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1.

INTRODUZIONE

Platone è il politico classico per eccellenza. Egli scrisse la “POLITEIA” che è la chiave di
comprensione del pensiero classico e dell’orizzonte politico contemporaneo.
Il termine Politeia non può essere tradotto con “Repubblica” perché Politeia è una parola
greca che deriva da POLIS e sta ad indicare la costituzione, che è la forma organizzativa di
cui la comunità si è dotata; è la forma di vita dei cittadini. Essa può cambiare a seconda di
chi è al comando.
Platone ha una concezione organicistica della comunità: la POLIS è vivente, ha un corpo ed
una sua anatomia e così come può nascere e crescere, può anche ammalarsi e morire.
Dunque, se la polis è mortale, il politico deve comportarsi come un medico ed avere la
cura. Ma come disse Gorgia, la comunità politica ha preferito farsi curare dal cuoco, che
con la sua dolcezza seducente ti dà ciò che vuoi, invece di farsi curare da un medico che ti
dà una diagnosi spietata e una terapia estrema. Di fronte a questa situazione, la comunità
di Atene ha mandato a morte il medico, cioè il politico.

I primi 5 libri della Politeia riguardano la giustizia; essi hanno una loro coerenza precisa e
per studiarli bisogna porre al centro il testo piuttosto che le interpretazioni.
Platone adotta il DIALOGO FILOSOFICO: egli fa filosofia riproducendo nella prosa scritta
il ritmo, i registri e l’atmosfera della lingua parlata, della quale fa una MIMESIS
(imitazione).
Si può dire che egli fa filosofia in forma di teatro che imita la realtà. Nella filosofia
platonica, inoltre, c’è POLIFOMIA, cioè la presenza di più voci.
Alla fine del “FEDRO”, Platone dice di odiare la scrittura perché ha molti difetti e di
preferire l’oralità ma è costretto alla scrittura della filosofia e quindi fa uso di un dialogo
molto simile al parlato. (Egli voleva evitare che la filosofia si chiudesse in sé stessa
diventando sistema).
C’è una differenza tra:
-SAPIENTE: è depositario di una verità e si incarica di renderla fruibile a pochi discepoli;

-FILOSOFO: è colui che non possiede nessuna verità e proprio questa consapevolezza lo
spinge alla ricerca di essa. Il filosofo non è colui che non ha trasporto erotico nei confronti
di un’altra persona ma nei confronti del sapere che gli manca. Egli ama il sapere con il
corpo e con la psiche.

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Il filosofo è colui che accetta la “SIFDA DEL RIDICOLO” cioè dice sempre quello che pensa
e non si cura di essere reputato ridicolo perché c’è qualcosa di paradossale (PARADOX:
contro l’opinione pubblica) nella filosofia.
Inoltre, “FARE FILOSOFIA” consiste anche nella “PARRESIA”, cioè di dire di tutto con
estrema franchezza, accettando le conseguenze e dire la verità in faccia al potere politico
(cosa che esige coraggio) accettando, così, anche la propria morte. Il filosofo si sforza di
ricercare la verità con chi accetta la sfida del dialogo e della confutazione.

-SOFISTA: crede di essere depositario di una verità, ma tutto ciò che possiede sono delle
finte verità, che in realtà sono opinioni che vuole far diventare delle verità condivise
perdendo di soggettività.

SOCRATE:
Socrate non lasciò nulla di scritto. Egli non viene definito come maestro di verità ma come
maestro di negazione e di dubbio; egli è un elemento disturbante che trasforma la figura
del sapiente in quella del filosofo: ricordiamo Pitagora, che faceva le sue lezioni dietro ad
una tenda, creando un discorso autorevole dalle cui labbra invisibili gli studenti non
potevano fare altro che pendere.
Si entra nella filosofia quando Socrate squarcia il velo di Pitagora: egli sa di non sapere e si
siede in mezzo a noi sforzandosi di ricercare la verità in un dialogo condiviso.

Socrate viene definito “trasgressore del senso comune”. La funzione socratica è una
funzione critica che consiste nell’erodere alle fondamenta le convinzioni degli interlocutori,
insinuando dei dubbi. Socrate è trasgressore del senso comune perché demolisce l’opinione
della maggioranza: egli rifiuta l’aspetto quantitativo dell’opinione. Che un’opinione sia
condivisa dalla maggioranza, non significa che debba essere accettata acriticamente senza
sottoporla alla prova della confutazione.

-Socrate è uno sconfitto dal punto di vista politico; davanti ad un insuccesso egli si ritira
dalla vita politica. Sceglie pochi eletti e prova con loro l’EUDAIMON (la felicità) nella
dimensione privata mentre fuori la polis va a rotoli. Con Socrate il filosofo diventa
ATOPOS (esce dal luogo) e la filosofia diventa IRRESPONSABILITÀ POLITICA,
rinunciando alla possibilità di cambiare le cose.

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-Per Platone, il filosofo deve essere guida della comunità e stare al vertice della politica
perché è l’unico che può. La felicità della comunità politica deve venire prima di quella del
singolo. Quella del filosofo politico deve essere una CATABASIS, una discesa in una
posizione borbonica di incertezza; significa scendere in politica accettando di discutere in
totale franchezza.

Ci dovrà essere concordanza tra filosofia e politica per la nascita della CALLIPOLIS (città
giusta).
Nel secondo 900 la rinuncia politica di Socrate verrà vista come vincente da Hannah
Arendt perché non faceva del male se non a se stesso e ha deciso di non imporsi su tutti ma
di farsi ascoltare solo da chi lo voleva.

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-PRIMO LIBRO POLITEIA:

Il primo libro è un dialogo che oltre a fare da corpo agli altri libri, li contiene tutti in quanto
qui Platone crea i presupposti di tutti i libri successivi.
Il libro comincia con Socrate che racconta che il giorno prima era sceso al Pireo insieme a
Glaucone (figlio di Aristone) per pregare la dea Bendis, una dea straniera, e dopo aver visto
la processione volevano tornare a casa. Ma da lontano c’era Polemarco che chiedeva di
aspettarlo. Quando arriverà a Socrate, gli tirerà il mantello per trattenerlo, dicendogli
“NON VEDI QUANTI SIAMO? NOI SIAMO PIÙ FORTI E O RESTI TU PER TUO
PIACERE O TI OBBLIGHIAMO A RESTARE PERCHÉ VOGLIAMO GODERE DELLA TUA
PRESENZA.”
Questo piccolo atto di violenza diventa una sorta di insistenza, qui è tutto metaforico: l’atto
di violenza diventa una sorta di insistenza; qui è tutto metaforico: la discesa, Socrate che
vuole andare via, il rapporto tra l’uno e i molti.

-POLEMARCO: figlio di Cefalo, è un personaggio storico importante. Egli sarà ucciso


durante la TIRANNDE DEI 30, cioè la STATIS ovvero la guerra civile tra oligarchi e
democratici, dove gli oligarchi rovesceranno la democrazia e si instaureranno 30 tiranni.
Che il Polemarco storico sia morto durante una stasis sottintende il conflitto della polis.
Socrate in seguito parlerà con

-Cefalo: vecchio ricchissimo e depositario dei valori dei commercianti, il quale nel fare gli
onori di casa, dice di essere contento della presenza di Socrate perché quanto più
diminuiscono i desideri del corpo tanto più aumentano i desideri dello spirito, consistenti
nell’ascoltare bei discorsi. Socrate dirà di compiacersi quando parla con gli anziani e Cefalo
gli dirà che spesso, quando si riuniscono tutti insieme, si lamentano come se gli fossero
state tolte cose importanti, come se quella da giovani fosse vita mentre quella attuale no, e
per Cefalo sbagliano perché non accusano il vero colpevole.
Cefalo rivela di essere dalla parte di Sofocle (al quale una volta un cafone domandò se fosse
ancora capace di unirsi ad una donna) per essersi allontanato dal desiderio sessuale, visto
come padrone selvaggio, senza il quale finalmente la vecchiaia è vista come stagione di
libertà.
Il desiderio è un problema politico, non etico. Per Platone i desideri non devono essere
eliminati ma controllati; essi possono essere paragonati alle teste dell’idra perché una volta
che soddisfo un desiderio subito ne compare un altro ancora più violento.

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Dunque, l’uomo giusto non è colui che non desidera altrimenti sarebbe morto ma è colui
che è padrone di sé; capace di autocontrollo e di saper dominare i suoi desideri. In ambito
politico, ciò consiste nel governo del desiderio ma senza il desiderio del governo perché il
filosofo non ha senso di eros nei confronti del governo ma ha solo la capacità di saper
governare.

Cefalo alla domanda “in cosa consiste la giustizia?” risponde come un lavoratore onesto
dicendo che essa consiste nell’essere sempre veritieri, nel non ingannare l’acquirente e nel
restituire a ciascuno ciò che gli spetta. Dunque, la giustizia per Cefalo serve a dormire
sogni tranquilli perché ha sempre detto la verità. A questo punto Socrate entra nella
CONFUTAZIONE perché per lui il concetto di giustizia di Cefalo non è universale in
quanto dire la verità non è sempre giusto, così come non lo è restituire a ciascuno ciò che
gli spetta; dunque, l’unica risposta accettabile è quella che non tollera eccezioni.
Ora nel discorso subentra Polemarco, soccorrendo il padre che è stato appena confutato da
Socrate. Egli ricorre all’AUTORITAS di Simonide affermando che la definizione di giustizia
detta dal padre era stata affermata dal grande poeta Simonide e, quindi, la sostenibilità di
quella definizione viene supportata da ciò.
Ma che l’abbia sostenuto, a Socrate non interessa perché egli ci invita a negare l’autorità di
tutto: nessun argomento, chiunque lo sostenga, può essere accettato senza una prova di
resistenza, la confutazione. Socrate risponde con ironia dicendo “Simonide è un SOFOS,
come potremmo credergli!” dissimulando una critica radicale (“vediamo cosa hai capito di
Simonide”).
L’ironia è dissimulazione, distanza dal proprio discorso che serve a nascondere la verità dal
proprio pensiero.
Inoltre, Platone adotta una CRITICA DELLA POESIA consistente in una polarità tra
BELLO e VERO: il poeta intende compiacere producendo bellezza, senza preoccuparsi
della veridicità; al contrario, il filosofo è interessato alla verità.
In seguito, Polemarco sosterrà che la giustizia consiste nel fare del bene agli amici e del
male ai nemici ma per Socrate questa è una grande inesattezza e per confutare Polemarco
sposta il discorso sul versante della TECHNE: la giustizia è una TECHNE e quindi obbliga
l’uomo giusto a comportarsi come un tecnico competente. Se ogni techne migliora colui a
cui è destinata, la giustizia, che è una techne, non può non consistere nel fare del male
perché in questo modo oltre a peggiorare le situazioni, contraddirebbe il suo STATUTO DI
TECHNE. In questo modo Polemarco è stato demolito da Socrate e costretto a riconoscere
la sua incoerenza.

