Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CAPITOLO SECONDO
Il riconoscimento della immagini. La memoria e il cervello
Dicevamo che il corpo, interposto tra gli oggetti che agiscono su di esso e quelli che influenza, è soltanto un
conduttore, incaricato di raccogliere i movimenti e di trasmetterli, quando non li ferma, a certi meccanismi
motori, determinati se l'azione è riflessa, scelti se l'azione è volontaria. Tutto deve accadere dunque come se
una memoria indipendente raccogliesse delle immagini lungo il tempo via via che si producono, e come se il
nostro corpo, con ciò che lo circonda, fosse soltanto una certa immagine tra queste immagini, l'ultima, quella
che otteniamo in ogni momento, praticando una cesura istantanea nel divenire in generale. In questa cesura,
il nostro corpo occupa il centro. Le cose che lo circondano agiscano su di esso ed esso agisce su queste. Le
sue reazioni sono più o meno complesse, più o meno diversificate, secondo il numero e la natura degli
apparati che
l'esperienza ha costruito all'interno della sua sostanza. E' dunque sotto forma di dispositivi che esso può
immagazzinare l'azione del passato. Da ciò risulterebbe che le immagini passate propriamente
delle si conservano diversamente e che dobbiamo di conseguenza formulare questa ipotesi: il passato si
conserva sotto due forme distinte: 1° dentro dei meccanismi motori; 2° dentro dei ricordi
indipendenti. A volte si attuerà nell'azione stessa e con l'attivazione totalmente automatica del meccanismo,
appropriato alle circostanze; a volte implicherà un lavoro dello spirito, che andrà a cercare nel passato, per
dirigerle sul presente, le rappresentazioni più atte ad inserirsi nella situazione attuale. Da qui la nostra
seconda proposizione: il riconoscimento di un oggetto presente avviene per dei movimenti quando procede
dall'oggetto, per delle rappresentazioni quando emana dal soggetto. Possiamo parlare del corpo come un
limite mobile tra il futuro ed il passato, come di una punta mobile che il nostro passato spingerebbe
incessantemente nel nostro futuro. Mentre il mio corpo, considerato in un unico istante, è soltanto un
conduttore interposto tra gli oggetti che l'influenzano e gli oggetti su cui agisce, in compenso, rimesso nel
tempo che scorre, è sempre
situato nel punto preciso in cui il mio passato terminerà in un'azione. E, di conseguenza, queste particolari
immagini che chiamiamo meccanismi celebrali , concludono in ogni momento la serie delle mie
rappresentazioni passate, essendo l'ultimo prolungamento che queste rappresentazioni inviano nel presente,
loro punto di contatto con il reale, cioè con l'azione. Spezzate questo contatto, forse l'immagine passata non
viene distrutta, ma voi le togliete ogni mezzo per agire sul reale e, di conseguenza, di realizzarsi. E' in questo
senso, e soltanto in questo senso, che una lesione del cervello potrà abolire qualcosa della memoria. Da qui la
nostra terza ed ultima proposizione: si passa per gradi impercettibili, dai ricordi disposti lungo il tempo ai
movimenti che ne delineano l'azione nascente o possibile nello spazio. Le lesioni del cervello possono
colpire questi movimenti, ma non questi ricordi. Resta da vedere se l'esperienza verifica queste tre
proposizioni.
1. Le due forme della memoria. Potremmo raffigurarci due memorie teoricamente indipendenti. La prima
registrerebbe, sotto forma di immagini-ricordo, tutti gli avvenimenti della nostra vita quotidiana via via che
si svolgono; non trascurerebbe alcun particolare; ad ogni fatto, ad ogni gesto, lascerebbe il suo posto e la sua
data. Senza secondi fini di utilità o di applicazione pratica, immagazzinerebbe il passato soltanto per effetto
di una necessità naturale. In essa ci rifugeremmo tutte le volte che, per cercare una determinata immagine,
risaliamo il pendio della nostra vita passata. Ma ogni percezione si prolunga in azione nascente; e via via che
le immagini una volta percepite, si fissano e si allineano in questa memoria, i movimenti che le continuavano
modificano l'organismo, creano nel corpo delle nuove disposizioni ad agire. Così si forma un'esperienza di
altro genere e che si deposita nel corpo, una serie di meccanismi totalmente costruiti, con delle reazioni
sempre più numerose e diversificate alle eccitazioni esterne, con delle risposte già pronte ad un numero
incessantemente crescente di possibili richieste. Noi prendiamo coscienza di questi meccanismi nel momento
in cui essi entrano in atto, e questa coscienza di tutto un passato di sforzi immagazzinato nel presente è
certamente ancora una memoria, ma una memoria profondamente differente dalla prima, sempre tesa verso
l'azione, posta nel presente e rivolta soltanto al futuro. Essa non ci raffigura più il nostro passato, ma lo mette
in atto; e se merita ancora il nome di memoria, non è più perchè conserva delle vecchie immagini, ma perchè
ne prolunga l'effetto utile fino al momento presente. Di queste due memorie, di cui l'una immagina e l'altra
ripete, la seconda può supplire la prima e spesso anche darne l'illusione.
Tuttavia i ricordi che si acquistano volontariamente, per ripetizione sono rari, eccezionali. Al contrario, la
registrazione, grazie alla memoria di fatti e immagini uniche nel loro genere si perpetua in tutti i momenti
della durata. Ma siccome i ricordi imparati sono più utili, li si noto maggiormente. E siccome l'acquisizione
di questi ricordi per la ripetizione dello stesso sforzo assomiglia al processo conosciuto dell'abitudine, si
preferisce spingere in primo piano questo tipo di ricordo, ergerlo a ricordo modello, e vedere nel ricordo
spontaneo soltanto questo stesso fenomeno allo stato nascente, l'inizio di una lezione imparata a memoria. Il
ricordo spontaneo è immediatamente perfetto; il tempo non potrà aggiungere nulla alla sua immagine senza
snaturarla; esso conserverà per la memoria il suo posto e la sua data. Al contrario, il ricordo imparato uscirà
dal tempo via via che la lezione sarà meglio saputa; diventerà sempre più impersonale, sempre più estraneo
alla nostra vita passata. Delle due memorie che abbiamo appena distinto, la prima sembra dunque essere
proprio la memoria per eccellenza. La seconda, quella che gli psicologi studiano di solito è l'abitudine
illuminata dalla memoria piuttosto che la memoria stessa. Questo ricordo spontaneo, che senza dubbio si cela
dietro al ricordo imparato, può rivelarsi per delle improvvise illuminazioni; ma si sottrae al minimo
movimento della memoria volontaria. Se il soggetto vede scomparire la serie di lettere di cui credeva d'aver
conservato l'immagine, questo sforzo sembra spingere il resto dell'immagine fuori della coscienza. Diciamo,
dunque, per riassumere ciò che precede, che il passato sembra proprio immagazzinarsi, come avevamo
previsto, sotto queste due forme estreme: da un lato i meccanismi motori che l'utilizzano, dall'altro le
immagini ricordo personali che ne delineano tutti gli avvenimenti con il loto contesto, il loro colore, il
loto posto nel tempo. Di queste due memorie, la prima è veramente orientata nel senso della natura; la
seconda, lasciata a se stessa, andrebbe piuttosto in senso contrario. La prima, acquisita grazie allo sforzo,
resta sotto le dipendenze della volontà; la seconda, totalmente spontanea è tanto capricciosa nel riprodurre
quanto è fedele nel conservare. L'unico servizio regolare e certo che la seconda possa rendere alla prima è
quello di mostrarle le immagini di ciò che ha preceduto o seguito le situazioni analoghe alla situazione
presente, al fine di illuminare la sua scelta: in questo consiste la associazione di idee. Queste sono le due
forme estreme della memoria, esaminate ciascuna allo stato puro.
