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Il Violino Barocco e le

Sonate del rosario di H.


Biber

A cura di Mauro Murru


Il Violino Barocco
Non tutti conoscono la differenza tra il violino moderno e il violino
barocco dal momento che in Italia non è molto diffuso lo studio di
questo affascinante strumento ed è altrettanto raro poter assistere ad
artisti che lo suonano. Esistono differenze nelle dimensioni, nel peso,
nel disegno, nei materiali; diverso è l’archetto e diverse risultano la
tecnica e la capacità espressiva. Le corde del violino barocco sono di
budello animale, trattato ed arrotolato fino a formare un filo.

Le corde del violino moderno, in particolare quelle del La, Re e Sol


sono dotate di un’anima in fibra sintetica (nylon, rayon), oppure in
budello, circondata da un avvolgimento di seta rivestito esternamente
con una sottile fascia di metallo (acciaio, alluminio, argento) per
conferire una maggiore massa all’insieme, così da permettere di
produrre le note più gravi mantenendo la corda abbastanza sottile. La
corda del Mi, detta cantino, è quasi sempre costituita da un unico
sottile filo di acciaio. Le corde con anima sintetica permettono di
ottenere un suono intenso e brillante con maggiore durata e stabilità
nell’accordatura. Per contro degradano molto più rapidamente
rispetto a quelle con anima in budello. Le corde del violino barocco
tendono a perdere l’accordatura più facilmente a causa della
temperatura ambientale, dell’umidità e persino per il riscaldamento
prodotto dalla mano dell’esecutore; tendono a deteriorarsi e a
rompersi con maggior facilità rispetto alle corde moderne. Il manico
del violino barocco è più corto e non si utilizza né mentoniera né
spalliera. Non sempre si pone la giusta attenzione all’importanza di
questo strumento a meno di trovarsi di fronte alle “esecuzioni
filologiche” nelle quali l’uso di strumenti e tecniche esecutive propri
dell’epoca della composizione costituisce uno degli elementi guida
dell’interpretazione musicale. All'inizio dell’800 ben pochi tra i vecchi
violini sfuggirono alle modifiche per ottenere una maggiore potenza di
suono e assecondare il virtuosismo violinistico. Con l’accordatura più
alta si determinava una maggiore tensione sulla tavola armonica che
venne rinforzata sostituendo la vecchia catena con una più lunga e
resistente. Fu introdotta la mentoniera. Venne modificato lo spessore
dell’anima. Il manico, che era quasi parallelo alla tavola armonica,
divenne più lungo e fu messo in posizione obliqua in modo da
diminuire la distanza tra corde e tastiera nelle posizioni alte. La forma
del ponticello divenne più arrotondata. Anche i nuovi archetti
realizzati da Tourte aumentarono la potenza di suono.

Il violino barocco è un violino che presenta caratteristiche costruttive


specifiche del periodo che va dalle origini dello strumento, nella
seconda metà del XVI secolo, fino ai primi decenni del XIX.
Tali caratteristiche, in realtà, subirono progressive modifiche nel
corso di questo ampio lasso di tempo, per cui sarebbe più appropriato
parlare di strumenti originali, o storici; infatti, si possono notare
grossolanamente tre periodi distinti: il violino "rinascimentale" tra il
1540 e il 1660, il "barocco" propriamente detto tra il 1660 e il 1760, il
"classico" o "di transizione" tra il 1760 e il 1820. Le date sono del
tutto indicative: ciascuna tipologia ha convissuto con la successiva
per un certo tempo, conseguentemente a particolari situazioni
musicali, geografiche, economico-sociali.
Non si deve credere che violini e archetti, prima di acquisire la forma
o i caratteri costruttivi odierni, fossero "primitivi", e che la loro
evoluzione li abbia portati gradualmente a un'ideale perfezione
odierna: in realtà, essi erano perfettamente adatti alla musica per la
quale erano stati concepiti. Per questa ragione, molti interpreti
specializzati nel repertorio anteriore al XIX secolo suonano tuttora
strumenti che conservano, o riproducono, le caratteristiche del violino
barocco.
La Montatura

Un violino è composto di una cassa armonica, considerata la vera


"essenza" dello strumento, in quanto ne determina in maniera
fondamentale le qualità sonore, e di una serie di elementi considerati
"accessori", che possono essere modificati o sostituiti per adattare lo
strumento alle esigenze dell'esecutore. Tra questi, ci sono il manico
con i suoi accessori (tastiera, capotasto, ecc.), il ponticello, la
cordiera, le corde; inoltre, all'interno della cassa, ci sono l'anima e la
catena. La compatibilità di questi elementi influenza il rendimento
sonoro dello strumento. Il loro complesso è chiamato "montatura".

La montatura venne gradualmente modificata nel corso dei secoli. I


mutamenti hanno riguardato:

 angolo, peso, lunghezza e spessore del manico;


 angolo, peso e lunghezza della tastiera;
 curvatura della tastiera in senso trasversale;
 forma, altezza e spessore del ponticello, nonché punto di
posizionamento sullo strumento;
 lunghezza e spessore della catena;
 lunghezza, spessore e posizione dell'anima;
 materiale e tecnologia di costruzione delle corde;
 dimensioni degli strumenti in relazione al diapason adottato

Il manico dello strumento barocco è normalmente più corto e spesso


di quello contemporaneo. La sua parte superiore prosegue idealmente
la linea del bordo della tavola. Esso non è incastrato nel blocchetto
superiore, come si usa oggi, ma fissato a esso con chiodi (o talvolta
con viti). La tastiera, anch'essa più corta, ha uno spessore di forma
triangolare chiamato "cuneo" nella parte che combacia con il manico;
il cuneo può formare un corpo unico con la tastiera o essere aggiunto,
e ha la funzione di aumentare l'angolo di tensione delle corde, dal
momento che il manico non è inclinato, ma pressoché orizzontale
sulla linea del coperchio.
Per il ponticello, venivano adottate forme diverse, spesso ideate
dal liutaio stesso, aventi generalmente in comune una maggiore
percentuale di parti "vuote" rispetto ai modelli usati dalla fine del
XVIII secolo. Il ponte era anche leggermente più basso di oggi. Tra le
parti interne alla cassa, la catena era più corta e sottile, dovendo
sopportare un minor carico di lavoro da parte delle corde, e anche
l'anima era più sottile. Contrariamente a quanto pensano molti, il
suono degli strumenti dotati di questa montatura non era più dolce,
ma piuttosto più chiaro e trasparente, ricco di armonici e risonanze,
meno potente ma generalmente piuttosto brillante.
Questa sintesi, del tutto semplificata, è utile per capire, in forma
approssimativa, le caratteristiche degli strumenti in relazione alla loro
montatura.

