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Sacramenti II

Eucaristia
PARTE I: biblica e storica
- prof. Andrea Bozzolo -
PARTE PRIMA: ATTESTAZIONE BIBLICA
1. Fede pasquale e memoriale eucaristico: approccio fenomenologico
1.1. L’apparire del Risorto
In che modo l’incontro con Cristo risulta accessibile dopo la Pasqua? Quel Gesù incontrabile nel
suo corpo, come risulta incontrabile dopo la Pasqua?
Le apparizioni pasquali ci parlano proprio di questo: i discepoli nelle apparizioni pasquali possono
incontrare il risorto…ma durano 40 giorni; oggi veramente abbiamo la possibilità di incontrarlo?
…e l’Eucaristia cosa c’entra? Si può dire che prolunga le dinamiche delle apparizioni pasquali? È
davvero il tu per tu dell’incontro con il Signore?
 SÌ PERCHÉ LE STESSE APPARIZIONI PASQUALI SUGGERISCONO QUESTA STRADA.
- Gesù Risorto, infatti, MANGIA con i discepoli! Prepara per loro un BANCHETTO (Gv 21).
- Gli apostoli sono qualificati come coloro che “HANNO MANGIATO CON LUI” nelle apparizioni
(Atti).
 proprio il mangiare con Lui abbia a che fare con la risurrezione di Cristo: oggi è
incontrabile quel vero corpo nato da Maria Vergine e risorto!
Questo APPROCCIO FENOMENOLOGICO dice come questo fenomeno sia l’entrare nel visibile del Risorto,
che intercetta i nostri sensi e si rende riconoscibile: i racconti delle apparizioni pasquali sono una
finissima fenomenologia teologica sotto forma narrativa dell’evidenza simbolica dell’apparire del
Signore. EGLI È SEMPRE LÌ ANCHE SE NON IMMEDIATAMENTE RICONOSCIBILE!
L’apparizione ai DISCEPOLI DI EMMAUS è esemplare: Gesù si affianca come misterioso personaggio
che non riconoscono anche se è veramente Lui nel suo corpo! Il suo modo di manifestarsi tocca i
sensi (“toccatemi” fisicamente, “mangia con loro”, lo ascoltano, vedono, toccano) ma non è
empirico! Ha tessuto percettivo ma non immediatamente riducibile alla sensorialità: è PRESENZA
INTENZIONALE che richiede un CAMMINO DELLA LIBERTÀ per essere riconosciuta, che è costitutivo del
suo apparire.
Il Risorto non appare come uno spettacolo; l’Eucaristia non è meramente una pratica di pietà, non
è questione di devozione: è questione del reale, è il centro del reale il cui riconoscimento chiede
la libertà. L’Eucaristia non è solo “un” fenomeno, ma il centro di gravità di ogni fenomeno!

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Grande PARADOSSO IN EMMAUS: il Risorto si manifesta in modo corporeo toccando i sensi (soggetto
corporeo) ma non riconoscibile; i discepoli fanno un cammino e così “si aprirono loro gli occhi” e
in quel momento egli sparisce! Dunque, cosa c’è da vedere nel corpo del Risorto? Riflettiamo…
AFFERMAZIONE DI FONDO: Gesù Risorto si mostra, ma non è riconoscibile in base a un’evidenza
naturalistica (un vedere inteso come pura registrazione di dati: a questo livello il Risorto è
scambiato con uno straniero, un fantasma, un giardiniere…), bensì in base a un’evidenza
simbolica (un vedere inteso come interpretazione di qualcosa che vuole manifestare un senso
che la libertà può/deve riconoscere).
“L’ambiguità dell’apparire di Gesù è sciolta soltanto nella disponibilità ad
accogliere colui che vuole mostrarsi: che significa lasciarsi orientare, nel ricorso
alla memoria storica, alla revisione di ciò che consente l’identificazione qui ed
ora sollecitata dall’apparire” (SEQUERI, Il Dio affidabile, 206).
PRIMO TRATTO: c’è l’evento inatteso di una ripresa di iniziativa da parte di Lui.
“È Gesù che prende l’iniziativa di farsi vedere e di farsi riconoscere. I due
momenti non coincidono neppure tra loro. Egli è sempre ‘già là’, prima ancora
di essere riconosciuto. La prima istruzione e pertanto questa: Gesù, nella verità
del suo essere oltre la morte – ovvero nella sua identità teologica, nella sua vita
teologale – non può essere ‘fatto vedere’ da nessuno. Nemmeno dai discepoli”
(207).
SECONDO TRATTO: tale iniziativa non è immediatamente decifrabile sulla base delle forme già
sperimentate della percezione di Gesù.
“È un apparire che sorprende, per così dire, la stessa memoria percettiva di
coloro che sicuramente hanno già visto Gesù. Certo, non v’è altra possibilità di
riconoscere Gesù che si presenta se non quella di poterlo identificare con il
ricordo di lui. Eppure, l’intenzione dichiarata di molti testi è proprio quella di
mostrare al lettore che, nell’orizzonte medesimo di quell’originario apparire, la
condizione effettivamente capace di far acquisire la visione di colui che appare
come visione di lui rimane ancora e sempre l’iniziativa di Gesù” (207).
“L’apparire di ‘Gesù risorto’ rimane comunque sotto il segno di una
permanente separazione. L’imprevedibile presentarsi di Gesù dopo la sua
morte, nella diversità a prima vista sconcertante e ambigua delle forme e dei
segni, accade in ogni modo sullo sfondo di una separazione che non può – e non
vuole – essere semplicemente ‘annullata’. La morte di Gesù non è affatto
‘annullata’ dal suo apparire come ‘risorto’: esso non significa affatto che ‘non è
successo niente di definitivo’, che ‘è stato un incidente di percorso’, reso
inevitabile ‘dalla cattiveria degli uomini e dalla mansuetudine di Gesù’ e che
‘tutto ritorna come prima’. Al contrario: l’incondizionata attualità di
quell’evento, che segna in modo decisivo e permanente la storia di Gesù (le sue
‘mani’, i suoi ‘piedi’, il suo ‘costato’), è perfettamente confermata. Essa prende
anzi il suo senso assoluto, la cui manifestazione mostra di voler andare
comunque in una direzione contraria a quella della memoria nostalgica dei
discepoli” (208).
1.2. La necessità di ri-vedere la morte di Gesù

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AFFERMAZIONE DI FONDO: la condizione per riconoscere la ‘presenza reale’ del Risorto è la revisione
dell’esperienza drammatica della sua morte. Solo se si accetta di guardare alla morte di Gesù
come egli l’ha intesa (ovvero nella sua singolarità), si aprono gli occhi per riconoscere il Risorto.
Sintomatico al riguardo è l’episodio dei DISCEPOLI DI EMMAUS: da notare che Gesù non
rimprovera i due discepoli perché non hanno creduto all’annuncio della risurrezione, ma
perché non hanno compreso e accolto la parola che diceva “Il Cristo deve morire”.
“E pertanto, la loro ottusità nei confronti di Gesù che si presenta nella
assolutezza della sua verità dipende essenzialmente dal fatto che essi non
hanno visto la sua morte come atto costitutivo – bensì come negazione – di
tale verità” (209).
“La parola di ‘Gesù risorto’ non si limita a chiedere che, ‘nonostante’ la morte
che gli è stata inflitta, i discepoli continuino a credere nella sua verità. Essa
chiede loro di penetrare e di accogliere la ‘necessità’ della sua morte come atto
decisivo per la conferma della sua verità. Dunque per la identificazione
cristologica che egli intende” (209).
“Se invece l’attuazione della assoluta verità di Gesù richiedesse
necessariamente il suo consegnarsi a quella morte, certamente evitabile e
contraddittoria; e comportasse la coerenza teo-logica, certamente dolorosa e
dialettica, del suo consenso ad essere tolto in quel modo dalla scena della
storia? Se fosse proprio il suo ‘continuare a vivere ad ogni costo’, facendo
coincidere il compimento della sua missione con l’affermazione storica di sé in
quella precisa congiuntura, ciò che non doveva accadere, e dunque doveva
essere evitato?
La decifrazione dell’apparire di Gesù dopo la sua morte impone la riapertura
presso la coscienza dei discepoli di questi interrogativi: quale condizione
necessaria per l’apprezzamento dell’incontro con ‘Gesù risorto’ quale
esperienza reale. Qui c’è una verità ontologica dell’esperienza che si dischiude
soltanto nell’assimilazione della verità storica che la precede e la determina”
(209).
 Conservare se stesso non era la forma della verità di Dio: non doveva capitare il ‘continuare
a vivere ad ogni costo’. Ecco perché lo “spezzarsi” della vita di Cristo contiene la verità
ontologica della sua natura di vita.
La fede nel Risorto ha strutturalmente la forma della ripresa memoriale della sua storia. “La
RIPRESA MEMORIALE è condizione di accesso alla realtà dell’accadere medesimo” (210).
La liturgia della Parola, infatti, permette la ripresa memoriale: restare connesso con la storia del
crocifisso permette l’accesso alla metastoria!
Dunque la ripresa memoriale della morte di Gesù, in dipendenza dall’iniziativa del Risorto e
dunque sotto la mozione dello Spirito, è condizione intrinseca dell’esperienza della sua Signoria.
Riconosce la Signoria del Risorto solo chi è disposto a RI-VEDERE LA DEDIZIONE DEL CROCIFISSO come la
forma della Verità di Dio e chi si dispone ad assumerla come forma della propria libertà (vita nello
Spirito).
1.3. Il luogo simbolico della consegna del senso della morte di Gesù

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Alla vigilia della sua passione Gesù consegna il senso della sua morte (nel simbolo in esercizio) nel
simbolo eucaristico, cosicché dopo la sua morte i discepoli possano riconoscerlo; in quel simbolo
eucaristico Egli mette tutto se stesso ed anticipa il senso della sua passione.
AFFERMAZIONE DI FONDO: Gesù istituisce il luogo di interpretazione della densità simbolica del suo
morire all’interno della tradizione rituale della Cena Pasquale. Già tutta la storia di Gesù con i
discepoli intendeva orientarli a riconoscere che la Verità di Dio si identifica nella Dedizione di
Gesù.
Ricordare come Gesù, a proposito dei suoi miracoli, non attiri mai l’attenzione sul profilo del
prodigioso (che anzi ritiene molto ambiguo, tanto da richiedere spesso il segreto sui suoi prodigi
e da fuggire quando i suoi miracoli sono fraintesi), ma su quello della Cura che Dio si prende dei
suoi figli (il Regno di Dio che viene). Ricordare tutte le profezie della passione… e in particolare il
luogo emblematico della confessione/sconfessione di Pietro a Cesarea di Filippo.
In maniera però del tutto particolare e definitiva, questo avviene nell’ULTIMA CENA.
“La densità simbolica dell’evento che culmina con la morte di Gesù era stata
invero anticipata da Gesù in una forma peculiare del rapporto con i suoi. Il luogo
decisivo di questa anticipazione è concordemente identificato nella tradizione
evangelica con il momento di quella che è rimasta nella memoria dei discepoli
come l’ultima cena’. E vi è rimasta, legata alla indiscutibile certezza che Gesù
stesso ha voluto essere ricordato nel segno di quell’evento: evento in alcun
modo ‘superato’, ma al contrario definitivamente ‘istituito’ (‘fino all’ultimo
giorno’) come simbolo memoriale privilegiato, nella conferma simbolica che è
iscritta nell’apparire di Gesù dopo la sua morte” (213).
“La sua presenza alla storia, in altri termini, sarà compresa nella sua realtà e
nella sua verità, soltanto se verrà percepita e resa manifesta nel segno della
dedizione incondizionata alla causa di Dio. Ovvero, la liberazione dell’uomo dal
male per la vita eterna. La verità della PRESENZA STORICA di Gesù, nella
‘corporeità’ determinata del suo apparire storico, deve dunque essere resa
evidente – una volta per tutte e per sempre – dal suo essere ‘SPEZZATA’
attraverso la morte. Soltanto in questo modo il ‘corpo’ di Gesù è in grado di
rivelare la propria effettiva verità: e diventare pertanto il principio di una
comunione di vita realmente compiuta e definitiva” (213).
Da notare che Gesù dice: «è bene per voi che io me ne vada» (“non trattenermi”); la memoria
nostalgica dei discepoli sarebbe per una permanenza che però paradossalmente riduce la
presenza stessa di Cristo! Egli è “con voi tutti i giorni”.
“La tradizione dell’ultima cena – alla quale si collega da sempre la prassi cristiana
della celebrazione eucaristica – mette in particolare evidenza il CARATTERE
PERMANENTE attribuito da Gesù alla propria morte. Essa vi appare, in tale
contesto, come una separazione che avviene nell’orizzonte di una comunione
intesa come definitiva; un venir meno della presenza intenzionato a stabilire un
definitivo guadagno di solidarietà. Gesù insomma, fermo nella sua pretesa di
assoluta rappresentanza di Dio, in procinto di essere violentemente separato dai
suoi – e anzi persino ‘abbandonato’ da loro – lascia trasparire l’intenzione di
vivere quella SEPARAZIONE come principio di una COMUNIONE indefettibile” (213-214).

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Il che è come dire che la presenza ‘reale’ di Gesù, in forza della sua morte, non verrà meno, ma
sarà piena: poiché Gesù è venuto per compiere la piena dedizione di Dio all’uomo, la
realizzazione storica di tale dedizione non sopprimerà la presenza di Gesù alla storia, ma la
compirà pienamente, non toglierà Gesù all’umanità ma lo costituirà Signore, in una corporeità
non più “catturabile” naturalisticamente dai sensi, ma offerta al riconoscimento simbolico.
Così, l’EUCARISTIA è esattamente il sacramento della presenza incancellabile di Cristo come centro
di gravità della storia! Il Paradiso è esattamente il frutto del mistero pasquale!
 Esemplare al riguardo è il modo in cui i discepoli di EMMAUS riconoscono la ‘presenza reale’
del Risorto allo spezzare del pane: “l’aprirsi dei loro occhi alla presenza reale di Gesù coincide
con il suo scomparire alla loro vista. Trasparente allusione – ancora una volta, ma noi quando
ci libereremo dal pregiudizio naturalistico? – al fatto che il ‘vedere’ la presenza ‘reale’ di Gesù
nella sua verità propria, pur riferito ad un complesso di percezioni naturalisticamente
significanti, non è mai equivocabile con una qualche pura oggettività dell’esserci” (214).
Liturgia eucaristica e Scritture vanno insieme, metastoria e storia sono strettamente correlate.

2. La prefigurazione dell’Eucaristia nell’Antico Testamento


L’ISTITUZIONE DELL’EUCARISTIA costituisce un momento di sintesi di tutta la vita di Gesù (che è venuto
per restare con noi, donandosi pienamente: l’incarnazione implica già la presenza eucaristica).
Tale gesto però non è comprensibile se non sullo sfondo dell’Antico Testamento e, anzi,
dell’intera storia religiosa dell’umanità: c’è una dinamica cristologica e pneumatologica che
muove fin dall’inizio la creazione (tutto l’Antico Testamento ha carattere prefigurativo, cosicché
arrivati a Gesù si ha la chiave di lettura per comprendere l’Evento cristologico); tutta la tradizione
cristiana ha visto nel dono eucaristico di Cristo il compimento delle figure religiose proprie della
religione naturale (i doni di Abele il giusto, l’oblazione pura e santa di Melchisedech) e della
tradizione di Israele (il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede).
Molte sono dunque le PREFIGURAZIONI DELL’EUCARISTIA nell’Antico Testamento, tra cui ha ruolo
centrale il plesso di elementi simbolici che configura l’esperienza dell’esodo – dalla cena
pasquale della notte della liberazione fino all’alleanza al Sinai – che costituisce un momento
decisivo nella storia della rivelazione divina, perché orienta in modo decisivo la TRADIZIONE
CULTUALE DI ISRAELE, entro cui si iscrive il gesto di Gesù.

A differenza delle religione coeve, in Israele la celebrazione rituale si configura come atto di
memoria relativo a un fatto storico; il ruolo del rito consiste proprio nel far emergere la qualità
simbolica degli accadimenti storici della salvezza, perché il popolo riconosca che la loro valenza
essenziale risiede nella loro portata interpellante per la libertà.
La presenza del rito non è semplicemente una realtà successiva all’intervento liberatore di Dio,
bensì una dimensione trasversale che lo sottende e lo interpreta dal di dentro (in Es 11-15 il
redattore alterna il racconto degli accadimenti con le indicazioni liturgiche per la festa).
La celebrazione dell’ALLEANZA AL SINAI non costituisce un momento rituale chiuso in se stesso; ma è
una tappa determinante dell’intero cammino verso la libertà, poiché raccoglie il senso
dell’iniziativa che Dio ha preso gratuitamente verso il popolo e ne rilancia il carattere
interpellante.
Il rito del Sinai ricapitola e ripresenta gli avvenimenti passati e, attraverso la decisione che
sollecita, apre realmente la possibilità del cammino futuro. La significatio rituale è
intrinsecamente connessa alla res cui dà voce e alla risposta pratica che sollecita. Se il rito si
riduce a qualcosa di esteriore, che venga soltanto “recitato” senza essere realmente vissuto,
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l’uomo perde la memoria del dono divino che è all’origine del suo viaggio e in questo modo
smarrisce anche il senso del suo andare: esso non è più una grazia, non è più un percorso di
liberazione, ma solo una fatica di cui non si percepisce il senso.
Nell’azione rituale la dinamica inclusiva che vincola rivelazione divina e decisione umana è così
realmente “sintetizzata”. Poiché porta in sé tutta la significatio della rivelazione divina, il rito
religioso non può essere gestito dall’uomo come se fosse semplicemente cosa propria. Se Dio
non si mostra di propria iniziativa, l’uomo non può costruirsi con le proprie mani il rito che gli
consenta di incontrarlo. La liturgia implica una istituzione: «non può scaturire dalla nostra
fantasia, dalla nostra creatività – in quel caso rimarrebbe un grido verso il buio o si
trasformerebbe in una mera autoaffermazione».
E ciò spiega perché solo con l’evento di Gesù la ratio sacramentalis interna alla rivelazione trovi la
sua piena attuazione. Il compiersi della rivelazione divina nell’evento cristologico si traduce
coerentemente nel compimento della sacramentalità, attraverso l’istituzione di quel nuovo
dispositivo rituale che si configura come RITO DI GESÙ.

3. L’Ultima Cena
3.1. Le tradizioni della Cena
Le testimonianze evangeliche sull’ULTIMA CENA possono essere ricondotte a due forme
fondamentali:
1) forma testamentaria
 Ultima Cena essenzialmente come un BANCHETTO caratterizzato da un DISCORSO DI ADDIO,
come:
- nell’Antico Testamento (Gn 49; Dt 33; 1Sam 12; 1Re 2; 1Mac 2,49-70; Tb 4; 14),
- nella letteratura ebraica apocrifa (Iub 7; 20; 35; 36; Enoch 91-93 ecc.);
- nel Nuovo Testamento (At 20,17-38; 1Tm 4,1; 2Tm 3,1-4,10).
 vi appartiene il VANGELO DI GIOVANNI, che colloca all’interno dell’Ultima Cena un lungo
discorso di congedo di Gesù (13-17), caratterizzato dai tratti tipici del GENERE
“TESTAMENTARIO”:
- annuncio della vicinanza della morte,
- riunione di una cerchia specifica di destinatari,
- consegna delle ultime parole,
- esortazione a vivere nella carità,
- espressioni tipiche (es. “figlioletti miei”…),
- ecc.
2) forma cultuale
 trasmessa come un RACCONTO LITURGICO, che si caratterizza per
- concisione,
- vocabolario peculiare
- intenzione di raccontare un’azione fondante alla base della prassi liturgica della
comunità (le comunità degli anni 70-80 già celebrano una forma primitiva di eucaristia:
ecco perché dell’Ultima Cena raccontano quasi nulla se non i soli due gesti fondativi).
 appartengono MATTEO (26,26-29), MARCO (14,22-25), LUCA (22,14-20) e PAOLO (1Cor 11,23-
26).
- testo paolino elementi molto chiari:

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o introduce il racconto della Cena con il linguaggio solenne e autorevole della PARADOSI:
“Io infatti ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1Cor
11,23);
o il testo della Cena ha innegabilmente un CARATTERE PREPAOLINO e contiene vari
elementi che esulano dallo stile e dal vocabolario di Paolo (uso assoluto di
paradidomi e di eucharisteo, le parole anamnesis o klao senza complemento, e
soprattutto to soma per indicare il corpo personale di Gesù).
- Sinottici:
o il testo della Cena appartiene a una TRADIZIONE ANTERIORE “LITURGICA” poi “cucito”:
 ben visibile in Marco (seguito da Mt): la ripetizione (v.22), piuttosto innaturale, di
un elemento già introdotto al v.18 (“e mentre essi mangiavano …”) e alla
conclusione del racconto il passaggio dal calice appena qualificato come sangue
dell’alleanza (v.24) al tema del frutto della vite (v.25); inoltre il riferimento all’hallel
(v.26), si collega piuttosto con il banchetto dei vv.16-18 e non trova alcun
collegamento nel racconto della Cena.
o lo STILE IERATICO, che si concentra sui gesti e sulle parole di Gesù, senza dir nulla della
reazione dei discepoli e la tendenza alla stilizzazione e alla simmetria (la stessa cena
non viene raccontata, ma il gesto sul pane e sul vino non avvennero consequenziali!).
 il confronto attento tra le quattro redazioni di questa forma permette di riconoscere:
- tradizione marciana (Mc e Mt) = tradizione nella Chiesa di Gerusalemme
- tradizione antiochena (Lc e Paolo) = tradizione nella Chiesa di Antiochia
Matteo 26 Marco 14 Luca 22 1 Cor 11
20 17 14 23
Venuta la sera, si mise a Venuta la sera, egli arrivò Quando venne l’ora, Io, infatti, ho ricevuto dal
tavola con i Dodici. con i Dodici. prese posto a tavola e gli Signore quello che a mia
apostoli con lui, volta vi ho trasmesso:
21
Mentre mangiavano 18
Ora, mentre erano a 15
e disse loro: «Ho tanto
disse: «In verità io vi dico, tavola e mangiavano, desiderato mangiare
uno di voi mi tradirà». 22Ed Gesù disse: «In verità io vi questa Pasqua con voi,
essi, profondamente dico: uno di voi, colui che prima della mia passione,
rattristati, cominciarono mangia con me, mi 16
perche io vi dico: non la
ciascuno a domandargli: tradirà». 19Cominciarono a mangerò più, finché essa
«Sono forse io, Signore?». rattristarsi e a dirgli, uno non si compia nel regno di
23
Ed egli rispose: «Colui dopo l’altro: «Sono forse Dio». 17E ricevuto un
che ha messo con me la io?». 20Egli disse loro: calice, rese grazie e disse:
mano nel piatto, è quello «Uno dei Dodici, colui che «Prendetelo e fatelo
che mi tradirà. 24Il Figlio mette con me la mano nel passare tra voi, 18perche io
dell’uomo se ne va, come piatto. 21Il Figlio dell’uomo vi dico: da questo
sta scritto di lui, ma guai a se ne va, come sta scritto momento non
quell’uomo dal quale il di lui; ma guai a berrò più del frutto della
Figlio dell’uomo viene quell’uomo, dal quale il vite, finché non
tradito! Meglio per Figlio dell’uomo viene verrà il regno di Dio».
quell’uomo se non fosse tradito! Meglio per
mai nato!». 25Giuda, il quell’uomo se non fosse
traditore, disse: «Rabbì, mai nato!».
sono forse io?». Gli
rispose: «Tu l’hai detto».
26 22
Ora, mentre essi E, mentre mangiavano il Signore Gesù, nella notte
mangiavano, Gesù in cui veniva tradito,

prese il pane, recito la prese il pane e recito la 19


Poi, prese il pane, rese prese del pane 24e, dopo
benedizione, lo spezzo, e, benedizione, lo spezzo e lo grazie, lo spezzò e lo diede aver reso grazie, lo spezzò
mentre lo dava ai discepoli diede loro, dicendo: loro dicendo: e disse:
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disse:
«Prendete, mangiate: «Prendete, questo e il mio «Questo è il mio corpo che «Questo è il mio corpo,
questo e il mio corpo». corpo». è dato per voi; che è per voi;
fate questo in memoria di fate questo in memoria di
me». me».

27
Poi prese il calice, rese 23
Poi prese un calice e 20
E, dopo aver cenato, fece 25
Allo stesso modo, dopo
grazie e lo diede loro, rese grazie, lo diede loro e lo stesso con il calice aver cenato, prese anche il
ne bevvero tutti. calice,
24
dicendo: E disse loro: dicendo: dicendo:
«Bevetene tutti, 28perché
questo e il mio sangue «Questo e il mio sangue «Questo calice è la nuova «Questo calice è la nuova
dell’alleanza, che e versato dell’alleanza che e versato alleanza nel mio sangue, alleanza nel mio sangue;
per molti per il perdono per molti. che è versato per voi».
dei peccati. fate questo, ogni volta che
ne bevete, in memoria di
29
Io vi dico che d’ora in poi 25
In verità io vi dico che io me». 26Ogni volta infatti
non berrò di questo frutto non berrò mai più del che mangiate questo pane
della vite fino al giorno in frutto della vite fino al e bevete di questo calice,
cui lo berrò nuovo con voi, giorno in cui lo berrò voi annunciate la morte
nel regno del Padre mio». nuovo, nel regno di Dio». del Signore, finché egli
venga.
21
«Ma ecco, la mano di
colui che mi tradisce è con
me, sulla tavola. 22Il Figlio
dell’uomo se ne va,
secondo quanto è
stabilito; ma guai a
quell’uomo dal quale egli
viene tradito!».
 TRADIZIONE MARCIANA  TRADIZIONE ANTIOCHENA
- è più ricca di semitismi (origine in ambiente - è povera di semitismi, per questo si ritiene
giudaico: Gerusalemme o Cesarea) abbia origine in ambiente ellenistico
- eulogheo (benedire) - eucaristeo (ringraziare)
- sottolinea il carattere relazionale (dono e - ESPLICITA IL VALORE DELLA MORTE REDENTRICE:
accoglienza) e dialogico della cena: “corpo dato per voi” (Lc);
“diede loro”, “prendete”, “diede loro”; “corpo per voi” (1Cor)
“bevetene” (Mt)
- parallelismo tra parole sul pane e sul calice - asimmetria tra parole sul pane e sul calice
- ORDINE DI RIPETIZIONE (fate questo in
memoria di me) (in Lc una volta, in 1Cor
due volte)
- “SANGUE” DELL’ALLEANZA: riferimento alleanza - QUESTO “CALICE” È LA “NUOVA” ALLEANZA:
sinaitica (Es 24,8), e in particolare al valore menzionato calice, non sangue; riferimento
espiatorio del sangue del sacrificio a nuova alleanza (Ger 31,31; Ez) più che a
- “VERSATO PER MOLTI”: portata universale del alleanza sinaitica
sacrificio redentore (cfr. Is 53,10-12). - tra il pane e il calice è menzionato un
Mt precisa “in remissione dei peccati” pasto (dopo aver cenato…)
- loghion escatologico collocato alla fine: - Lc in cornice iniziale (primo calice);
riferimento al banchetto escatologico Paolo sintetizza in “finché egli venga”
- cornice introduttiva: SEPARAZIONE - Lc: riferimento al tradimento è alla fine;
DRAMMATICA Paolo: riferimento al tradimento sintetico
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Dunque, ecco gli ELEMENTI DELLA TRADIZIONE CULTUALE:
- prima: riferimento al TRADIMENTO (separazione)
- al centro: PAROLE E GESTI DELL’ISTITUZIONE rappresentati in parallelo nelle varie versioni, ma con
alcune differenze peculiari marciane e antiochene
- dopo: riferimento ESCATOLOGICO (comunione definitiva)
 l’istituzione è incorniciata tra un tradimento e la comunione escatologica
Nel confronto tra le due tradizioni, gli specialisti hanno cercato a lungo di determinare quale delle
due forme riportasse i dati più arcaici e originari, giungendo però a conclusioni opposte:
- Jeremias, seguito da numerosi studiosi, ha sostenuto la maggiore originarietà di Mc,
- Schürmann ha sostenuto la priorità di Lc.
Pur nella diversità degli orientamenti esegetici, che paiono comunque abbandonare l’impostazione
metodologica che portava a cercare le IPSISSIMA VERBA DELLA CENA, elementi su cui c’è convergenza
sono i seguenti:
- ogni tradizione presenta degli elementi arcaici insieme ad altri più recenti;
- in ogni tradizione si riconosce, in misura diversa, l’influsso della pratica liturgica comunitaria;
- impossibile ricostruire una forma originaria da cui tutte le tradizioni dipendano: a tale
conclusione sono giunti gli stessi Schürmann e Jeremias. Verosimile che ogni centro della prima
cristianità (Gerusalemme, Cesarea, Antiochia) avesse la propria forma di tradizione della Cena.
Se non può essere ricostruita una forma originaria e non si può risalire con certezza all’ipsissima
vox, è però concordemente accettata la sicura storicità del fatto. L’attestazione molteplice,
l’originalità dei gesti di Gesù, l’influsso del modello eucaristico su altri passi del Nuovo
Testamento, l’antichità delle tradizioni che lo riportano fanno della Cena uno dei dati più sicuri
della vita di Gesù.

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3.2. Il contesto
Importante mettere in evidenza il contesto in cui vengono a collocarsi PAROLE E GESTI DELL’ISTITUZIONE
e la prospettiva complessiva in cui si inseriscono. La lettura attenta delle pericopi in esame
permette di rintracciare tre elementi caratterizzanti:
1. tradimento di Giuda
2. nuova comunione con Gesù
3. situazione del pasto (convivialità)
3.2.1. Separazione e comunione
1. Il primo elemento è attestato dall’esordio delle pericopi, che in maniera unanime, anche se con
terminologia diversa, fanno riferimento al TRADIMENTO DI GIUDA:
-PAOLO introduce il racconto liturgico con l’espressione “nella notte in cui fu tradito” (v.23);
-MC e MT riportano l’annuncio del tradimento nei vv. immediatamente precedenti l’istituzione
(Mc 14,17-21; Mt 26,20-25) e ciò costituisce l’unico altro particolare della Cena che è
ricordato;
-in LC è spostato al termine, connesso con la seconda frase di istituzione (Lc 22,21-23).
L’istituzione dell’eucaristia avviene dunque nel contesto del tradimento di Gesù da parte di uno
dei suoi. Non è Gesù in primis che sceglie di morire, ma EGLI SI TROVA AD ESSERE CONSEGNATO NELLA
MANI DEL POTERE RELIGIOSO E CIVILE CHE LO CONDANNERÀ A MORTE, DA PARTE DI UNO DEI SUOI PIÙ INTIMI .
E tuttavia i sinottici iscrivono anche questo elemento in una misteriosa “necessità”: “Il Figlio
dell’uomo se ne va, come è scritto di lui” (Mt 26,24 cfr. Mc 14,21; Lc 22,22).
2. Il secondo elemento va rintracciato nella conclusione del testo, che contiene un chiaro
riferimento alla venuta ultima del Signore, ad una NUOVA COMUNIONE CON LUI che si compirà nel
banchetto escatologico:
-in PAOLO trova formulazione nel commento conclusivo del v. 26: “finché egli venga”;
-in MC e MT alle parole sul calice segue: “D’ora innanzi non berrò più di questo frutto della
vite, fino a quel giorno quando lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26,29);
-in LC l’affermazione e spostata all’inizio e connessa al primo calice (Lc 22, 18).
Al tema di una separazione per tradimento, che apre il brano, fa così da contrasto il tema di un
ricongiungimento, di un incontro, di una comunione oltre la morte, a cui i discepoli sono rinviati
proprio attraverso il segno del banchetto. C’è dunque un MORIRE DI GESÙ, legato al TRADIMENTO di
Giuda, che però non avviene per la morte, ma per una nuova vita; c’è una SEPARAZIONE dai
discepoli che avviene però sullo sfondo di una NUOVA COMUNIONE più profonda, di cui quella
separazione rappresenta la condizione.
L’istituzione dell’Eucaristia avviene in procinto dell’evento ultimo di Gesù; ci sono “tre consegne”:
I. GIUDA CONSEGNA GESÙ
Nel tradimento di Giuda, che sarà raccontato subito dopo, si raccoglie il tradimento di tutto
Israele e di tutta l’umanità; gli eventi precipitano perché Giuda ha già preso accordi per
consegnare Gesù ai sommi sacerdoti: παραδιδομι – paradidomi, tradotto in tradere, da cui:
-“tradimento” (consegna negativa, ingiusta) e
-“tradizione” (consegna positiva di un’eredità, di un dono per la vita).
II. GESÙ CONSEGNA SE STESSO
Durante l’Ultima Cena, Gesù non subisce questa consegna, ma Gesù la capovolge dal di
dentro, cosicché quel gesto con cui Giuda lo dà, diviene il gesto attraverso cui Gesù consegna
se stesso! Questo è il senso della Pasqua: prendere un gesto di tradimento e assumerlo come
10
massima espressione del suo vincere il male con il bene! Dà la vita per le pecore …come aveva
insegnato.
III. IL PADRE CONSEGNA IL FIGLIO
Gesù consegna se stesso nella fiducia piena al Padre: egli non consegna se stesso al modo di
un eroe storico, nella modalità spettacolare, ma nella modalità in cui ha sempre vissuto: da
figlio, ponendo la sua vita filiale in riferimento al Padre; atteggiamento proprio di Gesù che
affida nelle mani del Padre la sua vita perché Egli possa distribuire il suo corpo e sangue a tutti
nel mondo.
 Una volta per tutte, gli apostoli colgono la verità della consegna di Gesù, i cui gesti avranno
piena attuazione dell’alleanza nel banchetto escatologico.
3.2.2. Situazione di convivialità
3. Proprio il carattere paradossale di questa separazione/comunione viene messo in risalto dal
terzo elemento caratterizzante, che è dato dalla SITUAZIONE DEL PASTO. Esso va inteso, anzitutto,
sullo sfondo dei numerosi passi evangelici che individuano nei banchetti di Gesù un luogo
peculiare della manifestazione della venuta del Regno. Scrive a questo riguardo il Bordoni:
“Non è possibile separare la cena di addio di Gesù dalla lunga serie dei pasti
quotidiani da lui consumati con i discepoli, ma anche con i peccatori e con gli
emarginati della società giudaica. Questa comunione conviviale e gioiosa che già di
per sé esprime per gli orientali, come ogni comunanza di tavola, una comunione di
vita, di fratellanza e di pace, aveva però nella missione di Gesù un significato
particolare in quanto poteva considerarsi un segno concreto, tangibile del Regno
escatologico in atto. Gesù annunciava l’avvento del Regno di Dio soprattutto come
manifestazione escatologica di grazia e di perdono da parte di Dio verso i poveri, i
peccatori, i piccoli ed aveva spesso presentato simbolicamente questo Regno che
viene con l’immagine corrente del pasto (Mt 8,11; Lc 14, 15-24, Mc 2, 18s.) Ma erano
soprattutto i suoi incontri reali conviviali con le genti povere ed umili della Galilea
che significavano il dono, l’offerta decisiva della salvezza a chi è caduto in colpa, la
conferma tangibile del perdono di Dio. Di qui il risentimento e la critica spietata dei
farisei (Lc 15,2; Mc 2, 15-17, Mt 11,19) per i quali era inconcepibile una comunanza di
tavola con i reietti”.
L’Ultima Cena, però, è l’unico racconto di un pasto preso da Gesù con i soli discepoli; tale
elemento ne mette in luce il carattere eccezionalmente importante, sottolineato anche
dall’insistenza degli evangelisti sui preparativi (Mt 26, 17-19; Mc 14, 12-16; Lc 22, 7-13) e dai
verbi che si riferiscono alla convivialità: Gesù “era a tavola con i Dodici. E mentre essi
mangiavano” (Mt), “mentre essi erano a tavola e mangiavano” (Mc), “si mise a tavola e gli
apostoli erano con Lui” (Lc), “Ho desiderato di un grande desiderio mangiare con voi questa
pasqua” (Lc).
Proprio la situazione di convivialità dà massimo risalto alla tensione tra gli elementi dell’evento:
1. la COMUNIONE CONVIVIALE: i discepoli sono radunati intorno ad una mensa (a tavola con Lui) con
Gesù che svolge il ruolo di capofamiglia (prese il pane ... lo spezzò);
2. la SEPARAZIONE introdotta dal TRADIMENTO: il Figlio dell’uomo è tradito da “uno che intinge con
me la mano nel piatto” (Mc 14,20, cfr. Mt e Lc); con riferimento al Sal 41,10 (“anche l’amico che
mangiava il mio pane alza contro di me il suo calcagno”): “uno di voi, colui che mangia con me,
mi tradirà” (Mc 14,18, cfr. Mt); Gv 13,27: “E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui”.
Tale divisione rimanda all’azione di colui che è per eccellenza il dia-bolos, “colui che divide”;
11
3. la FRATTURA DELLA MORTE: “non berrò più del frutto della vite”, “corpo dato”, “sangue versato”;
4. la COMUNIONE OLTRE LA MORTE: Gesù invita a nutrirsi non solo di uno stesso cibo, ma a cibarsi di
Lui, per aver parte al suo destino: “prendete, mangiate, questo è il mio corpo. …Bevetene
tutti…” (Mt 26, 26.27); e a ripetere quel gesto in memoria di lui: “fate questo ogni volta che ne
bevete in memoria di me” (1Cor 11,25); “lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt
26, 29).
Dunque, la dinamica simbolica del MANGIARE si sviluppa nel racconto dell’istituzione nell’Ultima
Cena attraverso fondamentali elementi:
1. mangiare insieme è segno della COMUNIONE (condividere la mensa è condividere la vita);
2. mangiare diviene in Giuda segno della SEPARAZIONE e del tradimento;
3. questo mangiare viene “ribaltato” da Cristo facendo diventare CORPO E SANGUE di Cristo;
4. così il mangiare diviene segno della COMUNIONE DEFINITIVA con il Signore.
Non bisogna pensare ad una semplice cena tra amici: il banchetto in cui è istituita l’eucaristia è un
BANCHETTO RELIGIOSO e va compreso sullo sfondo della pratica ebraica del pasto rituale.

3.2.3. L’ultima cena fu una cena pasquale?


Si pone a questo punto il problema se la cena rituale entro cui Gesù ha istituito l’Eucaristia sia la
Cena Pasquale ebraica o no. È questione estremamente complessa, che non ha risposta unanime.
Il problema nasce dall’incompatibilità tra il calendario dei Sinottici e quello giovanneo, sulla
diversa collocazione della festa ebraica di Pasqua (15 Nisan): di venerdì (Sinottici) o di sabato
(Giovanni).
Ciò su cui entrambi le tradizione convergono sicuramente è che Gesù morì di venerdì:
- per i SINOTTICI dunque Gesù morì nel giorno della festa pasquale ebraica e l’ultima cena si svolse
la sera precedente, dopo il tramonto, come vera cena pasquale;
- per GIOVANNI invece Gesù morì alla vigilia della Pasqua ebraica, nell’ora in cui al Tempio
venivano uccisi gli agnelli che dopo il tramonto sarebbero stati mangiati nella cena pasquale.
CALENDARIO EBRAICO 13 Nisan 14 Nisan 15 Nisan 16 Nisan
vigilia/parasceve Pasqua

alle 15
sacrificio Agnelli
presso il Tempio

dopo il tramonto
(inizio Pasqua)
Cena Pasquale
SINOTTICI Giovedì Venerdì
Preparazione della Processo
Cena
Crocifissione (VI)
dopo il tramonto Ore 15 morte (IX)
(inizio Pasqua)
Cena Pasquale

arresto di Gesù
GIOVANNI Giovedì Venerdì Sabato Domenica
Preparazione Cena Processo

Crocifissione
12
Ore 15 morte (IX)
(mentre al Tempio
dopo il tramonto si immola agnelli)
la Cena Pasquale
Sepoltura rapida
perché inizia il
Sabato di Pasqua
arresto di Gesù
Per i sinottici, l’Ultima Cena è chiaramente la CENA PASQUALE, che costituiva il memoriale della
liberazione dall’Egitto: “Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi
discepoli gli dissero: ‘Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?’”
(Mc 14,12). A sostegno di questa interpretazione, Jeremias ha elencato tutta una serie di
elementi che, a suo giudizio, proverebbero con certezza che Gesù e i discepoli SEGUIRONO IL RITO
DELLA CENA PASQUALE: permanenza a Gerusalemme, cena durante la notte, numero dei convitati,
canto dell’hallel ecc.
Molti elementi della tradizione liturgica e magisteriale sembrano aver ACCOLTO QUESTA CRONOLOGIA:
basti pensare che la scelta del pane di frumento non lievitato, cioè azzimo, per l’Eucaristia
proviene direttamente dall’uso della cena pasquale ebraica; così pure numerosi testi della liturgia
sono ispirati alla teologia del memoriale pasquale.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1340 sembra confermare l’opinione tradizionale
affermando:
Celebrando l’ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù
ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il
passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua risurrezione, è
anticipata nella Cena e celebrata nell'Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua
ebraica e anticipa la Pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno.
Altri autori però ritengono questa TESI PROBLEMATICA, sia per elementi interni ai racconti (non si
parla dei pani azzimi, delle erbe e dell’agnello…), sia perché sembra poco probabile che gli eventi
della Passione avvenissero durante un giorno festivo così importante come la Pasqua.
Diversi storici ed esegeti (Léon-Dufour, Brown, Meier, etc.) preferiscono seguire la cronologia
giovannea e pensare a una CENA RITUALE IN VICINANZA DELLA FESTA EBRAICA DI PASQUA , ma non
secondo il rito della cena pasquale. In questa prospettiva le affermazioni dei sinottici sul
“mangiare la Pasqua” andrebbero intese nel senso della Pasqua di Gesù (viene preparato il
banchetto in cui Gesù consegna la “sua” Pasqua) e non nel senso del celebrare il banchetto della
pasqua ebraica.
Su questa linea si è espresso anche J. Ratzinger /Benedetto XVI nel secondo volume dell’opera
Gesù di Nazaret. Riportiamo più sotto il testo, che ovviamente non ha valore magisteriale e non
pretende affatto di concludere la discussione, ma costituisce una presa di posizione significativa.
Negli anni ’50 un notevole contributo al problema è venuto dagli studi di Annie Jaubert, che sulla
base dell’esistenza al tempo di Gesù di un calendario solare, distinto da quello usato nel Tempio
e noto attraverso il Libro dei Giubilei e attraverso Qumran, ha ipotizzato una spiegazione che
fisserebbe LA CENA E IL SUCCESSIVO ARRESTO NELLA SERA DI MARTEDÌ e la MORTE DI GESÙ IL VENERDÌ: questa
spiegazione permetterebbe di rispettare tanto la cronologia dei sinottici quanto quella di

13
Giovanni, spiegando le differenze con il fatto che i sinottici seguirebbero il calendario solare,
mentre Giovanni seguirebbe quello del Tempio. Tale tesi, suffragata da molti elementi, rimane
attualmente un elemento importante del dibattito, ma presenta anche delle zone oscure, che
non permettono semplicemente di ritenerla risolutiva.
 Senza entrare nei dettagli del problema, che rimane dibattuto con abbondanza di elementi
eruditi a favore tanto di una tesi quanto dell’altra, ciò su cui i commentatori normalmente
convergono è che l’ultima cena fu una CENA RITUALE IN CONTESTO PASQUALE; con essa Gesù voleva
ISTITUIRE LA “SUA” PASQUA. E questo è sufficiente per orientare l’interpretazione teologica.

Riportiamo di seguito due testi:


a) la posizione di J. RATZINGER/BENEDETTO XVI espressa nel II volume dell’opera Gesù di Nazareth;
b) la collocazione GESTI EUCARISTICI qualora Gesù avesse usato il rito della cena pasquale e qualora
avesse usato un rito non pasquale della cena (secondo la ricostruzione di LÉON-DUFOUR).
a) Ratzinger1
Giovanni bada con premura a non presentare l’ultima cena come cena pasquale. Al contrario: le
autorità giudaiche che portano Gesù davanti al tribunale di Pilato evitano di entrare nel pretorio
«per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua» (18,28). La Pasqua comincia quindi solo alla
sera; durante il processo si ha la cena pasquale ancora davanti; processo e crocifissione avvengono
nel giorno prima della Pasqua, nella «Parascève», non nella festa stessa. La Pasqua in quell’anno si
estende dunque dalla sera del venerdì fino alla sera del sabato e non dalla sera del giovedì fino alla
sera del venerdì. Per il resto, lo svolgimento degli eventi rimane lo stesso. GIOVEDÌ sera l’ultima
cena di Gesù con i discepoli, che però non è una cena pasquale; VENERDÌ (vigilia della festa e non la
festa stessa): il processo e l’esecuzione capitale; SABATO: il riposo del sepolcro; DOMENICA: la
risurrezione. Con questa cronologia, Gesù muore nel momento, in cui nel tempio vengono
immolati gli agnelli pasquali. Egli muore come l’Agnello vero che negli agnelli era solo
preannunciato.
Questa coincidenza teologicamente importante, che Gesù muoia contemporaneamente con
l’immolazione degli agnelli pasquali, ha indotto molti studiosi a liquidare la versione giovannea
come cronologia teologica. Giovanni avrebbe cambiato la cronologia per creare questa
connessione teologica che, tuttavia, nel Vangelo non viene manifestata esplicitamente. Oggi, però,
si vede sempre più chiaramente che la cronologia giovannea è storicamente più probabile di quella
sinottica. Poiché — come s’è detto — processo ed esecuzione capitale nel giorno di festa
sembrano poco immaginabili. D’altra parte, l’ultima cena di Gesù appare così strettamente legata
alla tradizione della Pasqua che la negazione del suo carattere pasquale risulta problematica.
Per questo già da sempre sono stati fatti dei TENTATIVI DI CONCILIARE LE DUE CRONOLOGIE TRA LORO . Il
tentativo più importante — e in molti particolari affascinante — di giungere ad una compatibilità
tra le due tradizioni proviene dalla studiosa francese Annie Jaubert, che fin dal 1953 ha sviluppato
la sua tesi in una serie di pubblicazioni. Non dobbiamo qui entrare nei dettagli di tale proposta;
limitiamoci all’essenziale. In questo modo la tradizione sinottica e quella giovannea appaiono
ugualmente giuste sulla base della differenza tra due calendari diversi.
La studiosa francese fa notare che le cronologie tramandate (nei sinottici e in Giovanni) devono
mettere insieme una serie di avvenimenti nello spazio stretto di poche ore: l’interrogatorio davanti
al sinedrio, il trasferimento davanti a Pilato, il sogno della moglie di Pilato, l’invio ad Erode, il

1
J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. II. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla
risurrezione, LEV, Città del Vaticano 2011, 124ss.
14
ritorno da Pilato, la flagellazione, la condanna a morte, la via crucis e la crocifissione. Collocare
tutto questo nell’ambito di poche ore sembra — secondo Jaubert — quasi impossibile. Rispetto a
ciò la sua soluzione offre uno spazio temporale che va dalla notte tra martedì e mercoledì fino al
mattino del venerdì. In quel contesto la studiosa mostra che in Marco per i giorni «Domenica delle
palme», lunedì e martedì c’è una precisa sequenza degli avvenimenti, ma che poi egli salta
direttamente alla cena pasquale. Secondo la datazione tramandata resterebbero quindi due giorni
su cui non viene riferito nulla. Infine Jaubert ricorda che in questo modo il progetto delle autorità
giudaiche, di uccidere Gesù puntualmente ancora prima della festa, avrebbe potuto funzionare.
Pilato, tuttavia, con la sua titubanza avrebbe poi rimandato la crocifissione fino al venerdì.
Contro il cambio della data dell’ultima cena dal giovedì al martedì parla, però, l’antica tradizione
del GIOVEDÌ, che comunque incontriamo chiaramente già nel II secolo. Ma a ciò la signora Jaubert
obietta citando il secondo testo su cui si basa la sua tesi: si tratta della cosiddetta Didascalia degli
Apostoli, uno scritto dell’inizio del III secolo, che fissa la data della cena di Gesù al martedì. La
studiosa cerca di dimostrare che quel libro avrebbe accolto una vecchia tradizione, le cui tracce
sarebbero ritrovabili anche in altri testi. A questo bisogna, però, rispondere che le tracce della
tradizione, manifestate in questo modo, sono troppo deboli per poter convincere. L’altra difficoltà
consiste nel fatto che l’uso da parte di Gesù di un calendario diffuso principalmente in Qumran è
poco verosimile. Per le grandi feste, Gesù si recava al tempio. Anche se ne ha predetto la fine e l’ha
confermata con un drammatico atto simbolico, Egli ha seguito il calendario giudaico delle
festività, come dimostra soprattutto il Vangelo di Giovanni. Certo, si potrà consentire con la
studiosa francese sul fatto che il Calendario dei Giubilei non era strettamente limitato a Qumran e
agli Esseni.
Ma ciò non basta per poterlo far valere per la Pasqua di Gesù. Così si spiega perché la tesi di
Annie Jaubert, a prima vista affascinante, dalla maggioranza degli esegeti venga rifiutata.
Io l’ho illustrata in modo così particolareggiato, perché essa lascia immaginare qualcosa della
molteplicità e complessità del mondo giudaico al tempo di Gesù — un mondo che noi, nonostante
tutto l’ampliamento delle nostre conoscenze delle fonti, possiamo ricostruire solo in modo
insufficiente. Non disconoscerei, quindi, a questa tesi ogni probabilità, benché in considerazione
dei suoi problemi non sia possibile semplicemente accoglierla.
Che cosa dobbiamo dunque dire? La valutazione più accurata di tutte le soluzioni finora
escogitate l’ho trovata nel libro su Gesù di John P. Meier, che alla fine del suo primo volume ha
esposto un ampio studio sulla cronologia della vita di Gesù. Egli giunge al risultato che bisogna
scegliere tra la cronologia sinottica e quella giovannea e dimostra, in base all’insieme delle fonti,
che la decisione deve essere in favore di Giovanni. Giovanni ha ragione: al momento del processo
di Gesù davanti a Pilato, le autorità giudaiche non avevano ancora mangiato la Pasqua e per
questo dovevano mantenersi ancora cultualmente pure. Egli ha ragione: la crocifissione non è
avvenuta nel giorno della festa, ma nella sua vigilia. Ciò significa che Gesù è morto nell’ora in cui
nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali. Che i cristiani in ciò vedessero in seguito più di
un puro caso, che riconoscessero Gesù come il vero Agnello, che proprio così trovassero il rito degli
agnelli portato al suo vero significato — tutto ciò è poi solo normale.
Rimane la domanda: MA PERCHÉ ALLORA I SINOTTICI HANNO PARLATO DI UNA CENA PASQUALE? Su che
cosa si basa questa linea della tradizione? Una risposta veramente convincente a questa domanda
non la può dare neppure Meier. Ne fa tuttavia il tentativo — come molti altri esegeti — per mezzo
della critica redazionale e letteraria. Cerca di dimostrare che i brani di Mc 14,1a e 14,12-16 (gli
unici passi in cui presso Marco si parla della Pasqua) sarebbero stati inseriti successivamente. Nel
racconto vero e proprio dell’ultima cena non si menzionerebbe la Pasqua. Questa operazione —

15
per quanto molti nomi importanti la sostengano — è artificiale. Rimane però giusta l’indicazione di
Meier che cioè, nella narrazione della cena stessa presso i sinottici, il rituale pasquale appare tanto
poco quanto presso Giovanni. Così, pur con qualche riserva, si potrà aderire all’affermazione:
«L’intera tradizione giovannea (...) concorda pienamente con quella originaria dei sinottici per
quanto riguarda il carattere della cena come non appartenente alla Pasqua» (A Marginal Jew, I, p.
398).
Ma allora, CHE COSA È STATA VERAMENTE L’ULTIMA CENA DI GESÙ? E come si è giunti alla concezione
sicuramente molto antica del suo carattere pasquale? La risposta di Meier è sorprendentemente
semplice e sotto molti aspetti convincente. Gesù era consapevole della sua morte imminente. Egli
sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua. In questa chiara consapevolezza invitò i
suoi ad un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun
determinato rito giudaico, ma era il suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava se
stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua. In tutti i Vangeli sinottici fanno parte di
questa cena la PROFEZIA DI GESÙ SULLA SUA MORTE E QUELLA SULLA SUA RISURREZIONE . In Luca essa ha una
forma particolarmente solenne e misteriosa: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con
voi, prima della mia passione, poiché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel
regno di Dio» (22,15s). La parola rimane equivoca: può significare che Gesù, per un’ultima volta,
mangia l’abituale Pasqua con i suoi. Ma può anche significare che non la mangia più, ma
s’incammina verso la Pasqua nuova. Una cosa è evidente nell’intera tradizione: l’essenziale di
questa cena di congedo non è stata l’antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo
contesto. Anche se questo convivio di Gesù con i Dodici non è stata una cena pasquale secondo le
prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connessione interiore
dell’insieme con la morte e risurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù.
E in questo senso EGLI HA CELEBRATO LA PASQUA E NON L’HA CELEBRATA: i riti antichi non potevano
essere praticati; quando venne il loro momento, Gesù era già morto. Ma Egli aveva donato se
stesso e così aveva celebrato con essi veramente la Pasqua. In questo modo l’antico non era stato
negato, ma solo così portato al suo senso pieno.
La prima testimonianza di questa visione unificante del nuovo e dell’antico, che realizza la nuova
interpretazione della cena di Gesù in rapporto alla Pasqua nel contesto della sua morte e
risurrezione, si trova in Paolo in 1Cor 5,7: «Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova,
poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!» (A Marginal Jew, p. 429 ss).
Come in Mc 14,1 si susseguono qui il primo giorno degli Azzimi e la Pasqua, ma il senso rituale di
allora è trasformato in un significato cristologico ed esistenziale. Gli «azzimi» devono ora essere
costituiti dai cristiani stessi, liberati dal lievito del peccato. L’Agnello immolato, però, è Cristo.
In ciò Paolo concorda perfettamente con la descrizione giovannea degli avvenimenti. Per lui,
morte e risurrezione di Cristo sono diventate così la Pasqua che perdura. In base a ciò si può capire
come l’ultima cena di Gesù, che non era solo un preannuncio, ma nei Doni eucaristici comprendeva
anche un’anticipazione di croce e risurrezione, ben presto venisse considerata come Pasqua —
come la sua Pasqua. E lo era veramente.
b) Léon-Dufour
La cena pasquale ebraica
“…gli specialisti in materia rabbinica ritengono che si possa con molta approssimazione stabilire il
programma del banchetto. Dopo i preparativi, seguiva la celebrazione propriamente detta.
A) I PREPARATIVI

16
1. Bisognava preparare una stanza, abitualmente al piano superiore della casa, dove celebrare il
banchetto. Essa doveva accogliere per lo meno dieci persone che potevano distendersi su
divani. Doveva essere «arredata», diciamo «ammobiliata».
2. Bisognava procurarsi l’agnello da consumare, di un anno, senza difetti, abbastanza grosso
perché ogni invitato potesse mangiarne almeno quanto un’oliva (circa dieci grammi); lo si
poteva acquistare fra il 10 e il 14 Nisan.
3. I convitati dovevano essere ben scelti: la famiglia o un gruppo di amici; anche altre persone
potevano unirsi, ma prima che l’agnello fosse immolato nel Tempio.
4. L’agnello veniva portato al Tempio dal padre (o delegato); veniva sgozzato verso le 14.30 nel
cortile interno. Il sangue, raccolto in tazze, veniva accuratamente sparso ai piedi dell’altare; gli
veniva tolta la pelle e poi veniva preparato in modo da poterlo arrostire comodamente.
5. Nella casa veniva fatta sparire ogni traccia di lievito o di pasta fermentata; si mangiava soltanto
pane azzimo in ricordo del «pane di afflizione» preparato in fretta al momento di uscire
dall’Egitto. L’agnello veniva portato a casa e arrostito al fuoco su uno spiedo a forma di croce.
Doveva essere interamente arrostito, e non bollito, facendo in modo di non spezzarne le ossa.
6. Nella giornata (14 Nisan), il digiuno doveva essere rigorosamente osservato.
B) LA CELEBRAZIONE PASQUALE
Il banchetto poteva cominciare la sera del 14 Nisan, una volta cadute le tenebre; doveva
terminare all’alba del 15. Per il suo svolgimento, dà indicazioni chiare un testo della Misnâh.
1. In una stanza diversa dalla grande sala venivano serviti degli antipasti, che si consumavano
stando seduti. Erano serviti in abbondanza perché dovevano sfamare, in modo che l’agnello (le
cui porzioni erano abitualmente molto piccole) fosse semplicemente il coronamento del pasto.
Una formula di benedizione consacrava il giorno della festa e il (1°) calice di benedizione
(Qiddus).
Le portate comprendevano ortaggi (lattuga), erbe amare, marmellata (chiamata haróset)
ottenuta con frutti diversi (datteri, fichi, uva, mele, mandorle) schiacciati e macinati, il tutto
mescolato con spezie e aceto.
2. Poi, saliti nella grande sala, comincia la cena propriamente detta.
È già imbandita, ma non si tocca nulla. Viene distribuito un 2°  Questo sarebbe il primo
calice, ma non si beve. Un figlio pone alcune domande al padre. calice di cui parla Luca
Allora il padre legge la HAGGADAH, in aramaico, la quale spiega i riti,
come il pane azzimo e le erbe amare. In tal modo, gli invitati ricordano la liberazione dall’Egitto.
Segue la prima parte dell’Hallel (in ebraico), letto da uno solo, col ritornello ripetuto da tutti: il
salmo 113, letto fino al v. 9, oppure i salmi 113-114,3.
Infine si beve il 2° calice, calice di Haggadah.
Dopo questa precisa liturgia pasquale, comincia la cena. Non ci sono piatti, ma il pane (di forma
schiacciata) fa da cucchiaio per intingere nel piatto comune.
La BENEDIZIONE SUL PANE AZZIMO viene recitata dal padre di famiglia, in  A questo punto
istituzione sul pane
piedi, senza niente in mano. I commensali rispondono «Amen». Poi il

presidente prende il pane con la mano sinistra e con la mano destra ne distribuisce un pezzo
(non tagliato, ma staccato) a ogni commensale; quando ha finito, tutti mangiano il pezzo di
pane che hanno ricevuto.
In seguito, i commensali mangiano l’agnello pasquale, il pane azzimo, le
erbe amare, l’haróset e bevono il vino. Alla fine, l’azione di grazie sul  A questo punto
(3°) calice della benedizione (birkat hammason). istituzione sul vino

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Per concludere, viene versato il (4°) calice dell’Hallel e allora viene recitata la seconda parte
dell’Hallel, in ebraico (Sal 144-118).
La struttura della cena festiva giudaica
1. Rito del Qidduš, costituito da tre parti:
(1) rito del calice: lettura di Genesi + corta benedizione;
(2) seconda benedizione per la santificazione della festa (sabato o altra festa);
(3) benedizione del pane da parte del padre di famiglia, che poi lo depone sul tavolo, lo spezza e
lo distribuisce per la cena, che segue immediatamente.
BENEDIZIONE SUL CALICE
(A VOCE BASSA) «E fu sera e fu mattina: (A VOCE ALTA) sesto giorno. E furono terminati il cielo, la terra e
tutte le loro schiere. E terminò Dio, nel settimo giorno, il lavoro che aveva fatto, e cessò nel
settimo giorno da tutto il lavoro che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò,
perché in esso aveva cessato da tutto il lavoro che Dio aveva creato facendo» (Gn 1,31-2,3).
Benedetto sei tu Signore nostro Dio, re del mondo, che crei il  Questo sarebbe il primo
frutto della vite. calice di cui parla Luca
Benedetto sei tu Signore nostro Dio, re del mondo, che ci ha 
santificati con i suoi precetti e si è compiaciuto di noi; e il suo santo sabato, con amore e
benevolenza, ci ha dato in eredità come memoriale dell'opera della creazione, perché esso è il
giorno che ha inaugurato le sante convocazioni, ricordo dell'uscita dall'Egitto. Infatti siamo noi
che tu hai scelti, noi che hai santificati tra tutti i popoli, e tu ci hai dato in eredità, con amore e
benevolenza il tuo santo sabato. Benedetto sei tu, che santifichi il sabato.
BENEDIZIONE SUL PANE  A questo punto
Benedetto sei tu Signore nostro Dio, re del mondo, che fai uscire il istituzione sul pane
pane dalla terra. 

