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Fisiologia

Lezione 4 18/03/2024
Sbobinatori: Sala Alida, D’Agostino Cristina
Domanda: Può rispiegare il fenomeno dell’inibizione laterale?
L'inibizione laterale è un processo che permette di accentuare quella che è la percezione,
l'identificazione del punto esatto in cui è avvenuto lo stimolo.
Cosa succede? Quando si detecta uno stimolo, il neurone di primo ordine associato
a quel particolare campo ricettivo all'interno del quale cade lo stimolo viene attivato, il
recettore produce la depolarizzazione, il potenziale generatore, il potenziale d'azione.
Il neurone di primo ordine cosa fa?
Trasmette questo segnale a quello che abbiamo definito neurone di secondo ordine.
Ovviamente uno stimolo, specialmente se è particolarmente intenso, non attiva soltanto
quel preciso neurone che si trova proprio sotto il sito in cui è stato applicato lo stimolo, ma
può anche attivare dei campi recettivi limitrofi;
Questo cosa provocherebbe? Oltre all'attivazione di quella via iniziale, il neurone primario
che porta lo stimolo, il neurone secondario e anche le vie collegate a zone limitrofe a
quelle in cui è stato applicato effettivamente lo stimolo.
Quindi il neurone di primo ordine si attiva pure in queste vie, anche se più debolmente.
Quando l'informazione passa al neurone secondario, il neurone secondario che deriva dal
l'attivazione di quel neurone primario che è stato attivato più degli altri, oltre a trasmettere
l'informazione poi al neurone di terzo ordine, cosa fa? Inibisce l'informazione dei due
neuroni secondari delle regioni limitrofe, in questo modo si accentua quella che è la
capacità discriminativa dell'identificazione dello stimolo, la localizzazione spaziale de
llo stimolo.

Altra domanda: la teoria del cancello


La teoria del cancello abbiamo detto che era un meccanismo di modulazione di quella
che è la percezione dolorifica.
Normalmente quando noi percepiamo il dolore cosa succede? Si attiva il nocicettore,
questo provoca l'attivazione di un neurone di primo ordine che porta questo segnale a
livello del midollo spinale e la passa a quello che è un neurone di secondo ordine, che poi
decussa e scende.
In questa comunicazione tra il neurone di primo ordine e di secondo ordine interviene
anche un interneurone inibitorio che normalmente rilascia in maniera tonica glicina a
livello del neurone di secondo ordine.
Quindi noi in questo momento non stiamo percependo dolore perché non è attivato il
neurone di primo ordine e c'è questo interneurone a livello del midollo spinale che inibisce

costantemente questo neurone di secondo ordine; quindi non permette alla percezione
dolorifica di raggiungere la corteccia e non percepiamo coscientemente alcun dolore.
Quando mi pungo cosa succede? Che lo spillo attiva che cosa? Il neurone di primo ordine
della via nocicettiva.
Cosa va a fare questo neurone di primo ordine? Va ad attivare il neurone di secondo
ordine, ma per poterlo attivare deve contestualmente andare a inibire l'interneurone.
Quindi cosa succede? Si apre questo cancello di trasmissione della percezione
dolorifica che è inizialmente chiuso.
L'interneurone rappresenta il cancello che è chiuso quando noi non percepiamo dolore
perché rilascia questo modulatore inibitorio che induce una inibizione della via
dolorifica.
Quando invece è attivato il neurone di primo ordine dello stimolo nocicettivo, questo
stimolo nocicettivo viene veicolato al neurone di secondo ordine e contestualmente per
poter essere veicolato deve essere inibito l'interneurone.
Su questo interneurone agiscono anche le vie dei neuroni sensoriali provenienti dalla
percezione tattile.
Cosa succede quando noi urtiamo contro qualcosa, contro uno spigolo, il braccio, la
gamba? Nel momento in cui urtiamo lo stimolo meccanico particolarmente intenso attiva i
nocicettori e quindi percepiamo dolore. Se noi andiamo a massaggiare la zona che è stata
interessata a questa percezione di questo stimolo dolorifico, attiviamo oltre alle fibre
dolorifiche anche le fibre a delta.
Queste dove vanno ad agire? Sempre al livello del midollo spinale, però su quell'
interneurone andando a stimolarlo, a rilasciare il neurone inibitorio e quindi il risultato
è un processo di integrazione che avviene a livello del neurone secondario che ci fa
percepire quel dolore come meno intenso.

Riassunto lezione precedente


La scorsa lezione abbiamo visto un pochettino il sistema somatosensoriale, abbiamo visto
le varie modalità con cui percepiamo gli stimoli tattili, termici, dolorifici e propriocettivi.
Abbiamo detto che attraverso specifiche vie sensoriali questi stimoli raggiungono tutta una
determinata porzione della corteccia che abbiamo definito corteccia somatosensoriale
primaria.
Abbiamo detto anche che questo stimolo dopo essere stato percepito coscientemente,
dopo aver raggiunto quest'area sensoriale primaria, deve essere poi trasferito in quelle
che sono le aree associative per poterlo integrare anche con altre informazioni
o della stessa modalità sensoriale e quindi si parla di aree associative unimodali o
di modalità sensoriali differenti, in quel caso parleremo di passare aree associative
multimodali. L'informazione può passare poi nelle aree che la possono utilizzare
per svolgere un determinato compito; abbiamo visto come la percezione tattile
viene integrata con quelle visiva
e questo sta alla base dell'ideazione della creazione di un
piano motorio; poi vedremo come a volte l'informazione tattile può anche essere
associata con un determinato simbolo che appartiene a una determinata lettera, per
esempio nel linguaggio braille e quindi questo permette anche ai soggetti che non sono
dotati di un sistema visivo funzionante di poter leggere un determinato libro tramite la
percezione tattile invece che visiva.

Poi è stato detto che ci sono anche delle aree che abbiamo definito transmodali, in cui
avviene l'integrazione di diverse informazioni e anche l'integrazione di queste informazioni
sensoriali con quelle che sono le informazioni che noi abbiamo appreso precedentement
e. Queste aree transmodali sono costituite dal lobo frontale e dal sistema limbico che
analizzano l'esperienza, cioè a che fare con la componente razionale e con le
motivazioni.
Questo vale un po' per tutti i sistemi sensoriali, abbiamo visto nello specifico quali sono le
aree sensoriali primarie nel sistema sonosensoriale, quali sono le aree associative e abbi
amo accennato a qualche funzione svolta da quest'area associativa, ad esempio l'area 5
e l'area 7.

Abbiamo iniziato a parlare poi del sistema visivo. Nel sistema visivo per il momento ci
eravamo limitati a coglierne la componente cognitiva perché abbiamo detto che oltre ad
essere percepiti, i vari stimoli devono anche essere interpretati da un punto di vista
cognitivo grazie a questa elaborazione successiva che lo stimolo ha in queste aree associ
ative ditipo unimodali, unimodali e soprattutto transmodali. Abbiamo
fatto qualche esempio che ha dimostrato come il sistema visivo più di tutti tiene conto
di questa percezione o elaborazione cosciente.
Abbiamo detto che quando noi elaboriamo un'immagine visiva, quando la nostra corteccia
elabora un'immagine visiva, non tiene conto del semplice stimolo della natura fisica, ma
tiene conto anche dell'esperienza passata, del contesto in cui è inserito quel determinato
oggetto che stiamo osservando.
Come fa il nostro sistema sensoriale visivo a percepire lo stimolo che nel caso specifico è
uno stimolo è un'onda elettromagnetica?
Abbiamo visto che la luce fa parte di queste onde elettromagnetiche; in particolare noi
siamo in grado di discriminare, il nostro organo di senso che è l'occhio, è in grado di
discriminare soltanto un piccolo range di queste onde elettromagnetiche presenti,
chiamata appunto luce visibile.
Come fa a detectare? Perché ovviamente esiste in questo sistema sensoriale un
particolare tipo di recettori sensibili a questo stimolo di natura luminosa e abbiamo visto
che questi recettori si trovano in una particolare membrana interna al nostro occhio
che prende il nome di retina.

La retina
La retina è composta da differenti strati cellulari. Nella porzione più interna del nostro
occhio noi troviamo i fotorecettori, che sono costituiti da coni e bastoncelli: sono
cellule che percepiscono lo stimolo luminoso. Dopodiché queste cellule passano poi
l'informazione alle cellule bipolari, ovvero interneuroni che mettono in comunicazione la
cellula recettoriale, sia un cono o un bastoncello, con quello che è il neurone di primo
ordine di questa via sensoriale, che è rappresentato dalle cellule gangliari.
Gli assoni dalle cellule gangliari infatti fuoriescono da un punto ben preciso del bulbo
oculare, formando quello che viene definito nervo ottico, che poi costituirà il neurone di
primo ordine della via visiva primaria.

Oltre a questi tre tipi di cellule sono presenti altre due categorie cellulari che sono le
cellule orizzontali e le cellule amacrine.
Le cellule orizzontali e le cellule amacrine hanno un'azione modulatoria nei confronti
della percezione degli stimoli rispettivamente da parte delle cellule bipolari e da parte dell
ecellule gangliari.
Ogni cellula bipolare è collegata con un recettore, però questa cellula bipolare non riceve
soltanto informazioni da questo singolo recettore con cui fa una sinapsi diretta, ma riceve
informazioni anche dai fotorecettori che si trovano nelle regioni limitrofe.
Queste informazioni arrivano attraverso i collegamenti con le cellule orizzontali,
che hanno collegamenti diffusi con un certo numero di cellule recettoriali, poi trasformano
questa informazione e la trasferiscono alla cellula bipolare, che quindi integra tutti questi
segnali e sulla base di questi processi di integrazione poi veicola un determinato segnale
alla cellula gangliare con cui si trova connessa.
A livello della cellula gangliare cosa succede?
Che le cellule amacrine vanno ad integrare i segnali di attivazione provenienti da più
cellule bipolari e agiscono a loro volta su diverse cellule gangliari.
Quindi le cellule orizzontali vanno ad elaborare il segnale che viene trasferito tra le
cellule recettoriali, bastoncelli e coni, e la cellula bipolare.
La cellula amacrina invece integra e modula le informazioni che arrivano alla cellula
gangliare.

Bastoncelli e coni
Sono dei fotorecettori,
sono delle cellule, quindi come tutte le cellule avranno il loro nucleo,
la loro porzione dendritica, che è la porzione recettoriale, è rappresentata da quello
che viene chiamato segmento esterno. All'interno di questo segmento esterno troviamo
delle proteine che sono in grado di rilevare il segnale luminoso, che nel caso dei
bastoncelli prende il nome di rodopsina, mentre nel caso dei coni ne esistono di tre
tipologie differenti ed ognuna è sensibile a diverse lunghezze d'onda, a un certo range
di lunghezze d'onda.

