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PRIMA LEZIONE DI FILOSOFIA

L’ORIGINE DEL NOME


Cosa dobbiamo intendere con la parola «filosofia»? I campi di studio, e le relative materie scolastiche,
cui siamo abituati, pensiamo alla fisica, alla chimica, alla geografia, hanno tutti un campo specifico,
si occupano cioè di un ambito ben determinato. Certo, può capitare che campi diversi finiscano per
incrociarsi. Giusto per citare un esempio: antropologia, etnologia e storia si intersecano nello studio
della preistoria, che a causa dell’assenza di documenti scritti necessità un approccio differente.
Cionostante le discipline fin qui nominate hanno tutte un oggetto loro proprio. Allora, in quanto
campo di studio determinato qual è l’oggetto proprio della filosofia? La domanda suscita un certo
imbarazzo, all’inizio, perché la specificità della filosofia è proprio la sua mancanza di specificità.
Intendo dire che ciò che distingue la filosofia dagli altri campi di sapere è la sua indeterminatezza.
Potremmo definirla provvisoriamente una scienza del tutto.

Per una comprensione maggiore dovremo però rivolgerci alla sua origine. L’origine – lo vedremo
affrontando la nozione di «principio» – non indica solo l’inizio nello spazio e nel tempo di una cosa,
ma anche la sua essenza, potremmo dire il suo destino. Ad esempio, il fatto che siamo Europei non
indica solo una provenienza geografica ma determina, almeno in part,e ciò che siamo sia in quanto
eredi di una certa cultura sia perché viviamo in condizioni materiali diverse da quelle asiatiche o
africane. L’origine, quindi, è ciò da cui proveniamo e che sempre ci accompagna. Determinando
l’origine della filosofia forse avremo margini più ampi di definizione.

Cominciamo dalla parola. L’etimologia del nome filosofia è molto semplice, ma presto vedremo come
in filosofia sono proprio le cose apparentemente più semplici a costituire unproblema filsofico. È
composta dal prefisso philo, che indica amore, amicizia, desiderio, e del sostantivo sophia, sapienza,
conoscenza. Il significato è quindi «amore/desiderio di conoscenza». Si tratta in questi termini di una
definizione molto generica. Potremmo definire così anche un fisico, supponendo che ami la sua
materia, o un calciatore che ama la scienza (nel senso di sapere tecnico) del calcio. Bisogna allora
capire di che tipo di sapere si sta parlando. Presumibilmente ci sarà un saggio (sophos), uno che sa o
che per lo meno ritiene di sapere, e un filsoofo che potremmo qui designare come «aspirante
sapiente». Verrebbe da pensare che il filosofo sia inferiore al sapiente, e in un certo senso è così.
Nell’antica Grecia, e nelle società arcaiche in generale, il sapiente è il detentore di una conoscenza
superiore, non limitata a un ambito specifico e quindi universale, spesso ritenuta di origine divina o
comunque ispirata dagli dei. Questo era il genere di sophia attribuito ai «sette sapienti», il cui primo
elenco si trova in Platone, figure semileggendarie di legislatori e personalità pubbliche delle polis
greche del VII-VI sec. a.C., cui la tradizione attribuiva un patrimonio di sentenze e massime, vale a
dire di osservazioni e consigli di caratttere pratico, che servivano a guidare la loro comunità contro
la superstizione e l’ignoranza. Negli elenchi dei sapienti non si trovano, tuttavia, solo personalità
storiche come Talete (che Aristotele nomina come primo filosofo, ma che era noto soprattutto per
aver compreso il meccanismo dell’eclissi e per i suoi studi di geometria) e Solone (il legislatore di
Atene), ma anche personaggi mitici come Orfeo: i misteri orfico-pitagorici, con la credenza nella
reincarnazione e nell’immortalità dell’anima, offrivano agli iniziati una sapienza segreta,
inaccessibile agli uomini comuni, che consentiva loro di elevarsi e liberarsi dalla prigione del corpo.
Un tipo di sapienza, quindi, che noi non attribuiremmo alla filosofia, intesa come sapere laico, ma
all’esperienza religiosa. «Sapiente», inoltre, era impiegato in origine anche per indicare
semplicemente l’esperto in qualche arte o tecnica: il falegname è sapiente in quanto sa costruire un
letto (come nell’esempio del calciatore di prima). La parola «filosofo» è successiva e risale almeno
al V sec. a.C.. Inizialmente la si trova come aggettivo per indicare genericamente l’amore per la
cultura. Nel discorso in cui celebra la superiorità degli Ateniesi, tra i loro meriti Pericle elenca la
filosofia, intesa non in senso tecnico ma come amore della cultura: «Amiamo il bello, ma con
semplicità, e ci dedichiamo al sapere (lett. filosofiamo)». Rimaniamo quindi ancora nell’ambito
generico.