2. Cena vera e propria (durante la quale si cantano le zemirot, cioè gli inni rituali).
3. Rito del calice, accompagnato dalla preghiera di azione di grazie, la  A questo punto
Birkat ha-mazon, che non ha mai avuto un testo unico e normativo, istituzione sul vino
ma piuttosto uno schema di base. Esso è strutturato in tre parti: 
(1) il mondo intero (azione di grazie);
(2) la terra d’Israele (azione di grazie);
(3) Gerusalemme (supplica per l’unità).
Il testo qui riportato è tratto dal Libro dei Giubilei (22,6-9) e risale al 100 a.C.
“COLUI CHE NUTRE (ha-zan). Benedetto sei tu Signore nostro Dio, re del mondo, che nutre il
mondo intero con bontà, con grazia e con misericordia. Egli dona il cibo a ogni carne, perché
eterna è la sua grazia verso di noi e la sua grande bontà. Mai ci è mancato, né mai ci mancherà
ogni bene, per riguardo al suo Nome grande, perché egli nutre e alimenta tutti. Benedetto sei
tu Signore, che nutri tutti.
BENEDIZIONE DELLA TERRA (birkat ha-’ares). Noi ti ringraziamo, Signore nostro Dio, poiché ci hai
fatto ereditare una terra desiderabile, buona e spaziosa, il patto e la Torà, la vita e la pace. Per
tutte queste cose noi ti ringraziamo e benediciamo il tuo Nome grande e santo, in eterno e per
sempre. Benedetto sei tu Signore, per la terra e per il cibo.

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BENEDIZIONE DI GERUSALEMME (birkhat Jerushalajim). Abbi misericordia, Signore nostro Dio, di
Israele tuo popolo, di Gerusalemme tua città, del regno della casa di David tuo Messia, e della
casa grande e santa sulla quale è stato invocato il tuo Nome. Il regno della casa di David
affrettati a ristabilire al suo posto, nei nostri giorni; ricostruisci presto Gerusalemme, facci
tornare in mezzo a essa e rallegraci in essa. Benedetto sei tu Signore, che nella sua misericordia
ricostruisce Gerusalemme. Amen”.
3.3. L’istituzione dell’eucaristia
3.3.1. Personaggi
I personaggi DIRETTAMENTE NOMINATI sono Gesù, in di assoluto risalto, e i discepoli.
Poi, in posizione MENO EVIDENTE, ma assai rilevante per la comprensione vi sono il Padre e i molti.
 Gesù domina la situazione: tutto quanto ha a che fare con la Cena è ricondotto alla sua iniziativa
(dai preparativi che comanda di compiere ai discepoli fino ai gesti sorprendenti e inattesi che egli
liberamente compie durante il banchetto); NULLA LO COSTRINGE, neppure il tradimento di Giuda:
non si limita a subirlo come vittima sopraffatta dalle circostanze, ma lo assume personalmente,
trasformandone profondamente il senso. NEPPURE IL RITO DELLA CENA GLI SI IMPONE, come un codice
cui sottomettersi; anzi egli appare come Colui che ne detiene il segreto ultimo, la chiave di
accesso fondamentale, la grammatica che egli piega ad esprimere la novità indeducibile del suo
mistero. Per questo tutte le azioni e le parole della pericope hanno come protagonista il Signore
e pongono in risalto IL PRONUNCIARSI DELLA SUA LIBERTÀ E IL GESTO PERSONALE DELLA SUA OBLAZIONE.
 I discepoli non sono ridotti a spettatori; anzi, il contenuto di gesti e parole di Gesù ha il senso di
COINVOLGERLI PIENAMENTE in ciò che la sua libertà sta suscitando; le parole (“questo è il mio corpo”,
“questo è il mio sangue”) che annunciano/costituiscono la NOVITÀ DEL CONTENUTO introdotto nei
segni eucaristici, infatti:
1) si situano in CONTESTO PROFONDAMENTE DIALOGICO (“lo diede loro”, “prendete e
mangiate/bevete”, “fate questo in memoria di me”) e
2) presentano il contenuto nell’eucaristia come un mistero che mira alla RELAZIONE TRA GESÙ E I
SUOI (“mio corpo dato per voi”, “mio sangue versato per voi”, “sangue dell’alleanza”).
Il mistero dell’eucaristia, creato liberamente dal Signore, è dunque consegnato ai discepoli come
ciò che radicalmente li riguarda.
 Il Padre non è nominato esplicitamente, ma è chiaramente evocato come Colui
1. cui si rivolge la BENEDIZIONE/il rendimento di grazie di Gesù,
2. da cui proviene l’INIZIATIVA DELL’ALLEANZA,
3. nel cui regno si compirà il BANCHETTO ESCATOLOGICO (Mt è esplicito: “nel regno del Padre mio”).
Il dato è molto importante, perché permette di cogliere la figura della coscienza filiale di Gesù
che nel momento stesso in cui pretende di porre la consegna di sé come evento assoluto della

19
salvezza (remissione dei peccati universale e nuova alleanza), lo fa relativizzandosi all’iniziativa
del Padre. E ciò rappresenta in actu la rivelazione di un’alterità interna alla vita di Dio (rivelazione
trinitaria).
 I molti sono evocati come orizzonte di fondo e come destinatari del gesto di Gesù, che – nella
redazione di Mc e Mt – parla del suo sangue “versato per molti”, ovvero VERSATO PER TUTTI. Ciò che
avviene nell’intima cerchia del Cenacolo viene così a collocarsi nel quadro della salvezza
universale, come gesto che non intende suscitare una conventicola di eletti, ma si destina
intenzionalmente alla partecipazione di ogni uomo.
3.3.2. Gesti
La redazione dei Sinottici e di Paolo mostrano che l’interesse della prima comunità cristiana non fu
quello di “prolungare” la cena ebraica, 2 ma di trattenere e in certo senso distinguere da essa solo
QUEI GESTI E QUELLE PAROLE A CUI GESÙ AVEVA DATO UN NUOVO SENSO . Di fatto la cena ebraica,
comunque essa si sia svolta, è il dato che i resoconti lasciano cadere, concentrando l’attenzione
sulla frazione del pane e sull’azione di grazie sul calice, che vengono isolati dal pasto che pure li
inframmezzò (di cui rimane solo l’annotazione lucana “dopo aver cenato”). Questo è avvenuto
benché la connessione del banchetto sacro con quello escatologico avrebbe dovuto orientare a
mettere in primo piano il convito, e non a sfumarlo a favore dei due gesti. “L’importanza data ai
due gesti, presi nella loro unità, non può allora spiegarsi che risalendo alla memoria intangibile
del comportamento stesso di Gesù (IPSISSIMUM FACTUM) nell’ultima cena. È stato il suo agire
significativo che ha dato all’azione sul pane e sul vino, preesistente nella cena giudaica, una
‘forma nuova’”.
Le azioni sono dunque due e si compongono ciascuna di vari elementi.
SUL PANE:
prendere – benedire Mt-Mc /render grazie Lc–Paolo – spezzare – dare non in Paolo
SUL VINO:
prendere – rendere grazie – dare in Lc e Paolo implicito nell’espressione “allo stesso modo”
Pane e vino
 Il PANE rappresenta nella Bibbia L’ALIMENTO PER ECCELLENZA, un mezzo di sussistenza così essenziale
che, mancare di pane, significa mancare di tutto; nella preghiera che Cristo insegna ai suoi
discepoli il pane sembra quindi riassumere tutti i doni che ci sono necessari.
Proprio perché costituisce un dono fondamentale di Dio, la sua penuria o abbondanza saranno
per Israele segno di castigo (Gen 3,19: “Mangerai il pane col sudore della tua fronte”) o di
benedizione (Sal 132,15: “sazierò di pane i tuoi poveri”; Sal 146, 7: “egli dà il pane agli affamati),
sperimentata in modo del tutto particolare negli eventi dell’esodo, quando Dio nutrì il suo popolo

2
“Il comportamento di Gesù, secondo il racconto evangelico della cena, con la duplice azione sul
pane e sul vino non appare riducibile ad alcun contesto culturale estraneo alla tradizione stessa
evangelica. Gli studi attuali hanno dimostrato che ‘la frazione del pane’ all’inizio del pasto e la
‘presentazione della coppa’ alla fine di questo, non possono essere spiegati dipendentemente da
un influsso ellenistico, ove non appaiono che raramente e senza alcuna analogia ai gesti
evangelici, mentre appaiono evidenti i rapporti con i due gesti caratteristici del pasto della festa
pasquale giudaica ove le due azioni che avevano una portata simbolica e rituale,
accompagnavano la preghiera dell’inizio e della fine del pasto” (M. BORDONI).
20
nel deserto con un pane disceso dal cielo (Es 16; Sal 78,23-25: “… diede loro pane dal cielo..”; Sap
16,20-21: “questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli”).
In questa linea i miracoli di moltiplicazione dei pani compiuti da Eliseo (2Re 4,42ss.) e poi da
Gesù esprimono la sovrabbondante misericordia con cui Dio si cura del suo popolo e anticipano
la pienezza dei beni che saranno imbanditi nel banchetto escatologico (Ap 2,17: “Al vincitore
darò la manna nascosta”; Lc 14,15: “Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio”).
Proprio per queste caratteristiche, il primo atteggiamento dell’uomo giusto è quello di “dividere
il pane con l’affamato” (Is 58,7) e in questo gesto di condivisione la pietà giudaica trova
l’espressione migliore e più caratteristica della carità fraterna.
 Il VINO, con il grano e l’olio, appartiene al NUTRIMENTO QUOTIDIANO DELL’ISRAELITA, ma si caratterizza
perché “rallegra il cuore dell’uomo” (Sal 104,15) e per questo simboleggia l’amicizia, l’amore
umano (Ct 1,4; 4,10) e in generale tutta la gioia che si può avere sulla terra, con l’ambiguità che
va dall’ubriachezza dei culti idolatrici alla felicità del discepolo della sapienza.
Dal punto di vista religioso, il simbolismo del vino nella Bibbia è legato soprattutto al contesto
escatologico: nell’Antico Testamento i grandi castighi di Dio sono espressi attraverso la
privazione di vino, quando il solo vino da bere sarà il calice dell’ira divina, mentre la felicità
escatologica è formulata, soprattutto negli oracoli di consolazione profetici, attraverso
l’immagine di una grande abbondanza di vino (Am 9,14: “dai monti stillerà vino nuovo”; Is 25,6:
preparerà il Signore degli eserciti un banchetto di vini eccellenti.”). Nel Nuovo Testamento il
“vino nuovo” (Mc 2,22) è segno dei tempi messianici e l’acqua trasformata in vino a Cana
prefigura l’ora delle nozze del Signore.
 Prendendo nelle sue mani il pane e il vino, per trasformarli NEL SUO CORPO E NEL SUO SANGUE, Gesù
assume non soltanto elementi fondamentali della CREAZIONE (di cui conferma la bontà, contro
ogni disprezzo gnostico e manicheo) e del LAVORO UMANO, ma anche elementi in cui si
sintetizzava, per la coscienza del pio israelita, l’ INSIEME DEI DONI DIVINI, e in modo particolare il
dono della Terra ricevuta da Dio in eredità, come segno della sua benedizione.

21
Prendere e benedire/rendere grazie
Questi gesti, come si è visto, fanno riferimento al rituale della cena. La BENEDIZIONE (barak), infatti,
mette in evidenza il valore religioso del pasto, in cui l’uomo riconosce di ricevere non soltanto
dalla terra e dal proprio lavoro, ma più radicalmente da Dio ciò di cui egli vive.
Non a caso l’atteggiamento del benedire/rendere grazie si colloca al centro della spiritualità di
Israele e si esprime soprattutto nella tôdah, la preghiera di lode che proclama il potere salvifico di
Dio e il suo intervento nella storia.
Il libro del LEVITICO, parlando dei sacrifici di comunione, nomina esplicitamente il “sacrificio di lode”
che, nel costume religioso di Israele, sembra essere stato l’espressione più alta del sacrificio
ebraico, in quanto all’offerta della vittima si accompagnava la proclamazione, sotto forma di
ringraziamento, delle opere compiute da Dio. A questo gesto religioso si riferiscono le note
espressioni dei salmi: “Offri a Dio un sacrificio di lode” (Sal 50,14); “Chi offre il sacrificio di lode,
questi mi onora” (Sal 50,23); e soprattutto “alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del
Signore… a te offrirò sacrifici di grazie” (Sal 116, 13.17).
Spezzare e distribuire
L’atto di spezzare il pane e distribuirlo costitutiva l’elemento centrale di un rito domestico, con cui
iniziava il pasto della famiglia ebrea: significa in maniera molto chiara, attraverso la condivisione
dell’unico cibo, la CONDIVISIONE DI UN LEGAME PROFONDO tra i partecipanti al banchetto. In questo
caso, viene a essere il gesto attraverso cui Gesù offre ai discepoli la PARTECIPAZIONE AL SUO DESTINO,
chiamandoli a nutrirsi del suo sacrificio e a trovare in questo, come metterà in evidenza Paolo, la
sorgente della loro unità (“poiché c’è un solo pane, noi pur essendo molti formiamo un corpo
solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”: 1Cor 10,17).
Notiamo anzitutto che, precisando la sequenza rituale dei gesti, il racconto conferisce loro una
SPECIALE SOLENNITÀ ed assegna loro lo statuto di un’azione fondante. Tale sequenza è così tipica da
fare da base ad altri testi del Nuovo Testamento (es. la moltiplicazione dei pani, Emmaus …) che
proprio per questo vengono ad assumere chiaro riferimento eucaristico: segno evidente di come
la pratica dell’eucaristia nella comunità primitiva abbia inciso sulla rilettura della memoria Jesu.
Notiamo, poi, che gli esegeti sono concordi nel comprendere l’insieme delle azioni della Cena sullo
sfondo dei grandi gesti profetici che ricorrono più volte nell’Antico e nel Nuovo Testamento (in
particolare Geremia ed Ezechiele): con essi il profeta simboleggia efficacemente il destino suo o
del popolo, anticipando il senso di un evento, che sta per compiersi, ma di cui solo Dio può offrire
l’interpretazione.
Tuttavia, GESÙ NON È SEMPLICEMENTE UN PROFETA che annuncia autorevolmente la verità ricevuta da
Dio. Infatti, la verità teologica dell’evento che sta per compiersi coincide rigorosamente con la
libertà che Gesù, assumendo pienamente su di sé la fatticità delle circostanze storiche, vi
dispiega. Nei gesti della cena, dunque, Gesù manifesta la coscienza profetica della propria
morte e assume l’iniziativa di farne il gesto supremo della sua libertà, mostrando la verità di cui
essa è portatrice sullo sfondo della tradizione del senso (il sacro) di Israele.
 Gesù da un lato identifica la propria morte come il SUPREMO INTERVENTO SALVIFICO DI DIO NELLA
STORIA e dall’altro richiede alla religio di Israele di assumere come NUOVO PRINCIPIO DI
INTERPRETAZIONE ciò che nella sua morte semel pro semper si dà a vedere.
 Mentre dunque il simbolo rituale anticipa l’evento, offrendone ai discepoli il senso, a sua volta
ne qualifica intrinsecamente la portata effettiva, irriducibile a ciò che ne può cogliere una pura
registrazione empirica dei fatti.
22
3.3.3. Parole
Sul pane
MATTEO MARCO LUCA PAOLO
Prendete, mangiate Prendete,
questo è il mio corpo questo è il mio corpo Questo è il mio corpo Questo è il mio corpo
che è dato per voi che è per voi

 PRENDETE, MANGIATE
Sullo sfondo vi è tutto quanto abbiamo già richiamato a proposito del banchetto. In particolare si
richiamino qui i testi relativi al banchetto imbandito dalla Sapienza (Pr. 9,1-6: “La Sapienza dice
…: ‘Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato’”).
Ecco, dunque, come il carattere relazionale e dinamico dei GESTI, viene ulteriormente esplicitato
e qualificato dalle PAROLE. Ciò che appare in primo piano non è semplicemente una mutazione
del pane, ma un dono orientato a un reciproca immanenza: è la persona di Cristo che si dona ad
altre persone, ai discepoli e attraverso di loro a tutta la Chiesa.
 QUESTO
Il termine si riferisce al pane, inteso non semplicemente nell’aspetto materiale, ma nella portata
che ha già assunto dal fatto di essere benedetto (riconosciuto come dono di Dio), spezzato (cioè
caricato di un valore di condivisione) e dato (per instaurare una relazione con i discepoli).
 IL MIO CORPO
In greco σωμα, che traduce l’ebraico bâsâr o forse gûf: nella mentalità semitica indica non tanto
l’organismo di cui l’uomo è dotato per esprimersi nel mondo ma la persona nella sua
completezza, nelle sue relazioni, nella sua condizione storica di creatura plasmata da Dio.
Dunque, Gesù intende offrire TUTTO SE STESSO, la sua persona, la sua identità e la storia di cui il suo
corpo è portatore.
 (DATO) PER VOI
Ιn greco υπερ υμων ha, un duplice significato:
I. “PER = a beneficio di”; indica che il Signore dona se stesso come colui che, avendo amato i suoi
che erano nel mondo, consuma fino in fondo questo amore. In questo senso la preposizione si
trova in Gal 2,20: “Il figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso PER ME”; Rm 5,8: “Dio dimostra
il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto PER NOI”.
II. “IN RISCATTO DI = al posto di”; indica il valore espiatorio del sacrificio di Cristo, che prende su di
sé i nostri peccati e come il Servo di Is 53,11 accetta la morte per i peccatori. In questo senso la
preposizione si trova in vari testi: 1Tm 2,6: “Gesù Cristo, che ha dato se stesso in riscatto PER
tutti”; 1Pt 3,18: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto PER gli ingiusti”.
* Notiamo che questo è il significato espresso dalla traduzione italiana del Messale: “il mio corpo
offerto in sacrificio per voi” (nell’editio typica latina si trova: quod pro vobis tradetur).
** Secondo Giraudo (o.c., 175), anche se il verbo greco è al participio presente, esso comporta
tuttavia la tonalità dell’oracolo profetico e va inteso come una proposizione futura (il mio corpo
che sarà dato per voi): così di fatto si trova talora tradotto nella versioni latine sia bibliche che
liturgiche (così il Messale Romano).

23
Sul vino
MATTEO MARCO LUCA PAOLO
Bevetene tutti.
perché questo è il mio Questo è il mio sangue Questo calice è la Questo calice è la
sangue dell’alleanza dell’alleanza nuova alleanza nel mio nuova alleanza nel mio
sangue sangue
che è versato per molti che è versato per molti che è versato per voi
per il perdono dei
peccati

 QUESTO CALICE
Ancora, è da rilevare il contesto dinamico e relazionale: si fa riferimento a un calice a cui i
discepoli hanno bevuto (Mc) o sono invitati a bere esplicitamente (Mt) o implicitamente (Lc e
Paolo).
Bere a un unico calice nei banchetti significa la COMUNIONE CON GLI OSPITI. Proprio per questo
offerto e bevuto nel Tempio, il “calice dalla salvezza” (Sal 116,13) indica la comunione con Dio.
Di qui il calice viene ad assumere anche il valore di designare la sorte di qualcuno e Gesù si serve
più volte di questa immagine: “Potete bere il calice che io bevo?… Il calice che io bevo lo
berrete…” (Mc 10,38s); “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!” (Mc
14,36).
 SANGUE DELL’ALLEANZA – NUOVA ALLEANZA NEL MIO SANGUE
Nella Bibbia il sangue è la vita che pulsa nella persona, perciò appartiene a Dio ed è sacro.
Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e Mc e Mt fanno chiaramente
tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: riferimento all’evento dell’ALLEANZA
«Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!». SINAITICA: “Ecco il sangue dell’alleanza
Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon che il Signore ha concluso con voi sulla
mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici base di tutte queste parole” (Es 24,8).
stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra Come dunque in Es 24, celebrando
gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi quello che nella storia di Israele è stato
come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la
il sacrificio di comunione per
metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra
metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse eccellenza, venne stipulata l’Alleanza
alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha che univa il popolo a Dio, in comunione
ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!». Allora Mosè di vita, così, in modo infinitamente
prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il superiore, Gesù realizza ora nel suo
sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sangue l’offerta suprema della
sulla base di tutte queste parole!» (Es 24, 3-8). partecipazione alla vita del Dio
dell’Alleanza.
Lc e Paolo, invece, si riferiscono
all’attuazione, nella morte di Gesù, di «Ecco verranno giorni - dice il Signore – nei quali con la
quella NUOVA ALLEANZA di cui avevano casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una
parlato i profeti (in particolare alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho conclusa con i
Ger 31,31-34; Ez 36,26-28). La sua loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal
novità, secondo i profeti, doveva paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché
consistere nel fatto che Dio non io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà
l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei
avrebbe più scritto la sua legge su
giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la
tavole di pietra, ma piuttosto sul scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il
cuore dell’uomo, grazie all’effusione mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri,
dicendo:
24 Riconoscete il Signore, perché tutti mi
dello SPIRITO. Di qui la possibilità di una conoscenza intima del mistero di Dio e di
un’interiorizzazione della religione, vissuta veramente come espressione suprema di libertà. Ora
l’avvento di tale alleanza viene connesso con il sangue di Gesù, forse attraverso la mediazione
della riflessione sul Servo di Jahwè, stabilito egli stesso come “alleanza per il popolo” (Is 42, 6).
L’idea dell’INSTAURAZIONE DELLA NUOVA ALLEANZA NEL SANGUE DI GESÙ avrà sviluppo tipico in Eb 9,15-28.
 VERSATO
Il riferimento al sangue “versato” colloca l’affermazione di Gesù sullo sfondo della sorte di tutti i
profeti e giusti dell’Antico Testamento che Dio ha inviato come suoi portavoce al popolo di
Israele e che esso ha sempre rifiutato: “dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di
Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l’altare” (Mt 23,35).
 PER VOI/PER MOLTI
Secondo diversi esegeti, la parola “molti” nei racconti dell’istituzione di Matteo e di Marco
sarebbe un “semitismo” e dovrebbe essere tradotta con “tutti”: di fatto così è avvenuto nella
traduzione del testo liturgico “pro multis”. La stessa Congregazione per il culto divino, che pure
ha richiesto la revisione della traduzione liturgica in senso più letterale, afferma: “La
formulazione ‘per tutti’ corrisponderebbe senza alcun dubbio a una corretta interpretazione del
testo”; BENEDETTO XVI ritiene preferibile mantenere una traduzione più fedele all’originale greco e
al testo recepito nella tradizione liturgica. Altri mettono in evidenza che in realtà il termine
“molti” non ha in italiano un significato equivalente a quello greco e latino, poiché assume un
valore “partitivo” (“molti” esclude l’idea di totalità) che nelle lingua antiche non ha (“molti” nelle
lingue antiche evoca ed è aperto all’idea di totalità) e suggeriscono di tradurre con: “per le
moltitudini” o al massimo “per i molti”.
 PER IL PERDONO DEI PECCATI
L’idea che il sangue di Gesù è versato in espiazione dei peccati ha nel Nuovo Testamento una
ricorrenza molto ampia e rappresenta uno dei DATI FONTALI DELLA CRISTOLOGIA. Alcuni passi
importanti:
- Rm 3,25: “Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di ESPIAZIONE per mezzo della fede, nel
suo SANGUE”;
- Ef 1,7: “…nel quale abbiamo la REDENZIONE, mediante il suo SANGUE”;
- 1Pt 1,18-19: “voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste
LIBERATI dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il SANGUE prezioso di
Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia”;
- 1Gv 1,7: “il SANGUE di Gesù, suo Figlio, ci PURIFICA da ogni peccato”;
- Ap 1,5: “A Colui che ci ama e ci ha LIBERATI dai nostri peccati con il suo SANGUE…”;
- Ap 5,9: “Hai RISCATTATO per Dio con il tuo SANGUE uomini di ogni tribù…”.
Bisogna tenere presente sullo sfondo anche l’immagine collaterale dell’Agnello, che unifica in sé
quella del Servo sofferente e dell’agnello pasquale: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i
peccati del mondo” (Gv 1,29).
Ordine di iterazione
 FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME
L’ordine è riportato solo dalla TRADIZIONE ANTIOCHENA: una volta in Luca, due in Paolo; poiché c’è la
proposizione eis, la traduzione più esatta sarebbe “FATE QUESTO PER FARE MEMORIA DI ME”.
La MEMORIA costituisce un elemento essenziale della fede biblica: l’Antico Testamento è colmo di
richiami di Dio a Israele perché, ricordandosi dell’elezione, torni a vivere nella logica
25
dell’Alleanza. La memoria biblica, dunque, è consapevolezza del dono ricevuto e, allo stesso
tempo, è la situazione esistenziale che permette di ricevere l’azione con cui Dio nel presente
apre un avvenire di grazia. L’OBLIO DEL PASSATO, INFATTI, È OSTACOLO AL FUTURO E CONDANNA DEL
PRESENTE ALL’INSIGNIFICANZA.
Racconto e memoriale, intrinsecamente connessi, sono le colonne portanti della tradizione, in
cui l’evento salvifico si prolunga; paradigmatico è il testo di Es 12,14: “Questo giorno sarà per voi
in memoria; lo celebrerete come festa”. Nel contesto pasquale della cena, Gesù riprende la
prospettiva del memoriale veterotestamentario, identificando l’evento che deve ormai costituire
il centro della fede dei discepoli con la consegna che egli fa di sé. Il cristiano è uno che vive della
memoria di Gesù: più precisamente di Gesù come CORPO DATO e SANGUE VERSATO.
 Il grande evento di salvezza compiuto da Dio nella storia è ormai identificato una volta per
tutte dal DONO DI SÉ COMPIUTO DA GESÙ. Intorno a questo memoriale si dovrà radunare la
nuova comunità. Fare insieme ciò che Gesù ha compiuto nella cena, sarà il modo di
professare la centralità della sua Pasqua e di parteciparvi.
3.4. Sintesi
GESÙ INTERPRETA/ANTICIPA LA SUA MORTE ALL’INTERNO D’UN BANCHETTO IN CONTESTO PASQUALE COME TRADITIO
SUI
Gesù, che sta per essere tradito e consegnato 3 ai nemici per la morte, trasforma dal di dentro il
senso di quell’evento e ne fa la libera consegna della sua vita per noi (la sua passione è “CORPO
DATO” e “SANGUE VERSATO” da Lui); non si sottrae alla violenza, ma la assume e ne capovolge il
senso (l’orrore della Passione viene capovolto in perdono e in dedizione incondizionata),
manifestando sullo sfondo dei grandi gesti di liberazione pasquale dell’A. T., richiamati dal
banchetto pasquale, il gesto sovrano della sua libertà 4: nessuno gli può prendere la vita, egli la
offre (Gv 10,17s.).
GESÙ CONSEGNA LA SUA MORTE COME “REDENZIONE UNIVERSALE” E “NUOVA ALLEANZA”
In questa traditio sui si realizza la missione di Gesù: il disegno del Padre che ha tanto amato il
mondo da dare a noi suo Figlio (Gv 3,16); missione che Gesù aveva già interpretato attraverso
l’immagine dell’invito al banchetto dello Sposo. Tale missione si realizza come redenzione vicaria
con valore definitivo e universale (cfr. cristologia): Egli è il servo di Jahvé che offre la vita in
espiazione (Is 53) e il pastore che dà la vita per le sue pecore (cfr. Ez 34, Gv 10).
Tale missione si realizza come alleanza: compimento delle alleanze dell’Antico Testamento, in
particolare di quella SINAITICA, e instaurazione della ALLEANZA “NUOVA” predetta dai profeti, come
piena e insuperabile comunione con Dio.
GESÙ ORDINA DI CELEBRARE L’EUCARISTIA COME MEMORIALE DELLA SUA PASQUA

3
“Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per CONSEGNARE loro Gesù.
Quelli all’udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l’occasione
opportuna per CONSEGNARLO” (Mc 14,10s.); “il Figlio dell’uomo viene CONSEGNATO nelle mani dei
peccatori”
(Mc 14,41); “Lo condussero e lo CONSEGNARONO a Pilato” (Mc 15,1); “Sapeva infatti che i sommi
sacerdoti glielo avevano CONSEGNATO per invidia” (Mc 15,10).
Cfr anche Mc 14,18.21; Mt 26,15.16.21.23.24.25; 1Cor 11,23.
4
“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo
mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò fino alla fine” (Gv 13,1).
26
Intorno alla morte di Gesù per la nostra vita, consegnata nei gesti della Cena, si dovrà raccogliere
il nuovo popolo di Dio, il popolo dei redenti, il popolo della nuova alleanza: la consegna che Gesù
fa di sé deve permanere attraverso il NUOVO RITO affidato e comandato agli apostoli; esso è il
nuovo memoriale, il memoriale di Lui, Agnello in cui si consuma la nuova Pasqua.

27
4. Gli altri testi del Nuovo Testamento relativi all’Eucaristia
4.1 Pasti del Risorto con i discepoli
Dopo la risurrezione ci furono NUMEROSI PASTI DI GESÙ CON I DISCEPOLI . La memoria di questi “pasti” è
così rilevante che nel discorso di Pietro nella casa di Cornelio si trova questa affermazione: Dio
volle che il Risorto “si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a NOI
CHE ABBIAMO MANGIATO E BEVUTO CON LUI dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10,41).
Tale esperienza è segno della comunione di Gesù con i suoi al di là della morte: coloro che l’hanno
tradito non sono stati esclusi dalla comunione, ma vengono reintegrati. A questa esperienza di
banchetto con Lui è legata la consapevolezza che EGLI È IL VIVENTE PRESENTE CON LORO.
4.2. Paolo
Nella letteratura paolina troviamo due grandi testi che si riferiscono in modo esplicito e diretto
all’Eucaristia, entrambi all’interno della Prima lettera ai Corinzi: 1Cor 10,14-22 e 1Cor 11,14-34.
1Cor 10,14-22
La comunità di Corinto poneva a Paolo in modo particolare il problema delle divisioni: Paolo aveva
fondato questa comunità, ma poi erano arrivati altri apostoli e la comunità si era spaccata in
gruppetti. Così la 1Cor è un CONTINUO RICHIAMO A RISCOPRIRE LA COMUNIONE e la comunità!
14
Perciò, miei cari, state lontani dall'idolatria. 15Parlo come a persone
intelligenti. Giudicate voi stessi quello che dico: 16il calice della benedizione che
noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che
noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17Poiché vi è un
solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo
all'unico pane. 18Guardate l'Israele secondo la carne: quelli che mangiano le
vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare? 19Che cosa dunque
intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo
vale qualcosa? 20No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a
Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; 21non potete
bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla
mensa del Signore e alla mensa dei demòni. 22O vogliamo provocare la gelosia
del Signore? Siamo forse più forti di lui?
 Anzitutto inquadriamo il brano nel contesto dei CAPITOLI 8-10, in cui Paolo affronta la questione
degli idolotiti, le carni degli animali sacrificati agli dei pagani: parte di queste carni veniva
consumata presso il tempio all’interno di banchetti sacri in onore delle divinità, parte era
invece venduta al mercato. I cristiani di Corinto si chiedevano se fosse lecito magiare queste
carni, senza incorrere essi stessi nell’idolatria (problema grande se Paolo vi dedica ben tre
capitoli!).
La risposta che Paolo dà in linea di principio è molto semplice: poiché gli idoli non sono nulla,
queste carni non hanno in sé alcuna efficacia negativa e i cristiani le possono acquistare e
mangiare liberamente. Questa libertà, però, deve tenere conto della mentalità di alcuni
credenti, che sono più deboli e scrupolosi e possono ricevere scandalo da un simile
comportamento. Ciò vale soprattutto quando le carni degli idolotiti sono consumate non
all’interno di un comune banchetto domestico, bensì all’interno dei banchetti sacrificali. In
questo caso si corre il rischio, non per le carni in sé, ma per il contesto del banchetto, di essere
28
riassorbiti da quella mentalità e da quelle pratiche pagane da cui si è stati liberati con il
battesimo.
 Su questo sfondo, dopo un intermezzo in di rilettura tipologica dell’Antico Testamento, Paolo
dice (v. 14) che il cristiano deve stare LONTANO DALL’IDOLATRIA e afferma la radicale
inconciliabilità tra la partecipazione alla mensa eucaristica e la partecipazione ai banchetti
pagani.
Per far capire questa inconciliabilità fa riferimento alla mentalità ebraica (v. 18: “Guardate
l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in
comunione con l’altare?”), secondo cui il banchetto che segue un sacrificio pone colui che vi
partecipa in rapporto con l’altare, cioè con la divinità a cui è offerto il sacrificio. Per questo chi
partecipa alla mensa di Cristo e dunque è in comunione con l’altare di Cristo, non può
partecipare alla mensa degli idoli e essere in comunione con loro.
A questo punto Paolo percepisce il rischio che la sua affermazione sembri in contraddizione con
quanto aveva affermato sopra (gli idolotiti non hanno alcun valore e possono essere mangiati).
Per questo affronta la possibile obiezione con delle domande retoriche (vv. 19s.: “Che cosa
dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale
qualcosa? No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio”). E risponde
affermando che, anche se le carni non sono in sé contaminate, perché le divinità a cui sono
offerte sono inesistenti, I BANCHETTI SACRIFICALI PAGANI SONO UNO STRUMENTO DEMONIACO per
allontanare gli uomini dal vero Dio.
E trae le doverose conseguenze (vv. 20s.: “Quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio.
Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del
Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei
demòni”).
 Chiarito il contesto, ci concentriamo sui versetti più importanti per il tema eucaristico, vv. 16-
17: notiamo anzitutto una CURIOSA INVERSIONE tra calice, nominato per primo, e pane, nominato
al secondo posto. Si tratta di un elemento che troviamo anche in DIDACHÉ 9 e che ha dato
origine a interpretazioni diverse:
- per alcuni si tratta semplicemente di un espediente retorico per agevolare il passaggio dal
tema dell’unico pane a quello dell’unico corpo;
- per altri (soprattutto E. Mazza) si tratta di un uso molto arcaico nella celebrazione eucaristica
(rito del calice, rito del pane, supplica per l’unità), legato agli sviluppi di un modello ebraico.
A livello di contenuto è molto importante rilevare anzitutto che attraverso la partecipazione al
calice e al pane il credente viene reso partecipe del sangue e del corpo di Cristo. Anche se
l’interpretazione dà adito a qualche discussione, è chiaro che si tratta di una lettura
sacramentale del gesto eucaristico, che fa leva sull’idea della KOINONIA, ossia della comunione
con il Signore.5

5
Cfr. J. RATZINGER, La comunione nella Chiesa: nell’Antico Testamento non esiste mai l’idea che Dio
entri in koinonia con l’uomo; Egli è sempre l’Altissimo, che fa alleanza, ma per l’ebreo è
insuperabile la distanza tra l’ineffabilità dell’uomo – che è fragile come l’erba – e la trascendenza
infinita di Dio. Nel Nuovo Testamento spunta improvvisamente questo termine: κοινονια è
possibile perché nell’unione ipostatica di Cristo si uniscono Dio e l’uomo; proprio perché Dio e
l’uomo ipostaticamente sono uniti nell’incarnazione di Gesù, è possibile la comunione con Dio
attraverso Cristo; Egli apre a noi la possibilità di quella koinonia sacramentale che viviamo
nell’Eucaristia e che nella Chiesa stessa assume il volto umano e divino.
29
In terzo luogo è molto importante notare che dalla comunione con il Signore deriva la
comunione della comunità: partecipando all’unico pane, che è comunione con Cristo, si è
riuniti un solo corpo. Dalla comunione eucaristica nasce la comunione ecclesiale (questo
riferimento sarà il centro della teologia di Agostino. Il fatto che il pane sia spezzato e ciascuno
ne mangi un pezzetto dice che tutti diveniamo un frammento di quell’unico corpo ecclesiale
che è il Corpo di Cristo. La comunione eucaristica tira fuori da sé per entrare in comunione con
tutti! Il Corpo personale del Signore, comunicandosi attraverso l’unico pane eucaristico, viene a
includere coloro che se ne nutrono e fa così apparire il mistero della Chiesa, Corpo di Cristo su
cui poi Paolo tornerà in 1Cor 12,27. Fondata sulla comunione, la Chiesa non può che avere
come propria caratteristica essenziale L’UNITÀ.

1Cor 11,14-34
Paolo – probabilmente da Efeso – risponde ad alcune questioni emerse nella comunità di Corinto.
I. SEZIONE: il comportamento dei Corinzi (Paolo fa una lettura della situazione).
17
Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non
per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto sento dire che, quando vi
radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19È
necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si
manifestino quelli che hanno superato la prova. 20Quando dunque vi radunate
insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti,
quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame,
l'altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O
volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che
devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
II. SEZIONE: la tradizione (paradosis) della Cena come criterio normativo per la prassi della
comunità.
23
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il
Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso
grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in
memoria di me". 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice,
dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni
volta che ne bevete, in memoria di me". 26Ogni volta infatti che mangiate questo
pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
III. SEZIONE: le conseguenze che ne derivano (Paolo trae le conclusioni).
27
Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno,
sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini
se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perché chi mangia e beve
senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30È
per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono
morti. 31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo
giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per
non essere condannati insieme con il mondo. 33Perciò, fratelli miei, quando vi
radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34E se qualcuno ha fame, mangi

30
a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le
sistemerò alla mia venuta.
Il problema di fondo è ancora quello delle DIVISIONI nella comunità di Corinto: si manifestano anche
durante la celebrazione della Cena del Signore, che in questo modo non corrisponde più
all’intenzione con cui Gesù l’ha istituita. Proprio quando sono riuniti per la Cena, mostrano di
non essere uniti come dovrebbero.

31
PRIMA SEZIONE
La denuncia paolina della gravità delle divisioni nella comunità e della gravissima offesa recata
alla celebrazione della Cena va capita sullo sfondo della visione che abbiamo trovato nel CAPITOLO
10: dall’unità con il Signore deriva essenzialmente l’unità della comunità ecclesiale; per questo
motivo Paolo deplora in modo molto serio il comportamento dei Corinzi, dicendo che le loro
riunioni vanno “per il peggio”: questo modo di comportarsi non è più un mangiare la cena del
Signore. Nelle divisioni in comunità emerge che NON TUTTI HANNO ANCORA FATTO UNA SCELTA
PROFONDA PER CRISTO: per questo “è necessario” che sorgano fazioni, perché si manifestino coloro
che hanno superato la prova. In sostanza: quando sono riuniti appare che non sono uniti!
Corinto era una città portuale e con una massa molto grande di lavoratori del porto e schiavi; la
maggior parte della comunità era composta proprio da questi poveri, ma vi erano anche alcuni
più benestanti; è verosimile che i ricchi ospitassero nelle loro case (domus ecclesiae) le
assemblee…ma, secondo l’uso dell’epoca, iniziassero a mangiare senza attendere i credenti più
poveri, facendo precedere al momento cultuale una mensa agapica consumata nel tardo
pomeriggio: in ciò emerge la questione dell’essere “sazi e ubriachi” mentre altri “hanno fame”;
per questo Paolo arriva a distinguere – nella terza parte – la necessità di mangiare il proprio
pasto a casa propria e poi radunarsi per la cena eucaristica.
SECONDA SEZIONE
Narra l’istituzione eucaristica, col vocabolario tecnico della paradosis (paralambano = ricevere e
paradidomi = consegnare), che ritroviamo anche in 1Cor 15 a proposito del kerigma pasquale;
tale vocabolario ha significato teologico di straordinaria importanza, perché presenta l’apostolo
come anello della tradizione di Cristo nella storia e custode scrupoloso del contenuto di fede
ricevuto.
Particolarmente significativo è che Paolo dica di avere ricevuto la tradizione relativa all’Eucaristia
“dal Signore”: ciò non può significare che Paolo fosse presente all’Ultima Cena, ma indica che ha
chiara consapevolezza che all’origine della traditio c’è un preciso comando di Gesù, che ha
ordinato di perpetuare il gesto che in quella notte egli ha compiuto. Per questo Paolo, che ha
ricevuto il mistero eucaristico attraverso la primissima testimonianza ecclesiale, può dire di
averlo ricevuto “dal Signore” e a sua volta di averlo trasmesso ai Corinzi. Dunque:
- dal Signore è nata la tradizione;
- Paolo l’ha ricevuta quando è diventato cristiano;
- l’ha già trasmessa ai Corinti quando ha fondato la comunità;
- adesso la trasmette nuovamente ribadendo.
Merita di essere evidenziato qui il v. 26: “OGNI VOLTA INFATTI CHE MANGIATE QUESTO PANE E BEVETE AL
CALICE, VOI ANNUNCIATE LA MORTE DEL SIGNORE, FINCHÉ EGLI VENGA”. Esso attesta che il rito eucaristico è
in sé un annuncio del sacrificio del Signore; qui Paolo intende il termine “annuncio” non solo
come comunicazione verbale, ma secondo la DENSITÀ PROPRIA DELL’EVENTO SACRAMENTALE. Il rito
eucaristico annuncia la morte del Signore nel senso che in esso il sacrificio del Signore viene
ripresentato e per questo anche riproposto all’uomo, dentro il suo oggi (si comunica, si
attualizza, si ripresenta: è tutta la dinamica comunicativa del sacramento, che rende realmente
partecipi). Ciò avviene, d’altra parte, in un contesto di attesa escatologica: “finché egli venga”. La
ripresentazione sacramentale tiene vivo nella comunità l’orientamento all’incontro ultimo e
definitivo con il Signore, nel giorno della sua definitiva parusia.
TERZA SEZIONE

32
Indica gli effetti di una partecipazione indegna alla mensa del Signore e le correzioni che sono
necessarie nella prassi dei Corinzi (“PERCIÒ chiunque…”). Alcune osservazioni.
1. v 27. Emerge una fortissima coscienza del fatto che il pane e il vino eucaristici s’identificano
con il CORPO E IL SANGUE DEL SIGNORE. Quindi chi si nutre indegnamente degli alimenti
sacramentali è “colpevole del corpo e del sangue del Signore”. Non si potrebbe esprimere più
chiaramente la coscienza di quella che sarà poi chiamata la presenza reale di Cristo nelle
specie sacramentali.
2. v 28. Dalla coscienza del realismo sacramentale deriva la percezione che per partecipare
all’Eucaristia CI VOGLIONO DELLE CONDIZIONI, che coinvolgono in modo molto profondo la
coscienza personale (non sempre, non chiunque ha le condizioni per partecipare a quel
banchetto). Per questo Paolo afferma che ognuno deve mettersi alla prova e verificare
attentamente se stesso prima di accostarsi al sacramento. Accedere alla mensa eucaristica è
un gesto che impegna a fondo l’esistenza e non produce la salvezza in modo automatico,
qualunque sia l’atteggiamento di chi lo compie. Un tempo c’era un certo rigorismo che – per
fortuna – è stato superato…ma che rischia di cadere in una grave superficialità!
3. v 29. Se uno si accosta in modo inadeguato, senza riconoscere realmente il Corpo del Signore,
mangia la propria condanna. Qui viene messa in risalto la serietà di una PROFANAZIONE, che non
sembra consistere tanto in un difetto di fede nella presenza reale, quanto in un accostarsi
all’Eucaristia avendo una condotta di vita che la contraddice (come di fatto era quella dei
Corinzi che non riconoscevano che nutrirsi di Cristo significa divenire una cosa sola con i
fratelli).
4. L’espressione “senza riconoscere il Corpo del Signore” sembra doversi intendere nella piena
estensione del suo significato, ossia senza riconoscere che il sacramento è il corpo del Signore
e senza riconoscere che, conseguentemente, coloro che si nutrono del sacramento vengono a
formare il Corpo del Signore: : l’eucaristia genera la Chiesa e non vi si può accostare in
maniera individualistica! SIGNIFICATO SACRAMENTALE ED ECCLESIOLOGICO sono, dunque, strettamente
legati tra loro (cfr. AGOSTINO: egli vede nella Chiesa il CRISTO TOTALE, che ci associa a Sé).
Dunque, discernere chi si va a ricevere nell’Eucaristia comporta il massimo gesto comunitario
(non è solo incontrare il “proprio Gesù”); al di là di numerosi impedimenti che si sono
storicamente susseguiti per accostarsi all’Eucaristia, Paolo sottolinea anzitutto la necessità di
fare comunione tra i cristiani!
5. v 30. Nelle malattie e morti che hanno colpito la comunità Paolo addita l’effetto di una prassi
indegna (secondo alcuni esegeti: una sorta di castigo divino, di cui però il testo non parla
espressamente; secondo altri: una conseguenza della disattenzione verso i poveri: se i poveri
della comunità non fossero così bistrattati, starebbero anche meglio!). Paolo afferma però
che, anche attraverso queste sventure, Dio in realtà ammonisce educativamente la comunità,
per liberarla dalla sorte di condanna degli empi.
6. v 33. L’ultima esortazione è di CARATTERE DISCIPLINARE: per la cena del Signore occorre aspettarsi
e, chi ha fame, mangi prima a casa sua. Bisogna probabilmente qui vedere la reale
separazione tra il banchetto comune e l’eucaristia, una distinzione tra la cena del Signore e
l’agape fraterna!
4.3. Atti
I principali testi degli Atti che si riferiscono all’Eucaristia sono due:
- il celebre sommario di At 2,42-47;
- il meno noto episodio di Paolo a Troade, narrato in At 20,7-12.

