Protologia
- prof. Roberto Carelli -
Materiali per il corso
- schemi-dispense del professore
- FRANCO GIULIO BRAMBILLA, Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 2005
Introduzione
Il mondo vive del benessere piuttosto che del bene; invece è fondamentale considerare e indagare
l’UMANITÀ DI CRISTO (uomo nuovo), inseparabile da Maria (donna nuova) e dalla Chiesa (umanità
nuova): è necessario passare da un’antropologia separata (contenuti della fede estrinseci a quelli
elaborati a monte della fede) a un’antropologia unificata, dove i dati della fede sono il
fondamento e il compimento dei dati creaturali.
Esistono:
- ANTROPOLOGIA CULTURALE (esame comparato delle culture e del loro apporto)
- ANTROPOLOGIA FILOSOFICA (cosa è l’uomo…tenendo conto dei dati “creaturali”)
- ANTROPOLOGIA TEOLOGICA (l’uomo come Dio lo ha pensato, tenendo anche conto del peccato)
Bisogna lasciarsi istruire dalla rivelazione: consideriamo allora l’umanità cristiana, l’uomo in Cristo!
Senza cadere nel duplex ordo, attenzione a non presupporre la filosofia alla teologia…bisogna
tuttavia evitare il contrario: che la rivelazione si disinteressi della creazione! Far teologia significa
prendere tutto ciò che siamo e permettere alla rivelazione di darle compimento.
Il dato fondamentale è teologico, non umano: siamo creature di Dio, questo è il dato di fatto.
L’essere cristiani (creati in Cristo) è fondamentale; pur partendo dalle precomprensioni, dalla
percezione (giusta) dei DATI CREATURALI, si deve giungere alla visione unificata della verità divina:
L’UOMO È CREATO IN CRISTO!
1
…è sempre necessaria una ADOZIONE, anche nella filialità naturale: se il genitore non “riconosce”, si
resta bambini e mai si diviene figli.
2
“non fare mai profezie negative a un giovane…perché le avvererà”
2
• TESI GENERALE: l’antropologia teologica intende mostrare che LA VISIONE CRISTIANA DELL’UOMO è
l’attuazione eccedente (gratuita), normativa (non facoltativa) 3 ed escatologica (definitiva) 4
dell’apertura che appartiene alle condizioni antropologiche originarie di ogni esperienza umana e
alle forme pratiche in cui si determina.
2. Un tornante decisivo: il Concilio Vaticano II
La ricezione del CVII è stato piuttosto problematico…la questione fondamentale (cfr. DV e GS) è che
senza la ripresa del principio di Rivelazione non si fa teologia!
• SPINTA DEL CONCILIO:
1. la Rivelazione di Dio è unità di parola ed evento (superamento di una visione intellettualistica);
2. il carattere dominante del CVII è la sua indole pastorale (impegno dottrinale non così marcato);
3. spinta dominante è l’apertura al mondo contemporaneo (superando il rifiuto della modernità);
4. l’invito più pressante è all’attenzione ai segni dei tempi (superando di una visione dottrinalistica
della fede: l’Alleanza con Dio avviene e si approfondisce nella storia).
• ANTROPOLOGIA TEOLOGICA E RINNOVAMENTO CONCILIARE. L’apertura al mondo ha finito per rappresentare
un’arma a doppio taglio: la mancanza di una critica specifica alla figura antropologico-sociale che
soggiaceva ai fatti di civiltà assunti nella riflessione teologica ha corso il rischio di un concordismo
affrettato e di una soggezione allo spirito del tempo.
• MERITI E I LIMITI DELLA GAUDIUM ET SPES PER L’ANTROPOLOGIA TEOLOGICA secondo tre autori:
o SCHILLEBEECKX
1. La Bibbia non ci dà né un’antropologia né una cosmologia (ATTENZIONE: è pericoloso e falso,
riduttivo!): ci dice solo che l’uomo è amato da Dio; poiché le categorie bibliche sono soggette
al mutamento culturale dovuto alla coscienza storica dell’uomo, dalla Bibbia non si può
ricavare un’antropologia (secondo Schillebeeckx vanno demitizzate).
2. La Rivelazione determina in maniera nuova l’esperienza umana, ma il contenuto determinato
dell’essere uomo nel mondo non proviene dalla rivelazione, ma dall’esperienza degli uomini,
cristiani e non cristiani (ATTENZIONE: questo crea una pericolosa spaccatura tra umano e
divino!). Con tale affermazione l’Autore va oltre le intenzioni e il dettato del Concilio nel suo
proposito di apertura al mondo.
3. Eppure il suo orientamento divenne maggioritario, soprattutto nell’inclinazione escatologica
di molti fra i più noti autori, secondo cui il principio cristocentrico va inteso in senso
prevalentemente critico-negativo, cioè nella sua capacità di tenere aperta la storia verso il
suo compimento ultimo mediante la contestazione delle condizioni presenti.
4. In realtà tale linea dissolve l’antropologia teologica, precisamente in quanto teologica, in
quanto i suoi contenuti materiali non sono desunti dalla fede, ma dalla cultura (Moltmann,
Metz, Teologia della liberazione), mantenendo il duplex ordo.
3
«Dio non vuole essere subìto, ma amato» (Sequeri): è un dono ma non facoltativo! Dio vuole farci
il dono di grazia, non vuole farcene un altro; e tuttavia è libero da accogliere! Non è facoltativo, ma
non è obbligante. Il disegno di Dio è DRAMMATICO, chiama in causa la libertà; i doni naturali sono fatti
proprio per rispondere liberamente al dono della grazia (la vita del Figlio che ci divinizza); al punto
che l’unico “valore assoluto” è questo dono, non altro! La predestinazione, la destinazione definitiva,
è la grazia, la divinizzazione (cfr. san Paolo), la vita di grazia e gloria, il Paradiso.
4
In Cristo, Dio ha dato tutto: non ha nulla di più e di meglio da donarci, perché in Lui è tutto! Dio
fonda il tuo desiderio…e lo colma!
3
o DE LUBAC
1. Il pregio del Concilio è quello di aver sviluppato la problematica del soprannaturale
superando il dualismo dei due ordini (natura e grazia) in direzione della loro unità
cristocentrica: l’uomo viene decifrato soltanto nel suo radicale riferimento a Gesù Cristo.
2. Anch’egli va oltre il Concilio, ma nel senso che intende, insieme ai più noti teologi cattolici
(Rahner, Balthasar, Schillebeeckx, Bouillard, Flick-Alszeghy), superare definitivamente la
teologia dei due ordini e dei due fini.5
o COLOMBO
1. Va al di là della Gaudium et Spes, riconoscendole di aver tolto molti ostacoli al configurarsi
cristocentrico dell’antropologia teologica, ma dichiara apertamente che la Gaudium et Spes
è rimasta a metà strada: lo si vede nella tensione fra l’esposizione introduttiva, che apre in
prospettiva storica (la vicenda dell’uomo), e la prima parte del documento, che ritorna ad
una prospettiva essenzialista (la struttura dell’uomo).
2. Ciò evidenzia le due anime del Concilio: tener fermo sull’elevazione dell’uomo all’ordine
soprannaturale, sviluppare le implicazioni dell’unità cristocentrica del piano di Dio. Di fatto,
nonostante la positiva esclusione della teologia dei due ordini, l’antropologia proposta è
ancora quella del manuale.
3. L’indicazione positiva, anche in ordine all’intenzione pastorale del Concilio, è la seguente: la
rilevanza del messaggio evangelico non deve essere l’istanza originaria per la sua
presentazione, bensì è la singolarità dell’evento cristiano che porta in sé la forza di esibire le
ragioni della sua verità dinanzi all’uomo e alla sua epoca. La teologia va costruita sulla
rivelazione, non direttamente sul magistero, né tantomeno sulla cultura.
o OLTRE IL CONCILIO: QUESTIONI APERTE
1. L’antropologia teologica della Gaudium et Spes ha deboli legami con gli altri insegnamenti
conciliari, che invece, specialmente con la Dei Verbum, sarebbero auspicabili.
2. Il limite del Concilio si evidenzia nel fatto che il rinnovamento teologico non si è prodotto in
dipendenza di esso.
3. Restano di fatto aperti, nel dopo-Concilio, i grandi temi del superamento del manuale, dalla
svolta antropologica, del rapporto con le scienze umane.
4. La Gaudium et Spes non può essere proposta né come la fine del precedente modello
manualistico, né come l’inizio di un nuovo paradigma antropologico: è un punto di passaggio.
Essa suggerisce piuttosto alcune istanze: centralità del mistero di Cristo, visione unitaria
dell’uomo, interpretazione della modernità.
5. Resta importante tener presente che se la teologia moderna ha proposto una concezione
della natura a cui la grazia sopraggiunge solo in seconda battuta, il superamento dello schema
dualistico, cui corrisponde la separazione di ragione e fede, non può però portare a forme di
confusione e di immanentismo tra libertà e grazia, creazione e redenzione, cristianesimo e
religioni.
5
Possiamo onestamente dire che la Gaudium et spes DÀ INIZIO AD UN CAMBIAMENTO, da un impianto
amartiocentrico e segnato dal duplex ordo ad uno più cristocentrico ed unitario.
4
3. La genesi dell’antropologia nella cultura moderna
3.1. Le ragioni dell’assenza dell’antropologia teologica
L’assenza di una considerazione sintetica e organica del discorso teologico sull’uomo pone
l’interrogativo su quali ne siano i motivi. Il punto di vista corretto è la storia della fede. Ora, il
discorso cristiano ha sempre tenuto la riflessione sull’uomo nel fuoco della sua relazione con Dio:
l’uomo non va presupposto a Dio, ma va inteso come posto da Dio! Serve un’antropologia
unificata in Dio: la rivelazione la creazione come suo partner (il desiderio di auto-comunicarsi, di
rivelarsi, pone l’uomo in un disegno unitario). La rivelazione presuppone la creazione.
Ma poiché l’orientamento del pensiero moderno capovolge la tradizione antica e cristiana,
l’antropologia teologica nasce fin da subito scompensata da una simultanea attrazione e
repulsione verso il moderno: attrazione per via dell’attenzione all’uomo, repulsione per via della
negazione di Dio. Con la MANUALISTICA, la considerazione dell’uomo c’è, ma è disseminata: il
manuale propone le affermazioni cristiane sull’uomo, tuttavia non le raccoglie in un discorso
unitario, ma le distribuisce in luoghi molto differenti per ispirazione e metodo: De gratia, De Deo
creante et elevante. De peccato originali, De virtutibus, De novissimis.
La ragione fondamentale della mancanza di organicità dell’antropologia manualistica sta nell’origine
antimoderna del manuale, e nel conseguente ritardo della teologia cattolica nel confronto con la
modernità civile e culturale. Da qui lo SCHEMA APOLOGETICO 6 che comanda la presentazione dei
contenuti cristiani dell’antropologia: esso ne impedisce l’unitarietà e l’organicità e ne pregiudica il
carattere teologico. Nel manuale non c’è un discorso organico sull’uomo, poiché la cultura
moderna e la teologia moderna si sono sviluppate su percorsi paralleli ed estranei: mentre la
teologia rimaneva ripetitivamente insediata sui moduli dell’ontologia metafisica, il pensiero
moderno si orientava sui sentieri che avrebbero condotto verso un’antropologia personalista. 7
Un’estraneità che non ha potuto peraltro evitare una certa sudditanza da parte della teologia: ciò
che non viene elaborato criticamente, viene subìto!
3.2. Eredità cristiana e nascita dell’antropologia
LA NOVITÀ DEL PENSIERO CRISTIANO E I CONDIZIONAMENTI DELL’ANTROPOLOGIA PAGANA.
1. Il fatto cristiano impone al pensiero la prospettiva della storicità degli interventi divini e della
libertà personale che è invitata ad entrare in dialogo con essi. Tuttavia, l’acquisizione feconda di
questa prospettiva, costantemente rallentata dall’inevitabile impatto con il pensiero pagano
(metafisico in occidente, panteistico in oriente), avviene solo al termine dell’età moderna.
2. Nella riflessione dei padri, la realtà creata era distinta neoplatonicamente in mondo, uomo e
angeli, e la dottrina sull’uomo era significativamente dottrina dell’anima: si studiava la spiritualità
dell’uomo come ciò che lo distingue dalle altre creature, si affrontava principalmente la questione
della sua immortalità, si cercava infine il modello con cui pensare la sua unione con il corpo.
3. Due le polarizzazioni del discorso patristico: l’orientamento spiritualistico-religioso (platonico) che
pensa l’uomo (l’anima) nel processo di uscita e ritorno a Dio, e l’orientamento metafisico-
naturalistico (aristotelico) impegnato nella definizione analitica delle componenti umane e della
loro unione.
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difesa dagli attacchi protestanti e illuministi; ma ragionando solo su ragione e fede (illuminismo e
luteranesimo) si perde di vista la centralità e il fondamento in Cristo!
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il personalismo nasce ebraico…non cattolico: è io-tu, non trinitario.
5
L’ITINERARIO DELL’ANTROPOLOGIA NEL CONTESTO DELLA MODERNITÀ.
1. Genesi dell’antropologia teologica: orientamento umanistico rinascimentale e primato dell’uomo
sul cosmo, rivoluzione cartesiana come spostamento della verità dal versante oggettivo al versante
del soggetto, sviluppo del sapere scientifico e sua elevazione a paradigma del sapere,
avanzamento dei processi di secolarizzazione, il cui significato oscilla fra usurpazione dei contenuti
cristiani (Guardini), logico sviluppo del cristianesimo (Löwith, Gogarten, Metz), autoaffermazione
della ragione (Blumenberg). …ma non bisogna separare le due questioni: si dice bene parlando di
“relativa autonomia delle realtà creaturali”, così da non cadere né nell’impostazione sacrale né in
quella secolare.
2. L’antropologia nasce, anche come termine, nel secolo XVI, e nasce come studio scientifico delle
costanti naturali dell’uomo. La distinzione di Wolff tra scienze razionali e scienze empiriche, e
l’assunzione del profilo scientifico dell’antropologia da parte di Kant, producono una sempre più
profonda separazione fra le affermazioni classiche sull’uomo, sentite come precritiche, e le
affermazioni empiriche, sentite come scientifiche.
3. Con il romanticismo, dove l’antropologia diventa la forma radicale della filosofia, si consuma la
svolta antropologica del pensiero moderno e contemporaneo, fino a che, con i post-hegeliani, si
compie la sostituzione programmatica di Dio attraverso l’uomo. In due momenti distinti:
- RIFIUTO DELLA CONOSCENZA METAFISICA (Marx, Feuerbach),
- CONSIDERAZIONE DELL’UOMO CONCRETAMENTE ESISTENTE (Kierkegaard, Stirner):
da ciò si intuisce la tendenziale dissoluzione dell’antropologia filosofica e la sua diluizione nelle
scienze umane.
I PERCORSI DELL’ANTROPOLOGIA NEL XX SECOLO.
1. Comune denominatore è l’attenzione alla condizione esistenziale del singolo, alla sua finitezza: a
ciò corrisponde l’inclinazione fenomenologica del pensiero, ossia l’attitudine a cercare l’essenziale
delle cose non superando, ma approfondendo la sua fattualità e contingenza.
2. Affermazione della centralità ontologica dell’antropologia: poiché l’uomo è il luogo in cui la
questione dell’essere si pone, l’essere manifesta la sua verità, pur nella sua insuperabile differenza,
proprio nella temporalità, che nell’uomo giunge a coscienza e a parola. Bisogna riprendere la
metafisica e piuttosto rileggerla come una meta-antropologia (Balthasar).
3. Tesi dell’uomo come esistenza, sporgenza rispetto all’immediatezza di sé e alla attualità del dato:
l’uomo come essere simbolico, come apertura al mondo e al tempo stesso trascendenza rispetto
al mondo.
4. Crisi del discorso sull’uomo: l’antropologia filosofica viene sospettata di ideologia, le scienze
umane denunciate per la parzialità del loro punto di vista metodologico. Non c’è più un discorso
unitario sull’uomo, “l’umano che è comune” (cfr. Sequeri) non è più riconosciuto, ma è difficile
perché oggi sembrano essere negate-manipolate anche le evidenze più elementari.
4. L’estraneità della teologia all’evoluzione dell’antropologia
4.1. Il sistema di Wolff e la nascita della teologia manualistica, controversistica
e dogmatica
→ manualistica, controversistica (combattendo Lutero e Voltaire), dogmatica (come punto sicuro)
ORIENTAMENTO GENERALE. A livello metodologico, il manuale moderno che nasce con Wolff sostituisce
la summa medioevale: il principio sintetico-metafisico della teologia scolastica cede il passo
all’ispirazione analitico-scientifica della teologia manualistica. Da un sapere unitario si passa a un
sapere enciclopedico, dall’intuizione ontologica si passa alla deduzione logica.
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PIANO METAFISICO. La concezione di Wolff opera un’immediata identificazione fra il problema
dell’essere e la questione di Dio: è ciò che Heidegger criticherà come ontoteologia, il cui doppio
difetto è quello di togliere serietà tanto all’interrogazione ontologica quanto alla rivelazione
teologica, tanto al mistero dell’essere (la differenza ontologica per cui l’essere si dà nella finitezza
degli enti, e gli enti partecipano della pienezza dell’essere) quanto al mistero di Dio (la sua libera
auto-comunicazione, indeducibile dalle precomprensioni dell’uomo).
PIANO ANTROPOLOGICO. Wolff, con la distinzione fra psychologia rationalis e psychologia empirica, da
una parte favorisce lo sviluppo dell’antropologia scientifica, d’altra parte immunizza l’antropologia
filosofica e teologica dalle acquisizioni di quella scientifica.
PIANO TEOLOGICO. Lo schema wolffiano risultava comodo e disorganico. Comodo, perché dava ordine
alle affermazioni cristiane sull’uomo, venendo incontro alle esigenze pratiche dell’insegnamento
seminaristico, della predicazione, della difesa della dottrina cattolica; disorganico, perché
mancando di un principio di unità teologico e non solo logico, non esponeva la dottrina sull’uomo
secondo le esigenze della rivelazione. Così la scientificità della teologia (il disinteresse teorico,
l’amore per la verità) si scontra con la sua pastoralità (l’interesse pratico, l’amore per la Chiesa).
→ L’antropologia teologica MANUALISTICA si configura in tal modo come:
- CONTROVERSISTICA, cioè finalizzata a compiti polemici e apologetici, e
- DOGMATICA, cioè dedotta dal magistero e non dalla rivelazione.
Invece, “il dogma cristiano non costituisce, in prima linea, un problema di autorità, ma orienta verso
un problema di verità” (Kasper): far parlare la rivelazione, non tanto far tacere l’avversario!
Nasce una figura storica della teologia che è chiamata Denzingertheologie (o teologia del Magistero,
o teologia delle conclusioni): è una teologia che prende in esame il dato rivelato che ha avuto una
chiarificazione autorevole da parte del magistero, una teologia che si comprende come
spiegazione e difesa del magistero. In essa, i dogmi non vengono più visti come strumento
interpretativo del dato rivelato, ma diventano il punto di partenza da difendere e da provare
mediante il dato rivelato.
4.2. L’assestamento “apologetico” e la teologia del “duplice ordine”
Il limite di fondo del sistema di Wolff dipende nel suo legame con la scolastica di Suarez e nella sua
ignoranza della scolastica di Tommaso: Wolff conosce Tommaso mediante la metafisica di Suarez,
e questo, unitamente alla pressione del sapere scientifico, lo spingeva a pensare i rapporti fra fede
e ragione e tra natura e soprannatura come il rapporto fra due ordini non intimamente connessi.
Suarez è il propugnatore della nozione di “NATURA PURA”, per la quale l’uomo non è determinato dal
suo unico fine soprannaturale: ne viene una considerazione essenzialistica, destoricizzata
dell’uomo e della sua vicenda. Di conseguenza, la ragione/natura saranno percepite in modo
sempre più autonomo; e la fede/soprannatura verranno inesorabilmente presentate come
aggiunte ad una concezione dell’uomo in sé autosufficiente. E si verificherà la graduale risoluzione
del tema della gratuità del soprannaturale nella tesi della sua accidentalità, esteriorità,
sopravvenienza nei confronti della natura. Questo è lo schema che approda al Concilio Vaticano I.
La teologia neoscolastica si fonda sulla contrapposizione fra teologia e pensiero moderno, e fra
teologia (verità, oggettività) e storia (libertà, soggettività):
1. cercherà una filosofia amica della fede;
2. affermerà la competenza della fede sulla filosofia;
3. consacra, in fondo, la separazione moderna di fede e ragione, correggendola soltanto mediante
la postulazione di una filosofia sicura, vera.
7
6. La nascita del De Deo creante et elevante e la nozione di “natura pura”
6.1. Filosofizzazione del tema della creazione
→ Non solo “distinguere per unire” (Maritain), ma “distinguere nell’unito” (Biffi).
Lo sfondo della trattazione dei RAPPORTI RAGIONE-FEDE e NATURA-SOPRANNATURA che caratterizza il
trattato di antropologia teologica della modernità è uno schema giustapposto e dualistico. Il
motivo ultimo è la dimenticanza della dimensione storico-cristologica della creazione, che porta
inevitabilmente ad una considerazione di tipo cosmologico-essenzialista.
La trattazione si svolge in due momenti:
1. nel primo si parla di DIO COME CREATORE: non si vede tanto la creazione come realtà originata, ma
si considera Dio come causa e origine delle cose. L’essere creatore è un attributo di Dio,
considerato non nel suo agire storico-salvifico, ma nel suo essere assoluto e necessario posto a
confronto con la realtà contingente delle creature. La conclusione è che la creazione non è che
“una certa relazione” con il Creatore, una relazione di origine. In tal modo, l’agire creatore è
svincolato dal problema dell’inizio del mondo ed è collocato nella prospettiva metafisica del
fondamento dell’essere finito;
2. il secondo momento tratta degli EFFETTI DELLA CREAZIONE: mondo, uomini e angeli. L’orizzonte
cosmologico prevale su quello antropologico: la creazione è vista come produzione di enti, e
l’uomo emerge a motivo dell’anima, le cui caratteristiche sono la spiritualità e l’immortalità.
Al di sotto di questa configurazione sta la concezione dell’UOMO COME NATURA, cioè come un essere la
cui definizione può prescindere dal rapporto storico-salvifico con Dio. Il patrimonio antropologico
assume un carattere marcatamente filosofico.
6.2 La natura pura: Baio e la controversia post-baiana
La grazia è un dono, superiore alla nostra natura di creature: non la puoi indovinare, non puoi dartela
da solo, ti può essere donata e…la puoi rifiutare. GRATUITÀ DELLA GRAZIA: non puoi pretenderla, sei
una creatura e sei peccatore! Questo era un concetto “intoccabile”…
Michele Baio (1513-1589) distingue la situazione dell’uomo dopo il peccato (STATO DI CADUTA, per il
quale la grazia è gratuita nel senso che non può pretenderla), da quella dell’uomo prima del
peccato, (STATO ORIGINARIO: in quest’ultima condizione egli dice che i doni di grazia erano “naturali”).
