INTRODUZIONE
1. IL SIGNIFICATO E IL LUOGO TEOLOGICO DELLA FEDE IN DIO
TRINITÀ
Il corso vuole essere praticamente un commento al credo. La nostra fede è trinitaria. Gesù non
dice di battezzare nei nomi, ma nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Non sono
tre dei, ma uno. Un’unità nella distinzione delle tre persone.
Siamo allora al nucleo centrale e fondativo della nostra fede. Indica anche il verso dove, il
futuro della nostra vita. Verso dove siamo diretti? La Trinità. L’essere con Cristo nel seno del
Padre, nell’unità dello SS.
Si partirà dalla rivelazione, vedendo come Lui si è rivelato, poi come si è compreso nella chiesa.
Infine vedremo come oggi la ricerca interseca le domande moderne.
Questo studio sarà teologico ma non esclude il fatto che anche altri studino Trinità (filosofia,
scienza, fisica…)
Se chiedi alla gente quali sono le verità fondamentali del Cristianesimo troverai i dubbi. Quasi
nessuno dirà come verità fondamentale la Trinità.
—> Il primo assetto: Dio è uno e uno solo —> monoteismo (da disambiguare) (oggi il
monoteismo non è più pacifico. Occhio che il monoteismo cristiano è diverso da islam e
ebraismo)
—> Il secondo assetto: Il nostro Dio è Unico e che come tale è Padre, Figlio e SS (non è
che prima è uno e poi si divide. L’essere Trinità non viene dopo ma connota l’unità. Il
monoteismo nostro allora è totalmente diverso da Islam e Ebraismo) (la distinzione non viene
dopo l’Unità).
Non si può usare il termine monoteismo con ingenuità, pensando che dire un solo Dio sia una
cosa uguale per tutti. Non è indifferente come intendi il termine monoteista. Coda passa in
rassegna tre distinte discipline in cui vi è il monoteismo:
- storia delle religioni,
- filosofia,
- rivelazione ebraica
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1.2.1 Secondo la storia delle religioni
Fin dagli albori, non è mai mancata nella storia sociale umana, un riferimento al sacro. La
religione è un fenomeno umano. Ogni cultura ha tematizzato in una forma un rapporto
con un essere trascendente. Nella storia delle religioni del ‘600 si conia il termine
“monoteismo” per opporre a “politeismo” (in realtà il contrario di poli è enoteismo, che vuol
dire uno, mentre si dice “mono”, che significa uno e uno solo).
Coda pone in rassegna le tendenze.
La prima prospettiva dentro la storia delle religioni, ha seguito la teoria darwiniana.
L’evoluzionismo fa passare dalle specie inferiori a superiori, e tale logica si è passata nella
religioni.
Questa teoria si scontra col fatto di dare lettura ideologica hegeliana e di non riconoscere il
coesistere di forme diverse.
Un’altra lettura dice che il monoteismo non sarebbe l’arrivo della religione, ma piuttosto
all’inizio e passerebbe per la degradazione. All’inizio di ogni religione ci sarebbe un
logos/archè, che non è stato mantenuto nella purezza.
Oltre tali due posizioni, si riconosce che ciò che ha dato inizio alle tradizioni monoteiste è
sempre stata un’irruzione del divino nella storia che si rivela ad un popolo. Quindi in
realtà la questione non è solo umana.
È rivelata la questione. Abramo è ritenuto il padre di tutte e tre le grandi religioni. L’evento
imprevedibile della rivelazione di Dio ad Abramo inaugura un evento nuovo. Il monoteismo
biblico si afferma e manifesta nella storia e dentro la storia. Dio si rivela gradualmente
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come unico Dio nella vicenda storica di Abramo e dei patriarchi. Non sono verità
estrinseche da me da sapere, ma è dentro la storia dei patriarchi e poi mia. La storicità
entra in modo intrinseco nel monoteismo. Il monoteismo non è una teoria perché non rimane
ferma indipendentemente dalla storia di chi incontra Dio.
Caratteristiche del monoteismo rivelato:
- Dio instaura un dialogo, parla ad Abramo
- alterità di Dio rispetto al mondo. È trascendente. Non è creatura;
- gratuita prossimità all’uomo e al mondo. È trascendenza ma si prende cura. È altro ma è
prossimo;
- signoria universale su mondo e storia e nella creazione;
- nullità degli altri dei. (La consapevolezza monoteista matura piano piano)
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Si perde il fatto che la Trinità rinnova il concetto di monoteismo di cui dicevamo prima. È una
scissione dolorosa. Come se la scrittura non potesse dire nulla sulla ragione. Questa era la
divisione fino al CVII.
La distinzione tra de deo uno e de deo trino secondo la tradizione l’avrebbe fatta Tommaso. Lo
trovavano nella summa teologiae… noi sfateremo il mito quando si arriva a Tommaso.
Pag. 89
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l’affermazione fondamentale che va fatta per fare in modo serio teologia trinitaria. Questo è un
punto di non-ritorno per la teologia. Tutti gli autori del tempo hanno fatto una recensione a
questa dichiarazione. Rahner scoperchia il vaso di Pandora e rompe coi due trattati, facendo
crollare un’impostazione che andava avanti da secoli.
Qual è l’assioma fondamentale?
“La Trinità economica è la Trinità immanente, e viceversa”
Economico è letteralmente il modo in cui si dispone la propria casa e le proprie cose. Noi
parliamo di economia della salvezza quando intendiamo il modo in cui la Trinità ha
disposto le cose nella sua casa (mondo) e le ha portate avanti in vista dell’Alleanza. (È la
storia della salvezza. La trinità per come si mostra nella storia).
Immanente è ciò che è stabile, in sè, Dio al di là della sua relazione con il mondo.
Rahner dice che la trinità economica è quella immanente intendendo che la Trinità si è
fatta conoscere per com’è e che non si è fatta conoscere diversamente da ciò che è in sè.
