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FIGURE
DELL’ETNOGRAFIA
MUSICALE EUROPEA
Materiali Persistenze Trasformazioni
edizioni
Museo
Pasqualino
edizioni
Museo
Pasqualino
direttore Rosario Perricone
edizioni
Museo
Pasqualino
Suoni&Culture
n. 1
Comitato scientifico
Giorgio Adamo
Università di Roma - Tor Vergata
Enrique Cámara de Landa
Università di Valladolid
Luc Charles-Dominique
Università di Nizza
Girolamo Garofalo
Università di Palermo
Giovanni Giuriati
Università di Roma - La Sapienza
Nico Staiti
Università di Bologna
Razia Sultanova
Università di Cambridge
FIGURE
DELL’ETNOGRAFIA
MUSICALE EUROPEA
Materiali Persistenze Trasformazioni
edizioni
Museo
Pasqualino
© 2016 Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari
Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino
Piazza Antonio Pasqualino, 5 – 90133 Palermo PA
www.museodellemarionette.it – mimap@museodellemarionette.it
Regione siciliana
Assessorato dei beni culturali
e dell’identità siciliana
Redazione
Giuseppe Giordano (coordinatore), Francesca Emanuela Chimento
Maria Giuliana Rizzuto, Rosario Perricone
Progetto grafico e impaginazione
Francesco Mangiapane
Stampa
Fotograph S.r.l., Palermo
ISBN 978-88-97035-18-3
In copertina
L’entrata di tonni in Palermo (incisione, prima metà del secolo XIX, part.),
Museo Regionale di Palazzo Mirto (Palermo)
L’editore è a disposizione per eventuali aventi diritto che non è stato possibile contattare.
Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta
o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza
l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.
Introduzione��������������������������������������������������������������������������������������������������13
Giovanni Giuriati
Sezione I – Sicilia.........................................................19
Alberto Favara e l’indagine etnomusicologica moderna��������������������������� 21
Sergio Bonanzinga
Una lunga e tenace pista siciliana nella musica di Luciano Berio���������� 139
Maurizio Agamennone
I rom e la Gora.
Contributo a una interpretazione delle ricerche di Yuri Arbatsky��������� 459
Nico Staiti
9
Figure dell’etnografia musicale europea
1923), un musicista-didatta-compositore che giustamente annoveriamo fra i
più brillanti precursori dell’etnomusicologia moderna. Per questo abbiamo
ritenuto doveroso collocarne l’attività nel più ampio quadro dell’etnografia
musicale europea, con attenzione non soltanto verso l’esperienza storica delle
“figure” considerate, ma anche per il valore che i loro contributi rivestono in
relazione agli svariati itinerari di ricerca e di analisi che caratterizzano l’inda-
gine etnomusicologica contemporanea.
I curatori desiderano anzitutto ringraziare gli autori dei testi qui raccolti
e l’Editore che ci ospita, nelle persone di Rosario Perricone (direttore del Mu-
seo Pasqualino) e di Janne Vibaek (fondatrice del Museo insieme al marito
Antonio Pasqualino). Siamo inoltre grati a persone e istituzioni che hanno
concesso l’uso di immagini e altri materiali qui riprodotti: il signor Pietro
Rizzo (fotografie in G. Giordano); le cugine Delia e Lidia Tusa (fotografie in V.
Ciminello); la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna (fotografie
e documenti in P. Staro); l’Associazione Musicale “Sergio Gaggia” di Cividale
del Friuli e le edizioni Libreria Musicale Italiana (LIM) di Lucca per avere
reso disponibili i materiali utilizzati da Cristina Ghirardini nella “composi-
zione” del testo di Febo Guizzi, che il destino ci ha sottratto prima che potes-
se – come era suo espresso desiderio – offrire il proprio contributo a questa
pubblicazione. Al caro amico e collega prematuramente scomparso tutti noi
dedichiamo questo volume, ché la memoria è unica certezza nell’ineluttabile
incedere del tempo.
