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Scopo di questo studio tracciare le linee culturali essenziali che hanno portato alla
creazione della forma chiusa canzone napoletana classica, o pi precisamente
popolaresca.
Ci occuperemo perci di tutto ci che specificamente concerne il nostro traguardo
finale partendo dalle linee storiche, dagli avvenimenti economici e sociali che han via
via dettato trasformazioni, reinterpretazioni, innovazioni, accennando soltanto, qua e
l ai fatti salienti dellimmensa storia musicale della citt laddove non rientrino
specificamente nel proposito sopra citato.
Operazione dunque mastodontica, e quasi impossibile a percorrersi a 360 gradi visto
che Napoli per una miriade di ragioni citt di musica, di ogni espressione musicale
ed in questambito, luogo dove i generi nascono, prosperano e sintrecciano,
prendendo strade multiformi e persino confuse se non si mette un po di ordine, se
non ci si compromette con un po di sintesi.
Noi partiamo da alcuni assunti certi e provati.
1) Napoli , almeno dal 1500 in poi una polis, una nazione, unentit storica e
geografica compatta e autonoma.
2) In questa nazione i linguaggi artistici vivono perlopi in maniera autoctona. La
musica stessa svilupper schemi originali propri a tutti gli abitanti, e la forma
canzone partir dal basso, dal popolo per poi allargarsi ai ceti superiori. Ci
significa che tale forma sar (unica in Italia) NAZIONAL POPOLARE
3) Come un po ovunque, ma a Napoli in particolare, si svilupperanno
Ma andiamo per ordine. Il primo a tentare una seria classificazione dei canti
popolari in Italia Costantino Nigra nel 1888.
Nigra piemontese e i suoi giudizi di valore sono un po di parte; comunque
teorizza una zona settentrionale (Liguria, Piemonte, Emilia, Lombardia, Veneto)
dove il genere pi diffuso quello di CANZONE, ovvero una composizione
strofica di impronta epico-civile perlopi a versi tronchi; e una zona meridionale
che si esprime nello STRAMBOTTO (VILLANELLA e Napoli), e cio una serie
di endecasillabi piani contenenti vicende damore pi o meno disinteressato.
E una divisione approssimativa che non tiene conto di tantissimi particolari, ma
gi si intravede la maggior disposizione del Nord al canto sociale (e poi civile,
politico, del lavoro) e del Sud al sentimento-passione.
Molto pi ordinatamente Roberto Leydi configura tre aree di canto popolare, una
mediterranea, una settentrionale ed una centrale, pi un certo numero di sub-aree
(provenzali, albanesi, sloveni di Sicilia) che non rientrano nelle prime. La
Sardegna, sta a parte.
Stacchiamoci qui dignitosamente dal resto dellItalia, perch il discorso si farebbe
infinito e concentriamoci sullunica area che ci interessa: quella mediterranea.
Dal punto di vista strettamente geografico per area mediterranea sintende Africa
settentrionale, Europa mediterranea, Calabria, Sicilia, Puglia e Napoli. Ma, come
vedremo Napoli, pur non avendo molti punti in comune con i melismi e gli
argomenti, le trame dei canti mediterranei, si distinguer e si evolver per conto
proprio.
Quali sono le caratteristiche di questi canti mediterranei?
Eccole:
1) Propensione alla melodia, piuttosto larga, con annessione di sillabe lunghe o
tenute lunghe
2) Prevalenza dei toni minori
3) Monodia di derivazione greca
4) Ritmi di vario tempo e liberi
5) Lirismi, ghirigori nel canto
6) Tendenza a narrare (tranne che nelle storie) poco, approssimativamente,
tendenza invece alla serenata, al canto di scherno o sdegno, alla malinconia.
Ora tutto questo sentire popolare viene naturalmente espresso in generi differenti a
secondo del tema, della circostanza o anche del luogo.
Narrative per eccellenza sono la BALLATA e la STORIA.
La BALLATA racconta avvenimenti impersonali, non persegue intenti moralistici,
manca di cura nel descrivere i personaggi e fa uso di ripetizioni (o ritornelli)
insomma una cantata (di cui parleremo) povera. Questo genere raro al Sud, dove
invece prolifera la STORIA, sorta di commedia o tragedia lunghissima, prolissa,
con tanto di buoni e cattivi. Nella esecuzione della STORIA, in cui raramente ci
sono ritornelli a volte ci si avvale di quadri dipinti o disegnati.
