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Descrizione della messa papale nell’Ordo romanus I

Da A. MIRALLES, Teologia liturgica dei sacramenti. 3.1. La messa, Edizione digitale, Roma 2014,
pp. 77-81

Tra gli Ordines Romani spicca il primo per la sua antichità e compiutezza; vi si descrive in
dettaglio la Messa papale. Il suo titolo è: «Incipit ordo ecclesiastici ministerii romanæ ecclesiæ vel
qualiter missa cælebratur», con leggere varianti tra i diversi codici che lo trasmettono. Più di una
ventina di manoscritti, copiati nei secoli IX-XI, permettono di risalire alla redazione originale,
anche se in diversi punti le varianti non consentono di stabilirla con sicurezza. La redazione
originale è da datare nei primi anni del secolo VIII, comunque non prima del pontificato di san
Sergio I (687-701). Probabilmente essa era già presente nei paesi franchi verso il 750.
L’Ordo Romanus I descrive la Messa papale stazionale e conferma la struttura schematica
della Messa come risulta dal Sacramentario Gregoriano. Il pontefice si riveste delle vesti liturgiche
nella sagrestia (secretarium): una tunica di lino (linea) col cingolo (cingulum), l’amitto
(anagolaium), una fina dalmatica di lino (linea dalmatica), una seconda dalmatica più grande
(dalmatica maior) e pianeta (planeta) (n. 34). Prima della processione d’ingresso, un accolito porta
l’evangeliario e lo depone sull’altare (nn. 30-31). Durante la processione d’ingresso, la scola esegue
il canto ad introitum (n. 44). Procedono davanti al papa un suddiacono col turibolo fumigante e sette
accoliti portanti ceri accesi (n. 46). Lungo il tragitto due accoliti e un suddiacono mostrano al
pontefice delle capsæ (specie di pissidi) contenenti le Sancta, cioè le sacre specie consacrate in una
delle Messe precedenti, perché veda se la quantità supera il bisogno; l’eccedenza viene portata nel
conditorium (n. 48). Il pontefice, giunto davanti all’altare, lo saluta con un inchino, quindi si segna
col pollice sulla fronte, dà la pace a un vescovo, all’arciprete e a tutti i diaconi, e si inginocchia per
pregare silenziosamente fino a che il coro non finisce il canto. Quindi si alza, bacia l’evangeliario e
l’altare, e va alla sede, dove sta in piedi rivolto ad oriente (nn. 48-50). Dopo il canto dell’antifona la
schola canta il Kyrie eleison (n. 52), quindi il Gloria in excelsis Deo, iniziato dal pontefice, se il
tempo liturgico lo richiede. Segue la prima orazione che dice il pontefice (n. 53).
Per la lettura dell’Epistola il suddiacono sale all’ambone (n. 56). Dopo questa lettura, un
cantore canta il responsum e l’Alleluia o il tractus, a seconda del tempo liturgico (n. 57). Prima
della proclamazione del Vangelo, il diacono riceve la benedizione dal pontefice: «Dominus sit in
corde tuo et in labiis tuis» (n. 59), poi bacia l’evangeliario e, alzandolo con le mani, si reca in
processione all’ambone, preceduto da un suddiacono col turibolo, da due accoliti coi ceri e da un
altro suddiacono (59- 62). Finito il Vangelo, il pontefice saluta il popolo dicendo: «Dominus
vobiscum», e riceve la risposta: «Et cum spiritu tuo» (n. 63).
Anche il settore offertoriale è descritto con molti particolari. Due diaconi stendono il
corporale sull’altare e sopra vi collocano il calice (n. 67). I membri del clero ricevono le oblationes
del popolo (i pani), mentre il pontefice, con l’aiuto del clero, riceve quelle dei notabili (nn. 69-75).
Il vino, consegnato in amulæ dai donatori, si versa in un calix maior e da questo, quando si riempie,
in uno sciffus. Un vescovo raccoglie le oblationes del resto del popolo. Dopo la raccolta, il
