEGATE AL
sui fagociti (macrofagi, BATTERIO. Per la fagocitosi.
neutrofili), ma un
particolare tipo di CD32
(CD32 - B) è presente
pure sui linfociti B: è
quello avente la sequenza
ITIM regolatrice.
FcλRIIIo CD16 Cellule NK e Fagociti Bassa: vede le IgG SOLO SE LEGATE AL
BATTERIO. Per la fagocitosi.

Evidentemente saranno presenti anche recettori SOLO PER LE IgE ed IgA.


Alcuni recettori per il frammento Fc presenti sui linfociti B, ovvero il recettore CD32
- B , presentano una sequenza amminoacidica chiamata ITIM, che inibisce la
trasmissione del segnale, e quindi inibisce il linfocita B.
Altri CD32, presenti sui neutrofili e sui macrofagi, possiedono invece una sequenza
chiamata ITAM (anch' essa sul frammento Fc), che promuove la fagocitosi.

Classi anticorpali: le IgG

Le IgG sono la classe immunoglobulinica più abbondante nel siero: la loro


concentrazione varia tra gli 8 – 13 mg/ml in condizioni fisiologiche (tieni presente che
la concentrazione TOTALE delle proteine sieriche è di 70 mg/ml, ovvero il 7%; di esse
le albumine sono le più rappresentate: sul 7% del totale in peso, LE SOLE ALBUMINE
NE RAPPRESENTANO CIRCA LA META', ovvero il 4,2%, ovvero circa 42 mg/ml).
Dal punto di vista strutturale hanno la struttura precedentemente analizzata: non a
caso i mielomi IgG, i più frequenti, sono anche i più studiati. Esse possiedono quindi
due braccia per vedere l' antigene, ponti disolfuro, e una coda COOH – terminale.
Esse hanno la caratteristica di possedere la catena pesante di tipo λ, e si individuano
per questo quattro sottoclassi: IgG1, IgG2, IgG, IgG4, con rispettivamente la
sottoclasse di catena pesante γ1, γ2, γ3, γ4.
Tra queste la sottoclasse più rara è quella delle IgG4, prodotte in caso di
PARASSITOSI o ALLERGIE; normalmente le altre sottoclassi sono prodotte in
quantità più abbondanti.
Saranno presenti domini VH , denominati pure Vγ, Cγ1, Cγ2, Cγ3.
La catena leggera avrà un peso molecolare 25000 Da, quella pesante 50000 Da: per un
totale di 150000 Da.
E' una glicoproteina: la componente zuccherina (di ACIDO SIALICO, MANNOSIO), è
localizzata nel frammento Fc, e rappresenta circa il 2-3 % in peso del totale della
molecola.
La localizzazione è mista: circa 2/3 delle IgG le ritrovo in circolo, ma fisiologicamente
circa 1/3 la ritrovo in territori extravascolari. Come mai? Esse devono difenderci
anche nelle zone che gli agenti estranei affrontano prima di entrare in circolo (ad
esempio la cute): è dunque un vantaggio avere le IgG anche fuori dal torrente.
Esse riescono fisiologicamente ad attraversare la placenta e raggiungere il feto: in
questo modo il neonato sarà protetto nei primi mesi di vita, nei quali non è in grado di
prodursi da solo le IgG.
La loro emivita è alta: circa tre settimane, e nelle trasfusioni va tenuto conto di
questo. Ci vorrà quindi circa un mese e mezzo per esaurire TUTTE LE RISORSE
MATERNE prima che il neonato ne inizi a sintetizzare di proprie.
In clinica si potrà avere immunoglobuline G PATOLOGICHE: in tal caso bisognerà
toglierle dal circolo tramite un PLASMA EXCHANGE. Tuttavia ci può essere il rischio
di rebound (rimbalzo), in quanto quell' 1/3 di IgG sito nei territori extravascolari può
rientrare in circolo, e di questo bisogna tener conto!

Una volta che l' IgG ha visto l' antigene:

1) Verrà RECLUTATO IL COMPLEMENTO: questo grazie al frammento Fc, e in


particolare al dominio Cλ3.
2) Cγ3 in particolare aiuterà l' immunoglobulina ad “incastrarsi” a specifici
recettori a livello di cellule fagocitarie (monociti, macrofagi).
3) Nel caso in cui l' IgG dovesse passare attraverso i vasi sanguigni, lo fa. E questo
avviene grazie al frammento Fc: se sperimentalmente lo stacco trattando l' IgG
con pepsina, essa non passa attraverso il vaso.

I recettori per il frammento Fc delle IgG sono schematizzati nella seguente tabella:

Recettore Cellule su cui è presente Affinità per le IgG


FcγRI o CD64 Fagociti (macrofagi, Alta: vede le IgG CIRCOLANTI CHE
neutrofili) DEVONO ESSERE CATABOLIZZATE ED
ELIMINATE. Vengono viste in seguito ad
una modificazione zuccherina dell' Fc.
FcγRII o CD32 Fagociti (macrofagi, Bassa: vede le IgG SOLO SE LEGATE AL
neutrofili), ma un BATTERIO. Per la fagocitosi.
particolare tipo di CD32
è presente pure sui
linfociti B: è quello della
sequenza ITIM.
FcγRIIIo CD16 Cellule NK Bassa: vede le IgG SOLO SE LEGATE AL
BATTERIO. Per la fagocitosi.

Nota: il termine ANTICORPO è un termine operativo; esso può essere costruito, come
struttura, su una IgG.

Classi anticorpali: le IgM


Sono PENTAMERI (anticorpi pentavalenti), ovvero immunoglobuline costituite da 5
subunità tenute insieme da una catena di peso molecolare 15000 Da, detta CATENA J
(giunzionale, Joining), che collega insieme due frammenti Fc per tenere insieme l'
impalcatura.

Le regioni Fc sono situate all' interno del pentamero, mentre i 10 siti di legame per l'
antigene sono esposti verso l' esterno della molecola.
Possedendo dieci braccia, potenzialmente sarebbero le migliori immunoglobuline, ma
con il movimento queste braccia si intralciano tra di loro.

Osserviamo la struttura del monomero: anche qui distinguo catene pesanti e catene
leggere; ciascuna IgM sarà contraddistinta dalla SUA catena pesante μ, ma potrà
possedere come catena leggera o K nel 60% dei casi o λ nel rimanente 40%.
La catena pesante pesa 70000 Da, a differenza di quella delle IgG (50000 Da): questo
perché essa possiede UN DOMINIO IN PIU': sono dunque presenti sulla catena
leggera UN DOMINIO COSTANTE C e UN DOMINIO VARIABILE più all' esterno,
V.
Nella catena pesante si avrà i domini Cμ1, Cμ2, Cμ3, Cμ4. Come le IgG saranno
contraddistinte da una porzione zuccherina a livello dell' Fc.

Da quanto appena detto si evince che il peso molecolare totale del pentamero si aggira
intorno ai 900000 Da: per questo motivo le IgM sieriche sono anche chiamate
MACROGLOBULINE.

Per quanto riguarda la forma pentamerica la loro caratteristica principale è che le


ritroviamo SOLO IN CIRCOLO : per esse non esistono territori extravascolari (o
meglio, ivi sono poco rappresentate, a causa delle loro notevoli dimensioni), né
tantomeno riusciranno ad attraversare la barriera placentare. Il loro livello sierico è
circa 1/5 di quello delle IgG, ovvero 1,5 – 2 mg/ml.
Possiedono una emivita breve, di circa 4 – 5 giorni.

Dunque esse sono solo potenzialmente meglio delle IgG, in quanto potrebbero legare
più epitopi; ma per diverse ragioni che di seguito riassumiamo non sono proprio
classificate tra le immunoglobuline più affidabili:

- Sono solo in circolo.


- Hanno una breve emivita.
- Sebbene possano legare più epitopi, non lo fanno perché nel movimento i bracci si
intralciano tra loro.

Inoltre, NON ESISTONO RECETTORI PER IL FRAMMENTO Fc delle IgM


pentameriche: una volta legato il bersaglio, non possono promuovere l' opsonizzazione,
MA POSSONO ATTIVARE IL COMPLEMENTO.

Esiste anche la forma monomerica delle IgM, solo che la si ritrova frequentemente
sulle membrane e sulle superfici cellulari.

Classi anticorpali: le IgA

Esse sono un po' come un ibrido: dipende tutto da dove le si prende. Posso trovarle:

1) IN CIRCOLO: le IgA in circolo SONO MONOMERICHE (quelle in figura


rappresentano l' altro tipo di IgA) e quindi si presenteranno come le IgG (sono
strutturalmente simili). Saranno presenti i domini Vα, Cα1, Cα2, Cα3.
La grande differenza rispetto alle IgG sta nel peso molecolare, che si aggira intorno
ai 180000 Da: questo perché possiedono una componente zuccherina più
preponderante, intorno al 5 – 6% in peso della molecola totale. La parte zuccherina è
sita sul frammento Fc.
Possiedono una breve emivita, di circa 4 – 5 giorni.
Nonostante le caratteristiche appena elencate, le IgA circolanti sono poco efficienti.
Infatti, se riescono a captare l' antigene:

- Non attivano il complemento


- Non possono funzionare da OPSONINE: ovvero non esistono recettori per il
frammento Fc delle IgA sulla membrana delle cellule fagocitarie.

2) SULLA SUPERFICIE DELLE MUCOSE: apprezzabili in figura, vanno a formare un


carpet (tappeto), ricoprendo le superfici mucose del nostro corpo e facendo barriera
contro tutto ciò che deve entrare.
Possiedono una struttura diversa dalle IgA circolanti: queste infatti vanno a formare
DIMERI, mettendosi insieme coda su coda, con un PONTE J (Joining, proprio come
nelle IgM).
Ora viene da chiedersi: come raggiungono la superficie delle mucose? La risposta è
che vengono prodotte IN LOCO: infatti nelle mucose, sulla superficie basolaterale
cellulare, vi è ricchezza di LINFOCITI B e PLASMACELLULE, sono una sorta di
tessuto linfoide.
Una volta prodotte però devono passare al di là dello strato cellulare, verso la parte
che da sul lume, ovvero la parte apicale delle cellule; le cellule epiteliali delle mucose
possiedono per questo sulla parte basale un RECETTORE PER LE IgA: una volta
captata l' immunoglobulina, questa viene internalizzata con il recettore, vacuolizzata,
e una volta in vescicola IL RECETTORE, PER MEZZO DI ENZIMI, VIENE SCISSO.
La porzione del recettore che giunge insieme all' immunoglobulina - dimero sulla
porzione luminale viene chiamata PEZZO SECRETORIO (P.M. 70000 Da), che entra di
fatto a far parte delle IgA MUCOSE.

Il pezzo secretorio è dunque funzionale a:

- Distinguere IgA circolanti e mucose: per farlo è infatti sufficiente produrre


anticorpi anti -pezzo secretorio.
- Proteggere la molecola IgA da eventuali digestioni proteolitiche che potrebbero
avvenire in ambienti come stomaco ed intestino.
Sulle mucose, le IgA dunque formano un lenzuolo protettivo contro batteri ed agenti
estranei. La protezione è garantita in diversi modi:

a) Una possibilità è quella di legare il batterio, impedendogli l' entrata.

b) Un' altra è impedire al batterio l' adesione: se i batteri non riescono ad aderire
sulla superficie ospite, non provocheranno mai infezione.

c) Essendo dei dimeri, possono creare dei veri e propri corpuscoli che inglobano gli
agenti estranei e possono venir facilmente eliminati tramite il muco e l' azione
bronchifuga delle ciglia (pensa all' epitelio delle vie respiratorie!).

Distinguo due sottoclassi di IgA: IgA1 e IgA2, con rispettivamente in struttura la


catena pesante α1 e α2. Le IgA1 possiedono una regione cerniera PIU' LUNGA
RISPETTO ALLE IgA2 (di circa 20 amminoacidi). Inoltre sono più vulnerabili di fronte
a particolari enzimi, e i batteri sfruttano proprio questo: essi infatti sono in grado di
produrre enzimi che attaccano le IgA1 di superficie.
Il fatto di produrre poi anticorpi (IgA1) contro tali batteri è testimonianza del fatto
che l' individuo è più suscettibile a determinate infezioni (ad esempio, da NEISSERIA
MENINGITIDIS, responsabile della meningite cerebrospinale epidemica).

IgA e immunodeficienza

Una delle immunodeficienze più importanti e frequenti riguarda un difetto selettivo


alle IgA2: il problema più serio è legato al fatto che questi soggetti possono ricevere
trasfusioni di plasma (ad esempio, in seguito ad un trauma, un parto od un incidente).
Ricevendo ripetutamente IgA2, faranno anticorpi contro di esse, e se riceveranno
ancora plasma ricco di IgA2, rischiano lo SHOCK ANAFILATTICO.

Di conseguenza, se un individuo deve essere sottoposto a ripetute trasfusioni, deve


essere indagato sulle IgA!

Classi anticorpali: le IgD


Sono prevalentemente di superficie, il livello sierico è molto basso, nell' ordine dei
microgrammi per millilitro (μg/ml).
Dal punto di vista strutturale, come si può apprezzare in figura, sono uguali alle IgG,
ma possiedono una porzione zuccherina sul frammento Fc molto più cospicua, e questa
caratteristica le rende più legate alle membrane cellulari: sono più citofile!

Classi anticorpali: le IgE

Nel siero sono presenti nell' ordine dei nanogrammi per millilitro (ng/ml). Infatti esse
possiedono una STRAORDINARIA CITOFILIA, tanto che le cellule possiedono
recettori (FcεR) solo per loro, ovviamente recettori per il frammento Fc. Sono gli
anticorpi tipici delle allergie e delle parassitosi.

Dal punto di vista strutturale assomigliano alla forma monomerica delle IgM, con 4
domini costanti di cui fa parte un extradominio Cε4.
Ciascuna catena pesante possiede un peso molecolare di 70000 Da; anche nelle IgE la
porzione zuccherina del frammento Fc è cospicua: rappresenta circa il 7 – 8% in peso
del totale molecolare.
Immunoglobuline solubili e recettoriali (di superficie)

E' chiaro che le Ig di membrana e solubili possiedono una struttura molecolare


differente, composta da amminoacidi idrofobici e idrofilici. In particolare le
immunoglobuline di membrana, per incastrarsi al meglio nel doppio foglietto
fosfolipidico, possiederanno circa UNA VENTINA DI AMMINOACIDI IDROFOBICI
IN PIU'.
A questo punto la domanda sorge spontanea: esistono geni differenti per le
immunoglobuline di superficie e solubili? Evidentemente no, altrimenti occorrerebbe
un corredo genico troppo ampio. I geni di base saranno sempre i soliti, solo che il loro
prodotto proteico sarà sottoposto a differenti SPLICING ALTERNATIVI (ovvero i
processi attraverso cui da un gene, mediante diversi riarrangiamenti degli esoni,
ottengo proteine differenti).
Di conseguenza:

a) IN CIRCOLO ritroverò molte IgM in forma pentamerica e molte IgG, e IgA.

b) SULLE SUPERFICI CELLULARI ritroverò molte IgD, molte IgM in forma


monomerica (sulla superficie dei linfociti B), IgE, IgA (sulle mucose), e poche IgG.

Molecole accessorie al recettore per le Ig (TCR, ma non solo)

Uno di questi complessi molecolari accessori è il COMPLESSO MAGGIORE DI


ISTOCOMPATIBILTA' (MHC). Le molecola umane dell' MHC sono chiamate
ANTIGENI DI ISTOCOMPATIBILITA' (HLA), tra cui trovo il sistema AB0. L' HLA
condiziona la risposta ai trapianti, in quanto i suoi antigeni sono siti sui tessuti.
L' MHC è un complesso in grado di vedere l' antigene estraneo e consegnarlo ai
recettori TCR dei linfociti T e ad altri recettori. Individuo tre classi differenti di
molecole:

1) CLASSE I
Comprende tre gruppi di molecole (antigeni): A, B, C. Questi antigeni/molecole sono
presenti su tutti i tessuti dell' organismo: le uniche cellule che non li possiedono sono
le cellule anucleate (ovvero gli eritrociti).

2) CLASSE II
Comprende tre gruppi di molecole: DR, DP, DQ. Questi antigeni sono presenti solo su
alcune cellule, ovvero le APC (Antigen Presenting Cells): cellule dendritiche, cellule di
Langerhans, LINFOCITI B. Qui si ferma il sistema HLA.
3) CLASSE III
Fa sempre parte dell' MHC, ma va ben oltre il sistema HLA: vi fanno parte geni che
codificano per alcune proteine del complemento, molecole coinvolte nell'
infiammazione, Heat Shock Proteins, TNF, C2, C4.

Deduco quindi che se un linfocita B è una APC, porterà sulla sua superficie sia le
molecole di classe I che quelle di classe II.

Morfologia della classe I

Abbiamo visto che comprende i tre gruppi di molecole A, B, C. La molecola completa ha


un peso molecolare che si aggira intorno ai 45000 Da. La sua caratteristica principale
sta nel fatto che E' IN GRADO DI VEDERE MOLECOLE SELF.
Individuo catene α (alfa) e β (beta): entrambe le tipologie possiedono la struttura
tipica delle anse delle immunoglobuline, ovvero 110 amminoacidi, 90 dei quali
costituiscono l' ansa vera e propria e le rimanenti 20 si pongono a lato in gruppi di 10.

Si individuano TRE DOMINI per la catena α ( α1, α2, α3): α1 e α2 sono le anse più
esterne della molecola e sono un continuo; il complesso α1 – α2 possiede una variabilità
pazzesca da persona a persona; infatti deve essere competente alla visione di più
antigeni (bisogna anche dire che una molecola MHC è in grado di legare più antigeni e
che un antigene è in grado di farsi riconoscere da più molecole MHC). Individuo una
minor variabilità per α3. Va precisato che dunque noi non abbiamo una sola espressione
di A, di B, e di C, E CHE A, B, e C sono diversi da individuo a individuo.
Il gene che codifica per le catene alfa è sito sul CROMOSOMA 6 (braccio corto).

Si individua invece UN DOMINIO SOLO per la catena β, che, essendo molto piccola, è
chiamata β2 MICROGLOBULINA (peso molecolare 12000 Da); NON è legata alla
catena α3 sita davanti per mezzo di ponti disolfuro.
Il gene che codifica per le catene beta è sito sul CROMOSOMA 15.

L' intera molecola può liberarsi dalla membrana della cellula ed andare in circolo e,
caratteristica importante, PUO' FARLO ANCHE LA SOLA CATENA β2; quest' ultima
viene filtrata a livello glomerulare (ricorda che può filtrare fino a 69000 Da) e
riassorbita a livello del tubulo prossimale.
QUALORA IL TUBULO FUNZIONASSE MALE, la ritroverei nelle urine (non viene più
riassorbita) e per molto tempo fu usata come marker di danni tubulari dai nefrologi.
Questa molecola è in grado di vedere l' antigene, il quale andrà a porsi tra i beta –
sheets (struttura secondaria della proteina) formati dalle anse α1 – α2: nota che l'
antigene che queste molecole vedono appartiene al SELF. Come già detto, il sistema
immunitario dovrà vedere anche i propri antigeni, e riconoscerli come propri!

Morfolologia della classe II

Abbiamo visto che comprende i tre gruppi di molecolea DR, DP, DQ, ciascuno diverso
da individuo a individuo.
Individuo due catene: α (alfa) e β (beta). Entrambe le tipologie possiedono la
struttura tipica delle anse delle immunoglobuline, ovvero 110 amminoacidi, 90 dei quali
costituiscono l' ansa vera e propria e le rimanenti 20 si pongono a lato in gruppi di 10.

Individuo DUE DOMINI PER LA CATENA α ( α1 e α2, per un totale di peso molecolare
32000 Da) e DUE DOMINI PER LA CATENA β (β1 e β2, per un totale di peso
molecolare 28000 Da).
Entrambe le catene, alfa e beta, deriveranno dall' espressione di geni siti sul
CROMOSOMA 6 (braccio corto).

Anche questa molecola sarà in grado di vedere l' antigene: solo che, a differenza dell'
MHC di classe I, vedrà SOLTANTO L' ANTIGENE ESTRANEO o IL SELF
MODIFICATO.
La localizzazione dell' antigene avviene a cavallo delle anse α1 e β1, dove si trova un
“letto” di beta – sheets.

Considerazioni

Il fatto di avere sulla superficie cellulare tre diversi tipi di molecole di classe I e tre
diversi tipi di classe II, permette già di vedere molti antigeni.
A questo bisogna aggiungere che noi non abbiamo una sola espressione di A, una sola di
B ecc...(vale anche per DR, DP, DQ), bensì basti pensare che possediamo circa 300
alleli solo per A e circa 600 per B!
Inoltre ciascun A, ciascun B ecc...è diverso da individuo a individuo: come detto prima
la variabilità pazzesca da individuo a individuo, in questo caso per la classe I, è data
dalle anse alfa1 – alfa2.
Ognuno di noi dunque PRESENTA SPECIFICITA' DI A, B, C, DR, DP, DQ.

Noi sappiamo essere il frutto dei nostri genitori: di conseguenza si avranno pure DUE
ESPRESSIONI ALLELICHE di A (per un dato antigene), B (per un dato antigene), C
(per un dato antigene), e lo stesso vale per DR, DP, DQ; eccezioni sono ovviamente i
nati da incesto!
Possiamo dunque affermare che generalmente gli alleli sono espressi in forma
CODOMINANTE.
In realtà con queste poche specificità noi ce la dobbiamo cavare contro tutti gli
antigeni possibili ed immaginabili!

Ma come è stato possibile scoprire i tre diversi antigeni A, B, C? Tramite studi sui
politrasfusi e donne poligravide: per quest' ultimo caso infatti sappiamo che i leucociti
hanno l' HLA sulla membrana; quando si stacca la placenta, vi è reflusso di piccole
quantità di sangue dal feto verso la madre, E LA MADRE PRODUCE ANTICORPI
CONTRO LE CELLULE DEL FETO.
Tuttavia ora nelle trasfusioni non si danno i leucociti, e donne poligravide se ne vedono
sempre meno al giorno d' oggi; per cui ora come ora è difficile effettuare studi su
queste popolazioni.

Il cromosoma 6

Sul braccio corto del cromosoma 6 sono siti i geni per le catene ALFA della classe I,
per tutte le catene della classe II, così come per la III.
Le catene della classe II sono site all' estremo verso il centromero; dalla parte
opposta è sita la classe I, mentre la classe III è in mezzo.

Polimorfismi
LA CLASSE I comprende in ordine i siti per HLA B, HLA C, HLA A. Accanto ad essi
sono presenti altri siti HLA con altre sigle (HLA J, HLA G, HLA F, HLA X, ecc). La
differenza sostanziale tra il primo gruppo e il secondo, come detto prima, è che gli
HLA B, C, A SONO ALTAMENTE POLIMORFICI. Il secondo gruppo è invece
caratterizzato da monomorfismo.

Per la CLASSE II posso invece parlare di POLIMORFISMO per le molecole DP, DQ,
DR (presenti solo sulle APC) e invece di MONOMORFISMO per DM.

Per ciascun gene ereditiamo 2 forme alleliche: una dal padre e una dalla madre, per cui
le APC avranno 12 espressioni alleliche totali (6 dal padre e 6 dalla madre
rispettivamente per A, B, C, DP, DQ, DR).

Come ereditiamo l' HLA

Noi ereditiamo dai nostri genitori le classi I e II in forma di APLOTIPO : ovvero


ereditiamo in blocco per la classe I A, B e C, e per la classe II DP, DQ, DR. Facciamo
un esempio per la classe I:

Padre Madre
1 A1 B4 C3 3 A2 B3 C4
2 A2 B6 C2 4 A5 B8 C6

Noi ereditiamo dal padre o il corredo 1 o il corredo 2; e dalla madre o il corredo 3 o il


corredo 4. E' estremamente difficile trovare due persone uguali per tali assetti.
Come mai li ereditiamo come aplotipo? Perchè sono così vicini tra loro che non è
possibile il fenomeno del CROSSING OVER.
Ricordiamo che se in una popolazione trovo che ogni tanto un gene si separa dall' altro,
vuol dire che è possibile crossing over per qual dato gene (anche se ogni tanto è
presente crossing over tra B ed A).

Utilizzo pratico dell' MHC

Sappiamo che senza di esso non c' è risposta immunitaria; in generale lo si può
utilizzare in due ambiti:

1) Nei TRAPIANTI: per un dato trapianto è necessario conoscere l' assetto


antigenico del donatore e del ricevente (vedi capitolo trapianti), la cui
tipizzazione è ora possibile in poche ore.
2) Nel COLLEGARE LA PRESENZA dell' MHC A DIVERSE PATOLOGIE: è
possibile che certi soggetti con determinati tipi di HLA siano associati a
malattie? La risposta è si, ma è strettamente correlata allo studio di patologie
autoimmuni, ovvero con anomalie del sistema immunitario.
Esistono patologie in cui il possedere un determinato fenotipo HLA è strettamente
associato con la contrazione della malattia, come la SPONDILITE ANCHILOSANTE:
in questa patologia le vertebre si fondono tra loro, e l' elasticità dei dischi
intervertebrali non è più garantita. In tal caso l' allele HLA B27 è strettamente
associato, esso ricorre frequentemente in pazienti con artropatie (che possono
rientrare nelle sieropatie, in quanto in certi soggetti può o meno mancare nel
siero il FATTORE REUMATOIDE, un autoanticorpo). Generalmente l' HLA B27 è
correlato però con le artropatie sieronegative, ovvero dove viene a mancare il fattore
reumatoide.

Tuttavia ciò non vuol dire che un soggetto con HLA B27 debba per forza contrarre la
malattia; si potrebbe meglio parlare di predisposizione e a tal proposito si parla di
RISCHIO RELATIVO, definito come

f dell' allele HLA nei pazienti


f dell' allele nella popolazione

Nel DIABETE MELLITO poi è sperimentalmente verificata l' associazione della


patologia IN ALCUNI PAZIENTI con il fenotipo DR3 – DR4 (quindi eterozigoti)
per l' MHC di classe II; in tal caso il rischio relativo è addirittura più basso che
per la spondilite anchilosante.

La predisposizione o meno al diabete di tipo I può essere verificata anche tramite l'
utilizzo di primers per verificare la sequenza amminoacidica sulle catene dell' HLA, e
si notano alcune cose interessanti: gran parte dei pazienti affetti dal diabete di tipo I
possiede sulla catena β del DQ una SERINA o una TREONINA in posizione 57
rispetto alle persone sane che invece in tale posizione hanno ASPARTATO.

Considerazioni sulla correlazione HLA - patologia

E' possibile che taluni soggetti siano suscettibili a certe malattie non solo perchè il
loro HLA non riconosce bene certe molecole, ma è possibile anche l' inverso: certe
espressioni di HLA fanno captare SELF ANTIGENS che non dovrebbero captare; in
tal modo si potrebbe spiegare la predisposizione alle malattie autoimmuni.
Nei vaccini almeno il 90% della popolazione deve essere coperto, in modo tale da non
avere troppe persone con un assetto HLA tale da mantenere il virus o il batterio in
circolo.
La produzione degli anticorpi

Introduzione

Per decenni gli immunologi hanno cercato di spiegare il meccanismo genetico alla base
della incredibile diversità della struttura anticorpale (si parla a tal proposito di G.O.D.
, ovvero Generation Of Diversity). Fu così che vennero a galla diverse teorie:

1) Vi era chi sosteneva la TEORIA GERMINALE: secondo questa noi nasciamo con
un vasto repertorio di geni che codificano per un vasto numero di anticorpi
differenti; in tal modo si spiegherebbe la diversità. Questa teoria fu
sostanzialmente smentita dalle scoperte di Tonegawa.

2) Vi era chi sosteneva la TEORIA DELLE MUTAZIONI SOMATICHE: secondo


questa il nostro genoma contiene un numero di geni codificanti immunoglobuline
relativamente basso. Verrebbero quindi indotte MUTAZIONI o ricombinazioni
per produrre anticorpi atti a riconoscere qualsiasi tipo di antigene.

L' esperimento di Tonegawa

Nel 1976, Susumu Tonegawa fornì una prima evidenza del fatto che noi non
possediamo un SOLO gene per un dato anticorpo, dimostrando che le regioni V
(variabili) e C (costanti) sono codificate da geni distinti.
Tonegawa prese cellule embrionali di topo, che sono potenzialmente in grado di fare
immunoglobuline ma non le fanno, e cellule di mieloma, in grado di fare
immunoglobuline, e secernenti la catena λ. Da entrambe le tipologie cellulari isolò il
DNA e lo frammentò con enzimi di restrizione (Eco RI); i frammenti così ottenuti
vennero poi separati tramite elettroforesi su gel di agarosio, e ibridizzati con una
sonda radiomarcata costituita da mRNA della catena leggera k.

Cosa si osservò? L' mRNA ibridizzava:

• con DUE frammenti del DNA proveniente dalla cellula embrionale;

• con UN solo frammento di DNA delle cellule di mieloma.

Sulla base di questi dati, Tonegawa ipotizzò che durante il differenziamento dei
linfociti B da cellule embrionali a plasmacellule (rappresentate nel suo studio dalle
cellule di mieloma) mature e differenziate, i geni codificanti le regioni C e V vanno
incontro a riarrangiamento.
Tonegawa sapeva che:

• la catena λ era codificata dal cromosoma 22 nell' uomo;

• la catena κ era codificata dal cromosoma 2 nell' uomo;

• le catene pesanti erano codificate nel cromosoma 14 nell' uomo.

A livello embrionale, i geni per le regioni C e V sono separati da un lungo tratto di DNA
contenente il sito per ECO RI; durante il differenziamento però i geni per V e C
vengono avvicinati, e la sequenza di DNA interposta viene eliminata: geni separati
vengono messi assieme, e il processo avviene solo su un cromosoma (su UNO dei due
cromosomi 2 o UNO dei due cromosomi 22), fenomeno che viene chiamato di
ESCLUSIONE ALLELICA (d' altro canto è auspicabile che lavori solo un cromosoma,
altrimenti si creerebbe confusione).
Questi lavori fruttarono a Tonegawa il Nobel nel 1987.

Il cromosoma 2

Esso contiene sequenze che nell' uomo codificano per la catena leggera κ. I 110
amminoacidi della PARTE VARIABILE di questa catena leggera sono codificati da
diversi geni. Si comincia con:

• i geni V, che codificano per la parte variabile, e codificano per i primi 90


amminoacidi. Per questi individuo circa 250 diverse possibilità (rappresentate
da 250 differenti geni, separati da introni NEL TOPO, nell' uomo sembrerebbe
che ci siano 40 diverse possibilità). Seguono...

• i geni J, che codificano sempre per la parte variabile, e codificano per gli ultimi
10 amminoacidi. Per questi individuo sempre 4 diverse possibilità
(rappresentate da 4 geni differenti).
Il cromosoma 22

Esso contiene sequenze che nell' uomo codificano per la catena leggera λ (che non
uscirà MAI dalla cellula). Anche qui individuo 110 amminoacidi per la PARTE
VARIABILE, a cui associo:

• i geni V (come prima), solo che in questo caso sono in numero di 2 o 3 al massimo
(nell' uomo sembrerebbe in numero di 30).

• i geni J (come prima), e anche in questo caso ne individuo 4 differenti.

In definitiva, PER COSTRUIRE LA REGIONE VARIABILE DELLE CATENE LEGGERE


SI UTILIZZA UN GENE V E UN GENE J, CHE DOVRANNO ESSERE
OPPORTUNAMENTE RIARRANGIATI.

Il cromosoma 14

Esso contiene sequenze che nell' uomo codificano per la catena pesante.

Per la parte variabile i 110 amminoacidi che la compongono saranno codificati da:

• geni V (in numero tra 250 e 1000 NEL TOPO).


• geni D, che sta per Diversity, siti in loci tra i geni V e i geni J.
• geni J (in numero di 4 nell' uomo).

Al solito, per ottenere i 110 amminoacidi della parte variabile dovranno accostarsi UN
segmento V, UN segmento D, UN segmento J. D e J si occupano di codificare per gli
10 amminoacidi ai lati della catena, V fa il grosso del lavoro, codificando per i 90
amminoacidi restanti.

Per la parte costante, si individuano segmenti genici C, che individueranno a loro volta
la diversa tipologia di immunoglobulina insieme alla parte variabile.

In totale, per la catena pesante, si individuano circa 40000 combinazioni possibili,


guardando SOLO IL TIPO di catena pesante. Questo perché in realtà intervengo altri
meccanismi di variabilità, che si vedranno tra poco.

Il lettore attento avrà notato che è stata tralasciata la trattazione riguardante la


PORZIONE COSTANTE DELLA CATENA LEGGERA: essa verrà opportunamente
trattata in seguito, in quanto ritenuta meccanismo a parte.

Complessivamente possiamo dire che la disposizione dei V, D, J, C è nel senso 5' → 3'
sul DNA.

Considerazioni

Per avere un anticorpo funzionante dovranno lavorare quindi INSIEME il cromosoma


14 con O il cromosoma 2 O il cromosoma 22 (infatti se lavora il cromosoma 2
bisognerà silenziare il 22 e viceversa): si parla di ESCLUSIONE CROMOSOMICA.
Dal momento che la catena leggera κ è quella percentualmente più presente (60% dei
casi), più probabilmente a mettersi in moto sarà il cromosoma 2.
Va precisato inoltre che quando a funzionare è il cromosoma 2 (o 22) deve essere
messo a tacere NON SOLO il cromosoma 22 (2), e in tal caso parlo di esclusione
cromosomica , ma pure la controparte allelica sul cromosoma omologo: come si
descriverà in seguito si parla anche di ESCLUSIONE ALLELICA.
Il discorso dell' esclusione allelica vale anche per il cromosoma 14. E' necessario
quindi scegliere e selezionare i cromosomi e gli alleli affinchè la risposta non diventi
improduttiva.
Il riarrangiamento avviene nei linfociti B in maturazione (per gli anticorpi) e nei
linfociti T (per il TCR). E' affascinante notare come il fenomeno del riarrangiamento
avvenga in noi ANCOR PRIMA che arrivi l' antigene, e IN MANIERA CASUALE: in
questo modo noi siamo pronti a fronteggiare tutti gli antigeni del mondo esterno con
un patrimonio anticorpale ristretto che non ha ancora visto l' antigene.

Il fenomeno del riarrangiamento per la regione variabile

Una volta che, casualmente, la cellula B o T ha scelto, nel caso della catena leggera
QUALE segmento V e J associare, è necessario che tra i due geni siano interposte
delle SEQUENZE DI RICONOSCIMENTO SPECIFICHE (RSS) palindromiche. Ed
esse son presenti, fiancheggianti ogni segmento genico.
Queste sequenze funzionano da segnale durante i processi di ricombinazione che
determinano il riarrangiamento dei geni, e ciascuna di esse contiene un EPTAMERO
palindromico conservato, e un NONAMERO conservato ricco in A – T, separati da una
sequenza spaziatrice di 23 o 12 paia di basi. La differenza nel numero delle basi sta
nel fatto che la presenza di 23 paia di basi come sequenza spaziatrice permette all'
elica di DNA un doppio giro durante il riarrangiamento.
La sequenza di eventi che accade è la seguente:

1) Riconoscimento delle sequenze segnale RSS da parte di enzimi chiamati


RICOMBINASI, presenti solo in cellule mature, detti RAG – 1 e RAG – 2.
2) Riconoscimento tra loro delle sequenze palindromiche degli eptameri e nonameri
interessati.
3) Formazione di un' ANSA A FORCINA contenente gli eptameri e i nonameri, con
a valle il V e il J interessati.
4) Taglio dell' ansa in modo da liberare il V e il J, che verranno saldati
opportunamente da LIGASI.
5) L' ansa a forcina, contenente V e J NON SCELTI, viene eliminata: di
conseguenza in ogni processo di ricombinazione vengono accostati SOLO IL V
SCELTO e SOLO IL J SCELTO!

Va detto comunque che il taglio per accostare opportunamente il V e il J scelti può


essere imperfetto, e si possono vere per questo diverse possibilità di
giustapposizione. Questo aggiunge alle originali possibilità di variabilità UNA
ULTERIORE VARIABILITA'; si era parlato precedentemente di 40000 combinazioni
possibili solo per la catena pesante: considerando questa ulteriore variabilità, per essa
si può arrivare nell' ordine dei 10^9 – 10^11 ! Ma la storia non finisce qui.

Infatti, quando giunge l' antigene, esso modifica la situazione nativa (data da un
campo ristretto di anticorpi): le cellule B prolifereranno e si andrà incontro a
MUTAZIONI SOMATICHE, ovvero mutazioni puntiformi nelle regioni che devono
essere mutate, ovvero le REGIONI IPERVARIABILI, il che aggiunge ulteriore
variabilità. Si individuano quindi DUE fasi di aumento di variabilità:

1) Una prima fase ANTIGENE INDIPENDENTE: avviene quando siamo ancora nell'
utero di mamma e non siamo esposti agli antigeni del mondo esterno. E' la fase
in cui avviene il casuale riarrangiamento dei geni che ci consente di creare un
repertorio di base di anticorpi, il quale a sua volta ci permetterà di controllare
l' antigene, quando esso sopraggiungerà. Praticamente corrisponde a quanto
visto precedentemente.

2) Una seconda fase ANTIGENE DIPENDENTE: avviene con l' arrivo a contatto
con l' antigene, e consiste nella comparsa delle mutazioni sopracitate.

E' chiaro che sì la presenza di mutazioni somatiche ci permette di aggiungere


variabilità, ma va anche detto che aumenta il rischio di creare AUTOIMMUNITA', in
quanto le mutazioni che avvengono sono CASUALI.

Finora però abbiamo visto quello che accade per la parte variabile delle catene pesanti
e leggere. Manca ora da analizzare quanto avviene per la porzione COSTANTE.

Cosa avviene per la porzione costante della CATENA LEGGERA

Dopo il riarrangiamento avvenuto per la porzione variabile, ora abbiamo il segmento V


scelto accostato al J scelto. Bisogna ora accostare il segmento C, che è UNICO.
Per far ciò dovranno accadere delle modificazioni al TRASCRITTO PRIMARIO,
ovvero all' mRNA, tramite operazione di SPLICING ALTERNATIVO.
Lo splicing alternativo è un controllo post-trascrizionale ed è il processo attraverso il
quale, mediante un diverso arrangiamento degli esoni (regioni di RNA codificanti), da
uno stesso gene possono derivare diverse proteine. Viene considerato la fonte più
importante di diversità delle proteine nei vertebrati.
Tutto questo avviene O sul cromosoma 2 O sul cromosoma 22, previo silenziamento di
uno dei due.

Cosa avviene per la porzione costante della CATENA PESANTE

A livello di DNA per la porzione variabile abbiamo visto che dapprima si uniscono un
segmento V e un segmento D scelto, dopodichè si accosta il segmento J a formare il
complesso VDJ. Bisogna ora accostare il segmento C; la differenza sostanziale sta nel
fatto che se per le catene leggere vi è solo UN segmento C sul cromosoma 2 o 22,
NON E' COSI' PER LA CATENA PESANTE, in cui l' unità VDJ può associarsi con un
segmento C scelto tra una molteplicità di questi.
Quando un anticorpo dovrà essere formato, dovrà essere scelto un segmento C, che
quindi NON SARA' sempre lo stesso: si parla per questo di SWITCH ISOTIPICO,
fenomeno per il quale viene mantenuta la parte variabile ma cambiata la parte
costante, per cui a un dato momento la cellula non vorrà più un dato C ma lo vorrà
cambiare, PER FABBRICARE UN DIVERSO TIPO DI IMMUNOGLOBULINA.

Come si può notare dalla figura, tutto ciò è possibile perchè sul cromosoma 14 (catena
pesante) c' è una SEQUENZA DEFINITA di regioni C: e la prima sequenza costante è
una Cμ, per cui il PRIMO ANTICORPO A VENIR CREATO SARA' SEMPRE UNA IgM.

Specifiche SEQUENZE SEGNALI precederanno Cμ, MA NON Cδ: ne deriva che in


ordine saranno fabbricate prima IgM, poi IgD perchè controllate dalla medesima
sequenza segnale. Per tutte le altre sequenze C vi sarà un controllo SINGOLO.
Quindi quando un linfocita B vede un antigene, dapprima fabbricherà IgM, poi IgD;
quello che accadrà dopo dipenderà DALLA SEQUENZA SEGNALE ATTIVATA DALL'
ANTIGENE, che comunque dovrà sempre passare per le IgM.

Dopo l' arrivo dell' antigene quindi verrà spento lo switch corrispondente alle IgM e
alle IgD, per accendere la sequenza segnale desiderata.

Nota che TUTTO IL FENOMENO DELLO SWITCH isotipico avviene sul DNA.

Esistono determinate patologie allergiche in cui il paziente (dopo le IgM ovviamente)


produce IgE, e nel tempo fabbrica pure le IgG4: queste normalmente non sono usate,
ma vengono prodotte in quanto vicine alle IgE nella sequenza corrispondente alla
sequanza costante C; in queste patologie quindi sono proprio le IgE e le IgG4 ad
essere monitorate.

Note
I geni per le immunoglobuline di membrana e quelle solubili sono gli stessi: è ovvio che
per le immunoglobuline di membrana avverranno delle modificazioni post traduzionali
che prevederanno l' aggiunta di 20 – 25 amminoacidi idrofobici per l' inserimento in
membrana.

Il recettore dei linfociti T: il TCR

Anche in questo caso bisognerà costruire una parte variabile e una parte costante. Il
TCR è un eterodimero di peso molecolare 42000 Da in cui si individuano diverse
tipologie di catene:

• Nel 95% dei linfociti T il TCR è costituito dalle due catene α e β.


• Nel 5% dei linfociti T il TCR è costituito dalle due catene γ e δ.

Questo consente di individuare linfociti T αβ e linfociti T γδ. I geni per le catene β e γ


sono siti sul cromosoma 7, quelli per le catene α e δ sul cromosoma 14.

La catena α avrà una serie di geni J e V: essa assomiglia molto alle CATENE LEGGERE
delle immunoglobuline.
La catena β avrà una serie di geni V, J, D: essa assomiglia molto alle CATENE
PESANTI delle immunoglobuline.

Per fabbricare le due catene dovrò quindi accendere due cromosomi diversi; il
fenomeno della ESCLUSIONE ALLELICA vale anche per i TCR.
Pure qui si avrà un primo riarrangiamento genico per la porzione variabile SUL DNA
per l' intervento delle ricombinasi, dopodichè verrà accostato il segmento C per
SPLICING ALTERNATIVO.

Per i linfociti B...

...bisogna effettuare distinzione tra le immunoglobuline di superficie e quelle solubili:

• Le Ig di SUPERFICIE sono prodotte DAI LINFOCITI B; dapprima si avrà


produzione di IgM in forma MONOMERICA, eventualmente sulla superficie dei
linfociti B si possono trovare anche IgG (IgM e IgG sono le Ig di superficie più
abbondanti) e IgD. Le IgM (ma pure le IgG) di superficie vengono utilizzate
come recettore per l' antigene perchè organizzate nel B CELL RECEPTOR: una
volta recepito lo stimolo il linfocita B si moltiplica e parte di essi andrà a
formare le PLASMACELLULE.
Solo a questo punto si potrà avere produzione specializzata di...

• ...Ig SOLUBILI: prodotte dalle plasmacellule.

Linfociti B vs plasmacellule
I linfociti B:

• Rappresentano la fase afferente della risposta immunitaria specifica.


• Li ritroviamo IN CIRCOLO, sulle MUCOSE, nel TESSUTO LINFOIDE.
• Sono in grado di differenziare in plasmacellule e cellule della memoria.
• Una volta stimolati con un dato antigene, sono in grado di proliferare; quindi si è
in grado di produrre linfociti (cellule della memoria) per un dato antigene, E SI
PUO' TORNARE INDIETRO (vedi pag. 24 – 25).

Le plasmacellule:

• Rappresentano la fase efferente della risposta specifica. Sono il punto di


partenza della risposta umorale.
• Sono cellule terminali, vivono poco (poche settimane) e da esse non si può
tornare indietro allo stadio di linfocita.
• Sono molto più grandi dei linfociti B; sono ovalari.
• Hanno un nucleo eccentrico, con cromatina “a ruota di carro”.
• Hanno un citoplasma basofilo, con un esteso reticolo endoplasmatico, e molte
immunoglobuline (attiva sintesi proteica).
• NON le si ritrova in circolo, bensì solo nelle mucose e nelle linfoghiandole; in
circolo le si ritrova solo in patologie.
• Non possiedono Ig di superficie, ma sono in grado di secernere Ig solubili.