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Ora entriamo nel vivo della Politeia: quando Socrate e Polemarco fanno una pausa,
Trasimaco, il cui nome significa “Violento combattente” (un nome che racchiude un
destino), entra in scena come un HOSPER THERION (una bestia feroce), scagliandosi
contro Socrate e dicendogli “se vuoi sapere cos’è il giusto non limitarti a bearti della
confutazione, ben sapendo che è molto più facile fare domande piuttosto che rispondere”,
dichiarando che ora farà lui le domande, infatti dirà a Socrate “Dimmi cos’è il giusto, però
non puoi dire che è i conveniente, l’utile, l’opportuno, il giovevole, il vantaggio o il
profittevole.” Tra questi aggettivi però ce n’è uno che lo stesso Trasimaco userà per la sua
definizione di giustizia.
Socrate dice di essere rimasto sconvolto e di ascoltarlo con terrore affermando: “se non
avessi visto prima io lui che lui me, sarei rimasto atterrito”, esplicitando così la bestia a cui
viene paragonato Trasimaco: il lupo. Mentre quella del leone o della tigre è una ferocia
nobile, essi sono feroci solo con gli altri e non con i loro simili; quella del lupo è una ferocia
ignobile che viene scagliata anche contro i propri simili, mangiandosi gli uni con gli altri. Il
lupo è un animale tirannico che tende all’ingiustizia, ma la sua maggiore pericolosità
consiste nel fatto che quando esso è cucciolo non è distinguibile dal cane, facendomi
portare a casa un animale feroce pensando che sia domestico.
Nel dialogo “il sofista”, Platone paragona il lupo al sofista dicendo che la città può
scambiare per un filosofo, cosa molto pericolosa perché significa scambiare chi cerca
l’applauso con chi non lo cerca: dunque, il sofista sta al lupo come il filosofo sta al cane.
Nel momento in cui la polis si affida a qualcuno nella speranza autoillusoria di essere
protetta da lui ma egli non è un protettore per natura perché in realtà è un lupo, un
tiranno, succederà che il popolo di Atene si consegnerà volontariamente ad un tiranno ma
inconsciamente. Per Platone, i tiranni nascono come protettori del demo, il quale si
inizierà a fidare di lui, ma quando poi so mostrerà per ciò che è davvero, sarà troppo tardi.
Trasimaco poi dirà “lo sapevo che avresti fatto di tutto per eludere alle mie domande” e
Socrate “perché tu sei sapiente e quindi dovresti sapere che tu mi hai impedito di
rispondere”. Ma in realtà Trasimaco non è interessato alla risposta di Socrate perché egli
sta morendo dalla voglia di dare lui la risposta ma prima vuole farsi pregare e anche pagare
(in quanto sofista). In seguito, Trasimaco arriverà a dare la sua definizione di DAIKON EK
NOMON (giusto secondo legge): “io dico che il giusto è l’utile del più forte” peccando, però,
così di incoerenza. Nonostante ciò, Trasimaco dice una cosa di cui Socrate condivide la
prospettiva utilitaristica: cioè tra giusto e ingiusto; è molto più conveniente a giustizia.

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Dava la sua definizione, Trasimaco chiede “perché non mi elogi?”, perché in quanto sofista
egli cerca applausi, consensi ed elogi acritici ma Socrate risponde di voler capire prima
bene cosa intende perché, essendo egli filosofo, prima di dare ragione o torto deve
sottoporre l’argomento alla prova della confutazione.
Ora inizia la buffonata di Socrate, destrutturando l’argomento di Trasimaco e mettendolo
in ridicola attraverso l’equivocato cioè dando un significato letterale al suo discorso
metaforico. Inizia invertendo i poli dell’enunciato di Trasimaco dicendo: “tu dici che l’utile
del più forte è il giusto allora vuoi dire che dato che oggi il più forte in Grecia è
Pluridamante (che ha vinto le olimpiadi di pugilato e lotta libera), ciò che è utile al più
forte è la carne di manzo, quindi noi che siamo più deboli dobbiamo mangiare la carne di
manzo.” Trasimaco, però, sapendo che Socrate ha capito perfettamente ciò che voleva dire,
dice “Sei schifoso perché prendi il logos del tuo interlocutore e lo sfiguri al massimo fino a
renderlo irriconoscibile rispetto al suo senso. Ma con me non attacca, devi usare un
registro privo di ironia fatale perché è facile prendere l’argomento del tuo interlocutore e
ridicolizzarlo. A questo punto Socrate la smette cercando di contenere la rabbia del suo
interlocutore, dicendo “ora mi devi spiegare con più chiarezza.”
A questo punto, Trasimaco imposta il discrorso della giustizia in termini politici, senza più
abbandonarli, impostando il nesso tra giustizia e chi comanda nella polis. Platone dà
questo compito a Trasimaco perché attraverso di lui riesce a platonizzare (cioè a
politicizzare) Socrate, la cui scelta di vita era stata non politica. Dietro a tuto questo teatro
c’è sempre e solo Platone, che è burattinaio onnisciente, i cui due problemi erano:
verosimiglianza, cioè far parlare Socrate quanto più vicino possibile al Socrate storico, e
quello di Platonizzare Socrate, attribuendogli concezioni che noi proviamo essere non
socratiche.
Trasimaco afferma che ciascuna forma di governo pone i nomoi (leggi) in funzione del
proprio utile a scapito del bene comune. In ciascuna polis è potente colui che comanda,
colui che è TO ARCHON, che ha il primato politico, il quale ponendo i nomoi, legifera a
favore di sé stesso e a scapito dei più deboli. Platone dice che è vero che le cose stanno così
ma non condivide la prospettiva pessimistica di Trasimaco secondo cui questa situazione
non può cambiare.
Per confutare Trasimaco, Socrate sposta l’argomento sul versante dell’analogia tecnica
chiedendogli “ma coloro che comandano sono infllibili o possono commettere qualche
errore?” e Trasimaco dice che possono commettere qualche errore, allora Socrate dice “ma
se sbaglia succede che invece di perseguire il proprio utile, persegue quello della
controparte” e allora Trasimaco dice che il più forte, se lo è davvero,

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non può comettere errori, contraddicendosi. Per Trasimaco, porre i nomoi è un’episteme
(scienza) che presuppone l’infallibilità del più forte, che per analogia deve comportarsi
come il medico infallibile.
Ma Socrate dice che il medico, nell’esercitare la propria techne, rivolge il proprio utile al
paziente, pur rimanendo il più forte perché depositario di un’episteme. Dunque, se la
politica è techne, episteme, dovrà comportarsi come tutte le altre scienze e perseguire
l’utile del più debole.
Così viene capovolto il PRIMO ARGOMENTO DI TRASIMACO; relazione tra:
-SAPERE;
-POTERE;
-INTERESSE.

Il SECONDO ARGOMENTO DI TRASIMACO ha a che fare con la dimensione etica: per lui
l’ingiustizia è uguale alla felicità. Cioè quanto più sei ingiusto, tanto più sei eudaimon
(felice) ma l’ingiustizia può essere commessa solo nell’idion (sfera privata) dove è molto
più conveniente e razionale essere ingiusti piuttosto che giusti perché lì posso commettere
l’ingiustizia impunemente. A questa realtà antropologica, Platone risponde con una
soluzione radicale consistente nella dissoluzione dell’idion, dato che esso è causa di
ingiustizia, eliminando così il conflitto di interessi. L’idion è anche causa di disuguaglianze
ma Platone, essendo teorico della disuguaglianza, sostiene che non tutte sono sbagliate:
quelle fondate sul merito sono giuste mentre sono ingiuste quelle fondate sul privilegio.
Per Trasimaco, il massimo dell’ingiustizia (e quindi il massimo della felicità per chi la
commette e la massima sventura per chi la subisce) è la tirannide.
Nell’immaginario popolare, il tiranno è paragonato a Dio, è MAKARIOS (avente una
beatitudine che va oltre l’umano), è ONNIPOTENTE perché egli può fare tutto
(appropriarsi delle ricchezze e dei cittadini stessi) senza essere esposto alle conseguenze
perché è troppo forte. Coloro che, invece, condannano l’ingiustizia non hanno paura degli
atti ingiusti ma di essere vittime. Quindi, mentre per Trasimaco la forma di vita da
adottare per essere felici è l’ingiustizia, per Socrate, invece, è molto più conveniente la
giustizia ma in entrambe le posizioni vi è lo stesso scopo, cioè il raggiungimento della
felicità.
Socrate, però, non è d’accordo con la posizione di Trasimaco. Ricordiamo che per Platone il
governo consiste nella prestazione del governante che si prende cura dei governati,
perseguendo il loro utile;

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per Trasimaco, invece, l’essenza del governo è il potere, dunque, chi governa persegue il
proprio interesse. Allora Socrate dice a Trasimaco che “tu pensi che coloro che governano
lo facciano per volutamente? Non è così, chi governa la polis lo fa mettendosi al servizio
degli altri e non ne trae nessun vantaggio. Il governo viene visto come un onere dai più
grandi, per questo motivo viene posto un MISTHOS (un’indennità), per ripagare il tempo
perso nel portare avanti questo peso.” Quindi Socrate vuole dire che proprio perché
governare è un onere (un peso), nessuno vuole farlo volontariamente ma qualcuno lo fa
solo per non essere governato da qualcuno di peggiore.
A questo punto, Socrate dice a Trasimaco “tu hai definito l’ingiustizia come una virtù
(come intelligente) e la giustizia come una GENNAIA EUETHEIA (nobile ingenuità).
Dunque, l’uomo giusto è quello che prevarica solo sul diverso da lui mentre l’uomo ingiusto
prevarica su tutti.” E Trasimaco dice “ti sei espresso perfettamente Socrate.”
Ora Socrate entra nella confutazione spostando il tutto sul versante dell’analogia tecninca:
per Socrate, il SAPIENTE è AGATHOS (intelligente); è colui che non prevarica sul suo
simile ma solo sul diverso mentre il cattivo si comporta come l’ignorante perché prevarica
sia sul simile che sul diverso. Dunque, l’uomo giusto somiglia al SOPHOS mentre l’uomo
ingiusto all’ignorante e dimostrerà ciò a Trasimaco confutandolo attraverso quest’esempio:
una banda di ladri, nel commettere un’azione ingiusta, non potrebbe fare niente se si
facessero ingiustizia reciprocamente. Quindi essi devono disciplinare la propria azione,
proibendo la PLEONEXIA (prevaricazione, desiderio di avere tutto per sé). Dunque, un
obiettivo ingiusto non si portà realizzare senza una minima forma di giustizia all’interno
del gruppo.
Dunque, è molto importante l’analogia polis – singolo uomo: così come una polis discorde
al suo interno è debole, così come l’uomo scisso in sé stesso è incapace di agire bene.
Quindi quello più potente nell’azione è l’uomo giusto perché è quello più concorde in sé
stesso.
Alla fine del PRIMO LIBRO, Platone accenna già la risposta alla domanda “cosa sia la
giustizia”: in una comunità politica si ha la giustizia quando ognuno svolge il proprio
ERGON, la propria funzione, quella che più propriamente gli compete e che sa svolgere
meglio.