L’intento di Baio è di controbattere i riformatori sul loro stesso terreno, assumendo la prospettiva
storica e mitigando il pessimismo antropologico protestante. Per questo parla dei doni di grazia
dello stato originario, e per questo li qualifica come “NATURALI”: per dire che erano dati insieme
alla natura (PROSPETTIVA STORICA, intesa da Baio), non invece nel senso di una esigenza morale o
ontologica dei doni soprannaturali a partire dalla natura (PROSPETTIVA ONTOLOGICA, estranea a Baio).
L’equivoco dipendeva dai termini del dibattito dell’epoca. Nello stato di natura innocente, l’uomo
era caratterizzato dalla integritas e dalla rectitudo, e queste erano intese secondo due linee
liberamente dibattute:
1. linea tradizionale: Dio ha creato il mondo immediatamente con il dono dello Spirito Santo;
2. linea dei teologi moderni: il dono dello Spirito sarebbe stato concesso solo in un secondo tempo.
Trento non aveva preso posizione. Per Baio, la prima linea è propria di tutti i Padri, e la seconda è
da respingere, perché configura la relazione con Dio come non originaria.
Particolarità di Baio sta nel fatto di definire lo stato di grazia della natura innocente come “naturale”,
perché, assumendo la prospettiva storico-rivelata, usa il termine soprannaturale nel senso di
“miracoloso”, mentre i doni dati nello stato di natura innocente erano “naturali”, cioè dati insieme
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alla natura. Per lui, “NATURALE” non voleva dire costitutivo (prospettiva ontologica), ma ORIGINARIO
(prospettiva storica). Il che non tocca minimamente la loro gratuità. L’equivoco sorgeva per il fatto
di trattare sullo stesso terreno la natura innocente e i doni di grazia.
La teologia antibaiana elabora per reazione la nozione di “NATURA PURA” per garantire la gratuità
dei doni di grazia. Tale nozione viene assunta dapprima come ipotesi (già con Gaetano, Tommaso
de Vio, Bellarmino, Suarez); la grazia non è gratuita solo per l’uomo peccatore, in quanto non può
meritarla, ma è gratuita in se stessa: Dio avrebbe potuto creare l’uomo senza la grazia, cioè senza
un fine soprannaturale e senza i mezzi per conseguirlo. Perciò, se l’uomo è dotato di grazia ed è
chiamato all’unico fine dell’amicizia con Dio, questo ha un indubitabile carattere “soprannaturale”.
In questo senso l’idea di natura pura appare come un dispositivo logico per spigare e salvare la
soprannaturalità del fine e la gratuità della grazia.
LE FASI DELLA DISPUTA E GLI ESITI
1. Alla condanna di Baio (Bolla di Pio V 1567), i cui testi vennero censurati e resi indisponibili alla
lettura, corrisponde l’imporsi della teologia del soprannaturale. L’ipotesi è diventata realtà: la
condizione originaria dell’uomo corrisponde a quella della natura pura, senza la grazia.
→ “libero” non vuol dire “facoltativo”, così come “gratuito” non vuole dire “facoltativo”!
2. Le scuole si contrappongono senza intendersi, e le posizioni si radicalizzano:
- i baiani interpretano la grazia fra gli elementi costitutivi della natura (il che è erroneo: la grazia
è sempre grazia, cioè gratuita!),
- gli antibaiani impongono il duplex ordo (il che è erroneo: l’unico fine esistente è quello
soprannaturale):
la prospettiva ontologica assorbe quella storica, il soprannaturale è pensato come inesigibile,
immeritato, non solo dopo, ma anche prima del peccato.
3. Chiara la forzatura ontologica: la questione era la chiamata alla beatitudine nel passaggio dallo
stato originario allo stato di caduta e redenzione, ma la teologia post-baiana passa dalla
prospettiva dei mezzi (l’aiuto della grazia) alla prospettiva dei fini (la gratuità della grazia), e si pone
nell’ottica della gratuità del fine soprannaturale, confermando la necessità e la realtà della natura
pura, cioè di un uomo dotato di un fine esclusivamente naturale.
6.3. Le resistenze dello schema apologetico
RIASSUMENDO: il discorso sulla NATURA PURA, introdotto come ipotesi per spiegare la gratuità del fine
soprannaturale, l’unico storicamente esistente, trapassa insensibilmente alla natura pura
considerata come entità storicamente realizzata. Avviene la progressiva reificazione dell’ipotesi,
che al contrario rende ipotetico, aggiuntivo e irrilevante il fine soprannaturale. La preoccupazione
che comanda il passaggio è l’intento di salvare uno spazio per la fede oltre la ragione, nella misura
in cui la ragione pretende di valere come evidenza originaria a proposito dell’uomo. Il punto è che
lo spazio della fede non si salva così!
CONSEGUENZE IN TEOLOGIA. Per opporsi al pessimismo antropologico protestante, la teologia cattolica
(specie gesuita) minimizza le conseguenze del peccato: contrapponendosi all’ispirazione
agostiniana che pensava il confronto fra l’uomo integro e l’uomo decaduto usando l’immagine del
tamquam vulneratus a sano (l’uomo dopo il peccato è ferito, mentre prima del peccato era sano),
la scuola gesuitica propone l’espressione tamquam spoliatus a nudo (l’uomo dopo il peccato è
spogliato dall’abito della grazia): sostanzialmente non c’è differenza fra il primo e il secondo uomo,
se non la perdita dei doni di grazia.
→ questo è il grande rischio in cui si cade oggi: che in fin dei conti si stia bene anche senza fede…
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CONSEGUENZE FUORI DALLA TEOLOGIA. L’ottimismo antropologico della nuova impostazione favorì
l’autonomia assoluta della filosofia moderna: mentre la tradizione antica collocava la consistenza
relativa della libertà dentro l’unico fine soprannaturale, la nuova interpretazione tende a leggere
la stessa libertà come qualcosa che può esistere anche fuori dalla fede. La fede viene sempre più
considerata esteriore e aggiuntiva rispetto all’essenza razionale dell’uomo. E la libertà, che nella
fede è considerata come implicazione del dialogo di alleanza, ora viene sottratta al riferimento
rivelato e viene studiata nelle sue condizioni storiche (psicologiche, sociologiche, economiche,
politiche…).
RISULTATO GLOBALE: antropologia del duplice fine. Da qui il dualismo del trattato De Deo creante et
elevante e il limite delle sue articolazioni:
1. l’uomo nello stato originario: i doni proporzionati alla natura sono NATURALI; quelli che la
superano solo quoad modum sono PRETERNATURALI (scienza infusa, integrità immortalità), e quelli
che la superano quoad substantiam, cioè non sono costitutivi della natura, e dunque non
possono essere dedotti dall’uomo neque costitutive, neque exigitive, neque consecutive (non
sono né costitutivi, né esigibili, né conseguenti alla natura), sono SOPRANNATURALI;
2. l’uomo nel peccato: il peccato originale è interpretato come PERDITA DELLO STATO ORIGINARIO; il
riferimento del ragionamento è Adamo, non Cristo, e l’impostazione teologica non considera la
storia della salvezza, ma solo la natura creata.
6.4. Lo sgretolamento di un traguardo rassicurante
Il trattato così impostato è intrinsecamente fragile: è distante sia dalla rivelazione che dalla ragione,
sia dalla fede che dalla cultura. La sua disgregazione sarà il frutto dell’azione incrociata del
recupero teologico del principio di rivelazione e dall’acquisizione filosofica della svolta
antropologica.
Il rinnovamento biblico-teologico recupererà il contesto semitico delle affermazioni bibliche, che
non è semplicemente logico, ma soteriologico, non subito essenziale, ma esistenziale. E lo sviluppo
filosofico metterà in discussione la metafisica greca, in realtà la metafisica suareziana-wolffiana,
che stava alla base dell’impianto.
L’INDICAZIONE POSITIVA conseguente alla dissoluzione del trattato è ricalibrare l’idea di soprannaturale
in modo cristiano. Si è compreso che non si trattava di ripensare alcuni temi, ma di riscoprire il
senso stesso della rivelazione e le linee di forza della sua visione dell’uomo: con la rivelazione si
tratta dell’AUTOCOMUNICAZIONE DI DIO ALL’UOMO NELLA STORIA, il partner umano del Dio dell’alleanza vi
è originariamente implicato!
La nuova visione impone di chiarire i due poli entro cui avviene il dialogo salvifico: GESÙ CRISTO, come
vertice dell’autocomunicazione divina, e l’UOMO come suo destinatario. Gesù diventa il senso
dell’uomo, la sua piena rivelazione. Essere uomini significa scoprire e vivere il proprio destino in
rapporto con il destino di Gesù. Il che chiede di istituire correttamente la relazione fra cristologia
e antropologia. Cristo è il logos dell’uomo: Egli doveva incarnarsi per realizzare in pienezza l’uomo.
→ Cristo è PERSONALE e STORICO, si offre nella dinamica di dono e libertà: non puramente trascendente
(idea platonica) né puramente immanente (autarchia aristotelica). Per questo Cristo si esplicita in
tre forme della sua corporeità: Maria, Eucaristia e Chiesa (“i tre amori bianchi”).
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7. Cristologia e antropologia: l’approdo contemporaneo
Ricentrare l’antropologia teologica sulla cristologia. Due approssimazioni:
I. teologica: basata sul concetto di RIVELAZIONE (come evento della verità);
II. culturale: non un’impostazione cosmocentrica o antropocentrica, ma dev’essere CRISTOCENTRICA.
Poiché l’esistenza cristiana è vivere “per Cristo, con Cristo e in Cristo”, il principio architettonico
dell’antropologia teologica dev’essere la rivelazione, precisamente l’evento di Gesù Cristo.8
7.1. Prima approssimazione: un consenso variegato
La tesi della predestinazione
ESITO CONVERGENTE DEL PERCORSO STORICO: l’antropologia teologica riflette criticamente sul sapere
cristiano intorno all’uomo determinato dall’evento cristologico. La storia di Gesù è il luogo
dell’autocomunicazione di Dio all’uomo, una manifestazione/presenza/comunione che non
assorbe la consistenza e la libertà dell’uomo, ma la ISTITUISCE, la REDIME, la PORTA A COMPIMENTO.
PRIMA IMPLICAZIONE, sulla quale la convergenza si attenua: l’umanità singolare di Gesù determina
l’umanità in senso universale. Gesù Cristo è cioè la figura compiuta del destino di ogni uomo. La
(pre-)destinazione dell’uomo a Cristo è talmente reale e assoluta, da assumere, nel caso della sua
perdita, la forma della REDENZIONE e della GIUSTIFICAZIONE, il che significa che Cristo non determina
l’uomo solo in senso strutturale (logico), ma anche in senso drammatico (cronologico). Bisogna
superare (ed era la cosa difficile) la spaccatura cristocentrismo/amartiocentrismo.
PRIMA DIFFERENZIAZIONE CRITICA:
1. alcuni aggiornano semplicemente lo schema del duplex ordo: il punto di partenza non è più la
natura, ma la storia dell’uomo, tuttavia lo schema del soprannaturale resta immutato: non si
vede perché Gesù è determinante;
2. altri, avversando lo schema dualistico moderno, operano una concentrazione cristologica
dell’antropologia, ma stentano a metterne in luce la mediazione antropologica della cristologia:
non si vede perché l’uomo è determinante (primato della grazia ed esercizio della libertà non si
possono separare!);
3. altri ancora, con più verità, superano definitivamente l’ordine dei due fini, sia nella sua versione
naturalistica che in quella soprannaturalistica: il fine rivelato nell’ordine storico-salvifico è
l’unico fondamento e l’unico compimento dell’uomo e della sua natura.
PRIMA PRECISAZIONE. Poiché la rivelazione è un evento STORICO che attua una struttura ORIGINARIA, si
deve chiarire che:
1. la PREDESTINAZIONE dell’uomo può essere saputa solo A POSTERIORI mediante la rivelazione, poiché
essa è una determinazione dell’uomo che da parte di Dio è gratuita, e, perciò da parte dell’uomo
può essere saputa solo nella forma della fede, cioè nella forma di una libertà che vi accede
acconsentendovi;
2. il FINE SOPRANNATURALE deve correlarsi con la figura della COSCIENZA CREDENTE e con le forme
storiche con cui essa si configura: l’analisi della coscienza credente è in questo senso il momento
a priori della predestinazione, cioè la condizione di possibilità stessa del suo accadere;
3. la RELATIVA AUTONOMIA della coscienza credente non può comunque essere pensata come
momento preambolare, estrinseco, cioè come condizione esterna, alla destinazione cristologica,
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L’evento di Gesù Cristo vuole tenere insieme la sua singolarità e sua pretesa di valore universale
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ma come la MEDIAZIONE DELLA SUA INTENZIONE REALE (= la coscienza dell’uomo è originariamente
credente perché è ontologicamente destinata a consentire all’autocomunicazione di Dio).
Concretamente: Dio ci dona Gesù, la sua vicenda umana, la sua fede, la sua obbedienza, come il
compimento eccedente la nostra ragione e la nostra libertà.
Teoreticamente: il rapporto rivelazione-fede
- è un A POSTERIORI A PRIORI (= poiché la predestinazione è una grazia, essa deve essere
storicamente incontrata, donata e accolta, non semplicemente riconosciuta come afferrabile
dal pensiero o esigibile da parte del desiderio)
- e un A PRIORI A POSTERIORI (= la predestinazione è un disegno eterno che però, in quanto il suo
contenuto è l’alleanza d’amore fra Dio e l’uomo, non può essere attuato se non storicamente
e liberamente).
PRIMO APPRODO. L’unico fine storico esistente per l’uomo è l’umanità predestinata in Cristo ed è un
fine assolutamente gratuito, perché non può essere prefigurato né a partire dalla natura, né dalla
storia, né dalla religiosità universale, e tantomeno a partire dal peccato. Una volta dato, però, deve
essere riconosciuto e accolto come il compimento corrispondente e indeducibile dei modi con cui
l’uomo si autodetermina nella ricerca della pienezza di sé e della verità di Dio.
La prospettiva del cristocentrismo trinitario
La tesi di un’antropologia teologica incentrata su Gesù Cristo va precisata nella linea del
cristocentrismo trinitario; va anzitutto superato
- un CRISTOCENTRISMO CRONOLOGICO (Cristo è il centro della storia della salvezza perché viene dopo
la creazione dell’uomo a redimere dal peccato),
- un CRISTOCENTRISMO OBIETTIVO (Cristo è la cifra, il simbolo, la sintesi delle grandi tensioni del reale,
tra finito e infinito, tra verità e storia, tra macrocosmo e microcosmo).
Il cristocentrismo all’altezza del compito è quello della SINGOLARITÀ DI GESÙ: Cristo è il compimento e
il redentore dell’uomo, perché è Colui in cui siamo stati predestinati “prima della fondazione del
mondo (Ef 1,4-5), è Colui “in virtù del quale (dia), nel quale (en) e in vista del quale (eis) tutte le
cose sussistono” (Col 1,16-17). Insomma, il disegno di Dio è originariamente cristocentrico e si
precisa nella tesi della predestinazione di Gesù Cristo e della creazione dell’umanità in Lui.
Va poi precisato il senso del cristocentrismo della SINGOLARITÀ DI GESÙ: non va inteso come alternativo
al teocentrismo e come esclusivo dell’azione dello Spirito Santo, bensì come capace di istituire sia
l’accesso al volto cristiano di Dio e alla sua pretesa universale, sia la mediazione per tutte le forme
dell’umano e del religioso che si lasciano plasmare dalla rivelazione divina. Si potrebbe parlare di
un cristocentrismo inclusivo e normativo.
In conclusione, il modo con cui Gesù sta al centro della vocazione dell’uomo è singolare nel senso
non di “esclusivo” e “sostitutivo”, ma nel senso che è al tempo stesso assolutamente relativo al
Padre e rivolto agli uomini: un cristocentrismo ek-statico, sporgente. Inoltre la centralità di Gesù
è singolare perché non è provvisoria o solo “pedagogica”, ma definitiva e permanente.
Le versioni differenti nella stagione postconciliare
I MANUALI TEDESCHI, pur accettando la tesi del cristocentrismo e della creazione in Cristo, non ne
ricavano conseguenza in ordine alla ristrutturazione dell’Antropologia teologica. Due ragioni:
- la presa di distanza da Barth, la cui concentrazione cristologica sull’umanità di Gesù produce
più un assorbimento che un’integrazione della nostra umanità;
- la sfida ecologica, la quale imputa alla visione cristiana un’enfasi sull’uomo che va a danno della
relativa autonomia della natura/creazione.
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I MANUALI ITALIANI sono più attenti all’assetto della trattato di antropologia teologica, e lavorano sulla
centralità della grazia di Cristo. La molteplicità delle interpretazioni dipende da una ridotta
comprensione sia contenutistica che metodologica del principio cristocentrico.
7.2. Seconda approssimazione: nuove provocazioni culturali
Oltre il cosmocentrismo e oltre l’antropocentrismo
L’antropologia teologica è globalmente criticata di ANTROPOCENTRISMO RIDUTTIVO, a scapito del tema
della creazione presa nella sua globalità: l’antropocentrismo cristiano sarebbe responsabile
dell’atteggiamento oggettivante nei confronti del mondo e della natura, e della relativa spinta
verso un soggetto senza mondo e di un mondo assoggettato. Da qui Moltmann propone un
teocentrismo cosmologico: si passa frettolosamente dalla critica al cosmocentrismo alla critica di
antropocentrismo, per recuperare poi il cosmocentrismo e il teocentrismo, ma dimenticando o
almeno attenuando la portata del cristocentrismo!
La congiuntura attuale suggerisce l’urgenza di recuperare la dimensione teologico-cristologica della
creazione e dell’uomo, ma guardandosi bene dall’artificiosa contrapposizione fra uomo e mondo,
storia e natura. La svolta antropologica, se non viene indebitamente intesa come riduzione
materiale al tema dell’uomo (riduzione della teologia all’antropologia), o non vuole assumere il
punto di vista dell’uomo come profilo sintetico del discorso teologico (teologia trascendentale),
DEVE ESSERE COLLOCATA NEL QUADRO PIÙ AMPIO DEL MISTERO CRISTIANO , il quale non contrappone uomo e
creazione, ma li comprende nella funzione cosmica di Cristo.
Non si tratta di contrapporre le tre grandezze ontologiche di DIO, UOMO e MONDO, né di privilegiarne
una come punto di vista rispetto alle altre due, ma di collocare il discorso sull’uomo nel mondo,
nel punto focale della vicenda di Gesù Cristo e della missione dello Spirito, nel nexus mysteriorum
della rivelazione cristiana.
L’antropologia nell’epoca del postmoderno
Il post-moderno è AMBIVALENTE: può essere configurato come superamento o come compimento del
moderno.
In rapporto alla VERITÀ: tende a liquidarla ermeneuticamente, relativisticamente, nichilisticamente,
naturalisticamente.
In rapporto alla FEDE: cerca di svincolarla da ogni ideologia e di connetterla all’istanza etica.
Tre i capisaldi del pensiero postmoderno:
1. la concezione pluralistica dell’approccio alla verità;
2. la dimensione estetica della conoscenza, come forma di alleggerimento della razionalità forte;
3. la portata critico-decostruttiva del nichilismo.
PROPOSTA ANTROPOLOGICA: superare la triade di Creatore, creatura e creato. Positivamente: riduzione
della creaturalità dell’uomo a condizione umana e spersonalizzazione del soggetto; riduzione del
mondo creato a natura e perdita di finalismo del creato; perdita della visione personalistica di Dio.
Confronto con la cultura
Emerge sempre più l’esigenza di pensare il rapporto tra l’umano singolare di Gesù (la cristologia) e
le forme storiche con cui l’uomo decide di sé. In concreto, sul piano teoretico, si tratta di eseguire
una fenomenologia dell’agire umano e connetterlo con lo studio trascendentale delle condizioni di
possibilità che rendono l’uomo capace di decidere di sé di fronte a Dio.
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Ciò è richiesto congiuntamente dal pensiero moderno e dal pensiero cristiano: infatti, lo specifico
cristiano apparso in Gesù ha la pretesa di essere l’attuazione e il compimento definitivo
dell’apertura al senso e alla verità che caratterizza l’uomo.
Perciò, l’antropologia cristiana può e deve apparire come la realizzazione indeducibile e il
compimento corrispondente a un’antropologia fondamentale della fede. E dunque l’antropologia
teologica deve eseguire riflessivamente la circolarità tra le forme specifiche della visione cristiana
sull’uomo e le condizioni universali con cui l’uomo si apre e si decide perla verità di se stesso.
7.3. Una proposta di architettura sistematica dell’antropologia teologica
Visione CRISTICA dell’uomo, cioè che si pone su progetto originario di Dio in Cristo; distinguere CRISTICO
(livello del progetto originario di Dio) e CRISTIANO (quando quel progetto si attua nell’uomo con il
battesimo, nella vita cristiana).
C’è anzitutto da delineare “LA VISIONE CRISTICA DELL’UOMO”:
- “CRISTICA” è la visione cristiana ha una forma propria e coerente, un punto di vista originale e
sintetico, non è la raccolta di affermazioni sull’uomo disperse e disorganiche;
- ANTROPOLOGIA CRISTIANA è la visione della fede sull’uomo come colui che è chiamato alla
conformazione a Cristo;
- ANTROPOLOGIA TEOLOGICA è la comprensione critica e argomentata dell’antropologia cristiana, cioè
lo studio che intende rendere ragione della struttura intrinseca dell’antropologia cristiana.
La creazione in Cristo si articola in due livelli:
- ESISTENZIALE CRISTICO = PROGETTO, livello dell’originario, veritativo; a priori, il desiderio di Dio di
Agostino; livello della CHIAMATA)
- ESISTENZA CRISTIANA = ATTUAZIONE, livello storico; a posteriori; livello della RISPOSTA
→ NON PIÙ CONTRAPPORRE VERITÀ E STORIA!
Le articolazioni successive sono determinate dalle tesi seguenti: l’antropologia cristiana
1. è la chiamata/predestinazione dell’uomo a essere e vivere in Gesù Cristo;
2. è il compimento della libertà creata, che è posta intrinsecamente come capacità di risposta a
tale chiamata;
3. è una libertà corporea nel mondo, nella differenza di uomo-donna, chiamata all’incorporazione
in Cristo, nella forza dello Spirito;
4. è una libertà che si irretisce nella drammatica della storia: peccato originale come perdita della
conformità a Cristo;
5. è una libertà che viene giustificata nella drammatica storica: grazia, carismi e virtù come
espressione del recupero del compimento della libertà in Cristo.
