LINGUAGGIO DELLA FILOSOFIA E FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO IN PLATONE
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FRANCESCO ADEMOLLO
[In F. Bazzani, R. Lanfredini, S. Vitale (eds.), La verit in scrittura, Florence 2013, 5572; penultimate draft.]
Il mio tema il rapporto tra Platone e la scrittura filosofica. Di questo rapporto discuter due aspetti, collegati fra loro. In una prima parte del mio intervento ( I-II) affronter la questione del perch Platone abbia scritto dialoghi anzich opere di genere diverso, per esempio trattati filosofici: che rapporto c tra la forma letteraria del dialogo, cos come la pratica Platone, e le verit filosofiche che Platone aspira a comunicarci, o alla ricerca delle quali desidera indirizzarci? In una seconda parte ( III) cercher invece di offrire alcune considerazioni in merito a un famoso passo della VII Lettera attribuita a Platone, nel quale si assume una posizione particolarmente radicale e pessimistica riguardo alla possibilit di scrivere di cose filosofiche.
I
Una prima motivazione del fatto che Platone scriva dialoghi che ci costituisce lomaggio devoto di un allievo a Socrate e alle modalit in cui si svolgeva la sua pratica filosofica. La rilevanza di questa spiegazione naturalmente confermata dal fatto che Socrate stesso sia il protagonista della maggior parte dei dialoghi e comunque un personaggio della quasi totalit di essi. Unulteriore conferma viene dal fatto che anche altri autori che come Platone hanno fatto parte della cerchia socratica, come Senofonte ed Eschine di Sfetto, abbiano scritto dialoghi. Se questa fosse lunica spiegazione della scelta del dialogo da parte di Platone, allora la relazione tra questa forma letteraria e il contenuto filosofico che Platone vuole trasmetterci sarebbe del tutto estrinseca. Un paio di considerazioni, tuttavia, suggeriscono di formulare lipotesi che le cose non stiano cos e che la spiegazione che abbiamo visto ora costituisca solo una parte di un quadro pi complesso. In uno scrittore cos profondamente consapevole e dotato di assoluto controllo del mezzo espressivo come Platone sarebbe sorprendente se una scelta cos radicale e coerentemente perseguita fosse dovuta soltanto a un accidente biografico. Pi in particolare, deve farci riflettere il fatto che Platone non abbandoni la forma del dialogo nemmeno quando si dedica a temi lontani da quelli che sembra aver affrontato il Socrate storico, come avviene in dialoghi quali p.e. Cratilo, Teeteto, Parmenide e Sofista (nei quali si affrontano temi come il linguaggio, la definizione della conoscenza, la cosiddetta teoria delle idee o forme, la possibilit di dire il falso).
* Questo testo una versione rivista di quello da me presentato nel febbraio 2012 al seminario su La scrittura filosofica: la verit in scrittura, del quale conserva il tono colloquiale. Sono grato agli organizzatori per avermi invitato e a tutti i partecipanti in particolare Sergio Bernini e Renata Guerra per lutile e stimolante discussione. 2 Vale quindi la pena di esplorare la possibilit che Platone abbia altre motivazioni oltre al desiderio di celebrare il suo maestro di vita filosofica. E in effetti una lettura attenta dei dialoghi consente di identificare almeno un altro e pi profondo aspetto della questione. 1 Questo pu essere formulato schematicamente cos: Platone usa la forma del dialogo per evitare di prendere posizione direttamente sulle questioni discusse. Per capire bene qual il punto, per, occorre fare un passo indietro e mettere bene a fuoco un certo modo tradizionale di interpretare i dialoghi platonici. Secondo questa interpretazione tradizionale, i dialoghi possono essere divisi in due grandi gruppi. Da una parte un primo gruppo di dialoghi cosiddetti socratici, nei quali la commemorazione di Socrate si spinge al punto di mettere in scena una discussione aporetica, che non raggiunge una conclusione positiva, come pare essere stato tipico delle reali discussioni consotte da Socrate con i suoi interlocutori storici (ricordiamo che nellApologia, 20c-23b, Socrate si dichiara convinto di non essere sapiente in alcun ambito, e che la sapienza umana vale poco o niente e consiste semmai soltanto nel riconoscere di non essere sapiente). Distinto da questo primo gruppo di dialoghi aporetici e socratici, per, ce n un altro molto ampio e ulteriormente divisibile al suo interno sulla base di considerazioni relative al contenuto nel quale Platone parla invece in propria persona, talvolta proponendo dottrine filosofiche ben precise, talvolta invece sottoponendo a critica tali dottrine ma comunque sempre dando voce alla propria posizione filosofica, dogmatica o problematica che essa sia di volta in volta. Cos, p.e., dialoghi come Simposio, Fedone e Repubblica ci presentano le pi profonde convinzioni del loro autore in merito alla struttura della realt, allanima e al suo rapporto col corpo, allo Stato, ecc. Alcune di tali concezioni verranno riviste e riformate in dialoghi successivi, come Parmenide e Sofista; ma in tutti questi dialoghi comunque la voce di Platone che stiamo ascoltando, emessa attraverso un personaggio-portavoce che pu essere Socrate stesso o qualcun altro. Una lettura attenta dei dialoghi, per, deve indurci a mettere in dubbio lassunzione centrale che sta alla base di questo modo di leggere i dialoghi. Leggendo i dialoghi con attenzione ci rendiamo conto che, accanto a casi nei quali possiamo essere ragionevolmente sicuri che in effetti un personaggio (tipicamente Socrate) funga da portavoce di Platone, ce ne sono altri in cui la faccenda pi complicata e Platone sfrutta la finzione del dialogo per mettere una distanza tra s e quel che sostengono i personaggi, anche quelli principali, Socrate incluso. Troviamo cio una serie di casi nei quali piuttosto evidente che Platone vuol suggerire che noi lettori dovremmo avere un atteggiamento di critica o dubbio nei confronti di quel che viene sostenuto, riesaminarlo alla luce di una rilettura del dialogo e di una riflessione pi profonda e matura, e solo cos guadagnare il messaggio filosofico pi autentico che Platone vuol trasmetterci ammesso e non concesso che un tale messaggio positivo sia effettivamente disponibile. Vedremo fra un momento qualche esempio