Per una data immunoglobulina (ad esempio una IgG), le plasmacellule produrranno DUE
TIPI DI TRASCRITTI PRIMARI: uno per la catena leggera (cromosoma 2 o 22) e uno
per la catena pesante (cromosoma 14).
Ognuno poi andrà a localizzarsi a livello del suo gruppo di polisomi (poliribosomi), e di
seguito nel reticolo endoplasmatico, a livello del quale avverrà la traduzione; vi sarà un
ritmo più elevato di produzione di catene leggere (perché più corte) che di catene
pesanti. E' ovvio che le catene leggere prodotte in eccesso verranno riprocessate.
Di seguito le catene leggere e pesanti dovranno essere accostate: vi sarà spazio per
tutte le possibilità, tranne che per per due catene leggere insieme! Di seguito si
formeranno i ponti disolfuro.
Di seguito la molecola verrà indirizzata all' apparato del Golgi, dove verranno aggiunti
gli zuccheri. Infine verrà deposta in vescicole apposite ed esocitata.

Markers mono/policlonali

Generalmente la produzione di immunoglobuline è votata verso un tipo di risposta


POLICLONALE, in quanto la maggior parte degli antigeni presenta più epitopi.
In ogni caso, il marker della mono o policlonalità della risposta è la CATENA LEGGERA
delle immunoglobuline (κ o λ): UN DATO CLONE per UN DATO ANTIGENE farà
SOLO immunoglobuline con κ o o SOLO immunoglobuline con λ, non vi sarà una
risposta mista.

Elettroforesi delle sieroproteine

Già analizzata in precedenza, il grafico faceva riferimento ai picchi delle


sieroproteine in condizioni fisiologiche.

Generalmente posso operare questa procedura ogni qualvolta in un paziente si


riscontra un aumento delle immunoglobuline anticorpali, e si possono osservare diversi
casi:

1) Il picco delle gamma globuline è BASSO e SLARGATO: siamo in condizioni


fisiologiche (falso allarme). La curva è slargata perché le gamma globuline
coprono un territorio molto ampio;

2) Il picco delle gamma globuline SCOMPARE: è possibile che siamo di fronte a una
IMMUNODEFICIENZA (A – GAMMAGLOBULINEMIA);

3) Il picco delle gamma globuline NON è più rappresentato da una curva, ma da una
CAMPANA: siamo di fronte a una risposta POLICLONALE, ad esempio siamo di
fronte ad una infezione batterica;

4) Il picco delle gamma globuline diventa ALTO e MOLTO STRETTO: siamo di


fronte a una risposta MONOCLONALE. In tal caso si possono avere due
situazioni possibili:
• Un picco alto e stretto può rappresentare una forma monoclonale di
accompagnamento, come una infezione streptococcica, MA RIMANE
UNA SITUAZIONE RARA.

• Un picco alto e stretto PIU' FREQUENTEMENTE è associato a forme


tumorali come NEOPLASIE dei LINFOCITI B, ovvero LINFOMI B.
Come sarà possibile quindi in ematologia sapere se si tratterà di una
forma patologica monoclonale di IgG, IgM, o altre forme? Si effettua un
prelievo, e osservato il picco delle immunoglobuline, si effettua una
operazione di IMMUNOELETTROFORESI sfruttando anticorpi anti IgM,
anti IgG, e così via.
In clinica poi, per etichettare la patologia, sulla cartella sarà opportuno
scrivere il TIPO di MIELOMA (es. delle IgG1 o IgG2) accompagnato dal
tipo di catena leggera presente nelle immunoglobuline che questa
patologia monoclonale fa proliferare: insomma bisognerà scrivere, ad
esempio, LINFOMA IgG1 (κ) o (λ).

Nota: il linfoma è definito come un TUMORE DEI LINFOCITI, il MIELOMA come un


TUMORE DELLE PLASMACELLULE.
Patologie monoclonali

Tra le patologie monoclonali si ritrovano:

• La MACROGLOBULINEMIA DI WALDENSTRÖM: il tumore interessa


principalmente i linfociti B ed è accompagnato alla SOLA PRODUZIONE
massiva di IgM (“mieloma” delle IgM). Questa malattia linfoproliferativa
colpisce le persone in età avanzata, in particolare con maggiore frequenza oltre
la sesta decade di età.

• I MIELOMI MULTIPLI: sono tumori delle plasmacellule nel midollo. Sono lenti,
progressivi e non aggressivi, ma aggredendo l' osso ne provocano una erosione
progressiva con fratture patologiche. Sono colpite prevalentemente le persone
di mezza età o età avanzata.
E' possibile monitorare il tumore in base alla quantità di immunoglobuline prodotte: in
tal caso i mielomi multipli sono accompagnati da una produzione massiva di TUTTE le
immunoglobuline TRANNE LE IgM.

Come monitorare i mielomi multipli

Può accadere che in taluni tipi di MIELOMA MULTIPLO le cellule tumorali secernino
la sola catena leggera: in tal caso si parla di MIELOMA SECERNENTE, più aggressivo
degli altri.
I concentrati di catene leggere sono in grado di passare la barriera di filtrazione
renale e li si può trovare nelle urine, anche perché sono presenti in quantità eccessive
per poter essere riassorbite: prendono in tal modo il nome di PROTEINE DI BENCE –
JONES (vedi all' inizio). In casi estremi esse possono provocare TUBULOPATIE
OSTRUTTIVE, che porteranno a ristagno ed infezioni.
La situazione che si viene a creare ha quindi del paradossale: si ha una produzione
massiva di immunoglobuline, per cui ci si aspetta un superlavoro da parte del sistema
immunitario, e una contemporanea comparsa di infezioni. Come è possibile?
Va ricordato che i mielomi lavorano a spese delle cellule sane, le quali non riescono più
a costruire immunoglobuline funzionanti: la grande quantità di Ig che si ha non serve
perchè non è funzionale.

Per riconoscere le proteine di Bence – Jones è sufficiente usare anticorpi anti catena
leggera. Ma se volessi cercarle nel siero? In tal caso se usassi anticorpi anti catena
leggera, questi riconoscerebbero sia le catene leggere libere, che quelle legate alle
catene pesanti. Allora si utilizzano anticorpi che riconoscano PARTI viste LIBERE
delle catene leggere quando queste sono libere, e che risultano OSCURATE quando le
catene leggere sono legate a quelle pesanti.

Anticorpi monoclonali

Abbiamo visto come la gran parte delle risposte IN VIVO ad un dato antigene siano
risposte policlonali, in quanto ogni antigene presenta più epitopi. Sfortunatamente l'
eterogeneità di anticorpi che facilita la protezione in vivo spesso riduce IN VITRO l'
efficacia dell' antisiero. Per questo motivo in diagnosi e terapia si preferisce
utilizzare ANTICORPI MONOCLONALI derivati da un singolo clone, e perciò specifici
per un singolo epitopo.
Dal punto di vista diagnostico li si può utilizzare per individuare ANTIGENI SINGOLI
di batteri (o meglio, singoli epitopi!)

Per ottenerli non sarà sufficiente immunizzare degli animali con linfociti B ed esporli
all' antigene: si avrebbe infatti una risposta policlonale. Né tantomeno è percorribile
la strada della purificazione dell' anticorpo monoclonale da una preparazione di
anticorpi policlonali.
Nel 1975 Georges Kohler e Cesar Milstein misero a punto delle ricerche in cui
cercarono di sfruttare la capacità dei mielomi di dare risposte monoclonali per
produrre ANTICORPI ANTI SINGOLO ANTIGENE (epitopo): l' idea era quella di far
“fondere” cellule di mieloma e linfociti ottenendo così una struttura ibrida chiamata
IBRIDOMA.

Sappiamo che le vie di sintesi dei nucleotidi (basi puriniche: adenina e guanina; basi
pirimidiniche: citosina, timina e uracile) nelle cellule sono fondamentalmente due:

• La via di biosintesi DE NOVO.

• La via DI SALVATAGGIO (via alternativa), che sfrutta l' azione di specifiche


FOSFORIBOSIL TRANSFERASI, che permettono il recupero di GMP e IMP
rispettivamente da GUANINA e IPOXANTINA, e dell' enzima TIMIDINA
CHINASI, che permette il recupero di TTP a partire da TIMIDINA.

Nota: difetti genetici o mancanza della guanina – ipoxantina fosforibosil


transferasi, osservato quasi esclusivamente in bambini maschi, porta alla
SINDROME DI LESCH – NYHAN, in cui il progressivo accumulo di PRPP
(fosforibosil pirofosfato) va a stimolare la sintesi de novo delle basi azotate e
quindi un accumulo di ACIDO URICO nei fluidi circolanti, con danni paragonabili a
quelli della gotta. Questa sindrome si manifesta di solito intorno ai due anni, i
bambini sono poco coordinati, mentalmente ritardati, aggressivi e con tendenza
all' automutilazione.

A questo punto i ricercatori crearono due tipologie di cellule di mieloma di topo:

1) Una prima carrellata di cellule di mieloma nelle quali funzionava SOLO LA VIA
DI SALVATAGGIO. Per ottenerla si trattarono le cellule con
AMMINOPTERINA, un agente farmacologico in grado di bloccare la
DIIDROFOLATO REDUTTASI e quindi la SINTESI DE NOVO.
Le cellule sopravvivevano solo se si somministrava loro dall' esterno ipoxantina
e timidina.

2) Una seconda carrellata di cellule di mieloma nelle quali funzionava SOLO LA


VIA DI SINTESI DE NOVO. Per ottenerla i due ricercatori selezionarono cloni
di cellule mielomatose che mancavano degli enzimi fosforibosil transferasi e
timidina chinasi.

A questo punto essi “fusero” le cellule che usavano solamente la sintesi DE NOVO con
linfociti B di topi immunizzati, prelevati dalla milza; tramite l' uso di SOSTANZE
CEMENTANTI promossero la fusione e ottennero una varietà di tipi cellulari, che
comprendeva ibridi e cellule non fuse:

• CELLULE IBRIDE (linfociti B ibridi mielomatosi): gli ibridomi!


• LINFOCITI B che vivevano in coltura.
• CELLULE DI MIELOMA: queste cellule crescevano come le erbacce, e i
ricercatori volevano liberarsene perchè creavano intralcio. Se si fosse data loro
l' amminopterina, esse avrebbero comunque potuto sfruttare la via alternativa
di salvataggio perché nel terreno di coltura c' erano le basi azotate (Adenina,
Timina, Guanina, Citosina).

A questo punto queste tre tipologie cellulari vennero messe insieme in un terreno,
chiamato H.A.T. perché conteneva IPOXANTINA, AMINOPTERINA, TIMIDINA. In
questo modo:

1. Le cellule di mieloma MORIVANO: infatti a partire da IPOXANTINA e


TIMIDINA non erano in grado di avviare la via di salvataggio, perchè
mancavano degli enzimi. Pure la via de novo era bloccata per la presenza di
amminopterina.

2. I linfociti B MORIVANO per cause proprie.

3. Gli ibridomi SOPRAVVIVEVANO perchè come ibridi avevano ereditato la


FOSFORIBOSIL TRANSFERASI dai linfociti B e quindi erano in grado di
avviare la via di salvataggio a partire da timidina e ipoxantina.

A questo punto bisognava avviare la selezione di ANTICORPI MONOCLONALI. Se si


fosse partiti da un miscuglio di ibridomi, si sarebbe arrivati a una risposta policlonale.
Allora i due ricercatori sfruttarono 1000 ibridi: a partire da essi operarono delle
LIMITING DILUITIONS (diluizioni progressive) fino a che in ciascuna provetta non
avrebbero ottenuto una singola cellula, DALLA QUALE sarebbero partiti i cloni diretti
contro un singolo epitopo!

Uso clinico degli anticorpi monoclonali

Purtroppo finora non si è mai riusciti ad ottenere anticorpi monoclonali UMANI con
queste tecniche, questo perché le cellule di mieloma umano non resistono abbastanza
in coltura. Per adesso in terapia è possibile utilizzare anticorpi monoclonali MURINI
(di topo), ed è possibile utilizzarli SOLO UNA VOLTA perché noi ci immunizziamo
contro di essi.
E' possibile costruire delle CHIMERE, sostituendo il frammento Fc dell' anticorpo
murino con un frammento Fc umano. Tramite tecniche di ingegneria genetica è poi
possibile rendere questi anticorpi ancor più umanizzati, dove tutto l' anticorpo tranne
la parte variabile risulta umano; in tal modo si riduce la carica immunogenica dell'
anticorpo, rendendolo così più accettabile.

Tuttavia in tal modo non si risolve del tutto il problema: infatti l' intento è di creare
molecole solo UMANE; per ottenerle bisogna ora produrre la parte variabile delle due
catene, pesante e leggera.
Per farlo si utilizzano librerie FAGICHE. Si prendono linfociti umani da più persone, in
modo da ottenere una LIBRERIA, e vi separo l' mRNA. Tramite l' utilizzo di diversi
SET DI PRIMERS si può amplificare le parti variabili, ottenendo così diverse copie di
mRNA, per far venire fuori diversi anticorpi.
A questo punto si inserisce uno ad uno l' mRNA in fagi scelti, che funzioneranno come
vettore, ed esprimeranno in superficie l' mRNA come proteina, ovvero come scFV:
SINGLE CHAIN FRAGMENT VARIABLE, ovvero l' unione, tramite un LINKER
PEPTIDE, tra la parte variabile della catena leggera e la parte variabile della catena
pesante. Nota che ora si è in presenza di una scFv UMANA!

Si indirizzano successivamente i fagi contro dei batteri a velocità di crescita veloce


(come E. Coli), ottenendo così una quantità smisurata di batteri in grado di produrre
anticorpi, o meglio la porzione VH – VL (le scFv sulla superficie del fago sono piccole e
teoricamente vengono eliminate ancor prima di raggiungere il bersaglio).
Ora tramite tecnologie ricombinanti sarà possibile ottenere l' anticorpo UMANO
completo, senza però il CH1, in quanto non critico: esso servirebbe a tenere legate la
catena leggera a quella pesante, ma in realtà c' è già il linker peptide che fa questo.
L' unico difetto di questi anticorpi sta nel fatto che il batterio non è in grado di
effettuare la glicosilazione: per questo motivo QUESTE MOLECOLE NON DURANO
A LUNGO.
Trovare inoltre i diversi CD (clusters of differentiation) sulla superficie di diverse
specie cellulari è stato possibile solo grazie all' utilizzo degli anticorpi monoclonali.

Come prosegue la risposta

Ricapitoliamo

L' antigene dovrà quindi farsi riconoscere dai LINFOCITI B (che rappresentano un
punto di arrivo della risposta cellulo – mediata e l' inizio di quella umorale) e dai
LINFOCITI T (che provvederanno a proseguire la risposta cellulo – mediata). Tutto
questo è possibile perchè entrambe le tipologie cellulari presentano diverse strutture
per vedere l' antigene:

• I linfociti T sono dotati del TCR.

• I linfociti B sono dotati di:

1. Ig di membrana: IgM e IgG sono le più abbondanti, ma si ritrovano anche


IgD. Sono organizzate nel B CELL RECEPTOR e coadiuvate da corecettori
Igα e Igβ

2. Mhc.

Antigeni B dipendenti e T dipendenti

In realtà SOLO POCHI ANTIGENI (1%) SI FANNO VEDERE DIRETTAMENTE DAI


LINFOCITI B, inducendo una diretta risposta immunitaria; in tal caso si parlerà di
ANTIGENI B dipendenti / T indipendenti. Questa tipologia di antigeni presenta una
struttura ripetitiva, di facile riconoscimento: sono POLISACCARIDI (come l' LPS dei
batteri gram negativi) oppure PROTEINE con struttura RIPETITIVA come la
FLAGELLINA.

La gran parte degli antigeni infatti viene processata da altre cellule prima di giungere
sui linfociti B. Questi antigeni saranno chiamati T dipendenti, perchè pur avendo come
bersaglio i linfociti B, devono passare attraverso il processamento da parte di certi
linfociti T, che da ora in poi chiameremo LINFOCITI T HELPER (Th): questi antigeni
di norma sono di natura proteica ma non solo!

Esperimento 1

Si inietta ad un topo A un dato antigene, immunizzandolo contro esso. Dopodichè si


prendono le sue cellule spleniche (della milza) e le si inocula in un topo B.
Si inietta al topo B l' antigene: e si nota che esso risulta essere immunizzato contro
quell' antigene! Infatti la milza contiene sia i linfociti B che i linfociti T.

Esperimento 2

Si rifà il medesimo esperimento, solamente che stavolta si trasferiscono cellule di


midollo osseo: e si nota che la risposta nel topo B è più blanda rispetto a quella nel
topo A.

Esperimento 3

Si rifà il medesimo esperimento, solamente che stavolta si trasferiscono cellule di


timo: e si nota che nel topo B non si ha proprio risposta! Questo perchè i linfociti T
DA SOLI non trasferiscono la capacità di fare anticorpi.

Esperimento 4

Si rifà il medesimo esperimento, solamente che stavolta si trasferiscono


SIMULTANEAMENTE cellule di timo e di midollo osseo: e si nota nel topo B una
risposta uguale a quella nell' esperimento 1.

Da questi esperimenti si deduce che per fare anticorpi quindi NON SONO
SUFFICIENTI I LINFOCITI B (tranne che per gli antigeni T indipendenti): è
necessario l' intervento dei LINFOCITI Th. Da questi esperimenti nacque il concetto
di linfocita T helper come “aiutante” i linfociti B a fare anticorpi!

Antigene Linfocita T HELPER LINFOCITA B

LINFOCITI T CITOTOSSICI

Definiamo quindi i linfociti T helper come i linfociti DEPUTATI A SMISTARE L'


INFORMAZIONE DOPO CHE E' ARRIVATO L' ANTIGENE.
Va subito detto che la risposta che passa attraverso i linfociti T helper è più vivace
rispetto a quella T indipendente, più monotona: questo perchè i linfociti T helper
dovranno informare, tramite CITOCHINE, i linfociti B di produrre un determinato
tipo di anticorpo tramite switch isotipico.

Marcatori dei linfociti T

I linfociti T possono essere suddivisi in due popolazioni sulla base dell' espressione
delle molecole di membrana CD4 e CD8:
• LINFOCITI T HELPER, il cui marcatore è CD4; la cellula è denominata anche
CD4+. Questi linfociti riconoscono l' antigene legato a molecole di MHC di
classe II (presente sulle APC, vedi dopo).

• LINFOCITI T CITOTOSSICI, il cui marcatore è CD8; la cellula è denominata


anche CD8+. Questi linfociti riconoscono l' antigene legato a molecole di MHC di
classe I.

CD4 e CD8 sono corecettori che fanno parte della superfamiglia delle
immunoglobuline. CD8 può presentarsi sotto forma di eterodimero αβ o omodimero
αα, con ciascuna catena contenente UN SOLO DOMINIO IMMUNOGLOBULINICO.
CD4 invece si presenta sotto forma monomerica, con QUATTRO DOMINI
IMMUNOGLOBULINICI.

Ricorda che i linfociti T HELPER sono più abbondanti dei CITOTOSSICI: si ha un


rapporto di circa 1,8 – 2 : 1 in persone sane.

Le cellule presentanti l' antigene: le APC

A differenza dei linfociti B, che riescono a vedere la struttura NATIVA dell'


antigene (o meglio, dell' epitopo), il TCR dei linfociti T helper vede SINGOLI
PEPTIDI (7 – 8 amminoacidi) della struttura PRIMARIA della proteina.
Per poterli vedere, l' epitopo dovrà quindi essere “srotolato” per poter esporre questi
7 – 8 amminoacidi. Serve dunque qualcuno che faccia questo lavoro, e questo qualcuno
sono le APC : Antigen Presenting Cells.
Quindi in realtà l' antigene VIENE PROCESSATO prima di entrare in contatto con i
linfociti Th. Riprendendo lo schema precedente quindi:

Antigene APC Linfocita T HELPER LINFOCITA B

Servirà quindi un incontro ravvicinato tra i tre tipi cellulari APC, linfocita Th e
linfocita B, per avere un prosieguo della risposta: si parla a proposito di SINAPSI
IMMUNITARIA, e ovviamente NON potrà avvenire in circolo!

Le APC sono cellule dislocate; tra di esse si ritrovano numerosi tipi cellulari:

• Cellule di Langerhans: sono cellule dendritiche site nell' epidermide, hanno un


aspetto stellato funzionale all' aumento di superficie. Processano gli antigeni
che riescono a entrare nella cute.
• Macrofagi: sono siti dappertutto;
• Cellule dendritiche delle linfoghiandole;
• Cellule interdigitate del TIMO;
• Gli stessi linfociti B: i linfociti B (come APC) presenteranno l' antigene ai
linfociti Th, i quali poi ritrasmetteranno loro nuove informazioni! Si parla di
CROSS TALK cellulare. Il VANTAGGIO dei linfociti B sta nel fatto che essi
possono vedere l' antigene sia con le Ig di superficie sia con l' MHC di classe
II: hanno quindi più chances di vedere l' antigene nella risposta secondaria o
terziaria, perchè in quella primaria le Ig devono ancora essere prodotte.

Le APC hanno un marker di superficie che è l' MHC DI CLASSE II, presente a volte in
maniera costitutiva, ma in alcuni casi, come nei MACROFAGI, espresso solo se
necessario! Ricorda che però le APC possiedono pure l' Mhc di classe I, presente su
tutte le cellule nucleate.

Le cellule dendritiche

Sono molto dislocate; si formano nel midollo osseo e poi si dirigono nei vari distretti.
Nascono dal sistema emopoietico, per cui si individuano fondamentalmente due tipi:

• Cellule dendritiche MIELOIDI: sono imparentate con monociti e macrofagi.


Producono CITOCHINE diverse da quelle prodotte dalla linea linfoide.

• Cellule dendritiche LINFOIDI: a livello delle quali si trovano cellule


PLASMACITOIDI. Rispondono maggiormente ai VIRUS e producono
INTERFERONI.

Le due linee possiedono marcatori differenti che si possono isolare tramite anticorpi.
Vanno citate poi anche le cellule dendritiche di Langerhans e alcuni tipi di cellule
dendritiche interstiziali.

Come le APC espongono l' antigene

Le APC sono in grado di inglobare l' antigene ESOGENO per fagocitosi (nel caso dei
fagociti), endocitosi, o pinocitosi e di disgregarlo in molte parti, CIASCUNA DELLE
QUALI sarà esposta sulla loro superficie tramite molecole (l' MHC di classe II) che
normalmente vengono portate in superficie per presentarlo. Questa piccola
introduzione serve per capire l' esperimento di seguito proposto.

Vengono presi due topi gemelli, che quindi condividono lo stesso MHC. Da uno si
prelevano i linfociti T del timo, dall' altro le APC. In terreno di coltura metto insieme
le due tipologie cellulari, stimolandole con un dato antigene, e si osserva una risposta.
Si ripete l' esperimento, ma con due topi di ceppo differente: mischiando APC,
linfociti T e l' antigene stavolta NON SI OSSERVA ALCUNA RISPOSTA.
Questo esperimento serve per capire come non basti mettere insieme le APC e
linfociti T con un dato antigene per ottenere un prosieguo della risposta, ma gli animali
, e quindi l' uomo, DEVONO CONDIVIDERE LO STESSO MHC. Questo risulta essere
un problema non di poco conto nei TRAPIANTI.

Quindi APC e LINFOCITI Th devono condividere lo stesso MHC di classe II, con cui
vedranno l' antigene, per poter ritrasmettere il messaggio: si parla di RISPOSTA
IMMUNE MHC RISTRETTA. Questa risposta si osserva anche tra linfociti Th e
linfociti B. Per ora la si è analizzata nella fase afferente della risposta.

Ma la risposta immune Mhc ristretta non si osserva solo nella fase afferente della
risposta immunitaria, bensì anche nella efferente: ad esempio tra LINFOCITA T
CITOTOSSICO e CELLULA BERSAGLIO (che può essere una cellula tumorale);
entrambe dovranno condividere l' MHC DI CLASSE I.

Come le APC processano ed espongono l' antigene ESOGENO

L' introduzione prima proposta valeva per gli antigeni esogeni (ad esempio, quelli
batterici). L' internalizzazione dell' antigene può essere quindi di tre tipi:

• Tramite ENDOCITOSI (mediata da recettori, in questo caso l' MHC di classe


II).
• Tramite FAGOCITOSI: nel caso dei fagociti, quindi solo per molecole
specializzate., tramite i loro PRR.
• Tramite PINOCITOSI: ora come ora endocitosi e pinocitosi sono sinonimi, ma
convenzionalmente il termine pinocitosi si riferisce all' internalizzazione di
particelle liquide.

Nel caso del processo endocitotico, l' antigene verrà prima deposto in ENDOSOMI
PRIMARI, di seguito in ENDOSOMI SECONDARI, entrambi caratterizzati dal
possedere un PH ACIDO (circa 6.2) rispetto all' ambiente intracellulare. A questo
punto nei LISOSOMI l' antigene verrà disgregato, producendo così PICCOLI
PEPTIDI .
Parte di questi peptidi ora verrà immesso in vescicole che dovranno fondersi con altre
vescicole contenenti l' MHC DI CLASSE II diretto in superficie e stabilizzato da
CHAPERONI, i quali avranno il compito di mantenere il “giaciglio” dell' Mhc LIBERO e
sgombro affinché avvenga il legame col peptide.
Insieme agli chaperoni, interviene in questo lavoro una CATENA INVARIANTE a
forma di UNCINO che si va a deporre tra le subunità α1 e β1 dell' Mhc di classe II. In
tale modo il SITO NON VERRA' OCCUPATO DA MOLECOLE ESTRANEE.

A questo punto interverranno degli enzimi che demoliranno la catena invariante,


lasciando sul sito di legame un pezzo più piccolo, chiamato CLIP. La rimozione
definitiva del clip sarà operata da un HLA-DM (di classe I) MONOMORFICO che
strappa il clip dal giaciglio dell' Mhc: ORA IL PEPTIDE E' LIBERO DI LEGARSI ALL'
MHC DI CLASSE II, il quale provvederà ad esporre i 7 – 8 amminoacidi affinché siano
visti dai linfociti Th.

Come si è potuto notare, l' MHC di classe II è un trasportatore continuo, non vi sono
momenti nei quali esso non sia legato a qualcosa.

Come le APC processano ed espongono l' antigene SELF

In tal caso l' antigene SELF può essere rappresentato anche da molecole nostre di
disfacimento: semplicemente, in tal caso l' antigene, riconosciuto come self non sarà
attaccato dal nostro sistema immunitario.

Come le APC processano ed espongono l' antigene ENDOGENO

Il processo di presentazione dell' antigene è valido pure (anche se con delle


differenze) per gli antigeni ENDOGENI (molto simili per certi versi ai SELF) espressi
da:

• Cellule TUMORALI che esprimeranno in superficie nuovi antigeni.

• Cellule INFETTATE DA VIRUS che esprimeranno in superficie nuovi antigeni.

Se l' antigene è riconosciuto come endogeno, la cellula che lo espone sarà uccisa. Ogni
nostra cellula (potenzialmente in grado di essere infettata da virus o di diventare
tumorale) possiede degli organelli, i PROTEASOMI, in grado di processare molecole in
formazione: le proteine espresse dalle cellule tumorali e dai virus vengono
UBIQUITINATE e di seguito degradate.
I piccoli peptidi si andranno a legare stavolta all' MHC DI CLASSE I (presente su
tutte le cellule).

Il legame tra i due avviene nel reticolo endoplasmatico rugoso, a livello del quale i
piccoli peptidi vengono ATTIVAMENTE TRASPORTATI, e dove l' MHC di classe I
viene sintetizzato:

• le proteine trasportatrici TAP (di membrana sul reticolo, facenti parte delle
ABC, ovvero delle Atp Binding Cassette) prendono in consegna il piccolo peptide
dal lato citosolico della membrana, trasportandolo nel reticolo.

• le TAPASINE (della famiglia delle chaperonine) avvicinano il trasportatore TAP


alla molecola di MHC, permettendo il legame peptide – MHC.

• SOLO ORA l' Mhc di classe I con il suo antigene esce per essere esposto in
membrana.

Difetti genetici dei trasportatori associati alla presentazione dell' antigene (in
pratica le TAP) può determinare la SINDROME DEL LINFOCITA NUDO o BLS
(Bare Lymphocyte Syndrome): in questi pazienti i linfociti esprimono molecole
MHC di classe I o II al di sotto della norma. L' aspetto più caratteristico della
patologia si estrinseca in genere con lesioni granulomatose necrotizzanti nella
parte centrale del viso, oltre che suscettibilità a molteplici infezioni.

Il contatto APC – LINFOCITI Th


Affinchè l' informazione venga ritrasmessa, è necessario un contatto FISICO tra la
APC che ha captato l' antigene e il clone di linfociti T helper eletto. Quando il
linfocita Th vedrà l' antigene presentato dalle APC, dovrà moltiplicarsi: è la LEGGE
FONDAMENTALE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA.

I punti di contatto tra APC e Th sono quelli riportati in figura: alcuni risultano essere
CRITICI per il prosieguo della risposta, altri ACCESSORI.

1) Il punto di contatto più importante (quello CRITICO) è tra l' MHC di classe II
con il peptide e il TCR. Nota che il TCR dovrà riconoscere SIA L' MHC che il
PEPTIDE. IL SOLO MHC viene riconosciuto pure da una seconda molecola
presente sui Th, ovvero CD4.

2) Icam - 1 (sulla APC) ed LFA – 1 (sul Th): LFA – 1 è una struttura tipica dei
linfociti, ovvero un recettore CD11a / CD18 (ricorda che invece sui neutrofili si
ha CD11b / CD18). E' un contatto accessorio.
3) LFA – 3 (sulla APC, detta anche CD58) e CD2 (sul Th). E' un contatto
accessorio.
Questi primi tre contatti sono sufficienti a produrre un PRIMO MESSAGGIO, che
però non viene passato senza l' intervento ulteriore di altre due molecole, che
producono un SECONDO MESSAGGIO:

4) B7 (sulla APC) e CD28 (sul Th): è un ponte ASPECIFICO (in quanto il CD28 si
lega anche altri ligandi) a differenza dei primi tre, ma FONDAMENTALE per il
prosieguo della risposta.

Ricapitolando:

Sulla APC Sul linfocita Th Specificità di Contatto


legame
MHC II – peptide; TCR; Specifico Critico
(solo MHC II) (CD4)
ICAM - 1 LFA – 1 detto anche Specifico Accessorio
CD11a/CD18
LFA - 3 CD2 Specifico Accessorio
B7 CD28 Aspecifico Critico

Modalità di blocco della risposta

In terapia è essenziale conoscere i punti di blocco della reazione APC – Th:

1) In laboratorio è possibile somministrare una quantità PAZZESCA di antigeni


SELF in modo da bloccare la reazione: infatti l' antigene, pur legandosi al TCR,
NON E' LEGATO ALL' MHC e di conseguenza la risposta viene bloccata.
Chiaramente andare a cercare il peptide selettivo per quel TCR è come cercare un ago
in un pagliaio: è una strada percorribile, ma difficile.

2) E' possibile pure utilizzare ANTICORPI anti CD28 o anti B7, ottenendo però
un blocco SPECIFICO di tutte le reazioni che coinvolgono i Th: li si può usare
per bloccare anche un rigetto da trapianto.

Oggi tuttavia in terapia è preferibile percorrere un' altra via:

3) Sappiamo che il linfocita Th in seguito all' attivazione (e quindi solo in seconda


istanza) espone sulla membrana una molecola, chiamata CTLA – 4,
strutturalmente simile al CD28 suo e in grado di legarsi al B7 sulle APC. Se però
il ponte B7 – CD28 dà un segnale di ATTIVAZIONE, il ponte B7 – CTLA – 4 dà
un segnale di SPEGNIMENTO. Dal momento che provoca un blocco
ASPECIFICO di TUTTE le reazioni che coinvolgono i Th (ma anche dei linfociti
T citotossici, in quanto presente anche in essi), la somministrazione di CTLA – 4
in terapia la si effettua SOLO in FORME ACUTE come nei rigetti, e non nelle
malattie croniche autoimmuni, in quanto bloccare TUTTI I LINFOCITI T
sarebbe alquanto pericoloso. Somministrando singolarmente CTLA – 4 si rischia
una rapida eliminazione della molecola (con le urine) in quanto PICCOLA. E'
possibile quindi legare la coda della molecola al FRAMMENTO Fc delle IgG:
esse infatti hanno una emivita di 3 settimane, in questo modo si ottiene un
effetto terapeutico più duraturo.

Eccezioni alla regola: i superantigeni

In una normale presentazione dell' antigene, l' MHC di classe II è riconosciuta


integralmente dal TCR, e l' antigene DEVE ESSERE VISTO da tutte e due le catene α
e β del TCR.
Questo (nella persona che non ha MAI visto l' antigene) stimola pochi linfociti T:
quindi si avranno POCHE CELLULE RESPONSIVE.
Esiste però un gruppo di antigeni, chiamati SUPERANTIGENI, che si lega alla
CATENA α dell' MHC II e alla sola CATENA β del TCR. Questo particolare legame del
superantigene incrementa notevolmente la stimolazione dei linfociti Th anche alla
prima veduta dell' antigene, perchè è molto probabile che LINFOCITI T HELPER
DIVERSI possiedano la MEDESIMA CATENA β.
Esempi di superantigeni possono essere:

• La ENTEROTOSSINA dello STAFFILOCOCCO: porta a una tossiinfezione, in


quanto molto spesso più che ingerire il microrganismo, si ingerisce la tossina,
che già dopo 4h dall' ingestione porta a NAUSEA, VOMITO, DIARREA
CRAMPIFORME. Ne risulta quindi un avvelenamento da cibo.

• ESOTOSSINE batteriche, come quelle STREPTOCOCCICHE: queste tossine


possono portare alla MULTIPLE ORGANE FAILURE, essendo prodotte in un
organismo andato incontro a SEPSI GENERALIZZATA.

• Antigeni ENDOGENI derivati da una infezione virale ed esposti sulla superficie


cellulare della cellula infettata.

La trasduzione del segnale: gli eventi susseguenti al legame APC – Linfocita Th

Come già analizzato all' inizio delle lezioni (pag. 29), il TCR ha una coda intracellulare
corta e deve essere per questo coadiuvato da CORECETTORI: CD3, e le catene ETA e
ZETA. Il sistema del recettore e dei corecettori risulta essere associato a delle
strutture di membrana chiamate RAFTS (ZATTERE) LIPIDICI, delle zone che
consentono la clusterizzazione del complesso.

Critica risulta essere la catena ZETA, avente delle zone ITAM ricche in TIROSINA
che devono essere fosforilate da una apposite tirosin kinasi: critiche risultano essere
a proposito DUE CHINASI:

• FYN, sito distante dal complesso recettore – corecettore.


• LCK, sito alla base dal CD4 (ricorda che il CD4 lega l' Mhc sulle APC)

Quando queste tirosine vengono fosforilate si crea un sito di attacco alla base della
catena ZETA per una terza tirosin kinasi: ZAP – 70, che legandosi SI ATTIVA e dà il
via ad una cascata di reazioni intracellulari:

1) Una prima via, che comprende la CASCATA DELLE MAP KINASI, la quale alla
fine porta alla attivazione di un FATTORE DI TRASCRIZIONE: AP – 1,
formato dall' eterodimero JUN – FOS.

2) Una seconda via (che si attiva contemporaneamente alla prima), che comprende
la VIA DELLA PLC:

• La PLC idrolizza il PIP2 di membrana in DAG e IP3.


• Il DAG, che rimane sulla membrana, è un fisiologico attivatore delle
PROTEIN KINASI C, che, legandosi al Ca2+, si attivano e diventano abili
alla fosforilazione (e all' attivazione) di molteplici substrati, tra i quali un
secondo fattore di trascrizione, NF-kB.
• L' IP3 è un messaggero intracellulare che provoca l' apertura dei canali al
Ca2+ nelle cisterne del reticolo endoplasmatico. Il Ca2+ andrà a legarsi
alle PKC oppure andrà a formare dei complessi CALCIO – CALMODULINA
che portano alla attivazione di una fosfatasi, la CALCINEURINA, in
grado di DEFOSFORILARE e quindi ATTIVARE (in questo caso) un terzo
fattore di trascrizione, NFATc. La CALCINEURINA è bloccata da
farmaci come la CICLOSPORINA, spesso usata nei trapiantati e nelle
malattie autoimmuni.
Insomma, AP1, NFATc, NfkB sono tutti FATTORI DI TRASCRIZIONE in grado di
attivare promotori per trascrivere determinate sequenze di DNA. Il linfocita Th sarà
in grado quindi di attivarsi e proliferare perchè i prodotti della trascrizione saranno:

• IL – 2 , una importante citochina.


• Il recettore per IL – 2, ovvero un fattore di crescita.

Ne consegue una azione AUTOCRINA, grazie alla quale il Th prolifera. Quando


cesserà lo stimolo antigenico, cesserà pure la proliferazione.

Citochine e chemochine

Le citochine sono molecole proteiche prodotte da vari tipi di cellule e secrete nel
mezzo circostante di solito in risposta ad uno stimolo, ed in grado di modificare il
comportamento di altre cellule inducendo nuove attività come crescita,
differenziamento e morte. Generalmente sono molecole a basso peso molecolare, circa
25.000 – 30.000 Da. All' interno della famiglia delle citochine si ritrovano le
CHEMOCHINE, molecole in grado di fare qualcosa di più: ovvero di indurre il
fenomeno della CHEMIOTASSI.
IL – 2 e il suo recettore

Della IL – 2 si è già parlato nel paragrafo precedente. Il suo recettore è il recettore


citochinico più studiato, a causa del suo ruolo centrale nella proliferazione dei Th, ma
non solo.

Esso presenta due forme:

• Una forma A BASSA AFFINITA', nella quale sono presenti le sole catene β e
γ. Queste due subunità sono comunque COSTITUTIVAMENTE prodotte dai
linfociti T (HELPER e CITOTOSSICI) e da altre cellule (anche i LINFOCITI B
e le CELLULE NK), quindi anche quando queste non sono attivate.

• Per ottenere la forma AD ALTA AFFINITA' bisogna produrre la catena α o


CD25: il linfocita T la produce una volta attivato, per rispondere bene. Lo
stesso meccanismo vale per i linfociti B.

Le cellule NK invece NON PRODUCONO la catena α e quindi occorrerà MOLTA IL – 2


per attivarle.

Il CD25 quindi risulta essere un marcatore di membrana fondamentale per capire se la


cellula in questione risulta essere stata attivata o meno. Lo si può localizzare in
membrana tramite l' utilizzo di anticorpi marcati. Rimane comunque il fatto che l'
esporre il CD25 in membrana rimane un fenomeno TRANSITORIO.

La classe dei linfociti Th

Dei Th si è già abbondantemente parlato, ma vanno effettuate ulteriori precisazioni.


NON ESISTONO cellule Th specifiche per la risposta UMORALE (e quindi in grado di
stimolare i linfociti B) e per la risposta CELLULO – MEDIATA (e quindi in grado di
stimolare i linfociti T citotossici), bensì i Th saranno in grado di cambiare IN
ITINERE la stimolazione, producendo citochine ora in grado di attivare i linfociti B,
ora i linfociti Tc.
In ogni caso si individuano due sottoclassi di linfociti Th:

1) LINFOCITI Th1: aiutano principalmente la risposta CELLULO – MEDIATA,


producendo prevalentemente:

• IL – 2: MA PURE QUESTA INTERVIENE NELLO SWITCH ISOTIPICO;


• IFN – γ: mette a riposo i Th2 qualora si attivasse il sistema dei Th1;
• TNF – β;
• in misura minore IL - 3 e GM – CSF.

2) LINFOCITI Th2: aiutano principalmente la risposta UMORALE, producendo


prevalentemente:

• IL – 4: ha ruolo nel comandare lo switch isotipico per le IgE.


• IL – 5: ha ruolo nel comandare lo switch isotipico per le IgA.
• IL – 10: mette a riposo i Th1 qualora si attivasse il sistema dei Th2.
• IL – 13: ha ruolo nel comandare lo switch isotipico per le IgE.
• in misura minore IL – 3 e GM – CSF (Granulocyte Macrophage Colony
Stimulating Factor).

3) LINFOCITI Th3: derivano sempre dai Th0, è una specializzazione settoriale,


dal momento che gran parte dei Th0 si orienta verso i Th1 o i Th2. Sono coinvolti
nello SWITCH ISOTIPICO verso le IgA tramite la produzione i TGF – β
(TRANSFORMING GROWTH FACTOR – β). Producono anche IL – 10.

In ogni caso, il punto di partenza è sempre una situazione di silenzio. I linfociti in


questa fase quiescente saranno chiamati Th0, e in base alla risposta da sviluppare, si
differenziano. Th0 è POTENZIALMENTE in grado di produrre tutte le interleuchine,
ecco perché non si parla di linfociti specifici per ciascuna risposta.

Esistono inoltre citochine che fanno il medesimo lavoro:


• Il lavoro di IL – 2 è fatto pure da IL – 15 (sono strutturalmente simili).

• Il lavoro di IL – 4 è fatto pure da IL – 13.

• IL – 2, intesa come FATTORE DI CRESCITA, è sostituita nei Th2 dalla IL – 4.

Si parla per questo di RIDONDANZA DEL SISTEMA. Inoltre alcune citochine sono
prodotte da entrambe le classi: GM – CSF e IL – 3.

Il sistema di autocontrollo dei linfociti Th

Qualora il sistema dei Th0 dovesse orientarsi verso una differenziazione nei Th1,
sarebbe necessario un SISTEMA DI AUTOCONTROLLO che spegnesse l' azione dei
Th2. Infatti quando si mette in moto la risposta cellulo – mediata, non serve quella
umorale, (e viceversa) .
Questo sistema di controllo esiste, ed è rappresentato dalle stesse citochine
prodotte dalle due classi di linfociti Th: in particolare IFN – γ per i Th1 e IL – 10
per i Th2 bloccano la risposta della classe opposta.

D' altro canto, pure le APC, tramite opportune citochine, convoglieranno la


differenziazione dei linfociti Th0 in Th1 o Th2:

• Per andare verso i Th1, le APC produrranno IL – 12.

• Meno chiaro è il meccanismo con cui la risposta si dirige verso i Th2.

La risposta umorale

La risposta umorale parte dai linfociti B, sui quali l' informazione può arrivare in
diversi modi:

1) Nel 99% dei casi l' antigene verrà loro presentato dai LINFOCITI Th2.

2) Nell' 1% dei casi vedranno DIRETTAMENTE l' antigene, anche perchè i linfociti
B rientrano nella classe delle APC.

Il contatto linfociti Th2 – linfociti B: cosa avviene nel 99% dei casi

Tra i Th2 e i B linfociti ci dovrà essere contatto FISICO tra il TCR con il peptide –
antigene e il BCR sulla superficie del linfocita B: questo PRIMO CONTATTO
rappresenta un contatto SPECIFICO.
Quando il linfocita Th viene attivato, oltre a sintetizzare la catena α (o CD25) e l' IL -
2 per la sua proliferazione, espone sulla membrana una molecola chiamata CD40L
(CD40 Ligando). I linfociti B invece esprimono COSTITUTIVAMENTE (sempre) sulla
loro superficie una molecola chiamata CD40: il SECONDO CONTATTO sarà
rappresentato dal legame CD40L – CD40.

Una volta avvenuto il legame tra queste componenti, si innesca una serie di reazioni
molto simili a quelle analizzate nel linfocita Th dopo il contatto con la APC:

• Il contatto CD40L – CD40 stimolerebbe l' azione di PROTEIN KINASI quali


LYN e FYN associate però al BCR. Ne conseguirebbe una fosforilazione dei siti
tirosinici sulle sequenze ITAM del BCR, che provocherebbe l' attacco e l'
attivazione di un' altra protein kinasi: SYK (nei linfociti Th invece era ZAP –
70): ne deriva la cascata delle MAP KINASI, che porta all' attivazione di
fattori di trascrizione nel nucleo.

