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LINGUAGGIO DELLA FILOSOFIA E FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO IN PLATONE


*


FRANCESCO ADEMOLLO

[In F. Bazzani, R. Lanfredini, S. Vitale (eds.), La verit in scrittura, Florence 2013, 5572;
penultimate draft.]


Il mio tema il rapporto tra Platone e la scrittura filosofica. Di questo rapporto discuter due
aspetti, collegati fra loro. In una prima parte del mio intervento ( I-II) affronter la questione del
perch Platone abbia scritto dialoghi anzich opere di genere diverso, per esempio trattati filosofici:
che rapporto c tra la forma letteraria del dialogo, cos come la pratica Platone, e le verit
filosofiche che Platone aspira a comunicarci, o alla ricerca delle quali desidera indirizzarci? In una
seconda parte ( III) cercher invece di offrire alcune considerazioni in merito a un famoso passo
della VII Lettera attribuita a Platone, nel quale si assume una posizione particolarmente radicale e
pessimistica riguardo alla possibilit di scrivere di cose filosofiche.


I

Una prima motivazione del fatto che Platone scriva dialoghi che ci costituisce lomaggio
devoto di un allievo a Socrate e alle modalit in cui si svolgeva la sua pratica filosofica. La
rilevanza di questa spiegazione naturalmente confermata dal fatto che Socrate stesso sia il
protagonista della maggior parte dei dialoghi e comunque un personaggio della quasi totalit di essi.
Unulteriore conferma viene dal fatto che anche altri autori che come Platone hanno fatto parte della
cerchia socratica, come Senofonte ed Eschine di Sfetto, abbiano scritto dialoghi.
Se questa fosse lunica spiegazione della scelta del dialogo da parte di Platone, allora la relazione
tra questa forma letteraria e il contenuto filosofico che Platone vuole trasmetterci sarebbe del tutto
estrinseca. Un paio di considerazioni, tuttavia, suggeriscono di formulare lipotesi che le cose non
stiano cos e che la spiegazione che abbiamo visto ora costituisca solo una parte di un quadro pi
complesso. In uno scrittore cos profondamente consapevole e dotato di assoluto controllo del
mezzo espressivo come Platone sarebbe sorprendente se una scelta cos radicale e coerentemente
perseguita fosse dovuta soltanto a un accidente biografico. Pi in particolare, deve farci riflettere il
fatto che Platone non abbandoni la forma del dialogo nemmeno quando si dedica a temi lontani da
quelli che sembra aver affrontato il Socrate storico, come avviene in dialoghi quali p.e. Cratilo,
Teeteto, Parmenide e Sofista (nei quali si affrontano temi come il linguaggio, la definizione della
conoscenza, la cosiddetta teoria delle idee o forme, la possibilit di dire il falso).

*
Questo testo una versione rivista di quello da me presentato nel febbraio 2012 al seminario su La scrittura
filosofica: la verit in scrittura, del quale conserva il tono colloquiale. Sono grato agli organizzatori per avermi invitato
e a tutti i partecipanti in particolare Sergio Bernini e Renata Guerra per lutile e stimolante discussione.
2
Vale quindi la pena di esplorare la possibilit che Platone abbia altre motivazioni oltre al
desiderio di celebrare il suo maestro di vita filosofica. E in effetti una lettura attenta dei dialoghi
consente di identificare almeno un altro e pi profondo aspetto della questione.
1
Questo pu essere
formulato schematicamente cos: Platone usa la forma del dialogo per evitare di prendere
posizione direttamente sulle questioni discusse. Per capire bene qual il punto, per, occorre fare
un passo indietro e mettere bene a fuoco un certo modo tradizionale di interpretare i dialoghi
platonici.
Secondo questa interpretazione tradizionale, i dialoghi possono essere divisi in due grandi
gruppi. Da una parte un primo gruppo di dialoghi cosiddetti socratici, nei quali la
commemorazione di Socrate si spinge al punto di mettere in scena una discussione aporetica, che
non raggiunge una conclusione positiva, come pare essere stato tipico delle reali discussioni
consotte da Socrate con i suoi interlocutori storici (ricordiamo che nellApologia, 20c-23b, Socrate
si dichiara convinto di non essere sapiente in alcun ambito, e che la sapienza umana vale poco
o niente e consiste semmai soltanto nel riconoscere di non essere sapiente). Distinto da questo
primo gruppo di dialoghi aporetici e socratici, per, ce n un altro molto ampio e ulteriormente
divisibile al suo interno sulla base di considerazioni relative al contenuto nel quale Platone parla
invece in propria persona, talvolta proponendo dottrine filosofiche ben precise, talvolta invece
sottoponendo a critica tali dottrine ma comunque sempre dando voce alla propria posizione
filosofica, dogmatica o problematica che essa sia di volta in volta. Cos, p.e., dialoghi come
Simposio, Fedone e Repubblica ci presentano le pi profonde convinzioni del loro autore in merito
alla struttura della realt, allanima e al suo rapporto col corpo, allo Stato, ecc. Alcune di tali
concezioni verranno riviste e riformate in dialoghi successivi, come Parmenide e Sofista; ma in tutti
questi dialoghi comunque la voce di Platone che stiamo ascoltando, emessa attraverso un
personaggio-portavoce che pu essere Socrate stesso o qualcun altro.
Una lettura attenta dei dialoghi, per, deve indurci a mettere in dubbio lassunzione centrale che
sta alla base di questo modo di leggere i dialoghi. Leggendo i dialoghi con attenzione ci rendiamo
conto che, accanto a casi nei quali possiamo essere ragionevolmente sicuri che in effetti un
personaggio (tipicamente Socrate) funga da portavoce di Platone, ce ne sono altri in cui la faccenda
pi complicata e Platone sfrutta la finzione del dialogo per mettere una distanza tra s e quel che
sostengono i personaggi, anche quelli principali, Socrate incluso. Troviamo cio una serie di casi
nei quali piuttosto evidente che Platone vuol suggerire che noi lettori dovremmo avere un
atteggiamento di critica o dubbio nei confronti di quel che viene sostenuto, riesaminarlo alla luce di
una rilettura del dialogo e di una riflessione pi profonda e matura, e solo cos guadagnare il
messaggio filosofico pi autentico che Platone vuol trasmetterci ammesso e non concesso che un
tale messaggio positivo sia effettivamente disponibile. Vedremo fra un momento qualche esempio