Di fatto, è estremamente difficile trovare


strumenti nello stato d'origine; come si è
detto, il processo di modificazione degli
strumenti preesistenti per adattarli
gradualmente alle mutate esigenze musicali
fu pressoché ininterrotto dal XVII alla metà
del XIX secolo e sono rarissime le parti
ricavate dagli strumenti restaurati di cui si
possano documentare cronologicamente le
trasformazioni. Ad esempio, alcuni tra i
violini meglio conservati di Antonio
Stradivari, come il Messiah o il Lady Blunt,
hanno trascorso la maggior parte della loro
esistenza nelle mani dei collezionisti ed,
essendo stati suonati assai poco, sono stati
soggetti a scarsa usura e hanno necessitato
di pochi lavori di restauro o
ammodernamento, ma hanno in genere
subito modificazioni, come l'alterazione della
base del manico per aumentarne l'angolo e la
sostituzione di buona parte della montatura
(catena, tastiera, ponticello, cordiera, piroli).

Uno tra gli strumenti conservati in condizioni più prossime


all'originale è la viola tenore medicea, costruita come parte di un
quintetto d'archi per la corte di Cosimo III de' Medici nel 1690. Lo
strumento, custodito nel museo del Conservatorio Luigi
Cherubini di Firenze, è ancora in condizioni barocche e conserva la
quasi totalità della montatura originale (tastiera, cordiera, catena,
manico non modificato e addirittura il ponticello); l'unico vero
ammodernamento subito è stato l'inserimento, reversibile, di un
cuneo di legno tra il manico e la tastiera per aumentarne l'angolo. La
viola ha comunque subito diversi interventi di restauro, soprattutto
per riparare i danni causati da insetti silofagi. I pochissimi strumenti
rimasti nelle condizioni d'origine sono probabilmente esemplari
malriusciti e rimasti inutilizzati. Anche le scarse testimonianze scritte
d'epoca sulla montatura, come il manoscritto di James Talbot o il
metodo per violino attribuito a Sébastien de Brossard, sono laconiche
o confuse.

L’arco
Nel periodo del violino barocco, due tipologie di arco si sono
succedute:

 l'arco "barocco" propriamente detto, nel quale si individuano a sua


volta due grandi gruppi, l'arco "corto" e quello "lungo";
 l'arco "transizionale" o "classico".

Nel XVII secolo, il modello più


comune è quello rappresentato nel
ritratto di violinista di Gerrit Dou,
riprodotto in questa pagina. Si tratta
di un arco molto corto e leggero, con
punta bassa, "a muso di luccio",
adatto a eseguire arcate brevi e
incisive. La bacchetta a riposo è
quasi diritta, mentre quando è in
tensione si curva verso l'esterno.

Il tallone o nasetto è del tipo detto "a scatto" o "ad alzo fisso": i crini
sono alloggiati nella bacchetta e il tallone viene incastrato in
un'apposita sede intagliata nel legno della bacchetta ed è tenuto in
posizione dalla tensione dei crini. Ovviamente non esiste un sistema
di regolazione della tensione. La lunghezza e il peso sono variabili; i
pochi esemplari rimasti vanno dai 58,4 ai 64 cm, dai 36 ai 44 g, ma si
possono ipotizzare differenziazioni a seconda del periodo e della
nazione, in relazione alle usanze musicali. Scrive ad esempio il
letterato francese Francois Raguenet, in un pamphlet ove racconta le
cose notevoli di un viaggio a Roma, effettuato nel 1698, durante il
quale ha ascoltato l'orchestra di Arcangelo Corelli.

Mentre precedentemente gli archi erano costruiti con legno di alberi


locali, caratterizzati da un peso specifico piuttosto basso, all'inizio del
XVII secolo le rotte commerciali e la colonizzazione portano in Europa
legni esotici più pesanti e compatti; i pochi archi seicenteschi giunti
fino a noi sono in legno serpente (piratinera guianensis), un materiale
straordinariamente denso, forte e bello esteticamente per le evidenti
marezzature, che si ritrova in America Latina, Oceania e Asia sud-
orientale. Altri legni usati nel corso del XVIII secolo sono i vari tipi di
"legno ferro", ad esempio la Swarzia bannia, o l'ebano, anche se la
minore forza di questi ultimi in relazione al loro peso li rende più
adatti a strumenti più grandi, quali le viole e soprattutto gli strumenti
bassi.
Approssimativamente tra il 1690 e il 1735 vi è un periodo di
sperimentazione, che riguarda sia la forma sia le dimensioni.
L'archetto corto, anche se con qualche modifica tendente a
irrobustirlo, è utilizzato ancora almeno fino alla metà del XVIII secolo.
Viene adoperato soprattutto in Italia, in particolare da parte di quei
violinisti che vantano una diretta discendenza artistica da Arcangelo
Corelli, ad esempio Giovanni Battista Somis, iniziatore della scuola
violinistica piemontese, Pietro Locatelli, il più celebrato virtuoso del
violino del secolo, e Francesco Geminiani, il cui ritratto (riprodotto più
sotto nella sezione dedicata alla postura) sul frontespizio della
versione francese del suo metodo per violino (1752) mostra un arco
dove i crini si calcola misurino tra i 635 e i 660 mm
Accanto a questo, si costruiscono degli archi più lunghi, fino a
71,7 cm. È conservato al Conservatorio di Trieste un arco di Giuseppe
Tartini lungo 71,3 cm, dotato di una punta "a muso di luccio" simile a
quella dell'arco corto.
Utilizza un arco lungo anche un altro dei
massimi virtuosi del Settecento, Francesco
Maria Veracini, nel ritratto posto all'inizio delle
Sonate Accademiche op. 2 (1744). Qui, però, si
vede chiaramente che la punta ha una forma
differente.
Infatti, l'allungamento della bacchetta tende a indebolire l'arco; il
problema viene compensato innanzitutto modificando la punta con
una forma "a becco di cigno" che aumenta la distanza della bacchetta
dai crini in quella zona.
Questo tipo di punta è una caratteristica pressoché costante negli
esemplari di arco lungo giunti fino a noi, ed è confermata anche da
molte fonti iconografiche. Talvolta (ma non sistematicamente), viene
aggiunta nella parte della bacchetta più vicina alla mano una curva
verso l'interno dell'arco ottenuta tramite il riscaldamento del legno.
Inoltre, nel tallone, che continua a essere prevalentemente fisso, a
incastro come nei modelli seicenteschi, viene ampliata la sede dei
crini, allo scopo di utilizzarne un numero superiore.
Se l'arco corto presentava una sezione rotonda o ovale, nell'arco
lungo, invece, per mantenere una buona forza della bacchetta pur
diminuendone il peso, talvolta la bacchetta viene lavorata a sezione
ottagonale e poi vengono aggiunte delle scanalature ornamentali in
ciascuna faccia; la lavorazione può essere limitata alla sola zona del
tallone, per circa un terzo della lunghezza dell'arco, oppure estesa a
tutta la bacchetta. Solo l'esemplare Tartiniano citato sopra presenta
una bacchetta di sezione ottagonale senza scanalature.
Nonostante l'arco lungo rappresenti una tappa del percorso evolutivo
verso l'arco moderno, non deve essere considerato necessariamente
come un miglioramento tecnologico dell'arco corto. Esso è adattissimo
all'esecuzione della difficile musica polifonica (come le Sonate e partite
per violino solo di Johann Sebastian Bach) che si sviluppa soprattutto
nei primi decenni del Settecento, e per le lunghe note dei movimenti
lenti, ma all'epoca viene criticato per la eccessiva uguaglianza
dell'arcata, cioè per la difficoltà nell'eseguire espressioni dinamiche
all'interno di una stessa arcata (caratteristica che invece viene
considerata un pregio nella tecnica moderna degli strumenti ad arco)
e per la minore energia della bacchetta, che si traduce in una minore
agilità e brillantezza di suono.
L'arco lungo viene usato fino alla fine del secolo XVIII, mentre già dal
1770 circa appaiono in misura crescente archi di nuova concezione,
detti "transizionali". A partire dal 1750 circa, viene introdotto il tallone
mobile, nel quale la tensione è regolata da una vite. I crini non sono
più alloggiati nella bacchetta, ma all'interno del tallone stesso. A
partire da questo periodo, molti archi lunghi e corti vengono dotati di
tallone mobile, la bacchetta viene allungata con il bottone della vite e
la sede dei crini nella bacchetta viene chiuso, spesso per mezzo di uno
scudo piatto in avorio. A volte, in concomitanza con questi
adattamenti, viene anche incrementata la curvatura verso l'interno
delle bacchette.
Con il termine "classico" (perché legato alla musica del Classicismo) o
"transizionale" (in quanto concepito storicamente nella transizione
dall'arco barocco a quello moderno) s'intende un tipo di arco che, pur
nella varietà di forme tipica del XVIII secolo, presenta alcune
caratteristiche che lo differenziano dal passato e preparano la forma
elaborata da François Tourte nei primi decenni del XIX secolo.
Si continua nella tendenza dell'arco lungo di allontanare la bacchetta
dai crini alla punta, alzando quest'ultima fino a un'altezza pari o
perfino superiore a quella del nasetto (20–23 mm); a questo scopo,
vengono utilizzate forme di punta totalmente nuove, raggruppabili in
due tipi principali: "ad accetta" e "ad ascia di guerra". Il nasetto
presenta sempre il meccanismo a vite per la regolazione della tensione
dei crini. Normalmente, la bacchetta supera i 71 cm di lunghezza e
viene curvata verso l'interno in modo da mantenere una lieve
concavità anche sotto tensione. Il legno serpente viene sostituito dal
pernambuco (Caesalpinia echinata), più leggero, e in misura minore
dal legno ferro, meno rigido

