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Gregorianum

SERGIO PAOLO BONANNI


«Perfectior est unitas, in qua cum unitate
naturae manet unitas caritatis». Essenza
divina e comunione trinitaria alla luce
delle riflessioni di Luis F. Ladaria, S.I.

Pontificia Universitas Gregoriana


Roma 2017 - 98/1
GREGORIANUM 98, 1 (2017) 5-23
Sergio Paolo BONANNI

Perfectior est unitas, in qua cum unitate


naturae manet unitas caritatis
Essenza divina e comunione trinitaria alla luce delle
riflessioni di Luis F. Ladaria, S.I.1

I. MATTO È CHI SPERA CHE NOSTRA RAGIONE POSSA TRASCORRER


LA INFINITA VIA CHE TIENE UNA SUSTANZA IN TRE PERSONE (DANTE)

«Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via che
tiene una sustanza in tre persone»2: così Dante nel terzo canto del suo
Purgatorio. Infinita via, ci ricorda il poeta, quella che tiene una sostanza in tre
persone: folle sarebbe, da parte della limitata ragione umana, avanzare con la
speranza di riuscire a percorrerla tutta. Non possiamo esaurire il mistero, lo
sappiamo. Ma da inguaribili pellegrini dell’infinito, noi continuiamo a
imboccarla, l’interminabile via, e a tentare il viaggio della dotta ignoranza
con la fiducia del viandante a cui è stato dato di intuire che su altro, e non
sulle sue forze, riposa la credibilità e l’autenticità dell’impresa. Certo,

———––
1
Il testo di questo articolo corrisponde a quello letto dall’autore il 27 novembre 2014
presso la Pontificia Università Gregoriana, in occasione della presentazione del volume:
M. AROZTEGI ESNAOLA – Á. CORDOVILLA PEREZ – J. GRANADOS GARCÍA – G. HERNANDÉZ
PELUDO, ed., La unción de la gloria: en el Espíritu, por Cristo, al Padre. Homenaje a mons.
Luis F. Ladaria SJ, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 2014. Il titolo («Perfectior est
unitas…»), altro non è che una frase delle Quaestiones Disputatae de Mysterio Trinitatis
(q. II, a. II, contr. 9) di Bonaventura da Bagnoregio, citata da L. Ladaria nella lezione
magistrale tenuta alla Pontificia Università di Salamanca il 15 gennaio 2014 (cf. «Fons et
Origo. Monoteísmo y “monarquía” del Padre», in Doctor honoris causa excmo. y revdmo.
P. Luis F. Ladaria Ferrer sj, Salamanca 2014, 45).
2
Purgatorio, III, 34-36.
6 SERGIO P. BONANNI

temerario sarebbe pretendere di poter andare avanti da soli, senza avvalersi


dell’aiuto di opportune guide, meglio se scelte fra quelle pi esperte. Per
questo, nelle pagine che seguono, prendendo spunto dalle riflessioni di Luis
Ladaria, ci metteremo all’ascolto di alcune autorevoli voci della tradizione
cristiana, con lo scopo di farci aiutare dai maestri del passato ad affrontare la
sfida che sta al cuore della theologia, e che sempre di nuovo sollecita
l’intelligenza credente a cercare di dire qualcosa intorno alla semplicità del
trino Principio.
«Dopo aver percorso, partendo dalla historia salutis, la dottrina classica
della Trinità, dalle processioni fino alle persone, abbiamo trattato con una
certa ampiezza le caratteristiche del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Ora ci tocca affrontare il problema dell’unità dell’essenza divina»3: si apre
così l’undicesimo capitolo de l Dio vivo e vero. Nelle pagine che seguono,
Luis Ladaria ci fa fare un passo significativo lungo l’infinita via su cui si
snodano i percorsi speculativi che sempre impegnano la ragione quando si
ritrova confrontata con la verità della fede trinitaria.
«Ora ci tocca affrontare il problema dell’unità dell’essenza divina». os
toca, ci tocca, non è possibile evitarlo. Parlare dell’unità dell’essenza divina,
del Principio unico e semplicissimo che è Padre Figlio e Spirito, è tratto fra i
pi impegnativi del singolare viaggio dello spirito avviato in ogni de
Trinitate. Capitolo difficile, e in tempi recenti spesso trascurato, quello tradi-
zionalmente dedicato alla Somma Essenza. Che cosa vogliamo veramente
dire quando affermiamo che il Dio di Ges Cristo, il Padre che ci abbraccia
per mezzo del Figlio e nella potenza dello Spirito, è un’essenza unica e sem-
plicissima Fatalmente siamo inclini a immaginarla sempre uguale a se
stessa, indifferenziata, solitaria ma che cosa ha a che fare tutto questo, con i
dinamismi vitali che percorrono e delineano il mistero del Padre
Anche a motivo del carico pesante delle sue implicazioni filosofiche, una
volta chiamata ad entrare in gioco nella dialettica della theologia, l’idea stessa
di essenza rischia di trasformarsi in un fardello ingombrante. Non pu sor-
prenderci che essa, nel variegato campo della teologia trinitaria contempora-
nea, sia spesso messa in questione. C’è chi si pronuncia a favore dell’ab-
bandono di questa nozione. C’è chi invece, come Luis Ladaria, pensa che «il
concetto di essenza continui a essere necessario per indicare quello che è
comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo»4. Forse perch pensa anche,
con non meno ferma convinzione, che quando si parla dell’unità del Dio che
non è mai stato solitario, non si sta parlando di una unità monadica

———––
3
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero. l mistero della Trinit , Cinisello Balsamo (MI) 2012,
444.
4
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 448, nt. 10.
PERFECTIOR EST UNITAS 7

indifferenziata. Piuttosto, si sta parlando «dell’unità originale dell’amore, che


costituisce l’essenza divina»5.
È questo, è l’unità originale dell’amore che sta al cuore dell’essenza, da
quando l’essenza è stata chiamata a farsi carico dell’impegno di rileggere il
segreto della perfetta unità alla luce del compimento cristico della rive-
lazione.

II. SIC DEUS VOLUIT NOVARE SACRAMENTUM,


UT NOVE UNUS CREDERETUR PER FILIUM ET SPIRITUM (TERTULLIANO)

«Sic Deus voluit novare sacramentum, ut nove unus crederetur per Filium
et Spiritum»6. È così, avverte Tertulliano, che Dio ha voluto rinnovare il
sacramento, il segno della sua rivelazione: facendo in modo che gli uomini
potessero riconoscerlo ancora uno, e a rinnovato titolo uno. Ad essere ripre-
sentato con la rivelazione della generazione eterna, è sempre lo stesso
sacramentum unitatis. uesto vuol dire che la verità dell’essere trino di Dio
non è quella che si aggiunge a quella del suo essere uno, o peggio, quella che
comincia quando finisce quella del suo essere uno la verità dell’essere trino
di Dio è quella che viene fuori proprio con la novità legata al compimento
della manifestazione del suo essere uno.
L’essenza unitrina, allora, non è la realtà divina in uanto colta come una ed
unica anche se partecipata ai tre che in Cristo si sono dati a conoscere.
L’essenza divina è la realtà divina colta come una ed unica in uanto comune
a Padre Figlio e Spirito, in uanto posseduta da ognuno di essi interamente, a
modo proprio e in comunione con gli altri due7. uella divina è un’essenza
perfetta come mistero di comunione, come compiuta possibilità di verità e vita
eternamente riproposta sull’infinita via della consumazione personale, e che la
forza ricapitolatrice dell’ordo relazionale realizza per i tre come consustan-
zialità capace di dare vita al semplicissimo Principio. «L’homoousios niceno
non è solo un’affermazione sulla divinità del Figlio è anche, inseparabil-
mente, l’affermazione della vera paternità divina. Le due false soluzioni del
subordinazionismo ariano e del patripassianismo sabelliamo , coincidono
— osserva Ladaria — in un punto fondamentale: nel negare a Dio un’autentica
vita di amore, una autentica autocomunicazione ad intra»8.
———––
5
«sino de la unidad original de l’amor, que constituye la esencia divina». L.F. LADARIA,
«Fons et Origo» (cf. nt. 1), 44.
6
dversus Praxean 31,2 G. SCARPAT, ed., Torino 1985, 236. Citato in L.F. LADARIA, l
Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 446, nota 6.
7
Cf. L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 448.
8
«El homoousios niceno no es solamente una afirmaci n sobre la divinidad del Hi o es
tambi n, inseparablemente, la afirmaci n de la verdadera paternidad divina. Las dos
soluciones, en definitiva, a pesar de su frontal oposici n, coinciden en un punto fundamental,
8 SERGIO P. BONANNI