2. Il riconoscimento in generale: immagini-ricordo e movimenti. Ora, l'atto concreto attraverso cui noi
riafferriamo il passato nel presente è il riconoscimento. E' dunque il riconoscimento che dobbiamo studiare.
Ci sono due modi abituali per spiegare il sentimento del ''già visto''. Per gli uni, riconoscere una percezione
presente consisterebbe nell'inserirla, grazie al pensiero, in un vecchio contesto, Incontro una persona per la
prima volta: la percepisco semplicemente. Se la ritrovo, la riconosco, nel senso che le circostanze
concomitanti della primitiva percezione, ritornandomi in mente, delineano attorno all'immagine attuale un
quadro che non è il quadro attualmente percepito. Riconoscere significherebbe dunque associare ad una
percezione presente le immagini date un tempo in contiguità con essa. Nella seconda si suppone che la
percezione presente vada sempre a cercare, in fondo alla memoria, il ricordo della percezione anteriore che le
assomiglia: il sentimento del ''già visto'' deriverebbe da una giustapposizione o da una fusione tra la
percezione ed il ricordo. Senza dubbio, la somiglianza è un rapporto stabilito dallo spirito tra alcuni termini
che mette a confronto e che, di conseguenza, possiede già, così che la percezione di una somiglianza è più un
effetto dell'associazione che la sua causa. Ma in realtà l'associazione di una percezione con un ricordo non
basta affatto a render conto del processo del riconoscimento. Perchè se il riconoscimento avvenisse in questo
modo, sarebbe abolito quando le vecchie immagini sono scomparse, e avrebbe sempre luogo quando queste
immagini sono conservate. Da ciò si conclude che non ogni riconoscimento implichi sempre l'intervento di
una vecchia immagine e che si possa anche fare appello proprio a queste immagini senza riuscire a
identificare con esse le percezioni. Che cos'è allora il riconoscimento, e come lo definiremo? Prima di tutto
c'è, al limite, un riconoscimento nell'immediatezza, un riconoscimento di cui è capace il corpo da solo, senza
che intervenga alcun ricordo esplicito. Esso consiste in un'azione e non in una rappresentazione. Alla base
del riconoscimento ci sarebbe, dunque, proprio un fenomeno di ordine motorio. Riconoscere un oggetto
usuale consiste soprattutto nel sapersene servire. Non c'è percezione che non si prolunghi in movimento.
L'educazione dei sensi consiste precisamente nell'insieme delle connessioni stabilite tra l'impressione
sensoriale e il movimento che l'utilizza. Se, dunque, ogni percezione abituale ha il suo accompagnamento
motorio organizzato, il sentimento di riconoscimento abituale ha la sua radice nella coscienza di questa
organizzazione. Questo significa che noi normalmente attuiamo il nostro riconoscimento prima di pensarlo.
La nostra vita quotidiana si svolge tra oggetti la cui sola presenza ci invita a svolgere una parte: in questo
consiste il loro aspetto di familiarità. Le tendenze motorie basterebbero già, dunque, a darci il sentimento del
riconoscimento. Ma ad esso si aggiunge il più delle volte, dell'altro. Mentre in effetti sotto l'influsso delle
percezioni sempre meglio analizzate dal corpo gli apparati motori si costruiscono, la nostra precedente vita
psicologica è la: sopravvive. Incessantemente inibita dalla coscienza pratica cioè dall'equilibrio
sensoriomotorio di un sistema nervoso teso tra la percezione e l'azione, questa memoria attende
semplicemente che si manifesti una fessura tra l'impressione attuale ed il suo movimento concomitante per
farvi passare le sue immagini. Ma adesso dobbiamo passare dal riconoscimento automatico, che si compie
soprattutto grazie a dei movimenti, a quello che esige l'intervento regolare dei ricordi-immagine. Il primo è
un riconoscimento per distrazione; il secondo, come vedremo tra poco, è il riconoscimento attento. Inizia,
anch'esso, attraverso dei movimenti. Ma, mentre nel riconoscimento automatico i nostri movimenti
prolungano la nostra percezione per ricavarne degli effetti utili, e così ci allontanano dall'oggetto percepito,
qui, al contrario, essi ci riconducono all'oggetto per sottolinearne i contorni. Da ciò deriva la parte
preponderante, e non più accessoria, che vi esercitano i ricordi-immagine.
3. Passaggio graduale dei ricordi ai movimenti. Il riconoscimento e l'attenzione. Qui
tocchiamo il punto essenziale del dibattito. Nel caso in cui il riconoscimento sia attento, cioè
in cui i ricordi-immagini raggiungano regolarmente la percezione presente, è la percezione
che determina meccanicamente l'apparizione dei ricordi, o sono i ricordi che si dirigono
spontaneamente incontro alla percezione? Dalla risposta che si darà a questa domanda
dipende la natura dei rapporti che stabiliremo tra il cervello e la memoria. Che cos'è
l'attenzione? Da un lato l'attenzione ha come effetto essenziale di rendere la percezione più
intensa e di evidenziarne i dettagli: considerata nella sua materia, essa si ridurrebbe, dunque,
ad un certo accrescimento dello stato intellettuale. Ma, dall'altro, la coscienza constata
un'irriducibile differenza di forma tra questo accrescimento d'intensità e quello che dipende
da una maggiore potenza dell'eccitazione esterna: esso sembra, in effetti, venire dal di dentro
e testimoniare un certo atteggiamento adottato dall'intelligenza. Ma qui incomincia
precisamente l'oscurità, perchè l'idea di un atteggiamento intellettuale non è un'idea chiara.
Si parlerà di una ''contrazione dello spirito''. Nello sforzo dell'attenzione lo spirito si dà
interamente, ma si semplifica o si complica a seconda del livello che sceglie per compiere le
sue evoluzioni. Normalmente è la percezione presente che determina l'orientamento del
nostro spirito; ma a seconda del grado di tensione che il nostro spirito adotta, a seconda
dell'altezza in cui si mette, questa percezione sviluppa in noi un maggior o minor numero di
ricordi-immagine. Secondo noi, il momento preciso in cui la nostra percezione si è
automaticamente scomposta in movimenti di imitazione, viene lanciato alla nostra attività un
richiama: allora ci è dato uno schizzo, di cui ricreiamo i particolari ed il colore proiettandovi
dei ricordi più o meno lontani. Ma non è affatto così che si considerano normalmente le
cose. A volte si conferisce allo spirito un'autonomia assoluta; gli si attribuisce il potere di
lavorare sugli oggetti presenti o assenti a suo piacimento; e allora non si comprendono più i
disturbi profondi dell'attenzione e della memoria, che possono seguire la minima alterazione
dell'equilibrio sensorio-motorio. A volte, al contrario, dei processi di immaginazione si
fanno altrettanti effetti meccanici della percezione presente; si pretende che un progresso
necessario ed uniforme, l'oggetto faccia sorgere delle sensazioni, e le sensazioni delle idee
che vi si attaccano: allora, siccome non c'è motivo che il fenomeno all'inizio meccanico,
cambi di natura per strada, si giunge all'ipotesi di un cervello in cui potrebbero depositarsi,
sonnecchiare e risvegliarsi, degli stati intellettuali. In un caso come nell'altro, si misconosce
la vera funzione del corpo, e poiché non si è visto a che cosa sia necessario l'intervento di un
meccanismo, a maggior ragione non si sa, una volta che si è ricorso ad esso, dove lo si
debba fermare. Ritornando al punto di partenza, dobbiamo quindi mostrare nel riconoscimento: 1° un
processo automatico sensorio-motorio; 2°una proiezione attiva, e per
così dire eccentrica, di ricordi-immagine.