1
Le considerazioni generali che seguono relativamente alluso della forma dialogica da parte di Platone sono in
accordo con le conclusioni di M. FREDE, Platos Arguments and the Dialogue Form, in J.C. KLAGGE - N.D. SMITH
(eds.), Methods of Interpreting Plato and His Dialogues, Oxford, Oxford UP 1992, pp. 201-219. Si veda anche la bella
sintesi di M. VEGETTI, Quindici lezioni su Platone, Torino, Einaudi 2003, pp. 6685. Ma in realt lo spirito di questo
approccio a Platone gi presente in G. GROTE, Plato and the Other Companions of Sokrates, London, John Murray
1888
3
, che p.e. afferma: The Platonic dialogues require, in order to produce their effect, a supplementary responsive
force, and a strong effective reaction, from the individual reason of the reader (vol. III, p. 333).
3
di questa strategia autoriale. Ma prima di far questo importante coglierne fino in fondo le
conseguenze a un livello generale.
(1) Una prima conseguenza questa: se possibile reperire un certo numero di passi dei dialoghi
nei quali le cose stanno come ho ora detto, allora ne segue che, messi davanti a un qualsiasi passo,
non possiamo mai essere certi a priori che esso contenga lesposizione di una dottrina
genuinamente platonica. Soltanto sulla base di un esame condotto caso per caso, soppesando
empiricamente la presenza o assenza di indizi a favore di una tale lettura o contro di essa, possiamo
decidere se sia possibile, probabile o magari addirittura certo che chi parla sia la voce di Platone.
(2) Una seconda conseguenza della strategia autoriale che sto attribuendo a Platone, e di cui mi
accingo a fornire esempi concreti, che Platone risulta essere pi fedele al modello socratico di
quanto potessimo inizialmente supporre. Naturalmente c comunque una grande differenza tra il
maestro e lallievo: fuori discussione che Platone ha idee molto precise su una quantit di
questioni filosofiche dalle quali Socrate si tenuto lontano. Ma interessante vedere come il
dialogo diventi lo strumento per non presentarci queste idee per cos dire dallalto, come
accadrebbe se esse ci fossero impartite come veri e propri insegnamenti, nella forma di un trattato o
magari di un poema filosofico alla stregua di quelli di Parmenide o di Empedocle, bens piuttosto
per lasciare che queste idee si impongano nellambito di una discussione nella quale siamo coinvolti
al pari dei personaggi messi in scena da Platone.
(3) Infine una terza conseguenza che in questo modo riusciamo a dare un senso pi
soddisfacente al famoso passo del Fedro (274b-277a) in cui Socrate esprime serie riserve sullutilit
della scrittura rispetto alla conversazione viva. In quel passo Socrate afferma che

chi crede di tramandare una tecnica per iscritto, e chi a sua volta la riceve convinto che dallo scritto verr
qualcosa di chiaro e di stabile, sarebbero pieni di grande ingenuit in quanto crederebbero che i discorsi
scritti siano qualcosa di pi del richiamare alla memoria di chi gi sa gli argomenti trattati nello scritto
Questo, infatti, Fedro, ha di terribile la scrittura, e davvero simile alla pittura. Effettivamente i prodotti della
pittura stanno davanti come esseri viventi, ma se fai loro qualche domanda, tacciono solennemente. Lo stesso
fanno anche i discorsi: potresti credere che essi parlino come se pensassero qualcosa, ma se tu volendo
imparare domandi loro qualcosa di quanto dicono, ti indicano una cosa sola, sempre la stessa. (275c5-d9)
2


Al rigor mortis della scrittura, come dicevo, Socrate contrappone un altro tipo di discorso, fratello
legittimo di questo, migliore e pi forte:

SOCRATE: quello che, accompagnato da scienza, scritto nellanima di chi apprende ed capace di
difendere se stesso e sa con chi deve parlare e con chi tacere.
FEDRO: Vuoi dire il discorso di chi sa, vivente e animato, del quale il discorso scritto potrebbe dirsi
giustamente unimmagine. (276a5-9)


2
Qui e nel seguito traggo le traduzioni del Fedro da G. CAMBIANO, Dialoghi filosofici di Platone, Torino, Utet
1981, vol. II, con minime modifiche.
4
I discorsi scritti sono incapaci di parlare in propria difesa e incapaci di insegnare adeguatamente la
verit; il filosofo dovrebbe scriverli per gioco, accumulando un tesoro di ricordi per s, qualora
giunga la dimentica vecchiaia (276cd).
Se partiamo dal presupposto che qui venga espressa la genuina opinione di Platone in merito alla
scrittura, non possiamo che trovare paradossale questo atteggiamento bonariamente derogatorio in
un autore che ci ha lasciato un corpus di una trentina di dialoghi che consideriamo un vertice della
creativit umana. Possibile che Platone scriva un capolavoro come il Teeteto semplicemente per
potersi riportare alla memoria il problema della conoscenza quando sar vecchio e un po
svaporato? Ebbene, forse la prospettiva che siamo adottando ci consente almeno di attenuare il
paradosso. Se i dialoghi funzionano nel modo che stiamo supponendo, allora sono s discorsi
scritti, ma di un tipo molto speciale, e il coinvolgimento attivo che mirano a suscitare nel lettore
quanto di pi vicino si possa avere alleffettiva partecipazione a una conversazione.
3

In realt, per, la prospettiva che stiamo adottando pu avere conseguenze anche pi radicali
sullinterpretazione del passo del Fedro. Se in generale non c alcuna necessit a priori di
identificare il punto di vista del personaggio Socrate con quello di Platone, allora anche in questo
caso particolare non dovremmo presupporre senzaltro che la critica della scrittura avanzata nel
passo da Socrate sia tutta e soltanto da attribuire a Platone. Anzi, poich quella critica risulta in
parte problematica se appartiene al Platone autore di capolavori scritti, ma invece perfettamente
coerente con la scelta, compiuta dal Socrate storico, di non comporre alcuno scritto filosofico,
dovremmo lasciare aperta la possibilit che qui il personaggio dia in parte voce a quelle che
(almeno secondo Platone) furono le motivazioni per le quali il Socrate storico scelse di filosofare
solo attraverso la conversazione viva.
Questultima proposta stata formulata da Herman Karsten in una dissertazione del 1864 che
avremo occasione di menzionare anche in seguito. Poich lopera di Karsten oggi ben poco nota,
vale la pena di riportarne un passo particolarmente efficace, che traduco dal suo latino:

Platone con ci che fa dire a Socrate ebbe principalmente lobiettivo di illustrare la ragione per la quale
questi non espose i suoi pensieri con discorsi scritti, come i retori e i sofisti, bens in conversazioni; inoltre
allo stesso modo spieg per quale motivo egli stesso, abbandonando labitudine, propria dei sofisti, di fare
dissertazioni e declamazioni, compose non discorsi continuati [!"#$%&] ma dialoghi ['()!"#$%&], secondo
lesempio del maestro, seguendo nello scrivere lo stesso principio che Socrate aveva insegnato nel discutere.
Invece ritenere che Platone non abbia scritto se non per gioco ci di cui ha trattato nei dialoghi, ci che ha
esposto riguardo al vero, al bello, al giusto, riguardo allo Stato, alla natura, alla conoscenza, allimmortalit,
e che egli non abbia raccolto i suoi pensieri riguardo alle pi grandi questioni della filosofia, questo da
uomo poco acuto, o piuttosto ingannato da unopinione preconcetta.
4



3
Cfr. B. WILLIAMS, Plato: The Invention of Philosophy, in B. W., The Sense of the Past. Essays in the History of
Philosophy, ed. and with an intr. by M. Burnyeat, Princeton and Oxford: Princeton UP, pp. 148-186: pp. 178-179.
4
H.T. KARSTEN, Commentatio critica de Platonis quae feruntur epistolis, Trajecti ad Rhenum, Kemink et filius
1864, p. 205. Forse sarei anchio fra i tanti studiosi contemporanei che ignorano lopera di Karsten, se Myles Burnyeat
non me ne avesse segnalato limportanza.
5


II

Veniamo infine, come avevo promesso, a vedere alcuni esempi, relativi tanto a singoli passi
quanto a intere sezioni di testo. Cominciamo da un dialogo difficile: il Parmenide. Come si sa, nella
prima parte di questo dialogo (126a-135c) il giovane Socrate espone a Parmenide e Zenone la sua
concezione delle idee o forme, che viene poi sottoposta da Parmenide a una serie di critiche, tra le
quali il famoso argomento del Terzo Uomo. Queste critiche mettono in difficolt Socrate, che
reagisce riformulando via via la sua teoria, con ci esponendola ogni volta a un nuovo attacco da
parte di Parmenide. Dobbiamo concludere da questa discussione che per Platone la concezione delle
forme veramente affetta da insolubili aporie? Uninferenza di questo tipo sarebbe fallace: il fatto
che il personaggio Socrate sia perplesso non implica (n daltronde, beninteso, esclude) che sia
perplesso anche Platone, lautore. perfettamente possibile che Platone intenda mettere in scena
una situazione in cui sta a noi lettori di prendere parte attiva nella discussione e intervenire contro
Parmenide in difesa di Socrate. E in effetti il testo contiene indizi che vanno proprio in questa
direzione.
Consideriamo il primo argomento di Parmenide. Egli esordisce assicurandosi lassenso di
Socrate alla premessa che esistono certe forme, partecipando delle quali queste altre cose hanno le
loro denominazioni: p.e. venendo a partecipare della somiglianza diventano simili, venendo a
partecipare della grandezza grandi, e venendo a partecipare della bellezza e della giustizia giuste e
belle (130e5-131a2).
5
Poi Parmenide si concentra sulla relazione di partecipazione e chiede a
Socrate:

Dunque ciascuna cosa che partecipa partecipa della forma intera o di una parte? O sarebbe possibile qualche
altro modo di partecipare al di fuori di questi? (131a4-5)

Una volta che Socrate ha ammesso che non ci sono alternative, Parmenide si concentra sul primo
corno del dilemma:

Ti pare dunque che lintera idea sia in ciascuna delle molte cose come qualcosa di uno, o come? (131a8-9)

E una volta che Socrate ha dichiarato che non vede che cosa dovrebbe impedire che le cose stessero
cos, Parmenide conclude che

Quindi la forma, pur essendo una e identica, sar presente contemporaneamente come un intero in molte cose
separate, e cos sarebbe separata da se stessa. (131b1-2)

Socrate fa un tentativo di resistere a questa conclusione:


5
Anche nel caso dei passi del Parmenide ho modificato in piccola misura la traduzione di CAMBIANO, Dialoghi, cit.
6
No, se, come il giorno, che uno e identico, contemporaneamente in molti luoghi senza essere per questo
separato da se stesso, cos anche ciascuna delle forme fosse una e identica contemporaneamente in molte
cose. (131b3-6)

Ebbene, che uso fa Parmenide di questo suggerimento di Socrate? Egli afferma ironicamente che
Socrate ha trovato un bel modo di far s che qualcosa di uno e identico sia contemporaneamente
in molti luoghi:

come se, dopo aver ricoperto con una vela molti uomini, tu dicessi che essa su molti come una e intera. O
non qualcosa del genere che ritieni di dire? (131b8-9)

Forse (*+,&, 131c1), risponde Socrate vagamente; ma Parmenide si affretta a raggiungere la
conclusione (131c2-7) che in tal caso non ci sar su ciascun uomo lintera vela, bens su ciascuno
una parte diversa, e che quindi le forme sono divisibili in parti e le cose che ne partecipano
partecipano di una parte di esse, e che in ciascuna cosa non c pi la forma intera, bens soltanto
una sua parte. In altre parole, il primo corno delloriginario dilemma di Parmenide, per il quale
Socrate aveva optato, si riduce al secondo, che daltra parte risulta ovviamente inaccettabile come
descrizione del modo in cui le cose particolari partecipano delle forme.
Come giudicare questo scambio?
6
Parmenide stato alquanto ingeneroso con Socrate: ha dato
uninterpretazione troppo ristretta e materiale del suo riferimento alla relazione di partecipazione
e ha illustrato lidea di Socrate che unidentica forma sia interamente presente al tempo stesso in
particolari distinti con la controproducente analogia della vela. In effetti Socrate, come abbiamo
visto, a 131c1 sembra esitare ad accettare lanalogia della vela, e poco prima ne aveva prodotta una
diversa, ignorata da Parmenide, secondo la quale lidentit della forma nei diversi particolari da
paragonare al caso del giorno. Socrate sta presumibilmente pensando al fatto che (p.e.) oggi lo
stesso gioved 16 febbraio tanto a Firenze quanto a Pisa, simultaneamente, senza che Firenze e Pisa
debbano ritagliarsi ciascuna una diversa porzione della stessa data. Questanalogia pu parere
poco calzante rispetto al caso delle forme, ma ha almeno il merito che Parmenide non riconosce
di sottolineare la necessit di concepire la partecipazione dei particolari alla forma, o la presenza
della forma nei particolari, in termini pi astratti di quelli impiegati da Parmenide. Ebbene, nel
momento in cui svolgiamo queste stesse considerazioni siamo gi stati coinvolti attivamente nel
dialogo.
Pi avanti Parmenide, a conclusione delle sue critiche, afferma che inevitabile imbattersi nella
difficolt che egli ha sollevato relativamente alle forme, e che tuttavia queste continuano a costituire
unipotesi irrinunciabile (134e-135c). Il problema, egli osserva, che Socrate si accostato alla
teoria troppo presto, prima di essersi esercitato (135c8); egli deve dunque esercitarsi di pi per
non lasciarsi sfuggire la verit (135d3-6, cfr. 136c, de). Nella seconda parte del dialogo (135e-165c)