Le corde
Le corde utilizzate nel violino barocco sono in budello animale,
ricavato normalmente dall'intestino di agnello; oggi si utilizzano
preferibilmente bestie adulte, tuttavia quest'uso era cominciato (e
talvolta deprecato) già nel tardo Cinquecento. La tecnologia di
produzione è rimasta nei suoi principi fondamentali quasi immutata
fino a oggi, tuttavia si è avuta un'evoluzione nella lavorazione che ha
prodotto nel corso dei secoli corde con caratteristiche specifiche che
hanno anche influito fortemente sulla scrittura violinistica.
Un periodo di grande ricerca ed evoluzione comincia nella seconda
metà del XVI secolo, proprio mentre fa la sua comparsa il violino. Un
esempio di "muta" (il complesso delle 4 corde) per il violino alla fine
del XVII secolo ci è descritto dal già citato James Talbot: la I e II corda
erano del tipo Romans (Romane), la III Venice Catline
(Catline di Venezia), la IV finest & smoothest Lyons (finissime e
morbidissime di Lione). Pressoché identica differenziazione si ritrova
anche nel documento più esauriente sulla manifattura delle corde
prima dell'età di Bach, il Musick's Monument di Thomas Mace, che
elenca anche le Minikins per gli acuti e le deep dark red colour
Pistoys (corde di Pistoia color rosso scuro) per i bassi. Si tratta
sempre di corde in "budello nudo", cioè non rivestito con altro
materiale (al contrario delle corde di budello fasciato usate nel violino
moderno), ma ciascuna tipologia indica una diversa lavorazione della
corda. I catline sono corde con una forte torsione che le rende più
elastiche. Quanto alla corde di Pistoia, si tratta probabilmente di una
tecnologia che ottiene. Nel violino, questa lavorazione riguarda
solamente la IV corda.
Le differenti tipologie di corde avevano lo scopo di ottenere non solo
una buona resa sonora da ciascuna corda, ma anche la maggior
uguaglianza possibile di suono e di "sensazione" tra le varie corde, allo
scopo di facilitare il passaggio da una corda all'altra.
Nella II metà del XVII secolo cominciano ad apparire le prime corde
basse nelle quali l'incremento dell'inerzia della corda (in modo da
ottenere suoni più gravi a parità di lunghezza e tensione) viene
ottenuto attraverso il rivestimento della corda di budello con un
sottile filo metallico d'argento o rame: in questo modo si può
aumentare la densità lineare di massa della corda senza modificarne
le caratteristiche elastiche. Le prime testimonianze di questo nuovo
prodotto appaiono in un manoscritto del 1659 riferito al liuto e cinque
anni dopo in un trattato per viola da gamba di John Playford. Con
l'affermarsi delle corde filate, le tecniche di costruzione dei bassi in
budello puro vanno perdute; l'operazione di ricopertura era molto
semplice, tanto che il musicista poteva comperare la corda già
pronta oppure provvedere da sé, in casa, con una semplice macchina.
Questa tipologia era usata solo per la IV corda, eccetto nel secolo
XVIII in Francia, dove era assai comune utilizzarla anche per la III
corda, anche se le spire metalliche dovevano essere molto più
distanziate tra loro.
Le varie tecnologie descritte sopra, volte a ottenere una corda bassa
con tensione uguale alle prime tre corde, ma dotata di uno spessore
proporzionalmente inferiore, servono a compensare un problema ben
noto ai musicisti: una IV corda di spessore proporzionale alle tre
superiori emette un suono soffocato e opaco, non comparabile a
quello delle tre superiori, ed è anche estremamente difficile da
controllare nell'emissione del suono.
La montatura del violino rimarrà invariata per tutto il periodo del
violino barocco, e quasi completamente anche fino al XX secolo.
Intorno alla prima guerra mondiale, la difficoltà a reperire il budello
unita alle innovazioni tecnologiche che permettono di affinare la
produzione di fili metallici (acciaio e alluminio) aprono la strada
a set di corde in cui il cantino poteva essere in acciaio, la seconda in
budello nudo o fasciato, e la terza e quarta in budello rivestito di
alluminio.