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-SECONDO LIBRO POLITEIA:

A questo puto Socrate, ritenendosi soddisfatto, pensava di potersi liberare del LOGOS ma
in realtà quello era solo un proemio (un discorso introduttivo).
GLAUCONE (fratello di Platone) sarà l’erede de discorso di Trasimaco e dirà a Socrate
“vuoi solo far sembrare che ci hai convinti o vuoi davvero persuaderci che è sempre meglio
essere giusti piuttosto che ingiusti?” così facendo, Glaucone sta sollecitando Socrate
attraverso una provocazione legata alla prospettiva delle opinioni: fino ad ora ci siamo
mossi nella prospettiva della DOXA (opinione) ma il filosofo dovrà sempre perseguire la
verità, quindi la provocazione di Glaucone serve a Socrate per fare questo passaggio. Ciò
che ora farà Glaucone è sforzarsi di elogiare l’argomentazione di Trasimaco sulla vita
ingiusta, nonostante non sia un’opinione che gli appartiene, per sentire Socrate lodare la
vita giusta, e quindi dirà: “io non credo del tutto all’opinione che ora ti manifesto ma voglio
dirti che questa è l’opinione della maggioranza” e ora tripartisce i beni “ci sono dei beni che
noi possediamo non per gli effetti che ne ricaviamo, ma di per sé, come il gioire e tutti i
piaceri che non fanno male ma neanche bene (quei piaceri desiderati per sé stessi a
prescindere dai vantaggi che possano derivare), poi ci sono quei beni che noi amiamo sia
per sé stessi sia per i VANTAGGI che ne vengono, come la salute, la vista, l’intelligenza, e
poi quei BENI che, presi di per sé, sono considerati come un male ma diventano un bene
per le cose che ne derivano come l’attività fisica, la cura delle malattie eccetera e continua
dicendo “ma in tema di giustizia, la maggioranza pensa che essa vada collocata tra i beni
del terzo tipo.”
Ora Glaucone introduce il concetto della giustizia come frutto di un accordo stipulato tra
gli uomini: “la condizione naturale degli uomini è che desideriamo commettere ingiustizia
ma che non la subiscano (è molto più grave subire ingiustizia che commetterla). Ma gli
uomini si rendono conto della necessità di uscire da questa condivisione perché così come
posso commettere ingiustizia, così posso subirla. Quindi una volta fatta esperienza del
bene e del male, gli uomini si mettono d’accordo e stipulano un accordo nel quale ognuno
rinuncia all’ingiustizia e alla prevaricazione, in cambio di una maggiore sicurezza, che
verrà assicurata solo dalla giustizia, la quale è innaturale perché per natura l’uomo tende
all’ingiustizia, ma rendendosi conto che può essere sia autore che vittima; gli uomini fanno
quest’accordo di rinuncia all’ingiustizia reciproca. “Quindi ciò ci fa capire che la giustizia è
solo un compromesso, si trova EN MESO (in mezzo) tra la condizione migliore (fare
ingiustizia impunitamente) e quella peggiore (essere vittima senza potersi difendere).

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Dunque, la giustizia viene scelta solo in relazione alla mia impotenza perché se avessi la
sicurezza di non subire nulla in conseguenza alle mie azioni, non dovrei limitare la mia
ingiustizia.
Glaucone continua dicendo “se non mi credi, ti dimostrerò che sia il giusto che l’ingiusto,
messi nella stessa condizione, sceglieranno la stessa strada, cioè quella della sopraffazione”
introducendo così la storia dell’ANELLO DI GIGE, volta a dimostrare che in fondo l’uomo
è per natura incline all’ingiustizia e che egli rispetti i nomoi è una cosa contronatura perché
qualora dotassimo di un anello magico sia l’uomo giusto che l’ingiusto, scopriremmo che
entrambi di avviano per la strada dell’ingiustizia.
Viene, quindi, posta la contrapposizione tra NOMOS e PHYSIS (comprensione vs natura).
Secondo Antifone, i nomoi sono convenzionali cioè nascono da un accordo tra gli uomini,
ed accessori, cioè possono esserci come non esserci, non hanno il carattere della necessità.
Quindi se un uomo si trovasse nella posizione di delinquere, egli dovrebbe violare la legge e
assecondare la natura perché, come dice Glaucone, nessun uomo è talmente
ADIMANTINOS da riuscire a sottrarsi alla tentazione dell’ingiustizia.
Ci sono due versioni dell’AGNELLO DI GIGE:
-quella di Erodoto, dove Gige è la guardia fidata di Candaule, il quale chiede a Gige di
nascondersi nella camera della regina per vederla nuda, così da poter testimoniare la sua
bellezza. Essendosi nascosto, Gige riesce nello scopo ma la regina con la coda dell’occhio lo
aveva visto e continuava a spogliarsi senza dire niente. Il giorno dopo quest’ultima
chiamerà Gige e gli dirà che o ucciderà Candaule prendendo il trono e il letto o morirà lui.
Gige ucciderà Candaule. Qui non c’è l’anello ma vi è il tema del nascondimento e della
visione proibita.
-quella di Platone, dove Gige è un pastore. Mentre pascolava le greggi ci fu un terremoto
che provocò una fenditura nel terreno da cui uscì un cavallo di bronzo e un uomo morto
con un anello. Gige prese l’anello e si rese conto che, nel girarlo verso l’esterno, diventava
invisibile. Userà ciò per uccidere Candaule e prendersi la regina e il trono. Qui l’anello è
metafora dell’idion, l’indivisibilità: ciò che resta nascosto diventa più potente di ciò che è
visibile.

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• Immoralità di Glaucone:
Glaucone dice molte cose cattive che però definiscono precisamente il nostro modo di
essere. Un’ulteriore cattiveria è relativa al giudizio della maggioranza nei confronti degli
uomini ingiusti. Per Glaucone c’è un modo perfetto per commettere ingiustizia: dice che
l’uomo ingiusto è colpito da un giudizio di disvalore, non perché ingiusto ma perché nel
commettere ingiustizia è stato PHAULOI (scadente); talmente incapace da farsi cogliere in
flagrante nella violazione della norma e, dunque, viene disprezzato per la sua incapacità.
Per Glaucone, nel compiere ingiustizia bisogna essere dei DENOI DEMIURGOI (sagaci,
capaci) cioè dei professionisti del crimine; non deve esserci differenza tra l’ingiusto e il
delinquente. In questo modo le cose andranno bene ed io sarò ammirato ed invidiato.
Il grande delinquente è l’opposto di Socrate: c’è una contrapposizione tra DOKEIN
(apparire) e EINAI (essere).
Mentre l’uomo perfettamente ingiusto vuole apparire giusto, pur non essendolo, Socrate,
che è stato l’uomo perfettamente giusto, non si preoccupò della propria giustizia e quindi
apparve ingiusto e per questo venne condannato. Quindi Socrate avrebbe dovuto capire
che l’importante è SEMBRARE GIUSTO e non ESSERLO. Ma in lui c’è una grande
coerenza tra MAGISTERO FILOSOFICO e VITA. La sua stessa vita è filosofia e la prova sta
nel fatto che, non scrivendo libri, è come se dicesse “io sono la mia filosofia”, la cui morte
può essere definita come il capitolo finale.

Secondo Antifonte, l’uomo ingiusto, diversamente dall’uomo giusto che rispetta le leggi, è
l’uomo che vive secondo verità perché quando nessuno lo vede egli è vero, si mostra per
quello che è mentre gli uomini giusti vivono di opinioni. Quindi l’INGIUSTIZIA è VERA
mentre la GIUSTIZIA dipende dall’OPINIONE.

Anche Glaucone (come ha fatto anche Trasimaco) mette a confronto l’uomo ingiusto e
l’uomo giusto: l’ingiusto è l’uomo più fortunato, quello che vive e sta meglio; egli può
beneficiare non solo degli amici ma anche degli dèi perché può donare loro di più e quindi
se li ingrazia. Invece, l’uomo giusto è ingenuo. Quindi il più EUDAIMON (felice) è
l’ingiusto. Tutto ciò Glaucone lo sostiene come portavoce della DOXA (opinione della
maggioranza).

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Ora prende la parola Adimanto, fratello di Glaucone, che dice “agli occhi della
maggioranza, le condotte ingiuste sono più vantaggiose di quelle giuste e si prova
ammirazione verso i ricchi e i potenti nonostante siano malvagi, come se la potenza
riscattasse la cattiveria” e continua dicendo “ma di tutti questi discorsi quelli più
sorprendenti sono quelli sugli dèi.” Per Adimanto è come se gli dèi premiassero i cattivi e
trattassero male i buoni; dice che gli dèi sono corruttibili e concedono favori a chi è in
grado di ingraziarseli mediante sacrifici, feste religiose eccetera. Dunque, è più semplice
assecondare il vizio piuttosto che vivere in virtù, che alla fine non è neanche appagante.
Quindi, secondo Adimanto, la persona meglio attrezzata ad affrontare la prassi è quella che
dentro ha una volpe ma fuori esibisce un agnello (dunque la giustizia concepita come
inganno ottico, come falsa rappresentazione della realtà).
A questo punto, Glaucone dice “quindi perché dovremmo scegliere la giustizia quando
l’ingiustizia ci porta molti benefici sia nella vita che nella morte?” mettendo Socrate nella
posizione di capovolgere l’argomento di Trasimaco. Ora Socrate dice “oh, figli di Aristone!
Se siete così in grado di difendere l’ingiustizia, com’è che siete vissuti nella giustizia senza
farvi fuorviare da queste opinioni? Se non vi conoscessi penserei che siete degli ingiusti” e
continua dicendo “avete, così, messo in difficoltà la giustizia che ora deve diventare
EPIKOUROS (assistente) e difenderla, non potendola lasciare in balia di tali
argomentazioni.”
Per difendere la giustizia, Socrate ricorre al PARAGONE DEI GRAMMATA (caratteri scritti
in grande): l’obiettivo è la ricerca della definizione della giustizia e dice che se vogliamo
cogliere la giustizia dobbiamo prima vederla in caratteri più grandi e dopo in quelli più
piccoli. Cioè Socrate diche che il tema della giustizia deve essere impostato prima in
termini di comunità politica e in un secondo momento alla PSYCHE di ognuno di noi.
Platone crea un’analogia tra POLIS e PSYCHE: la giustizia da un lato riguarda un uomo
solo, dall’altro la comunità ma, dato che la polis è più grande di un uomo solo, è nella
dimensione comunitaria che dobbiamo ricercare la giustizia. Per Platone vi è HOMOIOTES
(somiglianza) tra MAGGIORE e MINORE ma per lui il maggiore incorpora il minore
quindi se conosco il maggiore posso arrivare a conoscere anche il minore.
Dunque, dice Socrate “se noi riusciamo a vedere la genesi (da dove nasce) della città,
riusciremo anche a vedere da dove nasce la giustizia.