• Il contatto CD40L – CD40 attiverebbe anche la via della PLC: come visto
precedentemente, anche con questa via si giunge al nucleo!

Tra i prodotti della trascrizione si troveranno i RECETTORI PER IL – 2 , IL – 4 e IL –


5, che medieranno la proliferazione dei linfociti B e lo switch isotipico, MA NON SI
RITROVANO CITOCHINE tra i prodotti di trascrizione: questo perchè i linfociti B
non si autoregolano, bensì sono comandati dai Th!

Nell' 1% rimanente dei casi...

In tal caso entra in gioco il BCR con il suo CORECETTORE, che vedrà direttamente l'
antigene: ne deriva una cascata di attivazione che prevede la fosforilazione delle
sequenze ITAM del BCR, l' attivazione di SYK, la cascata delle MAP KINASI, l' arrivo
al nucleo: come visto precedentemente!
IN questo caso però il corecettore dei linfociti B NON HA UN RUOLO DIRETTO
COME a livello dei Th, ma funziona solo da ADIUVANTE.

Si passa agli anticorpi

Nei linfociti B si inizierà a produrre anticorpi SEMPRE CON LA STESSA PARTE


VARIABILE: verranno prodotte per prime SEMPRE le IgM.

Se l' antigene è T INDIPENDENTE, gli anticorpi rimarranno sempre gli stessi.


Se l' antigene è T DIPENDENTE, interverrà il fenomeno dello SWITCH ISOTIPICO
per cui verrà a cambiarsi la parte costante (il frammento Fc). E tutto questo avviene
sotto il controllo dei linfociti Th, i diretti responsabili dello switch.
E come faranno i Th a ordinare il CAMBIO DEL FRAMMENTO FC? Tramite apposite
CITOCHINE, prodotte non solo dai Th2, ma anche dai Th1: i Th2 daranno gli ordini
, ma i Th1 possono comunque aiutarli nella scelta delle immunoglobuline da produrre.
Quindi:

• Per le IgM ci sarà il DOPPIO CONTROLLO dai Th2 (che produrranno IL – 4 e


IL – 5) e dai Th1 (che produrranno IL – 2 , che coadiuva l' azione delle
precedenti citochine).

• Per le IgG ci sarà pure il DOPPIO CONTROLLO dai Th2 (che produrranno IL –
4 e IL – 5) e dai Th1 (che produrranno IL – 2 e IFN - γ, che coadiuvano l'
azione delle precedenti citochine).

• Per le IgE ci sarà IL SOLO CONTROLLO dai Th2, tramite la produzione di IL


– 4 e IL – 13.

• Per le IgA entreranno in gioco i linfociti Th2 (con la produzione di IL – 5) e la


classe dei linfociti Th3 (che produce TGF – β). Il TGF – β è pure una di quelle
citochine che DEPRIME la risposta CELLULO - MEDIATA: è una citochina
regolatrice.
D' altro canto la produzione di IgA sulle mucose deve essere per forza regolata: ci
deve essere un controllo, da momento che nelle mucose vi è una elevata quantità di
antigeni!
Però nella SCLERODERMIA, una particolare malattia autoimmune, troppo TGF – β
provoca sovrapproduzione da parte dei fibroblasti di collagene e quindi deposito di
collagene a livello cutaneo e NON SOLO.

Organi linfoidi

Gli organi linfoidi sono i siti a livello dei quali (non in tutti però, solo in quelli
secondari) avviene l' incontro tra APC, LINFOCITI T, e LINFOCITI B. Come già
accennato precedentemente, questo incontro non può avvenire in circolo, in quanto è
altamente improbabile che queste tre tipologie cellulari si ritrovino allo stesso
momento nel torrente circolatorio.
Gli organi linfoidi si dividono in:

1) ORGANI LINFOIDI PRIMARI: sono il MIDOLLO OSSEO e il TIMO, in quanto


a livello di essi avviene la maturazione linfocitaria.
2) ORGANI LINFOIDI SECONDARI: sono la MILZA, i LINFONODI, e il
TESSUTO LINFOIDE ASSOCIATO ALLE MUCOSE (MALT). A livello di quest'
ultima categoria si ritrovano le Placche di Peyer, le tonsille e le adenoidi. Sono
classificati come secondari in quanto ivi si svolgono le funzioni effettrici in
risposta agli antigeni. In particolare l' incontro APC – linfociti T – linfociti B
avviene nella milza e nei linfonodi.

Nota: molto spesso i linfonodi vengo anche chiamati LINFOGHIADOLE o


GHIANDOLE LINFATICHE, sebbene non svolgano alcuna funzione secretrice.

Il sistema circolatorio linfatico

Il sistema circolatorio linfatico è un sistema aperto: dagli spazi interstiziali, dove si


forma la linfa, individuiamo infatti VASI LINFATICI AFFERENTI, che si portano
dentro agli organi linfatici di competenza, e di seguito VASI LINFATICI
EFFERENTI, che si dipartono dall' organo in questione. Dopodichè i vasi efferenti si
portano ai DOTTI LINFATICI, nell' uomo due:

• DOTTO TORACICO: drena la maggior parte delle regioni inferiori del corpo, la
regione toracica sinistra, vi arriva pure la linfa drenata dall' arto superiore
sinistro, dalla parte sinistra del cuore e dalle metà sinistre di testa e collo.
Confluisce nella VENA SUCCLAVIA SINISTRA (giunzione
GIUGULOSUCCLAVIA).

• DOTTO LINFATICO DESTRO: vi giunge la linfa drenata dalla porzione destra


del cuore, dalle metà destre di testa e collo, dall' arto superiore destro, dal
polmone destro e sinistro. Confluisce nella VENA SUCCLAVIA DESTRA
(giunzione GIUGULOSUCCLAVIA).

I linfonodi

I linfonodi sono formazioni intercalate nel circolo linfatico e site in precise regioni
corporee quali ascelle, collo, addome, inguine. Ciascun linfonodo , costituito da una
zona CORTICALE (divisa in corticale propriamente detta e paracorticale) e da una
MIDOLLARE, è avvolto da una capsula connettivale che invia sepimenti all' interno e lo
suddivide in spazi di forma irregolare denominati:

• LOGGE CORTICALI nella zona corticale propriamente detta. Nelle logge


corticali si può apprezzare una struttura FOLLICOLARE, in quanto ivi son
presenti i FOLLICOLI (o NODULI) LINFATICI, che sono esclusivamente
territorio dei LINFOCITI B: la corticale è una zona B DIPENDENTE, in cui si
individuano i FOLLICOLI LINFATICI PRIMARI, non ancora attivati, e
SECONDARI, più grandi, in cui si individua un caratteristico CENTRO
GERMINATIVO, segno di attivazione.

• CANALI MIDOLLARI nella zona midollare, organizzati in CORDONI, B


dipendenti.

La zona corticale poi al confine con la midollare, detta zona PARACORTICALE, è


maggiormente omogenea rispetto alla corticale propriamente detta, ed è una regione
T DIPENDENTE, dove sono presenti anche CELLULE DENDRITICHE (APC).

E' chiaro che:

• Quando arriverà un antigene per cui si otterrà una risposta UMORALE, si


espanderanno SIA la zona B – dipendente che T – dipendente.

• Quando arriverà un antigene per cui si otterrà una risposta CELLULO –


MEDIATA, si espanderà maggiormente la zona T - dipendente.

Dovrà quindi esserci l' incontro fisico diretto tra i linfociti T e i linfociti B. Ma come
sarà possibile l' incontro tra quegli sparuti linfociti T e B che dovranno rispondere?
La risposta sta nel fatto che la circolazione sanguigna nel linfonodo è differente da
quella linfatica:
• La circolazione LINFATICA prevede la presenza di VASI AFFERENTI che
attraversano la capsula esterna e si pongono immediatamente al di sotto di
essa, confluendo nei SENI LINFATICI. Dopodichè attraverseranno la corticale
(seni corticali), la midollare (seni midollari), per poi fuoriuscire a livello dell' ilo
nei VASI EFFERENTI.

• La circolazione SANGUIGNA invece prevede l' entrata a livello dell' ilo delle
ARTERIOLE, che poi si capillarizzeranno più in profondità. Le venule
postcapillari di seguito torneranno ad uscire dall' ilo.

Le VENULE possiedono CELLULE A PARETE ALTA, differenti da quelle che si


ritrovano nelle venule di tutto il resto del corpo: si parla a proposito di H.E.V. (High
Endothelial Venules), e sono le uniche che consentono la libera fuoriuscita dei linfociti
B e T dal torrente circolatorio IN CONDIZIONI FISIOLOGICHE. Si parla di
RECIRCOLAZIONE LINFOCITARIA.

L' antigene, trasportato dalla linfa tramite i vasi linfatici, giunge nella ZONA
PARACORTICALE DOVE VIENE PRESO IN CONSEGNA DALLE CELLULE
DENDRITICHE. A questo punto i linfociti andranno a setacciare il territorio del
linfonodo per VEDERE L' ANTIGENE con la RELATIVA APC.
Una volta localizzato l' antigene, il linfocita T attivato prolifererà e passerà in
consegna l' informazione ai linfociti B, previo contatto nella zona tra
PARACORTICALE e FOLLICOLARE.
Ora i linfociti B saranno liberi di proliferare nei centri germinativi competenti dei
follicoli: la selezione dei linfociti B che hanno proliferato avviene pure nel centro
germinativo, e solo i B CON MAGGIORE AFFINITA' per l' antigene usciranno vivi da
lì, gli altri moriranno tramite processi di apoptosi.

Come passano i linfociti

I linfociti T che NON HANNO ANCORA VISTO L' ANTIGENE, per passare dal
torrente circolatorio verso il linfonodo, possiederanno molecole di superficie, come le
L – SELETTINE, che riconosceranno le SIALOMUCINE delle cellule endoteliali delle
H.E.V.. A questo punto potrà avvenire il processo di DIAPEDESI e ROLLING, che
consentirà loro l' ingresso.
Il richiamo verso il torrente circolatorio avviene tramite chemiotassi promossa da
INTEGRINE e CHEMOCHINE.

I linfociti T, DOPO AVER VISTO L' ANTIGENE, quindi sotto forma di CELLULE
DELLA MEMORIA (ricorda che le cellule della memoria possono derivare non solo dai
B, ma pure dai Th e dai T citotossici), andranno a caccia di quell' antigene, dovunque
esso possa trovarsi. E interverranno ora molecole differenti per ciascun distretto: a
seconda dell' organo interessato, ci sarà bisogno sulla mucosa di molecole differenti
per il richiamo. Il processo per cui a ogni organo è associato un richiamo specifico per
i linfociti è chiamato HOMING.

Nota: a livello dei LINFONODI verranno processati gli antigeni DELLE MUCOSE E
NON QUELLI CIRCOLANTI, spettanti alla milza.

La milza

Sita nell' IPOCONDRIO SINISTRO, di peso circa 250 grammi, la milza è un organo a
doppia funzione:

• La POLPA ROSSA, in quanto internamente la milza presenta un colore rosso


bruno, presenta un ruolo EMOCATERETICO per i globuli rossi: essi infatti
vivono 120 giorni, e ivi terminano la loro vita.

• La POLPA BIANCA, zone site all' interno della polpa rossa, in realtà ancor più
scure di essa. Essa rappresenta la principale componente immunologica dell'
organo, in quanti ivi vengono processati TUTTI gli ANTIGENI CIRCOLANTI.

La milza è avvolta da una spessa CAPSULA fibro – muscolare da cui si dipartono le


TRABECOLE che si portano all' interno dell' organo, e lo suddividono in compartimenti
comunicanti.
I vasi sanguigni penetrano nell' organo sotto forma di ARTERIE TRABECOLARI, le
quali poi si suddividono nelle ARTERIE PENICILLARI: attorno alle arterie penicillari
vengono a formarsi i MANICOTTI di polpa BIANCA, formata dai CORPUSCOLI DEL
MALPIGHI. Di seguito si trovano i capillari penicillari, che si addentrano nella polpa
rossa, che si connettono ai seni venosi.

I corpuscoli del Malpighi sono formati da FOLLICOLI LINFATICI, ricchi di


LINFOCITI B, immersi all' interno dei manicotti: tutto il resto è territorio T –
dipendente. Come a livello dei linfonodi, si individuano follicoli primari, piccoli e
omogenei, dove i linfociti non hanno ancora visto l' antigene, e follicoli secondari, più
grandi, con un centro germinativo CENTRALE.

Si definiscono MILZE SUCCENTURIATE delle sorte di “embrioni” di milza dislocati in


altri territori.

Tonsille

Sono organi linfoepiteliali, facenti parte del MALT, e organizzati nell' ANELLO DEL
WALDEYER, costituito da:

• Tonsille PALATINE.
• Tonsille LINGUALI.
• Tonsille TUBARICHE e FARINGEE, il cui rigonfiamento prende il nome di
ADENOIDI.

Il rapporto linfociti B / linfociti T è di circa 1 : 1.

Placche di Peyer

Site nell' intestino TENUE, fanno parte del MALT. Ivi trovo:

• In gran parte LINFOCITI B e PLASMACELLULE: le IgA usciranno come IgA


secretorie.
• In minor rappresentanza, CELLULE DENDRITICHE, LINFOCITI T e,
inframezzate nell' epitelio, CELLULE M, ovvero macrofagi che drenano tutti gli
antigeni che vi arrivano.

Va anche detto che in tutta la mucosa intestinale (quindi non solo del tenue) sono
presenti linfociti ANCHE NON ORGANIZZATI SOTTO FORMA DI PLACCHE DI
PEYER.

Nei bronchi
Anche qui, associato alla mucosa con epitelio CILIATO, è sito del MALT con ricchezza
di linfociti.

Come continua la risposta

La risposta umorale

L' antigene VIRALE, BATTERICO o TUMORALE induce una risposta umorale.


Ovviamente questa risposta dovrà essere a sua volta controllata affinchè non diventi
a sua volta un tumore! Ma della regolazione si parlerà in seguito (ricorda che a questo
proposito l' antigene risulta essere il primo modulatore).

QUANDO L' ANTIGENE GIUNGE PER LA PRIMA VOLTA, di sicuro avverrà la


risposta naturale, che potrebbe già di per sé bastare, ma che comunque viene SEMPRE
completata da quella specifica.
La RISPOSTA PRIMARIA è caratterizzata da una fase di LATENZA o PERIODO
FINESTRA, di circa 10 giorni, prima che compaiano i primi anticorpi, ovvero le IgM.
SE L' ANTIGENE E' T – INDIPENDENTE, ovvero se la risposta giunge direttamente
ai LINFOCITI B (1% dei casi), la risposta si ferma alle IgM.
SE L' ANTIGENE E' T – DIPENDENTE, si assisterà allo switch isotipico mediato dalle
citochine liberate dai Th, per cui le IgM saranno sostituite da una produzione
crescente di IgG.

Ricorda che anche se si è ora in presenza della PRIMA VEDUTA DELL' ANTIGENE, i
linfociti ci sono già, e sono già muniti di recettori montati CASUALMENTE in modo da
vedere TUTTI GLI ANTIGENI POSSIBILI: NON SI DEVONO COSTRUIRE
LINFOCITI T e B su misura!
Il periodo di latenza è funzionale affinchè quei POCHI linfociti B che hanno visto l'
antigene abbiano tempo per replicarsi e fare le IgM. In ogni caso nei primi giorni dopo
la latenza il TITOLO di IgM e IgG è BASSO ed entrambe crollano dopo poco tempo.
Tutto questo avviene alla PRIMA VEDUTA DELL' ANTIGENE.

QUANDO LO STESSO ANTIGENE VIENE VISTO PER LA SECONDA VOLTA, si


osserverà una risposta più rapida. La capacità di sviluppare questa RISPOSTA
UMORALE SECONDARIA dipende dall' esistenza di:

• Linfociti B memoria.

• Linfociti T memoria.

La risposta secondaria PER GLI ANTIGENI T – DIPENDENTI è caratterizzata quindi


da:

• MAGGIORE VELOCITA': il periodo di latenza è minore.

• MAGGIORE INTENSITA': il titolo anticorpale è più alto. In particolare si


osserva una MASSIVA PRODUZIONE DI IgG.

Queste due caratteristiche sono spiegabili col fatto che sono GIA' presenti, e
numerosissime, queste cellule della memoria.
Ricorda che è possibile pure andare oltre le IgG:

• E' possibile che vengano prodotte pure IgA;

• In situazioni NON SOLO PATOLOGICHE e nelle parassitosi si può andare verso


le IgE, passando sempre attraverso le IgM.

Quindi nella risposta primaria predominano le IgM nella fase iniziale, seguite dalle
IgG; nella risposta secondaria predominano NETTAMENTE in tutta la risposta le
IgG, che nel tempo non solo aumentano in numero ma pure nel loro GRADO DI
AFFINITA' (vedi reazione Ag – Ab).

Come monitorare

Come è possibile sapere se una persona ha una infezione IN ATTO? Ad esempio per
una donna in gravidanza è critico sapere se ha contratto la ROSOLIA (Togavirus,
genere Rubivirus), in quanto può portare a gravi malformazioni al feto.

E' possibile effettuare DUE PRELIEVI a distanza di tempo:

• SE il titolo anticorpale delle IgG è costante, la situazione è stabile. E' raro


vedere il titolo delle IgM come segno discriminativo.
• SE con prelievi successivi si osserva che il TITOLO DELLE IgG è crescente, l'
infezione è in atto.

La regolazione della risposta

La modulazione della risposta può dipendere da molteplici fattori, tra i quali troviamo:

• l' ANTIGENE;

• gli ANTICORPI prodotti;

• gli ANTICORPI ANTI IDIOTIPO;

• la presenza di CELLULE REGOLATIVE.

L' antigene come modulatore della risposta

E' chiaro che la risposta dipenderà dalla QUANTITA', dalla TIPOLOGIA e dalla
EMIVITA dell' antigene. Se sperimentalmente si segue l' emivita di un antigene sarà
possibile intuire lo sviluppo della produzione degli anticorpi.

Gli anticorpi come modulatori della risposta

Esperimento: si da a un soggetto una prima volta un vaccino, e anziché aspettare che


le IgG e le IgM siano scese per fare il richiamo, lo somministro per la seconda volta
una volta giunti al PICCO DELLA RISPOSTA PRIMARIA. Quello che si osserva è una
risposta secondaria diversa, ovvero DI MINORE INTENSITA'. Come mai?

• Una prima possibilità è che l' antigene venga rimosso senza nemmeno andare
negli organi linfoidi.

• Ma quello che si osserva è pure un EFFETTO INIBITORIO DIRETTO da parte


del complesso antigene – anticorpo. In tal caso entrano in gioco i recettori
CD32 per il frammento Fc, presenti non solo sui granulociti e sui macrofagi, ma
pure sui LINFOCITI B (così come i CD16). Più precisamente:

1. Il CD32 – A è presente sui granulociti e sui macrofagi e ha funzione


OPSONIZZANTE.
2. Il CD32 – B è presente sui linfociti B e ha funzione REGOLATRICE
INIBITORIA.

Quello che caratterizza il CD32 – B è il possedere una sequenza inibitoria


intracellulare chiamata ITIM: qualora si fosse in presenza di MOLTI
ANTICORPI LEGATI ALL' ANTIGENE (come in questo caso), il CD32 legherà il
frammento Fc di questi ultimi, attivando così la segnalazione inibitoria, ovvero il
segnale che il linfocita B NON DOVRA' PIU' PRODURRE ANTICORPI!

Questo sta a significare che la risposta immunitaria può essere controllata TRAMITE
GLI ANTICORPI E QUESTO VIENE SFRUTTATO IN TERAPIA.
Quando giunge il complesso Ag – Ab, potrebbe succedere che l' antigene venga visto
dalle immunoglobuline di superficie , ma la componente anticorpale può essere vista dal
CD32 – B: in tal modo sarebbe possibile modulare la risposta anticorpale per quell'
antigene, proprio come avviene nella PREVENZIONE DELL' ISOIMMUNIZZAZIONE
madre – feto.
Qualora una madre fosse Rh-, e per motivi genetici desse alla luce alla prima
gravidanza un feto Rh+, al momento del taglio del cordone ombelicale un po' di sangue
fetale si mette sempre in contatto con quello della madre: quello che avviene è la
formazione di ANTICORPI ANTI FATTORE RH, che rimangono ivi silenti. Qualora la
donna andasse incontro ad una seconda gravidanza, con feto Rh+, al momento del
passaggio degli anticorpi, passerebbero pure quelli anti fattore Rh, con conseguenze
disastrose per il feto.
Oggi si previene tutto questo somministrando anticorpi anti fattore Rh AD
ALTISSIMO TITOLO ALLA FINE DELLA PRIMA GRAVIDANZA, perchè questo è il
periodo in cui sono presenti nella madre ancora i globuli rossi del figlio. In tal modo
questi anticorpi si legheranno ai globuli rossi fetali, e andranno a BLOCCARE LA
PRODUZIONE DI ANTICORPI ANTI FATTORE RH.

Gli anticorpi anti idiotipo come meccanismo di regolazione

Come già analizzato a pagina 40 e 41, l' idiotipo è sito nella regione variabile delle
immunoglobuline. Somministrando ANTICORPI ANTI REGIONE IPERVARIABILE, la
risposta viene stimolata, in quanto viene mimato l' antigene. Se invece si somministra
ANTICORPI ANTI REGIONE CORNICE, questi vanno a bloccare la risposta.

Quello che invece avviene fisiologicamente invece è ancora sotto discussione; sono
state proposte diverse ipotesi, ma molti immunologi sostengono la TEORIA DELLA
RETE IDIOTIPICA proposta da Niels Jerne (premio Nobel) nel 1974: quando giunge l'
antigene, il clone di linfocita B che deve proliferare produce ANTICORPI ANTI
ANTICORPI in grado di modulare la risposta.
Quanto spiegato può sembrare confuso, ma si può spiegare con il seguente esempio:

• In assenza di antigene, il clone 1 di linfocita B sarebbe tenuto sotto controllo


da un clone 2 che produce ANTICORPI ANTI CLONE 1. C'è la possibilità di
isolare questi anticorpi e sfruttarli nei trapianti.
• Quando giunge l' antigene, il clone 1 si espande e libererebbe ANTICORPI
ANTI ANTICORPI ANTI CLONE 1 o comunque MOLECOLE IN GRADO DI
BLOCCARE TALI ANTICORPI
In definitiva, la teoria proposta da Jerne prevede proprio che questi anticorpi anti
anticorpi siano:
• ANTICORPI ANTI REGIONE CORNICE, quindi anticorpi bloccanti.

• Non è da escludere che vi siano anche ANTICORPI ANTI REGIONE


IPERVARIABILE, quindi attivanti al risposta.

L' esempio analizzato rappresentava ovviamente una delle situazioni più semplice di
rete idiotipica, ma non è da escludere che vi siano in realtà interrelazioni cellula –
cellula ben più intricate.

Cellule regolative

Esistono pure LINFOCITI T REGOLATORI, chiamati Treg: come gli altri linfociti,
escono dal timo e sono in grado di INIBIRE la risposta. Si individuano
fondamentalmente TRE tipi di linfociti Treg:

1) LINFOCITI Treg CD4+ / CD25+


Presentano come marcatori di membrana il CD4, come i T helper, e il CD25,
ovvero la catena α del recettore per IL – 2. Queste cellule regolative sono in
grado di bloccare la proliferazione degli altri linfociti T.
Un terzo tipo di marcatore è un enzima chiamato FOX – P3, specifico per
queste cellule.
2) LINFOCITI Treg CD8+ / CD25+
Presentano come marcatori di membrana il CD8, come i T citotossici, e il CD25.
Mancano di un particolare marcatore chiamato CD28 (quello che interagisce con
il B7 delle APC), per cui complessivamente li si può riassumere come Treg
CD8+ / CD25++ / CD28-.
Anche loro sono in grado di produrre l' enzima FOX – P3, e, come i precedenti,
sono in grado di bloccare la proliferazione dei linfociti T.

3) LINFOCITI Th3
Già visti in precedenza, sono in grado di produrre una citochina, la TGF – β, in
grado di indurre lo switch isotipico verso le IgA da parte dei linfociti B.
Pure essi presentano come marcatori il CD25 e l' enzima FOX – P3.

Queste cellule regolative possono operare:

• In maniera SPECIFICA contro un dato antigene, previo contatto fisico con la


cellula da regolare.

• In maniera ASPECIFICA tramite citochine inibitorie (es. IL – 10, TGF – β).

Dal momento che queste cellule regolative sono in grado di modulare i linfociti T
citotossici, SONO PURE IN GRADO DI INIBIRE LA RISPOSTA CELLULO –
MEDIATA: i Th3 sono infatti in grado di produrre il TGF – β, in grado di inibire i Th1.

Altri fattori NON SPECIFICI che deprimono la risposta immunitaria sono i


CORTISONICI e le β – ENDORFINE.

La reazione ANTIGENE – ANTICORPO

Quando un anticorpo si lega ad un antigene lo fa con un obiettivo ben preciso:


eliminare quall' antigene. Tuttavia i legami tra la PARTE VARIABILE delle
immunoglobuline e l' antigene sono legami DEBOLI come:

• Legami IDROFOBICI;

• FORZE di VAN DER WAALS: ovvero creazione di dipoli istantanei;

• Legami a IDROGENO.

Come mai si instaurano legami deboli e non forti? Perchè in prima battuta vengono
mandate in avanscoperta IMMUNOGLOBULINE CHE NON POTREBBERO ESSERE LE
MIGLIORI per rispondere a quel dato antigene, e potrebbero essere sostituite.
In ogni caso per comprendere la reazione antigene – anticorpo bisogna soffermarsi su
due caratteristiche dell' anticorpo:

• L' AFFINITA' dell' anticorpo per l' antigene;

• L' AVIDITA' dell' anticorpo per l' antigene.

L' affinità

Si definisce AFFINITA' dell' anticorpo per un dato antigene come l' insieme delle
forze d' interazione non covalenti che si generano tra un dato antigene e il sito di
legame per quell' antigene sull' immunoglobulina.
Si sa che quando si mette insieme l' anticorpo con il suo antigene a determinate
condizioni (pH fisiologico, temperatura 37 °C, pressione normale) si ottiene il
complesso antigene – anticorpo (AgxAb):

Ag + Ab → AgxAb

Tuttavia la reazione non è legata tanto a fattori come pH, temperatura e pressione
come avviene invece per le reazioni enzimatiche.
All' equilibrio infatti tenderà a formarsi il complesso AgxAb, MA MAI AL 100%,
questo perché la reazione è governata da una COSTANTE DI ASSOCIAZIONE e da
una di DISSOCIAZIONE. Quindi:

Ag + Ab ↔ AbxAg

All' equilibrio quindi si avrà pura antigene ed anticorpo liberi. Si definisce COSTANTE
GLOBALE DI ASSOCIAZIONE il rapporto:

costante di associazione
costante di dissociazione

Per comprendere il meccanismo dell' affinità, e quindi calcolare la COSTANTE DI


AFFINITA', in passato venne sfruttata la DIALISI. Questa procedura sfrutta dei
sacchetti di cellulosa con dei pori che fanno passare le molecole fino a 20000 Da.
Questi sacchetti vengono immersi in un compartimento liquido, insieme ad un APTENE
RADIOMARCATO di peso inferiore a 20000 Da. All' equilibrio, dopo un po' di tempo,
la concentrazione di aptene radiomarcato all' esterno raggiungerà quella nel
sacchetto.
Si ripete l' esperimento, ma nel sacchetto stavolta vengono messi pure ANTICORPI
ANTI APTENE. Con gli anticorpi, l' aptene che passerà all' esterno sarà SOLO
QUELLO LIBERO, quindi MENO NE PASSA , PIU' SARA' LEGATO ALL'
ANTICORPO.
In tal modo è possibile risalire alla COSTANTE DI AFFINITA', che si aggira come
ordine di grandezza sempre tra i 10^-9 e i 10^-5 L/mol (litri/moli).

L' avidità

Si definisce l' avidità di un anticorpo per un dato antigene come la molteplicità di


legami che l' anticorpo stesso contrae con l' antigene. In tal senso, l' anticorpo più
avido risulta essere la IgM, perchè ha più possibilità di legame con l' antigene (vanno
tenuti in conto pure gli antigeni con molti APTENI).
Tuttavia questo non fa delle IgM anche gli anticorpi più AFFINI, anche perchè
risultano essere SPESSO in svantaggio numerico in confronto ad altre
immunoglobuline, come le IgG.

In definitiva, le migliori immunoglobuline sono proprio le IgG, le quali, pur essendo


bivalenti, possiedono un legame più affine!

Considerazioni

Nell' analisi della reazione Ag – Ab in realtà bisogna tenere conto pure di QUALE
ANTICORPO E QUALE ANTIGENE REAGISCONO! In realtà non si avrà quasi mai a
che fare con apteni singoli, ma spesso si avrà una risposta POLICLONALE perchè n
virus o una parate batterica presentano una MOLTEPLICITA' DI ANTIGENI molto
elevata.

Il potenziale ambientale

In realtà nella reazione antigene – anticorpo bisogna tener conto pure del fattore
ambiente, ovvero il POTENZIALE AMBIENTALE Z che viene a crearsi in condizioni
fisiologiche: i globuli rossi sono fisiologicamente respinti tra loro per la presenza dell'
ACIDO SIALICO (di carica negativa) sulle loro membrane . Inoltre ad aiutare tutto
ciò intervengono dei PONTI IONICI di Na+Cl- che garantiscono l'ulteriore
separazione.
Qualora si somministrasse ALBUMINA al sistema, questa sarebbe in grado di
assorbire le cariche presenti nel sistema stesso e quindi di annullare il potenziale: ne
conseguirebbe la formazione di ROULEAUX DI EMAZIE, che non sono agglutinazione,
ma si formano solo in condizioni patologiche come l' IPERPROTEINEMIA o il
MIELOMA.

Reazioni Ag -Ab: l' agglutinazione

E' definita come la reazione antigene - anticorpo in cui l' ANTIGENE è


CORPUSCOLATO, ovvero presente sulla membrana o parete di una cellula. L'
agglutinato è l' ammasso tridimensionale di cellule che si viene a creare in quanto
queste son tenute vicine da PONTI creati dagli anticorpi.

Per realizzare l' agglutinazione, bisogna tenere conto di due parametri:

1) La POTENZIALITA' AGGLUTINANTE dell' immunoglobulina: le IgM risultano


essere le migliori a questo proposito, in quanto possiedono il maggior numero di
ponti (cinque).

2) La QUANTITA' DI ANTIGENE espressa sulla superficie della cellula: se la


DENSITA' ANTIGENICA sarà elevata, sarà più facile che avvenga l'
agglutinazione, anche con immunoglobuline di minor potenzialità agglutinante.

E' stato calcolato che la densità degli antigeni del sistema AB0 sui globuli rossi è di
circa 1.000.000 per eritrocita, mentre la densità antigenica del sistema Rh è di circa
10.000 – 20.000: la reazione di agglutinazione in quest' ultimo caso, con una così bassa
densità antigenica, non avverrà MAI.
Quindi, effettuando una trasfusione di sangue da un soggetto Rh+ a uno Rh-
IMMUNIZZATO (e di gruppo 0, per evitare problemi di agglutinazione con questi
antigeni) , e prelevando da quest' ultimo un campione di sangue:

• NON si osserva agglutinato;

• Gli anticorpi sono legati sulla superficie delle emazie, ma NON CREANO
PONTI!

Come si fa allora a discriminare un soggetto Rh NEGATIVO IMMUNIZZATO


contro il fattore Rh (che ha ricevuto una trasfusione), oppure un soggetto capace
di creare autoanticorpi (affetto da malattia autoimmune) da un soggetto
INCAPACE di creare autoanticorpi anti fattore Rh (sano) , SFRUTTANDO IL
METODO DELL' AGGLUTINAZIONE? Ovvero per vedere se l' eritrocita è
circondato da anticorpi che non fanno ponti agglutinanti?

Si utilizza il test di Coombs DIRETTO: se a legarsi sulla parete dell' eritrocita sono
le IgG, è possibile aggiungere ANTICORPI ANTI IgG in grado di creare il ponte
aggiuntivo necessario per l' agglutinazione. Se risulta positivo, vuol dire che il
paziente presentava gli anticorpi anti fattore Rh.

Esiste anche il test di Coombs INDIRETTO: si ricercano in tal caso gli anticorpi anti
fattore Rh nel siero del paziente. Questo siero viene messo a contatto con globuli
rossi Rh+ e di gruppo 0 (per non avere interferenze con il sistema AB0). Si lava il
tutto, in modo da eliminare eventuali anticorpi non legatisi, e si somministrano gli
ANTICORPI ANTI IgG: se si osserva agglutinazione vuol dire che il paziente
presentava gli anticorpi anti fattore Rh.
Reazioni Ag -Ab: la precipitazione

E' la reazione antigene – anticorpo in cui l' antigene è SOLUBILE o


SOLUBILIZZATO, ovvero staccatosi ad esempio da cellule batteriche. Non si osserva
alcun tipo di agglutinato, bensì il PRECIPITATO, la cui quantità dipende dal rapporto
antigene/anticorpo; viene in tal modo a formarsi una RETE nel sistema che sarà tanto
più compatta quanto maggiore sarà la componente anticorpale.
La rete a un certo punto sarà così compatta che verranno a formarsi pure legami tra i
frammenti Fc di immunoglobuline contigue: a questo punto il sistema non è più solubile
e dovrà precipitare. E' quanto ad esempio si osserva somministrando albumina umana
in un coniglio: esso farà anticorpi anti albumina, e osservando un prelievo del suo siero,
si vedrà un precipitato biancastro.

Esperimento 1: vengono prese diverse provette, in ciascuna delle quali viene messa
una quantità di antigene (albumina) COSTANTE e quantità di anticorpo CRESCENTI
via via. Come precedentemente detto, la quantità di precipitato che si forma di pende
dai rapporti Ag / Ab.
Si possono quindi ottenere tre diverse situazioni. Nelle provette:

1) Dove [Ab] > [Ag] : TUTTO L' ANTIGENE PRECIPITA INSIEME AGLI
ANTICORPI LEGATI e nel sopranatante si trova anticorpo libero; e questo è
auspicabile, visto che si è in eccesso di anticorpi, che competono tra di loro.

2) Dove [Ab] = [Ag] : TUTTO L' ANTIGENE PRECIPITA INSIEME AGLI


ANTICORPI LEGATI e nel sopranatante non si trova nulla.

3) Dove [Ab] < [Ag] : ci si aspetterebbe una situazione simile alla (1) ma a parti
invertite. COSI' NON E', in quanto si ottiene sì del precipitato, ma nel
sopranatante si ritrovano:
• ANTIGENE LIBERO. E se fosse solo questo sarebbe una situazione simile
alla (1);

• IMMUNOCOMPLESSI SOLUBILI, che non si sono aggregati nel formare


la RETE, ma rimangono nel sopranatante. Questi immunocomplessi solubili
sono causa di patologie, in quanto vengono a formarsi anche nel nostro
organismo in conseguenza ad un ECCESSO COSTANTE DI ANTIGENE.
Se infatti fosse transitorio non sarebbe patologico.

Esperimento 2: si ripete la stessa operazione, ma a parti invertite. Stavolta si


mantiene FISSA la concentrazione di anticorpo nelle provette, e si varia via via la
concentrazione di antigene.
Solo in questo caso il precipitato sarà massimo all' equivalenza, mentre diminuirà SIA
in condizioni di ECCESSO DI ANTIGENE, SIA in condizioni di ECCESSO DI
ANTICORPO.

In ogni caso quindi LA DIFFERENZA LA FA L' ANTIGENE!

Reazioni di precipitazione: l' immunoprecipitazione radiale (metodo di Mancini)

Detta più comunemente IMMUNODIFFUSIONE RADIALE, viene eseguita su un


mezzo semisolido, quale il GEL DI AGAROSIO, deposto su delle piastre, con dei fori.
In essi si depone:

• Gli ANTICORPI ANTI IgG;

• Il siero del paziente (contenente le IgG).

In seguito alla diffusione dell' antigene (le IgG) nell' agarosio si verrà a costituire una
regione di equivalenza e si avrà quindi una reazione tra le IgG del siero e gli anticorpi
anti IgG.
Verrà dunque a formarsi un ANELLO DI PRECIPITAZIONE le cui dimensioni saranno
proporzionali alla concentrazione di IgG nel siero (più è alta, più diffonderà).
E' opportuno in tal caso dosare anche gli anticorpi anti IgG: qualora ve ne fossero
troppi, la reazione avverrebbe immediatamente senza neppure apprezzare una
diffusione e quindi un ANELLO VISIBILE.

Questo metodo risulta essere ottimale per misurare la concentrazione di anticorpi


quali le IgG nel siero di un paziente.

Tecniche turbidimetriche e nefelometriche


Tuttavia oggi si preferisce usare tali tecniche per valutare le reazioni antigene –
anticorpo:

• La turbidimetria è una metodica ottica di analisi che permette di


determinare, in qualità di parametro sia aspecifico che specifico, il livello
di torbidità di un liquido sfruttando l' assorbimento e la riflessione di
raggi luminosi di determinata lunghezza d'onda.
E' preferibilmente usata quando le particelle che causano torbidità hanno
dimensioni SUPERIORI AL MICRON.

• La nefelometria è una metodica ottica di analisi che permette di ricavare


la quantità di sostanza oggetto di analisi misurando la radiazione diffusa
per effetto Tyndall (di deviazione della luce).
E' preferibilmente usata quando le particelle che causano torbidità hanno
dimensioni INFERIORI AL MICRON e quindi provocano un maggiore
effetto Tyndall (diffondono di più, essendo più piccole).

ELISA

E' una tecnica immunoenzimatica: sfrutta il marcamento dell' anticorpo con un


marcante radioattivo o con un enzima.
Viene sfruttata quando la concentrazione di ANTIGENE nel siero del paziente
potrebbe essere bassa: ad esempio, può essere sfruttata per il dosaggio delle IgE nel
siero!
Dal momento che si ha a che fare con una bassa concentrazione antigenica, il pregio di
ELISA è che è in grado di AMPLIFICARE NOTEVOLMENTE IL SEGNALE di presenza
dell' antigene.

Il sistema del complemento

Il complemento è uno dei più importanti componenti SOLUBILI dell' IMMUNITA'


NATURALE. E' un sistema multi – glico – proteico, con un numero elevato di
componenti, e molto complesso nei primati e nell' uomo.
Fu scoperto poco più di 100 anni fa, notando che alcuni batteri nel siero dei pazienti
LISAVANO (1896): questo sistema fu chiamato così perché COMPLEMENTAVA quello
anticorpale.

Introduzione
Dal punto di vista operativo, si distinguono molte componenti proteiche (oltre 30),
indicate con la lettera C (complemento), a cui si aggiunge di seguito numeri arabi
successivi.
Si individuano componenti numerate da C1 a C9, ma basti pensare che il solo C1 esiste
sotto forma di tre componenti:

• C1q

• C1r

• C1s

A testimoniare la complessità del sistema!

Esso entrerà in funzione SOLO QUANDO VERRA' ATTIVATO, in quanto NON


POSSIEDE ALCUNA SPECIFICITA' (a differenza degli anticorpi, costruiti in maniera
specifica): deve essere quindi coinvolto nella reazione.
In realtà pur non essendo specifico, il complemento è in grado di riconoscere ciò che è
SELF DA CIO' che non lo è, e questo è già qualcosa!

Il passo finale sarà principalmente l' UCCISIONE DEL BERSAGLIO.

Attivazione del complemento

L' attivazione non è dissimile da quello che avviene per il sistema della coagulazione,
ovvero avviene con un SISTEMA A CASCATA: ciò è possibile perchè i componenti
iniziali del sistema sono PROENZIMI, i quali, legandosi al bersaglio si attivano
diventando ENZIMI.
Questi enzimi, attivati, agiranno sui componenti successivi (attivandoli) operando una
PROTEOLISI limitata, in quanto agiscono su PUNTI BEN PRECISI: e questo un senso
ce l' ha in quanto:

• Consente al FRAMMENTO PIU' GRANDE di continuare l' attivazione


successiva.
• I frammenti più piccoli AVRANNO ALTRE FUNZIONI.

Tuttavia c' è un aspetto negativo da considerare: una volta attivato il sistema, i


FRAMMENTI NON RICONOSCONO PIU' il SELF dal NON SELF. E questo è
pericoloso, se l' azione non risulta essere limitata al bersaglio: basti pensare che, una
volta amplificato il segnale, possono essere coinvolte pure le cellule circostanti il
bersaglio, che subiscono di rimbalzo l' effetto.
Per questo motivo il sistema, non specifico, deve essere quindi messo in grado di
riconoscere il bersaglio in modo da elaborare una AZIONE CIRCOSCRITTA per farlo
fuori.

Come si mette in moto la macchina

Non bisogna pensare che vi sia una sola molecola di riconoscimento e attivazione, ma
se ne ritrovano differenti.
Si individuano a tal proposito TRE VIE DI ATTIVAZIONE, alcune messe in moto da
taluni bersagli, altre da altri:

1) VIA CLASSICA: è la prima ad essere stata riconosciuta, ma non la prima in


senso filogenetico ed è attivata da alcune tipologie di immunoglobuline.

2) VIA ALTERNATIVA: vengono coinvolti componenti che NON fanno parte della
via classica. E' la seconda via ad essere stata scoperta ed utilizza il C3b come
attivatore.

3) VIA LECTINICA: è la via primordiale, la terza ad essere stata scoperta ed


utilizza la proteina MBL (Mannose Binding Lectin) come attivatore.

Va detto che le tre vie CONVERGONO TUTTE sul componente complementare C3.
La via CLASSICA

E' messa in moto da:

• IMMUNOCOMPLESSI in generale: ovvero dai complessi Ag – Ab solubili o


corpuscolati.

• I complessi della PROTEINA C REATTIVA: questa si lega generalmente ai


polisaccaridi delle pareti e membrane batteriche e attiva la via classica.

• TALUNI BATTERI la attivano direttamente, senza che entrino in gioco gli


anticorpi. In tal caso il C1q riconosce direttamente l' antigene, ma sono
situazioni RARE.

In generale è però l' ANTICORPO che decide se attivare o meno il PRIMO


COMPONENTE DELLA VIA, in questo caso il C1q. Tuttavia esistono classi anticorpali
ATTIVANTI e NON ATTIVANTI:

• Le IgG ATTIVANO;
• Le IgM ATTIVANO;

• Le IgA, le IgE, le IgD NON ATTIVANO.

Riguardo le classi attivanti, neppure tutte le sottoclassi hanno azione uguale:

• Le IgG1 e le IgG3 sono OTTIME ATTIVATRICI;

• Le IgG2 sono MODESTE ATTIVATRICI;

• Le IgG4 sono PESSIME ATTIVATRICI.

Ed esiste pure una differenza tra le IgM e le IgG:

• Le IgM attivano il complemento su QUALSIASI ANTIGENE e anche a bassa


DENSITA' ANTIGENICA; sono facilitate in quanto possiedono ben cinque
braccia.

• Le IgG1 e le IgG3 non sempre possono farlo, e questo dipende dalla DENSITA'
ANTIGENICA: ricorda che le IgG hanno due braccia, per cui per far bene il
loro lavoro devono intervenire due molecole ravvicinate di IgG!
Per praticità, basti pensare che il più delle volte gli anticorpi anti fattore Rh sono
IgG3, eppure non verrà MAI attivato il complemento, in quanto la densità dell'
antigene agD è bassa, si aggira intorno ai 10.000 – 20.000 per eritrocita.

Il C1q

E' il primo componente della via classica a venire attivato. Fa parte della famiglia delle
COLLECTINE. Può essere attivato, come già detto, dagli immunocomplessi, dai
complessi della proteina c reattiva, oppure in rari casi può riconoscere un
direttamente un dato sito su una superficie batterica.

Ha una forma a “BUNCH OF FLOWERS” (mazzo di fiori). Si individuano:

• SEI PORZIONI GLOBULARI periferiche;

• SEI porzioni a TRIPLA ELICA (3 eliche A, B, C avvolte tra loro), che si


dipartono da ciascuna porzione globulare per unirsi in una sorta di “gambo”
unico. Si individuano perciò 18 catene polipeptidiche in tutto, ciascuna composta
da circa 225 amminoacidi: si denota una ricchezza di TRIPLETTE glicina –
prolina – idrossilisina, proprio come avviene nel collagene.
Sono le parti globulari del C1q a legare l' anticorpo (IgG e IgM) per il frammento
Fc.
Va detto che affinché avvenga l' attivazione, non è sufficiente il legame di un singolo
frammento Fc (che siano IgM o IgG), ma OCCORRONO ALMENO DUE FRAMMENTI
Fc: vengono chiamati in causa quindi almeno due peduncoli.
Per far ciò, le IgG devono legarsi sulla superficie del bersaglio a una distanza
reciproca inferiore ai 30 – 40 nm, in modo da esporre DUE siti di legame CONTIGUI
per il C1q.