In quanto disciplina e stile di vita la filosofia si definisce solo nell’Atene del IV sec.. Essa deriva
dall’insegnamento di Socrate, Platone e Aristotele, che non a caso sono legati da un rapporto di
maestro-allievo. È precisamente Aristotele a conferire alla filosofia il significato di disciplina
specifica distinta da ogni altra e a fornire la prima storia della filosofia. Il termine filosofo nasce in
questo contesto in contrapposizione a un tipo specifico di sapiente: il sofista. «Sofista» era
inizialmente sinonimo di sapiente (infattti in greco i sette sapienti letteralmente erano i sette sofisti),
ma nell’Atene del V e del IV sec. designa nello specifico i professionisti dell’arte della parola (la
retorica) che ad Atene insegnavano ai giovani di buona famiglia che aspiravano a partecipare alla vita
politica come far prevalere il loro discorso in assemblea, cioè a come convincere gli altri a prescindere
dalla verità del loro discorso. Prendiamo un politico odierno che sostiene in parlamento la necessità
di costruire un ponte. Nel suo caso le ragioni non riguardano l’utilità pratica ma il vantaggio
economico che gliene deriverebbe affidando l’appalto a una certa compagnia o il prestigio nella
comunità destinatariadell’opera. Naturalmente in pubblico non potrebbe sostenere la verità. Dovrebbe
invece trovare le parole adatte a persuadere gli altri dicendo il falso. Ed ecco che interviene il sofista.
La sua concezione del sapere è tecnica, nel senso di un patrimonio di conoscenze che egli solo
possiede e che può trasmettere ad altri allo stesso modo in cui l’acqua di una fontana si travasa in un
recipiente. Socrate, Platone e Aristotele non sonod’accordo. Un sapere assoluto, se esiste, è proprio
di esseri che sono superiori alla sfera umana. Così si esprime Platone nel dialogo intitolato Simposio
(che vuol dire banchetto):
Nessuno degli dèi ama la sapienza, né desidera diventare spaiente, poiché lo è già […]. D’altro
canto, nemmeno gli ignoranti amano la sapienza, né desiderano diventare sapienti. Proprio in
questo, infatti, l’ignoranza è insopportabile, nel credere, da parte di chi non è né bello né
eccellente, e neppuresaggio, diessereaeguatamente dotato. Chi non ritiene di essere privo,
dunque, nondesidera ciò di cui non crede di aver bisogno.
L’uomo non può acqisire questo tipo di sapere, può al massimo aspirarvi. Ed ecco la filosofia.
Un’aspirazione al sapere. Vuol dire che la conoscenza dell’uomo non è qualcosa di fisso e stabile, ma
è in continuo mutamento, e che la vera sapienza consiste nel riconoscere che si è sempre ignoranti
sotto qualche punto di vista. La filosofia è ricerca continua, ed è proprio l’ammissione dell’ignoranza,
propria della condizione umana, a rendere il filosofo, l’amante della sapienza, superiore al sapiente,
chiuso nella sua arroganza.