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L’antropologia che sta alla base degli argomenti di Glaucone ed Adimanto è
un’ANTROPOLOGIA SOFISTICA, cioè della PLEONEXIA, che verrà rovesciata da Platone
per bocca di Socrate, nel secondo libro, in relazione alla spiegazione della nascita della
polis: per Platone, gli uomini stanno insieme sulla base della CHREIA (bisogno); io sto con
l’altro perché l’altro può darmi qualcosa che non ho quindi è la mancanza che mi obbliga a
stare insieme agli altri. Ognuno manca di qualcosa; nessuno è autosufficiente: quindi gli
uomini non stanno insieme per farsi reciprocamente violenza ma perché hanno bisogno gi
uni degli altri. Dunque, l’origine della comunità non può derivare dalla PLEONEXIA
perché altrimenti sarebbe una comunità in balia della violenza e scissa al suo interno, non
essendo più una.
Allora la polis può essere definita come una co-abitazione fondata sulla CHREIA, sul
BISOGNO RECIPROCO perché nessuno di noi è autosufficiente.
La polis si fonda su 3 bisogni fondamentali:
1. MANGIARE: non significa mangiare bene ma mangiare quanto basta per non morire ma
sopravvivere;
2. ABITARE: non significa avere delle belle case ma solo un tetto sulla testa per proteggersi
dalle intemperie;
3. VESTIRSI: l’uomo non è ricoperto di pelliccia, quindi, ha bisogno di vestirsi, di coprirsi
con qualcosa di economico che sia fresco d’estate e caldo d’inverno.
Dunque, sarà una polis di stretta necessità che si riduce a questi 3 bisogni. Ad ogni bisogno
vi corrisponde un soggetto con una competenza tecnica che dovrà farvi fronte:
1. UN CONTADINO: colui che coltivi la terra e porti verdure etc;
2. UN MURATORE: per fare un tetto;
3. UN TESSITORE: per avere abiti, sacchi…
Socrate, allora, dice “è più conveniente che il contadino produca per tutti i membri della
comunità, che a loro volta gli daranno il proprio, o solo per sé stesso?”
Ovviamente è vantaggioso che produca non solo per sé ma anche per gli altri a patto che
anche loro facciano la propria parte. Dunque, qui siamo davanti ad un PASSAGGIO
CAPITALE per comprendere tutta la FILOSOFIA PLATONICA: una buona polis è quella
dove c’è distribuzione dei ruoli secondo un criterio di specializzazione funzionale e dove ci
sarà, poi, condivisione e reciprocità che permetterà di sopperire ai bisogni.
Così, Platone fonda il DISCORSO SULLA GIUSTIZIA basato sulla disuguaglianza naturale,
cioè: noi non siamo HOMOIOTES (uguali) per NATURA, ma noi siamo DIAPHERON TEN
PHYSIS ovvero DIFFERENTI PER NATURA, e ognuno di noi è adatto a svolgere UNA sola
funzione.

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La POLYPRAGMOSIONE (moltiplicazione indebita delle attività), tipica di colui che fa
tante cose ma senza farne bene nessuna, è sbagliata da adottare. Inoltre, dire che non
siamo tutti uguali significa che non tutti possono governare: si tratta di un attacco politico
alla democrazia e all’oligarchia. Il criterio di attribuzione giusta per Platone è la TECHNE.
In questa polis, altri DEMIURGOI (artigiani) vi entreranno perché sono necessari a quelli
che già vi sono (es. i calzolai avranno bisogno di qualcuno che gli fornisca le pelli e,
dunque, ci sarà anche bisogno di qualcuno che allevi gli animali). Ma gli uomini sono
comunque capaci di contenere i propri desideri in forma di bisogni e non vanno oltre di
essi.
Ora Socrate dice a Glaucone che la polis è cresciuta ma la forma di vita degli uomini che ci
vivono è frugale, sobria, semplicissima in cui gli uomini hanno solo bisogni e non desideri.
Essi dormono su GIACIGLI DI FOLLIE; sono vegetariani e mangiano ghiande. A questa
affermazione segue l’obiezione fondamentale di Glaucone, senza la quale la “POLITEIA”
sarebbe finita: “ma tu stai progettando una polis di maiali! Che l’uomo sia capace di
controllare il suo desiderio e di risolverlo nel bisogno non è un’ANTROPOLOGIA
REALISTICA.” Ma fino ad ora, dice Socrate, la polis è cresciuta in maniera giusta perché i
bisogni erano limitati. Nel momento in cui non poniamo un limite, la polis crescerà a
dismisura in rapporto al proliferare dei nostri desideri superflui, avendo bisogno di
persone che li soddisfino.
Ma vi è una stretta relazione tra desiderio e guerra: il desiderio ha come conseguenza
inevitabile la guerra, per fame, spazio. Quindi ciò di cui abbiamo bisogno è di un CORPO
DI PHYLAKES (difensori, protettori) che conservino la polis e ne promuovano
l’espansione. E Glaucone dirà: “ma perché abbiamo bisogno di quest’esercito?” perché per
Socrate la guerra è una TECHNE: solo un corpo composto da tecnici competenti e che
siano abilitati per natura possano dedicarsi allo scontro armato.
Ora inizia il monologo di Socrate su come costruire un corpo organizzato di guerrieri:
prima di tutto dobbiamo scegliere delle buone nature che si prestino adeguate alla difesa
della polis; che devono essere ANDREIOS, cioè dotate di coraggio virile, e THYMOEIDES,
cioè aventi un sistema di valori collerico (THYMOS è animosità, è istanza psichica della
reazione verso gli altri). Questo nucleo è molto importante per la comunità politica ma
anche molto pericoloso perché abbiamo scelto le NATURE PIÙ FORTI (e le stiamo
addestrando) e COLLERICHE ed IRASCIBILI, è un corpo molto più forte dei cittadini e
dobbiamo stare attenti che non vi si ritorca contro.

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Quindi deve essere un corpo PROS OIKEIOUS cioè mansueto e mite nei confronti dei
cittadini, e PROS POLEMOUS, cioè duri, tosti nei confronti nemici. Allora, il GUERRIERO
PERFETTO deve essere MITE con i propri concittadini e FEROCE con i nemici esterni:
viene paragonato, così, al cane, il quale decodifica l’altro e lo qualifica come proprio o come
estraneo e in base a ciò il cane risponde. Quindi, questo CORPO deve agire sulla base di un
RICONOSCIEMENTO del proprio e dell’estraneo. Ma Platone sa anche che questo
riconoscimento potrebbe venire meno e quindi di essere “morsi dal cane”.
Secondo Platone, esistono due grandi malattie:
-STATIS: è violenza reciproca tra membri della stessa polis. Il tiranno si approfitta del
conflitto per emergere;
-TIRANNIDE: il popolo sceglie un protettore credendolo un DEMAGOGO, ma in realtà è
un tiranno.
Comunque, individuate le nature, dobbiamo sottoporle a TORPHE (allevamento) e
PAIDEIA (educazione). Questi uomini devono essere sottoposti, inoltre, ad una duplice
educazione:
-GYMNASTIKE: che rende forte il corpo e tende i nervi;
-MOUSIKE: rivolta all’apparato psichico, di cui fanno parte i logoi, cioè i discorsi i quali
possono essere sia veri che falsi, ma che siano falsi non significa che non abbiano contenuti
di verità.
Platone dice, però, che certi discorsi, cioè quelli che hanno come protagonisti DÈI ed EROI
in posizioni IMMORALI, non devono essere fatti perché dobbiamo educare alla virtù
attraverso degli esempi virtuosi.
Quindi egli impone DUE TYPOI (stampi, firmati) su come si può parlare degli dei:
1. Il primo consiste nel comporre POESIE che trattino della bontà degli dei. Platone ce l’ha
con Omero e Sofocle per il concetto di COLPA TRAGICA: è una colpa senza colpa e si prova
nei confronti dell’eroe una condivisione del suo dolore, che viene imputato al dio; cosa che
secondo Platone è moralmente inaccettabile perché non possiamo far credere che gli dei
siano cattivi e le cause del male devono essere cercate altrove.
Comporre un poema dove l’infelicità degli uomini è causata dagli dei è immorale (e anche
pericolosa perché gli uomini si vanno a deresponsabilizzare dalle loro azioni). Quindi, i
poeti dovrebbero comporre poemi dove gli uomini mortali soffrono e sono infelici per le
proprie colpe, mostrando così l’infelicità come il giusto debito da pagare per le proprie
colpe.

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2. Il secondo consiste nel presentare il dio come sincere, al quale non piace né il falso né la
menzogna.
Nei miti, il dio viene presentato come PROTEIFORME (in perenne trasformazione). Ma, se
la natura del dio è eccellente e perfette, perché dovrebbe mutare? Per i greci la perfezione
corrisponde all’immutabilità, dunque, cambia solo ciò che non è perfetto; solo questo,
infatti, subisce METABOLE (trasformazione ad opera di un agente esterno). Dunque, tutti i
racconti dove il dio prende sembianze diverse dalle proprie non sono accettabili perché è
uno PSEUDOS (menzogna).
Il secondo libro si chiude con Adimanto, che dice di essere d’accordo con questi TYPOS,
definendolo HOS NOMOI (norme giuridiche di valore universale) da non poter varcare.

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-TERZO LIBRO DELLA POLITEIA:

Platone dice che se componiamo dei poemi dove vengono descritti i castighi che attendono
la PSICHE UMANA dopo la MORTE, finiamo per suscitare in chi li ascolta un’intesa paura
della morte, quindi è DISEDUCATIVO raccontare queste di guerrieri, in quanto loro non
devono avere paura della morte ma devono essere coraggiosi. Attraverso la sua ESTETICA
POLITICA, Platone dice “non si offendono Omero (perché vuole eliminare dall’Iliade e
dall’Odissea quei passi che parlano dell’Ade) o gli altri poeti se eliminiamo dai loro poemi
le parti sull’Ade, io non voglio rinnegare la loro bellezza all’ascolto, ma nella polis che
stiamo formando, il valore della bellezza del verso deve essere subordinato al valore della
sua UTILITÀ PRGAMATICA”. Cioè dobbiamo fare in modo che i FUTURI GUERRIERI
amino la loro ELEUTHERIA (libertà) più della vita stessa, in quanto l’uomo ibero è colui
che si è liberato della paura della morte.
Il passaggio successivo consiste nel fatto che l’UOMO EPIEIKES ANER (uomo veramente
giusto) non temerà la morte perché la sua sventura più grande non è morire ma MORIRE
SENZA ONORE, in modo degradante. E, allora, non permetteremo ai poeti di
rappresentare uomini rinomati, come Achille, piangere per un compagno morto.
Rappresentare le lacrime degli eroi è moralmente poco edificante perché l’eroe deve essere
felice di andare incontro alla morte in quanto con essa otterrà GLORIA ETERNA. Inoltre,
se un eroe come Achille piange, i mortali faranno altrettanto e saranno poco virili, non dei
guerrieri di valore.
Dunque, vi è una concezione edificante dell’arte, che deve essere funzionale a formare
guerrieri perfetti per la polis; guerrieri che non abbiano paura della morte e che non siano
inclini né al pianto né al riso.
La filosofia vede nella poesia una pericolosa concorrente che, al posto di educare il
pubblico, lo diseduca. Dunque, ci sono una condanna ed una censura della poesia, alla
quale di dovrà sostituire la filosofia come PAIDEIA.
Detto questo, ora si fa una DIGRESSIONE all’indietro: la MENZOGNA è INUTILE agli dei,
loro non ne hanno bisogno ma può essere utile agli uomini, per i quali può essere un
CHRESIMON PHARMAKON ma dobbiamo consentirne l’uso solo ai medici. Ci troviamo
ancora una volta davanti al PARAGONE POLITICO – MEDICO ma soprattutto ad una
CONCEZIONE ARISTOCRATICA della politica: non tutti possono mentire, ma solo i
titolari dell’arte della menzogna.

