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DEFINIZIONE =
Differenza tra:
EPIDEMIOLOGIA
Un breve excursus storico serve mettere in evidenza come si sia modificato l’andamento
epidemiologico di tale patologia: nei paesi industrializzati la tubercolosi si è diffusa nella seconda
metà dell’800 in relazione al crearsi di condizioni favorenti il contagio (inurbamento di grandi
masse di popolazione a reddito basso).
Nel secolo scorso invece si è registrata una progressiva e costante riduzione degli indici
epidemiologici, accelerata nel secondo dopoguerra dall’introduzione della chemioterapia.
A partire dalla metà degli anni ’80 si è tuttavia verificata un’inversione della tendenza con un lento
e progressivo aumento del numero di casi di malattia che ha portato negli ultimi anni ad un
numero di nuovi casi equivalente a 16 mln circa e 3 mln di morti per la malattia.
Diffusione epidemiologica attuale : i paesi europei maggiormente colpiti sono dell’europa dell’est,
soprattutto romania e quelli meno colpiti sono danimarca, la svezia e l’italia.
- La presenza di lipidi di superficie che gli conferiscono una certa resistenza alla
disidratazione e agli agenti chimici; essi possono quindi sopravvivere a lungo nell’ambiente
esterno senza tuttavia moltiplicarsi;
- Resistenza alla colorazione con i comuni metodi di colorazione (acido-alcol-resistenza). La
colorazione più efficace è quella di Ziehl-Nielsen;
- Resistenza all’azione litica dei fagociti che permette ai micobatteri di sopravvivere
all’interno di questi senza però potersi moltiplicare perché necessitano di precisi valori di
pH e di aerobiosi.
Quest’ultimo fattore rende chiaro come l’infezione tubercolare sia più diffusa in ambienti
maggiormente esposti al flusso aereo come la laringe o i polmoni.
L’infezione può dar luogo a una malattia con stadio clinico poco dopo l’inoculazione (malattia
primaria progressiva) o dopo un periodo di quiescenza di mesi o anni (riattivazione). Il rischio di
sviluppare la malattia nelle persone infettate è massimo nel primo anno dopo l’acquisizione
dell’infezione.
3 fasi:
1. CONTAGIO: la via più comune in cui avviene il contagio è rappresentata dalla via aerogena;
questa si verifica qualora un soggetto mai precedentemente infetto si esponga a inalazione
di un aerosol di goccioline di saliva contenenti micobatteri emessi mediante tosse, starnuti
o fonazione, da un paziente portatore di lesioni attive e aperte, cioè comunicanti con
l’esterno.
Il rischio di trasmissione è funzione dei seguenti fattori:
Carica batterica emessa
Frequenza di esposizione al contagio
Condizioni di recettività del soggetto esposto = età infantile, senescenza, diabete,
condizioni di immunodepressione, alcolismo e denutrizione sono tutte condizioni
che aumentano la possibilità di contrarre l’infezione e di essere contagiati.
2. INFEZIONE : prevede una serie di fasi in cui il microrganismo è “condotto” fino alla sede
dell’infezione.
L’infezione inizia con l’inalazione di goccioline di saliva alcune delle quali (quelle più grandi)
si arrestano e poi vengono drenate nelle vie aeree dalla clearance mucociliare; altre (cioè le
più piccole) invece penetrano sino a livello alveolare dove si distribuisce in modo
preferenziale la ventilazione nel soggetto in posizione eretta
In sede alveolare si determina una flogosi, con un essudato con un elevato contenuto
proteico e ricco di leucociti PMN;
successivamente subentrano i fagociti mononucleati che si occupano di fagocitare i
microrganismi; a questo punto si possono verificare due circostanze :
Una caratterizzata da moltiplicazione dei microrganismi all’interno del
compartimento endosomiale dei fagociti favorita dai meccanismi messi in atto dal
patogeno (interferenza con l’attività del fagolisosoma, resistenza agli enzimi
lisosomiali ed evasione nel citoplasma);
Un’altra nella quale il macrofago attivato produce l’inibizione o il killing dei batteri
attraverso la produzione di enzimi e di radicali ossidanti.
