Sei sulla pagina 1di 18

Canzone Napoletana

Scopo di questo studio tracciare le linee culturali essenziali che hanno portato alla
creazione della forma chiusa canzone napoletana classica, o pi precisamente
popolaresca.
Ci occuperemo perci di tutto ci che specificamente concerne il nostro traguardo
finale partendo dalle linee storiche, dagli avvenimenti economici e sociali che han via
via dettato trasformazioni, reinterpretazioni, innovazioni, accennando soltanto, qua e
l ai fatti salienti dellimmensa storia musicale della citt laddove non rientrino
specificamente nel proposito sopra citato.
Operazione dunque mastodontica, e quasi impossibile a percorrersi a 360 gradi visto
che Napoli per una miriade di ragioni citt di musica, di ogni espressione musicale
ed in questambito, luogo dove i generi nascono, prosperano e sintrecciano,
prendendo strade multiformi e persino confuse se non si mette un po di ordine, se
non ci si compromette con un po di sintesi.
Noi partiamo da alcuni assunti certi e provati.
1) Napoli , almeno dal 1500 in poi una polis, una nazione, unentit storica e
geografica compatta e autonoma.
2) In questa nazione i linguaggi artistici vivono perlopi in maniera autoctona. La
musica stessa svilupper schemi originali propri a tutti gli abitanti, e la forma
canzone partir dal basso, dal popolo per poi allargarsi ai ceti superiori. Ci
significa che tale forma sar (unica in Italia) NAZIONAL POPOLARE
3) Come un po ovunque, ma a Napoli in particolare, si svilupperanno

diacronicamente due espressioni musicali: la popolare e la colta, dove per


popolare, come vedremo, sintende esternazione ideata in vari modi dal popolo
(o popolino) dal mare o dal contado, in occasioni varie (feste, nozze, raccolti).
Genere questo che lontano, indiretto parente della MUSICA NATURALE. E
per colta, sintende la musica scritta, laffermazione del cantar cantando e
recitar cantando fiorentine di nascita, linvenzione dellopera buffa e
soprattutto la riproposta a livello borghese o aristocratico di arie popolari.
4) E qui sta lUNICUM (non il solo) della tradizione musicale partenopea.
Ovvero i due sviluppi diacronici (popolare e colto) presentano in alcuni
momenti storici fasi di unione, combinazione e scambio a dimostrazione che
nonostante i ceti e le diverse esigenze di fruizione il popolo napoletano
tuttuno e concentra in s mischiate le due anime plebea e nobile.

5) La linea popolare irromper nellopera buffa e altrove, ma soprattutto sar la


base, quasi unica, della costruzione popolaresca di fine 800, quando poeti e
musicisti proporranno canzoni per il popolo (popolaresche), partendo spesso
da quelle preesistenti del popolo (popolari).
6) Ma non bisogna dimenticare che Napoli per sua natura spettacolare. Gran
parte delle forme canzone (gi nel rinascimento e nel barocco) faranno parte
di contenitori rappresentativi scenici (teatri, piazze, saloni) in cui saranno
inserite: feste religiose, sagre del raccolto prima, e quindi Opera, intermezzi
buffi e ancora commedie musicali a tinte fosche e primordiali
(SCENEGGIATE), variet, macchiette, canzoni di giacca, ma soprattutto
levento degli eventi, la kermesse dellintera citt che sar la festa di
Piedigrotta.

La tradizione popolare antichissima e si perde nella notte dei tempi. Ne abbiamo


qualche raro sprazzo di sopravvivenza in alcune canzoni modificate e riadattate
dai poeti-compositori di fine ottocento come ad esempio, e si vedr, Fenesta ca
lucive e Spingole francesi.
C da supporre che le prime forme originali siano come detto autonome e villane
e incolte e piuttosto grossolane: il dileggio per lamante tradito, la lamentazione
funebre, il canto damore per la donna ritrosa, nonch un bel po di nenie rituali o
magiche dalle quali come sappiamo parte quasi tutta la melica mediterranea e
occidentale in genere. C anche da supporre che i canti del kmos greci siano
giunti qui attraverso la colonizzazione calcidica del V sec. a.c. Come sappiamo il
canto greco popolare ben altro da quello corale e ufficiale e colto delle grandi
polis e propaga lingenuit, il senso naif, la goffaggine ruspante propria degli
illetterati, dei contadini. Ma contiene in s due elementi importanti per il futuro
della canzone napoletana: innanzitutto MONODICO e sillabico, in secondo
luogo scenico e rappresentativo, embrionalmente teatrale.
Terza notazione non meno importante, questo canto parla di avvenimenti
quotidiani, usuali e non raramente stimola sentimenti ed emozioni.
Questa caratteristica dello stimolo emotivo (commozione, pianto, gioia) sar un
po di tutta larea del Sud dItalia e si rilever con maggior frequenza allapparire
in epoca medievale delle cosiddette STORIE (da cui i cantastorie).
Diverso stimolo emotivo provocheranno con landar del tempo le
TAMMURRIATE, ossessive cantilene in battere, dove morte, amore e destino,
saranno protagonisti eterni nel piccolo mondo rurale, magico, superstizioso
sacrale della Campania e di altre regioni.

Ma andiamo per ordine. Il primo a tentare una seria classificazione dei canti
popolari in Italia Costantino Nigra nel 1888.
Nigra piemontese e i suoi giudizi di valore sono un po di parte; comunque
teorizza una zona settentrionale (Liguria, Piemonte, Emilia, Lombardia, Veneto)
dove il genere pi diffuso quello di CANZONE, ovvero una composizione
strofica di impronta epico-civile perlopi a versi tronchi; e una zona meridionale
che si esprime nello STRAMBOTTO (VILLANELLA e Napoli), e cio una serie
di endecasillabi piani contenenti vicende damore pi o meno disinteressato.
E una divisione approssimativa che non tiene conto di tantissimi particolari, ma
gi si intravede la maggior disposizione del Nord al canto sociale (e poi civile,
politico, del lavoro) e del Sud al sentimento-passione.