Tali articolazioni sono inserite in DUE QUADRI:
- il primo quadro considera il rapporto tra Cristo e l’uomo sotto il profilo normativo, nel senso che
delinea la verità dell’uomo nella storia,
- il secondo quadro svolge la storia effettiva dell’uomo, nel senso che delinea la storia dell’uomo
che accede, perde e ritorna alla sua verità.
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8. La visione “cristica” dell’uomo
Il motivo comune di tutte le grandi sinfonie teologiche del ‘900 è LA CENTRATURA E L’UNIFICAZIONE
CRISTOLOGICA DELLA RIVELAZIONE, DELLA CREAZIONE E DELLA REDENZIONE.
La larga intesa su questo motivo di fondo lascia aperta la valutazione dei diversi modelli teologici
nella loro effettiva capacità di argomentare il programma.
8.1. La relazione tra cristologia e antropologia
▪ La QUESTIONE DELL’IMMAGINE DI UOMO implicata in ogni esperienza è un fatto universale.
▪ La RIFLESSIONE CRITICA SULL’UOMO è invece un fatto tipico della cultura moderna, che non a caso si
propone come antropocentrica.
▪ La QUESTIONE TEOLOGICA DELL’ANTROPOLOGIA CRISTIANA si incentra nella relazione di inseparabilità e
distinzione tra la visione della fede e le visioni delle culture.
▪ La VISIONE TEOLOGICA DELL’UOMO parla di un compimento che l’uomo da sé solo non può darsi e che
tuttavia, una volta rivelato nell’umanità di Gesù Cristo risorto, attua in modo reale la struttura di
apertura e desiderio che appartiene ad ogni esperienza umana (è la “VISIONE CRISTICA”).
▪ Il COMPITO DELL’ANTROPOLOGIA TEOLOGICA è mostrare che la visione cristiana dell’uomo è l’attuazione
eccedente, normativa ed escatologica dell’apertura che è propria dell’esperienza umana.
8.2. I “paradigmi” della storia della fede
Compito della teologia è ponderare il valore e i limiti dei modelli teologici: prima avvertenza è
segnalare la differenza fra il modello biblico, che ha valore fondativo, e i modelli storici, che
rappresentano la ricezione credente in un determinato contesto culturale.
Il paradigma biblico
Cristo appare in relazione speciale e universale con gli uomini proprio a motivo della sua SINGOLARITÀ:
Gesù Cristo entra in rapporto con gli altri uomini, non tanto perché ha qualche cosa in comune con
loro, ma proprio perché egli ha qualche cosa che è suo e di nessun altro!
L’elemento che fonda la relazione di Gesù con gli altri uomini è la sua originalità di Figlio, espressa
nell’obbedienza al Padre e nella dedizione agli uomini. Gesù è il fondamento dell’immagine di Dio
presente in ogni uomo, perché egli è l’immagine di Dio in modo assolutamente singolare.
Nei SINOTTICI appare chiaro che Gesù è il compimento perfetto dell’intenzione creativa di Dio, e
quindi anche la norma assoluta dell’uomo, poiché non solo restaura la creazione liberandola dal
peccato, ma soprattutto perché la riconduce al disegno divino originario e così lo svela.
Specialmente in PAOLO, non solo il tema dell’immagine, ma anche quello della creazione, riceve una
vigorosa centratura cristologica.
E GIOVANNI attribuisce a Cristo il tema della Parola-Sapienza creatrice, sullo sfondo della letteratura
sapienziale.
Il paradigma patristico-medioevale
EPOCA PATRISTICA: si manifesta la tendenza ad un certo oblio di un cristocentrismo logico a favore di
un CRISTOCENTRISMO CRONOLOGICO: Cristo, invece di rendere ragione di tutte le cose, è colui che
interviene dopo il peccato per restaurare le cose. Gesù è più MEDIATORE DELLA REDENZIONE che
mediatore della creazione. Di conseguenza, le grandi domande sull’uomo – la dualità psico-fisica,
l’immortalità dell’anima, la creazione ex nihil – rimangono senza una risposta precisa dal punto di
vista del riferimento a Gesù Cristo.
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PERIODO MEDIOEVALE: accentua l’allentamento del rapporto tra cristologia e antropologia. Nasce
un’antropologia che rimane agganciata ad un sostanziale contesto di fede sufficiente a renderla
cristiana, ma insufficiente a renderla criticamente cristiana: il pensiero medioevale non riesce a
dire chiaramente qual è il motivo per cui tale antropologia si fonda su Gesù Cristo. I motivi sono
l’introduzione dell’aristotelismo in teologia, che viene a sovrapporsi al platonismo patristico, e la
tendenza a svolgere le tematiche della creazione e dell’uomo a partire dall’analisi metafisica
piuttosto che a partire dalla rivelazione.
Il paradigma moderno
Con la modernità si consuma la tendenza a presentare l’uomo e la creazione come autonomamente
e non cristicamente consistenti in se stessi. Il periodo moderno rompe così l’armonia ancora
presente nel medioevo, e polarizza le tensioni già presenti nelle grandi sintesi medioevali intorno
ai tre seguenti orientamenti.
ORIENTAMENTO ANTROPOCENTRICO (umanista): Gesù viene attratto entro i limiti della pura ragione, o
vede in Gesù una variazione dell’antropologia, o lo vede come la cifra, il simbolo, lo specchio della
dignità e del valore morale dell’uomo, ma non lo riconosce come il fondamento dell’umano. Il
cristiano è diluito e vanificato nell’umano.
ORIENTAMENTO FIDEISTA (protestante): reagendo e capovolgendo l’orientamento umanista, l’uomo o è
credente o è nulla. Qui ha luogo l’attrazione dell’umano nella cristologia, e una cristologia
redentiva. L’umano non è riconosciuto nella sua autonoma consistenza, ma è assorbito nel
cristiano.
ORIENTAMENTO DUALISTA (cattolico): è il tentativo cattolico di reagire alla dissociazione delle altre due
linee. È un tentativo di stampo apologetico, perché si costruisce attraverso la configurazione di
uno spazio umano a cui si aggiunge a modo di fine ulteriore e gratuito lo spazio cristiano.
8.3. La “ripresa” cristologica nell’epoca contemporanea
Stando all’evoluzione storica, sembra di dover dire che la fede tende ad interpretare il suo rapporto
con la cultura nei termini di un progressivo indebolimento del riferimento a Gesù Cristo.
A sua volta l’autonomia, secondo cui la cultura pensa di costituirsi un proprio dato antropologico,
tende a mettere tra parentesi il riferimento a Cristo.
→ Allora il problema di fondo è quello di INTERPRETARE IL RUOLO DELLA FEDE NEL COSTITUIRSI DEL DATO
ANTROPOLOGICO IN RIFERIMENTO A GESÙ CRISTO.
A causa di tale eredità storico-teorica, l’antropologia teologica fa fatica a PARLARE IN MODO CRISTIANO
della realtà dell’uomo. Anche nelle sue forme più costruttive, l’antropologia teologica tende ad
esplicitare prevalentemente la funzione critica della pasqua di Gesù Cristo (la parte soteriologica),
piuttosto che la sua funzione costitutiva. La pasqua di Gesù contesta ogni realizzazione umana che
pretenda di dare un senso definitivo all’uomo, esprime l’oltre e l’altro dell’uomo, ma non
interpreta la sua esperienza attuale, né appare come il suo fondamento originario.
L’insufficienza cristologica si ripercuote sull’antropologia che, non trovando il suo compimento e
fondamento in Gesù Cristo, tende a svilupparsi secondo ALTRI CRITERI, o secondo la PISTA COSMOLOGICA,
pensando l’uomo come una realtà nel mondo e differente dal mondo per la sua anima (via antica),
o secondo la pista soggettivistica, partendo dalla libertà, compresa come qualcosa di autonomo e
autoconsistente (via moderna). In entrambi i casi, la teologia non si è sufficientemente interessata
della forma cristiana della trascendenza.
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La ragione ultima del deficit teologico sta in una RIMOZIONE DEL PROBLEMA DELLA FEDE DALL’AMBITO UMANO
E DEL SUO SPOSTAMENTO ALL’AMBITO CRISTIANO. Si pensa all’esperienza umana come ad un ambito in cui
non c’entra la fede, e a quello cristiano come qualificato dalla fede, intesa però genericamente
come fede in Dio e non come fede determinata dal riferimento a Gesù Cristo.
L’impostazione corretta rimanda ad una analisi critica della struttura antropologica e della
rivendicazione del carattere originario della coscienza credente: occorre elaborare la correlazione
fra un’antropologia della fede come condizione della fede in senso teologale, e una teologia della
fede come verità della fede in senso esistenziale. Si tratta, di studiare il rapporto tra la figura
cristiana del credere e la fede come dimensione sintetica della struttura antropologica.
8.4. La configurazione metodologica della relazione
L’obiettivo di fondo è duplice:
- superare l’estraneità della fede alla struttura originaria dell’evidenza (§8.4 = a priori),
- superare l’indeterminatezza cristologica della fede cristiana circa l’uomo (§8.5 = a posteriori).
Il duplice compito si può declinare così:
1. dal punto di vista TEOLOGICO-FONDAMENTALE, sarà necessario procedere ad una giustificazione
dell’esperienza credente come attuazione della struttura originaria dell’uomo;
2. dal punto di vista TEOLOGICO-SISTEMATICO sarà importante delineare la configurazione cristologica
della rivelazione e, corrispondentemente, la sua figura antropologica, come il compimento
indeducibile, eppure corrispondente dell’apertura dell’uomo alla verità.
Direttrice teologico-fondamentale: epistemologia e ontologia della fede
Due momenti interdipendenti:
1. la natura simbolica del rapporto coscienza-verità, cioè della struttura originaria dell’esperienza,
2. il principio dell’indeducibilità dell’attuazione della struttura originaria.
La struttura del sapere, che deve essere omogenea con la verità dell’essere che ne è l’oggetto,
comporta da un lato il coordinamento fra conoscenza di tipo sensibile-intuitivo e conoscenza di
tipo riflessivo-concettuale; dall’altro il coordinamento fra sapere e libertà, coscienza teoretica e
coscienza pratica tale per cui “l’apertura alla verità comporta l’aprirsi della libertà e viceversa”.
Con linguaggio più semplice: una teoria dell’evidenza simbolica-pratica – che è altro dall’evidenza
empirica e dall’evidenza logica – segnala e garantisce ad un tempo
1. la TRASCENDENZA DEL FONDAMENTO e la LIBERTÀ DEL RAPPORTO;
2. l’ASSOLUTEZZA DELLA VERITÀ e la sua DESTINAZIONE ALLA LIBERTÀ.
In tal modo, la tesi del simbolico si unifica con la tesi del pratico: l’uomo conosce decidendo di sé
di fronte alle anticipazioni della verità offerte nelle esperienze grate e promettenti del vivere.
Direttrice teologico-sistematica: la singolarità della fede e della missione di Gesù
La figura cristologica della rivelazione consiste nel centro dell’annuncio cristiano, che avanza la
pretesa di una reale identità tra la manifestazione storica di Dio (la missione di Gesù e dello Spirito)
e la verità del mistero di Dio. La storia di Gesù e l’evento dello Spirito rappresentano l’ATTUAZIONE
REALE, GRATUITA, ULTIMA, ESCATOLOGICA E NORMATIVA, della struttura originaria della coscienza.
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8.5. La fides Jesu come figura “archetipa” dell’uomo
TESI GENERALE: L’UOMO IN CRISTO TROVA LA SUA FIGURA ARCHETIPA NELLA DUPLICE DEDIZIONE DI GESÙ AL PADRE E
AGLI UOMINI, SEMPRE ATTRAVERSATA DALL’OPERA DELLO SPIRITO.
→ Gesù è compimento ARCHETIPO (di fondamento) e TELETIPO (di finalità) della fede perché l’ha
vissuta: la fede di Gesù è fondamento della nostra fede, la fede di Maria la è migliore fede umana.
Le idee cristiane sono sempre “figure personali” (Balthasar). La nostra fede filiale si fonda in
Gesù, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, perché ogni uomo diventi (per partecipazione) figlio di Dio.
ORIZZONTE DELLA TESI è il CRISTOCENTRISMO TRINITARIO: il modo con cui Gesù è relativo al Padre si motiva
e si esprime nella dedizione/obbedienza al Padre (fides Jesu); il modo con cui Egli è relativo agli
uomini attua la conformazione a Lui della libertà dell’uomo (fides theologalis). Entrambe le
relazioni sono opera dello Spirito, che presiede alla duplice conformazione della libertà filiale di
Gesù (incarnazione) e della libertà credente degli uomini (elevazione). In entrambi i casi si tratta
di un evento “spirituale”: lo Spirito mantiene la differenza dell’essere Figlio di Cristo e la conformità
del nostro diventare figli in Lui. Non si tratta di una duplice forma, come se lo Spirito operasse una
forma preesistente in Gesù e in noi (“Padre mio e Padre vostro”: c’è una bella differenza): ma
l’unica forma cristica è la figura archetipa della libertà, naturale per il Figlio, donata per l’uomo.
Fides Christi
Il tema non è teologicamente plausibile. La discussione è però se la dizione “FEDE DI GESÙ” non metta
abbastanza in risalto l’indeducibile differenza rispetto alla fede dell’uomo:
- sul tema grava ancora la precomprensione o pregiudizio intellettualistico che risolve la fede
nell’assenso intellettuale prestato all’autorità di Dio che si rivela (fede come contraria a ragione);
- il tema si illumina quando la fede è vista in ambito cristologico nel quadro del discorso sulla
coscienza di Gesù e in rapporto al criterio della sua missione salvifica; e da lì si può arrivare a
pensare che la fede è la cifra sintetica della relazione di Cristo al Padre.
Bene fare una adeguata similitudo, fare una buona analogia entis, ma senza confondere nella
uguaglianza o nel livellare e appiattire, ricordando l’eccellenza di Cristo.
Richiamiamo i dati acquisiti nel corso sulla DOTTRINA TRINITARIA:
a) la fede non è anzitutto conoscenza oscura, ma AFFIDAMENTO PERSONALE, il quale a sua volta articola
la conoscenza storica, e perciò drammatica, secondo evidenza e inevidenza, chiarezza e oscurità;
b) la fede di Gesù è il riverbero economico del legame immanente del Figlio con il Padre: in concreto
la fede articola il RAPPORTO FRA LA COSCIENZA DI GESÙ E LA SUA MISSIONE: già Tommaso aveva intuito che
la missio (obbedienza) è il correlato economico dell’eterna processio (corrispondenza);
c) l’obbedienza della fede è ciò che corrisponde sul piano storico all’ETERNA CORRISPONDENZA
TRINITARIA, e la continuità fra il livello economico e quello immanente è assicurata dall’“inversione
trinitaria” (Balthasar) operata dallo Spirito Santo.9
9
Cfr. BALTHASAR, Fides Christi: tra Padre e Figlio c’è eterna corrispondenza (ομουσιος) in cui Cristo
vive l’eterna obbedienza al Padre; ma l’eterna corrispondenza del Figlio al Padre (Trinità
immanente), diventa l’eterna obbedienza del figlio al Padre (Trinità economica) attraverso l’opera
dello Spirito Santo, Mentre nella Trinità immanente, lo Spirito è co-spirato da Padre e Figlio
(processio), nella Trinità economica lo Spirito deve ispirare Gesù perché Egli conosca la volontà del
Padre e possa operare secondo essa (missio): avviene l’INVERSIONE TRINITARIA. Proprio
nell’obbedienza perfetta del Figlio anche noi possiamo parteciparvi; quando Gesù muore emette
lo Spirito e poi scende anche su noi, abilitandoci a vivere una vita umana ma con la qualità divina.
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Il livello della fede di Maria è eccellente tra i credenti: non pone resistenza alcuna alla Parola di Dio,
è una obbedienza perfetta. Il credente è “buon conduttore” che vive una obbedienza imperfetta,
mentre il peccatore pone resistenza (disobbedienza). GESÙ invece ha un rapporto singolare con la
Parola di Dio: egli stesso è la Parola di Dio, che – nella sua umanità – vive solo una “distanza”
trinitaria (nella inversione trinitaria la corrispondenza tra Padre e Figlio, diviene obbedienza
attraverso lo Spirito Santo).
Complessivamente, il tema è più enunciato che argomentato, e l’analisi esegetica sul sintagma
“pistis Christou” (fede DI Gesù) non è risolutiva.
L’interesse sistematico per la fede di Gesù sta essenzialmente nella sua capacità di indicare lo stretto
legame che intercorre tra la missione salvifica e l’identità filiale di Gesù. Tale impostazione va oltre
lo schema calcedonese dell’unità ipostatica delle due nature, e integra l’importanza della vicenda
storica di Gesù.
Il guadagno balthasariano è l’aver evidenziato come l’identità di missione e persona non è altro che
il riverbero sul piano economico della relazione intratrinitaria tra il Figlio e il Padre nello Spirito.
La possibile critica è di attrarre il tema nel registro della fondazione trinitaria, lasciando irrisolta la
questione della mediazione nella struttura antropologica della coscienza credente.
A tale difetto sembra venire incontro la linea di RAHNER-MALEVEZ: risolvendo la visio beatifica in
visio immediata, quindi interpretando la coscienza di Gesù non come rappresentazione
oggettivistica di cose ma come coscienza del rapporto del Figlio con il Padre, elimina il principale
ostacolo all’affermazione della fede di Gesù. In realtà, il difetto della linea di Rahner sta nel
mantenere ancora un registro noetico piuttosto che drammatico.
Propositivamente, si tratta di mettere meglio in luce il carattere simbolico della persona, che è
immediatamente velata a se stessa e si ritrova decidendo di sé nel suo agire storico: senza uno
sviluppo di una TEORIA DELLA COSCIENZA CREDENTE, si rischia di continuare a pensare alla coscienza
storica di Gesù secondo lo schema dell’illuminazione (rivelazione progressiva del suo sapere) o
quello dell’intensificazione (maturazione evolutiva del suo sapere).
Sintesi sistematica sulla visione cristica dell’uomo
Da una parte, con Gesù e in Gesù, abbiamo una LIBERTÀ PIENAMENTE RELATIVA AL PADRE, comunicatoci
da Gesù mediante l’obbedienza/dedizione al suo volto di Abbà:
a) tale obbedienza/dedizione di Gesù e secondo Gesù è la FORMA SERVI, che non può essere saputa
a monte, ma ritrovata solo nella drammatica dell’incontro-scontro di Gesù con gli uomini;
b) l’obbedienza filiale di Gesù è FORMA ARCHETIPA DELLA FEDE, che coincide cl mistero d’essere il Figlio;
c) preservare la differenza della FORMA CRISTICA non è solo un problema di conoscenza (sapere la
dedizione al Padre di Gesù e secondo Gesù non può avvenire che in lui), ma è problema di realtà
(non è possibile incontrare l’agape dell’Abbà che nell’agire e nell’essere di Gesù fino alla morte).
D’altra parte, l’obbedienza di Gesù è compimento di tutte le forme del LIBERO AFFIDARSI DELL’UOMO:
a) l’uomo è alla RICERCA DELLA VERITÀ DI SE STESSO, che gli è anticipata nelle forme grate del vivere;
b) anticipazione che si dà IN MODO ESCATOLOGICO (una volta per tutte) nella forma storica della
vicenda di Gesù come il riverbero e l’attuazione nell’economia del suo essere il Figlio;
c) RAPPORTO TRA FEDE DI GESÙ E LA NOSTRA: la libertà filiale di Gesù ha posizione genetica rispetto al
nostro diventare figli;
d) la singolarità della fede di Gesù non è un’alterità che separa, bensì la sorgente della sua
PARTECIPABILITÀ e UNIVERSALITÀ: è il dono dello Spirito di Cristo che ci fa figli in Lui.
→ Si può essere liberi per la fede solo se ci si lascia conformare dallo Spirito come figli nel Figlio!
19
9. La verità dell’antropologia cristiana: predestinazione degli uomini in Cristo
9.1. La predestinazione come “mistero” del destino “soprannaturale” dell’uomo
Il tema è il FONDAMENTO dell’antropologia cristiana, DELLA VERITÀ dell’uomo spirituale.
La tesi è quella della PREDESTINAZIONE, che coincide con quella del carattere soprannaturale del
destino dell’uomo: il soprannaturale dice l’aspetto indebito e gratuito della predestinazione, ma
non ne dice tutta la ricchezza misterica.
PRE-DESTINAZIONE: evitando la concezione “fatalistica”; vuole affermare l’orientamento dato da Dio,
che la destinazione è Dio ed è data gratuitamente, non se la dà l’uomo da se stesso.
- La tesi teologica del soprannaturale è viziata, poiché parte dalla natura dell’uomo,
- mentre la tesi biblica della predestinazione procede dall’agire di Dio:
- la PREDESTINAZIONE IN CRISTO è il soprannaturale concreto, e il suo contenuto è il seguente: Dio ha
predestinato gratuitamente ed efficacemente tutti gli uomini a diventare suoi figli nel Figlio suo
Gesù Cristo mediante lo Spirito (Colombo).
→ CARATTERISTICHE DELLA PREDESTINAZIONE: 1) universalità, 2) gratuità e 3) infallibile efficacia
…la tesi biblica si è però trovata in tensione con la tesi teologica, dove la gratuità e l’efficacia della
predestinazione veniva a limitarne l’universalità. Ciò perché la discussione teologica ha pensato i
termini del problema – la grazia di Dio e la libertà dell’uomo – come precostituiti e preconosciuti
rispetto all’ordine effettivo nel quale esistono.
→ si trova soluzione solo se si pone IL CRITERIO DELLA PREDESTINAZIONE IN GESÙ CRISTO, cioè nell’effettivo
disegno di Dio: la predestinazione dell’uomo avviene quando si lascia associare a Gesù Cristo, si
conforma alla sua umanità di Figlio, si lascia incorporare alla sua fede.
→ IN SINTESI: il mistero di Dio si chiama predestinazione, il suo contenuto è la partecipazione alla vita
del Figlio, ed ha un carattere soprannaturale.
9.2. La predestinazione nella storia
Nella testimonianza biblica
Nella Bibbia la predestinazione va inserita nel quadro dell’elezione e dell’alleanza: primato della
grazia ed esercizio della libertà.
Nel Nuovo Testamento l’elezione è l’elezione degli uomini nell’elezione di Gesù, e l’alleanza è la
nuova alleanza nella pasqua di Gesù.
La creazione realizza l’aspetto filiale, l’alleanza l’aspetto nuziale.
→ la creazione esiste in vista dell’alleanza e l’alleanza presuppone la creazione:10
- l’alleanza è prima in intenzione (in ordinem intenzionis)
- ma la creazione è prima in attuazione (in ordinem actuationis).
La predestinazione in Cristo non presuppone l’esistenza dell’uomo; al contrario, la PRECEDE e la PONE
(= “pre”-“destinazione”): la creazione dell’uomo è il primo momento dell’Alleanza.
