Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Gorgia
Un’altra figura importante della sofistica è Gorgia che rispetto a Protagora
presenta una dottrina più negativa sulle possibilità conoscitive e pratiche
dell’essere umano. Le opere più importanti di Gorgia sono l’Encomio di Elena e
Sul non essere. Quest’ultima è ritenuta la più importante e dentro di essa
Gorgia espone 3 tesi fondamentali su cui si basa la sua dottrina:
-nulla esiste;
-se anche qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile per gli esseri umani;
-se anche fosse conoscibile, sarebbe incomunicabile.
Gorgia dimostra che niente esiste in questo modo: se qualcosa esiste, esso
sarà o l’essere o il non essere o l’essere e il non essere insieme. Ora il non
essere non c’è, ma neanche l’essere c’è perché se ci fosse sarebbe o eterno o
generato o eterno e generato insieme. Se l’essere è eterno, non ha alcun
principio e non avendo alcun principio è infinito ed essendo infinito non è in
nessun luogo e non essendo in nessun luogo non esiste. Ma neanche generato
può essere l’essere perché se fosse nato sarebbe nato o dall’essere o dal non
essere. Ma non è nato dall’essere perché se è essere non è nato, ma è già; né
dal non essere perché il non essere non può generare.
Se le cose pensate non si può dire che siano esistenti, sarà vero anche
l’inverso cioè che non si può dire che l’essere sia pensato. Da ciò si deduce che
se il pensato non esiste, l’essere non è pensato. E che le cose pensate non
esistono è chiaro, infatti se il pensato esiste, allora tutte le cose pensate
esistono comunque le si pensino, ma ciò non è possibile. Se il pensato non
esiste, il non esistente non potrà essere pensato perché ai contrari toccano
attributi contrario. Ma ciò è assurdo perché si pensa anche a figure mitologiche
come la Chimera e molti altri mostri.
Posto che le cose esistenti sono visibili e udibili e di esse le visibili sono
percepibili per mezzo della vista e le udibili per l’udito e non viceversa, come
faranno ad esprimersi a vicenda?
Lo scritto di Gorgia è stato anche interpretato in base all’affermazione di
nichilismo filosofico (cioè di una dottrina che nega uno o più elementi
significativi della realtà o dell’esistenza) oppure come un semplice scherzo
attraverso il quale l’autore si sarebbe burlato dei filosofi precedenti. Dietro il
tono provocatorio delle tesi gorgiane è però riconoscibile tutta la sua
importanza.
Gorgia quando sostiene che nulla esiste, non intende far sparire la realtà
percepita dai nostri sensi, bensì negare la possibilità di una sua
concettualizzazione filosofica. Quindi Gorgia intende probabilmente negare la
possibilità logica e il valore ontologico dell’essere in generale e di quella
struttura metafisica di cui i vari pensatori presofisti erano andati alla ricerca,
ossia la natura e il principio originale e indiveniente oltre le cose.
Poi per sostenere che l’essere non è pensabile, Gorgia afferma che se una
realtà esistesse, noi non la potremmo conoscere perché per farlo dovremmo
presupporre che la nostra mente sia una fotografia esatta di ciò che esiste. Ma
non è così, infatti noi pensiamo a cose inesistenti e ciò significa che il pensiero
non sempre rispecchia la realtà.
Poi quando afferma che se anche la realtà fosse riconoscibile, non sarebbe
spiegabile a parole, Gorgia dice che anche il linguaggio non corrisponde alla
realtà.
Lo scetticismo
Secondo Gorgia Dio o non esiste o è inconoscibile o è inesprimibile.
La prima affermazione è una negazione radicale dell’esistenza di Dio;
La seconda e la terza sono invece su un piano di scetticismo metafisico e
agnosticismo teologico in quanto sono assimilabili alla prospettiva secondo cui
l’uomo non ha prove né dell’esistenza né della non esistenza di Dio.
In realtà anche la prima affermazione si va a collocare nell’ambito di
scetticismo e agnosticismo perché vuol dire che Dio non esiste “per noi”.
Quindi il messaggio più profondo di Gorgia è lo scetticismo metafisico cioè
l’impotenza dell’uomo di parlare di Dio. In altre parole, Gorgia esprime la sua
sfiducia nelle possibilità conoscitive della nostra mente.
Con Gorgia troviamo la prima messa in discussione della metafisica.