1 Le considerazioni generali che seguono relativamente alluso della forma dialogica da parte di Platone sono in accordo con le conclusioni di M. FREDE, Platos Arguments and the Dialogue Form, in J.C. KLAGGE - N.D. SMITH (eds.), Methods of Interpreting Plato and His Dialogues, Oxford, Oxford UP 1992, pp. 201-219. Si veda anche la bella sintesi di M. VEGETTI, Quindici lezioni su Platone, Torino, Einaudi 2003, pp. 6685. Ma in realt lo spirito di questo approccio a Platone gi presente in G. GROTE, Plato and the Other Companions of Sokrates, London, John Murray 1888 3 , che p.e. afferma: The Platonic dialogues require, in order to produce their effect, a supplementary responsive force, and a strong effective reaction, from the individual reason of the reader (vol. III, p. 333). 3 di questa strategia autoriale. Ma prima di far questo importante coglierne fino in fondo le conseguenze a un livello generale. (1) Una prima conseguenza questa: se possibile reperire un certo numero di passi dei dialoghi nei quali le cose stanno come ho ora detto, allora ne segue che, messi davanti a un qualsiasi passo, non possiamo mai essere certi a priori che esso contenga lesposizione di una dottrina genuinamente platonica. Soltanto sulla base di un esame condotto caso per caso, soppesando empiricamente la presenza o assenza di indizi a favore di una tale lettura o contro di essa, possiamo decidere se sia possibile, probabile o magari addirittura certo che chi parla sia la voce di Platone. (2) Una seconda conseguenza della strategia autoriale che sto attribuendo a Platone, e di cui mi accingo a fornire esempi concreti, che Platone risulta essere pi fedele al modello socratico di quanto potessimo inizialmente supporre. Naturalmente c comunque una grande differenza tra il maestro e lallievo: fuori discussione che Platone ha idee molto precise su una quantit di questioni filosofiche dalle quali Socrate si tenuto lontano. Ma interessante vedere come il dialogo diventi lo strumento per non presentarci queste idee per cos dire dallalto, come accadrebbe se esse ci fossero impartite come veri e propri insegnamenti, nella forma di un trattato o magari di un poema filosofico alla stregua di quelli di Parmenide o di Empedocle, bens piuttosto per lasciare che queste idee si impongano nellambito di una discussione nella quale siamo coinvolti al pari dei personaggi messi in scena da Platone. (3) Infine una terza conseguenza che in questo modo riusciamo a dare un senso pi soddisfacente al famoso passo del Fedro (274b-277a) in cui Socrate esprime serie riserve sullutilit della scrittura rispetto alla conversazione viva. In quel passo Socrate afferma che
chi crede di tramandare una tecnica per iscritto, e chi a sua volta la riceve convinto che dallo scritto verr qualcosa di chiaro e di stabile, sarebbero pieni di grande ingenuit in quanto crederebbero che i discorsi scritti siano qualcosa di pi del richiamare alla memoria di chi gi sa gli argomenti trattati nello scritto Questo, infatti, Fedro, ha di terribile la scrittura, e davvero simile alla pittura. Effettivamente i prodotti della pittura stanno davanti come esseri viventi, ma se fai loro qualche domanda, tacciono solennemente. Lo stesso fanno anche i discorsi: potresti credere che essi parlino come se pensassero qualcosa, ma se tu volendo imparare domandi loro qualcosa di quanto dicono, ti indicano una cosa sola, sempre la stessa. (275c5-d9) 2
Al rigor mortis della scrittura, come dicevo, Socrate contrappone un altro tipo di discorso, fratello legittimo di questo, migliore e pi forte:
SOCRATE: quello che, accompagnato da scienza, scritto nellanima di chi apprende ed capace di difendere se stesso e sa con chi deve parlare e con chi tacere. FEDRO: Vuoi dire il discorso di chi sa, vivente e animato, del quale il discorso scritto potrebbe dirsi giustamente unimmagine. (276a5-9)
2 Qui e nel seguito traggo le traduzioni del Fedro da G. CAMBIANO, Dialoghi filosofici di Platone, Torino, Utet 1981, vol. II, con minime modifiche. 4 I discorsi scritti sono incapaci di parlare in propria difesa e incapaci di insegnare adeguatamente la verit; il filosofo dovrebbe scriverli per gioco, accumulando un tesoro di ricordi per s, qualora giunga la dimentica vecchiaia (276cd). Se partiamo dal presupposto che qui venga espressa la genuina opinione di Platone in merito alla scrittura, non possiamo che trovare paradossale questo atteggiamento bonariamente derogatorio in un autore che ci ha lasciato un corpus di una trentina di dialoghi che consideriamo un vertice della creativit umana. Possibile che Platone scriva un capolavoro come il Teeteto semplicemente per potersi riportare alla memoria il problema della conoscenza quando sar vecchio e un po svaporato? Ebbene, forse la prospettiva che siamo adottando ci consente almeno di attenuare il paradosso. Se i dialoghi funzionano nel modo che stiamo supponendo, allora sono s discorsi scritti, ma di un tipo molto speciale, e il coinvolgimento attivo che mirano a suscitare nel lettore quanto di pi vicino si possa avere alleffettiva partecipazione a una conversazione. 3