Il che sembra spingerci a sottolineare che l’unius su stantiae, con cui la


tradizione latina pi volentieri traduce l’espressione greca che sta al cuore
della fede nicena9, mai dovrà essere dissociato dall’altra traduzione possibile,
eiusdem su stantiae, che — sfumando diversamente la resa latina della
homoousia — pi immediatamente sembra poter richiamare l’attenzione
sull’autocomunicazione ad intra segnalata dall’annuncio dello
: il de su stantia Patris che della consustanzialità chiede di essere
riconosciuto come costitutivo da Nicea in poi10.
La consustanzialità non precede il procedere. L’essenza semplicissima non
è un sostrato in cui poi si dispiegano — e si distinguono — le relazioni. Al
contrario: l’essenza divina è ci che si dà in quelle relazioni. Se si tratta
dell’unitas, si tratta già della trinitas, se si tratta della trinitas, si tratta già
della unitas. E forse potremmo arrivare a dire che, se da una parte è vero
quello che il Concilio di Firenze insegna con il suo classico u i non o viat
———––
en negar a Dios una aut ntica vida de amor, una aut ntica autocomunicaci n, “ad intra”» L.F.
LADARIA, «Fons et Origo» (cf. nt. 1), 43).
9
«La tradizione latina, cui Ambrogio è tutt’altro che estraneo, aveva sempre inteso
l’homoousios di Nicea nel senso forte dalla identità di sostanza. Il fatto che Ambrogio non usi
quasi mai il termine greco homoousios, ma lo trascriva con l’espressione “unius substantiae” e
“unitas substantiae”, è già di per s indicativo di una continuità con la tradizione latina».
R. CANTALAMESSA, «Sant’Ambrogio di fronte ai grandi dibattiti teologici del suo secolo», in
G. LAZZATI, ed., m rosius Episcopus. tti del Congresso interna ionale di studi am rosiani
nel centenario della eleva ione di Sant m rogio alla cattedra episcopale, Milano,
dicem re , Milano 1976, 519-520. In nota Cantalamessa precisa: «Naturalmente
l’affermazione dell’unità di sostanza (l’unius su stantiae) non esclude, n in Atanasio n in
Ambrogio, quella eguaglianza di sostanza (l’eiusdem su stantiae), ma la include e ne è lo
sviluppo logico: questo spiega come mai il termine consu stantialis si incontri talvolta dopo
Ambrogio tra i latini anche con il senso di “uguale nella sostanza”» (i id., nt. 10).
10
«Credimus in unum Dominum nostrum Iesum Christum Filium Dei, natum e Patre
unigenitum, hoc est de substantia Patris ( ), Deum e Deo, lumen e
lumine, Deum verum de Deo vero, natum, non factum, unius substantiae ( ) cum
Patre». H. DENZINGER – A. SCH NMETZER, Enchiridion Sym olorum, Definitionum et
Declarationum de re us fidei et morum, Barcelona – Freiburg i.B. – Roma, 197636, 52, nt. 125
citeremo: DS, seguito dal numero del canone e dalla pagina dell’edizione qui richiamata. La
dinamica stessa del testo della fede nicena suggerisce la correlazione fra le due espressioni
intese a rileggere il mistero di filiazione come mistero che impegna la divina . Osserva
Ladaria, confrontando il testo del 325 e quello redatto poco pi di cinquant’anni dopo (381) a
Costantinopoli: «si eliminano le parole “cioè, dell’essenza ( ) del Padre”. Sappiamo che
Nicea ancora non distingueva con precisione tra e (cf. gli anatematismi).
Forse la discussione posteriore a Nicea, centrata sull’homoousios, ha sminuito il significato
dell’inciso». L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 281. Significato che, per una corretta
intelligenza del mistero, sarà comunque opportuno richiamare e sottolineare, come non manca
di fare ad esempio, in pieno medioevo, Pietro Abelardo, per il quale l’inciso del testo niceno è
il pilastro principale su cui poggiare la proposta di usare ex su stantia Patris come «formula
propria» del mistero di generazione, piuttosto che di quello di spirazione. Cf. E.M. BU TAERT –
C. ME S, ed., Theologia Scholarium, II, 124-125, Corpus Christianorum Continuatio
Mediaevalis 13, Turnhout 1987, 470-471, linee 1848-1870.
PERFECTIOR EST UNITAS 9

relationis oppositio11, dall’altra uno sguardo diversamente orientato ci spinge


a leggere lo stesso mistero affermando che in Dio tutto è uno proprio perch
Lui è opposizione di relazione. E chissà se davvero pecchiamo di concordi-
smo se affermiamo che anche Anselmo — evidente ispiratore dell’antico
«assioma» della trinitaria latina autorevolmente fissato dal Fiorentino —
avrebbe potuto infine consentire con noi, almeno stando a quello che
leggiamo in alcune sue pagine12.
uando ci accostiamo al trono della grazia e sperimentiamo l’abbraccio del
Dio vivo e vero come partecipazione al mistero dell’Uno, siamo subito sulla
via infinita, eppure già da sempre compiuta, che porta ogni divina persona
verso le altre due: perch la sfida che nostra ragione raccoglie seguendo la
divina sustan a, è un cammino che chiede di essere capito non come radice di
un’unità blandamente pericoretica all’interno di un gruppo di individui desti-
nati a rimanere, come singoli, altro da quello che sono insieme. Piuttosto, il
cammino, l’ordo tracciato dalle relazioni vitali che legano i tre, va compreso
come costitutivo di un amore capace di presentarsi — proprio grazie alla
forza pericoretica con cui si abbracciano — quale semplicissima essenza.
———––
11
Richiamando un passaggio del primo capitolo del De processione Spiritus Sancti di
Anselmo d’Aosta, il Concilio di Firenze, nel Decreto per i iaco iti del 4 febbraio 1442,
chiude la professione di fede con queste parole: «Solus Pater de substantia sua genuit Filium,
solus Filius de solo Patre est genitus, solus Spiritus Sanctus simul de Patre procedit et Filio.
Hae tres personae unus sunt Deus, et non tres dii: quia trium est una substantia, una essentia,
una natura, una divinitas, una immensitas, una aeternitas, omniaque sunt unum, ubi non obviat
relationis oppositio» (DS, n. 1330, 337).
12
In alcune pagine — in particolare quelle di Monologion, 54 (Sancti nselmi Cantua
riensis pera mnia, tomo I, volume I, ed. F.S. SCHMITT, Stuttgart – Bad Canstatt 1984 , 66,
linee 14-29) in cui insiste nell’affermare che l’amore (corrispondente allo Spirito Santo) viene
da quello per cui i due, Padre e Figlio, sono uno — Anselmo sembra suggerire l’idea che a far
procedere e a procedere sia l’essenza prima ancora che le persone: se così fosse, la relazione
finirebbe per presentarsi come limite puramente astratto e teorico allo «strapotere» di
un’essenza capita come unico possibile garante dell’unità, piuttosto che come rapporto vitale
e costitutivo fra soggetti distinti che proprio per questo loro rapportarsi sono un unico Dio.
Anselmo non dimentica di equilibrare il suo discorso con alcune pagine in cui riafferma — si
veda, ad esempio, il secondo capitolo di quello stesso De Processione Spiritus Sancti in cui
affiora l’u i non o viat — che l’identità personale dei singoli soggetti divini precede la loro
alterità, e non pu essere compresa come frutto della rete di relazioni è piuttosto essa stessa a
presentarsi come fondamento per le relazioni (cf. De processione Spiritus Sancti, 2 Sancti
nselmi Cantuariensis pera mnia, tomo I, volume II, F.S. SCHMITT, ed., Stuttgart – Bad
Canstatt 1984 , 186, linee 9-18). Come già Agostino aveva fatto notare: «si non esset homo,
id est aliqua substantia, non esset qui relative dominus diceretur et si non esset equus
quaedam essentia, non esset quod iumentum relative diceretur ita si nummus non esset aliqua
substantia, nec arra posset relative dici. uapropter si et Pater non est aliquid ad se ipsum,
non est omnino qui relative dicatur ad aliquid» (De Trinitate, VII, 1.2 Nuova Biblioteca
Agostiniana 4, Roma 1973, 294). I latini, Anselmo compreso, non potranno dimenticare che
anche colui che a tutti aveva suggerito di puntare dritto lo sguardo sull’essenza in cui tutte le
perfezioni coincidono per comprendere il mistero di Dio, aveva ben presente che se il Padre
non è nulla di assoluto, non pu essere nemmeno alcunch di relativo.
10 SERGIO P. BONANNI