Mentre l’ermeneutica agostiniana interpreta la predestinazione in riferimento alla salvezza degli
individui (di chi è eletto e di chi no) e alla sua infallibile efficacia (possibilità e dei limiti della libertà),
in Paolo l’alleanza, l’elezione e la predestinazione hanno un chiaro carattere cristologico, storico
e universale. Ciò significa che in Gesù Cristo, l’eletto del Padre, vanno comprese le caratteristiche
della predestinazione, e non a procedere dagli uomini, e neppure da Dio, se si prescinde dalla sua
donazione nel Figlio e dalla nostra partecipazione nella libertà dello Spirito.
10
pre-sub-pone: pone originariamente come condizione minima
20
• Nell’ANTICO TESTAMENTO l’ELEZIONE è fondazione stessa del popolo eletto, chiaro segno del primato
dell’iniziativa di Dio, della sua assoluta gratuità e del suo contenuto amoroso:
- il soggetto è sempre Dio;
- il destinatario è il popolo che Dio stesso crea;
- il fine è l’appartenenza a Jahvé come proprietà particolare;
- il motivo è il suo amore preveniente, di fronte al quale il popolo non può vantare alcuna
consistenza, diritto, merito proprio;
- il tempo dell’elezione è contrassegnato dalla speranza nella promessa e dal tempo della prova;
- l’estensione, specialmente dopo l’esilio, è universalistica.
• Nei VANGELI l’ELEZIONE è riferita a Gesù Cristo:
- esclusa è una qualsiasi idea di predestinazione selettiva;
- l’elezione riguarda prima il popolo di Israele, ma poi anche i popoli pagani;
- la tensione fra particolarità e universalità è presente nell’eletto stesso, Gesù
→ non è universalismo generico, ma dinamica che ha il senso della successione storico-salvifica,
che prende le forme della vocazione: chiama uno per raggiungere un popolo, chiama un popolo
per raggiungere tutte le nazioni. Una UNIVERSALITÀ CONCRETA.
• In PAOLO spicca il testo di Ef 1,3-14, in cui l’ELEZIONE:
- è una benedizione;
- ha forma trinitaria;
- avviene “in Cristo”: “Dio non pensa a noi indipendentemente da Lui”!;
- è un disegno eterno che si attua in un dramma storico: l’incorporazione comporta la redenzione;
- è partecipazione al “mistero” di Dio: non una realtà esoterica, ma una sorgente trascendente e
inesauribile di vita e di senso, una forza di attrazione amorevole;
- essa tocca la Chiesa, ma per raggiungere tutti;
- la sua mèta è escatologica, è presente fin da ora nello Spirito in forma di caparra, ed è la piena
redenzione e ricapitolazione del Regno;
- completamente assente è la prospettiva di una categoria di eletti, scelti ad esclusione di altri:
l’infallibile efficacia e l’universalità sono quelle proprie dell’alleanza in Cristo, e non si
confondono con l’inevitabilità di una decisione o la generalità di un’idea.
Nella patristica greca
Nella patristica greca la predestinazione è intesa come CHIAMATA ALLA SALVEZZA MEDIANTE LA FEDE:
predestinati sono i cristiani. Nessun accento escludente.
Giovanni Damasceno, per escludere ogni sfumatura fatalistico-necessitante (intuendo i problemi
futuri), propone di riservare il termine “PREDESTINAZIONE” all’influsso divino sulle creature non
libere, e quello di “PRESCIENZA” per quelle libere: Dio preconosce, ma non predetermina.
Nonostante le buone intuizioni, il problema è andare a separare conoscenza e determinazione,
separare conoscenza e azione: ma il “dire” di Dio è “efficace”, la sua parola è creativa (DABAR).
Nella controversia di Agostino e Pelagio
La GENESI DELLA CONTROVERSIA viene dal dibattito fra chi sostiene che LA DISTINZIONE FRA SALVATI E RIPROVATI:
- dipende dalle decisioni degli uomini (monaci della Gallia, tra cui Pelagio);
- dipende dalla decisione di Dio (teologia corrente dell’epoca, Agostino).
C’è un ECCESSO TEOLOGICO a cui corrisponde un DIFETTO ANTROPOLOGICO: dire troppo di Dio (onnipotenza)
e troppo poco dell’uomo (impotenza). La concezione sacrale esagera l’aspetto teologico e, perciò,
i monaci si buttano sulla difesa dell’antropologico: ma in entrambi manca Gesù Cristo, mediazione!
21
Dottrina di Agostino
1. Due presupposti:
a) a causa del peccato originale, gli uomini sono massa dannata (IMPOTENZA DELL’UOMO);
b) Dio può operare ciò che vuole e in maniera efficace nell’anima, e questo senza dipendere da
meriti o demeriti dell’uomo (ONNIPOTENZA DI DIO).
2. La PREDESTINAZIONE consiste nell’atto divino di liberare alcuni dalla massa dannata; si passa così:
- dalla divinizzazione alla REDENZIONE,
- dal cristocentrismo all’AMARTIOCENTRISMO,
- dalla prospettiva comunitaria alla prospettiva INDIVIDUALE.
3. In chi elegge Dio manifesta la sua MISERICORDIA, in chi non elegge manifesta la sua giustizia.
4. Poiché l’agire di Dio non può essere condizionato, DIO NON PUÒ VOLERE LA SALVEZZA DI TUTTI, altrimenti
di fatto tutti si salverebbero, il che CONTRADDICE I FATTI, ossia l’esistenza del peccato originale e
l’evidenza dei peccati personali, e non mette in luce la giustizia di Dio, ma solo la sua misericordia.
5. Agostino lascia senza risposta la questione del criterio per cui Dio sceglie alcuni uomini e non altri
(per fortuna! …invece, nel Cinquecento, i PREDESTINAZIONISTI affronta la questione cercando di dire
il criterio per cui Dio sceglie, elegge e salva, facendo gravi pasticci e proponendo le cose più brutte).
Controversia pelagiana
1. Contesto culturale
a) SFONDO. Pelagio e i suoi, per reagire al lassismo e alla tiepidezza, ma anche al dualismo manicheo,
si appellano al valore della libertà umana con intento ascetico e spirituale;
b) PRIMO TEMPO. Celestio, nel contesto del tema del pedobattesimo, afferma che i bambini sono in
stato di innocenza (che nega così la dottrina del peccato originale). Pelagio viene distinto da
Celestio e viene assolto. Ciò irrita la Chiesa nord-africana che a Cartagine e a Milevi ottiene la
scomunica di Pelagio e di Celestio, senza però che si entrasse nel merito dei problemi;
c) SECONDO TEMPO. Concilio di Cartagine (418) con tre canoni sul peccato originale e sei canoni sulla
grazia, Epistola Tractoria di papa Zosimo, che approva Cartagine, con nuova condanna di
Pelagio, il quale protesta la sua ortodossia.
22
3. Dottrina di Pelagio
4. Risposta di Agostino
SFONDO:
1. forte sottolineatura del peccato e dell’umana debolezza, a partire dalla propria esperienza di
convertito;
2. forte sottolineatura del primato divino secondo l’influsso neoplatonico: ogni atto buono è
partecipazione alla bontà divina;
3. pressione della polemica antidonatista e antipelagiana.
TESI:
1. assoluta necessità della grazia: Dio è pensato come Sommo Bene e il peccato come
allontanamento dal bene (aversio a Deo) e dirottamento su beni finiti e parziali (conversio ad
creaturas), con conseguente schiavitù del desiderio (concupiscentia), anche se l’uomo conserva il
libero arbitrio.
23
2. la necessità della grazia è ovvia nello stato attuale, meno ovvia nello stato originario; lì distingue:
- auxilium sine quo non (aiuto della grazia prima del peccato: semplice capacità di fare il bene)
- auxilium quo (dopo il peccato: possibilità di fare il bene e anche effettivo compimento).
Di conseguenza, CONCEZIONE PSICOLOGICA DELLA GRAZIA: la grazia è delectatio victix (attrazione fatale)
che supera la concupiscenza, con relativa sottovalutazione della libertà, per la quale Agostino
introduce la distinzione fra
- libertas, come potere di determinarsi nel bene (potere perduto e ritrovato per grazia),
- e liberum arbitrium, come potere di scelta (imperdibile).11
3. assoluta gratuità ed efficacia della grazia, tema però risolto nel senso della distribuzione della
grazia, cioè della predestinazione come questione di chi si salva e di chi no (qui sta il problema!).
Il ragionamento è stringente: se la grazia è irresistibile, tutti sarebbero salvi, ma se di fatto esistono
i peccatori, e quindi sembra che non tutti si salvino, allora significa che DIO NON DÀ ALLO STESSO MODO
LA GRAZIA A TUTTI; se infatti non dipendesse da Dio, Dio sarebbe condizionato, il che è impossibile.
Detto teoreticamente: l’infallibile efficacia della grazia implica l’effettualità della salvezza, ma
poiché questa, a fronte del peccato, pone la questione di teodicea circa l’onnipotenza e la giustizia
di Dio, la restrizione dell’universalità della grazia non è evitabile. Resta ovvio, per Agostino, che il
criterio in base al quale Dio decide non dipende dall’uomo, neppure dalla previsione del suo
comportamento, ma dipende originariamente da Dio (spingerà all’idea di DOPPIA PREDESTINAZIONE).
a) Il contrasto fra dipende dal MODO DI INTENDERE L’AZIONE DELLA GRAZIA IN RAPPORTO ALLA LIBERTÀ:
- PELAGIO intende l’azione di Dio nella creazione, nella storia e nella redenzione in riferimento alla
libertà che conserva pur sempre la capacità del bene, cioè di accogliere o rifiutare l’azione di Dio:
ciò fa pensare che egli intenda la GRAZIA COME AIUTO ESTERNO, e infine estrinseco, dato a un uomo
che da solo può conseguire la salvezza. Da qui il giudizio di ottimismo, moralismo, volontarismo.
- AGOSTINO inclina invece a pensare l’AZIONE DELLA GRAZIA COME QUALCOSA DI INTERIORE , come dono
immediato e diretto di Dio: l’atto della libertà non è esterno all’azione della grazia, ma è ciò che
la grazia suscita e risuscita;
b) I CANONI DI CARTAGINE dichiarano l’ASSOLUTA NECESSITÀ DELLA GRAZIA COME AIUTO PER FARE IL BENE MORALE.
Similmente la raccolta De gratia Dei indiculus.
6. La controversia semipelagiana.
11
Il libero arbitrio è una infrastruttura della libertà: la libertà è decidere di sé, non cosa fare!
24
b) Il semipelagianesimo è un atteggiamento, un modo di sentire, che va al di là dell’episodio. Esso
afferma una sorta di sinergismo fra la grazia e la libertà anche nell’uomo peccatore. L’idea è che
soprattutto nell’atto di preparazione alla giustificazione (primo atto di fede) si deve pensare di
un’INIZIATIVA DELLA LIBERTÀ PRIMA CHE DIO ACCORDI LA GRAZIA. È un’idea antiagostiniana, perché rifiuta la
restrizione della predestinazione ad opera di Dio, rifiuta la teoria della grazia invincibile, e attenua
la necessità della grazia per l’inizio della salvezza.12
c) Il concilio di Orange (529) chiarisce che LA GRAZIA È SEMPRE NECESSARIA, sia nello stato di natura
decaduta, sia nello stato di natura integra, sia nel primo atto di fede che nel processo preparatorio
alla giustificazione, sia per agire rettamente che per perseverare nel bene. D’altra parte il concilio
afferma la volontà salvifica universale e rifiuta la doppia predestinazione.
7. La controversia predestinazionista
12
→ invece LA GRAZIA SUSCITA, ACCOMPAGNA, REDIME E PORTA A COMPIMENTO LA LIBERTÀ DELL’UOMO!
(e nell’ottica di Agostino, la grazia è onnipotente e la libertà umana è impotente)
25
Le due soluzioni al problema della predestinazione
La SCUOLA AGOSTINIANO-TOMISTA individua il motivo della predestinazione nell’atto con cui Dio
determina gli eletti e i dannati ante praevisa merita (= prima di aver previsto i meriti): Dio non può
venir condizionato dalla nostra libertà.
La SCUOLA MOLINISTA-GESUITA vede la scelta di Dio post praevisa merita (= dopo aver previsto i meriti),
cioè determinata dalla previsione della corrispondenza degli uomini alla grazia divina: tiene conto
un po’ dell’uomo, ma afferma che Dio non si impegna se prevede mancanza di meriti.
In entrambe le scuole l’attenzione è tutta posta su Dio e il dispositivo teorico è la PRESCIENZA DI DIO
(Dio prevede che l’uomo non corrisponderà; ma ciò toglie ogni relazione Dio-uomo).
SINTETICAMENTE:
- per gli agostiniano-tomisti: Dio prima predestina poi prevede;
- per i molinista-gesuiti: Dio prima prevede e poi predestina;
- per entrambi vi sono due difetti:
- teologico: non c’è la mediazione di Cristo;
- filosofico: inserisce la temporalità nell’eternità, inserisce l’antropologia delle facoltà in Dio
L’eredità agostiniana era pesante:
1. prospettiva della salvezza individuale;
2. infallibile efficacia della grazia;
3. intuizione, non però chiarita, del rapporto tra prescienza e predestinazione.
Il MEDIOEVO è cosciente del problema di come coordinare il decreto divino con l’ordine storico senza
introdurre né un’ingiustizia nel volere divino (problema di teodicea: un Dio cattivo), né una
predeterminazione della libertà umana (problema di antropologia: un uomo non libero):
- PIER LOMBARDO definisce la predestinazione come prescienza e disposizione dei benefici di Dio;
- ALESSANDRO DI HALES distingue tra la volontà di Dio antecedente al sapere dell’uso che l’uomo farà
della grazia, e volontà successiva a tale sapere; distinzione fra decreto divino e attuazione storica;
- con ALBERTO, TOMMASO e BONAVENTURA si consolida l’inclinazione analitica dell’antropologia delle
facoltà, che distingue anche in Dio la volontà, il sapere, il potere; cruciale è la questione se la
predestinazione è più un atto dell’intelletto che orienta la volontà (Tommaso), o
prevalentemente un atto della volontà (Bonaventura);
- con SCOTO e OCKHAM prevale il volontarismo.
Nella MODERNITÀ:
1. la posizione AGOSTINIANO-TOMISTA, definita come predestinazione ANTE PRAEVISA MERITA, punta a
salvare la libertà divina, e muove dalla considerazione storica dell’umanità sotto il segno del
peccato (massa dannata): in prima battuta Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini con volontà
antecedente e incondizionata, mediante la grazia sufficiente; successivamente, considerando
l’umanità peccatrice, sceglie alcuni per la salvezza, manifestando con questi la sua misericordia,
mentre altri non li sceglie, manifestando con loro la sua giustizia, la quale diventerà condanna
effettiva solo POST PRAEVISA DEMERITA; così Dio dà agli eletti le grazie necessarie, agli altri no;
2. la posizione MOLINISTA-GESUITICA, definita come predestinazione POST PRAEVISA MERITA, nasce con
l’intento di salvaguardare la libertà dell’uomo: Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini con
volontà antecedente e incondizionata; Dio decide di dare a tutti gli uomini senza distinzione la
grazia necessaria per la vita divina; dipende dalla volontà dell’uomo corrispondervi; se la risposta
è positiva si attua la salvezza soprannaturale, mentre se è negativa si arriva alla dannazione. Si
afferma che Dio, mediante la “SCIENZA MEDIA”, prevede infallibilmente la corrispondenza degli uni
e l’incorrispondenza degli altri; Dio decide di dare ai primi la grazia efficace e non agli altri.
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IN SINTESI:
1. per la soluzione agostiniana la predestinazione positiva è ante praevisa merita (qui si vede che
la sovranità di Dio, ma la libertà è dimenticata!), la riprovazione negativa è ante praevisa
demerita, la riprovazione positiva è post praevisa demerita;
2. per la soluzione molinista la predestinazione positiva è post praevisa merita (qui si vede che
l’uomo ha spazio, ma a scapito della gratuità della grazia!), la riprovazione negativa non c’è, la
riprovazione positiva è post praevisa demerita.
SINTESI ELEMENTARE:
1. nel sistema agostinista il nocciolo è: se ti salvi è merito di Dio, se ti danni è colpa tua, ma non
devi pensare che a Dio sia scappata di mano la situazione;
2. il ragionamento molinista invece è: a Dio non scappa di mano la situazione, perché la parte che
comunque riguarda la libertà dell’uomo, meriti o demeriti che siano, li vede prima, e su quelli
decide se dare la sua invincibile grazia.
IN SINTESI ESTREMA:
- la soluzione agostiniana afferma che Dio preconosce quelli che predestina;
- la soluzione molinista afferma che Dio predestina coloro di cui preconosce i meriti;
- in entrambi, si separa in Dio ciò che in Lui coincide, la conoscenza e la volontà.
→ in altre parole, l’ante vel post praevisa merita è un’alternativa logica insufficiente.
Il DIFETTO FILOSOFICO comune ai due sistemi è quello di considerare Dio in maniera antropomorfa nel
pensare volontà e conoscenza come successive.
Il DIFETTO TEOLOGICO comune ai due sistemi è che entrambi mirano a cercare il termine medio fra
volontà salvifica e salvezza effettiva nell’uomo, ma poiché ciò invaliderebbe l’efficacia della
volontà salvifica, sono costretti a cercarlo in Dio, precisamente nella sua preconoscenza.
→ MA LA TEOLOGIA DEVE LASCIAR CADERE OGNI ELEMENTO MEDIATORE TRA DIO E L’UOMO CHE NON SIA GESÙ CRISTO!
La soluzione positiva sta nel tornare al problema della predestinazione cogliendola nella sua
originarietà e realismo, direttamente dalla rivelazione, la quale la riferisce essenzialmente a Gesù
Cristo. Non l’umanità semplicemente si salva, ma l’umanità in Cristo!
SCUOLA AGOSTINIANO-TOMISTA MOLINISTA-GESUITICA
predestinazione positiva ante praevisa merita post praevisa merita
(sovranità di Dio, (l’uomo ha spazio,
ma libertà dimenticata) ma a scapito della gratuità della grazia)
riprovazione negativa ante praevisa demerita non c’è
riprovazione positiva post praevisa demerita post praevisa demerita
difetto filosofico considerare Dio in maniera antropomorfa
(pensare volontà e conoscenza come successive)
difetto teologico cercare il termine medio (fra volontà salvifica e salvezza effettiva
nell’uomo) nella prescienza di Dio
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I contendenti sono:
- Molina (gesuiti):
- grazia sufficiente a tutti, efficace nel consenso di libertà (predestinazione post praevisa merita);
- concorso di Dio è parallelo all’azione libera dell’uomo, e la libertà di Dio è garantita dalla
“scienza media” (conoscenza intermedia fra conoscenza del possibile e conoscenza del reale)
che conosce le cose possibili che diventano reali per decisione della libertà;
- Banez (tomisti):
- grazia già in partenza distinta in sufficiente ed efficace (predestinazione ante praevisa merita);
- concorso di Dio è predeterminante, e non c’è bisogno di alcuna scienza media.
10.2. La predestinazione di Cristo e la partecipazione degli uomini
Gesù Cristo come criterio e forma della predestinazione
La “risoluzione teologica” della predestinazione nella “PREVISIONE” DI DIO non risolve la questione:
pone un’alternativa tra Dio che salva (prospettiva universale) e gli uomini che effettivamente si
salvano (prospettiva individuale), commettendo così il duplice errore di un eccesso teologico
(l’onnipotenza della grazia) e un difetto antropologico (l’impotenza della libertà), e perciò anche
il duplice errore contrario (incapacità della grazia di fondare la libertà dell’uomo, e potere
determinante della libertà umana nei confronti di Dio).
Occorre riandare al SENSO DELLA RIVELAZIONE: la predestinazione di Gesù Cristo è il fondamento della
predestinazione degli uomini in Cristo! Criterio e forma che istituisce la predestinazione è – e non
può essere altro che – Gesù Cristo: tale criterio non è dato a monte della forma storica con cui la
libertà filiale di Gesù si attua nella pienezza della dedizione/obbedienza al Padre, ma proprio tale
storia istituisce la forma della predestinazione. Essa si dà storicamente, nella storia e come storia.
È stato difficile uscire fuori dalla logica del predestinazionismo. Ancora:
- BILLOT tende a perpetuare la visione non biblica di un Dio che preconosce ma non predetermina;
- BOUILLARD e BALTHASAR indirizzano al confronto con la dottrina dell’elezione di Barth;
- BARTH critica la teologia cattolica per il carattere astratto (non storico-salvifico), simmetrico (la
predestinazione è alla salvezza e alla dannazione) e individualistico (questione di chi si salva e chi
si danna e perché) della predestinazione; l’elezione ha invece carattere universale perché si
determina in Gesù: poiché in Lui c’è Dio che elegge e c’è l’uomo che accoglie l’elezione, la
predestinazione è garantita nella sua GRATUITÀ, EFFICACIA e UNIVERSALITÀ (nel mistero pasquale,
Gesù si appropria anche del rifiuto dell’uomo e lo elabora salvificamente in sé; in tal modo
l’uomo resta libero, e Dio resta incondizionato!).
Nella CHIAVE CRISTOCENTRICA inaugurata, o meglio recuperata, da BARTH (di certo cristocentrica, ma che
non riesce ad articolare correttamente la mediazione antropologica) la predestinazione è:
1. gratuita, perché è il dono di Gesù Cristo stesso, della sua vita e del suo amore, della sua fede e
del suo Spirito, tutte cose che l’uomo non è, che può solo ricevere in dono, da lui inesigibili a
prescindere dalla considerazione del peccato;
2. infallibilmente efficace, in quanto riesce nella Pasqua di Cristo e quindi riesce in chi crede in Lui;
3. universale, perché è l’unico piano di Dio, non ne esiste un altro; non è dunque universale solo
perché è offerto a tutti (universalità quantitativa), ma anche perché in Cristo trova la sua forma
veritativa (universalità qualitativa).
→ chi non si lascia conformare a Cristo perde la sua destinazione, e attua la possibilità della
perdizione, ma NON ESISTE UNA PREDESTINAZIONE ALLA CONDANNA: la dannazione non è un’alternativa
rispetto alla salvezza, essa è ciò che è assolutamente non voluto da Dio. Semplicemente!
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IN SINTESI:
- nella RIVELAZIONE, la predestinazione è il grande disegno di Dio di renderci partecipi della vita divina;
- con AGOSTINO diventa il centrarsi sulla salvezza: si crea una visione concorrente di grazia e libertà
(se dipende da Dio l’uomo non è libero, se dipende dall’uomo Dio è condizionato);
- nella MODERNITÀ si cerca una soluzione (erronea) sulla prescienza di Dio, con errori filosofici e
teologici enormi (manca la mediazione di Cristo!).
