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FEDRO

(all’esame chiede qual è l’idea di Platone, il senso del dialogo e poi si leggerà e spiegherà qualche dialogo)

Partiamo dal testo, dal dialogo, che si occupa della follia e delle conseguenze che si hanno quando non
viene applicata la razionalità. In particolare parleremo di uno dei quattro tipi di follia: quella erotica.

Si parla tramite metafore. Platone nei suoi dialoghi non ci entrava mai, non parlava in prima persona, ha
sempre un atteggiamento distaccato. Egli utilizza questi personaggi proprio perché lui vuole rimanere fuori
da questi dibattiti ed essere obiettivo.

Vedremo qual è la concezione di Platone così la riconosciamo nel dialogo.

Uno dei principali temi del dialogo è la critica alla scrittura. Platone è allievo di Socrate, il quale non ha
scritto nulla, perché la conoscenza non deve essere affidata alla parola scritta. Platone la pensa come
Socrate però sembra una contraddizione, perché scrive molti testi. Critica il testo scritto ma lo ritiene valido
per alcuni motivi:

1. serve alla divulgazione, se si vuole lasciare una testimonianza o se si vuole far conoscere qualcosa al
pubblico
2. serve per trasmettere nozioni attraverso lo spazio e il tempo che però non rappresentano il vero
sapere (il sapere non può essere una frase, una nozione che viene trasmessa da un individuo
all’altro). Quindi le nozioni si devono distinguere dal vero sapere, sono utili ma non sono il vero
sapere

Sono state date varie interpretazioni sul rapporto tra Platone e la scrittura:

1. la scuola di pensiero della scuola di Tubinga reale e di Giovanni Reale, pensavano che il parere di
Platone sulla scrittura fosse che essa serve alla divulgazione
2. filosofo Schleiermacher del periodo del Romanticismo, pensava che il parere di Platone sulla
scrittura fosse che essa serviva per trasmettere nozioni e aiutare la memoria

Platone si pone il problema del significato della scrittura perché egli ci sta comunicando, con il suo testo, la
filosofia. Platone pensa che c’è una fondamentale incompatibilità tra il testo scritto e il discorso filosofico.
Egli quindi sta comunicando un discorso filosofico tramite un mezzo che non gli piace particolarmente, ma
deve per forza comunicare questo discorso filosofico.

Se non riesce a comunicare al mondo la filosofia, il mondo non sarà guidato dal sapere e sarà preda e in
balia:

1. o delle passioni

Il termine greco che indica le passioni è Eros. Eros appartiene a uno dei 4 tipi di follia divina: la follia erotica,
la passione è un tipo di follia. Per questo il mondo non dovrebbe essere guidato dalle passioni.

Platone distingue l’eros dall’amore: eros è la passione, l’amore è filia, intesa come affetto e rapporto, tra
amici, tra coniugi, tra concittadini. L’amore tra due coniugi ai tempi di Platone non è l’eros ma è intesa
come filia. I matrimoni tra i greci non avvenivano per motivi sentimentali o di passione, ma per motivi
economici, politici, ecc. La filia aveva una funzione pratica, l’andare d’accordo nelle relazioni.
La pederastia era il rapporto tra un fanciullo (12-17 anni) e un adulto (il suo maestro, che lo istruiva su tutti i
vari saperi), rapporto riconosciuto dalla società che aveva funzioni educative ma anche aspetti sentimentali,
sessuali e fisiche. Era un rapporto regolato da regole e norme. L’eros quindi ha anche funzione educativa, di
istruire, di dare il sapere all’interno di questo rapporto pederastico.

2. o della retorica

L’atteggiamento generale di Platone nei confronti della scrittura e della trasmissibilità del sapere. La
maggior parte delle opere di Platone sono dei diloghi, ma non tutte.

In un opera di Platone (forse è sua, non tutti sono d’accordo, ad oggi si pensa sia autentica), lettera settima,
egli dice delle cose insolite per il suo pensiero. Qui si interroga sul problema della trasmissibilità del sapere:
posso trasmettere il mio sapere senza ridurlo a delle semplici nozioni? Egli racconta un suo problema
personale: il tiranno Dionisio, quando Platone parlava, prendeva appunti e faceva passare delle cose che
ha detto Platone come un qualcosa detta da lui. Mettendo il sapere per iscritto quindi lo si mette a
disposizione di tutti e lo si espone ad usi che possono essere disonesti. Infatti per Platone la scrittura non
deve servire per il sapere, perché questo si acquisisce tramite un processo in cui si uniscono il dialogo,
l’ascolto, cercando di capire chi parla, la comunicazione. Invece con il testo scritto si imparano le nozioni, è
un uso disonesto del sapere perché non portava veramente ad imparare le cose. Anzi chi non ha una
conoscenza più profonda porta la gente a fare cose sbagliate.

Ad esempio Alcibiade, figlio di Pericle, diventa politico dopo aver studiato filosofia e retorica presso i Sofisti.
Il loro insegnamento era quello tramite nozioni. Infatti Alcibiade acquisisce nozioni qua e la, impara tanto
da poter convincere gli altri a fare ciò che voleva lui, cioè convince la gente a dichiarare guerra a Siracusa,
Atene perde e cade la repubblica ateniese.

Parlando, studiando, ricercando, dopo anni si acquisisce il sapere (che non è trasmissibile), altrimenti si
hanno solo nozioni. Il sapere per lui infatti è un abitus, un abito che si deve indossare, un abitudine che si
deve portare avanti per anni, contrapposto a nozione. Il sapere è una risorsa interna, una miniera da
scavare per poter estrarre il tesoro. Il sapere parte dalla nozione, tramite il dialogo e il confronto, deve
evolvere e cambiare. La conoscenza la dobbiamo fare crescere, non si può trasmettere da uno all’altro.

Quindi la conoscenza consiste in 4 elementi, per conoscere qualcosa dobbiamo avere queste 4 nozioni su di
essa:

1. nome
2. definizione
3. immagine (rappresentazione mentale)
4. opinione vera (ciò che io penso, cosa a me sembra)

Esempio: il cerchio. Nome: cerchio. Definizione: insieme di punti equidistanti dal centro. Immagine: O.
Opinione vera: la mia idea di cerchio.

Platone dice che queste modalità di conoscenza sono però inadeguate (esempio Romeo e Giulietta: Romeo
dice non voglio più chiamarmi Romeo Montecchi, se avessi un altro nome non sarei sempre io? Se la rosa
avesse un altro nome non conserverebbe lo stesso il suo profumo?).

Questa conoscenza è inaffidabile perché: il nome è una convenzione perché l’abbiamo stabilito noi; la
definizione è una convenzione perché è un insieme di nomi; l’immagine è un approssimazione a quello che
realmente è; anche l’opinione vera è inaffidabile, perché è soggettiva, non coglie l’essenza della cosa, coglie
soltanto un aspetto.

