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.Si esponga la concezione platonica della dialettica.

La parola “dialettica” deriva dal verbo greco “dialegesthai” che significa “discutere”, “dialogare”.
Questi termini indicano con chiarezza il retroterra culturale al quale Platone si riferiva nella sua
decisione di fare della dialettica la tecnica per eccellenza dell’indagine filosofica. Si trattava di una
pratica culturale che da gran tempo costituiva il fulcro della vita sociale di Atene. Le maggiori
decisioni politiche venivano prese dopo ampie discussioni in cui le tesi rivali si confrontavano di
fronte all’assemblea cittadina. La sofistica aveva generalizzato questa pratica sociale
trasformandola in un’arte del persuadere e dell’attrarre consensi mediante l’argomentazione per
tesi contrapposte. La forma della discussione e del confronto si imponeva a Platone non solo
come lo strumento necessario per la costruzione del sapere filosofico, ma risultava necessaria per
la rifondazione di questa forma che era stata storpiata dall’arte retorica.

Platone pone la dialettica al primo posto nella sua gerarchia dei saperi. Nel 6 libro della
Repubblica Platone fornisce per mezzo dell’immagine della linea un quadro delle modalità
conoscitive alle quali gli uomini hanno accesso. Al vertice della linea Platone colloca la noesis, la
quale si identifica con la razionalità dialettica, vale a dire con il metodo della filosofia vera e
propria. La noesis è in grado di risalire al di sopra delle ipotesi in direzione di un principio
anipotetico e sviluppa le sue procedure all’interno della sfera intelligibile, senza servirsi di esempi
e immagini sensibili. Solo nell’ambito di una simile procedura di giustificazione e fondazione delle
ipotesi, è possibile raggiungere la conoscenza autentica (episteme). Oltre che nella Repubblica,
anche nel Fedone Platone esplicita passo per passo in cosa consiste la dialettica: l’assunzione di
un’ipotesi, la deduzione di una serie di conseguenze che si accordino con l’ipotesi di partenza e
l’eventuale rifiuto dell’ipotesi iniziale, se essa conducesse a conclusioni assurde, e la
giustificazione razionale dell’ipotesi per mezzo di un’ipotesi superiore, fino al conseguimento di un
principio non ipotetico. Platone sembra poi assegnare alla dialettica una funzione direttiva nei
confronti delle discipline matematiche. Gli specialisti di queste ultime non sono in grado di servirsi
dei risultati ai quali pervengono nelle loro indagini, che consegnano ai dialettici, i quali non solo ne
sanno cogliere il senso filosofico, ma sono capaci di valorizzarli dal punto di vista dell’interesse
della comunità.

(Quindici lezioni su Platone, Introduzione a Platone)

Perché Platone scrive dialoghi e perché è paradossale in un certo senso l’esistenza di un corpus
di dialoghi scritti?

I dialoghi platonici, per la loro stessa esistenza, costituiscono un paradosso. Si tratta del primo
grande corpus di scritti filosofici che l’antichità abbia conosciuto, eppure il suo autore è stato
colui che ha negato con maggiore fermezza la possibilità che il pensiero filosofico possa venire
messo per iscritto, rifiutando l’adeguatezza della scrittura a esprimere i modi, le forme, i contenuti
di sapere. In un passo della sua lettera settima sostiene che la scrittura sia inadeguata per
trasmettere il sapere filosofico in quanto la mancanza della presenza dell’autore implica: che il
testo non possa essere interrogato e non sia calibrato sulla capacità di fruizione di un lettore e
non da’ la possibilità al lettore di capire meglio quello che legge, inoltre l’autore non può
difendersi. Un altro problema legato alla forma scritta è che chi trasmette il proprio sapere per
mezzo della scrittura lo fa indipendentemente dal fatto che l’altro sia o meno in grado di
accogliere questo pensiero. A questa metodologia Platone oppone l’interrogazione con la quale
attraverso l’interazione con l’altro si può giungere ad una verità superiore rispetto a quella a cui si
giungerebbe individualmente. In un altro passo della lettera settima, affronta un ulteriore
problema: la dichiarazione esplicita del fatto che esistono dei saperi filosofici che Platone non ha
affidato alla scrittura per due ragioni: il destinatario deve essere una persona cresciuta
intellettualmente che ha intrapreso un percorso con il maestro ed è in grado di accogliere e
comprendere queste dottrine; vi è inoltre una difficoltà teoria nel mettere per iscritto queste
dottrine che non hanno raggiunto un livello di elaborazione tale da poter essere messe per iscritte
e trasmesse universalmente. Ci sono diversi motivi per cui Platone ha deciso di scrivere dialoghi:
vuole dare delle indicazioni su come fare filosofia, offrendo dei modelli dialogici basati
sull’esperienza socratica. La forma dialogica inoltre permette a Platone di mettere in scena
un’intera società (chiamata da Vegetti “società dialogica”) per permettere al lettore di identificarsi
con i personaggi messi in scena e lasciarsi coinvolgere nel meccanismo dialogico.