Nonostante una contemporanea impostazione antropocentrica, non mancano mai le domande su
Dio e la radicata questione predestinazionista…
PASTORALMENTE:
Va bene dire che Dio conosce tutto…non che conosce GIÀ tutto:
- il pensiero è sempre pensiero dell’essere, mai del non essere (va Ω Α
bene dire che Dio ha una conoscenza eterna, che si rapporta con Israele
ogni punto del tempo…ma non con ciò che – ancora – non è,
semplicemente perché non è!);
- l’atto della libertà ci fa assomigliare a Dio, la creazione del novum Cristo
è ciò che ci rende simili a Dio (così anche noi siamo liberi di far
accadere qualcosa di nuovo);
- Dio non conosce già il futuro ma ha il massimo di previsionalità, Chiesa
perché vede l’orientamento del cuore delle persone, conosce 2020
l’affidabilità dell’uomo (contrariamente all’uomo, così limitato
nella sua capacità di previsione).
Non bisogna leggere la questione temporale nella logica greca fatalistica: senza scollare rivelazione
e filosofia, bisogna piuttosto – sul guadagno del Novecento – ripensare una metafisica della carità,
una ontologia della libertà, una coessenza di dono e libertà …
Nella logica cristologica il tempo non è ciclico (assenza di novità) né lineare, ma è kairologico (tempo
“opportuno”, quando Dio tocca l’istante della vita: occasione dello scambio d’amore); il tempo
non è solo distensio animis (di Agostino) ma è DISTENSIO AMORIS in forma finita.
Così l’eterno non è il contrario del tempo, ma è la temporalità di Dio, il modo di sussistere di Dio, lo
scambio d’amore in Dio; ecco perché Dio può patire il tempo: vede quello che c’è, prevede quello
che non c’è, ma non lo sa perché resta nell’atto della libertà!
È importante aiutare a distinguere:
- CASO, che propriamente non esiste (siamo noi che non abbiamo la previsionalità divina), ma è
sempre questione di cause e concause…piuttosto Dio lascia alla flessibilità del sistema,
lascia al libero incontro;
- NECESSITÀ (ovvero la prevedibilità delle leggi di natura), che esiste ma ordinata alla libertà;
- LIBERTÀ, posta da Dio stesso come dono all’uomo nel Suo partecipare di Sé;
- PROVVIDENZA, cioè la libertà di Dio che interviene nella storia (kairos), attraverso la grazia e anche
ultimamente ai miracoli (che attualizza i segni di natura in maniera straordinaria).
→ poiché al centro c’è il dono della libertà, è bello che Dio non blocchi i “giochi” tra necessità e
provvidenza: è un sistema non sistematico, un SISTEMA DRAMMATICO che porta in sé DONO e LIBERTÀ;
non deve essere troppo rigido…ma nemmeno troppo fluido: ecco la necessità di natura ed ecco
la PREDESTINAZIONE divina!
La PERMISSIONE DEL MALE: Dio non vuole il male, non fa il male, non rimane fermo a guardare il
male…ma ne permette delle quote, sempre in vista di un bene più grande! Lascia sbagliare
perché capiamo di non poter fare senza di Lui: non perdere mai la struttura dell’invocazione!
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La predestinazione come “destinazione” dell’umanità a Cristo
→ PREDESTINAZIONE è l’ordine storico voluto da Dio, che si attua in Cristo e in chi crede in Lui:
questo evita di pensare
- l’infallibile efficacia della grazia in termini deterministici (Agostino, Lutero),
- la salvezza dell’uomo in termini moralistici, ricompensa per bontà morale (Pelagio, Illuminismo)
Il compito teologico è quello di elaborare la MEDIAZIONE ANTROPOLOGICA DELLA PREDESTINAZIONE: come si
attua la predestinazione degli uomini in Cristo. Si tratta anzitutto di pensare la “destinazione”
dell’umanità a Cristo: un’ANTROPOLOGIA DELLA DESTINAZIONE costituisce il giusto medio antropologico.
In questo senso, “pre-destinazione” significa “orientamento” (= destinazione) “filiale” (= pre):
ORIENTAMENTO ORIGINARIO FILIALE…ma chi crede ha la vita eterna!
Abbozzo teorico
Per superare l’estrinsecismo ed evidenziare l’universalità della destinazione in Cristo, si deve
ricordare che la creazione in Cristo si articola in:
- ESISTENZIALE CRISTICO (chiamata ontologica da parte di Dio e desiderio dell’uomo di vedere Dio)
- ESISTENZA CRISTIANA (disegno attuato: sacramenti e vita spirituale, vita nuova in Cristo)
1. Se la predestinazione è la chiamata degli uomini in Cristo, allora l’uomo è un essere in cerca di
“destinazione”. Non è una delle attività possibili dell’uomo, ma la finalità del suo agire storico.
L’uomo non è dunque un facere ma una agere, non un fare delle cose, ma un agire nell’orizzonte
di una promessa. Perciò, nel decidersi per questo o quello, si decide sempre anche di fronte al
bene promesso in quei beni in cui si anticipa ma non si esaurisce e non può esaurirsi.
2. Se la predestinazione è la chiamata degli uomini in Cristo, allora l’uomo può e deve rielaborare le
figure del “destino”, distanziandosi dalle sue forme patologiche. Esso non sarà una realtà che si
afferma contro la libertà (destino come fatalità, necessità), e come qualcosa che possa essere
estrapolato dalle possibilità dell’uomo e della storia (titanismo che lotta contro il fato e
immanentismo rassegnato alla necessità).
3. Se la predestinazione è la chiamata degli uomini in Cristo, allora la libertà, che è chiamata alla
destinazione, può e deve autodeterminarsi dinanzi al suo futuro inteso come “pre-donazione”. In
tal senso, se la libertà è autorizzata da una verità che le viene incontro in forma promettente, il suo
compimento secondo verità implica la scelta pratica del suo corrispondervi attivo.
Queste tre proposizioni analitiche intendono giustificare il passaggio dalla predestinazione DI Cristo
alla predestinazione IN Cristo:
1. la salvezza appare esclusivamente come effetto della volontà di Dio: è infatti solo dalla volontà
di Dio che viene tutta la salvezza dell’uomo;
2. questa salvezza ha la figura della libertà storica e dell’obbedienza di Gesù Cristo: la fides Jesu,
e il suo motivo è l’identità filiale di Gesù: qui è contenuta la destinazione dell’umanità, di ogni
uomo e di tutti gli uomini;
3. il rapporto tra l’umanità singolare del Figlio e noi si realizza nella fede mediante lo Spirito; se
l’uomo oppone resistenza, rende sterile la volontà salvifica di Dio, ma se non si oppone, tale
volontà si realizza infallibilmente; rifiutare significa perdersi, perdere la propria destinazione.
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11. La creazione, luogo dell’antropologia cristiana.
La realtà creata, segno per la comunione
11.1. Il ritmo della predestinazione in Cristo e le categorie dell’antropologia
teologica
Fondamento di tale “ritmo” della predestinazione in Cristo:
- il disegno divino è ORIGINARIAMENTE CRISTICO e la realtà va considerata come creazione in Cristo;
- la CREAZIONE non costituisce un presupposto esterno all’alleanza, ma interno, cioè va pensato
come il primo momento dell’alleanza;
- IL MONDO E L’UOMO vanno compresi originariamente in MODO CRISTOLOGICO-TRINITARIO, cioè sono
posti da Dio in vista della donazione del Figlio. Non si tratta del rapporto generico di Dio con il
mondo, ma la creazione appare il luogo per la filiazione di grazia. Il rapporto di Dio con il mondo
è segnato dalla relazione trinitaria Padre-Figlio nello Spirito, non dalla semplice relazione
Creatore-creatura.
Il modello aristotelico si fonda sulla causalità, che fa pensare a Dio come “architetto”; il modello
platonico è invece partecipativo, dove la realtà partecipa della perfezione; il cristianesimo tiene
insieme queste due grandi intuizioni: “il figlio è colui che porta in sé la propria origine”. La creazione
non è semplice produzione di realtà, ma come realtà filiale, come “ESISTENZIALE CRISTICO”. Dio è
davvero il “tutt’altro” e il “non-altro”.
La verità dell’uomo in rapporto a Dio si realizza in un DUPLICE MOVIMENTO:
1. la predestinazione si realizza ponendo una realtà che è altra da Dio (la storia umana come
creazione, libertà, uomo e donna). Tale alterità non preesiste alla volontà salvifica di Dio, ma
VA COMPRESA ALL’INTERNO DEL DONO DI PARTECIPAZIONE ALLA VITA DEL FIGLIO; detto altrimenti:
- il creato non è una realtà neutra che va presupposta, ma è posta originariamente dalla sua
destinazione e verso la sua destinazione
- la relazione al Figlio contrassegna radicalmente la creatura
- il dono di Dio che è Gesù Cristo pone il destinatario del dono in modo che possa conformarsi
gratuitamente alla figura del Figlio
- creazione/libertà/uomo-donna sono allora la manifestazione del mistero di Dio nell’altro da
sé, totalmente da Lui dipendenti e a Lui aperti e disponibili
→ l’antropologia teologica illustra L’ALTERITÀ DEL MONDO COME POSSIBILITÀ DI COMUNIONE e come
chiamata ad essere in Cristo, a prendere i suoi tratti filiali.
2. la predestinazione come la destinazione di ciò che Dio pone come altro da sé: il mondo, la
libertà, l’uomo-donna sono creati in vista della conformazione a Cristo; detto altrimenti:
- la verità, la vita e la via della creazione è l’incorporazione gratuita alla figura filiale di Gesù
Cristo; essa si realizza come attuazione eccedente e indeducibile della realtà creata nella
figura singolare della libertà filiale di Gesù Cristo
- la grazia dell’incorporazione non suppone una natura previa a cui si aggiunge
successivamente come soprannatura, ma pone la realtà creata contrassegnandola
originariamente con la sua destinazione
- l’incorporazione è assolutamente gratuita, perché pone il creato come grammatica per
l’alleanza che è la chiamata in Cristo e il dono dello Spirito.
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11.2. La creazione nella Bibbia: benedizione, salvezza, compimento
Storia di equivoci: a causa della mentalità cosmologica, avvenne un processo di COSMOLOGIZZAZIONE e
di FILOSOFIZZAZIONE (la questione dell’origine del mondo fu sovrapposta ai racconti degli inizi della
storia, e il tema della creazione in Cristo andò incontro a una graduale dimenticanza).
Rinnovamento dell’esegesi biblica:
- privilegio alla COMPRENSIONE SINCRONICA O CANONICA della Scrittura,
- AUTONOMIA E LEGAME tra Antico Testamento e Nuovo Testamento,
- ripensati i nodi di STORICITÀ E MITO, e di CREAZIONE E ALLEANZA.
Racconti dell’inizio: separazione, fondazione, promessa
Tre questioni proprie di una LETTURA CANONICA DEL TESTO BIBLICO:
1. rapporto fra cultura biblica e cultura mediorientale.
L’approccio comparativo che studia gli aspetti di dipendenza e di autonomia della cultura
biblica rispetto alle culture circostanti risultò riduttivo: si arrivava alla conclusione che le diverse
tradizioni religiose non erano che espressioni diverse delle stesse credenze;
2. uso del linguaggio simbolico.
In realtà, miti e simboli presenti nel racconto biblico hanno una chiara originalità; due i caratteri
principali:
- la netta distanza dal mito (assenza di tracce politeiste)
- la maggiore attenzione alla storia (i racconti di creazione sono delle genealogie).
Nella Bibbia, il mito – che dice intuitivamente e drammaticamente ciò che la metafisica dice
concettualmente – non spiega l’origine del mondo per contrapposizione alla storia; invece è
intimamente connesso al rito, è orientato a un’eziologia della storia, un’interpretazione della
vicenda storica alla luce del disegno e degli interventi di Dio: non mira a dire scientificamente
le origini di mondo e uomo, ma a interpretare sapienzialmente l’esistenza di mondo e uomo;
3. rapporto fra creazione e alleanza.
La fede nella creazione è successiva all’esperienza dell’alleanza. Diverse le spiegazioni:
A) BARTH e VON RAD: la fede nella creazione è implicazione della fede nella salvezza: la
creazione è il presupposto dell’alleanza; si opera un passaggio da una concezione religiosa
nazionalista a una universale: il Dio liberatore viene a coincidere con il Dio creatore;
B) WESTERMANN: l’idea di creazione non è originale di Israele, e non dipende anzitutto
dall’esperienza dell’alleanza, ma appartiene al patrimonio comune dei popoli del Vicino
Oriente: per questo non appariva negli articoli di fede, ma ne era lo sfondo implicito.
NUOVI METODI E INTERPRETAZIONI. RICOEUR riassume magistralmente:
1. la Torah è il testo fondatore del canone biblico;
2. agli eventi salvifici vengono fatti precedere gli eventi fondatori: non è precedenza mitologica o
cronologica, ma un rapporto di cesura e inaugurazione, di SEPARAZIONE e FONDAZIONE.
3. la funzione di separazione ha il compito di disegnare la storia come arco di eventi unitario: il
senso della progressione nella separazione corrisponde all’idea di “distinzione” del Creatore
dalla creazione, separazione originaria, senza cui il mondo non avrebbe esistenza autonoma.
4. la funzione di fondazione è quella di inaugurare, instaurare, imprimere direzione alla storia.
Ricoeur spiega che il significato fondativo della storia primordiale dice di più della funzione
eziologica che risale all’archetipo o della universalizzazione di tratti particolari a tutta la
condizione umana; i racconti dell’inizio danno inizio a una storia: l’inizio non sta all’estremità
della storia, ma sprigiona un’energia che produce storia (vedi il tema della “benedizione”).
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Creazione e benedizione nei racconti dei primordi
La SEQUENZA DI GENEALOGIE produce storia, dice che la benedizione di Dio si propaga nella storia
dell’uomo, propone una fede nell’agire di Dio che continua a sostenere la benedizione di Gn 1,28:
siate fecondi e moltiplicatevi, dà avvio alla storia dei popoli e all’agire salvifico di Dio; la creazione
si riproduce con la benedizione nell’orizzonte del cosmo e dei popoli.
Eccezionale la struttura del PRIMO RACCONTO DI CREAZIONE, perfetto intreccio della dimensione spaziale
e di quella temporale:
1. circa lo spazio, due modalità espressive: nella proclamazione ed esecuzione delle opere, si nota
ripetizione (Dio disse, ancora senza destinatario) e variazione (le dimensioni del creato e le
separazioni di luce-tenebre, lavoro-riposo), liturgia solenne, efficace monotonia;
2. circa il tempo, le opere del settenario danno risalto all’opera di distinzione; la successione non
dice emergenza delle cose dalla materia preesistente, ma opera ordinatrice, ordine ritmico,
regolarità; il sette dice pienezza, il settimo giorno separa la ferialità lavorativa da appartenenza
a Dio e indica il riposo come la mèta dei sei giorni: il giorno di Dio è il fine dell’uomo, per questo
il culto e la festa danno senso alla temporalità dell’uomo.
Creazione e Salvezza nei Profeti
I profeti annodano il tema della CREAZIONE con quello della SALVEZZA: particolarmente l’esperienza
dell’esilio e del ritorno incerto vengono sostenute nella speranza mediante il richiamo all’agire
creatore.
I temi della salvezza e della creazione diventano quelli del NUOVO ESODO e della NUOVA CREAZIONE: il
tema della creazione non interessa tanto il PASSATO, ma sostiene il PRESENTE e sporge verso il FUTURO.
Creazione e Sapienza negli Scritti
La riflessione sapienziale è caratterizzata dai PROBLEMI DELL’ESISTENZA dell’uomo nel cosmo, del male e
della sofferenza del giusto. I saggi riprendono gli eventi fondatori della Legge e li universalizzano
mediante LA SAPIENZA CHE ASSUME TRATTI PERSONIFICATI ed è presente nell’agire creatore di Dio:
- nei Proverbi, la sapienza si accredita proprio nella coerenza dell’opera della creazione;
- nei Salmi, la creazione non è un gesto isolato, ma è vista come il fondamento e il primo gesto
della storia della salvezza;
- nel Siracide, il problema del male viene riferito all’abuso della libertà per contrasto alla bontà
originaria della creazione;
- in Giobbe, il rimando alla bellezza, bontà e sapienza della creazione è l’indicazione risolutiva
circa il problema del male;
- nella Sapienza, oltre all’asserzione che l’uomo non è fatto per la morte, ma per l’incorruttibilità,
viene aperta la riflessione sulla creazione in senso cosmologico e non solo antropologico: la
contemplazione della creazione rinvia alla contemplazione del Creatore.
Cristo compimento/mediatore della creazione
Nei vangeli, la centralità di Gesù e del suo messaggio pone tutto l’Antico Testamento e il tema della
creazione sullo sfondo, ma poi il significato complessivo dell’evento di Gesù manifesta un peso
escatologico e protologico, soteriologico e cosmologico: la definitività dell’evento pasquale si
collega con l’originarietà dell’agire creatore di Dio. Nel Nuovo Testamento la creazione non resta
cioè solo sullo sfondo, ma si pone anche come prospettiva: si parte da Cristo per riferire a Lui tutta
la realtà creata: CRISTO NON È SOLO IL SALVATORE, MA ANCHE IL MEDIATORE DELLA CREAZIONE. Da qui le
pagine paoline che illuminano la dimensione cosmica dell’evento di Gesù.
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SINOTTICI.
1.Circa il rapporto fra Dio e la creazione, i vangeli sottolineano la bontà originaria della creazione,
il potere sovrano di Dio sul creato, e il creato come luogo di manifestazione della bontà di Dio;
2.Nel rapporto fra uomo e mondo, è in evidenza l’ambiguità del mondo, teso fra la bontà originaria
e la pericolosità storica: il mondo non è realtà a se stante, ma è il luogo in cui si esercita la libertà;
3.Il rapporto fra creazione e Gesù Cristo è solo insinuato: guarigioni “in giorno di sabato”, rimando
al “principio”, “sguardo” di Gesù nel discorso della montagna.
PAOLO.
Esplicito e centrale è il tema della CREAZIONE IN CRISTO.
1.La Parola di Dio non è solo comunicativa, ma è anche creativa.
- la proesistenza di Gesù (esistenza per la nostra salvezza) manifesta la sua preesistenza (il suo
fondamento), la sua azione salvatrice dischiude la sua mediazione creatrice;
- la funzione redentrice e la funzione cosmica di Cristo sono in continuità;
- tuttavia, l’azione complessiva di Cristo sul creato è differenziata: il suo rapporto con il mondo
è differente dal rapporto con la Chiesa, la mediazione creatrice non è immediatamente la
partecipazione ecclesiale, IL MONDO NON È SUBITO IL CORPO DI CRISTO (attenzione al cristo-monismo
e all’ecclesio-centrismo).
2.Tratti della funzione cosmica di Cristo:
- tutto è stato creato NEL Cristo (en: causa esemplare), DAL Cristo (dia: causa efficiente) e PER
Cristo (eis: causa finale);
- egli è il principio di coesione di tutte le cose (logos: senso, verità del mondo)
GIOVANNI.
Gesù è il Logos delle cose, sia in senso ellenistico, come anima dell’universo, sia in senso biblico,
come parola creatrice, sia in senso originalmente neotestamentario; cioè il Logos è proprio Gesù!
11.3. La creazione nella storia: la lenta deriva cosmologica
Periodo patristico
I-IV secolo
1. Nel complesso lavoro di opposizione e accoglienza della cultura greca, l’impresa cristiana si
qualifica globalmente come ANTIGNOSTICA, tesa ad affermare la radicale bontà della creazione e a
respingere ogni visione dualistico-manichea, sia in senso metafisico che morale. Il male non ha
consistenza ontologica, ma la prende solo come “mancanza di essere”.
2. L’idea cristiana, elaborata al meglio da Ireneo, è che il mondo non principia da una materia
increata e neanche è il risultato di una caduta, ma è CREATIO EX NIHIL, fondata sulla volontà di Dio
di distinguere da sé per chiamare alla comunione con sé la realtà creata, mediante Gesù Cristo e
lo Spirito Santo (nella forma di Cristo e con la forza dello Spirito).
3. Il problema del male non trova soluzione cercandone l’origine, ma nella PROSPETTIVA DELLA FINE; il
parallelismo Adamo-Cristo non è presentato nel senso dell’antitesi ma della continuità e della
finalizzazione: il primo Adamo esiste in ogni senso in vista del secondo.
4. L’idea sintetica di Ireneo è quella di “RICAPITOLAZIONE”, che non intende un ritorno indietro della
storia, ma intende la prospettiva escatologica del “fare capo a”, del movimento della storia verso
la pienezza finale di Cristo, proprio come viene esemplato e attuato nell’adempimento
eucaristico delle realtà creaturali del pane e del vino e dell’adempimento ecclesiale dell’umanità.
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5. Le difficoltà dell’integrazione cristiana della cultura ellenista vengono in luce nel pensiero di
Origene: pure nella consapevolezza dell’atto creatore di Dio e della realtà creaturale del mondo,
fatica a dissociarsi dalle idee di una materia preesistente, di idee eterne, di un Dio immobile.
IV-V secolo
Il passaggio del dibattito teologico dal piano della Trinità economica a quella immanente rende
sempre più difficile spiegare la funzione cosmologica di Cristo e inclina a far intervenire Cristo
dopo il peccato in funzione redentiva. La creazione è riferita all’unico Dio, non alla Trinità, e se alla
Trinità, allora è riferita al Padre: la dottrina delle appropriazioni assegna la creazione al Padre, la
redenzione al Figlio, la santificazione allo Spirito. Attenzione, invece: il Dio trinitario organizza tutto
a partire da Cristo e in vista di Cristo (Ef 1).
La TEOLOGIA GRECA (Gregorio di Nissa, Crisostomo) introduce la distinzione fra il Logos e il Redentore,
ma resta e si approfondisce la difficoltà a vederne l’unità, e vederla precisamente in Gesù Cristo.
Nella TEOLOGIA LATINA (Agostino), la creazione, pur sottratta al dualismo manicheo, pur affermata
come creatio ex nihil, e pur riferita al Logos di Dio, stenta ad essere pensata in modo cristiano.
➔ In Agostino, in particolare, è notevole il tema della SOMIGLIANZA DELLE COSE ALLA TRINITÀ, 13 dei
vestigia trinitatis in ente creato, delle rationes seminales: le creature sono di due tipi, quelle
fissate nella loro forma definitiva fin dall’inizio e quelle di tutti gli esseri divenienti, compreso
il corpo dell’uomo. Questo modo di vedere non anticipa per nulla l’evoluzionismo, che gli è
addirittura opposto: l’essere creato è fondamentalmente immobile e lo sviluppo, solo di
superficie, è soltanto l’esplicitazione di ciò che è già contenuto non solo potenzialmente ma
specificamente, per cui il divenire tende a presentarsi come apparente. In questo modo, però,
crescono l’amartiocentrismo in teologia e il cosmocentrismo in filosofia.