pontefice torna alla sede (n. 76) e l’arcidiacono dispone le oblationes sull’altare (n. 78); quindi
versa nel calice il vino dell’amula del pontefice e vi aggiunge dell’acqua (nn. 79-80). Terminati
questi riti, il pontefice si reca dalla sede all’altare e riceve le oblationes dalle mani del presbitero
ebdomadario e dei diaconi; quindi depone sull’altare le proprie oblationes (nn. 82-84). Finora non si
è menzionato il canto dell’offertorium da parte della schola, ma a questo punto si dice che il
pontefice indica ad essa che finiscano il loro canto (n. 85).
Per quanto concerne le preghiere del pontefice all’altare fino alla pace, praticamente non si
dice niente tranne che per la fine del Canone, inoltre non c’è alcun accenno a una concelebrazione
verbale. I vescovi, i prebiteri e i diaconi nel presbiterio, dopo il Sanctus, rimangono inclinati (n. 88).
Alla fine del Canone, mentre il pontefice dice il Per ipsum… sæculorum, l’arcidiacono prende il
calice e lo tiene sollevato, e il pontefice ne tocca il bordo con i pani consacrati (nn. 89-90).
Dopo aver detto: Pax Domini sit semper vobiscum, il pontefice mittit in calicem de Sancta
(n. 95), cioè le sacre specie consacrate in una Messa precedente, quindi l’arcidiacono da la pace al
primo vescovo e così gli altri per ordine e il popolo (n. 96). Poi il pontefice stacca un pezzo delle
sue oblationes consacrate che lascia sull’altare, perché serva come Sancta nella seguente Messa
stazionale, e il resto le pone sulla patena tenuta dal diacono, e dopo si reca alla sede (nn. 97-98). Gli
accoliti portano il resto delle oblationes consacrate ai vescovi e ai presbiteri perché ne facciano la
frazione (nn. 101-104). La schola accompagna la frazione con il canto dell’Agnus Dei.
Segue la Comunione. Un diacono porta la patena al pontefice il quale si comunica con una
delle parti spezzate e immette un’altra parte della stessa particola spezzata nel calice, tenuto
dall’arcidiacono (nn. 106-107). Questa è una seconda immistione dopo quella fatta all’inizio del rito
della pace. Quindi l’arcidiacono porge il calice al pontefice che assume il Sanguis, e subito dopo
annunzia la prossima stazione, forse perché in questo momento uscivano i non comunicanti e
pertanto occorreva avvisarli sul giorno e il luogo della prossima celebrazione (n. 108). Dopo la
Comunione del pontefice, la descrizione della Comunione di tutti gli altri partecipanti, secondo le
diverse categorie di persone, risulta alquanto incerta, per le differenze tra i diversi codici che
sicuramente riflettono i diversi adattamenti del modello romano agli usi locali (nn. 108- 122); il
pontefice distribuisce la Comunione ai dignatari e i presbiteri al popolo rimanente.
La schola canta durante la Comunione un salmo con l’antifona (n. 117). Terminato il canto,
il Pontefice va all’altare e recita la oratio ad complendum (n. 123). Quindi un diacono dice al
popolo: «Ite missa est. Resp.: Deo gratias» (n. 124) e dopo si forma il corteo di ritorno al
secretarium. Durante il tragitto, le varie categorie di persone chiedono la benedizione del pontefice
dicendo: «Iube, domne, benedicere», e il Pontefice benedice dicendo: «Benedicat nos dominus», a
cui rispondono: «Amen» (nn. 125-126).
Molti particolari rimangono da chiarire, soprattutto riguardo al senso delle immistioni e ai
modi della Comunione; tuttavia si può ben concludere che dall’Ordo Romanus I e dagli antichi
sacramentari esaminati si ricava un quadro abbastanza completo della struttura della Messa romana
in tutte le sue parti, alla fine del VII secolo e all’inizio dell’VIII.

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