Gorgia intende investire il pensiero e il linguaggio che perdono il loro valore di
strumenti di verità. Infatti, per Gorgia se nulla è vero, tutto è falso, siamo
davanti quindi allo scetticismo gnoseologico. Per Gorgia, l’unica cosa che conta
è la potenza delle parole.
Un personaggio complesso
La figura di Socrate aveva qualcosa di strano e affascinante. La sua apparenza
fisica urtava contro l’ideale ellenico dell’anima saggia rinchiusa in un corpo
bello e armonioso, infatti egli assomigliava a un sileno. Per questo motivo
Socrate seminava il dubbio e il turbamento nell’animo delle persone che lo
incontravano.
Le nuvole di Aristofane
L’unica testimonianza che risale ai tempi in cui Socrate era ancora vivo è
contenuta nella commedia “Le nuvole” del commediografo Aristofane che è
stata presentata ad Atene nel 423 a.C. Aristofane accomuna Socrate ai filosofi
della natura e ai sofisti e lo presenta come un chiacchierone che propina
insegnamenti corruttori ai giovani negando gli dèi della città.
Questa testimonianza è in buona parte una contraffazione polemica e satirica.
Aristofane dice che Socrate è il peggiore sofista e individua in lui l’esponente
più emblematico della nuova cultura. La commedia di Aristofane fornisce anche
una preziosa fotografia del clima storico-culturale dell’Atene socratica.
Il non sapere
Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo è la conoscenza
della propria ignoranza. Infatti, Platone narra che quando fu proclamato
l’uomo più sapiente dall’Oracolo di Delfi, si auto-dichiarò ignorante e disse
che il vero sapiente è colui che sa di non sapere.
Per comprendere questa tesi bisogna cogliere dell’agnosticismo metafisico di
Protagora e di Gorgia e una polemica contro i filosofi della natura. Infatti,
sostenere che il vero sapiente è colui che sa di non sapere, è un modo per
dire che il filosofo autentico è colui che ha compreso che intorno alle cause
e alle strutture ultime del Tutto non si può dire niente con certezza.
Questa osservazione non implica però un'interpretazione di Socrate in
chiave scettica. Da una parte il motto delfico-socratico assume il significato
di una denuncia polemica di tutte quelle categorie di individui che
pretendono di conoscere a fondo la natura umana, credendosi in possesso di
salde certezze sulla vita, ma dall'altra parte esso non esclude la possibilità
di una ricerca sull'essere umano, anzi la incoraggia, costituendone una
condizione preliminare, dal momento che soltanto chi sa di non sapere cerca
di sapere, mentre chi si crede già in possesso della verità non sente il
bisogno di cercarla. In altre parole, la tesi socratica del non sapere, se da
un lato funge da richiamo ai limiti della ricerca umana, dall'altro lato vuol
essere un invito a indagare i problemi fondamentali dell'essere umano. La
coscienza del non sapere configura come una fruttuosa scintilla, capace di
accendere il grande dialogo interumano della filosofia.
Nel "non sapere" socratico, infine, va colta un'esplicita presa di distanza dai
sofisti: questi si dichiaravano "sapienti", tanto da arrogarsi il diritto di
insegnare la loro arte e l'oggetto della loro conoscenza, Socrate è il primo a
dichiararsi "filosofo", cioè, "amante della sapienza", ovvero "in cerca
sapere". L'autentica sapienza viene così a identificarsi con il "desiderio" o
l'amore del sapere, cioè di qualcosa di cui si avverte la mancanza, come un
vuoto da colmare.
L’ironia
Nell'esame a cui Socrate sottopone gli altri, la sua prima preoccupazione è
di rendere i propri interlocutori consapevoli della loro ignoranza. A questo
scopo egli si avvale dell'ironia ovvero di un gioco di parole attraverso il
quale riesce a mettere a nudo le coscienze di coloro che gli stanno di fronte.
Loro inizialmente appaiono soddisfatti delle loro formule cristallizzate e delle
loro certezze usando però l’ironia Socrate ne mostra il sostanziale non
sapere. L’ironia è quindi lo strumento utilizzato da Socrate per svelare
all’interlocutore la sua ignoranza. Socrate facendo finta di non sapere
usando l’ironia chiede all’interlocutore un illustre maestro di qualche arte e
dopo un po’ comincia a fargli molte domande. Utilizzando poi la tecnica del
dubbio e manovrando la tecnica della confutazione, Socrate smonta tutte le
risposte ottenute. In questo modo provoca in lui vergogna e lo costringe ad
ammettere di non avere opinioni solide sull’argomento in questione. In
questo senso il momento ironico del dialogo socratico è stato definito
dialettico-zenoniano in base alla somiglianza con il metodo usato da Zenone
per mostrare l’insostenibilità logica delle tesi sul movimento e sulla
molteplicità dell’essere.