Oltre a questo segmento esterno, presentano entrambi un segmento interno ricco in


mitocondri e poi ovviamente una terminazione sinaptica che prende contatto sinaptico
in maniera diretta con quella che è la cellula bipolare.
Che differenza c'è tra i due tipi di recettori?
Che apparte il tipo di proteina responsabile di detectare lunghezze d'onda differenti,
è che i bastoncelli intervengono nella visione quando siamo in condizioni di scarsa
luminosità, quindi mediano quella che viene definita visione scotopica, mentre
i coni intervengono quando siamo in un ambiente con un'alta illuminazione, con elevati li
velli di luminosità ovvero quella che viene definita visione fotopica.
Entrambi sono attivati in maniera specifica in un ambiente in cui l'illuminazione risulta
essere moderata.
La visione tricromica è generata dall'insieme delle informazioni provenienti dai coni,
infatti quando noi siamo al buio non vediamo i colori.
Come sono distribuiti questi recettori? Non in maniera uniforme. Ci sono molti più
bastoncelli rispetto ai coni e questi non sono distribuiti in maniera uniforme in tutta la
retina: i coni prevalgono nella porzione centrale della retina mentre i bastoncelli
prevalgono nella porzione laterale.

Un'altra caratteristica che distingue le varie porzioni della retina è che nella porzione
centrale il rapporto tra coni e cellula bipolare è di 1 a 1; questo comporta un
aumento di quella che è l'acuità visiva, ovvero la capacità di distinguere due stimoli
ravvicinati tra loro.
Questa regione centrale in cui abbiamo la più alta acuità visiva, la più alta sensibilità,
prende il nome di fovea ed è una regione che appare un po' più scura.
Quando noi guardiamo attraverso l'opportuna strumentazione il fondo oculare, oltre a
questa regione più scura che rappresenta la fovea, notiamo anche una macchiolina bianc
achiamata macula cieca. Che cos'è questa macula cieca? È il punto in cui non sono
presenti né coni né bastoncelli, ed è il punto da cui fuoriescono di fatto gli assoni delle
cellule gangliari.
Quindi in questa porzione della retina di fatto non viene percepito alcuno stimolo luminoso
.
Inoltre i recettori sono localizzati nello strato più profondo, quindi cosa succede?
Che la luce prima di andare a colpire questi recettori deve attraversare tutti i vari strati
cellulari che li precedono e questo potrebbe provocare un'attenuazione del segnale visivo
che raggiunge di fatto i fotocettori. Guardando l'immagine si vede che a livello della fovea
è come se queste cellule degli strati successivi, quindi cellule bipolari e cellule gangliari,
sono piegate ripiegate verso la porzione laterale della retina e questo contribuisce ancora
di più a rendere la fovea una regione in cui l'acuità di questo sistema visivo risulta essere
più elevata perché di fatto, non dovendo attraversare nessuno degli strati cellulari che
deve attraversare la periferia, il segnale non viene in qualche modo attenuato.
Cosa succede nel momento in cui la luce colpisce questi fotocettori?
Allora facciamo l'esempio della rodopsina. La rodopsina è quella che abbiamo visto
essere presente a livello dei bastoncelli, ma lo stesso meccanismo molecolare avviene a
nche nei coni; quello che cambia è la molecola sensibile di fatto allo stimolo luminoso che
nel caso dei bastoncelli prende il nome di retinale.
Questo retinale è associato a una proteina intrinseca di membrana chiamata opsina e
insieme formano la rodopsina.
Quando la luce colpisce il retinale cosa succede a questo elemento? Cambia la sua
conformazione e quindi si stacca dall'opsina; in questo modo cosa si causa?
L'attivazione di questo recettore a 7 eliche transmembrana accoppiato a proteina G,
l'attivazione della proteina G a cui è connessa, che prende il nome di transducina, che
va a attivare una fosfodiesterasi.
Essa riduce i livelli di GMP ciclico presenti all'interno di queste cellule;
la riduzione dei livelli di GMP ciclico cosa comporta? La chiusura di specifici canali per il
sodio che quindi non può più entrare all'interno di questa cellula e si induce quindi
una iperpolarizzazione. Tutto ciò in condizioni di luce.
In assenza di luce cosa succede? Che questa fosfodiesterasi è inattiva, quindi abbiamo
alti livelli di GMP ciclico, questi canali sono aperti e quindi la cellula risulta costantemente
depolarizzata e quindi in maniera tonica rilascia il suo neurotrasmettitore che nel caso
specifico è il glutammato. Cosa succede fondamentalmente? Quando la luce
colpisce di fatto questo recettore, il retinale, quello in
rosso nell’immagine, che prima è legato, si stacca
perché cambia conformazione, quindi perde affinità
per l'opsina.
Staccandosi si attiva quel meccanismo di trasduzione
del segnale che porta alla chiusura di questi canali
per il sodio.
Si ha un'iperpolarizzazione della cellula che da un
potenziale di membrana di meno 40 millivolt arriva a
un potenziale di membrana di meno 70 millivolt.
Questo comporta un minore rilascio di
neurotrasmettitore. Quando invece siamo in condizioni
di assenza di luce, di segnale minore, succede
che queste cellule rilasciano in maniera costante il glutammato.
Da chi viene percepito questo glutammato? Dalle cellule bipolari che in risposta al
glutammato si attivano o si inibiscono.

Tipologie di coni
Mentre di bastoncelli ne esistono soltanto di un tipo, di coni ne esistono tre diverse
tipologie che sono i coni di tipo S, di tipo M e di tipo L.
Quindi alla base della nostra visione ci sono queste quattro, comprese quelle
dei bastoncelli, molecole in grado di rilevare un certo range di lunghezze d'onda. Ciò
significa che non è selettivo soltanto per una lunghezza d'onda, ma viene attivato in
maniera preferenziale da una lunghezza d'onda.
Quindi per esempio, nel caso dei coni di tipo L,
vengono attivati preferenzialmente da luce a lunghezza d'onda di 564 nanometri, che
significa che stimoli anche di bassa intensità di quella lunghezza d'onda sono in grado di
attivarlo.
Via via che noi ci allontaniamo da questa lunghezza d'onda quindi scendiamo in valori più
alti o più bassi, però che rientrano sempre nella gamma di attivazione di questi recettori,
l'intensità dello stimolo che porta all'attivazione di questo particolare tipo di coni deve
essere sempre maggiore.
Come si vede anche dall’immagine, i vari spettri di assorbimento dei vari tipi di coni,
anche in parte del bastoncello,
soprattutto con i coni di tipo S, si sovrappongono tra di loro.
Quello che noi vediamo, i colori che noi riusciamo a percepire, le varie gradazioni dei vari
colori che noi di fatto siamo in grado di distinguere, derivano da una differente attivazione
di queste tipologie recettoriali.
Cosa succede nel caso in cui uno o più di questi coni è alterato da un punto di vista
genetico? Noi perdiamo la capacità di percepire un certo range di lunghezze d'onda e di
conseguenza abbiamo una visione alterata di quelli che sono i colori che noi attribuiamo
a un determinato oggetto della scena visiva che stiamo analizzando.
Nell’immagine sopra sono presenti alcuni esempi; nella prima foto è rappresentata
la visione normale e si può notare che il pullman appare di colore rosso.
In questo caso tutte le tre tipologie di coni sono attive per cui la luce che viene riflessa,
deviata, arriva comunque a livello dei nostri fotorecettori. Il mix di attivazione di questi
recettori porta a questo tipo di percezione visiva.
Nel caso in cui si abbia l'alterazione dei coni di tipo L, è una forma di daltonismo
che si chiama protanopia; in questo caso i coni di tipo L erano responsabili nella
percezione di queste lunghezze d'onde, alcune di queste lunghezze d'onde sono
percepite dai coni tipo M,
altre invece vengono praticamente perse e questo porta a non percepire per esempio più i
lpullman di colore rosso ma lo percepiamo di un altro colore.
La stessa cosa se cambiano, comunque vengono alterati coni di tipo M, in quel caso si
parla di deuteranopia o i coni di tipo S, in quel caso si parla di tritanopia.
Queste sono tutte forme di daltonismo.
Cellule bipolari
Come detto precedentemente, i fotocettori di fatto portano il segnale alle cellule bipolari
attraverso il rilascio o meno di glutammato. Il rilascio di glutammato può portare all'
attivazione o all'inibizione di determinate cellule bipolari.
Questo perché? Perchè esistono due tipi di cellule bipolari: le cellule bipolari di tipo ON,
che sono attivate dalla luce, mentre le cellule bipolari di tipo OFF vengono inattivate
dalla luce.

La luce cosa faceva? Riduceva la quantità di glutammato che veniva rilasciato; se il


segnale è uguale, come mai alcune vengono attivate e altre invece inattive? Perché
possiedono recettori per il glutammato differenziati.
Le cellule di tipo ON posseggono recettori di tipo metabotropico per il glutammato, nel
caso specifico recettori di tipo mGluR6; questi sono recettori che quando attivati
in presenza di glutammato inducono un'iperpolarizzazione della cellula. Quando siamo in
presenza di luce cosa succede? Che la luce diminuisce la quantità di glutammato
rilasciata e quindi induce una depolarizzazione di queste cellule. Quindi queste cellule
sono attivate dalla luce.
Nel caso delle cellule bipolari di tipo OFF cosa succede? Hanno un recettore
ionotropico di tipo AMPA. I recettori di tipo AMPA nel momento in cui si aprono
inducono una depolarizzazione della cellula.
La luce induce un minore rilascio di glutammato, se c'è meno glutammato questi recettori
non si possono attivare, non si può indurre la depolarizzazione della cellula e quindi
queste cellule sono silenti quando vengono colpite dalla luce.
Quindi, riassumendo, quando la luce colpisce il fotocettore di una cellula di tipo
ON, la cellula bipolare connessa a quel fotocettore che è stato colpito dalla luce viene
attivata; le cellule di tipo OFF restano inattivate dallo stimolo luminoso perché lo stimolo
luminoso comporta un minore rilascio di glutammato, questo minore rilascio non è in grad
odi attivare questi recettori delle cellule bipolari tipo OFF e quindi non può indurre una
depolarizzazione della cellula dallo stimolo luminoso
Quando la luce colpisce il fotocettore, se questo è collegato a una cellula bipolare di tipo
OFF il segnale si spegne, se è collegato a una cellula bipolare di tipo ON il segnale va
avanti.