In realt, per, la prospettiva che stiamo adottando pu avere conseguenze anche pi radicali sullinterpretazione del passo del Fedro. Se in generale non c alcuna necessit a priori di identificare il punto di vista del personaggio Socrate con quello di Platone, allora anche in questo caso particolare non dovremmo presupporre senzaltro che la critica della scrittura avanzata nel passo da Socrate sia tutta e soltanto da attribuire a Platone. Anzi, poich quella critica risulta in parte problematica se appartiene al Platone autore di capolavori scritti, ma invece perfettamente coerente con la scelta, compiuta dal Socrate storico, di non comporre alcuno scritto filosofico, dovremmo lasciare aperta la possibilit che qui il personaggio dia in parte voce a quelle che (almeno secondo Platone) furono le motivazioni per le quali il Socrate storico scelse di filosofare solo attraverso la conversazione viva. Questultima proposta stata formulata da Herman Karsten in una dissertazione del 1864 che avremo occasione di menzionare anche in seguito. Poich lopera di Karsten oggi ben poco nota, vale la pena di riportarne un passo particolarmente efficace, che traduco dal suo latino:
Platone con ci che fa dire a Socrate ebbe principalmente lobiettivo di illustrare la ragione per la quale questi non espose i suoi pensieri con discorsi scritti, come i retori e i sofisti, bens in conversazioni; inoltre allo stesso modo spieg per quale motivo egli stesso, abbandonando labitudine, propria dei sofisti, di fare dissertazioni e declamazioni, compose non discorsi continuati [!"#$%&] ma dialoghi ['()!"#$%&], secondo lesempio del maestro, seguendo nello scrivere lo stesso principio che Socrate aveva insegnato nel discutere. Invece ritenere che Platone non abbia scritto se non per gioco ci di cui ha trattato nei dialoghi, ci che ha esposto riguardo al vero, al bello, al giusto, riguardo allo Stato, alla natura, alla conoscenza, allimmortalit, e che egli non abbia raccolto i suoi pensieri riguardo alle pi grandi questioni della filosofia, questo da uomo poco acuto, o piuttosto ingannato da unopinione preconcetta. 4
3 Cfr. B. WILLIAMS, Plato: The Invention of Philosophy, in B. W., The Sense of the Past. Essays in the History of Philosophy, ed. and with an intr. by M. Burnyeat, Princeton and Oxford: Princeton UP, pp. 148-186: pp. 178-179. 4 H.T. KARSTEN, Commentatio critica de Platonis quae feruntur epistolis, Trajecti ad Rhenum, Kemink et filius 1864, p. 205. Forse sarei anchio fra i tanti studiosi contemporanei che ignorano lopera di Karsten, se Myles Burnyeat non me ne avesse segnalato limportanza. 5
II
Veniamo infine, come avevo promesso, a vedere alcuni esempi, relativi tanto a singoli passi quanto a intere sezioni di testo. Cominciamo da un dialogo difficile: il Parmenide. Come si sa, nella prima parte di questo dialogo (126a-135c) il giovane Socrate espone a Parmenide e Zenone la sua concezione delle idee o forme, che viene poi sottoposta da Parmenide a una serie di critiche, tra le quali il famoso argomento del Terzo Uomo. Queste critiche mettono in difficolt Socrate, che reagisce riformulando via via la sua teoria, con ci esponendola ogni volta a un nuovo attacco da parte di Parmenide. Dobbiamo concludere da questa discussione che per Platone la concezione delle forme veramente affetta da insolubili aporie? Uninferenza di questo tipo sarebbe fallace: il fatto che il personaggio Socrate sia perplesso non implica (n daltronde, beninteso, esclude) che sia perplesso anche Platone, lautore. perfettamente possibile che Platone intenda mettere in scena una situazione in cui sta a noi lettori di prendere parte attiva nella discussione e intervenire contro Parmenide in difesa di Socrate. E in effetti il testo contiene indizi che vanno proprio in questa direzione. Consideriamo il primo argomento di Parmenide. Egli esordisce assicurandosi lassenso di Socrate alla premessa che esistono certe forme, partecipando delle quali queste altre cose hanno le loro denominazioni: p.e. venendo a partecipare della somiglianza diventano simili, venendo a partecipare della grandezza grandi, e venendo a partecipare della bellezza e della giustizia giuste e belle (130e5-131a2). 5 Poi Parmenide si concentra sulla relazione di partecipazione e chiede a Socrate:
Dunque ciascuna cosa che partecipa partecipa della forma intera o di una parte? O sarebbe possibile qualche altro modo di partecipare al di fuori di questi? (131a4-5)
Una volta che Socrate ha ammesso che non ci sono alternative, Parmenide si concentra sul primo corno del dilemma:
Ti pare dunque che lintera idea sia in ciascuna delle molte cose come qualcosa di uno, o come? (131a8-9)
E una volta che Socrate ha dichiarato che non vede che cosa dovrebbe impedire che le cose stessero cos, Parmenide conclude che
Quindi la forma, pur essendo una e identica, sar presente contemporaneamente come un intero in molte cose separate, e cos sarebbe separata da se stessa. (131b1-2)
Socrate fa un tentativo di resistere a questa conclusione:
5 Anche nel caso dei passi del Parmenide ho modificato in piccola misura la traduzione di CAMBIANO, Dialoghi, cit. 6 No, se, come il giorno, che uno e identico, contemporaneamente in molti luoghi senza essere per questo separato da se stesso, cos anche ciascuna delle forme fosse una e identica contemporaneamente in molte cose. (131b3-6)
Ebbene, che uso fa Parmenide di questo suggerimento di Socrate? Egli afferma ironicamente che Socrate ha trovato un bel modo di far s che qualcosa di uno e identico sia contemporaneamente in molti luoghi:
come se, dopo aver ricoperto con una vela molti uomini, tu dicessi che essa su molti come una e intera. O non qualcosa del genere che ritieni di dire? (131b8-9)