Dio ha comunicato la verità di ciò che lui è in sè. Rahner aggiunge poi “VICEVERSA”. Dire
che la trinità immanente è quella economica ha scatenato molto critiche.
Preso alla lettera la formulazione manda all’aria la formulazione su Dio dei trattati classica (
de deo uno, de deo trino). Prima l’essenza era diversa dal rivelarsi. Il Dio immanente era
filosofia, mentre il dio economico era solo nella storia della salvezza. Rahner dice che il Padre
Figlio e SS non è diverso da ciò che Dio è in sè. Non si dice a noi in un modo ma poi in sè è
altro.
Sul viceversa anche noi abbiamo dei dubbi.
La genesi è l’irrilevanza pratica e teorica della Trinità nel vissuto cristiano e poi la separazione
tra l’aspetto soteriologico e quello rivelativo. La Pasqua era vista come evento salvifico e non
come evento in cui Dio si rivela. Non si disgiunge l’aspetto economico da quello immanente.
Da quello A)che Dio fa si capisce chi è. Rahner fa poi due esempi di due tesi teologiche fino
ad allora prese in modo pacifico. Sono punto A e punto B.
La questione dell’incarnazione
si enuncia solo. A pag 92-93.
Fino a pochi decenni fa nella teologia cattolica era data per pacifica
una tesi teologica anche se non c’era un pronunciamento del
magistero. Era tesi di Tommaso data poi per sicura. Si diceva che
“qualsiasi delle tre persone divine avrebbe potuto incarnarsi”. Di
diritto potevano incarnarsi anche le altre due anche se di fatto lo ha fatto
uno. È una tesi che dal 1200 al 1960 ritenuta vera è falsa. Se il Figlio si
incarna dice qualcosa di Dio, e che la differenza personale si palesa
nel modo di agire. Se si incarna la II persona del Figlio, ci dice
qualcosa dell’esistenza eterna del Figlio. Le creature hanno la postura
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del figlio perché si ricevono nel tempo, come il figlio che si riceve da
sempre. Nell’incarnarsi chi si incarna? Chi attraverso cui tutto è creato.
Le critiche al “viceversa”
A) Le critiche più feroci sono state sul viceversa. Mentre si deve dire che la
trinità economica è quella immanente non si può dire il contrario.
Ovviamente ciò che noi possiamo conoscere di giusto di Lui perché
Lui c’è l’ha rivelato non può essere tutto ciò che Dio è in sè. La nostra
conoscenza vera è finita ma Lui è infinito.
B)
La proposta della Commissione Teologica Internazionale
Lo leggiamo noi. Pag 96
Non è magistero ma è un organismo della congregazione cattolica della
fede. Luogo di teologia più importante della Santa Fede dopo il
magistero.
La CTI ha recepito la provocazione di riportare in centro alla
teologia la Trinità. Prende Rahner, ma prende le distanze dal
viceversa.
È sempre metodologico e porta un’altro grande fulcro teologico: la messa a tema dell’evento
pasquale come auto-comunicazione di Dio.
Si dice evento e non mistero. Dice storicità. È atto escatologico, definitivo, totale della
comunicazione di sè di Dio.
Mettere al centro la Pasqua come nucleo dal quale tutto parte ha diverse motivaizioni.
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Storia ha valore nella rivelazione
- non solo la storia della rivelazione ma soprattutto la storia di Gesù. Grade spessore qui.
- il significato rivelativo della passione e morte e non solo soteriologico.
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PARTE BIBLICA
(Primo Testamento)
3. JHWH, IL DIO UNICO VIVO E VERO (questo super
importante)
3.1 Un sintetico sguardo diacronico
Diacronico vuol dire guardare un fenomeno nel tempo passo per passo. Sintetico è uno sguardo
che tiene per tutto per trovarne le categorie…
Coda dice un sintetico sguardo diacronico. Il monoteismo non è avvenuta di colpo. Israele
è arrivato progressivamente alla fede nel Dio unico.
Ci sono 4 grandi epoche nelle quali matura progressivamente il monoteismo ebraico.
Israele entra nella terra promessa e da nomade diventa sedentario (inizia monarchia
chiesta dal popolo (1050 a.c. circa)
Dal polijhwhismo al monojhwhismo. Prima si rendeva culto ad Adonai in tanti santuari
4) e luoghi di culto legati alla storia dei patriarchi. Nella monarchia si centralizza per dare
unità al regno e per questo si giunge ad adorare solo sul monte Sion, a Gerusalemme
dove viene costruito il tempio.
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divino e non esistono le cause seconde. (Es. in guerra vince chi ha le divinità più forti).
Si pensa… Adonai è più forte degli dei egiziani ma meno di quelli babilonesi. È uno
scacco religioso. Nella deportazione sorge il nucleo del profetismo che dicono che si è
andati in esilio non perché Adonai sia debole ma perché il popolo era stato infedele e
aveva peccato. Sono stati adulteri. Allontanarsi da Dio significa avvicinarsi alla
morte.
E perché è così?
Perché gli dei degli altri non esistono, e quindi non si può dire che gli dei degli altri
sono più forti, ma che allora era il popolo che era stato infedele.
Da qui si scrive Esodo e Genesi (si tramandava ma ora scrivono) (se Dio è a origine del
mondo è uno)
Dopo Esodo, e l’indicazione del nome questa denominazione cadrà. (Il grido di Gesù di
abbandono… non dice Adonai, ma dice Eli, usa il nome generico di Dio… c’è l’esperienza di
ogni uomo lì, e non solo dei giudeo-cristiani.
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- Il Dio di Abramo rimane misterioso nella storia. C’è e agisce, si fa molto vicino, ma non è
uno come te e rimane trascendente. Conserva tutta l’alterità di fronte al mondo.
- la realtà più significativa è il fatto che si rivela come persona. Si rivela come un soggetto
capace di volontà, passione e amore, al pari di un “io”. Si mostra amico dell’uomo. È il Dio
di Abramo Isacco e Giacobbe. È amico personale nostro.