N
1. Premessa
on ci prenderà, dunque, un soprassalto pensando a Colacicchi,
insegnante pignolo di storia della musica, cultore severo di poli-
fonia cinque-seicentesca, capace di estreme impuntature filolo-
giche su una battuta, e coglierlo nello stesso tempo mentre at-
tende, come Nataletti, a brillanti studi di folklore o alla collazione
di tragiche ballate contadinesche (La veste rossa, Rosa di maggio,
Le coltellate), o di inni (come lo splendido Stava in pianto) cantati selvaggiamente, a
squarciagola, durante le processioni religiose ciociare; e sorprenderlo perfino al pia-
noforte, scherzoso esecutore di canzonette da caserma. [Belli 1976, ried. 2003: 129]
2. La Ciociaria
È anzitutto opportuno precisare in che senso Colacicchi si riferisse alla
“Ciociaria” per definire l’orizzonte geografico, linguistico e culturale dei canti
che cominciò a raccogliere a partire da Anagni, la sua città natale. Il termine,
probabilmente in uso anche precedentemente, ha acquistato una sua consi-
stenza di toponimo nel XIX secolo per definire un’area del basso Lazio a ca-
vallo tra le attuali province di Frosinone, Latina e Roma. Quando nel 1830
Pietro Ercole Visconti scrisse il suo Saggio de’ canti popolari della Provincia di
Marittima e di Campagna, non utilizzò mai il termine Ciociaria, bensì parlò di
«antico paese de’ Volsci» (Visconti 1830: 8), facendo riferimento alla popola-
zione italica, così come avviene ancora oggi per altri toponimi, come Sabina,
Tuscia, Sannio ecc., tutti legati alla storia antica o medievale2.
2 Marittima e Campagna era la denominazione amministrativa per una delle dodici Pro-
vincie dello Stato Pontificio nel XVIII secolo, situata nei territori a sud di Roma. Non ne
faceva parte, peraltro, il Territorio indipendente di Pontecorvo. A partire dal 1816, dopo il
Congresso di Vienna, lo Stato Pontificio fu organizzato secondo una nuova suddivisione
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Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
Quando questa calzatura è bene aggiustata e quando le striscie di tela sono ancora
nuove, è bella a vedersi; ma, quando le ciocie e le striscie sono logore e vecchie,
prende un aspetto povero e cencioso. E siccome in tale stato sono generalmente le
che vedeva a Sud di Roma due delegazioni apostoliche: Velletri, che arrivava fino al mare, e
Frosinone, che si estendeva all’interno.
3 Il soggetto della “ciociara”, si spinge nel primo Novecento con i ritratti di Scipione (Gino
Bonichi) e Fortunato Depero, e dopo la seconda guerra mondiale ebbe un’importante cele-
brazione dalla letteratura e dal cinema neorealista in particolare grazie all’opera di Alberto
Moravia.
391
II – Europa
ciocie di questa gente, così il popolo che le porta, appare molto miserabile ed il suo
nome vien disprezzato e talvolta usato come una vera ingiuria. Un abitante di S.
Vito4, che mi faceva un giorno ammirare lo splendido panorama che si gode da quel
paese, sorridendo con un certa aria di sprezzante superiorità mi diceva: «Guardate,
signore, laggiù è la Ciociaria!» [Gregorovius, 1856-58, ed. it. 1968: 274-275]
4 Intende San Vito Romano, paese sui Monti Prenestini in provincia di Roma.
5 Indicato nel catalogo online come Danse de Ciociari (cfr. sit. n. 1), il filmato è visibile su
Youtube (cfr. sit. n. 2).
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Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
3. Colacicchi ricercatore
La raccolta dei canti ciociari ebbe inizio nel 1931. Lo studioso interrogò i
domestici di casa, i braccianti giornalieri che lavoravano le sue terre e gli ar-
tigiani di Anagni (cfr. Colacicchi 1936a), avendo cura di segnare il loro nome
e la loro attività lavorativa e indicando anche per ogni brano, seppur breve-
mente e magari solo nel titolo, la funzione o l’occasione per la quale erano
prevalentemente utilizzati, in quanto: «I canti popolari ciociari, come in ge-
nere tutti i canti popolari, hanno in gran parte una loro destinazione precisa»
(Colacicchi 1936a: 292).