Forse (*+,&, 131c1), risponde Socrate vagamente; ma Parmenide si affretta a raggiungere la conclusione (131c2-7) che in tal caso non ci sar su ciascun uomo lintera vela, bens su ciascuno una parte diversa, e che quindi le forme sono divisibili in parti e le cose che ne partecipano partecipano di una parte di esse, e che in ciascuna cosa non c pi la forma intera, bens soltanto una sua parte. In altre parole, il primo corno delloriginario dilemma di Parmenide, per il quale Socrate aveva optato, si riduce al secondo, che daltra parte risulta ovviamente inaccettabile come descrizione del modo in cui le cose particolari partecipano delle forme. Come giudicare questo scambio? 6 Parmenide stato alquanto ingeneroso con Socrate: ha dato uninterpretazione troppo ristretta e materiale del suo riferimento alla relazione di partecipazione e ha illustrato lidea di Socrate che unidentica forma sia interamente presente al tempo stesso in particolari distinti con la controproducente analogia della vela. In effetti Socrate, come abbiamo visto, a 131c1 sembra esitare ad accettare lanalogia della vela, e poco prima ne aveva prodotta una diversa, ignorata da Parmenide, secondo la quale lidentit della forma nei diversi particolari da paragonare al caso del giorno. Socrate sta presumibilmente pensando al fatto che (p.e.) oggi lo stesso gioved 16 febbraio tanto a Firenze quanto a Pisa, simultaneamente, senza che Firenze e Pisa debbano ritagliarsi ciascuna una diversa porzione della stessa data. Questanalogia pu parere poco calzante rispetto al caso delle forme, ma ha almeno il merito che Parmenide non riconosce di sottolineare la necessit di concepire la partecipazione dei particolari alla forma, o la presenza della forma nei particolari, in termini pi astratti di quelli impiegati da Parmenide. Ebbene, nel momento in cui svolgiamo queste stesse considerazioni siamo gi stati coinvolti attivamente nel dialogo. Pi avanti Parmenide, a conclusione delle sue critiche, afferma che inevitabile imbattersi nella difficolt che egli ha sollevato relativamente alle forme, e che tuttavia queste continuano a costituire unipotesi irrinunciabile (134e-135c). Il problema, egli osserva, che Socrate si accostato alla teoria troppo presto, prima di essersi esercitato (135c8); egli deve dunque esercitarsi di pi per non lasciarsi sfuggire la verit (135d3-6, cfr. 136c, de). Nella seconda parte del dialogo (135e-165c)
6 Per le considerazioni che seguono sul ruolo delle due analogie della vela e del giorno si veda I.M. CROMBIE, An Examination of Platos Doctrines, London and New York, 2 voll., Routledge & Kegan Paul 1962-1963, vol. I, pp. 330- 331, e pi recentemente F. FERRARI, Parmenide antiplatonico. Riflessioni sul Parmenide di Platone, Rivista di cultura classica e medioevale 51.2 (2009), pp. 315330: pp. 318319. 7 Parmenide dar un saggio del tipo di esercizio dialettico che raccomanda a Socrate: egli si produrr in un impressionante tour de force, proponendo una serie di deduzioni che partono tanto dallipotesi molto astratta che luno esista quanto dallipotesi che luno non esista e da ciascuna delle due derivano conclusioni contraddittorie. Alla fine del dialogo Parmenide cos riepilogher i risultati raggiunti:
Sia se luno , sia se non , esso stesso e gli altri, tanto in relazione a se stessi quanto reciprocamente, sono e non sono, appaiono e non appaiono tutto sotto ogni aspetto. (166c3-5)
Le lunga e intricata seconda parte del Parmenide sempre stata oggetto di vivaci controversie. Tuttavia sembra ragionevole, ed largamente condiviso fra gli interpreti, osservare che Platone non pu certo avallare la conclusione che ho appena riportato, e che quindi pu soltanto pensare che almeno alcune delle deduzioni non siano corrette. In effetti, a ben guardare, a stabilire quella conclusione concorrono molte deduzioni pi o meno grossolanamente fallaci, che stanno nel testo fianco a fianco con altre che sono invece sottili e persuasive. Sta ancora una volta al lettore di distinguere opportunamente le une dalle altre attraverso unanalisi attenta, che tenga conto anche degli indizi lasciati da Platone. Cos p.e. quando la prima serie di deduzioni raggiunge la disperante conclusione che luno non , non esprimibile con un nome o una formula, e non oggetto di conoscenza, percezione o opinione (141e-142a), Parmenide chiede conforto al suo interlocutore (che in quella sezione un giovane filosofo di nome Aristotele), chiedendogli: Ma davvero possibile che a proposito delluno le cose stiano cos? e ricevendo in cambio la risposta A me almeno pare di no senza per che questo porti a una concreta revisione di quelle deduzioni, che evidentemente spetta a noi di compiere. Cos si d un senso particolarmente soddisfacente allaffermazione di Parmenide che tutto ci deve costituire unoccasione di esercizio e di giocare a un gioco laborioso (-.)#)/0(1'2 -)('(34 -)560(4, 137b2). 7
Situazioni simili a quella del passo sul giorno e la vela si presentano in altri dialoghi platonici. 8
Ci sono anzi dialoghi nei quali il lettore chiamato a compiere un sistematico esercizio dialettico analogo a quello richiesto dalla seconda parte del Parmenide: in particolare nellEutidemo sta a noi lettori, nella maggior parte dei casi, di capire che cosa c che non va nelle argomentazioni capziose dei sofisti. Ora per vorrei considerare qualche esempio tratto da un dialogo di cui dovremo parlare
7 Sulla seconda parte del Parmenide si veda R. ROBINSON, Platos Earlier Dialectic, Oxford, Oxford UP 1953 2 , pp. 23980. Robinson sintetizza la sua interpretazione a p. 264: The second part of the Parmenides is an exercise or gymnastic. It does not in itself attain truth of any kind; but it sets the muscles of the mind in a better state to obtain truth hereafter. Even to follow these arguments is a strenuous undertaking; to attempt, as we must, to see what is wrong with them calls for the greatest acuteness and persistence. Cfr. PLATONE, Parmenide, Intr., trad. e note di F. Ferrari, Milano, Rizzoli 2004, pp. 105-108. M.L. Gill, nella sua introduzione (pp. 1-123) a PLATO, Parmenides, Trans. by M.L. Gill and P. Ryan, Intr. by M.L. Gill, Indianapolis/Cambridge, Hackett 1996, fornisce uneccellente analisi delle argomentazioni della seconda parte (e pi in generale di tutto il dialogo). 8 Un caso molto interessante costituito da Teeteto 188c189b, nel quale Socrate da una parte propone una definizione della credenza falsa che sembra contenere unallusione allanalisi del falso avanzata nel Sofista (261d 263d), dallaltra sembra poi ignorare lallusione a favore di una lettura pi banale e attaccabile della proposta, che nel contesto del dialogo finisce cos col venire scartata. Si veda al riguardo M. BURNYEAT, Plato on How Not to Speak of What Is Not: Euthydemus 283a 288a, in M. CANTO-SPERBER, P. PELLEGRIN (a cura di), Le style de la pense. Recueil de textes en hommage J. Brunschwig, Paris, Les Belles Lettres 2002, pp. 40-66: pp. 43-48. 