1°. Ascolto due persone conversare in una lingua sconosciuta. Questo basta perchè io le
capisca? Io percepisco soltanto un rumore confuso, in cui tutti i suoni di assomigliano. Io
non distinguo niente, e non potrei ripetere niente. In questa stessa massa sonora, al contrario,
i due interlocutori distinguono delle consonanti, delle vocali e delle sillabe che non si
assomigliano molto, infine delle parole distinte. Tra loro e me, dov'è la differenza? Il
problema è sapere come la conoscenza di una lingua, che è soltanto ricordo, possa
modificare la materialità di una percezione presente, e fare attualmente capire agli uni ciò
che altri, nelle stesse condizioni fisiche, non capiscono. Perchè il ricordo della parola si lasci
evocare dalla parola sentita, bisogna almeno che l'orecchio capisca la parola. I suoni
percepiti come parleranno alla memoria, come sceglieranno, nel magazzino delle immagini
uditive, quelle che devono posarsi su di essi, se non sono già state separate, distinte,
percepite infine, come sillabe e come parole? Formare il proprio orecchio agli elementi di
una lingua nuova non consisterebbe né nel modificarne il suono bruto né nell'aggiungerne d
esso un ricordo; consisterebbe nel coordinare le tendenze motorie dei muscoli della voce con
le impressioni dell'orecchio, significherebbe perfezionare l'accompagnamento motorio.
Resta da sapere come potrebbe prodursi un accompagnamento di questo genere, e se in
realtà si produce sempre. Si sa che la pronuncia effettiva di una parola esige l'intervento
simultaneo della lingua e delle labbra per l'articolazione, della laringe per la fonazione,
infine dei muscoli toracici per la produzione della corrente d'aria da espirare. Ad ogni sillaba
pronunciata corrisponde dunque l'entrata in funzione di un insieme di meccanismi. Così, a
seconda che desideriamo articolare un suono od un altro, noi trasmettiamo l'ordine di agire a
tale o talaltro di questi meccanismi motori. In questi diversi fenomeni c'è qualcosa di più che
delle azioni assolutamente meccaniche, ma qualcosa meno di un richiamo alla memoria
volontaria; essi testimoniano un tendenza delle impressioni verbali uditive a prolungarsi in
movimenti di articolazione, tendenza che non sfugge sicuramente al controllo abituale della
nostra volontà, che implica persino, forse, un rudimentale discernimento e che si traduce,
allo stato normale, in una ripetizione interiore dei tratti salienti della parola sentita. Questi
movimenti interni di ripetizione e di riconoscimento sono come un preludio dell'attenzione
volontaria. Segnano il limite tra volontà e automatismo. Per essi si preparano e si decidono,
come facevamo presentire, i fenomeni caratteristici del riconoscimento intellettuale. Ma che
cos'è questo completo riconoscimento, giunto alla piena coscienza di se stesso?
2°. Affrontiamo la seconda parte di questo studio: dai movimenti passiamo ai ricordi. Il riconoscimento
attento, dicevamo, è un vero circuito, in cui l'oggetto esterno ci consegna
delle parti sempre più profonde di se stesso via via che la nostra memoria, simmetricamente
posta, adotta una maggiore tensione per proiettare verso di esso i suoi ricordi. Nel caso
particolare che ci interessa, l'oggetto è un interlocutore le cui idee sbocciano nella sua
coscienza in rappresentazioni uditive, per materializzarsi in seguito in parole pronunciate.
Bisognerà dunque, se siamo nel vero,, che l'ascoltatore si metta subito in mezzo alle idee
corrispondenti, e le sviluppi in rappresentazioni uditive che ricopriranno i suoni bruti
percepiti inserendosi esse stesse nello schema motorio. Ma interroghiamo la nostra
coscienza. Domandiamole che cosa accade quando ascoltiamo la parola altrui con l'idea di
comprenderla . Aspettiamo passivi che le impressioni vadano a cercare le loro immagini?
Non sentiamo piuttosto che ci mettiamo in una cera disposizione, variabile a seconda
dell'interlocutore, variabile a seconda della lingua che parla, con il genere di idee che
esprime, e soprattutto con il movimento generale della sua frase, come se noi
incominciassimo col regolare il tono del nostro lavoro intellettuale? Lo schema motorio che
sottolinea le sue intonazioni, che segue di svolta in svolta la curva del suo pensiero, mostra
al nostro pensiero il cammino. La parola non fa che segnare di quando in quando le
principali tappe del movimento del pensiero. Per questo io comprenderò la vostra parola se
partirò da un pensiero analogo al vostro per seguirne le sinuosità con l'aiuto di immagini
verbali destinate, come altrettanti cartelli, a mostrarmi di volta in volta il cammino. Ma non
la comprenderò mai se parto dalle immagini verbali stesse, perchè tra le due immagini
verbali consecutive c'è un intervallo che nessuna delle immagini verbali stesse, perchè tra le
due immagini verbali consecutive c'è un intervallo che nessuna delle rappresentazioni
concrete arriverebbe mai a colmare. Le immagini saranno sempre, in effetti, soltanto delle
cose, e il pensiero è un movimento.
CAPITOLO TERZO
La sopravvivenza delle immagini. La memoria e lo spirito
Riassumiamo brevemente ciò che precede. Abbiamo distinto tre termini, il puro ricordo, il ricordoimmagine
e la percezione, nessuno dei quali peraltro si produce in realtà isolatamente. La percezione non è mai un
semplice contatto dello spirito con l'oggetto presente; essa è tutta impregnata di ricordi-immagine che la
completano interpretandola. Il ricordo-immagine, a sua volta, partecipa del puro ricordo che esso incomincia
a materializzare, e della percezione in cui tende ad incarnarsi: considerato da quest'ultimo punto di vista, si
potrebbe definire una percezione nascente. Infine il puro ricordo, senza dubbio indipendente in linea di
principio, che normalmente si manifesta soltanto nell'immagine colorata e viva che lo rivela. E' del resto,
quanto la coscienza constata senza fatica tutte le volte che, per analizzare la memoria, segue il movimento
stesso della memoria che lavora. Noi abbiamo coscienza di un atto per il quale ci distacchiamo dal presente
per metterci prima nel passato in generale, poi in una certa regione del passato: lavoro di brancolamento
analogo alla messa a fuoco di una macchina fotografica. Ma il nostro ricordo resta ancora allo stato virtuale;
in questo modo noi ci disponiamo semplicemente a riceverlo adottando l'atteggiamento appropriato. A poco
a poco esso appare come una nebulosità che si condenserebbe: da virtuale passa allo stato attuale; e via via
che i suoi contorni prendono forma e che la superficie si colora, tende ad imitare la percezione. Ma esso resta
attaccato al passato per le sue radici profonde, e se, una volta realizzato, non risentisse della sua originaria
virtualità, se non fosse nello stesso tempo uno stato presente e qualcosa che spezza il presente, non lo
riconosceremmo mai come ricordo.