393
II – Europa
lui particolarmente cari che armonizzò per coro. E ancora Filomena Dandini,
«detta l’Arpinese, giornataia», e Annuccia Violandi, «detta Mullicona, contadi-
na e cicoriaria», che gli cantarono Accordo canto di vendemmia a due voci, così
denominato perché «i contadini dicono “alzare” l’accordo» (ibidem: 332), che
Colacicchi fissò su nastro solo nel 1971 per la Discoteca di Stato, nella raccolta
111, cantando lui stesso una delle due parti. Vincenzo Olevano, «detto Pacchia-
rotto, cantiniere» gli darà testimonianza di Me pizzica me mozzica, un pezzo
giocoso e leggermente erotico, la cui armonizzazione frizzante e spumeggian-
te era particolarmente amata dal maestro. La canzone fu anche interpretata da
Nino Manfredi nella colonna sonora del suo film Per grazia ricevuta del 1971.
Colacicchi raccolse inoltre canti religiosi nelle occasioni che gli stavano a
cuore: Stava in Pianto per il Venerdì Santo di Fiuggi, cittadina nella diocesi di
Anagni; il canto processionale Padre Celeste Iddio e la Canzonetta in lode della
Santissima Trinità eseguiti durante il pellegrinaggio al santuario omonimo sul
Monte Autore (cfr. Colacicchi 1936a: 303-304); e infine Il Pianto delle Zitelle
(cfr. Colacicchi 1936b) eseguito al Santuario in occasione dello stesso pellegri-
naggio, e alcuni canti mariani e di questua.
Fig. 2. Luigi Colacicchi, nella prima fila un piedi con abito bianco, insieme ai compo-
neneti di vari gruppi folkloristici ciociari (Fiuggi 1934 ca., ISALM-Anagni, Fondo
Colacicchi)
Nel settembre del 1934 partecipò al III Congresso per le Arti e Tradizioni
Popolari, che si tenne presso il Castello del Buonconsiglio di Trento (fig. 3).
Sicuramente per questa occasione ampliò la sua ricerca nei paesi dell’“alta”
394
Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
Morpurgo fotografò i luoghi del pellegrinaggio al Santuario per oltre venti anni, dal
1917 al 1937, e a Trento, nel corso del III Convegno di Arti e tradizioni popolari svol-
tosi nel 1934, presentò una relazione molto significativa sul piano metodologico,
dal titolo Proposta per una più vasta raccolta delle nostre tradizioni religiose. Per pri-
mo, e con molta lungimiranza, allestì in quello stesso anno, una mostra fotografica
su Vallepietra, con l’intento di condurre una campagna sistematica per fotografare
le cerimonie religiose tradizionali italiane. [Simonelli 2006: 118]
6 Lettera a Colacicchi di P.S. Leicht, presidente del Comitato per le Arti Popolari, commis-
sione tecnica, del 19 ottobre 1934. Il Comitato era organo dell’Opera Nazionale Dopolavoro
(ISALM-Anagni).
7 Colacicchi si recò sul campo come “incaricato dalla Direzione generale dell’OND e da
Comitato per le Arti e Tradizioni Popolari”, secondo quanto testimonia una lettera di Au-
relio Vitto, Segretario Federale e Presidente del Dopolavoro Provinciale, del 28/10/1934
(ISALM-Anagni).
395
II – Europa
Il canto ciociaro, a una sola voce nella zona centrale della regione, diventa a due e
perfino a tre voci man mano che si allontana da Roma verso il Sud. Un senso corale
e polifonico, quasi diafonico, lo pervade e lo dilata, come in cerca di risonanze più
ampie. Si tratta comunque di una polifonia nella sua forma più antica e istintiva,
di cui offrono esempi interessantissimi i canti Tempo reale e Il vecchio marzo pelle-
grino, Rosa Rosetta colorita e bella, Rosa di maggio, ohi che bell’aria: appartenenti tutti
alla Ciociaria meridionale. [Colacicchi 1936a: 291]
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Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
La raccolta del 1934, che confluì dunque nell’articolo per gli Atti del con-
gresso usciti nel 1936, si concluse a fine anno: Colacicchi trascrisse a Frosino-
ne la Novena di Natale e un brano in tempo di ballarella, Canzona crapareccia,
suonati entrambi da due zampognari ambulanti appartenenti a una conso-
lidata famiglia di suonatori della Val Comino, Antonio e Michele Valente di
Villa Latina. Poco vicino, a Patrica, annotò infine un altro brano “tipico”: uno
Stornello con melodia lenta su testo monostico (es. mus. 3).