Platone quindi è molto pessimista su questo aspetto: il sapere non è trasmissibile e la maggior parte di
quello che abbiamo non è neanche un vero sapere.

La lettera settima è un opera scritta da Platone quasi al termine della sua vita, in cui aveva una percezione
molto amara della sua vita, è un opera piena di pessimismo (elemento che non tanto troviamo nel Fedro).

Ognuno di questi aspetti inaffidabili della conoscenza ci fa capire che il sapere è come imprigionato.

La conoscenza quindi essendo sempre in evoluzione, non può essere messo per iscritto dato che il testo
scritto è statico. Una volta che viene scritta una cosa rimane scritta, non può essere mutata, cambiata.

Nome Fedro: era un personaggio storico, realmente esistito, un giovane studente di retorica (retore = chi
scriveva discorsi per convincere la gente, portare avanti delle proprie convinzioni o argomentazioni). Fedro
è protagonista anche di altri dialoghi di Platone (è presente anche nel Simposio).

Fedro sta passeggiando al di fuori della città di Atene e si è imbattuto in Socrate (cosa molto strana che
Socrate fosse all’esterno della città). Fedro appena lo incontra si mette a parlare con lui, comincia a parlare
dell’ultimo discorso di Lisia (Lisia era un retore, che mette per iscritto i suoi discorsi. È strano che questo
discorso sia stato firmato da Lisia, solitamente i retori vendevano i loro discorsi ai politici, possibilmente
questo discorso lo aveva regalato a Fedro magari per farsi pubblicità). Lisia dice: “quando un ragazzo viene
corteggiato da una persona che non lo ama deve preferirlo a una persona che lo corteggia ma lo ama”. È
una tesi controintuitiva.

Dopo aver detto questo, tira fuori il libro, il rotolo in cui vi è il discorso per iscritto di Lisia, per colpire
l’interesse di Socrate.

Adesso Socrate chiede a Fedro di leggere insieme a lui questo discorso di Lisia, come se Lisia fosse lì con
loro (sta identificando l’autore con il discorso, strano perché appunto i retori scrivono discorsi ad altre
persone, ciò non vuol dire che chi scrive pensa realmente quelle cose).

Qui si vede già la differenza tra Fedro e Socrate: Fedro crede già da subito a ciò che legge per iscritto,
Socrate invece vuole discuterne, vuole parlare di ciò che è stato messo per iscritto con lui e con l’autore
Lisia (abbiamo già chiara la posizione di Fedro e di Socrate).

Nel passo 228d Fedro tenta di “ingannare” Socrate facendogli capire di sapere il discorso di Lisia a memoria.
Ma gli confessa che non è così.

Socrate dice a Fedro che se devono parlare devono farlo a modo suo, non come se fosse un retore, come se
tenesse un comizio, devono discutere come fanno i filosofi.

Fedro afferma di essere stato “scoperto” perché voleva esercitarsi con Socrate con la pratica della retorica.

Allora si incamminano, si accomodano lungo le rive del fiume Ilisso e Fedro racconta a Socrate un mito che
coinvolge due personaggi. Borea è un semidio, una personificazione del vento del nord, che vede una
ragazza Orizia, figlia del re di Argo, e la rapisce perché la vede passeggiare e gli piace.
Fedro dice a Socrate: “che ne pensi di questo mito? Secondo te è vero o no?”

Socrate è furbo e gli dice che ovviamente è un mito, possiamo dare una spiegazione naturalistica al mito,
cioè in questo caso la ragazza potrebbe essersi persa oppure è annegata nel fiume a causa del vento, del
brutto tempo.

Questa è una spiegazione che i sofisti erano abituati ad adottare.

Qui Socrate quindi fa vedere la sua conoscenza e cultura naturalistica.

Socrate però non è interessato a queste interpretazioni naturalistiche. Quello di cui si occupa è ciò che c’era
scritto sul tempio di Delfi, il dio che dice “conosci te stesso”. Il tempio era abitato dalla pizia. La scritta però
voleva comunicare all’uomo di conoscere i suoi limiti, cioè volevano infondere un senso di umiltà e
inferiorità nei confronti del dio dato che si stava entrando a contatto con il dio.

Tutta la filosofia di Socrate è basata sulla sua interpretazione dell’iscrizione del tempio di Delfi. Passo da
229e a 230a.

Socrate sta un po’ prendendo in giro Fedro, nomina infatti Tifone, per far capire a Fedro che lui è informato
sulle interpretazioni naturalistiche, ma non ne parla perché non è suo interesse.

Lo mette a tacere dandogli indirettamente dell’arrogante, dato che si è presentato come se sapesse tutto il
discorso di Lisia.

Socrate si meraviglia della bellezza del luogo in cui sono. E Fedro gli dice che è normale meravigliarsi per lui
dato che sta sempre all’interno della città di Atene. Socrate gli risponde che sta sempre all’interno della
città perché gli uomini possono insegnargli qualcosa, a differenza della natura che non può insegnargli nulla
(qui Platone vuole dire che Socrate è stato il primo filosofo a non interessarsi alla natura come i naturalisti,
ma si è veramente interessato all’uomo come soggetto di conoscenza).

Ma questo rotolo scritto ha una sua funzione, anche se Socrate lo rifiuta: rotolo funge come pharmacon,
cioè una medicina, una cosa che cura, in generale un qualcosa che ha uno scopo. Quindi questo libro ha
anch’esso uno scopo: serve a tenere Socrate impegnato nella conversazione con Fedro. E Socrate lo
capisce. Iniziano così a leggere il discorso. Passo 230d-230e.

Adesso Fedro legge e ribadisce il concetto detto prima: è meglio concedersi a chi non ci ama piuttosto che a
chi ci ama.

Lisia dice che uno che è innamorato non si comporta in maniera stabile e affidabile: è geloso, ci tiene a fare
bella figura con la persona che ama, è un folle, non è perfettamente obiettivo nei suoi giudizi. Invece
qualcuno che vuole iniziare una relazione di tipo pederastico con me, è più affidabile, vuole il mio bene,
vuole iniziare questa relazione per motivi davvero educativi.

Secondo Lisia il distacco tra la persona che insegna e l’allievo è preferibile rispetto all’innamoramento.

Paragone tra distacco tra maestro e allievo e distacco tra il retore e il discorso che scrive.

Differenza tra i discorsi di Socrate e quelli dei retori: Socrate crede in ciò che dice e scrive, i retori no.

A questo punto Fedro dice: non ti sembra che i termini che utilizza Lisia siano splendidi?
Ovviamente è così, perché i retori scrivono bene, deve utilizzare termini giusti in maniera strumentale per
manipolare il pubblico.