Questi siti di legame per il C1q sono sul frammento Fc, ovvero sulla porzione
COSTANTE della catena pesante:

• Per le IgG è il segmento CH2 (il penultimo).

• Per le IgM è il segmento CH4 (l' ultimo).

Viene ora spontanea una domanda: come mai il C1q lega SOLO le immunoglobuline che
hanno legato un dato antigene, e non quelle libere circolanti? Per farsi vedere dal C1q,
sia le IgG che le IgM che hanno legato l' antigene, operano PARTICOLARI
MODIFICAZIONI CONFORMAZIONALI DI SUPERFICIE.
Il C1r e il C1s

Una volta che il C1q si è legato all' anticorpo, entra in gioco il C1r, richiamato dal C1q
stesso.
Il C1r si legherà al GAMBO del C1q, a livello delle TRIPLETTE amminoacidiche Gly –
Pro - Idrossilisina: se infatti a questo punto della reazione si utilizzasse una
COLLAGENASI, la reazione si bloccherebbe.

A questo punto il C1r va incontro ad un processo di attivazione AUTOCATALITICA:


DUE molecole di C1r vanno a formare un ANELLO che circonderà il gambo del C1q. Ora
è il C1r ATTIVATO (che funziona come SERIN PROTEASI), ad attivare il TERZO
COMPONENTE, il C1s: DUE molecole di C1s si giustapporranno, attivandosi, a formare
un altro anello (anche il C1s ATTIVATO è una serin proteasi)

ORA SI E' IN PRESENZA DEL C1 ATTIVATO.

La stabilità del C1 ATTIVATO e il suo assemblaggio sono garantiti dalla presenza di


ioni Ca2+, tanto che la reazione è bloccata dal CITRATO (si usa in genere CITRATO di
SODIO), una molecola in grado di sequestrare il calcio (impedisce anche la
coagulazione).

Come prosegue la reazione


Ora il C! ATTIVATO è pronto per far proseguire la reazione. Il C1s è un ENZIMA
PROTEOLITICO che ha come substrato due componenti successive del complemento:

• C4, per cui C1s possiede una cinetica VELOCE: per questo viene prima come
substrato. C4 viene idrolizzato a livello della catena ALFA in:

1. C4a, un piccolo peptide;


2. C4b, il frammento più grande; insieme ad altri C4b (ricorda che vi sono
più substrati!) cadono a pioggia sulla membrana della cellula batterica,
andando ivi a legarsi COVALENTEMENTE.

• C2, per cui C1s possiede una cinetica più lenta. Viene idrolizzato in:

1. C2a, un piccolo peptide;


2. C2b, il frammento più grande, che, come il C4b, cade a pioggia sulla
membrana batterica.

A questo punto la membrana batterica è ricoperta di C4b e C2b: è possibile che C4b e
C2b si giustappongano, andando così a formare un nuovo complesso enzimatico, tenuto
insieme da ioni Mg2+, chiamato C3 CONVERTASI: questo complesso ha ora come
substrato il C3. A questo punto il ruolo di C1 ATTIVATO è finito, in quanto C4 e C2
ATTIVATI (la C3 convertasi) sono in grado di proseguire da soli.

Parentesi

Esistono ANEMIE EMOLITICHE da AUTOANTICORPI (date da IgM che reagiscono


contro i nostri eritrociti), i quali hanno un legame OTTIMALE (optimum) a circa 10 -
15 °C, temperatura che si viene a realizzare ALL' ESTREMITA' degli arti nei paesi
freddi.
La lisi del globulo rosso è data perché queste IgM sono in grado di attivare il
complemento; la cura per questi soggetti prevede l' uso di cateteri a caldo, siringhe a
caldo, camere a caldo, TUTTO A CALDO!
Se poi qualche globulo rosso con il complemento riesce a sopravvivere, si riuscirà a
trovare sulla sua membrana il C4 e il C2 ATTIVATI, ma NON il C1 ATTIVATO, ormai
distaccatosi, a testimonianza di quanto detto alla fine del paragrafo precedente.

Il C3

Il C3 diventa ora substrato della C3 convertasi. Il C3 è formato da due catene


polipeptidiche, α e β, unite da PONTI DISOLFURO: la C3 convertasi taglia la catena
α, rimuovendo un piccolo peptide (C3a), e formando il C3b.
Il distacco del C3b provoca la rottura di un TIOESTERE (S – CO -), liberando così uno
zolfo che sarà in grado di andare a reagire nuovamente con un carbonio presente sulla
superficie batterica, formando quindi un LEGAME COVALENTE: è il C3b che cadrà
nuovamente sulla superficie!

A questo punto il C3b potrà giustapporsi al C4b – C2b andando a formare un NUOVO
COMPLESSO ENZIMATICO, chiamato C5 CONVERTASI ed avente come substrato il
C5.

Qui ci fermiamo anche perché sul C3 convergono tutte le vie: il prosieguo della
cascata verrà analizzato successivamente, dopo aver analizzato le vie lectinica e
alternativa.

La via LECTINICA

Essa è la via filogeneticamente più antica perché possiede un sistema molecolare che
vede DIRETTAMENTE I SOLI ZUCCHERI (le lectine sono tutte quelle proteine in
grado di vedere gli zuccheri), senza bisogno degli anticorpi. E' stata scoperta
recentemente.
Ma quali zuccheri vede? In genere zuccheri come MANNOSIO, N – ACETIL
GLUCOSAMMINA, ACIDO SIALICO. Quest' ultimo poi per essere visto deve essere
presente in raggruppamenti (CLUSTERS), fenomeno visibile nei batteri.

La prima proteina del sistema è la MBL (Mannose Binding Lectin), quale presenta
notevoli analogie con il C1q, in quanto entrambe fanno parte della famiglia delle
COLLECTINE (anche le surfactant proteins ne fanno parte): sono tutte proteine simil
– collagene.

Una seconda proteina in grado di attivare la via lectinica è la FICOLINA SIERICA


(anche lei della famiglia delle collectine).

La differenza tra FICOLINA, MBL con il C1q sta nel fatto che non vi sono catene
diverse A, B, C ad intrecciarsi ad elica; entrambe sono in grado di “vedere” gli
zuccheri con la loro porzione globulare, e tale legame è reso stabile dallo ione Ca2+.
A questo punto la via lectinica e classica proseguono alla medesima maniera, solo che il
ruolo del C1r e del C1s è portato da proteine molto simili, MASP – 1 e MASP – 2 (MBL
Associated Serin Protease), e il complesso MBL – MASP – 1 – MASP – 2 è molto
simile a quello C1q – C1r – C1s.
La C3 convertasi è condivisa con quella della via classica (quindi è formata da C4b –
C2b).
Alla fine si arriva comunque al C3.

La via ALTERNATIVA

Non è una vera e propria via, ma è una VIA DI AMPLIFICAZIONE! Il sistema


attivante (erroneamente chiamato così) questa via è il C3b, ovvero il prodotto della via
classica.

Bisogna effettuare un attimo un passo indietro. Si è visto che quando il C3b si attiva,
esso cerca di legarsi con legami C – S alla membrana del batterio, ma
fondamentalmente lo può fare con tutte le superfici lì vicine, se è in grado di
raggiungerle.
Questo sarebbe estremamente pericoloso e quindi è necessario un controllo affinché
il complemento devii sul bersaglio nemico.
Per questo motivo il C3b ha una estrema labilità DATA DAL FATTO CHE E' TENUTO
SOTTO LO STRETTO CONTROLLO DEL C3b INATTIVATORE, un enzima sierico,
che cerca di ridurre la sua potenzialità offensiva.
Questo enzima tenta di attaccare la catena alfa del C3b neoformato, ma per
funzionare necessita di COFATTORI che prima si legheranno al C3b, spianando la
strada all' enzima. Questi cofattori possono essere:
• SIERICI, ovvero solubili: come il fattore H.

• SULLA SUPERFICIE DEL BERSAGLIO; possono essere:

1. MCP (Membrane Cofactor Protein) o CD46;

2. CR1, che è un recettore presente anche su cellule nostre come fagociti,


globuli rossi e podociti renali, in grado di vedere solo i C3b ATTIVATI.

A questo punto il C3b inattivatore è in grado di staccare un pezzo di 3 KDa della


catena alfa del C3b e quindi produrre C3bi, ovvero C3b INATTIVATO. Ulteriori
rimaneggiamenti del C3b inattivato portano alla formazione di C3dg.

La via alternativa consiste nel BLOCCO di questo sistema di protezione: in C3b NON
VIENE INATTIVATO e la reazione può proseguire. Il C3b, che quindi persiste sulla
membrana di bersagli PERMISSIVI, ora può legare il FATTORE B (molecola molto
simile al C2). Il complesso C3b – B è mantenuto stabile da ioni Mg2+.
A questo punto interviene su questo complesso il FATTORE D, un enzima sierico che
scinde il fattore B in due frammenti:

• Ba, piccolo, che si perde;

• Bb, grande, che rimane.

Il complesso che rimane, C3b – Bb, è una C3 CONVERTASI che può quindi ora andare
ad agire sul C3, amplificando così il segnale.
Questo sistema si ferma quando uno dei substrati si esaurisce: il FATTORE
LIMITANTE è il FATTORE B, in quanto meno concentrato degli altri, e la reazione si
ferma proprio a causa della sua mancanza.

Considerazioni sulle tre vie

In base a quanto asserito, si può dedurre che:

• Le vie CLASSICA e LECTINICA sono vie PERMISSIVE.

• La via ALTERNATIVA è una via NON PERMISSIVA, in quanto avviene solo dove
è consentito, ovvero quando l' amplificazione del segnale non risulti essere
pericolosa.

Fase comune o fase terminale


La C5 CONVERTASI ora ha come substrato il C5 (molto simile al C3), che viene scisso
in:

• C5a;

• C5b: ora non ci saranno più fenomeni a cascata, ma il C5b si lega alla membrana
batterica, portando alla formazione di un complesso formato dal legame
successivo dei componenti C6, C7, C8 alla membrana tramite LEGAMI
IDROFOBICI: il complesso C5b – C6 – C7 – C8, approfonditosi nella
membrana, prepara il campo a 12 – 13 molecole di C9, l' ultima componente
chiamata in causa. Il complesso C5b – C6 – C7 – C8 – C9 è chiamato MAC
(Membrane Attack Complex).
Le molecole di C9 (simili alle PERFORINE) legatesi si srotoleranno attraverso la
membrana, disponendosi a “parete di barile” vuota alle estremità, a formare un PORO
di circa 20 Å di diametro. Attraverso questo poro:

- Gli ioni Na+ saranno liberi di entrare.


- Gli ioni K+ saranno liberi di uscire.
- L' H2O entra, la cellula si gonfia e successivamente LISA.
Attraverso degli studi condotti sui LIPOSOMI, ovvero vescicole costituite da un
doppio strato fosfolipidico, è stato possibile comprendere che il bersaglio del C9 era
proprio il doppio strato. I liposomi sono anche il mezzo con cui far entrare molecole
idrosolubili (come taluni farmaci) all' interno delle cellule.

Fattori di controllo delle vie

Si è già visto come si può controllare dall' esterno la reazione complementare tramite:

• CITRATO: che sequestra il Ca2+ e quindi rende instabili i complessi da lui


altrimenti stabilizzati.
• EDTA (Acido etilen – diammino – tetraacetico): sequestra il Mg2+ e quindi
rende instabili i complessi da lui tenuti fermi.

Fattori di controllo specifici li si ritrova invece lungo le vie:

1) Nella via classica a livello di C1 e nella via lectinica a livello di MASP, si ritrova
un controllo da parte di un C1 INIBITORIO, presente come molecola solubile
nel plasma.
Il C1 INIBITORIO è un inibitore di SERIN PROTEASI (come C1r e C1s, ma pure la
CALLICREINA), per cui: in presenza del complesso pentamerico antigene – anticorpo –
C1q – C1r – C1s, tenta di strappare le subunità C1r e C1s (serin proteasi), formando con
loro un complesso C1 INIBITORE – C1r – C1s e quindi impedendo il richiamo del C4 e
del C2.
Lo stesso meccanismo avviene a livello del complesso MASP.

2) Se vuoi: la C4 può essere bloccata dalla C4 BP.

3) A livello della C3 CONVERTASI:

• Una è quella delle vie classica e lectinica: ovvero C4b – C2b.

• Una è quella della via alternativa: C3b – Bb.

Entrambe le C3 CONVERTASI sono controllabili dall' enzima DAF (Decaying


Accelerating Factor), presente sulle membrane degli eritrociti ma non solo; è
detto pure CD55 ed è in grado di strappare:

• Il C4b dal C2b.

• Il C3b dal Bb.

Inattivando di fatto l' enzima!

4) A livello del C3b agiscono tutti quei fattori che sono stati
precedentemente analizzati e che vengono inibiti nella via alternativa.
Sta di fatto che il C3b inattivato viene progressivamente sminuzzato, e l'
ultimo moncone che rimane attaccato alla membrana viene ricercato in
patologia.

5) A livello del complesso dei C9 finale può esserci l' intervento di


PROTEINE INIBITRICI della polimerizzazione del C9:

• SOLUBILI, come la VITRONECTINA, la PROTEINA S, la


CLUSTERINA;

• DI MEMBRANA, come il CD59: queste fanno il lavoro migliore perché


sono site già in sede di membrana.

Come si ancorano alla membrana gli inibitori

• MCP e CR1 sono proteine INTEGRALI DI MEMBRANA.


• Altre come DAF e CD59 sfruttano un supporto di GPI (glicosil fosfoinositolo)
chiamato anche GPI ANCHOR.
Difetti genetici di queste ancore portano alla EMOGLOBINURIA NOTTURNA
PAROSSISTICA (PNH), una malattia rara che si manifesta a cicli, nella quale DAF e
CD59 non sono ben ancorate alla membrana: ne risulta una mancata inibizione del
complemento, che porta alla lisi del globulo rosso e alla conseguente presenza di Hb
nelle urine.

Riassumendo

Inibitori DI MEMBRANA Inibitori SOLUBILI


C1 INIBITORE
DAF C3 INIBITORE
CD59 Fattore H
MCP VITRONECTINA
CR1 CLUSTERINA
PROTEINA S

Funzioni del complemento: la LISI

La LISI è stata la prima funzione scoperta del complemento, MA NON RISULTA


ESSERE LA FUNZIONE PIU' COMUNE NE' LA PIU' EFFICIENTE. Questo perchè:

• Il bersaglio deve essere idoneo ad essere perforato. Infatti le cellule anucleate


come i globuli rossi sono bersagli suscettibili al danno, in quanto incapaci di
ripararlo, come invece sarebbero in grado di fare le cellule nucleate.

• E' possibile che il poro creato dai C9 si approfondisca OBLIQUAMENTE, non


arrivando in tal modo all' interno della cellula.

Questi due motivi hanno fatto pensare che la funzione litica non fosse l' unica. In ogni
caso la lisi, intesa come funzione citolitica ha effetto:

• Sui BATTERI GRAM NEGATIVI: questo perchè hanno una membrana esterna
ricca in fosfolipidi.

• I GRAM POSITIVI risultano essere MOLTO MENO SUSCETTIBILI, in quanto


hanno uno strato di peptidoglicano molto spesso; anche i MICOBATTERI sono
meno suscettibili per la presenza di una membrana molto spessa.

Altre funzioni del complemento


• FUNZIONE OPSONIZZANTE: questa funzione è resa possibile dall' esistenza
di particolari recettori (CR1, CR2, CR3) sulle membrane delle cellule
immunitarie per quelli che potevano essere considerati i “prodotti di scarto”
durante le reazioni a cascata complementari come C3b, C3bi, C3dg.

RECETTORI COSA VEDONO DOVE SONO I


RECETTORI
CR1: fa un doppio lavoro, in Prevalentemente i C3b Fagociti: interviene nella
quanto interviene pure nella fagocitosi
attivazione del C3b Linfociti B
INATTIVATORE Eritrociti
Podociti
CR2 C3dg Linfociti B: il CR2 è
funzionale a potenziare la
risposta ad antigeni se
questi hanno attivato il
complemento.
CR3 (CD11b / CD18): è C3bi Granulociti: interviene
anche quello che vede l' nella fagocitosi
ICAM delle cellule Fagociti: interviene nella
endoteliali fagocitosi

Tuttavia vi è differenza tra questa opsonizzazione e quella promossa dalle IgG: le IgG
infatti lavorano da sole. Nel batterio (gram negativo) invece la fagocitosi è promossa
dalla presenza stessa dell' LPS.

• FUNZIONE PROINFIAMMATORIA: anche in questo caso entrano in gioco i


piccoli frammenti che si riteneva essere persi per strada. Il ruolo principale in
questo caso è svolto da C5a e C3a: esistono recettori pure per loro, comuni nel
mondo della MOBILITAZIONE CHEMIOTATTICA; sono recettori a 7 eliche
transmembrana. In particolare:

1. C5a : è uno tra i più potenti fattori chemiotattici per i GRANULOCITI


(insieme a IL – 8); il recettore è posto sulla membrana dei macrofagi
circolanti e dei leucociti, che vengono richiamati.

2. C3a : è una sorta di fattore chemiotattico per gli EOSINOFILI, che


entrano in gioco nelle reazioni allergiche e nelle infezioni da parassiti.
Agendo quindi in senso chemiotattico, viene attivato un processo flogistico che
esalta l' attività delle cellule richiamate (ad esempio, una esaltata produzione di
SUPEROSSIDI).

3. Pure il complesso TERMINALE OBLIQUO e non perforante è in grado di


attivare queste cellule. Quindi si può individuare nel complemento anche
una QUARTA FUNZIONE:

• FUNZIONE POTENZIANTE LA RISPOSTA IMMUNITARIA.

Il cross – talk

C' è un collegamento tra il sistema della coagulazione e l' attivazione del


complemento, tanto che fattori come la PLASMINA sono in grado di attivare la
cascata complementare.
In patologia in zone danneggiate dall' azione del complemento è poi possibile
osservare un deposito di fibrina: in questi pazienti per vedere se vi è stata attivazione
del complemento, vedere se è coinvolto nel danno e verificare la fibrinolisi IN VITRO
bisognerà prelevare un campione di PLASMA (non di siero) E CERCARE IN ESSO I
PRODOTTI DI ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO.
Se si usasse il siero, non si distinguerebbe quanto è successo in vivo da quanto è
successo in vitro, ovvero se la coagulazione è avvenuta a causa del complemento o per
altri fattori.

Risvolti medico – clinici

Ricorda che la sequenza della cascata dei fattori complementari è la seguente:

C1q, C1r, C1s, C4, C2, C3, C5, C6, C7, C8, C9

Se si vuole assegnare un RUOLO al complemento in determinate patologie, è


sufficiente osservare che cosa esso non svolge in pazienti con determinati difetti
genetici.
Praticamente esistono casi clinici in cui vi è un deficit o un difetto di TUTTI I
COMPONENTI DEL COMPLEMENTO ECCETTO IL FATTORE B. Quindi:

1) E' possibile andare incontro ad INFEZIONI BATTERICHE: coloro che


mancano di C3 è come se mancassero di IMMUNOGLOBULINE. Pazienti giovani
(bambini) con STORIE RIPETUTE DI POLMONITI, OTITI, MENINGITI,
molto probabilmente presentano danni al complemento.

2) E' possibile andare incontro a PATOLOGIE DA IMMUNOCOMPLESSI


VASCULITICHE (come il lupus eritematoso sistemico): questi pazienti non
sopravvivono oltre i 20 anni e presentano difetti ai componenti C1q, C1r, C1s,
C4.

3) Difetti dal C2 al C9 portano in generale a PATOLOGIE INFETTIVE:

• Difetti al C2 spesso spianano la strada all' Haemophilus Influenzae,


agente eziologico della meningite.
• Difetti dal C3 in poi spesso spianano la strada a Neisseria Meningitidis e
Neisseria Gonorrhoeae.
In generale la meningite batterica si manifesta intorno ai 2 – 3 anni. In
questi casi, invece il primo episodio avviene durante l' adolescenza
(periodo -TEEN) E SI RIPETE.

La terapia contro queste infezioni batteriche consiste in VACCINAZIONI


RIPETUTE.

4) Difetti al C1 INIBITORE sono devastanti: portano infatti all' EDEMA


ANGIONEUROTICO (anche chiamato ANGIOEDEMA EREDITARIO), che si
manifesta con GONFIORI generalizzati a livello di tutte le mucose, tra cui
anche labbra , occhi e glottide. Se si verifica proprio a livello della glottide, la
morte può sopraggiungere per asfissìa.
Spesso il difetto a questo livello non è del gene di per sé, ma del GENE
REGOLATORE; la terapia consiste nello stimolare la produzione della proteina
dal fegato tramite l' utilizzo di ORMONI ANDROGENI ATTENUATI:
somministrandoli cronicamente, si fa tornare il C1 INIBITORE a livelli normali e
queste persone stanno bene (a parte qualche effetto collaterale).

5) Si è già visto come difetto alle GPI ANCHORS per il DAF e il CD59
portino alla PAROSSISTIC NOCTURNAL HAEMOGLOBINURIA.

6) Difetti al FATTORE H sono invece associati a gravi PATOLOGIE


RENALI, come le GLOMERULONEFRITI, in cui si osserva un deposito di
complemento (non più bloccato) sui glomeruli renali: ne consegue insufficienza
renale per blocco della filtrazione. Inoltre il richiamo delle cellule dell'
immunità promuove l' arrivo e il deposito di ulteriori complessi.

La risposta cellulo – mediata

Le cellule effettrici della risposta cellulo – mediata sono i LINFOCITI T


CITOTOSSICI detti anche CTL. Essi sono in grado di uccidere fisiologicamente:

• CELLULE INFETTATE DA VIRUS;


• CELLULE TUMORALI.

Le CTL fanno parte della risposta SPECIFICA, sono presenti fin dalla nascita, ma l'
effetto distruttivo è simile a quello prodotto dalle cellule NK, della risposta naturale.

Anche le CTL sono GIA' presenti in noi quando il virus arriva per la PRIMA
VOLTA: per effetto del riarrangiamento genico, noi siamo in grado di costruire
PICCOLI CLONI di cellule per diverse specificità.

Proprio come avviene a livello dei linfociti B, un clone di CTL dovrà essere in grado di
vedere una data tipologia di antigene, e moltiplicarsi secondo la legge dell' immunità
specifica!

Il contatto CTL – cellula bersaglio

Le CTL, essendo linfociti, presenteranno dei marker di membrana:

• Il TCR, ovvero il recettore tipico del linfociti T;

• Il CD8, il corecettore che li distingue dai T helper.

Il TCR è in grado di riconoscere sulla molecola bersaglio l' ANTIGENE


COMPLESSATO CON l' MHC DI CLASSE I: senza l' MHC il TCR vedrebbe solo
epitopi di pochi amminoacidi.
Ricorda che l' antigene ENDOGENO è processato dalle cellule tumorali e da quelle
infettate da virus ed esposto sulla membrana tramite l' MHC di CLASSE I, proprio
come visto precedentemente nella risposta umorale.
E' necessaria pure una adesione FISICA tra la CTL e la cellula bersaglio, con la
formazione di ponti grosso modo simili a quelli tra le APC e il TCR dei Th.
In definitiva si individua:

• Un PRIMO SEGNALE, SPECIFICO, dato da:

1. TCR che vede l' MHC DI CLASSE I complessato con l' ANTIGENE;

2. CD8 che vede il SOLO MHC DI CLASSE I.

• Un SECONDO SEGNALE, NON SPECIFICO, ma che GARANTISCE L'


ATTIVAZIONE DELLA CTL, dato dal legame tra CD28 (sulla CTL) e il B7 (sul
bersaglio).

A questo punto le CTL sono in grado di proliferare, ma con delle differenze tra la
PRIMA VOLTA CHE VEDONO L' ANTIGENE e LA SECONDA.

Proliferazione delle CTL alla PRIMA veduta dell' antigene

Per proliferare, IN OGNI CASO, le CTL necessitano di :

• IL – 2;

• Recettore per IL – 2, che però quando le CTL non sono attivate è


INCOMPLETO.
Quando le CTL si attivano, COMPLETANO il recettore per IL – 2 fabbricando la
catena CD25, ma alla prima veduta dell' antigene NON RIESCONO A PRODURRE
SUFFICIENTE IL – 2: per questo motivo dovranno intervenire le APC (cellule
dendritiche).

Le cellule dendritiche dovranno prendere in consegna l' antigene tramite l' MHC DI
CLASSE II, ed informare di seguito i LINFOCITI Th1, che prolifereranno buttando
fuori:

• CD25: anche i Th1 completeranno il recettore per IL – 2.

• IL – 2, che verrà sfruttata non solo dagli stessi Th1, MA PURE DALLE CTL,
ORA IN GRADO DI PROLIFERARE.

Proliferazione delle CTL alla SECONDA veduta dell' antigene

Quando le CTL diventano CELLULE DELLA MEMORIA (dalla seconda veduta dell'
antigene in poi) saranno in grado di PRODURRE IL – 2 A SUFFICIENZA PER LA LORO
PROLIFERAZIONE.

Se l' attivazione delle CTL richiede il contatto fisico, allo stesso modo è richiesto il
contatto per l' UCCISIONE DEL BERSAGLIO, che avviene a temperatura ottimale di
37°C con l' aiuto di ioni Ca2+ e Mg2+: è interessante vedere come le CTL si leghino a
un bersaglio, lo uccidano, si stacchino e ne attacchino un altro di seguito.

Parentesi sulle cellule NK

Prima di parlare di come le CTL uccidono, è opportuno analizzare le CELLULE


NATURAL KILLER, sebbene facciano parte dell' immunità naturale: infatti CTL e
cellule NK condividono la medesima metodologia di uccisione.

Le cellule NK non sono selettive per singoli antigeni tumorali, oppure per un dato virus:
esse si dirigono contro TUTTE LE CELLULE INFETTATE DA QUALSIVOGLIA
VIRUS. In ordine temporale quindi un bersaglio è attaccato:

• PRIMA dalle cellule NK;

• POI dalle CTL.

Come già visto, dal punto di vista squisitamente morfologico sono LINFOCITI;
rappresentano circa il 5% del totale linfocitario (fisiologicamente fino al 7%) IN
CIRCOLO, perchè nei tessuti sono molte di più.
Sono prodotte nel midollo osseo e sono molto diffuse: in circolo, nelle mucose e nelle
linfoghiandole. Sono paragonabili ad una sorta di SENTINELLE.
Essendo dell' immunità NON SPECIFICA, NON POSSIEDONO:

• TCR
• CD3
• CD4 o CD8

Presentano però:

• Il CD56 come marcatore, anche se non è abbondante nelle NK CIRCOLANTI;

• Il CD16, ma solo le NK CIRCOLANTI: il CD16 è il recettore a bassa affinità


per il frammento Fc delle IgG presente pure sui fagociti.

• Il RECETTORE per IL – 2, ma solo le subunità β e γ: occorre molta IL – 2 per


attivarle! Il recettore per IL – 2 è in grado di legare pure l' IL – 15, a lei
similare strutturalmente, e anch' essa implicata nella proliferazione delle
cellule NK. L' IL – 15 è prodotta dai fagociti in seguito ad una infezione virale.

Invece le cellule NK presenti sulle mucose presentano:

• MOLTO CD56;

• NON PRESENTANO CD16.

Un esempio di queste cellule NK tissutali sono quelle che nella fase ovulatoria si
accumulano nell' endometrio: il 70% dei linfociti della mucosa endomentriale è
costituito da questa tipologia di linfociti, che non sono propriamente cellule killer, ma
PRODUCONO CITOCHINE come TNF e CSF.

Le cellule NK circolanti

Il suo meccanismo di citotossicità presenta due caratteristiche fondamentali:

1. Essendo della risposta NATURALE, il legame con la cellula bersaglio non avviene
per mezzo dell' MHC; inoltre NON PRESENTANO MEMORIA.

2. La presenza del CD16 favorisce le cellule NK: quando questa vede un anticorpo
sul bersaglio, si trasforma da CELLULA NON AVENTE SPECIFICITA' a
CELLULA CON SPECIFICITA' che dipende dall' anticorpo.
Si parla a tal proposito di ADCC (Antibody Dependent Cellular Cytotoxicity):
citotossicità cellulare anticorpo – dipendente.

Recettori delle cellule NK circolanti


Tuttavia le cellule NK possiedono una gamma POLIMORFICA di recettori di superficie
che consente loro di riconoscere DIRETTAMENTE IL BERSAGLIO senza l'
intervento degli anticorpi; in tal modo esse riescono a distinguere tra cellula normale e
cellula infettata. Si individuano fondamentalmene DUE tipologie di recettori:

• ATTIVATORI: servono ad attivare la cellula NK quando vede una cellula


trasformata;

• INIBITORI: servono a far tacere la cellula NK quando vede una cellula normale.

Si pensa che questi recettori siano gli stessi (ovvero lo STESSO recettore può
funzionare SIA DA ATTIVATORE CHE DA INIBITORE), e rientrano in due
categorie:

• KIR (Killing Inhibitory Receptors), della famiglia delle immunoglobuline: si


individua un SISTEMA POLIMORFICO di KIR, che è in grado di vedere l' MHC
DI CLASSE I. Quando lo vedono, ovvero quando vedono un “amico”, vuol dire
che la cellula bersaglio è normale la cellula NK è messa a tacere.
Le cellule tumorali, per non farsi riconoscere dal SISTEMA SPECIFICO, devono
perdere l' espressione dell' MHC di CLASSE I (il fenomeno viene chiamato
MISSING SELF) sulla superficie, altrimenti ci sarebbe il rischio che questo esponga
gli ANTIGENI TUMORALI.
Tuttavia questo è sentito dalle cellule NK!

• DI TIPO LECTINICO.

Il sistema di questi recettori è altamente polimorfico, e oggi nei trapianti si dà


sempre più peso a questi polimorfismi.

Come le CTL e le cellule NK uccidono

Premesso che è SEMPRE necessario il contatto, l' uccisione del bersaglio avviene con
DUE metodologie:

1) Con un sistema di PERFORINE contenute in granuli nelle CTL e nelle NK:


quando avviene il contatto e si ha il via libera per l' uccisione, questi granuli
vengono liberati.
L' effetto complessivo delle perforine è simile a quello del C9: polimerizzando, viene a
crearsi un PORO che causa la DISTRUZIONE OSMOTICA DELLA CELLULA. L' unica
differenza con il C9 sta nel fatto che il poro NECESSITA DI Ca2+ per potersi
generare.
2) Tramite INDUZIONE DI APOPTOSI alla cellula bersaglio, per la quale pure
sono coinvolti recettori di membrana. Complessivamente si assiste ad una serie
di eventi:

• La cellula effettrice butta fuori una molecola, FAS – LIGANDO, che


interagisce con il FAS presente sulla cellula bersaglio;
• La cellula effettrice utilizza GRANZIMI (enzimi dei granuli) che
inducono fenomeni apoptotici;
• La cellula effettrice produce CITOCHINE come il TNF, in grado pure di
indurre fenomeni apoptotici. Ricorda che:

1. Il TNF - α ha una funzione PROINFIAMMATORIA;

2. Il TNF – β è chiamato pure LINFOTOSSINA e ha funzione


proapoptotica.

Entrambe i TNF (di membrana, ma possono staccarsi e diventare solubili),


anche se con funzioni differenti, agiscono sul medesimo recettore, TNF
RECEPTOR – 1.
Questo recettore possiede alla base dei domini denominati DD (Death
Domains), con SEQUENZE SPECIFICHE in grado di attivare la CASCATA
DELLE CASPASI, il fenomeno che più di tutti porta alla morte cellulare
programmata.
La cascata delle caspasi può essere attivata anche da un aumento della
concentrazione intracellulare di calcio, promosso da una attivazione dell'
IP3: ad attivare l' IP3 ci pensa il CITOCROMO C, liberato dai mitocondri
delle cellule bersaglio in risposta a stimoli proapoptotici.

Gli effetti finali dell' apoptosi comprendono:

• Una continuata attività delle POMPE ( a differenza della necrosi, dove


queste smettono di funzionare).

• Un meccanismo di FLIP FLOP della mambrana citoplasmatica: la


FOSFATIDILSERINA passa dall' INTERNO (dove è sita sempre) all'
esterno della cellula e RISULTA POSSIBILE VEDERLA.

• Il DNA si frammenta.

• Il nucleo diventa PICNOTICO: ovvero diventa PICCOLO, DENSO, e


perde la cromatina.

La differenza fondamentale con la NECROSI sta nel fatto che quest' ultima provoca
un riversamento all' esterno di molte molecole, tra cui ANTIGENI, che possono
richiamare cellule dell' immunità e promuovere fenomeni infiammatori; tutto questo
con l' apoptosi non avviene.

Considerazioni

L' antigene quindi gioca un ruolo fondamentale:

• Nella risposta cellulo – mediata;

• Nella risposta umorale anticorpale;

• Nella risposta cellulo – mediata infiammatoria.

NON GIOCA un ruolo fondamentale invece con le PARASSITOSI, dove la parte del
gigante la fanno le IgE.

D' altro canto, esistono pure altre situazioni dove l' espressione di antigeni sulla
superficie cellulare non avviene: è il caso di taluni BATTERI ENDOCELLULARI
OBBLIGATI (come le LISTERIE o le CLAMIDIE), oppure batteri con parere cellulare
molto spessa e resistente (MICOBATTERI), in grado di opporre notevole resistenza.
Questi microrganismi vengono regolarmente fagocitati, ma dentro ai macrofagi
“dormono”:

• Instaurando il più delle volte un meccanismo che blocca la fusione del fagosoma
con il lisosoma;

• NON FACENDO ESPRIMERE ALCUN TIPO DI ANTIGENE sulla superficie


della cellula ospite: in tal caso bisogna spingere i macrofagi ad essere PIU'
AGGRESSIVI, NUMEROSI, e GRANDI. La risposta che ne segue è una risposta
simil – infiammatoria, come avviene nella tubercolosi, che serve a circoscrivere
l' ambiente.

La difesa dai batteri

I batteri sono in grado di indurre risposte molto differenti da batterio a batterio,


questo perché possono presentare strutture notevolmente differenti tra loro. Si
individuano infatti:

• BATTERI GRAM POSITIVI:

1. Presentano una parete più sottile rispetto ai gram negativi, MA CON


UNO STRATO DI PEPTIDOGLICANO PIU' CONSISTENTE.
2. La parete risulta perforabile dal LISOZIMA;

3. Producono ESOTOSSINE: da menzionare sono quelle del


Corynebacterium Diphteriae (agente eziologico della DIFTERITE) e del
Clostridium Tetani . Le esotossine, essendo proteiche, risultano buoni
antigeni.

• BATTERI GRAM NEGATIVI:

1. Presentano una parete notevolmente più spessa, composta da


MEMBRANA INTERNA, uno strato di PEPTIDOGLICANO meno spesso
rispetto ai gram positivi, un MEMBRANA ESTERNA.

2. Sulla membrana esterna è presente il LIPOPOLISACCARIDE (LPS), la cui


parte lipidica (LIPIDE A) corrisponde all' ENDOTOSSINA, in grado di
portare allo SHOCK ENDOTOSSINICO; la parte saccaridica corrisponde
all' ANTIGENE SOMATICO ed essendo zuccherina non è un buon
antigene.

3. E' possibile suddividere i batteri gram negativi in due categorie:

• SMOOTH: la membrana esterna presenta LPS con MOLTE


RAMIFICAZIONI che conferiscono notevole protezione e una
superficie liscia. Le ramificazioni sono funzionali a tenere lontano
dalla membrana esterna i pericoli.

• ROUGH: la membrana esterna presenta LPS con POCHE


RAMIFICAZIONI che conferiscono poca protezione e una
superficie “rugosa”.

Molti batteri sono SAPROFITI e , al di là del senso stretto del termine (saprofita:
batterio che si nutre di materia organica non vivente), questi sono in grado di
convivere pacificamente con noi e produrre sostanze utili al nostro organismo: basti
pensare alla vitamina K prodotta dalla flora intestinale.
Proprio a livello intestinale questi batteri sono siti NELLA VALLE dei villi intestinali.

Per entrare nelle mucose...

Per entrare nelle mucose i batteri hanno due possibilità:

• O buttano fuori delle tossine in grado di LEDERE L' EPITELIO;

• O tramite l' ADESIONE FIMBRIALE.


Sulle mucose sono site però le IgA (DIMERICHE), in grado di:

• Neutralizzare le tossine;

• Impedire l' adesione fimbriale: in tal modo esse riescono a difenderci


localmente.

• Agglutinare i batteri: in tal modo poi sarà più facile espellerli tramite il sistema
MUCOCILIARE (nell' apparato respiratorio).

Sulle mucose sono site pure le DEFENSINE.

Se riescono ad entrare...

Qualora i batteri riescano a superare la barriera delle mucose, al di là troveranno:

• MACROFAGI, richiamati in loco da fattori chemiotattici quali:

1. Il FORMILPEPTIDE prodotto dai batteri;

2. Fattori COMPLEMENTARI come il C5a (per i fagociti).

I macrofagi riconoscono il batterio poi tramite:

1. Recettori per il MANNOSIO e il GLUCANO.

2. Recettori per l' LPS.

• POLIMORFONUCLEATI, richiamati in loco da:

1. Citochine prodotte dai macrofagi in attività fagocitica: IL – 1 e TNF -


α;

2. Citochine prodotte dall' endotelio, attivato dalla presenza dell' LPS: IL –


8.

• COMPLEMENTO, che porterà alla LISI i GRAM NEGATIVI, e all'


OPSONIZZAZIONE dei GRAM POSITIVI.
L' attivazione del complemento TRAMITE LA VIA CLASSICA dipende anche da
quante volte il batterio è stato visto dal nostro sistema immunitario:

1. SE ENTRA PER LA PRIMA VOLTA, interverranno le IgM. Sebbene


queste siano ottime attivatrici del complemento, NON SONO SITE AL
DI FUORI DEI VASI nella forma pentamerica: NON SI AVRA'
ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO!
2. SE ENTRA PER LA SECONDA VOLTA, interverranno le IgG, più
numerose. Queste sono site anche in territori extravascolari, per cui SI
AVRA' ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO.

Complessivamente, si osserverà:

• Una LEUCOCITOSI RELATIVA, in quanto si mobilizzano i neutrofili periferici,


e il midollo è stimolato a produrne di nuovi.

• Un aumento delle PROTEINE DELLA FASE ACUTA, in particolare della


PROTEINA C REATTIVA.

Strategie batteriche di evasione della risposta immunitaria

1. Già a livello delle mucose batteri come le NEISSERIE possiedono delle proteasi
in grado di rompere le IgA: ricorda che le IgA1 sono le più suscettibili alla
rottura, possedendo una regione cerniera più lunga rispetto alle IgA2.

2. Una volta penetrati, i batteri sono in grado di sviluppare una CAPSULA


(generalmente polisaccaridica (acido sialico o altri), ma nello
STREPTOCOCCUS PYOGENES di acido ialuronico, in PSEUDOMONAS
AERUGINOSA di alginato, ma pure di natura proteica: BACILLUS
ANTHRACIS la possiede di glutammato): questa capsula ha funzioni
squisitamente ANTIFAGOCITICHE.

3. Per i GRAM NEGATIVI si individua a livello della membrana esterna il sistema


SMOOTH e ROUGH precedentemente analizzato.

4. Una funzione antifagocitaria e adesiva la svolge pure la PROTEINA M dello


STREPTOCOCCUS PYOGENES: questa proteina è resistente a ph acido e
termostabile.

5. Qualora il batterio venisse fagocitato, può sempre impedire la fusione del


fagosoma con il lisosoma, ovvero impedire la formazione del FAGOLISOSOMA,
come avviene nel caso del MICOBACTERIUM TUBERCULOSIS.

La difesa dai virus

A differenza dei batteri, che sono potenzialmente in grado di attecchire su tutte le


cellule, i virus penetrano solo nelle cellule che possiedono SPECIFICI RECETTORI.
Si individuano diverse tipologie di virus: A DNA (mono o bicatenario), a RNA (mono o
bicatenario); se a RNA, poi la POLARITA' del genoma può essere POSITIVA (l' rna
può essere sfruttato come mrna direttamente) o NEGATIVA (l' rna non può
funzionare come mrna).

Recettori virali sulle cellule ospiti

Come si può notare dalla seguente tabella, sono recettori utilizzati dalle cellule per
SCOPI FISIOLOGICI:

Virus Recettore sulla cellula Cellula attaccata


bersaglio
HIV CD4 Linfociti Th ma non solo:
cellule del timo e della
GLIA
Virus di Epstein – Barr : è CR2: già visto a proposito Linfociti B
l' agente eziologico: del complemento, è anche il
• della recettore per il frammento
MONONUCLEOSI C3dg
• del LINFOMA DI
BURKITT
• del CARCINOMA
NASOFARINGEO
Virus del morbillo CD46 o MCP: già visto a Linfociti T
proposito del complemento,
è uno dei cofattori del C3b
inattivatore
Rhinovirus ICAM - 1 Molti tipi di cellule

Differenti tipi di infezione virale

E' possibile individuare per una infezione virale una FASE PRODROMICA in cui non si
presentano né sintomi né segni clinici di rilevanza.
Si possono distinguere, a seconda del VIRUS e del TARGET:

1) INFEZIONI ACUTE: è il caso dei virus influenzali;

2) INFEZIONI CON LATENZA LUNGA: è il caso dei virus erpetici;

3) INFEZIONI CRONICHE: è il caso dell' epatite, dove si individuano pure fasi


acute, ma dopo che il virus è giunto nel territorio di competenza, salta fuori di
tanto in tanto.
4) INFEZIONI CRONICHE IN SENSO ASSOLUTO.

Se riescono ad entrare...

Possono entrare attraverso il sangue, ma sono casi circoscritti solo a determinate


tipologie di virus (come l' HIV e il virus dell' epatite B); oppure più frequentemente
attraverso le mucose.
Ma già a livello delle mucose, come osservato con i batteri, si hanno le prime barriere,
rappresentate da IgA e DEFENSINE: le IgA agiscono LEGANDO il virus prima che
questo attecchisca alla mucosa.

SE RIESCONO AD ENTRARE nelle cellule, la strategia adoperata per arginare l'


infezione virale è rappresentata dagli INTERFERONI. Il sistema degli interferoni:

• Fa parte del SISTEMA NON SPECIFICO;

• Non viene adottato tanto per salvare la cellula infettata, QUANTO PER
DIFENDERE LE ALTRE CELLULE;

• Si individuano TRE tipi di interferoni: IFN - α e IFN - β, ovvero gli


interferoni NATURALI, e IFN – γ ovvero l' interferone IMMUNE, prodotto
dai LINFOCITI Th1.

Il meccanismo di azione degli interferoni consiste sostanzialmente nell' attivare un


sistema molecolare in grado di BLOCCARE la replicazione virale all' interno delle
cellule. L' IFN induce la sintesi di un enzima, la OLIGOADENILATO SINTETASI,
che tramite una cascata di eventi va ad attivare delle ENDONUCLEASI cellulari che
LISANO l' RNA VIRALE.
Tuttavia il meccanismo degli interferoni è un meccanismo NON SELETTIVO: pure il
midollo osseo è sensibile all' azione dell' interferone (perché ivi vi son cellule in attiva
proliferazione): ne consegue che SI PUO' AVERE COME RISULTATO UNA LIEVE
MIELODEPRESSIONE, in particolare delle PIASTRINE (piastinopenìa).

Altre funzioni dell' interferone

• Può accelerare la risposta immunitaria favorendo lo SWITCH ISOTIPICO


verso la produzione di IgG;

• Nella presentazione dell' antigene, può FAR AUMENTARE l' espressione delle
molecole di MHC DI CLASSE I e II sulla superficie cellulare; il pericolo in
questo caso sta nel fatto che in individui con MALATTIE AUTOIMMUNI
IN ATTO o LATENTI, la sovraespressione dell' MHC è una SERIA
CONTROINDICAZIONE: ecco perché malattie virali contratte da questi
soggetti sono molto pericolose.