Qualora i batteri sopravvivano alla fagocitosi, possono essere veicolati dai fagociti
nell’interstizio e verso i linfonodi satelliti, dove si sviluppa una caratteristica tumefazione
delle linfoghiandole stesse;
Da aggiungere è l’ulteriore ruolo dei linfociti-T CD8+ di indurre la lisi delle cellule infettate
con il rischio che questa possa determinare la fuoriuscita del patogeno nell’ambiente
extracellulare; la lisi può verificarsi per citolisi o per apoptosi senza rilascio di granuli.
Un ruolo altrettanto importante è svolto dai linfociti-T dotati di recettore gamma-delta che,
mediante il rilascio di IFN-gamma e di TNF-alfa, determinano il reclutamento dei linfociti e
dei macrofagi. Quindi la funzione di tali linfociti è quella di regolazione del traffico cellulare
in sede infiammatoria piuttosto che uccisione del M. Tuberculosis.
Vi possono essere dei fattori (quali fattori genetici individuali o l’azione dei micobatteri che
inducono il macrofago a produrre citochine immunosoppressorie) che, bloccando la
produzione di citochine di tipo 1, determinano la diminuzione della risposta protettiva
antitubercolare e facilitano il passaggio da infezione a malattia. Infatti nella tubercolosi
miliare, ovvero la forma disseminata della malattia, non si osserva espansione clonale dei
linfocit-T antitubercolari, può mancare la reazione cutanea tubercolinica e la risposta
infiammatoria diviene carente. Si assiste, in pratica, ad un quadro tipico di deficitaria
risposta di tipo 1 ed eccessiva risposta del 2.
Pertanto, i linfociti di tipo 1 sono responsabili della più importante risposta immunitaria al
micobatterio, che è di tipo cellulo-mediata e si manifesta attraverso la condizione di
ipersensibilità ritardata. Questa si concretizza nella formazione del “granuloma
tubercolare” rappresentato da una raccolta di cellule di derivazione monocito-macrofagica
definite cellule epitelioidi che hanno funzione secretoria (enzimi, citochine e radicali
ossidanti) e microbicida.
Successivamente all’interno del focolaio può crearsi una necrosi cellulare la quale da luogo
ad un ambiente ostile al M. tuberculosis (ambiente ricco di materiale caseoso povero in
O2). In queste condizioni il batterio può:
STORIA NATURALE : il percorso evolutivo della malattia e dell’infezione può essere molto diverso
da caso a caso. Lo spettro dei diversi andamenti evolutivi può essere così schematizzato :
1. Circa il 90% dei pazienti dei soggetti che contraggono l’infezione non vanno incontro a
malattia e quindi i meccanismi patogenetici risultano asintomatici. Tutto ciò che è possibile
rilevare è l’instaurarsi dell’ipersensibilità tubercolinica e di lesioni che vanno incontro a
esito fibroso o fibrocalcifico (reperto radiologico);
2. 5% dei soggetti rimanenti e infettati vanno incontro a malattia conclamata entro i primi 12
mesi dal contagio. Si tratta di manifestazioni lievi e circoscritte, che esordiscono prima
dell’ipersensibilità tubercolinica (periodo primario), ma che in alcuni casi possono
complicarsi a causa di una condizione di esaltata reattività (manifestazioni iperegiche quali
pleuriti) e in altri rari casi possono aggravarsi dando diffusione broncogena
(broncopolmonite) o ematogena (miliare) della malattia;
3. Gli altri 5% dei soggetti contagiati sviluppano la malattia conclamata nel periodo
postprimario, cioè a distanza di tempo anche molto lunga (anni o decenni) dalla prima
infezione. Tali fenomeni risultano essere la conseguenza di fenomeni di reinfezione
endogena e molto raramente dovuti all’intervento di una nuova carica batterica.
ANATOMIA PATOLOGICA : le lesioni assumono un carattere diverso nel periodo primario rispetto
al postprimario.
1. Lesioni del periodo primario = sono inizialmente aspecifiche e nel tempo acquisiscono
caratteri di specificità. Sono lesioni costituite da un focolaio di essudazione plasmatica
composta inizialmente da :
Abbondante componente fibrinogena;
Macrofagi;
Linfociti;
Granulociti.
LESIONI MILIARICHE
Sono lesioni specifiche in cui si registra il prevalere dei fenomeni istogeni che conferiscono ai
focolai dimensioni paragonabili ai grani di giglio (1-3mm all’RX).
