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Per una comprensione maggiore dovremo però rivolgerci alla sua origine. L’origine – lo vedremo
affrontando la nozione di «principio» – non indica solo l’inizio nello spazio e nel tempo di una cosa,
ma anche la sua essenza, potremmo dire il suo destino. Ad esempio, il fatto che siamo Europei non
indica solo una provenienza geografica ma determina, almeno in part,e ciò che siamo sia in quanto
eredi di una certa cultura sia perché viviamo in condizioni materiali diverse da quelle asiatiche o
africane. L’origine, quindi, è ciò da cui proveniamo e che sempre ci accompagna. Determinando
l’origine della filosofia forse avremo margini più ampi di definizione.
Cominciamo dalla parola. L’etimologia del nome filosofia è molto semplice, ma presto vedremo come
in filosofia sono proprio le cose apparentemente più semplici a costituire unproblema filsofico. È
composta dal prefisso philo, che indica amore, amicizia, desiderio, e del sostantivo sophia, sapienza,
conoscenza. Il significato è quindi «amore/desiderio di conoscenza». Si tratta in questi termini di una
definizione molto generica. Potremmo definire così anche un fisico, supponendo che ami la sua
materia, o un calciatore che ama la scienza (nel senso di sapere tecnico) del calcio. Bisogna allora
capire di che tipo di sapere si sta parlando. Presumibilmente ci sarà un saggio (sophos), uno che sa o
che per lo meno ritiene di sapere, e un filsoofo che potremmo qui designare come «aspirante
sapiente». Verrebbe da pensare che il filosofo sia inferiore al sapiente, e in un certo senso è così.
Nell’antica Grecia, e nelle società arcaiche in generale, il sapiente è il detentore di una conoscenza
superiore, non limitata a un ambito specifico e quindi universale, spesso ritenuta di origine divina o
comunque ispirata dagli dei. Questo era il genere di sophia attribuito ai «sette sapienti», il cui primo
elenco si trova in Platone, figure semileggendarie di legislatori e personalità pubbliche delle polis
greche del VII-VI sec. a.C., cui la tradizione attribuiva un patrimonio di sentenze e massime, vale a
dire di osservazioni e consigli di caratttere pratico, che servivano a guidare la loro comunità contro
la superstizione e l’ignoranza. Negli elenchi dei sapienti non si trovano, tuttavia, solo personalità
storiche come Talete (che Aristotele nomina come primo filosofo, ma che era noto soprattutto per
aver compreso il meccanismo dell’eclissi e per i suoi studi di geometria) e Solone (il legislatore di
Atene), ma anche personaggi mitici come Orfeo: i misteri orfico-pitagorici, con la credenza nella
reincarnazione e nell’immortalità dell’anima, offrivano agli iniziati una sapienza segreta,
inaccessibile agli uomini comuni, che consentiva loro di elevarsi e liberarsi dalla prigione del corpo.
Un tipo di sapienza, quindi, che noi non attribuiremmo alla filosofia, intesa come sapere laico, ma
all’esperienza religiosa. «Sapiente», inoltre, era impiegato in origine anche per indicare
semplicemente l’esperto in qualche arte o tecnica: il falegname è sapiente in quanto sa costruire un
letto (come nell’esempio del calciatore di prima). La parola «filosofo» è successiva e risale almeno
al V sec. a.C.. Inizialmente la si trova come aggettivo per indicare genericamente l’amore per la
cultura. Nel discorso in cui celebra la superiorità degli Ateniesi, tra i loro meriti Pericle elenca la
filosofia, intesa non in senso tecnico ma come amore della cultura: «Amiamo il bello, ma con
semplicità, e ci dedichiamo al sapere (lett. filosofiamo)». Rimaniamo quindi ancora nell’ambito
generico.
In quanto disciplina e stile di vita la filosofia si definisce solo nell’Atene del IV sec.. Essa deriva
dall’insegnamento di Socrate, Platone e Aristotele, che non a caso sono legati da un rapporto di
maestro-allievo. È precisamente Aristotele a conferire alla filosofia il significato di disciplina
specifica distinta da ogni altra e a fornire la prima storia della filosofia. Il termine filosofo nasce in
questo contesto in contrapposizione a un tipo specifico di sapiente: il sofista. «Sofista» era
inizialmente sinonimo di sapiente (infattti in greco i sette sapienti letteralmente erano i sette sofisti),
ma nell’Atene del V e del IV sec. designa nello specifico i professionisti dell’arte della parola (la
retorica) che ad Atene insegnavano ai giovani di buona famiglia che aspiravano a partecipare alla vita
politica come far prevalere il loro discorso in assemblea, cioè a come convincere gli altri a prescindere
dalla verità del loro discorso. Prendiamo un politico odierno che sostiene in parlamento la necessità
di costruire un ponte. Nel suo caso le ragioni non riguardano l’utilità pratica ma il vantaggio
economico che gliene deriverebbe affidando l’appalto a una certa compagnia o il prestigio nella
comunità destinatariadell’opera. Naturalmente in pubblico non potrebbe sostenere la verità. Dovrebbe
invece trovare le parole adatte a persuadere gli altri dicendo il falso. Ed ecco che interviene il sofista.