La singola cellula bipolare, oltre ad essere direttamente collegata con un particolare tipo d
ifotocettore, riceve informazioni da quelle che sono le cellule orizzontali, che prendono
informazioni direttamente da altri tipi di recettori localizzati nella porzione limitrofe.
Questo fotorecettore che è collegato direttamente alla cellula bipolare rappresenta il
centro del campo ricettivo di questa cellula bipolare, mentre gli stimoli provenienti dai
recettori limitrofi che arrivano alla cellula bipolare per mezzo delle cellule orizzontali
rappresentano la cosiddetta periferia del campo ricettivo.
I campi recettivi presenti a livello della retina delle cellule bipolari hanno due
caratteristiche: intanto sono concentrici e poi hanno un diverso grado di attivazione.
Ci sono cellule bipolari caratterizzate da un campo ricettivo a centro ON e periferia OFF
e cellule bipolari caratterizzate da un centro OFF e una periferia ON; ciò significa
che uno stimolo luminoso attiva la cellula bipolare quando colpisce, nel primo caso,
il centro del campo ricettivo. Se lo stimolo luminoso cade all'esterno di questo centro, cioè
nella periferia, in questo caso, non si produrrà alcuna attivazione della cellula bipolare.
Al contrario, quando la luce cade all'interno, cioè nel centro del campo ricettivo di una
cellula bipolare a centro OFF si inattiva, mentre se cade alla periferia si attiva.

L'attivazione la si può osservare nell’immagine come un incremento della frequenza di


scarica dei potenziali di azione che, a livello basale in caso di illuminazione diffusa, risulta
essere con una certa frequenza che può aumentare o ridursi.
Sulla base di questa differenza tra gli stimoli che colpiscono un determinato oggetto noi di
stinguiamo quelli dell’oggetto che stiamo attenzionando e quelli che invece riguardano
quello che noi identifichiamo come sfondo.
A cellule bipolari di tipo ON e di tipo OFF corrispondono cellule gangliari a centro ON e pe
riferia OFF e viceversa. È esattamente la stessa cosa, c'è sempre questo vario
passaggio
nei campi ricettivi, sia delle cellule bipolari sia di quei gangliari, questa differente percezio
ne tra il centro del campo ricettivo e la periferia.
Le cellule gagliari in più, oltre ad essere distinte per la tipologia dei campi ricettivi, quindi a
centro-on e centro-off, possono essere distinti sulla base anche della dimensione dei
campi ricettivi e sulla loro sensibilità, la loro latenza di attivazione e quindi di conseguenza
su quella che è la loro sensibilità al contrasto.
Esistono da questo punto di vista quindi tre diverse tipologie di cellule gangliari:
M, P e K.

Le M sono caratterizzate da campi ricettivi ampi ad alta sensibilità al contrasto e sono


perlopiù deputati all'elaborazione di informazioni di oggetti in movimento.
Mentre le cellule gangliari di tipo P si attivano per elaborare tutte quelle informazioni che
hanno a che fare con i dettagli dell'immagine, quindi la forma e i dettagli fini che
appartengono a quel determinato oggetto che noi stiamo attenzionando.
Quindi il segnale visivo già a livello della retina viene diversificato in quelle che sono le
caratteristiche che deve poi la corteccia elaborare quando tiene conto dei vari stimoli che
provengono dai vari punti della retina, sulla base delle diverse tipologie di cellule bipolari,
dei diversi tipi di recettori e dei diversi tipi di cellule ghiandolari e ognuna delle quali di fatt
o forma delle vie parallele: una via che elabora informazioni riguardanti stimoli
in movimento,
un'altra che elabora la forma e i dettagli fini e l'altra invece, che è la via mediata dalle
cellule gangliari di tipo K, che invece riceve input dai coni di tipo S e poi li paragona quelli
provenienti dalle altre due tipologie di coni e questo mi permette di avere informazioni ovvi
amente sui colori, sulla visione a colori.

Quindi, i fotocettori sono di due tipi, bastoncelli e coni.


Questi portano informazioni alle cellule bipolari e ne esistono in due tipi: ON e OFF.
Esse differiscono nel tipo di recettore per il glutammato che posseggono.
Alcune sono attivate e alcune sono inattivate dalla luce.
Le cellule bipolari però ricevono informazioni non solo direttamente da questi fotorecettori,
ma anche per mezzo delle cellule orizzontali; integrano tutti questi segnali e li trasferiscon
o alle cellule gangliari.
I campi ricettivi di queste cellule gangliari sono o a centro ON e periferia OFF o viceversa,
e questa differenza è fondamentale per quella che è l'attribuzione di fatto di uno sfondo e
di un'immagine che risalta rispetto allo sfondo.
Di cellule gangliari ne esistono di tre tipi, a prescindere dai gangli: K, P ed M.
Ognuna media informazioni differenti. Queste informazioni abbandonano la retina grazie
al nervo ottico.
Campi visivi
Le informazioni grazie al nervo ottico vanno a finire, a livello del chiasma ottico;
alcune di queste informazioni decussano dalla parte opposta e raggiungono il talamo, in
particolare nel corpo genicolato laterale.
Dal talamo vanno a finire in quella che è la corteccia visiva primaria, che ritroviamo a
livello dell'area 17 di Brodmann, a livello del lobo occipitale.
Le informazioni dalla retina lasciano la retina attraverso il nervo ottico e il nervo ottico ragg
iunge una porzione chiamata chiasma ottico.
A livello del chiasma ottico alcune di queste informazioni decussano dalla parte opposta e
quindi raggiungono di fatto prima il talamo e poi la corteccia visiva dell'emisfero contro-
laterale.
Ciascun occhio è in grado di detectare delle informazioni relative ad una certa porzione
ovviamente del campo visivo dell'ambiente esterno,
quindi ciascun occhio ha il suo campo
visivo. L'insieme dei due campi visivi dell'occhio costituisce il campo visivo globale che
noi siamo in grado di percepire quando siamo in una certa posizione, quando gli occhi
sono in una certa posizione; poi spostando gli occhi ovviamente si sposta questo campo
visivo.

All'interno di questo campo visivo è possibile poi distinguere quella che viene detta zona
binoculare dove di fatto ricadono tutte le informazioni che sono percepite da entrambi gli
occhi.
A causa dello sfasamento, a causa della distanza dei due bulbi oculari, ovviamente quello
che vede l'occhio destra e quello che vede l'occhio sinistro non è esattamente la stessa
immagine: una parte di questa immagine viene percepita sia dall'occhio destro che dall'oc
chio sinistro e ricade in quella porzione del campo visivo che viene chiamata zona
binoculare, a queste poi dobbiamo aggiungere il campo visivo proprio dell'occhio destro e
quello proprio dell'occhio sinistro, che viene percepito solo o dall'occhio destro o solo
dall'occhio sinistro. Il campo visivo totale è dato dall'insieme di questi tre campi.
Succede che il nervo ottico divide le informazioni provenienti dalla retina in due porzioni:
la porzione più prossima al naso prende il nome di emiretina nasale, mentre la porzione
più prossima all'osso temporale prende il nome di emiretina temporale.
Le informazioni provenienti dall’emiretina temporale quando arrivano al chiasma ottico
non decussano, rimangono fisse lateralmente, raggiungere il talamo e la corteccia
visiva.
Quelle provenienti dall'emiretina nasale invece a livello del chiasma ottico decussano e
quindi vanno a essere detectate dalla corteccia controlaterale.
Questo fa sì che l'occhio destro e l'occhio sinistro ricevevano esattamente la stessa
immagine di questa porzione della zona binoculare. Quindi alla nostra corteccia di fatto,
all'emisfero destro e all'emisfero sinistro arrivano due immagini identiche che poi vengono
fuse in una stessa immagine. Questa fusione avviene a livello corticale.

Non tutte le informazioni che provengono dalla retina arrivano al livello della corteccia
visiva e quindi ci permettono di fatto la semplice identificazione del campo visivo che
stiamo osservando; alcune di queste vanno a finire a livello ipotalamico e vedremo che
sono coinvolte nei meccanismi di regolazione dei ritmi circadiani, in modo particolare
nell'associazione dei periodi di veglia con la luce e dei periodi di buio con il sonno.
Altri raggiungono il pretetto e sono per esempio responsabili di quelli che sono i
movimenti riflessi come per esempio il processo della miosi ovvero il restringimento
pupillare in seguito a un'intensa stimolazione dei fotocettori: quando avviciniamo una
luce a uno dei due occhi, si restringe il calibro della pupilla perché i fotocettori vengono
stimolati ad alta intensità. Queste informazioni oltre ad arrivare alla corteccia visiva e
quindi permettono l'identificazione di determinati oggetti, di determinate porzioni del
campo visivo, raggiungono il pretetto, il nucleo pretettale; da qui parte un'azione riflessa
che induce un restringimento della pupilla. È un meccanismo protettivo che limita un'
elevata intensità luminosa che può andare a danneggiare in qualche modo i fotocettori
presenti all'interno della retina. Questo processo di restringimento pupillare dovuto alla co
ntrazione del muscolo ciliare interno prende il nome di miosi.
Il meccanismo opposto che è la dilatazione pupillare che avviene in condizioni di scarsa
luminosità prende invece il nome di midriasi.
Queste informazioni, oltre a raggiungere l'ipotalamo e il nucleo pretettale, possono
raggiungere anche la porzione del mesencefalo, il tetto del mesencefalo ed essere
coinvolti in quelli che sono i movimenti degli occhi e della testa finalizzati per esempio all'
indirizzamento della nostra fovea verso il punto che dobbiamo attenzionare. Quando noi
stiamo guardando qualcosa, uno stimolo luminoso che proviene per esempio dalla
porzione destra noi istintivamente ci giriamo e questo perché queste informazioni oltre ad
arrivare alla corteccia arrivano anche a questo nucleo tettale.

Via visiva primaria


Detto questo, concentriamoci ovviamente
soltanto sulla via visiva, quindi abbiamo
detto fotocettori quindi siamo nella
retina, dalla retina queste informazioni
raggiungono il talamo. Si ricorda che ad
ogni stazione non si ha una semplice
trasmissione delle informazioni ma si ha
anche una segregazione di queste
informazioni, in modo da permettere alle
stazioni successive di poter interpretare il
segnale che sta arrivando, perché?
Qualsiasi tipo di recettore cosa fa?
Converte lo stimolo, visivo, tattile,
dolorifico, in potenziale d'azione, che è

un evento del tipo tutto o nulla, sempre uguale.