Essenzialmente virtuale, il passato può essere afferrato da noi come passato soltanto seguendo e adottando il
movimento attraverso cui si dischiude in immagine presente, emergendo dalle tenebre al pieno giorno.
Invano, se ne cercherebbe la traccia in qualcosa di attuale e di già realizzato: tanto
varrebbe cercare l'oscurità sotto la luce. Immaginare non è ricordarsi. Senza dubbio un ricordo via via che si
attualizza, tende a vivere in un'immagine: ma la reciproca non è vera e la pura e semplice immagine mi
riporterà al passato soltanto perchè, in effetti, è nel passato che sono andato a cercarla, seguendo, dunque, il
progresso continuo che l'ha condotta dall'oscurità alla luce.
Il mio presente consiste nella coscienza che io ho del mio corpo. Esteso nello spazio, il mio corpo prova delle
sensazioni e nello stesso tempo esegue dei movimenti. Posto tra la materia che influisce
su di esso e la materia su cui esso influisce, il mio corpo è un centro d'azione, il luogo in cui le impressioni
ricevute scelgono intelligentemente la loro via per trasformarsi in movimenti compiuti; esso rappresenta
proprio, dunque, lo stato attuale del mio divenire, ciò che, nella mia durata è in via di formazione. La
materia, in quanto estesa nello spazio, deve essere definita come un presente che ricomincia
incessantemente; inversamente, il nostro presente è la materialità stessa della nostra esistenza , cioè un
insieme di sensazioni e di movimenti: nient'altro. E questo insieme è determinato, unico per ogni momento
della durata precisamente perchè sensazioni e movimenti occupano dei luoghi dello spazio, e non ci
potrebbero essere, nello stesso luogo, diverse cose contemporaneamente. Le mie attuali sensazioni sono ciò
che occupano delle determinate porzioni della superficie del mio corpo; il puro ricordo, al contrario, non
interessa nessuna parte del mio corpo. Senza dubbio materializzarsi genererà delle sensazioni; ma in quel
preciso momento cesserà di essere ricordo per passare allo stato di cosa presente, attualmente vissuta. E'
proprio perchè l'avrò reso attivo che sarà diventato attuale, cioè sensazione capace di provocare dei
movimenti. Ciò che chiamo il mio presente è il mio atteggiamento di fronte all'immediato futuro, è la mia
azione imminente. Il mio presente è proprio, dunque, sensorio-motorio. Del mio passato diventa immagine,
e di conseguenza sensazione almeno nascente, soltanto ciò che può collaborare a quest'azione; ma non
appena diventa immagine il passato lascia lo stato di puro ricordo e si confonde con un certa parte del mio
presente. Il ricordo, attualizzato in immagine, differisce profondamente, dunque, da questo puro ricordo.
L'immagine è uno stato presente e può essere partecipe del passato soltanto grazie al ricordo da cui è uscita.
Il ricordo, al contrario, impotente finchè rimane inutile, resta puro da ogni mescolanza con la sensazione,
senza legame con il presente, e, di conseguenza, inestensivo.
Diciamo semplicemente che, per ciò che concerne le cose dell'esperienza, l'esistenza sembra implicare due
condizioni riunite: 1a. La presentazione alla coscienza; 2a. La connessione logica o causale di ciò che è così
presentato con ciò che precede e ciò che segue. Per noi la realtà di uno stato psicologico o di un oggetto
materiale consiste in questo duplice fatto, che la nostra coscienza li percepisce e che fanno parte di una serie,
temporale o spaziale, in cui i termini si determinano gli uni gli altri. Dovremmo dire che l'esistenza, nel
senso empirico della parola, implica sempre contemporaneamente, ma a livelli differenti, l'apprensione
cosciente e la connessione regolare. Ma il nostro intelletto, che come funzione ha quella di stabilire delle
distinzioni nette, non capisce affatto così le cose. Piuttosto che ammettere la presenza, in tutti i casi, dei due
elementi mischiati in proporzioni diverse, preferisce dissociare questi due elementi e attribuire così, da una
parte agli
oggetti esterni, dall'altra agli stati interni due modi d'esistenza radicalmente differenti, ognuno dei quali
caratterizzato dalla presenza esclusiva della condizione che bisognerebbe dichiarare semplicemente
preponderante. Allora l'esistenza degli stati psicologici consisterà interamente nella loro apprensione da parte
della coscienza, e quella dei fenomeni esterni consisterà interamente nell'ordine rigoroso della loro
concomitanza e della loro successione. Se voi considerate il presente concreto e realmente vissuto dalla
coscienza, si può dire che questo presente consiste in gran pare nel passato immediato. Nella frazione di
secondo che dura la più corta percezione possibile di luce, dei trillioni di vibrazioni hanno preso posto, la
prima delle quali è separata dall'ultima per un intervallo enormemente suddiviso. La vostra percezione per
quanto sia istantanea consiste dunque in un'incalcolabile moltitudine di elementi ricordati e ogni percezione a
dire il vero è già memoria. Noi percepiamo, praticamente, soltanto il passato, essendo il puro presente
l'inafferabile progresso del passato che rode il futuro. La coscienza, dunque, illumina in ogni momento con il
suo bagliore questa immediata parte del passato che proteso sul futuro, lavora per realizzarlo e per
annetterselo. Unicamente preoccupata di determinare così un futuro indeterminato, essa potrà diffondere un
po' della sua luce su quegli stati più remoti del nostro passato che potrebbero organizzarsi utilmente col
nostro stato presente, cioè con il nostro passato immediato; il resto rimane oscuro. E' in questa parte
illuminata dalla storia che restiamo collocati, in virtù della legge fondamentale della vita, che è una legge
d'azione: da qui la difficoltà che proviamo nel concepire dei ricordi che si conserverebbe nell'ombra.
Ritorniamo così al nostro punto di partenza. Ci sono, dicevamo, due memorie profondamente distinte: l'una
fissata nell'organismo, è semplicemente e soltanto l'insieme dei meccanismi intelligentemente costruiti che
assicurano una conveniente replica alle diverse interpellanze possibili. Essa fa sì che ci adattiamo alla
situazione presente, e che le azioni subite da noi si prolunghino da sole in reazioni, talvolta complete, talvolta
semplicemente nascenti, ma sempre più o meno appropriate, Abitudine piuttosto che memoria, essa
mette in atto la nostra esperienza passata, ma non ne evoca l'immagine. L'altra è vera memoria.
Coestensiva alla coscienza, trattiene e allinea gli uni di seguito agli altri tutti i nostri stati via via e man mano
che si producono, lasciando ad ogni fatto il suo posto e, di conseguenza, segnalandolo con la sua data,
muovendosi realmente nel passato definitivo e non, come la prima, in un presente che ricomincia senza soste.