Infinita via, quella della vita perfetta di cui vive la verità dell’essenza divina,
proprio perch coincide con quella dei rapporti che vincolano i tre nell’a-
more: Sic Deus voluit novare sacramentum, ut nove unus crederetur. L’unus
in cui crediamo è sempre lo stesso. Ma la semplicissima perfezione che egli
da sempre è, il novum sacramentum ce la fa conoscere pi in profondità,
grazie alla rivelazione del suo essere dialogo d’amore, abbraccio reciproco,
perfetta carità. Perch , ci ricorda Bonaventura, «perfectior est unitas, in qua
cum unitate naturae manet unitas caritatis»13: si riscontra una maggiore perfe-
zione lì dove, con l’unità della natura, rimane anche l’unità della carità.

III. PERFECTIOR EST UNITAS,


IN UA CUM UNITATE NATURAE MANET UNITAS CARITATIS (BONAVENTURA)

La grande teologia latina non ha mai dimenticato l’indicazione emergente


dal dato rivelato che impone di pensare insieme — quando si pensa il mistero
del Figlio che è Dio — l unitas essentiae e l unitas caritatis. Ma l’impresa è
di quelle difficili, come mostra il percorso tormentato e geniale di Agostino.
L’impresa è di quelle difficili, perch al cuore dell’unitas essentiae, sembra
stare il «codice monologico» della perfetta coincidenza, mentre al cuore
dell’unitas caritatis sembra stare il «codice dialogico» dell’ordine articolato.
Due diversi codici, due registri difficilmente conciliabili.
Nel tentativo di ridire con il rigore della griglia offerta dalle categorie
aristoteliche l’ineffabile mistero di un Dio che è Uno, come i platonici pen-
sano che il Principio debba essere Uno, Severino Boezio non potrà fare a
meno di marcare l’importanza della parola indifferentia14: è allora che la
———––
13
«Item, perfectior est unitas, in qua cum unitate naturae manet unitas caritatis sed
“caritas ad alium tendit” (Gregor., n Evang., I homil. 17, n. 1, PL 76, 1139 ): ergo includit
distinctionem diligentis et dilecti: ergo si unitas divina est perfectissima, necesse est, quod
habeat pluralitatem intrinsecam nam e tra se nihil habet, quod sit summe amabile».
BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Quaestiones Disputatae de Mysterio Trinitatis, quaestio II:
utrum possit simul stare trinitas personarum cum naturae unitate, articulus II: utrum unitas
naturae possit simul stare cum trinitate personarum, contra 9 (Testo latino dell’Edizione
uaracchi. Editio maior, vol. 5, 1891), Nuova Collana Bonaventuriana 5 1, Roma 1993, 300.
Nella prima parte di questa seconda questione disputata de mysterio Trinitatis, Bonaventura si
chiede se l’essere divino sia sommamente uno. Dopo aver argomentato per giungere a una
risposta affermativa, nella seconda parte torna sulla domanda che sta all’origine della
questione, chiedendosi se l’unità della natura divina, una volta dimostrata somma, possa
essere compresa come coesistente con la Trinità delle persone. Riaffiora, nella spiegazione
dell’idea di una unità resa pi perfetta dal permanere delle carità, quella di dilectio e con essa
l’influsso della riflessione trinitaria di Riccardo di San Vittore.
14
«Christianae religionis reverentiam plures usurpant, sed ea fides pollet ma ime ac
solitarie quae cum propter universalium praecepta regularum, quibus eiusdem religionis
intellegatur auctoritas, tum propterea quod eius cultus per omnes paene mundi terminos
emanavit, catholica vel universalis vocatur. Cuius haec de Trinitatis unitate sententia est:
PERFECTIOR EST UNITAS 11

tensione interna all’esigenza di pensare insieme unitas essentiae e unitas


caritatis si farà pi acuta.
Anselmo cercherà di risolverla mostrando che non si pu pensare a fondo il
mono logion, il monologo della somma essenza, senza riconoscerne gli inter-
ni dinamismi dialogici: è nel cuore del Sommo Spirito, è nella logica interna
al suo comprendersi e amarsi15 che dobbiamo andare a cercare l infinita via
che tiene la sustan a in tre persone.
Ma come dire il ritmo triadico della vita relazionale in cui si dispiega
l’essenza La scomposizione indispensabile a procedere nella scelta tra vero e
falso impone un ritmo binario, impone l aut aut che la ricerca della rationis
necessitas16 istruisce sulla base di una dialettica fiduciosa del suo essere
riflesso — frammentario ma fedele — della luce che viene dall’alto.
Le parole per ridire la semplicità del trino Principio, dovranno essere
dislocate sull’orizzonte che Anselmo non esita a fissare con la formulazione
dell’antico grundaxiom della trinitaria latina: per parlare in modo corretto del
Dio che è Padre, Figlio e Spirito, dovremo usare le nostre parole in modo tale
da esprimere la forza di una unità che dappertutto si impone, meno che là
dove ad essa si oppone l’alterità della relazione17.
In Dio tutto è uno u i non o viat relationis oppositio. Nella misura in cui
quella che Anselmo elabora anzitutto come una regola di linguaggio verrà
compresa come una specie di descrizione dell’ontologia divina, risulterà
meno evidente il reciproco rimando fra unitas essentiae e unitas caritatis, e
sarà anche pi difficile riconoscere che in Dio unità e distinzione personale
sono due aspetti ugualmente originari. Sarà pi difficile mostrare che «l’unità
divina non pu in nessun momento essere considerata come l’unità di un Dio
unipersonale, quella di una essenza divina astratta, e neppure come l’unicità

———––
“Pater”, inquiunt, “Deus Filius Deus Spiritus sanctus Deus”. Igitur Pater Filius Spiritus
sanctus unus, non tres dii. Cuius coniunctionis ratio est indifferentia. Eos enim differentia
comitatur qui augent vel minuunt, ut Arriani, qui gradibus meritorum Trinitatem variantes
distrahunt atque in pluralitate diducunt». BOEZIO, De Sancta Trinitate, 1 De consolatione
philosophiae. puscola Theologica, C. MORESCHINI, ed., Bibliotheca Scriptorum Graecorum
et Romanorum Teubneriana, Monaco – Lipsia 2000, 167, linee 34-46.
15
Il Monologion, avviato come una meditazione sull’essenza divina, si sviluppa nel pro-
gressivo riconoscimento delle perfezioni che il sommo spirito — come modello infinitamente
superiore allo spirito umano, in cui pure si riscontra la pallida similitudine degli stessi
dinamismi — non potrà non avere. Il sommo spirito conosce dunque perfettamente se stesso,
e l’espressione di questa perfetta intelligenza è l’eterno e consustanziale verbo che pronuncia
(nello schema che Michel Corbin propone nell’introduzione all’edizione francese del
Monologion da lui curata Paris 1986 , uno dei raggruppamenti di capitoli segnalato è:
« VII à LVIII. Dieu et son Verbe: le Père et le Fils») il sommo spirito, conoscendosi
secondo verità, non potrà non tornare su se stesso nel movimento del perfetto amore (nello
schema di Corbin: « LI à L III. Dieu et son Amour: L’Esprit du Père et du Fils»).
16
Monologion, Prologus F.S. SCHMITT, ed., vol. I, 76, linea 10.
17
Cf. De processione Spiritus Sancti, 1 F.S. SCHMITT, ed., vol. II, 181, linee 2-4.
12 SERGIO P. BONANNI