6
Per le considerazioni che seguono sul ruolo delle due analogie della vela e del giorno si veda I.M. CROMBIE, An
Examination of Platos Doctrines, London and New York, 2 voll., Routledge & Kegan Paul 1962-1963, vol. I, pp. 330-
331, e pi recentemente F. FERRARI, Parmenide antiplatonico. Riflessioni sul Parmenide di Platone, Rivista di
cultura classica e medioevale 51.2 (2009), pp. 315330: pp. 318319.
7
Parmenide dar un saggio del tipo di esercizio dialettico che raccomanda a Socrate: egli si produrr
in un impressionante tour de force, proponendo una serie di deduzioni che partono tanto dallipotesi
molto astratta che luno esista quanto dallipotesi che luno non esista e da ciascuna delle due
derivano conclusioni contraddittorie. Alla fine del dialogo Parmenide cos riepilogher i risultati
raggiunti:

Sia se luno , sia se non , esso stesso e gli altri, tanto in relazione a se stessi quanto reciprocamente, sono e
non sono, appaiono e non appaiono tutto sotto ogni aspetto. (166c3-5)

Le lunga e intricata seconda parte del Parmenide sempre stata oggetto di vivaci controversie.
Tuttavia sembra ragionevole, ed largamente condiviso fra gli interpreti, osservare che Platone non
pu certo avallare la conclusione che ho appena riportato, e che quindi pu soltanto pensare che
almeno alcune delle deduzioni non siano corrette. In effetti, a ben guardare, a stabilire quella
conclusione concorrono molte deduzioni pi o meno grossolanamente fallaci, che stanno nel testo
fianco a fianco con altre che sono invece sottili e persuasive. Sta ancora una volta al lettore di
distinguere opportunamente le une dalle altre attraverso unanalisi attenta, che tenga conto anche
degli indizi lasciati da Platone. Cos p.e. quando la prima serie di deduzioni raggiunge la disperante
conclusione che luno non , non esprimibile con un nome o una formula, e non oggetto di
conoscenza, percezione o opinione (141e-142a), Parmenide chiede conforto al suo interlocutore
(che in quella sezione un giovane filosofo di nome Aristotele), chiedendogli: Ma davvero
possibile che a proposito delluno le cose stiano cos? e ricevendo in cambio la risposta A me
almeno pare di no senza per che questo porti a una concreta revisione di quelle deduzioni, che
evidentemente spetta a noi di compiere. Cos si d un senso particolarmente soddisfacente
allaffermazione di Parmenide che tutto ci deve costituire unoccasione di esercizio e di
giocare a un gioco laborioso (-.)#)/0(1'2 -)('(34 -)560(4, 137b2).
7


Situazioni simili a quella del passo sul giorno e la vela si presentano in altri dialoghi platonici.
8

Ci sono anzi dialoghi nei quali il lettore chiamato a compiere un sistematico esercizio dialettico
analogo a quello richiesto dalla seconda parte del Parmenide: in particolare nellEutidemo sta a noi
lettori, nella maggior parte dei casi, di capire che cosa c che non va nelle argomentazioni capziose
dei sofisti. Ora per vorrei considerare qualche esempio tratto da un dialogo di cui dovremo parlare

7
Sulla seconda parte del Parmenide si veda R. ROBINSON, Platos Earlier Dialectic, Oxford, Oxford UP 1953
2
, pp.
23980. Robinson sintetizza la sua interpretazione a p. 264: The second part of the Parmenides is an exercise or
gymnastic. It does not in itself attain truth of any kind; but it sets the muscles of the mind in a better state to obtain truth
hereafter. Even to follow these arguments is a strenuous undertaking; to attempt, as we must, to see what is wrong with
them calls for the greatest acuteness and persistence. Cfr. PLATONE, Parmenide, Intr., trad. e note di F. Ferrari, Milano,
Rizzoli 2004, pp. 105-108. M.L. Gill, nella sua introduzione (pp. 1-123) a PLATO, Parmenides, Trans. by M.L. Gill and
P. Ryan, Intr. by M.L. Gill, Indianapolis/Cambridge, Hackett 1996, fornisce uneccellente analisi delle argomentazioni
della seconda parte (e pi in generale di tutto il dialogo).
8
Un caso molto interessante costituito da Teeteto 188c189b, nel quale Socrate da una parte propone una
definizione della credenza falsa che sembra contenere unallusione allanalisi del falso avanzata nel Sofista (261d
263d), dallaltra sembra poi ignorare lallusione a favore di una lettura pi banale e attaccabile della proposta, che nel
contesto del dialogo finisce cos col venire scartata. Si veda al riguardo M. BURNYEAT, Plato on How Not to Speak of
What Is Not: Euthydemus 283a 288a, in M. CANTO-SPERBER, P. PELLEGRIN (a cura di), Le style de la pense. Recueil
de textes en hommage J. Brunschwig, Paris, Les Belles Lettres 2002, pp. 40-66: pp. 43-48.
8
anche in seguito: il Cratilo.
9
Il tema centrale di questo dialogo la relazione tra i nomi e i loro
referenti, le cose nominate: si tratta di capire se un nome sia legato al suo referente da una relazione
naturale, indipendente dallarbitrio dei parlanti, o invece puramente convenzionale e arbitraria. La
prima tesi, sostenuta da Cratilo, viene pi precisamente declinata nel dialogo come la tesi secondo
cui un nome deve, attraverso la sua etimologia, dire qualcosa di vero sul suo referente, descrivendo
o imitando in qualche modo la sua natura. Cos il nome asciugacapelli fa riferimento a una certa
cosa solo se quella cosa ha effettivamente la natura di asciugare i capelli, e nessuna convenzione
linguistica tra parlanti potrebbe far s che esso facesse invece riferimento a qualcosa di
completamente diverso, come per esempio una variet di pomodoro. Ora, nel corso del dialogo
questa tesi naturalista sui nomi viene inizialmente difesa da Socrate con una serie di argomenti,
fino a venir dichiarata vincitrice (390de) e poi illustrata con una lunga serie di etimologie (390e-
427d). Da un certo punto in poi, per, Socrate comincia a sottoporre questa stessa tesi a una critica
serrata, producendo una seconda serie di argomenti (428a-440d) che lo portano a concludere che la
convenzione e laccordo tra i parlanti hanno almeno un certo peso nella relazione tra i nomi e le
cose: alcune cose (come i numeri) hanno nomi il cui etimo non esprime affatto la loro natura;
alcune hanno nomi il cui etimo fornisce addirittura una descrizione falsa della loro natura (per un
esempio moderno si pensi p.e. alla parola atomo). Fra laltro Socrate conclude che Cratilo sbaglia
a pensare, come pensa, che lo studio dei nomi possa darci conoscenza della natura dei loro referenti:
la realt, la verit degli enti, deve essere investigata direttamente e non attraverso il tramite
delletimologia (438d-439b).
Ora, nel corso della sua palinodia Socrate non ritratta esplicitamente, se non in minima parte, gli
argomenti da lui stesso precedentemente impiegati per sostenere la tesi che ora egli respinge. Sta al
lettore, una volta arrivato alla fine del dialogo, di tornare al punto di partenza e chiedersi che cosa
cera di sbagliato in quegli argomenti iniziali. E quando il lettore fa questo si accorge che alcuni di
quegli argomenti erano in realt ambigui e ammettevano anche uninterpretazione innocua accanto
a quella, pi ovvia, destinata a sostenere il naturalismo, mentre altri contenevano comunque la
chiave per essere disinnescati.
Incontriamo un esempio particolarmente chiaro a 393b-394a.
10
Socrate sta argomentando che
una cosa naturale, non arbitraria, che un re e suo figlio abbiano entrambi nomi che esprimono una
natura regale: p.e. Ettore (78/,., reggitore), e Astianatte (9+/%:4);, signore della citt).
Per sostenere questa tesi Socrate comincia con lo stabilire un principio generale secondo cui,
allinterno di un genere X, vale che un X genera un altro X, a meno di casi di generazione
mostruosa:


9
Per una trattazione pi ampia e approfondita delle principali questioni relative allinterpretazione del Cratilo rinvio
al mio The Cratylus of Plato: A Commentary, Cambridge, Cambridge UP 2011. Vedi anche Uninterpretazione del
Cratilo di Platone, in M. ALESSANDRELLI, M. NASTI DE VINCENTIS (a cura di), La logica nel pensiero antico, Napoli,
Bibliopolis 2009, pp. 1573.
10
Su questo passo e il suo contesto vedi pi diffusamente The Cratylus of Plato, cit., pp. 15278. Vedi anche
Uninterpretazione, cit., pp. 3641.
9
SOCRATE: giusto, mi pare, chiamare la prole del leone leone e la prole del cavallo cavallo. Non dico
nel caso in cui da un cavallo nasca per cos dire un mostro, qualcosa di diverso da un cavallo,
ma parlo del genere di cui la prole per natura: se un cavallo genera contro natura un vitello,
che per natura la prole di un bue, non bisogna chiamarlo puledro, ma vitello; n, credo, se
da un uomo nasce qualcosa che non la prole delluomo, tale prole deve esser chiamata
uomo; e lo stesso vale per gli alberi e tutte le altre cose; non sei daccordo?
ERMOGENE: Sono daccordo. (393b7-c7)

Qui Socrate avanza il principio generale secondo cui un X genera un altro X con riferimento a
casi in cui X , potremmo dire noi oggi, un genere naturale: animali, piante ecc. Questa unidea
del tutto ragionevole.
11
Ma essa non basta a portare Socrate vicino a dove vuole arrivare, cio ai
nomi di re. Per far ci Socrate procede a estendere il principio a coprire casi in cui X qualsiasi tipo
di genere:

SOCRATE: Dici bene: perch devi stare attento a che io non ti tragga in inganno. Giacch in base allo
stesso principio [8)/3 #3. /<4 )=/<4 !"#$4] vale anche che, se da un re nasce una qualche
prole, questo deve esser chiamato re da un re verr un re, e da un uomo buono un uomo
buono, e da un bello un bello, e cos in tutti i casi, da ciascun genere una prole siffatta, a meno
che nasca un mostro. (393c8-d1, 394a1-4)

La mossa di Socrate del tutto illegittima: non affatto vero che da un uomo buono nasca un uomo
buono, o da un re un re, in virt della stessa relazione di causalit naturale che fa s che da un leone
nasca un leone. Ma la cosa notevole per noi il modo in cui Socrate introduce la sua mossa, cio le
parole devi stare attento a che io non ti tragga in inganno. Giacch in base allo stesso
principio. Queste parole suggeriscono chiaramente che (a) Socrate sta compiendo un passaggio
ingannevole, (b) la natura dellinganno risiede nellassumere che lo stesso principio sia allopera
quando da casi come leoni, buoi e alberi si passa a casi come re o persone buone o belle.
12



III

Vorrei ora voltare pagina e prendere in esame un testo che costituisce di solito una tappa
obbligata nelle discussioni sulluso della scrittura in Platone. Come ben noto, insieme con i
dialoghi ci giunto dallantichit un corpus di tredici Lettere attribuite a Platone. Mentre alcune di

11
Unidea che verr recepita da Aristotele nel suo famoso slogan un uomo genera un uomo: Metafisica, >
8.1033
b
2933; 9.1034
a
213; ? 3.1070
a
45.
12
In realt per ottenere il suo scopo, cio per far s che il principio secondo cui un X genera un altro X governi
anche il caso di Ettore che genera Astianatte, Socrate deve compiere unulteriore mossa illegittima, cio obliterare la
differenza tra termini generali (come sono tanto leone o uomo quanto re o buono) e nomi propri (come
appunto Ettore o Astianatte). Socrate, tuttavia, non fa niente per segnalare esplicitamente questa seconda mossa.
10
queste sono sempre state liquidate come evidentemente spurie, alcune hanno suscitato maggiori
discussioni; una in particolare, la VII, ha trovato autorevoli difensori.
13