33
Una allusione eucaristica si può forse trovare anche in At 27,33-38.

34
At 2,42-47
42
Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello
spezzare il pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni
avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti i credenti stavano insieme e avevano
ogni cosa in comune; 45vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con
tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel
tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di
cuore, 47lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni
giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.
Ci limitiamo a queste osservazioni:
- il termine “FRAZIONE DEL PANE” compare due volte: nel v. 42 e nel v. 46. Considerato alla luce di
Lc 24,35 (Emmaus) e anche di At 20,7 esso deve essere considerato, molto probabilmente,
come un termine tecnico che designa il nuovo gesto rituale che identifica la comunità:
l’Eucaristia. Il termine eucaristia compare per la prima volta nella DIDACHÈ (fine I secolo); nei
testi del Nuovo Testamento l’Eucaristia viene chiamata con due nomi:
o “CENA DEL SIGNORE” in Paolo;
o “FRAZIONE DEL PANE” in Luca (Lc 24 e At 20);
- tale pratica si presenta come un gesto realizzato in ambiente domestico, da parte del piccolo
gruppo dei discepoli, e si accompagna ancora alla frequentazione del Tempio (cfr. At 2,46);
- esso è caratterizzato da un clima di letizia e semplicità di cuore, che negli Atti è segno della
gioia escatologica che il Risorto dona ai suoi.
At 20,7-12
7
Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che
doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a
mezzanotte. 8C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore,
dove eravamo riuniti. 9Ora, un ragazzo di nome Èutico, seduto alla finestra, mentre
Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo;
sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. 10Paolo
allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: "Non vi turbate; è vivo!". 11Poi
risalì, spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all'alba, partì.
12
Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.
Osserviamo:
- la “FRAZIONE DEL PANE” è lo scopo della riunione, che avviene in un tempo e in un luogo precisati
con cura: il tempo è il “primo giorno della settimana” (il giorno che Ap 1,10 chiama “giorno del
Signore” e Didachè chiamerà “domenica”), intendendolo come il nuovo giorno sacro dei
cristiani; il luogo è una “stanza al piano superiore”, che non può non richiamare il Cenacolo
(cfr. At 1,13);
- la riunione è accompagnata da un lungo insegnamento di Paolo e non si dice che a questo
insegnamento segua un banchetto: ci si può chiedere se ciò attesti la già avvenuta separazione
tra il pasto e l’Eucaristia, ma in ogni caso, anche se si trattasse di un momento in cui la frazione
del pane prevede ancora un pasto agapico, certamente non si tratta di un banchetto comune,
perché la fractio è fatta dopo la mezzanotte;

35
- il testo offre vari indizi per suggerire una comprensione del fatto legato al giovane Eutico che
vada al di là della pura materialità degli accadimenti; vengono infatti evidenziati elementi che
su un puro piano cronachistico non avrebbe senso riportare (es. “c’era un buon numero di
lampade”): si sottolinea il contrasto tra la luce che è presente nel luogo dell’ascolto della parola
e la tenebra di morte in cui cade il ragazzo che, vinto dalla stanchezza, si separa dall’ascolto (il
credente che si stacca dalla Parola e dalla comunità che la ascolta perde la vita, precipita nella
morte). Il gesto di Paolo che si butta sul ragazzo è narrato sullo sfondo dei gesti profetici di
Elia ed Eliseo (1Re 17,17-24; 2Re 4,30-37); il ragazzo viene così ricondotto nel luogo in cui
avviene la frazione del pane e la comunità gioisce del passaggio di Eutico da morte a vita.
 Si può dire che complessivamente da Atti emergono questi CARATTERI DELL’EUCARISTIA:
- avviene in contesto di preghiera e di ascolto della Parola;
- nel primo giorno della settimana (At 20), ma anche assiduamente (At 2);
- comporta un’esperienza di vita fraterna intorno agli apostoli;
- impegna alla condivisione e alla carità verso i poveri;
- è accompagnata dalla gioia messianica.
4.4. Giovanni
Nel Vangelo di Giovanni non si ritrova un racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nella forma che
viene presentata dai Sinottici, MA IL TEMA EUCARISTICO È PRESENTE IN MODO MOLTO CHIARO, sia
all’interno del CAPITOLO 6, dedicato al “pane di vita”, sia in riferimenti vari sparsi nel testo.
Molto importante per la comprensione della dinamica sacramentale che l’Eucaristia realizza in
modo supremo è il nesso tra il SEGNO DEI PANI e il LAVORO DELLA FEDE.6
4.4.1. Il capitolo sesto – Il discorso sul Pane di Vita
STRUTTURA DEL CAPITOLO
a) 1-15: il segno della moltiplicazione dei pani;
b) 16-21: l’autorivelazione di Gesù ai discepoli che attraversano il lago in tempesta;
c) 22-25: sezione di passaggio – la folla ha attraversato il lago alla ricerca di Gesù;
d) 26-58: discorso nella SINAGOGA DI CAFARNAO che offre l’interpretazione del segno dei pani;
e) 59-71: epilogo drammatico e risposta alle obiezioni.
A) IL SEGNO DELLA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
1
Dopo questi fatti, Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2e
lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. 3Gesù
salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4Era vicina la Pasqua, la festa
dei Giudei.
5
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a
Filippo: "Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?".
6
Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per
compiere. 7Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti
neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". 8Gli disse allora uno dei suoi
discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9"C'è qui un ragazzo che ha cinque pani
d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?". 10Rispose Gesù: "Fateli
sedere". C'era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa
cinquemila uomini. 11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a
6
Su questo tema cfr. A. BOZZOLO, Il rito di Gesù, LAS 2013, pp. 116-121.
36
quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12E quando
furono saziati, disse ai suoi discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla
vada perduto". 13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque
pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
14
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: "Questi è davvero il
profeta, colui che viene nel mondo!". 15Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo
per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
B) L’AUTORIVELAZIONE DI GESÙ AI DISCEPOLI CHE ATTRAVERSANO IL LAGO IN TEMPESTA
16
Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare, 17salirono in barca e si
avviarono verso l'altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù
non li aveva ancora raggiunti; 18il mare era agitato, perché soffiava un forte vento.
19
Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul
mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. 20Ma egli disse loro: "Sono io, non
abbiate paura!". 21Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la
riva alla quale erano diretti.
C) SEZIONE DI PASSAGGIO – LA FOLLA HA ATTRAVERSATO IL LAGO ALLA RICERCA DI GESÙ
22
Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, vide che c'era soltanto
una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi
discepoli erano partiti da soli. 23Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al
luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
24
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli,
salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo
trovarono di là dal mare e gli dissero: "Rabbì, quando sei venuto qua?".
D) DISCORSO NELLA SINAGOGA DI CAFARNAO CHE OFFRE L’INTERPRETAZIONE DEL SEGNO DEI PANI
26
Gesù rispose loro: "In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete
visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da
fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il
Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo". 28Gli
dissero allora: "Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?". 29Gesù
rispose loro: "Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato".
30
Allora gli dissero: "Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale
opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto:
Diede loro da mangiare un pane dal cielo ". 32Rispose loro Gesù: "In verità, in verità
io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il
pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà
la vita al mondo". 34Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". 35Gesù
rispose loro: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede
in me non avrà sete, mai! 36Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non
credete. 37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo
caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la
volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha
mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti
nell'ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il
Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno".

37
41
Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: "Io sono il
pane disceso dal cielo". 42E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?
Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso
dal cielo"?".
43
Gesù rispose loro: "Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo
attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 45Sta scritto
nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio . Chiunque ha ascoltato il Padre e ha
imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui
che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita
eterna. 48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel
deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia
non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno MANGIA DI QUESTO PANE
vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".
52
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: "Come può costui darci la
sua carne da mangiare?". 53Gesù disse loro: "In verità, in verità io vi dico: se non
mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi
la vita. 54Chi MANGIA LA MIA CARNE e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell'ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue
vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue RIMANE in me e io in
lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche
colui che MANGIA ME vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come
quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in
eterno".
E) EPILOGO DRAMMATICO (molti abbandonano Gesù) E RISPOSTA ALLE OBIEZIONI (la partecipazione alla
carne di Cristo avviene nello Spirito)
59
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. 60Molti dei suoi
discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?".
61
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo,
disse loro: "Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era
prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho
detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono". Gesù
infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che
lo avrebbe tradito. 65E diceva: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me,
se non gli è concesso dal Padre".
66
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più
con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?". 68Gli rispose
Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi
abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio". 70Gesù riprese: "Non sono
forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!". 71Parlava di
Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo, ed era uno dei
Dodici.
IL DISCORSO NELLA SINAGOGA DI CAFARNAO (vv.26-58)
Viene abitualmente suddiviso in due parti:
 vv.26-51a

38
Tema centrale è l’accoglienza di GESÙ COME PANE DI VITA mandato da Dio, nella fede. In questa
parte “il pane e l’atto del mangiare hanno una VALENZA DI TIPO TRASLATO, figurato: il pane è Gesù
stesso nel suo mistero personale e salvifico, e il mangiare consiste semplicemente nel credere in
lui in quanto nutrimento celeste”. L’idea centrale è nel v.35: “IO SONO IL PANE DELLA VITA; CHI VIENE
A ME NON AVRÀ FAME E CHI CREDE IN ME NON AVRÀ SETE, MAI!”.
 vv.51b-58
Tema diviene invece ESPLICITAMENTE EUCARISTICO: il pane viene fatto coincidere con la CARNE DI
GESÙ. A questo riferimento si aggiunge inoltre il tema del “bere” e del “sangue” (si noti
l’assenza della parola “vino” che supporti il sangue) che erano assenti nei versetti precedenti.
Infine mentre finora si diceva che Dio ha già dato il pane disceso dal cielo, ora si parla al FUTURO,
riferendosi al pane che Gesù darà.
…la struttura complessa del discorso di Cafarnao nascerebbe dall’unione di un’OMELIA SINAGOGALE
nella forma di MIDRASH SUL SAL 78,24: “hai dato loro un pane dal cielo” e di uno SVILUPPO
EUCARISTICO che presenta elementi paralleli ai racconti dell’istituzione.

COMMENTO DELLA SECONDA PARTE DEL DISCORSO E DELL’EPILOGO


 v.51b
- Il discorso sul pane di vita si precisa, specificando che il pane disceso dal cielo è la carne di
Gesù. Si ha così il passaggio DA UN USO TRASLATO del verbo “mangiare il pane del cielo” per dire il
“credere in Gesù” A UN MARCATO REALISMO SACRAMENTALE: è realmente di “mangiare” (4 volte c’è
addirittura “masticare”) gli alimenti eucaristici. “Il riferimento alla prassi eucaristica è fuori di
ogni dubbio”.
- L’espressione “mangiare la carne” dà origine a un nuovo nucleo tematico ed è ripetuta 5 volte.
Il termine utilizzato è sarx (σαρχ)7, che indica TUTTA LA PERSONA di Gesù nella sua condizione
umana e mortale, quella che il Verbo ha assunto facendosi sarx (1,14) e che darà “per” (= υπερ,
con senso sacrificale) il mondo. Sintetizza Ratzinger: “L’incarnazione del Verbo di cui parla il
prologo mira […] all’offerta del corpo sulla croce, che diventa a noi accessibile nel sacramento”.
- L’espressione del v.51b risulta PARALLELA AL RACCONTO DELL’ISTITUZIONE (questo= il pane; è il mio
corpo= è la mia carne; dato per molti= per la vita del mondo): secondo gli esegeti, questo è il
parallelo giovanneo che conserva la tradizione dell’istituzione eucaristica.
- Il binomio carne e sangue allude alla dedizione sacrificale: la richiesta di “BERE IL SANGUE” doveva
risultare particolarmente forte e provocatoria nel contesto della cultura ebraica che proibiva il
contatto con il sangue. Essa risulta comprensibile solo in quanto riferita al vino dell’eucaristia.
 vv.52-58
In questi versetti vengono esplicitati i FRUTTI DEL MANGIARE LA CARNE E BERE IL SANGUE DI CRISTO.
- Carne e sangue di Gesù comunicano la vita eterna (v.54), ossia la pienezza di vita che proviene
da Dio e non viene meno; questo tema della vita eterna è centrale nella teologia giovannea e
va inteso secondo tutta la sua ricchezza: si tratta del compimento escatologico dell’uomo, del
traguardo cui tende il suo vivere terreno, nella sua fugace precarietà.
- Mangiare la carne e bere il sangue di Cristo (v.53) è necessario per avere questa vita (come
rinascere dallo Spirito cfr. Gv 3). L’accesso alla pienezza escatologica (richiamata
dall’espressione “Figlio dell’uomo”) della comunione con Dio è mediata dal dono del corpo e
sangue di Gesù, offerti attraverso i segni sacramentali: il corpo di Gesù è la porta del cielo!

7
Nei sinottici si usa piuttosto soma (σομα); ma Giovanni richiama così il suo Prologo.
39
- Questo comporta una mutua immanenza con Gesù (v.56): siamo qui al centro del mistero
eucaristico, perché esso rende possibile nella maniera più alta quel “RIMANERE” (verbo menein –
μενειν – che è verbo del discepolato) che è centrale nella teologia di Giovanni per esprimere il
rapporto tra il discepolo e Gesù; mutua immanenza che per un verso rimanda alla formula di
ALLEANZA DELL’ANTICO TESTAMENTO (“Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”), ma ancora
più esprime un rapporto unitivo interpersonale che ha il suo prototipo e la sua radice nella
MUTUA IMMANENZA TRA GESÙ E IL PADRE , il cui sviluppo sarà offerto nell’immagine della vite e i
tralci (Gv 15).
- Questa comunione con Gesù è partecipazione alla vita di Dio (v.57), che Gesù è stato inviato a
comunicare: il Padre che ha la vita ha infatti inviato il Figlio che vive della sua relazione al
Padre; colui che si ciba della carne di Gesù vive per Gesù. In questo modo, anche se non è
esplicitato nel testo, è introdotta l’idea che IL FIGLIO FATTO CARNE, nel dono della sua carne e del
suo sangue, è al centro del rapporto tra il credente e il Padre: È IL “LUOGO” DI TALE RELAZIONE.
- Tale comunione con la carne di Cristo è fondamento di risurrezione (vv.54.58): il tema del pane
di vita si compie così sorprendentemente nell’annuncio della risurrezione. La carne e il sangue
che Gesù darà sono infatti l’offerta di sé che farà nel suo sacrificio pasquale, che avrà come
esito non solo LA VITTORIA SULLA MORTE per Lui, ma anche per tutti coloro che si nutriranno di Lui.
Questa dimensione escatologica sarà sviluppata ampiamente nella tradizione cristiana: tra gli
altri, Ignazio di Antiochia parlerà dell’eucaristia come farmaco di immortalità, poiché come
Cristo ha vinto la morte in sé, così vince la morte in noi; san Tommaso ne parlerà come viatico,
come ultima medicina per accompagnare dalla morte alla vita.
 vv.61-70
La comunione con Gesù non deve essere intesa in maniera materiale-fisica (da questo punto di
vista, “la carne non giova nulla”). Non si tratta di “masticare” in senso materiale il corpo di
Cristo (fraintendimento che prende il nome di “cafarnaitismo”, dove i discepoli fraintesero le
parole di Gesù), ma di UNIRSI ALLA SUA CARITÀ OFFERTA NEL SUO CORPO IMMOLATO (in questo senso “è
lo Spirito che dà la vita”). Ciò avviene però attraverso un vero mangiare e bere gli elementi
sacramentali.
4.4.2. Il racconto della Cena
Notare come in Giovanni (Gv 13-17) l’Eucaristia sia richiamata non sotto il profilo rituale, ma sotto
quello contenutistico: la carità di Cristo, che come servo lava i piedi ai discepoli (Gv 13,5ss.),
perché essi facciano altrettanto (Gv 13,15):
- sulla carità di Cristo, lasciata in eredità nel COMANDAMENTO DELL’AMORE (Gv 13,34) e nella
PROMESSA DELLO SPIRITO (Gv 14-16), si edifica la nuova comunità dei credenti, basata sull’unico
principio della “dedizione incondizionata” reso possibile dalla comunione con Gesù: “rimanere”
in Gesù come i tralci nella vite (Gv 15) e l’inabitazione di Gesù in noi (Gv 17);
- i capitoli 13-17 sono una lunga meditazione sulla comunione di Gesù con i discepoli, possibile
solo alla luce del mistero eucaristico (Gv 6). Bisogna leggere in questa chiave anche l’annuncio
del ritorno di Gesù al Padre (Gv 14-16) che non costituisce una sottrazione ai discepoli, ma una
nuova e più intima presenza grazie all’azione dello Spirito.
4.4.3. Il sangue del Trafitto (Gv 19,34)
“In verità il sangue che sgorga dal cuore di Gesù crocifisso non può non richiamare il sangue di
Cristo, che deve essere bevuto dal credente per ottenere la salvezza eterna (6,53ss.). Si rilevi che
nel quarto vangelo solo in questi due passi (6,53ss.; 19,34) si parla del sangue di Gesù. Se la
40
menzione del sangue del Cristo incontestabilmente sottolinea l’umanità del Verbo e quindi
svolge anche una funzione antidocetista, tuttavia il significato sacramentale di questo elemento
del corpo di Gesù nel brano eucaristico del discorso di Cafarnao invita a vedere anche NELLA SCENA
DEL COLPO DI LANCIA UN’ALLUSIONE AL SANGUE DEL SIGNORE , che si beve nella s. Cena. In effetti, se
l’antichissima tradizione cristiana presenta Gesù come l’agnello pasquale immolato per i credenti
(1Cor 5,7), che offre il suo corpo e il suo sangue nell’Eucaristia (1Cor 11,24s.), il quarto
evangelista si ispira a questa dottrina, allorché mostra che il Signore è stato ucciso sulla croce
seguendo il rito per la immolazione dell’agnello pasquale (Gv 19,31ss) e quindi offre il suo corpo
e il suo sangue per la salvezza dei cristiani, i quali si nutrono di questo cibo divino nella s. Cena”.

5. Dall’Ultima Cena all’Eucaristia


 L’Ultima Cena non fu la prima Eucaristia!
 E l’Eucaristia che noi celebriamo non è la ripetizione dell’Ultima Cena!
 Quale allora l’elemento di continuità tra Ultima Cena ed Eucaristia?
La grande novità del MOVIMENTO LITURGICO e della SACRAMENTARIA DEL NOVECENTO, specialmente con
Odo Casel, è che la forma rituale del sacramento non è puramente rivestimento esteriore (idea
emersa col passare da teologia mistagogica a speculativa a dogmatica fino a distanziare liturgia e
teologia) ma la forma liturgica è il sacramento, perché IL SACRAMENTO È AZIONE DI CRISTO E DELLA
CHIESA: il sacramento è la celebrazione, il mistero si dà nelle forme pratiche della dinamica di
celebrazione! FORMA e CONTENUTO della celebrazione si capiscono solo insieme, perché la forma
non è aggiuntiva, la liturgia non è una cerimonia ma è una celebrazione (come si celebra così si
accede al mistero).
Seguiamo un articolo di J. RATZINGER, che ha avuto ampia risonanza anche perché si è inserito in
modo diretto all’interno del vivace dibattito che ha circondato il rinnovamento rituale promosso
dal CVII.
La “forma” venne scoperta come una realtà teologica e spirituale con una propria
importanza. Ciò che precedentemente era stato il campo dei rubricisti e, come
semplice forma cerimoniale, era rimasto al di fuori della considerazione dogmatica,
appariva ora come parte della stessa res, come sua manifestazione, in cui soltanto
essa può rendersi veramente visibile.
In questo senso la forma liturgica non è più considerata come un insieme di cerimonie, costruite
per lo più con criteri giuridici, sopra un nucleo dogmatico sostanzialmente indipendente da essa,
ma si presenta realmente come espressione dell’evento e, quindi, come chiave di accesso ad
esso:
Con il concetto di “forma” era così entrata nel dialogo teologico una categoria fino
ad allora sconosciuta, la cui dinamica riformatrice era inconfondibile. Anzi, si può
dire che con la scoperta di questa categoria era nata la scienza liturgica nel senso
moderno della parola.
L’applicazione pratica di questo principio metodologico si è rivelata assai più complessa di quanto
poteva apparire: la determinazione della forma, infatti, non può fondarsi solo sulla figura esterna
dei riti che si compiono, ma richiede di percepire più profondamente la loro INTENZIONALITÀ, così
come si è trasmessa nel loro sviluppo storico. Ciò ha dato vita ad una vivace discussione
teologica:

41
- alcuni autori attribuivano all’Eucaristia, in nome della sua derivazione dall’Ultima Cena, la
forma essenziale di BANCHETTO;
- altri obiettavano che così la concezione tridentina della Messa come SACRIFICIO cederebbe il
posto alla concezione luterana della santa cena;
- alcuni altri tentavano una ricomposizione affermando che la Messa sarebbe SACRIFICIO nella sua
nascosta essenza teologica, mentre sarebbe CONVITO nella sua forma visibile.
Ratzinger affronta la questione in una discussione non semplicemente liturgica, ma sostanziale,
ontologica, dogmatica: ritiene che si debba seguire l’indicazione di J.A. Jungmann, il quale ha
mostrato che nelle primissime fonti liturgiche la preghiera del memoriale formulata come
ringraziamento abbia preso il sopravvento sul convito in quanto tale, venendo a determinare
così lo stesso nome dato alla celebrazione: EUCHARISTÍA.
Ciò è già chiaro fin dalla fine del I secolo e si mantiene vivo nella tradizione, tanto che quando
Lutero, sulla base di 1Cor 11,20, designa la celebrazione come “santa cena” introduce un uso
linguistico che rispetto all’epoca pare del tutto innovativo.
Oltre a poter vantare una solidissima documentazione storica, la posizione di Jungmann consente
anche, secondo Ratzinger, una reale mediazione interna tra il LIVELLO DOGMATICO e quello LITURGICO:
la tarda antichità aveva infatti sviluppato l’idea di un vero e proprio “sacrificio a modo di
parola”, secondo cui «il sacrificio alla Divinità non si compirebbe mediante l’offerta di cose, ma
mediante l’auto-offerta dello spirito, che trova forma nella parola». L’utilizzo nel Canone Romano
della formula oblatio rationabilis attesterebbe, insieme ad altri indizi storici, che tale idea fu
adattata al contesto cristiano, per dar voce alla convinzione che con la preghiera eucaristica si
entra nella preghiera di Gesù, in quella preghiera con cui Egli si è offerto al Padre, trasformando
dal di dentro l’abisso della morte.
 Se fin dai primi secoli è prevalsa la forma della preghiera memoriale, mentre il contesto
dell’istituzione è stato una CENA, ciò significa che già la prima generazione cristiana si è staccata
dall’intenzione del Signore e che vi è uno iato insanabile tra l’agire di Gesù e quello della
Chiesa?
La risposta di Ratzinger è articolata:
- sul piano esegetico mette in evidenza il GRADUALE DISTACCO tra celebrazione rituale dell’Eucaristia
e pasto conviviale della comunità;
- sul piano teologico mostra che LA FORMA DEL SACRAMENTO CRISTIANO SEMPLICEMENTE NON PUÒ
COINCIDERE CON LA FORMA DELL’ULTIMA CENA.
Seppur inseriti nel contesto di un pasto rituale giudaico, che peraltro la narrazione evangelica
lascia in secondo piano, i gesti e le parole con cui Gesù istituisce il nuovo memoriale presentano
una loro relativa autonomia. I testi evangelici documentano a proposito dell’Ultima Cena un
compenetrarsi tra antico (ebraismo) e nuovo (gesti nuovi che Gesù inserisce in quello sfondo)
che corrisponde esattamente alla situazione storico-salvifica in cui essa si realizza , situazione
che PRECEDE ANCORA LA SEPARAZIONE DEFINITIVA TRA GESÙ E LA COMUNITÀ NAZIONALE GIUDAICA.
In quel momento, la Chiesa in quanto tale non esiste ancora, poiché in senso stretto essa nasce
solo per il fallimento del tentativo di acquisire l’intero Israele. Per questo Ratzinger può
affermare:
poiché il cristianesimo non esiste ancora come realtà autonoma, ma soltanto in una
forma storicamente ancora aperta all’interno del giudaismo, non può neppure
esserci un’autonoma forma liturgica specificamente cristiana. Questo ci porta ad
una constatazione fondamentale, il cui disconoscimento costituisce il vero errore in

42
tutti i tentativi di derivare la forma liturgica cristiana con immediatezza acritica
dall’Ultima Cena. Dobbiamo, infatti, ora affermare: l’ULTIMA CENA di Gesù è, sì, il
FONDAMENTO di ogni liturgia cristiana, ma essa stessa NON È ANCORA UNA LITURGIA
CRISTIANA.

La liturgia cristiana può svilupparsi solo nel cammino con cui la Chiesa, separandosi da Israele,
manifesta la sua NUOVA IDENTITÀ; e ciò avviene in un PROCESSO EVOLUTIVO che coinvolge anche altri
elementi (passaggio da Gesù che annuncia il Regno alla Chiesa che annuncia il Cristo, passaggio
liturgico dal sabato alla domenica, …): è la PASQUA DI GESÙ che attua la novità piena, l’escaton
realizzato nel mistero pasquale diviene nuovo contesto in cui i gesti della cena trovano
significato.
Coerentemente LA COMUNITÀ PRIMITIVA non ha mai celebrato l’Eucaristia ripetendo nella sua
interezza l’Ultima Cena, ma RIPRENDENDO DA ESSA SOLO LE SPECIFICHE AZIONI EUCARISTICHE . Tanto più
che, se la Cena del giovedì santo fu la cena pasquale, è chiaro che essa di per sé non era ripetibile
se non con una ricorrenza annuale. A partire dai gesti istitutivi di Gesù, la celebrazione
eucaristica ha dovuto dunque trovare la sua FORMA SPECIFICA: distinguendosi dalla celebrazione
pasquale giudaica, ma conservando alcuni elementi che la caratterizzavano (carattere festivo e
comunità limitata con precise condizioni di accesso, …).
Il TEMPO SUCCESSIVO ALLA RISURREZIONE è stato il contesto spirituale in cui questo processo si è
realizzato:
le azioni eucaristiche vengono estrapolate dal contesto della Pasqua e ricevono
come loro nuovo contesto il “Giorno del Signore”, cioè il giorno del primo incontro
con il Risorto. L’entrare del Risorto in mezzo ai suoi è il nuovo inizio, che lascia
dietro di sé, come una realtà ormai passata, il calendario festivo giudaico, e
stabilisce per il dono dell’Eucaristia il suo nuovo contesto. In questo senso la
domenica, il primo giorno della settimana (che però al contempo è ritenuto il
giorno d’inizio della creazione e che ora apre la nuova creazione) è la vera
collocazione interiore da cui l’Eucaristia come realtà cristiana prende forma.
Domenica ed Eucaristia vanno originariamente insieme; il giorno della Risurrezione
è l’ambito interiore dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è la celebrazione post pasquale di quell’incontro con il Risorto i cui gesti devono essere
trasposti nella novità della Pasqua:
- evidente in Didaché (“Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie…”);
- per questo Paolo sancisce la separazione tra il pasto comune e la celebrazione rituale (1Cor 11)
e su questa linea si è assestata tutta la tradizione successiva;
- il racconto dei discepoli di Emmaus suggerisce già una forma che difficilmente può esser
definita con un unico concetto, ma si manifesta essenzialmente attraverso la figura di
eucharistía.
La mattina della domenica è divenuta il tempo del culto cristiano, mentre il distacco dal giudaismo
ha comportato l’unificarsi nella nuova liturgia ecclesiale della lettura delle Scritture, che era parte
del culto sinagogale, con la preghiera eucaristica, che aveva sostituito i sacrifici del Tempio.
Il tema della forma liturgica implica il riconoscimento di un’intenzionalità dell’evento che ha il suo
luogo di sedimentazione e di sviluppo nella vita ecclesiale, poiché «il dono del Signore non è una
forma rigida, ma una REALTÀ VIVENTE, aperta allo sviluppo storico, e solo dove si accetta questo
sviluppo, si entra in un rapporto di continuità con Gesù».

43
Bisogna dunque evitare una prospettiva storica che consideri gli inizi cristiani come un insieme
composto da singoli elementi accostati tra di loro, ma interiormente estranei gli uni agli altri;
piuttosto, «la visione sacramentale della Chiesa poggia su un’intima unità dello sviluppo, che
proprio nel progredire conserva la fedeltà ed unisce i mutevoli tempi della storia grazie alla forza
dell’unico Signore e del suo dono».
Il passaggio dall’Ultima Cena all’Eucaristia è strettamente congiunto al passaggio dal sabato
giudaico alla domenica cristiana, come pure al passaggio dal culto nel Tempio all’identificazione
del Corpo del Risorto come nuovo e definitivo Tempio della preghiera ecclesiale.
 La prospettiva dell’ADEMPIMENTO CRISTOLOGICO-PASQUALE delle prefigurazioni
veterotestamentarie permette di venire a capo della questione della forma del sacramento: se
si ammette che la forma liturgica è la manifestazione essenziale ed intrinseca dell’evento
salvifico, bisogna accettare che non è possibile farne emergere l’evidenza figurale senza
compiere il lavoro ermeneutico che l’evento impone; pertanto, dove va persa la lettura
tipologica della Scrittura, va correlativamente persa la nozione di sacramento.
 allargamento della problematica della “forma” in direzione della ecclesiologia: poiché ha la
forma di un evento vivo, la forma sacramenti diviene forma ecclesiae. L’idea cristiana di RITO
non può essere ristretta al solo momento dell’ AZIONE LITURGICA; pur avendo il suo posto primario
nella liturgia, il rito si esprime anche in un determinato modo di fare teologia, nei lineamenti
della vita spirituale e negli ordinamenti giuridici della comunità ecclesiale: «è espressione,
divenuta forma, dell’ecclesialità». Proprio per questo la forma rituale assume il suo giusto
significato solo quando plasma l’insieme dell’esistenza, divenendo forma esistenziale.
In conclusione, il culto cristiano
non può mai essere una semplice actio liturgica. La sua origine porta in sé il suo
futuro anche nel senso che, come atto vicario, la rappresentanza accoglie in sé i
rappresentati, non rimane loro esteriore, ma li plasma. La contemporaneità con la
Pasqua di Cristo che avviene nella liturgia della Chiesa, infatti, è anche una realtà
antropologica. La celebrazione è non solo RITO, non solo “gioco” liturgico; vuole
essere, appunto, LOGIKÈ LATRÉIA, assimilazione della mia esistenza col Lógos,
contemporaneità interiore tra me e l’offerta di Cristo. La sua offerta vuole
diventare mia, affinché la contemporaneità si compia e si realizzi l’assimilazione
con Dio.
Proprio per questo nelle preghiere eucaristiche, quando si prega per l’accettazione del sacrificio,
ultimamente si prega «affinché la rappresentanza vicaria [di Cristo] divenga realtà e ci afferri».
Nulla di più insensato, dunque, della pretesa di voler “dare forma” di propria iniziativa
all’accadimento liturgico8. La partecipazione all’azione liturgica, rettamente intesa, consiste
essenzialmente nel lasciarsi associare con tutto il proprio essere all’azione che Cristo compie:

8
«Chi ritiene che la celebrazione liturgica si compia soprattutto per Dio, guarderà
necessariamente con sospetto il ruolo che l’espressione “dar forma” ha assunto nel frattempo in
certe cerchie liturgiche. Chi potrebbe immaginarsi che gli apostoli abbiano fatto prove di funzione
liturgica, per poter stabilire quale forma potesse essere la più efficace da un punto di vista
liturgico o missionario? Si ha non di rado la sensazione che l’attenzione di queste persone che
danno forma alla liturgia sia appunto più rivolta alla forma liturgica, che non a colui al quale si
indirizza» (RATZINGER., Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia 1971, 335).
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Si tratta di far sì che in definitiva la differenza tra l’actio di Cristo e quella nostra
venga annullata; che vi rimanga un’unica actio, che sia nello stesso tempo la sua e
la nostra: la nostra perché siamo arrivati a formare con Lui “un solo corpo ed un
solo spirito”. La singolarità della liturgia eucaristica consiste proprio nel fatto che
Dio stesso agisce e che noi veniamo coinvolti in questo agire di Dio.
All’uomo che nelle forme simboliche del suo agire cerca incessantemente la possibilità di una
libertà vera e piena, l’Eucaristia offre, nella modalità storica appropriata al tempo dell’imago, la
vera festa imbandita da Dio stesso. In essa l’uomo può partecipare realmente al sacrificio del
Figlio e così trovare l’anticipo della sua Pasqua. Inserito in questa tensione tra passato e futuro,
tutto il suo presente e ultimamente tutta la creazione che è affidata alla sua cura possono essere
trasformati in logikè latréia, in un culto secondo il Lógos.
 SINTESI DI RATZINGER:
- riscoperta della forma, che è diversa dalla cerimonia ma è intrinseca al Mistero: quale forma
ha l’Eucaristia? Quella dell’Ultima Cena?;
- l’Ultima Cena non è stata la prima Eucaristia e l’Eucaristia non è ripetizione dell’Ultima Cena;
- tra le due vi è la morte e risurrezione: il Risorto diventa il principio del cristianesimo!;
- la Chiesa post pasquale riprende il gesto di Gesù nell’Ultima Cena ma perde il contesto
giudaico;
- domenica ed Eucaristia si sviluppano insieme: realtà viva che ha un dinamismo nella Chiesa!;
- la forma dell’Eucaristia genera la forma della Chiesa: Eucaristia è comunione, così la Chiesa;
- ecco perché la forma della Messa non si decide per conto proprio!

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Rilievi conclusivi
 I testi del Nuovo Testamento presentano la celebrazione dell’Eucaristia come una realtà diffusa
e praticata dalla Chiesa.
 All’origine di tale pratica c’è il comando di Gesù: la celebrazione eucaristica esprime, anzitutto, la
fedeltà della Chiesa alla parola di Gesù, e di conseguenza la fede della Chiesa nella parola di
Gesù.
 Il comando dell’Eucaristia da parte di Gesù è legato al valore dell’Eucaristia, presentata ponendo
un’identificazione tra il pane e il vino e la persona del Signore (cfr. racconti di istituzione e
interpretazione di Paolo e Gv) nel momento culmine e sintesi della sua vita: OBLAZIONE DI SÉ IN
CROCE.
 FINE DELL’EUCARISTIA è la realizzazione della presenza del Signore nei discepoli (“Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui”); più precisamente, l’attuazione nei discepoli
del valore salvifico della morte del Signore, intesa come Pasqua definitiva, Nuova alleanza,
remissione dei peccati, partecipazione alla vita divina.
 Il Nuovo Testamento, presentando l’Eucaristia, mette dunque in primo piano l’azione di Cristo
che costituisce i suoi nella comunione con sé, nella partecipazione alla sua azione salvifica, e
quindi nell’unità e nella fraternità. L’Eucaristia riceve tutto il suo significato dall’azione di Gesù
Cristo.
È Cristo che fa essere l’Eucaristia, non l’Eucaristia che fa essere Cristo. L’Eucaristia è nell’ordine
applicativo, non costitutivo di Cristo.

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PARTE SECONDA: STORIA DEL RITO E DELLA TEOLOGIA
1. Età patristica (I-III secolo)
1.1. Testimonianze circa la pratica celebrativa
Nel periodo patristico l’eucaristia è celebrata normalmente e pacificamente in tutte la Chiesa,
come risulta da testimonianze che provengono dalle diverse aree geografiche del cristianesimo
primitivo. Prendiamo in considerazione anzitutto le testimonianze relative alla prassi celebrativa,
tra cui spiccano:
- la Didachè (100 d.C.), che riporta dei piccoli tratti liturgici;
- Giustino (150 d.C.), che offre la prima descrizione di celebrazione (battesimale e domenicale);
- la Traditio Apostolica (200 d.C.) con due celebrazioni e la più antica preghiera eucaristica9;
- l’Anafora di Addai e Mari (200-250 d.C.), preghiera orientale proveniente da Iran e Iraq.
1.1.1. Didaché
PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO:
- scritto anonimo della fine del primo secolo, proveniente probabilmente da Antiochia di Siria;
- fu ritrovato manoscritto nel 1873 dal metropolita greco di Nicomedia e pubblicato sulla base di
una pergamena del 1056;
- titolo completo: L’insegnamento del Signore ai gentili trasmesso dai Dodici Apostoli.
Due passi sull’Eucaristia: uno certo (14), uno discusso (9-10).

Eucaristia XIV. - 1. Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete
domenicale grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il VOSTRO
SACRIFICIO sia puro. 2. Ma tutti quelli che hanno qualche discordia
con il loro compagno, non si uniscano a voi prima di essersi riconciliati, affinché il
VOSTRO SACRIFICIO non sia profanato.
3. Questo è infatti il SACRIFICIO di cui il Signore ha detto: “In ogni luogo e in ogni
tempo offritemi un sacrificio puro, perché un re grande sono io - dice il Signore - e
mirabile è il mio nome fra le genti”.
Osservazioni:
 celebrazione DOMENICALE (“Nel giorno del Signore”);
 terminologia dello “SPEZZARE IL PANE” (cfr. Atti);
 riconoscimento dei PECCATI + RICONCILIAZIONE con i fratelli (cfr. Mt 5,23-24);
 VOSTRO SACRIFICIO vostro: dei cristiani (2 volte);
 applicazione della profezia di MALACHIA 1,11 (“In ogni luogo […] il mio nome fra le genti”).10

Preghiere IX. - 1. Riguardo all’EUCARISTIA, così rendete grazie: 2. dapprima


“eucaristiche” per il calice: “Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la santa
vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo
servo. A te gloria nei secoli.”

9
Riportata nella PREGHIERA EUCARISTICA II, inserita dal CVII, prima vi era solo il Canone Romano
(ovvero la nostra attuale PREGHIERA EUCARISTICA I).
10
Ripreso nella PREGHIERA EUCARISTICA III.
47
3. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la vita e la
conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli.
4. Nel modo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto
divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della
terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli”. 5. Nessuno
però mangi né beva della vostra EUCARISTIA se non i battezzati nel nome del Signore,
perché anche riguardo a ciò il Signore ha detto: “Non date ciò che è santo ai cani”.
X. - 1. Dopo che vi sarete saziati, così rendete grazie: 2. “Ti rendiamo grazie, Padre
santo, per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la
conoscenza, la fede e l'immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo.
A te gloria nei secoli. 3. Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa a gloria del
tuo nome; hai dato agli uomini cibo e bevanda a loro conforto, affinché ti rendano
grazie; ma a noi hai donato un cibo e una bevanda spirituali e la vita eterna per
mezzo del tuo servo.
4. Soprattutto ti rendiamo grazie perché sei potente. A te gloria nei secoli.
5. Ricordati, Signore, della tua chiesa, di preservarla da ogni male e di renderla
perfetta nel tuo amore; santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che
per lei preparasti. Perché TUA È LA POTENZA E LA GLORIA NEI SECOLI. 6. Venga la grazia e
passi questo mondo. Osanna alla casa di David. Chi è santo si avanzi, chi non lo è si
penta. Maranathà. Amen”.
7. Ai profeti, però, permettete di rendere grazie a loro piacimento.
La maggior parte degli studiosi cattolici considera questi due capitoli (IX e X) riferiti all’eucaristia
vera e propria e non solo al banchetto agapico. Motivi per sostenere il CARATTERE EUCARISTICO:
- contesto in cui si parla del Battesimo, della preghiera del Signore e del digiuno;
- eucaristia è ripetuto come termine tecnico;
- parte del testo comparirà e sarà sviluppato in anafore successive (Costituzioni apostoliche,
libro VII, 25-26, chiamata successivamente eucaristia mistica = azione di grazie sacramentale)
- l’esclusione di coloro che non sono battezzati.
NATURA DEL TESTO:
- per alcuni non sono anafore: se non si fa menzione della Passione e mancano le parole
dell’istituzione è perché non si tratta di anafore eucaristiche, ma di preghiere destinate ai
fedeli;
- per Mazza, invece, avremmo qui la forma più antica di preghiera eucaristica.
COMMENTO:
- notare la comparsa del termine tecnico “eucaristia” insieme a quello di “spezzare il pane”;
- riferimento del pane e del calice all’azione di Gesù, anche senza racconto dell’istituzione;
- tema della comunione ecclesiale;
- comunione eucaristica riservata ai battezzati.
Notare, inoltre, che all’inizio del capitolo 15, la SCELTA DEI MINISTRI viene collegata con il discorso
eucaristico: “1. Eleggetevi quindi episcopi e diaconi degni del Signore, uomini miti, disinteressati,
veraci e sicuri; infatti anch'essi compiono per voi lo stesso ministero dei profeti e dei dottori”.
1.1.2. Giustino

48
Giustino emerge tra i padri del II secolo come il più importante apologista greco e una delle figure
più rilevanti del cristianesimo primitivo. Discendente di coloni pagani probabilmente di origine
latina, si dice nativo di Flavia Neapolis (l’odierna Nablus) in Samaria intorno all’anno 100.
Assetato di verità, la ricercò presso le varie scuole filosofiche del suo tempo, fino ad approdare al
cristianesimo. La conversione, verso il 130, avvenne probabilmente ad Efeso. Arrivato a Roma
verso il 140, durante il regno dell’imperatore Antonino Pio (138-161), vi fondò una scuola dove
introduceva gratuitamente gli allievi alla fede cristiana. Denunciato come cristiano, fu processato
e condannato alla decapitazione intorno al 165 d.C., mentre era imperatore Marco Aurelio:
possediamo gli Atti del suo martirio. Tra le sue numerose opere sono pervenute a noi solo tre: la
PRIMA APOLOGIA, la SECONDA APOLOGIA e il DIALOGO CON TRIFONE.
Di grandissima importanza per la storia della liturgia e del dogma sono le testimonianze circa la
prassi eucaristica che troviamo nella Prima Apologia:
- scritto verso il 153 d.C., indirizzato all’imperatore Antonino Pio, ai suoi due figli adottivi, Marco
Aurelio e Lucio Commodo, al Senato ed a tutto il popolo romano;
- consta di 68 capitoli così organizzati: INTRODUZIONE (cc.1-3), in cui si appella alla saggezza e alla
pietà degli imperatori; CONTESTA DELLE ACCUSE contro i cristiani (cc.4-12); ESPOSIZIONE (cc.13-67)
della dottrina e del culto propri alla nuova religione; PERORAZIONE CONCLUSIVA (68).
In questo contesto nei nn. da 61 a 68 Giustino espone la prassi battesimale ed eucaristica, con
pagine dense, suggestive e di straordinaria forza evocativa; troviamo due tipi di celebrazione:
- UN’EUCARISTIA BATTESIMALE (65-66);
- un’EUCARISTIA DOMENICALE (67).

Eucaristia LXV. - 1. Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e
battesimale ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli,
dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente,
sia per noi stessi, sia per l’illuminato, sia per tutti gli altri, dovunque si trovino,
affinché, appresa la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni cittadini e fedeli
custodi dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna. 2. Finite le preghiere, ci
salutiamo l’un l’altro con un bacio. 3. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un
pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e
gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un
rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. 4. Quando egli
ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente
acclama: “Amen”. La parola “Amen” in lingua ebraica significa “sia”. 5. Dopo che il
preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che
noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e
l’acqua consacrati e ne portano agli assenti.
LXVI. - 1. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a nessuno è lecito
parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato
con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come
Cristo ha insegnato.
2. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come
Gesù Cristo, il nostro Salvatore incarnatosi, per la parola di Dio, prese carne e
sangue per la nostra salvezza, così abbiamo appreso che anche quel NUTRIMENTO,
CONSACRATO CON LA PREGHIERA CHE CONTIENE LA PAROLA DI LUI STESSO e di cui si nutrono il
nostro sangue e la nostra carne per trasformazione, è carne e sangue di quel Gesù
49
incarnato.
3. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu
loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo:
“Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice e
rese grazie disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì Eucaristia battesimale
soltanto a loro. 4. I malvagi demoni per imitazione, dissero che tutto ciò avveniva
anche nei misteri di Mitra. Infatti voi già sapete, o potete apprendere, come nei riti
di iniziazione si introducano un pane ed una coppa d’acqua, mentre si pronunciano
alcune formule.
Il n. 65 descrive la celebrazione; il n. 66 dà indicazioni molto importanti anzitutto sulle tre
condizioni per accedere alla mensa eucaristica:
- l’accoglienza della DOTTRINA CRISTIANA,
- la rinascita BATTESIMALE,
- una VITA MORALE conforme all’insegnamento di Gesù.
Notiamo poi in questo testo l’espressione: “il nutrimento eucaristizzato attraverso la parola di
preghiera che viene da Lui” (ten di’euches loogu tou par’autou eucharistetheisan trophen), una
formula che lascia chiaramente intendere il fatto che la comunità rende grazie sugli alimenti
richiamandosi alle parole di Gesù sulla cena. Ciò può essere inteso in due sensi:
- come presenza del racconto di istituzione in una forma molto arcaica di anafora,
- oppure come espressione di una preghiera di ringraziamento analoga a quella usata da Gesù.
Molto rilevante è il realismo con cui viene espressa la fede nel fatto che pane e vino eucaristizzati
sono chiaramente RICONOSCIUTI COME CORPO E SANGUE DEL SIGNORE, diversi da alimenti ordinari!

Eucaristia LXVII. - 1. Da allora noi ci ricordiamo a vicenda questo fatto. E quelli


domenicale che possiedono, aiutano tutti i bisognosi e siamo sempre uniti gli uni
con gli altri. 2. Per tutti i beni che riceviamo ringraziamo il creatore
dell’universo per il Suo Figlio e lo Spirito Santo. 3. E nel giorno chiamato “del Sole” ci
si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le
memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il tempo consente. 4. Poi,
quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta
ad imitare questi buoni esempi. 5. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo
preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane,
vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza
preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi
la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, ed attraverso i
diaconi se ne manda agli assenti. 6. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno
liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso
il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per
qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi:
insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. 7. Ci raccogliamo tutti insieme
nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le
tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro
Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti Lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno,
ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli
e discepoli, ed insegna proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi
perché le esaminiate.
50
Abbiamo una prima descrizione di una celebrazione eucaristica domenicale (“giorno del Sole”):
presenti la lettura delle memorie degli apostoli (Vangeli); la preghiera dei fedeli (“ci alziamo in
piedi ed innalziamo preghiere”); la preghiera sull’eucaristia, in cui si rende grazie (cfr. 65-66); la
colletta (cfr. Atti 2).
LA TEOLOGIA:
- realismo eucaristico;
- l’Eucaristia costituisce il sacrificio escatologico gradito a Dio, profetizzato da Malachia (Dialogo
con Trifone);
- superamento della religione ebraica;
- si accompagna a impegno di carità.
1.1.3. Traditio Apostolica
La Tradizione Apostolica è un breve scritto cristiano antico in cui si fa riferimento a un compendio
di princìpi, regolamenti e istruzioni in materia di ordinamento ecclesiastico, prassi liturgica e vita
comunitaria, in cui la Chiesa ha tradotto normativamente ciò che ha ricevuto dagli apostoli.
L’originale greco di questo scritto non è giunto fino a noi. Il testo che noi leggiamo è stato
ricostruito a partire da documenti di epoca posteriore, che integrano l’originale. Considerato
d’incomparabile importanza dagli storici, in quanto preziosa fonte di informazioni riguardo alla
vita comunitaria e alla liturgia cristiane del III secolo, tradizionalmente il testo è datato intorno al
218 e attribuito a Ippolito di Roma (170?-235?); recentemente la sono stati messi in discussione
l’attribuzione a Ippolito, come anche l’epoca e il contesto di provenienza. Alcuni studiosi sono
giunti alla conclusione che Traditio apostolica è “una aggregazione di materiale proveniente da
differenti fonti, assai verosimilmente originato in diverse regioni geografiche e probabilmente in
differenti periodi storici, forse databile a partire dalla metà del II secolo fino alla metà del IV,
senza che nessuna delle testimonianze testuali possa essere collocata con certezza prima
dell’ultimo quarto del IV secolo”. Lo studio di questa fonte, però, è ancora ben lontano dall’aver
raggiunto risultati definitivi: solo nel 1999 è stata rinvenuta una versione etiopica che sembra
confermare l’esistenza di un originale greco unitario.
Nella Traditio troviamo riferimenti all’eucaristia in questi contesti:
- Eucaristia nel contesto di un’ordinazione (c.4);
- Eucaristia battesimale (c.21);
- Eucaristia domenicale (c.22).
 Di eccezionale importanza il fatto che la Traditio ci conservi nel c. 4 una antichissima anafora,
che per il suo valore paradigmatico è stata assunta come punto di partenza per la elaborazione
della Preghiera eucaristica II del Messale di Paolo VI (riscoperta con il Concilio Vaticano II, dopo
il lungo uso del solo Canone Romano).
La struttura dell’anafora della Traditio è la seguente:
- Dialogo
- Prefazio
- Istituzione
- Anamnesi
- Epiclesi
- Dossologia

51
In tutto è evidente una profonda orditura biblica e una forte densità teologica (dimensione
anamnetica, escatologica, oblativa, eucaristica, conviviale).
TRADITIO APOSTOLICA PREGHIERA EUCARISTICA II
I diaconi recano le offerte sacrificali, sulle quali il
vescovo, insieme col presbiterio, pone le mani. Poi
il rendimento di grazie, all`inizio alternato con la
comunità:
[Dialogo] «Il Signore sia con voi!». [Dialogo] Il Signore sia con voi
«E con il tuo spirito!». E con il tuo spirito
«In alto i cuori». In alto i nostri cuori
«Li abbiamo rivolti al Signore». Sono rivolti al Signore
«Rendiamo grazie al Signore». Rendiamo grazie al Signore nostro Dio
«È giusto e retto». È cosa buona e giusta
[Prefazio] Ti ringraziamo, o Dio, per mezzo del tuo [Prefazio] È veramente cosa buona e giusta, nostro
servo amato Gesù Cristo, che negli ultimi dovere e fonte di salvezza, *
tempi tu ci hai mandato quale salvatore, rendere grazie sempre e in ogni luogo *
redentore e nunzio del tuo volere: il a te, Padre santo, +
Verbo divino da te inseparabile, per per Gesù Cristo, tuo amatissimo Figlio. **
mezzo del quale tu hai fatto tutto e in cui Egli è la tua parola vivente: *
hai trovato le tue compiacenze. per mezzo di lui hai creato tutte le cose,
Lo hai mandato dal cielo nel seno di una lo hai mandato a noi salvatore e
vergine e nel di lei corpo assunse carne e redentore,*
dimostrò di essere tuo Figlio con la sua fatto uomo per opera dello Spirito Santo
nascita di Spirito Santo dalla vergine. +
Per adempiere la tua volontà e e nato dalla Vergine Maria. **
acquistarti un popolo santo, stese le Per compiere la tua volontà e acquistarti
mani, perché soffrì per liberare dai dolori un popolo santo *
coloro che hanno confidato in lui. egli, nell’ora della passione, stese le
Liberamente si abbandonò agli strazi per braccia sulla croce, *
affiggere in croce la morte, spezzare i morendo distrusse la morte +
lacci del diavolo, calpestare l`ade, e proclamo la risurrezione. **
illuminare i giusti. Per questo mistero di salvezza, *
Per annunciare la risurrezione, uniti agli angeli e ai santi, *
cantiamo a una sola voce +
la tua gloria: *
[Santo]
[Epiclesi] Veramente santo sei tu, o Padre, fonte di
ogni santità. Ti preghiamo: santifica
questi doni con la rugiada del tuo Spirito
perché diventino per noi il Corpo e il
Sangue del Signore nostro Gesù Cristo.
[Istituzione] prese il pane, ti ringraziò e disse: Egli, consegnandosi volontariamente alla
‘Prendete e mangiate, questo è il mio passione, prese il pane, rese grazie, lo
corpo che per voi viene spezzato’. spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse:
Similmente anche il calice, con le parole: Prendete, e mangiatene tutti: questo è il
‘Questo è il mio sangue, che per voi viene mio Corpo offerto in sacrificio per voi.
versato. Quando fate questo, attuate il Allo stesso modo, dopo aver cenato,
mio ricordo’. prese il calice, di nuovo ti rese grazie, lo
diede ai suoi discepoli e disse: Prendete,
e bevetene tutti: questo è il calice del mio
Sangue, per la nuova ed eterna alleanza,
52
versato per voi e per tutti in remissione
dei peccati. Fate questo in memoria di
me.
[Acclamazione] Mistero della fede. Annunciamo…
[Anamnesi–offerta] Pensando dunque alla sua [Anamnesi-offerta] Celebrando il memoriale della
morte e alla sua risurrezione, noi morte e risurrezione del tuo Figlio, ti
offriamo a te il pane e il vino, e insieme ti offriamo, Padre, il pane della vita e il
ringraziamo che ci hai fatti degni di stare calice della salvezza, e ti rendiamo grazie
davanti a te e compiere per te il servizio perché ci hai resi degni di stare alla tua
sacerdotale. presenza a compiere il servizio
sacerdotale.
[Epiclesi] E ti preghiamo che tu mandi il tuo Santo [Epiclesi] Ti preghiamo umilmente: per la
Spirito sulle offerte sacrificali della santa comunione al corpo e al sangue di Cristo
Chiesa rendendola unita. Concedi a tutti lo Spirito Santo ci riunisca in un solo
quelli che partecipano alle tue sante cose corpo.
di essere riempiti di Spirito Santo, a
rafforzamento della fede nella verità,
[Intercessioni] Ricordati, Padre, della tua Chiesa
diffusa su tutta la terra: rendila perfetta
nell’amore in unione con il nostro papa N.,
il nostro vescovo N. i presbiteri e i diaconi.
Ricordati anche dei nostri fratelli e sorelle
che si sono addormentati nella speranza
della risurrezione e, nella tua misericordia,
di tutti i defunti: ammettili alla luce del
tuo volto.
Di noi tutti abbi misericordia, donaci di
aver parte alla vita eterna, insieme con la
beata Maria, Vergine e Madre di Dio, san
Giuseppe, suo sposo, gli apostoli, [san N.:
santo del giorno o patrono] e tutti i santi
che in ogni tempo ti furono graditi, e in
Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua
lode e la tua gloria.
[Dossologia] affinché ci sia dato di lodarti e [Prefazio] Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio
glorificarti per mezzo del tuo servo Gesù Padre onnipotente, nell’unità dello
Cristo; per mezzo suo a te gloria e onore, Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti
al Padre e al Figlio con lo Spirito Santo i secoli dei secoli.
nella tua santa Chiesa, ora e per tutta
l`eternità. Amen.

Eucaristia 21. […Descrizione del Battesimo e della Crismazione…] A questo


battesimale momento con tutto il popolo possono pregare anche i NEOBATTEZZATI
che prima non potevano farlo con i fedeli, prima cioè di aver
ottenuto tutto. E dopo che hanno pregato, possono dare con la bocca il bacio di
pace. Poi dai diaconi vengano portati i doni al vescovo, ed egli renda grazie sul
pane, simbolo – come dicono i greci per la somiglianza - del corpo di Cristo, e sopra
il calice con vino e acqua, simbolo - come dicono i greci per la straordinaria
somiglianza - del sangue, versato per tutti quelli che in lui hanno creduto; e anche
sul latte misto a miele in compimento delle promesse venute dal Padre, che parlano

53
di una terra dove scorre latte e miele, che Cristo ha dato come sua carne, e con cui i
fedeli vengono nutriti quali fanciulli, mentre con la dolcezza delle opere
raddolciscono l`amarezza del cuore. L’acqua nel sacrificio simboleggia il battesimo
perché l`uomo interiore, sostanza animata, riceve quello che riceve il corpo. Su tutto
questo il vescovo deve istruire i comunicandi.
Mentre spezza il pane, porge i singoli pezzetti dicendo: «Pane celeste in Cristo
Gesù». Il comunicando invece risponde: «Amen». Se non vi sono presbiteri a
sufficienza, anche i diaconi possono reggere, con venerazione e santo timore, i
calici; il primo regge l’acqua, il secondo il latte, il terzo il vino. E i comunicandi
possono gustare dei singoli doni, mentre il ministro dice tre volte: «In Dio, Padre
onnipotente» – e il comunicando risponde: «Amen» – «e nel Signore Gesù Cristo e
nello Spirito Santo e la santa Chiesa». E il comunicando dice: «Amen».
OSSERVAZIONI:
- “SIMBOLO” è da intendersi in senso ontologico;
- i NEOFITI vengono portati in comunità, partecipano all’eucaristia e ricevono pane e vino ma
anche latte e miele per dire che sono entrati nella terra promessa.
Eucaristia 22. La domenica il vescovo, se può, distribuisca personalmente a
domenicale tutto il popolo, mentre i diaconi lo spezzino. Anche i presbiteri
spezzeranno il pane. Quando il diacono porgerà il pane al
presbitero, lo porga su di un piatto, e il presbitero prenda il pane e lo distribuisca di
sua mano al popolo. Gli altri giorni si faccia la comunione secondo le istruzioni date
dal vescovo. Le vedove e le vergini digiunino spesso e preghino per la Chiesa. I
presbiteri digiunino quando vogliono, e così pure i laici. Il vescovo non può
digiunare se non quando digiuna tutto il popolo. Può accadere, infatti, che qualcuno
voglia fare un’offerta e il vescovo non può rifiutare. Perciò, quando spezza il pane,
ne gusti in ogni caso. In caso di necessità, sia il diacono a dare sollecitamente il
segno ai malati, se non c’è presbitero: dopo aver dato tutto ciò che è necessario e
ricevuto ciò che viene distribuito, renda grazie. Lì stesso consumino. Coloro che
ricevono i doni siano solleciti nel loro compito. Se uno riceve qualcosa da portare ad
una vedova o a un malato o a chi è al servizio della Chiesa, la porti nello stesso
giorno. Se no, la porti l’indomani aggiungendovi del proprio, poiché è rimasto
presso di lui il pane dei poveri.