La postura
La mentoniera fu inventata da Louis Spohr e presentata ai musicisti
nel suo "Metodo per violino" nel 1832; la spalliera, addirittura, è
invenzione novecentesca. Quindi, in tutto il periodo rinascimentale,
barocco e classico, il violino veniva sostenuto senza l'aiuto di questi
accessori.
Nel XVII secolo il violino veniva tenuto non sopra la spalla, come oggi,
ma più in basso. Alcuni appoggiavano lo strumento al petto, come si
vede in un dipinto anonimo che rappresenta un ballo con la
regina Elisabetta I d'Inghilterra (1580 circa), altri un po' più in alto.
Nel XVIII secolo, gradualmente si afferma una posizione del violino
diversa, che dà più sicurezza nell'esecuzione di musica sempre più
ardua tecnicamente. Il violino viene tenuto più in alto, da taluni sotto
la clavicola (Francesco Geminiani, 1º modo descritto da Leopold
Mozart), da altri sopra (2º modo descritto da Leopold Mozart, Michel
Corrette, Michel Pignolet de Montéclair); difficilmente in questi scritti
si parla della funzione del mento, tuttavia nei ritratti di violinisti (in
particolare quelli che corredano i trattati didattici) pare che esso sia
sollevato dallo strumento e stazioni sulla parte a destra della cordiera
(per chi suona). Il primo metodo che consiglia l'appoggio del mento sul
violino è The Fiddle New Model'd di Robert Crome (1741), seguito nel
corso del secolo soltanto dall'Abbé le Fils (1761), da un'edizione
tedesca spuria del Metodo per violino di Geminiani del 1782 e dal
torinese Francesco Galeazzi nei suoi Elementi teorico pratici di
musica (1ª edizione 1791), mentre nel XIX secolo diventa la posizione
abituale.
Nel corso del XVII secolo, solo in Italia l'arco veniva regolarmente
tenuto appoggiando tutte le dita sulla bacchetta, il pollice sotto e le
altre dita sopra, in maniera analoga alla posizione attuale: in altri
paesi il pollice veniva più spesso posato al di sotto del tallone e
toccava il crine (la stessa posizione è stata riproposta nel XX secolo
per i principianti in età prescolare dal didatta giapponese Shinichi
Suzuki nel suo noto metodo).

In sintesi
Prima di subire le successive modifiche che nel corso dei secoli lo hanno
gradatamente portato alle caratteristiche odierne, il violino si
presentava esternamente ed internamente in modo alquanto diverso.
Tutti gli spessori (della tavola armonica, del fondo, delle controfasce)
erano più ridotti, e così pure la misura dell'anima e della catena. Il
manico, in generale leggermente più corto, non era fissato ad incastro,
ma semplicemente incollato al tassello superiore in modo
perpendicolare (senza l'odierna inclinazione all'indietro che consente di
ottenere maggiore tensione delle corde sul ponticello). Il ponticello era
più leggero, più traforato, più basso. Il peso rispetto al violino moderno
era di circa 1/3 in meno. La tastiera era alzata mediante un tassello
cavo che formava cassa di risonanza nel manico. Le corde erano di
budello (restano di budello fino ai primi decenni di questo secolo), non
rinforzato, tranne la IV corda che veniva anche anticamente ricoperta
da un avvolgimento per evitare di dover adoperare corde troppo grosse.
Non esistevano spalliera e mentoniera: il violino veniva sostenuto dalla
mano sinistra, e appoggiava liberamente sulla spalla. Da tutte queste
caratteristiche nasceva un tipo di sonorità più lieve e meno tesa.
L'arco era nettamente diverso. Tutti gli archi antichi, sia quelli corti per
musica di danza che quelli lunghi del periodo delle grandi sonate,
erano di forma arcuata con una distanza fra i crini e la bacchetta che è
almeno il doppio di quella odierna. I crini erano circa la metà di oggi.
L'arco antico non consente attacchi vigorosi e non sostiene le note: da
qui una tecnica completamente opposta alla moderna. Inoltre la
mancanza di spalliera e di mentoniera, e nel violoncello la mancanza
dei puntale, non consentivano un vibrato continuo ed ampio. La diversa
tecnica produceva un diverso gusto, dunque, negli archi; ma non veniva
sentita come un limite: rispondeva ai caratteri che si attribuivano alla
musica.
Verso il 1740 il manico viene leggermente allungato, ed inclinato
leggermente all'indietro; la forma moderna del violino è raggiunta però
solo sul finire dell'Ottocento. Nell'Ottocento ci fu l'avvento dell'arco
moderno, con il costruttore François Tourte (1747-1835), che, oltre a
portare a duecento il numero dei crini, vi impresse una curva concava
opposta a quella antica.
Parlare oggi di violino barocco non significa quindi necessariamente
esigere un violino costruito nell'epoca, poichè ci sono violini antichi che
sono stati rimodernati e modificati, e d'altra parte oggi si costruiscono
violini con le caratteristiche e le misure antiche. E' difficile trovare violini
antichi rimasti allo stato originale, perchè ogni violino venne
generalmente adattato alle nuove necessità (sale più grandi, orchestre
più numerose, solista professionista ... ). Ma i violini antichi erano molto
apprezzati, quindi si preferiva aggiustare quelli, più che non costruirne
altri con nuove misure. Invece, dopo Tourte, di solito gli archetti
venivano decisamente buttati via.

di Donella Terenzio (Musica Viva, Anno V n.9, settembre 1981)


Alcune considerazioni sul periodo barocco
Con le grandi forme drammatiche dell'opera, dell'oratorio, del mottetto
e della cantata, l'estetica musicale barocca giunse a piena fioritura. Il
genere barocco per eccellenza può essere riconosciuto nell'opera, sia
per i temi che vi sono trattati, sia per il clima complessivo della loro
messa in scena e la febbrile ricchezza di mezzi espressivi a cui si fa
ricorso. Ma di altrettanto fervore si accende l'oratorio, chiamato a
corrispondere alle esigenze liturgiche e devozionali della Chiesa della
Controriforma.
In Italia risulta difficile separare musica sacra e musica profana,
tenuto conto dell'afflato metafisico, dell'ardore e dell'ampiezza delle
passioni, sia che si rivolgano al martirio e all'estasi, sia che
sprofondino nelle sofferenze dei "combattimenti amorosi".
In ogni caso, le due novità rivoluzionarie della musica del XVII secolo
sono costituite indubbiamente dal basso continuo e dal recitativo, che
sconvolsero radicalmente il linguaggio musicale.

L'avvento del basso continuo


Il basso continuo, o semplicemente continuo, costituisce
spiccatamente il contrassegno del barocco musicale: è definibile come
il sostegno armonico-strumentale che accompagna le parti superiori
della composizione dal principio alla fine (e perciò è detto continuo).
Prima del suo avvento, la parte grave (basso, o tenor) di una polifonia
era una parte vocale fra le altre e non esigeva trattamenti particolari:
riprendeva i temi secondo il principio dell'imitazione, vocalizzava e
distribuiva i suoi interventi secondo l'intenzione di equilibrare il
contrappunto.
Instauratosi alla fine del XVI secolo con l'affermarsi di una sensibilità
armonica del fatto musicale, il basso continuo fu uno degli elementi
fondamentali della scrittura musicale fin verso la metà del XVIII
secolo: veniva improvvisato al clavicembalo o all'organo, spesso unito
a uno strumento ad arco (viola da gamba o violoncello), che suonava
soltanto la linea fondamentale del basso. Era caratterizzato dalla
presenza di numeri indicanti le armonie richieste (basso cifrato), ma
non si limitava, soprattutto nella sua fase più matura, alla sola
realizzazione degli accordi, poiché implicava scambi e giochi
contrappuntistici con le altre parti. I primissimi esempi di basso
continuo non erano numerati; le prime scarse indicazioni numeriche
apparvero nelle opere secentesche di J. Peri e G. Caccini.
Sulla realizzazione del basso continuo esiste una copiosa letteratura
dei teorici dell'epoca, spiegabile con le sue considerevoli ripercussioni
sulla scrittura musicale: rappresentava un modo spaziale innovativo,
tipicamente barocco, di concepire la musica. A partire dal 1750 circa,
la nozione di basso continuo cederà il passo a quella, più precisa, di
"accompagnamento", il quale, già liberamente praticato dall'antichità,
ora non poteva più essere omesso.
Biber
Cenni di Biografia e contesto storico

Biber (Wartenberg, 12 agosto 1644 Salisburgo, 3 maggio 1704) è


stato un compositore e violinista tedesco, di nazionalità boema.
Allievo di Schmelzer, fino al 1670 fu violinista alla corte vescovile di
Olomouc. Nel 1670 passò alla cappella arcivescovile di Salisburgo; qui
fu nominato 2° maestro nel ’79 e 1° maestro nell’84. Ottenuta grande
fama per le sue prestigiose esecuzioni e per le musiche da lui
composte con alto criterio virtuosistico, ricevette il titolo nobiliare (B.
Von Bibern) da Leopoldo I nel 1690. Negli ultimi anni risiedette anche
alla corte di Monaco di Baviera.

