Sei sulla pagina 1di 21

L’incarnazione

Cristologia – Parte sistematica


III. L’EVENTO CRISTOLOGICO DELLA INCARNAZIONE E
L’AVVENTO
DELL’UOMO NUOVO
 
A. L’incarnazione come evento del ‘divenire uomo’ di Dio (ominizzazione di
Dio) e come evento del ‘divenire umano dell’uomo’

1. Il problema della immutabilità di Dio e l’incarnazione

2. La condizione genetica dell’uomo e la storia umana della incarnazione

3. L’incarnazione come evento pasquale e parusiaco

4. L’incarnazione personale del Figlio di Dio come momento culminante


del processo di personalizzazione dell’uomo
 
1. Il problema della immutabilità di Dio e l’incarnazione
• La comprensione del rapporto intrinseco tra
verità e storia porta verso una concezione di
tutto l'essere come storicità

• L'essere stesso di Dio, che è amore, vita,


dinamicità, può essere comprenso come un
'essere nel divenire se stesso'

• Questa concezione sembra a prima vista urtare


contro il postulato del Deus immutabilis proprio
del concetto stesso di Dio

• Una tale comprensione dell'essere infinito di


Dio appare però troppo debitrice ad una
metafisica lontana dalle categorie
personalistiche e dinamiche dell’immagine
biblica di Dio
4
• Occorre interpretare 'positivamente'
l'immutabilità divina, in quanto esprime cioè,
non una pura concezione statica di
immutabilità metafisica, quanto la fedeltà di
Dio a se stesso, come amore assoluto,
nell'ambito della sua vita trinitaria

• La immutabilità-fedeltà di Dio che,


negativamente, esprime il suo non essere
limitato/condizionato da alcunché di esteriore
a lui stesso, è positivamente un mistero di
donazione assoluta nell'Altro, mistero che
costituisce il fondamento della sua possibilità
di donarsi ed essere, in assoluta libertà, fedele
a se stesso, ma in un altro inferiore a sé,
nell'ordine creato

5
• In questo modo, Dio, pur restando sempre
identico a se stesso, si può dire che diviene 'in
alio'

• È questa fedeltà-immutabilità di Dio, nel suo


vivere ed agire, che costituisce il presupposto
fondamentale alla sua possibilità stessa di
incarnarsi, divenendo uomo

6
2. La condizione genetica dell’uomo e la storia
umana della incarnazione
• La comprensione moderno-contemporanea, vede l’uomo non più come
una 'cosa' (sostanzialismo) tra le 'cose' del mondo, ma come un 'essere
personale' proteso dinamicamente in un progetto di esistenza in cui, nel
processo di crescita, genera se stesso, nel complesso dei suoi rapporti
con Dio e con le altre persone nel mondo

• In questo processo di sviluppo gioca un ruolo determinante l'interazione


delle libertà umane e l'inter-soggettività (reciprocità) delle coscienze.
Questa concezione dell'uomo, come essere in sviluppo, nella storia della
società, tende ad illuminare ulteriormente, dal basso, il valore storico
della incarnazione
• Da un lato, l’incarnazione appare come un evento di crescita umana,
caratterizzato da una sua intrinseca storicità. Un pensiero teologico che
tenga conto di questo valore dovrà evidenziare che l'incarnazione è un
'divenire uomo' che comporta varie fasi di crescita a tutti i livelli

• Dall'altro lato, l'incarnazione appare come il punto centrale della storia


umana universale: senza Cristo, questa resterebbe come un
interrogativo aperto circa tutti i possibili sviluppi, potendo anche
trasformarsi in storia dei fallimenti e della decadenza dell'uomo. In
questo, l'incarnazione esercita un ruolo unificante, di sostegno e
garanzia del processo di umanizzazione della storia
• Questa funzione universale, però, viene assolta dall'incarnazione
assumendo in sé il lato 'agonale' di questa storia, cioè il suo stesso
carattere conflittuale-dialettico, portandolo a soluzione