Molto pi ordinatamente Roberto Leydi configura tre aree di canto popolare, una
mediterranea, una settentrionale ed una centrale, pi un certo numero di sub-aree
(provenzali, albanesi, sloveni di Sicilia) che non rientrano nelle prime. La
Sardegna, sta a parte.
Stacchiamoci qui dignitosamente dal resto dellItalia, perch il discorso si farebbe
infinito e concentriamoci sullunica area che ci interessa: quella mediterranea.
Dal punto di vista strettamente geografico per area mediterranea sintende Africa
settentrionale, Europa mediterranea, Calabria, Sicilia, Puglia e Napoli. Ma, come
vedremo Napoli, pur non avendo molti punti in comune con i melismi e gli
argomenti, le trame dei canti mediterranei, si distinguer e si evolver per conto
proprio.
Quali sono le caratteristiche di questi canti mediterranei?
Eccole:
1) Propensione alla melodia, piuttosto larga, con annessione di sillabe lunghe o
tenute lunghe
2) Prevalenza dei toni minori
3) Monodia di derivazione greca
4) Ritmi di vario tempo e liberi
5) Lirismi, ghirigori nel canto
6) Tendenza a narrare (tranne che nelle storie) poco, approssimativamente,
tendenza invece alla serenata, al canto di scherno o sdegno, alla malinconia.

Ora tutto questo sentire popolare viene naturalmente espresso in generi differenti a
secondo del tema, della circostanza o anche del luogo.
Narrative per eccellenza sono la BALLATA e la STORIA.
La BALLATA racconta avvenimenti impersonali, non persegue intenti moralistici,
manca di cura nel descrivere i personaggi e fa uso di ripetizioni (o ritornelli)
insomma una cantata (di cui parleremo) povera. Questo genere raro al Sud, dove
invece prolifera la STORIA, sorta di commedia o tragedia lunghissima, prolissa,
con tanto di buoni e cattivi. Nella esecuzione della STORIA, in cui raramente ci
sono ritornelli a volte ci si avvale di quadri dipinti o disegnati.
Popolari per eccellenza, a occasione o circostanza sono le SERENATE, gli
STORNELLI, STRAMBOTTI, i MUTU.
Genere principe lo STRAMBOTTO in endecasillabi a desinenza piana. Gli
strambotti esprimono in terza persona sentimenti e desideri che lautore non sa o
non riesce a dire in prima persona: spesso sono dichiarazioni damore o inviti
erotici o velati rimproveri.
Lo strambotto come la SERENATA, genere pi lirico e serioso di canto damore,
tipicamente meridionale, altri suoi nomi a seconda delle regioni sono anche
rispetto, dispetto, villotta, fronne e limone: particolari forme di strambotto che
andranno di moda dallarrivo di Garibaldi in poi saranno il CANTO A
FIGLIOLA e LA BARCAROLA, il primo agreste, il secondo marinaro.
Vari gli strumenti a corde con cui tutti questi generi sono eseguiti. Si va dal liuto
al colascione napoletano, al mandolino. Le percussioni (soprattutto a Napoli)
saranno effettuate col Triccabballacche, il putip, lo scetavaiasse e il tamburello.
Sulla TAMMURRIATA e sulla TARANTELLA torneremo in seguito. Qui
basti dire che la prima canto a forte ritmo che racconta storie damore e morte,
ma pure di rapporti quotidiani. La seconda canto-danza di corteggiamento e
nella sua accezione napoletana non ha niente a che vedere con Taranto e i
tarantolati.
Resta lultima e pi grande e pi fortunata forma di canzone popolare che
risponde al nome di VILLANELLA.
La Villanella la canzone popolare sovrana ed la canzone popolare napoletana
per antonomasia. Gi il nome ci indica lorigine: contado, villaggi, Campania felix
et ferax. La sua grandezza sta, come rivedremo, nella formula espressiva,
divertente, ironica o ammiccante e gioiosa, nella sua ripetitivit ossessiva, nel suo
tempo mai noioso o fastidioso, nella autenticit villana dei sentimenti che mette
in piazza. La sua fortuna sta nel fatto che divenne di moda nel 500 riprodurla,

riscriverla nelle corti (Napoli, per prima) in formula dotta, colta e codificata ad
uso e consumo dei nobili e dei regnanti che ne andavano pazzi.
Sottratta al popolo e riprodotta (nel modo pi fedele alloriginale) per i signori, la
villanella fungeva da puro divertimento, rappresentava un momento di respiro e
di distacco dalla pensosa seriet della politica e degli impegni mondani e di
potere. E cos da quel canto a tre voci (o una voce pi due strumenti) che era nella
sua origine agreste, questo componimento si arricch di strumenti (liuto e arpa e
poi cembalo e clavicembalo) fino a diventare perfino polifonica.
Si svilupper quindi a Napoli nel XVI secolo quella tendenza che aveva portato,
nella Firenze del 400, poeti come Pulci, Poliziano, Lorenzo De Medici a
riprodurre stornelli plebei in versi ricercati e preziosi.
La Villanella, di cui riparleremo, sar sempre napoletana, anche quando, come
avverr, la comporranno musici e poeti di altra estrazione o luoghi geografici (i
veneziani soprattutto) o anche stranieri. Ma soprattutto con la Villanella si attua
per la prima volta nella storia della canzone napoletana quel movimento dal
basso allalto che diventer un leit-motiv nei secoli a venire, quasi a suggellare
una identit culturale tra popolo, borghesia o nobilt nel nome di Napoli.

