Francesco del Cossa, Trionfo di Venere, 1476-1484, Ferrara, Palazzo Schifanoia, Sala dei Mesi.
Bottega del
Cossa, Trionfo
divenere ,
particolare, 1476-
1489, Ferrara,
Palazzo
Schifanoia,
Salone dei Mesi.
I tarocchi cosiddetti del Mantegna,
Maestro ferrarese (vicino a Francesco
del Cossa),
Ferrara 1460-1465, Apollo e le Muse,
Serie E, 50.
Nell'ambito della storia della musica, Musica reservata (anche musica secreta), uno stile e
una prassi esecutiva nella musica a cappella vocale della seconda met del XVI secolo,
principalmente in voga in Italia e nella Germania meridionale, contraddistinto da raffinatezza,
esclusivit e intensa espressione emotiva del testo cantato.
L'espressione apparsa per la prima volta nel Compendium musices (1552) di A.P. Coclico.
L'esatto significato ancora questione di dibattito tra i musicologi. Malgrado alcune delle
fonti siano tra loro contraddittorie, quattro aspetti sembrano chiari:
La musica reservata prevede uso di progressioni cromatiche e di una voce portante, un modo
di comporre che diventer di moda attorno al 1550 nelle forme del madrigale e del mottetto
si evolse in una prassi esecutiva, con ornamentazioni estemporanee o altri metodi che
influenzavano lo stato emotivo;
uso sistematico del madrigalismo ,vale a dire di figure musicali particolari e rionoscibili per
dare risalto alle parole specifiche nel testo.
La formula del madrigalismo era concepito per essere eseguito e apprezzato da piccoli gruppi
di intenditori
"consideri ben che cosa quella che egli fa o dice e 'l loco
dove la fa, in presenzia di cui, a che tempo, la causa perch la
fa, la et sua, la professione, il fine dove tende e i mezzi che a
quello condur lo possono; e cos con queste avvertenzie Santi di Tito,(1536-1603) Ritratto di Niccol
s'accommodi discretamente a tutto quello che fare o dir vole" Machiavelli,Firenze, Palazzo Vecchio
Per lo strumento a cinque o sei corde rivestite che si pu chiamare oggi viola da gamba
- un nome per la prima volta apparso nel 1511 in un elenco-inventario a Ferrara - Silvestro
Ganassi utilizza nel 1542-1543 nella sua "Regola Rubertina" di nomi viola d'arco
tastada, violone d'arco da tasti, viola e violone . Diego Ortiz, tuttavia, nel suo metodo
didattico "Tratado de glosas.." (Roma 1553) la chiama violone ed anche vihuela d'arco .
Il seguente (molto schematico) grafico mostra come in Italia dalla sintesi di due tipi di
strumenti, vale a dire la viola da gamba e la lira/Lyra 9, organologicamente derivata dalla
medievale viella, nasce un nuovo modo accordale di suonare la viola, simile a quello della
lira (chiamato nel XVII secolo in Inghilterra "Lyra Viol").
Castiglione, teorizza quale debba
esser l'arte di chi sta a corte,
descrivendola anzitutto come arte
della conversazione.
Tiziano Vecellio,
Ritratto di
Simile a lui la perfetta "dama di Isabella dEste,
palazzo". Entrambi liberi dalle (1534-1536)
Vienna,
passioni amorose e devoti di Kunsthistorisches
quell'amore, da Castiglione stesso
Museum
sperimentato per Isabella dEste
che trapassa dalla bellezza fisica
alla contemplazione della bellezza
morale, che trascende l'umano.
Studiolo Attribuito aGiuliano and Benedetto da
Maiano ,1476 c.
Urbino, Palazzo Ducale
Lo Studiolo fu un ambiente privato di Isabella
d'Este allestito nel Palazzo Ducale di Mantova.
Situato inizialmente al piano nobile del castello
di San Giorgio, venne trasferito nel 1523 negli
appartamenti di Corte Vecchia. Isabella fu
l'unica nobildonna italiana ad avere uno
studiolo, a riprova della sua fama di dama colta
del Rinascimento, che preferiva gli interessi
intellettuali e artistici a uno stile di vita
edonistico
Il primo studiolo[
Isabella, nata a Ferrara ed educata da alcuni
dei pi colti umanisti dell'epoca, and in sposa
a Francesco II Gonzaga nel 1490 a soli sedici
anni, arrivando a Mantova il 12 febbraio di
quell'anno. Si sistem negli appartamenti al
piano nobile del castello di San Giorgio, poco
distante dalla Camera degli Sposi. Poco dopo il
suo arrivo fece organizzare due piccoli
ambienti del suo appartamento, scarsamente
illuminati e senza camini, come stanze ad uso
personale: lo "studiolo", situato nella torretta di
San Niccol, e la "grotta", un ambiente con
volte a botte al di sotto dello studiolo, al quale
si accedeva tramite una scala e un portale
decorato in marmo.