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Dunque, gli uomini non devono mentire ma c’è una parte di loro, gli ARCHONTES (i
governanti) che possono farlo per il bene del popolo. Se invece sono gli ARCHONOI (i
governati) a mentire, dovranno essere puniti perché causano SOVVERSIONE, la stessa che
sarebbe introdotta nella NAVE se consentissimo al MEMBRO DELL’EQUIPAGGIO di
mentire al CAPITANO, e la stessa se consentissimo al paziente di mentire al medico.
Quindi medico, capitano e governatore possono mentire perché loro possiedono la
TECHNE e lo fanno per una questione di bene; al contrario, il paziente, il membro
dell’equipaggio ed il governato non possono mentire perché creerebbero sovversione
(capovolgimento).
Dunque, la maggioranza degli uomini (PLETHOS) deve avere una virtù fondamentale:
quella della SOPHROSYNE, che è virtù della SOTTOMISSIONE (obbedire a chi comanda),
della TEMPERANZA, della CONTINENZA. La SOPHROSYNE non è innata ma si
costruisce facendo ascoltare alla massa racconti e miti che li rendono capaci di
sottomettersi e, allo stesso tempo, capaci di dominarsi e controllarsi.
La SOPHROSYNE ha una duplice declinazione:
1. SOTTOMISSIONE A CHI GOVERNA: accettazione della propria parte all’interno della
classe sociale;
2. AUTOCONTROLLO, CONTINENZA: capacità di dominio delle proprie pulsioni.
Ma Platone non si limita a criticare solo il contenuto dei discorsi ma anche la loro forma,
cioè la LEXIS, il modo in cui si esprime. Per Platone ci sono due tipi di LEXIS:
1.DIEMETIS: cioè la NARRAZIONE SEMPLICE; è il racconto che si esprime nel discorso
indiretto, dove a parlare è sempre l’autore;
2.MIMESIS: cioè IMITAZIONE (verso la quale Platone nutre sospetto) che realizza un
obiettivo di REALISMO attraverso il DISCORSO DIRETTO, che imita il PARLATO.
Platone identifica la MIMESIS con il TEATRO ed è quindi molto critico nei confronti della
MIMESIS TRAGICA, affermando che se un giorno arrivasse in questa polis un uomo
capace di imitare tutto (il poeta tragico) dobbiamo cacciarlo perché porterebbe il germe
della POLYPRAGMOSYNE, cioè moltiplicazione indebita delle attività e delle identità. Essa
è tipica della RETORICA DEMOCRATICA, indicando la possibilità che ognuno di noi possa
svolgere tante attività senza essene vincolato da nessuna, ma questo perché in democrazia
non vale nessuna competenza o techne. Nella democrazia, la politica non è techne
altrimenti sarebbe appannaggio di pochi. Per Platone, invece, la GIUSTIZIA è
OIKEIOPRAGIA, cioè che ciascuno faccia solo il proprio.

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Bisogna specificare che non c’è una condanna della MIMESIS in quanto tale, ci sono
diversi tipi di MIMESIS: quella che deve essere vietata è l’imitazione di uomini indegni
che, se imitati, corromperebbero chi li imita. Secondo Platone, essendo la CALLIPOLIS un
grande progetto di RICOSTRUZIONE DELLA PAIDEIA (se voglio raddrizzare gli uomini,
devo intervenire sulla PAIDEIA), non può essere introdotta una MIMESIS CATTIVA.
Se bisogna imitare qualcuno, la nostra costituzione imiterà in forma semplice un UOMO
BUONO ed EPIEIKES (valente) e non uno che si confonde con i vizi della moltitudine.
Dunque, l’UOMO METRIOS ANER (misurato) dovrà imitare solo l’UOMO AGATHOS
(buono) perché imitando l’uomo buono si educherà alla bontà e plasmerà la propria psiche
in modo migliore.
Per Platone, l’ARTE non deve essere fine a sé stessa ma deve perseguire uno SCOPO che
non deve consister nel bello ma nell’UTILE. L’arte deve essere funzionale alla comunità,
perseguendone l’utile, perché il bisogno della comunità è educare bene i PHYLACHES.
Platone, inoltre, rivolge una CRITICA ad Omero, sul quale si fonda la PAIDEIA GRECA:
Omero non ha identificato LEXIS e DIETETIS ma ha usato la MIMESIS tipica del teatro.
Per questo motivo Platone riscrive l’ILIADE eliminandone tutte le parti DIALOGATE e
mettendole in PROSA, spoemizzando, così, Omero e appiattendo il primo libro dell’Iliade.
Per Platone, la CALLIPOLIS non potrà mai essere democratica perché la democrazia è
ingiusta tanto quanto lo è la tirannide. Nel parlare della LIBERTÀ DEMOCRATICA dice
che essa è una FINTA LIBERTÀ perché non è altro che SOGGEZIONE AL DESIDERIO.
Mentre la LIBERTÀ ARISTOCRATICA (tipica della CALLIOPOLIS, dove vige l’aristocrazia,
formata da un governo di pochi) è quel tipo di libertà in cui chi governa ha imparato a
governare i propri desideri ed è, dunque, uomo libero.
Platone è rivoluzionario perché rifiuta le condizioni politiche date, proponendo una
rieducazione dell’individuo.
Egli è ANTI-DEMOCRATICO ed ANTI-OLIGARCHICO.
Attraverso i discorsi bisogna intervenire non solo sull’educazione ma anche sulla musica da
far ascoltare. Per Platone, la musica ha una funzione di orientamento della psiche, dunque,
se il suo obiettivo è quello di formar dei buoni guerrieri, non può far ascoltare loro armonie
che riproducono lamenti e pianti perché corromperebbero i difensori introducendo
mollezza nella loro psiche, ma deve far ascoltare quelle armonie che riproducono il suono
della guerra ed inducono coraggio.

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Attraverso la musica, si devono realizzare due obbiettivi apparentemente contrapposti ma
che si conciliano:
-SOPHOSYNE: cioè TEMPERANZA, MODERAZIONE, AUTOCONTROLLO. Bisogna far
ascoltare quei ritmi che indicano sophosyne, cioè senso del limite, in chi le ascolta.
Ma questo da solo non basta, ci sarà bisogno anche di
-ANDREIA: cioè CORAGGIO VIRILE, di cui il guerriero dev’essere dotato. Ma anche il
coraggio deve essere misurato ed avere un limite, altrimenti diventerebbe suicida.
Queste due virtù non sono innate; ciò che è innata è una buona natura ma queste virtù si
adottano ascoltando certi LOGOI al posto di altri e certe musiche al posto di altre.
Dopo la musica, si deve CENSURARE TUTTO per evitare che la PRODUZIONE
ARTISTICA possa insegnare INCONTINENZA e AKOLASIA (sfrenatezza), che sono
IMMORALI perché, secondo Platone, l’immagine del vizio può viziare. Ma egli non capisce
che la censura delle immagini comporta solo più curiosità morbosa di vederle. La censura
purifica, ma purificando ACCENDE il DESIDERIO.
I guerrieri dovranno essere educati attraverso immagini prodotte da artigiani che
perseguano un BELLO ARMONICO e che siano legate ad un KALOS LOGOS, cioè una
RAGIONE BELLA: solo ciò che è BUONO può dirsi BELLO mentre ciò che non è BUONO
NON È NEANCHE BELLO.
Secondo Platone c’è modo e modo di amare: l’AMORE PLATONICO è EROS ORTHOS, un
AMORE CORRETTO, contenuto entro una certa misura. Non è volto all’eccesso ma alla
MODERAZIONE, all’ORDINE e alla BELLEZZA. Platone non espelle la sessualità
dell’amore: l’amore platonico non censura la corporeità ma è un amore che persegue
moderazione nell’uso del piacere carnale.
Platone fa una lezione sul corteggiamento e sulla seduzione: dice che nell’AMORE
OMOSESSUALE PEDERASTA, il rapporto tra l’amante attivo e l’amante passivo deve
essere misurato e contenuto perché l’obiettivo è il bello della coppia; non si deve fare la
figura dell’AMOUSIA (assenza di una musa che disciplini il mio uso dei piaceri). Questo
passaggio va storicizzato: a Sparta, l’iniziazione sessuale del ragazzo doveva essere fatta dal
migliore amico del padre. Il ragazzo veniva rapito fintamente, portato fuori dalla comunità
e iniziato all’ambito sessuale in forma passiva, in un rapporto che deve essere GARBATO,
MISURATO e NON SFRENATO così da evitare un’ECCESSIVA PASSIVAZIONE dei
fanciulli, che non li renderebbe più adatti alla guerra.
Entrando nella DIMENSIONE ETEROSESSUALE, invece, il fanciullo deve stare lontano
dalle ragazze di Corinto, che non possiedono una buona fama (migliori prostitute di tutta
la Grecia). Anche qui occorre misura.

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Per Platone c’è una RELAZIONE MOLTO FORTE tra GYMNASTICHE, cura del corpo, e
SOMA, l’uso dei piaceri che giocano un ruolo determinante nella PAIDEIA dei
PHYLACHES (la gymnastiche serve anche alla psyche perché Platone la somatizza).
L’obbiettivo è quello di formare degli ATLETI DELLA GUERRA, la cui cura del corpo deve
cominciare dalla dieta: qui viene adottato Omero come ESEMPIO POSITIVO,
abbandonando la critica nei suoi confronti. Omero, per rendere gli eroi adatti alla guerra,
fa mangiare loro solo carne arrosto, sia perché è semplice da preparare, perché basta
servirsi del fuoco, sia perché è caratterizzata da HAROTES (semplicità). Platone
contrappone HAPLOTES, cioè semplicità, a POIKILIA, varietà, dicendo che la prima è
giusta e la seconda no. La carne arrostita, inoltre, verrà mangiata senza condimento perché
esso comporta poikilia.
C’è un rapporto molto stretto tra POIKILIA (varità) e AKOLASIA (INCONTINENZA): LA
POIKILIA va eliminata perché genera AKOLASIA, tipico problema morale, assenza di u
freno. Mentre l’HAPLOTES (semplicità) genera SOPHROSYNE (senso del limite).
Quando in una polis si diffonde AKOLASIA, la comunità si ammala e a questo punto si
apriranno ospedali e tribunali: nel Gorgia, Platone aveva detto che c’è un rapporto tra
CORPO e PSYCHE. Entrambe si possono ammalare ma, mente la malattia è la patologia
del corpo, l’ingiustizia è la malattia della psyche. Allora il giudice svolge per la psyche la
funzione curativa che il medico svolge per il corpo. Dunque, se quest’analogia funziona,
vuol dire che il tribunale è per la psyche ciò che l’ospedale è per il corpo.
Ma sia ricorrere al medico che ricorrere al giudice è vergognoso perché significa che non
abbiamo avuto una misura nelle nostre azioni, scaturendo nel male più assoluto:
l’ingiustizia.
Dunque, in una polis di incontinenti vedremo molti ospedali, malati e tribunali. Sarà una
città malata, corrotta e ingiusta. Platone auspica ad una comunità nella quale gli uomini
siano in grado di governarsi.
Facendo riferimento alla medicina antica, Platone dice che gli infermi per natura, che non
hanno la possibilità di guarire, non devono essere curati e che si devono curare solo degli
EUPHYEIS, quelle NATURE BUONE che possono essere riportate al bene. Quelle
incurabili nel corpo non verranno curate; quelli incurabili nella psyche verranno mandati a
morire. Tutto ciò perché stiamo costruendo una polis priva di ingiustizia.