Accanto alle VILLANELLE come genere fondamentale, abbiamo dal 1206 in poi
nella storia di Napoli vaghe tracce di canto plebeo espresso in concomitanza o a
commento di fatti pubblici, di avvenimenti di palazzo.
Del tempo di Federico di Svevia ci resta la bellissima Iesce sole, canto dialettale
di bassa estrazione, proprio nel periodo in cui nasce luniversit degli studi a
Napoli, ennesimo esempio di contemporaneit tra popolare e colto.
Ma un po in tutte le corti medievali italiane si andava sviluppando il canto
monodico intessuto su andamenti strofici poetici. A parte i trovatori e i menestrelli
di cui si parla altrove, gli intellettuali del Trecento e del Quattrocento
privilegiarono questa forma (la monodica) rispetto alla polifonica (spesso sacra)
un po per garantire il proprio dilettantismo, ma soprattutto per dar nuovo lustro al
testo poetico.
Si configura in questepoca una sorta di MECENATISMO UMANISTICO che
porta in area musicale al canto umanistico a una voce sola, dove contro la
tecnica polifonica considerata troppo scolastica, la parola poetica poteva
finalmente uscire e farla da protagonista nel quadro di unesecuzione a volte
improvvisata con liuto e viola da gamba.

La pratica di cantare poesie, risale addirittura a Petrarca Cantava Lorenzo il


Magnifico e Marsilio Ficino e Baccio Ugolini e numerose altre corti al di fuori di
Firenze possedevano poeti-cantori, intellettuali-cantori.
Questa categoria va distinta per tematiche, generi e terminologia da quella dei
trovatori.
Altre corti interessate furono quelle di Mantova e Ferrara (Bembo). I tre generi
preferiti erano la FROTTOLA, lAERE e il MODO, il SONETTO e lo
STRAMBOTTO. Frottola e strambotto di popolare mantengono solo il nome,
perch sono in realt la prima una specie di ballata divisa in stanza con ripresa
(ritornello di quattro versi) di vano argomento poetico-colto. Il secondo una tipica
composizione cortigiana in ottave di endecasillabi in cui la melodia dei primi due
versi serve anche per gli altri.
Ma ci che hanno in comune tutti questi generi lassoluta priorit del testo
sullaccompagnamento che deve servire e seguire la narrazione.
Ovviamente anche a Napoli alle corti Angioine prima, ma soprattutto Aragonesi,
si verifica questa inversione di tendenza fra musica e testo e nel 1500, quando
indiscutibilmente il dialetto assurge a lingua, un congruo gruppo di professionisti
poeti, avvocati, architetti di corte si cimenta in strambotti, frottole e ballate colte.
Ma a Napoli pi che altrove come si detto, l intellighentia e la nobilt
avevano lorecchio pronto a carpire le arie popolari che ormai da tempo avevano
invaso la citt , perch in questepoca che comincia il grande inurbamento del
contado.
Il popolo prende in giro, ironizza sui vizi dei potenti oppure si ridescrive nei
nuovi inusitati panni cittadini, canta i nuovi mestieri, le relazioni, ma continua a
riproporre lamore, linganno, la ritrosia delle donne amate.
Col 1502 comincia la dominazione spagnola, Napoli diventa vicereame, la lingua
nazionale cambia, ma il dialetto paradossalmente si fortifica.
E irrompe la Villanella, di cui abbiamo gi parlato. Questa composizione a una o
pi voci soppiant tutte la preesistenti, perch ne era una summa pi aggraziata
e divertente. I signori fecero a gara per tenere a corte compositori di questo genere
musicale, presto mutato dal popolo e abbellito in vari modi. La Villanella divent
una malattia, una moda e prima di svilupparsi in altre forme (madrigale nel 1533)
usc dai confini del regno ed ebbe cultori, inventori ed esecutori i pi disparati in
ogni dove, ma sempre in napoletano. Orlando di Lasso, belga, venne alla corte dei
Gonzaga e fu poi a Napoli dal marchese Battista dArria che lo nomin musicista
domestico e scrisse 2000 villanelle, quasi tutte stampate a Venezia (!)
Del Tufo espresse una grande Napoli di 200000 abitanti in centinaia di villanelle.
Baldassarre Donato, veneziano dorigine pubblic nel 1550 un libro intero di

queste composizioni tra cui la famosissima No pulice. Villanelle venivano


composte ed eseguite a corte, ma non soltanto. Poeti di strada le portavano in giro
tra il popolo restituendo in altre forme quel che al popolo avevano sottratto e
preannunciando quel che accadr pi in grande dal 1837 in poi con lo scoppio
della Piedigrotta canora.
La citt madre per la stampa della villanelle Venezia. Nel 1541 fu pubblicato il
primo CORPUS antologico. E i veneziani stessi (Wigliaret ad esempio) diffusero
il maggior numero di villanelle.
Fu Emil Vogel nel 1892 a pubblicare lopera omnia. Ma dal seicento in poi questo
genere si appann, perse lo smalto sorgivo e istintivo, scomparve dai testi
stampati. Gli ultimi a comporne furono i maestri della reale cappella di Napoli.
La villanella per temi, melodie, ironia, amore la vera forma iniziale della
canzone napoletana.
Nel seicento dunque, quando altrove dominano piccole realt sociali dirette da
duchi e principi, Napoli regno. Ha 400000 abitanti contro i 110000 di Milano ed
egemone. Attraverso le varie dominazioni ha mutato identit politica, ma non
sociale, non linguistica. Con larrivo degli spagnoli, come abbiamo visto (ma
anche prima) si verifica lIMMIGRAZIONE del contado e due secoli di
immigrazione interna assicurano alla citt quella compattezza etnica che altrove
non esiste. Le feste sacre e rituali dal contado trasbordano nella cultura cittadina.
Napoli assorbe la NAPOLETANITA e si concentra in se stessa.
Il canto popolare tende ad essere corretto o modernizzato, comincia qua e l a farsi
popolaresco (per il popolo e non dal popolo) ed difficile reperire raccoglitori di
melodie originali, laddove in Piemonte, Toscana e altrove la cosa resa possibile
dalla disgiunzione fra colto e popolare. La villanella il primo patto fra popolo
basso e popolo alto, ma da qui in poi altri e pi salienti saranno i motivi di
incrocio e scambio tra lalto e il basso. Questo incrocio fra due ceti, due mondi
ben rappresentato storicamente dalla rivolta antispagnola del 1647 dove il
popolano Masaniello agisce per conto della borghesia illuminata di Gino Genoino.
Dunque un salto: non pi (o non soltanto) i nobili come interlocutori del popolo.
Si affaccia il ceto medio, la borghesia, che prender il testimone del popolo per i
secoli a venire.