8 anche in seguito: il Cratilo. 9 Il tema centrale di questo dialogo la relazione tra i nomi e i loro referenti, le cose nominate: si tratta di capire se un nome sia legato al suo referente da una relazione naturale, indipendente dallarbitrio dei parlanti, o invece puramente convenzionale e arbitraria. La prima tesi, sostenuta da Cratilo, viene pi precisamente declinata nel dialogo come la tesi secondo cui un nome deve, attraverso la sua etimologia, dire qualcosa di vero sul suo referente, descrivendo o imitando in qualche modo la sua natura. Cos il nome asciugacapelli fa riferimento a una certa cosa solo se quella cosa ha effettivamente la natura di asciugare i capelli, e nessuna convenzione linguistica tra parlanti potrebbe far s che esso facesse invece riferimento a qualcosa di completamente diverso, come per esempio una variet di pomodoro. Ora, nel corso del dialogo questa tesi naturalista sui nomi viene inizialmente difesa da Socrate con una serie di argomenti, fino a venir dichiarata vincitrice (390de) e poi illustrata con una lunga serie di etimologie (390e- 427d). Da un certo punto in poi, per, Socrate comincia a sottoporre questa stessa tesi a una critica serrata, producendo una seconda serie di argomenti (428a-440d) che lo portano a concludere che la convenzione e laccordo tra i parlanti hanno almeno un certo peso nella relazione tra i nomi e le cose: alcune cose (come i numeri) hanno nomi il cui etimo non esprime affatto la loro natura; alcune hanno nomi il cui etimo fornisce addirittura una descrizione falsa della loro natura (per un esempio moderno si pensi p.e. alla parola atomo). Fra laltro Socrate conclude che Cratilo sbaglia a pensare, come pensa, che lo studio dei nomi possa darci conoscenza della natura dei loro referenti: la realt, la verit degli enti, deve essere investigata direttamente e non attraverso il tramite delletimologia (438d-439b). Ora, nel corso della sua palinodia Socrate non ritratta esplicitamente, se non in minima parte, gli argomenti da lui stesso precedentemente impiegati per sostenere la tesi che ora egli respinge. Sta al lettore, una volta arrivato alla fine del dialogo, di tornare al punto di partenza e chiedersi che cosa cera di sbagliato in quegli argomenti iniziali. E quando il lettore fa questo si accorge che alcuni di quegli argomenti erano in realt ambigui e ammettevano anche uninterpretazione innocua accanto a quella, pi ovvia, destinata a sostenere il naturalismo, mentre altri contenevano comunque la chiave per essere disinnescati. Incontriamo un esempio particolarmente chiaro a 393b-394a. 10 Socrate sta argomentando che una cosa naturale, non arbitraria, che un re e suo figlio abbiano entrambi nomi che esprimono una natura regale: p.e. Ettore (78/,., reggitore), e Astianatte (9+/%:4);, signore della citt). Per sostenere questa tesi Socrate comincia con lo stabilire un principio generale secondo cui, allinterno di un genere X, vale che un X genera un altro X, a meno di casi di generazione mostruosa:
9 Per una trattazione pi ampia e approfondita delle principali questioni relative allinterpretazione del Cratilo rinvio al mio The Cratylus of Plato: A Commentary, Cambridge, Cambridge UP 2011. Vedi anche Uninterpretazione del Cratilo di Platone, in M. ALESSANDRELLI, M. NASTI DE VINCENTIS (a cura di), La logica nel pensiero antico, Napoli, Bibliopolis 2009, pp. 1573. 10 Su questo passo e il suo contesto vedi pi diffusamente The Cratylus of Plato, cit., pp. 15278. Vedi anche Uninterpretazione, cit., pp. 3641. 9 SOCRATE: giusto, mi pare, chiamare la prole del leone leone e la prole del cavallo cavallo. Non dico nel caso in cui da un cavallo nasca per cos dire un mostro, qualcosa di diverso da un cavallo, ma parlo del genere di cui la prole per natura: se un cavallo genera contro natura un vitello, che per natura la prole di un bue, non bisogna chiamarlo puledro, ma vitello; n, credo, se da un uomo nasce qualcosa che non la prole delluomo, tale prole deve esser chiamata uomo; e lo stesso vale per gli alberi e tutte le altre cose; non sei daccordo? ERMOGENE: Sono daccordo. (393b7-c7)
Qui Socrate avanza il principio generale secondo cui un X genera un altro X con riferimento a casi in cui X , potremmo dire noi oggi, un genere naturale: animali, piante ecc. Questa unidea del tutto ragionevole. 11 Ma essa non basta a portare Socrate vicino a dove vuole arrivare, cio ai nomi di re. Per far ci Socrate procede a estendere il principio a coprire casi in cui X qualsiasi tipo di genere:
SOCRATE: Dici bene: perch devi stare attento a che io non ti tragga in inganno. Giacch in base allo stesso principio [8)/3 #3. /<4 )=/<4 !"#$4] vale anche che, se da un re nasce una qualche prole, questo deve esser chiamato re da un re verr un re, e da un uomo buono un uomo buono, e da un bello un bello, e cos in tutti i casi, da ciascun genere una prole siffatta, a meno che nasca un mostro. (393c8-d1, 394a1-4)
La mossa di Socrate del tutto illegittima: non affatto vero che da un uomo buono nasca un uomo buono, o da un re un re, in virt della stessa relazione di causalit naturale che fa s che da un leone nasca un leone. Ma la cosa notevole per noi il modo in cui Socrate introduce la sua mossa, cio le parole devi stare attento a che io non ti tragga in inganno. Giacch in base allo stesso principio. Queste parole suggeriscono chiaramente che (a) Socrate sta compiendo un passaggio ingannevole, (b) la natura dellinganno risiede nellassumere che lo stesso principio sia allopera quando da casi come leoni, buoi e alberi si passa a casi come re o persone buone o belle. 12
III
Vorrei ora voltare pagina e prendere in esame un testo che costituisce di solito una tappa obbligata nelle discussioni sulluso della scrittura in Platone. Come ben noto, insieme con i dialoghi ci giunto dallantichit un corpus di tredici Lettere attribuite a Platone. Mentre alcune di