Allora ci deve essere un qualcosa che permette di discriminare a parte la modalità, anche
l'intensità dello stimolo, la localizzazione di quel determinato stimolo e questo viene fatto, l
'abbiamo visto a livello del livello spinale con i dermatomeri, e avviene anche per quanto
riguarda il sistema visivo: varie afferenze provenienti da una specifica porzione della
retina segregano e portano queste informazioni in particolari porzioni del talamo.
QUESTE COSE NON LE VUOLE SAPERE
Nel caso specifico come fa poi la corteccia a capire da quale parte del campo visivo
avviene lo stimolo luminoso?
Le informazioni provenienti dall'emiretina temporale cosa fanno? Vanno a
formare un'unica via che poi porta queste informazioni a livello dello strato 2, 3 e 5 della
porzione del talamo, mentre quelli provenienti dalla porzione dell'emiretina nasale
raggiungono gli strati 1, 4 e 6. A loro volta da questi diversi strati partono differenti vie che
poi raggiungono in maniera differenziale siti specifici della corteccia visiva primaria.
Quelli provenienti dallo strato 1 e 2 formano la cosiddetta via magno-cellulare e sono
quelli che provengono dalle cellule gangliari tipo M.
Quelli provenienti allo strato 3, 4, 5 e 6 formano la cosiddetta via parvo-cellulare
e sono le informazioni che provengono dalle cellule gangliari tipo P.
C'erano anche le cellule gangliari di tipo K e le loro informazioni vanno a finire
tra questi strati che caratterizzano questa porzione del talamo e poi formano la cosiddetta
via conio-cellulare. Anche questa raggiunge la corteccia.
Corteccia visiva primaria
A livello della corteccia cosa si è visto? Intanto quale porzione della corteccia?
Siamo nel lobo occipitale, la corteccia visiva primaria corrisponde a quella che fu
identificata per la prima volta da Brodmann come area 17.
Siamo ancora a livello di corteccia sensoriale; la corteccia è formata da più strati.

Le diverse informazioni provenienti dalle cellule di tipo M, dalla via magno-


cellulare, parvo-cellulare o conio-cellulare in corteccia segregano in maniera differente.
Per esempio, quelle provenienti dalla via magno-cellulare vanno a finire
soprattutto a livello dello strato 4C-alfa, quelle provenienti dalla via parvo-cellulare
vanno finire a livello soprattutto dello strato 4A e 4C-beta, quelli provenienti dalla via conio
cellulare segrega in particolare regioni che prendono il nome di blob.

Qui si può vedere come le diverse informazioni che partono da


punti diversi della retina vengono elaborate da cellule gangliari differenti,
segregano in punti differenziali del talamo e arrivano in punti differenziali della corteccia.
Arrivano tutte alla corteccia visiva primaria ma già c'è
una distinzione con i neuroni con cui entrano in
contatto al livello dei vari strati da cui è costituita di fatto la corteccia.
L’osservazione della corteccia ha fatto vedere che di fatto nella corteccia è possibile
distinguere quelli che vengono chiamati moduli di orientamento oculare: sono delle
porzioni di corteccia di circa un millimetro quadrato che sono responsabili dell'integrazione
di tutte queste informazioni provenienti da queste varie vie.

In ogni millimetro guardato alla corteccia visiva, la corteccia cos'è in grado di fare?
Intanto è possibile distinguere dalle zone delineate nell’immagine da linee più scure, nere,
che rappresentano porzioni che ricevono selettivamente informazioni provenienti o da un
occhio o dall'altro: vengono chiamate colonne di dominanza oculare, che si alternano le
une alle altre. I bordi neri nell’immagine formano delle strisce all'interno del modulo:
queste sono regioni che ricevono informazioni distinte, uno da un occhio destro e l'altro da
ll'occhio sinistro. All'interno di queste regioni troviamo delle linee verticali bianche: queste
linee verticali bianche delimitano di fatto porzioni, colonne di orientamento che ricevono
stimoli che differiscono tra di loro a livello del campo visivo di un piccolo range di
angolazione differente.
A loro volta all'interno di queste colonne è possibile distinguere delle regioni che
risultano da un punto di vista cromatico più scure. Sono quei famosi blob di cui si è
parlato prima: in queste porzioni vengono elaborate tutte le informazioni che hanno a che
fare con il colore di quel determinato oggetto che noi stiamo analizzando, mentre in tutte
le altre vengono analizzate tutte le altre informazioni che hanno a che fare con la
posizione piuttosto che con la forma.
Via dorsale e via ventrale
Che fanno queste informazioni? Siamo ancora a livello
della corteccia sensoriale primaria
e devono passare a quelle che sono le aree associative
unimodali e polimodali. L'informazione visiva, è stato
visto in questo passaggio in queste cortecce associative,
può essere distinta in una via che viene definita via
dorsale che si estende vedete al livello del lobo
parietale e una via chiamata via ventrale che invece
porta questa informazione a livello della porzione
infero-temporale.
Ciascuna di queste due vie è responsabile della collaborazione di informazioni differenti di
questa modalità sensoriale: la via dorsale è quella che ci dà informazioni riguardo la
localizzazione spaziale di un determinato oggetto della scena che stiamo analizzando,
mentre la via ventrale è quella che ci dà informazioni sulle caratteristiche di quel
determinato oggetto quindi la forma piuttosto che il colore.

Altre destinazioni delle informazioni visive


Queste informazioni ovviamente poi vanno a finire non solo a livello di queste aree
associative, ma anche a livello per esempio di altre aree: una di queste aree di cui
parleremo successivamente è per esempio l'area 39 che è un'area appartenente al
linguaggio in cui noi associamo, quando per esempio leggiamo ad alta voce, quello che è
il grafema, cioè la parola che andiamo a leggere tramite il sistema visivo, con quello che è
il fonema, il suono che attribuiamo con la determinata lettera piuttosto che con la
determinata parola.
Altre aree sono l'area 7 e questa l'avevamo già vista le volte scorse lezioni,
l'ippocampo e quindi quell'informazione, quel determinato dettaglio di quella esperienza
che noi stiamo vivendo in quel momento viene immagazzinata, viene trasformata in
memoria prima a breve termine e poi a lungo termine e fa parte di quella determinata
esperienza autobiografica che noi stiamo vivendo in quel momento.
Poi può andare a finire a livello di regioni che sono coinvolte nell'elaborazione delle
informazioni e quindi si ha l'associazione di quel determinato oggetto, quella determinata
percezione visiva con un'emozione.
Oppure ancora a livello del lobo frontale, dove viene utilizzata per esempio per svolgere
un compito, entra a far parte di quella che viene definita abbiamo detto working memory e
quindi queste informazioni vengono utilizzate per poter effettuare un ragionamento, per
poter mettere in atto un determinato comportamento.

SISTEMA UDITIVO
Per quanto riguarda il sistema uditivo ovviamente lo stimolo che viene percepito sono le
onde sonore.
Le onde sonore di fatto sono delle onde generate dalla vibrazione di un corpo che genera
appunto queste onde nell'aria; le vibrazioni dell'aria formano queste onde sonore che son
ocaratterizzate fondamentalmente da due caratteristiche che sono la lunghezza d'onda,
che è la distanza tra due creste o tra due gole di un'onda, e quella che è la frequenza.
Frequenza e lunghezza d'onda vengono trasformate in che cosa?
La frequenza dà un'indicazione per quanto riguarda l'altezza di un suono; quindi, suoni
ad alta frequenza sono suoni più alti, più acuti, mentre suoni a più bassa frequenza sono i
suoni più gravi
L'ampiezza invece dell'onda in quale caratteristica il sistema uditivo la identifica? Come
intensità.
Ovviamente poi il sistema uditivo è in grado di decifrare un certo timbro.
I suoni presenti in natura di fatto non sono delle onde pure, ma sono un insieme di un
certo numero di onde sonore, ciascuno caratterizzato da una determinata frequenza, da
una determinata lunghezza d'onda.
Questo mix di onde che arrivano all'interno del nostro orecchio, l’organo deputato alla
ricezione di questa modalità sensoriale, è formato quindi da quella che viene definita
frequenza fondamentale e da una serie di frequenze armoniche associate.
Questo è quello che ci permette di distinguere fondamentalmente le diverse voci che ci
distinguono l'uno dall'altro.
Altra caratteristica che detecta il sistema uditivo è la durata dello stimolo e la
localizzazione della sorgente sonora ovviamente, che a differenza dei sistemi sensoriali
di cui abbiamo parlato precedentemente, non dipende di fatto da un campo ricettivo a cui
è associato quel determinato stimolo ma viene discriminato in maniera totalmente
differente.

Anche qui ovviamente il nostro sistema sensoriale non è in grado di detectare tutte le vari
eonde sonore che si possono generare, ma solo quelle che hanno una frequenza compre
satra i 1.000 e i 30.000 Hz. Questo range viene chiamato range della percezione uditiva
.
L'intensità invece che noi siamo in grado di percepire si misura in decibel; anche qui il
nostro sistema uditivo ha una certa soglia minima di suoni, di intensità sonora, che è in gr
ado di detectare, e una soglia massima al di sopra del quale il suono, l'onda sonora, che
arriva a livello del nostro organo recettoriale può apportare dei danni: la soglia minima in
genere è di circa 5-10 decibel, mentre la soglia massima oltre la quale poi si percepisce
dolore, e questo può comportare il danneggiamento del sistema uditivo, è di circa 120
decibel
Per esempio la voce umana quando parliamo ad un tono pacato ha un'intensità di circa 6
0decibel, il traffico 75, il concerto rock di 110, mentre l’aereo in partenza raggiunge i 120
decibel.
A parità di intensità la soglia di percezione dei veri suoni viene comunque modificata sulla
base, oltre che dell'intensità, anche della frequenza. Quelli in cui si ha una percezione più
ottimale sono quelli come vedete qui che sono relativi all'intensità che corrisponde
appunto al tono della voce.

Orecchio
Dove sono localizzati i recettori che ci permettono di percepire queste onde sonore? Sono
localizzate ovviamente all'interno dell'orecchio che come sapete dal punto di vista
anatomico è distinto in una porzione esterna formata dal padiglione auricolare e dal
condotto uditivo esterno, una porzione media delimitata dalla membrana timpanica che
possiede tre ossicini che sono il mantello, il cudine e la staffa, che è a sua volta
connessa con quella che è definita finestra ovale. La finestra ovale segna, delimita, quell
o che è l'orecchio medio da quella porzione che viene definita orecchio interno.
Nell'orecchio interno noi troviamo sia le componenti che hanno a che fare con l'apparato
vestibolare, che è quello che ci permette di percepire il senso dell'equilibrio
e che ci dà informazioni sulla disposizione delle varie del nostro corpo in qualche modo, e
poi c'è la coclea,
che rappresenta invece la porzione dell'orecchio all'interno del quale è localizzato l'organo
recettoriale per questa modalità sensoriale. Cosa succede fondamentalmente?

