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Lezione 5, Il Gregoriano

II parte
Riepilogo della lezione precedente
• Abbiamo ricostruito la storia del passaggio dal romano antico al gregoriano
• Tutto quanto abbiamo detto finora è derivato da studi e ipotesi, e non ha un corrispettivo
nella notazione, perché la musica ecclesiastica è tramandata a lungo come tradizione
orale
• La (nuova) notazione si moltiplica solo a partire dal IX sec. Perché così avanti? Perché
prima il repertorio doveva essere così ridotto, da potersi ricordare, e così importante, da
doversi ricordare
• Il principio è ben espresso nel De coelesti hierarchia di Dionigi Aeropagita: la musica degli
inni cantati in cielo è rivelata dai Serafini a coloro che possiedono l’ispirazione divina
(profeti, santi), e da questi trasmessa ai musici che compongono gli inni liturgici. Che
poteva fare dunque l’artista? Seguire il modello già esistente e giunto per rivelazione!
L’innografo come il pittore di icone
• Fino all’inizio del X sec. non esistono in Europa libri completamente notati
• I primi neumi – vedremo tra poco cosa sono – si diffondono poco dopo l’anno 800, e
sono eccezioni. Prima, il repertorio affidato alla memoria dei cantori
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"Puccini" di Gallarate
La memoria dei cantori era così importante
che si inventò un modo per favorirla
• L’invenzione della notazione neumatica servì inizialmente a una migliore,
ancora più certa trasmissione del repertorio
• C’è stato un processo di revisione delle nostre teorie al riguardo
dell’invenzione della notazione:
• 1. fino a metà del Novecento, si credeva che il notatore avesse cercato di
fissare su pergamena la «chironomia», cioè il gesto della mano che indica
nello spazio la melodia nelle sue linee di ascesa e discesa;
• 2. gli studi più recenti sul fenomeno dell’oralità e sul rapporto con la
tradizione scritta hanno sfumato questo quadro: probabilmente furono i
brani la cui esecuzione era piuttosto rara e che rischiavano di venire
scordati ad essere posti per iscritto, e il punto di partenza non è
primariamente il gesto
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Effetti della notazione
• I primi notatori si trovarono ben presto di fronte al dilemma:
bisognava essere più precisi nell’indicare l’altezza dei suoni, o quei
cambiamenti ritmici, quelle alternanze tra leggerezza e appoggio, che
danno vita musicale vera alla melodia?
• La risposta fu regionale: nella fascia meridionale franca si seguì la
diastemazia (indicare precisamente l’intervallo); altre aree, come i
monasteri prossimi ai laghi di Costanza e Zurigo mirarono a fissare le
sfumature di ritmo ed espressione (con vari escamotage grafici: la
lettera t. per «tenete», la lettera c. per «celeriter», il tratto orizzontale
o «episema», ecc.)

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"Puccini" di Gallarate
La notazione neumatica era imprecisa, donde
le chiavi
• Per stabilire con esattezza le altezze, v’erano varie possibilità. Si potevano
usare le lettere di notazione alfabetica che conoscevano gli studiosi dell’ars
musica, come fu proposto in congiunzione con i singoli neumi. La soluzione
adottata fu più economica: vennero introdotte delle linee tracciate a secco
sul foglio, e all’inizio del secolo XI vennero usate linee colorate
• Soprattutto, fu determinante l’introduzione delle lettere-chiave: C (do) e F
(fa)
• Per la seconda metà dell’XI secolo, in tutto l’Occidente v’era ormai un
tetragramma
• La rivoluzione è compiuta: il cantore può, per la prima volta, leggere la
musica e impararla, teoricamente sine magistro

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Effetti collaterali
• Il quarto di tono non ha più spazio, righi e spazi non li prevedono.
Quella modalità melismatica tipica del mondo orientale sparisce del
tutto, perché sulle linee che abbiamo illustrato v’era posto – quanto a
scrittura – per la scala diatonica: prevede soprattutto intervalli di un
tono, in realtà, tranne i due semitoni mi-fa (e si-do, come frequenze,
non nominalmente)

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Guido d’Arezzo (ca 992-1050)
• Nel suo Prologus in Antiphonarium, essenzialmente coordinò, sistematizzò
e divulgò i vari avanzamenti già compiuti nella notazione musicale
• Ma gli dobbiamo qualcosa di appena un po’ importante: i nomi delle note!
Si tratta dell’espediente mnemotecnico di cui parla nella Epistola ad
Michaelem de ignoto cantu. Come ricordare con una melodia l’intonazione
delle note dell’esacordo su cui egli basò il suo sistema, e soprattutto, come
riferirsi ad esse? Prese le prime sillabe della prima strofa d’un inno
liturgico. Attenzione però, la prima parola del testo era «Ut…», come si
chiamò a lungo la prima nota, quindi il passaggio al «do» ha ancora da
venire
• Quanto al SI, presente implicitamente nell’ultimo verso, fu introdotto
formalmente solo nel 1482 da Bartolomé Ramos de Pareja
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"Puccini" di Gallarate
https://www.youtube.com/watch?v=SugtS3tq
soo&t=6s
Ut quaeant laxis Perché possano a voci libere
Resonare fibris cantare
Mira gestorum le meraviglie delle tue azioni
Famuli tuorum, i tuoi servi,
Solve polluti cancella il peccato
Labii reatum, dal loro labbro impuro,
Sancte Iohannes o San Giovanni

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"Puccini" di Gallarate
Osserviamo attentamente