Tutto ciò è diverso dai dialoghi Platonici, perché i termini vengono cercati tramite il dialogo, insieme,
perché servono a scoprire la verità.

Ma Socrate gli dice: no, non mi piace questo discorso perché Lisia utilizza utilizza questi termini in maniera
ripetitiva e la struttura argomentativa è risaputa e costruita, segue delle regole ben precise.

Tutta questa critica a Lisia lo fa per criticare la cultura e il sapere tradizionale orale, che utilizzava queste
tecniche di Lisia.

Sta quindi proponendo una nuova forma di sapere, non una cultura orale portata avanti dalla retorica, ma
una cosa completamente nuova, un innovazione, che Socrate inaugura e che Platone porterà avanti, quella
del discorso filosofico.

Socrate viene coinvolto da Fedro in maniera più personale. Fedro muove a Socrate una sorta di sfida:
“Socrate adesso fammi sentire un tuo discorso tuo su questo stesso tema”.

La poleis di Atene era organizzata in modo democratico. Tutti gli uomini (maschi, liberi, con una certa
ricchezza) andavano a discutere degli affari pubblici della città nell’agorà, nella piazza. Quindi questo
confronto e risposta di Socrate al discorso di Lisia era solito che avvenisse nelle poleis greche.

Socrate quando fa questo discorso si vergogna. Il suo atteggiamento lo fa capire, cioè parlare con il capo
chino e coperto. Fedro gli ha chiesto una cosa normale, ma Socrate non è contento perché si sta mettendo
sullo stesso piano di Lisia (Platone non amava questo modo di agire, per lui il sapere era comunitario, si
scopriva insieme confrontandosi).

Socrate inizia dicendo: “prima di fare questo discorso dobbiamo partire dall’inizio e capire di cosa stiamo
parlando”. Da una definizione quindi dell’oggetto in questione: l’amore. Quando analizziamo l’oggetto di un
discorso e dobbiamo spiegarlo, dobbiamo sapere qual è la sua usia = essenza. Socrate va a qualcosa di più
profondo. Se non capiamo l’essenza di un tema potremmo incombere in equivoc, fraintendimenti. Per
cogliere l’essenza ci vuole un po’ di tempo, si arriva pian piano.

Da prima una definizione generale dell’eros. L’eros (cioè l’amore) è un appetito che ha come oggetto la
bellezza. Un appetito è un desiderio, una voglia di avere qualcosa, e questo qualcosa è la bellezza. Questa
definizione più generica ci conduce ad una definizione più specifica. Cerca di chiarire l’andamento di questo
desiderio, come si manifesta e sviluppa. Egli dice che ognuno di noi, nel suo comportamento e nelle sue
azioni, è guidato da una coppia di principi:
 il desiderio, ogni persona ha il desiderio innato di cercare qualcosa che lo faccia stare bene e che
possa piacergli
 l’opinione dell’ottimo, intesa non in maniera dispreggiativa (come la contrapporrà in seguito alla
sapienza), ma intesa come la conoscenza, la modalità di conoscere una persona il meglio possibile

Questi due principi non sempre interagiscono in maniera equilibrata: a volte sono in armonia, altre volte
sono in conflitto. Occorre farli convivere armonicamente.

Quando prevale l’opinione vi è autocontrollo. Quando prevale il desiderio vi è mancanza di autocontrollo, si


vuole ottenere qualcosa a tutti i costi anche se ci è nociva, non riesce a controllare la sua vita (è un folle).
L’uomo che è innamorato, dice Socrate, è uno schiavo, non è padrone di sé poiché controllato dall’eros.
Sulla base di questa visione, ha ragione Lisia allora ad affermare che è preferibile lasciarsi amare da chi non
ti ama, poiché non è un folle, è meglio non affidarsi a un folle poiché è insabile e non si sa come si
comporta.

Questo discorso contiene già degli elementi tipici della filosofia socratico-platonica (nonostante abbia
seguito la modalità di esprimere il discorso come i retori, giungendo allo stesso punto):

1. la definizione dell’oggetto del tema (= eros, appetito della bellezza)


2. la specificazione della definizione (= di fronte a questo oggetto ci si comporta seguendo il desiderio
o l’opinione)
3. anima composta da più parti (= opinione e desiderio, autocontrollo e mancanza di autocontrollo)
4. la schiavitù, essere schiavi del desiderio ed essere privi di autocontrollo (schiavitù vista in maniera
negativa)

Socrate affronta l’argomento con vergogna perché nonostante abbia fatto questo discorso seguendo la
struttura tipica socratica, la tesi è una tesi che non gli piace.

Vorrebbe andare via, ma c’è qualcosa che lo trattiene, correggendo il comportamento che lo fa vergognare:
sente la voce della sua coscienza (il suo daimon interiore) che gli dice “hai fatto qualcosa di cui vergognarti,
cioè argomentare una tesi che non è la tua, ma adesso devi rimediare e purificarti”.

Passo 242b-242c: si è manifestato il segno divino (la voce della divinità la sente nella sua mente), si è
manifestato il daimon suo personale (il demone è l’oggettivizzazione della coscienza). Adesso dopo che ha
parlato male dell’eros, fa un secondo discorso in cui ne parlerà bene.

Questo secondo discorso è la palinodia = fare ammenda, parlare bene di un qualcosa di cui si è parlato
male. È un discorso che corregge il precedente. Una palinodia è stata fatta da Esiodo, prima scrive un
poema in cui parla male di Elena che scappando a Troia con l’amante Paride ha causato la guerra, poi scrive
un secondo poema in cui dice che in realtà Elena non è scappata a Troia lasciando suo marito, ma era solo
una statua che Paride si è portato via, Elena è rimasta a Sparta con Menelao.

Perciò Socrate chiede scusa ad eros di cui ha parlato male e ne parla bene, facendo un secondo discorso.

Non contraddice ciò che ha detto prima, ma la interpreta in modo diverso. Mantiene valida tutta la
struttura del discorso, cambia solo la conclusione.

Cambia e varia semplicemente la sua idea sulla condizione di follia dell’innamorato. Lui non pensa che
l’eros sia una cosa negativa. Per Socrate l’eros è una forma di follia, ma è una follia divina, un dono, una
follia positiva.

Passo 244a: l’eros è si una mania, ma essendo follia divina è un grandissimo bene.