1.1.4. Anafora di Addai e Mari


Datata intorno al 200 d.C. (o comunque a inizio III secolo), proviene dall’ambiente siriaco-
orientale (probabilmente dalla zona di Edessa), è IL PIÙ ANTICO DEI TESTI ANAFORICI rimasto ancora in
uso nelle chiese orientali. Una particolarità che l’ha resa celebre: è priva del racconto
dell’istituzione nella forma narrativa a noi consueta, ma non mancano riferimenti in forma
EUCOLOGICA e DISSEMINATA.

54
Addai e
Mari

55
[1]. Sac. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, la carità di Dio Padre e la
comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi ora e sempre nei secoli dei secoli.
R. Amen
Sac. In alto i vostri cuori
R. Sono rivolti a te, o Dio. A te, Dio di Abramo e di Isacco e di Israele, Re glorioso.
Sac. L'oblazione viene offerta a Dio, Signore di tutte le cose.
R. È cosa buona e giusta.
Diac. La pace sia con voi.
 PREFAZIO
[2]. Sac. È degno di essere lodato da ogni bocca e ringraziato da ogni lingua il nome
adorabile e glorioso del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, che ha creato il
mondo nella sua grazia e i suoi abitanti nella sua amorosa benevolenza e ha
redento i figli degli uomini nella sua misericordia e ha trattato con bontà grande i
mortali.
[3]. La tua maestà, o mio Signore, a migliaia di migliaia gli esseri celesti e miriadi e
miriadi gli angeli adorano; e le schiere delle creature spirituali, i ministri del fuoco e
dello spirito glorificano il tuo nome con I cherubini e i santi serafini acclamando
senza fine e glorificando e rivolgendosi l'uno all'altro, e dicendo:
R. Santo, santo, santo il Signore onnipotente:
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nell'alto! Osanna al figlio di David!
Benedetto colui che è venuto e viene nel nome del Signore.
Osanna nell'alto.

 II RENDIMENTO DI GRAZIE
[4]. Sac. E con queste potestà celesti ti rendiamo grazie, o mio Signore, anche noi
indegni, fragili e miserabili servi, perché hai agito con grande bontà verso di noi, in
una maniera che non può essere ripagata, perché tu ti sei rivestito della nostra
umanità, per poterci riportare alla vita con la tua divinità, e hai esaltato la nostra
bassa condizione e hai risollevato la nostra condizione decaduta, hai risuscitato la
nostra mortalità, hai perdonato i nostri peccati, hai assolto la nostra
peccaminosità, hai illuminato la nostra intelligenza e hai sconfitto, o Signore nostro
e Dio nostro, i nostri avversari e hai fatto trionfare la indegnità della nostra debole
natura con la sovrabbondante misericordia della tua grazia.
E per tutti i tuoi benefici e le tue grazie verso di noi ti offriamo gloria e onore e
rendimento di grazie e adorazione, ora e sempre nei secoli dei secoli.
R. Amen.
Diac. Pregate nel vostri cuori. La pace sia con voi.
 COMMEMORAZIONE DEI SANTI
[5]. Sac. Tu, o mio Signore, nelle tue innumerevoli e ineffabili misericordie, abbi un
ricordo buono e gradevole di tutti i padri retti e giusti, che ti sono piaciuti, NELLA
COMMEMORAZIONE DEL CORPO E DEL SANGUE DEL TUO CRISTO, che ti offriamo sul tuo altare
puro e santo, COME CI HAI INSEGNATO e concedici pace e tranquillità tutti i giorni
dell'esistenza.
R. Amen.
 INTERCESSIONI
56
[6]. Sac. affinché ti conoscano tutti gli abitanti della terra, perché tu solo sei Dio,
Padre vero; e tu hai mandato il Signor nostro Gesù Cristo, Figlio tuo e tuo diletto, e
lo stesso Signore e Dio nostro ci ha insegnato nel suo vangelo vivificante ogni purità
e santità dei profeti e degli apostoli, dei martiri e confessori, dei vescovi e dei
presbiteri e dei diaconi, e di tutti i figli della santa Chiesa cattolica, che sono stati
segnati col sigillo vivificante del santo battesimo.
 ANAMNESI
[7]. E anche noi, Signore, indegni servi tuoi, deboli e miserabili, che ci siamo riuniti e
stiamo davanti a te.
ABBIAMO RICEVUTO DALLA TRADIZIONE L'ESEMPLARE CHE VIENE DA TE, gioendo e glorificando
ed esaltando e commemorando e celebrando questo mistero grande e tremendo
della passione, morte e risurrezione dei Signore nostro Gesù Cristo.
 EPICLESI
[8]. Venga, o mio Signore, il tuo Santo Spirito e riposi su questa oblazione dei tuoi
servi e la benedica e la santifichi; perché sia per noi, o mio Signore, come perdono
per i peccati e remissione delle trasgressioni e per la grande speranza della
risurrezione dalla morte e per la vita nuova nel regno dei cieli con tutti coloro che
sono stati graditi davanti a te.
 DOSSOLOGIA
[9]. E per tutto il tuo disegno meraviglioso verso di noi ti rendiamo grazie e ti
lodiamo senza fine nella tua chiesa, redenta per il sangue prezioso del tuo Cristo, a
gran voce e a viso aperto offrendo gloria, onore, rendimento di grazie e adorazione
al tuo nome vivo, santo e vivificante ora e sempre nei secoli dei secoli.
R. Amen.

PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI: Orientamenti per


l’ammissione all’Eucaristia fra la Chiesa Caldea e la Chiesa Assira dell’Oriente
Molti fedeli caldei e assiri vivono, nei loro paesi d’origine e nella diaspora, una situazione di grande
indigenza che impedisce a molti una normale vita sacramentale secondo la propria tradizione;
perciò, nel contesto ecumenico di dialogo fra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente, è
stata richiesta l’ammissione all’Eucaristia fra la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell’Oriente.
Per la CHIESA CATTOLICA la questione si riferiva al problema della validità dell’Eucaristia celebrata
con l’Anafora di Addai e Mari poiché è adoperata senza il racconto dell’Istituzione (i caldei la
integrano con una preghiera della narrazione, gli assiri la usano così com’è.): poiché la Chiesa
cattolica considera le PAROLE DELL’ISTITUZIONE EUCARISTICA parte costitutiva e quindi indispensabile
dell’Anafora o Preghiera Eucaristica, è servito uno studio lungo e accurato – da un punto di vista
storico, liturgico e teologico – prima che, nel 2001, la Congregazione per la Dottrina della Fede la
considerasse valida. Tale conclusione si basa su TRE PRINCIPALI ARGOMENTI:
1. l’Anafora di Addai e Mari è una delle più antiche anafore, risalente ai primordi della Chiesa.
Essa fu composta e adoperata con il chiaro intento di celebrare l’Eucaristia in piena continuità
con l’Ultima Cena e secondo l’intenzione della Chiesa. La sua validità non è mai stata
ufficialmente confutata, né nell’Oriente né nell’Occidente cristiani.
2. la Chiesa cattolica riconosce la Chiesa assira dell’Oriente come autentica Chiesa particolare,
fondata sulla fede ortodossa e sulla successione apostolica. La Chiesa assira dell’Oriente ha
anche preservato la piena fede eucaristica nella presenza di nostro Signore sotto le specie del
pane e del vino e nel carattere sacrificale dell’Eucaristia: pertanto, sebbene essa non sia in
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piena comunione con la Chiesa cattolica, si trovano «veri sacramenti, soprattutto, in forza
della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia» (Unitatis redintegratio, n. 15).
3. le parole dell’Istituzione Eucaristica sono di fatto presenti nell’Anafora di Addai e Mari, non in
modo narrativo coerente e ad litteram, ma in modo eucologico e disseminato, vale a dire che
esse sono integrate in preghiere successive di rendimento di grazie, lode e intercessione.
1.2. Testimonianze dottrinali
1.2.1. Ignazio di Antiochia
Vescovo di Antiochia dopo Pietro, tra il 70 e il 107 d.C., anno del martirio, nelle sue lettere:
- troviamo traccia dello sviluppo dell’organizzazione ecclesiastica agli inizi del II secolo;
- l’eucaristia è presentata come momento salvifico centrale della vita della Chiesa;
- compare l’uso specifico del termine “eucaristia”;
 Afferma l’identità tra il corpo storico del Signore e il corpo eucaristico: accogliere l’eucaristia è
accogliere l’economia cristologica della salvezza (contro il DOCETISMO, che rifiutava di confessare la
carne di Cristo).

Eucaristia e Smirnesi, VII. 1. [Gli eretici] stanno lontani dalla eucaristia e dalla
cristologia preghiera perché non riconoscono che l’eucaristia è la
carne del nostro salvatore Gesù Cristo che ha sofferto per i
nostri peccati e che il Padre nella sua bontà ha risuscitato.
Trallesi, VI. 1. Non io vi scongiuro ma la carità di Gesù Cristo. Prendete solo
l’alimento cristiano e astenetevi dall’erba estranea che è l’eresia.

 Facendo comunicare al corpo del Signore, l’eucaristia realizza l’unità ecclesiale: è un tema è
molto importante per Ignazio, che continuamente sottolinea la necessità della comunione con il
vescovo.

Eucaristia e Smirnesi, VIII. 1. Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il
comunione vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la
ecclesiale legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che
concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l’eucaristia che si fa dal
vescovo o da chi è da lui delegato.
Filadelfiesi, IV. Preoccupatevi di attendere ad una sola eucarestia. Una è la carne di
nostro Signore Gesù Cristo e uno il calice dell’unità del suo sangue, uno è l’altare
come uno solo è il vescovo con il presbiterato e i diaconi miei conservi. Se ciò farete,
lo farete secondo Dio.

 Poiché Cristo si è fatto pane, anche Ignazio, che è frumento di Dio, vuole diventare, per bocca
delle belve, pane puro di Cristo. Il martirio è visto come offerta liturgica di sé, come piena
attuazione della vita eucaristica del credente e piena immedesimazione con il Signore. Alla luce
dell’Eucaristia, infatti, il credente guarda con occhi nuovi alla morte.

Eucaristia e Romani, IV. 1. Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io


martirio muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non
avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto

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delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di
Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo.
Romani, VII. 3. Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa
vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David e come
bevanda il suo sangue che è l’amore incorruttibile.

 L’eucaristia è farmaco di immortalità, una medicina salutare che provoca nell’anima la vita che
non muore, opponendosi al veleno che è il potere della morte.

Eucaristia e Efesini, XX. Se Gesù Cristo per la vostra preghiera mi renderà degno
escatologia di grazia ed è la Sua volontà vi spiegherò in un secondo scritto che
ho in mente di stilare, l’accennata economia per l’uomo nuovo
Gesù Cristo, che consiste nella sua fede, nella sua carità, nella sua passione e
resurrezione. Soprattutto se il Signore mi rivelerà che ognuno e tutti insieme nella
grazia che viene dal suo nome vi riunite in una sola fede e in Gesù Cristo del seme di
David figlio dell’uomo e di Dio per ubbidire al vescovo e ai presbiteri in una
concordia stabile spezzando l’unico pane che è rimedio di immortalità, antidoto per
non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo.

 La comunità riunita nella comunione all’agape di Cristo è invincibile, città salda che il nemico
non può sconfiggere.
Eucaristia e Efesini, XIII. Impegnatevi a riunirvi più di frequente nell’azione
distruzione del di grazie e di gloria verso Dio. Quando vi riunite spesso, le forze
potere di Satana
di Satana vengono abbattute e il suo flagello si dissolve nella
concordia della fede. Niente è più bello della pace nella quale si frustra ogni guerra
di potenze celesti e terrestri.

1.2.2. Ireneo di Lione


 Nato a Smirne (135-140 d.C.), discepolo di Policarpo (che aveva conosciuto gli apostoli), andò in
Gallia (dopo un probabile passaggio a Roma) e divenne vescovo di Lione, dove lottò
strenuamente CONTRO LO GNOSTICISMO, morì forse martire nel 202-203 d.C.
 Opere: Adversus Haereses e Demonstratio apostolicae praedicationis
 Il tema eucaristico è ricorrente; contro lo gnosticismo, che predicava il dualismo e disprezzo per
la materia, Ireneo afferma che:
- l’eucaristia è segno della continuità tra creazione e salvezza, perché la salvezza ci viene data
attraverso la materia della creazione;
- l’eucaristia è compimento dei sacrifici antichi (Malachia), contro la pretesa gnostica di un culto
puramente spirituale;
- l’eucaristia destina la carne dell’uomo alla risurrezione, contro la concezione gnostica di un
mondo materiale destinato alla decadenza;
- nella carne di Cristo, presente nell’Eucaristia, si ricapitola l’economia della salvezza, contro
una concezione della salvezza come liberazione dal mondo.
 IN SINTESI egli può affermare: «Il nostro modo di pensare è conforme all'Eucaristia, e l'Eucaristia,
a sua volta, si accorda con il nostro modo di pensare» (Adversus haereses).

59
Risurrezione per la Sono completamente stolti quelli che disprezzano tutta
carne e il sangue l’economia di Dio e negano la salvezza della carne e ne
di Cristo spregiano la rigenerazione, dicendo che essa non è capace di
incorruttibilità. Ma se questa non si salva, né il Signore ci ha redento davvero col
suo sangue, né il calice eucaristico è comunicazione del suo sangue, né il pane che
spezziamo è la comunione del suo corpo. Non c’è infatti sangue se non dalle vene,
dalle carni e dalla rimanente sostanza dell’uomo, quale veramente si è fatto il
Verbo di Dio; egli col suo sangue ci ha redento, come dice l’Apostolo: Nel quale
abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati mediante il suo sangue (Col 1,14).
E poiché siamo sue membra, ci nutriamo con le sue creature. Egli infatti ce le offre:
fa sorgere il suo sole e fa cadere la sua pioggia come a lui piace. Egli ha affermato
che il calice, il quale è sua creatura, è il suo sangue sparso per noi, con cui aumenta
il nostro sangue; e che il pane, il quale appartiene al creato, è il suo corpo, con il
quale alimenta i nostri corpi.
Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono il Verbo di Dio, e si
compie così l’eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, con cui cresce e si rafforza
la sostanza della nostra carne, come possono negare che la carne può accogliere il
dono di Dio, che è la vita eterna? Essa si nutre del sangue e del corpo di Cristo, è
membro di lui. Lo dice il beato Apostolo nella lettera agli Efesini: Siamo membra del
suo corpo, della sua carne e delle sue ossa (Ef 5,30). Non parla di un corpo invisibile
e spirituale – uno spirito infatti non ha né ossa né carne (Lc 24,39) –, ma di un vero
organismo umano che consta di carne, nervi e ossa, e che si nutre del calice che è il
suo sangue e cresce con il pane che è il suo corpo.
Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di
frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice per opera dello Spirito di Dio
che tutto contiene – vite e frumento che, per la sapienza di Dio, servono alla vera
utilità dell’uomo, perché accogliendo la parola di Dio diventano l’eucaristia che è il
corpo e il sangue di Cristo –, allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell’eucaristia,
deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio
elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Egli circonda dell’immortalità
questo corpo mortale e dona gratuitamente l’incorruttibilità a questo corpo
corruttibile, perché la virtù di Dio si mostra nella debolezza. E questo affinché non ci
avvenga di gonfiarci, come se avessimo da noi stessi la vita, e di innalzarci contro
Dio con animo profondamente ingrato. E sapendo che per sua magnanimità e non
per nostra natura vivremo in eterno, affinché non succeda mai che menomiamo la
sua gloria. E neppure che ignoriamo la nostra natura, ma che ci rendiamo conto di
quanto Dio può e di quanti benefici l’uomo può ricevere, e non ci capiti di errare
nella valutazione della realtà, cioè del rapporto tra Dio e l’uomo. Dio, come
abbiamo detto, non ha forse tollerato che ci dissolvessimo nella terra, affinché
fossimo perfettamente istruiti e in futuro pienamente coscienti così da non
misconoscere la nostra posizione di fronte a lui?
(Contro le eresie, 5,2,2-3)

Cibo benedetto e Ed è un bene anche ciò che, con la creazione, Dio ha posto
bevanda di grazia nella vigna: anche il vino che fu bevuto per la prima volta.
Nessuno di coloro che lo bevve lo vituperò, anzi il Signore

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stesso lo bevve. Il Verbo sull’istante convertì l’acqua in vino, perché ne bevessero gli
invitati a nozze. Quantunque il Signore potesse creare direttamente il vino per gli
invitati e il cibo per gli affamati, non lo fece; prese invece i pani di questa terra, rese
grazie e li distribuì ai commensali; parimenti tramutò l’acqua in vino, e lo diede da
bere agli invitati a nozze. In questo modo mostrò che Dio stesso, il quale ha fatto la
terra comandandole di produrre tutto, che ha creato l’acqua e fatto zampillare le
fonti, negli ultimi tempi ha donato al genere umano la benedizione del cibo e la
grazia della bevanda per mezzo del suo Figlio; egli, che è invisibile, per mezzo di chi
è visibile; egli, che è incomprensibile, per mezzo di chi è comprensibile; questi infatti
non è al di fuori del Padre ma sta nel suo seno.
(Contro le eresie, 3,11,5)

1.3. Testimonianze archeologiche


1.3.1. Epigrafiche
Abercio
Si tratta di un cippo di marmo bianco (alto 59 cm, lungo 42 cm, largo 40 cm), datato 170-200 d.C.,
ritrovato ad Hammam presso Gerapoli (Turchia) nel 1883, incastrato nelle mura di un edificio
termale e composto di due frammenti; è conservato nel Museo Pio Cristiano (Musei Vaticani).
L’ISCRIZIONE era incisa in tre registri per un totale di 34 linee, strutturata in 22 versi esametri; si
conserva per circa un terzo ma si è potuta ricostruirla quasi completamente.
Abercio è un vescovo di Gerapoli in Frigia; di lui esiste una Vita leggendaria tramandata in
numerosi codici medievali a partire da quello del IV secolo: noto per la sua fermezza e santità,
sarebbe stato chiamato a Roma dall’Imperatore Marco Aurelio per liberare dal demonio la
propria figlia Lucilla. Giunto nella città, Abercio avrebbe liberato dal maligno la principessa, dopo
di che avrebbe ordinato al diavolo di trasportare, da Roma a Gerapoli, una pesante pietra sulla
quale, tornato in patria dopo aver visitato Siria e Mesopotamia, avrebbe fatto incidere da vivo il
proprio epitaffio:
“Cittadino di eletta città, mi sono fatto questo (monumento) da vivo per avere qui
nobile sepoltura del mio corpo. Il mio nome è Abercio discepolo del casto pastore
che pascola i greggi di pecore sui monti e in pianura, che ha grandi occhi che
dall’alto guardano dovunque. Egli infatti mi insegnò (…) scritture degne di fede e mi
inviò a Roma a contemplare il regno e vedere la regina in aurea veste e in aurei
calzari. Vidi là un popolo che porta uno splendido sigillo. Vidi anche la pianura e
tutte le città della Siria (anche) Nisibi oltre l’Eufrate. Dovunque poi ebbi confratelli,
avendo Paolo compagno di viaggio. La Fede dovunque (mi) guidava e (mi) presentò
per cibo dovunque un pesce (derivato) dalla fonte, immensa, pura che una casta
vergine concepì e questo (la Fede) diede a mangiare agli amici sempre, avendo un
vino eccellente che mesceva con pane. Queste cose in mia presenza dissi io Abercio
che così si scrivessero mentre mi trovavo nel settantaduesimo anno.
Queste cose chi comprende e sente come me, preghi per Abercio. Nessuno poi nella
mia tomba porrà un altro. Se no, pagherà all’erario dei Romani duemila aurei e
all’ottima patria Hieropolis, mille.”
Si tratta di un TESTAMENTO SPIRITUALE in cui Abercio riassume tutta la sua esperienza di fede cristiana
attraverso metafore ed espressioni simboliche dense di significato dogmatico (volutamente
61
cerca di rendersi incomprensibile ai profani per parlare solamente a coloro che sono in grado di
capire):
- il BUON PASTORE, prima figura simbolica di Gesù, ha GRANDI OCCHI in quanto è Dio onniveggente;
- la REGINA VESTITA D’ORO è il centro della Chiesa universale e il POPOLO è la comunità cristiana;
- lo SPLENDIDO SIGILLO è il Battesimo della fede cristiana;
- il PESCE è il diffuso simbolo che deriva dall’acrostico ΙΧΘΥΣ (Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore):
chiaro riferimento all’Eucaristia che era rappresentato come pesce accanto ai pani;
- la VERGINE CASTA è ovviamente Maria;
- invito a PREGARE PER LUI quale riferimento alla fede nella preghiera per i defunti.
Pettorio
Stele trovata presso Autun nel 1830, risale probabilmente al III-IV secolo. Si compone di tre distici
elegiaci e 5 esametri: i primi cinque versi formano l’acrostico ΙΧΘΥΣ; la seconda parte è a
carattere sepolcrale e termina con un nome del dedicante (Pettorio).
“Divina stirpe del pesce celeste,
serba un cuore puro tra i immortali,
tu che hai ricevuto la fonte immortale delle acque divine.
Riscalda il tuo cuore amico, nelle acque perenni,
con le onde eterne della nunifica sapienza.
Prendi il cibo, dolce come il miele, del Salvatore dei santi.
Mangia a sazietà, bevi finché hai sete,
tenendo il pesce nelle palme delle tue mani.
Nutrimi, dunque, del pesce, ti prego, Signore salvatore;
che mia madre riposi bene, ti supplico, o luce dei morti.
O padre Ascandio, carissimo al mio cuore, con la dolce madre e i miei fratelli, nella
pace dell’ΙΧΘΥΣ ricordati del tuo Pettorio”.
Si rivolge al lettore ( DIVINA STIRPE DEL PESCE CELESTE), evoca il suo battesimo ( FONTE IMMORTALE) e lo
invita all’eucaristia (CIBO DOLCE COME IL MIELE) da ricevere nelle mani ( TIENI IL PESCE NELLE PALME DELLE
TUE MANI); prega per i genitori e chiede ai DEFUNTI DI RICORDARSI di lui nell’eternità beata (PACE DEL
PESCE).

1.3.2. Iconografiche
Raffigurazioni della Cena, della moltiplicazione dei pani o della trasformazione dell’acqua in vino.
Particolarmente importanti sono le raffigurazioni pittoriche di inizio II secolo (Cappella greca)
e/o di fine II secolo (Cubicoli dei sacramenti di S. Callisto).
Consideriamo i pesci eucaristici delle cripte di Lucina, nel complesso delle Catacombe di s.Callisto:
si tratta di DUE PESCI sormontati ciascuno da un CANESTRO DI PANE, evidente allusione al miracolo
della moltiplicazione dei pani e dei pesci. In ogni canestro di pane si vede anche una COPPA DI
VINO: segno evidente che l’immagine è letta in senso eucaristico. Il pane e il vino sono l’ictus, cioè
Cristo.
LITURGIA TEOLOGIA ARCHEOLOGIA
100 Didachè batt. dom.) Ignazio (contro docetismo) Epigrafe di Abercio
150 Giustino (batt.dom.) Ireneo (contro gnosticismo) Epigrafe di Pectorio
200 Traditio Apostolica Pesci delle catacombe

62
220 Addai e Mari Domus ecclesiae

1.4. Sguardo sintetico sul periodo dal I al III secolo


1. L’Eucaristia nei primi secoli non fa problema. Manca qualsiasi controversia, ma anche qualsiasi
trattazione. Non ce ne n’è bisogno, dunque neppure la possibilità. L’Eucaristia è normalmente e
pacificamente celebrata. Abbiamo testimonianze in tutti gli ambienti: giudaici (Didaché,
Ignazio, Pseudo-Barnaba), siriaci (Addai e Mari), ellenistici (Giustino), romano (Traditio,
Clemente).
2. L’Eucaristia è celebrata in due occasioni:
- Eucaristia battesimale (mancano letture ed omelia)
- Eucarisita domenicale (Didaché 14, Giustino, Traditio)
3. C’è sviluppo cultuale che differenzia progressivamente l’Eucaristia cristiana dalla liturgia
ebraica, pur nel riferimento alle sue formule espressive (Didaché 9-10).
4. L’Eucaristia segna il compimento del culto dell’Antico Testamento e dunque svuota di senso la
liturgia veterotestamentaria: lo si vede soprattutto dall’applicazione all’Eucaristia del testo di
Malachia sull’oblazione pura, compiuta in Didaché 14, in Giustino (Trifone 41,2,3) e in Ireneo.
Senza caricare il tema del sacrificio del significato teologico dato in epoche successive, bisogna
però già notare la presenza della connotazione sacrificale: l’Eucaristia è il sacrificio della
comunità escatologica dei cristiani.
5. Si sviluppa la comprensione del rapporto dell’Eucaristia con la comunità cristiana:
- l’Eucaristia è sacrificio riservato ai cristiani (la collocazione al compimento dei riti battesimali
mostra che può partecipare all’Eucaristia solo chi è battezzato);
- l’Eucaristia è al fondamento della vita comunitaria e richiede la coerenza della carità fraterna
(cfr. bacio di pace di cui parla Giustino e l’invito alla carità della Didaché);
- l’Eucaristia pone in risalto il ruolo gerarchico all’interno della celebrazione (in Didaché c’è un
accostamento tra i due temi, diventa esplicito in Giustino ed è formulato in Ignazio e
Clemente).

63
2. Età patristica (dal IV al VI secolo)
2.1. Testimonianze circa la prassi celebrativa
2.1.1. Formazione dei formulari tradizionali
I. Lo sviluppo
In quest’epoca la Messa assume sostanzialmente la fisionomia definitiva. Lo sviluppo della vita
della Chiesa dopo l’epoca delle persecuzioni si accompagna ad uno sviluppo della vita liturgica
dovuto:
(1) alla CRESCITA DELLA COMUNITÀ,
(2) alle creatività dei GRANDI PADRI,
(3) alla DIVERSIFICAZIONE geografica e culturale.
Nascono così le grandi famiglie liturgiche che, nella fondamentale unità della struttura eucaristica,
manifestano tratti peculiari e sottolineature specifiche.
II. I testi
Si creano e si incominciano a fissare per scritto i formulari per la celebrazione eucaristica (a parte i
testi visti finora, probabilmente tutto il resto veniva più o meno improvvisato dal celebrante).
Il passaggio dall’utilizzo di canovacci (schemi) alla fissazione dei testi è dovuto all’ esigenza di
dare QUALITÀ E STABILITÀ alle formule della preghiera comunitaria, evitando i rischi
dell’improvvisazione, e alla necessità di preservare le FORMULE UFFICIALI della preghiera
dall’influsso di idee ereticali.
In sintesi, i passaggi sono questi:
1. SCHEMI: inizialmente si utilizzano dei canovacci;
2. LIBELLI: in un primo momento la fissazione delle formule avvenne nelle singole chiese locali,
sotto forma di fascicoletti, conosciuti come libelli (missarum); un libellus contenta le
preghiere del presidente per una o più celebrazioni;
3. LIBRI: gradualmente questi libelli si diffondono, vengono copiati e alcuni, che avevano come
autore figure prestigiose, guadagnano maggiore autorevolezza. Si vengono così a costituire
progressivamente dei formulari più ricchi, che diventano dei veri e propri libri liturgici.
Questi LIBRI LITURGICI sono sostanzialmente di tre tipi:
 ordines (libri per il cerimoniere), che raccolgono le indicazioni rubricali, ossia tutte quelle
norme che regolano lo svolgimento della celebrazione, descrivendo luoghi, tempi, azioni,
ministeri ecc.;
 sacramentari, in cui si trovano i testi eucologici (orazioni, prefazi, ecc.). Ricordiamo in
particolare:
o il SACRAMENTARIUM VERONENSE, datato nella prima metà del VII secolo, non è propriamente un
sacramentario ufficiale, ma una raccolta di libelli delle Messe provenienti dagli archivi
pontifici del Laterano, appartenenti ai secoli V e VI; è originale, perché è diviso secondo i
mesi dell'anno, da aprile a dicembre (gli altri mesi sono mancanti); oltre ai formulari per le
messe, contiene rituali per la dedicazione delle chiese, la consacrazione dei vescovi,
l'ordinazione di diaconi e presbiteri, la consacrazione delle vergini e la benedizione solenne
degli sposi.
o il SACRAMENTARIO GELASIANO fu copiato vicino a Parigi intorno al 750 d.C., ma la data originale
deve situarsi poco dopo il pontificato di Gregorio Magno (circa un secolo prima); è pensato
per l’uso del presbitero ed è diviso in tre parti: l’anno liturgico o ciclo temporale; il ciclo
64
santorale (comprende un comune dei martiri e le Messe di Avvento); il ciclo delle
domeniche che noi oggi diciamo per annum (comprende anche il Canone, Messe votive e
altri formulari).
o il SACRAMENTARIO GREGORIANO, che si è sviluppato nel VII intorno alla basilica del Laterano ed è
ad uso esclusivo del Papa; dà origine ad una vasta famiglia di sacramentari, che provengono
da questo ceppo.
 altri libri, come il Lezionario, l’Antifonario, ecc.
o Per quanto riguarda il LEZIONARIO, bisogna notare che già Giustino nel II secolo attesta la
presenza di una liturgia della parola nella Messa, che si svolge “per quanto lo permette il
tempo”. Non vi era allora ovviamente un libro liturgico ad hoc né una regola sui testi da
leggere; nella chiesa primitiva la lettura della Scrittura seguiva il criterio della lectio continua
oppure la scelta tematica di singoli passi, a seconda della festa o del tempo liturgico.
Gradualmente si passa ad un SISTEMA PIÙ FISSO E ORGANIZZATO nella distribuzione delle pericopi
bibliche. Troviamo tre metodi per indicarle:
- note messe in margine a un codice della Bibbia;
- capitularia, ossia delle citazioni delle parole iniziali e finali del brano da leggere;
- il lezionario vero e proprio.
I tre metodi si svilupparono in contemporanea, fino a quando il lezionario si impose sugli
altri.
Gli spazi
Il passaggio dalle chiese domestiche all’aula basilicale favorisce lo sviluppo di moduli celebrativi
più solenni, in cui si differenziano maggiormente gli spazi (cattedra per il presidente, semicerchio
per il presbiterio, altare, ambone, aula per il popolo) e i ruoli (cantori, accoliti, lettori, diaconi).
L’ambiente più antico che ci restituisce l’idea di come fosse è la Basilica di Santa Sabina a Roma:
interessante che le basiliche cristiane non prendono le architetture del tempio giudaico (non
adatto a contenere il popolo) ma le strutture civili che riadattano ad ambiente liturgico.
La struttura
Quanto alla struttura della celebrazione in Occidente:
1. la PARTE EUCOLOGICA comprende le tre orazioni, più talora una quarta sul popolo.
2. s’imposta il CANONE ROMANO, con parti fisse e parti variabili (prefazio, Communicantes, Hanc
igitur)
3. la PARTE LEZIONALE assume il contorno di due momenti (prima lettura e vangelo) inframezzati da
un canto, seguiti da omelia
4. le PARTI CANTATE si precisano come: ingresso, rito delle offerte, comunione + canto interlezionale
(Graduale, tractus o alleluia), Sanctus; introduzione di Kyrie e Gloria.
2.1.2. Le famiglie liturgiche e le loro anafore
I patriarcati sono legati a Pietro: Roma, Antiochia (di cui fu vescovo Pietro) e Alessandria (di cui fu
vescovo Marco, segretario di Pietro); poi si aggiungono Gerusalemme e Costantinopoli.
Progressivamente si è raggiunto un consenso tra i liturgisti per riallacciare la vasta proliferazione di
famiglie liturgiche a cinque grandi centri principali, o per dire meglio, a cinque aree di
composizione e di diffusione iniziale: tre vengono situate in Oriente e due in Occidente.
Così grosso modo si può parlare riguardo alla preghiera eucaristica, di CINQUE SCHEMI FONDAMENTALI
che si ritrovano ancor oggi nei testi più venerabili che siano rimasti in uso. Semplificando, sono:

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1. RITO SIRIACO ORIENTALE (caldeo e malabarico)
2. RITO SIRIACO OCCIDENTALE (bizantino, giacobita, maronita, armeno)
3. RITO ALESSANDRINO (copto, etiopico)
4. RITO ROMANO
5. RITO GALLICANO E MOZARABICO (francese-ispanico), che contaminato dall’arianesimo non si sviluppa
Per quanto riguarda i riti occidentali, ci limitiamo a studiare il rito romano; le liturgie orientali si
raggruppano attorno ai due principali patriarcati: quello di Antiochia e quello di Alessandria.

La famiglia antiochena
Quello di Antiochia è il centro più antico e culturalmente predominante tra i patriarcati orientali.
In campo liturgico influì notevolmente su COSTANTINOPOLI, capitale dell’Impero, soprattutto
durante l’episcopato di S. Giovanni Crisostomo (397-404 d.C.). Antiochia estese la sua influenza
anche verso Est, verso la SIRIA, dove la cultura e le lingue semite avevano conservato una loro
identità resistendo all’influenza ellenistica. Nella tradizione antiochena si sviluppano due gruppi
liturgici:
 IL GRUPPO SIRO-ORIENTALE
Si sviluppa nei territori dell’altopiano mesopotamico, dove si conservavano le antiche culture
semitiche non influenzate dall’ellenismo proveniente da Costantinopoli. I riti più significativi
sono:

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a. rito siro-caldeo: la più arcaica delle tradizioni liturgiche cristiane, ancora oggi ha una liturgia
in lingua aramaica. Si sviluppa all’interno dell’Impero persiano e poi nel califfato di Bagdad
(attuale Iraq). L’anafora eucaristica degli apostoli Addai e Mari è molto vicina alle berakot
giudaiche per la benedizione della mensa. In Iraq c’è una forte comunità cattolica di rito
caldeo.
b. rito siro-malabarico: attraverso la via della seta, la liturgia siro-caldea si diffuse verso oriente
fino alla Cina e all’India del sud (Kerala), dove si venera la tomba di S. Tommaso Apostolo.
Con la conquista portoghese del sec. XVI questa liturgia subì una forte latinizzazione. Una
parte di questi cristiani si staccò da Roma e col nome di Malankaresi, con un proprio rito,
aderì al patriarcato siro-antiocheno. Pio XI nel 1934 permise ai cattolici Malabaresi il ripristino
dell’antico rito caldeo.
 IL GRUPPO SIRO-OCCIDENTALE
Il gruppo liturgico siro-occidentale, anch’esso legato alla matrice liturgica antiochena, è
caratterizzato da uno sviluppo molto grande della POESIA LITURGICA in cui si esprime tutta la
teologia. Le espressioni più diffuse di questo gruppo sono:
a. rito bizantino: sviluppatosi soprattutto nella città imperiale di Bisanzio (Costantinopoli), è il
rito più diffuso e rappresentativo dell’Oriente cristiano, comune a milioni di fedeli, soprattutto
Ortodossi, ma anche Cattolici. Questa liturgia si esprime attraverso L’ANAFORA DI S. GIOVANNI
CRISOSTOMO11 (nelle domeniche di quaresima e in alcune grandi vigilie si recita l’anafora di s.
Basilio). La lingua originale è il GRECO (antico); i libri liturgici sono però tradotti anche nelle
lingue moderne. L’espansione di questa liturgia nel mondo slavo si deve soprattutto alla
missione dei santi Cirillo e Metodio. La «divina liturgia», che si svolge dietro una «iconostasi»,
è concepita come «la venuta del cielo sulla terra» ed una anticipazione della parusìa.
b. rito “giacobita”: dal nucleo liturgico bizantino-greco si staccò nel VI secolo la liturgia
giacobita; essa tradusse la liturgia bizantina in siriaco (oggi si usa ampiamente anche l’arabo).
Questo rito si caratterizza per l’ampiezza degli elementi gestuali e poetici (composizioni
attribuite a S. Efrem il Siro). Tutt’oggi fa uso di una ventina di anafore.
c. rito maronita: sorge tra le comunità monastiche della Siria centrale, nella valle dell’Oronte, e
si ispira alla figura di un asceta del V secolo, Mar Maron. Non accettarono la bizantinizzazione
e si dovettero rifugiare sui monti del Libano. Nel 1215 sancirono l’unione con la Chiesa di
Roma professando la fede cattolica. Nel XVIII secolo questo rito subì infelici latinizzazioni.
Oggi la lingua più usata è l’arabo e fa uso di circa quindici anafore.
d. rito armeno: ha origini molto antiche, all’inizio del IV secolo, con una lingua propria. Nel
medioevo ci furono tentativi di unione con Bisanzio e con Roma (da qui una certa
contaminazione bizantina e latina dei riti, che si caratterizzano tuttavia per magnificenza di
apparato e finezza di esecuzione).
La famiglia alessandrina
I cristiani del patriarcato di Alessandria RIFIUTARONO la maggior parte delle definizioni del CONCILIO DI
CALCEDONIA (451 d.C.) e costituirono, come ad Antiochia, una Chiesa monofisita che conserverà il
rito primitivo di Alessandria, per molti aspetti più vicino a Roma che a Bisanzio.
Attualmente si esprime in due riti principali:
a. rito copto: originariamente si esprimeva in greco (Anafora di s. Marco), ma dal secolo IX
utilizza l’antica lingua egiziana, dando molto spazio all’arabo. L’anafora più diffusa è quella

11
https://www.youtube.com/watch?v=-R723pyTQ5g (al minuto 44’)
67
copta di
s. Basilio (un’altra di s. Gregorio di Nazianzo si usa solo nelle feste grandi del Signore).
b. rito etiopico: nato da un ceppo misto alessandrino-siriaco-gerosolimitano, è squisitamente
popolare e africano (uso del tamburo e della danza; si circoncidono i bambini prima del
battesimo). Si deve probabilmente a questa sua forte inculturazione la sua sopravvivenza in
mezzo a pressioni islamiche. Fa uso di circa 14 anafore (due di esse sono mariane).
Preghiere eucaristiche
Prendiamo in esame una PREGHIERA EUCARISTICA per famiglia (esclusa quella gallicano-mozarabica):
- ANAFORE DI TIPO SIRO-ORIENTALE (caldeo): Addai e Mari
- ANAFORE DI TIPO SIRO-OCCIDENTALE (antiocheno): Costituzioni Apostoliche
- ANAFORE DI TIPO EGIZIANO-ALESSANDRINO: Serapione
- ANAFORE DI TIPO ROMANO-AFRICANO: Canone romano
prima del IV secolo dopo il IV secolo

IPPOLITO ADDAI E MARI COSTITUZIONE APOSTOLICA SERAPIONE CANONE ROMANO


(romano) (siriaco orientale) (siriaco occidentale) (alessandrina (romano)
)
Dialogo [Dialogo] Dialogo Dialogo
Prefazio Prefazio 1° rend. di grazie (Pref.) Prefazio Prefazio
[Sanctus] Sanctus Sanctus Sanctus
2° rend. di grazie 2° rend. di grazie I Intercessioni (vivi)
Comm. Santi I Comm. Santi
[Interc.] I Epiclesi I Epiclesi
Istituzione ////////////////// Istituzione Istituzione Istituzione
Anamnesi Anamnesi Anamnesi Anamnesi Anamnesi
Offerta Offerta Offerta
Epiclesi Epiclesi Epiclesi su oblate e sui II Epiclesi II Epiclesi
comunicanti
Intercessioni Intercessioni II Intercessioni (morti)
II Comm. Santi
“Per quem…”
Dossologia Dossologia Dossologia Dossologia Dossologia

Per comprendere le PREGHIERE EUCARISTICHE (o Anafore) dobbiamo considerare le eucologie


maggiori, costituite da:
- ANAMNESI che solitamente va dall’Antico Testamento al Nuovo Testamento;
- EPICLESI che si apre con un “ora” che attualizza la storia della salvezza nell’opera dello Spirito;
- DOSSOLOGIA che conclude l’epiclesi.
La preghiera eucaristica dilata questa struttura:
DIALOGO
Anamnesi PREFAZIO (ampliato anche nell’ANAMNESI OFFERTA post mistero della
fede)
SANCTUS
Epiclesi ISTITUZIONE
INTERCESSIONI (per la Chiesa: per i vivi e per i defunti)

68
Dossologia
Secondo Geraudo ci sono preghiere eucaristiche 12:
- a dinamica anamnetica (che collocano il racconto dell’istituzione all’interno dell’anamnesi)
- a dinamica epicletica (che collocano il racconto dell’istituzione all’interno dell’epiclesi).
Anafora dalle Costituzioni apostoliche – libro VIII (famiglia siro-occidentale)
Le Costituzioni apostoliche sono una raccolta di testi liturgico-canonici che risale all’anno 380ca.
Questa è l’anafora esemplare della tradizione antiochena e, nonostante la sua prolissità, è uno
dei testi eucaristici più belli e più importanti dell’antichità.
 è una preghiera eucaristica a dinamica anamnetica
Il Prefazio, LIRICO e POETICO, è un ampio rendimento di grazie tutto rivolto al Padre che ripercorre
tutto l’Antico Testamento e prosegue nel post-sanctus guardando al Nuovo Testamento
Notare il termine “memori” ai nn.35 38, che verrà ripreso nel Canone Romano (memores
offerimus).

 DIALOGO
4 — La grazia dell’onnipotente Dio e la carità del Signore nostro Gesù Cristo e la
comunione del santo Spirito sia con tutti voi!
— E con il tuo spirito.
5 — [Levate] in alto la mente!
— L’abbiamo verso il Signore.
— Rendiamo grazie al Signore!
— È degno e giusto.

 PREFAZIO – PRIMO RENDIMENTO DI GRAZIE


6 Quant’è veramente degno e giusto prima di tutto inneggiare a te, che sei
realmente Dio, che esisti prima delle cose generate, dal quale ogni paternità nei
cieli e sulla terra prende nome, il solo non generato e senza principio e senza re e
senza sovrano, senza necessità, dispensatore di ogni bene, superiore a ogni causa e
origine, sempre e in tutto identico a te stesso, dal quale, come da una riserva, ogni
cosa viene all’esistenza. 7a Tu infatti sei la conoscenza senza principio, la visione
perenne, l’ascolto non generato, la sapienza non istruita [da altri], il primo per
natura e il solo per l’essere, superiore a ogni numero; [tu] conducesti all’esistenza
tutte le cose a partire dal nulla per mezzo dell’unigenito tuo Figlio; 7b [tu] lo avevi
generato prima di tutti i secoli per mezzo della [tua] volontà, potenza e bontà,
senza intermediario, Figlio unigenito, Verbo Dio, Sapienza vivente, primogenito di
ogni creatura, angelo del tuo grande disegno, tuo sommo-sacerdote e tuo degno
adoratore, re e Signore di tutta la natura intelligente e sensibile, il quale fu prima di
tutte le cose e per mezzo del quale tutte le cose furono. 8a Tu infatti, Dio eterno,
per mezzo di lui facesti tutte le cose e per mezzo suo stimasti degna ogni cosa di
una conveniente provvidenza; per mezzo di lui desti l’esistenza e per mezzo suo
concedesti anche un’esistenza confortevole; [tu,] Dio e Padre dell’unigenito tuo
Figlio, per mezzo di lui prima di tutte le cose facesti lo Spirito di verità, l’interprete e
il ministro dell’Unigenito; 8b e dopo di lui [facesti] i Cherubini e i Serafini, i Secoli e

12
Cfr. www.prexeucharistica.org; oppure cfr. Segno di unità. Le più antiche eucaristie delle Chiese
69
le Schiere, le Potenze e le Dominazioni, i Principati e i Troni, gli Arcangeli e gli
Angeli, 8c e dopo tutti questi facesti per mezzo di lui questo mondo visibile, e tutto
quanto è in esso. 9 Tu infatti collocasti il cielo come una volta, e come una tenda lo
stendesti; con la sola [tua] volontà fondasti la terra sul nulla; fissasti il firmamento,
e creasti la notte e il giorno; facesti uscire la luce dai [tuoi] tesori e, al suo venir
meno, facesti scendere la tenebra per il riposo dei viventi che si muovono nel
mondo; fissasti il sole nel cielo per il governo del giorno, e la luna per il governo
della notte, e scrivesti nel cielo il coro degli astri per la lode della tua maestà. 10
[Tu] facesti l’acqua per la bevanda e la purificazione, l’aria vivificante per
l’inspirazione e l’espirazione e per l’emissione della voce per mezzo della lingua che
batte l’aria, e per consentire all’udito di percepire i suoni che gli giungono. 11 [Tu]
facesti il fuoco per alleviare le tenebre, per soddisfare le nostre necessità, per
riscaldarci e rischiararci. 12 [Tu] separasti il grande mare dalla terra; rendesti l’uno
navigabile e l’altra stabile per i piedi; riempisti l’uno di animali piccoli e grandi, e
popolasti l’altra di animali domestici e selvatici; la cingesti di piante svariate e la
coronasti di vegetazione, la ornasti di fiori e l’arricchisti di sementi. 13 [Tu]
collocasti l’abisso e gli ponesti intorno un grande fosso, [cioè] i mari che rigurgitano
di acque salate, e lo recingesti con porte di sabbia finissima; ora con i venti lo elevi
fino all’altezza delle montagne, ora lo distendi come una pianura, ora con la
tempesta invernale lo rendi furioso, ora lo plachi con la bonaccia cosicché la sua
traversata sia favorevole ai naviganti che viaggiano per mare. 14 [Tu] cingesti di
fiumi il mondo da te creato per mezzo di Cristo e con torrenti lo inondasti e con
fonti perenni lo inebriasti, dopo averlo circondato di montagne per assicurare alla
terra una sede incrollabile, solidissima. 15 [Tu] infatti riempisti il tuo mondo e lo
ornasti di erbe odorose e medicinali, di animali numerosi e vari, robusti e deboli,
per il nutrimento e per il lavoro, domestici e selvatici, con il sibilo dei serpenti e il
vario canto dei volatili, con il ciclo degli anni, con il numero dei mesi e dei giorni,
con il succedersi delle stagioni, con la corsa delle nubi foriere di pioggia, per
produrre i frutti e sostentare i viventi, per regolare i venti, che al tuo comando
soffiano [passando] attraverso la moltitudine delle piante e delle erbe. 16 E non
solo creasti il mondo, ma facesti anche in esso l’uomo, cittadino del mondo, che
presentasti come il mondo del mondo; dicesti infatti alla tua Sapienza: «Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza, e domini sui pesci del mare e sui volatili
del cielo». 17 Per questo lo facesti con un’anima immortale e un corpo che si
dissolve, l’una dal nulla, l’altro a partire dai quattro elementi; e, quanto all’anima,
gli desti il giudizio logico, la capacità di discernere tra la pietà e l’empietà, tra il
giusto e l’ingiusto, e, quanto al corpo, lo gratificasti con i cinque sensi e con la
possibilità di muoversi.
18 Tu infatti, Dio onnipotente, per mezzo di Cristo piantasti un giardino in Eden, a
Oriente, ornando[lo] di ogni genere di piante commestibili, e in esso, come in un
focolare sontuoso, lo introducesti; e, nel crearlo, gli desti la legge innata, perché
avesse dentro di sé e da sé i germi della conoscenza divina. 19 E nell’introdurlo nel
giardino di delizie, gli concedesti il potere su ogni cosa per il sostentamento; ma di
una sola cosa gli proibisti di gustare nella speranza di beni migliori, perché, se
avesse osservato il comando, ne ottenesse come salario l’immortalità. 20 E quando
ebbe trascurato il comando ed ebbe gustato del frutto proibito, per l’inganno del

70
serpente e il consiglio della donna, dal giardino giustamente lo scacciasti; tuttavia
nella [tua] bontà non disprezzasti in maniera definitiva quello che periva — era
infatti opera tua —, ma [tu] che gli avevi sottomesso la creazione gli desti [modo] di
procurarsi il cibo con i suoi sudori e le sue fatiche, mentre tu tutto facevi
germogliare e crescere e maturare. E, dopo averlo fatto dormire per un breve
tempo, con giuramento lo chiamasti alla rigenerazione, [e] avendo sciolto il limite
della morte, gli annunciasti la vita in conseguenza della risurrezione. 21 E non solo
questo, ma anche i suoi discendenti diffondesti in una moltitudine innumerevole,
glorificando quelli che ti rispettavano e punendo quelli che da te si allontanavano:
accettasti il sacrificio di Abele come di un giusto, e rigettasti il dono del fratricida
Caino come di un empio; e inoltre accogliesti Set ed Enos, e trasportasti Enoch. 22
Tu infatti sei il creatore degli uomini, dispensatore della vita, colmi la [loro]
necessità e dài le leggi, e ricompensi quanti le osservano e punisci quanti le
trasgrediscono; [tu] facesti venire sul mondo il grande cataclisma a causa della
moltitudine degli empi, e sottraesti al cataclisma il giusto Noè nell’arca con otto
persone: fine delle generazioni passate e principio di quelle future; [tu] accendesti il
fuoco tremendo contro la pentapoli di Sodoma, e mutasti in salina una terra fertile,
per la malizia dei suoi abitanti, e il giusto Lot strappasti all’incendio. 23 Tu sottraesti
Abramo all’empietà degli avi, lo costituisti erede del mondo e gli facesti vedere il
tuo Cristo; designasti Melchisedech come sommo-sacerdote del tuo culto;
proclamasti il tuo servo Giobbe, che molto ebbe a soffrire, vincitore del serpente,
[che è il] principio di ogni male; facesti di Isacco il figlio della promessa, di Giacobbe
il padre di dodici figli e rendesti i loro discendenti una moltitudine, e li conducesti in
Egitto in numero di settantacinque persone.
24 Tu, Signore, non disprezzasti Giuseppe, ma in ricompensa della castità
[osservata] per te gli concedesti di comandare sugli Egiziani; tu, Signore, non
disdegnasti gli Ebrei, oppressi dagli Egiziani, a motivo delle promesse fatte ai loro
padri, ma li sottraesti e punisti gli Egiziani. 25 Poiché gli uomini avevano corrotto la
legge naturale e pensavano che la creazione si fosse fatta in maniera autonoma, o
la onoravano più del dovuto e la paragonavano a te, Dio di ogni cosa, [tu] non li
lasciasti nell’errore, ma proclamasti Mosè tuo santo servo, e per mezzo di lui desti
la Legge scritta in appoggio a quella naturale, e mostrasti che la creazione è opera
tua e mettesti al bando l’errore del politeismo. Glorificasti Aronne e i suoi
discendenti con l’onore sacerdotale; castigasti gli Ebrei quando peccavano e li
accogliesti quando si convertivano. 26 Ti vendicasti degli Egiziani con le dieci
piaghe; dividendo il mare, facesti passare gli Israeliti; distruggesti, sommergendoli,
gli Egiziani che li inseguivano; con il legno rendesti dolce l’acqua amara; dalla dura
roccia facesti sgorgare l’acqua; dal cielo facesti piovere la manna, e dall’aria la
quaglia per cibo; di notte [desti] una colonna di fuoco per illuminarli e di giorno una
colonna di nube per proteggerli dal calore. Proclamasti Giosuè/Gesù condottiero;
annientasti per mezzo di lui sette nazioni di Cananei; dividesti il Giordano, seccasti i
fiumi di Etham, facesti crollare le mura senza mezzi meccanici e senza mano
d’uomo.
27a PER TUTTE QUESTE COSE A TE LA GLORIA, sovrano onnipotente! 27b Te adora tutta la
corte incorporea e santa; te adora il Paraclito; primo fra tutti il tuo santo servo
Gesù il Cristo, il Signore e Dio nostro, il tuo angelo e sommo-condottiero della tua

71
potenza e tuo sommo-sacerdote eterno e senza fine; te adorano le innumerevoli
schiere degli Angeli, degli Arcangeli, delle Dominazioni, dei Troni, dei Principati,
delle Potestà, delle Virtù, schiere eterne; i Cherubini e i Serafini dalle sei ali, che con
due ali si coprono i piedi, con due la testa e con due volano, e dicono insieme a
mille migliaia di Arcangeli e a diecimila miriadi di Angeli, con voci che non cessano e
mai tacciono — E TUTTO IL POPOLO INSIEME DICA —:

 SANCTUS
27c Santo, santo, santo è il Signore delle Schiere; pieno è il cielo e la terra della sua
gloria. Benedetto sei [tu] nei secoli. Amen!
28 E il sacerdote di seguito dica:

 POST-SANCTUS – SECONDO RENDIMENTO DI GRAZIE


29 Quanto sei veramente santo, e santissimo, altissimo e sopraelevato nei secoli!
30 Santo è anche l’unigenito tuo Figlio, il Signore e Dio nostro Gesù Cristo, il quale
servendo in tutto te, suo Dio e Padre, nella svariata creazione e nell’adeguata
provvidenza non disdegnò il genere umano che periva, ma dopo la legge naturale,
dopo l’esortazione della Legge, dopo i richiami dei profeti e gli interventi degli
Angeli — allorché insieme alla legge naturale ebbero corrotto la Legge scritta, ed
ebbero tolto via dalla memoria il cataclisma, il fuoco, le piaghe d’Egitto, le percosse
dei Palestinesi, e mentre tutti stavano ormai per perire —, egli stesso si
compiacque nella tua decisione, che il creatore dell’uomo divenisse uomo, che il
legislatore fosse sotto la legge, che il sommo-sacerdote divenisse vittima e il
pastore pecora, 31 e rese ben disposto te, suo Dio e Padre, e ti riconciliò con il
mondo e liberò tutti dall’ira che sovrastava: nato da una vergine, nato nella carne,
lui il Dio Verbo, il diletto Figlio, il primogenito di ogni creatura, conformemente alle
profezie da lui predette su se stesso, [nato] dal seme di David e di Abramo, dalla
tribù di Giuda; fu generato nel seno di una vergine colui che plasma quanti vengono
generati, e si fece carne colui che non è carne, fu generato nel tempo colui che è
generato fuori del tempo.
32 Visse da cittadino fedele e insegnò conformemente alle leggi, scacciò dagli
uomini ogni malattia e ogni languore, fece segni e prodigi in mezzo al popolo, prese
nutrimento e bevanda e sonno colui che nutre quanti necessitano di nutrimento e
colma di benevolenza ogni vivente; manifestò il tuo Nome a coloro che lo
ignoravano, fece fuggire l’ignoranza, riaccese la pietà, adempì la tua volontà, compì
l’opera che gli avevi affidato. 33 E, quando ebbe realizzato tutte queste cose, cadde
nelle mani degli empi, chiamati falsamente sacerdoti e sommi sacerdoti, e di un
popolo iniquo, a causa del tradimento di uno che era malato di malignità; avendo
molto sofferto da parte loro ed essendosi sottoposto a ogni disonore con il tuo
permesso, fu consegnato al governatore Pilato, il giudice fu giudicato, il salvatore fu
condannato, colui che è impassibile fu inchiodato alla croce, colui che per natura è
immortale morì, colui che fa vivere fu sepolto, per sciogliere dalla passione e
strappare dalla morte quelli per i quali era venuto, e per rompere i vincoli del
diavolo e sottrarre gli uomini al suo inganno.
34 E risuscitò dai morti il terzo giorno e, dopo essersi intrattenuto quaranta giorni
con i discepoli, fu assunto nei cieli e sedette alla destra di te, Dio e Padre suo.