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"Puccini" di Gallarate
L’ «Ut quaeant laxis» ascoltato non cominciava dal
do, come non comincia dal do in notazione…
• Gli intervalli furono disposti da Guido nella seguente serie dell’esacordo naturale:
• ut re mi fa sol la
T T St T T
• L’esacordo era trasportabile, facendo coincidere come punto di partenza (frequenza) il do, il sol o il fa,
lasciando intatta la serie degli intervalli. Se la nota di partenza era il sol si aveva l’esacordo duro:
• sol la si ut re mi
T T St T T
• Se il fa, l’esacordo molle:
• fa sol la sib ut re, con adozione del si bemolle per rispettare i rapporti intervallari
T T St T T
• Tutti gli intervalli di semitono, in realtà, venivano a chiamarsi mi-fa (con partenza dunque sempre da ut, do
mobile), e questo sistema di mutazioni (passaggio da un esacordo all’altro) fu detto «solmisazione»: 1. sol è
l’estremo della falange del pollice sulla cosiddetta «mano guidoniana» (si veda l’immagine nella slide
seguente), mi la nota più acuta (due ottave e mezza, e si potevano percorrere tutte le mutazioni lungo le
falangi, da esacordo duro di partenza a esacordo duro di arrivo); 2. nella mutazione da naturale a molle, si
passa da sol a mi (sol-mi sazione)

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"Puccini" di Gallarate
L’esacordo e la mano guidoniana (in uso
dall’XI al XVII secolo)

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"Puccini" di Gallarate
Notazione
• Immaginiamo la complessità del procedimento, affascinante, per cui il
notatore «scriveva a orecchio», cioè immortalava sulla pergamena ciò
che sentiva, fissandone ogni sfumatura a seconda delle pratiche dei
vari scriptoria (tra cui Bobbio, fondato dal monaco Colombano nel
lontano 612, o San Gallo, fondato da un compagno di Colombano nel
614), ecc., con forti varianti regionali, e soprattutto due filoni che, per
gli studi di Staeblein, porteranno a partire dal 1200 da una parte alla
notazione quadrata (tradizioni francesi, insulari e italiane), dall’altra
alla goticizzazione (tradizione tedesca e boema, e di Metz, nord-est
della Francia – ma si noti che in Italia la notazione comasca è
proveniente da Metz)
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Classificazione dei neumi (pur nella presenza
della varietà regionale di cui sopra)
• Neuma: nota – o le note – cantata/e su una stessa sillaba
• In notazione quadrata, essa veniva scritta su un rigo musicale di quattro
linee (tetragramma), con chiavi di fa (linea rossa) o do (linea verde o gialla)
• Altri segni musicali (che, nonostante il nome, non hanno niente a che fare
con le nostre barre di misura) sono il «quarto di barra», un piccolo segno
posto sulla quarta linea del rigo e che indica un breve respiro; la
«semibarra» sulle due linee centrali, che segnala un respiro più lungo; la
«barra intera», che è una pausa di un tempo; e la «doppia barra», che
conclude il brano
• Unica alterazione è inizialmente il ♭ posto davanti al si (perché attenzione:
il si esiste come suono, non come nota nominalmente, in quanto nel
sistema guidoniano l’esacordo esaurisce tutto), con il bemolle che
rimaneva valido fino al successivo mutamento di parola

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I neumi derivano graficamente da segni di accentuazione e
interpunzione. Si vedano i nomi stessi della notazione
quadrata, e la loro rappresentazione grafica:
• Virga, solitamente si trova unita ad altro neuma

• Punctum. in alcune edizioni posto in forma di losanga

• Neumi di due o tre note unite: Clivis, che indica un intervallo


discendente («pendenza»), Torculus, che indica una nota legata a
una più acuta con ritorno
• E infine il Pes («piede»), gruppo di due note una sopra l’altra in cui
la inferiore precede
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Nota a latere: questi sono approfondimenti
(G. Cattin) rispetto al manuale
• Spero vi siano utili a capire e immaginare un po’ meglio il mondo del
gregoriano. Ma non entreremo ulteriormente nel dettaglio di una
notazione estremamente variegata e complessa – solo quella di San
Gallo (assai più esuberante rispetto alla ridottissima notazione
quadrata adottata modernamente dalla Editio Vaticana, quella su
tetragramma rosso) richiederebbe uno studio monografico; qui
preme solo rilevare che, oltre alle lettere menzionate (t.enete, ossia
rallentando, e c.eleriter, ossia accelerando), già questa notazione
conosceva l’f (per f.ragor o f.remitus) e sottili sfumature come il len,
per len.iter (dolcemente), con, per con.jugatur (legato), ecc.
• C’è musica, qui dentro! Ma musica di un certo tipo:

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• L’elemento cardine da non dimenticare – perché qui non stiamo
semplicemente parlando di musica, o meglio stiamo parlando di una certa
concezione di musica – è la sacralità
• È anche se non soprattutto per via di questa sacralità che il canto, parte
integrante della liturgia, non può essere tanto liberamente modificato, e
come detto la notazione fa il suo ingresso per favorire la memorizzazione;
se poi si considera che veniva creduto l’opera ispirata dalla colomba a
Gregorio Magno, si capisce la continuità di una tradizione che, con
tantissime modificazioni (sempre giustificate in forma di ipercorrettismo ad
esempio riguardo agli adeguamenti che ci saranno rispetto all’evoluzione
della teoria musicale, cioè la presunzione che Gregorio Magno «doveva
averla intesa così!») nel tempo, perdura fino ad oggi

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