In questo modo Socrate raggiunge il proprio scopo, ossia quello di
invogliare alla ricerca del vero. L’ironia è quindi una sofistica che purifica e
libera la menta dalle malfondate convinzioni del vivere quotidiano instillando
nell’uomo il dubbio e la sete di convinzioni autentiche.
La maieutica
Dopo aver fatto il "vuoto" nella mente del discepolo, Socrate non si propone
di riempirla subito con una propria verità, come se lo scopo della sua ironia
fosse una sorta di lavaggio del cervello che prepara il terreno per imporre
un determinato sistema di idee. Egli intende soltanto stimolare l’ascoltatore
a ricercare dentro sé stesso una sua personale verità. Esattamente in ciò
consiste la maieutica, cioè l'arte di far partorire di cui parla Platone dicendo
che Socrate aveva ereditato dalla madre la professione di ostetrico. Come
Fenatete aiutava le donne a partorire i bambini, così Socrate, ostetrico di
anime, aiutava gli intelletti a partorire il loro genuino punto di vista sulle
cose. In queste parole del Socrate ironico e maieutico, si è anche visto uno
dei principi fondamentali della pedagogia: la vera educazione è sempre
auto-educazione, ossia un processo in cui il discepolo viene aiutato dal
maestro a maturare e a formarsi in maniera autonoma, partendo dalle
proprie inclinazioni interiori.
Trai lunghi discorsi preferiti dai sofisti detti macrologie e i discorsi brevi detti
brachilogie, fatti di battute corte e veloci che obbligano l'avversario a dare
risposte precise, Socrate predilige i secondi. Questo perché una tale
dialettica demolisce l'antagonista, che sotto i colpi delle provocazioni scopre
la vacuità superficialità delle proprie convinzioni e si dispone a una ricerca
più attenta e consapevole. La domanda "che cos'è?" rivela dunque un
duplice volto: uno negativo, indirizzato a mettere in crisi l'interlocutore e a
spogliarlo delle formule acriticamente accettate; l'altro positivo, teso a
condurlo verso una definizione soddisfacente dell'argomento trattato, su cui
possa esserci un accordo linguistico concettuale tra le menti.
L'etica
Anche l'etica socratica affonda in realtà le proprie radici nel tessuto
culturale dell'Atene del V secolo a.C., pur giungendo a esiti nuovi originali.
Le dottrine socratiche pur essendo riportate con amore dal suo allievo,
vengono già filtrate alla luce degli interessi del giovano Platone. Platone da
molta importanza al metodo socratico delle definizioni interpretandolo come il
primo passo verso il sapere assoluto. È proprio nell’ambito di questa battaglia
che Platone sviluppa la teoria delle idee. Qui Platone entra nella sua seconda
fase dove non dipende più dagli insegnamenti del suo maestro Socrate, ma
elabora un proprio specifico pensiero. La teoria delle idee è il cuore del
platonismo maturo. Infatti, Platone pensò di aver risolto tutti i massi problemi
della filosofia solo dopo averla elaborata.
L’impianto dualistico
Per Platone esistono due grandi fondamentali della conoscenza, l’opinione e
la scienza alle quali fanno riscontro due tipi d’essere distinti, cioè le cose e le
idee. La verità imperfetta dell’opinione dipende dal carattere mutevole delle
cose percepite dai sensi. La verità perfetta della scienza invece, dipende dalle
idee. La scienza, quindi, costituisce una conoscenza stabile e perfetta perché la
realtà che essa indaga è stabile e perfetta.
La filosofia platonica è una sorta di integrazione tra l’eraclitismo e
l’eleatismo. Da Eraclito accetta la teoria secondo cui il nostro mondo è il regno
della mutevolezza, mentre da Parmenide accetta la convinzione che l’essere
autentico sia immutabile. L’idea di Platone è infatti immutabile, eterna e
perfetta anche se l’essere platonico è molteplice perché è formato da una
pluralità di idee. Dall’eleatismo Platone deriva anche il dualismo gnoseologico
tra sensibilità e ragione, e il dualismo ontologico tra l’essere delle cose e
l’essere autentico.