Epoca straordinaria di incontri, scontri e ribaltamenti, di artisti di strada e non


sempre di professione che inventano arie e le cantano in giro, di studiosi che
ricuciono vecchie, antiche cantilene, di cantanti occasionali ai servizi di posta che
allietano i viaggiatori e fan da progenitori a quelli che saranno il trait dunion tra
antico e nuovo e dei quali parleremo in seguito cio i posteggiatori.

Posteggiatore a suo modo gi Salvator Rosa, pittore di professione, ma che nei


carnevali si mascherava e girava sui carri cantando contro i potenti e la
corruzione. Autore forse del capolavoro storico Michelemm primo movimento
in 6/8, antenato della tarantella, brano inserito di forza poi nellopera buffa e
racconto prototipo dellantico narrare da cantautore tra amore favola e morte.
Genere questo cui appartengono anche altre canzoni come Fenesta ca lucive e
E Spingole frangesi, trasmesse oralmente e profondamente cambiate poi
nellottocento rispetto alloriginale. Come pi specificamente detto altrove
[dispensa sulla romanza e il canto allitaliana], la prima unantichissima
STORIA siciliana confusa e corale, misto di amore morte e vita, rielaborata da un
anonimo nel 600 e riscritta nel 1842 da Cottran e Genoino. La seconda una
TAMMURRIATA eseguita in occasione di festivit sacre a Pimonte, riscritta da
Salvatore di Giacomo. In Fenesta ca lucive le ottave originali si trasformano in
sestine, la musica diventa lirica e intensa (somiglia ad unaria del Mos di Rossini
ma anche al Bellini de La sonnambula). Entrambe come forse Michelemm (e
altre) riproducono un originario mondo patriarcale di valori certi, di grande
influenza clericale, di peccato e pena, ma anche e soprattutto di passione
ancestrale.

La reciprocit fra colto e popolare urbano risulta evidentissima al sorgere


dellopera buffa napoletana. Lopera buffa figlia degli intermezzi comici che gi
riempivano lopera seria, nata in varie fasi a Firenze grazie alla camerata de Bardi
e de Corsi e alla rappresentazione nel 1600 di Euridice di Peri. Chiaro che
nellopera del seicento tutte le trame vagassero tra il mitico e il favolesco, a
vertiginosi livelli intellettuali. Gli scrittori, i compositori tendevano a portare il
pubblico in un mondo astratto etereo in cui passioni e sentimenti veri poco
centravano. Per ridimensionare, alleggerire queste atmosfere, ogni tanto, nel
corpo principale dellopera venivano appunto inseriti degli intermezzi,lontani
parenti della commedia greca nuova, della favola milesia ma anche dellatellana e
lanx satura romane. Tema preferito era quello di una vecchia che tentava di irretire
in ogni modo un bel giovane, suscitando lilarit generale.
Napoli attua due rivoluzioni (ma lopera buffa esiste in altre forme anche a
Venezia). Primo: amplia gli intermezzi fino a farli diventare opere intere e
compiute. Secondo mette in scena non pi mitologie o favole ma vita vissuta, fatti
reali della gente di Napoli, avviando sia pur nel comico quel processo di
rappresentativit emozionale, di sentimenti, di passioni che faranno la fortuna
popolare dellopera seria.
E nellopera buffa, come si detto, che avvengono i maggiori scambi tra popolare
e colto. Pergolesi, Paisiello ed altri celebri compositori inseriscono nelle loro
opere canzoni di tipo popolare, e soprattutto rivestono di musiche pi nobili e
dotte versi antichi. Nellopera buffa appaiono cio gi delle specie di arie chiuse

a punteggiare la continuit scenica compatta del melodramma dialettale. Nelle


prime opere addirittura le villanelle e gli altri canti restano inalterati, solo in
seguito sono elaborati e abbelliti.
Ma avviene anche il contrario: avviene cio che compositori di canzoni tra il
popolo e la borghesia estrapolino parti dellopera buffa e ne facciano motivi a s
da cantare per le strade. E cos LO ZOCCOLARO tratto da Paisiello, SANTA
LUCIA da Donizetti, MARIA MARI addirittura da Verdi. Anche la famosa
PALUMMELLA di Domenico Bolognese discende dallaria di Brunetta della
MOLINARELLA di Nicola Piccinini.
Siamo di fronte alla prima sintesi napoletana
1) Sintesi urbana tra canzone popolare e colta
2) Sintesi teatrale tra villanelle, strambotti etc. e musica operistica.
Gran parte del merito di questi interscambi va alle varie scuole (corporazioni) di
musicisti e cantori che nel XVIII secolo imperversano a Napoli. Esistevano infatti
quattro conservatori di giovani educati al bel canto (cantanti castrati). Furono
questi quattro conservatori a mantenere il filo diretto fra canzone popolare e opera,
aprendo ad un nuovo consenso allargato e popolare.
Perch dunque lopera buffa? Per dimenticare i dolori quotidiani? Per stornare
lattenzione dalla fame e dalla miseria? S, anche questo era fondamentale per un
popolo come quello napoletano: cantare per distrarsi dai suoi mali.