Popolari per eccellenza, a occasione o circostanza sono le SERENATE, gli
STORNELLI, STRAMBOTTI, i MUTU.
Genere principe lo STRAMBOTTO in endecasillabi a desinenza piana. Gli
strambotti esprimono in terza persona sentimenti e desideri che lautore non sa o
non riesce a dire in prima persona: spesso sono dichiarazioni damore o inviti
erotici o velati rimproveri.
Lo strambotto come la SERENATA, genere pi lirico e serioso di canto damore,
tipicamente meridionale, altri suoi nomi a seconda delle regioni sono anche
rispetto, dispetto, villotta, fronne e limone: particolari forme di strambotto che
andranno di moda dallarrivo di Garibaldi in poi saranno il CANTO A
FIGLIOLA e LA BARCAROLA, il primo agreste, il secondo marinaro.
Vari gli strumenti a corde con cui tutti questi generi sono eseguiti. Si va dal liuto
al colascione napoletano, al mandolino. Le percussioni (soprattutto a Napoli)
saranno effettuate col Triccabballacche, il putip, lo scetavaiasse e il tamburello.
Sulla TAMMURRIATA e sulla TARANTELLA torneremo in seguito. Qui
basti dire che la prima canto a forte ritmo che racconta storie damore e morte,
ma pure di rapporti quotidiani. La seconda canto-danza di corteggiamento e
nella sua accezione napoletana non ha niente a che vedere con Taranto e i
tarantolati.
Resta lultima e pi grande e pi fortunata forma di canzone popolare che
risponde al nome di VILLANELLA.
La Villanella la canzone popolare sovrana ed la canzone popolare napoletana
per antonomasia. Gi il nome ci indica lorigine: contado, villaggi, Campania felix
et ferax. La sua grandezza sta, come rivedremo, nella formula espressiva,
divertente, ironica o ammiccante e gioiosa, nella sua ripetitivit ossessiva, nel suo
tempo mai noioso o fastidioso, nella autenticit villana dei sentimenti che mette
in piazza. La sua fortuna sta nel fatto che divenne di moda nel 500 riprodurla,
riscriverla nelle corti (Napoli, per prima) in formula dotta, colta e codificata ad
uso e consumo dei nobili e dei regnanti che ne andavano pazzi.
Sottratta al popolo e riprodotta (nel modo pi fedele alloriginale) per i signori, la
villanella fungeva da puro divertimento, rappresentava un momento di respiro e
di distacco dalla pensosa seriet della politica e degli impegni mondani e di
potere. E cos da quel canto a tre voci (o una voce pi due strumenti) che era nella
sua origine agreste, questo componimento si arricch di strumenti (liuto e arpa e
poi cembalo e clavicembalo) fino a diventare perfino polifonica.
Si svilupper quindi a Napoli nel XVI secolo quella tendenza che aveva portato,
nella Firenze del 400, poeti come Pulci, Poliziano, Lorenzo De Medici a
riprodurre stornelli plebei in versi ricercati e preziosi.
La Villanella, di cui riparleremo, sar sempre napoletana, anche quando, come
avverr, la comporranno musici e poeti di altra estrazione o luoghi geografici (i
veneziani soprattutto) o anche stranieri. Ma soprattutto con la Villanella si attua
per la prima volta nella storia della canzone napoletana quel movimento dal
basso allalto che diventer un leit-motiv nei secoli a venire, quasi a suggellare
una identit culturale tra popolo, borghesia o nobilt nel nome di Napoli.
Accanto alle VILLANELLE come genere fondamentale, abbiamo dal 1206 in poi
nella storia di Napoli vaghe tracce di canto plebeo espresso in concomitanza o a
commento di fatti pubblici, di avvenimenti di palazzo.
Del tempo di Federico di Svevia ci resta la bellissima Iesce sole, canto dialettale
di bassa estrazione, proprio nel periodo in cui nasce luniversit degli studi a
Napoli, ennesimo esempio di contemporaneit tra popolare e colto.