L’immortalità dell’anima
La teoria della reminiscenza postula di per sé l’immortalità dell’anima, che
diviene oggetto di uno dei dialoghi platonici chiamato “il Fedone”. In
quest’opera Platone espone altre prove dell’immortalità dell’anima.
- Una prima prova, detta dei contrari, afferma che, come in natura ogni
cosa si genera dal suo contrario, così la morte si genera dalla vita e
viceversa: l’anima deve quindi rivivere dopo la morte del corpo.
- Una seconda prova, detta della somiglianza, sostiene che l’anima
essendo simile alle idee che sono eterne, anch’essa deve essere eterna.
Infatti, solo ciò che è composto può distruggersi, le cose semplici come le
idee e l’anima invece, non possono né crearsi né distruggersi.
- Una terza prova, detta della vitalità, dice che l’anima è vita e partecipa
dell’idea della vita; quindi, non può accogliere l’idea della morte.
Nel Fedone troviamo anche la dottrina platonica della filosofia come
preparazione alla morte. Infatti, se la conoscenza autentica è quella delle idee,
allora filosofare significa andare oltre i sensi e il corpo e la vita del filosofo
risulta una preparazione alla morte, ossia quel momento in cui l’anima potrà
unirsi alle idee.
Il Simposio
Il Simposio nella tradizione greca era il momento conclusivo del banchetto
dove le persone bevevano il vino e celebravano la poesia e l’amore. Nella sua
opera, Platone descrive un simposio a cui partecipano Socrate e alcune figure
importanti di Atene. Nell’opera ogni persona a turno pronuncia un lungo
discorso in onore di Eros. Questi discorsi sono descrizioni dell’amore di cui
mettono in luce una serie di caratteri che verranno poi unificati e giustificati nel
discorso di Socrate. Il primo a prendere parola è un allievo di Socrate che si
chiama Fedro che elogia Eros. Poi interviene Pausania che distingue tra un Eros
volgare e un Eros celeste. Poi interviene Erissimaco che vede nell’amore una
forza cosmica e generatrice che determina tutti i fenomeni, sia umani sia
naturali. Poi arriva il turno di Aristofane che espone il mito degli andrògini, un
mito in cui si narra che in origine la figura dell’essere umano era doppia e
tonda, cioè composta da due esseri uniti in maniera inscindibile. I generi umani
erano dunque 3: maschio, femmina e androgino. Temendo la forza di
quest’ultimi, Zeus decide di dividere gli esseri umani in due, da allora le due
parti vanno l’una in cerca dell’altra per riunirsi e ricostituire l’essere originario.
Con il racconto di Aristofane, Platone sottolinea che l’insufficienza o
l’incompletezza sono caratteri fondamentali degli umani. Socrate poi, nei suoi
discorsi descrive l’amore come il desiderare qualcosa che non si ha, ma di cui
si avverte il bisogno: l’amore è quindi una mancanza. Secondo il mito, Eros
non è tanto un dio quanto un demone, ossia un essere intermedio tra umani e
divinità. Infatti, mentre gli dèi sono sapienti, Eros non ha sapienza, ma aspira
a possederla, e in questo senso è filosofo. L’amore non ha la bellezza, e la
desidera in quanto bene che rende felici. Eros è desiderio di procreare, che
viene soddisfatto dall’attrazione esercitata dalla bellezza dei corpi. Attraverso
la generazione sia biologica sia spirituale, gli uomini cercano di sanare
un’indigenza originaria che li segna in modo indelebile, ossia il desiderio
dell’immortalità. La bellezza ha gradi diversi. All’inizio si è attratti dalla bellezza
di un singolo corpo che si ritiene bello. Poi ci si accorge che la bellezza è
presente in più corpi; quindi, si passa a desiderare ed amare la bellezza
corporea nella sua tonalità. E al di sopra di questa, si trova la bellezza
dell’anima, poi la bellezza delle istituzioni delle leggi e delle istituzioni e poi, la
bellezza della scienza. Al di sopra di tutto si trova la bellezza in sé, che è
eterna e superiore al divenire e alla morte.
Ai diversi gradi di bellezza derivano diversi gradi di amore, che vanno da quello
corporeo all’amore filosofico. L’amore platonico è dunque una relazione
sentimentale asessuata. Platone ritiene che l’eros, ossia l’amore sensuale, vada
abbandonato per poter arrivare a livelli superiori. L’amore di cui parla Platone
si configura quindi come lo strumento per una conoscenza superiore.