- il rapporto personale con Abramo si apre ai molti. La prossimità ad Abramo deve
diventare luce per illuminare le genti. Israele è un popolo scelto per dare dio a tutti. Questo
Israele non lo ha mai mandato giù. Non ha mai avuto missionari. È un dio che vuole darsi a
tutti, effusivo e chiederebbe agli ebrei di mediare.
- la risposta adeguata al mostrarsi e al rivelarsi di Dio ad Abramo è la fede. Dio fa molto
per te e a te chiede la fede. Senza il “si” di Abramo, l’alleanza rimane potenzialità. La
rivelazione è piena quando è colta. Se non è colta non è rivelazione. Se nessuno ascolta non
c’è alcuna rivelazione. (La fede non è il tributo da pagare ma ciò che l’uomo deve fare perché
si dia il rapporto)
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ci si avvicina a Dio come ad uno spettacolo interessante e da decodificare, ma ci toglie i
sandali, cioè togliere ciò che difende da un cammino che chiede di esporsi. È
l’atteggiamento di chi sa che il luogo in cui cammina e santo e non può calpestarlo.
Riconosci la grazia in cui sei, non è uno spettacolo o qualcosa da possedere.
A Mosè, Dio appare nell’angelo, nella fiamma del roveto e nella parola rivolta a a Mosè.
L’angelo del Signore è una locuzione che appare spesso in A.T.. è una locuzione per dire il
Signore. Per rispetto alla trascendenza di Dio si dice “angelo del Signore”.
Il simbolo del fuoco è simbolo della santità di Dio. Il Signore è un fuoco divoratore. Se dai
fuoco a qualcosa divora, mentre questo divora ma non consuma. Il contatto con Dio fa ardere
ma non brucia.
È un fuoco che parla dopo che si è fatto vedere in un segno, ma dopo che Lui ha udito.
—————
I racconti di vocazione di solito nella Bibbia hanno un cliché. Mosè è chiamato in modo
diverso da tutte le altre vocazioni..
- iniziativa di Dio
- il chiamato risponde con un’obiezione
- Dio risponde con la sua assistenza. Ti sembra troppo? Tranquillo, sarà con te.
- missione, il mandato
- un segno di conferma (non sempre c’è ma spesso).
Anche Mosè segue questo schema ma nel caso di Mosè non c’è un’obiezione ma 5. È un
tira e molla in cui il chiamato pone tantissime obiezioni. Ogni volta Dio risponde donando
qualcosa di rivelativo di sè. L’eccezione della rivelazione dice la straordinarietà della missione.
Mosè ha 5 obiezioni:
- chi sono io per andare davanti al faraone?
(Problemi su sè. Mosè è un assassino scappato che è wanted. É uno che nonna radici, che non
ha pace, che si sente un apolide, un senza casa)
- chi sei tu?
(Incerto sono io, ma qual è il tuo nome… il primo problema è l’io, ma poi dio)
- essi non mi crederanno!
(Obiezione su sè, poi Dio, poi altri). Se non crederanno non vale la pena.
- non posso parlare
(era balbuziente, incapace di fare l’oratore, e il Signore gli risponde consegnandogli un fratello,
Aronne, che parli per lui) (“il fratello per me sarà bocca e il fratello per me sarà dio, potenza
efficace di Dio accanto a me”)
- ti prego, manda un altro
(Il Signore dice “no, voglio te”. Il Signore vuole operare la salvezza con uno strumento
inadatto).
Questo è il contesto.
La rivelazione del nome vuol essere sia etimologica che teologica. Il nome di Dio,
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“JHWH” (eie) è legato al verbo “AIA” che è essere, simile al verbo “HAIA” che significa
vivere, esistere, mostrarsi, operare. “EIE” mettere insieme vivere ed essere. Per gli ebrei
qualcosa è perché è vivo. Che qualcuno “è” vuol dire che è vivo e si mostra, non ci sono
le categorie metafisica. “Io sono” significa io sono vivo, mi mostro, opero.
Sembra allora che JHWH si da tradurre con “egli è”… è un Dio che è all’opera ed è sceso per
liberare. Egli è vivo è presente e si mostra efficace.
“Io sono colui che io sono” diventa “egli è” quando di lui si parla in terza persona.
Nella fase più antica gli ebrei dicevano il nome ma nella fase maccabaica per rispetto
smettono di dire JHWH e iniziano a leggere Adonai.
La Bibbia dei ’70 usa il termine greco Kyryos.
L’ebraico antico non ha le vocali. Il fatto che per tanto tempo non si è detto ha portato a non
sapere più come fosse da pronunciare. I masoreti hanno preso le vocali di Adonai e lo hanno
messo su JHWH e se ne esce Geova. Ma i masoreti non sapevano come pronunciare. La
pronuncia autentica con tutta probabilità è quella conservata dai samaritani e in altre
zone antiche ed è JhWh.
Benedetto XVI dice che i cristiani mai hanno usato il nome JHWH per riferirsi a Dio.
La semantica originaria
La semantica originaria evidenzia l’efficace prossimità di Dio come colui che
vuole liberare Israele e chiede fedeltà e amore. Dio rimane misterioso, ma dice
di voler liberare. In tale contesto di voluta relazione si da il nome.
Il nome andrebbe tradotto “io sono colui che è qui con voi e per voi”. Dire sono,
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verbo essere dice l’essere vivo e attivo.
Adonai è colui che siede nell’alto ma al tempo stesso piega i cieli e scende per
portarlo dove scorre latte e miele.
Dio si rivela nel liberare. Questo ti mostra la verità del mio nome.
Il verbo essere è all’imperfetto dovrebbe essere tradotto come “sono colui che
era, è e sarà con voi e per voi”.
Il suo intervenire a tuo favore è stato, lo sono adesso e lo sarò anche nel futuro.