72
35 MEMORI pertanto delle cose che per noi sopportò, ti rendiamo grazie, Dio
onnipotente, non già come dovremmo, ma come possiamo, e adempiamo il suo
mandato.

 ISTITUZIONE
36 Poiché nella notte in cui veniva consegnato, prendendo il pane nelle sante e
immacolate sue mani, guardando a te, suo Dio e Padre, e spezzando, [lo] diede ai
suoi discepoli, dicendo: «Questo è il mistero della nuova alleanza! Prendetene,
mangiate: questo è il mio corpo, che per le moltitudini sta per essere fatto in pezzi
in remissione dei peccati».
37 Allo stesso modo [prese] anche il calice, mescendo[lo] di vino e acqua, e
pronunciando la santificazione [lo] diede loro, dicendo: «Bevetene tutti: questo è il
mio sangue, che per le moltitudini sta per essere versato in remissione dei peccati.
Fate questo IN MEMORIALE DI ME. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e
bevete questo calice, annunziate la mia morte, fino a che io venga!».

 ANAMNESI – OFFERTA
38 MEMORI dunque della sua passione e morte, e della risurrezione dai morti e del
ritorno nei cieli e della futura sua seconda venuta quando verrà con gloria e
potenza a giudicare i vivi e i morti e a rendere a ciascuno secondo le sue opere,
offriamo a te, re e Dio, secondo il suo mandato questo pane e questo calice,
rendendoti grazie per mezzo di lui, perché ci hai resi degni di stare dinanzi a te e
svolgere il servizio sacerdotale nei tuoi confronti.

 EPICLESI SULLE OBLATE E SUI COMUNICANTI


E ti chiediamo di guardare con disposizione buona ...39a sopra questi doni posti
dinanzi a te, o Dio che sei senza necessità, e di compiacerti in essi per l’onore del
tuo Cristo, e di mandare il tuo santo Spirito sopra questo sacrificio, il testimone
della passione del Signore Gesù, perché manifesti questo pane quale corpo del tuo
Cristo e questo calice quale sangue del tuo Cristo, 39b affinché quanti ne
partecipano siano confermati nella pietà, conseguano la remissione dei peccati,
siano sottratti al diavolo e alla sua seduzione, siano riempiti di Spirito Santo,
diventino degni del tuo Cristo, conseguano la vita eterna, e tu sia riconciliato con
essi, sovrano onnipotente.

 INTERCESSIONI
40 Ancora ti preghiamo, Signore, anche per la tua santa Chiesa, [diffusa] da un
confine all’altro [della terra], che ti sei acquistata con il prezioso sangue del tuo
Cristo, perché la custodisca al riparo dagli sconvolgimenti e dalle tempeste fino alla
consumazione del tempo; e per tutto l’episcopato, che dispensa rettamente la
parola di verità. 41 Ancora ti invochiamo anche per la nullità di me che ti offro, e
per tutto il presbiterio, per i diaconi e per tutto il clero, perché li renda sapienti e li
riempia tutti di Spirito Santo. 42 Ancora ti invochiamo, Signore, per il re e per le
autorità, e per tutto l’esercito, perché dispongano le nostre vicende in pace,
cosicché, trascorrendo tutto il tempo della nostra vita nella calma e nella concordia,
ti glorifichiamo per mezzo di Gesù Cristo, speranza nostra. 43 Ancora ti offriamo
[questo sacrificio] anche per tutti i santi, che da sempre ti furono graditi: i
73
patriarchi, i profeti, i giusti, gli apostoli, i martiri, i confessori, i vescovi, i presbiteri, i
diaconi, i suddiaconi, i lettori, i salmisti, le vergini, le vedove, i laici, e per tutti coloro
di cui tu stesso conosci i nomi. 44 Ancora ti offriamo [questo sacrificio] per questo
popolo: affinché lo manifesti, a lode del tuo Cristo, quale sacerdozio regale e
nazione santa; per quanti [vivono] nella verginità e nella rinuncia alla procreazione,
per le vedove della Chiesa, per quanti [vivono] in onorate nozze e nella
procreazione di figli, per i bimbi del tuo popolo, perché [tu] non abbia a rigettare
nessuno di noi. 45 Ancora ti supplichiamo anche per questa città e per quanti [la]
abitano, per gli ammalati e per quanti sono in dura schiavitù, per gli esiliati, per i
proscritti, per i naviganti e i viandanti, perché di tutti [tu] sia il soccorso. 46 Ancora
ti invochiamo per quanti ci odiano, perché [tu] li converta al bene. 47 Ancora ti
invochiamo anche per i catecumeni della Chiesa, e per quelli che sono in potere
dell’avversario, e per i nostri fratelli penitenti: perché perfezioni i primi nella fede,
liberi i secondi dall’opera del maligno, accetti la penitenza degli altri e perdoni a
loro e a noi le nostre colpe.
48 Ancora ti offriamo [questo sacrificio] anche per la clemenza del tempo e per
l’abbondanza dei frutti, perché, ricevendo continuamente i beni da te, lodiamo
senza posa te che dài il nutrimento a ogni carne. 49 Ancora ti invochiamo anche per
quanti per legittima causa sono assenti; perché, conservando noi tutti nella pietà,
[ci] raduni nel regno del tuo Cristo, o Dio di ogni natura intelligente e sensibile,
nostro re, incrollabili, ineccepibili, irreprensibili,

 DOSSOLOGIA
50 poiché a te, per mezzo di lui, è ogni gloria, venerazione e azione di grazie; e, a
causa di te e dopo di te, è a lui onore e adorazione nel santo Spirito, e ora e
sempre, e negli infiniti e sempiterni secoli dei secoli. 51 Amen!
La “nostra” Preghiera Eucaristica IV assomiglia all’anafora orientale (anche se più breve): è stata
voluta dal CVII per avvicinarsi a questa tradizione orientale; dopo il Sanctus vi è infatti un
secondo rendimento di grazie (prefazio, sanctus, post-sanctus) ed ha un prefazio fisso.
Anafora di Serapione (famiglia alessandrina)
Si tratta di un’anafora contenuta in un antico eucologio, scoperto nel 1894 in un monastero sul
Monte Athos. Il titolo è Preghiera di oblazione del vescovo Serapione, il quale fu discepolo di
sant’Antonio, lo seguì nel deserto e sostenne sant’Atanasio. Morì dopo il 362. Di lui ci rimangono
due lettere e l’eucologio scoperto a fine dell’Ottocento.
 è una preghiera eucaristica a dinamica epicletica

 PREFAZIO
È degno e giusto lodare, celebrare con inni, glorificare te, Padre ingenito
dell’unigenito Gesù Cristo. Ti lodiamo, Dio ingenito, imperscrutabile, inesprimibile,
incomprensibile a ogni realtà generata. 5 Lodiamo te, che sei conosciuto dal Figlio
unigenito, che per mezzo di lui sei predicato e interpretato e fatto conoscere alla
natura generata. Lodiamo te, che conosci il Figlio e riveli ai santi le glorie che lo
concernono; 10 che sei conosciuto dal Verbo da te generato, che ti fai vedere e ti
lasci interpretare dai santi. Ti lodiamo, Padre invisibile, largitore di immortalità: tu
sei la fonte della vita, la fonte della luce, la fonte di ogni grazia e di ogni verità,
15 amante degli uomini e amante dei poveri, che con tutti ti riconcili e tutti attiri a
74
te per mezzo della venuta del tuo Figlio diletto. Preghiamo: fa’ di noi uomini vivi;
da’ a noi lo Spirito di luce, perché conosciamo te, il vero, 20 e colui che mandasti,
Gesù Cristo; da’ a noi lo Spirito Santo, perché possiamo dire ed esporre i tuoi
ineffabili misteri; predichi in noi il Signore Gesù e il santo Spirito, e ti celebri-con-
inni per mezzo di noi. 25 Poiché tu sei al di sopra di ogni Principato e Potestà e
Potenza e Dominazione, e di ogni nome che viene nominato, non solo in questo
secolo, ma anche nel futuro. Dinanzi a te stanno mille migliaia e diecimila miriadi di
Angeli, Arcangeli, Troni, Dominazioni, 30 Principati, Potestà; dinanzi a te stanno i
due venerabilissimi Serafini dalle sei ali, che con due ali si velano il volto, con due i
piedi, con due volano e [ti] proclamano santo. Con essi ricevi anche la nostra
proclamazione della santità [tua], 35 [di noi] che diciamo:

 SANCTUS
Santo, santo, santo è il Signore delle Schiere; pieno è il cielo e la terra della tua
gloria!

 POST-SANCTUS EPICLETICO
Pieno è il cielo, piena è anche la terra della magnifica tua gloria, Signore delle
Potenze: 40 riempi anche questo sacrificio della tua potenza e della tua
partecipazione.

 ISTITUZIONE + ANAMNESI
Infatti ti abbiamo offerto questo sacrificio vivente, l’oblazione incruenta. Ti
abbiamo offerto questo pane, la similitudine del corpo dell’Unigenito — questo
pane è similitudine del santo corpo! —, 45 poiché il Signore Gesù Cristo, nella notte
in cui veniva tradito, prese il pane e [lo] spezzò e diede ai suoi discepoli, dicendo:
«Prendete e mangiate: questo è il mio corpo, che per voi sta per essere spezzato in
remissione dei peccati». Perciò anche noi, facendo la similitudine della morte,
50 abbiamo offerto il pane. E invochiamo: per mezzo di questo sacrificio riconcìliati
con tutti noi, e làsciati propiziare, Dio della verità; e come questo pane era disperso
sopra i monti e, radunato, è divenuto uno, 55 così anche la tua santa Chiesa raduna
da ogni etnìa e da ogni regione e da ogni città e villaggio e casa, e fa’ una [sola]
vivente, cattolica Chiesa. Abbiamo poi offerto anche il calice, la similitudine del
sangue, poiché il Signore Gesù Cristo, prendendo un calice dopo aver cenato,
60 disse ai suoi discepoli: «Prendete, bevete: questo è la nuova alleanza, cioè il mio
sangue, che per voi sta per essere versato in remissione dei peccati». Perciò
abbiamo offerto anche noi il calice, producendo una similitudine di sangue.

 EPICLESI SULLE OBLATE


65 Venga, Dio della verità, il tuo santo Verbo sopra questo pane, perché il pane
diventi corpo del Verbo, e sopra questo calice, perché il calice diventi sangue della
Verità;

 EPICLESI SUI COMUNICANTI


e fa’ che tutti i comunicanti ricevano il rimedio di vita, per la guarigione di ogni
malattia, 70 per il rafforzamento di ogni progresso e virtù, non per la condanna, Dio
della verità, né per il rimprovero e l’obbrobrio.

75
 INTERCESSIONI
Abbiamo infatti invocato te, l’Ingenito, per mezzo dell’Unigenito, nel santo Spirito:
75 ottenga misericordia questo popolo, sia degno di progresso, vengano inviati
Angeli ad assistere il popolo per la repressione del Maligno e per il consolidamento
della Chiesa. Supplichiamo anche per tutti quelli che riposano, 80 dei quali si fa
anche memoria: [dopo l’enunciazione dei nomi] santifica queste anime, tu infatti le
conosci tutte; santifica tutte quelle che riposano nel Signore, e connùmera[le] con
tutte le tue sante Potenze, 85 e da’ loro un luogo e una dimora nel tuo regno. Ricevi
anche l’azione di grazie del popolo, e benedici coloro che hanno offerto le oblazioni
e le azioni di grazie, e concedi salute e incolumità e gioia e ogni progresso di anima
e di corpo a tutto questo popolo,

 DOSSOLOGIA
90 per mezzo dell’unigenito tuo Gesù Cristo, nel santo Spirito, come era, è e sarà
nelle generazioni delle generazioni, e in tutti i secoli dei secoli. Amen!
Interessante cogliere una mentalità platonica quando nel post-sanctus si afferma: “Pieno è il cielo,
piena anche la terra…riempi anche questo sacrificio”: poiché i cieli e la terra sono pieni di Dio
allora venga a riempire anche questo sacrificio.
Nell’istituzione, “SIMILITUDINE” (omoioma) indica chiaramente il simbolo ontologico partecipativo,
ossia il sacramento (cfr. similitudo in Traditio Apostolica: simbolo non in senso debole, ma in
senso sacramentale forte!). Si badi all’insistenza sulla dinamica anamnetica, il cui sviluppo è in 3
passaggi: (a) ti abbiamo offerto questo pane, la similitudine…; (b) poiché il Signore prese il pane…;
(c) perciò anche noi abbiamo offerto facendo la similitudine.
L’epiclesi sulle oblate, parlando di “EPICLESI DEL VERBO” (e non dello Spirito Santo) mostra che il
testo è antecedente ai Concili trinitari!
Canone romano
Il Canone romano deve essere osservato cogliendo una triplice chiave di lettura:
1. STRUTTURA A SPECCHIO abbastanza complessa.
2. DIMENSIONE COMUNIONALE e sincronica attraverso cui il Canone romano immagina tutta la Chiesa,
celeste e terrestre, radunata intorno all’altare come un grande corpo che partecipa all’offerta
del sacrificio: Maria, gli apostoli e i martiri, ancora altri santi, poi i vivi e i defunti.
3. DIMENSIONE DIACRONICA che vede l’Eucaristia all’interno di una storia del sacrificio, che:
- parte da Abele, Melchisedek, Abramo ( PREFIGURAZIONE dell’Antico Testamento che ricapitolano
l’umanità intera in ogni forma di offerta a Dio),
- culmina del sacrificio di Cristo (sull’ALTARE DELLA CHIESA),
- chiede che il sacrificio si completi portato sull’ ALTARE DEL CIELO attraverso le mani dell’angelo
santo (chi sia è incerto: potrebbe essere semplicemente un’immagine poetica).
La struttura del Canone romano è, sinteticamente, la seguente:
- Dialogo
- Prefazio (variabile): mentre le anafore orientali sono molto numerose ma hanno prefazio fisso
- Sanctus
- Te igitur = “raccomandazione” delle oblate e della Chiesa
 I intercessioni = memento per i vivi

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o I commemorazione dei Santi: Vergine Maria e ventiquattro santi: dodici apostoli e dodici
martiri
- Hanc igitur = formula di passaggio che conclude la parte dell’intercessione
 I epiclesi (implicita): si domanda che l’oblazione sia:
- in omnibus, interamente, sotto ogni rapporto;
- benedictam, consacrata;
- adscriptam, registrata a merito degli offerenti;
- ratam, ratificata, cioè riconosciuta valida;
- rationabilem, spirituale, vero sacrificio perfetto secondo il Logos (elevato
concetto del sacrificio che i filosofi greci dichiaravano essere l’unica
forma di culto degna di Dio, in opposizione ai sacrifici carnali, cruenti;
- acceptabilem, gradita.
 ISTITUZIONE (racconto)
 ANAMNESI (memores) CENTRO DEL CANONE
 OFFERTA (offérimus)
 II epiclesi (implicita): compimento diacronico (altare del cielo) e richiesta di benedizione
 II intercessioni = memento dei defunti
o II commemorazione dei Santi: il Battista a cui seguono martiri (sette uomini e sette donne)
- “Per quem…” (clausola)
- Dossologia
 Il racconto dell’ISTITUZIONE termina con il comando “Fate questo in memoria di me”, che il
Signore ci ha dato offrendosi per noi; obbedendo a ciò, si prosegue: memori offriamo (in latino
è un’unica frase, in italiano viene “spezzata”). È la Sua offerta che rivive in noi!

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2.2. Testimonianze circa la comprensione teologica
2.2.1. Visione complessiva dei Padri
La visione complessiva dei Padri va intesa – sinteticamente – attraverso tre CHIAVI DI LETTURA.
1. MISTAGOGICA
La teologia dei Padri è una teologia mistagogica che si sviluppa parallelamente alla dimensione
liturgica e alla spiritualità. L’Eucaristia non è “improvvisata”:
- ci sono PREFIGURAZIONI VETEROTESTAMENTARIE che sono come una figura, un’ombra, un “tipo”;
- culmina nell’EVENTO DI CRISTO che è la veritas di tali prefigurazioni (l’esegesi e la mistagogia
seguono la stessa strada, parallelamente);
- il SACRAMENTO che celebriamo è, per opera dello Spirito Santo, la ripresentazione dell’evento
di Cristo prefigurato dall’Antico Testamento.
 cfr. la chiesa di San Vitale a Ravenna: Abele, Melchisedek, Abramo prefigurano; l’Agnello
è la verità del sacrificio; il sacramento che si compie è l’attualizzazione di questo sacrificio!
2. SIMBOLICA
Per dire tutto ciò, i Padri ricorrono alla categoria di “simbolo” (teologia simbolica) espressa in
vari modi in base all’epoca: συμβολον (Traditio Apostolica), ομοιομα (Anafora di Serapione),
τυπος, imago, similitudo, figura, sacramentum.
Vivono in una cultura impregnato di platonismo e neoplatonismo, secondo cui i singoli enti
concreti, storici che troviamo di fronte a noi ( MOLTEPLICITÀ) si capiscono a partire da un’UNITÀ,
che è la loro idea (principio spirituale che Platone immagina nell’Iperuranio che trascende la
pura materialità dei singoli ma che è in qualche modo il principio del loro essere): ogni ente
partecipa dell’idea-principio e la concretizza in una realtà empirica che può essere capita solo
in quanto partecipa del principio trascendente che è l’archetipo).
La novità cristiana è l’incarnazione: il Logos non è più un principio trascendente lontano
dall’uomo ma si è fatto carne; allora l’archetipo è diventato l’offerta di Sé che Cristo ha fatto
sulla croce ed ogni Eucaristia è simbolo della croce in quanto ne è la PARTECIPAZIONE ONTOLOGICA.
 L’archetipo si rende presente nei singoli simboli/sacramenti in quanto vi partecipano.
 Questa idea andrà perdendosi nel Medioevo fino alla riscoperta di Casel e seguenti.
3. DINAMICA
L’Eucarestia riceve una lettura teologica fortemente dinamica. Si guarda la celebrazione, l’atto
liturgico del celebrare; la celebrazione viene capita:
- riferita ALL’INDIETRO in quanto si rende presente la passione del Signore;
- aperta IN AVANTI in quanto dal sacrificio del Signore si apre la Chiesa.
 IN SINTESI
La teologia mistagogica dei Padri è una teologia dell’azione liturgica, nella dinamica simbolica,
aperta nella sua origine e nella sua destinazione in avanti a generare la Chiesa.

N. CONTE. Eucaristia. Teologia e pastorale della celebrazione


1. «Sacrificium laudis» o Eucaristia dei cristiani
È un’espressione comune presso i Padri ed in modo particolare in AGOSTINO. Il sacrificio dei cristiani
è l’offerta di se stessi nell’offerta di Cristo, presentata a Dio mediante lodi e preghiere.
Vero sacrificio è qualsiasi opera che contribuisce a unirci a Dio con una santa
unione, riferita cioè a quell’ultimo fine per il conseguimento del quale
78
diventiamo veramente felici... L’uomo stesso, consacrato al nome di Dio e a Dio
votato, diventa un sacrificio in quanto muore al mondo per vivere a Dio...
Questo sacrificio siamo noi stessi (Rm 12,1-6).
Ecco il sacrificio dei cristiani: che molti siano uno solo in Gesù Cristo. E questo
sacrificio la Chiesa non cessa di rinnovarlo nel sacramento dell’altare, ben
conosciuto dai fedeli, nel quale è dimostrato che in ciò che essa offre è offerta
essa stessa.
Il sacrificio spirituale dei cristiani si attua non per mezzo della uccisione della vittima, ma mediante
il sacrificio delle «labbra oranti» (Eb 13,15), cioè per mezzo di una «azione spirituale» che rende
presente il sacrificio del corpo e del sangue del Signore, facendo l’anamnesi della passione di
Cristo.
L’offerta della Chiesa, che il Signore comandò di presentare in tutto il mondo, è
ritenuta da Dio un sacrificio puro ed è a lui accetta... Solo la Chiesa offre a Dio
creatore questa offerta pura, presentandogli in rendimento di grazie quanto
proviene dall’azione creatrice di Dio.
Il sacrificio visibile è sacramento del sacrificio invisibile... (Sl 50,18-19).
Dio dichiara di volere il sacrificio proprio là dove dice di non volerlo. Non vuole il
sacrificio di animali uccisi, ma vuole quello del cuore contrito. Così, esprimendo ciò
che non vuole, ci dice quello che vuole... (Sl 49,14-15; Mi 6,6-8).
Dove sta scritto: voglio la misericordia e non il sacrificio (Os 6,6), si deve intendere
un sacrificio preferito a un altro, poiché quello che da tutti era chiamato sacrificio,
era solo figura del vero sacrificio. La misericordia è senza dubbio il sacrificio vero.
Questo sacrificio è il più perfetto, anzi l’unico, perché è «SACRIFICIO SPIRITUALE». L’uomo stesso si
dona al Signore, offrendo la propria volontà e il proprio spirito al Padre nell’offerta di Cristo, per
le preghiere di lode e di ringraziamento. «È necessario che, quando celebriamo – dice san
Gregorio – immoliamo (mactemus) noi stessi nella contrizione del cuore, poiché noi che
celebriamo i misteri della passione del Signore, dobbiamo riprodurre in noi (imitari) ciò che
facciamo. Questa sarà veramente un’ostia offerta a Dio per noi, quando farà di noi stessi
un’ostia». Il sacrificio dei cristiani si consuma nell’interiorità del proprio essere, del proprio
«corpo» (Rm 12,1-2) e si esprime nel segno sacramentale dell’Eucaristia, «il sacrificio quotidiano
della Chiesa», nel quale essa, «essendo il corpo di cui Cristo è il capo, impara ad offrire se stessa
per mezzo di Lui».
Nessuna sostituzione con vittime che stanno al di fuori del proprio corpo. Agostino è molto
esplicito al riguardo: afferma che il culto del cristiano è «UN SACRIFICIO DI LODE IMMOLATO NEL CORPO
DI CRISTO».
Il sacrificio spirituale è l’unico gradito a Dio e che l’uomo può offrire: ciò è vero per Cristo e per la
Chiesa. Anzitutto per Cristo, il quale, aboliti i sacrifici materiali delle vittime animali, offrì se
stesso, la propria volontà al Padre nello Spirito (cfr. Eb 10,5-6):
Era necessario che il vero Agnello abolisse l’istituzione dell’agnello tipico e che un
solo sacrificio ponesse termine alla molteplicità e alla varietà delle vittime. Perché
dunque le ombre lascino il luogo alla realtà e le immagini scompaiano in presenza
della verità, l’antico culto religioso è tolto via con un SACRAMENTO NUOVO, la vittima è
sostituita con un’altra vittima, il sangue è messo da parte a motivo di un altro
sangue. Al tempo stesso che la solennità (Pasqua), prescritta dalla legge, è mutata,
la si adempie nel suo significato. Hai attirato tutto a te, Signore, affinché ora con il
79
perfetto e manifesto sacramento la pietà religiosa di tutte le nazioni celebrasse
quel rito che si svolgeva solo nel tempio della Giudea come ombra e figura... Ora
che è finita la varietà dei sacrifici carnali, la sola oblazione del corpo e del sangue
tuo sostituisce con molta più perfezione tutte le vittime... Poiché tu sei il vero
«Agnello che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Così contieni e perfezioni in te
tutti i misteri perché ci sia un solo regno, costituito da tutte le genti, come uno solo
è il sacrificio che sostituisce tutte le vittime. Nei sacrifici delle vittime materiali, era
prefigurato il graditissimo dono di quel sacrificio con cui l’unico Figlio di Dio
avrebbe offerto misteriosamente se stesso per noi... Cristo è colui che in sé solo offrì
tutto quello che sapeva essere necessario per il compimento della nostra
redenzione, egli è al tempo stesso sacerdote, sacrificio, Dio e tempio: sacerdote per
mezzo del quale siamo riconciliati, sacrificio che ci riconcilia, Dio a cui siamo
riconciliati, tempio in cui siamo riconciliati... Nelle vittime materiali erano significati
e la carne di Cristo che egli, senza peccato, avrebbe offerto per i nostri peccati, e il
suo sangue che avrebbe versato in remissione dei nostri peccati.
Cristo Gesù associa a sé, nella sua offerta pura e gradita al Padre, la Chiesa, suo corpo e sua sposa.
La nostra offerta, in Cristo e nello Spirito, si compie quando, con le preghiere di ringraziamento,
rendiamo presente il sacrificio di Cristo e uniamo le nostre volontà a quella del Signore Gesù.
In questo sacrificio (Eucaristia) c’è il ringraziamento e il memoriale della carne di
Cristo, offerta per noi e del sangue che lo stesso Dio sparse per noi.
Si fa voto a Dio di tutto ciò che gli si offre, soprattutto l’offerta del santo altare, col
quale mistero si designa il nostro massimo voto, per cui ci consacriamo a rimanere
in Cristo, cioè nell’unità del corpo di Cristo. Il significato segreto e profondo di
questa realtà divina è che, essendo il pane uno solo, noi, benché siamo molti,
formiamo un unico corpo (1 Cor 10,17).
2. Il «sacrificium laudis» dei cristiani inserito nella passione del Signore
È il tema del nesso che intercorre tra l’Eucaristia, come preghiera di lode dei cristiani e la passione
del Signore. Il nesso tra il rito e il fatto non è solo affermato dai Padri; essi ne chiariscono anche la
natura (la presenza oggettiva), le modalità (la via misterica) e gli effetti (la salvezza).

La natura del nesso: l’anamnesi

La natura del nesso tra il sacrificio dei cristiani e la passione del Signore si colloca nel piano della
PRESENZA OGGETTIVA, ANAMNETICA. In questo i Padri sono quanto mai espliciti: l’Eucaristia è per loro
il «sacramento della passione», cioè «la passione stessa» in sacramento, in mysterio. La
presenza reale della passione fa di ogni Messa un intervento divino, un evento di salvezza: la
celebrazione della Messa è continuazione nel tempo di quello che Cristo fece nell’Ultima Cena,
che era presenza «misterica» del «fatto pasquale» nuovo, che stava per compiersi nella passione
del Signore.
Quando i Padri parlano di Pasqua si riferiscono direttamente al RITO LITURGICO. Celebrare la Pasqua
significa per loro celebrare la Messa, ma nello stesso tempo è evidente che il RITO È «MEMORIALE»
dell’evento di liberazione-alleanza, operato da Cristo nella realtà storica del suo mistero di morte
e di risurrezione, compimento della Pasqua antica.
Ascoltiamo direttamente dai Padri questo discorso in alcune loro testimonianze:

80
- Se ascendi con Cristo per celebrare la Pasqua, egli ti dà il calice del Nuovo Testamento,
ti dà anche il pane dell’Eucaristia: ti fa dono del suo corpo e del suo sangue [ORIGENE].
- I seguaci di Mosè immolavano l’agnello pasquale una volta l’anno. Noi invece, discepoli
del Nuovo Testamento, celebrando la nostra Pasqua ogni domenica, siamo sempre
nutriti del suo corpo salvifico e sempre partecipi del sangue dell’Agnello, sempre con i
fianchi cinti, pronti i piedi, sempre in viaggio verso Dio, sempre celebriamo la nostra
festa del passaggio. La parola evangelica ci comanda infatti di fare queste cose non
una sola volta all’anno, ma ogni giorno. Per questo ogni settimana, nel giorno
salvifico della domenica, celebriamo la festa della nostra Pasqua, compiendo i misteri
del vero Agnello [EUSEBIO DI CESAREA].
- Celebriamo la Pasqua ogni anno, anzi ogni giorno, anzi ogni ora e cioè quando
comunichiamo al corpo e al sangue di Cristo [DIDIMO]. Per questo è detta Pasqua del
Signore, perché allora, mediante la figura dell’agnello, veniva annunciata la verità
che è la passione del Signore, di cui ora viene celebrata la grazia [SANT’AMBROGIO].
- I sacerdoti del Nuovo Testamento offrono sempre e dovunque lo stesso unico sacrificio,
poiché unico fu anche il sacrificio offerto per noi e cioè quello offerto da Cristo... È
perciò sacrificio, ma sacrificio né nuovo né proprio del sacerdote offerente, poiché è
l’anamnesi del vero sacrificio di Cristo [TEODORO DI MOPSUESTIA].
- Il mistero che si celebra nella Pasqua non ha nulla di più di quello che oggi celebriamo
qui, perché è un unico ed identico mistero come unica è la grazia dello Spirito , perché
è sempre Pasqua... Nessuno dunque partecipi a quella e a questa (Pasqua) in modo
differente, poiché unico è il valore salvifico [GIOVANNI CRISOSTOMO].
- Nostro pontefice è colui che ha offerto il sacrificio purificatore. Anche noi offriamo quel
sacrificio che è stato offerto una sola volta e in perpetuo. Esso viene fatto in anamnesi
di quello che fu fatto una volta, perché egli stesso disse: Fate questo in memoria di me.
Non facciamo perciò un sacrificio sempre diverso, come avveniva nell’Antico
Testamento, ma facciamo sempre lo stesso sacrificio: ossia piuttosto facciamo
l’anamnesi del sacrificio [GIOVANNI CRISOSTOMO].
- D’ora in poi mangerete una Pasqua nuova e pura, cioè il pane che è lievito perfetto
impastato e cotto dallo Spirito Santo; ho da darvi da bere un vino mescolato con fuoco
e spirito (cf Mt 3,11): sono il corpo e il sangue di Dio, che si fa vittima per tutti [EFREM].
- Anche il Salvatore del genere umano ha fatto la Pasqua nel cenacolo, dove ha dato ai
suoi discepoli il mistero del suo corpo e del suo sangue ed ha lasciato a noi la festa
eterna dell’Agnello immolato [GIROLAMO].
- In modo del tutto unico questa vittima... ci rende presente, per mezzo del mistero, la
morte del Figlio unigenito, il quale è certamente risuscitato dai morti e la morte non
può più nulla su di lui. E tuttavia, benché in se stesso egli viva ormai di vita immortale e
incorruttibile, per noi è di nuovo immolato nel mistero della santa oblazione...
Riflettiamo dunque bene che cosa è per noi questo sacrificio, il quale imita
continuamente la passione del Figlio unigenito per la liberazione nostra [GREGORIO
MAGNO].

La modalità del nesso: la via misterica

Riflettiamo anzitutto sul nesso che intercorre tra la Pasqua antica e la passione di Cristo: la
Pasqua storica dell’Esodo e la sua celebrazione annuale da parte dell’antico popolo di Dio, come

81
tutti gli altri eventi simbolici dell’Antico Testamento, sono in stretto rapporto a Cristo e al suo
mistero di salvezza: LO ANNUNCIANO E AD ESSO RIMANDANO.
I fatti dell’Antico Testamento «erano OMBRA (σκιά) delle cose future», mentre nella Chiesa «si
realizza il contenuto delle IMMAGINI (εἰκόνων) e il compimento delle FIGURE (τύπος) e al posto
dell’ombra la stessa VERITÀ (ἀλήθεια) stabile e inconcussa».
 L’antica economia della salvezza è «figura» della «verità» e della «realtà, che è Cristo ; è il
«progetto» e il «modello» nei confronti dell’«opera realizzata» 13. È la prospettiva biblica,
sviluppata in particolare dalla Lettera agli Ebrei (8,3; 10,1-10) e anche da san Paolo, ripresa dai
Padri. Si tratta, infatti, di un discorso comune che ritorna spesso nella predicazione patristica.
I Padri operano una TRIPLICE DISTINZIONE che caratterizza e qualifica le tappe successive della storia
della salvezza. Graficamente, tutto ciò può essere espresso così:
Figura Verità-Realtà Mistero
A.T. Cristo: N.T. culto della Chiesa
La salvezza è attuata definitivamente in Cristo Gesù nella realtà del suo corpo fisico, crocifisso e
glorificato, per cui tutto converge verso di lui, anche se in modo differente:
- nell’AT Cristo è solo annunciato, ma non ancora presente nella realtà della sua incarnazione,
per cui la Pasqua antica è solo OMBRA E FIGURA del Cristo venturo (FRECCIA SOLO VERSO CRISTO);
- il compimento della salvezza, nella passione di Cristo, è oggetto di celebrazione da parte della
Chiesa, perché in essa Cristo è realmente presente nel suo avvenimento di salvezza ( FRECCIA
NELLE DUE DIREZIONI), anche se NON PIÙ nella realtà storica della sua morte sulla croce (avvenuta
una sola volta) e NON ANCORA nella verità del suo corpo fisico glorificato (oggetto di attesa
parusiaca), ma nella modalità misterica, una presenza che si attua ATTRAVERSO SEGNI E SIMBOLI.
Noi, fratelli, sappiamo e crediamo con fede certissima che Cristo è morto una sola
volta per noi... e tuttavia la solennità periodica lo rinnova, come se si ripetesse più
volte quello che la storia proclama, con tante testimonianze della Scrittura, essere
avvenuto una sola volta. Né, d’altra parte, verità (storica) e solennità sono tra loro
in contrasto, quasi che la seconda sia fallace e la prima soltanto corrisponda a vero.
Di ciò infatti che la storia afferma essere avvenuto nella realtà una sola volta, di
questo la solennità rinnova spesso la celebrazione nei cuori dei fedeli. La storia
svela ciò che è accaduto e come è accaduto; la solennità fa sì che il passato non sia
dimenticato: non nel senso che lo realizza, ma nel senso che lo celebra... Secondo la
storia perciò diciamo che la Pasqua è accaduta una sola volta, né più si ripeterà;
secondo invece la solennità diciamo che ogni anno viene Pasqua...Ma non
dobbiamo ritenere questi giorni (della Pasqua) fuori dell’ordinario da trascurare la

13
«I Giudei, rifiutata la PASQUA CELESTE, ne celebrano una terrestre; noi, al contrario, sorpassata la
PASQUA TERRESTRE celebriamo quella celeste. Quella che si compì tra di loro era segno della
salvezza dei primogeniti dei Giudei... La Pasqua invece che si celebra tra noi è causa di salvezza
per tutti gli uomini... Le cose parziali e provvisorie, come immagini e figure delle cose perfette
ed eterne, dovevano preparare in anticipo, a guisa di bozzetti, la verità che ora è spuntata. Una
volta apparsa la verità, la figura ha fatto il suo tempo... È evidente l’inferiorità della figura
rispetto alla verità... In noi si realizza il vero «passar sopra» (pasqua) dello sterminatore, dal
momento che una volta per tutte egli passa sopra di noi dopo che siamo stati risuscitati da Cristo
per la vita eterna» (CRISOSTOMO)
82
memoria della Passione e della Risurrezione che facciamo quando ci cibiamo ogni
giorno del suo corpo e del suo sangue [AGOSTINO].
Il rapporto che intercorre tra il sacrificio dei cristiani e il mistero della Pasqua del Signore è indicato
nei Padri con una VARIETÀ DI TERMINI tutti convergenti nel loro significato fondamentale.
Nell’azione liturgica, che è designata di volta in volta quale immagine, simbolo, memoria,
imitazione, mistero, sacramento del sacrificio della croce, Cristo Gesù unisce a sé la sua Chiesa
nell’offerta perfetta e gradita al Padre. La celebrazione della Chiesa è MEMORIALE, anamnesi di
Cristo Gesù nel suo mistero non «in figura» ma «IN MISTERO».
Presso i Padri della Chiesa, si potrebbe parlare di TEOLOGIA SIMBOLICA o teologia dell’immagine; essi,
infatti, hanno ampiamente utilizzato il concetto platonico di «immagine», e i suoi sinonimi.
Il pensiero platonico nel linguaggio dei Padri, soprattutto greci, è espresso entro l’orizzonte
intellettivo del «simbolo reale»: l’uomo e il mondo sono visti come simboli, per cui la realtà
superiore, che esprime se stessa in quella inferiore, è presente in essa sia pure in forma debole.
I Padri presentano l’Eucaristia con l’ausilio della «teologia dell’immagine»: Cristo glorioso
(ORIGINALE) nella celebrazione dell’Eucaristia (IMMAGINE) si rende presente alla sua Chiesa nella
potenza dello Spirito Santo, nel suo agire salvifico, nel suo avvenimento redentivo (il sacrificio
della croce come TOTALITÀ del suo mistero).
 Tra idea platonica dell’immagine e teologia patristica dell’immagine c’è SOSTANZIALE DIFFERENZA: i
Padri utilizzano il concetto platonico dell’immagine superandone la concezione statica, che le è
propria, e arricchendola della «STORICITÀ» e della «DINAMICITÀ» tipiche della Bibbia.
I misteri che i cristiani celebrano non sono copie imperfette e statiche della realtà, ma sono
«EVENTI». Questa «vera» presenza della Pasqua nella celebrazione della Chiesa è però
«nascosta», in fieri, verso la realtà «faccia a faccia» (1 Gv 3,2). «Il corpo e il sangue di nostro
Signore ci nutrono e ci fanno attendere di essere trasformati in esseri immortali ed incorruttibili».
I Padri applicano le idee della teologia dell’immagine ai segni eucaristici nel senso di un AUTENTICO
REALISMO. La realtà del corpo-sangue di Cristo è a noi accessibile nel segno del pane-vino:

- Volle che usassero il pane come simbolo del suo corpo [EUSEBIO DI CESAREA].
- Al posto del sacrificio cruento Cristo ci lasciò un sacrificio spirituale, incruento e
mistico che si celebra nella morte del Signore attraverso i simboli del suo corpo e del
suo sangue[COSTITUZIONI APOSTOLICHE].
- Sotto la figura del pane c’è il suo corpo e sotto quella del vino c’è il suo sangue... Non
accostartene come a un pane e a un vino ordinari: sono il corpo e il sangue di Cristo,
secondo le affermazioni del Signore. Anche se i sensi ti suggeriscono il contrario, la
fede ti sia di sostegno. Non giudicarne dal gusto, ma sii pienamente certo, basandoti
sulla fede, di essere stato ammesso al corpo e al sangue di Cristo [CIRILLO DI
GERUSALEMME].
- Noi che prendiamo parte a questo mistero dobbiamo commemorare mediante
simboli la sua passione, che ci procurerà i beni futuri e la remissione dei peccati. Il
nostro Signore vi ha dato il vino come figura del suo sangue [TEODORO DI MOPSUESTIA].
- (Il sacrificio unico e vero) prima della venuta di Cristo era promesso mediante vittime
prefigurative, nella passione di Cristo fu offerto nella realtà, dopo l’ascensione di
Cristo esso viene celebrato nel sacramento-memoriale [AGOSTINO].

83
- Cristo nostro sacerdote, che ha offerto se stesso..., ha dato a celebrare nella sua
Chiesa l’immagine del suo sacrificio in memoria della sua passione, per poter essere
così sacerdote in eterno [AGOSTINO].
- Se si dice che avviene in un certo giorno ciò che è avvenuto una volta, è in forza della
celebrazione del sacramento. Infatti non è forse vero che Cristo è stato immolato una
volta in se stesso e tuttavia nel sacramento viene immolato non solo ad ogni
solennità pasquale, ma tutti i giorni, e certo non mentisce chi interrogato a questo
proposito risponde che Cristo viene immolato [AGOSTINO].
Trattandosi di un discorso che rimane nella realtà, si può benissimo parlare di pane e vino come di
SIMBOLI del corpo e del sangue di Cristo e della passione del Signore .
 Il SIMBOLO per i Padri non è affatto un’allegoria:
- nell’allegoria la realtà, pur essendo duplice, è di natura diversa: una oggettiva e reale (es. la
rosa, la bandiera) e l’altra soggettiva, solo pensata (es. l’amore, la patria) e non
oggettivamente fondata sull’altra;
- per i Padri il «simbolo», σύμβολον, symbolum, è una doppia realtà: è qualcosa che esiste
realmente o in due elementi o su due livelli che si richiamano a vicenda; duplice realtà
oggettiva costituita da due momenti interdipendenti appunto a livello di realtà, nel senso che
una di queste si fonda sull’altra (la cosa significata è presente nel simbolo).
 Dunque, il simbolo include realtà e relatività insieme: il pane e il vino consacrati sono simboli
del corpo e del sangue del Signore, perché dicono relazione e lo sono realmente.

Gli effetti del nesso: la salvezza

L’Eucaristia è il sacrificio memoriale della passione del Signore, offerto dalla Chiesa intera per il
ministero dei vescovo o del presbitero e partecipato a tutti i battezzati. Nella partecipazione
piena al convito sacrificale, mediante la comunione sacramentale al corpo e al sangue di Cristo, il
credente accoglie il dono della salvezza.
Il «convito del Signore», in cui si partecipa dell’unico pane spezzato, essendo unione con Cristo
stesso, è redenzione «nel suo sangue», preparazione e introduzione nell’eterno convito d’amore,
«rimedio di immortalità, antidoto affinché non si muoia ma si viva sempre in Gesù Cristo». Essa
ancora è la via perfetta dell’esperienza mistica di Gesù nella storia.
Nella partecipazione all’Eucaristia siamo assimilati alla vita e al destino di Cristo Signore, siamo
aperti alla dimensione dell’eternità, i nostri corpi raggiungono la risurrezione.
Sintetizzando le posizioni dei Padri, possiamo parlare di effetto «CRISTICO-PNEUMATICO» ed effetto
«ECCLESIALE-ESCATOLOGICO»: Cristo partecipa se stesso nel dono pasquale e pentecostale dello
Spirito, e ciò pone l’uomo in un nuovo stato di vita, anticipazione del regno celeste.
Cristo Gesù, che ci ha generati con il battesimo, ci nutre con un cibo spirituale, facendosi egli
stesso cibo per noi nello Spirito:
- Già nel battesimo ci ha concesso una nuova nascita, che fa di noi il suo stesso corpo,
la sua carne, la sua primogenitura (Eb 2,13). Amandoci come una madre ci nutre con
la propria carne. Ha posto dinanzi a noi il pane e il vino, il suo corpo e il suo sangue,
cibo di immortalità. Mangiandoli riceviamo la grazia dello Spirito Santo, che si
diffonde in noi e ci rende immortali e incorruttibili nella speranza. Così in modo
inesprimibile, già partecipiamo ai beni futuri. E quando verrà la consumazione,
saremo nutriti della grazia dello Spirito Santo, senza sacramento né segni e

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diventeremo perfettamente immortali, incorruttibili, immutabili [TEODORO DI
MOPSUESTIA].
- Uscì sangue ed acqua (Gv 19,34): simboli del battesimo e dei misteri. Da questi due è
stata generata la Chiesa... I simboli del battesimo e dei misteri derivano dal fianco:
dal fianco, dunque, Cristo formò la Chiesa, come dal fianco di Adamo formò Eva...
Vedete come Cristo congiunse a se stesso la sposa? Vedete con quale cibo nutre tutti
noi? E dallo stesso cibo che siamo stati formati e veniamo nutriti. Infatti, come la
donna nutre colui che ha generato con il proprio sangue e latte, così anche Cristo
nutre continuamente con il proprio sangue colui che egli generò [GIOVANNI
CRISOSTOMO].
La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo ci assimila a lui, ci trasforma in creature nuove,
spirituali, in cui dimora, come in un tempio, lo Spirito del Signore. Il pane e il vino toccati dallo
Spirito Santo, sono diventati per noi il corpo e il sangue del Cristo morto e risorto, per cui
ricevendo questi doni, come nostro cibo spirituale, siamo liberati dal peccato e ricolmati della
grazia dello Spirito, che ci rende l’unico corpo di Cristo animato dall’unico Spirito, sacrificio
gradito al Padre:
- Quando facciamo memoria della sua morte, durante il sacrificio invochiamo la
venuta dello Spirito Santo, quale dono di amore. La nostra preghiera chiede quello
stesso amore per cui Cristo si è degnato di essere crocifisso per noi. Anche noi
mediante la grazia dello Spirito Santo, possiamo essere crocifissi al mondo e il mondo
a noi [FULGENZIO DI RUSPE].
- Noi partecipiamo pienamente sicuri che si tratta del corpo e del sangue di Cristo.
Sotto le specie del pane ti è dato il corpo e sotto quelle del vino il sangue, affinché,
reso partecipe del corpo e del sangue di Cristo tu divenga CONCORPOREO e
CONSANGUINEO con lui. In questo modo diventiamo «cristiferi», in quanto il corpo e il
sangue di Cristo si è distribuito per le nostre membra e, al dire del beato Pietro
[CIRILLO DI GERUSALEMME], noi diventiamo «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4). La
partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non è ordinata ad altro che a
trasformarci in ciò che prendiamo con lo scopo di essere trasformati in portatori
integrali, in anima e corpo, di colui con il quale e nel quale siamo morti, sepolti e
risuscitati (Col 3,3.4) [LEONE MAGNO].
- Voi diventate il pane che è il corpo di Cristo [AGOSTINO].
- Se voi dunque siete il corpo di Cristo e le sue membra, allora il vostro stesso mistero
giace sulla mensa eucaristica... Voi dovete essere ciò che vedete e dovete ricevere ciò
che voi siete [AGOSTINO].
- Come un poco di fermento, secondo la parola dell’Apostolo (1Cor 5,6), assimila nella
fermentazione tutta la pasta, così quel corpo che fu da Dio sottoposto alla morte,
introdotto nel nostro corpo, lo cambia e lo trasforma nella sua sostanza... Il corpo
immortale quando entra in colui che lo prende, trasforma tutto nella propria natura.
Ma per penetrare in un corpo non vi è altro mezzo che mescolarsi alle sue viscere per
mezzo del cibo e della bevanda. È quindi necessario ricevere la forza vivificante dello
Spirito nel modo consentito alla natura... Il nostro corpo non ha altro modo di
divenire immortale se non unendosi con un corpo immortale e partecipando della sua
incorruttibilità [GREGORIO NISSENO].
- Vi alimenterete con la grazia dello Spirito che dà l’immortalità ai vostri corpi e
l’immortalità alle vostre anime. Sì, il cibo appropriato alla vostra nuova condizione è
85
la grazia dello Spirito che consente a quanti sono nati mediante la risurrezione di
vivere per sempre [TEODORO DI MOPSUESTIA].
- La celebrazione di questo arcano sacrificio è l’immagine delle realtà celesti;
mangiando e bevendo prendiamo parte ad esso e tocchiamo così i beni futuri. Ogni
volta che questo sacrificio si compie, dobbiamo interiormente figurarci, con il
pensiero e l’immaginazione, che siamo in cielo [TEODORO DI MOPSUESTIA].
- Le colpe derivanti da debolezza umana non devono impedirci di ricevere questo sacro
mistero. I peccatori inveterati non devono avere l’ardire di accostarvisi [TEODORO DI
MOPSUESTIA].
- Cristo tocca la tavola, colpisce la mistica mensa e fa scaturire le fonti dello Spirito
[GIOVANNI CRISOSTOMO].
- Dopo essere risaliti dal fonte battesimale, subito sono condotti alla tavola arcana e
piena di infiniti beni, gustano il corpo e il sangue del Signore, diventano dimora dello
Spirito e si muovono in tutto come coloro che hanno rivestito lo stesso Cristo
[GIOVANNI CRISOSTOMO].
- Il pane Cristo lo chiamò suo corpo vivo , e lo riempì di se stesso e dello Spirito...
Prendete e mangiate con fede senza dubitare, poiché questo è il mio corpo, e chi lo
mangia con fede mangia in esso il fuoco e lo Spirito (cfr. Mt 3,11). Se è puro si
conserva puro, se è peccatore è perdonato... Prendete di esso tutti quanti, e mangiate
in esso lo Spirito Santo, è infatti veramente il corpo mio. Chi lo mangia vive in eterno
[EFREM SYRO].
- Ecco fuoco e Spirito nel seno di tua madre; ecco fuoco e Spirito nel fiume dove sei
stato battezzato. FUOCO E SPIRITO nel nostro battesimo; nel pane e nel calice, fuoco e
Spirito Santo. Nel tuo pane è nascosto lo Spirito che non si mangia; nel tuo vino abita
il fuoco che non può essere bevuto. Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino,
meraviglia singolare che le nostre labbra hanno ricevuto [EFREM SYRO].
 L’Eucaristia si colloca in una posizione di assoluta centralità nell’esperienza e nella riflessione
dei Padri: la Chiesa nasce nell’Eucaristia e si alimenta incessantemente alla sua fonte.
Nella celebrazione del sacrificio eucaristico, memoriale della passione del Signore, ci viene elargito
con abbondanza la pienezza del dono dello Spirito Santo, «primo dono ai credenti», colui che
porta a pieno compimento il progetto di salvezza del Padre, compiuto in Cristo (PE IV). Cristo
Gesù, infatti, riempie di sé e dello Spirito il pane e la coppa, che saziano così la nostra fame e sete
di Dio. Nella partecipazione all’Eucaristia, pertanto, abbiamo ogni dono di grazia:
- il perdono dei peccati e il sostegno nella lotta contro le forze del male;
- la comunione con Dio e con i fratelli;
- l’ingresso nel regno celeste, pregustando il convito escatologico, in cui si manifesterà in
pienezza la nostra «divinizzazione».
Nella INCORPORAZIONE A CRISTO NELLO SPIRITO, Giovanni Crisostomo vede lo scopo per cui l’Eucaristia è
stata istituita e per cui la Chiesa la celebra di continuo:
Bisogna comprendere la meraviglia di questo sacramento, lo scopo della sua
istituzione e gli effetti che produce. Noi diventiamo un solo corpo, dice la Scrittura,
e membri della sua carne e delle sue ossa. Egli vuole che diventiamo suo corpo non
solo con la carità, ma che in realtà noi siamo mescolati alla sua propria carne. È ciò
che opera il nutrimento che egli ci dona come prova del suo amore. Egli si è donato

86
a noi, egli stabilisce il suo corpo in noi, affinché diventiamo una sola realtà, come
corpo unito al suo capo [GIOVANNI CRISOSTOMO].
2.2.2. Note schematiche su Agostino
Agostino non ha mai sviluppato una trattazione organica e sistematica dell’Eucaristia. Nei suoi
scritti i riferimenti a questo tema sono numerosissimi, come si addice a un argomento centrale
della fede, ma raramente assumono uno sviluppo ampio. I testi più significativi si possono
trovare:
- nella Lettera 98,
- nei Discorsi ai neofiti, tra cui spicca il celebre Discorso 272,
- nel libro X del De Civitate Dei,
- oltre che nel Commento al Vangelo di Giovanni.
L’interpretazione della teologia eucaristica agostiniana è molto complessa e nel corso dei secoli ha
dato origine a NUMEROSE CONTROVERSIE:
- Ratramno contro Pascasio;
- Calvino contro la visione cattolica;
- a inizio ‘900 i modernisti.
Ciò e dovuto al fatto che la terminologia agostiniana presuppone quel realismo dei simboli che era
il chiaro orizzonte di riferimento della cultura platonizzante entro cui elabora il suo pensiero.
Rileggendo i testi agostiniani in un contesto culturale profondamente mutato, alcuni interpreti
hanno voluto vedere “STRUMENTALMENTE” in Agostino un sostenitore di una concezione
“puramente simbolica” (nel senso debole) dell’Eucaristia (contro il realismo sacramentale).
Lettera 98
Scritta nel 408 per rispondere ad alcuni quesiti posti da Bonifacio, vescovo di Cataquas a proposito
del BATTESIMO DEI BAMBINI, Agostino viene a toccare il tema della similitudo sacramentale:
Ecco un caso frequente di esprimersi: all’avvicinarsi della Pasqua diciamo: - Domani
o dopodomani è la Passione del Signore - sebbene egli abbia patito tanti anni fa e la
Passione sia avvenuta senz’altro una volta sola. Naturalmente la domenica
successiva diciamo: - Oggi il Signore è risorto - pur essendo passati tanti anni da
quando risorse. Ora, perché mai non v’è alcuno si sciocco da accusarci di mentire
parlando in questo modo, se non perché denominiamo tali giorni per analogia
(SECUNDUM SIMILITUDINEM) coi giorni in cui si compirono quei misteri? In tal modo si
chiama Pasqua un giorno che non è quello preciso ma uno simile a quello per
l’anniversario che ritorna con il trascorrere del tempo, e si dice che avviene in esso,
a causa della celebrazione del mistero liturgico (propter sacramenti celebratione),
quel che avvenne non già quel giorno preciso dell’anno ma molto tempo prima.
Cristo non s’è forse immolato da se stesso (in seipso) una sola volta? Eppure nel
mistero liturgico (in sacramento) s’immola per i fedeli non solo ogni ricorrenza
pasquale, ma ogni giorno. E non mentisce di certo chi, interrogato se Cristo
veramente s’immola, risponde di sì. Poiché SE I SACRAMENTI NON AVESSERO ALCUN
RAPPORTO DI SOMIGLIANZA CON LE REALTÀ SACRE DI CUI SONO SEGNI, NON SAREBBERO AFFATTO
SACRAMENTI. Da tale rapporto di somiglianza prendono per lo più anche il nome delle
stesse realtà sacre. Così il sacramento del Corpo di Cristo è IN CERTO QUAL MODO il
Corpo di Cristo (secundum quemdam modum sacramentum corporis Christi corpus