UNA DEFINIZIONE PRELIMINARE

Definito il nome, resta da comprendere di cosa si occupa la filosofia. Già nell’antichità circolavano
spiegazioni circa la natura della filosofia, attribuite a figure semileggendarie rinomate per la loro
sapienza. In un suo dialogo, il Teeteto (quasi tutti i dialoghi di Platone prendono il titolo da uno dei
loro personaggi), Platone riferisce questo aneddoto:
Talete, mentre interpretava i moti regolari delle stelle e guardava al cielo, cadde in un pozzo; e
una servetta tracia, arguta e graziosa, lo prese in giro dicendogli che, mentre si sforzava di
conoscere le cose del cielo, gli sfuggivano quelle che aveva davanti a sé e ai propri piedi. Lo
stesso scherzo si adatta a tutti coloro che si dedicano alla filosofia. Infatti al filosofo sfugge di
chi gli è vicino, o del dirimpettaio, non solo che cosa faccia, ma quasi se sia un uomo o un’altra
bestia; ma che cosa sia mai l’uomo e che cosa, in base alla sua natura, gli si addica fare o patire,
a differenza di tutte le altre cose, questo egli indaga e fa continui sforzi in questo senso.
Il significato è chiaro. Il filosofo è quel genere di individuo che si pone domande che la maggior parte
degli uomini da per scontate. Talete e la servetta tracia condividono lo stesso cielo, eppure è solo per
ilprimo che il cielo suscita un problema. Il luogo comune del filosofo stralunato e goffo nella chiusa:
il filosofo, che all’apparenza si occupa di questioni astratte e lontane dalla vita, vede invece ciò che
ha davvero importanza.
Di Pitagora, che secondo la tradizione, sarebbe stato il primo a definirsi filosofo, si narra che
interrogato dal tiranno di una città circa la specificità della sua occupazione (essendo il primo filosofo,
nonce n’erano stati altri prima di lui) avrebbe risposto:
Come alle grandi feste alcuni vanno per partecipare alle gare sportive, ricercando premi
e fama, altri per lucrare, vendendo e comprando, altri ancora solo come spettatori, e
sono quelli più nobili, vi sono certe rare persone che trascurano completamente tutto il
resto e studiano attentamentelanatura. Costoro si chiamano amanti della sapienza, cioè
filsofi, e come nella fiera l’atteggiamento più nobileè fare da spettatore senza cercare
vantaggio alcuno, così nella vita lo studio e la conoscenza della natura è di gran lunga
superiore a tutte le attività.
In un’opera divulgativa intitolata Una brevissima introduzione alla filosofia, il filosofo statunitense
Thomas Nagel definisce così la specifica non-specificità della filosofia:
La filosofia è diversa dalla scienza e dalla matematica. Diversamente dalla scienza non fa
assegnamento sugli esperimenti o l'osservazione, ma solo sul pensiero. E diversamente dalla
matematica non ha un metodo formale di dimostrazione. La si fa solo ponendo questioni,
argomentando, elaborando idee e pensando a argomenti possibili per confutarle, e chiedendosi
come davvero funzionano i nostri concetti. Il principale interesse della filosofia è mettere in
questione e comprendere idee assolutamente comuni che tutti noi impieghiamo ogni giorno senza
pensarci sopra. Uno storico può chiedere cosa è accaduto in un certo tempo del passato, ma un
filosofo chiederà "Che cos'è il tempo?". Un matematico può studiare le relazioni tra i numeri, ma
un filosofo chiederà "Che cos'è un numero?". Un fisico chiederà di cosa sono fatti gli atomi o
cosa spiega la gravità, ma un filosofo chiederà come possiamo sapere che vi è qualcosa al di
fuori delle nostre menti. Uno psicologo può studiare come i bambini imparano un linguaggio, ma
un filosofo chiederà "Cosa fa in modo che una parola significhi qualcosa?". Chiunque può
chiedersi se è sbagliato entrare in un cinema senza pagare, ma un filosofo chiederà "Cosa rende
un'azione giusta o sbagliata?". Non potremmo farcela a tirare avanti nella vita senza prendere
per scontate la maggior parte del tempo le idee di tempo, numero, conoscenza, linguaggio, giusto
e sbagliato; ma in filosofia ci occupiamo proprio di queste cose. Lo scopo è quello di spingere un