• Proprio per questa sua assunzione dei conflitti e delle negatività concrete
della umanità, lo stile esistenziale della incarnazione, nella condizione
storica presente, oltre al carattere dinamico-evolutivo, ne possiede anche
intrinsecamente uno kenotico culminante nella storia dolorosa della
croce
3. L’incarnazione come evento pasquale e parusiaco
• Avendo presente le due riflessioni precedenti è possibile per la teologia
pensare l'evento della incarnazione come un 'passaggio pasquale' in cui si
incontrano il 'divenire di Dio' nella storia ed il divenire dell'uomo in un
progetto di 'nuova umanità'. Per questa riflessione è necessario però
superare le strettoie di una concezione della incarnazione illustrata solo
come 'unione ipostatica'

• Una tendenza restrittiva è stata determinata dalla 'teologia del natale'.


Questa, evolutasi in epoche tardive sotto la spinta della istituzione della
festività liturgica, ha finito con restringere la tematica della incarnazione al
primo momento della storia umana di Gesù (la concezione-natività) con il
rischio conseguente di creare una tensione tra il polo della incarnazione e
quello della pasqua
• L’incarnazione, va pensata come un grande evento in cui il divenire di Dio
nell'uomo s'incontra con il divenire dell'uomo in Dio e che abbraccia tutto
l’arco dell’esistenza terrestre di Gesù di Nazaret, culminante nella croce-
risurrezione, come pure tutta la storia dell'umanità (prospettiva universale)

• Questo vuol dire che incarnazione e pasqua sono un unico evento:


l'incarnazione non è salvifica senza la pasqua, che ne è il suo ultimo
compimento, così come la pasqua non è redentrice senza il realismo della
incarnazione

• Questa prospettiva unitaria può essere spinta fino ad affermare che la


pasqua non è solo un momento particolare all'interno dell'avvenimento
globale della incarnazione, ma in un certo modo la sua stessa struttura
• Così, tutto il movimento della vita terrena di Gesù è veduto nel Vangelo di
Giovanni come un passaggio, un 'uscire dal Padre', un 'venire nel mondo,
ed insieme, un 'lasciare il mondo per 'tornare al Padre' (Gv 16,28). Tutto il
tempo della incarnazione è pertanto come un grande esodo pasquale che
culmina nell'ora definitiva della croce-esaltazione, ora che realizza e
rivela in maniera più aperta la struttura pasquale di tutto il movimento
della storia della incarnazione
• Questa struttura pasquale del tempo della incarnazione si rivela dunque come una
temporalizzazione che ha la sua radice nel movimento eterno trinitario della persona
del Figlio

• La sua forma di esistenza sulla terra non è altro che la traduzione creata di questa
forma di esistenza immanente: esistenza come recezione, come apertura alla volontà
del Padre. Questa recettività, per tutto ciò che viene da Dio Padre, è precisamente ciò
che è il tempo e che fonda la temporalità, nella sua esistenza creata. Essa è questa
struttura fondamentale del suo essere nella quale egli è ad ogni istante aperto per
accogliere la missione donatagli dal Padre. La temporalità è ciò che traduce nella
maniera più perfetta il movimento vitale dell’eternità
• Il Figlio in ogni istante della sua esistenza trinitaria vive il dono di se stesso (la sua
origine dal Padre) non solo nella passività. Nel suo tutto ricevere 'dal Padre', il
Figlio si comporta attivamente. In questa sua 'attività', il Figlio vive in una
condizione di ritorno al Padre, in una conversione amante verso di Lui (Gv 1,18)