Il dipinto si trovava a Venezia ai tempi di Ridolfi (1648), che lo vide nella collezione di Paolo del Sera. Nel 1654 fu acquistato dal cardinale
Leopoldo de' Medici e all'inizio del secolo successivo fu ampliato nella parte alta per essere adattato alla cornice scelta dal principe Ferdinando,
che lo volle nella propria collezione fiorentina di Palazzo Pitti, dove tuttora custodito. La tela, tradizionalmente attribuita a Giorgione, a partire
dalla fine dell'Ottocento stata assegnata dai critici a Tiziano. Tale paternit confermata da particolari emersi durante l'attento restauro cui il
dipinto fu sottoposto nel 1976, oltre che dal tema del concerto, affrontato dall'artista in molte opere, soprattutto giovanili.
Era questo un soggetto che permetteva ai pittori di giocare sulle suggestioni simboliche e di fare colti rimandi alla cultura e alle teorie musicali
degli umanisti veneziani, in un'epoca in cui l'educazione musical era parte integrante della formazione del gentiluomo. La cultura neoplatonica
degli anni di Tiziano esaltava per come musica colta solo quella eseguita con gli strumenti a corde e con la voce umana, che veniva contrapposta
alla musica incolta, campagnola e disordinata dagli strumenti a fiato e a percussione.
Il Concerto celebra l'armonia e l'ordine della musica cittadina, rappresentata dalla spinetta, suonata dal personaggio al centro della scena, e dalla
viola da gamba, retta nella mano sinistra dal religioso ritratto sulla destra. E' stato rilevato che il gesto con cui il chierico interrompe il concerto
ha un significato simbolico: nel tempo circolare, ideale e perfetto dell'armonia musicale interferisce il tempo reale, da dedicare alla devozione
istituzionalizzata. E' un topos, legato anch'esso alle riflessioni filosofiche contemporanee, gi trattato da Giorgione nelle Tre et di Palazzo Pitti, e
che Tiziano affront a pi riprese in opere quali le Tre et di Edimburgo, il Concerto campestre del Louvre e le favole mitologiche
Tiziano Vecellio, Le tre et, Edimburgo, 1512 c.a, National Gallery of Scotland.
Tiziano Vecellio, Concerto campestre, 1509-1510, Parigi, Muse du Louvre.
Nella mentalit dellepoca, la musica era considerata la pi trascendentale delle arti, per la sua capacit di suscitare
emozioni, anche molto intense, solo con dei suoni che non hanno n materia n consistenza. Ma non tutti hanno labilit di
cantare o di suonare: evidentemente la natura che decide chi pu fare o non fare musica.
Non era infrequente che, nella pittura del Cinquecento, fossero realizzate opere il cui significato metaforico. Ricordiamo
brevemente la differenza che c tra allegoria e metafora, due procedimenti retorici molto utilizzate nellarte figurativa.
Lallegoria, nelle arti figurative, dare immagine a cose che non ne hanno. Una metafora invece il significato nascosto in
unimmagine, diverso da quello apparente. Nel caso del Concerto Campestre, quello che vediamo sono due uomini e due
donne nude che stanno suonando. Ma il vero significato non quello che vediamo, ma quello che limmagine ci suggerisce
di capire: che per ricevere la musica in dono dalla natura bisogna avere un animo sensibile.
Parrasio Micheli, Suonatrice di
liuto, Schwerin, Staatliches
Museum.
Tiziano, Venere, Cupido e organista, 1548, Madrid, Museo del Prado.
Tiziano, Venere, Cupido e liutista (Venere Holkham), 1565-1570, New York, The Metropolitan Museum of Art.
Caravaggio, I Musici, New York, The Metropolitan Museum of Art.
Caravaggio, Suonatore di liuto Giustiniani, San Pietroburgo, Museo dellErmitage.
Caravaggio, Suonatore di liuto Del Monte, New York, The Metropolitan Museum of Art.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, 1599 c.a, Roma,
Galleria Doria Pamphilj.
AMORE VINCITORE
Omnia vincit amor et nos cedamus amori (lett.
"L'amore vince tutto, e noi cediamo all'amore")
una locuzione latina di Publio Virgilio
Marone (Bucoliche X, 69)
nella decima egloga, in seguito a una delusione
amorosa, Gaio Cornelio Gallo professa la sua decisione di
abbandonare la poesia elegiaca per quella pastorale ma
infine costretto a riconoscere la supremazia
dell'amore che non conosce ostacoli e al cui potere ci si
deve sottomettere.