Quest’ultimo rigo di pentagramma, con il quale il maestro conclude il
suo articolo, fu cantato a Roma, in veste da informatore, da Libero De Libe-
ro (1903-1981), un altro intellettuale a tutto tondo, poeta, scrittore – vinse il
premio Viareggio nel 1971 – e critico, ricordato anche nella storia del cinema
neorealista per le sue sceneggiature di due film di Giuseppe De Santis: Non
c’è pace tra gli ulivi (1950) e Giorni d’amore (1954). Ventenne, in quei primi
anni Trenta, aveva acquistato un ruolo di primo piano negli ambienti artistici
e letterari della capitale9.
Sembra un divertissement da parte di De Libero che afferma di avere im-
parato il canto per tradizione – come riporta puntualmente Colacicchi (1936:
335) – rivendicando una forte identità ciociara, e sembra un ammiccamento da
parte dello stesso Colacicchi, che appone tale chiosa al suo scritto con un vez-
zo da aristocratico, così come era uso arricchire i biglietti augurali natalizi per
i suoi amici dei circoli culturali romani con versi dei canti ciociari a lui cari10.
9 Fondò a Roma nel 1928 il periodico “L’interplanetario”, pubblicando uno dei primi scritti
di Alberto Moravia, e fece parte della Scuola Romana che faceva capo a Mario Mafai, Anto-
nietta Raphaël e Scipione (Gino Bonichi).
10 Alcune delle minute di questi biglietti sono conservate all’ISALM-Anagni, insieme ad
alcune lettere di ringraziamento, tra le quale una toccante di Fedele d’Amico del 1959.
397
II – Europa
Questa supposta arcaicità, del resto, era cara al dibattito musicologico del
primo Novecento, soprattutto in studiosi, quali Fausto Torrefranca, che cer-
cavano nella tradizione orale le tracce concrete di forme musicali medievali o
rinascimentali solo parzialmente documentate nella tradizione scritta. Anche
in Canti popolari di Ciociaria Colacicchi insiste sulla discendenza del canto
popolare ciociaro dal canto gregoriano, dal quale aveva ereditato la diatonicità
e non solo:
Del gregoriano è ancora rimasto il senso continuo, disteso, cioè antistrofico della
melodia; e il senso modale che appare dai canti più antichi. La quarta alterata è
tipica del canto ciociaro, e rende più vaga e incerta la tonalità. Dove l’impronta del
gregoriano appare cancellata si può senz’altro ammettere l’imbastardimento del
canto. [Colacicchi 1936a: 291]
Negli anni successivi ci saranno due significativi ritorni sul campo: il pri-
mo al Santuario di Vallepietra e il secondo ancora nei paesi della Ciociaria.
Il primo si articola in due fasi: la prima nel 1947, allorché lo studioso con-
cretizzò la sua ormai ventennale ricerca al Santuario sui canti legati alla devo-
zione per la Santissima Trinità con la realizzazione di una registrazione inte-
grale del Pianto delle zitelle su dischi di lacca per conto della Discoteca di Stato11.
L’anno successivo un estratto di questa registrazione fu proposto a un uditorio
internazionale nell’ambito della relazione Il pianto delle zitelle - The Lament
of the Maidens presentata da Colacicchi al primo congresso dell’International
Folk Music Council (l’attuale International Council for Traditional Music), te-
nutosi a Basilea dal 13 al 18 settembre 1948. L’intervento fu poi pubblicato sul
primo numero del “Journal of the International Folk Music Council”.
A recording was made in 1947 through the iniziative of the Discoteca di Stato with
the co-operation of the Radio Italiana, and this time the Lament was recorded in
its entirety. The first recorded performance of the most important parts of the ce-
remony are being given a this Conference. [Colacicci 1949: 40]
11 Come riportato in diverse fonti questa registrazione andò persa a causa del deterioramen-
to dei supporti.
398
Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
12 Queste armonizzazioni furono successivamente pubblicate nel 1974 per la collana Musi-
che Popolari Italiane diretta da Domenico Cieri della Pro Musica Studium, con la aggiunta
del canto di questua Canzone dell’ulivo e del canto mariano Bona sera madre Maria (cfr.
Colacicchi 1974).
13 Anche Ninnananna fu pubblicata solo nel 1975 per la stessa collana insieme ad altri 6
canti: Me so ficcata na spina aglie core, La mamma de lo mio amore, Ohi oh li ohi oh la, Me
pizzica me mozzica, Rosa di Maggio, Stornello di Veroli (cfr. Colacicchi 1975).