11 Unidea che verr recepita da Aristotele nel suo famoso slogan un uomo genera un uomo: Metafisica, > 8.1033 b 2933; 9.1034 a 213; ? 3.1070 a 45. 12 In realt per ottenere il suo scopo, cio per far s che il principio secondo cui un X genera un altro X governi anche il caso di Ettore che genera Astianatte, Socrate deve compiere unulteriore mossa illegittima, cio obliterare la differenza tra termini generali (come sono tanto leone o uomo quanto re o buono) e nomi propri (come appunto Ettore o Astianatte). Socrate, tuttavia, non fa niente per segnalare esplicitamente questa seconda mossa. 10 queste sono sempre state liquidate come evidentemente spurie, alcune hanno suscitato maggiori discussioni; una in particolare, la VII, ha trovato autorevoli difensori. 13
La Lettera, indirizzata agli amici siracusani di Platone, contiene un famoso resoconto delle esperienze politiche giovanili di Platone e ripercorre le tappe del suo coinvolgimento nelle vicende di Siracusa. Ma la Lettera contiene anche un famoso excursus filosofico, nel quale lautore vuole spiegare perch, come afferma, sulle questioni filosofiche pi importanti, quelle alle quali mi interesso seriamente (341c1), non c alcun mio scritto, n mai potr esserci (c3-4). 14 Questa unaffermazione sconcertante, che sembra squalificare i dialoghi in blocco come se essi non fossero dedicati alle questioni alle quali Platone si interessa seriamente. Essa naturalmente stata utilizzata da quegli studiosi che sostengono che il pi vero e profondo insegnamento di Platone si trova non nei dialoghi, bens in certe dottrine non scritte che egli avrebbe trasmesso oralmente ai membri dellAccademia e alle quali fa riferimento Aristotele (Fisica 209 b 13-16). Qualunque cosa si pensi delle dottrine non scritte, comunque, ben difficile accettare lidea che Platone non annoveri tra i suoi interessi seri questioni trattate a lungo nei dialoghi come lanima, le forme, la virt, lo Stato o la conoscenza. 15
Ma perch lautore della Lettera non ha mai composto alcuno scritto su questi argomenti n mai lo comporr? Egli ci d subito una prima risposta:
Non si tratta assolutamente di una disciplina esprimibile [@2/"4] come le altre: solo in seguito a una lunga frequentazione e convivenza col suo oggetto stesso, essa nasce improvvisamente nellanima, come una luce accesa da una scintilla di fuoco, e si nutre poi di se stessa. (341c4-d2) 16
Qui di nuovo presente, come nel Fedro, lidea che la vitalit della riflessione e della conversazione filosofica ( chiaro che lautore non ha in mente, o non soltanto, riflessioni solitarie: cfr. 344b) insostituibile dalla rigidit della parola scritta: la filosofia deve essere praticata e vissuta, non riferita o spiegata. Ci sono per anche alcune differenze rispetto al Fedro, che rendono la posizione espressa nella Lettera ben pi problematica. Nel Fedro non si afferma che le verit filosofiche non possano o non debbano essere messe per iscritto, ma solo che i testi scritti dovrebbero avere una funzione puramente ancillare (ausilii per la memoria) rispetto alla forma principale di comunicazione filosofica, che la conversazione viva; la Lettera invece condanna
13 Fra gli altri si veda G. PASQUALI, Le lettere di Platone, Firenze, Sansoni 1967 2 , pp. 42140; la pi recente difesa dellautenticit si trova forse in PLATONE, Lettere, a cura di M. Isnardi Parente, traduzione di M.G. Ciani, Milano, Mondadori 2002. 14 Con scritto traduco il greco +A##.)). Non plausibile il tentativo di alcuni interpreti di sostenere che il termine qui abbia un significato pi specifico, trattato: tutto quello che lautore dir nel seguito si applica chiaramente a qualsiasi forma di espressione scritta. 15 Da qui in poi la mia discussione fortemente in debito nei confronti di H.T. KARSTEN, Commentatio, cit., pp. 190- 206, e A. MADDALENA, Esame analitico delle Lettere, Appendice a PLATONE, Lettere, a cura di A. M., Bari, Laterza 1948, pp. 75-407: pp. 279-335, che propongono una disamina delle assurdit filosofiche della Lettera e dei suoi rapporti con i dialoghi. Ho ritenuto lecito, per brevit e in considerazione degli scopi di questo contributo, astenermi dal segnalare in dettaglio le mie consonanze e dissonanze nei confronti di questi autori. 16 Qui e nel seguito ho modificato la traduzione di Piero Innocenti (PLATONE, Lettere, introduzione di D. Del Corno, premessa al testo, traduzione e note di P. I., Milano, Rizzoli 1986). Cito il testo secondo ledizione di J.J. MOORE- BLUNT, Platonis Epistulae, Leipzig, Teubner 1985, numerando per le righe di ogni singola sezione della pagina (come prassi nei dialoghi di Platone) anzich quelle della pagina intera come fa la studiosa. 11 qualunque forma di espressione scritta. Inoltre nella Lettera abbiamo inequivocabilmente davanti un autore che espone le proprie opinioni in prima persona; non quindi possibile a differenza che nel Fedro tentare di scaricare su qualcun altro il peso delle affermazioni dellautore. Lautore della Lettera, per, non si accontenta delle poche parole che abbiamo letto ora. Egli prosegue affermando che le sue dottrine filosofiche non devono essere divulgate alla moltitudine, perch verrebbero disprezzate da alcuni e riempirebbero altri di vane speranze (341de). Questa motivazione non pare equivalente alla precedente: prima lautore sembrava parlare di dottrine che non possono essere comunicate, ora invece parla di dottrine che non devono essere comunicate. anche una motivazione poco in chiave con lo spirito che anima lopera di Platone, i cui dialoghi sono rivolti a una minoranza di lettori illuminati e non tengono certo conto delle reazioni che potranno suscitare nella maggioranza. Sia come sia, poco oltre (342a1 ss.) lautore decide di spiegare pi diffusamente che cosa c che non va nellidea di scrivere di tali questioni. Le sue spiegazioni costituiscono il cosiddetto excursus filosofico della Lettera e meritano una discussione da parte nostra.