Come vengono uccise le cellule infettate

Tuttavia, per eradicare l' infezione E' CONDIZIONE NECESSARIA L' UCCISIONE
DELLE CELLULE INFETTATE, non vi è altro verso! E questo avviene tramite:

• CELLULE NK: rappresentano la PRIMA DIFESA in ordine temporale, e sono


funzionali ad arginare l' infezione, prima che entri in causa il sistema specifico
(i cloni di CTL devono moltiplicarsi!); le NK quindi non concludono il lavoro.
Inizialmente sono poche, ma possono moltiplicarsi sotto opportuni stimoli: si sa che
possiedono il recettore per IL – 2 nella sua forma incompleta, per cui servirà
MOLTA IL – 2 per far si che si moltiplichino. Ricorda che interviene anche la IL – 15.
Si può intuire che INIZIALMENTE esse riconosceranno DIRETTAMENTE il
bersaglio grazie ai loro recettori di membrana; IN SEGUITO interverrà anche la
ADCC, in quanto SOLO SUCCESSIVAMENTE vi sarà la produzione di anticorpi.

• CTL: compaiono dopo le NK, sono già presenti in un numero sparuto, devono solo
attivarsi e moltiplicarsi, ma serve del tempo!
Tuttavia le CTL NON VANNO A SETACCIARE IL TERRITORIO subito: devono
essere informate del PRIMO arrivo del virus nelle ghiandole linfoidi, insieme ai Th e
alle APC.
Le APC possiedono sia l' MHC DI CLASSE I che quello di CLASSE II, grazie al quale
viene presentato l' antigene:

1. L' MHC di CLASSE I può essere DIRETTAMENTE VISTO DALLE CTL;

2. L' MHC di CLASSE II ha bisogno dell' interposizione dei Th1.

Dopodichè, una volta moltiplicate, vanno in giro a cercare l' antigene.

• ANTICORPI (immunità umorale); compaiono QUASI


CONTEMPORANEAMENTE ALLA RISPOSTA CELLULO – MEDIATA DELLE
CTL e sono funzionali a :

1. Provocare la distruzione via complemento DIRETTAMENTE DEL VIRUS


quando questo esca dalla cellula a dare VIREMIA;

2. Provocare la LISI della cellula infettata sempre VIA COMPLEMENTO;

3. Promuovere la ADCC.
Vaccinazioni, sieroprofilassi, immunoterapia

Sieroprofilassi

E' definita come la SOMMINISTRAZIONE PASSIVA DI ANTICORPI A PARTIRE


DALL' INIZIO DELL' INFEZIONE. E' chiamata pure IMMUNIZZAZIONE
PASSIVA. E' possibile somministrare anticorpi contro:

• Agenti infettanti quali:

1. Rhabdovirus, l' agente eziologico della rabbia. La somministrazione


avviene per via parenterale parte intragluteo e parte intorno al morso
dell' animale;

2. Clostridium Tetani: in realtà la sieroprofilassi in questo caso non è


diretta tanto contro il batterio, quanto contro la TOSSINA TETANICA,
nel tentativo di diluirla prima che essa raggiunga il suo recettore.
Tuttavia questa pratica, che comunemente veniva chiamata
ANTITETANICA, oggi è sostituita con la vaccinazione, che induce la
memoria;

3. Agenti o situazioni diffuse, come il morso della vipera: in tali casi la


sieroprofilassi permane come metodologia di cura.

Vaccinazione

E' definita come la SOMMINISTRAZIONE DELL' ANTIGENE contro cui ci si vuole


immunizzare: questo antigene verrà visto dal nostro sistema immunitario, che
conserverà MEMORIA per esso nel caso in cui comparisse una seconda volta. E' detta
anche IMMUNIZZAZIONE ATTIVA.
La comparsa delle vaccinazioni ha fatto crollare malattie quali:

• Poliomielite;
• Morbillo;
• Rosolia;
• Parotite;

...e molte altre. Il VAIOLO è malattia debellata totalmente dal 1977.


Affinchè una vaccinazione risulti efficace, bisogna vaccinare almeno il 90% della
popolazione: l' obiettivo è duplice, in quanto non solo si cerca di PROTEGGERE dalla
malattia, ma pure di ERADICARLA.
Va detto anche che di per sé la miglior vaccinazione risulta essere la manifestazione
tranquilla e spontanea delle infezioni, ma è ovvio che questo non succede sempre!
Quindi l' immunizzazione attiva la si ottiene tramite:

• L' infezione naturale;

• L' “infezione” artificiale, ovvero la somministrazione di:

1. ANTIGENI MICROBICI;
2. MACROMOLECOLE MICROBICHE PURIFICATE;
3. PEPTIDI SINTETICI;
4. ANTICORPI ANTI IDIOTIPO;
5. MICRORGANISMI INATTIVATI O UCCISI;
6. MICRORGANISMI ATTENUATI, che mimano la malattia.

E' in corso la possibilità di fare dei VACCINI A DNA, ma questa operazione si sta
ancora vagliando con cura.

Le vaccinazioni in Italia
Il problema generale sta nel far passare le vaccinazioni da OBBLIGATORIE a
VOLONTARIE, ovvero far rendere conto alle persone che di fronte alle MINIME
possibilità di CONTROINDICAZIONI di un dato vaccino, ne VALE LA PENA farlo.
Bisogna anche rendersi conto che però persone con problemi già di per sé saranno
MAGGIORMENTE SUSCETTIBILI al vaccino.

I vaccini OBBLIGATORI e ABITUALI in Italia sono per:

• La POLIOMIELITE: a 2 mesi;

• DIFTERITE, PERTOSSE, TETANO: a 2 – 4 mesi;

• MORBILLO, PAROTITE, ROSOLIA: a 15 mesi; in realtà la vaccinazione non


viene fatta tanto per il morbillo, quanto per le complicanze (PORPORA
TROMBOCITOPENICA e PANENCEFALITE SCLEROSANTE SUBACUTA);

I vaccini OPTIONAL dipendono da diversi fattori (il lavoro dell' interessato, le leggi..)
e sono per:

• La TUBERCOLOSI (TBC): in Italia non è obbligatorio, ma è CONSIGLIATO per


le persone che sono spesso a contatto con il pubblico; il BCG (Bacillo di
Calmette – Guerìn) è il vaccino contro la TBC, ma più che un vero e proprio
vaccino, POTENZIA LA RISPOSTA IMMUNITARIA, dato che si tratta di un
BACILLO che presenta solo antigeni SIMILI al micobatterio della tubercolosi.

• L' EPATITE B: consigliato a personale sanitario, maschi omosessuali,


tossicodipendenti, persone che vivono a contatto con PORTATORI SANI:
questo perchè il virus si trasmette per via ematica.

• FEBBRE GIALLA, EPATITE A, COLERA;

• POLMONITE LOBARE FRANCA da STEPTOCOCCUS PNEUMONIAE;

• VIRUS della VARICELLA - ZOSTER (VZV).

Preparazioni per i vaccini

Il vaccino per la poliomielite riassume la filosofia con cui si cerca di agire


somministrando il MICRORGANISMO:

• Il vaccino SALK, iniettato per via parenterale, consisteva nell' inoculazione del
MICRORGANISMO MORTO.
• Il vaccino SABIN invece simula più da vicino la malattia in quanto consiste nella
somministrazione PER VIA ORALE del microrganismo a cui è STATO FATTO
PERDERE IL NEUROTROPISMO: il vaccino attenuato rimane sempre il miglior
vaccino, FERMO RESTANDO che ad un immunodepresso non li si
somministrerà MAI.

La ricerca immunologica comunque conduce sempre di più verso l' utilizzo di


ANTIGENI PURI, sebbene questi non simulino da vicino la malattia. Questi antigeni:

• Devono essere VITALI PER IL BATTERIO: possono essere usate proteine di


trasporto ad esempio;

• Per due categorie batteriche, HAEMOPHILUS INFLUENZAE e


STREPTOCOCCUS PNEUMONIAE l' antigene è disponibile solo in forma
POLISACCARIDICA (oggi si usa il VACCINO TETRAVALENTE, dove si
utilizzano gli antigeni del meningococco A e B, uniti ad antigeni di altri due ceppi
rari). Ma lo svantaggio degli antigeni polisaccaridici è duplice:

1. Sono antigeni T INDIPENDENTI, per cui si avrà una risposta solo IgM
mediata, con tutti i limiti delle IgM;

2. Essendo antigeni T INDIPENDENTI la memoria per loro dura molto poco,


per cui bisogna fare i richiami MOLTO FREQUENTEMENTE.

La soluzione sta nell' aggiungere un PEPTIDE, in tal modo verranno coinvolti pure i Th,
che promuoveranno lo switch da IgM a IgG.

Gli adiuvanti

Sono sostanze dallo scarso potere immunogenico che vengono spesso associate al
vaccino, aiutandolo a funzionare meglio:

• Perchè FANNO RILASCIARE LENTAMENTE l' antigene;


• Perchè creano uno STATO DI PREATTIVAZIONE.

Si possono usare a tal proposito EMULSIONI, o GEL, oppure SOSTANZE OLEOSE.


Oggi come oggi per l' uomo si utilizza lo SQUALENE, sostanza per cui NON SONO
MAI STATI RITROVATI ANTICORPI contro.
Tuttavia questa sostanza è stata al centro di numerose discussioni in quanto spesso
associata ad altre patologie quali la SCLEROSI MULTIPLA (in cui viewne
progressivamente a mancare la componente mielinica dei nervi) e la MALATTIA DEL
GOLFO.

Immunoterapie aspecifiche
Sono definite come MANIPOLAZIONI DEL SISTEMA IMMUNITARIO per
modificare lo stato allergico di una persona; è IRRILEVANTE nelle malattie infettive
e si utilizza QUANDO LA PATOLOGIA (anche un tumore) è GIA' IN ATTO.

Si utilizza a tal proposito:

• INTERFERONI: per terapie ANTIVIRALI e ANTITUMORALI. Sono gli unici


prodotti antitumorali attualmente presenti come prodotto commerciale;

• BLOCCANTI DI ALCUNE CITOCHINE INFIAMMATORIE: si usano nelle


complicanze da shock settico.

Maturazione delle cellule immunocompetenti

Le cellule immunocompetenti nascono nel midollo osseo dalle STEM CELLS (CELLULE
STAMINALI).
Si individuano QUATTRO LINEE cellulari:

1. ERITROIDE, il cui growth factor è l' EPO;

2. PIASTRINICA, il cui growth factor è la TROMOBOPOIETINA;

3. MIELOIDE – MONOCITICA, per cui si individuano tre fattori di crescita:

• GM – CSF: Granulocyte – Macrophage Colony Stimulating Factor;


• G – CSF: Granulocyte Colony Stimulating Factor;
• CSF – I: Fattore di attivazione dei macrofagi.

4. LINFOCITARIA, per la cui maturazione intervengono pure IL – 3 , IL – 6 e IL


– 7.

Si parla a tal proposito di un sistema STOCASTICO (ovvero variabile), in quanto


alcune tipologie cellulari DIFFERENZIERANNO (es. nelle diverse linee linfocitarie),
altre MATURERANNO (presa una linea linfocitaria, la cellula si svilupperà per quella
linea, es. LINFOCITA B).

Nel midollo osseo poi si osserva un fenomeno interessante: il rapporto LEUCOCITI /


ERITROCITI è a favore dei primi a differenza di quanto avviene in circolo. Questo
perchè i globuli bianchi presentano una emivita molto minore rispetto ai rossi, quindi
per compensare il midollo dovrà produrne di più!

La maturazione dei Linfociti B


Il loro sviluppo nell' uomo INIZIA E FINISCE nel midollo osseo; è essenziale
conoscere le diverse fasi della maturazione dei B linfociti se in un paziente si hanno
sospetti di LEUCEMIE, LINFOMI o IMMUNODEFICIENZE: è critico infatti sapere
A CHE PUNTO si ferma lo sviluppo.

Si individuano tappe progressive:

1) CELLULE STAMINALI, dove si individuano i seguenti marcatori:

• CD19, che però inizia a comparire piuttosto tardi;


• MHC di classe II.

2) CELLULA PRO – B;

3) CELLULA PRE – B, dove si individuano:

• Il CD20;
• Il CD40;
• Inizia il RIARRANGIAMENTO GENICO DEL cromosoma 14: verranno accostati
i segmenti V, D e J scelti a dare il VDJm; successivamente si accosterà il
segmento C, si avrà trascrizione a mRNA, e si formerà la CATENA PESANTE μ,
la quale non uscirà ancora fuori perché la catena leggera deve essere ancora
costruita!

4) CELLULA B IMMATURA:

Nella tappa successiva verrà aggiunta la CATENA LEGGERA (κ o λ): a questo punto la
cellula B ANCORA IN MATURAZIONE è in grado di esporre sulla superficie le IgM.
Ma la cellula non è ancora matura! Tuttavia questo non vuol dire che non possa vedere
l' antigene, in quanto sono già presenti le IgM: ovviamente, qualora lo vedesse, non
sarebbe in grado di rispondergli ma il fenomeno della MANCATA RISPOSTA DEI B è
transitorio e dura poco.

5) CELLULA B MATURA:

La patente di cellula B matura è data dall' espressione delle IgD.

Considerazioni

Le fasi 1, 2, 3, 4, 5 avvengono ancora nel grembo della madre e rappresentano le fasi


di maturazione ANTIGENE INDIPENDENTE, ovvero tramite il riarrangiamento
casuale dei geni.
La fase ANTIGENE DIPENDENTE compare quando sulla membrana cominceranno a
comparire le IgG, segno che è avvenuto lo switch isotipico che DIPENDE DALL'
ANTIGENE. La trasformazione da B ATTIVATI in PLASMACELLULE è promossa dall'
IL – 6, che risulta essere elevata come marker di MIELOMA MULTIPLO, ovvero un
tumore delle plasmacellule.

La distribuzione dei linfociti B aventi IgM rispetto a quelli aventi IgG di superficie è
DIFFERENTE rispetto alla concentrazione di queste immunoglobuline DA SOLE in
circolo:

• Si denota infatti una PREVALENZA DI LINFOCITI B con IgM;


• In circolo invece la [IgM] è pari a 2 mg/ml; la [IgG] è pari a 10 mg/ml.
Linfociti B1 e B2

Le Igm quindi, in base a quanto detto prima, possono essere:

• O NATURALI;
• O prodotto di uno stimolo da ANTIGENE T INDIPENDENTE.

Dove sta la differenza? Sono semplicemente il prodotto di due tipi cellulari di linfociti
B differenti:

• I linfociti B1 producono ANTICORPI NATURALI (non occorre lo stimolo


antigenico); il loro TITOLO rimarrà COSTANTE;

• I linfociti B2 (o CD5+, vedi sotto) producono ANTICORPI IMMUNI (sotto


stimolo antigenico); il loro TITOLO varierà in funzione dell' antigene.
Tuttavia, finora non si ha in mano nulla che ci consenta di distinguere i B1 dai B2:
questo qualcosa c' è ed è un marker che SCOMPARE NEI B1, ma PERMANE NEI B2,
ovvero il CD5.
Nella LEUCEMIA LINFATICA CRONICA quasi tutti i linfociti reclutati sono B2
CD5+: questo spiega perchè in forme tumorali come questa NON VI è
IMMUNODEPRESSIONE, bensì malattie autoimmuni, quali l' ANEMIA o la
TROMBOCITOPENIA AUTOIMMUNE.

La maturazione dei linfociti T

I linfociti T nascono nel midollo, quindi ivi avviene anche l' inizio della loro
maturazione; dopodichè questa terminerà a livello del TIMO.
Nella maturazione intervengono i precedentemente citati fattori di crescita: IL – 3 e
IL – 7 (ed eventualmente gli opportuni CSF).

A differenza dei linfociti B, che devono riarrangiare i propri geni per le Ig, i T in
maturazione dovranno fabbricare il TCR IN ASSENZA DI ANTIGENE, ovvero
CASUALMENTE: il pedaggio da pagare per questa casualità è la eventuale produzione
di CLONI AUTOIMMUNI.
E proprio qui si estrinseca l' intima funzione del timo: ovvero quella di attuare
CONTROLLI SERRATI, in modo da far maturare e far passare solo i linfociti T buoni,
bloccando al contempo quelli autoaggressivi.

Il timo

Il timo nasce dalla associazione tra la TERZA TASCA FARINGEA e la TERZA e


QUARTA FESSURA BRANCHIALE: in tal modo si origina un primo rudimento timico.
E' un organo LINFATICO PRIMARIO, RETROSTERNALE LINFOEPITELIALE, in
quanto possiede sia elementi (cellule) epiteliali, che linfoidi.

E' possibile, nel bambino, mediante una radiografia toracica, osservare una OMBRA
STERNALE, che nel tempo va via via restringendosi: il timo ha il suo massimo
splendore nei primi anni di vita!

Il timo è formato da due lobi, ciascuno dei quali è avvolto da una capsula connettivale
fibrosa da cui si staccano sepimenti che suddividono l' organo in LOBULI. Ogni lobulo
possiede:

• Una zona CORTICALE periferica, formata da TIMOCITI (linfociti T in


maturazione), CELLULE EPITELIALI e MACROFAGI;
• Una zona MIDOLLARE centrale, formata da TIMOCITI MATURI, e CELLULE
EPITELIALI di tipo SIMIL – DENDRITICO, che vanno a formare i
CORPUSCOLI DI HASSAL.

Sono presenti nell' organo inoltre CELLULE STROMALI, nutrici, in grado di produrre
ormoni quali la TIMOPOIETINA, in grado di nutrire i timociti.
Il 95% circa dei linfociti che passano per di qui è destinato a morire per apoptosi, una
morte necessaria alla selezione dei migliori linfociti.

Processi di maturazione

Al timo giungono i linfociti T dal circolo, ancora in forma altamente immatura, e nel
timo i T in maturazione saranno chiamati TIMOCITI. La PERMANENZA NEL TIMO
sarà garantita da particolari molecole di superficie (NOTCH) sulla superficie dei T.

A questo punto può partire la maturazione, che come quella dei linfociti B, prevede
diversi stadi, con diverse proteine che compaiono VIA VIA! Al solito questi marker
sono utili per etichettare le varie forme di LINFOMI, distinguendoli in tal modo dai B
LINFOMI, e per vedere a che STADIO CELLULARE si trova la leucemia in atto;
ricorda che a DIVERSI STADI, CORRISPONDONO DIVERSE TERAPIE:

1) CELLULA STAMINALE, dove si individua:

• C – KIT, molecola di superficie che si mantiene fino a un certo punto dello


stadio PRO – T, poi scompare!

2) CELLULA T PRECURSORE, dove si individua, IN ORDINE TEMPORALE, LA


COMPARSA DI:

• TdT: Terminal – Deossi – Transferasi, enzima che compare nella fase precoce.
Successivamente scompare!
• RAG: l' enzima necessario per la ricombinazione dei VDJ scelti!
• Catena BETA del TCR (gamma nella minoranza);
• Catena ALFA del TCR (delta nella minoranza);
• CD25;

Le cellule T in maturazione a questo punto sono chiamate ancora DOUBLE NEGATIVE,


perché NON PRESENTANO NE' l' espressione del CD4 né del CD8.

• Corecettori del TCR (CD4 e CD8, che compaiono solo in seguito, come si vedrà
tra poco);
CD4 o CD8 ?

In una fase successiva i linfociti T in maturazione diventeranno DOUBLE POSITIVE,


e a questo punto entra in gioco il timo come organo selezionatore! Si parlerà di:

• SELEZIONE POSITIVA: quando i linfociti T passeranno il controllo imposto dal


timo.
• SELEZIONE NEGATIVA: quando i linfociti T non passeranno il controllo
imposto dal timo, e dovranno morire per fenomeni apoptotici.

Va detto che la selezione DIPENDE DALLA BONTA' DEL TCR POSSEDUTO DAI T. A
presiedere i controlli saranno proprio le CELLULE STROMALI precedentemente
citate!

Per i linfociti Th

Bisognerà testare la bontà del TCR con un MHC di classe II, posseduto dalle CELLULE
DENDRITICHE (APC). Ed è proprio quello che avviene, sotto il rigido controllo delle
cellule stromali. Il controllo prevede:
• Il riconoscimento da parte del TCR dell' MHC DI CLASSE II; se non lo
riconoscono vengono UCCISI.

• Il riconoscimento da parte del TCR di un ANTIGENE SELF complessato con l'


MHC DI CLASSE II: se il legame è troppo affine, significa che vedono il self
troppo bene, rappresentano quindi un rischio, e vengono UCCISI; se il legame
è a bassa affinità, significa che vedono l' MHC di classe II e POCO l'
antigene self: POSSONO PASSARE.

Quindi MUORE chi NON VEDE l' MHC DI CLASSE II o CHI VEDE TROPPO
BENE L' ANTIGENE SELF!

Le cellule che passeranno questo controllo, perderanno il CD8: rimarrà solo il CD4.

Per i linfociti Tc

Bisognerà testare la bontà del TCR con un MHC di classe I, posseduto dalle CELLULE
EPITELIALI. Ed è proprio quello che avviene, sotto il rigido controllo delle cellule
stromali.

Il processo uguale a quello riportato per i linfociti Th. In questo caso le cellule che
passeranno MANTERRANNO IL CD8 e perderanno il CD4.

Considerazioni

Il lettore attento avrà capito che nel timo, per quanto vi possa arrivare una
daterminata varietà di antigeni da far testare ai linfociti T, NON VI SARANNO MAI
GLI ANTIGENI SPECIFICI DEI SINGOLI ORGANI.
Questo significa che passeranno linfociti con potenziale di legame per antigeni lontani,
e che quindi ci dovrà essere UN RIGIDO CONTROLLO ATTUATO PURE IN
PERIFERIA. Tale controllo verrà a mancare nelle MALATTIE AUTOIMMUNI.
Modulo di
immunopatologia

Introduzione

Esistono fondamentalmente DUE tipi di immunopatologie:


• Le IMMUNODEFICIENZE; queste a loro volta si suddividono in:

1. Immunodeficienze PRIMITIVE: possono essere territorio dei pediatri,


perchè si manifestano precocemente, essendo il difetto INTRINSECO al
sistema immunitario.
2. Immunodeficienze ACQUISITE o SECONDARIE: sono presenti tutta la
vita (AIDS), in quanto il deficit immunitario è secondario a patologie
diverse.

• Le MALATTIE AUTOIMMUNI

Le immunodeficienze

Questa tipologia di pazienti si presenta in genere in ambulatorio lamentando


INFEZIONI RIPETUTE e SUSCETTIBILITA' AI TUMORI (sebbene quest' ultima in
realtà sia ben poco valutabile, come sintomatologia).
Bisogna distinguere a questo punto lo sviluppo MIELOMONOCITICO e LINFOIDE
delle cellule immunocompetenti.
In realtà già i difetti a livello delle cellule staminali sono classificati come
DISGENESIE RETICOLARI, ma queste nessuno le ha mai viste e non ha senso
neppure menzionarle, in quanto nemmeno compatibili con la vita.

Difetti a livello della linea MIELOMONOCITICA

Riguardano quindi MONOCITI e GRANULOCITI fondamentalmente. Si può


menzionare:

1. DEFICIENZA DELLA MIELOPEROSSIDASI: è molto comune, oggi viene vista


e riconosciuta con facilità; per fortuna gran parte dei soggetti colpiti da questa
deficienza sono SANI.

2. LAD o LAPD (Leucocyte Adhesion Protein Deficiency); ve ne sono di due tipi:

• LAD di tipo II, scoperto per ultimo: a mancare è il SIALIL LEWIS X, per
cui non viene consentito ai leucociti il fenomeno del ROLLING.

• LAD di tipo I, scoperto per primo: a mancare sono le CD18 (ovvero la


catena β vista dalle ICAM), per cui il leucocita NON HA UNA
ADESIONE STABILE ALL' ENDOTELIO.

Questi soggetti presentano una GROSSA SUSCETTIBILITA' AD INFEZIONI,


con ascessi generalizzati, ma il primo inizio generalmente viene visto in
ostetricia: infatti un FUNICOLO OMBELICALE CHE PERMANGA ROSEO
OLTRE IL TEMPO DI NECROSI fa immediatamente nascere il sospetto di
LAPD. Nota: la normale degenerazione del cordone ombelicale è un processo
flogistico (di infiammazione).

3. SINDROME DI CHEDIAK – HIGASHI, rara malattia autosomica recessiva, in


cui si osserva:

• Un difetto di funzionalità dei NEUTROFILI, dato dalla presenza di


GRANULI GIGANTI nel loro citoplasma; ne risulta un traffico cellulare
ridotto, e quindi l' impedita formazione dei FAGOLISOSOMI.

• Un difetto di CELLULE NATURAL KILLER.

4. MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA o CGD: è la malattia più seria, è


legata al sesso (al cromosoma X) nella maggior parte dei casi, ma può essere
anche autosomica recessiva. I soggetti affetti:

• Generalmente non vanno oltre i 24 – 25 anni di vita;


• Presentano ASCESSI PURULENTI GENERALIZZATI;

A livello molecolare si osserva un DIFETTO DI FUNZIONALITA' dei


granulociti, i quali non riescono a utilizzare la via OSSIGENO DIPENDENTE in
quanto difettanti della NADPH OSSIDASI: ne consegue una ridotta o assente
produzione di H2O2.
Questi individui risultano essere maggiormente suscettibili ad infezioni:

• BATTERICHE, in particolare da microrganismi CATALASI POSITIVI


che normalmente non causano problemi in soggetti sani come:
• Staphylococcus Aureus;
• Salmonella;
• Klebsiella;
• Burkholderia Cepacia;
• Serratia marcescens;

• FUNGINE, come quelle da Candida.

Difetti a livello della linea LINFOIDE

1. SCID (Severe Combined Immuno Deficiency): sono casistiche di


immnodeficienze molto varie, che si danno manifestazioni già nei primi anni di
vita dell' individuo, rendendolo suscettibile preferibilmente ad INFEZIONI
VIRALI: sebbene nei primi anni di vita queste infezioni comunque cercano di
essere contenute dagli anticorpi della madre, le prime manifestazioni si hanno
proprio nel PRIMO ANNO DI VITA dell' individuo!

Si possono individuare diverse situazioni:

• Deficienza di RAG: manca l' enzima necessario alla ricombinazione


genetica per ottenere TCR (linfociti T) e immunoglobuline (linfociti B).

• Deficienza di ADA (Adenosin Deaminasi): è l' enzima che catalizza la


reazione:

Adenosina → Inosina

Quello che ne consegue è un accumulo di adenosina nella forma di


DEOSSIADENOSINA, tossica per i linfociti T e B (in particolare per i
T).

• Deficienza di PNP (fosforilasi nucleosidica purinica): è l' enzima che


catalizza la reazione:

Inosina → Ipoxantina

Anche in questo caso la reazione GLOBALE porta all' accumulo di adeosina


nella forma di deossiadenosina.

• Deficienza di componenti del recettore per l' IL – 2: nei linfociti T, B


e nelle cellule NK può non venire espressa la catena γ (GAMMA), tra l'
altro FONDAMENTALE anche per l' IL – 15 (ricorda l' attivazione delle
cellule NK).

La terapia consiste nel TRAPIANTO DI MIDOLLO o nella TERAPIA


GENICA: quest' ultima è stata realizzata con successo recentemente in
Italia, al San Raffaele di Milano, in un caso di deficienza di ADA.

2. SINDROME DI DIGEORGE e SINDROME DI NEZELOF: sono entrambe


patologie associate alla mancanza di LINFOCITI T, ma sono comunque diverse:

• La sindrome di DiGeorge riguarda un difetto primitivo, ovvero la


deficienza comincia fin già dello sviluppo embrionale del timo, quando la
TERZA e QUARTA tasca branchiale non si sono ancora separate:
insomma vengono a mancare SIA le PARATIROIDI che il TIMO.
Deficienze di PARATORMONE quindi alterano il metabolismo del CALCIO
(gli individui sono IPOCALCEMICI), gli individui sono soggetti a SCOSSE
TETANICHE, SCOSSE EPILETTICHE; si individuano poi alterazioni
fenotipiche visibili, come il NASO A SELLA TURCICA.
Possono subentrare anche malformazioni cardiache, come la TETRALOGIA
DI FALLOT.

• La sindrome di Nezelof invece riguarda soggetti nei quali le tasche


branchiali si sono separate: il TIMO NON SI FORMERA' ma le
PARATIROIDI CI SONO.

3. DIFETTI DEI LINFOCITI B; tra di essi si annoverano:

• La sindrome di Bruton, legata al sesso, è chiamata anche X-linked


agammaglobulinemia: è una forma di MANCANZA DI
IMMUNOGLOBULINE, che inizia a comparire già intorno ai 2 – 3 anni di
vita. La curva delle gamma – globuline nel grafico di elettroforesi VIENE
A MANCARE: SE normalmente le IgG sono in concentrazione di 10 mg/ml
e le IgA e le IgM 2 mg/ml, IN QUESTO CASO SI SCENDE NEI
MICROGRAMMI (μg).
La deficienza è talmente grave che non vengono a formarsi nemmeno le Ig
di superficie; a livello molecolare si riscontra la MANCANZA di una
TIROSIN KINASI (detta BTK, Tirosin Kinasi di Bruton).
In ogni caso è possibile che l' individuo comunque possieda i linfociti B:
per vedere ciò sarà sufficiente cercare i CD19 e i CD20.
• La forma (immunodeficienza) comune variabile: è sempre una
immunoglobulinodeficienza, ma compare più tardi rispetto alla precedente
E NON è LEGATA AL SESSO.
A differenza della precedente, in questa sindrome SONO PRESENTI le
Ig DI SUPERFICIE, ma NON SONO BUTTATE FUORI QUELLE IN
FORMA SOLUBILE.
Questo è dovuto al blocco della funzionalità dei linfociti B da parte di
talune cellule regolatrici che esasperano la loro attività: la TERAPIA
consiste proprio in un trattamento IMMUNOSOPPRESSIVO che fermi
queste cellule regolatrici.

• Il difetto selettivo delle IgA: è molto frequente (1 caso su 700 circa) e


osservabile tramite la tecnica dell' IMMUNODIFFUSIONE RADIALE.
Ci si aspetta quindi che l' individuo presenti notevole suscettibilità alle
infezioni alle mucose, ed in effetti l' individuo è MAGGIORMENTE
SENSIBILE ALLE ALLERGIE e ai FENOMENI DI AUTOIMMUNITA'; in
ogni caso questi individui possono comunque vivere una vita tranquilla.

Una volta scoperta la malattia dei B linfociti, bisognerà instaurare una terapia! Non
avrebbe molto senso vaccinare, in quanto l' individuo è suscettibile a una VASTA
GAMMA di agenti infettanti! La soluzione sta nel:

• Trapianto di midollo;

• Somministrazione passiva di immunoglobuline, ma è necessario raggiungere un


VALORE ADEGUATO di Ig (ovvero ALMENO LA META' del valore normale).
Vanno comunque rispettati dei parametri:

1. E' meglio utilizzare IMMUNOGLOBULINE UMANE: se si usassero Ig di


cavallo, si rischierebbe che il paziente produca una piccola quota di
ANTICORPI ANTI Ig di cavallo, in quanto gli ISOTIPI SONO
DIFFERENTI.

2. Si utilizzano SOLO le IgG, in quanto possiedono una emivita lunga (3


settimane) e sono in grado di attivare il complemento; è chiaro che il loro
dosaggio dipenderà anche dalla eventuale comparsa di infezioni.

Terapia per il difetto selettivo di IgA

Una terapia del genere NON richiede trasfusione di immunoglobuline tramite ripetute
trasfusioni di plasma: questo perchè QUESTI INDIVIDUI TENDONO A PRODURRE
ANTICORPI ANTI ALLOTIPO (presente sulla catena K delle catene leggere, e sulla
catena pesante di IgG1, IgG2, IgG3, IgA2).
Se un individuo riceve quindi del plasma con uno degli allotipi presenti nelle Ig
sopracitate, produrranno anticorpi aocntro di essi e richiranno lo SHOCK
ANAFILATTICO.
Per questo motivo chi riceve trasfusioni periodiche di plasma deve essere
SCREENATO per la mancanza di IgA.

Immunodeficienze della linea LINFOIDE più frequenti in età pediatrica

1. SINDROME DI WISCOTT – ALDRICH: è una immunodepressione in cui si


osserva una RISPOSTA ANTICORPALE NON EFFICIENTE, in particolare
contro i polisaccaridi. Questi soggetti sono poi colpiti da ECZEMI e sono
PIASTRINOPENICI.

2. ATASSIA – TELANGECTASIA: il termine ATASSIA si riferisce al fatto che


gli individui colpiti sono ATASSICI, ovvero poco coordinati; il termine
TELANGECTASIA testimonia la presenza di CAPILLARI fortemente
DILATATI in prossimità della superfice delle mucose.

Generalmente, negli ambulatori PEDIATRICI si presentano bambini:

• Con INFEZIONI RIPETUTE: otiti, polmoniti, meningiti sono le più frequenti;


• Con MALATTIE ESANTEMATICHE anche CONSEGUENTI la vaccinazione;
• Con INFEZIONI da CANDIDA, spesso rivelate dal mughetto (affezione del
cavo orale).

Quali indagini si avviano

E' chiaro che la tipologia di esame da richiedere si baserà sull' infezione studiata:

• Se è una infezione VIRALE, molto probabilmente si avrà davanti un DIFETTO


DEI LINFOCITI T. E' possibile intanto cercare se questi linfociti T sono
presenti per fugare ogni dubbio. E lo si fa tramite tecniche
CITOFLUORIMETRICHE: si utilizzano provette in cui si mettono le cellule (il
plasma) del paziente, insieme a degli ANTICORPI FLUORESCENTI, che, se
legati, permettono di deviare la fluorescenza. Sarebbe complicato utilizzare
anticorpi direttamente contro il TCR, per questo si utilizzano ANTICORPI
ANTI CD3 (il corecettore!) per verificare la presenza del TCR.
Per conoscere poi le sottopopolazioni di linfociti T si utilizzaeranno anticorpi anti CD4
e anti CD8. Sarebbe ottimale conoscere poi il NUMERO ASSOLUTO DEI LINFOCITI
T – CD3, e non il rapporto Th / Tc (2 : 1).
Questo perchè il rapporto è relativo e può anche invertirsi in corso di infezione
virale:

1. SE si inverte AUMENTANDO I T CITOTOSSICI (CD8), è una situazione


POSITIVA.
2. SE si inverte DIMINUENDO I T HELPER, è una situazione NEGATIVA.

Per questo motivo conoscendo il solo rapporto non si è in grado di discriminare.

• Se è una infezione batterica, molto probabilmente si avrà davanti un


DIFETTO DEI LINFOCITI B. In tal caso:

1. La procedura inizia con una ELETTROFORESI delle SIEROPROTEINE,


che può evidenziare la mancanza del picco delle gamma – globuline: in
tal caso si avvieranno le indagini. MA QUESTO PICCO PUO' ANCHE
NON SCOMPARIRE! Che fare in questo caso?
Si può CERCARE DIFETTI DEL COMPLEMENTO (da C3 in poi, perchè da
C3 in giù vi è solo autoimmunità) oppure DIFETTI DEI
POLIMORFONUCLEATI ) in tal caso si chiederà un EMOCROMO.
Ma è pure possibile che l' emocromo sia normale: allora gli step successivi
prevederanno la verifica delle funzioni dei neutrofili, ovvero della loro
capacità fagocitaria o adesiva.

Immunodeficienze acquisite o secondarie

Queste immunodeficienze sono da collegarsi con altre patologie: bisogna quindi in


primis considerare la PATOLOGIA (PRIMARIA), accanto alla quale accostare la
IMMUNODEFICIENZA (SECONDARIA alla patologia).

Cause di queste immunodeficienze secondarie possono essere:

1. DIETE VEGETARIANE o IPOPROTEICHE possono accompagnarsi prima o dopo


a una immunodeficienza;

2. DIFFICOLTA' NELL' ASSORBIMENTO INTESTINALE;

3. INFEZIONI: possono essere sia una CONSEGUENZA (come visto prima) sia
una CONCAUSA, specie per quanto riguarda le infezioni a decorso CRONICO,
come le infezioni a cellule del sistema immunitario date da:

• Virus di Epstein – Barr: vengono infettati i linfociti B;


• Virus del morbillo: vengono infettati i linfociti T.
• HIV: vengono infattati i linfociti T.
Vanno tenute seriamente sotto osservazione, in quanto si rischia un circolo vizioso
(infezione (causa) → immunodeficienza → infezione (conseguenza)) da cui è difficile
uscire.

4. NEOPLASIE: NON tumori solidi, bensì riguardanti le cellule del SISTEMA


IMMUNITARIO, soprattutto nella FASE TERMINALE.

5. EPAOPATIE E GASTROENTEROPATIE CRONICHE;

6. USTIONI: uno dei pericoli delle ustioni è la successiva suscettibilità ad


infezioni; ma pure portano alla produzione di fattori immunodepressivi con l'
abrasione della cute;

7. DIALISI, in quanto viene creato uno squilibrio metabolico che fa scendere i


VALORI della CREATININA. Allo stesso modo pazienti con insufficienze renali
gravi presentano livelli ALTI di creatininemia;

8. USO DI FARMACI come i CORTISONICI (usati nei trapiantati o nei pazienti


affetti da autoimmunità) o gli ANTIBLASTICI.

L' infezione da HIV

L' HIV è un RETROVIRUS A RNA, nel senso che possiede al suo interno una DNA
POLIMERASI RNA DIPENDENTE o TRASCRITTASI INVERSA che al momento
opportuno retrotrascrive il suo genoma a DNA.
E' munito di PERICAPSIDE, e a questo livello sono site le glicoproteine fondamentali
alla sua adesione alle cellule bersaglio:

• GP 120;
• GP 41.

Sul pericapside è sita anche la glicoproteina GP 24, contro cui è diretto inizialmente il
sistema immunitario.

E' un virus in grado di rimanere SILENTE per molto tempo all' interno delle cellule
ospiti, in quanto è in grado di INTEGRARE il suo genoma in quello dell' ospite.
Il suoi bersaglio è principalmente il CD4, presente sui linfociti Th1 e Th2, ma HIV può
entrare anche in altre cellule: questo dipende dal suo TROPISMO SELETTIVO che gli
consente l' entrata in cellule diverse con meccanismi diversi.
Ricorda che il CD4 è presente in forma MONOMERICA con QUATTRO domini
immunoglobulinici, il più esterno dei quali rappresenta il SITO DI LEGAME per il virus.
Dal momento che il CD4 è funzionale a legare l' MHC DI CLASSE II, non è insolito che
si verifichi CROSS – REATTIVITA' TRA MHC di classe II e HIV.

Cosa serve per l' infezione

Si è notato in passato che il CD4, da solo, NON BASTAVA a far entrare il virus: quello
che occorreva era un RECETTORE PER LE CHEMOCHINE, scoperto grazie agli
esperimenti di Gallo, che gli fruttarono il premio Nobel.
Gallo prese delle cellule permissive, ovvero cellule potenzialmente in grado di far
entrare il virus, e somministrò loro dall' esterno particolari CHEMOCHINE.
Quello che notò in seguito fu che HIV in QUESTE CELLULE NON ENTRAVA,
PERCHE' LE CHEMOCHINE ANDAVANO A OCCUPARE IL SITO RECETTORIALE
NECESSARIO ALL' ENTRATA.
Si individuano a tal proposito DUE grandi famiglie di chemochine:

• C – C CHEMOCHINE, perchè possiedono nella sequenza amminoacidica DUE


CISTEINE VICINE; agiscono sui NEUTROFILI , un esempio è l' IL – 8.

• C – X – C CHEMOCHINE, perchè possiedono nella sequenza amminoacidica DUE


CISTEINE INTERVALLATE DA UN QUALSIASI AMMINOACIDO; agiscono
sui MONONUCLEATI.

Quello che si è notato è che MOLTI (ma non tutti) LINFOCITI Th CD4+ possiedono
il recettore chemochinico C – X – C R4: dal momento che non lo possiedono tutte le
cellule, da questo dipende la selettività del virus, in quanto occorrerà UN LIGANDO
per il CD4 e UN LIGANDO per il C – X – C R4.
Qualora riuscisse a entrare nel linfocita T, si parlerà di VIRUS T – TROPO,
INFETTANTE, CON CAPACITA' REPLICATIVE.

Si individuano pure VIRUS M – TROPI, in grado di legarsi ai MONOCITI e CELLULE


DENDRITICHE, che presentano un altro recettore per le chemochine: C – C R5.
Questa tipologia di virus NON REPLICA e RIMANE SILENTE; dopo un po' è
comunque in grado di USCIRE, trasformandosi in VIRUS T – TROPO!
Dentro ai monociti poi il virus può entrare pure per FAGOCITOSI, promossa anche dal
COMPLEMENTO (CR3 ha funzione opsonizzante); d' altro canto i primi anticorpi
prodotti contro il virus non sono per niente protettivi, e possono addirittura
facilitare l' ingresso del virus nelle cellule.

Modalità e fasi dell' infezione

Oggi come oggi la trasmissione dell' HIV è maggiormente circoscritta ai rapporti


sessuali tra eterosessuali, e si registrano pochi casi di infezione dovuta a errate
trasfusioni, oppure all' utilizzo di siringhe infette (drogati) o ancora rapporti
omosessuali.
Nelle prime fasi dell' infezione NON VENGONO colpiti i linfociti Th, ma le cellule
dendritiche presenti a livello LINFONODALE (se la trasmissione è per via sessuale, i
LINFONODI LOMBARI saranno i primi).
Può avere fase di latenza molto lunga: infatti, per far esprimere il virus, la cellula
deve prima attivarsi.

Manifestazione clinica

Dal punto di vista clinico, la manifestazione della malattia è VARIABILE: è possibile


avere all' inizio SINTOMI SIMIL – INFLUENZALI (febbre, nausea, vomito,
astenia...), poi la LATENZA PUO' DURARE ANCHE ANNI, latenza che si accompagna
alla contemporanea replicazione del virus.
Mentre il virus si replica si assiste ad un CALO NETTO DEI LINFOCITI Th, che
vengono progressivamente uccisi, arrivando anche a valori INFERIORI a 400 / mm^3
(i valori normali sono circa 1100 /mm^3): il problema serio sta nel capire se la morìa
generale dei Th è legata all' AIDS!

La fase vera e propria di AIDS comincia con la prima infezione opportunistica. Da qui
in poi si potranno avere quadri clinici molto variabili, come:

• INFEZIONI FUNGINE (Candida Albicans, che provoca nel cavo orale il


mughetto), che possono portarsi nelle vie intestinali e polmonari. Ricorda che in
condizioni normali è la risposta cellulo – mediata a proteggere dai funghi;
• INFEZIONI VIRALI: i linfociti T in condizioni normali ci proteggono anche dai
virus. I più frequenti sono i VIRUS ERPETICI (HSV1, HSV2, VZV),
CITOMEGALOVIRUS (il problema più serio nei trapiantati) e il VIRUS DI
EPSTEIN – BARR;
• Forme ATIPICHE di infezione da MICOBATTERI;
• LINFOMI (non si avrà debacle, ma proliferazione dei linfociti T) e SARCOMI
(tumori del tessuto connettivo, tra cui in questo caso il SARCOMA DI
KAPOSI), ma con frequenza più bassa rispetto alle infezioni.

Come si può dedurre, paradossalmente sono le PERSONE SANE e I PORTATORI


SANI ad essere un pericolo: i primi lo sono per i malati, in quanto possono far
contrarre loro una miriade di malattie, i secondi lo sono per i sani.

Gli effetti del virus


Molte cellule sono colpite dal virus, ma una caratteristica particolare dell' infezione è
che il virus non colpisce mai con regolarità le stesse cellule! Esso crea:

• PROBLEMI DIRETTI, come:

1. Perdita della funzionalità delle CELLULE Th: ancor prima che queste
diminuiscano di numero, NON PRODUCONO PIU' IL – 2, e quindi NON SI
AUTOSTIMOLANO! Questa è una prima avvisaglia della presenza del
virus, ed è possibile monitorare questo con prove di IPERSENSIBILITA'
RITARDATA.