• Se perciò, nel primo aspetto della durata della incarnazione (nel suo venire dal
Padre), si evidenzia la distinzione da lui, e la vicenda della sua lontananza, legata
alla condizione di esistenza umana peccatrice fino all'abisso della croce, nel
secondo aspetto (conversivo) della temporalità della incarnazione, si evidenzia la
sua unità di amore con il Padre (Gv 10,30) che trova ancora la sua massima
espressione nella esaltazione della croce e la sua consumazione nella risurrezione
4. L’incarnazione personale del Figlio di Dio come
momento culminante del processo di personalizzazione
dell’uomo
• L'esistenza personale divina dell'uomo Gesù non esclude, ma implica un
processo umano di esercizio di coscienza, di libertà, di relazioni
interpersonali con gli altri per le quali il Verbo divino vive umanamente la
sua 'personale' identità filiale

• L'essere persona dell'uomo, come 'essere in sé', si realizza proprio nel suo
incontro di relazione con gli altri, per cui egli è tanto più vicino a se stesso,
quanto più è vicino agli altri. Ma questa relazione orizzontale dell'essere
persona dell'uomo è mediata dalla immediatezza di una relazione verticale
fondamentale all'Altro, che è Dio

• Gesù Cristo è l'uomo perfettamente proteso fuori di se stesso e pertanto


giunto davvero ad essere se stesso. È proprio per la sua perfetta apertura a
Dio (il Padre) che l'uomo Gesù vive il massimo della sua personalizzazione
in forza della sua apertura a tutti
• Parlare di un processo di personalizzazione umana da parte dello stesso Verbo
eterno di Dio in forza della incarnazione comporta chiaramente anche
l'attuazione nell'uomo Gesù della sua piena libertà umana autonomica

• La libertà umana esprime autenticamente se stessa nell'area della


'responsabilità', nella risposta a qualcuno che la interpella. Non è l'esercizio di
un monologo, ma di un dialogo. In questa visione della umana libertà, la
relazione al Tu di Dio e quella agli altri esseri umani diviene elemento
intrinseco per il suo autentico esercizio

• Proprio in quanto Gesù di Nazaret è l'uomo più aperto al mistero di Dio in


forza della suo essere la Persona del Figlio (grazia dell’unione ipostatica),
egli è anche l'uomo più autonomo e libero, realizzando la sua libertà nel dono
assoluto di se stesso (pro-esistenza) al Padre ed agli altri uomini
• Questa condizione autenticamente libera dell'uomo Gesù comporta anche una autentica
interiorità di coscienza psicologica veramente umana. Questa comporta una
appercezione immediata della propria divina identità filiale

• L'incarnazione, in quanto 'divenire uomo' del Verbo, in un vissuto autenticamente


umano, comporta anche necessariamente il suo prendere umanamente coscienza di sé. Il
Figlio di Dio, perciò, proprio in quanto incarnato (persona composta: vedi il Concilio
Costantinopolitano II) è il soggetto unico di questa coscienza

• La sua vita umana cosciente, proprio perché impiantata in una struttura psichica umana,
va soggetta al dinamismo dello sviluppo, inteso non nel senso di una evoluzione di
coscienza (quale passaggio dal non sapere nulla della propria identità divina ad un
sapere acquisito), ma nel senso di maturazione di una coscienza umana originaria della
sua identità filiale divina maturata affettivamente ed esperienzialmente nella sua crescita
umana nel complesso delle sue molteplici relazioni con l'ambiente culturale religioso del
suo tempo
• L'affermazione dello sviluppo umano della coscienza di Gesù comprende, quindi, da
un lato, l'esperienza costante della propria identità filiale: come ogni uomo esperisce
se stesso fin dal primo momento della propria vita umana cosciente, così in maniera
del tutto singolare, l'uomo Gesù esperiva la propria relazione al Padre che illuminava il
senso integrale della sua vita.

• Questo dato originario inalterabile e costante della coscienza psicologica di Gesù, non
derivato dal basso della esperienza umana acquisita, va unito però a quel processo di
chiarificazione ed esplicitazione dovuto alla sintesi di quello stesso dato originario e
costante con gli altri dati acquisiti dal rapporto conoscitivo della sua vita umana

Potrebbero piacerti anche