Periodo medioevale
La teologia prosegue il lavoro di cosmologizzazione della creazione iniziato dai padri. L’introduzione
del modello di pensiero aristotelico, che studia le cose in se stesse e nelle loro cause, favoriva la
visione cosmocentrica. Troviamo due orientamenti, influenzati da:
- PLATONISMO: la realtà è in rapporto al suo fondamento per partecipazione e per imitazione. È
una visione immediatamente legata al senso religioso, gode di una buona attitudine
contemplativa, comporta al tempo stesso dei rischi: la partecipazione inclina all’emanazione,
e l’imitazione il panteismo.
- ARISTOTELISMO: il rapporto al fondamento è di tipo causale. Non mancano la causalità esemplare
e la causalità finale, ma quella formale e quella efficiente sono in primo piano. La creazione è
realtà posta in essere più che realtà somigliante. Il contesto cristologico è dimenticato: non si
considera il modo concreto, storico, rivelato con cui le cose stanno davanti a Dio.
➔ Il problema del PLATONISMO è quello di inserire fra Dio e mondo un INTERMEDIARIO, mentre il
problema dell’ARISTOTELISMO è di non intendere ALCUN INTERMEDIARIO: tuttavia, in entrambi i casi,
Gesù Cristo non è visto come mediatore della creazione, per il platonismo perché la somiglianza
fra creatore e creatura non dipende precisamente da Gesù, per l’aristotelismo perché la causalità
creatrice è propriamente di Dio, non di Gesù.
➔ L’indicazione è: CRISTOCENTRISMO!
13
La filosofia di XIX-XX secolo intuirà la struttura trinitaria della realtà, ma spesso con sviste, derive
e mancanze (cfr. Hegel, Levinas, …).
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Periodo moderno
Il cristocentrismo è non più semplicemente indebolito o dimenticato, ma è proprio formalmente
perso: il mondo è cosificato come natura, e il riferimento sacro è soprannatura.
L’intervento del magistero codifica le nozioni irrinunciabili del discorso cristiano sulla creazione:
DIO HA CREATO IL MONDO AD DEI GLORIAM, LIBERRIMO CONSILIO, EX NIHILO ET IN TEMPORE.
1. AD DEI GLORIAM: nel senso che Dio non crea per necessità (Günther), né per autoglorificarsi
(Lessio), ma neanche, al contrario, per la sola felicità delle creature (Hermes). La gloria di Dio è
la manifestazione della sua bellezza, sapienza e forza, la quale avviene in molti modi: nel suo
santuario, nella natura e nella storia, in Gesù Cristo, nella Chiesa e nei cristiani. Nessuna
possibilità di distinguere fra gloria di Dio e felicità degli uomini.
2. LIBERRIMO CONSILIO: la libertà di Dio e la relativa gratuità della creazione è evidenziata dalla
contingenza della creazione. Dio è inoltre da ritenere libero sia nell’atto della creazione che nei
modi. La libertà dell’agire creativo di Dio va affermata non tanto per salvaguardare l’autonomia
di Dio, ma, al contrario, per sottolineare la sua decisione di comunicare se stesso!
3. EX NIHILO: la formula dice opposizione all’emanazionismo, al panteismo, all’idea di preesistenza
della materia; esprime la radicale signoria di Dio sul creato, e anche la relativa autonomia di esso!
4. IN TEMPORE: la formula si oppone alla creazione intesa come necessaria. Ciò non significa il sorgere
della creazione “in un certo momento” (prima della creazione non esistono momenti: anche il
tempo è creato, insieme alle cose!), bensì il suo radicale “dipendere”, “essere originato”, “avere
un principio”. Dio è eterno ed è creativo: crea qualcosa di altro-da-Sé, che, dunque, non è Dio!
IN SINTESI
La creazione non è produzione di realtà, ma produzione di realtà filiale perché siamo creati in Cristo;
siccome però il discorso si è sempre più cosmologizzato, il Magistero è arrivato a dire delle cose
giuste anche se in maniera un po’ troppo filosofiche:
- ad Dei gloria: non opporre la gloria di Dio e la felicità dell’uomo
- liberrimo consilio: gratuità della creazione e la decisione di comunicare se stesso (doppia grazia):
non è solo produzione di realtà ma di realtà filiale
- ex nihilo: non come emanazione di Dio e non a partire da materia preesistente
- in tempore: legame di origine, di dipendenza (quando avviene inizia ad esistere il tempo)
12. La riscoperta della creazione: riflessione contemporanea
12.1. L’istanza ecologica
Il movimento ecologico
Importante distinguere:
- la riflessione culturale (lecita)
- dall’ideologia ecologista (pericolosa), che poi tende a divenire anche movimento politico.
Attenzione separare ISTANZA ECOLOGICA e ISTANZA ETICA: un ritorno ingenuo alla natura è ingiustificato,
poiché nega l’intervento responsabile dell’uomo, la sua qualità etica, consolidando la separazione
fra uomo e natura e pensando l’azione umana o senza mondo, o puramente mondana, cioè
comandata da criteri naturalistici.
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L’ecologismo pecca di ingenuità (postmoderna e iper-moderna), poiché i PRINCIPI DI OGNI CIVILTÀ si
fondano sulla distinzione (che oggi viene appiattita) e sono:
- divieto di incesto (bisogna separarsi dalla madre);
- prescrizione di esogamia (sposare persone di altra famiglia).
La teologia ecologica
Dalla ragione strumentale alla ragione comunicativo-integrale (il mondo come similitudine e
rappresentazione), alla ragione pratico-emancipativa e soteriologico-escatologica (il mondo come
oggetto di rispetto e riscatto).
→ L’idea di creazione come natura opera un’integrazione di uomo e natura che viene detta a spese
della libertà, della cultura, della civiltà.
12.2. Il dialogo con le scienze
Nuovi paradigmi: l’evoluzione come sistema aperto
RAPPORTO METODOLOGICO: da separazione fra scienza e fede (reciproca esclusione), a concorrenza
(reciproca immunizzazione e relativizzazione), a consonanza (affrettato concordismo).
SCOPERTE DI TERMODINAMICA E FISICA QUANTISTICA: il mondo come sistema aperto, autoorganizzazione,
processo dotato di irreversibilità e creatività, direzionalità e finalismo antropico.
L’idea di MONDO COME SISTEMA APERTO mostra un evidente spostamento di categorie antropologiche
in area cosmologica: il mondo si umanizza, l’uomo si naturalizza. La libertà-trascendenza dell’uomo
perde evidenza.
IN SINTESI
Dialogo con ISTANZA ECOLOGICA e con le SCIENZE: tutti e due i dialoghi sono al momento un po’ deludenti
sul piano teoretico, perché c’è la tendenza a separare natura e cultura (livellare l’uomo al cosmo).
→ Dio non è mitologico ma è STORICO! Ragione e libertà sono l’infrastruttura dell’ESISTENZIALE CRISTICO!
ECCO CHE…
1. Quando la materia supporta ciò che Dio aveva in mente, si realizza; quando la materia arriva a
livello adeguato di autorganizzazione, allora Dio può dar compimento al progetto di uomo che
ha da sempre. L’evoluzionismo non dispiace alla ragione, né alla fede!
2. Quando si realizza, cioè quando interloquisce con la natura, Dio la fa sentire degna e viene fuori
tutta la bellezza umana.
12.3. Tre istanze per una teologia della creazione
Al di là del naturalismo nel dialogo con l’ecologia e le scienze
Viviamo una genericità del giudizio che imputa allo spiritualismo cristiano la SECOLARIZZAZIONE
moderna, la DEMONDANIZZAZIONE dell’uomo e l’ARBITRIO dell’uomo sul mondo.
L’antropocentrismo moderno non si supera con il ritorno mitico alla natura postmoderno: è una
strategia che replica la separazione uomo-mondo, rovesciandone semplicemente i termini.
L’istanza è quella di PARLARE DEL COSMO COME CONDIZIONE E LUOGO DELLA LIBERTÀ, non come scenario per
un intervento acosmico e arbitrario dell’agire umano, ma come LUOGO SIMBOLICO nel quale e
attraverso il quale la COSCIENZA È ISTRUITA SULL’AFFIDABILITÀ DEL REALE E DELLA PRESENZA OPERANTE DI DIO.
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La valenza cristologico-trinitaria della teologia della creazione
LA CREAZIONE È CREAZIONE IN CRISTO.
In una comprensione cristiana della creazione la questione non è semplicemente quella delle
ORIGINI, ma quella della MEDIAZIONE. Non esiste un rapporto immediato fra il creatore e la creatura:
esso è mediato cristologicamente e pneumaticamente, il che implica la sottolineatura dell’agire
libero dell’uomo.
TIPOLOGIE:
1. BARTH (modello teocentrico): l’atto creativo è DECISIONE E GIUDIZIO DI DIO SUL MONDO. La creazione è
il fondamento esterno dell’alleanza e l’alleanza il fondamento interno della creazione. La
mediazione è strettamente cristologica. La difficoltà è pensare l’effettiva consistenza della
realtà creaturale;
2. RAHNER (modello logocentrico): l’atto creativo si fonda NELL’EVENTO DELL’INCARNAZIONE DEL LOGOS. La
creazione è la grammatica dell’alleanza. La mediazione cristologica è difficoltosa;
3. BALTHASAR (modello cristocentrico): la libertà creaturale è APERTURA ESTATICA NEI CONFRONTI DELLA
INDEDUCIBILE RIVELAZIONE DI DIO. Il creato è anticipazione simbolica del rapporto rivelato;
4. PANNENBERG (modello trinitario): il creato è un PROCESSO EVOLUTIVO DI AUTOTRASCENDIMENTO in cui
l’apertura delle forme vitali raggiunge nell’uomo l’immagine dell’autodistinzione
delle persone trinitarie.
→ IDEA COMPLESSIVA: fondazione trinitaria della dottrina della creazione.
- due modelli sintetici: l’uno cristologico-fondativo, l’altro storico-evolutivo.
- contenuto fondamentale: la creazione va compresa nel rapporto con la pasqua di Gesù e
l’azione del suo Spirito.
Il mondo come “medio” simbolico dato all’uomo
La teologia della creazione richiede le risorse dell’ontologia simbolica, per operare il superamento
dell’impianto cosmocentrico antico e antropocentrico moderno:
- l’idea della creazione come origine delle cose non intendeva allentare il riferimento a Cristo, ma
garantire la libertà di Dio e della creazione;
- l’istanza attuale è quella di RIPENSARE LA TRIADE DIO-UOMO-MONDO SUPERANDO NATURALISMI,
SOGGETTIVISMI E DUALISMI (uomo-mondo, storia-natura, soggetto-oggetto), e rivisitando le
categorie classiche (ex nihilo, onnipotenza, gratuità, causalità…).
Il senso del mondo come ambiente antecedente, avvolgente, già umanizzato, è ricordare all’uomo
che egli viene all’esistenza né da solo né per primo, e che viene istruito sul senso della vita
mediante anticipazioni (estetica, senso) che appellano alle decisioni (etica, consenso).
12.4. Articolazione sistematica della teologia della creazione
Dio è l’altro “dal” mondo (io sono tuo)
➔ Figura del Padre: ASPETTO PATERNO
SIGNIFICATO:
1. il mondo proviene liberamente e gratuitamente da Dio;
2. ed ha i caratteri della non-necessità, contingenza, dipendenza, bontà.
Dunque, si tratta di un “RAPPORTO DI ORIGINE” non come “produzione” ma come “filialità”.
L’alterità da Dio rimanda alla relazione con Lui, ed essa si qualifica come causalità e partecipazione:
la creazione, proprio perché viene da Dio ed è altra da Dio, è disponibile per l’intervento di Dio.
Quanto è partecipativa è detto dalla grazia del Figlio!
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La creazione va guardata con lo sguardo di Dio, precisamente di Gesù:
1. IL MONDO È DATO, cioè originato; non è semplice dato di fatto, ma oggetto di un’intenzione che
suscita meraviglia e gratitudine; il dischiudersi della coscienza del bambino nel sorriso della
madre descrive la fenomenologia primordiale dell’essere al mondo: l’atteggiamento della
meraviglia precede la domanda sulla causalità, segno che la connotazione antropologica del
cosmo è originaria, non derivata;
2. IL MONDO È DONATO, cioè oggetto di un’intenzione amorosa, partecipativa: la nozione di causalità
è approfondita in quella di partecipazione; la dipendenza creaturale esiste per la partecipazione
teologale;
3. IL MONDO È DONAZIONE, cioè simbolo dell’amore paterno, preveniente e misericordioso di Dio,
invito a una felice e compiuta relazione filiale; per questo occorre cercare anzitutto il regno di
Dio, ché il resto ci viene dato in aggiunta.
Dio è l’altro “per” il mondo (tutto è vostro e voi siete di Dio)
➔ Figura del Figlio: ASPETTO FILIALE
SIGNIFICATO:
1. l’alterità è per la comunione;
2. l’alterità del mondo porta una traccia incancellabile di Dio, perché è stato creato da Lui, ed è
rivolto e destinato a Lui;
3. la creazione ha carattere e orientamento filiale: è per Cristo, con Cristo e in Cristo, sussiste in Lui,
si radica nella differenza trinitaria; è posta dall’autodonazione paterna, accolta e ricambiata nella
ricezione del Figlio, custodita nella libertà e fecondità dello Spirito.
Dio è lo spazio della creazione: Dio non vuole concedere agli uomini semplicemente un posto
nell’essere, ma fa loro posto in se stesso, nel luogo trinitario del Figlio; uomo e mondo sono dunque
originariamente posti nello spazio della dedizione intratrinitaria. La spazialità e la temporalità del
mondo sono implicazione della partecipazione finita all’amore sconfinato di Dio!
Dio è l’altro “del” mondo (Tu sei mio)
➔ Figura dello Spirito Santo: ASPETTO NUZIALE
SIGNIFICATO:
l’uomo è fatto per Dio, è chiamato ad appartenerGli. Dio è l’altro del mondo, perché è il fine
dell’agire dell’uomo: LA FINALITÀ DELLA CREAZIONE È LA COMUNIONE CON IL DIO TRINITARIO. Non solo Dio è lo
spazio del mondo, ma è lo spazio di trascendenza, di futuro, di riscatto, di compimento del mondo.
Il mondo è condotto al suo fine trinitario mediante lo Spirito. Ma attenzione:
- non confondere la liberazione della natura promossa dall’agire umano con l’azione dello Spirito;
non bisogna subito interpretare l’autotrascendenza delle forme vitali dell’evoluzione come lo
spazio di trascendenza aperto dallo Spirito: il gemito della natura violata e della sua evoluzione
diventa luogo di trascendenza “spirituale” solo mediante l’azione libera dell’uomo.
- si rischia di capovolgere la teologia della creazione da dottrina delle origini a dottrina dei fini:
sganciata dalla figura della creatio in Christo, sembra inclinare verso una transformatio in Spiritu.
Il richiamo alla dimensione cristologica della creazione non può essere fatto semplicemente
mettendo in luce il carattere escatologico dell’evento di Gesù, inteso nella sua funzione di
contestazione critica e superamento del presente (quello evolutivo della natura, quello storico
della cultura).
- La NOVITÀ DELL’EVENTO DI GESÙ sta nella singolarità del suo sguardo, nel carattere storico, personale
e assoluto della sua mediazione creativa.
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13. L’uomo, centro dell’antropologia cristiana. La libertà corporea, capacità di
relazione
13.1. Il quadro sintetico del discorso sulla libertà corporea
- La creazione in Cristo comporta il RECUPERO DEL RIFERIMENTO ALL’UOMO!
- La teologia cristiana della creazione passa senza soluzione di continuità al tema di libertà creata.
- Il mondo è luogo e dimensione intrinseca per l’esercizio della libertà.
Le affermazioni classiche sull’uomo (bontà del corpo, creaturalità dello spirito, immortalità
dell’anima, unione anima e corpo, consistenza della libertà) vanno intese come implicazioni
dell’alleanza con Dio: la prospettiva unificante di predestinazione dell’umanità in Cristo impone la
PRIORITÀ DELLA CONSIDERAZIONE SINTETICA DELLA LIBERTÀ dell’uomo rispetto alle componenti analitiche.
Per superare la prospettiva essenzialistica classica (distinzione e unità delle facoltà), la riflessione
sull’uomo va reimpostata nel senso della LIBERTÀ CREATURALE E DELLE SUE COMPONENTI INFRASTRUTTURALI:
- l’uomo è relazione attraverso il suo agire (analisi teologica della libertà),
- e in esso è implicata l’esperienza del corpo come inerente alla coscienza di sé (spiritualità,
corporeità, interpersonalità, differenza sessuale).
Due tesi generali:
1. vi è una relazione simbolica tra l’uomo, in quanto aperto al manifestarsi divino (CREATURALITÀ) e
l’attuazione indeducibile di tale apertura, donata nella vicenda di Gesù e accolta nella fede
(LIBERTÀ); se non fosse così, la relazione con Dio sarebbe impossibile: o pura relazione creaturale
(ma allora non avrebbe senso) o necessaria (ma allora la libertà non avrebbe spazio);
2. l’autotrascendenza della libertà (SPIRITUALITÀ) si attua in rapporto a condizioni reali (CORPOREITÀ).
→ l’uomo è LIBERTÀ FINITA CORPOREA: struttura di libertà (anima) con le sue infrastrutture (corpo):
l’anima è la trascendenza della libertà, il corpo è la manifestazione (comunicazione) della libertà
13.2. L’uomo nella Bibbia: immagine, vocazione, filialità
L’arco degli inizi: progressione nella separazione
L’inizio non registra solo il movimento di risalita alle origini, ma è evento fondatore di ulteriori inizi:
la relazione con Dio è una storia d’amore, per ciò ha forma di “alleanza”, di “patto nuziale”.
L’intera traiettoria della creazione è posta sotto il segno della DISTINZIONE della creazione da Dio:
separazione originaria (Ricoeur) come PROGRESSIONE disegnata nella triade mondo-vita-uomo
(Beauchamp), cioè separazione creatore-creatura, creato e uomo, umano malvagio-umano buono.
Da lì la “sciamatura degli inizi” che si trova nella Bibbia: primo uomo, fratelli-sorelle, civilizzazione,
nuova creazione, nascita delle lingue e culture.
L’uomo emerge come immagine di Dio: il dibattito è se l’immagine è l’uomo o una componente
dell’uomo, ma il maggior credito è da conferire alle interpretazioni che vedono l’immagine nella
regalità dell’uomo e nel suo essere, nella sua totalità, partner di Dio.
➔ in ogni caso è immagine come UOMO E DONNA!
La benedizione è il motore degli inizi e la fecondità è la forza creativa presente nel mondo. Essa non
è sacrale, bensì solidale con la realtà del mondo: essa è inserita nel quadro della benedizione. Il
comando di dominare la terra, dunque la distinzione dell’uomo dal mondo, è in vista di legittimare
l’attività civilizzatrice, di trasformazione del mondo (perciò è erroneo opporre natura e cultura).
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I PRIMI CAPITOLI DI GENESI mostrano l’uomo non solo nella RELAZIONE CON DIO, ma in quelle relazioni che
articolano storicamente quel rapporto fondamentale (ecco la libertà corporea!).
Bene e male disegnano la polarità che dice la percezione etica della realtà, che non può essere
colta che nella relazione d’alleanza con Dio: la dinamica del rapporto con Dio è parola e risposta,
dono e comando. Il comandamento è la custodia del dono dal pericolo mortale di perdere la via
della vita, cioè il senso della vita come dono (dunque, non ha senso opporre legge e amore).
Nuovi inizi: racconti di vocazione profetica
Tensione generale fra origine del popolo di Dio e racconti di vocazione individuale. L’antropologia
della vocazione profetica è paradigmatica: l’antropologia biblica è ANTROPOLOGIA DELLA VOCAZIONE.
L’uomo è chiamato da Dio a un’alleanza d’amore che diviene missione per raggiungere tutti.
Due tipi di racconto:
- vocazioni dove domina LA PAROLA E L’OBIEZIONE del chiamato (es. Geremia, etc.),
- vocazioni dove domina LA RISPOSTA A UNA PAROLA/DECISIONE divina (es. mirabile di Maria).
Quattro modelli di relazione vocazionale:
- ufficiale-soldato,
- Signore-servitore,
- re-consigliere,
- maestro-discepolo.
In primo piano c’è LA SCELTA DI DIO CHE CHIAMA: la chiamata non è vincolata a qualità eccezionali
dell’uomo, e dà inizio a una storia di missione. “Guardati come Dio ti guarda”: ogni vocazione ha
una ECCEDENZA nella chiamata e comprende la DEFICIENZA delle proprie capacità.
La riflessione sapienziale e il lessico antropologico
La riflessione sapienziale è per eccellenza riflessione antropologica: è portato a parola l’uomo di
sempre, la sua esistenza, la fragilità, il dolore, il male, il peccato e la ricerca di sapienza e di vita.
• Nefes – psyché – anima. Il primo significato del termine è la GOLA, la nutrizione e la respirazione,
quindi il collo o la nuca, l’UOMO ABBATTUTO O IN PERICOLO. Il significato complessivo è l’immagine
dell’UOMO COME ESSERE INDIGENTE, legato a necessità vitali, e, per estensione, la fisionomia dell’uomo
come ESSERE CHE DESIDERA, domanda, anela; l’anima come SEDE DEI SENTIMENTI E DEGLI AFFETTI: “anima è
il singolo vivente, il quale non ha ricevuto né può mantenere da sé la vita, ma che anzi del suo
desiderio profondo di vita non ha risorse da se stesso, ma deve essere continuamente alimentato”.
Il mondo dei bisogni (necessità) si esprime all’“imperativo”, il desiderio (libertà) al “condizionale”:
vanno tenute entrambe le dimensioni…senza cadere nell’assolutizzarne alcuna.
• Basar – soma – carne. Il primo significato indica la CARNE, ma poi anche le ossa, la struttura visibile
dell’uomo, il corpo nella sua interezza. Il termine designa la vita umana in quanto debole e caduca,
la FRAGILITÀ DELL’UOMO NEI CONFRONTI DI DIO: corpo “non significa soltanto la mancanza di forza della
creatura mortale, bensì anche la debolezza nella fedeltà e nell’obbedienza al volere di Dio”.
• Ruah – Pneuma – Spirito. Di base è VENTO, forza di natura che produce cambiamenti… come
l’anima, lo Spirito è forza che entra ed esce dall’uomo: ma l’anima ha a che fare col respiro umano,
lo spirito col RESPIRO DI DIO, che è conferimento di forza, potere, dono profetico; non solo stato
d’animo, ma FORZA DI VOLONTÀ: Spirito “dice l’uomo a partire dalla comunicazione di Dio con lui”.
• Leb – cuore. È Il lessema più usato per dire l’UOMO. Cuore dice INTERIORITÀ opposta ad apparenza,
dice RAGIONE E DECISIONE: esso è fatto per capire, e tradisce il suo compito quanto si rifiuta di capire,
e parlare al cuore significa stimolare una decisione. In definitiva, “lo spettro semantico del cuore
copre il sentimento, la conoscenza, la volontà, con i suoi progetti, le sue decisioni, la coscienza e
l’obbedienza consapevole. È il concetto antropologico più diffuso”.