Ma, se noi percepiamo sempre soltanto il nostro passato immediato, se la nostra coscienza del presente è già
memoria, i due termini, che prima avevamo separato, si salderanno intimamente insieme. Considerato da
questo nuovo punto di vista, in effetti, il nostro corpo non è nient'altro che la parte invariabilmente rinascente
della nostra rappresentazione, la parte sempre presente, o piuttosto quella che, in ogni momento, è appena
passata. Esso stesso immagine, questo corpo non può immagazzinare le immagini, poiché fa parte delle
immagini; per questo è chimerica l'impresa di voler localizzare nel cervello le percezioni passate o anche
presenti: quelle non sono in questo; è questo che è in quelle. Ma quest'immagine tutta particolare, che
persiste in mezzo alle altre e che chiamo il mio corpo, costituisce ad ogni istante uno spaccato trasversale
nell'universale divenire. E' dunque il luogo di passaggio dei movimenti ricevuti e rinviati, il tratto di
congiunzione tra le cose che agiscono su di me e le cose sulle quali agisco, la sede, in una parola, dei
fenomeni sensorio-motori. Se rappresento con un cono SAB la totalità dei ricordi accumulati nella mia
memoria, la base AB, posta nel passato, rimane immobile, mentre il vertice S, che raffigura in ogni momento
il mio presente, avanza senza sosta e senza sosta tocca anche, così, il piano mobile P della mia attuale
rappresentazione dell'universo. In S si concentra l'immagine del corpo; e quest'immagine, che fa parte del
piano P, si limita a ricevere e a rendere le azioni emanate da tutte le immagini di cui si compone il piano. La
memoria del corpo, costituita dall'insieme dei sistemi sensorio-motori che l'abitudine ha organizzato, è
dunque, una memoria quasi istantanea a cui la vera memoria del passato serve da base. Siccome esse non
costituiscono due cose separate, siccome la prima è soltanto, dicevamo, la punta mobile inserita grazie alla
seconda nel piano mobile dell'esperienza, è naturale che queste due funzioni si prestino un mutuo sostegno.
Da un lato, in effetti, la memoria del passato presenta ai meccanismi sensorio-motori tutti i ricordi capaci di
guidarli nel loro compito e di dirigere la reazione motoria nel senso suggerito degli insegnamenti
dell'esperienza: in questo consistono precisamente le associazioni per contiguità e per somiglianza.
Ma, d'altra parte, gli apparati sensorio-motori forniscono ai ricordi impotenti, cioè inconsci, il modo di
prendere corpo, di materializzarsi, insomma di diventare presenti. Perchè un ricordo riappaia alla
coscienza, infatti, bisogna che discenda dalle alture della pura memoria fino al punto preciso in cui si compie
l'azione. In altri termini, è dal presente che parte il richiamo al quale risponde il ricordo, ed è dagli elementi
sensorio-motori dell'azione presente che il ricordo prende il calore che dà la vita.
Vivere nel puro presente, rispondere ad un'eccitazione con una reazione immediata che la prolunghi, è la
caratteristica di un animale inferiore: l'uomo che procede così è impulsivo. Ma non è molto più adatto
all'azione colui che vive nel passato per il piacere di viverci e colui nel quale i ricordi emergono alla luce
della coscienza senza profitto per la situazione attuale: non è più un impulsivo, ma un sognatore. Tra questi
due estremi si colloca la felice disposizione di una memoria abbastanza docile per seguire con precisione i
contorni della situazione presente, ma abbastanza energica per resistere ad ogni altro richiamo. Il buon senso,
o senso pratico, verosimilmente non è altro che questo. Questi due stati estremi, l'uno di una memoria
totalmente contemplativa, che nella sua visione apprende soltanto il singolare, l'altro di una memoria
totalmente motoria, che imprime il segno della generalità alla propria azione, non si isolano e non si
manifestano pienamente se non in casi eccezionali. Nella vita normale essi si compenetrano intimamente,
abbandonando, l'uno e l'altro, qualcosa della loro purezza originaria. Ciò significa che tra i meccanismi
sensorio-motori rappresentati dal punto S e la totalità dei ricordi disposti in AB c'è posto per mille e mille
ripetizioni della nostra vita psicologica, rappresentata da altrettante selezioni di A'B', A''B'', e così via, dello
stesso cono. Noi tendiamo a disperderci in AB man mano che ci distacchiamo maggiormente dal nostro stato
sensoriale e motorio per vivere la vita del sogno; tendiamo a concentrarci in S via via che ci attacchiamo più
fermamente alla realtà presente, rispondendo con delle razioni motorie a delle eccitazioni sensoriali. Di fatto,
l'io normale non si fissa mai ad una di queste posizioni estreme; si muove tra queste, di volta in volta adotta
le posizioni rappresentate dalle selezioni intermedie, o, in altri termini, fornisce alle sue rappresentazioni
proprio quanto basta dell'immagine e proprio quanto basta dell'idea perchè possano concordare utilmente
all'azione presente.
Da questa concezione della vita mentale inferiore si possono dedurre le leggi dell'associazione di
idee. Supponiamo per un istante, che la nostra vita psicologica si riduca alle sole funzioni sensoriomotorie.
Mettiamoci, in altri termini, nella figura schematica che abbiamo tracciato, in questo punto
S che corrisponderebbe alla maggior semplificazione possibile della nostra vita mentale. In questo
stato, ogni percezione si prolunga da sé in reazioni appropriate, perchè le analoghe percezioni
antecedenti hanno costruito degli apparati motori più o meno complessi che, per entrare in funzione,
attendono soltanto la ripetizione dello stesso richiamo. Ora, in questo meccanismo c'è
un'associazione per somiglianza, poiché la percezione presente agisce in virtù della sua somiglianza
con le percezioni passate, e c'è anche un'associazione per contiguità, perchè i movimenti consecutivi
a queste vecchie percezioni si riproducono, e possono anche trascinarsi dietro un numero indefinito
di azioni coordinate con la prima. Qui noi cogliamo, dunque, nella loro fonte stessa e quasi confuse
insieme l'associazione per somiglianza e l'associazione per contiguità. Queste rappresentano i due
aspetti complementari di una sola e medesima tendenza fondamentale, la tendenza di ogni
organismo a ricavare da una situazione data ciò che essa ha di utile, e di immagazzinare l'eventuale
reazione, sotto forma di abitudine motoria, per utilizzarla in situazioni dello stesso genere. Adesso
spostiamoci all'altra estremità della nostra vita mentale. Passiamo, secondo il nostro metodo,
dall'esistenza psicologica semplicemente giocata a quella che sarebbe esclusivamente sognata.
Mettiamoci, in altri termini, su questa base AB della memoria dove si delineano, nei loro minimi
dettagli, tutti gli avvenimenti della nostra vita trascorsa. Una coscienza che, distacca dall'azione,
tenesse così sotto il suo sguardo la totalità del suo passato non avrebbe alcuna ragione per fissarsi su una
parte di questo passato piuttosto che su un'altra. Da un lato, tutti i suoi ricordi differirebbero
dalla sua attuale percezione, perchè, se li si prende con la molteplicità dei loro dettagli, due ricordi
non sono mai in modo identico la stessa cosa. Ma, dall'altro, un ricordo qualunque potrebbe essere
accostato alla situazione presente: basterebbe trascurare, in questa percezione e in questo ricordo,
un numero sufficiente di dettagli perchè appaia solo la somiglianza. Del resto, una volta legato il
ricordo alla percezione, una moltitudine di avvenimenti contigui ai ricordi si collegherebbe d'un sol
colpo alla percezione – moltitudine indefinita che si limiterebbe soltanto nel punto in cui
scegliessimo di fermarla. Le necessità della vita non sono più lì per regolare l'effetto della
somiglianza e di conseguenza della contiguità e siccome, in fondo, tutto si assomiglia, ne segue che
tutto può associarsi. Poco fa la percezione attuale si prolungava in movimenti determinati: adesso si
dissolve in un'infinità di ricordi ugualmente possibili. In AB l'associazione provocherebbe quindi
una scelta arbitraria, come in S un passo fatale. Ma questi sono soltanto due limiti estremi in cui
deve porsi di volta in volta, per comodità di studio, lo psicologo, e che in realtà non sono mai
raggiunti. La nostra normale vita psicologica oscilla dicevamo, tra queste due estremità. Nel piano
estremo, che rappresenta la base della memoria, non c'è ricordo che non sia legato, per contiguità,
alla totalità degli avvenimenti che lo precedono ed anche di quelli che lo seguono. Mentre nel punto
in cui si concentra la nostra azione nello spazio, la contiguità porta soltanto, sotto forma di
movimento, la reazione immediatamente conseguente ad una percezione antecedente simile. In
realtà, ogni associazione per contiguità implica una posizione dello spirito intermedia tra questi due
limiti estremi. Più ci si avvicina all'azione, per esempio, più la contiguità tende a partecipare della
somiglianza e a distinguersi così da un semplice rapporto di successione cronologica. Al contrario,
più ci distacchiamo dall'azione reale o possibile, più l'associazione per contiguità tende a riprodurre
puramente e semplicemente le immagini consecutive della nostra vita passata.