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Ora entriamo nel vivo della questione:
CHI DEVE GOVERNARE? CHI DEVE ESSERE GOVERNATO?
Dobbiamo prendere come GOVERNANTI quei DIFENSORI che animo la propria
comunità al di sopra di ogni altra cosa. Per realizzare ciò, coloro che devono ESSERE
GOVERNATI devono ACCETTARE il proprio posto, ma come? A questo punto, Platone
dice che bisogna raccontare una bugia a tutti i cittadini, facendo loro credere che la
distinzione tra di essi non dipende dall’educazione ma dobbiamo far credere loro che sono
tutti figli della terra, la quale, però, non li ha cacciati tutti uguali: pochissimi li ha fatti
d’oro (materia nobile), altri d’argento e la maggioranza di bronzo. Dunque, dobbiamo far
credere agli uomini della polis che stiamo formando che essi siano DIVERSI PER
NATURA. Questo che Platone racconta è il MITO ESIODEO/FENICIO: se gli uomini non
accettano il loro status con questa spiegazione, dove ha fallito la FORZA DELLA
PERSUASIONE, si dovrà usare la PERSUASIONE DELLA FORZA.
Platone fa della verità e del bene l’oggetto della politica; il fatto che lui ora usi una
menzogna, però, non conta perché in politica non conta la verità di ciò che dici ma la sua
PRAGMATICITÀ.
Dopo aver scelto i difensori con le migliori nature e dopo averli sottoposti a PROCESSO
EDUCATIVO, ora dobbiamo sottoporli ad una PROVA FINALE volta ad esporli a
TENTAZIONI e PROVOCAZIONI per constatare se sono capaci di lasciare il valore della
difesa al di sopra di tutti gli altri e vedere se sono dei perfetti difensori. Il GRUPPO che si
sottoporrà all’esame verrà, poi, diviso in due gruppi: il gruppo che supera l’esame va a
formare il gruppo degli ARCHONTES (i governanti), coloro che hanno dimostrato di essere
i MIGLIORI GOVERNANTI di se stessi quindi saranno i migliori governanti della polis,
essi sono impermeabili a qualsiasi tentazione esterna. Gli altri, invece, saranno gli
EPIKOUROI (guerrieri, guardiani) chiamati a svolgere la FUNZIONE MILITARE,
rispettando gli ARCHONTES. Infine, ci saranno i CITTADINI, cioè i DEMIURGOI, che
svolgeranno la funzione dei produttori.
Dunque, la polis viene tripartita (in tre gruppi).
C’è bisogno che tutti accettino il loto MEROS, cioè la loro parte e per fare ciò viene
raccontata la MENZOGNA NOBILE DEL MITO FENICIO. Questo mito, facendo credere
agli uomini di essere stati tutti forzati nelle viscere della terra e poi sputati da essa, ha lo
scopo di infondere SENSO DI FRATERNITÀ tra gli uomini perché sono tutti nati dalla
stessa madre e quindi SI DIFENDERANNO l’un l’altro e, inoltre, essi difenderanno la terra
sulla quale si fonda la CALLIPOLIS perché loro MADRE.

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Quindi questo mito è volto ad instaurare negli uomini un senso di FRATERNITÀ che
proviene da un’ORIGINE COMUNE.
Ma se Platone è ARISTOCRATICO perché ha usato un MITO DEMOCRATICO? Lo usa
perché lo vuole integrare con una seconda parte che contraddica la prima: è vero che sete
tutti fratelli nella polis ma, quando il Dio vi ha plasmato, tra voi ARCHONTES ha
mescolato dell’oro, tra le guardie dell’argento, mentre gli artigiani sono fatti di ferro e
bronzo, cioè metalli meno nobili. La QUALITÀ, però, non si trasmette
EREDITARIAMENTE: un UOMO D’ORO può far nascere un UOMO D’ARGENTO o di
BRONZO, e se ciò succede deve impedire loro di governare. Dobbiamo accettare questa
tripartizione e questa mobilità come se un oracolo ci avesse detto che la polis sarebbe
morta se fosse stata governata da un uomo di ferro o bronzo: ciò ci fa pensare alla
democrazia, che è un regime politico dominato da una scissione interna della comunità,
perché in democrazia governa l’uomo di ferro, non quello d’oro.
Questo mito deve infondere la virtù della SOPHROTYNE, accettazione della propria parte.
Nell’OLIGARCHIA, la FUNZIONE DI GOVERNO è affidata sulla base del censo, cioè
governano i POCHI RICCHI. Mentre nella CALLIPOLIS vige l’ARISTOCRAZIA, cioè il
GOVERNO MIGLIORE affidato ai MIGLIORI, che non sono i più ricchi ma sono quei
POCHI che si sono dimostrati capaci di perseguire il BENE COMUNE. Qui non c’è CETO
ma l’UNICO SETTORE è la CAPACITÀ di GOVERNARE.
Per evitare che gli ARCHONTES e gli EPIKOUROI cambino la loro opinione, dobbiamo
farli vivere nell’ANAUKALION, nello STRETTO INDISPENDABILE. Se noi
introducessimo la PRIVATIZZAZIONE consentendo ai governanti di arricchirsi, essi non
sarebbero più ALLEATI dei cittadini ma diventerebbero loro PADRONI, creando, così,
SCISSIONE all’interno della comunità. Per Platone, l’obiettivo è l’unità della polis e il
peggiore fattore di DISCGREGAZIONE SOCIALE è la PRIVATIZZAZIONE, la RICCHEZZA
PRIVATA. Nel momento in cui il politico ha una RICCHEZZA PRIVATA, la sua AZIONE
POLITICA sarà condizionata dal suo PATRIMONIO piuttosto che dal CONSEGUIMENTO
del BENE COMUNE. Dunque, SOLO ELIMINANDO LA PROPRIETÀ PRIBATA SI
ELIMINERÀ IL CONFLITTO D’INTERESSE.

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-QUARTO LIBRO DELLA POLITEIA:

Il quarto libro inizia con ADIMANTO che chiede a Socrate “ti piacerebbe essere
ARCHONTES?” ma Socrate, in quanto filosofo, sarebbe per natura un ARCHONTES.
Attraverso questa domanda viene impostato il DISCORSO SULLA FELICITÀ: l’obiettivo di
Platone è l’unità della polis, realizzabile non perseguendo l’EUDAIMONIA di una singola
parte, ma quella di tutta la comunità. Nel momento in cui la felicità è UNA, allora la polis
sarà più forte rispetto ad una polis scissa al suo interno. La grandezza della polis non è
rilevante: è meglio che una polis sia UNA, cioè UNITA ma PICCOLA, piuttosto che
GRANDE ma SCISSA. La POLIS sarà capace di combattere solo se è unita.
Qui viene anticipato il concetto di KOINA TA PHILON (siano comuni le cose degli amici):
se voglio una POLIS UNITA, devo eliminare la PROPRIETÀ PRIVATA e la FAMIGLIA che
corromperebbero l’unità.
Se abbiamo gettato delle BASI SOLIDE, in questa comunità ci sarà bisogno di
POCHISSIMI NOMOI, perché dove gli uomini sono moralmente perfetti, ci sarà bisogno di
pochissime leggi, perché loro sono autonomi e hanno la LEGGE INTERNA RIZZATA.
Laddove lo stato è CORROTTISSIMO ci saranno tantissime leggi: dove l’autonomia è
impossibile, avrò bisogno di un altro che legiferi al posto mio.
Prima di addentrarci nelle 4 VIRTÙ che definiscono una BUONA POLIS, Platone fa una
riflessione amara sul contesto storico e, dopo aver ribadito ciò che aveva detto nel Gorgia
(cioè che la polis rigetta il medico e preferisce chi la compiace, cioè il cuoco), dice che ad
Atene vige una GRAPHE PARA NOMON (forma costituzionale) che PARALIZZA qualsiasi
tentativo di RIFORMA COSTITUZIONALE. La MORALE che Platone trae da ciò è che
chiunque dimostri di compiacere ed assecondare tutti i desideri del popolo, sarà onorato
da esso come BUONO e SOPHOS.
Il BOVARISME è un ATTEGGIAMENTO PSICHICO che ci porta a pensare di essere
migliori di ciò che siamo solamente. Platone parla di BOVARISME POLITIVO: in
democrazia, tutti pensano di essere de veri politici perchè godono dell’elogio da parte dei
molti ma, per Platone, ciò che è terrificante perché l’unico giudizio che conta non è quello
della DOXA, ma quello di quei POCHI SAPIENTI che sanno davvero. In democrazia né il
GOVERNATO né il GOVERNANTE sanno MISURARE, dunque, chi è chiamato dalla
maggioranza a governare si sente grande solo perché possiede l’elogio dei molti.
Ora la questione più importante è COSA DEFINISCE UNA POLIS PERFETTAMENTE
BUONA: essa deve essere SOPHE (sapiente), ANDREIA (coraggiosa), SOPHON
(temperata) e DIKAIA (giusta).

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Analizziamo un aspetto alla volta:

-LA CITTÀ SAPIENTE (SOPHE) è quella capace di EUBOLIA, un’episteme che consiste nel
saper prendere una BUONA DECISIONE. Mentre per Platone la POLITICA è EPISTEME,
scienza esatta che coglie l’ESSERE; per ARISTOTELE non è episteme ma PHRONESIS,
cioè un tipo di SAPERE più problematico che si basa su un PER LO PIÙ.
Per Platone, la DECISIONE MIGLIORE non si prenderà sulla base dell’AMATHIA
(ignoranza) ma su quella dell’EPISTEME, cosa con cui CLEONE (grande demagogo) non è
d’accordo perché per lui è molto più utile l’AMATHIA congiunta a TEMPERANZA (intesa
come DOCILITÀ, accettazione da parte del gregge di ciò che dicono i demagoghi) piuttosto
che l’INTELLIGENZA accompagnata da SFRENATEZZA.
Gli EBOULOI possiedono la PHYLAKIKE, cioè la scienza della difesa della polis, la quale
non deve essere appartenuta da tutti i membri della comunità ma solo ad un MEROS
SMIRKOTERON, la parte più piccola che avrà il governo e quindi dovrà prendere la
decisione migliore in assoluto su tutta la comunità.

-IL QUADRO POLITICO, per Platone, è ANDREIA (CORAGGIOSO), una virtù che deve
appartenere solo ad una piccola parte. L’ANDREIA deve essere caratterizzata da
SOUTERIA, cioè salvaguardia e tutela di ciò che è giusto fare. Dunque, il CORAGGIO è la
capacità di MANTENERE FERMA l’OPINIONE su ciò che va fatto e su ciò che non va fatto,
senza lasciarsi turbare né dal piacere né dal dolore. Per rendere tale concetto, Platone
ricorre all’immagine della TINTORIA: se si vuole ottenere una buona lana color porpora,
dobbiamo prima predisporla all’ASSORBIMENTO del COLORE, solo in questo modo,
lavandola, non si scolorirà. Così i NOMOI devono attecchire con la PERSUASIONE così
che nessun elemento patogeno esterno possa turbare l’equilibrio ottenuto.
Dunque, il CORAGGIO POLITICO è la capacità di SALVAGUARDARE l’OPINIONE
CORRETTA rifiutando le cose terribili o meno. Ma tale virtù non è innata ma si ottiene
dopo un lungo APPRENDISTATO, attraverso l’EDUCAZIONE.