Si sviluppa nel Settecento il canto-danza forse pi famoso del mondo partenopeo:


la tarantella. Anche qui come altrove siamo in una rappresentazione scenica
dellamore. La tarantella una pantomima del corteggiamento o della scelta del
partner e a seconda dei due casi pu essere eseguita a due o a tre in piccole fasi
teatrali (corteggiamento e risposte, duplice corteggiamento e scelta).
Nella tarantella risalta la predisposizione napoletana alla spettacolarizzazione che
in vari e diversi modi percorre lopera buffa, la sceneggiata, la macchietta (come
vedremo). A tempo di 6/8 tamburello, triccaballacche e putip seguono le
schermaglie amorose dei protagonisti popolani.
La sua origine probabilmente spagnola e infatti ne abbiamo alcuni esempi gi
alla corte di Alfonso dAragona. A quei tempi erano in voga il ballo MORESCO
(arabo) e il FANDANGO (spagnolo) che si fusero nella SFESSANIA. Ma
lorigine pi recente per tematica e impronta napoletana va cercata nella villanella
cinquecentesca Lucia. La tarantella non ha niente a che vedere col ballo dei

tarantolati, n con la citt di Taranto. Il suo nome deriva probabilmente dal verso
onomatopeico NTANTERANTERA.
In Lucia oltre alla percussione e il calascione (progenitore della chitarra),
entravano in scena parecchi personaggi (coralit).

Napoli dunque a fine settecento forte dei suoi conservatori, della sua opera
buffa, ma forte altres dei cantanti di strada, di cerimonia, dosteria che
chiameremo posteggiatori e, segno suo caratteristico, sviluppa sempre pi la sua
tendenza al canto, alla bella voce, al virtuosismo fonico, alla costruzione di
emozioni, privilegia cio la MELODIA nei confronti della SINFONIA.
E forse il canto napoletano si sarebbe disperso se per tutto il secolo e per il secolo
successivo non fosse stato in gran parte tenuto vivo dai posteggiatori e ordinato e
conservato da appassionati editori borghesi. Sono le due vie attraverso le quali ci
giunto quasi tutto. Massiccia fu lopera di ricerca e raccolta nei vicoli, in
campagna, presso i vecchi, etc. E questa raccolta rese possibili i successivi
rifacimenti popolareschi. Le canzoni venivano distribuite e vendute in copielle
(fogli con testo) da venditori ambulanti, e nacquero editori come Guglielmo
Cottrau, il cui figlio Teodoro continu lopera paterna fondando giornali di
canzoni e scrivendo la famosa S. Lucia (1850) in italiano.
Diverso il compito dei posteggiatori. Sono costoro dei veri trasmettitori orali di un
immenso patrimonio, che cambiano a volte a testa loro alcuni versi e melodie ma
contribuiscono fortemente a salvare il salvabile. Molti di loro erano ciechi, come
Don Antonio, ricordato da Di Giacomo. Attingevano al popolare e al colto, ma alla
fine ottocento in poi si rifanno solo al popolaresco. Suonavano in gruppi di due o
tre con chitarra, violino e strumento a fiato oppure chitarra e mandolino e avevano
un gergo proprio (la parlasia) Anarcoidi, arruffoni, bohemiens di strada,
conducevano tempi e ritmi di vita casuali e disordinati, il che non li metteva in
buona luce con la polizia.

E giunto il momento di porci alcune domande. Perch le canzoni napoletane sono


assenti nelle antologie di canto etnico-popolare?
Perch, e a buon diritto Di Massa dice la canzone napoletana che conosciamo
non pu essere considerata popolare ma popolaresca? Che significa?
Quanta influenza avr questa canzone nella nascente canzone italiana?
Rispondiamo.

1) Le antologie di canto etnico-popolare riportano composizioni locali, dialettali e


chiuse geograficamente (socialmente?) in se stesse. La canzone popolare
napoletana invece una realt nazionale (Napoli era una nazione) diramatasi
ovunque nella sua successiva forma popolaresca tanto da incidere fortemente
sulla musicalit italiana. E insomma una forma di scambio a differenza delle
altre realt dialettali che restano forme duso, circoscritte al luogo dorigine
2) La canzone che noi conosciamo effettivamente quella popolaresca, nata come
vedremo grazie allintervento di musicisti e poeti di ceto medio e ripetizione
della canzone antica. Popolaresco sta quindi per canzoni scritte per il
popolo, a differenza di popolare che indica canzoni del popolo
3) La canzone napoletana contribuir al pari delle arie operistiche alla
strutturazione della canzone allitaliana. A questultima passer lo schema
compositivo (strofe-ritornello), il sentimentalismo, la passionalit e le modalit
interpretative. Ma la canzone allitaliana non risulter mai cos vera, cos
credibile come quella napoletana.
Torniamo al popolaresco. In un certo momento storico quindi si operer una
seconda sintesi, o meglio una riproduzione colta del naturale, con un duplice
movimento dal basso verso lalto e dallalto di nuovo verso il basso.
Precursori ce ne sono tanti, ma saranno i poeti dell800 (Di Giacomo, Costa, De
Leva, Valente, etc.) ad attuarlo in pieno. Essi congiungeranno la loro perfetta
conoscenza del canto popolare con lindubbio plus-valore della loro cultura. Ma
attenzione. Lo scambio tra alto e basso e basso e alto nella canzone napoletana,
come abbiamo gi visto, continuo. In alcuni momenti (come dopo la rivoluzione
del 1799) evidentissimo, ma altrove il gioco tra popolare e colto fa parte di una
DIALETTICA PERMANENTE CICLICA che ha caratterizzato ogni tempo del
cantar di Napoli. La Napoli che si modernizza deve continuamente rituffarsi nelle
sue origini per sopravvivere.
E un ciclo che va dallo studio ed elaborazione del canto popolare, alla stesura
ufficiale per il popolo e persino al momento morto, allepigono quando cio il
popolaresco riproduce se stesso senza attingere alle radici e provoca una
degenerazione perch il popolo, solo il popolo che detta i temi e i sentimenti in
tutte le epoche.