Che Adonai ti sia vicino non vuol dire che perda la sua trascendenza però. C’è un
soggetto “io sono” ed un predicato “io sono”. Io sono colui che io sono rimane
sempre un po’ misterioso. Questo è il movimento del primo testamento: Dio si svela
ma la sua rivelazione è sempre un nuovo velamento. La conoscenza si da, ma
non esaurisce mai il mistero. Mentre ti avvicina ti mostra il suo mistero.
Dio consegna il suo nome perché il popolo si rivolga a lui diversamente dalle
altre divinità. È un nome che è un dono. Se il nome è io ti salvo, è un nome
ricco di prossimità, storia e relazione. Questo dono non si trova in “el” o in
“eloim”. Dio si rende nominabile quando in genesi invece aveva dato la possibilità
all’uomo di dare il nome alle cose.
Dio vuole farsi chiamare per nome dalla sua creatura.
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Glia attributi sono le proprietà più proprie di Dio nel suo agire salvifico. Dio quando opera si
fa vedere così. Gli appellativi invece intendono dire chi sia.
L’endiadi è una figura retorica quando si mettono insieme due appellativi che si
illuminano uno con l’altro.
Dio è santo è misericordioso. Sono due polarità diverse ma non devono mai essere
staccate. “Santo” (kadosh) in ebraico vuol dire “separato da” (la tribù di Levi, non ha preso
terra, ma è stato preso, e separato per il culto). Santità è separare una cosa dal resto per
dirne l’eccellenza.
Dio è per eccellenza santo, è separato, è trascendente. Non è il tuo amichetto.
DA sola questa caratteristica fa pensare ad un Dio lontano. Allora Dio è anche
misericordioso. “Esed” e “rachamin” (il primo maschile e il secondo femminile —> l’amore
di Dio è maschile e femminile). Dio ha esed, ovvero amore di benevolenza, l’atteggiamento
di voler fare bene a qualcuno ed essere fedele. Anche se tu mancherai rimango fedele. È
la virilità/solidità del voler bene. Rachamin dice le viscere della donna ovvero la parte
disposta all’accogliere la vita.
Esed e rachamin dicono vicinanza e prossimità.
Dio è santo e misericordioso. Proprio perché non è come te può essere così misericordioso. Gli
uomini quando vengono traditi spesso non rimangono fedeli.
Nel Primo testamento la caratteristica del padre è centrale, ma a volte gli vengono dati caratteri
anche femminili.
È una metafora più tardiva rispetto alla prima. È metafora anche questa. Si sviluppa
nell’esilio e post-esilio. I profeti dicono al popolo che non è vero che dio è debole, ma che
hanno tradito l’alleanza. L’alleanza umana più profonda è il matrimonio. I due diventano
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una carne sola. I profeti prendono il matrimonio e ne fanno metafora per dire che rapporto
vuole Adonai col popolo. Israele deve essere una sposa fedele e non adultera.
(Osea viene mandato a prendere per moglie una prostituta sacra, ma lei scappa e diventa adultera. Dio manda
Osea a riprenderla e lo invita a rimanere fedele. Dio quando dice ad Osea di riprendersi la moglie adultera al
chiama col nome delle donne vergini dicendo in qualche modo che l’amore di Dio rende il cuore vergine ) Quanto
è tenace l’amore di Dio! Ridà la verginità a chi lo ha tradito.
Secondo la Bibbia ebraica la vetta più alta è il cantico dei cantici. Il cantico dei cantici è un
poema tra sposo e sposa e coro. Non c’è Dio, ma diventano simbolo di Dio e popolo.
Coda richiama ancora. Qui come quando dicevamo prossimità e alterità. Più dici che è santo
(separato) più è prossimo (misericordioso).
Le mediazioni più importanti sono dall’alto perché vengono da DIo. In realtà anche quelle
dal basso dipendono da quelle dall’alto. Tra tutte le mediazioni dall’alto due in particolare
hanno mediazione specifica: la parola e lo spirito.
Parola e Spirito non sono pensate come due persone qui, ma diventano sempre più
importanti. Sono le due esperienze di comunicazione più importanti ovvero la parola e
l’empatia.
Verso la fine del primo testamento c’è poi un punto esterno: parola/sapienza/spirito vengono
presentati quali come personificati (sapienza 8 —> dove sapienza sembra qualcuno che ha
architettato tutto).
Adesso vedremo alcune figure mediatrici:
- gloria
- spirito
- parola
La gloria di dio, in ebraico “cavod” significa pesante. Non solo il peso fisico ma il peso del
valore. Quando dio si manifesta lo fa in un modo che ne dice la grandezza, eccedenza, il
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peso. Si dice la santità assoluta percepita dall’uomo.
La gloria è la manifestazione dell’eccellenza di Dio. Dio si mostra con una manifestazione che
fa vedere smisuratezza.
Ad esempio la nube numinosa. Il luogo per eccellenza che è segno della gloria? Il tempio ma
anche Sion. (Samuele quando entra per consacrare il tempio deve uscire perché una nube scende sul tempio e
gli impedisce di vedere. Dio prende possesso. Così anche gli altri sacerdoti successivi quando entrano mettono
l’incenso per ricordare quell’evento)
In tutte le religioni si intuisce il fatto che respirare, l’essere in vita, ha a che fare col
sacro. Nelle altre religioni si parla di forza o di divino.
Nel caso di Israele l’esperienza comune del Sacro si colora dei caratteri personali.
L’energia vivificante che Adonai vuole mettere nel popolo, Israele la pensa come
un’effusione escatologica dello spirito su tutti. Lo spirito si è posato su Mosè, Elia…
alcuni… allora Israele pensa che il compimento della storia avverrà con l’effusione
dello Spirito su tutti. Allora tutti lo conosceranno non per la legge ma per una
conoscenza interiore. Piano piano matura nella coscienza di Israele che l’effusione
escatologica dello spirito avverrà attraverso l’opera del messia. Il messia avrà il
compito di preparare il popolo in modo che Adonai possa dare il suo spirito a tutti.