-La SOPHROSYNE (TEMPERANZA, MODERAZIONE) è per Platone una forma di


SYMPHONIA (accordo), di HARMONIA, di COSMOS (ordine). Può essere declinata in due
poeti: la prima è ENKRATEIA, cioè autocontrollo, dominio di sé, che si realizza nel
momento in cui in ognuno di noi prevale l’ELEMENTO MIGLIORE dominando quello
PEGGIORE.

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Vi è in questo caso un PARAGONE POLITICO tra i POCHI ed i MOLTI: in una POLIS
GIUSTA, dotata di SOPHROSYNE, il desiderio e l’intelligenza dei POCHI EPIEIKES
dominerà sulla MOLTITUDINE dei PHAULOI (uomini di scarso valore).
La seconda declinazione è HAMONOIA, ACCORDO, cioè concordia tra tutti i cittadini (che
sia KATA PHYSIN, conforme a natura) su chi deve governare e chi deve essere governato.
Le nature differiscono le une dalle altre e chi per natura è destinato a governare, lo farà; chi
è destinato ad essere governare, lo sarà.
Quindi HARMONIA è ORDINE GERARCHICO, che consiste in una DISTRIBUZIONE
INEGUALE ma sulla quale c’è ACCORDO, ci sono dei RUOLI tra le PARTI della comunità.

-Quindi la DIKAIA, la GIUSTIZIA, consiste nella DIKAIOSYNE, cioè fare il proprio, solo
ciò che è CONGENIALE alla propria NATURA (PHYSIS), senza POLYPRAGMOSYNE, cioè
moltiplicazione delle attività e ALLOTRIOPRAGMOSYNE, cioè usurpazione delle attività
di un altro.
Dunque, la definizione di GIUSTIZIA è OIKEIOPRAGIA: che ognuno METTA IN ATTO
(PRAXIS) ciò che propriamente gli compete (HEXIS).
Qual è la differenza tra le prime due virtù e le ultime due? Mentre le prime due vengono
attribuite da Platone ad una sola parte della comunità (la prima agli ARCHONTES e la
seconda agli EPIKOUROI) le ultime due sono di tutta la comunità.
Ora, però, siamo davanti ad una contraddizione: Platone ha detto che nella città giusta ci
sarà bisogno di poche leggi ed è da escludere la necessità di tribunali e ospedali perché c’è
molta cura dell’allevamento e dell’educazione dei cittadini, i quali saranno AUTONOMOS
nel darsi una giusta misura. Ora, però, Platone ricorda che ad Atene la maggioranza era
formata da tribunali popolari e la partecipazione alla vita forense della città può avvenire
attraverso l’iscrizione ad una lista di cittadini attivi e possibilmente sorteggiabili, quindi la
DIKASTIKE, ovvero l’AMMINISTRAZIONE della GIUSTIZIA è DEMOCRATICA e si affida
il compito di decidere a qualunque cittadino, purchè venga sorteggiato (e che sia libero,
adulto e maschio). Questo SORTEGGIO implica INTERCAMBIALITÀ dei cittadini, cioè
uno vale l’altro, e non c’è riconoscimento del MERITO e della TECHNE.
Ma nella città giusta ci sono tribunali?
Nella città giusta, perfetta abbiamo tolto la proprietà privata agli appartenenti delle prime
due classi ma non a quelli della terza classe, cioè i CHREMATISTI (da CHREMATA:
possessi privati), che sono AFFARISTI e COMMERCIANTI, che hanno il diritto di
possedere un patrimonio.

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Ma per Platone, dove ci sono possessi privati può esserci conflitto civile e, dunque, ciò
implica la presenza di una magistratura, la quale verrà attribuita, nella CALLIPOLIS, a
tecnici competenti, cioè gli ARCHONTES, perché non hanno patrimonio, quindi, non sono
corruttibili e allora saranno neutri, imparziali nelle loro sentenze.
Quindi mentre la GIUSTIZIA è OIKEIOPRAGIA (termine inventato da Platone, cioè fare il
proprio), l’INGIUSTIZIA è ALLOTRIOPOLYPRAGMSYNE (moltiplicazione indebita delle
attività + appropriazione ingiusta delle competenze di un altro) tipica dell’INDIVIDUO
ANAXIOS, cioè colui che non solo NON FA il proprio ma non accetta nemmeno di stare al
PROPRIO POSTO, provocando, così, un ROVESCIAMENTO della giustizia nella polis.
Un ANAXIOS può pensare di poter GOVERNARE o quando diventa troppo ricco e/o grazie
all’ACCLAMAZIONE della MAGGIORANZA e/o attraverso la FORZA. Così facendo, la
polis subirà una METABOLE, cioè un ROVESCIAMENTO, una RIVOLUZIONE in cui il
peggiore governa e il migliore viene governato e si passerà da un ASSETTO POLITICO
GIUSTO dove ognuno svolge il proprio, ad un ASSETTO POLITICO INGUSTO dove
ognuno pensa di poter fare il lavoro dell’altro.
Il SOTTINTESO POLITICO consiste nella CRITICA di Platone all’OLIGARCHIA, indegna
perché fa del PLUTOS (ricchezza) il SELETTORE del PERSONALE POLITICO e alla
DEMOCRAZIA perché il potere politico si fonda sul SOSTEGNO della MAGGIORANZA.
Per Platone, invece, la POLITICA deve essere SUPER SELETTIVA e, quindi,
APPANNAGGIO ESCLUISIVO dei MIGLIORI; per lui l’unico governo giusto è quello dei
filosofi.
Secondo HANNAH ARENDT, quando FILOSOFIA e POLITICA si congiungono possono
esserci EFFETTI MORTALI invece per PLATONE non è così perché la FILOSOFIA è volta
al BENE.
Fino ad ora, tutto ciò lo stiamo realizzando sul piano della LEXIS (del discorso), qualora
passassimo alla PRAXIS (il piano dell’esperienza, della doxa, che non è verità) dovremmo
tener conto che l’ESPERIENZA non è PERFETTA.
Nel rapporto tra l’INDIVIDUO e la POLIS, l’UNO è più piccolo della polis e quindi viene
compreso da essa in un ISMORFISMO PARZIALE; cioè tra i due non vi è un rapporto di
IDENTITÀ ma di SOMIGLIANZA ESTREMA. L’INDIVIDUO fa la POLIS, la POLIS riflette
gli ETHE, cioè i COSTUMI dell’individuo; ma a sua volta la POLIS agirà sull’INDIVIDUO:
quindi io formo la polis e la polis educa me, avendo, così, CORRISPONDENZA tra
COSTUME INDIVIDUALE e quello della POLIS.
Ora prendiamo in considerazione la PSYCHE (apparato psichico) dell’individuo: così come
abbiamo TRIPARTITO la POLIS,

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ora Platone TRIPARTISCE la PSYCHE e dice che è formata da una parte con cui
desideriamo, una con cui ragioniamo e una con cui ci arrabbiamo:
1.EPITHTMETHIKOU: è la parte della psiche con cui desideriamo. Il DESIDERIO è una
forma di SI, di ASSENSO ed ADESIONE all’OGGETTO che ci PROVOCA, è un sì volto ad
assecondare una mancanza, ad assecondare l’istinto.
2.LOGISTIKON: è la parte della psiche con cui ragioniamo. È un’istanza ENSORIA che ci
PROIBISCE il desiderio (che è APLOTES, insaziabilità) con la PERSUASIONE.
3.THYMOIDES: è l’istanza psichica dell’IRA. Essa, così come il desiderio, è
IRRAZIONALE, priva di LOGOS. Platone ci racconta un APOLOGO: c’era una volta
LEONZO, che mentre saliva al PIREO vide dei cadaveri che giacevano accanto al boia.
Leonzo ebbe un ATTEGGIAMENTO DOPPIO - CONTRADDITTORIO: da una parte
desiderava guardarli, dall’altra provava ripugnanza. Ciò dimostra un rapporto molto
stretto tra DESIDERIO – VISIONE – INTERDETTO: quanto più la visione è interdetta da
una NORMA MORALE, tanto più si scatena il DESIDERIO, va dai cadaveri e, riferendosi ai
suoi OCCHI esclama “Ecco, disgraziati! Saziatevi di questo spettacolo immondo.”
Ma il LOGISTIKON (il PICCOLO UOMO, l’istanza raziocinante) preso da solo non ha la
forza di far fronte alla TIRANNIDE dell’EROS, del desiderio. Dunque, c’è bisogno di una
SUMMA (alleanza) tra il LEONE, che rappresenta il LOGISTICON: così facendo il
DESIDERIO non sarà soppresso ma GOVERNATO, CANALIZZATO in una forma,
MISURATO. Se invece il LEONE si alleasse con il DESIDERIO avremmo un esito
devastante consistente nella METABOLE (rovesciamento) a LIVELLO PSICHICO.
Sono dall’ALLEANZA tra THYMOIDES e LOGISTIKON si avrà una GERARCHIA
VIRTUOSA a LIVELLO PSICHICO.
Per rendere meglio il tutto, Platone usa una METAFORA PASTORALE: immaginiamo che
il DESIDERIO sia il GREGGE, la RAGIONE sia il PASTORE e lo SPIRITO COLERICO sia il
CANE DA PASTORE. Nella PSICHE c’è bisogno di un pastore che governi e di un cane che
si allei al pastore e che insieme governino il gregge. Ma perché il CANE si allei con il
PASTORE, non deve essere corrotto da un CATTIVO ALLEVAMENTO: dobbiamo scegliere
i cani dalle nature migliori ed educarli così che non facciano violenza contro il gregge e che
nemmeno si alleino con esso.
Secondo Platone la psiche comincia con la testa e finisce nell’ombelico: il LOGISTIKON sta
nella TESTA (quindi la parte più alta, la migliore), poi c’è il COLLO che svolge sia la
separazione che il collegamento; poi il PETTO dove c’è l’ira. Poi, comincia la zona del
DIAFRAGMA e finisce con OMBELICO, dove vi sono tutti gli organi collegati al desiderio.

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-QUINTO LIBRO DELLA POLITEIA:

Socrate, ora, spera che almeno a giudizio dei suoi interlocutori, sia stato esaurito
l’argomento della MIGLIORE COSTITUZIONE POSSIBILE, così da potersi dedicare ora
alla trattazione delle COSTITUZIONI DEVIATE. Ma POLEMARCO, chiamando a sé
ADIMANTO, dice “vogliamo consentire a Socrate di andare avanti eludendo un aspetto
fondamentale del logos?” e Adimanto continua “a me pare che tu, Socrate, abbia detto
qualcosa di molto difficile da accettare” riferendosi al concetto di KOINA TA PHILON
(siano comuni le cose degli amici), e continua “tu hai detto che le COSE DEGLI AMICI
devono essere COMUNI, e lo hai detto in un contesto di CRITICA RADICALE della
IDIOSIS (privatizzazione), dunque ora ci devi spiegare qual è la forma della KOINONIA
(comunanza). “Sia GLAUCONE che TRASIMACO si associano alla richiesta di Adimanto.”
Sollecitato da Adimanto, Socrate è molto RECALCITRANTE perché sa che quello che sta
per dire è PARA – DOXA (contro l’opinione pubblica) e soprattutto PARA – ETHOS
(contro il costume tradizionale della comunità). Socrate non ha paura di mettersi contro i
VALORI della COMUNITÀ, ma sa che questo tema suscita APISTIA (incredulità) fino al
punto di sembrare IMPOSSIBILE e PARADOSSALE, per questo è restio dal trattare la
questione. Adimanto continua dicendo “non preoccuparti, non parlerai con delle persone
che non sono ragionevoli.” Ora Socrate afferma di non possedere una SOLIDA
CONOSCENZA rispetto a quello che sta per dire, e dice “io dubito di conoscere la verità
quindi adesso terrò un discorso pieno di dubbi e problemi, ma in perfetta buona fede
perché non ho intenzione di ingannare.”
Dopo aver fato queste PREMESSE, Socrate ricorre al CAMPO METAFORICO delle ondate:
“io sottoporrò i COSTUMI TRADIZIONALI ad una serie di ondate via via più violente che a
molti potranno sembrare RIDICOLE ed INGIUSTE ma non importa perché devo
rischiare.” Dunque, la comunanza si deve realizzare attraverso queste ondate che devono
erodere le fondamenta della convivenza civile, il sistema di valori tradizionale.