2. Perdita della funzionalità delle CELLULE DENDRITICHE: non presentano


più l' antigene!

3. Perdita della funzionalità dei FAGOCITI: non esplicando più la loro


funzione fagocitica, non si verifica neppure il processo di chemiotassi
successivo!

4. SOLO SUCCESSIVAMENTE si riscontra il calo dei linfociti Th, dato dal


fatto che il virus ne provoca la LISI in diversi modi:

• Replicandosi;

• Esponendo sulla superficie cellulare i suoi antigeni (le CTL lo


riconoscono e uccidono la cellula);

• Provocando la formazione di grossi sincizi cellulari incompatibili con


la vita;

• Il legame del GP 120 (che può essere liberato anche in forma


solubile) inoltre provoca una MANCATA MATURAZIONE del
linfocita Th, che verrà ucciso;

• Lo sviluppo dell' MHC DI CLASSE II sulle cellule attivate


(dendritiche) porta a una crossreattività con gli ANTICORPI
ANTI GP 120: questo perchè l' MHC ha una struttura simile al GP
120, che è pure considerato un SUPERANTIGENE!

• PROBLEMI INDIRETTI: il legame del GP 120 al CD4 può indurre segnali di


APOPTOSI.

Cosa accade ai linfociti B


Anche i linfociti B possono essere colpiti, DIRETTAMENTE e NON! Infatti il virus è
in grado di utilizzare sui linfociti B il medesimo recettore (CR2) utilizzato dal C3dg
del complemento, in grado di POTENZIARE LA RISPOSTA DEI B.
Inoltre intervengono anche le infezioni opportunistiche:

• L' LPS dei Gram negativi provoca una REAZIONE INCONSULTA dei linfociti B;
• Il VIRUS DI EPSTEIN – BARR è in grado di provocare un linfoma.

Quello che ne deriva è una IPERGAMMAGLOBULINEMIA! Ma non sono


immunoglobuline rilevanti nella risposta, bensì ASPECIFICHE inoltre facilitano l'
ingresso del virus nelle altre cellule.

Diagnosi

Si è già visto che la prima avvisaglia può essere data dalla presenza di
IPERSENSIBILITA' RITARDATA.
E' possibile valutare il numero dei linfociti T con i metodi visti precedentemente,
valutandone il RAPPORTO PRIMA (che si abbassa da 2 circa a 1, quesi si inverte), poi il
NUMERO ASSOLUTO visto qui si denota un CALO DI Th e non un aumento.
E' possibile pure andare a cercare con ELISA gli anticorpi aspecifici che facilitano l'
ingresso del virus, una volta osservata l' ipergammaglobulinemia. Ma prima è possibile
pure ricercare la TRANSCRITTASI INVERSA.

Terapia

La terapia prende il nome di HAART (Highly Active Anti Retroviral Therapy), in cui si
utilizzano:

• DUE diversi inibitori della TRASCRITTASI INVERSA;


• Inibitori delle PROTEASI che tagliano il prodotto proteico della traduzione
virale nelle singole componenti: si inibisce la funzionalità virale!

L' ipersensibilità

Modelli di danno da abnorme risposta immunitaria secondo Gell e Coombs

Si individuano quattro tipologie di reazione, le prime TRE mediate da anticorpi, l'


ultima mediata da cellule.

1. REAZIONI di I TIPO: prendono in considerazione le IgE, le quali coinvolgono


gli EOSINOFILI nella risposta ai PARASSITI; gli eosinofili infatti possiedono
un recettore per il frammento Fc delle IgE. Il danno è dato dal legame alle IgE
delle MASTCELLULE.
L' uccisione del parassita in questo caso avviene tramite ADCC (mediata dalle IgE).
2. REAZIONI DI II TIPO: coinvolgono anticorpi come IgM e IgG, diretti contro
CELLULE DEL SANGUE o CELLULE DEI TESSUTI. Il danno è dato dal fatto
che vengono indirizzati contro bersagli propri o sbagliati.

3. REAZIONI DI III TIPO: coinvolgono le IgG (in minima parte le IgM) dirette
contro ANTIGENI SOLUBILI. La formazione di immunocomplessi che ne deriva
porta al loro deposito in determinate zone del corpo.

4. REAZIONI DI IV TIPO: è l' unica reazione mediata da cellule, come le CTL.

Reazioni di I tipo

Oggi il termine ALLERGIA (meglio ATOPIA) è comunemente utilizzato per indicare le


reazioni di ipersensibilità di tipo I. E' una reazione immediata (avviene anche in 15
minuti).
Circa il 25 – 30% delle persone in Occidente è colpito da questa tipologia di reazione,
che prevede manifestazioni come:

• Febbre;

• Rinite allergica;

• Congiuntivite allergica;

• Asma bronchiale: dove però gli alveoli NON VENGONO COINVOLTI;

• Intolleranza alimentare, che può estrinsecarsi con un' orticaria;

• Orticaria: si individuano sulla cute CHIAZZE ROSSASTRE ripiene di liquido e


PRURIGINOSE;

• Eczemi: li si ritrova anche come manifestazione di reazioni di IV tipo; si


individuano chiazze di un rosso più cupo rispetto all' orticaria, pruriginose,
ACCOMPAGNATE A DISCHERATOSI (desquamazione), fenomeno che nell'
orticaria NON SI VERIFICA.

• Coinvolgimento edematoso di MUCOSE e CUTE: un coinvolgimento è quello che


va sotto il nome di ANGIOEDEMA o EDEMA ANGIONEUROTICO (legato
anche a difetti del C1 INIBITORE), ovvero un edema a carico dei tessuti molli,
dove la cute è meno spessa; un esempio può essere l' EDEMA DI QUINCKE
(usato anche come sinonimo) a livello delle palpebre o delle labbra; si può avere
edema della glottide, e qui la morte avviene per asfissia; si può avere edema dei
seni paranasali;

• Pure molti tratti delle mucose gastrointestinali (allergie intestinali) e


respiratorie (fino all' asma bronchiale) possono essere coinvolte.

• Nei lattanti un segno di intolleranza al LATTE VACCINO (di vacca) può essere
dato dalla CROSTA LATTEA, un quadro che prevede il cuoio capelluto del
lattante RICOPERTO DI CROSTE.

• E' possibile pure il quadro di DERMATOGRAFISMO, ovvero una reazione


cutanea che prevede l' arrossamento prima, e il gonfiore poi, di una zona
cutanea sottoposta a pressione, ANCHE MOLTO LIEVE.

Il quadro di ORTICARIA e ANGIOEDEMA è la tipica manifestazione di reazione


di I tipo: si parla di S.O.A., Sindrome Orticaria Angioedema.

Altri organi invece rimangono esclusi totalmente dalle reazioni di I tipo.

Gli allergeni

Gli antigeni che mettono in moto il sistema sono i più disparati e vengono chiamati
ALLERGENI; quello che bisogna chiarire è il fatto che TUTTI NOI SIAMO ESPOSTI
AGLI STESSI ANTIGENI, solo che GLI ATOPICI REAGISCONO IN MANIERA
DIFFERENTE. Questi ALLERGENI possono essere:

• Pollini: come quelli della PARIETARIA (un' erba), ULIVI, GRAMINACEE, che
possono dare reazioni stagionali;

• Prodotti animali: come gli acari della polvere (DERMATOPHAGOIDES


PTERONYSSINUS), che vivono tranquillamente nella polvere che si deposita in
casa. Questi riescono a espelle ALLERGENI che noi tranquillamente inaliamo, e
che risultano essere una delle cause più comuni di ASMA BRONCHIALE: per
questo motivo bisognerebbe AERARE SPESSO gli ambienti, utilizzare
MATERASSI PARTICOLARI, evitare di usare la MOQUETTE. Esiste pure il
DERMATOPHAGOIDES FARINAE, che produce i suoi allergeni vivendo nella
farina: si può capire quindi come l' atopia può diventare un problema di medicina
del lavoro qualora ad essere chiamati in causa siano coloro che hanno a che fare
con questo prodotto;

• Alimenti: in tal caso la lista è infinita! Citiamo le UOVA (il cui responsabile
spesso risulta essere l' ALBUMINA), il LATTE VACCINO, i FRUTTI DI MARE
(in grado di dare orticaria), VEGETALI, FRUTTA FRESCA (frequente nelle
ragazze, che sbocconcellano frutta fresca, la SINDROME ORALE
ALLERGICA, che si manifesta con fenomeni irritativi a livello del cavo orale).

• Farmaci: oggi come oggi si parla di malattie diatrògene, ovvero l' assunzione di
farmaci in seguito ad una terapia può portare a complicazioni ulteriori. Esempi
possono essere la PENICILLINA e le CEFALOSPORINE, aventi in comune l'
ANELLO ß – LATTAMICO: ed è proprio il prodotto di degradazione di tale
anello il responsabile della reazione.

• Veleni di insetti, api e vespe: questi animali producono enzimi ALLERGENICI.

Alimenti, farmaci, veleni di insetti, api e vespe possono portare allo SHOCK
ANAFILATTICO, condizione che prevede:

• IPOTENSIONE;
• TACHICARDIA;
• PALLORE;
• DIFFICOLTA' RESPIRATORIE.

La morte può sopraggiungere anche nel giro di minuti, per ARRESTO RESPIRATORIO
e CARDIOCIRCOLATORIO.

Dinamica degli eventi della reazione di I tipo

Questi allergeni colpiscono tutti: la differenza sta quindi nella maniera di rispondere
degli ATOPICI rispetto agli ALTRI.
D'altro canto si sa che la reazione di I tipo è una PATOLOGIA ANTICORPO
DIPENDENTE, per cui è possibile trasferire la sensibilità con un semplice
TRASFERIMENTO PASSIVO DI SIERO da un soggetto ATOPICO a uno NON
ATOPICO.
Gli allergeni sono per la maggior parte PROTEICI, quindi sono ANTIGENI T
DIPENDENTI, per cui la risposta:

• NEGLI INDIVIDUI ATOPICI passerà attraverso le APC, e di seguito AI SOLI


LINFOCITI Th2, che comanderanno ai linfociti B di produrre SOLO IgE;

• NEGLI INDIVIDUI NORMALI passerà attraverso le APC, i linfociti Th1 e


Th2.

La risposta viene quindi DISTRIBUITA nelle due tipologie di linfociti. Di seguito si


arriva ai linfociti B dove verranno prodotte IgM e IgG.
Quello che si deduce quindi è che la razione di I tipo è una malattia Th2
DIPENDENTE: NEGLI ATOPICI BISOGNA FAR RIENTRARE IN GIOCO I Th1. Per
vedere che negli atopici stanno dominando la scena i Th2, si osservano i livelli (elevati)
di MARKERS quali IL – 4 e IL – 13 (anche la IL – 10, ma non è dosabile a differenza
della 4 e della 13).

Anche le IgE sono presenti ad alte concentrazioni negli atopici. Basti pensare che:

• Negli individui NORMALI la concentrazione di IgE SIERICA è di 80 – 100


ng / ml;

• Negli individui ATOPICI la concentrazione di IgE SIERICA è di 400 – 500


ng / ml: si rimane sempre nell' ordine dei NANOGRAMMI, ma anche questo
piccolo aumento provoca danni!

Nelle cartelle cliniche però si ritroverà la concentrazione sierica di IgE espressa in


UNITA' INTERNAZIONALI (IU), dove:

1 IU = 2,4 ng

Caratteristiche delle IgE (ripasso)

• Il loro peso molecolare è superiore rispetto a quello delle IgG: questo perchè
SUL FRAMMENTO Fc SONO PRESENTI PIU' ZUCCHERI e perchè presentano
UN EXTRA DOMINIO. La maggiore presenza di zuccheri le rende
maggiormente CITOFILE;

• Le IgE SIERICHE sono MOLTO INFERIORI come numero rispetto alle IgE
sulle superfici cellulari;

• L' EMIVITA delle IgE è di MENO DI UNA SETTIMANA;

• Sono immunoglobuline LABILI: per questo motivo per trovarle bisogna


procedere immediatamente al TEST ANTICORPALE, altrimenti perdono la
capacità di reagire con l' antigene.

Esperimento

La reazione di I tipo si verifica anche negli animali, con diversi organi bersaglio anche
qui. Per osservarla, si procede con una ANAFILASSI CUTANEA PASSIVA nell'
animale: si inietta SOTTOCUTE dell' anticorpo, successivamente si inietta
ENDOVENA l' antigene legato a del colorante BLEU – EVANS.
Quando antigene e anticorpo si incontreranno IN TERRITORIO EXTRAVASCOLARE,
verrà aumentata la permeabilità dei vasi, a formare così un ANGIOEDEMA
(localizzato al punto in cui sono stati iniettati gli anticorpi) COLORATO CON IL BLEU
EVANS.

Cosa succede a livello microscopico

Diverse cellule hanno recettori per le IgE:

• In primis si trovano le MASTCELLULE (o MASTOCITI), che possiedono


recettori AD ALTA AFFINITA' per le IgE (che si legano per prime alle
MASTCELLULE TISSUTALI), e i BASOFILI, presenti sia nelle MUCOSE che
nei CONNETTIVI, ma poco coinvolti;

• Anche gli EOSINOFILI possiedono recettori per le IgE ed AUMENTANO DI


NUMERO pure loro nelle atopie, arrivando anche al 10 – 12% del totale
leucocitario; sono recettori a BASSA AFFINITA';

• MONOCITI e MACROFAGI; sono recettori a BASSA AFFINITA';

• LINFOCITI T e LINFOCITI B: i pazienti ATOPICI possiedono molti linfociti


B con le IgE di superficie! Anche su queste cellule ci saranno recettori a
BASSA AFFINITA'.

Quindi il recettore AD ALTA AFFINITA' lo possiedono solo le mastcellule. I


recettori ad ALTA e BASSA AFFINITA' possiedono strutture molecolari differenti,
ma entrambe LEGANO LE IgE per il FRAMMENTO Fc: infatti alla IgE deve essere
lasciato libero lo spazio per vedere l' antigene!
In base a quanto detto, si può capire come mai la reazione sia IMMEDIATA, anche 10
minuti dopo il legame dell' allergene alla IgE: appena giunge l' antigene, la
manifestazione del quadro clinico giunge subito perchè TUTTO E' GIA' PRONTO.
Recettore ad alta affinità o R1

Si individua una CATENA α PRINCIPALE, che lega il frammento Fc delle IgE; una
CATENA β; una CATENA γ che si allunga in sede intracitoplasmatica , funzionale alla
TRASDUZIONE DEL SEGNALE dentro la cellula.

Recettore a bassa affinità o R2 o CD23

Una particolarità è che il dominio COOH – TERMINALE è sito in sede


extracitoplasmatica. Si individua un dominio LECTINICO.
E' un recettore INSTABILE, in quanto quando incontra le IgE va incontro ad
AUTODIGESTIONE ENZIMATICA: i pezzi che si staccheranno ESTERNAMENTE
andranno a potenziare la risposta immunitaria, ovvero STIMOLERANNO I
LINFOCITI B A PRODURRE ALTRE IgE!

Le mastcellule

Come si sarà già intuito, sono le cellule DIRETTAMENTE COINVOLTE NEL QUADRO
CLINICO:

• sono le cellule che PIU' FACILMENTE LEGANO LE IgE;


• sono unicamente TISSUTALI, molto eterogenee tra loro;
• presentano dei GRANULI CITOPLASMATICI, che, una volta esocitati, sono i
diretti responsabili del danno;

Si individuano due grosse categorie di mastcellule:

• Mastcellule CONNETTIVALI, comuni negli ATOPICI e NON ATOPICI;


presentano una VITA MAGGIORE rispetto alle mucosali;

• Mastcellule MUCOSALI, quindi site più in superficie; presentano un numero di


RECETTORI AD ALTA AFFINITA' per le IgE DIECI VOLTE MAGGIORE
RISPETTO ALLE CONNETTIVALI, quindi più un individuo possiede mastcellule
mucosali, maggiormente sarà suscettibile alla risposta allergica; sono
MAGGIORMENTE DIPENDENTI DAI LINFOCITI T rispetto alle
connettivali.

Quindi sarà la DIVERSA proporzione in numero a giustificare la DIVERSA reazione


negli atopici e non atopici!
Gli stimoli alla degranulazione

Ovviamente lo stimolo principale risulta essere il legame della IgE con l'
allergene.
Il problema dei pazienti ATOPICI non sta solo nel fatto di avere una deviazione della
risposta immunitaria ESCLUSIVAMENTE VERSO i Th1, ma pure quello di possedere
MASTCELLULE MOLTO LABILI, ovvero suscettibili alla degranulazione anche da un
semplice stimolo come FREDDO o CALDO! Altri stimoli (cofattori) possono essere:

• Frammenti del complemento, come il C3a, un po' meno il C5a: sono chiamate
per questo ANAFILOTOSSINE;

• Ca2+ ionofori: sostanze che incrementano la permeabilità della membrana al


calcio!

• Caldo e freddo: gli attacchi di asma nei soggetti asmatici possono essere dati
da questi stimoli (ad esempio quando si effettua una corsa);

• Osmolarità delle vie respiratorie: anche in questo caso, l' attacco d' asma può
avvenire durante una corsa!

• Farmaci anestetici come la morfina e la tubocurarina; gli anestesisti devono


stare molto attenti!

• Ipossia;

• Mezzi di contrasto iodati, utilizzati per fare radiografie: i radiologi devono


stare attenti!

La mastcellula: l' arrivo dell' allergene e la trasduzione del segnale

L' allergene crea dei CROSS – LINK (mantenuti saldi dagli zuccheri delle IgE) tra
diverse IgE sulla superficie della mastcellula: il cross – link permette ai RECETTORI
AD ALTA AFFINITA' di clusterizzare e di far partire lo stimolo tramite la CATENA
GAMMA. E' possibile simulare l' allergene sfruttando ANTICORPI ANTI IgE.

La trasduzione del segnale è immediata. Accadono tre cose rapidamente:

1. Attivazione della ADENILATO CICLASI → cAMP → attivazione di protein kinasi


Ca2+ dipendenti che orientano i granuli da esocitare LUNGO DEI BINARI DI
ACTINA E MIOSINA; l' esocitosi avviene entro 3 minuti;

2. Attivazione della PTK (Protein Tirosin Kinasi) → attivazione della PLC →


formazione di IP3 e DAG: viene mobilizzato il calcio intracellulare ed
extracellulare, funzionale all' attivazione delle protein kinasi precedentemente
citate;

3. Attivazione metabolica delle cellule:

• Attivazione di CH3 TRANSFERASI (metiltransferasi: la fosfatidilserina


si trasforma in fosfatidiletanolammina, la quale subisce DUE
METILAZIONI SUCCESSIVE da parte di CH3 T1 e CH3 T2, diventando
fosfatidilcolina.

• Attivazione di PLA2 (fosfolipasi A2) che trasforma la fosfatidilcolina in


lisofosfatidilcolina, e di seguito in ACIDO ARACHIDONICO. Viene
insomma reso disponibile l' ACIDO ARACHIDONICO!

• Anche questa via, modificando l' assetto lipidico della membrana, la rende
più permeabile al calcio.

L' acido arachidonico sarà poi il precursore di numerose sostanze che potranno creare
problemi. Dall' acido arachidonico ora si possono avere due possibilità:

• Se diventa substrato dell' enzima COX (cicloosigenasi) si avrà la produzione di


TROMBOSSANI e PROSTAGLANDINE;

• Se diventa substrato dell' enzima LOX (lipoosigenasi) si avrà la produzione di


LEUCOTRIENI.

La possibilità dipende dalla cellula; in tal caso le mastcellule saranno RICCHE DI


LIPOOSIGENASI, per cui si avrà una massiva produzione di leucotrieni: in particolare
una miscela di LEUCOTRIENI (LTC4, LTC5, LTE4), chiamata in sigla SRS – A (Slow
Reacting Substance of Anaphylaxis) è parte importante nella catena patogenetica
dell' ASMA BRONCHIALE, ovvero nella contrazione della muscolatura bronchiolare.

Ma è possibile pure una terza via, per la quale NON SI PARTE dall' acido
arachidonico, ma dal suo precursore: il prodotto finale è il PAF (Platelet Activating
Factor), prodotto in simultanea ai leucotrieni dalle mastcellule attivate.

Quindi all' esterno vengono liberati:

• FATTORI NEOFORMATI dal metabolismo attivato della cellula:

1. SRS – A;

2. PAF;
3. PROSTAGLANDINE, che agiscono sulla parete dei vasi incrementandone
la permeabilità (ecco spiegati i fenomeni EDEMATOSI, insieme all'
istamina); le prostaglandine sprovocano pure
BRONCHIOLOCOSTRIZIONE (ecco spiegato l' asma); le prostaglandine
pure sono VASODILATATRICI (ecco spiegata l' ipotensione); il rene
sentirà l' ipotensione e risponderà incrementando i battiti cardiaci (ecco
spiegata la tachicardia).

4. CITOCHINE, che regolano la risposta immunitaria: ovvero IL – 4 e IL –


13, che promuovono (insieme a quelle prodotte dai Th2) lo switch verso le
IgE da parte dei linfociti B. QUINDI IL – 4 e IL – 13 vengono prodotte
SIA DALLE MASTCELLULE CHE DAI LINFOCITI Th2!
Le mastcellule producono anche IL – 5, coinvolta nella chemiotassi degli
EOSINOFILI.

• FATTORI PREFORMATI presenti nei granuli:

1. ISTAMINA: è responsabile dell' ANGIOEDEMA, e quindi dell' aumento


di permeabilità dei vasi. Possiede una CARICA POSITIVA GLOBALE e nei
granuli è legata all' EPARINA (che invece possiede carica negativa);

2. EPARINA: possiede una CARICA NEGATIVA GLOBALE;

L' istamina si libererà dall' eparina, una volta esocitate, mediante il Ca2+, che
provocherà DISSOCIAZIONE DEL COMPLESSO formando la CALCIOEPARINA e l'
ISTAMINA LIBERA.

3. ENZIMI, come la TRIPTASI o le CATEPSINE, cause di danno tissutale;

4. SEROTONINA, anche se nell' uomo in quantità limitata.

L' asma bronchiale

I fenomeni che provocano l' asma bronchiale colpiscono i BRONCHIOLI, ma gli alveoli
RIMANGONO INTATTI.
Sulla parete bronchiolare sono presenti MASTCELLULE MUCOSALI, ricche di
recettori per il frammento Fc delle IgE, e le legano; quando giunge l' allergene si
verificherà:

• BRONCHIOLOCOSTRIZIONE, provocata dalle PROSTAGLANDINE e dall'


SRS – A.
• EDEMA DELLA MUCOSA: promosso da PROSTAGLANDINE e ISTAMINA,
provoca un restringimento del lume bronchiolare, che si sovrappone quindi a
quello provocato dalla bronchiolocostrizione;

Dal punto di vista SEMEIOLOGICO, i problemi sono nella FASE ESPIRATORIA (a


differenza dell' EDEMA DELLA GLOTTIDE, dove i problemi sono in fase
INSPIRATORIA). Con il fonendoscopio è possibile sentire DAPPRIMA dei SIBILI, poi
dei CREPITII: questi ultimi compaiono quando sopraggiunge il fenomeno
infiammatorio! La condizione asmatica infiammatoria può essere di gravità tale da
portare pure all' ENFISEMA POLMONARE, ovvero ad una massiva dilatazione del
polmone, dovuta alla perdita di elasticità del tessuto.
Ulteriori complicanze possono essere il sovrapporsi di INFEZIONI, come le bronchiti.
Differenze tra ATOPIA e PARASSITOSI

In entrambe i casi SALE IL NUMERO DI IgE e degli EOSINOFILI, la differenza sta


nell' attivazione delle MASTCELLULE, cosa che non avviene nelle parassitosi.

Gli eosinofili

• Nei soggetti atopici gli eosinofili aumentano SIA IN CIRCOLO che IN


TERRITORIO EXTRAVASCOLARE (posso contarli in seguito ad un lavaggio
bronchiale);

• Possiedono RECETTORI A BASSA AFFINITA' per il frammento Fc delle IgE;

• Sono richiamati nel territorio di competenza dalla EOTASSINA e da IL – 5,


entrambi fattori chemiotattici, liberati dai LINFOCITI Th2 (IL – 5) e dalle
MASTCELLULE;

• Producono CITOCHINE come IL – 3 ed IL – 5;

• Possiedono dei granuli con SOSTANZE PREFORMATE che esocitano quando


giunge l' allergene, insieme alle loro SOSTANZE NEOFORMATE;

• Le SOSTANZE PREFORMATE dei granuli sono:

1. La MBP: PROTEINA BASICA MAGGIORE;


2. La PROTEINA CATIONICA, che risulta essere una PERFORINA a tutti
gli effetti;
3. La PEROSSIDASI EOSINOFILA.

• Le SOSTANZE NEOFORMATE sono quelle già analizzate a livello delle


mastcellule.
Organi bersaglio dell' anafilassi sistemica

Generalmente tramite studi su cavie di laboratorio si è potuto capire che gli organi
colpiti dalla reazione di I tipo sono i più diversi:

• Le cavie di laboratorio subivano reazioni a livello bronchiolare;


• Nel coniglio generalmente è colpita l' arteria polmonare;
• Nel cane sono colpite le vene sovraepatiche: ne deriva un ristagno di sangue a
valle che provoca emorragia intestinale e cirrosi epatica.

Pure nell' uomo si osserva una SELETTIVITA' DI ORGANO PREFERENZIALE.

Associazioni alle reazioni di I tipo

Esiste una BASE GENETICA o FAMILIARE per la predisposizione all' essere atopici:
se si osserva l' incidenza delle atopie, la suscettibilità AUMENTA se un genitore è
affetta e AUMENTA ANCOR DI PIU' se sono affetti entrambi!

Esiste anche una associazione con il sistema HLA, in quanto sembra che determinati
allergeni si leghino preferibilmente a dati APLOTIPI di HLA.

Ma esistono anche delle CONCAUSE per l' insorgenza del quadro clinico; lo sono,
specie nei bambini, le infezioni da RSV (virus respiratorio sinciziale) oppure
determinati esercizi fisici.

Anche le irritazioni del SISTEMA NANC (Non Adrenergic Non Cholinergic), tra l '
altro molto presente sulle mucose, possono essere implicate nell' insorgenza del
quadro clinico: le terminazioni nervose di questo sistema infatti liberano la
SOSTANZA P, in grado di reagire con le mastcellule.

Diagnosi

L' anamnesi risulta essere fondamentale: ma pure particolarmente complicata per


quanto riguarda le allergie alimentari (più facile per le manifestazioni dermatologiche).
Un criterio differenziale può anche essere la QUANTITA' DI ANTIGENE con cui l'
individuo viene a contatto. In ogni caso, se si ha sospetto di atopia, è possibile
eseguire il PRICK TEST.

Il prick test è un metodo in cui vengono somministrati determinati allergeni a un


individuo per vedere la reazione a quei dati allergeni: non sarà possibile ovviamente
utilizzarli tutti, ma bisogna ORIENTARSI SOLO SU CERTI TRAMITE L'
ANAMNESI.
Viene utilizzato l' avambraccio, perchè ivi la pelle è sottile e non ha peli: tra un test e
l' altro ci vuole ALMENO 1 cm di distanza per evitare interferenze. La puntura viene
effettuata INTRADERMO, MA NON NEL SOTTOCUTANEO, bensì i fori vengono
fatti SULLA CUTE.
Per ciascun allergene SARA' POSSIBILE, dopo un quarto d' ora, osservare dapprima
un eritema, poi un POMFO, ovvero una reazione di gonfiore localizzato con prurito: in
base all' ESTENSIONE DELL' ERITEMA e del POMFO verrà effettuata la
GRADAZIONE DELLE RISPOSTE per ogni singolo allergene, ovviamente comparato
con un eritema provocato da una iniezione di ISTAMINA, alla quale reagiscono tutti i
pazienti indiscriminatamente.

La gradazione delle risposte si basa sull' assegnazione di uno SCORE che va da 1+ a 4+


proporzionale alla LARGHEZZA DEL DIAMETRO DEL POMFO; tuttavia va precisato
che NON E' VERO CHE uno score di 4+ di un allergene possa essere PIU' IN CAUSA
di uno score 1+ di un secondo allergene nell' insorgenza di una allergia.

Bisogna pure escludere i FALSI POSITIVI e i FALSI NEGATIVI:

• Per evitare i FALSI NEGATIVI (se il trattamento è effettuato sotto cura di


CORTISONICI, non ci sarà risposta), si utilizza una INIEZIONE DI
GLICEROLO, nella quale viene diluito l' allergene; se sarà negativo, nessun
problema: il NEGATIVO non era un falso negativo; se sarà positivo, allora il test
era errato.
• Esiste anche un controllo per evitare i FALSI POSITIVI (ovvero il fenomeno
per cui la positività di un test si riflette sul risultato del test adiacente a causa
dell' errata distanza).

Successivamente in laboratorio si doseranno le IgE, ma per una sindrome di


allergopatia non bisognerà dosare le IgE TOTALI, in quanto il loro aumento è pure
legato alle parassitosi, bensì sarà più utile vedere A COSA SI LEGANO le IgE, in tal
caso si useranno due tipi di test, il RIST e il RAST.

Il RIST (Radio Immuno Sorbant Test) dosa le IgE TOTALI ed è un test di


COMPETIZIONE. Vengono sfruttati:

• ANTICORPI ANTI IgE, fatti aderire su un supporto solido.

• Ige con MARCANTI RADIOATTIVI (iodati).

Si crea una curva STANDARD per il paziente fino a trovare una concentrazione di IgE
UTILE che si lega agli ANTICORPI ANTI IgE fino all' 80%; in poche parole verrà
fornito un quantitativo totale di IgE affinchè almeno l' 80% degli anticorpi anti IgE
leghi il substrato. La curva esprime una diretta proporzionalità tra la
CONCENTRAZIONE Di IgE e i COUNTS PER MINUTE.

Quindi si procede: dapprima si daranno le IgE SIERICHE , poi quelle MARCATE


RADIOATTIVAMENTE! Visto che la proporzionalità è diretta, PIU' IgE AVRANNO
I PAZIENTI, MENO LE IgE MARCATE SI LEGHERANNO agli anticorpi anti IgE,
e quinidi si osserverà una BASSA RADIOATTIVITA'.
Ma è un test in cui, dosando le IgE TOTALI, si rischia di cadere in errore! Può sempre
esserci in atto una parassitosi. Pure i test classici della IMMUNODIFFUSIONE
RADIALE sono insufficienti in quanto la concentrazione di IgE con cui si ha a che fare
è MOLTO BASSA.

Il RAST (Rapid Allergo Sorbant Test) invece dosa le IgE ANTICORPALI: stavolta al
supporto solido viene legato l' allergene; di seguito si darà il siero del paziente, dove
si suppone ci siano le IgE SPECIFICHE PER QUELL' ALLERGENE, che eventualmente
si legheranno all' allergene. In seguito si danno ANTICORPI ANTI IgE
RADIOMARCATI: legandosi al frammento Fc, più se ne legheranno, più IgE specifiche
quel paziente avrà prodotto!

Queste tecniche comunque ORIENTANO verso una possibile diagnosi, ma ancora non
consentono di fare diagnosi: infatti una manifestazione asmatica accompagnata da
atopia può essere data da svariati fattori, tra cui anche INTOLLERANZA ALL'
ASPIRINA, in quanto l' acido acetilsalicilico viene utilizzato in molti cibi come
conservante.

Terapia: farmaci

• E' possibile bloccare i fattori direttamente responsabili tramite


ANTISTAMINICI;

• E' possibile pure utilizzare FARMACI ANTI – RECETTORI per l' SRS – A;

• E' possibile utilizzare i SODIO – CROMOGLICATI, che stabilizzano i granuli


delle mastcellule, bloccando l' esocitosi;
• E' possibile utilizzare ADRENALINA o DERIVATI DELLA
NORADRENALINA: sono farmaci SIMPATICO MIMETICI, quindi per l' asma
bloccano la broncocostrizione, promossa dal parasimpatico, e, mantenendo alti i
livelli di cAMP, BLOCCANO la via che porta allo shock anafilattico (ricorda che
il cAMP porta allo shock anafilattico solo se c' è un suo rilascio improvviso,
ovvero uno SPIKE del suo rilascio).

• E' possibile utilizzare le FOSFODIESTERASI, che bloccano il cAMP: l' effeto


però in questo caso RISULTA ESSERE PIU' LENTO nel tempo, che risulta
essere prezioso in caso di shock anafilattico! Dunque in questi casi è preferibile
utilizzare altri farmaci.

Terapia: l' immunoterapia

E' possibile anche l' utilizzo della IMMUNOTERAPIA,da non confondere con la
VACCINAZIONE, termine usato solamente nelle infezioni: difatti nelle infezioni il
sistema immunitario non ha mai visto l' antigene; in questo caso il sistema immunitario
vede più volte l' antigene ed è proprio lui a rispondere male.
Questa pratica è di solito utilizzata per individui ATOPICI con QUADRI CLINICI
SERI; si somministra quindi l' ALLERGENE: NON miscele di allergeni, bensì un
ALLERGENE ALLA VOLTA, sfruttando il cosiddetto TEST DI SCATENAMENTO.
Il test di scatenamento prevede l' INALAZIONE di piccole quantità di antigene
(anche se ultimamente si utilizza anche la VIA SOTTOLINGUALE), e per ciascuna si
valuta la risposta del paziente: l' allergene che provocherà una risposta più massiccia
verrà utilizzato in seguito nei richiami. Vanno fatte delle considerazioni:

• La PRIMA volta si somministra una concentrazione data di allergene;


• Le VOLTE SUCCESSIVE, ovvero nei richiami, SE NE DA' VIA VIA SEMPRE DI
PIU': questo lo si fa per diventare il paziente NON ATOPICO, ovvero per
deviare la sua risposta da una risposta CON PREVALENTE PRODUZIONE DI
IgE a una risposta con PRODUZIONE DI IgG.

Somministrando via via sempre più allergene quello che si nota è che il paziente passa
verso una produzione CRESCENTE DI IgG4 (site nel cromosoma 14 vicino alle IgE e
normalmente NON ESPRESSE), contemporaneamente alla DECRESCITA DELLE IgE.
Le IgG4:

1. NON FISSANO IL COMPLEMENTO;


2. NON OPSONIZZANO;
3. Sono solo competenti a legare l' ALLERGENE, gli impediscono il legame
con il recettore.
Il criterio per decidere le concentrazioni via via sempre più crescenti di allergene si
basa sulla RISPOSTA CLINICA dell' individuo (il paziente non avrà più 40 attacchi d'
asma all' anno, ma 30) : questo fa intuire che l' immunoterapia è molto prolungata nel
tempo!

Reazioni di II tipo

Sono reazioni in cui sono coinvolti classi note di ANTICORPI, ovvero le IgM e le IgG,
che creano danno in quanto i loro bersagli diventano:

• ANTIGENI SELF;

• ANTIGENI presenti su CELLULE che riceviamo dall' esterno per scopo


terapeutico: e in questo caso entrano in gioco i globuli bianchi, i GLOBULI
ROSSI (nelle trasfusioni) e i TRAPIANTI in primis!

Il meccanismo di reazione per entrambe le categorie di bersagli è il medesimo: il


danno viene creato:

• VIA COMPLEMENTO: può essere attivato il complemento, funzionale sia alla


fagocitosi (vedi punto successivo) , sia alla LISI della cellula.

• Oppure tramite FAGOCITOSI: ricorda che le IgG sono OPSONIZZANTI; pure


le IgM lo sono INDIRETTAMENTE, attivando il complemento fino al C3b
(fattore opsonizzante), riconosciuto dal CR1 presente sulla superficie dei
fagociti.

• VIA ADCC: le IgG possono attivare questo fenomeno mediato dalle CELLULE
NK.

Trasfusione di gruppi sanguigni errati

1. Il sistema AB0

La prima volta che viene effettuata la trasfusione, l' individuo possiede GIA'
ANTICORPI NATURALI (IgM) di basso titolo, diretti contro questi antigeni. L'
unico periodo in cui tali anticorpi non sono presenti è il periodo dei PRIMI MESI
DI VITA, in quanto le IgM prodotte dalla madre NON OLTREPASSANO LA
PLACENTA.
Altri individui che non possiedono tali anticorpi saranno gli immunodeficienti.
In ogni caso, i primi sintomi che si evidenziano in seguito ad una trasfusione
ERRATA PER il gruppo AB0 sono:

• Dolore al braccio, dove è avvenuta la trasfusione;


• Brividi;
• Dolori RENALI, dolori LOMBARI.

E questa reazione è talmente veloce che si verifica già ANCORA DURANTE LA


TRASFUSIONE: se accade, bisogna interrompere immediatamente la
trasfusione e reidratare. Di tutto ciò ovviamente non se ne renderà conto il
paziente anestetizzato, dalle cui reazioni dovrebbero partire le prime
avvisaglie. Quello che si verifica a livello microscopico è:

• LISI INTRAVASCOLARE dei globuli rossi: le IgM infatti fissano il


complemento, provocando la lisi dell' eritrocita; le membrane dei globuli
rossi andranno ad intasare la filtrazione renale.

• C.I.D. , ovvero coagulazione intravascolare disseminata: si formano


trombi dappertutto, il fibrinogeno viene consumato, e si scatenano
emorragie disseminate. Anche in questo caso sono le membrane dei
globuli rossi a scatenare la VIA ALTERNATIVA della coagulazione.

• Le IgM poi creano degli agglutinati, ovvero dei PONTI TRA EMAZIA ed
EMAZIA, agglutinati che vengono visti alla banca del sangue mescolando
il sangue ignoto con sangue avente anticorpi ANTI A o ANTI B.

2. Il sistema Rh

Nel caso del sistema Rh, nessun individuo possiede anticorpi naturali contro
questo sistema: infatti alla prima trasfusione vengono formati ANTICORPI
ANTI D (prima IgM, poi IgG), SENZA REAGIRE.
E' alla seconda trasfusione che questi anticorpi (IgG) reagiranno, ma cosa si
verifica?
NON SI OSSERVA AGGLUTINAZIONE, in quanto la densità antigenica è
BASSA e le IgG hanno solo due braccia da sfruttare.
Alla banca del sangue per questo viene utilizzato il TEST DI COOMBS per
provocare l' agglutinazione: tramite l' utilizzo del SIERO DI COOMBS
ANTIGLOBULINA, il test diretto identifica la presenza di anticorpi GIA'
ADESI AI GLOBULI ROSSI; il test indiretto prevede una prima
sensibilizzazione al fattore Rh tramite anticorpi anti Rh, poi la
somministrazione del siero di Coombs.
Se si verifica agglutinazione, vuol dire che il paziente AVEVA PRODOTTO
ANTICORPI CONTRO IL FATTORE Rh.

Ma che ne è dei globuli rossi? Le IgG (non tutte le classi) sono fissanti il
complemento, A PATTO CHE LA DENSITA' ANTIGENICA SIA ALTA, COSA
CHE NON AVVIENE. Quindi:

• Il complemento NON viene fissato: non si verifica LISI


INTRAVASCOLARE;

• Ma ai globuli rossi comunque rimangono adese le IgG: quello che si


verifica è una LISI EXTRAVASCOLARE, ovvero una fagocitosi dei globuli
rossi nei polmoni (macrofagi alveolari) ,nella milza e nel fegato (dalle
cellule di Kuppfer): questo perchè i macrofagi possiedono il recettore
CD16 e CD32 per il frammento Fc delle IgG.

Tuttavia alcuni globuli rossi NON vengono fagocitati del TUTTO, ma solo IN
PARTE: alcuni macrofagi fagocitano solo un pezzo della loro membrana,
permettendo così la RICOSTITUZIONE DI QUESTE CELLULE, che vengono
chiamate ora SFEROCITI, più piccoli, rotondeggianti, con una alta
concentrazione di emoglobina (ricorda che il VOLUME CLASSICO degli
eritrociti è di 90 μm^3, qui è nettamente inferiore).

Si parla in entrambe i casi di forme di ANEMIA EMOLITICA.

Reazioni di II tipo e autoimmunità

Nell' autoimmunità si possono ritrovare reazioni di II tipo come le ANEMIE


EMOLITICHE AUTOIMMUNI, in cui l' individuo crea anticorpi contro il proprio
sistema Rh: a questi individui non si effettueranno MAI trasfusioni.
Come si fa allora a discriminare un soggetto Rh NEGATIVO IMMUNIZZATO
contro il fattore Rh (che ha ricevuto una trasfusione), oppure un soggetto capace
di creare autoanticorpi (affetto da malattia autoimmune) da un soggetto
INCAPACE di creare autoanticorpi anti fattore Rh (sano) , SFRUTTANDO IL
METODO DELL' AGGLUTINAZIONE? Ovvero per vedere se l' eritrocita è
circondato da anticorpi che non fanno ponti agglutinanti?

Si utilizza il test di Coombs DIRETTO: se a legarsi sulla parete dell' eritrocita sono
le IgG, è possibile aggiungere ANTICORPI ANTI IgG in grado di creare il ponte
aggiuntivo necessario per l' agglutinazione. Se risulta positivo, vuol dire che il
paziente presentava gli anticorpi anti fattore Rh.
Esiste anche il test di Coombs INDIRETTO: si ricercano in tal caso gli anticorpi anti
fattore Rh nel siero del paziente. Questo siero viene messo a contatto con globuli
rossi Rh+ e di gruppo 0 (per non avere interferenze con il sistema AB0). Si lava il
tutto, in modo da eliminare eventuali anticorpi non legatisi, e si somministrano gli
ANTICORPI ANTI IgG: se si osserva agglutinazione vuol dire che il paziente
presentava gli anticorpi anti fattore Rh.

Nei casi sopracitati, si parlerà di AUTOANTICORPI CALDI (ovvero che si formano E


reagiscono alla normale temperatura corporea di 37 °C); questo per distinguerli dagli
AUTOANTICORPI FREDDI (IgM) che reagiscono contro i globuli rossi a 15 °C circa,
ovvero la temperatura alle estremità degli arti che si viene a formare in certi Paesi
freddi (già vista in precedenza): questi individui fanno AUTO IgM dirette contro dei
particolari antigeni, I ed i, presenti sulla superficie dell' eritrocita, provocando quindi
LISI INTRAVASCOLARE.
Esiste pure una ANEMIA particolare data da infezione da Mycoplasma Pneumoniae, e
sembrano esserci collegamenti tra la presenza del microbo e l' anemia da
autoanticorpi freddi.

Anemie emolitiche autoimmuni da farmaci

Anche un farmaco, che si comporta come aptene, può attaccarsi al globulo rosso (ma
anche alle piastrine a ad organi solidi come il rene) PASSIVAMENTE (ovvero il globulo
rosso fa da spettatore innocente, in quanto è il farmaco di per sé che possiedee la
capacità di legarsi): il problema nasce qualora l' individuo abbia prodotto ANTICORPI
DIRETTI CONTRO QUEL FARMACO!
Questo non vuol dire che ogni farmaco “sappia far produrre all' individuo anticorpi
contro di sé.

La malattia emolitica del neonato

Qualora una madre fosse Rh-, e per motivi genetici (marito Rh+) desse alla luce alla
prima gravidanza un feto Rh+, al momento del taglio del cordone ombelicale un po' di
sangue fetale (2 – 3 cc) si mette sempre in contatto con quello della madre, che si
immunizza: quello che avviene è la formazione di ANTICORPI (IgG) ANTI FATTORE
RH, che rimangono ivi silenti. Qualora la donna andasse incontro ad una seconda
gravidanza, con feto Rh+, al momento del passaggio degli anticorpi materni attraverso
la placenta, passerebbero pure quelli anti fattore Rh. Quelle che ne derivano sono
conseguenze disastrose per il feto: sarà possibile l' ABORTO! Se la donna non
abortisce, il neonato potrà soffrire di EPATOSPLENOMEGALIA e IDROCEFALO
(dato dal passaggio dell' emoglobina attraverso la barriera ematoencefalica, ancora
incompleta), con presenza di SFEROCITI nel sangue del piccolo.
Di fronte a un quadro del genere, bisogna innanzitutto fare l' anamnesi, ovvero
conoscere la storia della famiglia, sapere se la donna aveva già avuto aborti in passato.
Se il padre poi è Rh+, potrà esserlo:

1. Nella forma OMOZIGOTE (DD), in tal caso anche il feto al 100% era (o è) Rh+;

2. Nella forma ETEROZIGOTE (Dd), in tal caso rimane aperto un punto di


domanda. Per conoscere il suo genotipo bisognerà indagare sulla prole, in tal
caso altri figli, eventualmente.