Il sostantivo ebraico “Dabar” è insieme parola e azione. L’ebraico è pratico. Ecco perché la
parola di Adonai è efficace, è performativa, realizza ciò che dice. Quello che dice lo fa. Quando
Dio parla crea la storia della salvezza. Quella che Dio dice al suo popolo piano piano realizza
quello che lui intende.
Tra tutte le parole, la legge, le 10 parole, sono parole di vita. Se osserverai queste parole
mettendole in pratica vivrai.
5.4.3 La Sapienza
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La Sapienza è una figura tardiva, che si lega alla cultura greca. Il saggio per la cultura
greca è chi conosce il cammino e sa come andarci. Conosce il fine della vita e conosce
anche la strada per dare buon frutto.
Piano piano la parola (profeti) la legge (sacerdoti) e la sapienza (dei re) cominciano a
confluire nell’ottica del messia. Il messia racchiuderà in sè il meglio della tradizione
profetica, sacerdotale e regale.
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PARTE BIBLICA
(Nuovo Testamento)
Pag 262
La morte per Gesù non arriva come un evento imprevisto. Man mano che Gesù inizia il
ministero pubblico riceve subito le ostilità delle autorità. Man mano che procede i nemici sono
più agguerriti. Gesù se ne rende conto e ad un certo punto si accorge del disegno di morte che
essi hanno per Lui (3 annunci di passione). Gesù capisce che l’esito del suo ministero sarà
tragico.
Gesù si renderà conto piano piano che la morte che preparano per lui è quella di croce, di coloro
che sono lontani da Dio.
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(Si dice che i giovani vogliono essere protagonisti della chiesa. Sarebbe narcisismo. Non vogliono che i preti si
tolgano la sedia e prenderla loro. Vogliono stare insieme sul palco. Un figlio vuole meno giochi ma giocare con
papà e mamma. Renderli protagonisti può essere un modo per renderli narcisisti come facciamo noi e li lasciamo
soli. Devi progettare insieme)
Gesù non vuole essere pro-tagonista, il primo che agisce, perché nella trinità non funziona così,
non è che uno agisce se gli viene lasciato spazio.
Si vedranno passione morte e risurrezione come atto unico, prima come atto del Padre
poi come atto del Figlio e infine come atto dello Spirito. Noi non possiamo che distribuire
nel tempo ciò che avviene insieme.
Dobbiamo fare epoché dal nostro modo di considerare la Pasqua di Gesù. La morte di Gesù
sulla croce è il fallimento della vita pubblica. Ogni sua pretesa su di sè e sulla vicinanza del
Padre nella morte trova il fallimento plateale. La morte di Gesù è la sconfessione di quello
che per tre anni aveva detto sul Padre.
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sempre interpretato il suo andare verso la morte come il compimento del progetto di
salvezza maturato nel cuore del Padre. Il Padre non vuole la morte del Figlio, ma il
Padre vuole la salvezza nostra. Lui ci vuole rendere figli e questo può avvenire solo
con l’assunzione del peccato da parte del Figlio. Gesù interpreta così il suo morire:
non come il Padre che vuole che lui muoia ma come obbedienza all’intenzione
salvifica del Padre. La morte non è un atto di giustizia vicaria riparativa. Il Padre
non vuole che qualcuno paghi ciò che gli è dovuto. Il Padre consegna il Figlio come
un atto di amore estremo, come manifestazione della misericordia del Padre sul
mondo. Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio per salvarlo. La venuta di
Gesù nel mondo sono letti come un atto di amore che non condanna ma salva. La
sua morte, è interpretata da Gesù come il gesto di consegna del Padre del Figlio al
mondo. Una consegna che il Padre non ritira, che porta fino in fondo, perché li si da la
salvezza che libera gli uomini.
Se è vero che il nuovo testamento legge la morte del Figlio come un atto di amore del
Padre, dobbiamo essere onesti con lo scandalo. Un Padre così, quando il Figlio muore,
tace. Il Padre tace. Non dice una parola. Nei vangeli la voce già si era udita. Non
interviene non solo per non impedire al Figlio di morire, (1° scandalo —> non
salva da morte ingiusta), ma oltre a ciò non lo consola. (2° scandalo). Non salva ne
gli dice una parola di conforto.
Dio Padre di fatto abbandona Gesù al suo destino. È un verbo all’attivo. Non è solo
Gesù che si sente abbandonato, ma è il Padre che abbandona. È scandalo. Il Padre
che è solo amore, che è uno con il Figlio lo abbandona attivamente nella morte (cfr
442). San Giovanni della Croce ha affermato per primo questo. Dice che c’è abbandono
attivo.
Gesù rimase anche annichilito nell’anima. Ridotto al nulla. Non solo soffre addolorato. Essendo
lasciato dal Padre senza consolazione e confronto. E lasciato nell’aridità. Nell’abbandono lì
compie la cosa più grande salvando l’umanità. In quei momenti il Padre lo abbandonò affinché
scontasse interamente il debito delle umane colpe e unisse l’uomo con Dio.
Non si può guardare alla croce come una teorema che funziona tranquillamente.
Noi siamo troppo abituati al mistero della croce. Forse col covid ci accorgiamo di
più che c’è il triduo e la pasqua. Avvertiamo poco il dramma che viene ripresentato.
Il Padre abbandona il Figlio. Perché?
Perché proprio facendo così il Padre si manifesta come Abba. È la massima
rivelazione della paternità di Dio.
La morte di Gesù deve far emergere qualche crepa nel nostro modo ideale di vedere
Dio.
Solo comportandosi così l’Abba si manifesta come Padre. Ma perché diciamo così?
Il silenzio rivela la paternità non paternalistica. La paternità autorizza e fa
crescere. Il paternalismo è un esercizio di autorità che non fa crescere e fa
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dipendere le persone.