Tutti i fatti e tutte le analogie sono a favore di una teoria che nel cervello vedrebbe soltanto un
intermediario tra le sensazioni e i movimenti, che farebbe di questo insieme di sensazioni e di
movimenti la punta estrema della vita mentale, incessantemente inserita nel tessuto degli
avvenimenti e che, attribuendo al corpo l'unica funzione di orientare la memoria verso il reale e di
collegarla al presente, considererebbe perciò questa memoria stessa come assolutamente
indipendente dalla materia. In questo senso il cervello contribuisce a richiamare il ricordo utile, ma
può scartare provvisoriamente tutti gli altri. Non vediamo come la memoria potrebbe risiedere nella
materia.
CAPITOLO QUARTO
La delimitazione e la fissazione delle immagini. Percezione e materia. Anima e corpo
Dai primi tre capitoli di questo libro deriva una conclusione generale: il corpo, sempre orientato
verso l'azione, ha come funzione essenziale di limitare, in vista dell'azione, la vita dello spirito. Esso
è, rispetto alle rappresentazioni, uno strumento di selezione e soltanto di selezione. Non saprebbe né
generare né causare uno stato intellettuale, Per il posto che in ogni istante occupa nell'universo, il
nostro corpo segna le parti e gli aspetti della materia su cui avremmo presa: la nostra percezione,
che misura precisamente la nostra azione virtuale sulle cose, si limita così agli oggetti che
attualmente influenzano i nostri organi e preparano i nostri movimenti. Il ruolo del corpo non è di
immagazzinare i ricordi, ma semplicemente di scegliere, per portarlo a coscienza distinta tramite
l'efficacia reale che gli conferisce il ricordo utile. Rimane il fatto che l'orientamento della nostra
coscienza verso l'azione sembra essere la legge fondamentale della nostra vita psicologica.
Potremmo, a rigore, limitarci, a ciò, perchè è per definire la funzione del corpo nella vita dello
spirito che avevamo intrapreso questo lavoro. Ma da una parte abbiamo sollevato, un problema
metafisico che non ci sentiamo di lasciare in sospeso. Questo problema è niente meno che quello
dell'unione dell'anima con il corpo. Esso ci si impone in forma acuta perchè distinguiamo
profondamente la materia dallo spirito. E non possiamo ritenerlo insolubile perchè definiamo lo
spirito e la materia con delle caratterizzazioni positive, non con delle negazioni. L'oscurità del
problema, in tutte le dottrine, deriva dalla duplice antitesi che il nostro intelletto stabilisce tra
l'esteso e l'inesteso, da una parte, la qualità e la quantità dall'altra. È incontestabile che lo spirito si
oppone innanzitutto alla materia come un'unità pura ad una molteplicità essenzialmente divisibile,
che inoltre le nostre percezioni si compongono di qualità eterogenee mentre l'universo percepito
sembra dissolversi in cambiamenti omogenei e calcolabili. Ci sarebbero, dunque, l'inestensione e la
qualità da una parte, l'esteso e la quantità dall'altra. Prima di impegnarci su questa strada,
formuliamo il principio generale del metodo che vorremmo applicare. Ciò che normalmente si
chiama un fatto non è la realtà così come apparirebbe ad un'intuizione immediata, ma un
adattamento del reale agli interessi della pratica e alle esigenze della vita sociale. La pura
intuizione, esterna o interna, è quella di una continuità indivisa. Noi la frazioniamo in elementi
giustapposti che qui rispondono a parlo distinte, là a oggetti indipendenti, Ma, proprio perchè così
abbiamo rotto l'unità della nostra intuizione originaria, ci sentiamo obbligati a stabilire un legame
tra i termini separati, che potrà essere soltanto esteriore e aggiunto. Smontando ciò che questi
bisogni hanno fatto, ristabiliremmo l'intuizione nella sua purezza primitiva, e riprenderemmo contatto con il
reale. Questo metodo presenta, nell'applicazione, delle difficoltà considerevoli e
incessantemente rinascenti, perchè esige, per la soluzione di ogni nuovo problema, uno sforzo
interamente nuovo. Rinunciare a certe abitudini di pensare ed anche di percepire è già diffice;
questa inoltre è soltanto la parte negativa del lavoro da fare; e quando lo si è compiuto, resta da
ricostruire, con gli elementi infinitamente piccoli che noi così percepiamo della curva reale, la
forma della curva stessa che si stende nell'oscurità, dietro ad essi. Noi abbiamo tentato, tempo da, di
applicare questo metodo al problema della coscienza, e ci è sembrato che il lavoro utilitaristico
dello spirito, per ciò che concerne la percezione della nostra vita interiore, consistesse in una specie
di rifrazione della pura durata attraverso lo spazio, rifrazione che ci permette di separare i nostri
stati psicologici, di ricondurli ad una forma sempre più impersonale, di imporre ad essi dei nomi,
infine di farli entrare nella corrente della vita sociale. Abbiamo pensato che ci sarebbe una
risoluzione da prendere. Sarebbe quella d metterci nella pura durata, il cui flusso è continuo, e in cui
si passa, per gradazioni insensibili, da uno stato all'altro: continuità realmente vissuta, ma
artificialmente scomposta per la maggior comodità della conoscenza usuale. La durata in cui ci
guardiamo agire, in cui è utile che ci si guardi, è una durata i cui elementi si dissociano e si
giustappongono; ma la durata in cui agiamo è una durata in cui i nostri stati si fondono gli uni negli
altri, ed è là che, grazie al pensiero, dobbiamo fare lo sforzo per rimetterci, nel caso eccezionale e
unico in cui speculiamo sulla natura intima dell'azione, cioè nella teoria della libertà. Scegliamo
subito, tra i risultati ai quali dell'applicazione di questo può condurre, quelli che interessano la
nostra ricerca. Noi ci limiteremo, d'altronde, a delle indicazioni; qui non si tratta di costruire una
teoria della materia.