Considerato il miglior violinista tedesco della fine del XVII sec. Biber
dedicò al suo strumento gran parte della sua attività di compositore.
Molte delle sue musiche si conformano alla struttura della suite di
danze destinata ad organici strumentali compresi fra le 4 e le 10
parti. Al 1673 risale la Serenade a % che presenta una successione di
brani, Allemanda Ciaccona Gavotta e Aria compresi tra altri 2 detti
l’uno Serenada e l’altro Retirada; tale schema formale fu utilizzato in
quasi tutte le musiche di B. di questo genere (Mensa sonora,
Harmonia artificiosa, ecc): il brano iniziale è detto anche Sonata o
Intrada, quello finale anche Sonatina o Finale e tra di essi sono
comprese diverse danze di vario carattere (oltre a quelle citate: Trezza,
Canario, Balletto, Menuet, Corrente, ecc.). Le sonate zur Verberrlichung
von 15 Mysterien, pur conservate MSS, furono tra le composizioni più
note ed apprezzate di Biber; nonostante il titolo, esse non sono
composizioni descrittive, bensì sonate da chiesa (costituite da 1-5
movimenti liberi o in carattere di danza) destinate ad essere utilizzate
nella festività del rosario, solennità assai sentita a Salisvburgo. Nel
MS originale ciascuna sonata è preceduta da un’illustrazione dedicata
ad ognuno dei 15 misteri: al tentativo di evocare e commentare il
contenuto di alcune di esse e forse da collegare il carattere libero e
rapsodico di alcuni dei primi movimenti di queste sonate. Da notare
che la raccolta si conclude con una Passacaglia per violino solo senza
accompagnamento. Pur destinate alla chiesa, tali composizioni fanno
largo uso di generi prettamente cameristici quali danze e var., forma
questa particolarmente cara a Biber. Tale atteggiamento è comune a
molta musica strumentale tedesca della fine del XVII sec., la quale
comincia a non distinguere più negli usi e nelle forme la sonata da
camera da quella da chiesa. Biber stesso ce lo conferma in altre sue
raccolte, le Sonatae tam aris quam aulis servientes e Fidicinium
sacroprofanium che contengono sonate destinate tanto all’ambiente
cameristico quanto a quello chiesastico. Di notevole importanza sono
le 8 sonate per violino e contrabbasso apparse nel 1681
contemporaneamente all’opera I di A. Corelli. In queste composizioni
troviamo particolarmente sfruttata la tecnica della variazione,
mediante la quale B. può dare libero sfogo ai propri virtuosismi ed
arditezze strumentali. L’alto magistero tecnico è l’elemento che più
colpisce di queste sonate; il violino giunge a vette virtuosistiche che gli
italiani ancora non conoscevano: B. usa con disinvoltura note doppie,
accordi, trilli, intervalli molto ampi, “scordature” e giunge fino alla VII
posizione. Dello stile italiano, manca tuttavia, al B. di queste sonate,
l’ampia cantabilità ed ariosità degli archi melodici ed una salda
organizzazione formale. L’importanza di B. violinista è dunque
profondamente legata all’impulso dato alla tecnica del proprio
strumento, che gli valse a suo tempo la fama di grande virtuoso. La
produzione operistica di B., realizzata tutta per la corte
Salisburghese, rientra nell’ambito degli stili e delle convenzioni della
tarda opera Veneziana. Musicalmente seppe distinguersi nei pezzi
concertati e nel trattamento dell’orchestra, ma in complesso le sue
opere non destano grande interesse. Analogamente può dirsi della sua
musica sacra, composta in ossequio agli incarichi di un maestro di
cappella, che nulla aggiunge alla sua fama di solido musicista e di
agguerrito strumentista, tipico rappresentante della cultura musicale
germanica dell’epoca barocca. Si deve sottolineare, tuttavia, che i più
recenti studi attribuiscono a B. quella Missa Saliburgensis a 54 voci (e
il relativo inno Plaudite tympana) per lungo tempo attribuite a O.
Benevoli.
Biografia approfondita

Biber nacque a Wartenberg, in Boemia (oggi Strá pod Ralskem,


Repubblica Ceca). Poco si sa della sua formazione, se non che
potrebbe aver studiato ad un Ginnasio di Gesuiti in Boemia.

Prima del 1668, Biber lavorò alla corte del principe Johann Seyfried
Eggenberg a Graz e successivamente fu alle dipendenze del vescovo di
Olmütz (oggi Olomouc), Karl II von Liechtenstein-Kastelkorn, a Kromí,
dove prestava servizio come direttore della Cappella l'amico di Biber
Pavel Josef Vejvanovský. Pare che Biber godesse di una buona
reputazione e che il suo talento violinistico fosse tenuto in alta
considerazione.

Nell'estate del 1670, Karl II mandò Biber ad Absam, presso Innsbruck


per negoziare con il grande liutaio Jacobus Stainer l'acquisto di nuovi
strumenti per la Cappella. Ma il compositore non raggiunse la sua
destinazione ed invece raggiunse Salisburgo, dove entrò in servizio
presso l'arcivescovo Maximilian Gandolph von Khuenburg. Dal
momento che Karl e Maximilian erano amici, l'ex datore di lavoro del
compositore evitò di intraprendere alcuna azione, ma ne fu talmente
offeso che fece attendere il 1676 per liberare ufficialmente il
compositore dai suoi obblighi.

Biber rimase a Salisburgo per il resto della sua vita. La sua carriera
musicale e sociale prosperò: egli cominciò a pubblicare la sua musica
nel 1676, si esibì di fronte all'Imperatore (e ne fu ricompensato) nel
1677, divenne sostituto maestro di cappella al Duomo di Salisburgo
nel 1677 e maestro di cappella nel 1684. Nel 1690 fu fatto nobile
dall'Imperatore, con il titolo di Biber von Bibern.