CANZONE
POPOLARE

POPOLARESCA
(DAUTORE)

DECADENZA
(IMITAZIONE DELLA
POPOLARESCA)

Questo va-e-vieni tra originale e abbellimento , tra naturale e colto fa della


canzone napoletana lunica forma di NAZIONAL-POPOLARE. Non c insomma
e non c mai stata una frattura tra i due campi. I napoletani non devono (come gli
italiani) riappropriarsi di un patrimonio, perch non lhanno mai dimenticato, non
lhanno mai abbandonato.

La data, il termine post-quem dellevento, la pietra miliare della canzone


popolaresca segnata dalla rivoluzione del 1799. La plebe napoletana sta coi
Borboni, appoggia i sanfedisti. La borghesia invece giacobina, illuminista. La
frattura totale: il popolo, i sanfedisti bruciano e distruggono i beni dei
rivoluzionari. Il tentativo di riforma sociale abortisce, Napoli si divide, per la
prima volta, drammaticamente in due.
Lo strappo ricucito lentamente, attraverso un movimento verso il basso della
borghesia, che ripercorre tutti i modelli popolari e soprattutto canto e canzone. Per
riappacificarsi col popolo la borghesia gli rid musica, quella amata, quella di
sempre e di tutti, risistemando tutte le tematiche popolari, ingenue, sorgive in
canzoni nuove, a volte riprodotte dallantico, pi spesso riscritte a imitazione del
vero e usando una lingua di facile assimilazione, ma alta negli intendimenti e
poetica.
E la lingua della NAPOLANITA, lofferta di pace. La classe media da met
ottocento in poi produce in stretto napoletano motivi le cui tematiche si adattano a
chiunque povero o signore, colto o illetterato. Denominatore comune il
sentimento damore per la citt e lorgoglio di essere tutti uguali, di sentire la vita
tutti allo stesso modo. E la napoletanit. Il popolo ha bisogno della sua
contemporaneit e accoglie di buon grado questo dono.

Questo spirito nuovo, questa voglia di ripetersi e di riconoscersi ha un suo preciso


momento di partenza, un suo riconoscimento ufficiale nella festa di Piedigrotta del
1839.
Bisogna intanto intenderci su cosa sia per i napoletani Piedigrotta.
Lorigine di Piedigrotta antichissima, se gi nel Satyricon Petronio fa passare i
suoi protagonisti dalle parti di Pozzuoli, presso una grotta dove si festeggiano
baccanali fra canti, scenette, prese in giro e girotondi.
Dal 1200 in poi vicino alla grotta viene dedicata una chiesa (Madonna di
Piedigrotta). Da allora per secoli i napoletani ogni sette settembre si son sempre
avviati in corteo al ritmo di tarantella per recare omaggio al luogo cos consacrato.

Ma dal 1839 che Piedigrotta, da festa popolare e istintiva, assume laspetto


istituzionale e ufficiale che avr nei decenni successivi. Ci significa che diventa
un vero e proprio festival di musica popolaresca, con tanto di produzione
editoriale, carri che girano con cantanti che si esibiscono e gareggiano tra loro per
far vincere questa o quella canzone. Una gara dunque.
La rivoluzione del 99 ha questi effetti: borghesi o non, colti o meno colti i
napoletani scrivono versi e li fanno musicare, stipulando una sorta di patto, un
ricongiungimento col popolo cui profondono in abbondanza note e sentimenti che
il popolo non pu che gradire.
Il fenomeno, ancora incerto nella prima met del secolo si far dilagante dopo
lunit dItalia, per vari motivi, ma soprattutto per rinsaldare ancora di pi una
cultura autonoma e antica e differenziarla dallavvento degli Italiani.
Il primo grande successo popolaresco di queste kermesse sintitola Te vojo bene
assaje . Ne autore un ottico di nome Sacco, figlio di un rivoluzionario. Una
leggenda attribuisce la melodia a Gaetano Donizetti, ma in realt ne autore
Filippo Campanella. S, Donizetti fu spesso a Napoli in quel periodo come titolare
del conservatorio e spesso come altri grandi autori componeva pezzi chiusi ma
in realt lautore della melodia un altro.
Te vojo bene assaje ebbe un successo straordinario, divent un inno nazionale,
fu lodato a destra e a manca a prepar la strada ad una serie infinita di successive
canzoni popolaresche che fecero la storia. Il suo tema, quello dellindifferenza
amorosa antico (finestre chiuse) e moderno assieme e sar un topos, tipico di
tutta la canzone dautore napoletana, novecento compreso.
Parallelamente al fenomeno della nascente canzone dautore popolaresca si
verificano alcuni ritorni o innovazioni dovuti a fatti storici salienti. Nel 1860 con
la caduta di Francesco II a Gaeta, Napoli cessa di essere una capitale. Garibaldi, i
piemontesi, gli italiani minacciano seriamente ununicit etnico-culturale di cui i
napoletani vanno orgogliosi.
La reazione in campo musicale molto varia.
1) Si ritorna alla serenata popolare distinta in Canto a figliola (campestri) e
Barcarole (marinare).
2) Si ricorre alla lirica e allopera buffa il cui sacrario il teatro S.Carlo, gran
punto dincontro della Napoli colta.
3) Si riaffaccia il gusto teatrale, comico, ironico con lapertura di teatri del
dissenso satirico, o della canzone-sberleffo, spesso inserita in contenitori
dialogati (teatro S.Ferdinando). E questo un regno pi propriamente del
popolo.

4) Nel 1975 nasce una nuova forma di divertimento musicale (lo strep-tease da

music hall) o italianamente da rivista (A commesella). Linea questa che di l a


pochi anni porter alla nascita di Saloni per spettacoli leggeri di genere vario,
in cui oltre alle canzoni diverranno di moda la famose macchiette, e influir
non poco sulla nascita della sceneggiata alla napoletana e sulle canzoni di
giacca.
5) La canzone popolaresca continua ad essere diffusa attraverso le coppelle, i
posteggiatori e le cosiddette PERIODICHE, sorta di feste da ballo per
giovani e ragazze da maritare.