Io posso evitare una sofferenza ad una persona che amo, alle volte, non per amore
suo ma per amor mio. Un figlio in una situazione di sofferenza inevitabile, alle
volte vede nel genitore il tentativo di toglierlo dal dolore per non soffrire a propria
volta. È un dolore grande non poter far niente per una persona a cui si vuole bene.
Costoso nell’amore è accettare l’impotenza di impedire all’altro di soffrire.
È sottile togliere la sofferenza all’altro per non soffrire io. Io non accetto di patire e
quindi gli tolgo la responsabilità.
Il Padre nel suo non intervento, nel suo silenzio, si presenta come un Abba e
permette al Figlio di andare fino in fondo, dando fino alla fine il dare la vita. Il
Padre è colui che genera, colui che da tutto senza trattenere nulla.
Ora se il Figlio è in tutto simile al Padre, quando Gesù manifesta di essere Figlio
di un Padre che da tutto senza trattenere nulla?
Quando Gesù da tutto senza trattenere nulla. Così mostra il Padre. Gesù si riceve
tutto, e quelle che vede fare dal Padre lo fa anche Lui.
Se il Padre avesse impedito al Figlio di morire gli avrebbe impedito di dare tutto.
Il Padre dando al mondo il Figlio da tutto ciò che ha. Se il Figlio sulla croce non
perde tutto non sarà identico al Padre. Il Figlio per essere Dio che dona tutto,
doveva perdere il Padre per donare tutto. Gesù perde anche il Padre per poterlo
dare a noi, e il Padre non glielo impedisce. Si da tutto quando si perde tutto.
Gesù arriva alla sua pienezza massima nella morte, dove tutto quello che poteva dare
lo ha dato. Il Padre non si sostituisce e non gli impedisce di vivere anche nella sua
umanità il dare tutto. Il Padre permette al Figlio di dare tutto, e il tutto di Gesù è
il Padre ed è per questo necessario che lo perda.
Vedi la gente che fa un anno di missione, che potrebbe sembrare un anno perso, ma lo
ritrovi decuplicato.
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Sicuramente si espone alla passione in obbedienza al disegno del Padre ma non è mai
semplicemente passiva, ma anche attiva. È un’autentica scelta di libertà del figlio:
decide di donare la sua vita: Gv 10,18 “nessuno me la toglie, la offro da me stesso”.
Dentro il disegno malvagio dell’uomo Gesù sta realizzando la sua consegna libera,
questo conferma tutta la sua scelta messianica in cui vuole la salvezza del suo popolo.
“la libera decisione di Gesù è determinato dal rapporto di obbedienza e amore al padre”
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non-senso della vita. Il non-senso è peggio della sofferenza che ha un
motivo. A Gesù è tolto anche questo. Perdere tutto può anche
riempire di senso. Può esserci la gioia del dono totale. Gesù sulla
croce perde la perdita. Non ha nemmeno gioia del fatto di donarsi
per qualcuno che cresce. Gesù perde tutto ma senza percepire la
gioia del dono. È privato, abbandonato anche della gioia della
perdita.
Questo e il grido non implica la disperazione. Il Padre rimane il Tu di
Gesù, anche se non lo sente più, anche se non avverte la gioia del
compiere l’obbedienza, del fare la missione. Questa è filialità. Lo
prega. Non smette di rivolgersi a Lui. C’è affidamento senza riserve.
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avanti indisturbata, perché l’unione provoca la persona di Gesù a
sentirsi abbandonata. Gesù abita totalmente l’unità, ma se l’umano
sperimenta il vuoto, la persona lo sente, anche se ontologicamente
rimane unito. Unito ma distinto, distinto-distante. In tale distanza
c’è il carico dell’abbandono negativo che è il nostro peccato con cui
noi neghiamo attivamente Dio. Padre e Figlio si distanziano al punto
da portare dentro tutto il peso dell’umanità peccatrice.
Gesù mostra di essere veramente Figlio. Il centurione dice che quel morire preciso lì
porta a riconoscere che Gesù era il Figlio di Dio. Nel grido il centurione lo riconosce.
Il grido di abbandono è rivelativo dell’identità del Figlio e di Dio Abba. Gesù pur
essendo figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì. Gesù guadagna nella sua maturità
il pieno dispiegamento dell’essere Figlio. Di pienezza in pienezza. E nella morte c’è
il fino alla fine.
Gesù è il Figlio perché si è manifestato fin nella morte come colui che non ha
trattenuto nulla, esattamente come ha visto fare dal Padre. Gesù ama fino alla fine
e per questo risorge, perché amare fino ala fine è la vita vera. L’amare fino alla
fine è la cifra dell’essere… altro che la gettatezza o l’essere-per-la-morte.
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3.6.1 La consegna di Gesù nello Spirito
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3.6.3 Il Crocifisso/Risorto fonte dello Spirito
Gesù nel morire, in Giovanni, non dice “spirò”, ma dice “chinato il capo, consegnò
lo Spirito”. Il verbo paradidomi, consegnare diventa tradizione. Con il consegnare lo
Spirito intende dire che consegna lo Spirito Santo al Padre, ma anche a noi tramite
Giovanni e Maria. Gesù non consegna al Padre o a noi, ma ad entrambi. Il Figlio ci
da di essere figli donandoci la relazione con il Padre. Ma chi è la relazione con il
Padre? Lo Spirito! E così ci rende capaci di diventare suoi figli.
Questa effusione dello Spirito è una nuova creazione.
Adesso la prima creazione si comprende: in vista dell’alleanza. L’alleanza, ovvero il
rapporto tra l’umanità e Dio è tale solo con la Pasqua, in quanto l’uomo è abilitato
a corrispondere alla volontà di Dio, perché dall’interno gli è dato quell’amore che
è più forte di ogni peccato. Come può una creatura limitata corrispondere
perfettamente all’alleanza con Dio che è infinito?