14 I suoi resoconti confluirono in sette relazioni illustrate pubblicate – con lo pseudonimo
Pictor – in alcuni numeri di “Capitan Fracassa” del 1882 e successivamente in Pascarella
1940.
399
II – Europa
Sono i giorni del maggio 1883, anno molto importante per il Santuario di Valle-
pietra perché sta per essere inaugurato il restauro delle pitture dentro la grande
edicola sacra, scavata nella roccia ad oltre 1.330 metri di altezza. […] L’escursione
in montagna, descritta da Pascarella con dovizia di particolari, prevede, infatti, la
salita al Santuario della Santissima Trinità a Vallepietra, in compagnia degli amici
e soci del Club Alpino, pionieri di straordinarie scalate, a scopo spesso scientifico.
Queste le sue parole: «Intanto ci lasciamo dietro i pellegrini che salgono il monte
lentamente, cantando di tempo in tempo giaculatorie, e dopo un altro po´ di cam-
mino arriviamo a Vallepietra. È già notte buia. Traversiamo il paese e andiamo
subito a trovare l’arciprete, amico nostro e del Club Alpino, che gli ha affidato la
direzione di un osservatorio puliometrico. […] Poco dopo udiamo anche qualche
voce e ci troviamo in mezzo ad una torma di pellegrini che sale al Santuario della
Trinitá. La cerimonia a cui assisteremo si chiama “Il Pianto delle Zitelle” ed è, a
quel che mi dicono, una rappresentazione della passione e morte di nostro Signo-
re». [Simonelli 2006: 117-118]
Emilio Cecchi (1884-1966) pubblicò l’8 giugno del 1934 su “Il corriere del-
la sera” un lungo articolo dal titolo Il pellegrinaggio del Pianto a Vallepietra che,
su suggerimento di Pascarella, aveva seguito di persona, come attestano anche
le fotografie da lui realizzate in quella circostanza (cfr. Simeoni 2016). Come
sopra ricordato, Cecchi era stato direttore artistico della Cines, per la quale
Colacicchi e Pozzi Bellini avevano lavorato rispettivamente come compositore
e sceneggiatore. Probabilmente di concerto Emilio Cecchi e Luigi Colacicchi,
l’unico a essere anche nativo di quei luoghi, decisero di collaborare alla realiz-
zazione del documentario sul pellegrinaggio e Cecchi diede l’incarico della re-
gia a Giacomo Pozzi Bellini con il quale scrisse anche la sceneggiatura, avendo
i due la stessa “linea estetica” (cfr. Bonzi e Ferraro 2013). Fu probabilmente
Pozzi Bellini a rivolgersi nel 1937 a Luigi Morpurgo, anche lui come Pascarella
membro del CAI che, ricordiamo, aveva realizzato reportage fotografici duran-
te la festa al Santuario nel 1917 e nel 1923, affinché facesse il sopralluogo foto-
grafico (cfr. Faeta 2006). Dunque una sinergia di varie ed elevate competenze
fu ben congegnata per la realizzazione di questo piccolo capolavoro.
Nel documentario il narratore interviene solo in pochi momenti, con un
testo breve ed essenziale, senza turbare il flusso del racconto in gran parte
affidato alle immagini e all’uso ricercato del sonoro, che alterna momenti di
presa diretta con interpunzioni oculate delle armonizzazioni di Colaccicchi. I
titoli di testa sono accompagnati dallo Stava in pianto, il canto processionale
del venerdi santo di Fiuggi che, eseguito dalla Corale di Anagni, anticipa il
tema della passione di Cristo del Pianto. Subito dopo, attraverso l’esecuzione
de Il canto di Marta, sempre nella versione della Corale di Anagni, siamo ca-
lati nel contenuto sonoro del pellegrinaggio. La prima sequenza visivo-sonora
mostra l’arrivo dei pellegrini a Vallepietra e si ode il Viva viva sempre viva, il
canto tipico del pellegrinaggio che infatti nella raccolta di Colacicchi appare
con l’indicazione “Pellegrinaggio della Trinitá a Vallepietra” (cfr. Colacicchi
1936a: 304). Poche parole del narratore e siamo dentro la chiesa di Vallepietra,
400
Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