Ma dal 1880 in poi la grande canzone dautore irrompe in maniera massiccia,


rinnovando il passato e cantando il presente, la contemporaneit, le mutazioni
culturali e sociali della citt.
I due grandi poli di questa canzone sono rappresentati da Salvatore Di Giacomo e
Ferdinando Russo. Il distacco, la distanza tra i due sono dati dalla diversa
concezione della lingua napoletana e della sua applicabilit alle melodie. Ma
lantagonismo non solo formale, bens e ancorpi tematico, nonch politico.
Daltronde i versi dei due sono lo specchio della loro personalit, della loro
concezione poetica. Di Giacomo lintellettuale, il colto, limperturbabile. E
poeta, scrittore, giornalista e sa cimentarsi in tutti i generi passando con gran
facilit dal realismo al romanticismo. E schivo, riservato, serioso. Di Giacomo
studioso attento e puntiglioso del passato, ma tutto rinnova e filtra in nome della
Napoli contemporanea. Si vedano alcune canzoni (E spingole francese) del tutto
riadattate dalla tradizione. E innovatore, acculturatore, borghese insomma e ci
gli provoca contro gli strali dei FILOPATRIDI, i passatisti. Incontra i migliori
musicisti dellepoca (Costa, De Leva, Valente, Tosti) e d alle stampe decine di
opere miliari movendosi e svariando tra temi pi languidi, o passionali come
Marechiaro con De Leva, Catar, Serenata napulitana Era de maggio con
Costa e spensierate cavate dal popolare come Mena m sempre con Costa, E
cerase con Valente, Carcioffol con Di Capua, fino alle ristrutturazioni storiche
come E spingole francese con De Leva, e a irruzioni nel patrimonio barcarolo
Luna nova ancora con Costa. Autore poliedrico, duttile, fine, attento ricercatore.
Le tematiche di Di Giacomo, su cui ritorneremo sono tante. Su tutte prevalgono
lamore deluso, lapproccio scherzoso e la malinconia del tempo e dello spazio.
Diametralmente opposto Ferdinando Russo. Russo un luciano, un abitante del
quartiere di Santa Lucia fedelissimo ai Borboni, lontano mille miglia dalla
mentalit del poeta tutto labor limae propria di Di Giacomo e lontanissimo dalla
di lui concezione colta, attenta, vigile sul napoletano letterario. Poeta della gente
quindi, zingaro e scugnizzo, ruspante, istintivo. Quanto Di Giacomo attento
alleleganza, al ritocco, al ricamo, alla solidit estetica dei versi, tanto Russo

appare naif, insubordinato, chiassoso, primitivo. I suoi luoghi preferiti sono quelli
della malavita, dei guappi, della gente comune laddove lo sfondo della poetica di
Di Giacomo borghese, tutta persuasa da sogno, da buoni semplici sentimenti.
Russo bizzarro ed estroverso, vernacolare e immediato: il popolo lo ama. Le sue
canzoni popolareggianti sono le pi vicine alla mentalit della gente mano
abbiente per l'appunto. Cos Scetate (con Costa) che ripropone il topos della
finestra chiusa, la cui dedica alla moglie di Carducci fece incazzare non poco il
poeta. Oppure O marenariello che Russo stesso port in bottega a S.
Gambadella perch lo musicasse. O ancora Serenatella nera (con Bideri) o
QUANNO TRAMONTA O SOLE ancora con Gambadella.
Ma Russo soprattutto famoso per i testi delle macchiette che sono poi la
riproduzione tipologica della vera Napoli del tempo. La macchietta era una recita
per musica i difetti, le tare, i vizi, le manie dei personaggi in voga al tempo.
Lattore preferito da Russo fa Maldacea.

Se Di Giacomo e Russo, comunque uomini di lettere, rappresentano due maniere


difformi e squisite di interpretare e riadattare Napoli, altri poeti o scrittori o
giornalisti seguono la loro strada.
Primi fra tutti Rocco Galdieri, malinconico testimone di una Napoli fra due spazi e
due tempi ed Ernesto Murolo, autore di Piscatore e Pusilleco e di Napule ca se
ne va. Irrompe la nostalgia, il tempo che non c pi, lItalia che soffoca la
napoletanit.
Questo porta il primo novecento: contarsi e ritrovarsi in pochi, computare come
struggenti gli oggetti e i panorami che sfaldano e si dileguano, nonch come
vedremo rimpiangere la citt da lontano. Nei termini accennati di Nostalgia opera
Libero Bovio e gi dai titoli si desumono i temi: Lacreme napuletane O paese
do sole Chiove. Ma soprattutto Passione dove donne e citt sono
limmagine di uno stesso impossibile ritorno.
Grande serenata damore (Voce e notte) scrive Edoardo Nicolardi. La storia tutta
vera ed forse la prima canzone autobiografica dilaniante, disperata della storia
italiana. Racconta Nicolardi non il suo addio alla donna amata, andata in sposa ad
un altro per motivi di convenienza, ma la sua testarda, ossessiva abitudine di
passare sotto la casa di lei per anni e anni a piangere e cantare. Ma la storia avr
un lieto fine. Morto il marito di convenienza i due, da vecchi, torneranno
insieme.
Ma il pi strano, il pi inusitato di tutti i verseggiatori certo Vincenzo Russo,
ciabattino di professione e autore di quel capolavoro che I te vurria vas.