del Padre, ma come l’unità di Padre, Figlio e Spirito»18. La grande tradizione,


da Tommaso a Bonaventura e oltre, sarà sempre, al contempo, riconoscente
alla portata sintetica della forza speculativa del grundaxiom anselmiano, e
resistente alla possibile rigidità dello schematismo da esso veicolato.
D’altra parte il magister di tutti, Pietro Lombardo, non mancherà di met-
tere un punto fermo per bloccare le possibili derive modaliste dell’essenzia-
lismo almeno potenzialmente presente nell’approccio del Monologion,
facendo spuntare la domanda della distinctio quinta del primo libro delle sue
Sentenze19. Si chiede, il Lombardo, se l’essenza divina genera o è generata, e
risponde, non senza qualche tormento provocato dalle tensioni interne alla
lettera sempre complessa di Agostino20, di no21. L’essenza divina non genera
e non è generata. uesto ripeterà il Laterano IV, confermando che, pur non
essendo le persone altra cosa che l’essenza, non possiamo pensarle come in
essa dissolte22. Se è vero, come ha suggerito Anselmo, che nella divina
sostanza tutto è uno in modo tale che solo la relazione ci consente di distin-
guere i tre, è anche vero che il principio del dinamismo costitutivo della trina
e perfetta unità che non possiamo fare a meno di riconoscere come unica e
semplicissima essenza, non è l’essenza stessa. Non è infatti lei a generare, ma
il Padre. Dunque il principio non è l’essenza, ma il Padre. Se vogliamo
pensare l’unità di Dio e per spiegarla cerchiamo di capire in che cosa i tre
sono uno, dobbiamo puntare lo sguardo sull’essenza. Se vogliamo pensare
l’unità di Dio e per spiegarla cerchiamo di capire perch quello che i tre
hanno in comune, lo hanno in comune in modo tale da farli essere uno,
dobbiamo puntare lo sguardo sul Padre da questo punto di vista, l’unità della
———––
18
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 450.
19
Sententiae, I, V: «Hic quaeritur an Pater genuit divinam essentiam vel ipsa Filium, an
essentia genuit essentiam vel ipsa nec genuit nec genita est». Cf. lo sviluppo in Sententiae in
li ris distinctae. Li er et , editio tertia ad fidem codicum antiquiorum restituta, ed.
Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, Spicilegium Bonaventurianum 4, tomo I, parte II,
Grottaferrata (Roma) 1971, 80-88.
20
Cf. il tormentato percorso della conclusione del primo capitolo della distinctio, in cui il
Lombardo torna sui passi di Agostino che potrebbero gettare l’ombra del dubbio sulla
sostenibilità della risposta negativa: Sententiae I, V, 1, 12-17 Spicilegium Bonaventurianum
4, tomo I, parte II, 85-87.
21
Sententiae I, V, 1, 6: «cum enim una et summa quaedam res sit divina essentia, si divina
essentia essentiam genuit, eadem res se ipsam genuit, quod omnino esse non potest sed Pater
solus genuit Filium, et a Patre et Filio procedit Spiritus Sanctus». Spicilegium Bonaven-
turianum 4, tomo I, parte II, 82, linee 19-22.
22
«Damnamus ergo et reprobamus libellum seu tractatum, quem abbas Ioachim edidit
contra magistrum Petrum Lombardum, de unitate seu essentia Trinitatis, appellans ipsum
haereticum et insanum pro eo, quod in suis di it Sententiis: “ uoniam quaedam summa res
est Pater et Filius et Spiritus Sanctus, et illa non est generans, neque genita, neque procedens”.
Unde asserit, quod ille non tam Trinitatem, quam quaternitatem astruebat in Deo, videlicet
tres personas, et illam communem essentiam quasi quartam». Concilio Lateranense IV, cap. 2:
De errore a atis oachim, in DS, n. 803, 261.
PERFECTIOR EST UNITAS 13

Trinità chiede di essere compresa alla luce del dinamismo relazionale che ha
in lui la sorgente. Nonostante i pericoli di deriva modalista legati alle possi-
bili esasperazioni di una impostazione, quella prevalente in Occidente, incline
ad avviare il de Trinitate puntando immediatemente lo sguardo sull’essenza,
il Laterano IV fissa la senten a maturata con la riflessione del Lombardo e
mostra che la verità dell’ordo ( ) intratrinitario non è mai stata dimen-
ticata dalla grande tradizione della teologia latina.
Sulla base di queste considerazioni, possiamo chiederci, forse con un po’
pi di consapevolezza: è davvero opportuno rinunciare all’essenza e a quanto
costruito grazie ad essa nel secolo teologico che precede il nostro È davvero
troppo compromessa, questa idea, con l’idea di un Dio dipinto nei termini di
una monade amorfa e indifferenziata Il volto del Dio di Ges Cristo tracciato
nella linea della grande tradizione latina, non è il volto di un Dio solitario. E
questo è vero per Agostino e gli altri antichi Padri23, come per gli scolastici
Bonaventura e Tommaso.
L’intuizione che porta il dottore di Bagnoregio ad affermare, nel De myste
rio Trinitatis, che pi perfetta è quell’unità di natura in cui permane l’unità di
carità, non è episodica n occasionale: si fonda su un modo di intendere la
divina semplicità impegnato a concepire un’identità arricchita, piuttosto che
indebolita, dalla diversità dei soggetti in gioco questo con un ragionamento
deciso a far leva sul concetto di origine, dal momento che, osserva Bona-
ventura, il dinamismo di origine non introduce alcuna composizione lesiva
della semplicità, ma piuttosto ordine e correlazione (ordinem et respectum ad
alium)24.
Non meno significativa appare la riflessione dell’Aquinate il quale, nella
uaestio in cui affronta il problema dell’alterità del Figlio, è pronto a farsi
discepolo di Ilario e a sottolineare che, sebbene in Dio nulla risulti separato
dalla sua semplicissima essenza, tuttavia non possiamo parlare di lui come di
un Dio “asociale”: «Vitandum est etiam nomen solitarii, ne tollatur consor-
tium trium personarum»25. Bisogna evitare di pensare Dio come un Dio
———––
23
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 455.
24
Oltre alla diversità che proviene da qualcosa di aggiunto, che non pu evitare di pro-
durre composizione, distruggendo la semplicità, «est alia diversitas veniens e sola origine, ut
puta, quia una persona emanat ab alia, differt ab ea et haec non repugnat simplicitati, quia
nullam ponit compositionem, sed solum ordinem et respectum ad alium». BONAVENTURA DA
BAGNOREGIO, n Sent., I, distinctio VIII, pars II, quaestio I, ed. Collegii S. Bonaventurae ad
Claras Aquas, Firenze 1934, tomo I, 132.
25
«Neque tamen dicimus unicum Deum: quia pluribus deitas est communis. Vitamus etiam
nomen confusi, ne tollatur ordo naturae a personis: unde Ambrosius dicit, I de Fide: “Neque
confusum est quod unum est, neque multiple esse potest quod indifferens est”. Vitandum est
etiam nomen solitarii, ne tollatur consortium trium personarum, dicit enim Hilarius, in IV de
Trinitate: “Nobis neque solitarius, neque diversus Deus est confitendus”. Hoc autem nomen
alius, masculine sumptum, non importat nisi distinctionem suppositi. Unde convenienter
dicere possumus quod Filius est alius a Patre: quia scilicet est aliud suppositum divinae
14 SERGIO P. BONANNI

solitario, per non correre il rischio di eliminare la comunione fra le tre per-
sone perch , avverte Tommaso, alla Trinità la solitudine non si addice.