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L’uomo come figlio ad immagine di Cristo
Nel Nuovo Testamento l’uomo viene riferito all’evento di Gesù Cristo (VERITÀ), prima nella forma del
discepolato come partecipazione all’esperienza filiale di Gesù (VITA), quindi nella figura complessiva
dell’esperienza cristiana, il cui punto di partenza è l’azione salvifica di Dio che instaura il suo regno
(VIA). Il carattere filiale che all’uomo viene conferito in forza della sua sequela e partecipazione
all’esperienza filiale di Gesù è il tratto che specifica tutti gli altri.
In Paolo l’uomo è immagine e somiglianza di Dio, è configurazione pasquale-sacramentale a Cristo,
è dramma di carne e spirito, cioè di uomo chiuso a Dio e di uomo aperto a Dio. In Giovanni l’uomo
è colui che viene creato e redento in Gesù nuovo Adamo mediante il soffio dello Spirito.
13.3. Le figure storiche dell’antropologia
La marcata sottolineatura del peccato (amartiocentrismo) ha portato alla comprensione della
redenzione come liberazione dalla condizione storica, quindi alla sottolineatura dell’eccellenza
dell’anima con relativa svalutazione del corpo: “cristianesimo e salvezza dell’anima sembrano
essere una cosa sola, cosicché il tema dell’immagine di Dio, che è il distintivo della concezione
biblica, è stato attratto nell’orbita della spiritualità dell’uomo”.
La visione patristica dell’uomo
• IL CRISTIANESIMO NON NASCE SPIRITUALISTA.
La tesi principale dei padri è la creazione e l’unità di anima e corpo. Il confronto con l’ellenismo
non ha prodotto una sudditanza culturale, ma un adattamento (superamento del platonismo e del
manicheismo: l’anima è creata da Dio e non preesistente, il corpo è buono, non deriva da un
principio di male). Specifica del cristianesimo non è tanto l’affermazione della distinzione di anima
e corpo, ma della loro unità. Complessivamente, l’unità-distinzione di anima e corpo è funzione
dell’apertura dell’uomo a Dio, funzione dell’alleanza.
• PRIMA DI ORIGENE:
- l’anima è ridimensionata a realtà creaturale, la realtà materiale è elevata a cosa buona e positiva;
- l’uomo è per grazia immagine di Dio;
- la libertà dipende dal dono dello Spirito;
- elemento che configura l’immagine alla somiglianza è per alcuni il Logos, per altri Gesù Cristo.
• ORIGENE.
Rientra l’ontologia-antropologia platonica (Dio è Uno, il molteplice fa problema): l’uomo-cosmo si
articola in cose celesti, cose terrestri e angeli cattivi; le tre categorie non sono fisse, ma trasferibili;
l’uomo è parte del mondo spirituale decaduto nel mondo dei corpi e chiamato ad essere restaurato,
e il male sta nella libera volontà e non nei corpi; i corpi sono diversi in proporzione alla caduta, e
se non sono da ritenere come castigo, occorre tener presente che OGNI CASTIGO È MEZZO PER RIALZARSI;
la risurrezione dei corpi non è negata, ma interpretata come mezzo per la risalita dello spirito: la
storia della salvezza è progressiva restaurazione della creazione originale, fino all’apocatastasi
(restaurazione totale delle creature spirituali).
• GREGORIO DI NISSA.
Elabora un’antropologia sensibilmente differente rispetto a quella occidentale. Mentre la teologia
occidentale tende a vedere la soprannatura come qualcosa di gratuitamente e indebitamente
aggiunto alla natura, il Nisseno parte dalla soprannatura, come situazione più tipica dell’uomo, e
vede la natura come misericordiosamente, provvidenzialmente aggiunta. Più precisamente: la
situazione originaria dell’uomo è di essere IMMAGINE DI DIO IN QUANTO INTELLETTO E SPIRITO. Essere
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immagine significa essere partecipe degli attributi di Dio, l’incorruttibilità e la verginità. Il peccato
comporta che sopraggiunga nell’uomo la naturalità materiale, non nel senso della corporeità in
genere (contro Origene), ma nel senso della attuale situazione corporea, contrassegnata da
mortalità e esercizio della sessualità: a volte parla della naturalità corporea sopraggiunta come
conseguenza del peccato, come strumento di cui ci si serve in funzione pedagogica; altre volte la
corporeità naturale è vista come elargita da Dio all’uomo prima del peccato e in previsione di esso,
per rendere più scusabile e redimibile un peccato che, se fosse stato compiuto in stato di più
intensa spiritualità, sarebbe stato definitivo e insuperabile, come quello degli angeli, non passibile
di ripensamento e perdono.
• AGOSTINO.
1. In lui vi è il dibattito fra le due concezioni dell’unità anima-corpo:
- quella platonica dell’unione accidentale: il corpo non è prigione dell’anima, ma la sua dimora
(FUNZIONE STRUMENTALE);
- quella aristotelica dell’unione sostanziale: il corpo appartiene alla natura umana e “l’uomo è
animale ragionevole mortale” (DIMENSIONE STRUTTURALE).
2. L’uomo è situato fra l’angelo e l’animale, partecipa al mondo degli spiriti e a quello dei corpi:
l’unione, però, è pensata da Agostino con un terzo schema, quello dell’ UNIONE IPOSTATICA:
“l’unità non è né accidentale né sostanziale, ma ipostatica” (personale); l’unità (enosis)
comporta comunque una differenza (alloiosis), e fra giustapposizione e mescolanza esiste un
terzo tipo di unione, il paradosso di un’unione senza confusione (unio inconfusa). Fino alla tesi
di Fausto di Riez della “CORPOREITÀ DELL’ANIMA”, cioè il fatto che l’anima è legata al corpo senza
possibilità radicale di evaderne, tesi congruente con il dato di fede della risurrezione dei corpi.
➔ Si tratta, in definitiva, di pensare l’unità di anima e corpo in modo teologico, in funzione della
rivelazione: per questo l’idea di anima immortale è sospetta tanto quanto quella di un corpo
puramente mortale. Da qui il valore sintomatico della disputa cristologica fra lo schema ariano
logos-sarx e lo schema antiocheno logos-antropos, dove il Verbo, incarnandosi, assume anima
e corpo umano.
Il dibattito medievale sull’unità dell’uomo
Sul problema dell’unità dell’uomo e della duplicità delle sue dimensioni costitutive, TOMMASO supera
la visione platonica e rilancia la prospettiva aristotelica, che spiegava bene l’unità di anima e corpo
(l’anima come forma del corpo), ma non spiegava altrettanto bene la natura specifica dell’anima
in rapporto al corpo.
La questione classica dell’unità/pluralità delle forme sostanziali si poneva in questi termini:
1. Sotto l’influsso platonico, l’idea dell’uomo come IMMAGINE DI DIO perché spirito, anima
intellettuale, il che implicava l’eccellenza degli angeli quali puri spiriti; da qui la domanda sul
motivo della creazione dell’uomo, ma l’idea di colmare il vuoto causato dagli angeli ribelli non
spiega la creazione di anime incarnate.
2. All’idea di uomo come immagine di Dio si affiancava l’idea dell’uomo come IMMAGINE DEL MONDO,
microcosmo, essere a metà strada tra gli esseri spirituali e gli enti materiali: in questa prospettiva
l’esistenza del corpo riceve una spiegazione positiva.
3. Sotto l’influsso aristotelico, lo schema dell’unione dell’anima con il corpo cedeva il passo allo
schema dell’anima come forma del corpo, il che però solleva la questione dell’indipendenza
dell’anima, la quale si troverebbe ad essere al tempo stesso sostanza e forma.
4. Tommaso risolve la questione affermando che la SOSTANZIALITÀ DELL’ANIMA non esclude il suo
essere forma del corpo, onde cade l’obiezione…l’anima tiene in memoria la forma dell’uomo!
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Nell’intervallo tra la morte del singolo e il giudizio eterno, l’anima – essendo forma del corpo – porta
con sé la memoria psico-fisica di tutta la persona! E quando avrà materia escatologica, la informerà
ridonandole forma! In quell’intervallo l’anima è “separata”, ma non dimentica del corpo.
VALUTAZIONI: poiché il motivo dell’apertura creaturale dell’uomo nei confronti di Dio è il primato
dell’alleanza, il rischio del pensiero classico è quello di isolare le dimensioni naturali dell’uomo
rispetto al loro effettivo coinvolgimento (antropologia delle facoltà) e il loro storico configurarsi
nei confronti dell’alleanza in Cristo: in tal mondo l’immagine di Dio viene a fondarsi non più sulla
storia della salvezza, ma su presupposti metafisici incompleti e ambigui.
PUNTI FERMI. Il magistero supera gradualmente la diffidenza e infine convalida l’idea ilemorfica
dell’anima intellettiva come forma sostanziale del corpo (Concilio di Vienne), cui si contrapponeva
l’idea della pluralità delle forme sostanziali (anima intellettiva, sensitiva, vegetativa tra loro
gerarchizzate). In realtà il concilio non consacra il modello tomista, ma si serve di esso per ribadire
la tesi tradizionale dell’unità dell’uomo.
L’immagine moderna dell’uomo
L’eredità dualistica antica e medioevale passa e si aggrava nella MODERNITÀ: le due realtà di anima e
corpo sono pensate a monte del loro reciproco rapporto:
- l’anima sarà pensata come res cogitans, coscienza, soggetto, io penso, presenza immediata a sé;
- il corpo è invece res extensa, macchina.
L’anima, comunque, sta a monte della sua mediazione corporea.
Comprensibile la reazione CONTEMPORANEA, che in Schopenhauer e Nietzsche trova i rappresentanti
più radicali, di un ritorno al corpo, come un aspetto della libertà che era stato asservito alla
coscienza come suo strumento: “vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza”
(Nietzsche). Si tratta tuttavia del semplice rovesciamento per cui è il corpo a fare l’io, il che
riproduce in forma capovolta la separazione moderna.
14. La teologia dell’uomo come immagine di Dio
14.1. Le linee contemporanee della riflessione antropologica
La questione del rapporto mente-corpo: riflessione scientifica
GIUDIZIO SINTETICO:
La letteratura sul rapporto mente-corpo è antropologicamente deludente, perché viziata dal
pregiudizio contro il sapere originario della coscienza (SAPERE SIMBOLICO-PRATICO), che si attua
attraverso il suo agire. L’assenza di una riflessione sul rapporto FRA COSCIENZA DI SÉ E CORPO PROPRIO
condanna questa letteratura alla sterilità dell’oggettivismo.
La riflessione di ascendenza COMPORTAMENTISTA riduce dapprima la questione del pensiero a quella
della mente, e quella della mente al cervello. Tre i MODELLI ESPLICATIVI:
1. Teoria dell’identità (RIDUZIONISTA). Gli stati mentali si identificano con gli stati del cervello e del
sistema nervoso centrale, e le proprietà degli stati mentali coincidono con le proprietà
neurofisiologiche. La mente esiste, ma consiste nel cervello, cioè nell’ IDENTITÀ PSICONEURALE;
2. Teoria emergentista (DUALISTA). Tutto ciò che esiste è materiale, ma la materia si sviluppa a
livelli qualitativamente diversi. La mente è il cervello, però il cervello differisce qualitativamente
da qualsiasi sistema materiale. Caratteristica emergente del mentale è la PLASTICITÀ, l’attitudine
all’auto-programmazione e all’auto-organizzazione.
Da qui la legge: OGNI STATO MENTALE È UNO STATO CEREBRALE, MA NON VICEVERSA;
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3. Dualismo interazionista. Coincide con la teoria dei tre mondi di Popper:
- mondo delle ENTITÀ FISICHE, dei FENOMENI MENTALI, dei PRODOTTI MENTALI;
- un mondo spiega l’altro: PER VIA DI CAUSA (es: mondo 3 esiste in forza di mondo 2), PER RAGIONI
DI INTERAZIONE (es: rapporto fra mondo 1 e mondo 3 si spiega solo con esistenza del mondo 2);
- conclusione: la mente, in quanto materia auto-organizzata, è un’entità che trascende il puro
fisico, è diversa dal cervello (DUALISMO), ma interagisce con esso (INTERAZIONISTA).
→ È L’IO CHE POSSIEDE IL CERVELLO, NON È IL CERVELLO CHE POSSIEDE UN IO.
VALUTAZIONI.
- DIFETTO fondamentale di questo filone: identificare il rapporto mente-corpo o mente-cervello in
un insieme di proprietà o in un luogo specifico, rivelando così la mentalità matematico-
quantitativa che presiede allo studio scientifico del corpo a partire dalla modernità. Il
presupposto è una lettura oggettivante della realtà, teso ad indicare dove si situa il rapporto.
➔ occorre uscire dalla prospettiva oggettivante e osservare il corpo non più come correlazione
derivata ma come EMERGENZA ORIGINARIA DELL’UOMO.
La posizione singolare dell’uomo nel mondo: riflessione umanistica
• ANTROPOLOGIA FILOSOFICA (Scheler, Plessner, Gehlen).
L’identità dell’uomo è evidenziata per confronto con l’animale. Il proprium dell’uomo, che viene
ad evidenza nel suo essere mancante, cioè nella minor definizione rispetto all’animale, è l’apertura
al mondo, l’eccentricità, la libertà dall’ambiente, lo iato fra stimolo e reazione, la capacità di
inibizione e trasgressione, la centralità dell’azione trasformatrice, dove la distanza uomo-mondo
è compensata dall’intervento del linguaggio, della cultura, dell’opera.
• PANNENBERG.
L’identità dell’uomo va indagata sul terreno della sua autotrascendenza e autorealizzazione.
L’avvio della riflessione è dato dal raccordo fra l’antropologia filosofica e l’orizzonte teologico.
L’uomo è orizzonte di destinazione. L’incompiutezza è orientata allo sviluppo e al compimento: non
rimanda tanto a perfezione originaria, ma a destinazione escatologica. L’autotrascendenza è in
questo senso APERTURA ORIGINARIA E ANTICIPAZIONE ORIGINARIA, ossia, attitudine all’oggettività e
attitudine al rapporto con Dio. Per questa via, Pannenberg stabilisce un nesso intrinseco fra fiducia
fondamentale, apertura religiosa e coscienza credente. Due i lati discutibili:
1. la fiducia fondamentale SEMBRA SOTTOVALUTARE L’AUTODETERMINAZIONE DELLA LIBERTÀ;
2. la nozione di immagine sembra contrassegnata da PROSPETTIVA ECCESSIVAMENTE ESCATOLOGICA.
• PRÖPPER.
1. Imputa a Pannenberg di non tematizzare la struttura del soggetto come tale, ossia la sua
capacità di autodisporsi e autodischiudersi. Bisogna tematizzare le forme effettive dell’agire:
in esse l’uomo raccoglie in unità le esperienze molteplici legate all’apertura al mondo.
2. Imputa a Pannenberg di pensare l’immagine come semplicemente orientata al suo destino
escatologico, di cui la risurrezione di Gesù rappresenterebbe l’anticipazione assoluta.
• BRAMBILLA.
L’elezione della libertà dell’uomo in Cristo attua già la libertà come effettiva possibilità di relazione
e incorporazione alla libertà filiale di Gesù. Solo una considerazione teologica della libertà, che nel
dono della grazia è posta come effettiva possibilità di apertura a Dio e come coscienza credente
che si determina in conformità alla libertà filiale di Gesù, sottrae radicalmente la libertà ad essere
il prodotto del suo agire nel mondo ed evita che la sua relazione a Dio possa essere interpretata
come l’orizzonte illimitato dell’apertura del mondo.
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Il corpo proprio nella riflessione fenomenologica
L’obiettivo interesse della SCUOLA FENOMENOLOGICA sta nel fatto che tematizza il corpo in rapporto
alla coscienza, all’identità della persona: la coscienza è sempre corporea, situata, creata come
realtà psico-fisica (l’uomo è essenzialmente corpo et anima unus, “UNI-DUALITÀ” di anima e corpo),
tanto che la divinizzazione dell’uomo parte sempre dal corpo perché non esiste uomo senza corpo!
Il fatto che la percezione di sé e l’apertura alla verità sia sempre determinata da una prospettiva
corporea ha spinto la fenomenologia a porre l’accento sul significato simbolico della corporeità
in vista della costituzione dell’identità e dell’accesso alla verità. Il limite generale è aver collocato
la corporeità in un’OTTICA PREVALENTEMENTE COGNITIVA, e aver dato minore attenzione al rapporto del
corpo con la forma morale della coscienza.
IN SINTESI:
- Cartesio, Kant ed Hegel distinguono anima e corpo (res cogitans e res extensa);
- Husserl (fenomenologia) resta troppo vincolato alla somaticità della coscienza in ottica cognitiva;
- Brambilla propone di spostare sull’atto simbolico della libertà umana, che è un atto corporeo
con una forma morale della coscienza (i gesti che compiamo esplicitano le nostre scelte libere).
Con la tematica del “CORPO PROPRIO” (Leib) in opposizione al CORPO EMPIRICO (Körper), ossia l’attenzione
all’esperienza “propria” del corpo (Erlebnis), il DOPPIO GUADAGNO DELLA FENOMENOLOGIA è:
- aver sottratto il corpo ad una considerazione biologica;
- aver sottratto l’anima ad una considerazione spiritualistica.
L’uomo sperimenta il corpo come condizione originaria, sicché i vissuti dell’anima (il percepire, il
ricordare, l’immaginare, il riflettere, il pensare) sono da ritenere sempre connotati corporalmente.
L’esito è che:
- NON SI DÀ SAPERE DELLA COSCIENZA CHE NON SIA MEDIATO DAL CORPO , cioè che non sia già originariamente
connotato dal sentire, conoscere, agire;
- il rapporto della coscienza al mondo non è quello tra soggetto e oggetto, ma è più complesso,
perché IL SAPERE SOGGETTIVO HA UN’INTENZIONALITÀ PROSPETTICA, determinata dal PUNTO ZERO DEL CORPO,
dalla donazione del fenomeno e dall’orizzonte vitale dell’intenzionalità.
➔ RISULTATI GENERALI:
1. il soggetto ha riferimento originario e insuperabile al corpo, per cui la coscienza del mondo,
degli altri e di sé è sempre mediata da una prospettiva corporea;
2. la coscienza ha ad un tempo carattere prospettico (situazione, posizione) e trascendente
(desituazione, trasgressione): è la dimensione simbolica della coscienza, la capacità di cogliere
nel frammento il rinvio al tutto (un cammino che deve essere percorso);
3. la prospettiva corporea e la sua trascendenza si raccoglie in un’apertura simbolica all’essere,
che viene alla parola e all’atto nella coscienza, cioè nell’essere personale dell’io. Il sapere-agire
della coscienza personale è simbolico, poiché nel rapporto all’essere è in debito con la sua
prospettiva corporea. Tuttavia, la differenza tra il sapere-volere tramite il corpo e il suo
conoscere-agire effettivo che trascende le sue condizioni corporee, da un lato non può essere
mai adeguata o tolta, dall’altro è il luogo in cui il soggetto si dispone di fronte al vero-bene
decidendo di sé.
➔ L’IDENTITÀ DEL SOGGETTO HA LA FORMA DI UN’AUTODISPOSIZIONE DELL’IO, MEDIATA ORIGINARIAMENTE
DALLA CORPOREITÀ, CHE SI AFFIDA A QUEL BENE CHE VENENDOGLI INCONTRO CHIEDE DI ESSERE SCELTO
COME VERITÀ E FORMA DELLA PROPRIA LIBERTÀ.
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14.2. Un’antropologia della libertà creata come “immagine”
Una ripresa teologico-sistematica intorno al tema della LIBERTÀ CORPOREA FATTA AD IMMAGINE DI DIO è
compito ancora da svolgere:
1. prenderà le distanze dall’antropologia della facoltà di stampo naturalistico-cosmologico;
2. prenderà distanze dall’antropologia del soggetto di stampo razionalistico-egologico;
3. elaborerà il programma di un’antropologia della libertà, ossia quel sapere della coscienza che
sa e decide di sé nella relazione all’altro, superando la concezione della coscienza come
presenza immediata a sé e riconoscendo il debito originario nei confronti del corpo, dell’altro,
della cultura, della società;
4. la libertà apparirà strutturalmente in relazione, anzi, come relazione, donata e voluta. Come
dire: l’identità del soggetto accade in un dramma, cioè nell’interazione temporale con le
diverse forme dell’alterità = l’esperienza si configura come un dono che istituisce la libertà e la
interpella, ma che non dischiude il suo senso se non in virtù di un riconoscimento e di una
decisione della stessa libertà = la coscienza della propria identità non è data a monte del
consenso al debito originario nei confronti di ciò che mi precede e mi chiama, e che mi chiama
a decidere attraverso le forme dell’agire dischiuse dalle molteplici figure dell’alterità.
La libertà come dono e compito: la coscienza nell’agire
La libertà si presenta come:
- dato (passivo), attributo ontologico (ESSERE)
- compito (attivo), valore morale (VOLERE).
Le due dimensioni sono strettamente interdipendenti: il senso della libertà come qualità dell’essere
uomo non è un dato suscettibile di comprensione adeguata a monte del suo compito di agire.
A quali condizioni la libertà può effettivamente volere? Per meno di questo essa è destinata a
oscillare fra l’apertura incondizionata (dono) e la necessità dell’autodeterminazione (compito).
Il superamento della figura oggettivistica o soggettivistica della libertà sta nel riconoscimento del
debito che il sapere della libertà ha con le forme immediate della vita, in particolare quelle forme
dove il sorgere della libertà è visto nel suo accadere originario: nella generazione, nella relazione
uomo-donna, nell’esperienza della fraternità e della prossimità.
➔ Se l’agire qualifica la libertà (libertà DI agire) ed è il luogo della sua attuazione (libertà NELL’agire),
si dice LIBERO l’uomo che può fare quello che vuole. Ma poiché il volere non sta semplicemente a
monte dell’agire, si deve dire che L’UOMO VUOLE QUELLO CHE POI FA: è nell’atto libero che l’uomo
cerca e costruisce (oppure smarrisce e fallisce) il suo stesso volere, il potere della sua volontà.
➔ L’interdipendenza fra AGERE SEQUITUR ESSE e ESSE SEQUITUR AGERE è ben evidenziata nell’esperienza
del timore dinanzi all’azione. Vi trova risalto il legame fra COSCIENZA e LIBERTÀ, la consapevolezza
che nell’azione ne va di sé:
- il potere di fare non svela ancora l’intenzione del soggetto;
- per volere è necessario che l’azione si pensi come possibile, dotata di un senso vero e buono;
- è infine l’azione stessa, nell’evidenziare e colmare lo scarto fra azione immaginata e azione
realizzata, che svela aspetti della volontà non ancora conosciuti.
Il sapere della libertà non è un semplice prestar credito in base alla conoscenza dei fatti e delle
condizioni dell’agire (facere, sapere tecnico); è invece esperienza pratica (agere, sapere umano).