Ma un po in tutte le corti medievali italiane si andava sviluppando il canto
monodico intessuto su andamenti strofici poetici. A parte i trovatori e i menestrelli
di cui si parla altrove, gli intellettuali del Trecento e del Quattrocento
privilegiarono questa forma (la monodica) rispetto alla polifonica (spesso sacra)
un po per garantire il proprio dilettantismo, ma soprattutto per dar nuovo lustro al
testo poetico.
Si configura in questepoca una sorta di MECENATISMO UMANISTICO che
porta in area musicale al canto umanistico a una voce sola, dove contro la
tecnica polifonica considerata troppo scolastica, la parola poetica poteva
finalmente uscire e farla da protagonista nel quadro di unesecuzione a volte
improvvisata con liuto e viola da gamba.
tarantolati, n con la citt di Taranto. Il suo nome deriva probabilmente dal verso
onomatopeico NTANTERANTERA.
In Lucia oltre alla percussione e il calascione (progenitore della chitarra),
entravano in scena parecchi personaggi (coralit).
Napoli dunque a fine settecento forte dei suoi conservatori, della sua opera
buffa, ma forte altres dei cantanti di strada, di cerimonia, dosteria che
chiameremo posteggiatori e, segno suo caratteristico, sviluppa sempre pi la sua
tendenza al canto, alla bella voce, al virtuosismo fonico, alla costruzione di
emozioni, privilegia cio la MELODIA nei confronti della SINFONIA.
E forse il canto napoletano si sarebbe disperso se per tutto il secolo e per il secolo
successivo non fosse stato in gran parte tenuto vivo dai posteggiatori e ordinato e
conservato da appassionati editori borghesi. Sono le due vie attraverso le quali ci
giunto quasi tutto. Massiccia fu lopera di ricerca e raccolta nei vicoli, in
campagna, presso i vecchi, etc. E questa raccolta rese possibili i successivi
rifacimenti popolareschi. Le canzoni venivano distribuite e vendute in copielle
(fogli con testo) da venditori ambulanti, e nacquero editori come Guglielmo
Cottrau, il cui figlio Teodoro continu lopera paterna fondando giornali di
canzoni e scrivendo la famosa S. Lucia (1850) in italiano.
Diverso il compito dei posteggiatori. Sono costoro dei veri trasmettitori orali di un
immenso patrimonio, che cambiano a volte a testa loro alcuni versi e melodie ma
contribuiscono fortemente a salvare il salvabile. Molti di loro erano ciechi, come
Don Antonio, ricordato da Di Giacomo. Attingevano al popolare e al colto, ma alla
fine ottocento in poi si rifanno solo al popolaresco. Suonavano in gruppi di due o
tre con chitarra, violino e strumento a fiato oppure chitarra e mandolino e avevano
un gergo proprio (la parlasia) Anarcoidi, arruffoni, bohemiens di strada,
conducevano tempi e ritmi di vita casuali e disordinati, il che non li metteva in
buona luce con la polizia.
CANZONE
POPOLARE
POPOLARESCA
(DAUTORE)
DECADENZA
(IMITAZIONE DELLA
POPOLARESCA)
4) Nel 1975 nasce una nuova forma di divertimento musicale (lo strep-tease da
appare naif, insubordinato, chiassoso, primitivo. I suoi luoghi preferiti sono quelli
della malavita, dei guappi, della gente comune laddove lo sfondo della poetica di
Di Giacomo borghese, tutta persuasa da sogno, da buoni semplici sentimenti.
Russo bizzarro ed estroverso, vernacolare e immediato: il popolo lo ama. Le sue
canzoni popolareggianti sono le pi vicine alla mentalit della gente mano
abbiente per l'appunto. Cos Scetate (con Costa) che ripropone il topos della
finestra chiusa, la cui dedica alla moglie di Carducci fece incazzare non poco il
poeta. Oppure O marenariello che Russo stesso port in bottega a S.
Gambadella perch lo musicasse. O ancora Serenatella nera (con Bideri) o
QUANNO TRAMONTA O SOLE ancora con Gambadella.