Il compositore sposò il 30 maggio 1672 Maria Weiss, figlia di un


mercante salisburghese. La coppia ebbe undici figli, dei quali solo
quattro sopravvissero fino all'età adulta. Tutti ebbero talento per la
musica: Anton Heinrich (1679-1742) e Karl Heinrich (1681-1749)
furono entrambi violinisti al servizio della corte salisburghese, ed in
particolare il secondo prese nel 1743 il posto di maestro di cappella a
Salisburgo che era già stato del padre. Le figlie Maria Cäcilia (nata nel
1674) e Anna Magdalena (1677-1742) entrarono in convento e alla
seconda (contralto e violinista) fu affidata la direzione del coro e della
cappella dell'Abbazia di Nonnberg.

Opere

Biber fu uno dei più importanti compositori nella storia della musica
violinistica. La sua tecnica gli permetteva di raggiungere facilmente la
6ª e 7ª posizione, di impiegare le doppie corde in intricati passaggi
polifonici e di esplorare le varie possibilità della scordatura, ossia
l'accordatura non convenzionale dello strumento. Tale espediente
tecnico, già impiegato da compositori italiani, austriaci e tedeschi (tra
i quali Biagio Marini, Marco Uccellini e soprattutto Johann Heinrich
Schmelzer, che alcuni individuano come possibile maestro di Biber), è
stato portato ad un livello di maestria senza eguali né tra i
compositori precedenti, né tra i successivi.

Durante la sua vita la sua musica fu conosciuta e fonte d'ispirazione


per molti compositori e violinisti in tutt'Europa. Nel tardo Settecento il
musicologo Charles Burney lo definì il più grande compositore per
violino del XVII secolo. Nel corso del XX secolo, la sua musica fu
riscoperta (soprattutto le 15 Sonate del Rosario o dei Misteri) per poi
essere largamente eseguita e registrata.

Questo uso della "scordatura" trasforma il violino dalla piacevolezza


delle cinque sonate dei Misteri Gaudiosi (L'Annunciazione etc.) al
trauma dei cinque Misteri Dolorosi (La Crocifissione etc.) all'eterea
levità dei cinque Misteri Gloriosi (La Resurrezione etc.). La
riconfigurazione del violino ha un aspetto anche simbolico. Per
esempio le due corde centrali del violino sono "incrociate" nella
sonata La Resurrezione.

Biber scrisse molta musica per coro, da camera, opere liriche e dei
pezzi meglio conosciuti come la serenata Nightwatchman e Harmonia
Artificiosa.
Principali composizioni

Opere strumentali

 Sonata Sancti Polycarpi à 9, per 8 trombe in due cori, timpani, e


basso continuo (organo) (1673)
 Sonata rappresentativa, per violino e basso continuo (1669)
 Sonata La battaglia, per 3 violini, 4 viole, 2 violoni, e basso
continuo (1673)
 Sonate del Rosario (Rosenkranzsonaten) in scordatura
(conosciute anche come Sonate dei Misteri) (1674)
 Sonatae tam aris quam aulis servientes, per 5-8 strumenti
(trombe, archi, e basso continuo) in varie combinazioni (1676)
 Mensa sonora, sonate per due violini, viole e basso continuo
(1680)
 8 sonate per violino e basso continuo (1681)
 12 sonate Fidicinium sacroprofanum, per 1 o 2 violini, 2 viole e
basso continuo (1683)
 7 trio sonata Harmonia artificioso-ariosa: diversi mode accordata,
per 1 o 2 violini, 2 viole, 2 viola d'amore e basso continuo in
varie combinazioni (1696)
 Die liederliche Gesellschaft von allerley Humor

Opere vocali

 Missa Christi resurgentis (c. 1674)


 Missa Salisburgensis (attribuzione), per 53 voci indipendenti
vocali e strumentali (1682)
 Plaudite tympana, mottetto (1682)
 Applausi festivi di Giove, cantata (1687)
 Li trofei della fede cattolica, cantata (1687)
 Alessandro in Pietra, opera (1689)
 Chi la dura la vince, opera (c. 1690)
 Requiem in la (c. 1690)
 Requiem in fa minore (c. 1692)
 Missa Bruxellensis, per 23 voci indipendenti vocali e strumentali
(c. 1696)
 Missa Sancti Henrici (1697)
 Trattenimento musicale dell'ossequio di Salisburgo, cantata
(1699)
I S EG R ET I D EL L E S O N AT E
D EL R O S AR IO