L’azione è la sintesi tra l’INTENZIONE del soggetto di porsi liberamente e l’ANTICIPAZIONE del
compimento che si annuncia nelle forme promettenti dell’esperienza: solo la circolarità tra la
coscienza e l’azione del soggetto, quindi fra il bene promesso e il bene deciso, istituisce l’identità.
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L’esperienza della passività nell’agire: il corpo, l’altro e il noi
La libertà appare in prima battuta come LIBERTÀ DONATA, dove si dischiude un senso che appella a un
consenso: l’esperienza donata del senso istituisce la libertà nella sua passività e appare la
condizione interna della sua attività.
➔ PASSIVITÀ DEL SENSO e ATTIVITÀ DEL CONSENSO si implicano intrinsecamente e non consecutivamente!
Il “TRIPODE DELLA PASSIVITÀ” (Ricoeur) va identificato:
- nel corpo proprio (IO),
- nel corpo dell’altro (TU),
- nel corpo sociale (NOI).
1. L’ESPERIENZA DEL CORPO è la prima forma coscienziale del sentimento dell’alterità.
A) Esso appare con l’esperienza archetipa della generazione, dell’identificazione e separazione
dal corpo della madre e in relazione all’intervento del padre: nella carne l’uomo ha la prima
testimonianza che la vita è un dono e un bene;
B) ciò si evidenzia ogniqualvolta il corpo è minacciato (disagio, malattia, sofferenza, morte), in
quanto viene sperimentato come estraneo e invoca il ritrovamento di sé come corpo proprio:
l’esperienza patica del corpo implica la dimensione simbolica del corpo;
C) il corpo dice dell’uomo il suo essere al mondo: il mondo è il corpo allargato dell’uomo,
mentre il corpo è il cardine del mondo, il mondo addomesticato, corpo e mondo si implicano
vicendevolmente;
D) come corpo, l’uomo è pure immerso nel tempo, che è insieme la possibilità e la necessità di
scegliere, è decisione e durata.
2. L’ESPERIENZA DEL TU, dell’altro, del prossimo.
A) Decisivo è mostrare come il rapporto uomo-donna sia la forma archetipa del rapporto di
prossimità, in quanto è esperienza somaticamente mediata e affettivamente orientata. Un
trattamento della differenza sessuale o nella linea di un’astratta uguaglianza (non rispettosa
della distinzioni), o nella linea di una specificità maschio-femmina dedotta da una
considerazione naturalistica (e non di una considerazione simbolica), non lascia intravedere
tutta la ricchezza che il rapporto uomo-donna ha per la comprensione del rapporto io-tu.
B) A partire dal rapporto uomo-donna, l’altro non può apparire come l’alter ego, perché la sua
alterità è subito istituita come una forma corporea della coscienza che è altra e rimane altra,
nonostante tutti i sogni di fusione. L’esperienza dell’alterità dell’altro come un tu appartiene
insomma originariamente alla costituzione di sé. Ricoeur, correggendo l’enfasi di Lévinas sulla
radicale alterità dell’altro come luogo in cui appare l’iniziativa esclusiva che convoca il sé alla
responsabilità, afferma che la relazione con l’altro è il sentimento del lasciarsi interpellare.
C) In quanto sentito, l’essere toccati/chiamati dall’altro da sé è vissuto come autoaffezione e
possibile autodeterminazione. Anche in questo caso, la passività nella scoperta/incontro con
l’altro non è unidirezionale: l’altro non è l’unica sorgente di responsabilità per me, ma lo è se
io mi lascio chiamare e mi concedo all’altro che, restando altro da me, mi chiama.
3. L’ESPERIENZA DEL RAPPORTO SOCIALE, il noi.
A) Posso essere dall’altro e per l’altro perché originariamente con l’altro, perché percepisco
l’altro con gli altri: essere socio con gli altri precede e rende possibile il rapporto col prossimo.
Non è esperienza che si aggiunge alla coscienza, ma la costituisce come dono e compito.
B) Significa che linguaggio, cultura, società e politica non possono essere ridotti a convenzioni
pregiudizialmente separate dall’universo della convinzioni.
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La libertà come immagine e il suo destino escatologico
L’esperienza dell’alterità rivela e comunica ogni volta una differenza originaria.
➔ Da qui la TEOLOGIA DELL’IMMAGINE DI DIO: l’uomo ad immagine di Dio non indica tanto una natura
creata o qualche sua caratteristica, ma indica L’IDENTITÀ SINTETICA DELL’UOMO IN QUANTO SI RICEVE
DENTRO LE RELAZIONI CHE LA COSTITUISCONO E SI AUTODETERMINA ATTRAVERSO IL SUO LIBERO AGIRE.
Il fatto che la libertà creata sia ad imaginem significa che essa non è già data una volta per tutte, ma
accade nel rapporto con quel senso che è anticipato nelle esperienze passive dell’alterità, e approda
alla FORMA DELL’ESPERIENZA RELIGIOSA quando in quelle esperienze percepisce l’appello incondizionato
a un senso compiuto, fondativo e definitivo.
La coscienza credente diventa tematicamente religiosa non solo quando riconosce l’incondizionato
del dono della chiamata, ma quando si lascia abilitare gratuitamente alla risposta dalla sorgente
stessa del dono. Per questo l’azione dello Spirito Santo si colloca nel cuore stesso della libertà e fa
passare la coscienza credente alla forma teologale della fede.
15. Uomo e donna sigillo dell’antropologia cristiana. La libertà sessuata come
differenza per la comunione
15.1. Il recupero della “differenza” uomo-donna nella cultura moderna
Se la predestinazione è l’impianto generale (la dimensione cristica), il SIGILLO DELL’ANTROPOLOGIA è che
uomo-donna è scambio d’amore archetipo, immagine di Dio. La “differenza” uomo-donna dice:
- INDICE DI CONTINGENZA (non bastiamo a noi stessi) e
- INDICE DI TRASCENDENZA (veniamo dall’amore e siamo fatti per amare).
L’antropologia teologica ha sovente trascurato di assumere nel proprio orizzonte la domanda
sull’uomo in quanto uomo-donna. L’imago Dei è stata vista nell’uomo (spiritualità o facoltà) e non
tra uomo e donna. Invece, “A SUA IMMAGINE DIO LI CREÒ, MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ”!
Occorre un’accurata ermeneutica per parlare responsabilmente di sessualità, creaturalità e Trinità,
così come di femminilità creaturale, femminilità ecclesiale, femminilità trinitaria.
Nella logica di ANALOGIA ENTIS con la Trinità (dove c’è “toticipazione” – non solo partecipazione – ma
con una meravigliosa differenza di “postura”) possiamo cogliere:
1. IDENTITÀ = origine originante: Padre (amante) → uomo
2. ALTERITÀ = origine originata: Figlio (amato) → donna
3. FECONDITÀ = terzo dell’amore: Spirito (condilectus) → bambino
Il PECCATO CONIUGALE è separare questa triade, propria dell’amore, propria della Trinità:
- il divorzio separa amante e amato;
- la contraccezione separa amore e vita.
La spinta al recupero è indotta dai processi di emancipazione femminile e dai relativi mutamenti
civili dell’età moderna. La coscienza cristiana accusa in tal senso uno storico ritardo. Si richiede di
ripensare i rapporti uomo-donna (identità sessuale, ruoli familiari, opportunità professionali), ma
superando il contesto dei diritti dell’individuo autonomo, poiché da qui sono state sollevate le
questioni dell’affermarsi dei diritti dell’eros anche nei confronti del matrimonio, la determinazione
sessuale della vita psichica (codici libidici, edipici, erotici, genitali), la separazione fra
determinazione sessuale (fatto naturale, irrilevante) e determinazione di genere (fatto culturale,
determinante), la questione socio-politica dell’emancipazione femminile da ogni discriminazione
e oppressione storica o ideologica.
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Il matrimonio è innestare EROS (creazione, desiderio reciproco uomo-donna) in AGAPE (compimento
dell’amore fino alla fine, come quello di Gesù) e svincolare eros dal matrimonio è sbagliato:
- dal punto di vista civile perché apre al libertinaggio,
- dal punto di vista cristiano perché è rovina della creaturalità predestinata in Cristo.
➔ La questione contemporanea della DIFFERENZA DEI SESSI risulta pesantemente segnata dall’ottica
della rivendicazione di diritti negati.
1. FILONE ILLUMINISTA.
L’uomo e i suoi diritti sono oggetto di un unico discorso, e la differenza sessuale non deve essere
determinante. Il superamento dell’inferiorità sociale della donna è il banco di prova del
programma sociale dell’illuminismo. L’esito è l’omologazione del femminile al maschile.
2. FILONE ROMANTICO.
Il sentimento soggettivo ha priorità sulle convenzioni sociali. Il rilievo della soggettualità
femminile e maschile e della loro rispettiva vita emotiva è ciò che configura il senso delle
relazioni. Eros ha carattere originario, e perciò supera e contesta ogni assetto etico e sociale.
L’esito è l’aggravio della soggezione femminile.
3. FILONE EMANCIPAZIONISTA.
La donna non è natura, ma cultura, non è destino ma è libertà: “donna non si nasce, ma si
diventa”. La donna deve svincolarsi da ogni condizionamento naturale, rifiutando il nesso
necessario femminilità-maternità.
4. FILONE PSICANALITICO.
Mira a svincolare la sessualità da ogni norma morale e restituirle la dimensione di piacere. Da
Freud sorge un filone di studi che evidenzia i nessi e i conflitti, fra eros e civiltà: difficile
distinguere quanto appartenga alla natura biologica e quanto a una determinata forma civile.
Gli studi oscillano fra una visione della sessualità come originaria o come derivata, come fluida
bisessualità o rigida separazione, come determinismo biologico (Freud) e determinazione
archetipa (Jung). Si cade nel mito dell’androgino.
5. FILONE SOCIO-POLITICO.
Il rapporto uomo-donna è posto in termini di potere, di incidenza nel sociale. Da qui l’esigenza
non solo di relativizzare la determinazione sessuale ma anche di demitizzare ogni costruzione di
genere. L’appello è quello ai diritti della persona, compresa come soggetto umano libero, a
monte di ogni differenza. La questione dello specifico dell’uomo e della donna viene ridotto a
quasi niente. La funzione generativa è svuotata di significato che non sia quello funzionale.
➔ In realtà, l’esperienza della PROSSIMITÀ di uomo e donna e della GENERAZIONE sono il luogo dove la
coscienza è istruita sull’ALTERITÀ dell’altro non nella linea di una astratta uguaglianza, ma come
DONO PROMETTENTE dell’altro per me e come dono originario della vita.
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10. A proposito di trascendenza, in ottica cristiana si tratta di sviluppare l’idea che senza riferimento
a Dio il discorso sui sessi si chiude o si smargina in visioni necessariamente riduttive (eros e
thanatos, nesso generazione-morte, tragedia), mentre alla luce della rivelazione esso si apre ai
suoi significati più profondi (eros e agape, nesso di generazione e vita, pasqua). Ascoltiamo
Balthasar:
il figlio è un’unità che non proviene semplicemente dai due partners, ma dal frutto della loro
dedizione, che è più che il loro seme; è qualcosa di insospettato, gratuito, meraviglioso, risultante
dalla dedizione. Finché si considera il matrimonio come un’istituzione puramente naturale, il figlio
apparirà sempre come un prodotto casuale… dell’unione sessuale. Il frutto non giace nella
reciproca dedizione dei coniugi, non è derivabile da essi, non si può comprendere a partire da
essi… Nell’atto di fede, i coniugi sono non più soltanto aperti l’uno all’altro – e in questa apertura
chiusi a tutti gli altri – essi stanno piuttosto aperti primariamente a Dio, e offrendosi davanti a
Dio l’uno all’altro in questo stato si donano allo stesso tempo a Lui e attendono da Lui l’inatteso:
il frutto della sua grazia!
Ricostruzioni
1. LA TESI che si può sostenere sul piano teorico e che è urgente restituire sul piano pratico è la
seguente: sulla base di una nozione di «essere interpretato come amore», dove il dare e il
ricevere hanno la stessa dignità, l’uomo e la donna sono l’evidenza simbolica della dimensione
attiva e ricettiva dell’amore. Questo in tutti i sensi: biologico, fisiologico, psicologico e spirituale.
I presupposti e le implicazioni di questa tesi sono numerosissimi.
2. L’ORIZZONTE DELL’AMORE, in quanto interpreta l’essere in senso personale, prescrive anzitutto che
la sessualità umana venga interpretata per riferimento al dinamismo della libertà, non invece per
analogia con la riproduzione animale (naturalismo) o con la differenza ontologica
(essenzialismo). Al contrario, proprio l’unione feconda dell’uomo e della donna è il paradigma di
ogni altra differenza, e questo in forza della sua massima trasparenza teologale, precisamente
trinitaria: abissale è infatti la tangenza fra genesi e origine, generazione e creazione.
3. SESSUALITÀ E CARITÀ. L’ideale assoluto dell’amore è la perfetta communio personarum, e le forme
dell’amore umano non raggiungono però in maniera “differente”. Cioè: l’ideale affettivo è
sempre “essere una cosa sola”, essere con l’altro, per l’altro e nell’altro, ma il legame nuziale e
quello filiale lo raggiungono in modo diverso. Intanto essi vivono di una circolarità non
sistematica: poiché si implicano e si trascendono a vicenda, né l’evidente dipendenza del figlio
nega la sua radicale autonomia, né una nuzialità senza figli è necessariamente incompiuta.
Inoltre, mentre l’unità nuziale è interpersonale (una differenza unificata), l’unità filiale è
interpersonale (un’unità differente), ed è una volta sessualmente determinata, per aprirsi ad una
nuova nuzialità e fecondità.
4. SESSUALITÀ E LIBERTÀ. Proprio perché l’uomo è libertà “con-vocata” dall’amore e all’amore, l’uomo
è maschio e femmina, figlio e figlia, sposo e sposa, padre e madre. In effetti, l’articolarsi
dell’umano nella vicenda dei generi e nell’avvicendarsi delle generazioni, dice che la libertà non
può onorare il proprio compito radica di “decidere di sé” senza riconoscersi come libertà finita,
donata, orientata a un destino che la eccede, sostanzialmente di dedizione e misericordia.
5. SESSUALITÀ E FILIALITÀ. Fra le migliori novità teologiche, è da segnalare il credito crescente di
un’antropologia in chiave nuziale e filiale: il suo radicamento trinitario e la sua forte attestazione
biblica ed ecclesiale la rendono intuitivamente raccomandabile. L’interpretazione dell’uomo
come “figlio” rappresenta quell’impensato della cultura occidentale che consente di andare oltre
l’identificazione dell’essenza dell’uomo con la pura “ragione” (antichità) e la pura “libertà”
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(modernità). L’essere figlio, ossia l’esserci al modo di riceversi, dice che l’essenza dell’uomo e di
tutto il reale è di natura affettiva: la libertà non si afferma a fianco o contro i legami, ma
precisamente in essi. L’essere figlio è insieme la realtà più elementare («si nasce») e più elevata
(«in Cristo l’universo è creato e tutto in lui sussiste»), e per questo la rivelazione stesa ha assunto
la forma del “Figlio di Dio” incarnato come “Figlio dell’uomo”. Inoltre, il fatto che il paradosso
filiale stia nella compenetrazione di ricchezza e povertà, rende del tutto plausibile che la sua
origine, ossia l’unità amorosa dei genitori, sottolinei distintamente le due dimensioni: detto a
metà strada fra il concettuale e il metaforico, l’uomo è “ricchezza povera” e la donna è “povertà
ricca” (F. Ulrich). In questo senso, la realtà e la simbolica tradizionale del “seme” e de “grembo”
non può essere ritenuta ingenua ed arbitraria nella comprensione dei sessi.
6. SESSUALITÀ E ONTOLOGIA. Alla luce del dinamismo dell’amore, dove il dare e il ricevere si
compenetrano, le coppie metaforiche e concettuali utilizzate dalla tradizione classica e moderna
per illustrare il maschile e il femminile possono essere ricomprese e sottratte alla denuncia di
essere puri e in inutilizzabili “stereotipi di genere”. Una volta che l’“attivo” ed il £ricettivo” non
vengano compresi in maniera oggettuale, ossia per separazione ed esclusione, le coppie “sole e
luna”, “parola e silenzio”, “essere ed essenza”, “trascendenza e immanenza”, e così via, ritrovano
il loro nucleo di verità e il loro fascino. Nella filosofia contemporanea, così come nelle scienze
umane, vi sono buoni riscontri: si pensi all’interpretazione di Melchiorre dell’uomo come
«cavaliere del finito» e della donna come «castellana dell’infinito»: l’autosuperamento maschile,
mentre libera la cura femminile nel concreto dalla frammentazione e dalla vischiosità, viene
sottratto, nell’ospitalità femminile, all’astrazione e all’ideologia. Si pensi similmente agli studi di
Erickson ripresi dalla Gilligan, dove si documenta come fin dalla più tenera età l’ideale etico dei
bambini e delle bambine è rispettivamente “stare in cima ad una scala” ed “essere al centro di
una rete”. Da qui la meraviglia e la difficoltà dei due sessi: come l’eccellenza dell’opera e la qualità
della cura, o l’attitudine ad individuare e quella di connettere, rappresentano l’inclinazione
fondamentale dell’uomo e della donna, così l’eventualità di essere manipolato e di essere
abbandonata sono i rispettivi timori elementari. Da queste attenzioni può prendere l’avvio la
ricostruzione di una buona dialogica fra i sessi.
7. SESSUALITÀ E TRINITÀ. Come la vita trinitaria si riassume nel paradosso di assoluta comunione
(omousia) e assoluta distinzione (taxis), così sarebbe strano che la relazione uomo-donna, in
quanto imago Dei, non avesse alcuna analogia. È in questo senso, e solo in questo senso, che va
interpretato il “primato” maschile e la “secondarietà” femminile: l’uomo è memoria dell’origine
originante, e la donna è memoria dell’origine originata, l’uomo della perfetta dedizione del Padre
e l’altra della perfetta corrispondenza del Figlio. È pertanto rozzo dire, come più volte si è
ripetuto, che il cristianesimo ha rinforzato teologicamente il dominio maschile mediante il
parallelismo di uomo-creatore e donna-creatura. L’autentica visione cristiana non è
genericamente teistica, ma trinitaria: le caratteristiche maschili sono tutte a servizio
dell’indivisibilità dell’amore, mentre le caratteristiche femminili sono tutte a servizio della sua
condivisibilità. Di fatto, l’aspetto massimamente distintivo fra i sessi è che nessun uomo può
accogliere come accoglie una donna, e nessuna donna può essere da se stessa feconda. Di
recente, tra l’altro, si è riaperto il dossier, a lungo congelato, intono alla questione dell’immagine
familiare della Trinità. A nostro avviso ci sono ottimi motivi per sviluppare l’analogia (che
comunque comporta sempre una maior dissimilitudo pur in tanta similitudine): come lo Spirito
è il Condiletto, il frutto e il testimone personale dell’amore del Padre e del Figlio intesi come
l’Amante e l’Amato, così il bambino è il frutto personale della comunione d’amore dell’uomo e
della donna.
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8. SESSUALITÀ E CRISTOLOGIA. La maschilità di Cristo non può essere ritenuta irrilevante, neanche per
giuste ragioni emancipative: si otterrebbe l’effetto contrario. Il Verbo incarnato, quale unico
mediatore della creazione e della redenzione, onora perfettamente sia l’uomo che la donna. a)
l’Incarnazione del Figlio avviene per la parola dei profeti e nel grembo di Maria: l’uomo è
essenzialmente rappresentanza di una parola più grande di sé, e la donna è accoglienza feconda
di questa parola; b) il Figlio si incarna in modo maschile per essere il volto del Padre: così la
sintassi della rivelazione non rende invalida la grammatica della creazione; c) il Figlio ci redime
comportandosi come una donna: ci genera e ci nutre con il suo stesso corpo. Lo “stereotipo”
della “monadicità” maschile e della “diadicità” femminile trova qui il suo fondamento più
profondo: la posizione del Padre, rappresentata dalle risorse del maschile, è infatti
prevalentemente univoca, mentre quella del Figlio, in quanto dal Padre si riceve e agli uomini si
dona, e in quanto agli uomini rivela il Padre e al padre restituisce gli uomini, è costitutivamente
ambivalente: da qui la fondazione e la valorizzazione teologica dell’ambivalenza femminile, cioè
del suo doppio riferimento fisico, psicologico e spirituale, all’uomo e al bambino, allo sposo e al
figlio. Da qui la comprensione non narcisistica dell’idea di Cristo come “splendore del Padre” e,
per analogia, della donna come “gloria dell’uomo”. Da qui anche la comprensione dei più noti
aspetti psicologici dell’atteggiarsi maschile e femminile e dei relativi riscontri scientifico-
biologici.
9. SESSUALITÀ E MARIOLOGIA. La scena dell’incarnazione parla chiaro: nella Parola di Dio che si fa carne
e nella risposta credente di Maria espressa loco totius generis humani, l’interpretaizone
dell’uomo come Wort e della donna come Ant-wort (Bathasar) trova tutta la sua plausibilità e
bellezza. La scena della redenzione parla ancor più chiaro: la figura chiastica di un uomo maschio
che con tutta la sua gloria sprofonda nell’umiliazione della morte, e di una donna che in tutta
umiltà viene resa Regina del Cielo, restituisce le proporzioni originarie della creazione, converte
ciò che era pervertito. Da qui il riscontro della reciprocità e asimmetrica “sottomissione”
dell’uomo e della donna in quanto destinati a ad interpretare il mysterium magnum dell’amore
di Cristo e della Chiesa: «voi mogli, obbedite ai vostri mariti», «voi mariti, amate le vostre mogli».
Dall’evento cristologico in poi, all’uomo è pertanto prescritto un ethos dell’umiliazione, e alla
donna è dischiusa la possibilità di lasciarsi risollevare da ogni umiliazione.
10. SESSUALITÀ E MATRIMONIO. Se si è compreso che “sessualità” e “affettività” sono utili ma anche
pericolose astrazioni rispetto al loro fondamento, ossia la realtà dell’uomo e della donna nel
disegno di Dio, diventa chiaro che il primo compito nel campo dell’educazione cristiana degli
affetti è riconciliare le forze e le forme. La riduzione energetica dell’istinto sessuale va corretta
nella sua riconduzione alla forma del matrimonio, il luogo dove l’alleanza dell’uomo e della
donna trova le sue sorgenti, la sua salvezza e il suo compimento. E se si è compreso che la
relazione uomo-donna vive del paradosso di una proporzione diretta di reciprocità e
irriducibilità, il secondo compito, urgentissimo, è quello di ridare consapevolezza che l’amore non
ha mai un solo nome, è sempre presenza e mistero, vicinanza e rispetto, e che dunque il dono
dell’intimità richiede tempo.
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