Quello che taglia DEFINITIVAMENTE la testa al toro è la ricerca di ANTICORPI


ANTI FATTORE Rh nel siero della MADRE tramite l' utilizzo del test di Coombs
INDIRETTO.

Se poi ci fosse differenza di antigeni AB0 tra madre e feto è meno probabile l'
immunizzazione della madre per il fattore Rh, perché se la madre possiede
ANTICORPI NATURALI contro gli ANTIGENI FETALI AB0, distrugge quei globuli
rossi e il problema non si pone nemmeno. Inoltre sarebbero in forma di IgM (perchè l'
antigene non è mai stato visto), per cui non riescono ad attraversare la barriera della
placenta. E SE IN SEGUITO A POLIGRAVIDANZE QUESTI ANTICORPI MATERNI
FOSSERO IN FORMA DI IgG PASSEREBBERO? No, non passerebbero la barriera
placentare comunque, perchè troverebbero gli antigeni AB0 anche a questo livello,
dove si legherebbero: ricorda che il sistema AB0 è su TUTTI I TESSUTI.

Può sorgere però una domanda spontanea: come mai GLI ANTICORPI DEL FETO
DIRETTI EVENTUALMENTE CONTRO IL SISTEMA AB0 DELLA MADRE non
scatenano nulla? Perchè sono in una concentrazione irrilevante (ricorda che a passare
sono solo 2 – 3 cc di sangue al distacco della placenta).

Se comunque questi ANTICORPI ANTI FATTORE Rh dovessero essere in qualche


modo trovati alla SECONDA gravidanza, si cerca di far arrivare il feto ALMENO AL
SETTIMO MESE intervenendo d' urgenza con un PARTO CESAREO.

Oggi si previene tutto questo somministrando anticorpi anti fattore Rh (anti D) AD


ALTISSIMO TITOLO ALLA FINE DELLA PRIMA GRAVIDANZA entro 24 ore,
perché questo è il periodo in cui sono presenti nella madre ancora i globuli rossi del
figlio. In tal modo questi anticorpi si legheranno ai globuli rossi fetali, e andranno a
BLOCCARE LA PRODUZIONE DI ANTICORPI ANTI FATTORE Rh. Il meccanismo di
blocco dei linfociti B è stato analizzato in precedenza: il complesso globulo rosso –
anticorpo anti D viene visto dal recettore CD32b con la sequenza inibitrice ITIM, che
“spegnerà” il linfocita B.
Il metodo di Kleihauer

Questo metodo consente di distinguere gli eritrociti del feto da quelli materni dopo
che è avvenuto il distacco della placenta. Viene preso il sangue della madre e trattato
con una SOLUZIONE DI SODA e DI UN ALCALE:

• L' emoglobina FETALE sarà RESISTENTE a tale soluzione;


• L' emoglobina MATERNA NO.

Per cui permarranno in soluzione SOLO LE EMAZIE FETALI.

La sindrome di GOODPASTURE

E' una reazione di secondo tipo in cui vengono a formarsi autoanticorpi diretti contro
ANTIGENI CHE SONO COSTITUENTI INTEGRALI DELLA MEMBRANA BASALE
DEL GLOMERULO RENALE. Quello che viene a formarsi è un deposito UNIFORME di
immunocomplessi (ma non si tratta di una reazione di III tipo).

Considerazioni

Nelle reazioni di II tipo possono quindi essere attaccati TUTTI GLI ORGANI. Se poi
il paziente HA GIA' anticorpi PREFORMATI contro gli antigeni di un dato organo che
deve essergli trapiantato, si osserverà il RIGETTO IPERACUTO dell' organo SUL
TAVOLO OPERATORIO.
Per la reazione di II tipo non esistono TEST VALUTATIVI.

Reazioni di III tipo

Le reazioni di III tipo sono PATOLOGIE DA IMMUNOCOMPLESSI, nelle quali l'


antigene risulta SOLUBILE: o l' antigene è nato come solubile oppure si solubilizza
staccandosi da una cellula.
Sono patologie rare, e non è detto che ogni qualvolta che si formino immunocomplessi
si presenti la patologia: infatti OGNI VOLTA CHE SI ABBIA A CHE FARE CON
ANTIGENI SOLUBILI, SI FORMANO IMMUNOCOMPLESSI CHE DI NORMA
VENGONO SMALTITI, perchè non si è sottoposti a quantità costanti di antigene.
Infatti quando avviene una infezione, come quella batterica , DI NORMA SOLO ALL'
INIZIO si ha una situazione di antigene SUPERIORE agli anticorpi: ma questa
situazione è transitoria, perchè il nostro sistema immunitario deve ancora produrne;
man mano che li produce, infatti, la situazione si inverte: si formano immunocomplessi
che verranno smaltiti, e la [anticorpo] permarrà per tutto il resto dell' infezione
superiore alla [antigene].

Qualora invece una situazione di esposizione CONTINUA ALL' ANTIGENE, come:


• L' infezione virale cronica (EPATITE);

• Tumori sorgenti di antigeni;

• Formazione di autoantigeni (condizione di autoimmunità), come il DNA nel


LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO;

, e quindi di [antigene] superiore alla [anticorpo] venisse a formarsi, gli


immunocomplessi non riuscirebbero più ad essere smaltiti e andrebbero a depositarsi
in diversi territori.

Queste situazioni in cui si gioca sulle due concentrazioni si possono formare:

• In TERRITORI EXTRAVASCOLARI: generalmente in questa sede se ne


occupano i MACROFAGI LOCALI, richiamati in loco tramite il processo
flogistico. L' eliminazione degli immunocomplessi avviene:

1. Tramite FAGOCITOSI se gli anticorpi sono IgG: i macrofagi possiedono


il recettore per il frammento Fc.

2. Tramite ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO se gli anticorpi sono IgM.

• In CIRCOLO: degli immunocomplessi se ne occupano organi come FEGATO,


MILZA e POLMONE, tramite i macrofagi locali, FISSI. Questo sta a
significare che si necessita di un RALLENTAMENTO DEL FLUSSO per la
captazione degli immunocomplessi. La captazione in questi organi avviene
tramite recettori posti sulla superficie del fagocita:

1. Il CD16, recettore a bassa affinità per il frammento Fc delle IgG, visto


solo se la IgG è legata all' antigene (=immunocomplesso!);

2. CR1 e CR3, recettori per C3b e C3bi rispettivamente.

Gli immunocomplessi sono quindi capaci di ATTIVARE IL COMPLEMENTO, che quindi


svolge un doppio ruolo:

1. FAVORIRE LA CLEARANCE DEGLI IMMUNOCOMPLESSI;

2. SOLUBILIZZARE GLI IMMUNOCOMPLESSI: legando i frammenti Fc


delle immunoglobuline, li mantiene solubili, NON FACENDOLI
PRECIPITARE.
In aiuto dei macrofagi fissi arrivano poi i GLOBULI ROSSI, che trasportano questi
immunocomplessi, visto che possiedono il recettore CR1, che lega il C3b, che a sua
volta sarà legato all' immunocomplesso! Nei SINUSOIDI e nei PICCOLI CAPILLARI
SPLENICI i globuli rossi sono costretti poi a passare in fila indiana, e la consegna in
questo modo è favorita.
L' immunocomplesso viene liberato perchè entra in gioco il C3b INATTIVATORE, che
converte il C3b in C3bi: dal momento che il CR1 lega solo il C3b, lo deve per forza
rilasciare, RILASCIANDO COSI' TUTTO IL COMPLESSO!
A questo punto il C3bi con l' immunocomplesso potrà venir preso in consegna dai
macrofagi fissi, che potranno vedere il C3bi tramite il CR3; è un qualcosa in più, dato
che già potevano vedere il C3b tramite il CR1.
Questa scoperta fu possibile tramite esperimenti su delle scimmie, nelle quali si
osservò che immunocomplessi MARCATI erano presenti ad alta concentrazione nella
VENA PORTA, e a concentrazione praticamente NULLA nella VENA EPATICA: qualora
il complemento in queste scimmie fosse stato tolto, TANTO COMPLEMENTO
SAREBBE ARRIVATO, e TANTO NE SAREBBE USCITO.
Nell' uomo, sembra che in realtà sia la MILZA a sfruttare maggiormente il
complemento per eliminar egli immunocomplessi. Quindi:

1. La MILZA utilizza maggiormente il SISTEMA DI ELIMINAZIONE


COMPLEMENTO DIPENDENTE;

2. Il FEGATO utilizza maggiormente il SISTEMA DI ELIMINAZIONE


COMPLEMENTO INDIPENDENTE.

Malattia da siero acuta

In passato, quando per immunizzarsi contro infezioni batteriche si utilizzava


trasfusioni di SIERO DI CAVALLO, si creava una situazione che prevedeva i seguenti
sintomi:

• FEBBRE;
• ARTRALGIA;
• PROTEINURIA.

Infatti il siero di cavallo, visto come estraneo dal sistema immunitario umano,
provocava la formazione di anticorpi che via via prendevano sempre piuù il sopravvento
sugli antigeni equini, unitamente alla formazione di immuncomplessi: quello che ne
risultava quindi era una sintomatologia TRANSITORIA.

La MALATTIA REUMATICA o la GLOMERULONEFRITE POSTSTREPTOCOCCICHE


risultano pure essere transitorie, così come lo sono le malattie da siero acute che si
manifestano in coloro che ASSUMONO FARMACI (purchè non in maniera cronica):
LENTAMENTE GLI IMMUNOCOMPLESSI VENGONO SMALTITI.

Malattia da siero cronica

Viene definità così perchè si verifica la PERMANENZA CONTINUA DELL'


ANTIGENE NEL TEMPO al di sopra del livello degli anticorpi, gli immunocomplessi
NON VENGONO SMALTITI, e si depositano in diverse sedi, quali i piccoli vasi (anche
del cuore), creando in tal caso infiammazioni dette VASCULITI, l' organo più
osservato in termini di effetti patologici è il RENE.
Nelle vasculiti si osserva un deposito GRANULARE E NON CONTINUO di
immunocomplessi sulla parete del vaso, questo perché precipitando, gli
immunocomplessi cadono in maniera irregolare, “a pioggia”.
Perché poi vengono colpiti i piccoli vasi e non quelli grandi come l' aorta? Perché nei
piccoli vasi si osserva un rallentamento del flusso e l' instaurarsi di un moto
turbolento con formazione di VORTICI che promuovono il deposito.

La reazione di Arthus

Iniettando di continuo l' antigene, sarà quindi possibile avere DUE SITUAZIONI:

1. La MALATTIA DA SIERO CRONICA, dove si osserva un ECCESSO DI


ANTIGENE;

2. La REAZIONE DI ARTHUS, dove si osserva un ECCESSO DI ANTICORPO. E'


una REAZIONE LOCALE nel punto in cui si inietta l' antigene; quello che si
osserva è un ERITEMA CON INFILTRATO DURO e NODULI PALPABILI:
questo quadro compare già 5 – 6 ore dopo l' ultima iniezione. Solo in alcuni casi
potrà essere presente orticaria (rari).
In tal caso quindi l' individuo sarà IPERPRODUTTORE DI IgG (di per sé, per motivi
genetici) contro quell' antigene. Si sa che 1/3 delle IgG è EXTRAVASCOLARE: quello
che si verifica è una mobilitazione di queste IgG verso l' antigene SULLA PARETE
ESTERNA DEL VASO presso cui si è iniettato l' antigene stesso!

Esiste una PATOLOGIA che prevede lo stesso meccanismo della reazione di Arthus,
ovvero l' ALVEOLITE ALLERGICA ESTRINSECA. Questa patologia nasce perché
vengono inalati dall' esterno antigeni che inducono una risposta IgG IN GRANDE
QUANTITA': gli immunocomplessi andranno a depositarsi sulla parete ESTERNA dei
vasi alveolari, determinando:

• Infiammazione alveolare;
• Flogosi;
• Difficoltà respiratorie.
L' antigene che giunge dall' esterno potrà essere di diversa natura: per gli agricoltori
dell' aia potrà essere una SPORA FUNGINA, per gli allevatori di piccioni le FECI
ESSICCATE e rese volatili.
Generalmente contro queste patologie vengono cercati gli ANTICORPI
PRECIPITANTI.

Il lupus eritematoso sistemico

E' una patologia da immunocomplessi che colpisce generalmente le giovani donne dai 20
anni in su. E' una condizione in cui vengono prodotti autoanticorpi contro vari bersagli
self (autoantigeni), uno dei quali è il DNA (ma anche il CR1).
Dal momento che il DNA è sempre disponibile, si osserverà una CONTINUA
ESPOSIZIONE ALL' ANTIGENE! Gli immunocomplessi che verranno a formarsi
potranno andare:

• Sui piccoli vasi di cervello, cute e articolazioni: in quest' ultimo caso si potrà
avere ARTRALGIA: la sinovia si imbibisce molto in seguito alla flogosi, ed è
ricca di terminazioni nervose, per cui se essa si gonfia, l' individuo se ne
accorge. Generalmente l' artralgia è proprio il PRIMO SEGNO CHE COMPARE;

• A depositarsi a livello renale: a differenza della sindrome di Goodpasture, gli


immunocomplessi si formano IN CIRCOLO E POI SI DEPOSITANO. I depositi
sono GRANULARI e IRREGOLARI (detti “LUMPY BUMPY”).

Visibilmente si osserverà un aspetto ERITEMATOIDE della cute a livello delle guance.

Condizioni che promuovono il deposito di immunocomplessi sui vasi nella malattia da


siero cronica

• RIDOTTA RISPOSTA ANTICORPALE;

• RIDOTTA ATTIVITA' COMPLEMENTARE: gli immunocomplessi non vengono


smaltiti; quello che si nota sono difetti nei primi componenti complementari,
come il C1q;

• RIDOTTO NUMERO DI MOLECOLE CR1 per:

1. Fattori genetici: i globuli rossi non possiederanno il CR1, essenziale a


legare il C3b;
2. Creazione di AUTOANTICORPI ANTI CR1: fenomeno possibile nel lupus
eritematoso sistemico;
3. Presenza di troppo complemento attivato: troppo C3b senza
immunocomplessi va ad intasare il CR1, impedendogli di vedere il C3b con
gli immunocomplessi.

• FATTORI EMODINAMICI;

• AUMENTO DELLA PERMEABILITA' VASALE;

• LEGAME DI ANTIGENI A TESSUTI;

• DIMENSIONI DEGLI IMMUNOCOMPLESSI;

• FATTORI PREDISPONENTI LOCALI.

Come gli immunocomplessi creano la flogosi

Per creare fenomeni flogistici, gli immunocomplessi devono passare l' endotelio vasale
e raggiungere il subendotelio: ci vuole un aumento di permeabilità del vaso. I
protagonisti dell' aumento di permeabilità vasale sono:

• PIASTRINE: possono legare gli immunocomplessi e produrre il PAF: ne


consegue un innesco della coagulazione e un AUMENTO DI PERMEABILITA'
VASALE.

• BASOFILI: simili alle mastcellule, possono produrre ISTAMINA, anch' essa


responsabile dell' AUMENTO DI PERMEABILITA' VASALE. I basofili sono in
un numero esiguo, ma sono sufficienti affinchè si instauri il danno, e sono
stimolati dal COMPLEMENTO, tramite il C3a, che possiede recettori specifici
sui BASOFILI e SULLE MASTCELLULE. Si intuisce come il complemento possa
quindi essere un' arma a doppio taglio, visto che da un lato promuove lo
smaltimento degli immunocomplessi, dall' altro promuove la vasculite!

Se i macrofagi locali non ce la fanno a fagocitare gli immunocomplessi, possono


giungere sul luogo i neutrofili, richiamati da fattori chemiotattici come il C5a.
Va detto che i complessi che si depositano NON SONO SOLUBILI: lo sforzo che
devono fare i polimorfonucleati e i macrofagi è quello di strapparli dal tessuto in cui
sono abbarbicati.
Quello che ne deriva quindi è uno SFORZO DI MEMBRANA CONTINUO: i macrofagi
buttano fuori tutto il loro contenuto, nel tentativo di prendere e fagocitare gli
immunocomplessi: il territorio circostante è come se fosse sottoposto al napalm.

Cosa accade a livello renale

Si è detto che il rene è l' organo più colpito dalla patologia vasculitica.
Al di sotto della MEMBRANA BASALE dei capillari glomerulari è sito il MESANGIO
(simile alla sinovia, si imbibisce facilmente in seguito a flogosi): sono i macrofagi del
MESANGIO ad occuparsi degli immunocomplessi, di norma.

Ma tali depositi di immunocomplessi possono instaurarsi a diversi livelli. Questo


dipende dalle dimensioni degli immunocomplessi, PIU' PICCOLI SARANNO, PIU' IN
PROFONDITA' ANDRANNO:

1. Si possono creare depositi SOTTOEPITELIALI, quindi al di sotto dei podociti,


in profondità.

2. Si possono creare depositi più superficiali: in ogni caso la barriera di


ultrafiltrazione viene compromessa; si determina PROTEINURIA. Evidenze
sperimentali però hanno dimostrato che topi trattati con ANTISTAMINICI
avevano minor proteinuria.

La dimensione degli immunocomplessi poi dipende dall' antigene: se si è in ECCESSO


DI ANTICORPO, i complessi saranno GRANDI; se si è in ECCESSO DI ANTIGENE, si
formeranno complessi PICCOLI.

In periferia

Esistono manifestazioni spontanee tipo – Arthus PERIFERICHE, come le PORPORE


PERIFERICHE.

Le PORPORE in generale vanno distinte dagli ERITEMI in quanto:

• In una PORPORA si individuano chiazze rosse sulla cute, date dallo stravaso
emorragico: la parete del vaso è stata lesionata!

• L' ERITEMA è un processo flogistico.

Dal punto di vista semeiologico, se l' eritema viene schiacciato, il colore rossastro
scompare; la porpora no, ed è caratterizzata dal cambiare colore nel tempo (diventa
BLUASTRA).

La porpora con cui si ha a che fare in questo poi è DIFFERENTE DALLA PORPORA
COMUNE: in questo caso risulta infatti essere DURA AL TATTO (a differenza di
quella comune), per la presenza di un INFILTRATO DURO, tanto da venir chiamata
PORPORA LEUCOCITOCLASTICA: anche in questo caso si avrà una iperproduzione di
anticorpi, con formazione di immunocomplessi, visti dal complemento, che promuoverà
il richiamo di macrofagi e polimorfonucleati, responsabili della durezza dell' infiltrato.
Diagnosi delle patologie da immunocomplessi

Una possibilità di diagnosi è il DOSAGGIO DEL COMPLEMENTO: ed è quanto si fa


nel lupus eritematoso sistemico, se si vede che il complemento è basso, vuol dire che è
stato consumato. Tuttavia il dosaggio del complemento rimane un elemento
INDIRETTO e DA SOLO NON BASTA: infatti esso può venir consumato in diverse
situazioni.

Un sistema di diagnosi DIRETTO può essere una BIOPSIA con


IMMUNOFLUORESCENZA: in tal caso si andrà a vedere il DEPOSITO GRANULARE
sui vasi, già un segno che dà SOSPETTO di patologia da immunocomplessi.
Si usa in genere il C1q BINDING TEST: se gli immunocomplessi sono capaci di fare
danni, vuol dire che sono capaci di fissare il complemento! Si prende il C1q e lo si
mette su un supporto solido, di seguito si da il siero del paziente: se ci sono
immunocomplessi, questi si legheranno al C1q; in seguito si utilizzeranno ANTICORPI
ANTI IMMUNOGLOBULINE marcati.

Reazioni di IV tipo

Le reazioni di IV tipo sono le uniche a chiamare in causa DIRETTAMENTE il sistema


CELLULO – MEDIATO, e non anticorpi.
Più in particolare, nelle reazioni di IV tipo sono coinvolte:

• Le CTL, che come già visto sono in grado di attaccare CELLULE INFETTATE da
VIRUS e CELLULE TUMORALI;

• Certi tipi di LINFOCITI T con funzione pro infiammatoria, attivati dai


linfociti Th1.

Due tipi di reazioni di IV tipo verranno analizzate:

• L' ALLERGIA DA CONTATTO;

• La REAZIONE TUBERCOLINICA.

Questa reazione, rispetto a quella di I tipo, è RITARDATA: infatti bisogna aspettare


almeno 24 – 48 ORE in seguito allo stimolo, perché si manifesti.

L' allergia da contatto

E' una reazione che non ha NULLA A CHE FARE CON LE ALLERGIE di I TIPO. Quello
che si viene a creare è una reazione visibile in seguito ad un contatto con la cute (ma
questa reazione può avvenire anche nelle mucose, come quella intestinale).
La manifestazione TIPICA della reazione di IV tipo è l' ECZEMA (che compare però
anche nelle reazioni di I tipo): ovvero una sorta di eritema irregolare con
DESQUAMAZIONE DELLA CUTE e INFILTRAZIONE DI MONONUCLEATI.
La desquamazione si spiega con la citotossicità degli strati superiori data dalle
reazioni infiammatorie che si vengono a generare.

Condizioni che favoriscono l' insorgenza dell' allergia da contatto

L' allergia da contatto è un serio problema di MEDICINA DEL LAVORO. Le sostanze


chiamate in causa sono le più svariate: sono APTENI, ovvero ANTIGENI
INCOMPLETI a basso peso molecolare, come:

• Il nichel presente nelle collane o nei cinturini, o altri metalli;

• Farmaci o sostanze da contatto come le pomate;

• Guanti da sala operatoria: questi possono anche dare reazioni site a metà
strada tra il I TIPO e il IV TIPO.

Ovviamente non tutti andranno incontro a questa reazione, ma solo chi ne è


predisposto.
Gli apteni per definizione hanno bisogno di essere completati da un carrier, che in
QUESTO CASO è SITO NEI CHERATINOCITI DEGLI STRATI VITALI:

• BASALE;

• GRANULOSO.

Il carrier sarà quindi una PROTEINA DI MEMBRANA dei cheratinociti: il


complesso APTENE – CARRIER si distaccherà dalla membrana, e l' informazione verrà
presa in consegna dalle CELLULE DI LANGERHANS (che possiedono i granuli di
Birbeck), APC a tutti gli effetti, quindi aventi l' MHC DI CLASSE II, a cui lega il
complesso aptene – carrier.
Di seguito le cellule di Langerhans internalizzano l' antigene e si dirigono nel
CIRCOLO LINFATICO e poi nelle LINFOGHIANDOLE, più precisamente nella zona
PARACORTICALE DEL LINFONODO (la zona T dipendente), dove presenteranno l'
antigene ai linfociti T HELPER di TIPO 1 CD4+, che sono pochi, ma ricorda che la
reazione avviene sempre perchè c'è il recircolo linfocitario.

A questo punto quello che si verifica è il fenomeno dello SHUT DOWN (chiusura
ermetica) dei VASI LINFATICI EFFERENTI; questo per permettere alle cellule di
Langerhans di proseguire lentamente, e di consentire ai LINFOCITI T di proliferare.
Dopodichè si verificherà la riapertura di questi vasi e l' uscita dei linfociti Th1, che
ora andranno a caccia dell' antigene: più precisamente andranno a localizzarsi sulla
CUTE, passando prima per il derma, e poi nell' epidermide.
Quello che si verifica, una volta che i T helper avranno visto l' antigene, è:

• L' attivazione dei T helper stessi, che libereranno citochine e fattori


chemiotattici per i MONONUCLEATI: si verifica FLOGOSI! Ma...

• ...tra i mononucleati ci sono anche le CTL, richiamate: che uccideranno le cellule


su cui vedranno l' antigene! In questo senso la DESQUAMAZIONE è
GIUSTIFICATA!

Diagnosi dell' allergia da contatto

Si utilizza il PATCH TEST: si utilizza una GARZA IMBEVUTA di sostanze oleose con
l' APTENE e la si pone a contatto sulla schiena (dorso); si chiede al paziente di
tornare dopo 24 – 48 ore e, se si osserva l' ECZEMA, sarà PATCH POSITIVO.

La reazione tubercolinica

La reazione tubercolinica è solo un prototipo di reazione che si ha nei confronti di


agenti ENDOCELLULARI infettivi come:

• Mycobacterium Tuberculosis;
• Mycobacterium Leprae;
• Brucelle;
• Listerie.

L' infezione da Mycobacterium Tuberculosis (o Bacillo di Koch) generalmente avviene


per via aerea: esso entra tramite delle goccioline (PFLÜGGEN in tedesco, così furono
chiamate da Koch).
Il micobatterio possiede una parete spessa, e riesce ad evadere la risposta dei
macrofagi riuscendo ad entrare tramite fagocitosi (possiede una molecola che mima il
C3bi del complemento, quindi viene captato dal CR3 sui macrofagi); questa molecola
SIMIL – C3bi è pure in grado di inibire la fusione del FAGOSOMA con il LISOSOMA,
e in tal modo il bacillo sopravvive all' interno del fagocita.
Questo micobatterio lascia della calcificazioni nelle sedi infettate che rappresentano
il SEGNO DEL SUO PASSAGGIO.

Ai tempi di Koch coltivare il micobatterio era difficile: vi era solo una possibilità di
fare diagnosi. Praticamente si prendeva l' espettorato del paziente e si iniettava
sottocute nelle CAVIE: quello che accadeva era la formazione LOCALE di NODULI
SOTTOCUTANEI, che in dieci giorni andavano incontro a necrosi; entro quaranta
giorni, la cavia moriva.
Che cosa fece Koch? Prese una cavia e le inoculò l' espettorato di un paziente infetto;
aspettò che passassero dieci giorni, per verificare la formazione di noduli e necrosi,
dopodiché ESEGUI' UNA IMMEDIATA REINOCULAZIONE dell' espettorato: quello
che osservò fu la rapida formazione di un INFILTRATO LOCALE e la GUARIGIONE
DELLA CAVIA. Questo prese il nome di FENOMENO DI KOCH.

Il fenomeno di Koch era riproducibile poi tramite l' utilizzo dell' antigene che Koch
stesso chiamò TUBERCOLINA, isolata tramite coltivazione in BRODO DI BUE
CONCENTRATO dal sopranatante.
Oggi come oggi però non si utilizza più la tubercolina, ma la PPD (PROTEIN PURIFIED
DERIVATIVE): è una proteina purificata. Se la si inietta intradermo in un uomo che ha
già avuto un precedente contatto con il micobatterio della tubercolosi, si crea una
reazione LOCALE, INTRADERMICA, DURA AL CONTATTO, chiamata REAZIONE DI
MANTOUX: quello che si osserva è un territorio di attiva flogosi ed infiltrato
MASSIVO di MONONUCLEATI (macrofagi, monociti, linfociti).
La reazione, essendo di IV tipo, NON è IMMEDIATA e avviene dopo 48 – 72 ore.

Reazioni simil – tubercoliniche

Tramite utilizzo di LEPROMINA (l' antigene del Mycobacterium Leprae) si ottiene la


REAZIONE DI MITSUDA. I risultati sono gli stessi e identici della reazione
tubercolinica.
La stessa reazione è possibile evocarla con la CANDIDINA e la BRUCELLINA in
pazienti che hanno già avuto contatto con questi microrganismi.

Cosa accade

I primi passaggi sono i medesimi di quelli che avvengono nell' allergia da contatto.
I linfociti T HELPER – 1 si dirigono localmente nel punto in cui è stato iniettato l'
antigene: sanno ESATTAMENTE DOVE ANDARE, uscendo dai vasi sanguigni, questo
anche perchè l' endotelio in alcune situazioni è portato ad esprimere l' MHC DI
CLASSE II con l' ANTIGENE.
Si osservano anche per i linfociti quindi i fenomeni di ADESIONE, ROLLING, e
ATTRAVERSAMENTO DELL' ENDOTELIO. Giunti in loco, i linfociti Th1:

• Non potendo attivare le CTL (dal momento che queste non possono vedere i
macrofagi con dentro il micobatterio), cercano di RECLUTARE ALTRI
MONOCITI e MACROFAGI, e LINFOCITI tramite l' espulsione di FATTORI
CHEMIOTATTICI.
• Bisogna poi potenziare l' attività macrofagica: i linfociti Th1 producono
INTERFERONE γ (IF – γ), che attiva i macrofagi, rendendoli PIU' GRANDI e
PIU' AGGRESSIVI; producono TNF, fondamentale per attivare l' endotelio;

A questo punto entrano in gioco le CHEMOCHINE, tra le più svariate famiglie:

• C;
• C – C;
• C – X – C;
• C – XYZ – C;

Tra esse si ritrovano le chemochine:

• RANTES: prodotta dai macrofagi ATTIVATI, attira i linfociti, che attiveranno


il sistema, potenziandolo;
• MCP: attira le cellule NK;
• MIP: attira i LINFOCITI T, B e le CELLULE NK.

Ora che si è giunti ai MACROFAGI ATTIVATI, non è detto che però il nostro sistema
immunitario ce la faccia; allora una ulteriore strategia è fornita da alcuni macrofagi
che si trasformano in:

• CELLULE EPITELIODI;

• CELLULE GIGANTI: sono il risultato della fusione di più cellule macrofagiche,


MULTINUCLEATE, con NUCLEI a CORONA disposti in periferia; sono il
risultato di una aumentata REAZIONE GRANULOMATOSA, in quanto vengono
a formarsi strutture particolari chiamate GRANULOMI (formazioni che non
sono esclusive della tubercolosi, ma anche di altre reazioni di IV tipo proseguite
oltre i limiti del decente, come la LEBBRA (sia cutanea che lepromatosa).)

Qualora la reazione avvenisse a livello polmonare, si viene a creare una zona di


NECROSI CASEOSA, dove si cerca come ultimo disperato tentativo di MURARE
VIVO IL BATTERIO con il granuloma.
Ovviamente per fare tutto ciò ne soffre il tessuto polmonare NORMALE e il polmone
va incontro a danni considerevoli

Il vaccino

In Italia non è obbligatorio, ma è CONSIGLIATO per le persone che sono spesso a


contatto con il pubblico o vivono in comunità; il BCG (Bacillo di Calmette – Guerìn) è il
vaccino contro la TBC, ma più che un vero e proprio vaccino, POTENZIA LA
RISPOSTA IMMUNITARIA, dato che si tratta di un BACILLO che presenta solo
antigeni SIMILI al micobatterio della tubercolosi.
Quindi NON SI TRATTA DI UN VACCINO SPECIFICO PER LA TUBERCOLOSI:
infatti il BCG è usato anche nelle neoplasie.
I soggetti immunodepressi, se ricevono il vaccino, rischiano di andare incontro alla
BCG – ITE, ovvero una seria infezione a livello polmonare.

La diagnosi

Per la reazione tubercolinica, si utilizza l' avambraccio: il PPD viene inoculato


intradermo. SE RISULTA POSITIVO, dopo 48 ore si vedrà la reazione al suo massimo
splendore.

• Se il test risulta POSITIVO, NON può essere utilizzato per dire che l'
individuo ha una TUBERCOLOSI IN ATTO: la positività al test significa solo
che la persona ha GIA' AVUTO UN INCONTRO CON QUEL DATO
ANTIGENE, ovvero risulta SENSIBILIZZATA; la memoria infatti risulta
essere duratura!
Se al primo test si risulta POSITIVI, si torna dopo pochi anni e lo si riesegue, e si
risulta NEGATIVI, significa che:

1. O si è in un momento di IMMUNODEPRESSIONE (da terapia);

2. O si ha il rischio di aver contratto l' AIDS: l' iporesponsività dei linfociti


T è uno dei primi segni dell' AIDS!

3. O si rischia di aver contratto un TUMORE DEL SISTEMA


IMMUNITARIO (LINFOMA).

E' chiaro che i MANTOUX POSITIVI sapranno (a meno di immunodepressioni)


già come risponderanno ad un eventuale attacco del micobatterio. Sono loro che
potranno stare tranquilli!

• D' altro canto, se il test risulta essere NEGATIVO al primo colpo, questo NON
vuol dire CHE L' INDIVIDUO NON ABBIA MAI VISTO IL MICOBATTERIO!
Se infatti si fanno test più specifici (e costosi), ovvero:

1. Esposizione dell' antigene ai linfociti T: se blastizzano, significa che


avevano già visto il micobatterio!

2. In vitro si prende il sangue dell' individuo MANTOUX NEGATIVO e lo si


espone al PPD: se si osserva la reazione, ovvero proliferazione dei
linfociti T e la produzione di CHEMOCHINE, significa che aveva già visto
il micobatterio!

...una spiegazione possibile è che l' individuo sia sì entrato in contatto con il
micobatterio, ma non abbia al momento della reazione prodotto abbastanza
chemochine.

E' possibile utilizzare anche un MULTITEST: si fanno dei TEST CUTANEI utilizzando
antigeni a cui la popolazione è normalmente esposta, facendo un RANGE DI
VALUTAZIONE GLOBALE. Il multitest evita il problema di fare il test della
tubercolina a gente che non ha mai visto il micobatterio.

Riepilogo

Si somministra un antigene:

• SE DOPO UN QUARTO D' ORA appare ERITEMA E POMFO (S.O.A.) →


Reazione di I TIPO; se non appare niente, si aspetta;

• SE DOPO 5 – 6 ORE appare ERITEMA CON INFILTRATO DURO → Reazione di


Arthus del III TIPO; se non appare ancora niente, si aspetta;

• SE DOPO 24 – 48 ORE appare l' ERITEMA CON INFILTRATO DURO


(ECZEMA) → Reazione di IV TIPO.

La tolleranza immunitaria

Oggi come oggi i fenomeni di autoimmunità colpiscono non più del 2% della popolazione
mondiale. Negli individui sani non bisogna quindi pensare che il sistema immunitario
NON VEDA IL SELF: in realtà LO VEDE, ma NON LO ATTACCA.
Nei fenomeni di tolleranza immunitaria vengono implicati sia i linfociti B che i linfociti
T.

Esperimento

Nei bovini è possibile avere gemelli biovulari: in tal caso le placente della mucca
comunicheranno tra loro e quello che si verifica è uno SCAMBIO DI SANGUE TRA I
DUE FETI. Un gemello accetta e tollera gli antigeni dell' altro: questo fenomeno è alla
base del CHIMERISMO.

Nella specie umana...


Anche nella specie umana non esiste una separazione netta tra madre e feto: si
individua un passaggio DAL FETO e VICEVERSA di cellule come globuli rossi e linfociti
IN MANIERA MINIMA ovviamente; è possibile stabilire se vi sia stato o meno il
passaggio osservando in una data cellula la presenza di cromosomi sessuali (la
distinzione avverrà solo se il feto è di sesso maschile).

Esperimento di Sir Billingham, Brent, Medawar (Nobel!)

Si individuano diverse tappe per questo esperimento:

• Si effettua un TRAPIANTO DI CUTE da un topo di ceppo B a un topo di ceppo


C, CHE LA RIGETTA;

• Si prendono i LINFOCITI del TOPO di ceppo B (donatore) e li si trasferiscono


a un topo di ceppo C APPENA NATO (IMMUNOINCOMPETENTE, il cui sistema
immunitario non si è ancora formato: si parla di PERIODO FINESTRA). Si
aspetta che il topo di ceppo C cresca, e gli si effettua il trapianto di cute dal B:
LA CUTE VIENE ACCETTATA.

• A riprova del fatto che non si è trattato di un evento casuale, si prende il topo
di ceppo C ADULTO, e gli si trapianta la cute di un topo di ceppo D: LA CUTE
VIENE RIGETTATA.

Da questo esperimento si dedussero due cose fondamentalmente:

1. Nella tolleranza immunitaria i linfociti giocano un ruolo rilevante;

2. Nel grembo materno il nostro sistema immunitario IMPARA A RICONOSCERE


TUTI GLI ANTIGENI SELF, ALTRIMENTI DA NATI SAREMMO
BOMBARDATI DA FENOMENI AUTOIMMUNITARI.

Ecco perchè IN CORSO DI GRAVIDANZA UNA INFEZIONE VIRALE è


PERICOLOSA: il virus verrebbe VISTO COME SELF, e da adulto una seconda
infezione verrebbe TOLLERATA SENZA ATTACCARE IL VIRUS STESSO!

Le leggi alla base della tolleranza

• IMMUNOINCOMPETENZA: il feto alla fine della gravidanza ha già una certa


immunocompetenza; risulta difficile far diventare tollerante una persona
adulta;
• NATURA DELL' ANTIGENE: è più FACILE INDURRE TOLLERANZA CON
ANTIGENI T INDIPENDENTI, più difficile risulta farlo con angtigeni T
dipendenti, proprio quelli con cui ci confrontiamo maggiormente;

• SEDI DI SOMMINISTRAZIONE DELL' ANTIGENE: un gruppo di ricerca di


Bergamo ha dimostrato che somministrando un dato antigene nel TIMO, sarà
più facile indurre tolleranza per esso!

• DOSE ANTIGENICA: per i vaccini le dosi sono scelte, ovvero sono DOSI
OTTIMALI, tarate per dare la massima risposta anticorpale. Se la PRIMA
VOLTA:

1. Si utilizza una dose MOLTO PIU' BASSA della dose ottimale, e alla
SECONDA VOLTA si utilizza una dose OTTIMALE, NON SI
OSSERVERA' RISPOSTA;

2. Si utilizza una dose MOLTO PIU' ALTA della dose ottimale, e alla
SECONDA VOLTA si utilizza una dose OTTIMALE, NON SI
OSSERVERA' RISPOSTA.

• STATO CHIMICO / FISICO dell' antigene: se l' antigene è molto solubile, SI


OSSERVA una maggiore tolleranza;

• VIA DI SOMMINISTRAZIONE dell' antigene: se lo si somministra per via


endovenosa, si riduce il suo potere immunogenico, in quanto il fegato è in grado
di ridurre le forme aggregate antigene – adiuvante. Ne consegue un minor
adattamento!

Quello che si è osservato è che è possibile indurre la tolleranza CON I SOLI


LINFOCITI T: se infatti i linfociti T sono tolleranti e i linfociti B sono normali,
IN OGNI CASO i B NON RICEVERANNO INFORMAZIONI!

Esperimento

1. Si prende un topo di un dato ceppo e lo si rende IMMUNOIRRESPONSIVO;


2. Si prendono altri due topi, A e B, e li si rende sensibili a un dato antigene.
Dopodiché si preleverà da loro i linfociti: i linfociti B del topo A e i linfociti T
del topo B, e li si inocula nel topo reso irresponsivo.
3. Quello che si osserva è che NEL TOPO IMMUNORESPONSIVO:

• La tolleranza verso l' antigene può essere indotta A BASSE DOSI DI


ANTIGENE: quello che si osserva è che sono in questo caso i linfociti T a
essere tolleranti. Questo dimostra che le cellule che portano al massimo
la tolleranza sono i linfociti T.

• La tolleranza verso l' antigene può essere indotta AD ALTE DOSI DI


ANTIGENE: quello che si osserva è che sono in questo caso i linfociti B a
essere tolleranti. Anche perché ad alta concentrazione di antigene si
instaurano i meccanismi di inibizione della sequenza ITIM!

Quindi è sufficiente POCO antigene a rendere tolleranti i linfociti T, che quindi


PORTANO PIU' A LUNGO IL RICORDO DELLA TOLLERANZA e VANNO TENUTI
SOTTO CONTROLLO nella condizione di autoimmunità.

Prove della tolleranza T dipendente nell' uomo

Nell' uomo, per provare che il ricordo della tolleranza è portato dai linfociti T, e
sufficiente osservare che i LINFOCITI B di una persona sana, stimolati IN VITRO
(ovvero sottratti al controllo dei T) con un antigene T indipendente (lipipolisaccaridi) o
con il virus di Epstein – Barr, PRODUCONO AUTOANTICORPI e quindi agiscono
indipendentemente. In vivo sarebbero stati bloccati dai T!

La tolleranza centrale

Si è visto che i linfociti T sono cruciali per la tolleranza, quindi serve la loro
LEGITTIMAZIONE: nel midollo loro nascono con TCR PER TUTTO e quindi sono
potenzialmente pericolosi. A questo punto si è visto entrare in gioco il TIMO come
organo regolatore in quanto possiede due compiti fondamentali:

• Seleziona i linfociti T che devono passare;

• Fa maturare i linfociti T che devono passare.

Il timo induce quindi una prima tolleranza contro certi antigeni, chiamata
TOLLERANZA CENTRALE.

PROVE della tolleranza centrale si possono avere mediante esperimenti su topi


transgenici: si creano topi transegenici, aventi linfociti T con un TCR che vede un
particolare antigene self, come l' antigene Y (presente solo nei maschi).
Questi cloni passano di seguito nel timo; la riprova che il timo ha lavorato bene la si
può avere tramite due constatazioni:

• Se il topo è MASCHIO, Y viene riconosciuto come self, e il linfocita T NON


PASSA;
• Se il topo è FEMMINA, Y NON viene riconosciuto come self, e il linfocita T
PASSA!

La tolleranza periferica

E' necessario ammettere anche una tolleranza periferica, in quanto nel TIMO non
pervengono TUTTI GLI ANTIGENI SELF ORGANO SPECIFICI.

PROVE della tolleranza periferica si possono avere mediante esperimenti su topi. Si


crea una colonia di topi aventi un particolare antigene A che di norma non esprimono,
ma che si forza ad esprimere. Si crea di seguito una seconda colonia in grado di
produrre ANTICORPI ANTI A.
Si incrocia un topo della PRIMA colonia con uno della SECONDA colonia: ci si
aspetterebbe che l' ibrido che nasce sia potenzialmente in grado di produrre SIA l'
antigene A SIA l' anticorpo anti A; in realtà quello che si osserva nell' ibrido è la
PRESENZA DI A E L' ASSENZA DI ANTICORPI ANTI A!
Si prende allora i linfociti B dell' ibrido: e si vede che essi POSSIEDONO LE
IMMUNOGLOBULINE CONTRO L' ANTIGENE A, MA NON VENGONO BUTTATE
FUORI! C'è stato un controllo periferico quindi.

La tolleranza periferica è mantenuta dai LINFOCITI Treg, che passano per il


timo, vanno in periferia, e controllano i cloni che ivi sfuggono al controllo timico.

Le malattie autoimmuni

Si individuano due grosse categorie di malattie autoimmuni, che comunque non


presentano una distinzione NETTA (la linea di confine è molto sottile), ma la divisione
rimane comunque VALIDA:

• Malattie ORGANO SPECIFICHE, nelle quali i target preferenziali sono gli


ORGANI ENDOCRINI quali:

1. Tiroide;
2. Ghiandole surrenali: sono colpite nel MORBO DI ADDISON.
3. Pancreas;
4. Eccetera.
Ma fondamentalmente possono essere colpiti tutti gli organi del corpo.

• Malattie NON ORGANO SPECIFICHE, dette anche CONNETTIVITI. In ordine


di frequenza di insorgenza, dalla più alta alla più bassa, si individuano CINQUE
patologie non organo specifiche CLASSICHE:
1. ARTRITE REUMATOIDE: non è una patologia esclusiva delle
articolazioni;

2. LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO;

3. SINDROME DI SJÖGREN: è una malattia delle ghiandole esocrine, ma


non solo; sembra esserci una forte associazione con l' EPATITE C per
motivi ancora ignoti.

4. SCLERODERMIA: è una malattia in cui la cute diventa DURA e


ANELASTICA; la morte sopraggiunge per insufficienza respiratoria;

5. DERMATOMIOSITE: colpisce il derma e la muscolatura striata.


Riassumendo

Organo specifiche Non organo specifiche


Antigene Localizzato in un dato Diffuso attraverso tutto l'
organo organismo
Lesioni Il bersaglio è l' antigene Gli immunocomplessi si
depositano
sistematicamente specie in
organi come RENI, CUTE,
ARTICOLAZIONI

Predisposizione

Non sono da escludere, per definizione, delle BASI GENETICHE per la


PREDISPOSIZIONE ALLA MALATTIA AUTOIMMUNE. Sono malattie
multifattoriali, e quindi bisogna tenere in conto anche molteplici fattori ambientali.
Evidenze sperimentali hanno permesso di far notare come NEI PARENTI DI
PERSONE CON CONCLAMATA AUTOIMMUNITA' verso un dato organo, fossero
presenti ANTICORPI ANTI organo colpito!