1° Ogni movimento in quanto passaggio da uno stato di quiete ad uno stato di quiete, è
assolutamente indivisibile. Ora, passaggio è un movimento, e l'arresto un'immobilità. L'arresto
interrompe il movimento; il passaggio non è che tutt'uno con il movimento stesso. Quando vedo il
mobile passare in un punto, capisco senza dubbio che possa fermarsi in esso. Ma non bisognerebbe
confondere i dati dei sensi, che percepiscono il movimento, con gli artefici dello spirito che lo
ricompone. I sensi lasciati, lasciati a se stessi, ci presentano il movimento reale, tra due arresti reali,
come un tutto solido e indiviso. La divisione è l'opera dell'immaginazione, che ha precisamente la
funzione di fissare le mobili immagini della nostra ordinaria esperienza, come il lampo istantaneo
che illumina nella notte una scena di temporale. Gli argomenti di Zenone di Elea non hanno altra
origine se non in questa illusione. Consistono tutti nel far coincidere il tempo e il movimento con la
linea che li sottende, ad attribuire ad essi le stesse suddivisioni,, infine a trattarli come quella. A
questa confusione Zenone era incoraggiato dal senso comune, che di solito trasferisce nel movimento le
proprietà della sua traiettoria, e anche dal linguaggio, che traduce sempre in spazio il
movimento e la durata. Ritenendo divisibile il movimento come la sua traiettoria, il senso comune
esprime semplicemente i due unici fatti che importano nella vita pratica: 1° che ogni movimento
descrive uno spazio; 2° che in ogni punto di questo spazio il mobile potrebbe fermarsi. Ma il
filosofo che ragiona sulla natura intima del movimento è tenuto a restituire ad esso la mobilità che
ne costituisce l'essenza, ed è ciò che Zenone non fa. Senza impegnarci qui in una discussione che
sarebbe fuori luogo, limitiamoci a constatare che il movimento immediatamente percepito è un fatto
molto chiaro, e che le difficoltà o le contraddizioni segnalate dalla scuola di Elea riguardano molto
meno il movimento stesso che una riorganizzazione artificiale, e non virtuale, del movimento da
parte dello spirito. Tiriamo, del resto, le conclusioni di tutto quanto precede:
2° Ci sono dei movimenti reali. Il matematico del movimento conosce soltanto i cambiamenti di
lunghezza. Se il movimento si riduce ad un cambiamenti di distanza, lo stesso oggetto diventa
mobile o immobile a seconda dei punti di riferimento ai quali lo si riferisce, e non c'è movimento
assoluto. Ogni movimento è relativo, per lo studioso di geometria: ciò significa soltanto che non c'è
simbolo matematico in grado di esprimere se sia il mobile che si muove piuttosto che gli assi o i
punti ai quali lo si riporta. Ed è del tutto normale, poiché questi simboli, sempre destinati a delle
misure, possono esprimere soltanto delle distanza. Ma che un movimento reale ci sia, nessuno può
seriamente contestarlo: altrimenti niente cambierebbe nell'universo.
3° Ogni divisione della materia in corpi indipendenti, dai contorni assolutamente determinati,
è una divisione artificiale. Un corpo, cioè un oggetto materiale indipendente, dapprima ci si
presenta come un sistema di qualità, in cui la resistenza ed il colore occupano il centro, e tengono
sospesi, in qualche modo, tutti gli altri. D'altra parte, i dati della vista e del tatto sono quelli che si
estendono più chiaramente nello spazio, e la caratteristica essenziale dello spazio è la continuità. Tra
i suoni ci sono degli intervalli di silenzio, perchè l'udito non è sempre occupato; tra gli odori, tra i
sapori, si trovano dei vuoti, come se l'odorato ed il gusto funzionassero soltanto accidentalmente: al
contrario, non appena apriamo gli occhi, il nostro campo visivo tutto intero si colora, e poiché i
solidi sono necessariamente contigui gli uni agli altri, il nostro tatto deve seguire la superficie o i
contorni degli oggetti senza mai incontrare delle vere interruzioni. Come spezzettiamo la continuità
originariamente percepita dell'estensione materiale in altrettanti corpi, ognuno dei quali avrebbe la
sua sostanza e la sua individualità?Accanto alla coscienza e alla scienza c'è la vita. Al di sotto dei
principi della speculazione, così accuratamente analizzati dai filosofia ci sono quelle tendenze di cui
si è trascurato lo studio e che si spiegano semplicemente attraverso la necessità in cui ci troviamo di
vivere, cioè, in realtà, di agire. Già il potere conferito alle coscienze individuali di manifestarsi attraverso
degli atti esige la formazione di zone materiali distinte, che corrispondano
rispettivamente a dei corpi viventi: in questo senso, il mio proprio corpo, e, per analogia con esso,
gli altri corpi viventi, sono quelli che io posso distinguere, nella totalità dell'universo, con più
fondamento. Ma, una volta costituito e distinto questo corpo, i bisogni che esso prova lo portano a
distinguere e a costituirne degli altri. La conservazione della vita esige, senza dubbio, che
distinguiamo, che distinguiamo nella nostra esperienza quotidiana, delle cose inerti e delle azioni
esercitate nello spazio da queste cose. Siccome ci è utile fissare la sede della cosa nel punto preciso
in cui potremmo toccarla, i suoi contorni tangibili diventano per noi il suo limite reale e allora noi
vediamo nella sua azione un qualcosa che si distacca da essa e ne differisce. Ma, poiché una teoria
della materia si propone precisamente di ritrovare la realtà sotto queste immagini abituali,
totalmente relative ai nostri bisogni, è da queste immagini che essa deve prima di tutto fare fare
astrazione. E di fatto vediamo riavvicinarsi e ricongiungersi la forza e la materia via via che il fisico
ne approfondisce gli effetti. Vediamo la forza materializzarsi, l'atomo idealizzarsi, questi due
termini convergere verso un limite comune, l'universo ritrovare così la sua continuità. Si parlerà
ancora di atomi; l'atomo conserverà la sua individualità, per il nostro spirito che lo isola; ma la
solidità e l'inezia dell'atomo si dissolveranno sia in movimenti, sia in linee di forza, la cui reciproca
solidarietà ristabilirà la continuità universale. Nè la scienza né la coscienza rifiuterebbero dunque
quest'ultima proposizione:
4° Il movimento reale è la traslazione di uno stato più che di una cosa. Formulando queste
quattro proposizioni, noi non abbiamo fatto, in realtà, che restringere progressivamente l'intervallo
tra due termini che vengono opposti l'uno all'altro, le qualità o sensazioni, e i movimenti. A prima
vista la distanza sembra insormontabile. Le qualità sono eterogenee tra loro, i movimenti omogenei.
Le sensazioni, indivisibili per essenza sfuggono alla misura; i movimenti, sempre divisibili, si
distinguono per delle differenze, calcolabili, di direzione e di velocità. Si è inclini a mettere le
qualità, sotto forma di sensazioni, nella coscienza, mentre i movimenti si attuerebbero
indipendentemente da noi nello spazio. Per un misterioso processo, la nostra coscienza, incapace di
toccarli, li tradurrebbe in sensazioni che in seguito proietterebbero nello spazio e verrebbero a
ricoprire, non si sa come, i movimenti, che esse traducono. Da ciò due mondi differenti, incapaci di
toccarli, li tradurrebbe in sensazioni che in seguito si proietterebbero nello spazio e verrebbero a
ricoprire, non si sa come, i movimenti che esse traducono. Da ciò due mondi differenti, incapaci di
comunicare se non per un miracolo; da una parte quello dei movimenti nello spazio, dall'altra la
coscienza con le sensazioni. E, certamente, la differenza resta irriducibile, come un tempo noi stessi
abbiamo mostrato, tra la qualità da una parte e la pura quantità dall'altra. Ma il problema è precisamente
quello di sapere se i movimenti reali presentano tra loro soltanto delle differenze di
quantità, o se essi non sarebbero la qualità stessa, che vibra, per così dire, interiormente e che
scandisce la propria esistenza in un numero spesso incalcolabile di momenti. Il movimento che la
meccanica studia è soltanto un'astrazione o un simbolo, una misura comune, un comun
denominatore, che permetta di paragonare tra loro tutti i movimenti reali; ma questi movimenti,
considerati in se stessi, sono degli indivisibili che occupano della durata, suppongono un prima e un
poi, e collegano i movimenti successivi del tempo con un filo di qualità variabile che non può non
avere qualche analogia con la continuità della nostra stessa coscienza. Insistiamo su quest'ultimo
punto, che abbiamo già trattato altrove, ma che riteniamo essenziale. La durata vissuta dalla nostra
coscienza è una durata dal ritmo determinato, molto differente da quel tempo di cui parla il fisico, e
che può immagazzinare, in un dato intervallo, un numero, grande quanto si voglia, di fenomeni.