Se un’elevata carica batterica invade il torrente ematico, i focolai miliarici invadono tutti i campi
polmonari (oltre a organi extraparenchimali) dando luogo a gravi compromissioni clinico-funzionali
(segnati dalla comparsa di fibrosi). Le maggiori conseguenze si rilevano a livello del parenchima
polmonare dove anche le zone indenni contigue alle lesioni possono subire sollecitazioni
meccaniche alla deformazione.
In questi casi, qualora si realizzi la confluenza di più lesioni con evoluzione necrotica, sarà possibile
la formazione di caverne “meccaniche” a causa di effetti retraenti della fibrosi.
LESIONI NODULARI
Sono lesioni localizzate più spesso ai lobi superiori o al segmento apicale dei lobi inferiori che
possono estendersi sino a compromettere anche interi lobi (tendenza all’estensione eccentrica e
alla confluenza). In periferia è presente la reazione granulomatosa specifica, mentre al centro della
lesione si osserva un focolaio di necrosi caseosa che tende a confluire con gli analoghi focolai di
lesioni adiacenti, dando luogo ad aree necrotiche di varia estensione.
La più frequente evoluzione di tale lesione è rappresentata dalla colliquazione del materiale
necrotico.
N.B. = qualora nel corso del processo flogistico-necrotico venga eroso un bronco in prossimità di
una lesione che è sede di colliquazione da necrosi caseosa, il materiale necrotico può farsi strada
verso l’esterno attraverso il bronco, che viene pertanto definito di drenaggio. Si determina in
questo modo una lesione di continuo, definita caverna alla cui patogenesi concorre una
componente meccanica (retrazione elastica, escursione respiratoria) anziché necrotica.
In relazione al ruolo patogenetico della componente di erosione biologica dovuta alla necrosi o di
quella dovuta allo sfiancamento meccanico si distinguono le caverne in:
L’indagine radiologica fornisce elementi caratterizzanti tali forme, infatti mette in rilevanza :
DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE FORME PRIMARIE CON ALTRE PATOLOGIE : spesso la componente
parenchimale e quella linfangitica vanno incontro a risoluzione precoce, cosicché nel quadro
radiologico diviene riconoscibile solo la tumefazione linfo-ghiandolare; ciò pone il problema della
diagnosi differenziale con :
In questi casi, è possibile fare diagnosi differenziale con i linfomi per via del fatto che nel caso di
tubercolosi l’interessamento toracico all’RX sia monolaterale (linfoma => bilaterale) e inoltre si
può fare diagnosi differenziale con carcinoma polmonare tramite i caratteri clinici e rilevando
l’assenza di evidenze patologiche alla broncoscopia e alla TC.
2. FENOMENI DI ATELECTASIA dovuti ad occlusione del ramo bronchiale tributario del settore
colpito. In questi casi si verifica la trasmissione della flogosi alla parete bronchiale, che
rende quest’ultima più suscettibile alla compressione da parte della massa
linfoghiandolare.
N.B. = il fenomeno più frequente e importante al riguardo è la cosiddetta sindrome del
lobo medio, cioè l’atelectasia che colpisce questo lobo più spesso di altre strutture in
relazione ai suoi peculiari caratteri anatomici :
bronco relativo orientato orizzontalmente, in senso dorso-ventrale;
allungato;
di calibro ristretto e circondato da una ricca rete di linfonodi;
interposto tra gli altri due lobi e la parete toracica anteriore con conseguente
limitazione all’espansibilità.
- TUBERCOLOMA = lesione cronica, costituita dagli esiti di focolai essudativi che, a seguito
del trattamento sono rimasti circoscritti da una capsula fibrosa.
RX : opacità rotondeggiante del diametro di alcuni cm;
DIAGNOSI DIFFERENZIALE : con carcinoma “a palla” . La presenza di calcificazioni orienta
verso tubercolosi perché il tessuto neoplastico non va incontro a deposizione di Sali di
calcio.
N.B.= il tubercoloma da caverna bloccata (o pseudotubercoloma) si produce qualora una
caverna, per l’occlusione del bronco di drenaggio, non subisca lo svuotamento del
materiale caseoso che si disidrata e viene incapsulato da una reazione fibrotica;
- TUBERCOLOSI CAVITARIA CRONICA = composta da alterazioni cavitarie in associazione a
componente fibrosante. Ha un decorso evolutivo verso un decadimento delle condizioni
generali che può culminare con insufficienza cardio-respiratoria;
- FIBROTORACE = estesa fibrosi sia pleurica sia polmonare derivante dall’evoluzione di
pleurite essudativa con fenomeni estesi parenchimali flogistici e/o atelectasici.