(Questa risposta è di pari passo con gli appunti perché lei ha spiegato seguendo esattamente ciò
che diceva Quindici lezioni su Platone)

Si forniscano le principali letture del mito della caverna

Il mito della caverna è un’allegoria che sintetizza e racconta per immagini tutta l’ontologia e la
gnoseologia che emerge nella Repubblica di Platone. In quanto allegoria, non è sempre facile
tradurre concettualmente tutte le immagini. La condizione umana veniva rappresentata mediante
l’immagine di prigionieri incatenati in una caverna e costretti a rivolgersi verso la sua prete di
fondo. Essi potevano vedere soltanto le ombre di statuette e forme che venivano mosse alle loro
spalle da altri uomini, simbolo dei governanti che impongono un’educazione unidirezionale,
proiettate da un fuoco, simbolo del Sole che è condizione di possibilità di conoscenza degli
oggetti sensibili, posto verso l’imboccatura della caverna. Da un punto di vista ontologico, le
ombre rappresentano le immagini degli enti fisici e le statuette, gli enti fisici. Questa condizione
degli uomini prigionieri corrispondeva, nella metafora della linea utilizzata da Platone per spiegare
la sua gerarchia dei saperi, a quella del segmento inferiore della linea, i cui oggetti sono realtà
sensibili e la cui forma conoscitiva è quella dell’opinione. Tuttavia è problematico associare la
condizione normale dell’individuo come qualcuno che guarda immagini di realtà empiriche. Ma se
un prigioniero venisse liberato ad opera di un Maestro come Socrate, egli potrebbe risalire verso
l’esterno della caverna, scoprendovi il mondo “vero” della natura illuminata dalla luce solare, che
corrispondeva, nel modello della linea, all’ambito degli enti ideali. Questa ascesa significava la
possibilità di un movimento conoscitivo che porta dal mondo dei sensi e dell’opinione a quello
delle idee e del pensiero dianoetico e noetico. Va sottolineato che non esistono in realtà due
mondi, per gli uomini che hanno un corpo e vivono nel tempo, c’è un solo mondo, ed è quello
della caverna. “Liberazione” e “ascesa” significano non uno spostamento nello spazio ma una
conversione dello sguardo intellettuale. L’allegoria comporta anche un’importante conseguenza, il
filosofo liberato doveva tornare a rivolgere lo sguardo verso il basso, verso i saperi e la politica dei
prigionieri. Si trattava di un dovere morale neo riguardi di quei vecchi compagni di prigionia che
avevano consentito la liberazione educativa dei filosofi.

(Per rispondere a questa domanda ho seguito gli appunti, 15 lezioni su Platoneu e c’è una piccola
parte interessante nell’Introduzione a Platone a pagina 104, relativamente al problema
dell’interpretazione delle ombre)

In che modo Platone delinea la Kallipolis

Nella Repubblica, Platone espone il suo progetto etico-politico che ha come scopo quello di
individuare la migliore classe dirigente ed esplicitare quali sono le condizioni per una società
giusta ed una città idealmente perfetta: la Kallipolis. L’analisi per l’attuazione di questo progetto
inizia da una contrattazione delle funzioni principiali all’interno di una città: produzione, difesa,
governo. Per ciascuna di queste funzioni è possibile individuare una condizione di eccellenza: la
produzione è compito dei produttori, la cui virtù è la temperanza, la difesa e il governo sono
compito dei custodi, rispettivamente i guerrieri, la cui virtù è il coraggio, e i governanti la cui virtù
è la saggezza. In questo disegno delle condizioni di eccellenza all’interno di una città, la giustizia
si pone come armonizzazione di tutte le altre virtù. Tutto ciò si riflette in un’analisi psicologica
degli individui più adatti ad inserirsi nelle diverse categorie sociali: questo perché secondo
Platone, questa struttura della polis si riflette in quella che è la struttura psichica di ogni individuo.
Platone riconosce all’interno dell’anima tre pulsioni: il desiderio, la forza e la ragione. In ogni
individuo può prevalere una delle tre diverse pulsioni. Le persone in cui domina la parte
concupiscente in una città è bene che si occupino della produzione delle cose materiali. Le
persone che possiedono la forza sono le persone più adatte a difendere la città. Le persone in cui
prevale la parte razionale sono le più adatte a governare la città. Il problema successivo per
Platone è come si realizza da un punto di vista storico-politico questa società: Platone da’ tre
indicazioni sconvolgenti che egli stesso chiama “le tre ondate”: parificazione dei generi, abolizione
della proprietà privata, governo affidato ai filosofi. Le prime due ondate sono due aspetti dello
stesso problema: chi abita la città deve essere disinteressato rispetto al proprio ambito privato ed
essere al servizio della comunità, per questo va abolito il privato. Questa abolizione della proprietà
privata ha come implicazione anche un ripensamento del ruolo della donna a cui viene
riconosciuta la stessa dotazione naturale dell’uomo. I governanti invece saranno selezionati tra i
custodi con le più spiccate doti intellettuali e conoscitive e verranno educati attraverso la
disciplina del corpo, l’educazione musicale, la matematica e la filosofia. Il problema principale è
che un governante così istruito non ha più voglia di governare, dunque il meccanismo che
immagina Platone è un meccanismo di rotazione del governo in cui il governo è concepito come
risarcimento che il filosofo da’ alla propria città per aver potuto godere di un certo tipo di percorso
educativo.

(Appunti e Introduzione a Platone)

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