Russo fa da esempio vivente alla definizione che E.A. Meno d dellautore di


canzoni napoletane:

A CANZONE SI E RICCA O PUVERELLA


E SEMPRE FIGLIA O POPOLO, E PPERCIO,
TRASE O NUN TRASE A SAN PIETRO E MAIELLA
VO FA O COMMODO SUO QUANNESSA VO.
E VIERZE? E PPO FFA NU PROFESSORE
O NOMMO CA PO APPENA COMPUTA.
A MUSICA? CE A FA CHI TENE CORE
O MEGLIO PIANEFFORTE CA CE STA.
Esistono poi autori doccasione, diventati famosi per una o pi canzoni che
celebrano sotto lapparenza dellamore avvenimenti sociali e politici di una certa
importanza. Turco ad esempio, che con Denza canta linaugurazione della
funicolare per il Vesuvio, e che anche lantesignano dellet doro. Aniello
Califano, che sempre sotto le spoglie dellamore parla di guerra in quel
capolavoro che O surdato innamurato e infine G.B. De Curtis, che per
accattivarsi i favori del ministro Zanardelli scrive un Torna a Surriento a met
tra sviolinata politica e canzone damore. Ma c comunque fra tutti questi autori,
o poeti o dilettanti un tratto comune che li contraddistingue: LA CERTEZZA CHE
LA PAROLA POETICA IN MUSICA SEGUE ALTRE STRADE DA QUELLA
DELLA PAROLA POETICA IN POESIA. E QUI, NELLA CANZONE
POPOLARESCA NAPOLETANA avviene la pi grande rivoluzione, la pi alta
ricerca didentit propria dalla poesia che abbia mai fatto la canzone. Questo
messaggio sar passato alla canzone dautore italiana. La poetica in canzone
differisce da quella in poesia per immediatezza, semplicit, senso della vita reale e
attuale, letterariet che si adatta al parlato, al vivere di tutti i giorni.

Al nostro lavoro non interessa molto sapere quali fossero i musicisti e come
operassero. Li catalogheremo in breve, secondo il loro grado di professionismo
pi o meno alto.
Costa, Tosti, De Leva, Denza, Valente, Ernesto De Curtis furono i pi grandi, i
professionisti. E pi di tutti forse Gambardella, autore poliedrico straordinario

(Comme facette mammata, insieme a Giuseppe Capaldo, cameriere di caff; Nin


Tirabusci)
Di Capua, Di Chiara, Capolongo i dilettanti. E superfluo dire che un dilettante
come Di Capua pu scrivere O sole mio. Inventar melodie non viene affatto dal
sapere cos la musica. Anzi, molti compositori di melodie, manco sapevano
cosera una nota e fischiavano (da cui il termine fischiatori) le melodie ai
maestri perch le trascrivessero.
E cos come E.A. Mario, grande autodidatta ci d melodie eterne come Santa
Lucia lontana E duie paravise, Di Capua appunto scrive O sole mio.

Bene. Cosa racconta la canzone popolaresca napoletana? Quali sono i suoi temi
preferiti?
Possiamo tentare una sintesi, partendo per dal principio che la storia narrata
generalmente una derivazione della passionalit antica con tutte le varianti di
altezzosit, circospezione, gelosia, commiato, tradimento, tu-non-mi-vuoi-pi,
attesa e speranza delusione.
1) il tema dellamore che fa soffrire prioritario e tra mille esempi lo si ritrova in
O cardillo, Te vojo bene assaje e Core ingrato. Storicamente questa
una derivazione delle canzoni dellamore non corrisposto come lanonimo del
600 e Fenesta vascia.
2) Il tema della finestra chiusa, canzone dellincertezza, del non so se so
antica e affonda le sue radici nella poesia ellenistica della porta chiusa (vedi
Teocrito). Feneste ca lucive ne un classico esempio, Feneste vascia pure
e a seguire A Marechiaro Voce e notte, Maria, Mar.
3) Il tema di amore e morte fortemente mutuato dalla drammatizzazione
popolare. E presente in Fenesta ca lucive Michelemm, E spingole
frangese.
4) Il tema dei volatili ambasciatori molto antico. Risale a Catullo (passer
deliciae meae puellae) e anche prima. Lo ritroviamo in La palumella
Reginella e Lo Cardillo. Ma anche altrove.
5) Il tema dellamore che dorme il pi dolce, il pi ambiguo. C in Scetate,
Voce e notte e soprattutto in quellimmenso capolavoro che I te vurria
vas.
6) Mondo reale, guappi, vicoli. Esempi tra gli altri Cannetella, O cardillo e
anche E spingole frangese.

7) Tema della lontananza. Sentimento tipico del nstos (voglia del ritorno)
napoletano. Lo ritroviamo fortissimo in Core ingrato, O surdato
innamurato, O paese d sole e in tutte le canzoni dopo la prima guerra
mondiale (emigrazione). Cenni si intravedono anche nella metafora di O sole
mio e nel gioco politico di Torna a Surriento.
8) Tema dellencomio. O sole mio per tutte, ma gli esempi, soprattutto nelle
canzoni allegre sono tanti.
9) Tema della sessualit popolare. Visibile in canzoni che determineranno il caf
chantant napoletano e i saloni popolari. Comme facette mammeta, A
cammesella, Nin tirabusci etc. Maestro in questo genere Salvatore
Gambardella.
10)Tema di Napoli come citt eterna, simbolo di un mondo, dentro e oltre la
storia. Molte canzoni a proposito.
La napoletanit si riassume quindi in questi storici 40 anni attraverso autori e
musicisti che vanno dallalto professionismo al dilettantismo inventivo. Dopo il
primo decennio del secolo la gente rientra nella realt cittadina da cui era stata
emarginata. Il tema del contado che ritorna si ritrova in molte canzoni
(COMPAGNO) e si affaccia la tematica dellemigrazione, con tutte le
implicazioni supponibili.
Ma la canzone napoletana ha gi dato tanto a se stessa, e comincia a dare a quella
italiana. La canzone italiana esangue e senza precise radici. I suoi riferimenti
fondamentali sono nellaria operistica e nella melodia minore-maggiore del bel
canto napoletano. Di pi. La canzone italiana allorigine per sar viziata
dallesagerazione, dallipertrofismo melodico derivato da Napoli. Ma altre vie non
aveva e come vedremo, si corregger, tardi, in itinere, perdendo tempi e colpi e
occasioni per essere un genere consono ai tempi e alla loro letterariet.

Manca Antologia dal '500 al '700

Potrebbero piacerti anche