Sono dei capolavori tra i più misteriosi nei loro significati, più o meno
“ermetici”, che il barocco musicale ci abbia lasciato, al pari della più
celebre “arte della fuga” di Johann Sebastian Bach.
Le Rosen Kranzsonaten furono casualmente ritrovate solo nel
1890 nella Bayerische Stadtbibliothek di Munchen, in forma
manoscritta, stesa probabilmente dall’autore, Biber, che durante la
vita, a differenza di come fece per altre sue sonate, non si preoccupò
mai di pubblicarle. Le Sonate del Rosario formano un’affascinante
opera ciclica e occupano una posizione unica nella storia del violino,
suonato attraverso l’uso di quattordici diverse accordature
(scordature).
Le variazioni sono al centro di ogni sonata, sono collegate al ritmo e al
metro dei movimenti meditativi, fugati o di danza e si basano su
melodie simili a canzoni.
I musicologi tendono a preferire l’ipotesi che Biber le avesse tenute
per suo uso personale e che solo più tardi abbia donato il manoscritto
all’arcivescovo salisburghese presso cui operava. A dette sonate
seguiva una Passacaglia, unica opera della serie con una accordatura
normale del violino.
L’autore del lavoro Heinrich Ignaz Franz von Biber nacque nell’agosto
1644 in Boemia e morì nel 1704 a Salisburgo, capitale
dell’Arcivescovado omonimo, presso il quale aveva la carica di
Kappellmeister. Prima di Salisburgo era passato per varie corti, tra le
quali Olmutz, e quella dei principi Eggenberg a Graz. Si deve
rammentare che il musicista di corte a quei tempi riceveva il
trattamento riservato alla servitù specializzata, anche se si potevano
incontrare delle fortunate eccezioni a questa regola: Biber fu una di
queste.
Tra le sue opere ci sono varie raccolte di sonate per violino e basso
continuo, musica strumentale di vario tipo e brani di musica sacra tra
i quali va ricordata la imponente “missa salisburgensis” a 53 voci in
cui, secondo le indicazioni dello stesso Biber, i cori, l’orchestra e
l’organo andavano disposti nella chiesa in modo tale da realizzare un
effetto che può essere ritenuto è il predecessore del suono
stereofonico di oggi. Questa messa ha più voci contrappuntistiche
indipendenti di ogni altro pezzo di musica scritta prima del XX secolo.
Biber era noto per la sua bravura come violinista e per la capacità di
raggiungere facilmente le ultime posizioni sulla tastiera del violino,
cosa quasi impossibile per molti violinisti del suo tempo.
Fu inoltre un maestro nell’impiegare le doppie corde in intricati
passaggi polifonici, e nell’esplorare le varie possibilità
della “scordatura”, cioè l’accordatura non convenzionale dello
strumento che consentiva di ottenere particolari “effetti timbrici”.
La musica di Biber ebbe una grande influenza sui suoi
contemporanei, e divenne fonte d’ispirazione per compositori e
violinisti in tutt’Europa. Il musicologo Charles Burney ha definito
Biber “il più grande violinista e compositore per violino del XVII secolo”.
La composizione delle “sonate del rosario” fu terminata intorno al
1678, epoca in cui non era molto frequente che un’opera musicale
fosse dedicata “ai santi quindici misteri del rosario”.
Certamente la composizione fu incoraggiata dall’ Arcivescovo di
Salisburgo, che era un acceso promotore della diffusione della recita
dei “misteri mariani” e che era membro della “Confraternita del
Rosario”, una struttura probabilmente assai più complessa di quanto
possa sembrare dal nome e che aveva delle finalità che forse
andavano ben oltre il culto.
Il Rosario, secondo i loro adepti, era una “summa di sapienza
mariana”, le cui implicazioni non potevano essere confinate nella
semplice devozione ma si applicavano a tutti i campi dell’esistenza e
della conoscenza.
Ogni sonata per violino impiegava una intonazione differente dello
strumento. Questo uso della scordatura trasformava il suono del
violino: dal senso meditativo delle cinque sonate dei Misteri
Gaudiosi (L’Annunciazione etc.) si arrivava al trauma mistico dei
cinque Misteri Dolorosi (La Crocifissione etc.), fino alla eterea levità
dei cinque Misteri Gloriosi (La Resurrezione etc.). La riconfigurazione
del violino aveva un aspetto anche simbolico: ad esempio le due corde
centrali del violino erano incrociate nella sonata della Resurrezione.
Tecnicamente la parte del violino richiede un’abilità eccezionale per
l’esecuzione: anche un orecchio non esercitato potrà notare come la
scordatura modifichi il suono dello strumento, per
esempio attribuendogli ora un riflesso angoscioso, ora un’atmosfera
estatica, oppure giubilante nelle sonate finali.
Sono stati fatti alcuni studi sul simbolismo numerico e cabalistico dei
tempi delle sonate, e perfino della successione delle note stesse.
Tutto ciò, nelle complesse opere di Biber, ha fatto ipotizzare con una
conoscenza profonda dell’autore dei movimenti ermetici della sua
epoca come per esempio i Rosacroce.
Infatti secondo lo studioso Davitt Moroney: “le sonate alludevano a un
programma letterario e simbolico preciso e talora didascalico”.
A completare il quadro, già molto complesso, dell’opera, si aggiunge la
domanda in merito alla scordatura: a quale scopo Biber usò tale
artificio? Abbiamo già fatto notare che l’espediente tecnico ideato da
Biber prevedeva per ogni Sonata una diversa accordatura, ma per
comprendere il fine dell’autore andrebbe anche ricordata la barocca
“teoria degli affetti” che si basava sull’uso di queste trovate tecnico-
musicali per esprimere situazioni e stati d’animo o inviare messaggi
più o meno espliciti.
La scelta di Biber fu senza dubbio anche espressiva, in quanto
obbligava l’esecutore a mettere a dura prova lo strumento nel
sostenere una tensione delle corde, tensione che diveniva sempre più
accentuata. Creava nei Misteri una sorta di parallelo con gli
avvenimenti sempre più dolenti della vita di Gesù, dal cammino verso
il Calvario fino alla trasfigurazione nei movimenti seguenti alla
Resurrezione, fino a toccare momenti di autentico tripudio dopo il
verificarsi di essa. Quel tripudio non era solo sonoro, ma anche
interiore, ed era conseguente a tutto il percorso delle 15 sonate.
E’ doveroso qui citare ciò che voleva ottenere Biber:
“Se si suonassero con un violino in normale accordatura, i suoni iscritti
in partitura non avrebbero alcun senso armonico e melodico, basta
invece accordarlo come richiesto ed il “mistero” si svela corretto alle
nostre orecchie”

In sostanza al violinista era richiesto un gesto, anzi un salto di


fede, confidando che ciò che leggeva come un non senso, in realtà
avrebbe suonato sensato, corretto. Alcune interpretazioni sostengono
la possibilità che dietro ogni scordatura sia celata la chiave per
decifrare anche un ulteriore testo nascosto, come prevede il metodo di
analisi linguistico-numerica utilizzato per la Cabala. C’è poi chi ha
inteso le scordature usate da Biber secondo una visione kepleriana,
attribuendo a ognuna di esse il significato simbolico di un’armonia dei
pianeti: “un’armonia celeste delle sfere”, che fosse espressione del
divino legato ad ogni Mistero collegata all’intero creato.
Dopo la riscoperta di quest’opera, in un primo momento si trascurò il
senso e il contenuto spirituale del lavoro nonché le sue finalità, tanto
che, fino a pochi decenni fa, le sonate erano invece considerate “una
bizzarria della musica a programma del periodo barocco”. Con
un’analisi attenta si sarebbe scoperto che le sonate, pur essendo
opera di fede, presentavano situazioni che dovevano indurre a
riflettere: in primis, in esse non venne mai usata la forma della
cosiddetta “sonata da chiesa”, fatta dal susseguirsi di quattro tempi:
lento-vivace-lento-vivace, che sarebbe stata la forma consona alle
sonate sacre.
Lo schema delle sonate era invece molto libero ed erano frequenti i
movimenti di danza con relative “doubles”, cioè varianti.
Erano presenti le ciaccone e molti movimenti in forma fugata: tutto si
poteva pensare tranne che qui non fossimo alla presenza di sonate
“profane”. Non a caso l’autore le eseguiva solo, e in privato, per il suo
datore di lavoro.
Lo studio per decifrare il contenuto di quest’opera richiederebbe
conoscenze in merito alla retorica, all’iconologia e alle concezioni
teleologiche del tempo di Biber. Occorrerebbe anche una
certa capacità di astrazione e conoscenza della simbologia numerica
della Cabala, proprio come è stato fatto con le contemporanee “Sonate
bibliche” del cembalista tedesco Johann Kuhnau.
L’altra stranezza, che colpisce ancora gli studiosi, è che mentre le
sonate di Kuhnau furono concepite in ambiente luterano, in cui il
fedele aveva libero accesso ai libri sacri, non così era per queste
sonate composte “a scopo devozionale”, composte in uno “staterello”
retto da un arcivescovo cattolico, cioè un principe della Chiesa.
Per il Cattolicesimo, infatti, era vietato ai laici l’accesso diretto ai testi
sacri. Per questo si usava sempre il latino e l’unica interpretazione
valida di essi era unicamente quella della Chiesa e dei suoi sacerdoti:
Non si voleva che l’esclusiva venisse tolta al clero come aveva fatto
Lutero con la sua traduzione della Bibbia in tedesco, e quel divieto
durò fino agli inizi del XX secolo.
Le quindici sonate facevano riferimento a fatti della Passione, cose
che solo il prete poteva interpretare correttamente secondo il canone
cattolico. I laici, tra cui il compositore stesso, potevano avvalersi solo
delle prediche, dei testi esegetici su scritti della Patristica, delle
apologie dei Santi, come quelle contenute nella ‘Leggenda aurea’ di
Jacopo da Varazze oppure di racconti edificanti provenienti dai
vangeli e da scritti apocrifi di varia provenienza.
Biber invece, prima di Bach, Haendel e Telemann, compose una vera e
propria ‘’Passione di Cristo’’ solo strumentale, in territorio cattolico e
usando forme musicali praticamente profane. La conseguenza però fu
che allora tali sonate non sarebbero potute mai essere eseguite in
pubblico in un ambito cattolico: sarebbero state incomprensibili ai
più e probabilmente non gradite da una certa parte del clero. Perciò
non fu un caso che Biber non le pubblicò mai e che sul manoscritto
fece incidere, per ogni sonata-mistero, una figura che aiutasse a
esemplificarne il contenuto al destinatario. Quel manoscritto venne
poi dato in dono all’arcivescovo Max Gangolph con una relativa dedica
in latino.
15 Sonatas and Passacaglia