-PRIMA ONDATA:
Così come i PHYLACHES sono stati paragonati a dei cani da guardia, ora Platone riprende
questa metafora per dire che, per natura, anche la femmina del cane da guardia può essere
adibita alla sorveglianza delle greggi, perché non c’è differenza tra maschio e femmina
nella cura del gregge. A condizione, però, che anche la femmina sia sottoposta alla stessa
educazione del maschio, perché è, sì, importante avere una buona natura ma da sola non è
sufficiente e dovremo aggiungervi l’educazione.

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Quindi, nella CALLIPOLIS noi ci varremo delle donne per gli stessi compiti degli uomini
ma per farlo dobbiamo insegnare alle donne le stesse cose che vengono insegnate agli
uomini. La NATURA UMANA FEMMINILE è in grado di condividere tutti i compiti del
genere maschile, anche quelli relativi alla guerra, l’importante è applicare anche al genere
femminile il GENERALE CRITERIO di GIUSTIZIA, che consiste nel definire chi sa fare
cosa e in base a questo assegnare i ruoli. Dunque, chiunque, che sia maschio o femmina,
può fare il MEDICO o il PHYLAX (difensore), perché abbia la natura che lo abiliti. Le DOTI
di NATURA sono distribuite HOMOIOS, cioè ugualmente tra maschi e femmine, nessuna
attività è specifica del maschio o della femmina. L’UNICA DIFFERENZA è
QUANTITATIVA: in ogni attività, il GENERE FEMMINILE è ASTHENESTERON, cioè più
DEBOLE di quello MASCHILE ma viene definita come POCO RILEVANTE.
Ciò viene considerato talmente trasgressivo del senso comune da essere visto come
ridicolo. Platone ricorda che per la cultura ateniese, il nudo di una donna era ridicolo
mentre quello di un uomo era considerato desiderabilissimo. Ciò è importante da dire
perché nella callipolis le donne dovranno addestrarsi nude insieme agli uomini (altrettanto
nudi), e non bisogna temere le prese in giro degli UOMINI di SPIRITO perché tutto ciò che
è OPHELIMON (utile) è KALON (bello). In una cultura ateniese che ha tanta paura del
femminile (perché porterebbe nella comunità politica ECCESSO PASSIONALE), questa è
una provocazione straordinariamente forte.
Dunque, la callipolis che stiamo costruendo è la sola ad essere KATA PHYSIN (seconda
natura). Sono i COSTUMI TRADIZIONALI ad essere CONTRO NATURA perché non si
servono delle donne anche se loro sono capaci tanto quando gli uomini a fare guerra.
La prima ondata è, allora, PARA TO ETHOS (contro il costume tradizionale) ma è KATA
PHYSIN (secondo natura) e quindi va perseguita come un BENE UTILISSIMO alla
COMUNITÀ POLITICA.

-SECONDA ONDATA:
Consiste nel fatto che tutte queste donne siano comuni a tutti questi uomini, ma che
nessuna donna condivida una casa con un uomo, che i figli procreati siano comuni e che
nessuno sappia di chi sia il figlio e che il figlio non sappia chi è la madre o il padre. Ci
troviamo davanti alla DISTRUZIONE DELL’OIKOS, della FAMIGLIA.
Se nessuno possiede niente a TITOLO PRIVATO, e MASCHI e FEMMINE vivranno
insieme mescolandosi nei GINNASI, per una necessità INNATA, saranno portati ad unirsi
tra di loro, si tratta di una necessità erotica, la più pungente di tutte.

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Per Platone, l’OBIETTIVO di questi accoppiamenti è la nascita di una buona prole, quindi
dobbiamo far accoppiare un maschio e una femmina della stessa natura (che sia AGATHE,
buona) e dobbiamo evitare che un individuo AGATHOS (buono) possa accoppiarsi con un
PHAULOS. Per fare ciò, si ricorre al CHRESIMON PHARMACKON, cioè alla NOBILE
MENZOGNA: verranno organizzati dei KLEROI KOMPSOI, cioè SORTEGGI RAFFINATI
ma FINTI (ma ciò lo sanno solo i sovraintendenti), e faremo in modo che un uomo buono
sorteggi una donna buona, così che anche la loro prole sia buona, e che un uomo scadente
sorteggi una donna della sua stessa natura, potendo prendersela solo con il DESTINO o la
MALASORTE.
Così facendo, viene deciso QUANDO ci si deve accoppiare e CON CHI, e la PROLE che ne
uscirà dovrà essere sottratta e data alla comunità: si parla di EUGENETCA PLATONICA,
perché verranno esibiti solo i figli dei buoni, mentre gli altri si terranno nascosti.
Tutto ciò avrà vigore finchè uomini e donne sono in età riproduttiva, dopo di essa queste
regole cessano e ognuno potrà accoppiarsi con chi desidera, senza scaturire nell’incesto
(che si eviterà evitando di accoppiarsi con i nati in un determinato periodo). Ma c’è una
CLAUSULA FINALE: in condizioni estreme, si ammetterà l’incesto tra fratello e sorella.

-TERZA ONDATA:
Platone, dopo aver demolito l’OIKOS (sfera privata) e la FAMIGLIA, per fare in modo che
tutto sia un solo corpo, dobbiamo distruggere anche tutto ciò che separa i cittadini l’uno
dall’altro, cioè l’IDION. Distruggendo l’IDION, gli appartenenti alle prime due classi,
maschi o femmine, non avranno alcuna tentazione di privileggiare il privato anziché il
pubblico, ecco perché si parla di COMUNISMO PLATONICO.

-QUARTA ONDATA:
L’ultimo presupposto per fare in modo che si realizzi la callipolis è il più necessario ma
anche il più pericoloso, cioè ci sarà bisogno di un UNIONE di DYNAMIS, POLITIKE e
PHILOSOPHIA, ovvero si dovrà installare un REGNO DI FILOSOFI, perché sono gli unici
a possedere gli strumenti necessari a governare: la SCIENZA POLITICA e l’IDEA di bene,
che è OGGETTIVA per Platone e che solo loro potrebbero mettere in atto.

E Glaucone “con questo discorso ci hai investiti. Devi aspettarti ora uomini che si
avventano con ogni forza su di te per compiere uno scempio e se tu non ti difendi ne
pagherai il costo e sarai schernito.”

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CHIASMO PLATONICO: la callipolis è una polis secondo natura e contro il costume
dominante, mentre la polis storica (come Atene, Sparta) è contro natura e secondo il
costume. Ma nel momento in cui il costume di fissa nell’anima della polis, nella sua
politeia, diventa VIZIO, qualcosa da cui non riusciamo a recedere. Ci sarà, quindi, bisogno
di una rivoluzione per cambiare l’esistente: si farà cambiando gli attuali governanti con dei
FILOSOFI. Per Platone, i filosofi sono chiamati a HEGEMO NEUEIN EN POLEI, cioè ad
ESERCITARE L’EGEMONIA (termine affrontato anche da Gramsci), il COMANDO
DELLA POLIS, mentre gli altri si lasceranno EGEMONIZZARE (comandare da un vertice
di competenti).
Per DEFINITE IL FILOSOFO, Platone parla dell’AMORE: quando siamo innamorati di
una persona, amiamo solo una parte di essa o la amiamo nella sua totalità? Il modello è
quello dell’AMORE OMOSESSUALE: una persona veramente innamorata di un ragazzo,
non ne vede i difetti ma lo vede tutto bello e soprattutto loda quello che agli altri
apparirebbe brutto, perché l’innamorato ama la totalità dell’amato e non ne vede i difetti
ma solo i pregi. La totalità presuppone l’esclusione dei difetti.
C’è un rapporto molto stretto tra PHILIA (amore, passione, desiderio) e APLESMA
(insaziabilità): ciò ci serve per dire che il filosofo ha una PHILIA molto forte nei confronti
della SOPHIA (del sapere che gli manca), nonostante sia un DESIDERIO FRUSTRATO in
partenza perché la soglia del conoscere è immensa. Dunque, la sapienza sta al filosofo
come l’universo femminile sta a Don Giovanni (il quale aveva conquistato tante donne ma
ciò non era niente rispetto a tutte le altre donne che ancora poteva conquistare).
Nella polis ci sono molti finti filosofi: Platone sente di dover distinguere i PHILOTEA
MONES (appassionati di visioni spettacolari) che hanno una passione per la messa in
scena dai filosofi. Ma tra di loro c’è una HOMOITES: entrambi amano gli spettacoli, ma il
filosofo è colui che ama lo spettacolo dell’ALETHEIA, della nuda verità, mentre gli altri si
godono spettacoli banali. Per Platone la verità corrisponde alla stabilità ontologica,
all’essere, per questo mentre alle persone comuni, i PHAULOI, piacciono i corpi, la
bellezza esteriore, che oltre ad essere soggettiva è caduca, corruttibile; il filosofo, invece,
ama il bello in sé, cioè il bello in forma di idea, dunque quello vero, non corruttibile, non
determinato in un corpo o in un’immagine, ma è qualcosa di assoluto che non sfiorisce. Il
filosofo vede il bello in sé ma anche le cose che ne partecipano. La SOPHIA che il
FILOSOFO desidera è la bellezza ideale, quella che non sfiorisce mai.

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Dopo aver definito il campo della VERITÀ, tipica del filosofo, ora ci occupiamo della
DOXA, cioè dell’OPINIONE: mentre l’EPISTEME coglie l’ESSERE e l’ignoranza coglie il
NON ESSERE, l’OPINIONE è situata in una POSIZIONE INTERMEDIA tra le due. Chi si
limita all’opinione, si limita alle PARVENZE e ad osservare le cose belle, ma è incapace di
compiere quello scarto che lo porterebbe a contemplare il BELLO IN SE.
Il problema delle POLIS STORICHE è che esse sono dominate dall’opinabile (chi opina
non è una persona che non sa niente ma neanche una che conosce) e dal PERSUASIVO
senza avere spazio per la verità. Ecco perché il solo assetto politico GIUSTO è la
CALLIPOLIS, dove la verità guida l’azione pubblica e l’egemonia è affidata al filosofo,
perché è l’unico che regola la propria azione sulla base della verità.

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