Queste vibrazioni che generano nell'aria, che generano queste onde sonore, vengono con
vogliate attraverso il padiglione auricolare e il condotto uditivo esterno e vanno ad imp
attare su quella che è la membrana timpanica. Quando urtano contro la membrana timp
anica inducono delle vibrazioni di questa membrana timpanica, che poi si ripercuotono in
vibrazioni che vengono trasmesse da questi tre ossicini che compongono l'orecchio medi
o.Questi tre ossicini hanno una dimensione che è via
via decrescente e questo è funzionale al fatto che durante questo passaggio di informazio
ne da un ossicino all'altro si ha un'amplificazione di queste vibrazioni.
Queste vibrazioni vengono poi trasferite, attraverso la finestra ovale, alla coclea.
La coclea è formata da tre dotti, uno è il dotto vestibolare, l'altro è il dotto timpanico e
sono in continuità tra di loro e contengono un liquido chiamato perilinfa;
poi c'è un dotto interno chiamato dotto cocleare che contiene invece endolinfa, che è un
liquido particolarmente ricco di ioni potassio.
Cosa succede nel momento in cui queste vibrazioni arrivano al livello della finestra ovale?
Provocano un movimento della perilinfa; questo movimento della perilinfa induce l'attivazi
one dell'organo recettoriale dell'orecchio, presente all'interno del dotto cocleare, che pren
deil nome di organo del corti.
Organo del Corti
Questo organo del corti è composto da una membrana basilare all'interno della
quale troviamo le cellule ciliate.
Cellule ciliate esistono di due tipi, interne ed esterne: le cellule ciliate interne sono quelle
responsabili della detectazione proprio di questo stimolo sonoro, mentre le cellule ciliate e
sterne è stato visto che hanno una funzione di amplificare il segnale che arriva, e che port
a poi all'attivazione delle cellule ciliate interne.
Al di sopra di queste cellule ciliate troviamo quella che viene chiamata membrana tettori
ae queste cellule ciliate sono immerse in questo liquido che chiamiamo endolinfa.

Cosa succede nel momento in cui la perilinfa si


muove in seguito all'arrivo di questa onda sonora?
Che provoca delle oscillazioni di quella che è la
membrana basilare, che è quella dove sono inserite
queste cellule ciliate.
Quest’ondulazione, innalzamenti e abbassamenti
della membrana basilare provoca che cosa?
Siccome a queste non corrispondono di fatto
movimenti della membrana tettoria che
invece è fissa, provoca un movimento dell'endolinfa
che causa cosa? Il piegamento di queste ciglia.
A livello di queste ciglia cosa troviamo? Dei canali
per il potassio che in base alla posizione di queste ciglia
possono aprirsi o chiudersi e quindi andare ad alterare la conduttanza di queste cellule c
iliate.
Le ciglia non sono tutte la stessa lunghezza, c'è un ciglio più lungo chiamato chinociglio.
Quando in seguito all'arrivo di un'onda sonora si ha un sollevamento della membrana
basilare e si ha un piegamento di queste ciglia in direzione del chinociglio principale,
allora si avrà l'apertura di questi canali per il potassio.
L'endolinfa è particolarmente ricca di ioni potassio quindi normalmente il potassio esce,
mentre in questo caso quando si aprono i canali per il potassio entra.
Se entrano cariche positive si induce una depolarizzazione, che induce l’apertura dei
canali voltaggio dipendenti per il calcio; il calcio entra e induce un processo di
esocitosi del neurotrasmettitore che va poi ad attivare il neuronedi primo ordine di
questa via sensoriale.
Se invece si piegano in direzione opposta rispetto al ciglio principale, i canali si
chiudono e quindi in questo caso si ha un'iperpolarizzazione della cellula e non si
rilascia nessun neurotrasmettitore: in questo caso non si ha nessuna attivazione della
via sensoriale.
Quindi l'onda sonora impatta le membrane timpani, le ossicine, la finestra ovale,
dopodiché provoca uno spostamento della perilinfa che mi induce questo sollevamento
della membrana basilare. Questo sollevamento della membrana basilare provoca il
ripiegamento, il movimento dell’endolinfa e il conseguente ripiegamento delle ciglia.
Se si piegano in un verso sia l'attivazione di queste cellule, altrimenti si ha l'inibizione,
l'iperpolarizzazione di queste cellule.

A livello della coclea c'è sempre lo stesso discorso. Cosa succede? Che le varie porzioni
della coclea sono in grado di detectare diverse onde sonore.
In che cosa differivano le onde sonore? In base alla frequenza, in modo particolare a
causa praticamente della diversa elasticità che presenta la coclea nella porzione basale,
che è quella più prossima alla finestra orale, piuttosto che verso l'apice, è in grado di
discriminare via via suoni a frequenze sempre minori: quindi suoni ad alta frequenza
vengono percepiti da porzioni della coclea più vicine alla base, via via che questa
frequenza diminuisce viene percepito il suono da porzioni sempre più distanti.
La coclea in realtà è tutta arrotolata, nell’immagine è vista aperta per fare capire come
ogni punto di questa coclea di fatto è deputata alla percezione di un suono caratterizzato
da una diversa frequenza.
Quindi qua c'è già una discriminazione delle varie tipologie di suoni che noi siamo in grad
odi percepire sulla base della frequenza.
Quando questa cellula ciliata viene attivata cosa fa? Rilascia il neurotrasmettitore e
questo neurotrasmettitore induce l'attivazione del neurone di primo ordine; questo
neurone, attraverso quello che è il nervo cocleare, porta l'informazione a livello del
bulbo; poi contatta diversi nuclei come il nucleo olivare superiore, il nucleo del corpo
trapezoidale, passa per una serie di regioni di ritrasmissioni, arriva al collicolo inferiore
e quindi al talamo. Dal talamo poi questa informazione arriva al livello della corteccia
uditiva primaria, corteccia sensoriale di questa modalità sensoriale.

Sulla base dei nuclei che vengono contattati da queste informazioni provenienti dalla
coclea esistono diverse vie. Queste vie oltre a elaborare una ritrasmissione delle
informazioni, elaborano anche l'informazione, per esempio la via che parte poi dai nuclei
del corpo trapezoidale è fondamentale in quello che è la localizzazione della sorgente
sonora, perché questi neuroni che poi contattano il nucleo del corpo trapezoidale cosa
fanno?
Se il suono proviene dalla parte destra del nostro corpo questo succede, che attiva questi
nuclei trapezionali che vanno ad attivare la corteccia uditiva corrispondente posizionata
nell'emisfero destro e contemporaneamente a inibire quella posizionata nell'emisfero
sinistro; questo fa avere cognizione alla nostra corteccia di dove è localizzata la sorgente
sonora.
Ovviamente nel momento in cui arriva questa informazione a livello corticale, anche nella
corteccia si assiste a questa segregazione sulla base della frequenza dei vari suoni che
arrivano, che ripercorre quella che era la discriminazione tonotopica.
Quindi suoni con una certa frequenza arrivano in un determinato punto ben preciso della
corteccia uditiva primaria, che è localizzata al livello del lobo temporale e prende
il nome di area 41, corrispondente all'area 41 di Brodmann.
Anche in questo caso cosa succede? Dopo che il suono è stato identificato sulla base per
esempio della frequenza, passa a quelle che abbiamo definito aree associative.

Aree associative unimodali; un esempio di aree associative unimodale è l'area 42,


sempre a livello corteccia uditiva secondaria.
In questo caso cosa succede? I suoni per esempio appartenenti ad una parola, quando io
pronuncio la parola CASA, cosa succede? Che il sistema uditivo sulla base del tono della
voce riesce a discriminare i diversi suoni che compongono la parola: C, A, S, A.
Nel momento in cui queste informazioni passano all'area 42, vengono integrati e quindi ve
ngono messi nel corretto ordine in cui noi li abbiamo ascoltati.
Quindi prima la C, poi la A, la S e la A; se questi suoni rientrano nella sfera del linguaggio,
poi passeranno a quelle che sono le aree associative tipiche del linguaggio; quindi a
quest'ordine di suoni verrà attribuito il significato di parola, verrà associato un significato
semantico e poi questa verrà utilizzata per esempio per
pronunciare, se si chiede ad un soggetto di ripetere una parola.
Cosa succede prima che il soggetto percepisce quei determinati suoni? Grazie al sistema
uditivo, queste informazioni passano all'aria 42 e quindi il soggetto è in grado di
discriminare quale suono è stato detto prima, quale suono è stato detto dopo. Poi questo
passa a specificare del linguaggio che attribuiscono un significato e poi in altre aree
invece sono responsabili della produzione del linguaggio. Quindi noi siamo in grado di
inviare per queste informazioni all'area motrice primaria, all'area 4, che contatta poi i dive
rsi muscoli che mi permettono di pronunciare quella determinata parola.

Localizzazione del suono


Per quanto riguarda la localizzazione della sorgente sonora è stato
detto che questo sistema sensoriale di fatto applica delle strategie differenti rispetto agli a
ltri sistemi
sensoriali che abbiamo citato fino ad adesso.
La localizzazione del suono dipende da due fattori fondamentalmente che sono la
distanza che si ha da quella sorgente sonora, quindi se uno stimolo proviene per
esempio da destra è chiaro che comunque arriverà prima all'orecchio destro e quindi la vi
asensoriale che parte dall'orecchio destro avrà le informazioni prima rispetto a quelle
dell'orecchio sinistro.
Questa differenza di latenza di arrivo delle informazioni a livello corticale viene interpretat
adalla corteccia ed è il modo che utilizza per poter discriminare l'origine della sorgente
sonora.
Altra cosa che utilizza è la differenza dell'intensità del suono perché quando noi
veniamo colpiti da un suono, grazie alle caratteristiche fisiche del nostro corpo, il nostro
corpo è ingrado di assorbire parte di queste radiazioni generando quella che viene chiama
ta zona d'ombra.
Supponiamo di essere in questa condizione: arriva il suono, parte di questo viene
assorbito e parte poi viene recepito dalla porzione controlaterale, quindi dall'orecchio
controlaterale. Quindi sulla base della diversa intensità percepita da un orecchio
rispetto all'altro, sempre questo viene ripercosso, viene trasmesso alla corteccia e la
corteccia è in grado di determinare la localizzazione della sorgente sonora.
A proposito della formazione di questa ombra sonora, è stato visto anche peraltro che ris
ulta essere maggiore per i suoni ad alta frequenza, cioè è come se venissero assorbiti
di più quelli ad alta frequenza rispetto a quelli a bassa frequenza.
E quindi questa è un'altra caratteristica che ci fa percepire delle caratteristiche specifiche
di quel determinato suono. Parte di queste onde
sonore vengono assorbite generando quello che è appunto il cono d'ombra e parte invec
e riescono a passare e che poi sono percepite dall'orecchio opposto.