Passo 244b-245a: parla dell’aspetto dell’eros inteso come desiderio come mania facendo anche riferimento
al fatto che tutti sanno che le profetesse (pizia, sibilla), quando sono in questo stato di mania in contatto
con la divinità, danno buoni consigli. Sottolinea anche come veniva interpretata la mania dagli antichi e dai
moderni del suo tempo. Fa anche l’analisi dell’opinione. È meglio la mantica perché è conoscenza divina
rispetto alla oionistica perché è conoscenza umana: “la mania che proviene da un dio è migliore
dell’assennatezza che proviene dagli uomini”. Poi fa un richiamo all’ereditarietà (Platone ha una duplice
visione della mania: follia divina o malattia ereditaria). C’è questa follia che invade l’uomo ma vi sono molti
modi per potersi purificare da essa. In terzo luogo vengono le manie che provengono dalle Muse, quelle
delle poesie. Fa riferimento ai riti delle baccanti, con musiche e danze. Quando parla di tecnica (sia nella
tecnica di Lisia, sia la tecnica dell’arte), ne parla in maniera negativa.

Dice il contrario di ciò che dice Lisia: in alcuni casi rimanere in senno e mantenere la ragione è peggio di
essere preda della follia. Come ad esempio nel caso dell’arte: è molto più bella l’arte di coloro che sono folli
e ispirati dalle Muse piuttosto che l’arte di coloro che utilizzano solo delle tecniche senza ispirazioni divine.

Socrate la pensa così perché lui era un famoso iatromante, folle perché era sapiente, ispirato dagli dei.

Non dobbiamo biasimare l’eros, dato che è una follia divina possiamo accoglierla.

Quindi è bene entrare in relazione con una persona innamorata, un folle ispirato dal dio, che ha un dono
divino, che è sicuramente una persona migliore degli altri.

Quando Socrate parla di tecne, egli parla di un modo di procedere che segue determinate regole. Per noi
l’arte è il contrario della tecnica, è qualcosa data da un ispirazione. Gli antichi invece facevano un
uguaglianza tra l’arte e la tecne. L’arte veniva considerata in due modi diversi: l’arte portata avanti
seguendo determinate regole (= l’arte della retorica) e l’arte dettata dall’ispirazione (= la poesia).

Socrate a questo punto vuole dimostrare perchè l’eros è un dono divino. Lo dimostra parlando dell’anima
(seconda parte del Fedro). Ci spiega in che modo il divino entra in contatto con noi: lo fa attraverso la
nostra anima, che ha natura divina.

Socrate inizia dicendo che vi sono benefici nella follia divina, perché è un dono e c’è una parte di noi
(l’anima) che ha una natura simile a quella divina perché è immortale come gli dei.

L’anima è immortale perché esiste prima del corpo, si incarna nel corpo prima della nostra nascita. Dice che
l’anima è immortale perché ha la stessa natura degli dei e delle idee (immortali, eterni e sempre uguali a se
stessi). La prova dell’immortalità dell’anima è che l’anima si muove da sé. Quello che muove se stesso è
immortale perché non ha un principio esterno, non dipende da nessuno. Si muove da sola. Esempio: il
corpo si muove animato dall’anima, quando l’anima lo abbandona il corpo non si muove più. Passo 245c-
246a.

Per spiegare cos’è l’anima Socrate utilizza una metafora: per parlare di qualcosa si utilizza un altro esempio.
Utilizza la metafora della biga alata. Questa biga è un carro guidato da un’auriga (= condottiero), trainato da
un cavallo nero (rappresenta la natura peggiore, qualcosa di oscuro) e un cavallo bianco (rappresenta gli
istinti più elevati).

L’anima, in quanto principio di vita, si prende cura di ciò che non è animato e ha bisogno di vita, cioè il
corpo.

Il fatto che l’anima sia una biga alata che vola, le da un istinto, cioè quello di volare e andare verso l’alto,
verso gli dei e verso l’iperuranio (= uranos è il cielo, iper è oltre) ma il cavallo peggiore ha come natura
quella di trainare il carro verso il basso. Vi è un elemento di contrasto e conflitto. La natura dell’anima è
andare oltre le cose fisiche. Il fatto che l’iperuranio non sia un luogo fisico ci fa capire che è la sede di tutto
ciò che non è visibile e va oltre la realtà fisica, sovrannaturale. È la sede delle iusie, delle essenze, che non
sono mai cose fisiche.

Visto che la natura dell’anima è immortale ed immateriale, chi guida l’anima cioè l’auriga ha anch’esso una
natura non fisica e non materiale. Infatti è l’intelletto, cioè la parte che conosce le idee e le essenze.
Significa che c’è una parte all’interno dell’anima, cioè l’intelletto, più elevata delle altre che punta sempre
ad un altezza maggiore.

All’interno dell’anima, ci sono diverse facoltà, le diunameis. L’intelletto, cioè la parte razionale, è l’apice. Vi
è il cavallo bianco (anima irascibile, è un insieme di istinti come la dignità, l’orgoglio, il coraggio, delle cose
istintive non razionali ma elevate). Poi vi è il cavallo nero, (anima concupiscibile) gli istinti peggiori rispetto
agli altri, che spinge il carro verso il basso (che tendono al corpo, come soddisfare i piaceri del cibo, i piaceri
sessuali). Questo cavallo nero non si nutre di vera conoscenza ma di opinioni (non opinioni soggettive del
singolo individuo di cui parlavamo prima). Parla dell’opinione in maniera negativa. L’opinione è
contrapposta alla conoscenza: l’opinione è la conoscenza che noi possiamo avere quando siamo all’interno
del corpo e non conosciamo l’iperuranio perché siamo offuscati dalle cose materiali; la conoscenza vera è
quella che abbiamo delle cose immateriali.

Quando questa natura dell’anima non viene assecondata e ci sono degli ostacoli, succede che l’anima perde
le ali e si incarna in un corpo.

Adesso Socrate fa un discorso riguardo questo problema dell’incarnazione (passo 248c-249b). Socrate inizia
a parlare della metempsicosi. La metempsicosi è la reincarnazione delle anime, cioè il passaggio dell’anima
da un corpo all’altro. Avviene secondo la disposizione di Adrastea (= una divinità che simboleggia il destino).

Ci sono 9 diversi tipi di uomo e corpo in cui l’anima si incarna (dal migliore al peggiore):

1. il filosofo: colui che ama la sapienza, l’arte, la musikè


2. il re buono: colui che regna in maniera giusta
3. il politico: l’uomo che si occupa della città, della cosa pubblica, che collabora con gli altri
4. il ginnasta: colui che cura il proprio corpo
5. il profeta: colui che ha l’arte divinatoria
6. il poeta: colui che è ispirato dalle Muse
7. l’artigiano o il contadino: coloro che si occupano delle necessità materiali della città
8. il sofista: colui che si occupa della sapienza ma in maniera sbagliata, educa gli altri a pagamento,
senza farli crescere veramente ma insegnandogli solo dei principi
9. il tiranno: il peggiore di tutti, colui che impone la sua volontà agli altri non per il bene della città ma
per il proprio

La reincarnazione intesa da Platone è diversa rispetto ai tipi di reincarnazione della filosofia orientale.
Siamo abituati al concetto di reincarnazione come karma che agisce e punisce tramite questa pratica.