A ciascuno degli enti appartengono tre cose attraverso le quali necessariamente sopraggiunge la conoscenza di esso; il quarto la conoscenza stessa, e come quinto bisogna porre ci che conoscibile e veramente dotato di essere. Uno il nome [B4$)], il secondo la definizione [!"#$&], il terzo limmagine [0*',!$4], il quarto la conoscenza [C-(+/D2]. (342a6-b2)
Questo si preannuncia come un testo molto difficile. Il principale chiarimento che ci serve per il momento che, come emerge nel seguito (342bd), loggetto o ente di cui stiamo parlando una forma platonica: p.e. la forma di circolo. Per restare a questo esempio, il nome sar quindi proprio la parola circolo; la definizione, ci che ha pari distanza in tutte le direzioni dagli estremi al centro; le immagini, i particolari sensibili, cio i circoli concreti disegnati o modellati. Ora, lidea che questi tre elementi, e proprio in questordine, possano essere considerati come stadi iniziali e preparatori verso il raggiungimento della conoscenza di una forma alquanto bizzarra. Tanto per cominciare, inspiegabile che venga assegnato un rango cos basso alla definizione, che Platone normalmente considera invece come lobiettivo ultimo dellattivit dialettica (cfr. p.e. Repubblica 534bd). 17 Ma il nostro passo contiene unidea forse ancor pi strana: la conoscenza
17 M. Isnardi Parente (PLATONE, Lettere, cit., p. 241) sostiene che se !"#$& qui fosse la definizione della cosa la lettera sarebbe senzaltro spuria, ma che qui il termine non significa altro che discorso (cos come in Soph. 262d, Theaet. 206ce). Ora, indubbiamente il fatto che lautore precisi che il !"#$& composto da nomi e verbi (342b5) sembra suggerire che si tratti semplicemente di un enunciato. Ci nonostante il suggerimento della Isnardi Parente implausibile, per diverse ragioni. (a) Poich ci sono enunciati veri ed enunciati falsi, lenunciato in generale difficilmente pu essere considerato uno stadio nellacquisizione della conoscenza. (b) Non sar certo casuale che lautore esemplifichi il !"#$& con una vera e propria definizione (anzi, pi precisamente un definiens), ci che ha pari distanza in tutte le direzioni dagli estremi al centro, che occorre quasi identica in Parmenide 137e ed molto simile a quella presente negli Elementi di Euclide, 1 Def. 15. (c) Lautore parla del !"#$& di qualcosa (342b6, b8), costruendo il termine greco col genitivo: una scelta piuttosto innaturale se si trattasse di un semplice enunciato, ma del tutto ovvia se invece di una definizione che si tratta ( vero che nel Sofista si dice che Teeteto siede un !"#$& di Teeteto, ma l Platone ha dei motivi speciali per usare il genitivo: vedi M. FREDE, The Sophist on False Statements, in R. KRAUT (ed.), The Cambridge Companion to Plato, Cambridge, Cambridge University Press 1992, pp. 397-424: p. 416). La stessa Isnardi Parente deve del resto ammettere che la definizione deve essere inclusa nellambito del !"#$& (p. 241) con il che il problema rimane tale e quale. 12 essa stessa uno stadio preparatorio verso lincontro con la forma. Ora, non si vede in che cosa dovrebbe consistere il passaggio dal quarto al quinto stadio, cio lincontro con la forma, se non appunto in unacquisizione di conoscenza, come del resto lautore stesso affermer in 342e1-2:
se uno non si impadronisce dei quattro stadi in qualche modo non avr mai parte compiutamente della conoscenza [C-(+/D2&] del quinto.
Che senso ha sostenere che la conoscenza di X inferiore a X stesso e deve essere superata per raggiungere la conoscenza di X? Davanti a questa difficolt gli interpreti spesso fanno ricorso alla supposizione che lautore intenda distinguere due tipi di conoscenza, uno imperfetto o volgare e uno perfetto o filosofico. Ma di una tale distinzione (anche a voler ammettere che essa sia sufficiente a risolvere il problema) non c traccia alcuna nel testo, quando invece ci sarebbe assoluto bisogno che essa venisse resa esplicita, se fosse presente. Inoltre la supposizione trova un altro ostacolo poco pi avanti, dove lautore spiega pi ampiamente che al quarto stadio troviamo, non semplicemente la conoscenza, ma conoscenza e intelligenza e opinione vera (C-(+/D2 8)E 4$F& G!2HD& /0 '";), 342c3-4), e che fra questi lintelligenza che si avvicina pi da presso al quinto per affinit e somiglianza; gli altri ne sono pi distanti (342d1-2). Qui molto significativo luso del termine intelligenza (4$F&). Questo termine usato per indicare lo stato cognitivo supremo tra quelli distinti nella Repubblica, 511d; 18 cos anche nel Timeo lintelligenza la facolt con cui si contemplano le forme e quella che impiega Dio nella sua attivit (29b, 48a, 51d). Nella Lettera invece lintelligenza (pur occupando il primo posto allinterno del quarto stadio) costituisce, come la conoscenza, una forma di comprensione ancora imperfetta delloggetto, preliminare allacquisizione della conoscenza delloggetto. Ci problematico rispetto alluso del termine negli altri dialoghi, ma lo anche alla luce del fatto che pi avanti lautore descriver lesito finale del processo cognitivo come un momento in cui si raggiunge proprio intelligenza riguardo a ciascun oggetto (344b6-7). Dovremmo forse supporre la presenza non solo di due tipi di conoscenza, ma anche di due tipi di intelligenza? Insomma, tutto il passo seriamente problematico. N le cose vanno a migliorare nel seguito. Poche righe dopo lautore afferma che i quattro stadi che dovrebbero prepararci alla conoscenza del quinto hanno questo difetto cruciale (342e2-343a1):
essi tentano di indicare non meno la qualit [/< -$I"4 /(] relativa a ogni cosa che lessere [/< B4] di ogni cosa, a causa della debolezza delle espressioni linguistiche ['(3 /< /J4 !"#,4 G+H04K&].
In che consista questa distinzione tra indicare lessere e indicare la qualit non immediatamente chiaro: la terminologia usata non ha paralleli in Platone, bench qui venga presentata senza spiegazioni. Anche alla luce del fatto che pi avanti per fare nuovamente riferimento all essere lautore impieghi lespressione il che cosa (/< /5, 343c1), possiamo supporre che si tratti di una differenza tra indicare lessenza di qualcosa e indicare qualche
18 Nella Repubblica lo stesso stato chiamato anche intellezione (4"2+(&). 13 caratteristica pi generica o pi estrinseca riguardo a quella cosa. 19 Nel Menone, 71b, 87bc, troviamo una distinzione di questo genere tra sapere che cos X (/5 C+/(4: p.e. sapere che cos la virt, oppure sapere chi Menone) e sapere che tipo di cosa X (L-$I"4 /5 C+/(4: p.e. sapere che la virt insegnabile, oppure sapere che Menone bello o ricco). Ma che cosa intende il nostro autore quando sostiene che ciascuno dei quattro stadi indica la seconda cosa non meno che la prima? Poche righe pi sotto lautore ci d quella che si presenta come una spiegazione dettagliata, ma nel frattempo ribadisce che questa irrimediabile debolezza che dovrebbe sconsigliarci di affidare allo scritto i nostri pensieri (343a1-3). Si noti come con ci siamo tornati allidea iniziale, secondo cui non dovremmo scrivere perch certe verit sono inesprimibili, non perch vogliamo evitare di avere effetti indesiderati sui nostri ascoltatori, come lautore aveva affermato in 341de. Le spiegazioni su essere e qualit cominciano in 343a3 e si fondano su due punti principali. (1) I particolari sensibili (le immagini del terzo stadio) esemplificano la forma soltanto in modo parziale e contraddittorio: p.e. un circolo concreto non perfettamente circolare. Non affatto chiaro in che senso questimperfetta esemplificazione della forma si traduca in unindicazione della qualit della forma o dipenda dalla debolezza delle espressioni linguistiche, ma lascer da parte questo punto per concentrarmi invece sul secondo: (2) i nomi (primo stadio) sono convenzionali. Cos si esprime lautore:
Diciamo che nessuna di queste cose ha alcun nome stabile, e che niente impedisce che le cose ora chiamate rotonde siano chiamate diritte e le cose diritte circolari, e che esse siano per niente meno stabili per coloro che cambiano luso e chiamano le cose allinverso. (343b1-4)
Se le stacchiamo dal loro contesto, queste parole sembrano prese dal Cratilo, dove il difensore del convenzionalismo, Ermogene, le cui posizioni Socrate finir con laccettare almeno in parte, sostiene appunto che
qualunque nome uno imponga a qualcosa, questo il nome corretto; e se in seguito ne impone un altro al suo posto, e non chiama pi la cosa con quel nome, il secondo nome non meno corretto del primo, cos come cambiamo nome ai nostri schiavi. (Cra. 384d2-5)
Nel seguito si insiste sul fatto che per Ermogene possibile invertire una convenzione esistente, cominciando p.e. a chiamare uomo il cavallo e cavallo luomo, oppure grande il piccolo e piccolo il grande (Cra. 385ab, 433e), e daltra parte si chiarisce anche che questa situazione di arbitrio linguistico non ha niente a che fare col relativismo ontologico di Protagora: linstabilit dei nomi con cui chiamiamo le cose non implica uninstabilit della natura delle cose stesse (385e- 386a).