 Sonata 1 in D minor, The Annunciation, senza


scordatura_Præludium. Aria allegro – Variation – Adagio. Finale

 Sonata 2 in A major, Mary's Visit to Elizabeth, scordatura a e' a'


e'' Sonata. Presto. Allemande. Presto

 Sonata 3 in B minor, The Nativity, scordatura b f ♯ ' b' d'' Sonata –


Presto. Courante – Double. Adagio

 Sonata 4 in D minor, The Presentation, scordatura a d' a' d''


Ciacona – Adagio – Presto – Adagio

 Sonata 5 in A major, Child Jesus in the Temple, scordatura a e'


a' c♯ '' Præludium – Presto. Allemande. Gigue. Sarabande – Double

 Sonata 6 in C minor, The Agony in the Garden, scordatura


a♭ e♭' g' d'' Lamento – Adagio – Presto. [Aria] – Adagio – Adagio

 Sonata 7 in F major, The Scourging of Jesus, scordatura c' f' a'


c''
Allemande – Variation. Sarabande – Variation.

 Sonata 8 in B♭ major, The Crown of Thorns, scordatura d' f' b♭'


d'' Sonata, Adagio – Presto – Adagio. Gigue – Double, Presto – Double
II

 Sonata 9 in A minor, Carrying the Cross, scordatura c' e' a' e''
Sonata. Courante – Double. Finale
 Sonata 10 in G minor, The Crucifixion, scordatura g d' a' d''
Præludium. Aria – Variatio – Adagio

 Sonata 11 in G major, The Resurrection, scordatura g d' × g'


d'' (g g' d' d'') Sonata – Surrexit Christus hodie. Adagio

 Sonata 12 in C major, The Ascension, scordatura c' e' g' c''


Intrada. Aria Tubicinum. Allemande. Courante – Double

 Sonata 13 in D minor, The Holy Ghost, scordatura a e' c♯ '' e''


Sonata. Gavotte. Gigue. Sarabande

 Sonata 14 in D major, The Assumption of Mary, scordatura a e'


a' d'' [Prelude] – Grave – Adagio. Aria – Aria – Gigue

 Sonata 15 in C major, Crowning of the Virgin Mary, scordatura


g c' g' d'' Sonata. Aria – Canzone. Sarabande

 Passacaglia in G minor for solo violin, senza scordatura


Passagalia – Adagio – Allegro – Adagio
Conclusioni
Un alone di mistero avvolge le Sonate del Rosario di Heinrich Ignaz
Franz von Biber (1644-1704): ben poco si è potuto infatti ricostruire
con certezza della loro origine e della loro reale destinazione. Giunte
fino a noi grazie a un unico, prezioso manoscritto, le quindici sonate
per violino e basso continuo che compongono la raccolta sono seguite
da una passacaglia finale per violino solo e sono accompagnate da
piccole stampe che raffigurano momenti della vita di Gesù e della
Madonna, secondo appunto l'ordine dei Misteri del Rosario. Si tratta
di un esemplare compendio di Preludi, Allemande, Correnti,
Sarabande, Arie, Ciaccone e Variazioni, che lo stesso Biber
(Kapellmeister presso il Duomo di Salisburgo dal 1684 fino al giorno
della sua morte) dichiarò di aver concepito «con grande cura et
artifizio». Un'imponente quanto insolita opera strumentale, che
manifesta inconfutabili legami con la sfera spirituale, come l'autore
sostiene nella dedica all'arcivescovo-principe Maximilian Gandolph von
Khuenburg: «Ho consacrato tutte queste cose in onore dei quindici
Misteri Sacri, i quali Voi promuovete con tanto ardore». Ma neppure
così si riesce a svelare l'intimo motivo che ha mosso il compositore, né
a rendere evidente la finalità ultima del ciclo; il compito resta dunque
affidato alla sola musica, che da oltre trecento anni racchiude
gelosamente i propri segreti e affascina i più esperti funamboli
dell'archetto. Una possibile chiave di lettura giunge dall'incisione
discografica realizzata dall'ensemble Les Veilleurs de Nuit e dalla
violinista Alice Piérot (2 cd pubblicati da Alpha e distribuiti da
Jupiter), attraverso un'interpretazione raffinata e curata nei minimi
particolari, profondamente radicata nel complesso universo di
riferimento barocco e nella cerebrale bizzarria compositiva che soleva
tradursi in passaggi di alta valenza virtuosistica. Ma che soprattutto
ne risveglia il profondo lato contemplativo, portando alla luce le
sfumate correlazioni che lasciano intuire una sorta di programma
celato tra le righe: un mistero che rende le Sonate del Rosario di Biber
uno dei capitoli più suggestivi della letteratura violinistica
seicentesca.
LINKS PER GLI ASCOLTI

Sonata del rosario n.1_BIBER

https://www.youtube.com/watch?v=jd2wYGeGsn4

https://www.youtube.com/watch?v=9bcI9ORYUwI

n. 2

https://www.youtube.com/watch?v=YqAyJ2rwlSg

n. 3

https://www.youtube.com/watch?v=lW0T0X_4QU0

n. 4

https://www.youtube.com/watch?v=sqVrXcPl3UA

n. 5

https://www.youtube.com/watch?v=kWf_M3jHH1o

n. 6

https://www.youtube.com/watch?v=gsKqp1ulUvw

n. 7

https://www.youtube.com/watch?v=oIcwbZA3cis

n. 8

https://www.youtube.com/watch?v=P7qh3NHEs60

n. 9

https://www.youtube.com/watch?v=TWGda6Z0sPs

n. 10

https://www.youtube.com/watch?v=TzJO4SkLVus

n.11

https://www.youtube.com/watch?v=iIavu3VjHg0

n. 12

https://www.youtube.com/watch?v=1-ajzUgoIsI
n.13

https://www.youtube.com/watch?v=nJICgEFS4X0

n.14

https://www.youtube.com/watch?v=KM8IwFJLf94

n. 15

https://www.youtube.com/watch?v=AWai56fZlIM

n. 16

https://www.youtube.com/watch?v=xtoh-i5yU64

Fidicinium sacroprofanium

https://www.youtube.com/watch?v=V2gUw3btRUo

Sonata No. 6 in Cm_Violino, Clavicembalo e Viola da gamba

https://www.youtube.com/watch?v=_pCQ_1mdqH4

Missa Saliburgensis

https://www.youtube.com/watch?v=1Jx27erPTiM
Bibliografia

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editore, Milano.

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Biografie, Vol. I, Franco Piperno, 1985, UTET, Torino.

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