Il concetto di reincarnazione di Platone è infuenzato da Pitagora. Ma solo Platone aggiunge un elemento


particolare: la scelta. Fondamentalmente è una libera scelta dell’anima di decidere il corpo in cui
reincarnarsi, in base ai comportamenti che segue in vita. Quindi ogni condizione sociale è provvisoria, di
volta in volta si può cambiare. Sta spiegando pertanto una serie di cose:

1. è inutile dare dei giudizi sulla vita terrena dell’uomo perché sono condizioni sociali provvisorie, a
seconda di come mi comporto posso diventare un'altra persona
2. non tutti i tipi di uomini hanno la stessa dignità (sembra che la grecia sia democratica nel V secolo,
ma Platone discimina le persone)
3. l’uomo sceglie la sua condizione, non è in preda al destino o agli dei, ma è lui che sceglie e decide in
base al suo comportamento
Tutta la condizione umana è provvisoria, ma non devo sentirmi smarrito o spaventato perché c’è una
certezza nelle nostre vite: le idee. Sulle idee possiamo sempre contare, rimangono sempre eterne. E dato
che per natura l’anima possiede le ali e tende all’alto, noi per natura tendiamo alle idee che sono
immutabili e si trovano nell’iperuranio.

Tutto dipende da noi (passo 248c-e). Quando muore il corpo, l’anima viene giudicata nell’aldilà e riguarda le
singole anime di volta in volta, per capire se essa viene punita o avrà un premio. Se mi sono comportato
bene mi reincarnerò in un corpo migliore, viceversa in un corpo peggiore. (Pitagora che si sentiva il migliore
di tutti pensava che si reincarnasse in un filosofo, in se stesso!)

Moira = destino in greco. La moira era una delle Parche. Ogni volta che un anima arrivava nell’aldilà la
interrogava e la giudicava, dicendo in quale corpo si sarebbe reincarnato. Le Parche erano 3 sorelle che
filavano la vita delle persone, tenevano in mano un gomitolo e filavano la vita (vi sono diverse
personificazioni del destino).

Appena le anime arrivavano davanti alle moire, esse per riguadagnare le ali hanno un lasso di tempo di
10mila anni (standard). Se una persona si comportava così bene per 3 vite di seguito e si reincarnava per 3
volte in un filosofo, le ali gli ricrescevano in automatico (perché noi abbiamo le ali, è un caso strano che le
perdiamo).

È Adrastea che regge tutta la situazione delle distribuzione delle vite.

Platone definisce la musikè (= la musica, la danza) che porta con sé il concetto di mimesis, poiché la musikè
serve a produrre la mimesis. La mimesis è l’immedesimazione, cercare di entrare in un tutto, di confondersi
nel contesto, mimetizzarsi.

Definisce questo concetto perché vuole arrivare ad un altro momento della sua spiegazione: il ricordo. Il
ricordo è un elemento già conosciuto, non nuovo.

Quindi la vera conoscenza è il ricordo, perché attraverso le varie vite che vivo nei vari corpi, devo ricordare
ciò che la mia anima ha visto nell’iperuranio.

Vuole far capire che in realtà tra la cultura orale e i discorsi scritti che possono servire a ricordare, come
richiamo, c’è un legame, cioè che la nostra conoscenza è un ricordo, di quello che abbiamo conosciuto
nell’iperuranio.

Quindi la cultura orale come conoscenza colpisce Platone, la predilige, ma il testo scritto ha la funzione
strumentale. Facendo la differenza tra cultura orale e scritta, fa la differenza tra due tipi di persone: tra i
filosofi e i sofisti o i retori.

Sia Socrate che Platone, in teoria, criticano tutto e non criticano niente.

La vera conoscenza per Platone è quella divina. In particolare vuole introdurre la tipologia di follia divina
appartenente ai filosofi, cioè gli unici che si distaccano dagli elementi razionali e ricordano maggiormente
che l’anima in principio possiede le ali. Pertanto anche i filosofi hanno questo tipo di follia divina. 5° tipo di
follia divina: la filosofia (passo 249c-249d).

A questo punto si ritorna al discorso fatto da Lisia e alla sua affermazione.


Il filosofo e l’innamorato sono simili, sono entrambi folli e si ricordano della bellezza divina. Come il filosofo
si ricorda della bellezza, anche l’innamorato si ricorda della bellezza, ricorda in particolare la bellezza delle
singole persone cioè del suo amante. La bellezza delle persone assomiglia alla bellezza in generale, poiché
la contiene. Quindi possiamo fidarci di chi ci ama, perché è un folle divino che attraverso la bellezza che
vede in noi si avvicina alla bellezza divina dell’iperuranio.

Eidos = idea dal greco, che viene dal verbo vedere, perché i greci collegavano l’idea con il vedere, la vista.
L’idea è la forma del vedere, le idee si vedono con l’anima perché il corpo ci ostacola.

Nel passo 249d-250a parla del argomento della toma (= corpo) e sema (= tomba). Il corpo è considerato la
tomba dell’anima. Perché l’anima è caduta all’interno del corpo, è una prigione. Lo scopo dell’anima è di
ricordarsi della vera conoscenza.

Platone a questo punto fa un richiamo al discorso di Socrate, quando fa il discorso retorico. Socrate è
partito da un argomento conosciuto a tutti, cioè l’amore, per arrivare ad una cosa sconosciuta, cioè che
l’innamorato è simile a un filosofo perché entrambi folli. Quindi utilizza il discorso di Lisia per far conoscere
la filosofia e il vero sapere a Fedro.

La novità della lezione di Platone quindi è questa: tutte le cose dell’esistenza terrena (inclusa la retorica e
tutti gli strumenti) sono provvisorie e sono strumenti per arrivare alle idee.

Passo 256e-257a: chi non ci ama non ci porta verso il divino. Dice che se ci si vuole avvicinare alle cose
immortali, dovete stare con chi possiede una follia divina, cioè l’innamorato o il filosofo.

A questo punto Fedro dice che gli è piaciuto tanto il discorso di Socrate e afferma che Lisia non sarebbe in
grado di emularlo. Socrate in pochi minuti ha “convertito” Fedro usando come strumento la retorica stessa.

Fedro afferma che i logografi e anche i sofisti utilizzano queste tecniche di basso livello e poco elevate
rispetto a quelle utilizzate da Socrate. Ma Socrate gli risponde dicendogli che i discorsi di alcuni retori e
sofisti non sono poi così male. Ad esempio il retore Solone ha scritto un codice che diventò la base di tutte
le leggi. Socrate difende un retore infatti, poiché ha scritto qualcosa che rimase anche dopo la sua morte.