87
Christi est), il sacramento del Sangue di Cristo è lo stesso Sangue di Cristo e il
sacramento della fede è la fede stessa. Orbene, credere non è altro che aver la
fede: quando perciò si risponde che i bambini credono, mentre essi non hanno
ancora l’adesione della fede, si risponde che hanno la fede in virtù del sacramento
della fede e che si convertono a Dio in virtù del sacramento della conversione,
perché la stessa risposta fa parte della celebrazione del sacramento. Allo stesso
modo, a proposito del Battesimo, l’Apostolo dice: Siamo stati sepolti insieme con
Cristo nella morte mediante il Battesimo. Non dice: “Abbiamo rappresentato la
sepoltura”; ma proprio: Siamo stati sepolti insieme. Non ha voluto dare al
sacramento di sì gran mistero altro nome che quello del mistero stesso.
 Per Agostino il SACRAMENTO è tale per una SIMILITUDO tra il segno sacro e il mistero divino, che
non consiste solo in una somiglianza esteriore, ma in una VERA FORMA ONTOLOGICA DI
PARTECIPAZIONE.
Proprio per questo legame tra segno e mistero ciò che è avvenuto una volta per tutte nella
modalità dell’accadimento storico, può continuare ad accadere ogni giorno in modo
sacramentale: grazie alla mediazione della similitudo liturgica si ha una REALE PRESENZA DEL MISTERO
seppur in forma nuova.
 il “simbolismo” non è alternativa al realismo, ma modalità propria del realismo sacramentale.
Ne viene l’affermazione che secundum quendam modum (in un certo qual modo), cioè nella
modalità propria del simbolismo sacramentale, sacramentum corporis Christi corpus Christi est.
Per cogliere fino in fondo il senso di quest’affermazione, bisogna tener conto che Agostino ha
un’ANTROPOLOGIA FORTEMENTE PLATONIZZANTE, secondo cui esiste una contrapposizione molto netta
tra realtà corporea/materiale e realtà spirituale. Per Agostino un corpo è sempre un organismo
individuale composto di carne e ossa, strutturato con organi localizzati. Un corpo ha sempre una
distribuzione nello spazio, “occupa” uno spazio: ciò vale anche per il corpo glorioso di Cristo che
dopo l’Ascensione è presente nella gloria, assiso alla destra del Padre. Per questo, Agostino non
dice semplicemente che l’Eucaristia è il corpo di Cristo (non può dirlo: il corpo di Cristo è
localmente in cielo), ma è solito dire che essa è il corpo di Cristo secundum quendam modum,
oppure secundum quid (sotto un certo aspetto), cioè ne è la figura, il sacramentum, il signum.
Discorso 272
In questo testo possiamo trovare una sintesi degli elementi eucaristici del pensiero agostiniano:
Ciò che vedete sopra l’altare di Dio, l’avete visto anche nella notte passata; ma non
avete ancora udito che cosa sia, che cosa significhi, di quale grande realtà nasconda
il mistero. Ciò che vedete è il pane e il calice: ve lo assicurano i vostri stessi occhi.
Invece secondo la fede che si deve formare in voi il pane è il corpo di Cristo, il
calice è il sangue di Cristo. Quanto ho detto in maniera molto succinta forse è
anche sufficiente per la fede: ma la fede richiede l’istruzione. Dice infatti il Profeta:
Se non crederete non capirete. Potreste infatti dirmi a questo punto: Ci hai detto di
credere, dacci delle spiegazioni perché possiamo comprendere. Nell’animo di
qualcuno potrebbe infatti formarsi un ragionamento simile a questo: Il Signore
nostro Gesù Cristo sappiamo da dove ha ricevuto il corpo dalla Vergine Maria.
Bambino, fu allattato, si nutrì, crebbe, arrivò e visse l’età giovanile; soffrì
persecuzioni da parte dei Giudei, fu appeso alla croce, fu ucciso sulla croce, fu
deposto dalla croce, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò, nel giorno che volle ascese
88
al cielo; lassù portò il suo corpo; di lassù verrà per giudicare i vivi e i morti; ora è
lassù e siede alla destra del Padre: questo pane come può essere il suo corpo? E
questo calice, o meglio ciò che è contenuto nel calice, come può essere il sangue
suo? Queste cose, fratelli, si chiamano SACRAMENTI proprio perché in esse si vede
una realtà e se ne intende un’altra. Ciò che si vede ha un aspetto materiale, ciò che
si intende produce un effetto spirituale. Se vuoi comprendere [il mistero] del corpo
di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: VOI SIETE IL CORPO DI CRISTO E SUE
MEMBRA. Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore
è deposto il mistero di voi: RICEVETE IL MISTERO DI VOI. A ciò che siete rispondete:
Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo, e tu
rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen.
Perché dunque [il corpo di Cristo] nel pane? Non vogliamo qui portare niente di
nostro; ascoltiamo sempre l’Apostolo il quale, parlando di questo sacramento, dice:
Pur essendo molti formiamo un solo pane, un solo corpo. Cercate di capire ed
esultate. Unità, verità, pietà, carità. Un solo pane: chi è questo unico pane? Pur
essendo molti, formiamo un solo corpo. Ricordate che il pane non è composto da
un solo chicco di grano, ma da molti. QUANDO SI FACEVANO GLI ESORCISMI SU DI VOI
VENIVATE, PER COSÌ DIRE, MACINATI; QUANDO SIETE STATI BATTEZZATI, SIETE STATI, PER COSÌ DIRE,
IMPASTATI; QUANDO AVETE RICEVUTO IL FUOCO DELLO SPIRITO SANTO SIETE STATI, PER COSÌ DIRE,
COTTI. SIATE CIÒ CHE VEDETE E RICEVETE CIÒ CHE SIETE. Questo disse l’Apostolo in riguardo
al pane. E ciò che dobbiamo intendere del calice, anche se non è stato detto, ce l’ha
fatto capire abbastanza. Come infatti perché ci sia la forma visibile del pane molti
chicchi di grano vengono impastati fino a formare un’unica cosa - come se
avvenisse quanto la sacra Scrittura dice dei fedeli: Avevano un’anima sola e un solo
cuore protesi verso Dio - così è anche per il vino. Fratelli, pensate a come si fa il
vino. Molti acini sono attaccati al grappolo, ma il succo degli acini si fonde in un
tutt’uno. Cristo Signore ci ha simboleggiati in questo modo e ha voluto che noi
facessimo parte di lui, consacrò sulla sua mensa il sacramento della nostra pace e
unità. Chi riceve il sacramento dell’unità e non conserva il vincolo della pace riceve
non, un sacramento a sua salvezza ma una prova a suo danno. Rivolti al Signore
Dio, Padre onnipotente, con cuore puro, rendiamogli infinite e sincerissime grazie,
per quanto ce lo permette la nostra pochezza. Preghiamo con cuore sincero la sua
straordinaria bontà perché, si degni di esaudire le nostre preghiere secondo il suo
beneplacito; allontani con la sua potenza il nemico dalle nostre azioni e pensieri; ci
accresca la fede, guidi la nostra mente, ci conceda desideri spirituali e ci conduca
alla sua beatitudine. Per Gesù Cristo Figlio suo. Amen.
Questo discorso, come altri simili,14 ha come sfondo la situazione propria della mistagogia, in cui la
natura dell’evento sacramentale è illustrata ai neofiti dopo l’iniziazione. La sua brevità fa pensare
che possa essere una sorta di didascalia prima della comunione (più che una vera e propria
omelia).
Il discorso prende le mosse dal fatto che i neofiti s’interrogano di fronte al divario che sussiste tra:
- ciò che i sensi percepiscono (pane e vino)
- ciò che la fede afferma (la presenza del corpo e sangue di Cristo).
Agostino richiama che:
14
Cfr. Discorsi 227, 229, 229A, 277 e 279 (www.augustinus.it)
89
 la sacramentalità non è oggetto di esperienza empirica, ma di INTELLIGENZA SPIRITUALE
 l’Eucaristia non è solo una realtà che sta davanti, ma è un mistero che riguarda i fedeli
Per entrare nell’intelligenza spirituale del corpo di Cristo e del sacramento che lo ripresenta,
bisogna dunque partire dal fatto che DI QUEL CORPO NOI SIAMO LE MEMBRA: l’Amen che si dice al
sacramento è allo stesso tempo un Amen a un processo in cui entrare, l’Amen a un’identità che
ci definisce.
Emerge qui chiaramente la grande intuizione teologica di Agostino a proposito del CHRISTUS TOTUS
(il Cristo totale, cioè il Cristo che realizza la sua pienezza nell’associarci a sé, come membra del
suo corpo), anche se il termine non compare in questo brano.
 L’EUCARISTIA È PROPRIO IL SACRAMENTO IN CUI IL CHRISTUS TOTUS SI REALIZZA, PERCHÉ DIVENTIAMO PARTE DI
LUI.
In questa luce, l’Eucaristia viene compresa non in modo statico, ma dinamico, come culmine del
processo che attraverso l’INIZIAZIONE CRISTIANA conduce a diventare CORPO DI CRISTO, che Agostino
descrive in analogia con il processo con cui si fa il pane e il vino: come il frumento viene
macinato, impastato e cotto, fino a diventare un solo pane, così i fedeli sono passati attraverso gli
esorcismi, il Battesimo e il fuoco dello Spirito per giungere a divenire l’unico corpo del Signore
(riferimento esplicito a 1Cor 10 dove l’Eucaristia è presentata come sacramento dell’unità della
Chiesa).
Le espressioni che parlano dell’Eucaristia come “sacramento della nostra pace e unità” ricorrono
varie volte nelle pagine agostiniane e trovano la formulazione più classica dove l’Eucaristia è
detta “SACRAMENTUM PIETATIS, SIGNUM UNITATIS, VINCULUM CARITATIS” (Commento al Vangelo di
Giovanni, 26).
Agostino sottolinea più direttamente il RIFERIMENTO ECCLESIALE (Eucaristia come segno dell’unità della
Chiesa, raccolta in un solo corpo come i chicchi in un solo pane) che quello cristologico (ma
ovviamente si può essere Corpo di Cristo, solo se uniti a Cristo).
De Civitate Dei, libro X
Concludendo la prima parte del De Civitate Dei, Agostino affronta nel libro X il TEMA DEL SACRIFICIO,
per mostrare l’INSUFFICIENZA DEL PAGANESIMO E LA SUPERIORITÀ DEL CRISTIANESIMO.
Il contesto del brano è la contrapposizione tra due forme di religio:
- terrena, in cui la pratica religiosa è funzionale a una certa identità politica, culturale e
costituisce una giustificazione ideologica della comunità (la civitas terrena crea il suo culto e il
suo falso dio); qui il sacrificio ha la forma deviata di voler “conquistare” il divino in una logica
quasi magica;
- “celeste”, che pensa la pratica religiosa come apertura alla grazia e al dono di Dio: in questo
caso è il vero Dio che attraverso il culto crea la civitas Dei; cosicché, nel cristianesimo, il
sacrificio ha la forma di un incontro con l’agire di Dio e con la sua grazia.
Dunque vero sacrificio è ogni opera con cui ci si impegna ad unirci in santa
comunione a Dio, in modo che sia riferita al bene ultimo per cui possiamo essere
veramente felici. Quindi anche il bene con cui si soccorre l’uomo, se non si compie
in relazione a Dio, non è sacrificio. Infatti, sebbene il sacrificio sia compiuto e
offerto dall’uomo, è cosa divina; tanto è vero che anche i vecchi Latini l’hanno
chiamato così. Pertanto l’uomo stesso consacrato nel nome di Dio e a lui
promesso, in quanto muore al mondo per vivere di Dio, è un sacrificio [Rm 12].
Anche questo appartiene al bene che l’uomo compie in favore di se stesso. Perciò è

90
stato scritto: Abbi pietà della tua anima col renderti gradito a Dio. Quando
castighiamo anche il nostro corpo con la temperanza, se lo facciamo, come è
dovere, in relazione a Dio per non offrire le nostre membra come armi d’iniquità al
peccato, ma come armi di giustizia a Dio, anche questo è un sacrificio. Ad esso
esortandoci l’Apostolo dice: Vi scongiuro, fratelli, per la misericordia di Dio, a
presentare i vostri corpi come offerta viva, santa, gradita a Dio, come vostro
ossequio ragionevole. Allora il corpo che per la sua debolezza l’anima usa come un
servo o uno strumento, quando il suo impiego morale e onesto si riferisce a Dio, è
un sacrificio. A più forte ragione dunque diviene un sacrificio l’anima stessa
quando si pone in relazione con Dio affinché, accesa dal fuoco del suo amore, perda
la forma della terrena passione e sottomessa si riformi a lui come a forma che non
muta, resa quindi a lui gradita perché ha ricevuto della sua bellezza. L’Apostolo
citato esprime questo pensiero soggiungendo: Non conformatevi a questo mondo
che passa, ma riformatevi in un rinnovamento della coscienza, per rendervi
consapevoli qual è il volere di Dio, l’azione buona, gradita, perfetta. Ora i veri
sacrifici sono le opere di misericordia verso noi stessi e verso il prossimo che sono
riferite a Dio. Le opere di misericordia inoltre si compiono per liberarsi dalla
infelicità e così divenire felici; e questo si ottiene solamente con quel bene di cui è
stato detto: Il mio bene è unirmi a Dio. Ne consegue dunque che tutta la città
redenta, cioè l’assemblea comunitaria dei santi, viene offerta a Dio come
sacrificio universale per la mediazione del sacerdote grande che nella passione
offrì anche se stesso per noi nella forma di servo perché fossimo il corpo di un
capo così grande. Ha immolato la forma di servo, in essa è stato immolato, perché
in essa è mediatore, sacerdote e sacrificio. L’Apostolo dunque ci ha esortato a
presentare il nostro corpo come offerta viva, santa e gradita a Dio, come nostro
ossequio ragionevole, a non conformarci al mondo che passa ma a riformarci nel
rinnovamento della coscienza, per renderci consapevoli qual è la volontà di Dio,
l’azione buona, gradita e perfetta. E questo sacrificio siamo noi stessi. Poi
soggiunge: Dico nella grazia di Dio, che mi è stata data, a tutti quelli che sono nella
vostra comunità di non esaltarvi più di quanto è necessario, ma di valutare con
moderazione, nel modo con cui Dio ha distribuito a ciascuno la regola della fede.
Come infatti nel corpo abbiamo molte membra che non hanno tutte la medesima
funzione, così molti siamo in Cristo un solo corpo e ciascuno è membro dell’altro
perché abbiamo carismi diversi secondo la grazia che ci è stata data. Questo è il
sacrificio dei cristiani: Molti e un solo corpo in Cristo. LA CHIESA CELEBRA QUESTO
MISTERO COL SACRAMENTO DELL’ALTARE, NOTO AI FEDELI, PERCHÉ IN ESSO LE SI RIVELA CHE
NELLA COSA CHE OFFRE ESSA STESSA È OFFERTA.

OSSERVAZIONI:
- il sacrificio è orientato a stabilire una comunione con Dio;
- l’autentico sacrificio è azione divina in cui l’uomo è coinvolto e non opera primariamente
umana (“sebbene il sacrificio sia compiuto e offerto dall’uomo, è cosa divina”);
- tale coinvolgimento riguarda l’uomo in tutte le sue dimensioni: sacrificio è il corpo offerto a Dio
e soprattutto l’anima che vive nella fede e nella giustizia; dimensione INTERIORE ED ESTERIORE sono
inseparabili, poiché l’uomo non può fare a meno di riti e gesti esteriori, ma questi rimandano
all’esercizio interiore della fede e dell’obbedienza (“il sacrificio visibile è sacramento, cioè
segno sacro di un sacrificio invisibile”);
91
- tutta la città redenta, ossia la comunità dei santi, è sacrificio, in quanto viene coinvolta da
Cristo, sommo sacerdote, nell’offerta che ha fatto di se stesso: il sacrificio si Gesù viene a
compiersi nell’originare la comunità di coloro che vivono nell’umiltà e nella dedizione reciproca;
- ciò si realizza in modo speciale proprio nel sacramento dell’altare, in cui la Chiesa apprende
che, nel sacrificio di Cristo che essa celebra e offre, essa stessa viene offerta con Lui, divenendo
il Christus totus (mentre Gesù ha fatto di se stesso la vittima, è divenuto SOMMO SACERDOTE CHE
OFFRE TUTTA LA COMUNITÀ AL PADRE: Cristo “è sacerdote, egli offerente, egli offerta. E volle che il
sacramento quotidiano di questa realtà sia il sacrificio della Chiesa la quale, essendo il corpo di
lui in quanto capo, sa di offrire se stessa per mezzo di lui”);
- dall’Eucaristia nasce dunque la civitas Dei, la comunione di coloro che lasciandosi associare
all’offerta che Cristo ha fatto di sé, vivono come lui nell’umiltà e nella comunione.
2.3. Sguardo sintetico
1. I dati eucaristici biblici sono concordemente ammessi: consapevolezza tanto del REALISMO del
Corpo e del Sangue in condizione oblativa, quanto della CONDIZIONE SACRAMENTALE o misterica.
2. Uso di LINGUAGGIO TIPOLOGICO-FIGURATIVO, in cui “tipo” e “figura” sono espressione della “verità”.
3. Affermazione di una “TRASFORMAZIONE” o “metabolismo” che coinvolge il pane e il vino ed è
attribuita alle parole di Cristo o all’azione dello Spirito.
4. Affermazione della SIGNIFICAZIONE ECCLESIALE dell’Eucaristia.
5. Le varie FAMIGLIE LITURGICHE presentano sottolineature diverse del senso dell’Eucaristia, in
dipendenza da prospettive specifiche circa la salvezza e il mistero pasquale; rimane però il
senso fondamentale e comune della consegna che Cristo fa del suo Corpo e del suo Sangue.

3. Medioevo
3.1. Testimonianze circa la prassi celebrativa
Nel Medioevo si assiste ad una profonda evoluzione dell’Ordo Missae che, con una sorta
movimento di “andata e ritorno” da e a Roma, possiamo seguire attraverso tre momenti
fondamentali:
1. Ordo Romanus I (VII-VIII sec.), che presenta una messa papale con grandi movimenti di
truppe, raccogliendo le offerte – pane e vino portate dai fedeli – e con vera azione di popolo).
Intorno al 700-800 in Francia si sviluppa la chiesa gallicana; ma quando il potere va in mano a
Merovingi e Carolingi, Pipino il Breve e poi Carlo Magno e si fanno dare da Roma i libri papali
per diffonderli in tutto l’impero.
2. Messa franco-germanica o gotica (VIII-XII sec.): nei monasteri la Messa tende a diventare
messa privata (con i tariffari), si moltiplicano i salmi e i gesti (perché la gente non capisce il
latino). Sono i tempi bui di Roma, in cui il papato è conteso tra le famiglie nobili.
3. Messa papale di Onorio III (XIII-XV sec.), che non segue più l’Ordo I, ma risente delle novità
francesi; cosicché la messa privata del papa diventerà ben presto emblema della Messa (e
avrà grande influenza sul Concilio di Trento).
3.1.1. Messa papale dell’Ordo I e impatto su tradizione successiva (sec. VII-X)
Il punto di partenza può essere individuato nel più antico ordo romanus15 a noi arrivato: l’ORDO I.
Si tratta di documento liturgico molto importante, composto tra fine VII e inizio VIII secolo, che
però naturalmente contiene anche elementi più antichi.
15
Gli ordines sono i libri per il cerimoniere, che raccolgono le indicazioni rubricali.
92
Presenta la celebrazione papale nelle basiliche romane con tutto il clero e tutto il popolo, secondo
una struttura che appare ormai ricca e dettagliata. Sfrondato della sfarzosità della corte papale e
ristretto nelle sue componenti essenziali, divenne il parametro di ogni celebrazione eucaristica.
Possiamo osservare in particolare ALCUNI ELEMENTI:
- non è più prevista l’omelia e non si fa più cenno alla preghiera dei fedeli;
- l’assemblea è suddivisa in settori che tengono conto non solo dei diversi ruoli liturgici e delle
diverse situazioni canoniche (catecumeni, penitenti, schola ecc.), ma anche del prestigio
sociale;
- la figura del Papa emerge con una forte sottolineatura della sua dignitas ecclesiastica, con gesti
di rispetto che in parte derivano dal cerimoniale di corte;
- la partecipazione del popolo non si esprime più direttamente con il canto, affidato ad un
gruppo di persone, ma continua ad avere una parte importante nella celebrazione portando le
offerte (pane e vino) per la celebrazione e ricevendo la comunione.
3.1.2. Messa franco-germanica: importazione nella Messa romana (sec. VIII-XII)
Percorso storico
1. La liturgia della Sede Apostolica aveva già esercitato la sua influenza nel mondo occidentale
(Inghilterra, Germania), ma nel VIII e IX secolo viene esportata anche in Gallia (con il declino
dei merovingi e l’affermazione dei carolingi) e in Spagna. Ciò corrispondeva anche a un preciso
progetto politico, religioso e culturale dei carolingi, che intendevano correggere la “anarchia”
liturgica dei riti gallicani, introducendo il modello romano. A questo scopo dapprima Pipino e
poi anche Carlo Magno si fecero inviare dal Papa dei libri liturgici, che servissero come
modello da introdurre nelle diocesi dell’impero.
2. Nell’area franco-germanica la Missa romana viene rivestita di elementi caratteristici della
sensibilità e spiritualità locale, e tale modello, sviluppatosi soprattutto nei monasteri (primo tra
tutti, quello di S. Gallo) ha ampia diffusione.
3. Alla fine del X secolo tornano in Italia vari testi liturgici provenienti dall’area franco germanica
e influenzano la liturgia romana. L’importazione è favorita anche dal periodo di decadenza
politica, religiosa e culturale di Roma.
Le caratteristiche della messa franco-germanica e la mentalità che la accompagna
Il nuovo contesto culturale e religiose conduce a SIGNIFICATIVE TRASFORMAZIONI RITUALI, con alcuni
aspetti di INDUBBIO ARRICCHIMENTO E SVILUPPO, ma anche con alcuni ELEMENTI PROBLEMATICI (poiché
qualcosa di secondario tende a diventare più importante di quello che dovrebbe).
1. Si diffonde il fenomeno delle messe votive, fatte celebrare in occasione di particolari situazioni:
carestie, siccità, alluvioni, campagne militari, morti di persone care, ingresso nello stato
penitenziale e simili. In questo modo l’attenzione si sposta gradualmente dal mistero
eucaristico in sé ALLA CIRCOSTANZA per cui esso è celebrato (c’è il rischio di passaggio da una
Eucaristia come Grazia ad una Eucaristia come “strumento” per avere determinate grazie). Per
un verso questo attesta una fede autentica nell’efficacia del sacramento, che può raggiungere
l’uomo in tutte le circostanze della sua esistenza, ma per l’altro rischia di ridurre l’eucaristia a
una pratica devozionale, motivata dalle necessità immediate e compresa sostanzialmente
come forma infallibile di intercessione per sé e per i propri cari.
2. In connessione con la prassi delle Messe votive si diffonde anche la pratica della missa privata,
che avrà particolare sviluppo nell’ambito delle comunità monastiche. Essa da un lato favorisce

93
lo sviluppo della celebrazione quotidiana della messa, intesa sempre più come il principale atto
di pietà dei sacerdoti, che in questo modo assolvono anche alle numerose richieste dei fedeli di
messe di suffragio o di messe penitenziali; il problema diviene la perdita di dimensione
ecclesiale. Talora si arriva ai DEPRECABILI ABUSI della Missa sicca, Missa bi-, tri-faciata.
3. In questo modo la concelebrazione tende a sparire, i diversi ruoli liturgici tendono a essere
assunti tutti dal prete, la partecipazione del popolo si riduce. La Messa viene così gradualmente
“clericalizzata”. Anche nel caso della celebrazione con il popolo, gli usi che sono prevalsi nella
messa privata diventano normali.
4. Ne è una spia la comparsa del Messale plenario ad usum sacerdotis, che raccoglie in un unico
volume ciò che prima era contenuto in libri liturgici diversi (lezionario, antifonario, ordo…),
distribuiti tra i diversi attori della celebrazione. Ne dà forte conferma anche l’evoluzione degli
SPAZI LITURGICI, che tendono a separare in modo più netto il presbiterio dall’aula e ad accrescere
la distanza dei fedeli dall’altare (sarà il CVII a recuperare finalmente la celebrazione con il
popolo!).
5. Nel contesto della LITURGIA MONASTICA, il rito eucaristico vede una proliferazione di formule, per
lo più orientate a esprimere la devozione personale del sacerdote, il senso della sua indegnità di
fronte al mistero. Sono le cosiddette APOLOGIE SACERDOTALI, che il prete recita sottovoce. Si
allunga l’ordo Missae con salmodie preparatorie, conclusive e a volte accompagnatorie. Si
introduce poi la prassi di recitare il Canone sottovoce, anche perché esso non è compreso da
popolazioni che non conoscono il latino.16
6. In compenso si accrescono le azioni visibili, sia per colmare il silenzio sia per un bisogno di
animazione scenografica: segni di croce, incensazioni, inchini, baci, patena nascosta sotto il
corporale, elevazioni, genuflessioni, modo di tenere le dita…
7. Purtroppo decade la pratica della comunione sacramentale, sostituita per lo più da COMUNIONE
SPIRITUALE O VISIVA (girare per le chiese per “vedere” le elevazioni posto-consacratorie); si tratta
di un fenomeno molto complesso da interpretare: all’origine confluirono probabilmente
elementi della prassi penitenziale, il rigore delle norme relative al digiuno, l’influsso di alcune
prescrizioni di purità rituale connesse alla sfera della sessualità e alla pratica di alcuni mestieri,
ma forse soprattutto un modo di intendere il sacramento eucaristico come mysterium
tremendum, che suscitava un senso di indegnità e astensione.
8. Si sviluppa positivamente il culto eucaristico, con manifestazioni esteriori di riconoscimento
della presenza reale del Signore, anche in connessioni con le dispute teologiche che
attraversano il Medioevo. Esso troverà la sua espressione più tipica nella ADORAZIONE
DELL’EUCARISTIA (in questo tempo avviene il miracolo eucaristico di Bolsena).
9. In quest’epoca si compie in modo pressoché definitivo il passaggio DALL’APPROCCIO TIPOLOGICO-
SIMBOLICO, tipico della concezione patristica, ad una comprensione allegorizzante della Messa.

3.1.3. La Messa dell’Ordo della curia romana al tempo di Onorio III (sec. XIII-XV)
Il punto di arrivo dell’evoluzione della liturgia eucaristica nel Medioevo può essere individuato
nell’Ordo della curia romana al tempo di papa Onorio III.
Esso mostra come la cappella papale abbia RECEPITO L’INFLUSSO FRANCO-GERMANICO: di fatto presenta
l’uso privato del papa nella sua cappella; i partecipanti sono il sacerdote, il diacono e il
suddiacono; si accenna talora ai circumstantes, ma possono essere i soli ministri; non viene

16
si tenga conto che fino al Concilio di Trento non c’è un’unica formula con cui celebrare
l’Eucaristia
94
esclusa la presenza dell’assemblea, ma di fatto è secondaria (non si menziona neppure come
eventualità né l’omelia, né l’offerta da parte dei fedeli e neanche la loro comunione).
Questo testo è molto importante, perché servì da base per i liturgisti che dopo Trento cercarono
di reprimere gli abusi e ripristinare la liturgia romana autentica; fu dunque il punto di partenza
del Messale di Pio V. I liturgisti dell’epoca non avevano gli strumenti storici che permettessero di
riconoscere quali elementi affondavano le radici nell’antica tradizione romana e quali erano
invece introduzioni più recenti di area franco-germanica. L’Ordo di papa Onorio viene assunto
dagli ordini mendicanti e quindi rapidamente diffuso in tutto il mondo occidentale.
3.2. La comprensione teologica nell’alto Medioevo
3.2.1. Fattori caratterizzanti il periodo
1. da mentalità patristica a MENTALITÀ GERMANICA a motivo della perdita del simbolismo
 Si passa da TEOLOGIA MISTAGOGICA (orizzonte del simbolo partecipativo) a TEOLOGIA SPECULATIVA:
- da mentalità patristica del segno che rivela (Agostino), simbolo ontologico, dove si vede la
comunità che celebra,
- a mentalità germanica del segno che nasconde (Isidoro di Siviglia), sacrum secretum, dove la
celebrazione privata del sacerdote vede solo l’ostia.
La transizione dal momento patristico a quello medievale è spiegata come un cambio di mentalità:
- dal SIMBOLO REALE dei Padri greci
- al REALISMO COSIFICANTE dei popoli germanici, la cui mentalità si sarebbe progressivamente
imposta come elemento caratterizzante della cultura europea.
Nella forma mentis germanica le cose sensibili sono intese nella loro materialità empirica e non si
presentano più come “vie” attraverso cui partecipare a una realtà spirituale più elevata; il mondo
materiale, insomma, non è più colto nel suo simbolismo che apre all’invisibile. Per questo la
teologia patristica del simbolo reale, che partecipa della realtà spirituale che esso simbolizza in
nome della similitudo, entra in crisi.
2. da lettura simbolica a LETTURA ALLEGORICA
 Poiché il rito si distanzia dal simbolo, si sviluppa una LETTURA ALLEGORICA del rito della Messa,
perché esso non è più inteso come evento comunitario in cui il Mistero si ripresenta, ma
piuttosto come un insieme di gesti in cui esso viene rappresentato, a modo di DRAMMATIZZAZIONE
(dove singoli gesti vengono caricati di un significato rituale estrinseco).
Ne è un’espressione tipica l’opera di Amalario di Metz (770 ca. – 850 ca.), vescovo di Treviri e poi
di Lione, uomo di fiducia di Carlo Magno. Nelle sue Expositiones Missae e nel Liber officialis egli
sviluppa un commento della Messa in cui i singoli gesti sono interpretati come una grande
rappresentazione della storia di Gesù e in particolare della Passione. Così ad esempio:
- la processione di ingresso è intesa come allegoria dell’incarnazione;
- l’ite missa est è allegoria dell’ascensione;
- l’orazione secreta è Gesù che si reca in segreto a Gerusalemme;
- il Prefazio sono gli inni cantati da Cristo con gli apostoli prima della passione;
- l’elevazione e riposizione dell’ostia e del calice sono allegoria del gesto di Nicodemo e Giuseppe
di Arimatea che depongono Cristo dalla croce.
Il commento di Amalario diede origine a una controversia con Floro, che ha un significato teorico
piuttosto secondario, ma soprattutto influenzò i diversi commenti al rito della messa fioriti nel
Medioevo. Mancando ormai l’infrastruttura concettuale capace di sostenerla, la tipologia
liturgica degenera nella mera allegoria.

95
3. sviluppo ontologico-speculativo sul tema della PRESENZA REALE
 si passa da una CONCEZIONE DINAMICA (in cui il segno è la celebrazione) ad una CONCEZIONE STATICA
(dove il segno è l’ostia). C’è il vantaggio di un grande approfondimento ontologico della Messa (il
valore dell’ostia viene approfondito) ma all’interno di una prospettiva riduttiva rispetto alla
complessità della celebrazione.
Infatti, la crisi del pensiero simbolico conduce al sorgere delle controversie sulla modalità in cui si
realizza la presenza di Cristo nei segni sacramentali del pane e del vino. Tali controversie
attestano l’esigenza di pensare in un nuovo contesto culturale il rapporto che sussiste tra il segno
sacramentale e la realtà cristologica. In questo contesto, però, il segno non è più inteso nella sua
ricchezza DINAMICA, comprensiva di tutta la celebrazione, bensì in modo più STATICO, ossia per
riferimento agli alimenti eucaristici (pane e vino).
 Bisogna riconoscere che questo cambiamento dalla teologia simbolica patristica alla nuova
visione alto-medievale non può essere spiegata solo con l’influsso del pensiero germanico. Gli
studi più recenti mostrano che l’infrastruttura platonizzante del pensiero simbolico aveva già
iniziato a mostrare segni di cedimento a partire dal V secolo.
3.2.2. La controversia tra Pascasio Radberto e Ratramno (IX sec.)
Premessa: un cambiamento culturale
 IX secolo, in CONTESTO MONASTICO, a Corbie (nord della Francia, non lontano da Aquisgrana,
centro dell’impero carolingio): per comprendere la controversia tra l’abate PASCASIO RADBERTO e
il suo suddito RATRAMNO, relativa al linguaggio più corretto per esprimere il mistero eucaristico,
bisogna richiamare l’evoluzione culturale propria dell’Alto Medioevo.
In questa disputa, come già in quella tra Amalario e Floro, sono presenti due TENDENZE di pensiero,
che, con un po’ di semplificazione, possono essere chiamate:
1. “INNOVATRICE” (mentalità germanica), espressa dall’abate Pascasio;
2. “CONSERVATRICE” (mentalità agostiniana, platonizzante) espressa dal monaco Ratramno.
La VECCHIA CULTURA AGOSTINIANA (2) tendeva a vedere nell’Eucaristia il segno (l’immagine e la
memoria) dell’azione salvifica di Cristo. In questa prospettiva la figura sensibile è il simbolo
partecipativo che rimanda ontologicamente alla verità, in quanto la rappresenta e la svela.
La NUOVA CULTURA GERMANICA (1), al contrario, tende a vedere nell’Eucaristia il mistero, nel senso del
“nascondimento” del corpo di Cristo. Appoggiandosi sulla rilettura della definizione di
sacramento data da Isidoro di Siviglia (il sacramento è un segno sacro che nasconde un mistero),
la corrente innovatrice vede la verità del sacramento come separata, nascosta e celata
dall’apparenza sensibile. La figura sensibile nasconde gnoseologicamente la verità del
sacramento.
La VECCHIA PROSPETTIVA GRECO-CRISTIANA (2) vedeva l’Eucaristia sulla linea del tempo, come se
l’eucaristia avesse catturato in sé l’evento storico dell’azione salvifica, e catturata precisamente
nella sua efficacia salvifica che genera la Chiesa. Poiché al centro c’era la celebrazione,
l’attenzione era costitutivamente riferita all’evento passato e alla sua efficacia attuale.
La NUOVA MENTALITÀ (1) vede l’Eucaristia a partire dal pane e dal vino, che sono come il velo sotto
cui è nascosto il corpo del Signore: considerazione tendenzialmente autosufficiente
dell’Eucaristia, che tende a perdere il riferimento da un lato alla vicenda storica di Cristo e
dall’altro all’efficacia dell’azione salvifica, cioè alla Chiesa.
IN SINTESI:
96
- dal segno che rivela (cfr. Agostino) al mistero che nasconde (cfr. rilettura germanica di Isidoro);
- dalla prospettiva dinamica (considerazione della celebrazione che dice relatività all’evento e
alla sua efficacia) alla prospettiva statica (considerazione del pane e del vino, che dice
tendenzialmente autoreferenzialità).
Bisogna riconoscere che l’evoluzione andava nel senso di un impoverimento. Si passava da una
visione più globale ad una, non falsa, ma più parziale. Ciò va collegato con l’evoluzione della
prassi celebrativa: perdita del senso della celebrazione (dal simbolo all’allegoresi), l’Eucaristia in
vista di avere l’ostia da guardare e da adorare...
All’interno della nuova problematica (la considerazione in sé della presenza del corpo di Cristo
nell’Eucaristia), si apre la CONTROVERSIA TRA:
- Pascasio che sostiene che il corpo di Cristo è presente in veritate,
- e Ratramno, secondo cui esso è presente in figura.
 ma per entrambi è indubbio che si tratti veramente del corpo del Signore, presente in mysterio.
La posizione di Pascasio
Pascasio Radberto († 850), abate di Corbie, scrive il Liber de corpore et sanguine Domini: opera di
edificazione, ad uso dei suoi monaci.
In questo testo, allontanandosi dalla tradizione agostiniana (l’Eucaristia segno della Chiesa),
propone l’identità tra corpo sacramentale e corpo storico, come se le specie eucaristiche
(termine successivo) fossero una specie di velo che nasconde il corpo di Cristo. I sensi
percepiscono il pane, ma sotto la figura sensibile, c’è la veritas del corpo di Cristo.
 Il corpo di Cristo è presente dunque non in figura, ma IN VERITATE.
…nella Messa c’è vera immolazione, vera messa a morte della vittima, di cui soffre la passione.
La posizione di Ratramno
Contro Pascasio si muovono gli esponenti di tradizione agostiniana: Scoto Eriugena, Rabano
Mauro, Godescalco e…Ratramno († 868), monaco di Corbie, poi anche lui abate, scrive su
domanda di Carlo il Calvo un vero trattato teologico dal titolo De corpore et sanguine Domini.
Ratramno esprime il mistero eucaristico utilizzando i termini in senso diverso da Pascasio, perché,
per la tradizione agostiniana:
- una realtà è presente IN VERITATE quando si manifesta ai sensi sotto le sue apparenze naturali
(per esempio, il corpo di Cristo nato da Maria, che camminava per le vie della Palestina);
- una realtà è presente IN FIGURA quando si manifesta sotto apparenze non sue, come è appunto il
caso della presenza sacramentale del corpo di Cristo.
 Il corpo di Cristo è asceso al cielo, dunque non può essere presente in veritate, ma solo IN
FIGURA. Esso è presente vere, ma non in veritate.
…dire che è presente in figura significa anche dire che è necessaria la fede per riconoscerlo.
L’interpretazione della controversia
La controversia si presenta di difficile interpretazione, perché:
1. le polemiche non ebbero una conclusione e non ci furono pronunciamenti;
2. nel corso della controversia si eluse la vera questione, e l’attenzione finì con il divenire un
problema di fedeltà o meno ad Agostino, maestro incontrastato del Medioevo;
3. anche oggi gli autori sono divisi:
- chi legge la questione nella prospettiva successiva della transustanziazione vede in Ratramno
un simbolista che estenua il realismo eucaristico, anticipando Berengario;

97
- chi nella prospettiva del simbolismo antico vede in Pascasio un cafarnaitismo grossolano.
 Nessuno dei due protagonisti nega la presenza reale del corpo di Cristo, saldamente affermata
dalla tradizione, anche se la spiega in maniera diversa. Ecco che all’interno di una nuova cultura
che ha perso l’UNITÀ TRA FIGURA e VERITAS, la teologia si trova così di fronte al compito di
esprimere in maniera corretta il mistero eucaristico.
Si troverà soluzione con l’introduzione della nozione tecnica di “sostanza” e si potrà parlare di
TRASFORMAZIONE SOSTANZIALE (transustanziazione), affermando così sia l’identità tra Eucaristia e
corpo di Cristo, sia il diverso modo di presenza di Cristo nell’Eucaristia.
3.2.3. La controversia di Berengario (XI sec.)
Il contesto
Sul piano politico: crollo dell’impero carolingio.
Sul piano culturale: introduzione della dialettica: nate le grandi scuole di teologica nelle cattedrali.
Il suo pensiero
Berengario († 1088), allievo della scuola di Chartres, arcidiacono e maestro della scuola di Tours,
nel De cena Domini vuole spiegare il pensiero dei Padri servendosi della dialettica, cominciando
ad utilizzare alcune terminologie “aristoteliche”: è il primo a utilizzare i termini di materia, forma,
subiectum (= SOSTANZA) e id quod in subiecto est (= ACCIDENTE), anche se non ancora con il
significato aristotelico che avranno in seguito.
1. Berengario si differenzia dalla tradizione aristotelica, che non è stata ancora recepita, per una
NOZIONE “SENSISTICA” DI SOSTANZA, intesa come la “somma delle qualità sensibili” di un ente: ciò
rende impensabile una distinzione reale tra sostanza e accidenti, dunque una
transustanziazione.
2. Applicando al tema eucaristico, parte da una considerazione empirica: dopo la consacrazione
pane e vino RIMANGONO; rimangono le loro qualità sensibile, dunque rimane la loro sostanza.
Tanto più che una qualità sensibile non può che inerire a una “sostanza”, anzi alla “sua”
sostanza.
3. Il pane e il vino, dunque, divengono corpo e sangue del Signore non perdendo ciò che erano,
ma ASSUMENDO ciò che non erano (non amittens quod erat, sed assumens quod non erat).
4. Non assumono la sostanza del corpo di Cristo ma la VIRTUS divina comunicata dalla benedizione,
grazie a cui rappresentano veramente per la fede del credente il corpo e il sangue di Cristo.
5. Il corpo e sangue del Signore, così, sono presenti non per la loro sostanza, ma per la loro
efficacia: non substantialiter, ma VIRTUTE. Così è negata l’identità tra corpo storico e corpo
sacramentale, sulla linea della tradizione agostiniana.
Con la sua posizione Berengario pensa di aver risolto i problemi eucaristici del suo tempo:
- fedeltà all’ortodossia cattolica, perché afferma che il pane e il vino “assumono” il corpo e il
sangue del Signore;
- problemi pratici suscitati dalla fede eucaristica (la sorte dell’Eucaristia nei vari trattamenti a cui
viene sottoposta), perché distingue tra manducatio materialis e manducatio spiritualis;
- fedeltà alla tradizione agostiniana (simbolismo e valore spirituale dell’Eucaristia);
- corrispondenza alle nuove esigenze della dialettica.
 IN SINTESI, il pensiero di Berengario è riassumibile con:

98
1. NOZIONE SENSISTICA DI SOSTANZA (sostanza è somma di accidenti, cioè somma delle qualità
sensibili);
2. nella CONSACRAZIONE gli accidenti di pane e vino NON CAMBIANO, dunque non cambia la sostanza;
3. pane e vino divengono Corpo e Sangue non perdendo qualcosa ma ASSUMENDO qualcosa;
4. pane e vino assumono una VIRTUS, cioè una potenza operativa attraverso cui Cristo agisce;
5. dunque Cristo è PRESENTE “VIRTUTE”, ovvero con una potenza salvifica!
La reazione al suo pensiero
Il suo pensiero FU GIUDICATO PERICOLOSO (segno che la tradizione agostiniana si era indebolita) e
suscitò DUPLICE REAZIONE: immediata (radicale e incontrollata) e successiva (più ponderata e
costruttiva).
 REAZIONE IMMEDIATA: Sinodo del 1059.
Impone a Berengario la professione di fede redatta dal card. Umberto di Silva Candida: vuole
salvaguardare la realtà dell’Eucaristia, ma la formulazione è piuttosto maldestra, perché sembra
affermare l’IDENTITÀ tra le specie eucaristiche e il corpo storico del Signore (e sembra dunque
affermare – di fondo – la stessa nozione sensistica accusata a Berengario).
“Io, Berengario, ... conoscendo la vera e apostolica fede, scomunico ogni eresia,
particolarmente quella di cui fino a questo momento sono stato incolpato: questa
osa sostenere che il pane e il vino che vengono posti sull’altare sono, dopo la
consacrazione, soltanto sacramento e non il vero corpo e sangue di nostro Signore
Gesù Cristo, e che questo non può in modo sensibile, se non nel solo sacramento,
essere toccato o spezzato dalle mani dei sacerdoti o masticato dai denti dei fedeli.
Concordo poi con la santa chiesa di Roma e con la sede apostolica, e con la bocca e
col cuore confesso che in ordine al sacramento della mensa dei Signore, io osservo
quella stessa fede che il signore e venerabile papa Niccolò e questo santo sinodo,
per autorità evangelica e apostolica, consegnò da osservare e a me confermò: e
cioè che il pane e il vino che sono posti sull’altare sono, dopo la consacrazione,
non il solo sacramento ma anche il vero corpo e sangue dei Signore nostro Gesù
Cristo che, in modo sensibile, non solo in sacramento, ma IN VERITÀ, È TOCCATO E
SPEZZATO DALLE MANI DEI SACERDOTI ED È MASTICATO DAI DENTI DEI FEDELI, giurando per la
santa e consustanziale Trinità e per questi sacrosanti vangeli di Cristo. Coloro poi
che vanno contro questa fede, io proclamo che sono degni di eterna scomunica,
unitamente alle loro dottrine e ai loro seguaci” (DS 690).

 REAZIONE SUCCESSIVA: Sinodo romano del 1079.


Offre una formulazione più precisa, che non giunge a coinvolgere le species. Dietro questa nuova
formulazione c’è il lavoro teologico di Lanfranco di Canterbury e Guitmondo di Aversa, sulla linea
aperta da Berengario di distinzione tra sostanza e accidenti, che interpretata come distinzione
reale conduce al risultato opposto di quello raggiunto da Berengario.
“Io, Berengario, credo con il cuore e confesso con la bocca che il pane e il vino che
sono posti sull’altare, in virtù del mistero della santa preghiera e delle parole del
nostro Redentore sono trasformati sostanzialmente nella vera e propria e
vivificante carne e sangue del nostro Signore Gesù Cristo e che dopo la
consacrazione sono il vero corpo di Cristo, che nacque dalla Vergine e che per la
salvezza del mondo fu appeso alla croce, e che siede alla destra del Padre, e il vero

99
sangue di Cristo che fu effuso dal suo fianco, non soltanto mediante il segno e la
forza del sacramento, ma NELLA PROPRIETÀ DELLA NATURA E NELLA VERITÀ DELLA
SOSTANZA. Come in questo breve è contenuto e io ho letto e voi comprendete, così
io credo, e contro questa fede non insegnerò mai più. Così mi aiuti Dio e questi
santi vangeli di Dio” (DS 700).

In seguito alla controversia


In seguito alla controversia berengariana, la teologia acquisisce due punti importanti:
1. nell’Eucaristia BISOGNA DISTINGUERE le qualità esteriori del pane e del vino (sacramentum) e la
realtà invisibile (res), che è la realtà del corpo e sangue del Signore;
2. la dottrina della TRANSUSTANZIAZIONE (il termine apparirà più tardi – sec. XII). In Guitmondo c’è
substantialiter transmutari per esprimere che c’è una trasformazione della sostanza del pane e
del vino (contro Berengario) e la permanenza delle qualità sensibili (con Berengario).
 Da queste due acquisizioni, che affermano la distinzione tra essenza del corpo del Signore e
suoi accidenti storici, deriva la possibilità di risolvere:
 il problema della presenza del corpo del Signore in più ostie consacrate;
 il problema della presenza totale del Cristo nelle varie parti degli accidenti eucaristici.
 La soluzione viene trovata pensando la presenza dell’essenza del corpo di Cristo sul tipo della
PRESENZA DELL’ANIMA NEL CORPO.

Allo stesso modo si sarebbe potuto risolvere il problema della sorte del corpo di Cristo, quando
l’Eucaristia viene sottoposta ai più svariati trattamenti. Ma la risposta è bloccata dal realismo
esasperato della prima professione di fede imposta a Berengario (DS 690). Perciò si risponde con
IPOTESI FANTASTICHE: ad es. si nega la possibilità che le specie consacrate si corrompano e si pensa
che quando ciò appare, si tratti di una sorta di illusione soprannaturale.
IN SINTESI, per la relazione tra Eucaristia e Corpo-Sangue di Cristo le posizioni sono differenti:
1. Pascasio Radberto: in veritate (l’ostia nasconde il corpo di Gesù)
2. Ratramno: in figura (simbolo partecipativo)
3. Berengario: virtute (potenza salvifica)

100
3.3. La comprensione teologica della grande scolastica
3.3.1. Schema concetti filosofici necessari per comprendere la
transustanziazione
Mutazioni
In natura avvengono tre tipi di cambiamenti o mutazioni:
 estrinseche: cambia qualcosa fuori dell’ente (cambiamento di luogo);
 intrinseche: cambia qualcosa nell’ente; queste possono essere:
oaccidentali (superficiali-leggere): cambiano una o più proprietà dell’ente (colore, dimensioni);
osostanziali (radicali-profonde): cambia l’ente stesso (libro bruciato, cibo digerito).
Per spiegare queste mutazioni, la riflessione filosofica di ispirazione aristotelica ha introdotto delle
COPPIE DI PRINCIPI METAFISICI, che si rapportano tra di loro secondo il rapporto che c’è tra
- potenza, che indica la possibilità
- atto, ovvero l’attuazione di tale possibilità.
 il cambiamento avviene nel passaggio dalla potenza all’atto, ma non tutti i cambiamenti sono
possibili, poiché non tutto è in potenza!
 non si tratta di realtà a se stanti, oggetto di esperienza sensibile (entia quae), ma di co-
principi metafisici (entia quibus) con cui si spiega ciò che è oggetto di esperienza (non si
incontrano direttamente le qualità); sono PRINCIPI REALI MA NON FISICI, e non possono essere
immaginati, ma soltanto colti dall’intelletto (esistono solo come qualità di qualcosa).
Sostanza e accidenti
 SOSTANZA è ciò che è in sé (“essentia cui competit per se esse”, Tommaso): ha una ricchezza
ontologica che la fa sussistere per sé;
 ACCIDENTE è ciò che non è in sé, ma in alio (“natura accidentis est inesse, sive inhaerere ipsi rei”,
Tommaso): non ha un essere proprio e autonomo, ma esiste solo come attributo di una sostanza.
[…es.: il libro è una SOSTANZA; il colore rosso, il peso, ... sono ACCIDENTI, esistenti solo come sue
qualità]
 Con questa coppia si spiegano le mutazioni accidentali:
- la sostanza rappresenta il PRINCIPIO DI CONTINUITÀ,
- gli accidenti sono il PRINCIPIO DI NOVITÀ.
Cambiando gli accidenti, lo stesso soggetto acquista una perfezione nuova, viene determinato in
un modo nuovo, ma rimane lo stesso ente: le nuove perfezioni ineriscono sempre alla stessa
sostanza.
Materia e forma
 “MATERIA” (più precisamente, “MATERIA PRIMA”) è il principio basilare per cui un corpo si distingue
da un altro ed è capace di ricevere ulteriori determinazioni ( PRINCIPIO POTENZIALE).
 “FORMA” (più precisamente, “FORMA SOSTANZIALE”) è il principio che caratterizza un ente corporeo
tra gli altri, il principio che lo determina come quell’ente (PRINCIPIO ATTUANTE).
 Con questa coppia si spiegano le mutazioni sostanziali, ovvero i cambiamenti in cui in cui c’è
una mutazione di sostanza (un agente esterno tira fuori – attua – dalla sostanza una sua
potenzialità).
[…es: il libro bruciato e non è più libro ma fumo, cenere, …; il cibo digerito diventa corpo, sangue,
…]
101
In queste mutazioni NON C’È L’ANNICHILAZIONE di un ente e la creazione di un altro, ma c’è una
CONTINUITÀ tra l’ente precedente e quello successivo. All’interno del processo, dunque:
- la “materia” (metafisica), che è il principio potenziale, è il PRINCIPIO DI CONTINUITÀ;
- la “nuova forma” (metafisica), che attua il principio potenziale, è il PRINCIPIO DI NOVITÀ.
MUTAZIONE PRINCIPIO DI CONTINUITÀ PRINCIPIO DI NOVITÀ
(potenzialità) (attualità)
accidentale sostanza accidenti [ cambia]
sostanziale materia forma [ cambia]
Proprio perché vi è questo principio di continuità, NON È POSSIBILE QUALSIASI TRASFORMAZIONE: ad es. un
libro può diventare cenere e fumo, ma non può diventare oro o argento, perché dal principio
metafisico “materia prima” del libro non può essere tratta la “forma sostanziale” oro o argento.
 per tale principio NON È POSSIBILE CHE IL PANE DIVENTI CORPO DI CRISTO PER UNA TRASFORMAZIONE
NATURALE, ovvero conservando la materia prima del pane. Non fa parte delle potenzialità
naturali del pane (materia prima) il diventare corpo di Cristo.
 Nell’Eucaristia avviene allora un QUARTO TIPO DI CAMBIAMENTO, particolarissimo e così vertiginoso
che riguarda l’essere stesso della realtà (non solo accidenti o materia): cambia tutto l’ente, sia
materia che forma! Avviene qualcosa che non è nelle potenzialità dell’ente, ma che trasforma
l’ente in altro ente, mentre – paradossalmente – le APPARENZE ESTRINSECHE NON CAMBIANO (l’essere
viene toccato da Dio dal di dentro, mentre il suo apparire esterno non cambia).
Se le mutazioni sostanziali sono “ TRAS-FORMAZIONI” perché si passa da una forma all’altra (gli
accidenti cambiano, mentre la sostanza fa da principio di continuità); nell’Eucaristia, invece,
bisogna parlare di “TRAN-SUSTANZIAZIONE” perché cambia la sostanza, mentre sono gli accidenti
che fanno da principio di continuità! Non è qualcosa che si può trarre dalle proprietà potenziali
dell’ente.
Riassumendo
 MUTAZIONE ACCIDENTALE: SOSTANZA (materia prima + forma sostanziale) rimane, cambiano ACCIDENTI
 MUTAZIONE SOSTANZIALE: “rimane” MATERIA PRIMA, cambiano FORMA SOSTANZIALE e ACCIDENTI (da
materia prima – principio potenziale – è tratta la nuova forma sostanziale, cui ineriscono nuovi
accidenti)
 TRANSUSTANZIAZIONE: trasformazione di TUTTA LA SOSTANZA del pane (MATERIA e FORMA) in tutta la
sostanza del corpo del Signore; rimangono soltanto le APPARENZE: gli ACCIDENTI (specie), che
indicano il luogo in cui è presente ad modum substantiae il Corpo del Signore.
 è una mutazione assolutamente al di sopra delle possibilità naturali!
MUTAZIONE PRINCIPIO DI CONTINUITÀ PRINCIPIO DI NOVITÀ
(potenzialità) (attualità)
transustanziazion apparenze/accidenti (specie) sostanza [ cambia]
e

3.3.2. S. Tommaso
Lettura e commento di Summa Th., p.III, qq.73-83
San Tommaso ha un PENSIERO SPECULATIVO e procede per cause (materiale, formale, efficiente,
finale):
- L’eucaristia come sacramento (III,73) introduttiva
102
- La materia dell’eucaristia (III,74) pane e vino (sostanza + accidenti)
- La transustanziazione (III,75) materiale atto (cambiamento sostanziale)
- In qual modo Cristo è nell’eucaristia (III,76) sostanza (Corpo e Sangue di Cristo)
- Le specie sacramentali (III,77) accidenti (pane e vino)
- La forma dell’eucaristia (III,78) formale
- Effetti dell’eucaristia (III,79) efficiente
- La comunione (III,80) finale
- L’uso che Cristo fece dell’eucaristia (III,81)
- Il ministro dell’eucaristia (III,82) ministro (strumentale)
- Il rito dell’eucaristia (III,83) rito: la liturgia non è più punto di partenza
QUESTIONE 73: L’Eucaristia come sacramento17

1 - Come nella vita corporale oltre al nascere e al crescere occorre il quotidiano alimento, così
nella vita spirituale oltre al Battesimo e alla Cresima occorre un sacramento che sia alimento
spirituale: tale è l’Eucaristia.
Cfr. la visione generale della sacramentaria tomista che presenta l’Eucaristia a partire dal
nutrimento
2 - In questo sacramento due sono le specie, cioè il pane e il vino, l’uno per cibo, l’altro per
bevanda, ma poiché con l’uno e con l’altro si forma un unico e completo alimento, perciò
nell’Eucaristia sono due le specie sacramentali, ma uno solo è il sacramento, perché uno si
dice ciò che è completo nella sua unità e perfezione.
3 - Nell’Eucaristia la cosa significata è l’unione al corpo mistico di Cristo, fuori della quale non
c’è salvezza; ma come nel Battesimo l’effetto del sacramento si può conseguire anche col
desiderio del Battesimo, quando il Battesimo non è possibile, così nell’Eucaristia l’effetto del
sacramento si può conseguire anche col suo desiderio; con la differenza che nel caso dei
bambini ci può essere il desiderio dell’Eucaristia implicito nel Battesimo, mentre non ci può
essere il desiderio del Battesimo. Da questo punto di vista l’Eucaristia è bensì necessaria
quanto il Battesimo da parte della cosa significata, ma non è necessaria quanto il Battesimo da
parte del sacramento ossia del segno.
4 - L’Eucaristia, che in sé significa «buona grazia», in commemorazione del passato si chiama
sacrificio; in riguardo del presente si chiama comunione e in significazione del futuro si chiama
viatico; e questi diversi nomi le convengono tutti.
Si riprende il concetto di signum rememorativum, signum demonstrativum, signum
prognosticum; cfr. l’antifona al Magnificat nella solennità del Corpus Domini “O SACRUM
CONVIVIUM”.18

5 - Sapientemente l’istituzione dell’Eucaristia fu fatta NELL’ULTIMA CENA: 1. perché era il miglior


ricordo che Cristo potesse dare ai suoi Apostoli mentre era sul punto di lasciarli; 2. perché era

17
Tutta la Summa è visionabile su www.carimo.it
18
Quando avviene il miracolo eucaristico di Bolsena, il papa e san Tommaso si trovano a Orvieto: il
pontefice chiede all’aquinate di scrivere i testi per il Corpus Domini; tra questi, Tommaso scrive:
“O sacrum convivium! in quo Christus sumitur: recolitur memoria passionis eius: mens impletur
gratia: et futurae gloriae nobis pignus datur. Alleluia” (“O sacro banchetto! in cui si riceve Cristo,
si rinnova il ricordo della sua Passione, la mente è piena di grazia, e ci viene data una promessa di
gloria futura. Alleluia”).
103
la più parlante memoria della sua prossima Passione, fuori della quale non c’è salvezza;
3. perché fu la miglior maniera per rendere caro e venerabile questo sacramento, istituendolo
negli ultimi momenti passati con gli Apostoli.
6 - Molte furono nell’Antica Legge le figure dell’Eucaristia, a cominciare da Melchisedec; ma
la principale fu l’Agnello Pasquale, perché anche Gesù, innocentissimo come l’Agnello, fu
immolato come l’Agnello e il suo sangue fu la salvezza del suo popolo.
San Tommaso riprende tutte le tradizioni del pensiero teologico patristico, ma le organizza nel suo
schema speculativo.