La Lettera, indirizzata agli amici siracusani di Platone, contiene un famoso resoconto delle
esperienze politiche giovanili di Platone e ripercorre le tappe del suo coinvolgimento nelle vicende
di Siracusa. Ma la Lettera contiene anche un famoso excursus filosofico, nel quale lautore vuole
spiegare perch, come afferma, sulle questioni filosofiche pi importanti, quelle alle quali mi
interesso seriamente (341c1), non c alcun mio scritto, n mai potr esserci (c3-4).
14
Questa
unaffermazione sconcertante, che sembra squalificare i dialoghi in blocco come se essi non fossero
dedicati alle questioni alle quali Platone si interessa seriamente. Essa naturalmente stata
utilizzata da quegli studiosi che sostengono che il pi vero e profondo insegnamento di Platone si
trova non nei dialoghi, bens in certe dottrine non scritte che egli avrebbe trasmesso oralmente ai
membri dellAccademia e alle quali fa riferimento Aristotele (Fisica 209
b
13-16). Qualunque cosa si
pensi delle dottrine non scritte, comunque, ben difficile accettare lidea che Platone non annoveri
tra i suoi interessi seri questioni trattate a lungo nei dialoghi come lanima, le forme, la virt, lo
Stato o la conoscenza.
15

Ma perch lautore della Lettera non ha mai composto alcuno scritto su questi argomenti n
mai lo comporr? Egli ci d subito una prima risposta:

Non si tratta assolutamente di una disciplina esprimibile [@2/"4] come le altre: solo in seguito a una lunga
frequentazione e convivenza col suo oggetto stesso, essa nasce improvvisamente nellanima, come una luce
accesa da una scintilla di fuoco, e si nutre poi di se stessa. (341c4-d2)
16


Qui di nuovo presente, come nel Fedro, lidea che la vitalit della riflessione e della
conversazione filosofica ( chiaro che lautore non ha in mente, o non soltanto, riflessioni solitarie:
cfr. 344b) insostituibile dalla rigidit della parola scritta: la filosofia deve essere praticata e
vissuta, non riferita o spiegata. Ci sono per anche alcune differenze rispetto al Fedro, che rendono
la posizione espressa nella Lettera ben pi problematica. Nel Fedro non si afferma che le verit
filosofiche non possano o non debbano essere messe per iscritto, ma solo che i testi scritti
dovrebbero avere una funzione puramente ancillare (ausilii per la memoria) rispetto alla forma
principale di comunicazione filosofica, che la conversazione viva; la Lettera invece condanna

13
Fra gli altri si veda G. PASQUALI, Le lettere di Platone, Firenze, Sansoni 1967
2
, pp. 42140; la pi recente difesa
dellautenticit si trova forse in PLATONE, Lettere, a cura di M. Isnardi Parente, traduzione di M.G. Ciani, Milano,
Mondadori 2002.
14
Con scritto traduco il greco +A##.)). Non plausibile il tentativo di alcuni interpreti di sostenere che il
termine qui abbia un significato pi specifico, trattato: tutto quello che lautore dir nel seguito si applica chiaramente
a qualsiasi forma di espressione scritta.
15
Da qui in poi la mia discussione fortemente in debito nei confronti di H.T. KARSTEN, Commentatio, cit., pp. 190-
206, e A. MADDALENA, Esame analitico delle Lettere, Appendice a PLATONE, Lettere, a cura di A. M., Bari, Laterza
1948, pp. 75-407: pp. 279-335, che propongono una disamina delle assurdit filosofiche della Lettera e dei suoi rapporti
con i dialoghi. Ho ritenuto lecito, per brevit e in considerazione degli scopi di questo contributo, astenermi dal
segnalare in dettaglio le mie consonanze e dissonanze nei confronti di questi autori.
16
Qui e nel seguito ho modificato la traduzione di Piero Innocenti (PLATONE, Lettere, introduzione di D. Del Corno,
premessa al testo, traduzione e note di P. I., Milano, Rizzoli 1986). Cito il testo secondo ledizione di J.J. MOORE-
BLUNT, Platonis Epistulae, Leipzig, Teubner 1985, numerando per le righe di ogni singola sezione della pagina (come
prassi nei dialoghi di Platone) anzich quelle della pagina intera come fa la studiosa.
11
qualunque forma di espressione scritta. Inoltre nella Lettera abbiamo inequivocabilmente davanti
un autore che espone le proprie opinioni in prima persona; non quindi possibile a differenza che
nel Fedro tentare di scaricare su qualcun altro il peso delle affermazioni dellautore.
Lautore della Lettera, per, non si accontenta delle poche parole che abbiamo letto ora. Egli
prosegue affermando che le sue dottrine filosofiche non devono essere divulgate alla moltitudine,
perch verrebbero disprezzate da alcuni e riempirebbero altri di vane speranze (341de). Questa
motivazione non pare equivalente alla precedente: prima lautore sembrava parlare di dottrine che
non possono essere comunicate, ora invece parla di dottrine che non devono essere comunicate.
anche una motivazione poco in chiave con lo spirito che anima lopera di Platone, i cui dialoghi
sono rivolti a una minoranza di lettori illuminati e non tengono certo conto delle reazioni che
potranno suscitare nella maggioranza.
Sia come sia, poco oltre (342a1 ss.) lautore decide di spiegare pi diffusamente che cosa c che
non va nellidea di scrivere di tali questioni. Le sue spiegazioni costituiscono il cosiddetto
excursus filosofico della Lettera e meritano una discussione da parte nostra.

A ciascuno degli enti appartengono tre cose attraverso le quali necessariamente sopraggiunge la conoscenza
di esso; il quarto la conoscenza stessa, e come quinto bisogna porre ci che conoscibile e veramente
dotato di essere. Uno il nome [B4$)], il secondo la definizione [!"#$&], il terzo limmagine [0*',!$4],
il quarto la conoscenza [C-(+/D2]. (342a6-b2)

Questo si preannuncia come un testo molto difficile. Il principale chiarimento che ci serve per il
momento che, come emerge nel seguito (342bd), loggetto o ente di cui stiamo parlando una
forma platonica: p.e. la forma di circolo. Per restare a questo esempio, il nome sar quindi proprio
la parola circolo; la definizione, ci che ha pari distanza in tutte le direzioni dagli estremi al
centro; le immagini, i particolari sensibili, cio i circoli concreti disegnati o modellati. Ora,
lidea che questi tre elementi, e proprio in questordine, possano essere considerati come stadi
iniziali e preparatori verso il raggiungimento della conoscenza di una forma alquanto bizzarra.
Tanto per cominciare, inspiegabile che venga assegnato un rango cos basso alla definizione, che
Platone normalmente considera invece come lobiettivo ultimo dellattivit dialettica (cfr. p.e.
Repubblica 534bd).
17
Ma il nostro passo contiene unidea forse ancor pi strana: la conoscenza