Riassumendo i sistemi sensoriali

Alla fine di questa discussione sui sistemi sensoriali, cosa abbiamo capito? Che noi
abbiamo diversi sistemi sensoriali all'interno del nostro corpo, ciascuno in grado di
detectare differenti tipologie di stimoli, sulla base della presenza di specifici recettori
localizzati in specifici organi di senso noi abbiamo parlato del sistema somatosensoriale
quindi vari recettori localizzati di fatto sulla pelle o negli organi interni, nei muscoli, nelle
articolazioni, raggiungono per mezzo del talamo una specifica porzione della corteccia ch
eabbiamo chiamato corteccia somatosensoriale primaria.
Abbiamo parlato della vista, i cui recettori sono localizzati al livello della retina, una
membrana interna del nostro occhio.
Le informazioni dove vanno a finire? Per mezzo del talamo vengono smistate alla
corteccia visiva primaria.
Abbiamo appena finito di parlare dell'udito, l'organo recettoriale dov'è localizzato?
Nell'orecchio interno, l'organo del corti; parte l’afferenza sensoriale che porta queste
informazioni attraverso il talamo e poi a quella che abbiamo definito corteccia uditiva
primaria, localizzata a livello temporale.
Esistono altri sistemi sensoriali presenti nel nostro corpo di cui però non parleremo, uno è
l'apparato vestibolare che come vi dicevo prima i recettori sono localizzati all'interno
sempre dell'orecchio interno con una serie di canali semicircolari e di organi sacculiformi
che contengono al loro interno specifici recettori in grado di darci informazioni dei
spostamenti di tratto del capo, in senso verticale oppure orizzontale (destra, sinistra, su,
giù)
Poi c'è l'organo del gusto, quindi da recettori sensoriali localizzati all'interno delle papille
gustative parte un segnale che attraverso il talamo raggiunge quella che è la corteccia
gustativa primaria, detta anche insula.
Infine c’è l’olfatto: dall'epitelio olfattivo presente all'interno delle cavità nasali parte
un'afferenza che, al contrario di tutte le altre, non passa dal talamo e raggiunge quella
che è definita corteccia olfattiva primaria.
Da tutte queste cortecce sensoriali primarie queste informazioni passano a quelle che
sono chiamate cortecce associative e quindi vengono integrate tra di loro: possono essere
memorizzate, possono essere utilizzate per attuare un determinato comportamento,
possono essere utilizzate per poter effettuare un determinato ragionamento.
Tutto questo finalizzato a permetterci un migliore adattamento con l'ambiente in cui ci
troviamo.
IL LINGUAGGIO
alcune delle informazioni provenienti dal sistema uditivo e dal sistema visivo in modo
particolare vanno a finire in alcune aree che sono responsabili dell'abilità che noi
possediamo di poter comunicare tra di noi attraverso quello che è il linguaggio. Di
linguaggi ne esistono di differenti tipologie, esistono linguaggi di tipo gestuali (quindi quelli
che si basano su determinati segni che stanno ad indicare determinati concetti, che
possono essere gesti fatti con una mano) oppure anche atteggiamenti posturali che noi
assumiamo possono in qualche modo comunicare all'interlocutore il nostro stato d'animo,
la nostra propensione ad interagire con
l'interlocutore o meno e così via. Esiste un
linguaggio di tipo iconico visivo che è quello
utilizzato attraverso i segnali stradali oppure
dalle pubblicità e poi esiste il cosiddetto
linguaggio verbale che è quello di cui
parleremo fondamentalmente. Nel linguaggio
verbale possono essere distinti vari aspetti:
un aspetto fonetico che riguarda la semplice
emissoria di aria che porta poi al processo
della fonazione e un aspetto fonologico che
invece ha la capacità di riconoscere,
distinguere e produrre dei suoni linguistici
diversi (ovviamente ogni lingua ha i suoi suoni
particolari, le sue lettere che poi messe insieme producono delle parole). A queste parole
poi noi associamo un determinato significato che rientra in quello che è l'aspetto
semantico del linguaggio e le mettiamo per comunicare un messaggio in rapporto le une
con le altre secondo determinate regole morfosintattiche proprie di quella lingua che
stiamo parlando, in questo caso rientriamo in quello che è aspetto sintattico del
linguaggio. Esiste poi un
aspetto pragmatico che
tiene conto invece di tutto
quello che ha a che fare con
la capacità di comprendere
significati, parole o frasi in
base al contesto in cui
vengono pronunciate. Una
stessa frase in contesti
differenti può assumere
significati differenti oppure
uno stesso numero di parole
(le stesse identiche parole
però distanziate tra di loro
attraverso delle virgole
possono assumere significati
differenti).
ESEMPIO→ se si legge una frase in cui c'è scritto ‘Luca, dice Marco, è stupido’. Chi è che
è stupido? Luca. se invece dico ‘Luca dice Marco è stupido’, chi è stupido? Marco. Sono
state usate le stesse parole nello stesso ordine, cos’è cambiato? le virgole inserite e
hanno fatto assumere quindi un'intonazione differente, (dall'intonazione vedremo che ci
sono delle aree) che è un'informazione che fa parte di quella che chiamiamo prosodia (è
un aspetto del linguaggio che è deputato all'attivazione di specifiche aree trattate in
seguito) ciascuno di questi aspetti del linguaggio viene elaborato in una parte ben
specifica della nostra corteccia cerebrale, quelli che più di tutti contribuirono a scoprire le
aree involte nella produzione del linguaggio furono Broca e Wernicke. Questi due
studiosi/medici si occuparono/avevano a che fare con persone affette da particolari deficit
del linguaggio, particolari afasie, soggetti che erano caratterizzati da particolari deficit del
linguaggio, che rientrano appunto in differenti tipi di afasia. In generale, i pazienti che
studiava Broca, erano tutti i pazienti che erano in grado perfettamente di comprendere il
linguaggio. Però era un linguaggio un po' fuori, avevano un linguaggio poco fluente,
avevano difficoltà a trovare la parola giusta per esprimere quello che volevano esprimere e
soprattutto si rendevano conto di questa loro problematica, erano frustrati, cadevano in
depressione ecc.

AREA DI BROCA
ai tempi di Broca non c'erano le comuni tecniche che ci sono ai giorni nostri che ci
permettono di valutare l'attività cerebrale; quindi Broca osservava questi difetti del
linguaggio dei suoi pazienti e poi post morte analizzava il loro cervello, rendendosi conto
che tutti i suoi pazienti che erano accomunati da questi deficit del linguaggio avevano delle
alterazioni che andavano a ricadere a livello di una porzione del lobo frontale che poi
venne soprannominata area di Broca. Successivamente è stato visto che questa area è
fondamentale per quello che è l'aspetto della produzione del linguaggio, l'ideazione del
programma motorio che io devo mettere in atto per poter veicolare un determinato
messaggio e che tiene conto di tutte le regole grammaticali proprie di quella lingua (quindi
dell'associazione delle parole per comporre una frase per poter veicolare un determinato
messaggio).
AREA DI WERNICKE
Al contrario Wernicke aveva a che fare con pazienti che non avevano nessuna
problematica dal punto di vista dell'eloquio, l'eloquio era molto fluente, solo che quello che
dicevano era privo di significato, a una domanda loro rispondevano con cose che non
avevano alcun senso per l'interlocutore. Quindi questi pazienti fondamentalmente avevano
un deficit riferito all'area semantica del linguaggio. Wernicke tramite studi sui cervelli
post morte, si accorse che in questi soggetti era alterata un'altra ragione corticale, questa
volta localizzata a livello del lobo temporale e che poi prende il nome di area di Wernicke.
Queste furono le prime due aree scoperte, oggi queste aree sono state ampliate grazie a
una serie di tecniche che permettono anche di valutare mentre il soggetto in vita se è
presente una determinata alterazione, quella determinata afasia (oltre all’afasia ci sono
anche le disartrie, ci sono tanti deficit del linguaggio). Quali sono queste tecniche?

PET – tomografia a emissione di positroni


La PET, questa tecnica valuta le variazioni di flusso ematico a livello cerebrale. Cosa
succede? Quando verrà trattato l'apparato cardiovascolare si vedrà che all'intero del
nostro corpo abbiamo una certa quantità di sangue che serve a veicolare ossigeni,
nutrienti alle cellule che fanno parte del nostro corpo. Questo flusso sanguigno viene
smistato e distribuito sulle basi dell'attività di un determinato tessuto. Se un determinato
organo, un determinato apparato in quel momento è metabolicamente più attivo arriverà
più sangue. Questo aumento del flusso ematico, se noi attiviamo in modo particolare una
determinata area cerebrale perché stiamo svolgendo un compito che presuppone
l'attivazione di quell'area cerebrale risulta essere maggiore quindi sulla base di questa
differenza è possibile capire nello svolgimento di un compito, quando noi parliamo, quando
noi ascoltiamo la visualizzazione appunto di queste aree coinvolte in quella determinata
abilità.

fMRI – risonanza magnetica funzionale


La risonanza magnetica funzionale valuta variazioni dell'ossigenazione dell'emoglobina.
L'ossigeno si lega in maniera reversibile all'emoglobina. Su che base si lega l'emoglobina?
Sulla base della concentrazione di ossigeno presente negli ambienti con cui viene
scambiato, quindi a livello alveolare dove la concentrazione è massima l'ossigeno passa
dall’alveolo al sangue, a livello cellulare ovviamente l'ossigeno passerà dal sangue alle
cellule che lo utilizzano per poter attuare una serie di reazioni biochimiche che gli
permettono di produrre energia. Più sono metabolicamente attive maggiore sarà il
consumo dell'ossigeno e quindi le variazioni di ossigenazione dell'emoglobina
diminuiranno. Questo parametro viene sfruttato da questa particolare tecnica per valutare
quali aree sono attive in quel momento.

DES - Stimolazione elettrica diretta utilizzata nel corso di interventi neurochirurgici


in awake di siti sia corticali che sottocorticali
un altro tipo di indagine delle attività cerebrali è la stimolazione elettrica diretta che è
quella utilizzata negli interventi chirurgici da svegli. Molto spesso andando a stimolare una
determinata area (al soggetto viene chiesto di ripetere un numero o di identificare una
determinata immagine, una determinata persona, dire il nome della mamma ecc) in questo
modo praticamente ci si rende conto se
andando a stimolare una specifica area
si va ad alterare una determinata
funzione, appunto del linguaggio stesso.

Queste sono delle immagini che vi ho→


messo giusto per farvi avere un'idea di
quello che poi si osserva quando si
attivano specifiche area piuttosto che
altre, per esempio quando noi parliamo
è stato visto che si attivano delle
specifiche aree localizzate proprio al
livello del lobo frontale che poi vedremo
essere corrispondenti all'area di Broca e
l'area motrice primaria nell'area 4.