IV. VITANDUM EST ETIAM NOMEN SOLITARII,


NE TOLLATUR CONSORTIUM TRIUM PERSONARUM (TOMMASO)

«Vitandum est nomen solitarii»: da una parte questo ci suggerisce che


l’Aquinate, proponendoci la sua riflessione sulla divina essenza, non ha
alcuna voglia di parlarci di un Dio che, bastando a se stesso, vive ripiegato su
se stesso dall’altra proprio da qui potrebbe venire lo spunto per chiederci se
non sarebbe il caso di cercare altre parole, pi adatte ed efficaci, utili a dire la
semplicità dell’Unico mai solitario: ha senso, oggi, il tentativo di recupero di
un termine come essenza, così carico delle implicazioni legate ai presupposti
dell’impianto tipico della manualistica
La profonda evoluzione della riflessione sull’essere e i suoi destini che
attraversa la modernità, non pu lasciare indifferente chi si trova oggi di
fronte al compito di ripensare la fede. Il teologo davvero disposto a farsi
carico delle proprie responsabilità, non pu fare a meno di chiedersi se è bene
— dopo Cartesio, ant, Hegel, Husserl, Heidegger — continuare a parlare
di essenza per presentare la verità del monoteismo trinitario.
Il conflitto delle interpretazioni si fa serrato. C’è per chi ha riletto la
eligionsphilosophie di Hegel dal punto di vista di una storia dell’ontologia
impegnata a cercare percorsi alternativi a quelli offerti dai moduli pi classici
dell’analogia entis, e ha poi analizzato il significato della lezione idealista
rispetto ad alcuni tentativi notevoli della teologia recente, come quelli avviati
da Pannenberg, Jungel, Rahner, Balthasar si tratta di un impegno di studio
che ha condotto a riconoscere proprio nella dialettica partorita dalla moder-
nità, uno strumento utile a fare una passo in pi sull’infinita via che tiene una
sustan a in tre persone. Sullo sfondo, l’esigenza di una rilettura dialogica del
mistero stesso dell’essere, capace di dare ragioni — piuttosto che sottrarne —
per continuare a parlare di essenza: se si potesse arrivare a comprendere
l’essenza «a partire dal suo supporto relazionale, come conoscenza naturale e
capacità naturale di amare, se si potesse arrivare a comprendere l’essenza
come potere della stessa consumazione personale», risulterebbe alla fine
«superfluo abbandonare il concetto della unità essenziale di Dio, opponendosi
a una (supposta) concezione trinitaria sostanzialista»26.
———––
naturae, sicut est alia persona, et alia hypostasis». TOMMASO D’A UINO, Summa Theologiae, I,
q. 31, a. 2.
26
« ird das esen dezidiert von seiner relationalen Tr gerschaft her verstanden, als
naturales Er ennen und als naturale raft zur Liebe und so als Verm gen des personalen
Vollzugs selbst, ist es berfl ssig, in Opposition gegen ein (vermeintliches) trinit ts-
theologisches Substanzden en den Begriff der essentiellen Einheit Gottes aufzugeben und
PERFECTIOR EST UNITAS 15

Il pellegrinaggio speculativo dell’occidente cristiano sembra giungere a


uno snodo in cui maturano nuove possibilità per comprendere il reciproco
rimando fra unitas essentiae e unitas caritatis: l’esortazione che ci viene da
Tommaso sul bisogno di evitare di dipingere il volto di Dio come un volto
intristito dalla solitudine, ci spinge a guardare al nuovo che affiora sull’oriz-
zonte speculativo dei nostri tempi, con l’apertura mentale con cui seppe
guardare lui al nuovo che sorgeva prepotente nella sua epoca.
Ci ritroviamo ancora una volta confrontati con la verità annunciata da
Tertulliano, «sic Deus voluit novare sacramentum, ut nove unus crederetur»,
chiamati a riaprire gli occhi sull’indeducibilità del segno trinitario con cui
Dio ha voluto riproporci la verità del suo essere uno, e dunque anche biso-
gnosi di un nuovo grundaxiom che, al di là degli opportuni rilievi critici sul
rovescio segnalato dalla sua dialettica interna, pu continuare ad essere
formulato nei termini in cui siamo da qualche tempo abituati a sentirlo
risuonare27: la Trinità economica è la Trinità immanente, e viceversa. Ovvero:
è alla economia e al sacramentum che sta al suo centro, Cristo, che dobbiamo
guardare per cogliere la ricchezza della novità trinitaria con cui Dio si è
compiaciuto di farci comprendere il suo essere uno.

———––
ganz durch die onzeption einer rein perichoretischen Einheit zu ersetzen — mit den
benannten tritheistischen onnotationen. Die mitteilbare, mitgeteilte, als empfangene mitge-
teilte so ie nur empfangene, lichte Liebes-Substanz Gottes ist nichts anderes als das
Verm gen der Personen zur Perichorese». M. SCHULZ, Sein und Trinit t. Systematische
Er rterungen ur eligionsphilosophie . .F. Hegels im ontologiegeschichtlichen c lic
auf J. Duns Scotus und . ant und die Hegel e eption in der Seinsauslegung und Trinit t
stheologie ei . Pannen erg, E. J ngel, . ahner und H. . v. althasar, St. Ottilien 1997,
955. Citato in L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 448.
27
Sull’assioma fondamentale rahneriano e sul suo discusso viceversa, osserva Ladaria:
«nel pensiero di arl Rahner l’assioma fondamentale ha senso perch fonda il carattere
salvifico del mistero trinitario nella sua irrinunciabile connessione con i misteri
dell’incarnazione e della grazia nel senso ampio della comunicazione che, in Cristo e nello
Spirito, Dio fa di s agli uomini. La preoccupazione di . Rahner, in questo senso, è pi
quella di mettere in risalto la comunicazione di Dio agli uomini che quella di riflettere sul
mistero della Trinità immanente. Ne deriva che la seconda parte dell’assioma, “e viceversa”
(umge ehrt) non riceva in pratica alcun chiarimento nell’insieme della sua opera. Ci che
l’autore tedesco precisa in alcune occasioni, ovvero allorch insiste sul che fatto che la
comunicazione della Trinità divina nella economia della salvezza è reale, è che questa
comunicazione è libera ed è pura grazia. Di conseguenza, sebbene Rahner non abbia insistito
sul contenuto del “viceversa” del suo assioma fondamentale, bisogna tenere presente questa
affermazione per una adeguata interpretazione del suo pensiero. La comunicazione che Dio fa
di s in Cristo e nello Spirito è totalmente libera, non dovuta, e “graziosa”. uesta
precisazione, credo, non sempre è stata tenuta debitamente presente dai critici di Rahner.
L’importanza e l’accettazione dell’assioma fondamentale di . Rahner è testimoniata dall’uso
che ne fa la Commissione Teologica Internazionale nel suo documento Desiderium et cognitio
Dei. Theologia Christologia nthropologia. Quaestiones selectae. ltera series (1981)».
L. LADARIA, La Trinit mistero di comunione, Milano 2004, 15-16.17.
16 SERGIO P. BONANNI