Perché con la Pasqua, l’uomo può amare Dio con lo stesso amore che Dio ama noi.
L’amore con cui il Padre ama il figlio e il figlio ama il padre è messo anche in noi.
Ciò che accade tra Padre e Figlio accade anche tra noi e il Padre.
Questo implica il cambiamento dell’amore verso i fratelli. Tra due battezzati, l’amore
con cui si amano è lo stesso amore di Dio. Amo il fratello con lo stesso amore con cui
il Padre ama il Figlio. (Rm 8 —> capitolo più bello su SS).
(Una madre che da la vita per la sua creatura non è ami così tanto madre. Dare la vita
sua per la sua creatura è logica dell’amore, non del mondo. Quando mi svuoto mi sto
riempiendo)
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4.1 si salta a piedi pari
Nel nuovo testamento soprattutto nell’epistolario Paolino ci sono formule molto brevi.
(Le omologie, confessioni di fede in cui una comunità racchiudeva in toto il suo credo). Ci
sono anche delle formule trinitarie che conosciamo perché nel messale il saluto che il prete
rivolge dopo il segno della croce le riporta.
Ogni comunità cristiana ha iniziato ad usare nel culto delle formule per dire la fede nella
trinità. Non sono una riflessione ontologica ma una menzione del P/F/SS per la loro
azione. Non dice la loro relazione immanente ma il loro intervento salvifico in storia. In
N.T. quando si trova Theos con “o” (articolo) si riferisce sempre alla persona del Padre. Già
nella chiesa delle origini c’è già la fede trinitaria allora a non è un’aggiunta successiva. Non
c’è tutta la riflessione ancora, ma si attesta.
La chiesa delle origini professa e attesta da subito la fede nella divinità di Gesù. In N.T.
campeggia la figura di Cristo, ma in atti e Paolo ci sono alcuni elementi che ci aiutano a
vedere la riflessione della comunità post-pasquale sullo Spirito.
In Paolo alcuni passi orientano nel senso di una personalità propria del pneuma, in cui si
dice che scruta le profondità di Dio. Sono azioni che presuppongono un soggetto. Una
forza impersonale non conosce ne vuole.
Negli atti ci sono diversi passaggi nei quali l’autore attribuisce allo Spirito alcune azioni e
scelte per la chiesa. Lo Spirito conduce l’azione evangelizzatrice. Non si dice mai “lo Spirito
è il Signore” ma questo non vuol dire che manchi la fede.
La chiesa all’inizio non aveva riflessione teologica ma aveva fede.
Giovanni, di cui prendiamo il vangelo e qualcosa delle lettere, è uno degli ultimi autori di N.T.,
e per questo consegna la riflessione più matura su Gesù e sullo Spirito.
I dati più significativi:
- identità di Gesù come logos (tipico del quarto vangelo)
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- logos in cui si attua escatologicamente l’<io sono> promesso da Adonai. Gesù si da lo
stesso nome di Adonai. Una professione non indiretta ma diretta.
- l’identità dello Spirito come l’altro inviato dal Padre (il paraclito)
- ci sono date alcune categorie dell’essere unità di Dio: gloria e agape.
A) Il Figlio unigenito
Il rapporto tra Padre e Figlio in Giovanni assume proprio questi due titoli. Spesso Giovanni
aggiunge Figlio unigenito. Padre e Figlio non sono più metafore ma si dice referenza concreta.
La nostra esperienza di figliolanza del mondo sono legati a questa.
Il figlio riceve la vita dal Padre e il Figlio la ridona in toto. Il Padre è la fonte e l’origine
della vita. Il Figlio è la ricezione e restituzione perfetta. Il Padre e il Figlio sono tali in
forma assoluta!
Il Padre dice pienamente se stesso nel Figlio. Nel figlio il Padre si dice. Il titolo di logos ha
due grandi tradizioni alle spalle:
- concetto di logos della filosofia greca;
- la sapienza veterotestamentaria (la sapienza creatrice di cui è detto in Sapienza e Siracide).
Si dice di una sapienza con cui Dio crea.
Quando Giovanni parla di Cristo come logos, sicuramente c’è qualche addentellato con queste
due categorie ma il logos giovanneo non è spiegabile in toto ne con l’una ne con l’altra. Il
titolo di logos ha, come referente primo, la storia di Gesù. Avendo visto in lui il Padre
Giovanni scegli di usare “logos” per dire che Gesù dice il Padre. Il titolo di logos Giovanni
lo prende dall’evidenza che Gesù è la parola con cui Dio si dice.
Prima novità:
1 - il logos ha volto umano e personale. Non è una metafora ma è una persona. Ha un volto
ed è un voto umano. Giovanni forza anche la grammatica greca dicendo “il logos carne è
divenuto” in modo che logos e sarx siano uno accanto all’altro.
2 - o theos e o logos.
In Dio c’è sia o theos (Padre) e o logos (Parola) che è anche lui Dio. Sono entrambi Dio ma
sono due persone diverse.
Si fa una distinzione in Dio e così si fa esplodere il monoteismo ebraico.
3 - il logos è presso o rivolto verso il Padre.
Sia nel primo versetto che nell’ultimo del prologo si dice “PROS +ACCUSATIVO” —>
che è movimento verso. È un movimento ontologico non fisico. Il verbo è rivolto verso Dio
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ed è in postura obbediente. Il Figlio non fa l’obbediente, ma lui è il rivolto al Padre per
ascoltarlo ontologicamente. Tra Dio e logos vi è distinzione ma anche reciprocità. Gesù nella
vita terrena si è sempre mostrato rivolto al Padre. Tutto ciò che ha fatto lo ha fatto come risposta
a quanto udito e ricevuto dalla volontà del Padre. Gesù è colui che è sempre pronto ad ascoltare
la volontà del Padre per farla.
Con il titolo Paraclito Giovanni chiama lo Spirito. Paraclito = chiamare presso, ma possiamo
tradurre come avvocato. Il Paraclito è colui che ci è mandato dal Padre e ci difende da chi vuole
farci del male.