104
QUESTIONE 74: La materia dell’Eucaristia TERMINUS A QUO
(punto di partenza)
1 - La materia dell’Eucaristia è il pane e il vino, perché pane e vino adoperò
Gesù Cristo nell’istituirla; e furono convenientemente scelti, perché in riguardo nostro il pane
e il vino formano l’ALIMENTO COMUNE degli uomini; nei riguardi della Passione di Cristo
rappresentano la SEPARAZIONE DEL SANGUE DAL CORPO avvenuta in lui alla morte; e nei riguardi
della Chiesa mostrano che in essa i diversi fedeli formano un’ UNITÀ come il pane è il risultato di
diversi grani di frumento e il vino si forma con molti acini di uva.
 TRE ARGOMENTI DI CONVENIENZA: 1. sono alimento comune; 2. rappresentano la separazione del
sangue dal corpo; 3. dicono l’unità della Chiesa (cfr. 1Cor 10, Didaché, Ignazio, Agostino).
2 - Benché sia determinata la materia dell’Eucaristia, non ne è però fissata la quantità; questa
deve essere regolata dalla partecipazione all’Eucaristia che ne faranno i fedeli, perché fine di
questo Sacramento è l’uso da parte dei fedeli.
3 - Il pane però, quale materia di questo sacramento, deve essere di frumento e non di altri
cereali; Cristo infatti: 1. consacrò in pane di frumento; 2. alludendo alla sua morte, di cui
l’Eucaristia è commemorazione, si paragonò a grano di frumento cadente in terra; 3. voleva
indicare con tale pane, che è il più nutritivo, l’effetto di questo sacramento.
4 - Quanto alla sostanza tanto vale il pane lievitato quanto il pane azimo; il rito latino tiene il
pane azimo, perché Cristo istituì l’Eucaristia nel primo giorno degli azimi; poi esso si confà
meglio a divenire il corpo di Cristo, dal quale fu lungi ogni corruzione; infine esso si confà
meglio anche ai fedeli, perché esprime la sincerità di cui devono essere adorni nel
parteciparne.
5 - Parimenti soltanto il vino di vite è materia propria di questo sacramento, perché è in vino
di vite che Cristo consacrò; esso poi bene esprime l’effetto di questo sacramento, che è la
spirituale letizia.
6 - Per grave precetto della Chiesa bisogna unire al vino da consacrare un po’ d’acqua, non
solo perché così fece Cristo nell’istituzione dell’Eucaristia, ma anche perché ciò è meglio
riferibile alla morte di Cristo nella quale uscirono dal suo cuore acqua e sangue, e anche
perché significa l’unione del popolo a Cristo nell’Eucaristia;
7 - questi però sono aspetti del sacramento riguardanti i fedeli, e che non costituiscono
l’essenza del sacramento: perciò l’acqua è necessaria alla liceità della consacrazione, ma non
è necessaria alla validità del sacramento.
8 - Se dunque la materia strettamente necessaria alla validità del sacramento è il vino, l’acqua
che vi si deve unire deve essere poca per non alterare la natura del vino.
QUESTIONE 75: La transustanziazione IL MUTAMENTO

1 - Che nell’Eucaristia ci sia il vero corpo e sangue di Cristo NON si può percepire
per mezzo dei SENSI e nemmeno per mezzo dell’INTELLETTO, ma lo si sa PER FEDE, in base
all’autorevolissima testimonianza di Dio. Che poi nell’Eucaristia Cristo ci sia veramente è cosa
sommamente opportuna, perché: 1. se i sacrifici della Legge Antica contenevano Cristo in
figura, il sacrificio perfetto della Legge Nuova doveva contenerlo in realtà; 2. se Cristo si è
incarnato per stare con gli uomini, ritornando al cielo non doveva privarli della sua presenza
corporale; 3. se fede è credere ciò che non si vede, la perfezione della fede cristiana esigeva
che le fosse occultata non solo la divinità, ma anche l’umanità di Cristo. Perciò dire che Cristo
nell’Eucaristia non c’è veramente, ma c’è per esempio solo in figura o in simbolo, è eresia.

105
 La verità di fede che la teologia deve pensare (cfr. Adoro te devote, sempre di Tommaso): la
fede va oltre la ragione, non contro! Tommaso se la prende con Berengario.
2 - Cristo non può farsi presente nell’Eucaristia lasciando il cielo, perciò la sua presenza non
può effettuarsi se non con la mutazione del pane e del vino in Cristo che è in cielo; che se poi
il pane e il vino si mutano in Cristo, dopo la consacrazione nell’Eucaristia non c’è più la
sostanza del pane e del vino, e questo oltre tutto è ciò che importano sia le parole della
consacrazione, sia il senso dei fedeli, sia il rito della Chiesa.
 NON PER MODO LOCALE ma per mutazione di pane e vino: il corpo di Cristo resta in cielo
(metastoria), non muta nell’Eucaristia; sono il pane e il vino che vengono mutati in corpo e
sangue di Cristo!
3 - Se dunque la conclusione è che la sostanza del pane e del vino alla consacrazione si muta
nella sostanza di Gesù Cristo, non si può parlare di annichilazione del pane e del vino o della
loro risoluzione nelle rispettive materie originarie, perché mutazione non è annichilazione e
nemmeno risoluzione nei componenti;
 NON PER ANNICHILAZIONE, ma per mutazione (senza “doppio” miracolo, di creazione dal nulla)
4 - tale mutazione o conversione della sostanza del pane e del vino in Gesù Cristo non è una
mutazione naturale operata da agenti naturali, perché questi possono soltanto indurre una
nuova forma nelle cose, ma non possono mutarne tutta l’entità; essa invece è una mutazione
soprannaturale, operata da Dio, la cui potenza è infinita e che perciò può mutare le cose
anche in tutta la loro entità: questo passaggio di sostanza è chiamato con nome proprio
transustanziazione.
 NON PER MUTAZIONE NATURALE (estrinseca, accidentale, trasformazione sostanziale), perché nelle
potenzialità della materia di pane e vino non c’è il divenire corpo e sangue di Cristo; avviene
una cosa naturalmente inimmaginabile: tutta la loro entità diventa Cristo!
Il termine “TRANSUSTANZIAZIONE” non è invenzione di Tommaso: compare con Robert Pullen
(1140), teologo medievale e, similmente, nella reazione a Berengario (1070).
5 - Però, come i sensi ci dicono, restano dopo la transustanziazione gli accidenti, ossia le
apparenze del pane e del vino; ciò anzi fu sapientemente disposto perché altrimenti: 1. noi
avremmo orrore di mangiare carne umana e di bere sangue umano; 2. gli infedeli ci
irriderebbero; 3. la nostra fede non avrebbe merito.
6 - Ma benché restino gli accidenti o apparenze sensibili del pane e del vino, non ne resta
però la forma sostanziale, perché la forma insieme con la materia costituisce la sostanza, e
tutta la sostanza del pane e del vino si converte nella sostanza di Gesù Cristo : che se avvenisse
la conversione soltanto della materia del pane e non della forma, questa diverrebbe una
forma separata, cioè un angelo, il che è inconcepibile.

7 - La transustanziazione è istantanea, sia perché il pane non è suscettibile di preparazione


alla propria trasmutazione, sia perché Cristo nella sua presenza reale non va gradatamente
crescendo, sia soprattutto perché vi opera l’infinita potenza di Dio.
8 - Dire: «DAL PANE SI FORMA IL CORPO DI GESÙ CRISTO» non è falso, nel senso però che la
particella “DAL” indichi il punto di partenza, come quando si dice che dal niente Dio creò il
mondo; e anche nel senso che il pane è la materia dell’Eucaristia, come quando si dice che
dall’aria umida si forma l’acqua, perché qualche cosa del pane resta, e precisamente non il
soggetto o la materia come nelle mutazioni naturali, ma gli accidenti; ma è falso nel senso che
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il pane abbia naturale ordine al corpo di Cristo e quindi non si può dire senz’altro che il pane
può diventare il corpo di Cristo o che col pane si forma il corpo di Cristo, perché queste frasi si
adoperano per le mutazioni naturali: perciò dovendole usare bisogna dichiararne il senso.
QUESTIONE 76: In qual modo Cristo è nell’Eucaristia RISULTATO DEL MUTAMENTO PER
QUANTO RIGUARDA CRISTO
Tommaso cerca di mostrare come il dato di fede della presenza di
Cristo sia pensabile con la TEORIA DELLA TRANSUSTANZIAZIONE (transustanziazione come spiegazione).
Tale teoria permette infatti:
1. di precisare una modalità particolare di presenza “ad modum substantiae et non
quantitatis”;
2. di distinguere ciò che è presente
- come risultato diretto della transustanziazione (sotto la specie del pane il Corpo, sotto la
specie del vino il Sangue)
- in quanto a rapporto con questo risultato diretto.
 il risultato diretto è la presenza della SOSTANZA del Corpo e del Sangue di Cristo; però la
fede ci dice che è presente tutto Cristo (corpo, sangue, anima e divinità); dunque le altre
determinazioni di Cristo sono presenti PER CONCOMITANZA.
1 - Tutto Cristo si trova nell’Eucaristia, perché per le parole della consacrazione vi si trovano il
suo corpo e il suo sangue e, per naturale concomitanza, anche l’anima e la divinità, che in
Cristo ora sono realmente unite al suo corpo e al suo sangue. Le dimensioni del pane
appartengono alla quantità e questa è un accidente, perciò queste non si convertono in
Cristo, ma restano del pane; invece tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza
di Cristo, perciò dove prima c’era sostanza del pane, sia in grande che in piccola quantità, si
trova tutta la sostanza di Gesù Cristo, ossia tutto Gesù Cristo.
2 - Parimenti Cristo si trova tutto sotto ciascuna specie consacrata, con questa distinzione
però, che per le parole della consacrazione sotto gli accidenti del pane si trova direttamente il
corpo di Gesù Cristo; e il sangue, l’anima e la divinità vi si trovano per concomitanza; e,
similmente, sotto le specie del vino direttamente si trova il sangue di Cristo e il resto vi è per
concomitanza. Che se si fosse consacrato durante la morte di Gesù Cristo, il corpo non
avrebbe avuto per naturale concomitanza il sangue, né il sangue avrebbe avuto il corpo,
perché realmente allora quella concomitanza non c’era.
3 - E se Cristo si trova tutto sotto ciascuna specie consacrata, per effetto della reale
concomitanza vi si trova anche con la sua quantità dimensiva, non però per modo di
dimensioni, ma per modo di sostanza (ad modum substantiae); e poiché tutto Cristo si trova
là dove prima c’era la sostanza del pane, anche in minima quantità, perciò Cristo si trova tutto
in tutte le parti dell’ostia anche prima che se ne facciano frammenti;
4 - e tutta la quantità dimensiva di Cristo si trova nell’Eucaristia; ciò però non direttamente,
cioè per le parole della consacrazione, che hanno per termine solo la sostanza di Cristo, ma
per concomitanza, perché la sostanza di Cristo non si divide dalla sua quantità dimensiva, e
nemmeno dagli altri accidenti.
5 - Cristo però non si trova nell’Eucaristia localmente, perché sarebbe «luogo» troppo
piccolo; prima della consacrazione il luogo lo occupava la sostanza del pane mediante le sue
dimensioni, dopo la consacrazione OCCUPA IL LUOGO LA SOSTANZA DI CRISTO sì, ma MEDIANTE
DIMENSIONI ALTRUI, cioè del pane; Cristo non vi è localmente, vale a dire non vi è circoscritto.
6 - Poiché Cristo nell’Eucaristia è come è in cielo, di per sé vi si trova immobilmente, perché
immobilmente si trova in cielo e quindi per sé vi è incorruttibilmente; solo può dirsi che
107
indirettamente si muove di moto locale al muoversi delle specie, e che cessa di essere
nell’Eucaristia al cessare delle specie.
7 - Il corpo di Cristo, come è nell’Eucaristia, nessun occhio lo può vedere, nemmeno un occhio
glorificato; infatti nell’Eucaristia le specie proprie di Cristo non vi si trovano direttamente, ma
vi si trovano PER MEZZO DELLA SOSTANZA DI CRISTO, perciò non potrebbero colpire i sensi altro che
per mezzo di tale sostanza, la quale dai sensi non è percepibile; tale sostanza è percepibile
dall’intelletto, è quindi non visibile, MA INTELLIGIBILE; siccome però Cristo nell’Eucaristia si trova
soprannaturalmente, in sé essa è intelligibile solo agli intelletti di Dio e dei beati; a noi è
intelligibile soltanto per fede, come pure per fede è intelligibile ai demoni, indotti
dall’evidenza dei segni.
8 - Le apparizioni miracolose, per le quali nell’Eucaristia appaiono gocce di sangue, carne viva,
il Bambino ecc., o avvengono SOLO NEI SENSI DI CHI VEDE, in quanto Dio li modifica (e questo
sembra doversi dire quando appaiono ad uno sì e ad altri no); ovvero possono essere
APPARIZIONI REALI NEL SACRAMENTO, come sembra doversi dire quando appaiono a tutti
egualmente e per lungo tempo; non è però da dirsi che quelle siano le sembianze proprie di
Cristo; e neppure si devono dire finzioni, ma miracoli: è la figura o il colore soltanto che si
muta; finché restano le precedenti dimensioni, che sono il fondamento degli altri accidenti,
rimane l’adorabile corpo di Cristo.

 Importante distinguere SOSTANZA e QUANTITÀ, la quale è un accidente: variando la quantità non


cambia la sostanza! La presenza di Cristo è una PRESENZA SOSTANZIALE. E dove c’è la sostanza ci
sono anche PER CONCOMITANZA tutti gli accidenti.
 Le specie di pane e vino svolgono la funzione di determinare IL LUOGO DI UNA PRESENZA NON LOCALE!
Ossia, il luogo della presenza della sostanza di Cristo (Corpo e Sangue) che però non distribuisce
parti nello spazio (che sarebbe la quantità, che è un accidente); dunque il Corpo e il Sangue di
Cristo non hanno un rapporto diretto con lo spazio circostante, ma attraverso gli accidenti del
pane e del vino (questi hanno rapporto diretto con lo spazio).
 OSSERVAZIONI SUL LINGUAGGIO EUCARISTICO. Per le ragioni portate da San Tommaso, la Chiesa ci
educa a usare un linguaggio eucaristico appropriato; non “esponiamo Gesù Cristo” ma
“esponiamo il Santissimo Sacramento”; non “portiamo in processione Gesù Cristo” ma “portiamo
in processione il Santissimo Sacramento”; non “andiamo a prendere nel tabernacolo Gesù Cristo”
ma “andiamo a prendere nel tabernacolo il Santissimo Sacramento”. Come ha detto San
Tommaso, il Corpo di Cristo non muta luogo di per sé, ma solo in quanto viene mutato il luogo
delle specie. Per lo stesso motivo, il Corpo di Cristo non subisce influssi da agenti fisici esterni (ad
esempio, nella profanazione dell’Eucaristia non si corrompe la sostanza, ma solo gli accidenti:
resta un delitto morale gravissimo ma il Corpo non ne soffre) e non ha sensazioni dal luogo
circostante.
QUESTIONE 77: Le specie sacramentali RISULTATO DEL MUTAMENTO PER
QUANTO RIGUARDA LE SPECIE
1 - Nell’Eucaristia gli accidenti del pane e del vino, ossia le
apparenze sensibili, non possono avere per soggetto la sostanza del pane e del vino, perché
essa nell’Eucaristia non c’è più; non possono avere per soggetto la sostanza di Cristo, perché
non possono essere apparenze di un corpo umano; non possono passare a un altro soggetto,
per es. l’aria, sia perché un accidente non può passare da un soggetto a un altro, sia perché
l’aria non è suscettiva delle apparenze del pane e del vino e conservando le apparenze proprie

108
non può assumere le apparenze altrui; per conseguenza RESTANO SENZA SOGGETTO, in quanto
Dio, Causa prima onnipotente, supplisce alla mancanza della sostanza del pane e del vino,
causa seconda della loro esistenza.
2 - E così la QUANTITÀ, che è il primo degli accidenti, diventa il soggetto degli altri, il che si deve
asserire: 1. perché tale appare ai sensi: il colore, per es., appare nelle dimensioni del pane e
del vino; 2. perché la prima disposizione della materia è sempre la quantità dimensiva; 3.
perché il soggetto deve essere principio di individuazione e la quantità è elemento costitutivo
del principio di individuazione. Che poi gli altri accidenti possano essere soggetto della
quantità è affatto inconcepibile.
3 - Le specie del pane e del vino, che restano nell’Eucaristia, continuano ad agire sui sensi e sui
corpi come prima della transustanziazione, perché se Iddio con la sua onnipotenza le conserva
nel loro essere di accidenti, naturalmente al loro essere consegue l’operare: tutti gli accidenti
conservano quindi come prima l’operare loro proprio;
4 - tali accidenti inoltre, come prima della consacrazione potevano corrompersi, così possono
corrompersi dopo la consacrazione, sia per se stessi, con l’alterazione per es. del colore, del
sapore, della quantità ecc.; sia accidentalmente, ossia per ragione del soggetto, cioè della
precedente sostanza del pane e del vino, con cui, e non già con Cristo, ha relazione il loro
essere di accidenti; per cui tutto quello che, agendo sul pane e sul vino, poteva farli
corrompere prima della consacrazione, lo può anche dopo la consacrazione: di conseguenza,
siccome nell’Eucaristia la sostanza di Cristo succede alla sostanza del pane e del vino, SE dalla
corruzione degli accidenti si rileva che alla sostanza del pane e del vino SAREBBE SUCCEDUTA
UN’ALTRA SOSTANZA DIVERSA, non può più esservi la sostanza di Cristo: è quindi cessata la
presenza reale.
5 - Le specie eucaristiche, come sono corruttibili, così sono anche tali che possono generare
per es. cenere, polvere ecc., come avrebbe potuto fare la sostanza del pane e del vino prima
della consacrazione; è poi certo che tali cose non provengono dal corpo di Cristo, perché
Cristo è INCORRUTTIBILE; in questo caso quindi non si avvera il fatto che la corruzione di una cosa
comporta la generazione di un’altra cosa e viceversa; per non moltiplicare senza necessità i
miracoli CONVIENE poi dire che tali cose provengono dalla capacità della quantità, soggetto
degli altri accidenti, di diventare anche il soggetto delle forme susseguenti, cosa che è propria
della materia, e questo non è un nuovo miracolo, ma una conseguenza del miracolo
precedente.
6 - Con ciò è spiegabilissimo che le specie sacramentali possano anche nutrire, perché come
possono convertirsi in cenere, così possono convertirsi in corpo umano.
7 - Che poi le specie sacramentali si frangano è reale e non comporta difficoltà, perché
soggetto della frattura delle specie è la quantità dimensiva, che nell’Eucaristia resta quella del
pane e del vino; non si frange però Cristo, perché come è incorruttibile così è anche INDIVISIBILE.
8 - Parimenti, come poteva essere mescolato qualche liquore al vino prima della
consacrazione, così può esserlo anche dopo. Diversi sono però gli effetti: se ciò che si mescola
è in tanta quantità che ne RISULTA UNA TERZA COSA in cui non sono conservate le specie del vino,
cessa anche la presenza reale; altrettanto si dica se si aggiunge vino eguale ma in tale quantità
che alla fine non risulti più numericamente lo stesso vino della consacrazione; se invece la
quantità che vi si mescola è così piccola che la mescolanza si limita a una parte, cessa la
presenza reale in quella parte, ma non nelle altre.
Ci troviamo davanti ad un PARADOSSO METAFISICO: accidenti che non ineriscono più alla sostanza del
pane (che non c’è più) ma nemmeno possono inerire alla sostanza del Corpo e Sangue di Cristo.
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Tommaso sostiene che dobbiamo constatare l’esistenza di ACCIDENTI CHE ESISTONO SENZA SOSTANZA
(SINE SUBIECTO): gli accidenti fanno da principio di continuità nella transustanziazione, poiché Dio
non agisce dall’esterno ma “dall’interno” dell’essere stesso della sostanza. La quantità (accidente
“forte”) del pane fa da supporto al colore, gusto, etc.; e la quantità del vino fa da supporto agli
altri accidenti…che rimangono a designare il luogo della presenza del Signore.
Cosicché la relazione tra sostanza e accidenti è una relazione di compresenza ma in maniera
estrinseca: gli accidenti svolgono il ruolo di “segno” per indicare la presenza.
Trento userà la parola “SPECIE” per dire gli accidenti: Cristo è presente sotto le “specie” del pane e
del vino. Quando non sono più riconoscibili dal senso comune come tali, NON C’È PIÙ PRESENZA
REALE.

QUESTIONE 78: La forma dell’Eucaristia

1 - Mentre gli altri sacramenti si compiono nell’ USO DELLA MATERIA, l’Eucaristia si compie nella
CONSACRAZIONE DELLA MATERIA, e mentre negli altri sacramenti la consacrazione della materia
consiste in una benedizione, nell’Eucaristia consiste in una miracolosa conversione, che Dio
solo può operare; negli altri sacramenti la forma deve essere relativa all’uso della materia, per
es. io ti battezzo, nell’Eucaristia invece deve essere relativa alla consacrazione della materia:
perciò sono forma dell’Eucaristia le parole: «questo è il mio corpo; questo è il mio sangue”; il
sacerdote poi le pronuncia IN PERSONA DI CRISTO e non già in persona del ministro, come invece
accade quando dice: io ti battezzo.
2 - Le parole della consacrazione del pane: «questo è il mio corpo» esprimono l’attuale effetto
della transustanziazione, perciò ne sono la forma conveniente; tanto più che, terminando
l’attuale effetto della transustanziazione al corpo di Cristo, ciò da cui comincia la
transustanziazione, cioè il pane, che poi resta solo negli accidenti, viene designato col solo
pronome: questo.
3 - Conveniente forma della consacrazione del vino sono invece le parole: “questo è il calice
del mio sangue” con le altre che seguono: “del Nuovo ed Eterno Testamento...”, le quali pure
appartengono alla forma della consacrazione del vino, perché sono determinazione del
predicato “il mio sangue”; e mentre le parole “questo è il calice del mio sangue” designano la
conversione del vino in sangue, le altre che seguono designano gli effetti del sangue versato
nella Passione.
4 - Essendo l’Eucaristia un sacramento della Legge Nuova, anzi, il sacramento più degno,
bisogna ammettere che le parole della forma, che il sacerdote pronuncia in persona di Cristo,
contengano una virtù creata, effettiva della transustanziazione, sempre però strumentale.
5 - Le PAROLE DELLA CONSACRAZIONE hanno virtù fattiva e non valore significativo; fanno la cosa e
non la presuppongono; operano istantaneamente e non successivamente; si prendono perciò
secondo l’ultimo istante del loro proferimento e significano: «quello che è contenuto sotto
queste specie e che prima era pane, è il corpo di Cristo»; il soggetto non vi è determinato con
un nome, ma vi resta indeterminato con un pronome, perciò le forme della consacrazione
sono locuzioni verissime.
6 - Le parole della consacrazione del pane conseguono subito il loro effetto, ed è falso dire che
aspettino ad avverarsi quando è pronunciata anche la forma della consacrazione del vino;
perché il verbo adoperato: questo «è» il mio corpo è di tempo presente e non di tempo
futuro, e perciò si avvera subito.

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In Battesimo, Cresima e Ordinazione la res et sacramentum (CARATTERE) si trova in colui che lo
riceve; nell’Eucaristia, invece, la res et sacramentum è nella MATERIA STESSA, nella sua
consacrazione!
QUESTIONE 79: Effetti dell’Eucaristia

1 - L’Eucaristia è per la vita spirituale del mondo; essa perciò conferisce la grazia, come è
ovvio per chi considera: 1. che l’Eucaristia contiene Cristo, il quale è autore della grazia; 2. che
è la rinnovazione della Passione di Cristo, la quale diede al mondo la grazia; 3. che è data a
modo di cibo e di bevanda per l’aumento della vita spirituale che consiste nella grazia; 4. che
ha per effetto l’unione nostra con Cristo e fra di noi, la quale è unione di carità e perciò di
grazia;
2 - per queste stesse ragioni poi l’Eucaristia, oltre alla grazia, ha per effetto anche il
conseguimento della gloria, perché ce ne apersero la porta Cristo e la sua Passione e ce ne
danno un saggio anticipato sia il cibo spirituale sia l’unione con Cristo.
3 - L’Eucaristia, che contiene Cristo, autore della grazia, in sé ha il potere di rimettere anche il
peccato mortale; ma in relazione a chi la riceve, se questi ha un peccato mortale e ne ha
coscienza, l’Eucaristia non lo cancella, ma lo aggrava: essendo infatti l’Eucaristia cibo
spirituale, non può cibarsi di essa se non chi è spiritualmente vivo; se però qualcuno ha un
peccato mortale e non ne ha coscienza, l’Eucaristia devotamente ricevuta lo cancella
infondendo la carità.
4 - I PECCATI VENIALI vengono rimessi dall’Eucaristia, prima perché essi sono debolezze
dell’anima causate dalla concupiscenza e l’Eucaristia è il cibo che ristora le forze dell’anima;
poi perché l’Eucaristia ha per effetto di eccitarci ad atti di carità, e questi rimettono i peccati
veniali.
5 - Quanto poi alla pena del peccato l’Eucaristia come sacramento ha direttamente per effetto
di nutrire l’anima e non di rimettere la pena dei peccati; indirettamente però ha anche questo
effetto, proporzionatamente al fervore di carità che eccita in noi; come sacrificio invece ha
valore soddisfattorio in favore dell’offerente proporzionalmente alla sua devozione.
6 - Il peccato è morte dell’anima; la morte può avvenire o per dissoluzione interna o per
violenza esterna; orbene, l’Eucaristia ci preserva da tali forme di morte dell’anima, perché
essa come cibo corrobora la vita spirituale e come segno della Passione di Cristo è arma
terribile contro i demoni: l’Eucaristia quindi preserva dai peccati.
7 - L’Eucaristia a chi la riceve giova sia come sacramento che come sacrificio; che se come
sacramento giova solo a chi la riceve, come sacrificio giova anche agli altri, perché Cristo è
morto per tutti.
8 - L’effetto del sacramento viene in parte impedito dai peccati veniali, non passati, ma
presenti, che ingombrano la mente, perché essi impediscono la percezione di tutta la dolcezza
che c’è nel cibo spirituale dell’Eucaristia.
QUESTIONE 80: La comunione

1 - Poiché talvolta il frutto dell’Eucaristia viene impedito e si riceve allora in modo imperfetto,
bisogna distinguere il modo imperfetto e il modo perfetto di ricevere l’Eucaristia: il primo si
dirà sacramentale, cioè del solo sacramento, il secondo spirituale, cioè anche dell’effetto
spirituale.
2 - Cristo nell’Eucaristia è sotto le specie del pane e del vino, mentre in cielo è sotto le
sembianze sue proprie: perciò l’Eucaristia è cibo esclusivo degli uomini, e non si può dire che
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gli angeli in cielo, sebbene si cibino spiritualmente di Cristo visto sotto le proprie sembianze, si
cibino anche spiritualmente dell’Eucaristia.
3 - Sacramentalmente, senza l’effetto spirituale, l’Eucaristia può riceverla anche il PECCATORE,
perché la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, finché durano le specie, c’è sempre e per
tutti.
4 - L’Eucaristia significa anche il Corpo mistico di Cristo, cioè l’unione dei fedeli, e ricevere
l’Eucaristia significa professarsi uniti a Cristo per fede resa perfetta dalla grazia: perciò chi
riceve l’Eucaristia in peccato mortale commette una falsità e fa un sacrilegio.
5 - I peccati contro la divinità di Cristo sono in sé più gravi dei peccati contro l’umanità di
Cristo; ma in chi li commette questi possono essere più gravi di quelli: perciò l’eresia e la
bestemmia in sé sono più gravi di una comunione sacrilega, ma la comunione sacrilega è il più
grave peccato se si commette con disprezzo del sacramento.
6 - Ai peccatori certi e notori e della cui penitenza non si può avere presunzione, il sacerdote
deve rifiutare di dare la comunione; non può invece rifiutarla se quelli che si accostano con gli
altri a ricevere la comunione sono peccatori occulti.
7 - Dopo una perdita notturna, dipenda essa da cause o per nulla colpevoli, o venialmente
colpevoli o mortalmente colpevoli, è decoroso e opportuno astenersi dalla comunione,
qualora il bisogno spirituale non consigli altrimenti. Naturalmente in caso di colpa grave è
necessario premettere la confessione.
8 - Il fatto di aver precedentemente preso cibi o bevande non impedisce la comunione per se
stesso, come fa il peccato mortale, ma impedisce la comunione per precetto della Chiesa,
stabilito per significare che Cristo deve entrare per primo nel nostro cuore ed essere il
fondamento del nostro vivere, e che gli si deve tanto rispetto da sottrarlo a ogni pericolo di
vomito: la Chiesa però esclude il caso degli infermi. Per digiuno si intende il digiuno naturale,
dalla mezzanotte, di tutto ciò che, anche in minima parte, si prenda come cibo o come
bevanda; le reliquie invece del cibo che si trovano nella bocca e che si deglutiscono non come
cibo, ma come saliva, non rompono questo digiuno.
9 - A chi non ha mai raggiunto l’uso della ragione non si deve dare la comunione; a chi l’aveva
e lo ha perduto, ma prima di perderlo ha avuto devozione verso l’Eucaristia, in articolo di
morte si deve dare la comunione, se lo stomaco la può tenere.
10 - La comunione è capace di apportare un’utilità quotidiana a chi la riceve e chi la riceve può
avere ogni giorno le disposizioni per ricavare dalla comunione una quotidiana utilità: perciò la
comunione quotidiana non ha impedimenti né da parte del sacramento, né da parte di chi si
comunica. Variò in proposito la disciplina della Chiesa, ma fu sempre lodato l’accostarsi
spesso alla comunione.
11 - Astenersi invece totalmente dalla comunione è illecito, perché tutti sono tenuti per
comando di Cristo alla comunione almeno spirituale, e ciò implica il desiderio di fare la
comunione, e questo desiderio sarebbe un desiderio menzognero se non si facesse mai la
comunione sacramentale; la Chiesa poi ha determinato il tempo in cui si deve soddisfare al
divino precetto.
12 - Il sacramento dell’Eucaristia esige primieramente e per sé di essere assunto sotto tutte e
due le specie, perché sotto le due specie esso è perfetto, e perciò il sacerdote che consacra
deve anche completare il sacrificio assumendo tutte e due le specie; secondariamente e in
ordine ai fedeli esso esige di essere ricevuto con decoro e devozione, e appunto per
provvedere al decoro e alla devozione fu introdotto l’uso di comunicare il popolo soltanto
sotto le specie del pane e non sotto quelle del vino.

112
QUESTIONE 81: L’uso che Cristo fece dell’Eucaristia

1 - Nella cena Cristo prima di comunicare gli Apostoli comunicò se stesso, perché era suo uso
prima dare l’esempio e poi insegnare. Come potevano le specie sacramentali essere nelle sue
mani, così potevano essere nella sua bocca.
2 - Gesù comunicò anche Giuda, perché volendo esserci perfetto esempio di giustizia non
volle rendere manifesto il peccato occulto di Giuda negandogli la comunione.
3 - Cristo diede agli Apostoli il corpo che aveva allora, cioè il corpo passibile; tuttavia come
egli, visibile, si trovava nel sacramento in modo invisibile, così egli, passibile, si trovava sotto le
specie in modo impassibile.
4 - Se si fosse consacrato al tempo della morte di Cristo ci sarebbe stato nell’Eucaristia Cristo
morto, perché in sostanza il corpo di Cristo è lo stesso nelle apparenze sue proprie e in questo
sacramento, diverso è solo quanto al modo, ossia quanto alla relazione dimensiva coi corpi
circostanti; Cristo nelle apparenze sue proprie tale relazione la ha mediante le sue dimensioni,
nel sacramento invece la ha mediante le dimensioni delle specie del pane e del vino, per cui
poteva essere crocefisso nelle sue sembianze, ma non poteva esserlo sotto le specie
sacramentali.
QUESTIONE 82: Il ministro dell’Eucaristia

1 - L’Eucaristia è un sacramento di tanta dignità che si consacra IN PERSONA DI CRISTO; questo


potere viene concesso al sacerdote quando viene ordinato: perciò solo del sacerdote è
proprio consacrare.
2 - Come gli Apostoli hanno cenato con Cristo cenante, così i sacerdoti appena ordinati
celebrano insieme col Vescovo ordinante, perciò possono più sacerdoti consacrare insieme
una sola e medesima Ostia.
3 - Distribuire la comunione appartiene al sacerdote: a. perché anche nella Cena lo stesso
Cristo consacrò e distribuì la comunione; b. perché è il sacerdote il mediatore fra Dio e gli
uomini;
c. perché una cosa così sacra conviene che sia toccata solo da mani sacre.
4 - Il sacerdote che consacra deve anche assumere l’Eucaristia, perché l’Eucaristia è non solo
sacramento, ma anche sacrificio, e chi offre il sacrificio deve partecipare del sacrificio.
5 - Il sacerdote non consacra in persona propria, ma IN PERSONA DI CRISTO, e non cessa di essere
sacerdote di Cristo quando è un cattivo sacerdote, quindi anche un cattivo sacerdote CONSACRA
VALIDAMENTE.
6 - Nella Messa bisogna distinguere la parte principale, cioè il sacramento, e la parte
secondaria, cioè le preghiere per i vivi e per i morti; come sacramento tanto vale la Messa del
sacerdote buono quanto quella del sacerdote cattivo, perché ambedue consacrano; come
preghiere bisogna distinguere nel sacerdote il ministro della Chiesa e la persona privata: le
preghiere del ministro della Chiesa sono fruttuose per il merito della Chiesa, le preghiere del
sacerdote come persona privata sono invece più o meno fruttuose secondo la sua santità.
7 - Anche i sacerdoti eretici, scismatici e scomunicati consacrano validamente, perché la
consacrazione dell’Eucaristia DIPENDE DAL POTERE DELL’ORDINE, che essi non hanno perduto.
8 - Nemmeno per la degradazione un sacerdote perde il potere dell’Ordine, perciò anche un
sacerdote degradato, se consacra, consacra validamente.

113
9 - Tutti costoro però, benché consacrino validamente, CONSACRANO ILLECITAMENTE, perché
l’esercizio dell’Ordine è loro proibito, quindi non è lecito ricevere i sacramenti da essi, né
ascoltare la loro Messa, perché con ciò si è complici del loro peccato.
10 - Un sacerdote non può senza peccato far sempre a meno di celebrare la Messa, perché
ciascuno deve far uso delle grazie ricevute e il potere di consacrare è una grande grazia.
QUESTIONE 83: Il rito dell’Eucaristia

1 - Nell’Eucaristia Cristo si offre in sacrificio come sulla Croce, e ciò non solo perché
l’Eucaristia è un mistero rappresentativo del sacrificio della Croce, ma anche perché ce ne
partecipa i frutti facendo a noi l’applicazione dei meriti di Cristo;
2 - noi abbiamo ogni giorno bisogno di tali meriti e perciò la Chiesa ha disposto che ogni
giorno si celebri, e poiché la Passione di Cristo avvenne dopo l’ora di terza, perciò la Messa
solenne si celebra di regola nel tempo corrispondente, cioè sul mezzogiorno.
3 - L’apparato per la celebrazione della Messa deve essere relativo sia alla Passione del
Signore, di cui la Messa è ripresentazione, sia anche alla dignità del Signore che è realmente
presente nell’Eucaristia: per questo riguardo hanno ragione di essere le CHIESE SONTUOSE, gli
altari consacrati, i vasi sacri preziosi e le suppellettili monde.
4 - Il sacramento dell’Eucaristia comprende tutto il mistero della nostra Redenzione: per
questa ragione viene celebrato con più solennità degli altri sacramenti, ed è bene disposto
nelle sue parti, che sono: 1. la preparazione, consistente nella lode a Dio, nell’espressione
della nostra presente miseria, nel ricordo dell’eterna gloria, nella preghiera e nell’istruzione
del popolo;
2. La celebrazione del mistero, distinta in: oblazione, con la lode del popolo e l’offerta del
sacerdote; consacrazione, preceduta dal Sanctus e dal Memento dei vivi e seguita dalla
protesta della nostra indegnità e dal Memento dei morti; assunzione del sacramento, cui il
popolo viene preparato con l’orazione domenicale e con orazioni speciali; 3. il ringraziamento
con canto di esultanza e preghiere del sacerdote.
5 - Nell’Eucaristia oltre alla rappresentazione della Passione di Cristo c’è anche un riferimento
al Corpo mistico di Gesù Cristo e al devoto uso del sacramento nella Messa: quindi le azioni e
le parole furono tutte sapientemente disposte in ordine a questi tre fini. Così il lavabo è per la
riverenza dovuta al sacramento e le croci per rappresentare la Passione di Cristo; le cinque
volte che il sacerdote si volge al popolo ricordano le cinque apparizioni di Gesù risorto; le
sette volte che il sacerdote saluta il popolo designano i sette doni dello Spirito Santo.
6 - Benché le prescrizioni liturgiche siano molte e minuziose, non sono però impossibili a
osservarsi e si ovvia sufficientemente ai difetti in cui si può incorrere celebrando la S. Messa
prevenendoli con la diligenza, correggendoli con la solerzia, rimediandoli con la penitenza. Le
rubriche stesse, messe in principio del Messale, prevedono tutti i possibili difetti in cui si può
incorrere celebrando la Messa e indicano il modo di comportarsi.

Sintesi
1. Tipo di presenza del Corpo-Sangue di Cristo nell’Eucaristia = SACRAMENTALE
* REALE ≠ in figura ≠ virtute
* SPECIALE ≠ fisica/di immensità ecc.
2. Processo che ha portato a questo tipo di presenza = TRANSUSTANZIAZIONE
* MUTAZIONE DI TUTTA LA SOSTANZA del pane/vino in tutta la sostanza del Corpo/Sangue di Cristo
≠ moto locale
114
≠ aggiunta della presenza del Signore alla sostanza del pane/vino
≠ annichilazione della sostanza del pane/vino
3. Situazione di Corpo-Sangue nell’Eucaristia = PRESENZA AD MODUM SUBSTANTIAE (et non
quantitatis)
⇒ Gesù è presente tutto intero IN OGNUNA delle specie
⇒ Gesù è presente tutto intero IN OGNI PARTE delle specie
⇒ sotto la specie del pane è presente come EFFETTO DIRETTO della transustanziazione il Corpo,
mentre sangue, anima e divinità sono presenti PER CONCOMITANZA (così sotto la specie del
vino)
⇒ Gesù NON È PRESENTE LOCALMENTE, perché la sostanza non ha parti da coestendere nello spazio
(quantità è accidente) = non muta luogo per sé, ma solo in quanto mutano luogo le specie
⇒ NON SUBISCE INFLUSSI DA AGENTI FISICI ESTERNI = si profanano le specie, non il Corpo-Sangue di
Cristo
⇒ NON PUÒ SUSCITARE IMPRESSIONI FISICHE (cfr. interpretazione dei miracoli eucaristici)
4. Situazione degli accidenti del pane-vino dopo la consacrazione = PERMANGONO SINE SUBIECTO
⇒ sul PIANO ONTOLOGICO la loro relazione con il Corpo-Sangue di Cristo è estrinseca (le specie
sono rimaste immutate, il Corpo/Sangue di Cristo è rimasto immutato): relazione di
COMPRESENZA
⇒ sul PIANO DELL’INDICAZIONE SIMBOLICA manifestano la presenza del Corpo-Sangue di Cristo: fino a
quando hanno questa capacità (ovvero fin a quando sono specie di pane e di vino), c’è la
presenza eucaristica; quando le specie si corrompono, viene meno la PRESENZA EUCARISTICA.
Cfr. il Lauda Sion, la sequenza liturgica che viene cantata o letta nella solennità del Corpus Domini;
è la traduzione poetica scritta da San Tommaso della teologia della transustanziazione.
Valutazione critica
Meriti enormi:
- offre soluzione geniale a numerose questioni dibattute nella teologia dell’epoca
- permette di pensare il realismo della presenza eucaristica in maniera rigorosa
- ha offerto una base solida agli interventi del Magistero: cfr. Trento
Ha anche dei limiti:
- tende a considerare il tema della presenza reale di Cristo in maniera a sé stante
- non riesce a raccogliere in sintesi i vari aspetti della teologia sacramentaria (es.: la
significazione è definita più in funzione della grazia che della Passio Christi; la grazia è definita
troppo in analogia alla vita corporea)…il tema del sacrificio tende ad aggiungersi e a rimanere
sullo sfondo, così la destinazione ecclesiale
- non è sviluppata in tutta la sua coerenza : Tommaso non sviluppa fino in fondo il rapporto tra il
segno sacramentale e Gesù Cristo, mostrando fino in fondo come il sacramento si risolva
nell’azione di Cristo
- rimane legato all’impostazione individualista della sacramentaria dell’epoca
3.3.3. Il Basso Medioevo
La teologia nominalista
Dopo le vette raggiunte da San Tommaso, la Scolastica inizia un tempo di declino (di circa due
secoli): la tarda scolastica è caratterizzata dal superamento della metafisica aristotelica, in

115
direzione di una concezione del reale che sottolinea fortemente i LIMITI DELLA RAGIONE e la LIBERTÀ
ASSOLUTA DI DIO; il dato di fede va accettato ciecamente, perché la ragione non può offrire
argomentazioni valide e alla libertà di Dio non si può porre alcun limite.
 Tra l’ordine della VERITÀ e l’ordine della CONOSCENZA c’è una frattura che solo la FEDE può colmare
(non c’è un ponte…ma la fede che fa un “salto”). I due autori più significativi di quest’epoca
sono:
- Duns Scoto (1266-1308), il cui pensiero pare ancora legato al mondo medievale;
- Guglielmo di Occam (1285-1347), che sembra inaugurare l’epoca successiva ed elabora il senso
proprio il NOMINALISMO (con il pensiero non comprendiamo la realtà, ma sono soltanto parole).
 In Scoto vi è l’idea che Dio de potentia ordinata ha stabilito le cose nell’ordine con cui noi le
sperimentiamo, ma DE POTENTIA ABSOLUTA avrebbe potuto volere le cose in modo del tutto diverso
da come sono. In questo modo Scoto vuole evidenziare la gratuità con cui Dio, per puro amore,
ha disposto l’ordine del mondo.
 La teologia francescana seguente ha enfatizzato l’ASSOLUTA LIBERTÀ DI DIO, indebolendo la
percezione dell’intrinseca ragionevolezza presente nel reale. Il reale tende a essere spiegato in
base all’assoluta onnipotenza di Dio, indebolendo la percezione del rapporto che c’è tra il logos
del mondo e la manifestazione della verità di Dio. Dio, in nome della sua potenza, avrebbe
potuto volere anche il contrario di ciò che a noi pare ragionevole, poiché Dio non è condizionato
dall’ordine della razionalità.
L’assurdità di una cosa per la ragione non esclude che Dio possa averla voluta: solo la fede può
dire che cosa sia vero. È chiaro che in questa impostazione “VOLONTARISTICA” la libertà di Dio tende
a essere prospettata come arbitrio, mentre la ragione non sembra dare più alcun apporto alla
fede. Come ha affermato Benedetto XVI nella celebre lezione di Regensburg, in questa visione “la
trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la
nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui
possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue
decisioni effettive”.
 Sul tema della transustanziazione – in posizione alternativa a Tommaso – Scoto pensa a una
successio substantiarum, ossia ANNICHILAZIONE di pane/vino e ADDUZIONE di Corpo/Sangue di Cristo.
 Per quanto concerne Occam, l’interpretazione del suo pensiero eucaristico non è consensuale:
egli ha una FEDE EUCARISTICA pienamente ortodossa, ma la sua TEOLOGIA è molto problematica e in
contrasto con le posizioni divenute comuni alla sua epoca. Il suo nominalismo lo conduce a non
accettare razionalmente la distinzione tra SOSTANZA e ACCIDENTI (per lui, la nozione di sostanza
s’identifica con gli accidenti concreti del singolo ente, in particolare con la sua quantità) su cui si
regge la teoria della transustanziazione (presenza ad modum substantiae del Corpo/Sangue del
Signore e permanenza sine subiecto degli accidenti del pane/vino), mentre ritiene più accettabile
la CONSUSTANZIAZIONE o IMPANAZIONE.
Però poiché la dottrina della Chiesa afferma il venir meno della sostanza del pane/vino la accetta
per fede: solo la fede può accettare la presenza reale, senza alcuna ragionevole giustificazione.
La teologia riformista
 JOHN WYCLIF (1331-1384)
Vive durante il papato avignonese…e invita a tornare alla “semplicità degli Apostoli”.
Egli intende RIPORTARE LA CHIESA ALLA FORMA DELLE ORIGINI, non solo nel culto ma anche nella
dottrina, con un’impostazione che si mostra incapace di riconoscere la necessità dello sviluppo

116
storico.
In riferimento all’Eucaristia rifiuta tutte le tesi comuni nella teologia dell’epoca. In particolare:
- la tesi della permanenza degli accidenti senza soggetto (sine subiecto)
- la tesi della transustanziazione (nella forma nominalista della annichilazione/adduzione), che è
recente, non fondata sulla Bibbia e contraria ai suoi principi filosofici (che sono di un realismo
esasperato: gli universali sono tanto reali quanto gli individui…)
 LA SUA TESI: l’Eucaristia è insieme corpo di Cristo e pane, anche se PRINCIPALMENTE CORPO DI
CRISTO. Egli si rifà a Berengario e a S. Agostino. Ha prestato il fianco all’accusa (falsa) di negare
la presenza reale. Condannato nel 1382 da un Sinodo locale.
 JAN HUS (1371 ca. - 1415)
Teologo e riformatore boemo, in parte influenzato da Wyclif, dà origine a un movimento
religioso che anticipa alcune delle istanze della Riforma. Dopo la sua condanna nel Concilio di
Costanza, è mandato al rogo. A lui fa riferimento il movimento utraquista che vuole ripristinare
la COMUNIONE SOTTO LE DUE SPECIE. Gli hussiti portarono avanti a lungo l’opposizione alla Chiesa di
Roma, dividendosi poi in varie correnti.
3.3.4. Sguardo sintetico
1. Il periodo medievale è caratterizzato da uno spostamento di attenzione che gradualmente
determina una NUOVA VISIONE DEL MISTERO EUCARISTICO: è il passaggio dalla considerazione
dell’Eucaristia come celebrazione alla considerazione dell’Eucaristia come “presenza del corpo
e sangue di Cristo sotto le specie del pane”, con conseguente enfasi del culto eucaristico.
2. SUL PIANO RITUALE questo si esprime nella perdita di unità della celebrazione: sempre più azione
del sacerdote, sovraccaricata di elementi secondari e incentrata sulla consacrazione dell’ostia.
3. SUL PIANO TEOLOGICO, si sviluppano soprattutto le quaestiones relative alla presenza reale e alla
transustanziazione, disattendendo la dimensione sacrificale, che peraltro appare scontata. In
questa evoluzione gioca un ruolo decisivo l’ingresso nella teologia del pensiero aristotelico.
4. Le nuove modalità celebrative e il nuovo assetto teologico, tendono gradualmente ad
impoverire la connessione molto stretta di Eucaristia e Chiesa, portando anche al
CAPOVOLGIMENTO LINGUISTICO: l’Eucaristia diventa il corpo “vero” di Cristo, mentre la Chiesa
diventa il corpo “mistico” di Cristo.