questa seconda sequenza è accompagnata dai suoni originali con le voci dei
pellegrini che richiedono la grazia. Introdotta dall’immagine e dal suono in
presa diretta di una piccola campana processionale segue la sequenza all’a-
perto della processione formata dai fedeli della diocesi di Vallepietra. Si sente
in sottofondo il canto Padre Celeste Iddio, che appare nella sua raccolta con
l’indicazione “Processione della Trinitá a Vallepietra” (cfr. Colacicchi 1936a:
304), ripreso successivamente, in primo piano dalla colonna sonora, nella in-
terpretazione del coro di Anagni. I pellegrini prima di arrivare al Santuario
dormono all’aperto davanti a dei falò. Colacicchi sceglie per commentare que-
ste scene, che si configurano come un montaggio di quadri statici, la Ninna
Nanna a lui tanto cara, quasi a voler cullare i devoti mentre si addormentano
scaldandosi al fuoco. L’arrivo del nuovo giorno vede nuovamente i pellegrini
in marcia verso il Santuario, accompagnati dal canto per la Santissima. Il pae-
saggio del Monte Autore è riempito sonoramente dal canto che è caratterizza-
to qui da un effetto di eco. L’ascesa dei pellegrini lungo le scale che portano al
Santuario e l’ingresso nella cappella sono invece interpretati in maniera molto
intima da Colacicchi con il canto penitenziale Perdono mio Dio (cfr. Colacicchi
1936a: 303), non tipico del pellegrinaggio ma in uso in Ciociaria, che enfatiz-
za l’atmosfera di emozionata devozione dei pellegrini che finalmente sono
giunti al luogo sacro. Appena dentro la cappella il sonoro orginale esplode
e si sentono i pellegrini che in maniera concitata si rivolgono derettamente
alla Trinità chiedendo la grazia. L’ultima parte del documetario è dedicata al
Pianto delle zitelle. Si vedono le giovani in processione avvicinarsi al Santuario
con una ripresa dall’alto. Colacicchi riutilizza qui il canto processionale di
Vallepietra, Padre celeste Iddio, in una armonizzazione per coro femminile.
Il Pianto è invece in versione originale, vengono eseguite in sincrono delle
sezioni del Prologo, del Canto della Madonna e del Canto di Marta. I versi Oggi
Cristo perdona a chi si pente / venite dunque peccatori amati accompagnano i
volti, a volte contriti a volte stupiti ma sempre attenti, dei pellegrini inquadrati
da Pozzi Bellini. Il documentario si conclude con un’ultima inquadratura del
paesaggio e con il canto Viva viva sempre viva.
Colacicchi punteggia le scene processionali distinguendo diversi piani
narrativi: il cammino dei pellegrini sul monte Autore è accompagnato dal
canto Viva viva sempre viva, e quello dei fedeli di Vallepietra con il clero per il
quale usa il canto Padre Celeste Iddio sulla Trinità. Il canto Perdono mio Dio,
che accompagna l’ingresso dei penitenti nel Santuario, sembra invece funzio-
nale alla transizione tra l’esterno e lo spazio interno al luogo sacro, nel quale
si deve entrare purificati prima di chiedere la grazia. Ancora una volta sono
illuminanti le parole di Carlo Belli che raccontano di una sincera religiosità da
parte di Colacicchi:
401
II – Europa
15 Nel Fondo Colacicchi della Biblioteca della Filarmonica Romana, e in quello dell’ISALM
di Anagni non sono state trovate le registrazioni originali fatte in quelli anni per la realiz-
zazione del film.
16 Vale la pena ricordare che il II Congresso Internazionale dell’International Folk Music
Council, tenutosi a Venezia nel 1949 era collegato a un Festival di gruppi di musica e danza
di vari paesi del mondo e di quasi tutte le regioni italiane. Presso la sede RAI di Venezia fu-
rono registrati quattro brani del gruppo folkloristico di Villa Latina (prov. Di Frosinone) con
orchestrina di zampogne. I brani furono depositati da Nataletti al CNSMP come Raccolta 11.