Socrate quindi non condanna e critica i retori e i sofisti o la scrittura, ma condanna l’uso sbagliato che di
solito queste persone fanno di queste arti (arti che utilizza anche lui ma in maniera positiva), poiché le
utilizzano per fare cose terrene (guadagnare ad esempio).

La retorica è fine a se stessa, la filosofia no.

Socrate corregge Fedro dicendogli che il problema legato a Lisia è che i discorsi che lui scrive, dovrebbe
scriverli sempre, come modo per avvicinarsi alla filosofia, non per fini di lucro. Ad esempio i filosofi fanno
questi discorsi e dibattiti senza altri fini, per il gusto di conoscere e raggiungere il vero sapere, in maniera
disinteressata (chi agisce in maniera disinteressata? Chi ci ama! Se amo una persona non ho un fine diverso
dall’amore, dal volere il suo bene).

I sofisti per raggiungere i loro fini ad esempio svolgevano attività a scopo pubblicitario: per strada iniziavano
ad argomentare per farsi conoscere dalla gente o distribuivano volantini come parti dei loro discorsi.

Fedro da ragione a Socrate: queste persone scrivono i discorsi per soddisfare i bisogni e i piaceri terreni,
sbagliano, loro invece lo fanno per puro piacere.
A questo punto si è fatto mezzogiorno e iniziano a sentire il rumore delle cicale.

Così a Socrate viene in mente una cosa e racconta una favola. Dice a Fedro: “Sai che un tempo le cicale
erano dei poeti? Gli piaceva così tanto comporre poesie che non facevano nient’altro, dimenticando tutti gli
elementi terreni. Secondo il mito delle cicale, gli dei (non si sa se per punirli o premiarli) li hanno
trasformati in cicale che cantano continuamente”. Ma il verso delle cicale è molto insistente e sempre
uguale, i poeti ripetono sempre le stesse cose (critica che fa anche alla cultura orale, vi sono tecniche
mnemoniche, stessi argomenti, ecc.). Come punizione perché sono fastidiose, come premio perché così
potevano cantare e recitare versi senza preoccuparsi di fare altri.

Infatti Socrate esalta la differenza tra i poeti che ripetono sempre le stesse cose e i poeti che invece hanno
un ispirazione divina (con il mito delle cicale fa nuovamente un rimando a tutto ciò che ha spiegato nel
dialogo fin ora).

Quando Socrate interagisce con il suo interlocutore utilizza varie tecniche: tecnica maieutica, cioè far dire la
verità alla gente; tecnica dell’ironia, cioè prendere in giro la gente.

Con l’ironia Socrate ha questo atteggiamento ironico con cui prende in giro la gente. Lo fa a fin di bene, per
far arrivare la gente alla conoscenza, corregge le persone.

L’elemento degli insetti è sempre presente nei dialoghi di Platone. Ad esempio lui paragonava Socrate ad
un insetto: il tafano, insetto fastidioso che disturba i cavalli (simil moscone). Utilizza gli insetti sia come
insulto verso la gente ma anche con le persone a cui vuole bene.

Platone ricorre spesso all’utilizzo dei miti poiché deve farsi comprendere da più persone possibili, non sono
dai sui allievi aspiranti filosofi ma anche dalla gente comune.

Platone contrappone il termine discorso generico sia orale che scritto (= una sorta di monologo, con
un'unica direzione) e il termine dialogo (= scambio tra interlocutore e maestro filosofo). Sta criticando
quindi il tipo di tradizione del discorso sia orale che scritto, non la critica in se per se ma vuole attenzionare
il suo utilizzo. È un fattore positivo l’utilizzo del discorso quando il suo contenuto è buono, cioè quando è
filosofico (= soltanto se il discorso dice la verità) fatto dal filosofo cioè colui che è più vicino all’iperuranio.
Se viene detta la verità quindi può essere utilizzato qualsiasi strumento, anche il testo scritto.

Fedro infatti risponde a Socrate che non è così importante dire e conoscere la verità, l’importante è andare
incontro al pubblico e conoscere la loro opinione (se so che la giuria è a favore di un certo tipo di persona,
vado incontro all’opinione del mio pubblico, per accattivarli.

Risponde così poiché è stato istruito dai retori. I discorsi dei retori rappresentano delle arringhe difensive
durante i processi, quindi non hanno il principio di dire la verità ma di convincere la giuria.

Socrate fa un esempio a Fedro: si finge venditore di cavalli che deve venderne uno a Fedro, per convincerlo
si basa solo sulla conoscenza di Fedro sui cavalli (ad esempio che il cavallo è un animale grande e con le
orecchie grandi). Quindi Socrate potrebbe anche vendergli un asino spacciandolo per cavallo,
imbrogliandolo.

La retorica può quindi essere uno strumento molto negativo, se non seguo la verità mi approfitto del
pubblico. In questo caso Socrate utilizza una tecnica dei retori (esempio dei cavalli) per parlare male dei
retori.
Sta quindi consigliando a Fedro che può anche continuare i suoi studi nell’ambito della retorica, però
devono essere indirizzati in una certa maniera per far del bene.

Occorre colpire il pubblico, attirando la loro attenzione, ma per fargli conoscere la verità e non
imbrogliandolo. Occorre sapere l’opinione del pubblico per correggerla e portarlo alla verità.

Socrate fa capire a Fedro che in questo modo si presuppone che il retore ne sappia più del pubblico,
quando in realtà non è più colto del pubblico ma esprime anch’esso la sua opinione senza conoscere la
verità. Potrebbe il retore essere in buona fede, dando un cattivo consiglio al pubblico.

Fa una distinzione quindi tra chi sa la verità ma la utilizza in maniera negativa per imbrogliare il prossimo e
chi non sa realmente la verità.

Il filosofo dedica tutta la sua vita a sviluppare il suo sapere, mentre il sofista sa solamente qualche nozione
qua e là.

Secondo l’intellettualismo etico di Socrate, se una persona si comporta male è perché non conosce la
verità, se la conoscesse farebbe del bene.

La funzione della retorica quindi deve essere psicagogica, cioè deve portare l’anima alla verità, educare le
anime, non essere considerata in sé per sé.

Socrate adesso fa riferimento ai poemi omerici. Si rivolge a Fedro ricordandogli che la retorica veniva
utilizzata dagli eroi nei poemi omerici. Cita il paradosso di Zenone, cioè quello di Achille e della tartaruga.
Achille, l’uomo più veloce del mondo, non può raggiungere la tartaruga, l’animale più lento del mondo, se
quest’ultimo parte prima di lui. Chiunque vuole insegnare la verità alla gente ha sempre utilizzato la
retorica, non è una novità di quei tempi (passo 262d).

Quindi Platone prende spunto dai discorsi basati sulle opinioni per arrivare a dei discorsi più filosofici, si
passa dall’opinione alla verità, cioè dalla retorica alla filosofia.