4. Età moderna
4.1. La Riforma
Se in epoca scolastica è in primo piano il tema della presenza reale/transustanziazione, con la
Riforma passa in primo piano il tema del sacrificio della Messa.
A partire da ciò si muove l’opposizione di Lutero alla dottrina cattolica e su questo tema si trova
unito il blocco dei riformatori, che sugli altri aspetti della teologia eucaristica non ha, invece,
unità.
4.1.1. Lutero
Lo sfondo
Per comprendere lo sviluppo della posizione di Lutero, e più in generale della Riforma, a proposito
dell’Eucaristia occorre tenere presente lo sfondo storico, caratterizzato da TRE ELEMENTI.
1. NOMINALISMO

117
Lo sviluppo della teologia nominalista nel periodo tardo-medievale. Vari teologi, tra cui
Guglielmo di Ockham (morto nel 1349) e Gabriele Biel (1495), rifiutarono la teoria tomista della
transustanziazione e ripresero quella scotista (successio substantiarum), accentuando in modo
molto marcato un approccio filosofico naturale, che si concentrava in modo unilaterale su
speculazioni relative alla sostanza corporale, al suo rapporto con la quantità e la qualità dei
corpi, sulla sua presenza nello spazio e così via. Inoltre SOSTANZA E ACCIDENTI vengono ritenuti
puramente categorie intellettuali che gli uomini hanno introdotto per pensare la realtà e non
modi reali dell’essere. In tale contesto alcuni teologi sostengono apertamente la teoria della
CONSUSTANZIAZIONE. In questo modo la teologia eucaristica prendeva di fatto PROPORZIONI
ALTERATE, perdendo di vista il centro del mistero salvifico e sviluppando in modo esagerato
questioni marginali. Il nesso tra presenza, sacrificio e comunione pare sempre più debole, con
grave danno per la visione complessiva dell’Eucaristia.
2. UTILITATES MISSAE
Bisogna osservare l’accentuazione di una prospettiva individualistica nel considerare la Messa.
Ciò si esprimeva nella pratica sempre più imperante della MESSA PRIVATA, celebrata secondo le
intenzioni di singoli, in una logica che lasciava trasparire una certa ambiguità (si pensi inoltre
alle indulgenze…). Senza la commercializzazione della messa e la teoria delle ‘utilità della
messa’ (utilitates missae), non si potrebbe comprendere la critica di Lutero alla messa romana.
La teoria delle UTILITÀ DELLA MESSA afferma che la celebrazione della messa mette a disposizione
determinate utilità, concepite come grazie quantificabili. A una messa, celebrata per un’unica
persona, veniva attribuito un valore maggiore rispetto a un’eucaristia che il sacerdote offriva
contemporaneamente per più persone vive o defunte. Una parte non piccola del clero si
sostentava esclusivamente con le entrate delle messe votive. Lutero criticò il sistema medievale
delle messe, ritenendolo una ‘fiera di messe per le anime’ e definì il sistema di distribuzione di
grazie della chiesa cattolica che vi era collegato come una ‘organizzazione commerciale’.
3. CULTO EUCARISTICO CHE PREVALE SULLE MESSE
Bisogna tenere presente lo sviluppo della considerazione dell’Eucaristia fuori della
celebrazione, con un’enfasi del CULTO EUCARISTICO (adorazione, processioni eucaristica,
devozione al vedere l’ostia) che tendeva a diventare addirittura prevalente rispetto alla
celebrazione della Messa. Veniva così indebolito il nesso tra la celebrazione eucaristica e la
comunione sacramentale dei fedeli, con il rischio di finalizzare la stessa celebrazione al culto,
anziché il contrario.
 Il pensiero di MARTIN LUTERO (1483-1546) circa l’eucaristia difficilmente può essere riportato a
una sintesi organica e coerente. Lutero infatti non è un pensatore sistematico e la
formulazione del suo pensiero è influenzata dagli interlocutori cui di volta in volta si rivolge.
Possiamo fondamentalmente individuare due fronti rispetto ai quali egli elabora la sua visione:
- la CHIESA DI ROMA, per un verso,
- e l’ALA RADICALE DEI RIFORMATORI per l’altro.
Nei confronti della Chiesa di Roma
Fino al 1519 Lutero ha una dottrina non solo sulla PRESENZA REALE, ma anche sulla
TRANSUSTANZIAZIONE ; a partire dal 1520, invece, la sua opposizione alla dottrina cattolica si fa

118
violenta, con due opere molto dure, il SERMONE SUL NUOVO TESTAMENTO e il DE CAPTIVITATE
BABYLONICA ECCLESIAE.19
Nella CATTIVITÀ Lutero denuncia una triplice cattività a cui è sottoposta l’Eucaristia.
1. La prima consiste nel RIFIUTO DEL CALICE AI LAICI. Come conseguenza della sua interpretazione
delle parole con cui venne istituita l’eucaristia («Bevetene tutti», Mt 26,27), Lutero criticò la
pratica che proibiva ai laici di ricevere la comunione sotto ambedue le specie, il pane e il vino.
Non sosteneva che allora i laici avrebbero ricevuto soltanto una metà di Cristo, anzi affermava
che essi avrebbero ricevuto realmente Cristo tutto intero nell’una e nell’altra specie. Piuttosto
negava che la Chiesa avesse il diritto di togliere ai fedeli laici la specie del vino, dal momento
che le parole dell’istituzione eucaristica sono chiarissime su questo. Viene così compromessa,
secondo Lutero, l’integrità dell’Eucaristia, poiché I SACERDOTI, negando il calice ai fedeli che lo
chiedono, SI OPPONGONO ALLE PAROLE DI GESÙ E TIRANNEGGIANO I LAICI (vi un riferimento alla protesta
di Hus: il Concilio di Costanza che l’ha condannato è in contraddizione con il Vangelo).
2. La seconda concerne la dottrina della TRANSUSTANZIAZIONE E PERMANENZA DEGLI ACCIDENTI. La
transustanziazione è per Lutero un’opinione teologica formulata da Tommaso sulla scia della
filosofia aristotelica, ma NON HA FONDAMENTO NEI TESTI DELLA SCRITTURA e non può quindi essere
imposta come dato vincolante per i fedeli. Sullo sfondo della sua posizione c’è un riferimento a
Wyclif e al suo richiamo alla Scrittura. Lutero accetta la tesi della PRESENZA REALE, ma il modo in
cui la spiega va nella direzione della COMPRESENZA di due sostanze (anche se egli non usa il
termine tecnico di “consustanziazione”).
Per Lutero, CORPO E SANGUE di Cristo sono presenti «in, con e sotto» le specie di PANE E VINO. C’è
uno scambio di proprietà (COMMUNICATIO IDIOMATUM) tra corpo-sangue di Cristo e pane-vino. Ciò
crea un’unione sacramentale tra il pane e il corpo di Cristo e il vino e il sangue di Cristo.
Questo nuovo genere di unione, formata dalla condivisione di proprietà, è analogo all’unione
della natura divina e della natura umana in Cristo. Lutero afferma che come la presenza della
natura divina non ha implicato la transustanziazione della natura umana di Gesù, ma le due
permangono integre, così nel sacramento PER AFFERMARE LA PRESENZA DEL VERO CORPO E SANGUE DI
GESÙ NON È NECESSARIO POSTULARE LA TRANSUSTANZIAZIONE DI PANE E VINO.
Paragona l’unione sacramentale anche all’ UNIONE TRA FERRO E FUOCO in un ferro incandescente:
“Ferro e fuoco, per esempio, sono due sostanze che si mescolano nel ferro rovente in modo tale
che ogni parte è ferro e fuoco contemporaneamente: perché dunque il glorioso corpo di Cristo
non può, a maggior ragione, essere contenuto in ogni parte della sostanza del pane?”.
Ciò lascia intendere una visione di sostanza piuttosto fisicista (certamente influenza da
Ockham).
3. La terza cattività è di gran lunga la più grave e consiste nel fatto che la MESSA è stata
trasformata in un’OPERA BUONA COMPIUTA DAI FEDELI, UN DONO CHE I FEDELI FANNO A DIO, con una
serie incalcolabile di conseguenze negative: così facendo – nella logica malsana delle utilitates
missae – si riduce la salvezza alle buone opere, come un “pagamento” a Dio per ricevere le
grazie. Il sacramento è stato ridotto a commercio, da cui sono mantenuti preti e monaci. Ciò ha
snaturato il senso della Messa come emerge dalle parole con cui Gesù l’ha istituita. Tali parole
mostrano con chiarezza che Gesù, prima di morire, ha lasciato ai discepoli il suo TESTAMENTO (in
latino “alleanza” è detta testamentum), ossia la promessa di un’eredità che sarebbe

19
LA PRIGIONIA DELLA CHIESA IN BABILONIA…riferendosi al fatto che il papa ha reso schiava la Chiesa di
cose che nel Vangelo non ci sono: la Chiesa è in cattività dalla verità.
119
sopraggiunta con la sua morte (cfr. lettera agli Ebrei). Tale eredità promessa nelle parole del
testamento è la REMISSIONE DEI PECCATI, confermata da un “potente e nobilissimo segno e
sigillo”, che sono la vera carne e il vero sangue di Gesù presenti sotto il pane e il vino. A tale
promessa l’uomo deve accostarsi con fede. La Messa dunque è essenzialmente un
TESTAMENTUM (= predicazione, annunzio).
 Sacrileghi dottori, invece, hanno messo SOTTO SILENZIO le parole del testamento (si ricordi che
il canone veniva recitato in silenzio) facendo così venire meno la fede e hanno trasformato
la messa in un sacrificio offerto dagli uomini a Dio, come dice il canone “Memores
offerimus”.
Questo è il massimo dell’empietà perché sostituisce alla GIUSTIFICAZIONE PER FEDE, la pretesa di
acquistare la grazia con un’offerta umana fatta dalla Chiesa. Secondo le parole
dell’istituzione dell’eucaristia, nella Cena del Signore Cristo dona se stesso a quanti lo
ricevono e che, in quanto dono, Cristo può solo essere ricevuto nella fede ma non offerto.
Se Cristo venisse offerto a Dio, la struttura interna e la direzione dell’eucaristia verrebbero
invertite.
Il RIFIUTO DEL CARATTERE SACRIFICALE DELLA MESSA è il centro dell’opposizione alla dottrina cattolica;
esso è legato a due motivi:
- NON PUÒ ESSERE SACRIFICIO DELLA CHIESA: l’impossibilità radicale che l’uomo si “guadagni” la
grazia con l’offrire a Dio qualcosa; la Messa non può essere intesa come buona opera da
presentare per ricevere in cambio la grazia;
- NON PUÒ ESSERE SACRIFICIO DI CRISTO: l’idea che la Messa sia un sacrificio contraddice il fatto che
Cristo si sia offerto una volta per tutte, come afferma la Lettera agli Ebrei.
Per Lutero, affermare che la Messa è sacrificio di Cristo è ingiuria alla croce, perché significa
considerarla insufficiente e pretendere una ripetizione del sacrificio nella Messa; al massimo, si
può dire che la messa commemora il sacrificio della croce, nel senso che lo richiama alla
memoria, oppure che è un sacrificio di lode con cui si onora Dio, ma non è assolutamente
accettabile intenderla come sacrificio di Cristo (perché ciò è avvenuto una volta sola sulla
croce) e come sacrificio della Chiesa (nel senso dell’offerta di un’opera buona).
 A Lutero manca quell’idea di ANAMNESIS della celebrazione che è andata persa durante il
Medioevo (la celebrazione veniva vissuta come allegoria – e non più simbolo – dell’evento
della Passione): pertanto, dire che la Messa è sacrificio sembra a Lutero quasi una
bestemmia, poiché Cristo si è già immolato una volta per sempre.
 Da questa posizione di Lutero, deriva la sua RIFORMA LITURGICA che, attraverso varie fasi, approda
alla Deutsche Messe nel 1526:
- viene SOPPRESSO L’USO DEL CANONE (romano), la cui teologia sacrificale pare inaccettabile;
- si passa dal latino alla LINGUA TEDESCA;
- dopo il sermone resta il RACCONTO DELL’ISTITUZIONE: dopo le parole del pane, esso viene subito
distribuito per la comunione e dopo le parole sul calice esso viene distribuito. In questo
modo la Messa viene intesa come santa cena, nella quale si riceve il sigillo della promessa
di grazia, che consiste nel corpo e nel sangue di Gesù (presenza reale).
 A questa visione bisogna ancora ricollegare un tema, di cui Lutero non parla nel De captivitate,
ossia il RIFIUTO DELLA PRESENZA REALE DI CRISTO EXTRA USUM . Si deve ritenere che questa espressione
significhi per Lutero: “al di fuori della istituzione di Cristo”, ossia al di fuori dello scopo per cui la
Messa è stata istituita da Gesù. La presenza reale viene meno dove essa non è finalizzata all’uso
per cui Cristo l’ha istituita, cioè la comunione.

120
Perciò Lutero si oppone a tutte le forme di culto eucaristico che non fanno riferimento alla
comunione (processioni, adorazione, ecc.); non sembra invece che sia contrario a custodire
l’eucaristia per portarla ai malati. Da ciò deriva, secondo l’autorevole pensiero di J. Ratzinger,
che non si può dire che Lutero ritenga che la presenza termini con il terminare della
celebrazione.
 Nell’ambito del MOVIMENTO LUTERANO, però, prevalse in seguito quella (probabilmente da
attribuire a Melantone) secondo cui la presenza reale si riduce al momento della
comunione.
Nei confronti dell’ala radicale della Riforma
A partire dalla metà degli anni ’20 del Cinquecento, sorge un’aspra controversia nel mondo della
Riforma che vede schierati da un parte Lutero e Melantone e dall’altra i cosiddetti sacramenti o
Schwärmer (esaltati, fanatici), come con disprezzo li chiama Lutero. Tra di essi si annoverano
Carlostadio, Bucero, Ecolampadio e soprattutto Huldrych ZWINGLI (1484-1531).
 I RIFORMATORI sono uniti dalla lettura dei sacramenti secondo lo schema promissio-fides: in essi
Dio offre gratuitamente la sua grazia e corrobora la promessa con un segno, cui corrisponde la
risposta di fede dell’uomo.
 ZWINGLI, però, ritiene che il segno che accompagna la promessa sia SOLTANTO COMMEMORATIVO:
non contiene la presenza di Cristo, ma ricorda l’evento storico che ha determinato la nascita della
Chiesa e dimostra la fedeltà dei fedeli alla comunità in cui sono inseriti; la morte di Cristo ha per
la chiesa lo stesso significato che la battaglia di Näfels (1338) ha per la Confederazione svizzera!
Come la commemorazione di quella battaglia non implica certo il fatto di rifarla, così l’eucaristia
non implica una ripetizione o una presenza del sacrificio di Cristo, ma è solo una
COMMEMORAZIONE. Gesù dunque si rende presente spiritualmente nelle menti e nei cuori di quanti
si ricordano di lui, grazie ai segni esterni del pane e del vino che fanno pensare all’evento da cui
la Chiesa è nata.
Le MOTIVAZIONI con cui Zwingli sostiene questa tesi sono due:
- Gesù afferma “la carne non giova a nulla ” (Gv 6,63); tale affermazione impone di intendere le
parole “Questo è il mio corpo” in senso rigorosamente figurato, ossia “QUESTO RAPPRESENTA,
SIGNIFICA IL MIO CORPO”. Gesù avrebbe detto ai suoi: io vi do un simbolo del mio corpo e voi
farete questo gesto per ricordarvi di me;
- con l’Ascensione Gesù è alla destra del Padre e dunque non può essere nell’eucaristia.
 LUTERO si oppone fermamente a questa lettura della Scrittura:
- il testo evangelico dell’istituzione deve essere inteso in senso letterale, e dunque il segno deve
avere valore di PRESENZA REALE; senza presenza reale, la Messa è solo opera commemorativa, e
dunque rientra in quelle opere buone che egli non può accettare!
- all’obiezione fondata sull’Ascensione, contrappone la sua visione della COMMUNICATIO
IDIOMATUM, secondo cui la natura divina di Gesù parteciperebbe il dono dell’ubiquità di Dio
(cioè la presenza in ogni luogo e tempo) al corpo di Gesù (dottrina problematica, mai recepita
nelle confessioni di fede della comunità luterana, perché rischia di svuotare di consistenza
l’umanità di Gesù).

121
 LUTERO IN SINTESI
 SFONDO
o nominalismo
o messe private e utilitates missae
o culto eucaristico
 CONTRO ROMA
o calice = discussione sull’autorità
o transustanziazione = tornare alla Scrittura (ferro-fuoco/communicatio idiomatum)
o sacrificio = Testamentum (non pagamento di grazia, non sacrificio di Cristo) con sigillo
 CONTRO I SCHWÄRMER (Zwingli)
o istituzione in senso figurato / in senso letterale (presenza reale)
o Ascensione: Cristo in cielo / dono dell’ubiquità (communicatio idiomatum)
Valutazione del pensiero eucaristico di Lutero
La dottrina eucaristica di Lutero presenta evidenti limiti, che non la rendono accettabile. Essa però
non può essere valutata fuori del suo CONTESTO STORICO. Le posizioni di Lutero attestano che:
- l’originaria prospettiva memoriale del canone romano non era di fatto più compresa ;
- l’idea di sacramento non era più colta nella logica della ripresentazione e del simbolo
ontologico che non sostituisce e non ripete l’evento, ma lo attualizza.
Molte affermazioni di Lutero hanno dunque il carattere di una REAZIONE ESAGERATA, fino a uscire
dalla dottrina di fede, nei confronti di pratiche pastorali che presentavano un effettivo
sbilanciamento. L’individualismo della messa privata (e relativo contorno pecuniario) e
l’esteriorità di certe forme di culto eucaristico compromettevano realmente il giusto rapporto col
mistero eucaristico.
Ciò ovviamente non è sufficiente a convalidare la dottrina luterana, ma permette di cogliere
riconoscere che almeno alcune istanze erano positive (ripristinare in modo più chiaro la
dimensione comunitaria della Messa, recuperare il nesso tra sacramento e comunione, evitare
ogni concezione distorta del sacrificio ecc.), anche se la risposta non fu quella giusta.
Sul PIANO TEOLOGICO, è da notare che ultimamente Lutero si trova in un TENSIONE INTERNA molto forte:
- per un verso il principio della sola fides dovrebbe condurre a SVUOTARE IL SACRAMENTO di un
contenuto ontologico proprio (esito cui giunge Zwingli);
- dall’altro l’esegesi della Scrittura impone di RICONOSCERE LA PRESENZA REALE di Cristo nell’Eucaristia,
in una forma che non dipende dalla fede dei fedeli, ma dall’atto sacramentale.
 …tale principio sviluppato coerentemente mostrerebbe però l’esigenza di superare lo schema
promissio-fides, per includere in esso la MEDIAZIONE SACRAMENTALE.
4.1.2. Calvino e gli altri riformatori
SCHEMATICAMENTE:
 Ha una posizione sfumata, che è difficile condurre ad unità, per la presenza di affermazioni
piuttosto vaghe.
 Rifiuto del sacrificio: non può essere una nuova immolazione; non può essere una ripetizione
perché significherebbe che la prima non è sufficiente; se è un’applicazione a noi dell’unico
sacrificio di Cristo non bisogna dire che è un sacrificio. Tale applicazione si ha nella predicazione
del Vangelo e nell’uso della Cena.
 Concezione dinamico-operativa della presenza.
122
 Nega sia la transustanziazione che la consustanziazione.
4.1.3. Sintesi
LUTERO ZWINGLI CALVINO ANGLICANI
No sacrificio No sacrificio No sacrificio No sacrificio
Presenza reale Pura commemorazione Presenza operativa Presenza operativa
Non trans. ma cons. Né trans. né cons. Né trans. né cons.

 I riformatori sono in difficoltà a dare un senso alla Messa. Essi non la vogliono sopprimere,
perché intendono richiamarsi alla prassi tradizionale, ma fanno fatica a trovarci un senso.
Se tutta la giustificazione dell’uomo è risolta nell’azione di Cristo, e d’altra parte l’Eucaristia è
svuotata di contenuto cristologico, si fa fatica a trovarle uno spazio.
 Un po’ meno in difficoltà è Lutero, che accetta la presenza reale, e dunque pone la Messa dalla
parte di Cristo e non dalla parte dell’uomo. Ma facendo valere questo principio fino in fondo,
andrebbe in crisi il principio del SOLA FIDES.
4.2. Concilio di Trento
Le questioni sollevate da Lutero circa l’Eucaristia vengono affrontate dal Concilio di Trento (circa
quarant’anni dopo!), con l’intento di salvaguardare i punti della dottrina contestati. Il Concilio in
coerenza con la missione affidatagli, NON SI PROPONE UNA RIFLESSIONE ORGANICA COMPLESSIVA SUL
MISTERO EUCARISTICO, ma solo la risposta puntuale alle posizioni erronee o ambigue proposte dai
riformatori.
La materia eucaristica viene sviluppa dai Padri tridentini in TRE DECRETI DIVERSI:
1. Decretum de ss. Eucharistia (1551): presenza reale e finalità dell’Eucaristia;
2. Doctrina et canones de communione sub utraque specie et parvulorum (1562);
3. Doctrina et canones de ss. Missae sacrificio (1562): sul sacrificio.
La divisione in tre parti si spiega anzitutto per MOTIVI STORICI CONGIUNTURALI:
- mentre i vescovi discutono sul decreto su sacramenti in genere, i teologi iniziano a esaminare le
questioni relative alla Messa sulla base di dieci articoli che riportavano gli errori dei riformatori;
- approvato il decreto sui sacramenti, affrontano le questioni relative all’eucaristia, sulla base
della preparazione fatta dai teologi; ma si propone di rimandare a un secondo momento la
questione (spinosa) del SACRIFICIO DELLA MESSA, e affrontare subito le questioni relative ai sette
sacramenti;
- dopo vicissitudini e interruzioni, si approva il primo decreto: questo conteneva la dottrina circa
la PRESENZA REALE PER TRANSUSTANZIAZIONE e anche DUE CANONI SULLA COMUNIONE…questi però –
riguardando questioni pratiche – vengono stralciati all’ultimo momento, per poter essere
discussi con i rappresentanti dei riformatori di cui si attendeva l’arrivo a Trento.
- Le questioni rinviate sono riprese dopo oltre 10 anni, in due decreti separati dedicati alla
COMUNIONE e al SACRIFICIO, approvati nel 1562; a questi si aggiungono due decreti pratici.

Tale ripartizione avrà CONSEGUENZE MOLTO RILEVANTI: condurrà a una FRAMMENTAZIONE DELLA DOTTRINA,
introducendo una spaccatura tra sacramento (presenza reale e comunione) e sacrificio, che
segnerà tutta la teologia moderna fino agli inizi del Novecento (Casel).
 La TEOLOGIA “DOGMATICA” MODERNA, infatti, partirà da Trento e, sviluppandosi come commento al
dogma, trasformerà una distribuzione occasionale degli argomenti in principio di

123
organizzazione del trattato e strutturerà per secoli il manuale DE EUCHARISTIA in tre parti tra loro
disarticolate:
A. la presenza reale di Cristo sotto le specie eucaristiche;
B. la messa come sacrificio;
C. l’Eucaristia come sacramento, ovvero la comunione (grazie ed effetti sull’anima).
Se la Messa era capita dai Padri come RIPRESENTAZIONE del SACRIFICIO dell’Agnello perché noi
possiamo mangiarne, adesso la presenza è questione di transustanziazione (non si parte più dalla
Pasqua per pensare l’Eucaristia), distaccandosi dalla Croce di Cristo (c’entra ma è tenuta
distaccata), si separa dalla trattazione del sacrificio e da quella della comunione: si apre la
dogmatica basandosi sulla speculazione. Se ciò si dispiega frantumandosi nei secoli medievali, si
esplicita con Trento.
Tale FRANTUMAZIONE emerge in modo molto chiaro dal confronto tra il primo decreto e il terzo, la cui
esposizione ha un livello di sviluppo e maturazione ben diverso: «ferma e chiaramente definita
quella del primo decreto, che si avvantaggia del buon livello di maturazione della riflessione sulla
presenza reale, spesso appena abbozzata e ancora in ricerca quella del terzo documento, che
sconta lo stato ancora iniziale della riflessione sul valore sacrificale della messa».
Trento quindi è ben lungi dall’elaborare una trattazione completa e organica del mistero
eucaristico: non vuole organizzare la teologia eucaristica, ma combattere le eresie! Questo
appare anche dal METODO DI LAVORO che il Concilio ha seguito: la discussione verteva su un elenco
di errori preparato dagli esperti, attraverso la citazione delle affermazioni dei riformatori che
risultavano in contrasto con la dottrina cattolica; “TESI” non inquadrate nel contesto complessivo
del pensiero dell’autore, ma ESTRAPOLATE come una formulazione a sé stante e riportate non
sempre alla lettera. La loro discussione conduceva alla formulazione di un giudizio che riprovava
gli errori in esse contenute. Il giudizio è formulato nei canoni, che esprimono la fede cattolica
ripudiando l’errore non compatibile con essa. I capitoli che precedono i canoni sono aggiunti in
un secondo momento, senza grandi discussioni, e intendono illustrare in modo discorsivo il
giudizio espresso nei canoni.
Va notato che fino al Concilio Vaticano I la formula “ANATHEMA SIT” non implica sempre la condanna
formale di un’eresia, ma in modo più ampio implica il rifiuto deciso di una tesi inconciliabile con
la fede cattolica, o perché è formalmente eretica o perché si presenta, in un preciso contesto,
come contraddittoria rispetto alla fede cattolica. Per determinare il valore della condanna
occorre di volta in volta svolgere un lavoro ermeneutico per ricostruire l’intenzione dei Padri,
come emerge nel dibattito che conduce alla sanzione del giudizio. Resta peraltro da verificare se i
padri e i teologi di Trento abbiano sempre inteso correttamente il pensiero dei riformatori. Non
essendoci stato un confronto approfondito con il loro pensiero, è possibile che in alcuni punti la
tesi condannata non coincida perfettamente con ciò che i riformatori intendevano asserire.
4.2.1. Decreto sul sacramento dell’Eucaristia (1551)
Il decreto contiene: PROEMIO, 8 CAPITOLI e 11 CANONI. Risulta strutturato essenzialmente in due parti:
a) concezione dogmatica cattolica dell’eucaristia (presenza reale per transustanziazione): can.1-
5;
b) l’uso dell’eucaristia: can.6-11.
1. Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è PRESENZA REALE
contenuto veramente, realmente, sostanzialmente (vere, realiter et
substantialiter) il corpo e il sangue di nostro signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e,
124
quindi, tutto il Cristo, ma dirà che esso vi è SOLO COME IN UN SEGNO O UNA FIGURA, o solo con la
sua EFFICACIA (in signo vel figura, aut virtute), sia anatema.
2. Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia assieme TRANSUSTANZIAZIONE
col corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del
pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare conversione di tutta la sostanza del
pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e che rimangono solamente le
specie del pane e del vino, - conversione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo
chiama transustanziazione, - sia anatema.
3. Se qualcuno dirà che nel venerabile sacramento dell’eucarestia, fatta la CONSEGUENZA DELLA
separazione, Cristo non è contenuto in ognuna delle due specie e in TRANSUSTANZIAZIONE
ognuna delle parti di ciascuna specie, sia anatema.
4. Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile sacramento PRESENZA SOLO NELL’USO
dell’eucarestia non vi è il corpo e il sangue del signore nostro Gesù Cristo,
ma solo nell’uso, mentre è ricevuto, ma non prima o dopo; e che nelle ostie o parti
consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non rimane il vero
corpo del Signore, sia anatema.
5. Se qualcuno dirà che il frutto principale della santissima eucarestia è la EFFETTI
remissione dei peccati, o che da essa non provengono altri effetti, sia
anatema.
6. Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’eucarestia Cristo, unigenito figlio di Dio, non
debba essere adorato con culto di latria, anche esterno; e, quindi, che non debba neppure
esser venerato con qualche particolare festività; ed esser portato solennemente nelle
processioni, secondo il lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non
debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia adorato; e che i suoi
adoratori sono degli idolatri, sia anatema.
7. Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la santa eucarestia nel tabernacolo; ma che
essa subito dopo la consacrazione debba distribuirsi agli astanti; o non esser lecita che essa
venga portata solennemente agli ammalati, sia anatema.
8. Se qualcuno dirà che Cristo, dato nell’eucarestia, si mangia solo spiritualmente, e non anche
sacramentalmente e realmente, sia anatema.
9. Se qualcuno negherà che tutti e singoli i fedeli cristiani dell’uno e dell’altro sesso, giunti
all’età della ragione, sono tenuti ogni anno, almeno a Pasqua, a comunicarsi, secondo il
precetto della santa madre chiesa, sia anatema.
10. Se qualcuno dirà che non è lecito al sacerdote che celebra comunicare se stesso, sia
anatema.
11. Se qualcuno dirà che la fede è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della
santissima eucarestia, sia anatema. E perché un così grande sacramento non sia ricevuto
indegnamente e, quindi, a morte e a condanna, lo stesso santo sinodo stabilisce e dichiara che
quelli che hanno la consapevolezza di essere in peccato mortale, per quanto essi credano di
essere contriti, se vi è un confessore, devono necessariamente premettere la confessione
sacramentale. Se poi qualcuno crederà di poter insegnare, predicare o affermare
pertinacemente il contrario, o anche difenderlo in pubblica disputa, perciò stesso sia
scomunicato.

Primo canone
Il PRIMO CANONE afferma la realtà della presenza eucaristica affermando che:
125
Cristo è presente vere, realiter e substantialiter
⇓ ⇓
non in signo vel figura o virtute
⇓ ⇓
contro Zwingli, Ecolampadio, ecc. contro Calvino
Il canone relativo alla presenza reale non colpisce la dottrina di Lutero, ma quella estremista dei
riformatori svizzeri, che riducono il sacramento a una COMMEMORAZIONE SOGGETTIVA, e quella
“OPERATIVA” di Calvino. Trento in questo modo evidenzia che Cristo è presente nell’Eucaristia non
solo in quanto vi agisce (virtute) come avviene negli altri sacramenti, ma con la sua stessa realtà.
Il CAPITOLO PRIMO completa l’esposizione affermando che tale presenza eucaristica
non è incompatibile con quella di Cristo in cielo (contro Calvino). Essa è stata
istituita da Cristo nell’Ultima Cena con queste finalità: 1 ONORARE LA SUA MEMORIA; 2
CIBO SPIRITUALE; 3 ANTIDOTO PER LE COLPE QUOTIDIANE ; 4 PEGNO DELLA GLORIA FUTURA; 5
SIMBOLO (symbolum) DEL CORPO MISTICO (contro Lutero, che vede come unica finalità
la remissione dei peccati). Ciò corrisponde a quanto sancito nel canone quinto. Da
ciò deriva il primato dell’Eucaristia: in essa è presente lo stesso Autore della santità
(ipse sanctitatis Auctor), mentre negli altri sacramenti la vis sanctificandi si
esaurisce nella loro celebrazione (cfr. canone quarto).
Secondo canone
Il SECONDO CANONE concerne la conversione totale della sostanza del pane e del vino che la Chiesa
chiama TRANSUSTANZIAZIONE:
- dichiara direttamente che la sostanza di pane e vino mutano, affermando che è incompatibile
con la fede cattolica l’idea che la sostanza del pane e del vino rimangono con il Corpo e il
Sangue.
- chiama tale conversione con il termine tecnico “transustanziazione”, perché lo giudica molto
appropriato (senza per questo affermare che non è possibile trovarne altri)…in questo modo un
termine “di scuola” diventa un termine proprio del magistero.
- afferma poi in un inciso, dunque in modo complementare all’affermazione principale, che del
pane e del vino rimangono solo gli accidenti (che però vengono chiamati “specie”).
 A proposito di questo secondo canone si impongono DUE QUESTIONI DI CARATTERE ERMENEUTICO:
I. il rapporto tra la dottrina della TRANSUSTANZIAZIONE (can.2) e quella della PRESENZA REALE (can.1).
Il decreto di Trento distingue formalmente le due affermazioni, proponendole in due canoni
diversi; ma la distinzione è dovuta al metodo di lavoro del Concilio, che sceglie di sviluppare il
suo discorso SECONDO L’ELENCO DEGLI ERRORI predisposto dallo schema dei teologi: condanna
prima le tesi più estremiste che negano o compromettono la presenza reale, poi quelle che la
interpretano rifiutando la transustanziazione. La distinzione pertanto corrisponde solo a logica
formale e non si preoccupa di istituire il rapporto tra il contenuto dei due canoni. Nel
Novecento la teologia ha cercato di chiarire se presenza reale e transustanziazione debbano
essere intese come oggetti specifici di due atti di fede distinti, oppure come un’unica verità di
fede esplicitata nelle sue conseguenze logiche e ontologiche: il magistero recente lascia
intendere pacificamente che presenza reale e transustanziazione costituiscono UN SOLO
CONTENUTO DI FEDE, esplicitato nelle sue implicanze logiche e ontologiche. La transustanziazione
è dunque totalmente funzionale all’affermazione della presenza reale come intesa dalla fede
cattolica.

126
II. chiarire se i Padri hanno voluto usare “ SOSTANZA” nel senso della metafisica aristotelica.
Generalmente si riconosce che il dogma fu enunciato e concepito con categorie “aristoteliche”,
ma «ciò che in queste categorie è SPECIFICAMENTE ARISTOTELICO RIMASE ESTRANEO a ciò che era inteso
con intenzione dogmatica»: «il Tridentino non ha affatto canonizzato la concezione ilemorfica
dei corpi: ha soltanto utilizzato concetti comuni nell’insegnamento teologico del suo tempo per
esprimere con la maggiore esattezza possibile la dottrina cattolica». Il termine “sostanza” viene
usato nel senso comune della parola, per indicare la realtà più profonda dell’ente, ciò che va
oltre le apparenze sensibili e costituisce il loro fondamento e la loro ragion d’essere. Allo stesso
modo, anche la scelta di preferire il termine “specie” a quello di “accidenti”.
 L’uso fondamentale per cui l’Eucaristia è stata istituita da Cristo è “prendete e mangiate”: il
problema è che a Trento si rimane solo sull’idea del culto eucaristico !
4.2.2. Dottrina e canoni sulla comunione sotto le due specie e la comunione dei
fanciulli (luglio 1562)
La trattazione di questo tema doveva essere logicamente inserita nel Decreto del 1551, ma si
stralciò perché erano aperte 5 domande:
- a QUATTRO di esse si diede risposta nel 1562 con 4 capitoli e 4 canoni di questo testo;
- alla QUINTA, cioè la domanda circa l’opportunità di concedere la comunione sotto le due specie,
NON SI RIUSCÌ A TROVARE SOLUZIONE. Il problema pertanto fu di nuovo rimandato a dopo la
discussione sul sacrificio e infine, data l’impossibilità di risolverlo, affidato a una decisione del
Papa, il quale la concederà ad experimentum ai tedeschi (ma si interromperà per l’avanzare
della Riforma).
Contiene: PROEMIO, 4 CAPITOLI e 4 CANONI.
TESI:
 la comunione SOTTO LE DUE SPECIE non è di precetto divino e non è necessaria per la salvezza
(il precetto c’è solo per il sacerdote celebrante) [can. 1]
 la Chiesa ha il potere di REGOLARE L’AMMINISTRAZIONE dei sacramenti salva illorum substantia [can.
2]
 fare la comunione SOTTO UNA SPECIE non defrauda di grazie necessarie alla salvezza [can. 3]
 la comunione eucaristica NON È NECESSARIA PER I BAMBINI prima dell’uso di ragione (perché non
possono ancora aver perso la grazia battesimale) [can. 4].
1. Se qualcuno dirà che tutti e singoli i fedeli cristiani devono ricevere l’una e l’altra specie del
santissimo sacramento dell’eucarestia per divino precetto o perché sia necessario alla
salvezza, sia anatema.
2. Chi dirà che la santa chiesa cattolica non sia stata addotta da giuste ragioni e da giusti
motivi, a dare la comunione ai laici e a quei sacerdoti che non celebrano sotto una specie
soltanto o che in ciò essa erri, sia anatema.
3. Se qualcuno negherà che sotto la sola specie del pane si riceve Cristo, fonte ed autore di
tutte le grazie, tutto intero perché, come alcuni dicono falsamente, non è ricevuto sotto l’una e
l’altra specie, secondo l’istituzione di Cristo, sia anatema.
4. Se qualcuno dirà che la comunione eucaristica è necessaria ai bambini anche prima che
abbiano raggiunto l’età di ragione, sia anatema.
Quanto ai due articoli, già proposti, ma non esaminati, e cioè: “Se i motivi da cui fu indotta la
chiesa cattolica per dare la comunione ai laici e a quei sacerdoti che non celebrano solo sotto

127
una specie, siano da considerarsi tali da non permettere ad alcuno l’uso del calice per alcuna
ragione”; e: “Se, qualora sembrasse opportuno doversi concedere ad alcuna nazione o regno,
per motivi giusti e conformi alla cristiana carità, l’uso del calice, debba concedersi sotto alcune
condizioni: e quali siano queste condizioni”, lo stesso santo sinodo ne rimanda l’esame e la
conferma ad altro tempo, alla prima occasione, cioè, che ad esso si presenterà.

4.2.3. Dottrina e canoni sul sacrifico della messa (settembre 1562)


Il problema era stato posto fin dalla prima convocazione del Concilio nel 1547. Si decise però di
RIMANDARLO A DOPO LA TRATTAZIONE DEI SINGOLI SACRAMENTI. Esaurita questa, si era pronti ad
affrontare il tema nel 1552, ma l’interruzione del Concilio rimandò il dibattito alla terza fase. Ci fu
dunque il tempo per una preparazione accurata…ma mancava alla radice una teologia sicura.
Contiene: PROEMIO, 9 CAPITOLI, 9 CANONI. Il decreto fu preparato da due commissioni:
A) teologica, che studiò gli errori dei riformatori sul tema = PARTE DOTTRINALE [cann.1-4];
B) pratica liturgico-disciplinare, che studiò gli abusi celebrativi = PARTE PRATICA [cann.5-9].
1. Se qualcuno dirà che nella messa non SI OFFRE A DIO UN VERO E PROPRIO PARTE DOTTRINALE
SACRIFICIO, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene
dato a mangiare, sia anatema.
2. Se qualcuno dirà che con quelle parole: Fate questo in memoria di me, Cristo non ha
costituito i suoi apostoli sacerdoti o che non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti
offrissero il suo corpo e il suo sangue, sia anatema.
3. Se qualcuno dirà che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento,
o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non propiziatorio; o che
giova solo a chi lo riceve; e che non si deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le
pene, per le soddisfazioni, e per altre necessità, sia anatema.
4. Se qualcuno dirà che col sacrificio della messa si bestemmia contro il sacrificio di Cristo
consumato sulla croce; o che con esso si deroga all’onore di esso, sia anatema.
5. Chi dirà che celebrare messe in onore dei santi e per ottenere la loro PARTE PRATICA
intercessione presso Dio, come la chiesa intende, è un’impostura, sia
anatema.
6. Se qualcuno dirà che il canone della messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna
abolirlo, sia anatema.
7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, le vesti e gli altri segni esterni, di cui si serve la chiesa
cattolica nella celebrazione delle messe, siano piuttosto elementi adatti a favorire l’empietà,
che manifestazioni di pietà, sia anatema.
8. Se qualcuno dirà che le messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente,
sono illecite e, quindi, da abrogarsi, sia anatema.
9. Se qualcuno dirà che il rito della chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le
parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da riprovarsi; o che la messa debba
essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice non debba esser
mischiata l’acqua col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo, sia anatema.
Ci soffermiamo solo sulla parte dottrinale, che sostanzialmente intende proporre questa tesi:
 «NELLA MESSA SI OFFRE UN VERO E PROPRIO SACRIFICIO» (can.1)
e chiarirne le implicanze:
 il sacrificio della messa RICHIEDE DEI SACERDOTI (can.2);

128
 non è solo sacrificio di lode a Dio o nuda commemoratio della croce, ma VERO EVENTO SALVIFICO,
un sacrificio propiziatorio (can.3) [ contro Lutero];
 non va a detrimento del VALORE SALVIFICO DELLA CROCE (can.4) [ contro i riformatori].
I primi due capitoli che precedono i canoni cercano di precisare i contorni della dottrina sul
sacrificio della Messa e argomentarne il contenuto: si muovono in modo meno lineare e semplice
rispetto ai decreti precedenti, perché non possono contare su uno sviluppo teorico altrettanto
solido.
I tridentini sostengono che:
- nell’ANTICO TESTAMENTO c’erano SACRIFICI INSODDISFACENTI,
- nel NUOVO TESTAMENTO c’è il SACRIFICIO PERFETTO di Cristo;
- nella MESSA si offre un VERO SACRIFICIO…che, tuttavia, non deriva direttamente dalla Croce, ma
dall’Ultima Cena (facciamo ciò che Gesù ha fatto nell’Ultima Cena).
 La DIFFICOLTÀ sta nel fatto che l’Ultima Cena non è un sacrificio! Allora i padri tridentini
affermano che, come in essa Gesù si offrì in sacrificio, così NELLA MESSA OFFRIAMO IL SACRIFICIO
DELLA CROCE, perché Gesù nell’Ultima Cena si offrì anche se ancora non era un sacrificio. Ecco
che, persa l’idea di “ripresentazione” diviene difficile la comprensione della dimensione
sacrificale della Messa!
 CAPITOLO I – L’ISTITUZIONE DEL SACRIFICIO DELLA MESSA
1739. Poiché sotto l’antico testamento (secondo la testimonianza dell’apostolo Paolo) per
l’insufficienza del sacerdozio levitico, non vi era perfezione, fu necessario - e tale fu la
disposizione di Dio, padre delle misericordie, - che sorgesse un altro sacerdote secondo
l’ordine di Melchisedech, e cioè il signore nostro Gesù Cristo, che potesse condurre ad ogni
perfezione tutti quelli che avrebbero dovuto essere santificati.
1740. Questo Dio e Signore nostro, dunque, anche se una sola volta (semel) si sarebbe
immolato a Dio Padre morendo sull’altare della croce per compiere una redenzione eterna;
poiché, tuttavia, il suo sacerdozio non avrebbe dovuto tramontare con la morte, nell’ultima
cena, la notte in cui fu tradito, per lasciare alla chiesa, sua amata sposa, un sacrificio visibile
(come esige l’umana natura), con cui repraesentaretur (venisse rappresentato = significato /
venisse ripresentato = reso presente) quello cruento che avrebbe offerto una sola volta sulla
croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e la cui efficacia salutare fosse
applicata alla remissione di quelle colpe che ogni giorno commettiamo; egli, dunque,
dicendosi costituito sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech, offrì a Dio Padre il
suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino , e lo diede, perché lo
prendessero, agli apostoli (che in quel momento costituiva sacerdoti del nuovo testamento)
sotto i simboli delle stesse cose (del pane, cioè, e del vino), e comandò ad essi e ai loro
successori nel sacerdozio che l’offrissero, con queste parole: Fate questo in memoria di me ,
ecc., come sempre le ha intese ed ha insegnato la chiesa cattolica.
1741. Celebrata, infatti, l’antica Pasqua, - che la moltitudine dei figli di Israele immolava in
ricordo dell’uscita dall’Egitto -, istituì la nuova Pasqua, e cioè se stesso, da immolarsi dalla
chiesa per mezzo dei suoi sacerdoti sotto segni visibili, in memoria del suo passaggio da
questo mondo al Padre, quando ci redense con l’effusione del suo sangue, ci strappò al potere
delle tenebre e ci trasferì nel suo regno.
1742. Ed è questa quell’offerta pura, che non può essere contaminata da nessuna indegnità o
malizia di chi la offre; che il Signore per mezzo di Malachia predisse che sarebbe stata offerta
in ogni luogo, pura, al suo nome che sarebbe stato grande fra le genti; e a cui non

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oscuramente sembra alludere l’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinti, quando dice : che non
possono divenire partecipi della mensa del Signore, quelli che si sono contaminati,
partecipando alla mensa dei demoni. E per “mensa” nell’uno e nell’altro luogo intende
(certamente) l’altare. Questa, finalmente, è quella che al tempo della natura e della legge, era
raffigurata con le diverse varietà dei sacrifici: essa che raccoglie in sé tutti i beni significati da
quei sacrifici, come perfezionamento e compimento di tutti essi.
 IN SINTESI, l’itinerario logico del PRIMO CAPITOLO è il seguente:
1. i sacrifici dell’Antico Testamento erano INSUFFICIENTI a realizzare la salvezza;
2. Cristo, vero sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech, ha offerto sull’altare della croce un
sacrificio che ha valore ASSOLUTO E UNICO;
3. I) per lasciare alla Chiesa un sacrificio visibile conforme alle esigenze della natura umana e
II) perché l’offerta del sacrificio della Croce fosse perpetuata ogni giorno con singolare efficacia,
 nell’Ultima Cena egli si è offerto al Padre sotto i segni del pane e del vino e comandò agli
apostoli e ai loro successori di PROLUNGARNE L’OFFERTA.
 La DIFFICOLTÀsta nel precisare il modo della RELATIVITÀ DEL SACRIFICIO DELLA MESSA A QUELLO DELLA
CROCE: Trento individua ovviamente l’elemento ponte che collega la Croce e la Messa
nell’Ultima Cena, ma poi si trova nella difficoltà di precisare se l’Ultima Cena fu già un
sacrificio! Infatti:
 da un lato i padri non possono affermare che il sacrificio redentore sia stato la Cena,
 dall’altro devono trovare in essa un principio che consenta di fondare la natura sacrificale
della Messa in derivazione dalla Croce.
 perciò usano l’espressione sfumata “nella Cena Cristo offrì al Padre il suo corpo e il suo
sangue”, che lascia aperta la porta per collegare Croce e Messa, senza riuscire a precisarne i
termini.
 Per dire il rapporto tra l’offerta della Messa e il sacrificio della croce il decreto ricorre ai termini
REPRAESENTARE e MEMORIA: certamente hanno un significato oggettivo, ma non è facile delineare
con precisione il significato che vi attribuisce:
- in epoca moderna si è ormai indebolita la CONCEZIONE SIMBOLICO-REALE elaborati nell’antichità;
- la separazione del tema del SACRIFICIO da quello del SACRAMENTO non aiuta a comprendere i
termini repraesentatio e memoria nel senso della RIPRESENTAZIONE SACRAMENTALE.
 CAPITOLO II – IL SACRIFICIO VISIBILE COME MEZZO DI PROPIZIAZIONE PER VIVI E DEFUNTI
1743. E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella messa, è contenuto e immolato
IN MODO INCRUENTO lo stesso Cristo, che si immolò una sola volta CRUENTEMENTE sull’altare della
croce, il santo sinodo insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio, e che per
mezzo di esso - se di vero cuore e con retta fede, con timore e riverenza ci avviciniamo a Dio
contriti e pentiti - noi possiamo ottenere misericordia e trovare grazia in un aiuto propizio.
Placato, infatti, da questa offerta, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza,
perdona i peccati e le colpe anche gravi. Si tratta, infatti, della stessa, identica vittima e lo
stesso Gesù la offre ora per mezzo dei sacerdoti, egli che un giorno si offrì sulla croce. Diverso
è solo il modo di offrirsi. E i frutti di quella oblazione (di quella cruenta) vengono percepiti
abbondantemente per mezzo di questa, incruenta, tanto si è lontani dal pericolo che con
questa si deroghi a quella.

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È per questo motivo che giustamente, secondo la tradizione degli apostoli, essa viene offerta
non solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni ed altre necessità dei fedeli viventi, ma anche
per i fedeli defunti in Cristo, non ancora del tutto purificati.
Nel SECONDO CAPITOLO la dipendenza del sacrificio della messa da quello della croce è precisata come
identità sostanziale (messa + croce = 1; identica vittima e identico offerente):
- se la croce è sacrificio propiziatorio anche la Messa lo è;
- nel sacrificio della messa è lo stesso Cristo che si è immolato sulla croce: identica vittima
(Cristo) e l’identico offerente (Cristo).
Le differenze tra il sacrificio della croce e quello della messa sono solo accidentali:
- quello della croce fu cruento questo è incruento;
- là Cristo si offrì di persona, qui si offre attraverso il ministero dei sacerdoti.
affermare che LA MESSA È SACRIFICIO non va a detrimento del sacrificio della croce!
IN CONCLUSIONE, l’unica affermazione di fede veramente definita da questo decreto sembra essere
quella del CARATTERE SACRIFICALE DELLA MESSA, in opposizione alle contestazioni della Riforma.
Ma se questo dato di fede è riproposto in modo chiaro e netto, le spiegazioni non sono le migliori:
ciò dipende dal fatto che Trento non mette in discussione la nozione di sacrificio e la Messa
viene intesa come atto rituale di offerta, appartenente al nuovo regime cultuale inaugurato da
Gesù.
Tale nozione di sacrificio (cultuale), conduce più a SEPARARE MESSA E CROCE che a unirle: manca a
Trento la capacità di far emergere la “SINGOLARITÀ” del sacrificio della croce, che rende pensabile
la sua RIPRESENTAZIONE SACRAMENTALE nella Messa (la Messa è sacrificio solo e in quanto è
sacramento, ossia in quanto riproposizione nella modalità della mediazione sacramentale della
Croce).
L’espressione sacrificio “propiziatorio” rimanda a un immaginario che ha bisogno di precisazioni:
- l’espressione in sé indica che il sacrificio è realmente efficace in ordine alla REMISSIONE DEI
PECCATI, in quanto rende Dio propizio, cioè benevolo, nei confronti del peccatore;
- l’immaginario che la accompagna vede nel sacrificio un gesto capace di placare la collera che
Dio prova a motivo del peccato.
l’espressione mantiene una certa ambiguità poiché Trento impegna i credenti non ad accettare
una certa idea di sacrificio, ma a RICONOSCERE CHE LA MESSA È EFFETTIVAMENTE UN EVENTO DI SALVEZZA ,
non solo una lode a Dio o un puro ricordo degli avvenimenti del Calvario.
4.3. La prassi eucaristica instaurata dal Messale Tridentino
4.3.1. L’Ordo Missae di Pio V
Dopo Trento inizia la RIFORMA LITURGICA: prima c’erano nella Chiesa latina innumerevoli libri liturgici
che, osservando consuetudini liturgiche locali (territoriali) e particolari (ordini religiosi,
confraternite, ...), presentavano un’ AMPIA MOLTEPLICITÀ DI FORME RITUALI DELLA CELEBRAZIONE
EUCARISTICA: pur conservando la medesima struttura celebrativa, differivano per una non identica
disposizione consequenziale delle parti della Messa, per l’uso di formulari e preghiere tipiche,
per invocazioni a santi specifici, per l’aggiunta inopportuna di elementi aventi non di rado
carattere superstizioso o addirittura eterodosso. Alla già non perfetta uniformità rituale del culto
liturgico nella Chiesa latina e alla precarietà di uno stile celebrativo non ancora ben definito, si
aggiungevano pure le sempre più diffuse CONTAMINAZIONI LITURGICHE provenienti dalla teologia
protestante.
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In un contesto storico simile, per purificare il rito della Celebrazione eucaristica da elementi
impropri, nel tentativo di promuovere una MAGGIORE UNITÀ TRA I FEDELI mediante l’unificazione
rituale, i padri del Concilio di Trento stabilirono che fosse redatto un NUOVO MESSALE. A tal fine fu
costituita una commissione di esperti i quali consultarono diligentemente i codici presenti nella
Biblioteca Vaticana e le edizioni correnti del messale, raccolsero e studiarono antichi libri
provenienti da varie chiese locali e considerarono gli scritti dei Padri della Chiesa: si basarono
fondamentalmente sul Messale di Onorio III (pensavano di celebrare come Ambrogio…invece
come Carlo Magno!).
Una volta completato il lavoro, l’opera fu sottoposta a san Pio V, il quale stabilì immediatamente
che il NUOVO MESSALE entrasse in vigore e sostituisse obbligatoriamente tutti quei libri liturgici
che erano stati precedentemente utilizzati nelle comunità di rito latino. Scrive nella QUO PRIMUM:
I sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella
celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare. [...] Ordiniamo che nelle
chiese di tutte le Provincie dell’orbe cristiano [...] dove a norma di diritto o per
consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza
limiti di tempo, la Messa [...] non potrà essere cantata o recitata in altro modo da
quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato.
Ordinò anche che gli ecclesiastici «in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino
tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri messali, per quanto
antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la
forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano
l’audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo
Messale».
 Il Missale Romanum fu introdotto obbligatoriamente dovunque AD ECCEZIONE delle diocesi e
degli ordini religiosi che avevano un rito proprio da almeno duecento anni: il rito mozarabico di
Toledo, il rito di Braga, quello di Lione e il rito ambrosiano di Milano; ma anche delle tradizioni
liturgiche di ordini religiosi quali i certosini, i cistercensi, i domenicani e i carmelitani.
4.4. Epoca post-tridentina
4.4.3. La teologia del sacrificio della messa
La teologia moderna dei postridentini (fino ad Odo Casel) è una teologia del sacrificio che si rifà a
Tommaso: egli distingue il sacrificio all’interno delle oblationes, perché in esso non c’è soltanto
l’offerta di una cosa a Dio, ma anche un’operazione sull’offerta.
Nel comprendere il carattere sacrificale della Messa, si delineano due orientamenti:
 LINEA IMMOLAZIONISTA = ISTANZA DEL VERO SACRIFICIO
Di fronte ai protestanti, per cui la Messa non è sacrificio perché non c’è immolazione, vogliono
mostrare IN CHE MODO L’IMMOLAZIONE SI REALIZZI NELLA MESSA:
1. IN SENSO LARGO, perché ci sia l’immolazione è sufficiente che ci sia un’azione compiuta “circa”
l’offerta, senza che essa sia modificata:
- CANO: la frazione dell’ostia alla comunione;
- SOTO: la comunione;
- SALMERON E MALDONADO: la consacrazione separata delle due specie.
2. IN SENSO STRETTO, ci vuole vera azione che modifichi l’offerta:

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- SUAREZ (mutazione nella sostanza di pane e vino): la Messa ha carattere sacrificale perché è
transustanziazione;
- LUGO (mutazione in Cristo stesso): la Messa è sacrificio perché in essa Cristo assume lo stato
particolare (sacramentale), che è abbassamento (modus mortificatus) in cui Gesù è come
messo a morte in rapporto agli atti vitali che non può più esercitare;
- BELLARMINO (mutazione in Cristo stesso): la Messa è sacrificio perché nella comunione si ha
una vera “consumazione”, “distruzione” di Cristo;
- VASQUEZ (mutazione nelle specie): la Messa è sacrificio relativo, commemorativo, che
avviene per la consacrazione delle due specie separate, e le parole della consacrazione sono
come una spada che uccide, perché separa le specie.
ma ciò è bizzarro e pone come un “secondo sacrificio”!
 LINEA OBLAZIONISTA = ISTANZA DELL’UNICO SACRIFICIO
L’intenzione di fondo è quella di mantenere l’ UNICITÀ DEL SACRIFICIO di Cristo offerto nella Messa:
1. si riduce la nozione di sacrificio a quella di OBLAZIONE: l’immolazione è solo la condizione previa
perché la vittima possa essere offerta, ma il sacrificio consiste non nell’immolazione
(distruzione della vittima), bensì nell’oblazione, nell’amore sacrificale! Ne sono esponenti
Bérulle, Lepin.
2. Cristo ha sempre offerto durante tutta la sua vita terrena se stesso al Padre; anche ora in cielo
permane ETERNO SACERDOTE e può ancora offrire al Padre le sue sofferenze passate (cfr. Lettera
agli Ebrei); nella Messa viene reso presente Cristo come VITTIMA GLORIOSA che si offre al Padre
e la Chiesa vi si unisce.
il contenuto della Messa non è più la croce, ma la vittima gloriosa nella “METASTORIA” (De la
Taille)
 Dalla discussione emerge l’impossibilità di giungere a qualificare la Messa come sacrificio a
partire da una nozione generale di sacrificio. L’Eucaristia si chiarisce solo a partire dalla
singolarità di Gesù e del “suo” sacrificio.
 CASEL arriverà a dire l’importanza di riscoprire il sacrificio nella Croce, e la Messa è sacrificio
perché è sacramento del sacrificio, RIPRESENTAZIONE SACRAMENTALE dell’unico sacrificio di Cristo!
E così si rimettono insieme il tema della presenza e quello del sacrificio!

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