17
M. Isnardi Parente (PLATONE, Lettere, cit., p. 241) sostiene che se !"#$& qui fosse la definizione della cosa la
lettera sarebbe senzaltro spuria, ma che qui il termine non significa altro che discorso (cos come in Soph. 262d,
Theaet. 206ce). Ora, indubbiamente il fatto che lautore precisi che il !"#$& composto da nomi e verbi (342b5)
sembra suggerire che si tratti semplicemente di un enunciato. Ci nonostante il suggerimento della Isnardi Parente
implausibile, per diverse ragioni. (a) Poich ci sono enunciati veri ed enunciati falsi, lenunciato in generale
difficilmente pu essere considerato uno stadio nellacquisizione della conoscenza. (b) Non sar certo casuale che
lautore esemplifichi il !"#$& con una vera e propria definizione (anzi, pi precisamente un definiens), ci che ha pari
distanza in tutte le direzioni dagli estremi al centro, che occorre quasi identica in Parmenide 137e ed molto simile a
quella presente negli Elementi di Euclide, 1 Def. 15. (c) Lautore parla del !"#$& di qualcosa (342b6, b8), costruendo il
termine greco col genitivo: una scelta piuttosto innaturale se si trattasse di un semplice enunciato, ma del tutto ovvia se
invece di una definizione che si tratta ( vero che nel Sofista si dice che Teeteto siede un !"#$& di Teeteto, ma
l Platone ha dei motivi speciali per usare il genitivo: vedi M. FREDE, The Sophist on False Statements, in R. KRAUT
(ed.), The Cambridge Companion to Plato, Cambridge, Cambridge University Press 1992, pp. 397-424: p. 416). La
stessa Isnardi Parente deve del resto ammettere che la definizione deve essere inclusa nellambito del !"#$& (p. 241)
con il che il problema rimane tale e quale.
12
essa stessa uno stadio preparatorio verso lincontro con la forma. Ora, non si vede in che cosa
dovrebbe consistere il passaggio dal quarto al quinto stadio, cio lincontro con la forma, se non
appunto in unacquisizione di conoscenza, come del resto lautore stesso affermer in 342e1-2:

se uno non si impadronisce dei quattro stadi in qualche modo non avr mai parte compiutamente della
conoscenza [C-(+/D2&] del quinto.

Che senso ha sostenere che la conoscenza di X inferiore a X stesso e deve essere superata per
raggiungere la conoscenza di X? Davanti a questa difficolt gli interpreti spesso fanno ricorso alla
supposizione che lautore intenda distinguere due tipi di conoscenza, uno imperfetto o volgare e uno
perfetto o filosofico. Ma di una tale distinzione (anche a voler ammettere che essa sia sufficiente a
risolvere il problema) non c traccia alcuna nel testo, quando invece ci sarebbe assoluto bisogno
che essa venisse resa esplicita, se fosse presente. Inoltre la supposizione trova un altro ostacolo
poco pi avanti, dove lautore spiega pi ampiamente che al quarto stadio troviamo, non
semplicemente la conoscenza, ma conoscenza e intelligenza e opinione vera (C-(+/D2 8)E
4$F& G!2HD& /0 '";), 342c3-4), e che fra questi lintelligenza che si avvicina pi da presso al
quinto per affinit e somiglianza; gli altri ne sono pi distanti (342d1-2). Qui molto significativo
luso del termine intelligenza (4$F&). Questo termine usato per indicare lo stato cognitivo
supremo tra quelli distinti nella Repubblica, 511d;
18
cos anche nel Timeo lintelligenza la
facolt con cui si contemplano le forme e quella che impiega Dio nella sua attivit (29b, 48a, 51d).
Nella Lettera invece lintelligenza (pur occupando il primo posto allinterno del quarto stadio)
costituisce, come la conoscenza, una forma di comprensione ancora imperfetta delloggetto,
preliminare allacquisizione della conoscenza delloggetto. Ci problematico rispetto alluso
del termine negli altri dialoghi, ma lo anche alla luce del fatto che pi avanti lautore descriver
lesito finale del processo cognitivo come un momento in cui si raggiunge proprio intelligenza
riguardo a ciascun oggetto (344b6-7). Dovremmo forse supporre la presenza non solo di due tipi di
conoscenza, ma anche di due tipi di intelligenza?
Insomma, tutto il passo seriamente problematico. N le cose vanno a migliorare nel seguito.
Poche righe dopo lautore afferma che i quattro stadi che dovrebbero prepararci alla conoscenza del
quinto hanno questo difetto cruciale (342e2-343a1):

essi tentano di indicare non meno la qualit [/< -$I"4 /(] relativa a ogni cosa che lessere [/< B4] di ogni
cosa, a causa della debolezza delle espressioni linguistiche ['(3 /< /J4 !"#,4 G+H04K&].

In che consista questa distinzione tra indicare lessere e indicare la qualit non
immediatamente chiaro: la terminologia usata non ha paralleli in Platone, bench qui venga
presentata senza spiegazioni. Anche alla luce del fatto che pi avanti per fare nuovamente
riferimento all essere lautore impieghi lespressione il che cosa (/< /5, 343c1), possiamo
supporre che si tratti di una differenza tra indicare lessenza di qualcosa e indicare qualche

18
Nella Repubblica lo stesso stato chiamato anche intellezione (4"2+(&).
13
caratteristica pi generica o pi estrinseca riguardo a quella cosa.
19
Nel Menone, 71b, 87bc,
troviamo una distinzione di questo genere tra sapere che cos X (/5 C+/(4: p.e. sapere che cos
la virt, oppure sapere chi Menone) e sapere che tipo di cosa X (L-$I"4 /5 C+/(4: p.e. sapere
che la virt insegnabile, oppure sapere che Menone bello o ricco). Ma che cosa intende il nostro
autore quando sostiene che ciascuno dei quattro stadi indica la seconda cosa non meno che la
prima? Poche righe pi sotto lautore ci d quella che si presenta come una spiegazione dettagliata,
ma nel frattempo ribadisce che questa irrimediabile debolezza che dovrebbe sconsigliarci di
affidare allo scritto i nostri pensieri (343a1-3). Si noti come con ci siamo tornati allidea iniziale,
secondo cui non dovremmo scrivere perch certe verit sono inesprimibili, non perch vogliamo
evitare di avere effetti indesiderati sui nostri ascoltatori, come lautore aveva affermato in 341de.
Le spiegazioni su essere e qualit cominciano in 343a3 e si fondano su due punti principali.
(1) I particolari sensibili (le immagini del terzo stadio) esemplificano la forma soltanto in modo
parziale e contraddittorio: p.e. un circolo concreto non perfettamente circolare. Non affatto
chiaro in che senso questimperfetta esemplificazione della forma si traduca in unindicazione della
qualit della forma o dipenda dalla debolezza delle espressioni linguistiche, ma lascer da
parte questo punto per concentrarmi invece sul secondo: (2) i nomi (primo stadio) sono
convenzionali. Cos si esprime lautore:

Diciamo che nessuna di queste cose ha alcun nome stabile, e che niente impedisce che le cose ora chiamate
rotonde siano chiamate diritte e le cose diritte circolari, e che esse siano per niente meno stabili per
coloro che cambiano luso e chiamano le cose allinverso. (343b1-4)

Se le stacchiamo dal loro contesto, queste parole sembrano prese dal Cratilo, dove il difensore del
convenzionalismo, Ermogene, le cui posizioni Socrate finir con laccettare almeno in parte,
sostiene appunto che

qualunque nome uno imponga a qualcosa, questo il nome corretto; e se in seguito ne impone un altro al suo
posto, e non chiama pi la cosa con quel nome, il secondo nome non meno corretto del primo, cos come
cambiamo nome ai nostri schiavi. (Cra. 384d2-5)

Nel seguito si insiste sul fatto che per Ermogene possibile invertire una convenzione esistente,
cominciando p.e. a chiamare uomo il cavallo e cavallo luomo, oppure grande il piccolo e
piccolo il grande (Cra. 385ab, 433e), e daltra parte si chiarisce anche che questa situazione di
arbitrio linguistico non ha niente a che fare col relativismo ontologico di Protagora: linstabilit dei
nomi con cui chiamiamo le cose non implica uninstabilit della natura delle cose stesse (385e-
386a).

19
In tal caso tradurre /< -$I"4 /( come la qualit o il quale in qualche modo fuorviante, perch non in
questione la qualit nel senso caratteristico p.e. della categoria aristotelica, distinta da altre come sostanza o quantit.
Una traduzione pi fedele al senso potrebbe forse essere il di che tipo. Cfr. quanto osservo subito dopo nel testo su
Menone 71b, 87bc.
14
Ma in che modo la convenzionalit dei nomi dovrebbe esemplificare la debolezza delle
espressioni linguistiche, come la chiama il nostro autore, e far s che il nome indichi la qualit
della forma e non il suo essere? Ammesso e non concesso che nel linguaggio attualmente in
vigore i nomi cane e gatto trasmettano un qualsiasi genere di informazioni sulla natura del cane
e del gatto, come possono tali informazioni essere rese meno precise dal fatto che possiamo
convenzionalmente decidere di chiamare invece il cane gatto e viceversa?
20

Qui utile un ulteriore confronto col Cratilo. Come abbiamo visto prima, in questo dialogo
Socrate conclude che i nomi (cio lo studio delletimologia dei nomi) non ci portano conoscenza
delle cose, ma non trae affatto da ci argomento per lamentare linefficacia cognitiva dei nomi.
Piuttosto, egli conclude positivamente che le cose devono essere investigate direttamente, senza
nomi (438d-439b), cio attraverso unindagine metafisica autonoma. Dunque la posizione del
Socrate del Cratilo ben diversa da quella dellautore della Lettera.
21

Vorremmo che la Lettera desse risposta a tutti i nostri dubbi e quesiti; ma la risposta non arriva.
Lautore osserva, abbastanza sensatamente, che linstabilit delle singole parole implica
immediatamente quella delle definizioni, che da parole sono costituite (343b4-5). Dopo ci sarebbe
vitale che ci parlasse delle manchevolezze del quarto stadio, spiegandoci in che senso la conoscenza
di qualcosa non ci dia se non uninformazione imprecisa su quella cosa; ma lautore non dice niente
di tutto ci. Egli passa invece a ripeterci che ciascuno dei quattro stadi incluso il quarto mette
davanti alla nostra anima non l essere o il che cosa, bens la qualit (343b5-c2) e con ci ci
rende confusi ed esposti a ogni sorta di confutazione quando dobbiamo capire qualcosa del quinto
stadio. La causa di tanta confusione non sta in noi: la natura di ciascuno dei quattro, che
debole (343c3-e1).
Nella parte finale dellexcursus la Lettera accenna a come potremmo, nonostante tutto,
trascendere queste nostre difficolt cognitive e conquistare infine conoscenza della forma (343e1-
2, cfr. 342e1-2: senza tenere alcun conto, naturalmente, del fatto che la conoscenza fosse essa
stessa parte del quarto stadio da trascendere). Si tratta di passare attraverso tutti e quattro gli stadi,
spostandosi dalluno allaltro in su e in gi; di sfregare faticosamente luno contro laltro
ciascuno di questi elementi: nomi, definizioni, visioni, sensazioni finch non rifulge
improvvisamente comprensione e intelligenza riguardo a ciascun oggetto (344b4-7). In che cosa
possano mai consistere questi sfregamenti un gran mistero. Possiamo supporre che una parte del
processo consista nel fatto che il filosofo sperimenter varie definizioni della forma oggetto della
sua ricerca, confrontandole luna con laltra e con le esemplificazioni sensibili della forma; ma
rimane oscuro in che modo nomi puramente convenzionali potrebbero essere utilmente sfregati
con le definizioni o con le esemplificazioni sensibili. In ogni caso, gli sfregamenti devono
naturalmente aver luogo attraverso la viva pratica di indagini benevole e condotte da parte di chi
senza invidia si serve di domande e risposte; per questo motivo ogni uomo serio non si
azzarder ad affidare allo scritto riflessioni filosofiche o leggi (344b5-d2).

20
Sono grato a Myles Burnyeat per aver attirato la mia attenzione su questo punto in una lettera del dicembre 2001.
21
Vedi il mio The Cratylus of Plato, cit., pp. 424-425.
15
Cos finisce lexcursus filosofico della VII Lettera. Non mi dilungher proponendo altri
commenti o identificando come pure sarebbe facile fare e altri hanno fatto altri punti
problematici oltre a quelli che ho discusso sin qui. Anche solo sulla base della limitata discussione
che abbiamo condotto sinora mi pare estremamente difficile evitare la conclusione che quel che
abbiamo davanti un testo molto confuso, frutto di unimperfetta assimilazione e ricombinazione di
frammenti di diversi dialoghi platonici. Per questo penso, in definitiva, che le affermazioni
contenute nella Lettera non dovrebbero avere alcun peso nella ricostruzione del pensiero di Platone,
e che il titolo del mio intervento per tornare infine l da dove siamo partiti richiederebbe una
correzione: Linguaggio della filosofia e filosofia del linguaggio in Platone e nello pseudo-Platone.

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