AREE COINVOLTE NEL LINGUAGGIO


Quando noi produciamo le parole, creiamo quel piano motorio alla cui base poi c'è la
messa in atto dell'atto motore e quindi la produzione vera e propria del linguaggio e in
questo caso dobbiamo tenere conto sia dell'aspetto semantico sia dell'aspetto
morfosintattico del linguaggio, quindi si attivano le aree corrispondenti e così via. Sulla
base di tutti questi studi, sono state identificate diverse aree localizzate nei diversi lobi
cerebrali che sono funzionali a questa abilità che noi possediamo. A livello del lombo
temporale per esempio abbiamo la cosiddetta area di Wernicke che fu identificata per la
prima volta e corrisponde all'area 22 di Brodmann, sempre a livello temporale ci sono poi
delle altre aree che furono scoperte successivamente, area 20, area 21 che è stato visto
essere fondamentali soprattutto per l'associazione del nome di una persona con un volto o
del nome di un oggetto con utensili che dobbiamo denominare piuttosto che con l'animale
ecc. Osservando questa parte inferiore del lobo temporale, ci sono come dei vocabolari,
dei magazzini semantici da cui ogni volta noi attingiamo per poter pronunciare una
determinata parola (quindi per dire penna, per indicare una penna, piuttosto che matita,
piuttosto che cane ecc). è coinvolta chiaramente l'area uditiva perché noi apprendiamo un
determinato suono attraverso la corteccia uditiva, quando si chiede di riprendere qualcosa
noi prima sentiamo il suono, poi questo lo smistiamo nelle aree del linguaggio e siamo in
grado anche di riprodurlo.
A livello del lobo frontale troviamo le aree 44 e 45 di Brodmann che sono quelle
corrispondenti all'area di Broca, quelle che erano mutate nei pazienti che erano studiati
appunto da Broca. Di queste aree è fondamentale l'aspetto nella produzione del
linguaggio, mettere insieme le parole sulla base delle regole sintattiche proprie di quella
lingua. Poi c'è, sempre a livello del lobo frontale, l'area motoria, che è quella a cui questo
programma viene inviato per poi poterlo mettere in atto.
Ci sono aree anche localizzate, l'area 39 e l'area 40, che hanno una funzione
fondamentale perché sono aree associative di tipo multimodale. Quest'area è stata citata
prima, era un'area associativa in cui andavano a convergere stimoli dell'apparato/sistema
visivo, del sistema acustico ma anche, soprattutto in alcune persone, del sistema tattile.
Ed è quello che ci permette di associare il grafema con il fonema, oppure quella
determinata percezione tattile con una determinata parola, con un determinato grafene.
Queste aree non agiscono indipendentemente l'uno dall'altra ma bisogna immaginare che
all'interno della nostra corteccia si innestano dei circuiti che mettono in comunicazione
queste aree, in modo particolare tra l'area 22 e l'area 45 è stato visto, è stato identificato
un gruppo di fibre che prende il nome di fascicolo arcuato che mette in connessione

queste due aree in maniera bidirezionale, mentre prima si pensava che le informazioni
passassero soltanto dall'area di Wernicke all'area di Broca, poi successivamente si è
scoperto che in realtà ci sono informazioni che in maniera retrogrado dall'area 45 ritornano
all'area 22 proprio al fine di migliorare questo processo di integrazione. Sempre a
proposito di afasia, un'alterazione del fascicolo arcuato sta alla base della cosiddetta
afasia di corruzione in cui non si riesce a mettere insieme il significato con le regole
morfosintattiche proprio di quella lingua. Oppure per esempio l'area 39 che abbiamo detto
che è un'area associativa in cui convergono sia stimoli visivi sia stimoli uditivi ma anche
stimoli tattili, è un'area che risulta essere alterata nei soggetti dislessici che hanno proprie
alterazioni soprattutto nell'associazione di quei grafemi che da un punto di vista fonologico
o anche grafico cambiano per la posizione, per l'orientamento nello spazio e sono simili tra
di loro. Si ha un'alterazione in questo processo di associazione che quindi può in qualche
modo rendere più difficoltosa la discriminazione magari tra due tipi di grafemi che sono
differenti e che non vengono percepiti come tali fondamentalmente.
Cosa succede quindi quando per esempio noi leggiamo? Quando leggiamo a voce alta
stimoli visivi provenienti dal libro che stiamo leggendo arrivano alla corteccia visiva
primaria dopodiché attraverso le aree associative arrivano all'area 39 e vengono associato
con quello che è un determinato suono, queste informazioni poi passano a livello dell'area
22 nel momento in cui le parole, (↓esempio della parola casa↓) passa a livello dell'area di

Wernicke quel semplice mettere insieme grafemi diversi se stiamo leggendo (o fonemi
diversi se stiamo ascoltando) si trasforma in parola. La parola poi, tramite le connessioni
che l'area di Wernicke ha con diverse aree corticali diversamente distribuite a livello
corticale sulla base della natura, viene associata un determinato significato (per esempio
alla parola casa io associo determinate caratteristiche visive). Si associa un particolare
odore, un particolare profumo e questo perché l'area di Wernicke è in grado di associare
quella parola tramite link attivazioni neuronali con specifiche aree in cui sono custodite
quelle informazioni, o associare una determinata emozione. Quindi esistono di fatto vari
contenitori semantici che vengono associati a quella determinata parola grazie all'area di
Wernicke. Mentre finora ci siamo occupati quindi di quello che è la comprensione del
linguaggio quando noi vogliamo pronunciare una determinata frase o un determinato
messaggio verbale queste informazioni passano al lobo frontale nell'area di Broca che
mette in atto quel piano motorio sulla base delle regole sintattiche della lingua che è mi-
idea il modo in cui quelle parole devono essere pronunciate, la conseguenzialità che
devono avere, (per esempio con la lingua italiana sappiamo che prima dobbiamo mettere il
soggetto, poi dobbiamo mettere il predicato e poi il complemento oggetto) questo
programma motorio per poi essere messo in atto viene mandato, come vi dicevo, all'area
4, che è l'area motoria primaria che va a contattare direttamente i muscoli che devono
essere attivati o rilasciati per poter produrre quel determinato suono e quindi ci permettono
di assumere una determinata informazione della bocca, della lingua e di tutti gli annessi
per poter pronunciare seguendo un certo ordine determinati suoni e quindi poter veicolare
un determinato messaggio. Quindi→ mentre l'area di Wernicke che tutte le aree, l'area 39,
sono associate a quella che è la comprensione, la semantica del linguaggio, l'area di
Broca, quindi il lobo frontale, cura più la produzione linguistica.
Come vi dicevo, poi sono state identificate altre aree, per esempio a livello della porzione
del lobo inferiore del lobo temporale, che
dovrebbe corrispondere all'area 20 di
Brodmann, sono stati identificati dei
serbatori che hanno a che fare con
l’immagazzinamento di informazioni
coinvolte nella denominazione di persone
piuttosto che di animali, piuttosto che di
terzi. Oppure altre aree che se mutate
portano un'alterazione a livello dell'eloquio
sono le aree premotori, in modo
particolare l'area motoria
supplementare che verrà trattata in
seguito con le aree motorie, il cui
danneggiamento porta a un arresto
dell'eloquio perché sono tutte aree
deputate alla messa in atto di quel piano
motorio, dato dall'area di Broca.

STRUTTURE SOTTOCORTICALI COINVOLTE NEL LINGUAGGIO


Esistono delle strutture che si trovano al di sotto della corteccia, strutture corticali che se
alterate possono portare dei deficit parziali di questa attività. Quali sono? i gangli della
base, in modo particolare il caudato che serve per l'integrazione uditivo-motoria nella
comprensione della parola che viene ascoltata, che viene udita. Oppure il pulvinar, una
porzione del talamo, che quando mutato è stato
visto che si hanno alterazioni per quanto riguarda la
memorizzazione verbale e la sonorizzazione
fonetica. o il cervelletto le cui alterazioni possono
portare una difficoltà nell'articolazione del linguaggio,
così come anche nell'articolazione di un atto motore.
il linguaggio è una di quelle funzioni che risultano
essere lateralizzate, ovvero tutte queste aree di cui
abbiamo parlato (area di Wernicke, area di broca) di
fatto risultano essere presenti soltanto a livello di
quello che viene chiamato infatti emisfero
eloquente, ovvero l'emisfero sinistro.
PROSODIA E PRAGMATICA
Nell'emisfero destro allora non ci sono queste aree, ci sono delle aree simili però che
portano all'elaborazione di aspetti differenti del linguaggio, non si occupano dell'aspetto
semantico e dell'aspetto morfosintattico del linguaggio ma è stato visto in modo particolare
che l'emisfero destro è quello che si occupa di valutare la prosodia e la pragmatica.

la prosodia non è altro che l'intonazione che noi diamo alla frase quando noi assumiamo
una certa intonazione nel pronunciare una frase oltre a fornire delle informazioni correlate
col significato, con l'ordine delle parole e quindi col messaggio che vogliamo veicolare
aggiungiamo delle informazioni in più, che possono riguardare l'aspetto emotivo
dell'interlocutore con cui stiamo interagendo, che possono farci capire il senso metaforico
per esempio di una frase. Sono tutte cose che se non vengono attivate queste aree
dell'emisfero destro o se vengono danneggiate queste aree dell'emisfero destro non sono
in grado di cogliere. La pragmatica è l'uso del linguaggio contestualizzato al luogo in cui si
viene a pronunciare quella determinata frase.
ESEMPIO: se io mi trovo in un ristorante e
parlo con il mio interlocutore gli dico ‘guarda
Luca sta facendo la scarpetta’, cosa si
capisce? cosa sta facendo Luca? sta un po'
bagnando il pane nel sughetto che gli era
rimasto nel piatto, se io mi trovo in un
negozio, in un calzolaio e da un calzolaio gli
dico, guarda sta facendo una scarpetta cosa
capite? che sta facendo da una scarpa
piccola, giusto?
è la stessa frase, in contesti differenti viene
ad assumere un significato differente, tutto
questo è possibile perché entra in campo un
altro aspetto del linguaggio che è la
pragmatica (simile al discorso precedente sulla separazione con le virgole o
dell'intonazione dell'aspetto prosodico) quindi fondamentalmente prosodia ci dà
informazioni riguardanti aspetti emozionali, tiene conto degli aspetti contestuali o aspetti
connotativi, cogliere l'aspetto metaforico di una frase. Tutto questo ovviamente viene
elaborato, abbiamo detto, dall'emisfero destro nell'emisfero destro a livello temporale ci
sono delle aree responsabili nella percezione, nel farci comprendere la prosodia mentre a
livello del lobo frontale, in una particolare porzione, troviamo delle aree che ci permettono
di produrre quella determinata intonazione, quella determinata prosodia appunto, metterla
in atto. È un po' come nel lobo sinistro, la porzione temporale è più associata alla
comprensione, mentre la porzione frontale alla produzione. L'emisfero destro si occupa
della prosodia, quindi la comprendiamo (l’informazione??) grazie all'attivazione di aree
localizzate a livello della porzione temporale dell'emisfero destro e la mettiamo in atto
grazie ad aree localizzate a livello del lobo frontale dell'emisfero destro.
Dominanza non vuol dire che i due emisferi sono indipendenti, significa
semplicemente che per il corretto funzionamento del linguaggio, in tutte le sue espressioni,
è necessario tanto l'emisfero sinistro perché ci permette di cogliere il significato, di mettere
in atto l'atto motorio specifico per poter produrre un determinato linguaggio, quanto
l'emisfero destro perché ci permette di cogliere degli aspetti altrettanto importanti per poter
comprendere o poter veicolare un determinato messaggio.
Il corretto funzionamento del linguaggio nelle sue varie espressioni, linguistiche e non,
necessita della collaborazione tra emisfero SN ed emisfero DX.