Parlando dell’unità dell’essenza — scrive Luis Ladaria — non possiamo dimen-


ticare che questa è un’unità profondissima che al tempo stesso si ha nella massima
distinzione personale. Bisogna affermare al contempo i due estremi, come ci ha
fatto vedere il mistero pasquale di Ges , «abbandonato» da Dio e morto sulla
croce, ma risuscitato dal Padre nella forza dello Spirito. Si tratta dell’unità
dell’amore divino, della massima espressione dell’essere «una cosa sola» delle tre
persone che esistono solo nell’unità della loro mutua e totale autodonazione e
proprio per questo anche nella loro irriducibile differenza28.
L’unicità della sostanza costantemente ripresentata nell’annuncio della
verità affiorante nella storia con il monoteismo cristiano, è così radicalmente
connotata dal tratto relazionale caratteristico dell’economia che la svela, da
dover essere pensata non semplicemente insieme a questo tratto, ma confer
mata, verificata e arricchita da questo tratto: solo così non sarà dimenticata la
consegna che Tommaso ci dice di aver ricevuto da Ilario, e che impegna la
theologia a ridire la semplicità del Principio senza dimenticare che quello di
cui parliamo non potrà mai essere descritto come un Dio solitario.
L’homoousia insegnata da Nicea emerge allora come una verità che pu
essere meglio compresa quando la nostra ragione è impegnata a percorrere
l infinita via che tiene la sustan a in tre persone avvalendosi non tanto dello
strumento offerto dalla figura del monolite, quanto piuttosto di quello che ci
viene dall’immagine dell’abbraccio che tutto il divino articola e ricapitola
nell’unico principio. Per dirla ancora con Bonaventura, che non manca a
questo riguardo di attribuire un rilievo tutto particolare alla lezione di Ilario29,
ad aiutare davvero la nostra intelligenza del mistero sarà una theo logia in cui
l’unità dell’essenza priva di origine possa essere immediatamente compresa
come fontalità30, come primitas che non è altra, fondamentalmente, da quella
del Padre31 pieno di amore.
———––
28
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 448 (traduzione dallo spagnolo rielaborata da
noi) a seguire, nella pagina di Ladaria, una citazione di von Balthasar.
29
Fra le ragioni che lo spingono a interpretare la innasci ilitas del Padre come primitas
Bonaventura indica generalmente i grandi dottori («quod autem movet ad hoc dicendum,
primum est antiqua positio magnorum doctorum, qui di erunt quod innascibilitas in Patre dici
fontalem penitudinem»), ma una menzione speciale la riserva solo ad Ilario: «Movet etiam
verbum Hilarii, II De Trinitate, ubi dicit quod pater est auctor Filii». BONAVENTURA DA
BAGNOREGIO, n Sent., I, distinctio VII, pars I, art. unicus, quaestio II, ed. Collegii
S. Bonaventurae ad Claras Aquas, Firenze 1934, tomo I, 373.
30
Nelle Quaestiones Disputatae de Mysterio Trinitatis Bonaventura fa osservare che per il
fatto stesso di essere primo, il Principio si presenta come perfettissimo nel produrre, capacis-
simo di originare nel dinamismo di emanazione, fecondissimo nel diffondere: il che vuol dire
che la primitas del Principio implica la Trinità. Ma come si compone l’affermazione della
primitas del Principio che è tutta la Trinità con l’affermazione del legame della stessa
primitas alla innascibilità del Padre Se primo viene detto nel senso di qualcosa di anteriore,
tutte e tre le persone sono ugualmente prime perch fra di esse non c’è un prima o un dopo.
«Si autem dicatur primum per privationem originis, quia scilicet a nullo oritur, sic ratio
primitatis principaliter residet circa personam Patris, ratione cuius est in ipso fontalis
PERFECTIOR EST UNITAS 17

Origene, commentando Romani 5,5 («l’amore di Dio è stato riversato nei


nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato»), si sofferma a
spiegare che, se possiamo amare Dio, è perch siamo amati da lui. È infatti
grazie a questa esperienza che maturiamo la conoscenza del mistero della
carità come mistero del Padre: «Dio è detto amore (1Gv 4,8) e Cristo è
chiamato Figlio dell’amore (Col 1,13). Ora, se c’è uno Spirito d’amore e un
Figlio dell’amore e se Dio è amore, è certo che dall’unica fonte della divinità
del Padre occorre intendere sia il Figlio sia lo Spirito Santo, e dalla sua
abbondanza è infusa l’abbondanza dell’amore anche nei cuori dei santi,
perch ricevano la partecipazione alla natura divina»32.

V. SE DIO È AMORE, È CERTO CHE DALL’UNICA FONTE DELLA DIVINIT DEL


PADRE OCCORRE INTENDERE SIA IL FIGLIO SIA LO SPIRITO SANTO (ORIGENE)

È allora che la unitas essentiae e la unitas caritatis possono stare insieme,


e confermarsi reciprocamente, invece che opporsi e limitarsi a vicenda:
———––
plenitudo ad productionem omnium personarum. Unde et quia innascibilitas hanc
proprietatem includit, ideo dicitur esse proprietas, quae est notio Patris». uaestio VIII, ad ob.
4, (Testo latino dell’Edizione uaracchi. Editio maior, vol. 5, 1891), Nuova Collana
Bonaventuriana 5 1, Roma 1993, 488.
31
«Aliter tamen est dicendum, sicut praedictum fuit, quod innascibilitas est privatio, quae
secundum rem est perfecta positio. Innascibilis enim dicitur Pater, quia non est ab alio et non
esse ab alio est esse primum, et primitas est nobilis positio. Primum enim ratione primi adeo
dicit nobilem positionem et conditionem, ut videbitur, quod ad positionem primi sequatur
positio secundi. uoniam igitur ratio primitatis in aliquo genere est ratio principiandi in illo,
ideo, quia Pater est primum respectu emanationis, generationis et processionis, generat et
spirat. Et hoc est quod dicitur infra, distinctione vigesima nona circa principium: “Pater est
principium totius divinatis, quia a nullo”». BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, n Sent., I,
distinctio VII, pars I, art. unicus, quaestio II, ed. Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas,
Firenze 1934, tomo I, 373. Bonaventura si sofferma poi ad elencare le ragioni su cui si fonda la
sua argomentazione: a) la tradizionale (anti ua) posizione dei grandi dottori, i quali hanno
sottolineato che l’innascibilità, nel Padre, esprime pienezza fontale (fontalem plenitudinem) b)
l’opinione comune, secondo cui l’innascibilità è un tratto proprio del Padre c) i passi del suo
De Trinitate in cui Ilario di Poitiers dice che il Padre è l’autore (auctor) del Figlio d) quello
che dice Aristotele quando afferma che quanto pi i principi sono primi, tanto pi sono potenti
e) la ragione stessa.
32
«Paolo stesso nomina lo Spirito di amore (Rm 15,30), e Dio è detto amore (1Gv 4,8) e
Cristo è chiamato Figlio dell’amore (Col 1,13). Ora, se c’è uno Spirito d’amore e un Figlio
dell’amore e se Dio è amore, è certo che dall’unica fonte della divinità del Padre occorre intendere
sia il Figlio sia lo Spirito Santo e dalla sua abbondanza è infusa l’abbondanza dell’amore anche
nei cuori dei santi, perchè ricevano la partecipazione alla natura divina, secondo quanto ha
insegnato l’apostolo Pietro (2Pt 1,4), affinch mediante questo dono dello Spirito santo, trovi
compimento quella frase pronunciata dal Signore: Come tu Padre in me ed io in te, anche uesti
siano una cosa sola in noi (Gv 17,21): siano resi cioè partecipi della natura divina per l’abbon-
danza dell’amore donato per mezzo dello Spirito santo». ORIGENE, Commento alla lettera ai
omani 4, 8-9 (Rm 5, 1-5), ed. F. COCCHINI, Casale Monferrato 1985, vol. I, 223.
18 SERGIO P. BONANNI