Quindi il discorso di Lisia è facile da ricordare, poiché è scritto. Il discorso che invece ha appena fatto
Socrate è più difficile da ricordare perché occorre affidarsi alla memoria (passo 263d). Qui dice che non si
ricorda di ciò che ha appena detto a causa dell’invasamento (= in quel momento era ispirato dalla divinità,
era uscito dalla sua situazione corporea) che l’ha colpito mentre parlavano. Per questo motivo è utile
ricorrere all’utilizzo della parola scritta.

Quando infatti si pronuncia la parola “ferro” sappiamo tutti la sua definizione e a cosa ci stiamo riferendo,
poiché è un oggetto tangibile. Quando ci riferiamo al termine “giustizia” o “bene” non abbiamo tutti la
stessa opinione, non siamo tutti d’accordo sul suo significato.

Così come per la parola eros. Ad esempio Lisia afferma di non doversi fidare dell’innamorato poiché folle,
Socrate afferma di potersi fidare dell’innamorato poiché folle. Ognuno ha la propria opinione, possono
essere opinioni diverse ma entrambe giuste.

Occorre quindi mettersi d’accordo sul significato di questi termini quando se ne discute, tramite uno
scambio di opinioni (Lisia non lo sta permettendo, afferma solo la sua definizione di amore tenendo solo il
suo punto di vista e non confrontandosi con l’interlocutore. Fa quindi un discorso senza struttura, senza
considerare il tutto), come fa Socrate con il suo discorso strutturato ed organico (= tiene in considerazione il
tutto).
Ora Socrate da una spiegazione di come funziona la retorica (passo 266a). Spiega i due momenti o processi
della retorica:

1. synagogé = riunire (vedere a quale stessa specie e stesso genere appartengono i singoli termini)
2. diairesis = dividere (vedere i singoli termini, nei singoli casi cosa significano)

Queste sono due operazioni, due tecniche all’interno della retorica che si utilizzano per analizzare i termini
prima di parlare. Per riunire si intende prendere gli individui e collocarli in un genere

Si parla più che altro della dialettica (una disciplina all’interno della retorica), che è l’arte del riunire e del
dividere, arte del parlare, del definire i termini, ed è il contenuto maggiore che Platone ci ha donato.

Fino a 266b vi è il discorso della retorica come tecne. La tecne è un’insieme di regole, passaggi e procedure.
La retorica e la sofistica hanno vari manuali con le tecniche da seguire.

Nel passo 266d-267d Fedro e Socrate fanno un discorso comparativo: mettono a confronto le diverse
tecnai. Mettono a confronto la retorica e le 3 tecniche medicina, musica e poesia (tecnai = scienze con delle
procedure su come comportarsi) per capire se la retorica è una tecne.

1. Il medico non solo conosce la cura, ma deve sapere come somministrarla


2. Il poeta non solo compone i versi, ma sa come scrivere il poema
3. Il maestro di musica non solo conosce le singole note, ma sa come comporle

Per questo la retorica non deve conoscere solo le singole tecniche di synagogè e diairesis, ma qualcosa in
più. Invece la retorica molto spesso si ferma solo a queste tecniche e non va oltre, non conosce la verità. La
retorica quindi deve trasformarsi in filosofia, che ha come scopo la conoscenza della verità.

La retorica ha lo stesso oggetto di studio della filosofia, ma è una copia di essa perché ha come scopo solo
la persuasione del pubblico.

Platone fa una rivoluzione: è lui che per la prima volta afferma che l’anima non è un insieme di stati psichici
come li descriveva Omero (secondo Omero l’uomo era composto da diverse parti vari elementi), ma è la
nostra capacità di avvicinarci alla verità, che ha le ali (passo 271c).

Le due tecniche della retorica erano conosciute da Fedro che studiava la retorica dai manuali. Possiamo
conoscerle ed utilizzarle ma parlando sempre in maniera chiara e trasparente.

Così come i retori non svelano le loro tecniche perché vogliono manipolarci, i sofisti non guardano al vero
ma al verosimile, cioè non è importante sapere tutta la verità ma convincere la gente. Quindi i sofisti e
anche i retori conoscono la verità perché dicono ciò che è più simile al vero. Ma agiscono con cattive
intenzioni.

Pertanto l’unica scienza che ha ragione e diritto di esistere è la filosofia perché non solo conosce la verità
(come la retorica e la sofistica) ma la rivela agli altri, ha un buon fine. Si deve quindi partire dall’opinione e
dal verosimile, per arrivare alla verità. Non si devono compiacere gli uomini, ma gli dei, per quanto è
possibile poiché limitati dal corpo nelle azioni (passo 273e).

Ad un certo punto Socrate inizia a parlare con Fedro dell’utilità o inutilità della scrittura.

Iniziano ad analizzare il valore della scrittura. Per capire se la scrittura è un bene o un male racconta il mito
di Theuth. Theuth è un dio egizio (Platone è influenzato dalla cultura esotica e orientale) che ha inventato la
scrittura, presentandola al faraone Thamus per capire cosa egli ne pensa. Secondo il faraone però la
scrittura non porta vantaggi, ma due svantaggi: dimenticanza e apparenza di sapere. Non aiuta a sviluppare
la memoria e a sviluppare il sapere secondo il faraone, ottenendo i risultati opposti di quelli proposti dal dio
(passo 274e-275b).

Ma Fedro non è molto convinto del mito raccontato, pensava fosse stato Socrate stesso ad inventarlo,
poiché appariva mirato alla loro discussione. Infatti Socrate afferma di lasciar correre l’origine del mito
(origine dubbia), ma di concentrarsi sul suo contenuto, sulla verità detta.

Cosa ci trasmette il contenuto del mito:

1. L’utilità del testo scritto deve giudicarla il pubblico, l’interlocutore


2. La scrittura può avere sia effetti benefici (aiuta a ricordare, permette di trasmettere il sapere) che
effetti dannosi (si può utilizzare a proprio piacimento, per manipolazione, per scopi negativi)
3. La scrittura elimina il dialogo (il solo strumento capace di raggiungere la verità)

Quando parla dei benefici della scrittura, dicendo che è necessario interagire e che non vi sia una
sostituzione della parola scritta alla parola orale, fa riferimento a un figlio legittimo e un figlio illegittimo
(della verità).

Il discorso scritto è un figlio illegittimo: il testo non è interattivo, non muta, rimane tale. Non fa sempre la
volontà del padre (= colui che l’ha scritto) poiché una volta scritto non può essere cambiato.

Il discorso orale è un figlio legittimo: il discorso muta, vi è un interazione, un dialogo. Il discorso orale lo
definisce come “discorso scritto nell’anima”, poiché il vero discorso deve venire dall’anima e non può
essere affidato ad un pezzo di carta. Fa sempre la volontà del padre poiché l’opinione in ogni momento
può essere cambiata.