La sua concezione del sapere è tecnica, nel senso di un patrimonio di conoscenze che egli solo
possiede e che può trasmettere ad altri allo stesso modo in cui l’acqua di una fontana si travasa in un
recipiente. Socrate, Platone e Aristotele non sonod’accordo. Un sapere assoluto, se esiste, è proprio
di esseri che sono superiori alla sfera umana. Così si esprime Platone nel dialogo intitolato Simposio
(che vuol dire banchetto):
Nessuno degli dèi ama la sapienza, né desidera diventare spaiente, poiché lo è già […]. D’altro
canto, nemmeno gli ignoranti amano la sapienza, né desiderano diventare sapienti. Proprio in
questo, infatti, l’ignoranza è insopportabile, nel credere, da parte di chi non è né bello né
eccellente, e neppuresaggio, diessereaeguatamente dotato. Chi non ritiene di essere privo,
dunque, nondesidera ciò di cui non crede di aver bisogno.
L’uomo non può acqisire questo tipo di sapere, può al massimo aspirarvi. Ed ecco la filosofia.
Un’aspirazione al sapere. Vuol dire che la conoscenza dell’uomo non è qualcosa di fisso e stabile, ma
è in continuo mutamento, e che la vera sapienza consiste nel riconoscere che si è sempre ignoranti
sotto qualche punto di vista. La filosofia è ricerca continua, ed è proprio l’ammissione dell’ignoranza,
propria della condizione umana, a rendere il filosofo, l’amante della sapienza, superiore al sapiente,
chiuso nella sua arroganza.
Definito il nome, resta da comprendere di cosa si occupa la filosofia. Già nell’antichità circolavano
spiegazioni circa la natura della filosofia, attribuite a figure semileggendarie rinomate per la loro
sapienza. In un suo dialogo, il Teeteto (quasi tutti i dialoghi di Platone prendono il titolo da uno dei
loro personaggi), Platone riferisce questo aneddoto:
Talete, mentre interpretava i moti regolari delle stelle e guardava al cielo, cadde in un pozzo; e
una servetta tracia, arguta e graziosa, lo prese in giro dicendogli che, mentre si sforzava di
conoscere le cose del cielo, gli sfuggivano quelle che aveva davanti a sé e ai propri piedi. Lo
stesso scherzo si adatta a tutti coloro che si dedicano alla filosofia. Infatti al filosofo sfugge di
chi gli è vicino, o del dirimpettaio, non solo che cosa faccia, ma quasi se sia un uomo o un’altra
bestia; ma che cosa sia mai l’uomo e che cosa, in base alla sua natura, gli si addica fare o patire,
a differenza di tutte le altre cose, questo egli indaga e fa continui sforzi in questo senso.
Il significato è chiaro. Il filosofo è quel genere di individuo che si pone domande che la maggior parte
degli uomini da per scontate. Talete e la servetta tracia condividono lo stesso cielo, eppure è solo per
ilprimo che il cielo suscita un problema. Il luogo comune del filosofo stralunato e goffo nella chiusa:
il filosofo, che all’apparenza si occupa di questioni astratte e lontane dalla vita, vede invece ciò che
ha davvero importanza.
Di Pitagora, che secondo la tradizione, sarebbe stato il primo a definirsi filosofo, si narra che
interrogato dal tiranno di una città circa la specificità della sua occupazione (essendo il primo filosofo,
nonce n’erano stati altri prima di lui) avrebbe risposto:
Come alle grandi feste alcuni vanno per partecipare alle gare sportive, ricercando premi
e fama, altri per lucrare, vendendo e comprando, altri ancora solo come spettatori, e
sono quelli più nobili, vi sono certe rare persone che trascurano completamente tutto il
resto e studiano attentamentelanatura. Costoro si chiamano amanti della sapienza, cioè
filsofi, e come nella fiera l’atteggiamento più nobileè fare da spettatore senza cercare
vantaggio alcuno, così nella vita lo studio e la conoscenza della natura è di gran lunga
superiore a tutte le attività.