po' più a fondo la nostra conoscenza del mondo e di noi stessi. Ovviamente non è facile. Più le
idee che stai cercando di indagare sono fondamentali, minori sono gli strumenti che hai a
disposizione. Non vi è molto che puoi assumere o dare per scontato. Così la filosofia è un'attività
un poco vertiginosa, e pochi dei suoi risultati restano a lungo incontestati.
Il filosofo si pone domande sul perché ultimo delle cose e, soprattutto, problematizza aspetti della
realtà quotidiana. Le sue domande, quindi, per quanto possano sembrare astratte, sono di fatto
essenziali, perché riguardano il senso stesso della nostra esistenza. Noi usiamo abitualmente la
nozione di ‘anima’, ma sappiamo davvero a cosa ci riferiamo? L’anima è una ‘persona’ interiore
(come l’immagina Dante), una funzione del cervello, lo spirito vitale? Lo stesso vale per il ‘mondo’.
“Sono cose dell’altro mondo”, “Così va il mondo”, “Siamo cittadini del mondo”. Ma cos’è il mondo?
L’universo, la terra, un contenitore in cui gli elementi si trovano l’uno vicino all’altro o una
connessione profonda tra cose istituita da noi? O la stessa ‘parola’. È una semplice convenzione o
coglie l’essenza della cosa nominata? ‘Dio’ è un essere personale o una forza? E così via
dicendoComprensibilmente, quest’attività è definita da Nagel ‘vertiginosa’, come se si scalasse
sempre di più una vetta. Ma è vertiginosa anche perché non offre risposte. Qualunque sia l’oggetto
immediato del domandare filosofico (la conoscenza, l’uomo, il divino ecc.) la sua importanza non è
oggettiva (la terra continuerà a ruotare su se stessa) ma esistenziale, riguarda cioè l’esistenza
dell’uomo, sia come singolo sia come specie. In un certo senso – lo vedremo commentando Aristotele
– l’uomo è un animale filosofico proprio perché a differenza degli altri esseri viventi si pone domande
che coinvolgono il significato stesso della sua esistenza. Definiremo allora ‘problema filosofico’ quel
tipo di domanda che mette in discussione l’essere abituale dell’uomo, dal momento che domandare
di Dio o della parola vuol dire rispettivamente “qual è il senso dell’esistenza’ e ‘in che modo comunico
ciò che sento e penso’? I problemi filosofici sono problemi mortali, nel senso che riguardano esseri
mortali e il loro significato in prospettiva della morte. Così scrive Albert Camus, uno dei massimi
scrittori del Novecento, ne Il mito di Sisifo, dedicato all’incomprensibilità dell’esistenza umana:
Vi è solamente un problema filosofico veriamente serio: quello del suicidio.Giudicare se la vita
valga o non valga la pena di essere vissuta, è il quesito fondamentale della filosofia.Il resto viene
dopo. Galileo, che era in possesso di un’importante verità scientifica, la rinnegò con la più
grande facilità, quando, per essa, si trovò in pericolo divita1. In un certo senso fece bee, poiché
tale verità non valeva il rogo. È cosa profondamente indifferente che sia il globo terrestre che giri
intorno al sole o viceversa. Per dirla in breve, è una questione futile. Per contraccambio, vedo
che molti muoiono perché reputao che la vita non valga la pena di essere vissuta, e ene vedo altri
che si fanno paradossalmente uccidere per le idee o le illusioni ch costituiscono per loro una
ragione di vita (ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di
morire). Giudico dunque che quella sul senso della vita è la più urgente delle domande.
In conclusione, possiamo dunque definire la filosofia come una forma di sapere distinta da tutte le
altre, che ricerca i principi primi e i fondamenti della realtà, non confinata, come le altre scienze, a
un ambito specifico particolare, e non rivolta a fini concreti. È questa la concezione elaborata da
Aristotele, il quale, assicurando un posto nella preistoria di questo sapere a tutti gli autori nei quali
ha trovato tracce di un’indagine sulle cause, ha fatto sì che personalità che al loro tempo non erano
considerati filosofi se non altro perché la filosofia non esisteva ancora con questo nome) entrassere
di diritto nella storia della filosofia.