Che ci siano, in un certo senso, molteplici oggetti, che un uomo distingua da un altro uomo, un
albero da un albero, una pietra da una pietra, è incontestabile. Ma la separazione tra la cosa e il suo
ambiente non può assolutamente essere netta; si passa per gradazioni insensibili dall'una all'altro: la
stretta solidarietà che lega tutti gli oggetti dell'universo materiale, la perpetuità delle loro azioni e
reazioni reciproche, provano a sufficienza che non hanno i limiti precisi che noi attribuiamo ad essi.
La nostra percezione delinea, in qualche modo, la forma del residuo; li termina nel punto in cui si
ferma la nostra possibile azione su di essi, e in cui essi cessano, di conseguenza, di interessare i
nostri bisogni. Questa è la prima e la più evidente operazione dello spirito che percepisce; esso
traccia delle divisioni nella continuità dell'estensione, cedendo semplicemente alle suggestioni del
bisogno e alle necessità della vita pratica. Ora, nello stesso tempo in cui la nostra percezione
attuale, e per così dire istantanea, effettua questa divisione della materia in oggetti indipendenti, la
nostra memoria solidifica in qualità sensibili il flusso continuo delle cose. Prolunga il passato nel
presente, poiché la nostra azione disporrà del futuro nell'esatta proporzione in cui la nostra
percezione, accresciuta dalla memoria, avrà contratto il passato. Rispondere ad un'azione subita con
una reazione immediata che ne regola il ritmo e si prolunga nella stessa durata, essere nel presente e
in un presente che ricomincia senza posa, ecco la legge fondamentale della materia: in questo
consiste la necessità. Se ci sono delle azioni libere, esse possono appartenere soltanto a degli esseri
capaci di fissare, di quando in quando, il divenire su cui il loro specifico divenire si applica, di
soddisfarlo in momenti distinti, di condensarne così la materia e, assimilandola, di assorbirla in
movimenti di reazione che passeranno attraverso le maglie della necessità naturale. La maggiore o
minore tensione della loro durata, che esprime, in fondo, la loro maggiore o minore intensità di vita,
determina così sia la forza di concentrazione della loro percezione, sia il grado della loro libertà. Ritorniamo
così, attraverso un lungo giro, alle conclusioni che avevamo trattato nel primo capitolo
di questo libro. La nostra percezione, dicevamo, è originariamente nelle cose piuttosto che nello
spirito, fuori di noi piuttosto che in noi. Le percezioni dei diversi generi indicano altrettante vere
direzioni della realtà. Ma questa percezione che coincide con il suo oggetto, aggiungevamo, esiste
di diritto piuttosto che di fatto: essa avrebbe luogo nell'istantaneo. Nella concreta percezione
interviene la memoria,e la soggettività delle qualità sensibili dipende precisamente dal fatto che la
nostra coscienza, che incomincia con l'essere soltanto memoria, prolunga gli uni negli altri, per
contrarli in un'unica intuizione, una pluralità di momenti. Coscienza e materia, anima e corpo,
entravano così in contatto nella percezione. Ma quest'idea restava oscura, per un certo aspetto,
perché la nostra percezione, e di conseguenza anche la nostra coscienza, sembrava allora
partecipare della divisibilità che si attribuisce alla materia. Ma se la divisibilità della materia è
totalmente relativa alla nostra capacità di modificarne l'aspetto, se essa non appartiene alla stessa
materia, ma allo spazio che noi tendiamo al di sotto di questa materia per farla cadere sotto le nostre
prese, allora la difficoltà svanisce. La materia estesa, considerata nel suo insieme, è una coscienza in
cui tutto si equilibra, si compensa, si neutralizza; essa offre veramente l'indivisibilità della nostra
percezione; così che, inversamente, noi possiamo, senza scrupolo, attribuire alla percezione
qualcosa dell'estensione della materia. Questi due termini, percezione e materia, procedendo così
l'uno verso l'altro via via che ci spogliamo sempre di più di ciò che potremmo chiamare i pregiudizi
dell'azione: la sensazione riconquista l'estensione, l'estensione concreta riprende la sua continuità e
la sua indivisibilità naturali. E lo spazio omogeneo, che si innalza tra i due termini come una
barriera insuperabile, non ha più altra realtà se non quella di uno schema o di un simbolo. In tal
modo si chiarisce anche, in una certa misura, la questione verso la quale tutte le nostre ricerche
convergono, quella dell'unione anima con il corpo. L'oscurità di questo problema deriva dal fatto
che si considera la materia come essenzialmente divisibile, ed ogni stato d'animo come
rigorosamente inesteso, così che si incomincia con lo spezzare la comunicazione tra i due termini. Il
torto del dualismo volgare è di mettersi dal punto di vista dello spazio, di porre da una parte la
materia con le sue modificazioni nello spazio, dall'altra delle sensazioni inestensive nella coscienza.
Da qui l'impossibilità di comprendere come lo spirito agisca sul corpo, o il corpo sullo spirito.
Abbiamo cercato di stabilire che le difficoltà si attenuano in un dualismo che, partendo dalla pura
percezione in cui il soggetto e l'oggetto coincidono, spiega lo sviluppo di questi due termini nelle
loro rispettive durate – visto che la materia, via via che se ne prolunghi l'analisi, tende sempre più
ad essere soltanto una successione di momenti infinitamente rapidi che si deducono gli uni dagli
altri, e in tal modo si equivalgono; mentre lo spirito è già memoria nella percezione, e si afferma
sempre più come un prolungamento del passato nel presente, come un progresso, una vera evoluzione. Le
difficoltà del dualismo volgare non derivano dal fatto che i due termini si
distinguono, ma dal fatto che non si vede come l'uno dei due si innesti nell'altro. Ora, noi l'abbiamo
mostrato, la pura percezione, che sarebbe il grado più basso dello spirito – lo spirito senza memoria
– farebbe veramente parte della materia, così come la intendiamo noi. Andiamo oltre, la memoria
non interviene come una funzione di cui la materia non avrebbe alcun presentimento e che non
imiterebbe già a modo suo. Se la materia non si ricorda del passato è perchè ripete il passato senza
posa, perchè, sottomessa alla necessità, svolge una serie di momenti ciascuno dei quali equivale al
precedente, e può esserne dedotto: così il suo passato è veramente dato nel suo presente. Ma un
essere che evolve più o meno liberamente crea ad ogni momento qualcosa di nuovo: invano,
dunque, si cercherebbe di leggere il suo passato nel suo presente, se il passato non si depositasse in
lui allo stato di ricordo. Così, per riprendere una metafora che è già apparsa diverse volte in questo
libro, bisogna, per ragioni simili, che il passato sia giocato dalla memoria, immaginato dallo spirito.