Ma Russo soprattutto famoso per i testi delle macchiette che sono poi la
riproduzione tipologica della vera Napoli del tempo. La macchietta era una recita
per musica i difetti, le tare, i vizi, le manie dei personaggi in voga al tempo.
Lattore preferito da Russo fa Maldacea.
Al nostro lavoro non interessa molto sapere quali fossero i musicisti e come
operassero. Li catalogheremo in breve, secondo il loro grado di professionismo
pi o meno alto.
Costa, Tosti, De Leva, Denza, Valente, Ernesto De Curtis furono i pi grandi, i
professionisti. E pi di tutti forse Gambardella, autore poliedrico straordinario
Bene. Cosa racconta la canzone popolaresca napoletana? Quali sono i suoi temi
preferiti?
Possiamo tentare una sintesi, partendo per dal principio che la storia narrata
generalmente una derivazione della passionalit antica con tutte le varianti di
altezzosit, circospezione, gelosia, commiato, tradimento, tu-non-mi-vuoi-pi,
attesa e speranza delusione.
1) il tema dellamore che fa soffrire prioritario e tra mille esempi lo si ritrova in
O cardillo, Te vojo bene assaje e Core ingrato. Storicamente questa
una derivazione delle canzoni dellamore non corrisposto come lanonimo del
600 e Fenesta vascia.
2) Il tema della finestra chiusa, canzone dellincertezza, del non so se so
antica e affonda le sue radici nella poesia ellenistica della porta chiusa (vedi
Teocrito). Feneste ca lucive ne un classico esempio, Feneste vascia pure
e a seguire A Marechiaro Voce e notte, Maria, Mar.
3) Il tema di amore e morte fortemente mutuato dalla drammatizzazione
popolare. E presente in Fenesta ca lucive Michelemm, E spingole
frangese.
4) Il tema dei volatili ambasciatori molto antico. Risale a Catullo (passer
deliciae meae puellae) e anche prima. Lo ritroviamo in La palumella
Reginella e Lo Cardillo. Ma anche altrove.
5) Il tema dellamore che dorme il pi dolce, il pi ambiguo. C in Scetate,
Voce e notte e soprattutto in quellimmenso capolavoro che I te vurria
vas.
6) Mondo reale, guappi, vicoli. Esempi tra gli altri Cannetella, O cardillo e
anche E spingole frangese.
7) Tema della lontananza. Sentimento tipico del nstos (voglia del ritorno)
napoletano. Lo ritroviamo fortissimo in Core ingrato, O surdato
innamurato, O paese d sole e in tutte le canzoni dopo la prima guerra
mondiale (emigrazione). Cenni si intravedono anche nella metafora di O sole
mio e nel gioco politico di Torna a Surriento.
8) Tema dellencomio. O sole mio per tutte, ma gli esempi, soprattutto nelle
canzoni allegre sono tanti.
9) Tema della sessualit popolare. Visibile in canzoni che determineranno il caf
chantant napoletano e i saloni popolari. Comme facette mammeta, A
cammesella, Nin tirabusci etc. Maestro in questo genere Salvatore
Gambardella.
10)Tema di Napoli come citt eterna, simbolo di un mondo, dentro e oltre la
storia. Molte canzoni a proposito.
La napoletanit si riassume quindi in questi storici 40 anni attraverso autori e
musicisti che vanno dallalto professionismo al dilettantismo inventivo. Dopo il
primo decennio del secolo la gente rientra nella realt cittadina da cui era stata
emarginata. Il tema del contado che ritorna si ritrova in molte canzoni
(COMPAGNO) e si affaccia la tematica dellemigrazione, con tutte le
implicazioni supponibili.
Ma la canzone napoletana ha gi dato tanto a se stessa, e comincia a dare a quella
italiana. La canzone italiana esangue e senza precise radici. I suoi riferimenti
fondamentali sono nellaria operistica e nella melodia minore-maggiore del bel
canto napoletano. Di pi. La canzone italiana allorigine per sar viziata
dallesagerazione, dallipertrofismo melodico derivato da Napoli. Ma altre vie non
aveva e come vedremo, si corregger, tardi, in itinere, perdendo tempi e colpi e
occasioni per essere un genere consono ai tempi e alla loro letterariet.