ATTENZIONE
Attraverso i sistemi sensoriali noi ogni istante veniamo bombardati da un numero
elevatissimo di stimoli sia visivi, uditivi (soprattutto), ma anche tattili però il nostro cervello
non è in grado di elaborarli tutti simultaneamente alcuni tra l'altro possono essere utili per
quello che stiamo svolgendo in quel determinato istante, quindi quello che deve essere
fatto è quello di effettuare una selezione dei vari stimoli che noi percepiamo al fine di
renderli utili per poterci permettere di mettere in atto un determinato comportamento e di
svolgere una determinata azione. Questo processo proprio che ci permette di selezionare
di fatto uno o più stimoli dall'ambiente o interno o esterno, di ignorarne di conseguenza
l'altro quantomeno di ignorarli momentaneamente, di dare una priorità fondamentalmente
a qegli stimoli che devono essere analizzati e attenzionati prima rispetto ad altri, prende il
nome appunto di attenzione.
L'attenzione questo processo di selezione di fatto permette che a livello della working
memory, della memoria di lavoro, (una memoria a brevissimo termine che aveva un
numero ristretto di informazioni che poteva elaborare). Attraverso questi processi attentivi
noi siamo in grado di poter in qualche modo creare la working memory, quindi fare arrivare
all'interno della working memory un numero adatto di informazioni che ci permettono di
svolgere un determinato compito o di effettuare un determinato ragionamento. Questo
processo di selezione avviene attraverso meccanismi di selezione competitiva che
possono essere messi in atto sulla base di controlli bottom up che tengono conto di fatto
della caratteristica dello stimolo che noi dobbiamo selezionare e che fungono da filtro di
salienza verso quelle informazioni che poi attraverso un processo di selezione competitiva
raggiungono la working memory e tramite anche meccanismi che poi dalla working
memory stessa agiscono sui sistemi sensoriali attraverso un controllo che viene chiamato
top down. Quindi il controllo bottom up è quello che va dal basso verso l'alto, al contrario
il controllo top down è quello messo in atto dalla working memory e che permette in
qualche modo di ridurre per esempio la soglia di attivazione dei sistemi sensoriali oppure
quello che ci permette di indirizzare il sistema sensoriale per renderlo più efficace nella
detectazione di determinati stimoli che ci servono per poter ottenere quelle informazioni
per svolgere quel determinato compito. Quindi dal mondo arrivano una serie di
informazioni, percepite attraverso i sistemi sensoriali che sulla base delle caratteristiche
intrinseche in queste informazioni, di fatto subiscono una selezione competitiva che
permettono di far accedere soltanto ad alcune di queste informazioni a quella che è la
memoria di lavoro.
I VARI TIPI DI ATTENZIONE
La memoria di lavoro le ottimizza per prendere decisioni, pianificare comportamenti e poi
al fine di migliorare le sue prestazioni attua un controllo di tipo top down sugli stessi
sistemi sensoriali in modo da ottimizzare questa selezione che si effettua sugli stimoli che
poi formeranno quelle informazioni selezionate che raggiungeranno la working memory
stessa. Attraverso questi processi di selezione noi siamo in grado di focalizzare il nostro
interesse verso l'elaborazione di un determinato numero di stimoli, quello che prende il
nome di attenzione selettiva, concentriamo la nostra percezione funzionale su un
determinato numero, una certa categoria di stimoli. Una particolare forma di attenzione
selettiva è l'attenzione focalizzata, che è un'ulteriore elaborazione dello stimolo
sezionato al fine di eseguire un determinato compito.

Ci possono essere situazioni in cui per poter svolgere un compito, effettuare un confronto,
un determinato ragionamento, noi dobbiamo ‘attenzionare’, quindi selezionare più stimoli
contemporaneamente, in quel caso parliamo di attenzione indivisa. Questi livelli di
attenzione, capacità di effettuare questa discriminazione di importanza tra i vari stimoli che
noi percepiamo può essere più o meno mantenuta nel tempo. L’attenzione sostenuta è
quell'attenzione che ci permette di selezionare quegli stimoli che ci permettono di svolgere
quel compito, la capacità che abbiamo di mantenere alta questa attenzione verso un
determinato compito dipende anche dalle caratteristiche intrinseche del compito e dagli
stimoli che vengono richiesti per poter svolgere quel determinato. Questi processi di
selezione, questi tipi di attenzioni possono avvenire attraverso questi tipi di selezione un
processo automatico oppure un processo volontario, volontariamente possiamo
concentrare i nostri circuiti di elaborazione delle nostre informazioni su un determinato
gruppo di informazioni per poter svolgere quel determinato compito. Per esempio ci
concentriamo sulla lettura del libro, che esclude il vedere tutto quello che sta succedendo
intorno a noi, stiamo focalizzando la nostra attenzione sulla percezione di quei determinati
stimoli che provengono da un punto ben preciso del campo visivo al fine di svolgere un
compito, ovvero leggere quel determinato libro.
In alcuni casi questi processi di selezione vengono in maniera automatica, influenzati
dall'intensità dello stimolo, gli stimoli più intensi sono, più catturano la nostra attenzione,
più diventano salienti, raggiungono quel grado di salienza che permette di oltrepassare
quella selezione competitiva e di arrivare alla memoria del lavoro. Anche la modalità con
cui viene presentato uno stimolo può influenzare. Con uno stimolo che si presenta con la
stessa intensità per un tempo eccessivamente prolungato non siamo in grado di
mantenere la nostra attenzione sostenuta verso quello stimolo, perde di attenzione, al
contrario stimoli che vengono presentati in maniera intermittente continuano a destare la
nostra attenzione, quindi abbiamo un'attenzione sostenuta verso quel determinato stimolo.
Oppure stimoli che hanno un contenuto emotivo particolare (per esempio la voce della
mamma nei confronti di un neonato rispetto alla voce di qualsiasi altra persona, dato che
loro attribuiscono a quella voce un determinato valore affettivo e quindi di conseguenza
sono in grado di attenzionarla maggiormente rispetto a tutti gli altri stimoli che possono
ricevere in quel momento). Anche la novità, più uno stimola è nuovo, più supera quel filtro
di salienza e accede alla nostra memoria di lavoro per poter essere utilizzato, appreso
oppure utilizzato per svolgere un particolare ragionamento o compito.

LE IPOTESI DI POSNER
Tutto questo può essere fatto perché vengono attivati determinati circuiti neuronali che si
trovano in porzioni differenti del nostro sistema nervoso centrale. In modo particolare
Posner ipotizzò tre diversi sistemi di attenzione presenti all'interno del nostro sistema
nervoso: Uno è costituito dal cosiddetto meccanismo di allerta che consiste in una forma
di attenzione generalizzata, quando viene attivato questo meccanismo di attenzione, noi
non abbiamo una preferenza di selezione verso un determinato stimolo con una
determinata caratteristica ma siamo pronti a percepire qualsiasi tipo di stimolo, qualsiasi
sia la sua natura (ovviamente prediligono sempre stimoli a maggiore intensità, che
vengono presentati in un certo modo, a cui associamo una componente emotiva
particolare). Per L'attivazione di questo tipo di sistema attentivo è necessario il
coinvolgimento di almeno uno di quei sistemi neuromodulatori trattati all'inizio, in modo
particolare è stato visto essere coinvolto il sistema noradrenergico (costituito dai neuroni
localizzati al livello del locus ceruleus che andavano a irradiare in maniera diffusa le varie
regioni della corteccia, attivando in maniera diffusa i circuiti che sono presenti in queste
diverse regioni corticali, abbassando la soglia di attivazione di questi circuiti e ci rendono
quindi responsivi a vari tipi di stimoli che in quel momento si possono presentare).
Altro tipo di sistema attentivo è il sistema dell'orientamento che media quel processo
attentivo che permette di selezionare uno stimolo tra differenti input che noi possiamo
recepire. Per quanto riguarda questo tipo di meccanismo attentivo, svolgono un ruolo di
particolare importanza la corteccia parietale, il collicolo superiore e il pulvinar. E infine c'è
l'attenzione esecutiva, per attenzione esecutiva si intende quel processo attentivo che
permette di risolvere eventuali incongruenze che si possono presentare quando si
analizzano due diversi stimoli. Nell’attenzione esecutiva sembrano essere coinvolte
principalmente la corteccia cingolata anteriore, la corteccia prefrontale e laterale.

Ci sono alcuni test che sono in grado di analizzare la bontà del funzionamento dei sistemi
attentivi. In modo particolare, per quanto riguarda l'orientamento, si utilizza ... E' il
paradigma del suggerimento spaziale, viene chiesto al soggetto di fissare il monitor posto
davanti a lui e di identificare in quale porzione dello schermo compare un determinato
oggetto, se compare nella porzione destra lui deve pigiare il tasto destro del mouse se è
su quello sinistro, il tasto sinistro. È stato visto che se prima di far comparire questo target
si dà un indizio (che può essere un indizio simbolico rappresentato da una freccia che
indica una determinata direzione o un indizio luminoso, viene illuminata una parte dello
schermo) il soggetto verrà orientato a detectare meglio, quindi sposterà la sua capacità di
selezionare gli stimoli molto più rapidamente e meglio, in quella parte di monitor, in cui il
suo sistema attentivo è stato indirizzato. Per cui i tempi di reazione e di esattezza nel
detectare un target che ricadeva nella porzione o che era stato illuminato o che
corrispondeva all'indicazione della freccia che era apparsa prima era molto più rapida
rispetto a quella della porzione opposta dello schermo.

L'attenzione esecutiva viene valutata normalmente con il metodo dello stroop test, che
valuta i possibili conflitti e incongruenze che ci possono essere nell'elaborazione
contestuale di un'informazione.
↓Esempio sotto↓
Viene chiesto al soggetto di nominare il più velocemente possibile il colore con cui sono
scritte queste parole. (*complimenti e applausi per Mauro*) Generalmente quello che si
osserva è che quando si pronunciano queste parole in cui non c'è nessuna incongruenza
tra quello che è il colore e il significato della parola la risposta è molto più veloce, mentre
quando il nostro sistema attentivo incontra un'incongruenza, elabora questa incongruenza
e quindi la risposta diventa un po' più lenta. In generale quindi l’attenzione esecutiva è in
grado di capire se ci sono delle incongruenze in quel tipo di informazione che si sta
elaborando. L'attenzione risulta essere molto più efficace quando gli stimoli sono
congruenti mentre risulta avere un ritardo quando sono incongruenti. Ovviamente per
quegli stimoli neutri ci sarebbe stata una risposta temporale che andava a metà tra quello
dello stimolo congruente e quello dello stimolo incongruente, l'associazione era di tipo
neutro perché l'aspetto semantico e il colore non erano correlati tra di loro.

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