I due discorsi quindi sono diversi e hanno esiti diversi: se utilizzo il discorso scritto esso può essere
manipolato, perduto, interpretato male; se utilizzo il discorso orale avverrà in una comunità, con persone
presenti, sto creando una tradizione filosofica, sto tramandando il sapere.

Platone infatti utilizza e unisce il discorso scritto come strumento mnemonico, per ricordare, e il discorso
orale come strumento di sapere, come momento di crescita e di verità.

È contrario al monologo (utilizzato da retori e sofisti) e favorevole al dialogo (utilizzato dai filosofi).

Diceva che il vero filosofo scriveva nell’anima dei suoi allievi con i suoi allievi, la scrittura serve come
strumento mnemonico.

A questo punto Fedro chiede a Socrate una hypomnesis = riassunto (dal prefisso “sopra”), cose dette
sopra. Platone sceglie di adoperare il termine hypomnesis (e non altri termini simili) per fare riferimento
alla anamnesis (= ricordo) e quindi per ricordarci che la conoscenza è il ricordo.

Quindi Socrate fa un riassunto a Fedro ricordando che la retorica come tecne è composta da due
momenti: synagogé e diairesis, cioè il genere e la specie (passo 277b-c). Occorre prima definire l’oggetto,
poi definire il genere, poi definire la specie, poi definire gli individui e poi definire e adattare a ogni
individuo il tipo di discorso.
Passo 277d-278d: facendo questo riassunto ricorda appunto anche la critica fatta a Lisia dato che utilizza il
monologo e non il dialogo interattivo, scrivendo il suo discorso fatto in serie, prestampato, utilizzato
indistintamente per tutti e senza dire realmente la verità. E non importa se tutti lodato coloro che
utilizzano queste pratiche, coloro che lo fanno sbagliano e dovrebbero vergognarsi. Socrate specifica che
anche i poeti rapsodi (coloro che recitano e scrivono sempre le stesse poesie) sono colpevoli.

Il discorso legittimo è quello dell’uomo sapiente, il discorso fratello o figlio del discorso legittimo è quello
nato dal dialogo con l’uomo sapiente.

Platone in generale va contro l’interpretazione acritica.

Il dialogo si conclude con Socrate che fa una preghiera. Conclude questo discorso scientifico con una cosa
opposta alla scienza.

Fa una preghiera ad un dio. Ci aspettiamo che si rivolga ad Atena o Apollo. Invece si rivolge al dio Pan, dio
della natura (Socrate e Fedro infatti si trovano all’esterno della città immersi nella natura). Questo dio
rappresentava il caos, panico. In greco pan = tutto. Socrate quindi si riferisce al dio Pan perché egli
rappresenta un tutto.

Gli chiede di essere un buon filosofo, un buon sapiente. Anche Fedro chiede a Socrate di unirsi alla
preghiera poiché sono amici e gli amici condividono tutto. Si riferisce alla quantità di oro come alla
sapienza, la ricchezza interiore, che nessun altro può portargli via. Socrate è già un filosofo ma chiede che
lo diventi, poiché il filosofo è colui che cerca sempre il sapere. Da un lato Socrate già sa di essere un
filosofo, quindi vi è una duplicità nella sua preghiera (passo 279b-c).

Fedro, quando prega con Socrate, gli dice che gli amici condividono tutto. Sappiamo che Platone pensava
anche in termini politici, pensava che questi discorsi servissero anche per gli uomini politici. Repubblica
significa cosa pubblica, Atene era una repubblica in tal senso (es. se una donna aveva un problema con il
marito, se ne discuteva nell’agorà). Platone quindi intendeva che tutte le cose della vita vanno messe in
comune (come in accademia) e si doveva vivere in comune anche nello Stato.

Qui c’è un collegamento tra il Fedro e il dialogo più famoso scritto da Platone: “La Repubblica”. Nel Fedro
fa l’anticipazione del tema del dialogo che scriverà nella Repubblica, manda il messaggio quindi che
scriverà sul tema del sapere messo in comune.

Il messaggio del Fedro è: il sapere deve essere interattivo e deve servire allo Stato, deve essere politico.

INTRODUZIONE

L’introduzione è a cura di Giovanni Reale. Egli insegnava a Milano, alla Cattolica, ed è morto poco tempo
fa.

Egli dice che i temi principali sono 2:

1. L’eros, l’amore
2. Il giusto modo di scrivere

Entrambi i temi sono collegati (è un interpretazione relativamente recente, in passato erano considerate
due parti scisse tra loro). Le due parti del Fedro sono collegate tramite il filosofo, cioè colui che ama il
sapere ed è folle (filosofo coincide con l’innamorato). Quindi la giusta scrittura, quella che porta al sapere,
è l’eros.

Reale fa un lungo discorso: secondo lui, il sapere che si trova nell’iperuranio non è essere statico ma
dinamico, in movimento, e si costruisce con il dialogo. La scrittura è statica, poiché rimane sempre la
stessa.

Secondo questo principio Reale introduce due concetti:

1. uno (ad esempio l’idea)


2. diade (ad esempio le copie dell’idea)
cioè c’è un principio di unità e un principio di molteplicità.

A questo punto parla delle dottrine non scritte di Platone, cioè quelle che venivano tramandate solo
oralmente, che discuteva con i suoi allievi nel dialogo interattivo e che non troviamo per iscritto.

Secondo Reale quindi le dottrine che troviamo nel testo sono solo uno schizzo, delle dottrine secondarie, e
in realtà le più importanti non le conosciamo perché ne parlò solo oralmente.

Esoterico = qualcosa di mistico e profondo, riservato ed elitario

Essoterico = contrario di esoterico

Secondo Reale i dialoghi di Platone contengono i dialoghi essoterici, mentre i dialoghi esoterici venivano
tramandati da Platone solo verbalmente, conosciuti solo da lui e dai suoi allievi.

Per Reale il vero significato delle dottrine di Platone si trova nelle dottrine non scritte, cioè scritte
nell’anima.

Reale parla anche del mito della biga alata: secondo lui non è quella la vera interpretazione della biga
alata, altrimenti secondo questa visione i cavalli sarebbero mortali. Secondo Reale il mito non si
ricollegherebbe all’opera “La Repubblica”(quando invece il mito della biga alata di solito si collega al mito
delle tre anime presente nella Repubblica), ma si ricollega al principio di uno e diade: uno sarebbe l’anima
nella sua interezza; diade cioè molti sarebbero le varie parti che la compongono, quindi il cavallo nero, il
cavallo bianco e l’auriga.

Reale quindi da delle interpretazioni del Fedro completamente diverse da come si interpreterebbero
normalmente.

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