402
Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
Nella tarda estate del 1947, trovandoci per il Festival, a Venezia, lui, Petrassi, Paola
Zingone, Adriana Panni e il sottoscritto, si decise insieme di costituire un coro,
appena rientrati a Roma. Era una di quelle idee che nascono sui tavolini del Caffè
Florian, destinate davvero a estinguersi durante il ritorno in treno. Invece ci si
mise davvero, e il coro nacque, ospitato provvisoriamente in una fredda aula di una
scuola elementare in Prati. [Belli 2003:127]
Il coro fu una grande passione del maestro e anche questa una occasione
per l’esecuzione delle sue armonizzazioni dei canti ciociari nei concerti che il
coro teneva in tutto il mondo. In una intervista, condotta da Giuseppina Colic-
ci nel febbraio 2014, la signora Maria Adele Ziino Pontecorvo, che oggi ha 77
anni e ha cantato nel coro della Filarmonica dal 1959 al 1962, ci ha trasportato
nell’atmosfera di quelli anni e di quei concerti:
403
II – Europa
In particolare:
Ciò che interessa a Colacicchi è principalente restituire lo spirito del canto, le im-
magini e i sentimenti che evoca: l’atmosfera amorosa di una ninna nanna, la mesti-
zia di un canto religioso, la spigliatezza e l’abbandono di uno strornello, la passio-
ne di un canto amoroso, piuttosto che evidenziarne aspetti strutturali o dirompenti
come il ritmo, le timbriche vocali. [Colaianni 2003: 97]
404
Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
Stranamente Colacicchi grande studioso di musica popolare, non adottò mai, per
queste liriche, melodie tratte o modellate sul canto popolare e soltanto in qualche
caso usò strutture strofiche, che sono caratteristiche della musica popolare. [Spa-
ragna 2003: 138]
Quasi a volere mantenere separati i due mondi, quello legato alla musica
tradizionale da lui raccolta ed elaborata e quello della musica “colta” scritta.
Compose anche musica sacra legata alla pratica quotidiana dei musicisti li-
turgici in uno stile lontano da quello usato per i canti ciociari sacri che aveva
armonizzato. Nel repertorio di musica sacra liturgica «Emerge un composito-
re colto forse legato ancora, per certi versi, a degli schemi di scrittura desueti
nel suo periodo, uno stile un po´antiquato, post-romantico, ma che mette in
evidenza la perizia compositiva e la finezza del gusto del compositore anagni-
no» (Sparagna 2003: 134). Colacicchi stesso afferma d’altronde che anche se
il repertorio per il servizio liturgico deve avere forma modesta non per questo
si dove rinunciare alle conquiste armoniche e contrappuntistiche dell’epoca
(cfr. Sparagna 2003).
Nel 1952, insieme ad altri, Colacicchi diede vita anche al Concorso polifo-
nico internazionale di Arezzo:
405
II – Europa
[…] leggiera, cioè lieve, oscillante tra la cultura e il dilettantismo, che soddisfa spe-
cialmente il gusto d’una massa che ha scarsa familiarità con la musica da concerto,
18 Gli autori erano Ferdinando Bello, Alfredo Bonaccorsi, Enzo Borrelli, Alfredo Casella,
Raffaele Casimiri, Luigi Colacicchi, Romolo Giraldi, Gastone Rossi-Doria.
406
Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
poco più con la musica d’opera. Musica, però, che talora raggiunge reali valori d’ar-
te, quando appunto coloro che la coltivano siano degli artisti. [Colacicchi 1939: 137]
407
II – Europa
gia”19. Non ci sembra però questa la posizione di Colacicchi: nella sua defini-
zione non si avverte disprezzo. Il suo obiettivo è piuttosto la descrizione con
immagini suggestive di quanto avviene a livello sonoro, ovvero il contrasto
incontestabile, tra la melodia e il beat isocrono sotteso, che, probabilmente, al
suo ascolto doveva risultare anche molto evidente.