19 In tal caso tradurre /< -$I"4 /( come la qualit o il quale in qualche modo fuorviante, perch non in questione la qualit nel senso caratteristico p.e. della categoria aristotelica, distinta da altre come sostanza o quantit. Una traduzione pi fedele al senso potrebbe forse essere il di che tipo. Cfr. quanto osservo subito dopo nel testo su Menone 71b, 87bc. 14 Ma in che modo la convenzionalit dei nomi dovrebbe esemplificare la debolezza delle espressioni linguistiche, come la chiama il nostro autore, e far s che il nome indichi la qualit della forma e non il suo essere? Ammesso e non concesso che nel linguaggio attualmente in vigore i nomi cane e gatto trasmettano un qualsiasi genere di informazioni sulla natura del cane e del gatto, come possono tali informazioni essere rese meno precise dal fatto che possiamo convenzionalmente decidere di chiamare invece il cane gatto e viceversa? 20
Qui utile un ulteriore confronto col Cratilo. Come abbiamo visto prima, in questo dialogo Socrate conclude che i nomi (cio lo studio delletimologia dei nomi) non ci portano conoscenza delle cose, ma non trae affatto da ci argomento per lamentare linefficacia cognitiva dei nomi. Piuttosto, egli conclude positivamente che le cose devono essere investigate direttamente, senza nomi (438d-439b), cio attraverso unindagine metafisica autonoma. Dunque la posizione del Socrate del Cratilo ben diversa da quella dellautore della Lettera. 21
Vorremmo che la Lettera desse risposta a tutti i nostri dubbi e quesiti; ma la risposta non arriva. Lautore osserva, abbastanza sensatamente, che linstabilit delle singole parole implica immediatamente quella delle definizioni, che da parole sono costituite (343b4-5). Dopo ci sarebbe vitale che ci parlasse delle manchevolezze del quarto stadio, spiegandoci in che senso la conoscenza di qualcosa non ci dia se non uninformazione imprecisa su quella cosa; ma lautore non dice niente di tutto ci. Egli passa invece a ripeterci che ciascuno dei quattro stadi incluso il quarto mette davanti alla nostra anima non l essere o il che cosa, bens la qualit (343b5-c2) e con ci ci rende confusi ed esposti a ogni sorta di confutazione quando dobbiamo capire qualcosa del quinto stadio. La causa di tanta confusione non sta in noi: la natura di ciascuno dei quattro, che debole (343c3-e1). Nella parte finale dellexcursus la Lettera accenna a come potremmo, nonostante tutto, trascendere queste nostre difficolt cognitive e conquistare infine conoscenza della forma (343e1- 2, cfr. 342e1-2: senza tenere alcun conto, naturalmente, del fatto che la conoscenza fosse essa stessa parte del quarto stadio da trascendere). Si tratta di passare attraverso tutti e quattro gli stadi, spostandosi dalluno allaltro in su e in gi; di sfregare faticosamente luno contro laltro ciascuno di questi elementi: nomi, definizioni, visioni, sensazioni finch non rifulge improvvisamente comprensione e intelligenza riguardo a ciascun oggetto (344b4-7). In che cosa possano mai consistere questi sfregamenti un gran mistero. Possiamo supporre che una parte del processo consista nel fatto che il filosofo sperimenter varie definizioni della forma oggetto della sua ricerca, confrontandole luna con laltra e con le esemplificazioni sensibili della forma; ma rimane oscuro in che modo nomi puramente convenzionali potrebbero essere utilmente sfregati con le definizioni o con le esemplificazioni sensibili. In ogni caso, gli sfregamenti devono naturalmente aver luogo attraverso la viva pratica di indagini benevole e condotte da parte di chi senza invidia si serve di domande e risposte; per questo motivo ogni uomo serio non si azzarder ad affidare allo scritto riflessioni filosofiche o leggi (344b5-d2).
20 Sono grato a Myles Burnyeat per aver attirato la mia attenzione su questo punto in una lettera del dicembre 2001. 21 Vedi il mio The Cratylus of Plato, cit., pp. 424-425. 15 Cos finisce lexcursus filosofico della VII Lettera. Non mi dilungher proponendo altri commenti o identificando come pure sarebbe facile fare e altri hanno fatto altri punti problematici oltre a quelli che ho discusso sin qui. Anche solo sulla base della limitata discussione che abbiamo condotto sinora mi pare estremamente difficile evitare la conclusione che quel che abbiamo davanti un testo molto confuso, frutto di unimperfetta assimilazione e ricombinazione di frammenti di diversi dialoghi platonici. Per questo penso, in definitiva, che le affermazioni contenute nella Lettera non dovrebbero avere alcun peso nella ricostruzione del pensiero di Platone, e che il titolo del mio intervento per tornare infine l da dove siamo partiti richiederebbe una correzione: Linguaggio della filosofia e filosofia del linguaggio in Platone e nello pseudo-Platone.
(La Scuola Di Platone 1) Margherita Isnardi Parente-Speusippo Frammenti. Edizione, Traduzione e Commento-Bibliopolis - Istituto Italiano Per Gli Studi Filosofici (1980)