QUADRO CLINICO :
Retrazione del polmone a cui si accompagnano
Riduzione spazi intercostali (con deformazione cifoscoliotica
del rachide)
Attrazione omolaterale del mediastino
Innalzamento dell’emidiaframma.
DIAGNOSI : è utile suddividere la diagnosi della sola infezione dalla diagnosi della malattia
tubercolare conclamata poiché prevedono test diagnostici più o meno differenti.
DIAGNOSI DI INFEZIONE
1. Test di Mantoux = iniezione intradermica sulla faccia volare dell’avambraccio. È il test che
fornisce i risultati più riproducibili.
2. Test di Heaf ed il tine test = si posizionano degli erogatori predosati monouso sulla
superficie cutanea; questi inoculano attraverso punture multiple quantità note di
tubercolina.
RISULTATO => si misura misura il diametro maggiore dell’area di indurimento della cute (dovuta
all’infiltrazione) nell’arco delle 48-72 ore:
- Diametro superiore o uguale a 10mm => reazione positiva;
- Diametro inferiore a 5 mm => risposte cutanee negative;
- Diametro intermedio (5-10 mm) => si ricorre all’allergometria tubercolinica.
Nel caso di risposte dubbie bisogna però sempre considerare che vi possono essere fattori che
deprimono la risposta cutanea, per esempio:
Risulta un po’ più complessa rispetto alla diagnosi di infezione in quanto prevede una serie di test
che diano certezza alla diagnosi di tubercolosi.
PROFILASSI
VACCINAZIONE
Tuttavia l’efficacia protettiva oscilla dallo 0 (India meridionale) a oltre 80% (brasile) in relazione a
molteplici variabili :
Per quanto riguarda il nostro paese, ai sensi della normativa, la vaccinazione è obblgatoria in
alcuune categorie di soggetti:
a. Neonati e bambini di età inferiore a cinque anni con test tubercolinico negativo e
conviventi con persone affette da TBC in fase contagiosa.
b. Personale sanitario, studenti in medicina e chiunque con, test tubercolinico negativo, operi
in ambiente sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti e non
possa, in caso di cuticonversione, essere sottoposto a terapia preventiva perché presenta
controindicazioni all’uso di farmaci specifici.
CHEMIOPROFILASSI
La profilassi può essere attuata grazie alla somministrazione di isoniazide (300mg/die nell’adulto,
8-10 mg/kg nel bambino) da praticare per alcuni mesi, 6. I soggetti in cui è indicata sono:
TERAPIA
La scelta dei farmaci consente numerose alternative efficaci per via dell’abbondante
disponibilità di molecole:
- Rifampicina, isoniazide, streptomicina e pirazinamide => farmaci battericidi
- Etembutolo => farmaco batteriostatico
- Pirazinamide => farmaco attivo nell’ambiente intracellulare.
- Per i primi due mesi isoniazide+ etambutolo+ rifampicina => quest’ultima determina una
più rapida negativizzazione dell’espettorato e una più sicura prevenzione delle recidive.
- Dopo aver ottenuto ebtro sei otto settimane la sterilizzazione dell’espetorato e un inziale
miglioramento può essere escluso l’etambutolo o la rifampicina continuando gli altri due
farmici per ancora 7 mesi.
A causa dei costi nei paesi economicamente svantaggiati sono stati studiati regimi abbreviati a sei
mesi:
- Fase iniziale di due mesi con trattamento intensivo quotidiano con rifampicina+ isoniazide+
etambutolo+ pirazinamide
- Per ulteriori 4 mesi isoniazide+ rifampicina
L’aumento della resistenza ai farmaci può essere dovuto alla scarsa compliance nei confronti del
trattamento manifestata da alcuni tipi di pazienti ad alto rischio (tossico- dipendenti ed alcolisti)
che conduce a trattamenti irregolari; un ruolo importante è svolto anche dal contagio da parte di
immigrati da aree economicamente depresse dove è più alta l’incidenza di mutanti più resistenti.
TERAPIA CHIRURGICA