LA FILOSOFIA PRIMA DELLA FILOSOFIA


A fornirci una prima trattazione sistematica della storia della filosofia è Aristotele, che rappresenta
uno dei vertici non solo della filosofia antica ma del pensiero occidentale in generale. Perché fare un
elenco dei predecessori? Immaginate di essere tra i primi a svolgere un determinato mestiere – che
ne so, quello del medico – e quindi a dover presentare le vostre credenziali. Direte che avete studiato
all’università x, vi siete specializzati in y, avete lavorato con il professor tal dei tali. Inoltre, nelle
società antiche, e tradizionali in genere, la novità non è vista di buon occhio. È necessario inserirsi in
una tradizione. Aristotele però non è uno storico, non in senso moderno, e non ha interesse per una
ricostruzione ‘obiettiva’ dei fatti. I ‘sapienti’ di cui tratta sono scelti in base alla sua definizione della
filosofia come scienza delle cause prime. Per questa ragione inserisce nella storia una serie di figure
che difficilmente definiremmo filosofi, e che sicuramente non erano definiti tali nell’epoca in cui
vissero già solo per il semplice motivo che quella parola non esisteva ancora. La sistemazione data
da Aristotele a questa preistoria della filosofia è diventata canonica ed è quella che trovate anche nel
vostro libro. L’origine della filosofia, prima ancora che in un nome, viene rintracciata in una tendenza
naturale dell’essere umano, la meraviglia:
Tutti gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto
per filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e
di cui essi non sapevano rendersi conto, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in
questo stesso modo,si trovarono di fronte a maggiori difficoltà, quali le affezioni della luna, del
sole e delle stelle, e l’origine dell’universo.
Aristotele sviluppa qui un tema già presente in Platone. Sempre nel Teeteto si legge infatti «è proprio
del filosofo provare meraviglia, e il filosofare non ha altro cominciamento che l’esser pieno di
meraviglia». La meraviglia non è solo una sensazione positiva. Il meraviglioso, qui in Aristotele, è lo
straordinario, cioè che sfugge alla comprensione dell’uomo. Lo stesso sentimento che è all’origine
del sentimento religioso (e non a caso qualche riga sotto Aristotele nomina il mito). Da un lato
1
Nel 1633 Galilei fu processato e condannato per eresia a causa della teoria eliocentrica (la terra ruota intorno al sole
e non viceversa), in quanto considerata contraria alle verità della fede cattolica. La pena prevista era la morte sul rogo.
Galilei scelsa l’abiura, cioè la ritrattazione delle sue tesi. Evitò la condanna a morte ma visse il resto della sua vita sotto
il controllo della Chiesa fino alla morte, nel 1642.
‘meraviglia’ indica l’atteggiamento del filosofo che si interroga su cose che lasciano indifferente
l’uomo comune (v. l’aneddoto su Talete), quella che oggi noi chiameremmo ‘curiosità scentifica’. Ma
il termine ha un significato più profondo. Omero, nell’Odissea, descrive Polifemo come un essere
che suscita meraviglia. Se avete presente il gigantesco ciclope che divora i compagni di Ulisse e
scaglia enormi massi nel mare, di certo non potete confondere questa ‘meraviglia’ cone quella che,
ad esempio, vi procura un regalo inaspettato o un voto estremamente positivo. Aristotele precisa:
Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che
anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un
insieme di cose che destano meraviglia.
Aristotele afferma qui un altro concetto fondamentale. Il mito, inteso come racconto religioso,
fornisce anch’esso una spiegazione, è una forma di rimedio alla meraviglia. Tuttavia, il principio
posto dal mito a spiegazione della meraviglia, il divino, è esso stesso oggetto di meraviglia. Pensate
agli dei greci, a Zeus, Apollo, Afrodite. Il loro comportamento era molto simile a quello degli esseri
umani. Talvolta irrazionale, talvoltadettato da invidia e vendetta. Il dio del mito non fornisce una
spiegazione rassicurante della realtà, perché è pur sempre qualcosa di imprevedibile. Supponiamo di
trovarci nel mezzo di una tempesta di fulmini. Dire: i fulmini sono opera di Zeus” non serve a
rassicurarci. Ci occorre una risposta diversa. Ed è qui che nasce la filosofia. Solo che Aristotele guarda
al passato dalla sua prospettiva e soprattutto dalla sua definizione di filosofia come «scienza delle
cause prime». Per lui i principi indicati da questi pre-filosofi, definiti «fisici», sono cause materiali,
materia inerte (aria, acqua, terra, fuoco), privi di movimento interno e quindi incapaci di generare la
vita. Un cumulo di mattoni non fa la casa. La casa è fatta da un progetto che organizza i mattoni
secondo uno scopo. Quello che sfugge ad Aristotele è il carattere mistico e poetico di questi sapienti.
L’acqua, l’aria, l’indeterminato sono principi vivi e divini (da qui l’ilozoismo e il panteismo) e la loro
origine – e in questo la spiegazione di Aristotele è perfetta – è proprio nei miti: Oceano e Teti, il Caos
originario, il soffio vitale. La portata filosofica del loro pensiero non risiede nella spiegazione
naturalistica, ingenua ai nostri occhi moderni, del perché le cose sono come sono, ma nel tentativo di
cogliere l’essenza delle cose, l’unità sotto la molteplicità. Il problema filosofico è quello di cercare
un ordine nel mondo al di là dell’apparente disordine (nascita e morte, luce e oscurità, bene e male
ecc.). Il mondo è per loro un cosmo, un tutto ordinato. L’interesse, quindi, è incentrato non sulla
natura intesa come l’insieme delle cose naturali (alberi, animali, rocce) ma sulla natura intesa come
tutto in cui trova posto, e senso, l’uomo. Dicono «natura» ma intendono, in fondo, «uomo».

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