quando l’essere dell’essenza di cui si parla, è compreso come eterna e vitale


memoria di una relazione che supera ogni separazione nella verità dell’amore.
Dio è l’eternamente memore della verità che non cessa mai di dare alla luce,
per stringerla nel suo abbraccio paterno. Dio è semplicissima unità sempre di
nuovo garantita non dall’eliminazione, ma dall’affermazione dell’alterità:
perch la forza unitiva della libertà amante non soffoca, ma promuove, la
verità dell’altro.
Vale, questo, per il Creatore e Signore di tutte le cose, la cui essenza pu
essere compresa solo quando Figlio e Spirito sono intesi dall’unica fonte che
li produce. Vale per le creature, chiamate a lasciarsi abbracciare da quest’a-
more come umanità destinata a realizzarsi in esso, senza per questo in esso
dissolversi: solo se «una» con la divina senza essere in essa confusa, la natura
umana potrà essere davvero condotta al compimento del suo destino di gloria.
Se dunque l’essenza divina vive di rapporti che dispiegano il suo essere
totale disponibilità e gratuità di dono, la radice della consustanzialità andrà
cercata lì dove ci invita a cercarla Ilario, e Luis Ladaria con lui: nell’integra-
lità dell’essere Padre del Padre. «Dio in ogni momento sa essere solamente
amore, solamente Padre. E colui che ama, non ha invidia, e colui che è Padre,
lo è totalmente»33. Totalmente. Assolutamente. Illimitatamente.
Dio è spirito infinito. Dio è essenza semplicissima. Ma ha voluto essere
creduto “uno” in modo nuovo per Filium et Spiritum. Ha voluto che in modo
originale e pi profondo potessimo conoscere la sua unità, chiamando la
nostra intelligenza a comprendere la semplicità della sua essenza come unitas
caritatis, come comunione d’amore trinitario in cui il Figlio che tutto riceve
dal Padre risponde con un sì assoluto all’assoluto dono. Nel mistero del suo
perfetto sì, il Figlio consummat34, porta a compimento il Padre, e marca i
tratti del proprio volto come quelli del volto dell’altro, proprio grazie a quella
risposta d’amore filiale che lo fa essere una cosa sola con l’altro.
È dunque l’orizzonte comunionale su cui l’ordine delle relazioni si disloca
fino al compimento della perfetta alterità, a consentire l’accesso alla dialettica
interna di una unitas essentiae che si presenta irrinunciabilmente come unitas
caritatis. Il nuovo sacramento, il modo nuovo in cui si fa comprendere «uno»
colui che da sempre si è dato a conoscere come «uno», è manifestazione
dell’amore trinitario, è rivelazione del superamento agapico del limite che
———––
33
«Nescit autem Deus aliud aliquando quam dilectio esse, neque aliud quam pater esse. Et
qui diligit, non invidet: et qui pater est, non etiam non pater totus est: Dios en todo momento
sabe ser solamente amor, solamente Padre. el que ama no tiene envidia y el que es Padre lo
es por completo». ILARIO, De Trinitate, I , 61, edizione biligue a cura di L. LADARIA, Madrid
1986, 495.
34
«In unius itaque confessione non unus est, dum et Patrem consummat Filius, et Filii e
Patre nativitas est: En la confesi n de un solo Dios no se habla de una sola persona, porque el
Hi o da al Padre la plenitud y el nacimiento del Hi o es a partir dal Padre». ILARIO, De
Trinitate VII, 31, L. LADARIA, ed., 343.
PERFECTIOR EST UNITAS 19

ogni reciproco rappresenta per l’altro, quando questo «altro» è Dio. Dio
rimane l’infinito, l’assoluto, l’eterna vita di una sostanza che non ha limiti.
Ma non perch in lui si realizza il bizzarro prodigio di una monade smisura-
tamente dilatata. Piuttosto, perch in lui ogni limite è già da sempre perfetta-
mente superato nel movimento dell’amore trinitario che principia dal Padre.
Tutto, in Dio, è radicato nella sovrabbondanza dell’amore paterno, l’amore
pronto a donare senza invidia — come già aveva intuito Platone35 — perch
libero, nell’illimite del suo poter-dare-vita — dalla paura di rischiare di
perderla.
L’eterno sì con cui il Figlio porta a compimento la paternità di Dio, apre in
Dio lo «spazio» di un’alterità che non pu essere ulteriormente ampliato.
Vive, lo «spazio» dell’eterna generazione, l’assolutezza di un’essenza perfet-
tamente «una» proprio in forza del perfetto dialogo d’amore che la costi-
tuisce. Solo la dialettica di morte e risurrezione pu introdurci in questo
spazio. Solo la Pasqua del Figlio pu rivelarci il mistero del suo eterno
dialogo con il Padre. E mentre ce lo rivela, lo arricchisce di un nuovo senso.
Perch questo spazio c’è già, da sempre, ed è da sempre infinito, e all’infinito
nulla potrà mai essere aggiunto. Nella memoria36 di Dio c’è da sempre la
verità del Figlio come qualcosa di radicalmente altro dalla memoria stessa, e
l’eternità di questa memoria fa sì che in essa tutto sia da sempre custodito
nella forza unificante dell’amore. Ma sulla croce si manifesta che da sempre,
questo eterno ricordo del Figlio, è pronto a diventare ricordo del figlio
misero37.
———––
35
«Diciamo, allora, per qual causa ha composto la generazione e questo universo Colui
che li ha composti. Egli era buono e in un buono non nasce mai nessuna invidia per nessuna
cosa. Essendo dunque lungi da ogni invidia, egli volle che tutte le cose diventassero il pi
possibile simili a lui». PLATONE, Timeo, 29de, G. REALE, ed., Milano 1991, 1362.
36
«Haec igitur tria, memoria, intelligentia, voluntas, quoniam non sunt tres vitae sed una
vita, nec tres mentes sed una mens, consequenter utique nec tres substantiae sunt sed una
substantia. Memoria quippe quod vita et mens et substantia dicitur ad se ipsam dicitur quod
uero memoria dicitur ad aliquid relatiue dicitur. Hoc de intelligentia quoque et de voluntate
di erim, et intellegentia quippe et voluntas ad aliquid dicitur. Vita est autem unaquaeque ad se
ipsam et mens et essentia. uocirca tria haec eo sunt unum quo una uita, una mens, una
essentia». De Trinitate, , 11.18, Nuova Biblioteca Agostiniana 4, Roma 1973, 419. La
similitudine suggerita da Agostino, con il suo parallelismo fra le Divine Persone e il ritmo
triadico delle facoltà dell’anima, sottratta alla secche in cui è stata troppo spesso relegata da
quanti hanno ceduto alla tentazione di fare di essa una specie di «modello» in scala ridotta
della Trinità e restituita all’originaria funzione di ipotesi euristica che sempre plasma il suo
profilo all’interno del capolavoro agostiniano, non smette di suggerire chiavi di lettura
interessanti in vista dell’intelligenza di un dinamismo in cui il vettore distintivo e quello
unitivo si ritrovano convenienti in un’unica theologia che proprio la perfetta relazionalità
disloca lungo la direttrice della reductio in unum mysterium.
37
«Priusquam appareret humanitas, latebat benignitas siquidem et prius erat: nam et
misericordia Domini ab aeterno est. Sed unde tanta agnosci poterat Promittebatur, sed non
sentiebatur unde et a multis non credebatur. Ecce pa non promissa, sed missa non
dilata, sed data non prophetata, sed praesentata. Ecce quasi saccum plenum misericordia sua
20 SERGIO P. BONANNI

La memoria amante di Dio, quella in cui è custodita la verità del Figlio, è


da sempre pronta a diventare misericordia, ricordo del misero ingiustamente
appeso alla croce, e di tutti quelli resi miseri dai peccati di cui lui si è fatto
carico insieme a quel legno. È l’umiliazione del Figlio ad aprire lo spazio
capace di vincere quello triste e abissale spalancato dalla disobbedienza degli
uomini: perch è l’obbedienza del Cristo a rivelare che lo spazio vuoto e
senza senso provocato dal peccato, è destinato ad essere risolto nello spazio
pi grande dell’amore di Dio.
L’Unigenito, trasforma l’ora delle sua consegna nelle mani del nemico
nell’occasione per abbandonarsi anche da uomo all’abbraccio del Padre
divino. E lui, il Padre, liberando il suo diletto dai lacci della morte, consentirà
agli uomini di entrare nel mistero di questo abbraccio. Il sì con cui da sempre
il Figlio porta a compimento l’essere Padre del Padre, acquista lo spessore
della storia e coinvolge anche noi, facendoci ex sistere nell’orizzonte deli-
neato dall’agire benevolo del dives in misericordia. Se l’amore si fa carne,
allora la carne si fa amore38.