Nei cap.14-16 che sono i discorsi dell’ultima cena (non eucarestia ma lavanda) ed in essi
compare 5 volte il titolo paraclito. Per questo si dicono “detti del paraclito”.
L’indicazione è che il paraclito non potrà venire fino a quando Gesù non sia glorificato.
Gesù collega alla sua dipartita la possibilità della venuta del Paraclito. Il paraclito allora non
avrà il compito di fare una rivelazione sua ma di condurre e mostrare la verità della
rivelazione di Gesù. Tra i 5 detti uno merita la nostra attenzione
—> Gv 15,26
(i padri conciliari del Costantinopoli I riprendono Nicea e citeranno poi proprio questo detto.
A nicea c’era scritto sono “e nello SS”)
“Quando verrà il paraclito che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, che dal Padre
procede, Egli, mi darà testimonianza”
Coda dice che lo Spirito è qui evocato con tratti eminentemente personali. È un qualcuno
che da testimonianza. Ci vengono consegnate qui 3 cose importanti:
- lo Spirito sgorga da presso il Padre come da sorgere (procede dal padre) (ekporeuemai =
sgorgare, scaturire da una sorgente, come l’acqua che sgorga dalla roccia).
Mentre il Figlio è generato dal Padre, lo Spirito sgorga dal Padre.
- dopo la pasqua il Figlio potrà inviare lo Spirito che sgorga dal Padre
- viene ai discepoli per dare testimonianza e rende interiori le parole di Cristo ma anche
la sua presenza. È lo Spirito che rende presente in noi Cristo e ci rende presenti a Lui.
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4.4.3 L’esser-uno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
Giovanni ha delle categorie per dire che Padre Figlio e SS sono uno.
B) La reciproca glorificazione
Spesse volte Gesù parla della morte e resurrezione come il momento in cui Lui
glorificherà il Padre e altre volte come il luogo in cui Lui sarà glorificato dal Padre.
È una reciproca. Si mostra la vera identità di entrambi. La donazione/accoglienza
totale e il volto del Padre. Gesù glorifica il Padre perché nel dare la vita fino alla
fine manifesta la misericordia del Padre. E nella croce il Padre manifesta al mondo
Gesù come il Figlio.
La gloria è manifestazione della santità. Sulla croce il Padre manifesta Gesù al
mondo come Figlio amato, come suo Logos… nella croce c’è la parola definitiva
con cui si dice tutto. Per amore il Padre manda il Figlio ma l’amore che manda il
Figlio è lo SS. La gloria reciproca, l’amore che porta uno a mandare e l’altro a
rispondere è lo Spirito Santo.
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La dedizione è dono incondizionato di sè, non un po’ ma fino alla fine.
Alla dedizione di ciascuna delle persone divine corrisponde la reciprocità di
ciascuna delle altre due.
Effusione, cioè apertura. Non è un mistero chiuso in sè. È amore aperto e fecondo.
Lo Spirito Santo è la cifra più esatta di questo. Lo Spirito tiene unito ma distanzia
impedendo che ci sia fusionalità ma sempre distinzione. Chi porta in noi la vita
divina? Lo Spirito, che è l’apertura immanente, ma anche per noi.
(La retorica sull’amore disinteressato non è cattolica. L’amore che non si aspetta nulla
è un’amore egoista che si concepisce pieno in sè stesso)
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PARTE
STORICA
(c’è tanto e da memorizzare)
Studi da solo
Studi da solo
2.3 Due soluzioni non pertinenti
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Siamo nelle prime eresie cristiane.
Che problemi ci sono da subito?
Il problema di dialogare con culture ebraiche ed illuministiche che non hanno le
categorie per aprirsi originalmente al dogma trinitario. La Trinità è un dogma
indeducibile a cui l’uomo da solo non sarebbe potuto arrivare.
Nei primi secoli c’è stata fatica ad annunciare Cristo senza che tale annuncio portasse
a perdere la verità di Cristo.
Nel mondo ebraico Gesù rompe con l’individualità divina.
Ecco alcune prime eresie che volevano dire la verità in contesti non cristiani ma di fatto
la perdevano.
Monarchianismo e subordinazionismo sono due aree a cui sotto stanno tante eresie.
2.3.1 Il monarchianesimo
Monos archè. In Dio c’è solo uno e uno solo. Di fronte a Padre, Figlio e SS, si dice che
solo uno dei tre è Dio. Si vuole tenere fisso che il principio è uno. La molteplicità è
vista come male e il principio deve essere uno.
Se il principio è uno allora di avrà:
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- Monarchianismo dinamico: Dio è uno (Padre) mentre il logos e pneuma non sono
persone ma espressioni della potenza (dinamis) di Dio. Forze con cui Dio si manifesta
nel mondo.
- Monarchianismo modalista: è un eresia che serpeggiante c’è sempre stata fino a oggi.
Dice che Dio è uno solo e che Padre, Figlio e SS non sono tre persone ma tre volti
o aspetti che Dio di volta in volta ha assunto per manifestarsi nella storia.
2.3.2 Il subordinazionismo
Dice che Figlio e SS non hanno stessa dignità di Padre. Sono esseri divini, distinti
dal Padre, con valore personale, ma subordinati… sono divinità seconde, o divinità
intermedie tra Dio e il mondo. Ario diceva Gesù come divino ma creatura non eterna
ma creata e quindi non della stessa sostanza.
Qui abbiamo la trinitas in excaelsis, poi sarà in terra. Qui la fatica della chiesa nel definire al
trinità immanente. Come intendere e dire l’unico Dio in tre persone. A partire da economia e
rivelazione ma con interesse ontologico. La modernità invece sarà più interessata al rapporto
col mondo. (Hegel la fa entrare in storia)
Si affrontano subito di due concili… Nicea e Costantinopoli I. Nicea già fatto in cristologia.
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