Nelle pagine di Musica leggiera è spesso palpabile l’apprezzamento per i
repertori e i musicisti jazz, testimoniato anche dalla sua discoteca privata,
compresi nomi illustrissimi come Duke Ellington, Louis Armostrong, Tom-
my Dorsey ecc. Anche nell’ultimo paragrafo, dedicato al teatro leggero, Cola-
cicchi racconta la storia dell’Operetta europea che infine va a sfociare nel più
recente approdo in Europa delle forme del teatro musicale americano veico-
late anche attraverso il cinema. L’articolo pertanto si conclude con cenni alla
musica delle colonne sonore e dei film musicali, tema attualissimo a poco più
di dieci anni dall’arrivo del sonoro nel cinema. Forte anche della sua esperien-
za dall’interno, in quanto compositore di colonne sonore, il maestro esalta il
ruolo della musica nel cinema:
Dacché il cinematografo è diventato sonoro, sembra che sullo schermo vi sia più
luce, più aria, che le prospettive siano più ampie. Anche quando non si avverte, la
musica è pur sempre presente nel film: è essa che dà il corpo, il respiro alle per-
sone «bidimensionali» delle fotografie in movimento; è essa che dà il volume alle
immagini, lo sfondo, l’orizzonte. [ivi, p. 154]
Nella maggior parte dei casi è un commento musicale. Esilaranti sono comunque
i motivetti che il compositore mette in voce a Totò e agli altri matti: una serie di
canzoncine strambe, leggere, ironiche ma non volgari, che costituiscono una serie
davvero unica. Forse se si esclude la produzione della musica polifonica corale, la
realizzazione di questa colonna sonora è uno degli esperimenti musicali meglio
riusciti al compositore anagnino. [Sparagna 2003: 137]
19 Si vedano tra gli altri Mazzoletti 2004 e Cerchiari 2003, con citazione a proposito di
Colacicchi, a p. 146.
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7. Conclusioni
Vogliamo chiudere con un giocoso poema composto per uno dei tanti bi-
glietti augurali che Colacicchi usava distribuire agli amici a Natale. Sono molti
gli ingredienti che condiscono la ricca messe di auguri per la Mensa sana in
corpore sano, come recita il titolo della poesia, perché il maestro era anche un
amante della buona cucina e produceva un eccellente vino: i versi nonsense
a base di nomi di cibarie, termini musicali, citazioni letterarie e cinemato-
grafiche, inanellano scherzosamente i tanti amori di Colacicchi, tra i quali,
ovviamente, la sua origine ciociara:
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II – Europa
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Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
Esempi musicali
1. Rosa di maggio
Trascrizione di Luigi Colacicchi (1936: 320)
2. Rosa di maggio
Armonizzazione di L. Colacicchi. Parte manoscritta dei tenori
(Archivio dell’Accademia Filarmonica di Roma)
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3. Stornello
Trascrizione di L. Colacicchi (1936: 331)
Riferimenti
Bibliografia
AA.VV.
1939 Il libro della musica, Sansoni, Firenze (Prefazione dell’Editore alle pp. VII-IX).
Antonioni, Michelangelo
1982 Il pianto delle zitelle, in Giacomo Pozzi Bellini. Trentacinque anni di foto-
grafia: 1940-1975, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, p. 9.
Belli, Carlo
2003 Storia di un coro e del suo Maestro. Luigi Colacicchi in memorian in Lui-
gi Colacicchi Musicista ed etnomusicologo, Istituto di storia e di arte del
Lazio meridionale, Anagni, pp. 115-131; prima pubblicazione in “Nuova
Rivista Musicale Italiana”, vol. X, n. 3, 1976, pp. 397-406.
Bonzi, Arnaldo - Ferraro, Domenico
2013 (a cura di), Giacomo Pozzi Bellini, Viaggio in Sicilia (estate 1940), Squili-
bri, Roma.
Carpitella, Diego
1973 L’etnomusicologia in Italia, in Id., Musica e tradizione orale, Flaccovio,
Palermo, pp. 11-29.
Celletti, Rodolfo
1975 Gli squadriglieri, Bompiani, Firenze.
Cerchiari, Luca
2003 Jazz e fascismo. Dalla nascita della radio a Gorni Kramer, L’Epos, Paler-
mo.
Colacicchi, Luigi
1936a Canti popolari di Ciociaria, in Atti del III Congresso nazionale di arti e
tradizioni popolari, Edizione dell’O.N.D., Roma, pp. 289-335 (con qua-
rantasei trascrizioni musicali).
1936b Il pianto delle zitelle, in “Lares”, 7, pp. 98-111 (con otto trascrizioni musi-
cali).
1939 Musica leggiera, in AA.VV. 1939, pp. 137-152.
1949 The Lament of the Maidens, in “Journal of the International Folk Music
Council”, vol. 1, pp. 38-40.
1974 Cinque canti religiosi, Pro Musica Studium, Roma.
1975 Sette canti popolari, Pro Musica Studium, Roma.
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Giuseppina Colicci e Serena Facci Luigi Colacicchi
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II – Europa
Sitografia
1. https://catalogue-lumiere.com/danse-des-ciociari/
2. https://www.youtube.com/watch?v=6JynwJXcMgI
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