VI. CHE ASSURDA IMMAGINE (INGMAR BERGMAN)

Patrem consummat Filius: se l’Unigenito incarnandosi si fa progènie


dell’uomo, allora nel mistero del suo Cristo, il Padre invita gli uomini a
partecipare, con il superamento del limite sempre di nuovo concesso nel dono
d’amore offerto a Pentecoste, all’illimite dell’opera di consumazione propria
del Figlio divino39. Ci è possibile perch «l’unità divina non elimina la diffe-
renza, ma l’assume in s . In Dio essere e essere con l’altro si equivalgono.
Perci Dio pu accogliere in s la creatura, senza che questa cessi di essere

———––
Deus Pater misit in terram saccum, inquam, in passione concidendum, ut effundatur quod in
eo latet pretium nostrum saccum utique, etsi parvum, sed plenum. Parvulus siquidem datus
est nobis, sed in quo habitat omnis plenitudo divinitatis. Postquam enim venit plenitudo
temporis, venit et plenitudo divinitatis». BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermo in Epiphania
Domini, 1-2 PL 183, 142-143. Ladaria (cf. l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 479, nt. 95) richiama
un testo in cui Bernardo sottolinea che l’impassibilità di Dio non ci costringe a pensarlo
incapace di compassione, dal momento che sue caratteristiche proprie sono la pietà e la
misericordia: «Porro impassibilis est Deus, sed non incompassibilis, cui proprium est misereri
semper et parcere». Sermones in Cantica, 26, 5 PL 183, 906.
38
J. GRANADOS, La carne si fa amore. l corpo, cardine della storia della salve a, Siena
2010.
39
« uella che in Ges viene donata è grazia filiale: e nell’orizzonte da essa dischiuso, il
mistero della divinizzazione è scoperto come processo di autentica umanizzazione, come
realizzazione “graziosa” — la sola possibile — del destino di figlio a cui ogni uomo è conse-
gnato dal giorno in cui viene al mondo». S.P. BONANNI, «Un itinerario universitario e un
cammino intellettuale. Alcune note sulla bibliografia», in Patrem consummat Filius. maggio
al . P. Luis Ladaria S. . gennaio , Roma 2012, 14.
PERFECTIOR EST UNITAS 21

tale». In Ges , l’unità del Padre «fonda l’unione dei credenti con Dio e di
questi fra loro»40.
uello che incontriamo quando incontriamo Dio, è il Dio vivo e vero. Se
non è così, quello che abbiamo incontrato non è Dio. Non lo è se non ci
accorgiamo di essere vivi e veri in lui, se non ci accorgiamo di essere, di ex
sistere per lui, con lui, in lui. In Ges , Dio viene all’uomo per sottrarlo al
rischio della dimenticanza dell’essere. Da fenomeni solitari proiettati verso
l’esito di un limite insuperabile chiamato morte, siamo fatti e ci scopriamo
Da Sein, Esser-Ci.
Esser-Ci Essere-Da, là ma il Da, il tempo, l’ora in cui insieme ci ritro-
viamo necessariamente ad essere e liberamente rimanere, è quella della gloria
del Figlio, è l’abbraccio trinitario in cui grazie alla Pasqua del Cristo siamo
sempre di nuovo ricollocati dalla forza perdonante della memoria del Padre.
Comprendiamo la verità della vita divina, solo se siamo disposti a viverla.
Troviamo il coraggio di imboccare quell’infinita via che tiene la sustan a in
tre persone, solo se ci lasciamo spingere dalla Parola e dal Soffio con cui il
Padre non si stanca di attirarci a lui.
In un vecchio film di Ingmar Bergman, Luci d inverno, il gelido bianco del
paesaggio innevato riflette il freddo esiziale provocato dal silenzio di Dio
nell’animo del protagonista, il pastore Tomas. La crisi che sta attraversando
lo rende incapace di aiutare se stesso e gli altri a sperimentare la consolazione
della fede. In una scena del film, egli si ferma di fronte al Trono di Grazia
scolpito nel legno che fa da sfondo all’altare su cui ha appena celebrato. E
osservando il Padre che tiene sospesa per la braccia la croce su cui è
inchiodato il Figlio, esclama: «che assurda immagine »41.
Davvero diventa una assurda immagine, la Trinità, se chi la osserva non
vive la verità dell’amore gratuito e incondizionato che essa testimonia.
Davvero diventa una assurda immagine, la Trinità, se non si comincia a
comprendere che proprio
chi in se stesso e nella pienezza della sua vita divina è immutabile, pu «cambiare
nell’altro», nella creatura ovvero, pu farsi uomo, diventare un’altra cosa nel
tempo. uesta possibilità non va intesa come un segno di necessità interiore, di
limite al contrario è il culmine della perfezione, che sarebbe minore se il Figlio
non potesse diventare qualcosa di pi piccolo rimanendo quello che è. Non si
tratta— osserva Luis Ladaria — di mettere in dubbio la perfezione divina e
l’immutabilità che di per s gli compete, ma di riconoscere a Dio la capacità di
uscire da s per amore degli uomini42.

———––
40
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 461.
41
Da una scena del film Luci d inverno, diretto dal regista Ingmar Bergman titolo origi-
nale: attvardsg sterna (Svezia 1963).
42
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 479-480.
22 SERGIO P. BONANNI

Sull’infinita via che tiene la sustan a in tre persone gli uomini possono
avanzare fiduciosi, solo chiedendo a Dio di aiutarli ad attraversare il buio del
silenzio a cui sempre rimangono esposti, in vista di un’intelligenza capace di
comprendere la sua unitas essentiae come passio caritatis come amore da cui
mai avrebbero potuto sperare di essere raggiunti se il Padre non avesse voluto
tendere le sue mani verso di loro per stringerli a s insieme al Figlio croci-
fisso.
Scrive Luis Ladaria:
L’impassibilità divina non pu essere quella di un Dio insensibile ai destini del
mondo. Sarebbero un’immagine di Dio che non corrisponderebbe a quella che ci
offrono l’Antico quanto il Nuovo Testamento. La passione dell’amore colloca il
Figlio nella sofferenza per amore nostro, e il Padre, in virt di questa stessa passio-
ne, ha pietà delle nostre sofferenze e debolezze. Così si pongono, liberamente e per
amore, in una situazione che non corrisponde alla loro grandezza. È chiaro
che la capacità di assumere la natura o la sofferenza in Dio non possono venire
dalla mancanza dell’essere o dall’imperfezione, ma dalla perfezione del suo essere.
Abbiamo detto che la pienezza dell’essere di Dio si manifesta nel suo amore, nella
donazione intratrinitaria e nella donazione ad e tra, nella creazione e soprattutto
nella salvezza degli uomini, come libero traboccare dell’amore infinito che è Dio
in se stesso. La «passione di Dio» è così la passio caritatis di cui parlava Origene,
la capacità infinita di provare compassione per chi soffre e di mettersi dalla sua
parte e al suo posto43.

Pontificia Università Gregoriana SERGIO P. BONANNI


Piazza della Pilotta 4
00187 Roma (Italia)
E-mail: sp.bonanni virgilio.it

———––
43
L.F. LADARIA, l Dio vivo e vero (cf. nt. 3), 478.481.
PERFECTIOR EST UNITAS 23

RIASSUNTO

L’articolo focalizza l’attenzione sull’uso di «essenza» come termine ancora adatto


a esprimere la verità dell’unità e trinità in Dio. Dopo un sintetico richiamo al dibattito
nella teologia recente, l’autore sviluppa la sua riflessione seguendo il pensiero di Luis
F. Ladaria. «Unitas essentiae» e «unitas caritatis» sono i due poli emergenti nella
tradizione latina, insieme al tentativo di tenere un equilibrio capace di esprimere il
senso profondo dell’homoousios niceno. uesta possibilità è individuata nella sotto-
lineatura della prima persona divina, il Padre come fonte della vita trinitaria.

Parole chiave: Trinità, essenza, Luis F. Ladaria

ABSTRACT

The article focuses on the use of «essence» as a ord still apt to e press the truth
of unity and Trinity in God. After a concise reference to the discussion in recent
theology, the author develops his argument follo ing the thought of Luis F. Ladaria.
«Unitas essentiae» and «unitas caritatis» are the t o poles that emerge in the Latin
tradition from the quest to maintain a balance, hich ill e press the true meaning of
the Nicene homoousios. This solution is attained by giving a a particular emphasis to
the first divine person, the Father, as source of the Trinitarian life.

ey ords: Trinity, essence, Luis F. Ladaria

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