In un’opera divulgativa intitolata Una brevissima introduzione alla filosofia, il filosofo statunitense
Thomas Nagel definisce così la specifica non-specificità della filosofia:
La filosofia è diversa dalla scienza e dalla matematica. Diversamente dalla scienza non fa
assegnamento sugli esperimenti o l'osservazione, ma solo sul pensiero. E diversamente dalla
matematica non ha un metodo formale di dimostrazione. La si fa solo ponendo questioni,
argomentando, elaborando idee e pensando a argomenti possibili per confutarle, e chiedendosi
come davvero funzionano i nostri concetti. Il principale interesse della filosofia è mettere in
questione e comprendere idee assolutamente comuni che tutti noi impieghiamo ogni giorno senza
pensarci sopra. Uno storico può chiedere cosa è accaduto in un certo tempo del passato, ma un
filosofo chiederà "Che cos'è il tempo?". Un matematico può studiare le relazioni tra i numeri, ma
un filosofo chiederà "Che cos'è un numero?". Un fisico chiederà di cosa sono fatti gli atomi o
cosa spiega la gravità, ma un filosofo chiederà come possiamo sapere che vi è qualcosa al di
fuori delle nostre menti. Uno psicologo può studiare come i bambini imparano un linguaggio, ma
un filosofo chiederà "Cosa fa in modo che una parola significhi qualcosa?". Chiunque può
chiedersi se è sbagliato entrare in un cinema senza pagare, ma un filosofo chiederà "Cosa rende
un'azione giusta o sbagliata?". Non potremmo farcela a tirare avanti nella vita senza prendere
per scontate la maggior parte del tempo le idee di tempo, numero, conoscenza, linguaggio, giusto
e sbagliato; ma in filosofia ci occupiamo proprio di queste cose. Lo scopo è quello di spingere un
po' più a fondo la nostra conoscenza del mondo e di noi stessi. Ovviamente non è facile. Più le
idee che stai cercando di indagare sono fondamentali, minori sono gli strumenti che hai a
disposizione. Non vi è molto che puoi assumere o dare per scontato. Così la filosofia è un'attività
un poco vertiginosa, e pochi dei suoi risultati restano a lungo incontestati.
Il filosofo si pone domande sul perché ultimo delle cose e, soprattutto, problematizza aspetti della
realtà quotidiana. Le sue domande, quindi, per quanto possano sembrare astratte, sono di fatto
essenziali, perché riguardano il senso stesso della nostra esistenza. Noi usiamo abitualmente la
nozione di ‘anima’, ma sappiamo davvero a cosa ci riferiamo? L’anima è una ‘persona’ interiore
(come l’immagina Dante), una funzione del cervello, lo spirito vitale? Lo stesso vale per il ‘mondo’.
“Sono cose dell’altro mondo”, “Così va il mondo”, “Siamo cittadini del mondo”. Ma cos’è il mondo?
L’universo, la terra, un contenitore in cui gli elementi si trovano l’uno vicino all’altro o una
connessione profonda tra cose istituita da noi? O la stessa ‘parola’. È una semplice convenzione o
coglie l’essenza della cosa nominata? ‘Dio’ è un essere personale o una forza? E così via
dicendoComprensibilmente, quest’attività è definita da Nagel ‘vertiginosa’, come se si scalasse
sempre di più una vetta. Ma è vertiginosa anche perché non offre risposte. Qualunque sia l’oggetto
immediato del domandare filosofico (la conoscenza, l’uomo, il divino ecc.) la sua importanza non è
oggettiva (la terra continuerà a ruotare su se stessa) ma esistenziale, riguarda cioè l’esistenza
dell’uomo, sia come singolo sia come specie. In un certo senso – lo vedremo commentando Aristotele
– l’uomo è un animale filosofico proprio perché a differenza degli altri esseri viventi si pone domande
che coinvolgono il significato stesso della sua esistenza. Definiremo allora ‘problema filosofico’ quel
tipo di domanda che mette in discussione l’essere abituale dell’uomo, dal momento che domandare
di Dio o della parola vuol dire rispettivamente “qual è il senso dell’esistenza’ e ‘in che modo comunico
ciò che sento e penso’? I problemi filosofici sono problemi mortali, nel senso che riguardano esseri
mortali e il loro significato in prospettiva della morte. Così scrive Albert Camus, uno dei massimi
scrittori del Novecento, ne Il mito di Sisifo, dedicato all’incomprensibilità dell’esistenza umana:
Vi è solamente un problema filosofico veriamente serio: quello del suicidio.Giudicare se la vita
valga o non valga la pena di essere vissuta, è il quesito fondamentale della filosofia.Il resto viene
dopo. Galileo, che era in possesso di un’importante verità scientifica, la rinnegò con la più
grande facilità, quando, per essa, si trovò in pericolo divita1. In un certo senso fece bee, poiché
tale verità non valeva il rogo. È cosa profondamente indifferente che sia il globo terrestre che giri
intorno al sole o viceversa. Per dirla in breve, è una questione futile. Per contraccambio, vedo
che molti muoiono perché reputao che la vita non valga la pena di essere vissuta, e ene vedo altri
che si fanno paradossalmente uccidere per le idee o le illusioni ch costituiscono per loro una
ragione di vita (ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di
morire). Giudico dunque che quella sul senso della vita è la più urgente delle domande.
In conclusione, possiamo dunque definire la filosofia come una forma di sapere distinta da tutte le
altre, che ricerca i principi primi e i fondamenti della realtà, non confinata, come le altre scienze, a
un ambito specifico particolare, e non rivolta a fini concreti. È questa la concezione elaborata da
Aristotele, il quale, assicurando un posto nella preistoria di questo sapere a tutti gli autori nei quali
ha trovato tracce di un’indagine sulle cause, ha fatto sì che personalità che al loro tempo non erano
considerati filosofi se non altro perché la filosofia non esisteva ancora con questo nome) entrassere
di diritto nella storia della filosofia.