L' HLA sembra essere centrale a questo punto: CI PUO' essere associazione tra HLA
e malattia, ma non si può dire con certezza che un dato paziente con un certo assetto
di HLA contrarrà quella data malattia autoimmune. Quello che si può fare è solo
parlare di MAGGIORE o MINORE PREDISPOSIZIONE alla contrazione della
malattia.
Come marker di rischio e predisposizione sono stati maggiormente monitorati gli MHC
DI CLASSE II: un altro fattore di rischio, di cui bisogna tener conto, è relativo all'
OMOZIGOSI o ETEROZIGOSI (ricorda per il diabete mellito l' eterozigosi DR3 –
DR4).
Il diabete di tipo I

In questa patologia le cellule BETA del pancreas vengono distrutte da autoanticorpi: il


soggetto che ne viene colpito è giovane, e non si ricorre in tali casi alla
somministrazione di insulina.
Per tali soggetti, oltre al marker classico DR3 – DR4, è possibile assegnare un secondo
marker, ovvero UNA MODIFICA A CARICO DI UN AMMINOACIDO in posizione 57
del DQ:

• Nelle persone normali si trova ASPARTATO;

• Nelle persone diabetiche si torva VALINA o SERINA o ALANINA: la presenza


di questi rileva un indice di rischio maggiore, in tal modo è possibile fare
prevenzione.

I fattori ambientali di cui non si conoscono le entità possono essere i più svariati: tra
questi, la localizzazione geografica (si è visto che in zone come la SARDEGNA o la
FINLANDIA l' incidenza del diabete di tipo I è più alta che in altre zone europee).

Per l' analisi delle BASI GENETICHE è possibile anche andare ad effettuare studi
sui GEMELLI MONOZIGOTI: se uno infatti sviluppa una data malattia autoimmune e
l' altro no, significa che vi è QUALCOS' ALTRO alla base della malattia. E questo è
dimostrato pure dal fatto che:

• La malattia autoimmune NON COMINCIA AL PRIMO GIORNO DI VITA, ma in


seguito;
• Possono essere coinvolti anche FATTORI ORMONALI: il lupus eritematoso
sistemico colpisce le giovani donne!

Modelli sperimentali

MODELLO 1
Vengono prese due categorie di topi:

• TOPI NEW ZEALAND WHITE, i quali sviluppano una data malattia autoimmune
(anemia emolitica);

• TOPI NEW ZEALAND BLACK, normali.

Vengono incrociate le due tipologie di topi: il topo ibrido che viene a formarsi
possiederà AUTOANTICORPI ANTI DNA, e svilupperà altri problemi come la
glomerulonefrite!
MODELLO 2
Particolare ceppi di polli chiamati OBESE CHICKEN possiedono una predisposizione
considerevole allo sviluppo di una malattia autoimmune alla TIROIDE.

Meccanismi patogenetici delle malattie autoimmuni: le reazioni di II TIPO

E' raro che una reazione di I tipo dia autoimmunità, per cui nell' analisi si parte ad
analizzare le reazioni di II tipo. Associate a queste reazioni si trovano patologie come:

• L' ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE;

• La MIASTENIA GRAVIS: vengono prodotti ANTICORPI contro il recettore


NICOTINICO per l' acetilcolina. Quello che ne deriva è unrilassamento
muscolare da PARALISI FLACCIDA, il cui PRIMO SEGNO è dato dalla PTOSI
PALPEBRALE; la morte generalmente sopraggiunge per paralisi dei muscoli
respiratori. Sono DUE i fenomeni che possono avvenire a livello microscopico:

1. O il complesso ANTICORPO - RECETTORE fissa il complemento, con


conseguente distruzione dei recettori;
2. O la presenza degli anticorpi provoca una CLUSTERIZZAZIONE
(aggregazione) dei recettori che provoca la loro endocitosi.

• Il MORBO DI GRAVES – BASEDOW: questi individui producono


AUTOANTICORPI CONTRO IL RECETTORE per il TSH, che non viene
distrutto! Al contrario, questi anticorpi MIMANO IL TSH! Ricordando che il
TSH viene prodotto dalla ADENOIPOFISI e trova il suo recettore a livello
tiroideo, con conseguente LIBERAZIONE degli ormoni tiroidei T3 e T4:

Adenoipofisi → TSH → Tiroide → T3, T4

Ne consegue che questi individui avranno un ALTO LIVELLO DI T3 e T4, e un BASSO


LIVELLO DI TSH, perché T3 e T4 avranno un effetto a FEEDBACK NEGATIVO
SULLA ADENOIPOFISI.

• L' ANEMIA PERNICIOSA: questi individui producono AUTOANTICORPI


contro il FATTORE INTRINSECO prodotto a livello dello stomaco, a cui si lega
la VITAMINA B12, legame essenziale per il successivo ASSORBIMENTO a
livello ILEALE. Ne consegue che questi individui non riescono a ad assorbire la
vitamina B12! La terapia consisterà nell' iniettare endovena la vitamina B12.
Questa malattia generalmente insorge con una GASTRITE ATROFICA, generata dagli
stessi autoanticorpi.
Quello che ancora si può osservare in tali individui è la presenza di enormi globuli
rossi, chiamati MEGALOBLASTI.

• Altre patologie come il DIABETE INSULINORESISTENTE prevedono la


produzione di AUTOANTICORPI CONTRO IL RECETTORE DELL' INSULINA.

• La SINDROME DI GOODPASTURE: vengono a formarsi AUTOANTICORPI


diretti contro ANTIGENI CHE SONO COSTITUENTI INTEGRALI DELLA
MEMBRANA BASALE DEL GLOMERULO RENALE. Quello che viene a formarsi
è un deposito UNIFORME di immunocomplessi (ma non si tratta di una reazione
di III tipo, e in questo sta proprio la DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON i
fenomeni innescati dal LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO). Questa malattia
manda il paziente in dialisi.

• Il PEMFIGO (VULGARIS): il paziente produce AUTOANTICORPI diretti


contro i DESMOSOMI o contro le glicoproteine di collegamento tra la
membrana basale e lo strato basale dell' epidermide; si manifesta con una serie
di BOLLE sulla cute, che progressivamente si ROMPONO, disidratandosi, e
favorendo così PROCESSI INFETTIVI.

Meccanismi patogenetici delle malattie autoimmuni: le reazioni di III TIPO, ovvero


patologie autoimmuni da immunocomplessi

• Il LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO: già analizzato, va operata nel caso di


DEPOSITO DI IMMUNOCOMPLESSI A LIVELLO RENALE una diagnosi
differenziale dalla sindrome di Goodpasture, osservando la disposizione
IRREGOLARE degli immunocomplessi.
La diagnosi prevede poi la ricerca di:

1. Autoanticorpi contro il DNA NATIVO;

2. Autoanticorpi contro il NUCLEO.

Il marker CRONICO di questa malattia risulta essere in ogni caso una VASCULITE
GENERALIZZATA.

Meccanismi patogenetici delle malattie autoimmuni: le reazioni di IV TIPO

• La TIROIDITE DI HASHIMOTO: è diversa dalla reazione analizzata


precedentemente! In questa malattia si osserva un INGROSSAMENTO NETTO
della tiroide, MA ALL' INIZIO non vi sono problemi clinici. Solo
successivamente compare un INFILTRATO LINFOMONOCITARIO DI
CELLULE che porta alla distruzione della tiroide stessa.
I parametri ormonali sono proprio l' inverso rispetto al morbo di Graves – Basedow: in
questo caso i livelli di T3 e T4 diminuiscono, e non si ha più il meccanismo di controllo a
feedback negativo , per cui il TSH E' ALTO!
Ancor prima che compaia il danno compaiono:

1. Autoanticorpi anti TIREOGLOBULINA;

2. Autoanticorpi anti PEROSSIDASI TIROIDEA.

Questi non creano danno, ma vengono ricercati per la diagnosi della malattia.

• Il MORBO DI CROHN: prevede la presenza di INFILTRATI


LINFOMONOCITARI a livello dell' intestino tenue.

• Il DIABETE DI I TIPO: prevede una FLOGOSI delle Isole di Langerhans con


INFILTRATI LINFOMOMOCITARI, situazione diversa da quanto visto in
particolari forme di DIABETE INSULINORESISTENTE, dove si venivano a
formare autoanticorpi.

• L' ARTRITE REUMATOIDE, che è una malattia NON ORGANO SPECIFICA:


interessa SIMMETRICAMENTE le piccole articolazioni delle mani e dei piedi.
Quello che si riscontra anche in questo caso è l' INFILTRATO
LINFOMONOCITARIO nella SINOVIA, la quale si ispessisce, provocando una
erosione della cartilagine e delle ossa con conseguenti DEFORMAZIONI.
L' artrite reumatoide può essere identificata tramite:

1. La presenza del FATTORE REUMATOIDE: è rappresentato da


AUTOANTICORPI ANTI IgG, che l' individuo produce; gli
immunocomplessi che si vengono poi a formare possono andare a
depositarsi sui vasi della sinovia, andando a peggiorare la situazione;

2. La presenza di AUTOANTICORPI ANTI PROTEINE CITRULLINATE.

Come si fa a vedere se gli anticorpi sono solo un marker o sono i responsabili della
malattia?

L' unico metodo è osservare i casi: una madre affetta dal morbo di Graves – Basedow
o dal morbo di Goodpasture che avesse un figlio, gli trasmetterebbe con gli
AUTOANTICORPI una sindrome TRANSITORIA dalla quale poi lui guarisce. In
questo modo si riesce a capire che i responsabili sono gli anticorpi.

Meccanismi di insorgenza della autoimmunità


Affinchè insorga l' autoimmunità, DEVE SCOMPARIRE LA TOLLERANZA
PERIFERICA; quindi IN TEORIA è chiamato in causa L' ANTIGENE, in diverse
maniere:

• Certe zone del nostro corpo SEQUESTRANO ANTIGENI che non vengono
generalmente MAI A CONTATTO CON IL SANGUE: queste zone possono
essere la BARRIERA EMATOTESTICOLARE, la CORNEA, la CONGIUNTIVA, il
CRISTALLINO.
Una rottura di queste zone (ad esempio, un trauma all' occhio) può portare all'
insorgenza di malattie autoimmuni: nel caso dell' occhio, un trauma può determinare la
ROTTURA DEL CRISTALLINO, che possiede antigeni sequestrati, la loro dispersione
in circolo, e la creazione conseguenti di ANTICORPI ANTI CRISTALLINO: la
patologia si chiama OFTALMIA SIMPATICA, che però risulta essere molto rara e non
giustifica molte altre malattie!

• Un' altra possibilità è quella di PRENDERE IN GIRO IL NOSTRO SISTEMA


IMMUNITARIO tramite il fenomeno del MIMETISMO MOLECOLARE, indotto
da:

1. Antigeni VIRALI;
2. Antigeni BATTERICI;
3. FARMACI.

Quello che succede è che il nostro sistema immunitario si dirige contro gli antigeni
batterici, virali o farmacologici, ma alla fine gli anticorpi prodotti SI DIRIGONO
CONTRO NOSTRI AUTOANTIGENI! L' unica spiegazione possibile per questo è che
gli ANTIGENI ESTRANEI abbiano una sequenza amminoacidica SIMILE agli
autoantigeni; a riprova di questo:

1. In pazienti con SCLEROSI MULTIPLA sono stati ritrovati nel liquor


ANTICORPI ANTI VIRUS DEL MORBILLO;

2. In pazienti con DIABETE DI I TIPO sono stati ritrovati nel sangue


ANTICORPI ANTI COXSACKIEVIRUS. Nel pancreas, il virus indurrebbe
le cellule BETA a diventare APC, e quindi ad ESPORRE I PROPRI
ANTIGENI!

L' ALDOMET, un farmaco antiipertensivo, se preso per SEI MESI, in taluni pazienti si
osservano ANEMIE AUTOIMMUNI: è come se il farmaco MODIFICASSE l'
ASSETTO Rh sui globuli rossi e di conseguenza si creano ANTICORPI ANTI fattore
Rh.
Tuttavia, queste PROVE non possono essere sufficienti a spiegare
COMPLETAMENTE il meccanismo dell' autoimmunità: infatti molte persone hanno il
morbillo, ma poche in seguito manifestano malattie autoimmuni!
In ogni caso, le ipotesi di come si evolva questo passaggio sono due (RIMANGONO
IPOTESI):

1. I pazienti inizialmente fanno AUTOANTICORPI contro un


AUTOANTIGENE, dopodiché si verificherebbe il fenomeno dello
SPREADING ANTIGENICO: progressivamente il paziente creerebbe
ANTICORPI ANTI ALTRI APITOPI DELL' AUTOANTIGENE!

2. I pazienti malati presenterebbero delle CELLULE DENDRITICHE in


grado di processare MOLTO MEGLIO GLI AUTOANTIGENI ed esporli.

Quindi, QUALUNQUE SIA il meccanismo, non è il solo ad essere il responsabile: è


necessario infatti anche un CALO DEL CONTROLLO DATO DAI LINFOCITI Treg.

Terapia dell' autoimmunità

Oggi come oggi, la prospettiva di vita delle persone colpite da autoimmunità è


migliorata di molto; le terapie rimangono comunque:

• L' IMMUNOSOPPRESSIONE: viene effettuata tramite CORTISONE, ma ha


effetti collaterali! Si può utilizzare allora altri immunosoppressori, come la
CICLOSPORINA (utilizzata anche nei trapianti);

• E' possibile agire comunque in maniera più specifica: se le forma dei


autoimmunità sono ORGANO SPECIFICHE, si ha già una selezione dell'
antigene! Si cerca di indurre la tolleranza:

1. SE L' ANTIGENE E' SINGOLO, è possibile indurre la tolleranza, come


nel LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO, dove si somministrano
IMMUNOGLOBULINE;

2. SE L' ANTIGENE E' PIU' DI UNO, è possibile indurre la tolleranza


somministrando un POOL DI IMMUNOGLOBULINE;

3. Si può dare ALTE DOSI DI ANTIGENE, nel tentativo di indurre


tolleranza: nel diabete di tipo I nelle fasi iniziali si può dare PER OS
tonnellate di insulina, questo perché l' intestino è territorio di tolleranza
(i linfociti Th3 producono TGFβ per lo switch verso le IgA);
4. Si può cercare di DARE FARMACI PER ESPANDERE LE CELLULE
RESPONSIVE come i linfociti T (nel tentativo di indurre la tolleranza) e
poi ucciderle tramite CICLOFOSFAMIDE;

5. Si può cercare di FAR ESPANDERE I LINFOCITI Treg, per aumentare


la tolleranza; le ultime ricerche si stanno dirigendo addirittura verso una
terapia con cellule staminali, che amplificherebbero la tolleranza!

Trapianti

Non sono altro che trasferimenti di cellule, tessuti o organi: il problema sta nel far
accettare al sistema immunitario del ricevente QUALCOSA CHE NON E' PROPRIO!
Furono condotti numerosi esperimenti di trapianto sui topi, in quanto su di loro si
poteva giocare: si conosceva bene infatti il loro assetto HLA.

Nota: quello di CORNEA e CRISTALLINO non è definito un trapianto, bensì un


INNESTO, in quanto NON RISULTANO ESSERE VASCOLARIZZATE!

Tipologie di trapianto

1. AUTOTRAPIANTO: è il trasferimento di un tessuto da una parte all' altra del


medesimo organismo. Lo si fa per CUTE e MIDOLLO;

2. ISOTRAPIANTO: è teorico. Avviene tra individui GENETICAMENTE UGUALI,


ovvero i GEMELLI MONOZIGOTI; è come un AUTOTRAPIANTO;

3. ALLOTRAPIANTO: è il trasferimento di un tessuto TRA INDIVIDUI DELLA


STESSA SPECIE. Si individua:

• Allotrapianto DA VIVENTE: lo si fa solo in caso di ORGANI PARI o


RIGENERABILI come RENE, FEGATO, MIDOLLO, CUTE...eccetera.

• Allotrapianto DA CADAVERE;

4. XENOTRAPIANTO: è il trasferimento di un tessuto TRA INDIVIDUI DI


SPECIE DIVERSA.

E' l' ALLOTRAPIANTO a porre problemi di tipo pratico. Come mai l' immunologo è
stato coinvolto in questo argomento? Perché alla base del rigetto vi è sempre una
reazione di tipo immunitario!

Il trapianto di cute nell' uomo


Il trapianto di cute nell' uomo con rigetto prevede una prima fase in cui la cute
trapiantata non viene irrorata, e una successiva fase di NECROSI. Il tutto avviene in
12 giorni. Se si rifà poi NELLO STESSO INDIVIDUO LA STESSA TIPOLOGIA DI
TRAPIANTO, si osservano gli stessi risultati, ma con TEMPI ACCELERATI: si ha
memoria immunologica del tessuto estraneo, e il ricevente viene già sensibilizzato al
primo trasferimento di cute.
Se si osserva la cute RIGETTATA dal punto di vista istologica si può apprezzare, nel
punto del rigetto, un INFILTRATO DI LINFOCITI e MONONUCLEATI, tipico della
risposta di IV tipo.

Esperimento

• Si prende un topo 1 e si trasferisce la cute a un topo 2: si osserva RIGETTO;


• Si prendono i LINFOCITI del topo 2 e li si inoculano in un topo 3;
• Si prende il topo 1 e si trasferisce la sua cute al topo 3: dal momento che il topo
3 è già stato sensibilizzato, quello che si osserva è un RIGETTO VELOCE, come
se fosse una risposta SECONDARIA! Questo rigetto ritardatario è poi
prevenibile somministrando al topo 3 ANTICORPI ANTI CD4: da questo
esperimento si intuisce come i LINFOCITI T HELPER SIANO IN CAUSA
NEL RIGETTO!

Le leggi fondamentali del trapianto

• Se si trapianta la cute da un topo di ceppo A a un topo di ceppo A: la cute viene


ACCETTATA;
• Se si trapianta la cute da un topo di ceppo B a un topo di ceppo A: la cute viene
RIGETTATA;
• Se si trapianta la cute da un topo di ceppo A a un topo di ceppo AxB (ibrido,
frutto dell' incrocio tra A e B): la cute viene ACCETTATA;
• Se si trapianta la cute da un topo di ceppo AxB a un topo di ceppo A: la cute
viene RIGETTATA.

Il ricevente dovrà condividere TUTTI gli HLA per un trapianto OTTIMALE: nei topi
gli HLA erano conosciuti IN TOTO, ma quello critico per l' accettazione del trapianto
era H2, MOLTO SIMILE ALL' MHC UMANO.
Se quindi i ceppi di topi erano DIFFERENTI per H2, il rigetto di cute era molto più
rapido; se erano UGUALI per H2, accettavano meglio il trapianto!

Nell' uomo
Si notò che per l' accettazione o il rigetto risultava essere critico l' HLA DI CLASSE
I e DI CLASSE II: più gli individui sono SIMILI per l' HLA DI CLASSE I e II,
PIU' IL TRAPIANTO SARA' ACCETTATO.
Quindi il donatore (vivente e cadavere) va TIPIZZATO per l' HLA:

• Per l' HLA di classe I si utilizzava il TEST DI CITOTOSSICITA';

• Per l' HLA di classe II si utilizzava la REAZIONE LINFOCITARIA MISTA: si


prendono i linfociti del donatore e del ricevente, e li si mette insieme; se erano
di HLA II DIFFERENTE, si STIMOLAVANO e BLASTIZZAVANO.

Oggi come oggi invece la tipizzazione avviene tramite tecniche di biologia molecolare e
risulta essere ESTREMAMENTE VELOCE: i risultati si possono avere anche in poche
ore!

Il sistema HLA risulta essere ALTAMENTE POLIMORFICO, quindi come si farà a


trovare un donatore ottimale?

• Da VIVENTE, si andrà a vedere TRA I PARENTI, preferibilmente TRA


FRATELLI (specie nel trapianto di midollo); il trasferimento PADRE – FIGLIO e
FIGLIO – PADRE è sconsigliato, in quanto il ricevente vedrebbe SOLO UN
APLOTIPO di HLA. Il trapianto da vivente è il migliore, in quanto l' organo
NON VA CONSERVATO

• Da CADAVERE, il meglio che si potrà avere sarà la SOMIGLIANZA ESTREMA.


E' abbastanza frequente nei Paesi Occidentali, dipende dalla disponibilità dell'
organo.
Ricorda che per l' espianto occorre un ELETTROENCEFALOGRAMMA PIATTO del
donatore: l' organo di seguito va conservato e mantenuto in vita nell' uomo in coma, e
in questo l' anestesista gioca un ruolo importante.

Altri antigeni importanti

Sebbene l' HLA rivesta un ruolo cruciale nei trapianti , vi sono anche altri antigeni da
tenere sott' occhio:

• ANTIGENI MINORI, come gli antigeni legati al sesso: in clinica in realtà NON
SE NE TIENE CONTO, altrimenti si restringerebbe troppo il campo dell'
organo da ricercare. In ogni caso giocano un ruolo secondario rispetto al
sistema HLA.
Si osserva che dando la cute di un topo MASCHIO (XY) di un ceppo A ad una
FEMMINA (XX) di ceppo B, si può avere il RIGETTO DELLA CUTE: non si osserva
invece se il trapianto avviene dalla femmina al maschio!
• ANTIGENI TESSUTO SPECIFICI: alcuni organi sono molto più antigenici di
altri! La lista che segue è messa in ORDINE DI ANTIGENICITA', quindi più l'
organo si trova in basso nella lista, MAGGIORMENTE A PARITA' DI ALTRE
CONDIZIONI SARA' ACCETTATO:

1. Midollo osseo: su questo bisognerà stare particolarmente attenti a


trovare somiglianze antigeniche!

2. Cute;

3. Isole di Langerhans;

4. Cuore;

5. Rene: la sensibilizzazione avviene nei linfonodi LOMBOAORTICI.

6. Fegato: effettuato il trapianto, gli antigeni vanno IN CIRCOLO e di


seguito a sensibilizzare nella MILZA in gran parte.

La sopravvivenza dell' organo è in funzione della maggiore compatibilità quindi. Se vi è


una BUONA COMPATIBILITA' la sopravvivenza dell' organo potrà essere addirittura
dell' 80% per il rene, un po' di meno per il cuore, ma comunque una buona percentuale.
Il maggiore problema si ha con il midollo osseo, che ha una storia particolare.
Oggi come oggi, poi, non si pone il problema di sopravvivenza dell' individuo.

Altri fattori di cui tener conto

• NUMERO DI TRAPIANTI: se l' individuo ha già rigettato il primo trapianto,


praticamente rigetterà anche il secondo, ANCHE SE DIVERSO! LE
PROBABILITA' DI RIGETTO AUMENTANO.

• E' possibile poi che certi soggetti (POLITRASFUSI e POLIGRAVIDE) facciano


ANTICORPI ANTI HLA (perché è un sistema altamente polimorfico) che,
anche se non diretti contro l' HLA del DONATORE, sono un marker che
aumenta le probabilità di rigetto.

Come avviene il rigetto (o la sensibilizzazione)

Tutti gli organi rilasceranno antigeni che verranno presi in consegna per la maggior
parte dai linfonodi (eccetto il fegato, che per motivi anatomici dovrà far prendere in
consegna i suoi antigeni dalla MILZA!).
Chi è che sensibilizzerà o porterà al rigetto dell' organo? I responsabili di questi
fenomeni saranno i LEUCOCITI DI PASSAGGIO con relativo HLA.
Quello che si fa infatti prima di effettuare il trapianto è di PERFONDERE l' organo
del donatore, in modo che non rimanga traccia del sangue del donatore: i linfociti che
rimangono sono quelli che vanno NEL TESSUTO, ovvero i leucociti DI PASSAGGIO
che, funzionando come APC, andranno nel linfonodo del ricevente a SENSIBILIZZARE
I SUOI LINFOCITI! A questo punto:

• O i linfociti del ricevente riconoscono l' MHC DEL LEUCOCITA del donatore
come ESTRANEO, vedendolo quasi come un superantigene; in tal caso si ha uno
stimolo FORTISSIMO che recluta un cospicuo numero di linfociti del ricevente;

• O il LEUCOCITA del donatore rilascia gli antigeni, che diventano solubili, e


vengono presi in causa dalle APC DEL RICEVENTE.

Quello che avviene IN OGNI CASO ALLA FINE è che i linfociti Th PROLIFERANO
NELLA ZONA PARACORTICALE DEL LINFONODO: da qui il rigetto è in genere una
risposta CELLULO – MEDIATA DI IV TIPO (ma pure di II tipo, vedi il rigetto
iperacuto)! Quindi:

• O si formeranno le CTL che provvederanno all' UCCISIONE DIRETTA: in tal


caso l' endotelio dei vasi sarà il primo candidato alla necrosi!

• O si formeranno processi infiammatori: reazione di IV TIPO


INFIAMMATORIO, dove il processo flogistico non farà altro che amplificare il
danno!

Potranno essere coinvolti nel rigetto anche gli anticorpi, ma non possiedono un ruolo
diretto.

Forme diverse di rigetto

Ogni organo in realtà ha la sua storia. Per quanto riguarda il rene si individua:

1. RIGETTO IPERACUTO: in realtà non accade più in quanto sarebbe conseguenza


di una GRAVE IMPERIZIA MEDICA. Avviene già sul tavolo operatorio, quello
che si osserva è una NECROSI IMMEDIATA DEL TESSUTO interessato,
fenomeno che si estrinseca in POCHI MINUTI.
Questo fenomeno di rigetto iperacuto è dato dal verificarsi di una REAZIONE DI II
TIPO: il ricevente possiede ANTICORPI PREFORMATI (che fisseranno il
complemento) contro gli antigeni del donatore, ed è quanto si verifica
TRASFONDENDO UN ORGANO NEL CASO IN CUI DONATORE E RICEVENTE
SIANO INCOMPATIBILI PER IL GRUPPO SANGUIGNO AB0!
Questo perchè gli antigeni AB0 sono presenti su tutti i tessuti! L' incompatibilità Rh
invece non viene tenuta in conto nei trapianti in quanto l' antigene D è presente solo
sui globuli rossi! Quindi si potrà trapiantare da un soggetto Rh+ a uno Rh-; la stessa
reazione si osserva quando IL RICEVENTE (politrasfuso, poligravida) ABBIA
ANTICORPI ANTI HLA DEL DONATORE;

2. RIGETTO ACCELERATO: avviene entro pochi giorni dall' intervento. E'


praticamente sovrapponibile al rigetto secondario di cute già visto in
precedenza.

3. RIGETTO ACUTO: insieme al rigetto cronico, è il più frequente, anche se con il


tempo si tende a ridurre di molto; è tenuto sotto controllo, in quanto IN UN
CERTO MOMENTO ci può essere liberazione di antigeni sconosciuti dall'
organo stesso.

4. RIGETTO CRONICO: questo insieme al rigetto acuto è il più frequente. Può


avvenire in qualsiasi momento, ma bisogna avere una sfiga pazzesca

Entrambe le forme di rigetto, acuto e cronico, prevedono l' instaurarsi di una reazione
cellulo – mediata in cui il bersaglio principale delle CTL è l' endotelio dei vasi. Nelle
forme acute è colpito il SOLO endotelio, nelle forme più croniche si può arrivare all'
ATEROSCLEROSI: la parete muscolare del vaso si ispessisce.
IN ENTRAMBE I CASI ALLA FINE SI ARRIVA AD UNA INTERRUZIONE LOCALE
DEL FLUSSO SANGUIGNO, CON CONSEGUENTE NECROSI DEL TESSUTO!

Perchè avviene il trapianto

• Di RENE: per INSUFFICIENZA RENALE;

• Di CUORE: per INSUFFICIENZA CARDIACA (es. malattia di Bornholm da


Coxackievirus B;

• Di PANCREAS: per DIABETE.

Prima di procedere al trapianto

Oltre che verificare la compatibilità per AB0, HLA ed altri antigeni si procede con
altre operazioni, come la VALUTAZIONE DELLO STATO CLINICO DEL RICEVENTE:

• Se è in DIALISI per un lungo lasso di tempo, questa è una controindicazione al


trapianto!

• Valutazione di patologie;

• Valutazione del numero di trapianti effettuati in precedenza;


• Valutazione del numero di gravidanze avute;

• Bisogna escludere che il ricevente abbia ANTICOPRI ANTI HLA DEL


DONATORE: lo si fa tramite un CROSSMATCH, in cui si prende i LINFOCITI
DEL DONATORE e il SIERO DEL RICEVENTE! Se i linfociti saranno uccisi,
questo vorrà dire che il ricevente avrà sviluppato anticorpi citotossici. Se verrà
effettuato il trapianto, si osserverà RIGETTO IPERACUTO.

Come si tiene sotto controllo il rigetto (acuto)

Il rigetto ACUTO è stato di fatto eliminato tramite l' utilizzo di


IMMUNOSOPPRESSORI quali:

• CORTICOSTEROIDI, come il cortisone: questo però presenta numerosi effetti


collaterali quali IPERTENSIONE, IPERGLICEMIA, IMMUNOSOPPRESSIONE
CRONICA;

• AZATIOPRINA;

• CICLOSPORINA: questa blocca la produzione di IL – 2, ovvero la proliferazione


dei linfociti Th1. Più precisamente va a bloccare una fosfatasi, la
CALCINEURINA, che permette l' attivazione di un fattore di trascrizione che
porterà alla formazione di IL – 2. E' utilizzata per bloccare i Th1 anche nell'
AUTOIMMUNITA'.
Il problema sta nel fatto che NON E' SELETTIVA, quindi si rischia una
immunodepressione che facilita lo sviluppo di infezioni e tumori, e che è
NEFROTOSSICA; tuttavia a questo ultimo problema si ovvia con il DOSAGGIO DEL
FARMACO.

Se la ciclosporina dovesse fallire, vi sono altri DUE FARMACI CON LO STESSO


TARGET:

• FK 506 (nome commerciale Tacròlimus), che è meno nefrotossico e lo si può


usare a dosi più basse;

• RAPAMICINA (nome commerciale Siròlimus).

Questi ultimi due farmaci vengono utilizzati sempre di più, TENENDO UN PO' MENO
CONTO DELLA COMPATIBILITA'. Il problema è che vanno presi tutta la vita: la
terapia è CRONICA. Dopo ANNI non è da escludere che possano comunque comparire
infezioni e tumori.
Si potrebbe fare a meno della terapia, ma si dovrebbe far diventare il ricevente
TOLLERANTE agli antigeni di quell' organo. E si sa che in un adulto è molto difficile
effettuare questa operazione.

Un paradosso

Un gruppo di trapiantologi di Los Angeles notò che un GRUPPO DI POLITRASFUSI


RICEVEVA MEGLIO i trapianti di chi invece la trasfusione non l' aveva effettuata.
Questo inizialmente fu preso come un paradosso: infatti le politrasfusioni dovrebbero
sensibilizzare MAGGIORMENTE l' individuo contro i diversi assetti HLA!

Per chiarire questa situazione, si tentò di trasfondere le diverse parti del sangue per
trovare l' ELEMENTO DISCRIMINANTE che dava la tolleranza: questo elemento era
rappresentato dai LEUCOCITI IN TOTO (i mononucleati).
Non si sa perché ma ora come ora si fa l' ipotesi che queste cellule danti la tolleranza
siano proprio i LINFOCITI Treg, selettivi, che farebbero accettare l' organo senza l'
utilizzo di terapie immunosoppressive.

Il trapianto di midollo

Come già detto precedentemente, questo trapianto possiede una storia a sé. Viene
effettuato a persone con TUMORE ACUTO delle cellule del sangue (LINFOMI, ma
non tutti i tipi) o con EMOPATIE ACUTE.
Dove sta dunque il problema? Il MIDOLLO OSSEO è un tessuto MOLTO
IMMUNOGENICO ed è IMMUNOCOMPETENTE!

Il trapianto di midollo prevede diversi passi da seguire:

• Si tratta dapprima il paziente con ANTIBLASTICI, lo si manda in remissione;

• Dopodiché sarà possibile percorrere due strade: l' AUTOTRAPIANTO o l'


ALLOTRAPIANTO:

1. L' AUTOTRAPIANTO: si preleva il midollo osseo del soggetto,


continuando la terapia immunodepressiva e poi gli si ridà il SUO midollo;
si possono avere buoni risultati, ma c' è sempre il rischio che possano
permanere cellule tumorali residue.
Per ovviare a questo problema si opera un PURGING, ovvero si tratta il
midollo con ANTICORPI ANTI CELLULE TUMORALI.

2. L' ALLOTRAPIANTO: in questo caso non vi è il rischio di cellule tumorali


residue, MA IL PROBLEMA STA NELLA COMPATIBILITA': il midollo
osseo è molto antigenico e vi è il rischio serio di rigetto.
Inoltre il soggetto che riceve il midollo è IMMUNODEPRESSO per motivi
terapeutici, e il midollo può RIBELLARSI ALL' OSPITE: questo è un
serio rischio di morte per il paziente, e si parla di GRAFT VERSUS HOST
(GVH), che è presente in due forme:

• Acuta: il midollo attacca tutte le strutture in attiva fase di


replicazione come CUTE (si hanno rash cutanei), FEGATO (salgono
le transaminasi), INTESTINO.

• Cronica: è come un' autoimmunità, la SCLERODERMIA è una


patologia in tal caso molto comune, oltre a EPATOPATIE ed
INFEZIONI; in quest' ultimo caso il CITOMEGALOVIRUS è l'
agente che bisogna temere di più.

Con questa pratica si cerca comunque di usare le CELLULE STAMINALI


DEL MIDOLLO, nel tentativo di evitare il GVH.
Tuttavia l' allotrapianto è la metodica PREFERITA: questo perché se
viene superata la fase di attacco del SELF BUONO, è stato dimostrato
che il MIDOLLO ESTRANEO attacca molto bene le residue cellule
tumorali. Si parla per questo di GRAFT VERSUS LEUKAEMIA (GVL).

Tumori

Le cellule tumorali sono cellule che escono fuori da ogni regolazione (come l' inibizione
da contatto), e si replicano senza controllo.
I tumori MALIGNI poi sono in grado di distaccarsi dal tessuto di origine e dare
METASTASI, per via linfatica oppure per via ematica.

Attorno alla massa tumorale si nota spesso un INFILTRATO LINFOMONOCITARIO


(somiglia molto alla reazione di IV tipo): la reazione del sistema immunitario C'E', solo
che il tumore cerca di evaderlo. E il sistema immunitario poi NON GIOCA UN RUOLO
SECONDARIO, in quanto in soggetti immunodepressi da terapia o immunodeficienti I
TUMORI RIESCONO A CRESCERE.

Antigeni tumorali

Per scoprire se ESISTONO in effetti degli antigeni tumorali di modo che il nostro
sistema immunitario li possa vedere, furono condotti studi su animali, in particolare su
TOPI IMMUNODEPRESSI (topi SKEED, che accettano di tutto):

• Facendo crescere in loro TUMORI UMANI sperimentali;

• Facendo crescere in loro I LORO TUMORI.


La procedura è la seguente:

• Si prende un TOPO NORMALE, e gli si inoculano CELLULE TUMORALI UCCISE:


in tal modo lo si immunizza! Infatti somministrandogli in seguito CELLULE
TUMORALI VIVE, esso NON SVILUPPERA' il tumore (gli anticorpi avranno
visto il tumore);

• Si prende a riprova un TOPO NORMALE, e gli si inoculano CELLULE TUMORALI


VIVE: esso svilupperà il tumore!

Ovviamente per escludere il rigetto dovuto ad HLA diversi, verranno utilizzati TOPI CON
IL MEDESIMO HLA. Se si trapianta un tumore da topi con il MEDESIMO HLA, e
il tumore è RIGETTATO, NON SI TRATTA DI RIGETTO DA TRAPIANTO, ma è
l' indicazione che quelle cellule possiedono NUOVI ANTIGENI, ovvero i TUMOR
ASSOCIATED ANTIGENS: i tumori possiedono in effetti un nuova realtà
antigenica.

Per indurre il tumore

Per indurre un tumore è possibile utilizzare diverse strategie:

1. Utilizzo di sostanze cancerogene, come il METILCOLANTRENE: quello che si


osserva è che inducendo con queste sostanze il MEDESIMO TUMORE
UTILIZZANDO LA MEDESIMA SOSTANZA in topi DIFFERENTI, OGNI
TUMORE RISULTA AVERE LA SUA STORIA.
Questo perché il metilconlantrene induce indirettamente delle mutazioni, che attivano
dei PROTOONCOGENI: questi si trasformano in ONCOGENI, diversi da cellula a
cellula.

2. Utilizzo di virus: in tal caso, dal momento che è il virus a comandare, è possibile
indurre tumori DIFFERENTI in animali DIFFERENTI, ma L'
IMMUNIZZAZIONE RISULTA ESSERE UGUALE PER TUTTI! Virus
neoplastici sono:

• HPV 16: provoca il cancro alla cervice;

• HBV: provoca epatocarcinoma;

• Virus della leucemia T: provoca nell' adulto la leucemia T!

• EBV: provoca il linfoma di Burkitt o il carcinoma nasofaringeo.


La ricerca di antigeni

Se il tumore liberasse in circolo degli antigeni (si parla di ANTIGENI ONCOFETALI),


sarebbe possibile trovarli con ANTICORPI MONOCLONALI, fare diagnosi e
susseguente terapia. E in effetti vi sono antigeni tumorali ricercati come:

• L' ANTIGENE CARCINOEMBRIONALE (CEA): è ricercato nel caso di


CARCINOMA DEL TENUE, CRASSO e COLON; è possibile oggi pure monitorare
i livelli di CEA, che DOPO L' INTERVENTO CHIURURGICO DOVREBBE
SCENDERE! Se i suoi livelli salgono, vuol dire che il tumore è ripreso!

• L' α – FETOPROTEINA: è ricercata nel caso di EPATOCARCINOMA;

• PSA (Antigene Specifico della Prostata): è ricrcato nel caso di CARCINOMA


ALLA PROSTATA, e nella prostata normale è presente a bassi livelli;

• cALLa (o CD10): è ricercato nella LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA.

• Antigeni LEWIS: polisaccaridici, sono stati ritrovati nei TUMORI


POLMONARI;

• MAGE (Melanoma Associated Antigen): è stato trovato in casi di MELANOMA.


Monitoraggio

Oggi come oggi si conosce poi il rapporto preciso tra MASSA TUMORALE e
QUANTITATIVO DI ANTICORPI MONOCLONALI da utilizzare: se poi tali anticorpi
vengono marcati, sarà possibile individuare eventuali METASTASI!
Oltre a monitorare i livelli di CEA, è possibile pure mettere a contatto la CELLULA
TUMORALE (di cui però non si è certi dell' identità) con un LINFOCITA: se questo
BLASTIZZA, è una spia che indica la presenza di tumore.

La risposta

La risposta ai tumori è CELLULOMEDIATA, critica per il loro controllo. Ci possono


essere pure risposte anticorpali (APC → Th2 → B → Ab), ma il loro ruolo è minimo
perchè di bassa affinità, anche se comunque possono attivare il complemento per la
ADCC mediata dalle cellule NK. La risposta CITOTOSSICA può essere:

• Specifica: in tal caso l' antigene TUMORALE è preso in consegna dalle APC, di
seguito passato ai linfociti Th1 e infine alle CTL; ci può essere la
compartecipazione di un

• Aspecifica, portata avanti dalle cellule NK, che INTERVENGONO PER PRIME!
Possono essere aiutate dagli anticorpi; vi sono patologie autoimmuni in cui il BASSO
LIVELLO DI CELLULE NK è associato a suscettibilità a tumori!

Questi meccanismi in generale servono a tenere a bada alcuni tumori: ed è uno dei
motivi per cui in sala autoptica si ritrovano nel cadavere TUMORI DI CUI NON SI
CONOSCEVA NEMMENO L' ESISTENZA. Purtroppo, la gran parte dei tumori riesce
ad evadere la risposta immunitaria.

Meccanismi di evasione

Sono molteplici:

1. BASSA o NULLA ESPRESSIONE di antigeni tumorali: e se la risposta


immunitaria si fa vedere, i pochi anticorpi sugli antigeni vengono endocitati;

2. Creazione di CLUSTERS DI CELLULE che si autoproteggono l' un l' altra:


questo meccanismo è pure chiamato SNEAKING THROUGH;

3. Le cellule tumorali potrebbero esprimere di meno l' MHC DI CLASSE I, ma


questo MISSING SELF VERREBBE VISTO dalle cellule NK!
4. Le cellule tumorali potrebbero liberare ANTIGENE MODIFICATO, che va a
bloccare i TCR dei linfociti T, occupandone semplicemente il SITO! I linfociti T
andrebbero in cerca DI QUALCOSA CHE NON C'E'!

5. Le cellule tumorali potrebbero reclutare cellule a LORO FAVOREVOLI, come i


macrofagi M2, che producono il TGF – β, ovvero CITOCHINE SOPPRESSIVE la
risposta. Insomma, fanno lavorare di più cellule REGOLATIVE che cellule
EFFETTRICI;

6. Le cellule tumorali potrebbero produrre FATTORI DI CRESCITA, fattori


autogenici.

La terapia

La filosofia della cura tumorale è quella di RIDURRE AL MASSIMO LA MASSA


TUMORALE, in maniera da ottenere quella che viene chiamata MALATTIA RESIDUA
MINIMA: in tal modo si cerca di far riprendere il lavoro al nostro sistema
immunitario, non facendogli sfuggire il tumore dal controllo.
La terapia può prevedere l' uso di:

• IFN (interferoni): promuovono una risposta NON SPECIFICA che riduce la


massa tumorale in modo da consentire alla risposta SPECIFICA di finire il
lavoro;

• BCG (Bacillo di Calmette – Gueren): è lo stesso utilizzato per il vaccino contro


la tubercolosi, e ha avuto BUONI RISULTATI PER IL TUMORE ALLA
VESCICA!

• IL – 2: molto usata da nefrologi e urologi per il CARCINOMA RENALE e i


TUMORE ALLA VESCICA. Fu usata per prima da un chirurgo americano (colui
che operò Ronald Reagan) per curare il MELANOMA.
Essa presenta però un effetto collaterale se infusa: aumenta infatti la permeabilità
polmonare; ora come ora si cerca di infonderla in maniera CIRCOSCRITTA AL
TUMORE. Esistono pure modelli di cura che prevedono di far produrre IL – 2 DALLA
CELLULA TUMORALE!

• La vaccinazione è utilizzata solo per certe tipologie di tumori, come i


MELANOMI: prevede l' utilizzo delle CELLULE TUMORALI UCCISE o del
DNA.
• Il PURGING: già visto per il trapianto di midollo, prevede l' utilizzo di anticorpi
anti cellule tumorali. Ottimale sarebbe utilizzare ANTICORPI UMANIZZATI.
Solo dopo il purging si potranno usare:

1. Anticorpi MURINI: il rischio era quello di indurre una risposta


immunitaria contro di loro;

2. Anticorpi CHIMERICI con la parte variabile propriamente detta e


ipervariabile MURINE, e la parte costante UMANA: il rischio era di far
creare all' individuo ANTICORPI ANTI IDIOTIPO che potessero
attaccare questi anticorpi.
Tuttavia risultati straordinari li ha ottenuti l' uso di ANTICORPI
CHIMERICI ANTI CD20 : il CD20 risulta essere iperespresso sulla
superficie dei linfociti B LINFOMATOSI! Questi anticorpi fanno
letteralmente fuori la cellula tumorale ed hanno un vantaggio: il CD20,
essendo stabile, quando viene legato dall' anticorpo, NON VIENE
ENDOCITATO, e la cellula può essere uccisa:

• Via complemento: questo ha un leggero vantaggio perchè è più


veloce a raggiungere la massa tumorale; tuttavia circa il 75% delle
cellule tumorali riescono a resistere al complemento, esprimendo
sulla sua superficie un sacco di molecole regolative come CD55 o
CD59!
Per evitare questa FUGA DAL COMPLEMENTO, è possibile dare in
simultanea ANTICORPI ANTI CD20 e ANTICORPI ANTI
MOLECOLE REGOLATIVE! In tal modo si riesce a raggiungere
(perlomeno in vitro) l' 80% di CELLULE TUMORALI UCCISE!

• Via ADCC: più lenta, le cellule NK devono mobilitarsi e muoversi.

Rimane il fatto che la terapia DEVE IN OGNI CASO ESSERE MONITORIZZATA e


PERSONALIZZATA PER CIASCUN PAZIENTE!

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